Sentenze recenti certificazione energetica

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6799 del 2017, proposto da Ac. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Sg., Ch. To., Gi. Co., Fe. Bu. e Pa. Za., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Co., in Roma, via (...); contro Gse - Gestore dei Servizi Energetici S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Fr., Ma. An. Fa. e An. Pu., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Fr., in Roma, via (...); per l'annullamento - della comunicazione adottata dal Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.A. (di seguito, il "GSE") in data 12 aprile 2017 (prot. n. GSE/P020170030833), notificata alla ricorrente mediante raccomandata a.r. in data 19 aprile 2017, avente il seguente oggetto: "Rigetto della Proposta di progetto e di Programma di Misura (PPPM) n. 0093053032416T022, presentata da Ac. S.p.A."; - nonché di ogni altro atto preparatorio, presupposto, antecedente, conseguente e comunque connesso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Gse - Gestore dei Servizi Energetici S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 17 maggio 2024 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso notificato in data 21.06.2017 e depositato in Segreteria in data 18.7.2017, la società Ac. S.p.A. adiva il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, al fine di ottenere le pronunce meglio indicate in oggetto. Esponeva in fatto di esercitare attività di distribuzione di energia elettrica e gas naturale e di rientrare, ai sensi della normativa di settore, nella categoria dei "soggetti obbligati" a conseguire, in termini di certificati bianchi, degli obiettivi quantitativi nazionali annui di incremento dell'efficienza energetica. In data 30.9.2016 presentava al G.S.E. una specifica istanza per il riconoscimento dei certificati bianchi con riferimento alla Proposta di Progetto e di Programma di Misura n. 0093053032416T022, relativa ad interventi di efficientamento energetico degli impianti di illuminazione pubblica del Comune di Modena. Precisava che, la realizzazione del progetto di efficientamento veniva affidata alla società He. Lu. S.r.l., la quale - parimenti alla ricorrente - veniva indicata come società controllata al 100% dalla He. S.p.A. In data 4.11.2016, la società incaricata dal G.S.E. - Ricerca sul Sistema Energetico R.S.E. S.p.A. - inviava alla ricorrente una richiesta di integrazione e di chiarimenti (prot. n. 16082045) con la quale le veniva chiesto di fornire alcune informazioni aggiuntive in merito alla descrizione dell'intervento e alla periodicità di invio delle "Richieste di Verifica e Certificazione dei Risparmi", nonché di produrre documentazione aggiuntiva relativa ai certificati di collaudo; seguiva il riscontro della ricorrente in data 25.11.2016. In data 5.1.2017 il G.S.E. notificava all'istante il preavviso di rigetto evidenziando che: i. "la documentazione non consente di verificare che le condizioni di illuminamento nella situazione ex ante e in quella ex post, per ogni impianto oggetto d'intervento e in base alla classe illuminotecnica identificata, rispettino i livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica (es. UNI 11248) (...)"; ii. "dalla documentazione trasmessa non è possibile verificare che il posizionamento dei misuratori tenga conto dei consumi delle sole apparecchiature per l'illuminazione (...)"; iii. "la documentazione non consente di verificare la conformità del progetto alle previsioni normative previste dall'art. 6, comma 2 del succitato D.M. (i.e. Decreto 28.12.2012) che limita, a partire dal 1° gennaio 2014, l'accesso al meccanismo dei certificati bianchi ai progetti ancora da realizzarsi o in corso di realizzazione . In particolare, non è stata fornita documentazione (...) che permetta di verificare che alla data di presentazione della PPPM, ovvero il 30/09/2016, l'installazione delle lampade sia stata completata o abbia iniziato a generare risparmi di energia primaria". In data 19.1.2017 la ricorrente presentava le proprie osservazioni avverso il preavviso di rigetto cui faceva seguito, in data 28.2.2017, un contatto telefonico con il referente tecnico del G.S.E.; all'esito di tale interlocuzione venivano prodotte ulteriori osservazioni tecniche da parte della Ac. S.p.A., trasmesse in data 15.3.2017. Con provvedimento notificato in data 19.4.2017, qui prioritariamente impugnato, il G.S.E. respingeva l'istanza presentata dalla ricorrente ritenendo che la proposta progettuale non fosse conforme al decreto ministeriale del 28 dicembre 2012. In particolare, rilevava che: i. "dalla documentazione fornita la società realizzatrice dell'intervento, He. Lu. S.r.l., non è una società partecipata o controllata, ovvero operante in affiliazione commerciale, ad Ac. S.p.A. essendo quest'ultima un soggetto obbligato che può realizzare progetti relativi ad interventi di efficientamento dei servizi post-contatore avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della Legge n. 239 del 2004 e come modificato dall'art. 4 del D.L. n. 10 del 2007"; ii. "dalla documentazione trasmessa risulta che i risparmi generati dall'intervento non sono addizionali, poiché si sarebbero comunque verificati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato. In particolare, dal documento 'Integrazione Volontaria PPPM Modena 3 rev_15 03 17' (in allegato) risulta che le condizioni di illuminamento nella configurazione ante operam non rispettano livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica previsti dalla UNI 11248. Si specifica che nel caso in cui, nella situazione ex ante, il livello di illuminamento medio di ciascuna area oggetto di intervento sia inferiore rispetto quello minimo previsto dalla succitata norma tecnica, l'intervento si configurerebbe in parte come un adeguamento normativo". Avverso tali esiti provvedimentali la società ricorrente insorgeva eccependo: i. "Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento. eccesso di potere per difetto e carenza di istruttoria"; ii. "Violazione e falsa applicazione delle linee guida EEN 9/11. eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, carenza di istruttoria, illogicità e disparità di trattamento". In data 22.9.2017 si costituiva in giudizio il Gestore dei Servizi Energetici. All'udienza del 17.5.2024, previo scambio di memorie e uditi i difensori come da verbale, la causa veniva definitivamente posta in decisione. Tutto ciò premesso, il ricorso è infondato nel merito e, pertanto, non può essere accolto. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente si doleva dell'illegittimità del provvedimento di rigetto nella parte in cui il G.S.E. riteneva che la società realizzatrice dell'intervento - He. Lu. S.r.l. - non fosse una società partecipata, controllata o in affiliazione commerciale della stessa ricorrente. Come è noto, a livello ordinamentale generale, con il D.lgs. 16 marzo 1999, n. 79 veniva data attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, prevedendo nei confronti dei distributori misure di incremento dell'efficienza negli usi finali dell'energia, secondo obiettivi quantitativi determinati. La normativa si assestava per il tramite di diversi decreti ministeriali e, con decreto dell'11 gennaio 2017, il Ministero dello Sviluppo Economico provvedeva alla determinazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico per le imprese di distribuzione dell'energia elettrica e del gas relativamente agli anni dal 2017 al 2020. I soggetti obbligati venivano individuati nei distributori di energia elettrica e di gas naturale con più di 50.000 clienti finali connessi alla propria rete di distribuzione, prevedendo che i progetti e i relativi interventi di efficientamento potessero essere da questi realizzati: "a) mediante azioni dirette dei soggetti obbligati, o dalle società da essi controllate o controllanti, ai sensi dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni; b) mediante azioni delle imprese di distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale non soggette all'obbligo; c) da soggetti sia pubblici che privati che, per tutta la durata della vita utile dell'intervento presentato, sono in possesso della certificazione secondo la norma UNI CEI 11352, o hanno nominato un esperto in gestione dell'energia certificato secondo la norma UNI CEI 11339, o sono in possesso di un sistema di gestione dell'energia certificato in conformità alla norma ISO 50001. Nel caso in cui il soggetto titolare del progetto e il soggetto proponente non coincidano, tale certificazione è richiesta per il solo soggetto proponente". Ebbene, nel caso di specie, non consta che la S.r.l. He. Lu., individuata quale realizzatrice del progetto di efficientamento, sia una società controllata, controllante ovvero in affiliazione commerciale dell'effettivo soggetto obbligato, ossia l'odierna ricorrente. Ciò che emerge, infatti, è che la S.r.l. He. Lu., così anche la S.p.A. Ac., sono società entrambe controllate al 100% dalla S.p.a. He.. L'interpretazione estensiva che la ricorrente tenta di attribuire ad un chiarimento del G.S.E. in materia è del tutto fuorviante. Tale chiarimento, nel disporre che gli interventi di efficientamento energetico possono essere realizzati per il tramite di "società separate, partecipate o controllate, ovvero in affiliazione commerciale", deve ritenersi frutto di un'interpretazione (tutt'al più ) sistematica del D.M. dell'11 gennaio 2017 e dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239/2004. Invero, tale ultima disposizione ha dato la possibilità alle imprese operanti nei settori della vendita, del trasporto e della distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale, che abbiano in concessione o in affidamento la gestione dei servizi pubblici locali ovvero la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni infrastrutturali, di svolgere attività nel settore verticalmente collegato o contiguo dei servizi post-contatore di installazione, assistenza e manutenzione nei confronti dei medesimi utenti finali del servizio pubblico, "avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale". Il D.M. in oggetto, nel menzionare tale comma - "mediante azioni dirette dei soggetti obbligati, o dalle società da essi controllate o controllanti, ai sensi dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni" - altro non fa che dar atto che gli interventi di efficientamento possono essere presentati sia per azioni dirette relative alle proprie reti elettriche e/o di gas naturale sia per interventi riconducibili al settore verticalmente collegato o contiguo dei servizi post contatore di installazione, assistenza e manutenzione nei confronti dei medesimi utenti finali dei soggetti obbligati, avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale. Dunque, alcuna portata estensiva ai "gruppi societari" - in disparte, comunque, ogni considerazione circa la legittimità di una siffatta asserita estensione ad opera del G.S.E. - può attribuirsi al chiarimento summenzionato. Con riguardo a tale profilo di doglianza, non merita apprezzamento la circostanza in base alla quale, in fase endoprocedimentale il G.S.E. non avrebbe "mai formulato alcuna richiesta di chiarimento e/o integrazione documentale in ordine ai rapporti societari sussistenti tra la Ricorrente ed He. Lu.". Invero, ciò che la ricorrente eccepiva riguardava essenzialmente la violazione del principio di corrispondenza tra preavviso di rigetto e provvedimento conclusivo, che, come più volte affermato in giurisprudenza, "si ha nella fattispecie in cui le ragioni espresse nel primo siano incompatibili o del tutto difformi da quelle poste a fondamento del secondo" (cfr. T.A.R. Lazio, sentenza n. 6432 del 22 marzo 2024; Consiglio di Stato, sentenza n. 9988 del 19 ottobre 2023). A tal riguardo, la giurisprudenza del Consiglio di Stato - cui il Collegio ritiene di dover dare continuità - è orientata nel ritenere che la difformità tra il preavviso di rigetto ed il provvedimento finale è irrilevante, laddove quest'ultimo non poteva essere diverso qualsiasi fosse stato l'apporto del privato, anche in ragione della sufficienza dei motivi sui quali si era formato il contraddittorio per determinare il rigetto dell'istanza; di talché, l'aggiunta di un ulteriore ragione per denegare un provvedimento autorizzativo non incide sul diritto al contraddittorio (da ultimo, in senso conforme: Consiglio di Stato, sentenza n. 3972 del 26 marzo 2024). Quanto sopra argomentano basta a destituire di fondamento il primo motivo di ricorso, in quanto infondato. Sebbene l'esame delle ulteriori censure sia superfluo - in applicazione della regola giurisprudenziale secondo la quale nei casi di atti plurimotivati, la riconosciuta legittimità in sede giurisdizionale di una delle ragioni poste a sostegno di un siffatto provvedimento è sufficiente a sorreggerlo (Consiglio di Stato, sentenza n. 4649 del 16 giugno 2021) - le medesime sono, in ogni caso, infondate. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denunciava il provvedimento di rigetto ritenendolo erroneo nella parte in cui sosteneva che i risparmi generati dall'intervento non sarebbero addizionali, posto che si sarebbero comunque verificati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato; oltre che per aver ritenuto che le condizioni di illuminamento nella configurazione ante operam non rispettassero i livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica di cui alla UNI 11248 e che, pertanto, l'intervento proposto dalla ricorrente si configurerebbe in parte come un adeguamento normativo. In relazione a tale profilo di doglianza, deve preliminarmente rilevarsi che, "la valutazione del Gestore circa l'assenza di addizionalità costituisce esercizio di discrezionalità tecnica cosicché il sindacato del giudice amministrativo sulla stessa, avendo pur sempre ad oggetto la legittimità e non il merito, è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, ovvero altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti" (cfr. T.A.R. Lazio, sentenza n. 7388 del 25 maggio 2022; T.A.R. Lazio, sentenza n. 2296 del 28 febbraio 2022; Consiglio di Stato, parere n. 1999/2020). Ebbene, il meccanismo di incentivazione fondato sul rilascio dei c.d. "certificati bianchi", ovvero "titoli di efficienza energetica" (TEE), assume a suo fondamento il requisito dell'addizionalità dei risparmi, da intendersi in termini non meramente legati all'evoluzione tecnologica, ma estesi anche ai profili economici e di sviluppo infrastrutturale sottesi alla messa in atto dell'intervento. Talché, devono essere escluse dal sostegno gli interventi che si sarebbero dovuti realizzare per effetto di obblighi normativi. Gli interventi suscettibili di incentivazione sono, quindi, quelli concretamente aggiuntivi rispetto a quelli che si sarebbero realizzati in assenza dell'incentivazione - e, dunque, aggiuntivi rispetto al mero adeguamento normativo - al contrario, se non lo fossero, finirebbero per configurare un sussidio all'impresa da parte dello Stato, ossia un aiuto di Stato, evidentemente lesivo della concorrenza (Consiglio di Stato, sentenza n. 5095 del 23 maggio 2023). Sotto il profilo tecnico, la ricorrente in occasione della trasmissione della validazione dei calcoli illuminotecnici nella situazione ex ante, affermava che "la verifica delle condizioni di illuminamento nella situazione ex ante, oltre a non essere tecnicamente percorribile, non è utile ai fini della determinazione dei risparmi addizionali oggetto della PPPM". La mancata dimostrazione circa la pregressa situazione dell'impianto oggetto di intervento veniva, altresì, confermata in sede di ricorso ove affermava che "uno dei principali impedimenti alla verifica delle situazioni pre-intervento è costituito dalla mancata disponibilità nei programmi di calcolo utilizzati per l'elaborazione dei calcoli illuminotecnici di dati specifici relativi a lampade obsolete quali quelle preesistenti alla PPPM Modena 3". Sul punto, sono condivisibili le argomentazioni del G.S.E., secondo cui il rilascio dei certificati avviene in misura proporzionale alla quantità di risparmio netto conseguito, da intendersi - in applicazione delle Linee Guida della competente Autorità EEN 9/11 - come "il risparmio lordo, depurato dei risparmi energetici non addizionali, cioè di quei risparmi energetici che si stima si sarebbero comunque verificati, anche in assenza di un intervento o di un progetto, per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato". E dunque, il risparmio netto corrisponde alla sottrazione dal risparmio lordo (differenza tra i consumi ex ante e consumi ex post) dei risparmi (non addizionali) che, in assenza dell'intervento, si sarebbero comunque realizzati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e di mercato. Emerge chiaramente, quindi, che la valutazione della situazione ex ante costituisca condicio sine qua non dei successivi calcoli relativi all'effettivo risparmio addizionale ai fini dell'approvazione del PPPM, con la conseguenza che in assenza di tale rigorosa prova di un fatto preesistente il progetto non può essere approvato e non se ne possono ritrarre le conseguenti utilità . Nel complesso, dunque, sono legittime e condividibili le conclusioni a cui è pervenuto il G.S.E., il quale, nell'esercizio del suo potere tecnico discrezionale (di per sé sindacabile nel suo esercizio solo in caso di manifesta irrazionalità o irragionevolezza), non poneva concretamente in essere un'attività amministrativa censurabile da questo Tribunale con riguardo alle doglianze prospettate dalla ricorrente. In conclusione, per le ragioni illustrate il ricorso va respinto, essendo infondate nel merito le censure con esso introdotte. Da ultimo, tenuto conto delle peculiarità in fatto del caso in esame, sussistono i presupposti di legge per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione V Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Alfredo Giuseppe Allegretta - Presidente, Estensore Ida Tascone - Referendario Andrea Gana - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 7321 del 2022, proposto dal Ministero dell'Interno, dall'Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura e dalla Questura di Caserta, dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e dal Comando Compagnia Guardia di Finanza di Capua, in persona dei legali rappresentati pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...), contro la -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ra. Sc. e Lu. To., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia, per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione quinta, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il diniego di un'autorizzazione allo svolgimento di un'attività di vigilanza privata. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Vista l'istanza di passaggio in decisione della parte appellante; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2023, il consigliere Nicola D'Angelo e udito per l'appellata l'avvocato Lu. To.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento prot. n. -OMISSIS- con cui la Prefettura di Caserta ha rigettato la richiesta avanzata dal signor -OMISSIS-, legale rappresentante della stessa società, intesa ad ottenere il rilascio dell'autorizzazione prevista dall'art. 134 del R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.) per lo svolgimento dell'attività di vigilanza privata. 1.1. L'Amministrazione ha negato l'autorizzazione in ragione di un presunto tentativo di interposizione di persona che sarebbe stato posto in essere per aggirare un precedente provvedimento prefettizio di rigetto del 2019 emesso nei confronti di altro richiedente (signor -OMISSIS--OMISSIS-) che aveva presentato analoga istanza per la società -OMISSIS-, a sua volta motivato per l'esercizio abusivo dell'attività di vigilanza in difetto di autorizzazione ex art. 134 del T.U.L.P.S. In sostanza, il signor -OMISSIS- sarebbe stato il reale dominus della -OMISSIS-. 1.2. Secondo la Prefettura tale ricostruzione sarebbe stata giustificata dalle seguenti circostanze: - la sede legale ed operativa della -OMISSIS- è la stessa della sede della -OMISSIS- unipersonale amministrata dal sig. -OMISSIS-; - le due società, aventi analoga denominazione sociale, presentano altri punti di contatto, avendo la sede operativa presso il medesimo indirizzo; - le due società avrebbero avuto la stessa tipologia di attività ed ambito territoriale coincidente (Provincia di -OMISSIS-) e il medesimo regolamento di servizio; - il signor -OMISSIS- era stato dipendente di varie società ed aziende riconducibili al signor -OMISSIS-per diversi anni; - in occasione di un sopralluogo presso la sede della -OMISSIS-, nel mese di dicembre 2020, il personale della Guardia di Finanza di -OMISSIS-ha accertato la presenza di un tecnico informatico, dipendente della -OMISSIS-, società riconducibile al signor -OMISSIS-. 1.3. Sulla base delle suddette circostanze la Prefettura ha quindi concluso che si versasse nella ipotesi di cui all'art. 257 quater, comma 1, del R.D. n. 635/1940 (regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S.), secondo cui la licenza ex art. 134 è negata quando risulta che gli interessati abbiano esercitato taluna delle attività ivi disciplinate in assenza della prescritta licenza, attesa la riconducibilità della società richiedente al signor -OMISSIS- al quale, come detto, era stato contestato l'esercizio abusivo dell'attività di vigilanza. 2. Il Tar di Napoli con la sentenza indicata in epigrafe (n. -OMISSIS- ha accolto il ricorso, condannando le Amministrazioni resistenti al pagamento delle spese di giudizio. Lo stesso Tribunale ha premesso che, alla stregua del principio generale di personalità dei titoli di pubblica sicurezza, sancito dall'art. 8 del R.D. n. 773/1931, gli elementi che dovevano essere valutati ai fini del rilascio o della revoca delle autorizzazioni di polizia avrebbero dovuto essere strettamente afferenti a colui che ne richiedeva il rilascio. 2.1. Il diniego dell'autorizzazione è stato però disposto in quanto si è ritenuto che, nella realtà, l'attività imprenditoriale autorizzanda fosse riconducibile ad altro soggetto, il signor -OMISSIS-, al quale in passato era stato contestato l'esercizio abusivo dell'attività di vigilanza, con conseguente operatività della fattispecie preclusiva di cui all'art. 257 quater, comma 1, del R.D. n. 635/1940. 2.2. In sostanza per il giudice di primo grado: - sarebbero stati poco significativi gli elementi ostativi addotti e comunque da soli non idonei a fondare il convincimento della sussistenza di una interposizione di persona (per il Tar tali indizi, nel complesso, non avrebbero superato le ragionevoli spiegazioni fornite dal ricorrente); - era stato rappresentato che la nuova realtà aziendale era stata costituita dal sig. -OMISSIS-con il proposito di sviluppare una autonoma realtà imprenditoriale, mettendo a frutto l'esperienza maturata nel settore della vigilanza e in un territorio in cui ha intessuto rapporti lavorativi nel corso degli anni. Tale spiegazione avrebbe giustificato i profili di apparente sovrapposizione logistica ed operativa delle due imprese (quella di nuova istituzione e quella precedente riferibile al signor -OMISSIS-), mentre il dato riferito all'analoga denominazione sociale poteva trovare la propria giustificazione in logiche imprenditoriali e di concorrenza, nell'uso di segni distintivi utili ad attrarre clientela fidelizzata della -OMISSIS- utilizzando peraltro un latinismo (vis, roboris) che non poteva ritenersi anomalo, in quanto evocativo di presunte doti di affidabilità e sicurezza del nuovo operatore; - sarebbe stata neutra la presenza del tecnico informatico della -OMISSIS- presso la sede della -OMISSIS-, in occasione del sopralluogo del dicembre 2020. L'utilizzo di comuni professionalità del settore informatico non rappresentava un indice univoco della riferibilità dell'impresa ad altra gestione societaria, non risultando allegate comprovate argomentazioni per sostenere l'esclusività dell'attività del tecnico informatico in favore delle società del presunto interponente; - infine, il Tar ha rilevato che l'Amministrazione non aveva proceduto al riesame della fattispecie, come disposto con ordinanza cautelare n. -OMISSIS- con cui era stato richiesto di rideterminarsi sulla istanza di parte ricorrente, alla luce del contenuto della nota del Commissariato di -OMISSIS- --OMISSIS- dell'11 febbraio 2022 che dava atto della insussistenza di elementi indicativi di una eventuale interposizione all'esito dell'acquisizione di documentazione in sede di sopralluogo presso la sede della società ricorrente (contratto di locazione, agibilità dei locali, certificazione energetica, prevenzione antincendi, progetti e certificazione lavori). 3. Contro la suddetta sentenza hanno proposto appello il Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo, Prefettura e Questura di Caserta, e il Ministero dell'Economia e delle Finanze, prospettando l'erroneità della stessa decisione che non avrebbe considerato come le risultanze indizianti fossero chiare ai fini dell'applicabilità del primo comma, lett. a) dell'art. 257 quater del regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (profilo ostativo derivante dall'esercizio dell'attività di vigilanza in assenza della prescritta autorizzazione). 3.1. Secondo le stesse Amministrazioni, sarebbe stata comunque valutata la nota del Commissariato di -OMISSIS- --OMISSIS- relativa all'assenza di interposizione di persona, dando prevalenza agli accertamenti effettuati dalla Compagnia della Guardia di Finanza di Capua. 3.2. Inoltre, all'esito dell'ordinanza cautelare del Tar n. -OMISSIS-, la Prefettura aveva disposto il riesame dell'atto impugnato, richiedendo ulteriori e dettagliati elementi sia al Comando Compagnia Guardia di Finanza di -OMISSIS-che alla Questura di Caserta (con nota del 25 gennaio 2022, il Comando Compagnia Guardia di Finanza di -OMISSIS-comunicava di non disporre di ulteriori e dettagliati elementi di merito in relazione agli accertamenti già svolti. La Questura di Caserta, invece, con nota del 7 febbraio 2022, aveva trasmesso la comunicazione del Commissariato di -OMISSIS- --OMISSIS- del 3 febbraio 2022, che aveva acquisito copia delle fatture elettroniche relative al pagamento dell'affitto dell'immobile dal mese di luglio 2021 al mese di gennaio 2022, nonché copia delle fatture inerenti alla blindatura delle finestre e della porta, tutte intestate alla società -OMISSIS- ed aveva riferito che null'altro era stato possibile accertare in merito ad eventuali sovrapposizioni o meno di altre persone). 3.3. Infine, parte appellante ha dedotto l'ampio grado di discrezionalità nel procedimento di valutazione dei requisiti prescritti. 4. La società -OMISSIS- si è costituita in giudizio il 23 settembre 2022, chiedendo il rigetto dell'appello, ed ha depositato una memoria il 7 ottobre 2022, documenti il 7 novembre 2022 ed un'ulteriore memoria il 13 gennaio 2023 con la quale ha anche prospettato l'improcedibilità del ricorso. 5. Con ordinanza cautelare n. 4961 del 17 ottobre 2022 questa Sezione ha respinto l'istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, presentata contestualmente al ricorso con la seguente motivazione: "Rilevato che l'effetto conformativo della sentenza appellata non comporta il necessario accoglimento dell'istanza di autorizzazione presentata dall'originaria ricorrente, ma unicamente il dovere di rideterminarsi su di essa; Ritenuto pertanto di non poter accogliere l'appello stante la mancata allegazione di un danno grave ed irreparabile". 6. La causa è stata trattenuta in decisione nell'udienza pubblica del 16 febbraio 2023. 7. L'appello non è fondato. 8. Preliminarmente, va rilevato che l'Amministrazione ha successivamente rilasciato l'autorizzazione richiesta ex art. 134 T.U.L.P.S. con provvedimento prot. n. 136723/16A del 4 novembre 2022. Per questa ragione, l'appellata ha dedotto l'improcedibilità del ricorso. 8. In ogni caso, a prescindere da tale eccezione (l'autorizzazione è stata rilasciata con espressa riserva dell'esito del presente appello) ed anche da quella formulata, sempre dalla parte appellata, in ordine alla genericità dei motivi di appello, va rilevato che le ragioni addotte per il diniego dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività di vigilanza sembrano effettivamente non idonee a consolidare la prova dell'interposizione fittizia di persona che l'Amministrazione ha ritenuto sussistere nella specie. 8.1. Le contrastanti ed incomplete conclusioni istruttorie (cfr. pareri del Commissariato di -OMISSIS- --OMISSIS- e della Guardia di Finanza) inducono a non ritenere comprovata in via di fatto la pur ampia nozione di pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica sottesa all'applicazione dell'art. 257 quater del R.D. n. 635/1940. 8.3. Seppure ampiamente discrezionale, la valutazione dell'autorizzazione ex art. 134 TULPS deve comunque avvenire, sia sotto il profilo motivazionale che della coerenza logica e della ragionevolezza, all'esito di un'adeguata istruttoria. 9. In aggiunta, può rilevarsi anche come sia sintomatica la condotta della stessa Amministrazione, che non ha proceduto al riesame della res controversa ordinato dal Tar in sede cautelare, rilasciando invece il titolo salvo l'esito dell'appello. 10. Per le ragioni sopra esposte, l'appello va respinto e, per l'effetto, va confermata la sentenza impugnata. 11. Sussistono, in relazione alla natura della controversia, giusti motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello (n. 7321/2022), come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Nicola D'Angelo - Consigliere, Estensore Raffaello Sestini - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Fabrizio Di Rubbo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5196 del 2019, proposto dalla Mi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Za., con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia; contro Gs. - Ge. dei se. en. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Pu. e Fa. Ga., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Ro., via (...) e con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia; nei confronti l'Arera - Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (già Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico), in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; la Ce. Fi. Mo. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sezione terza ter, n. 4516/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visto l'atto di costituzione in giudizio del Gse - Ge. dei se. en.; visti tutti gli atti della causa; relatore, nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2022, il consigliere Francesco Frigida e uditi per le parti gli avvocati Romina Zanvettor e Fabio Garella; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'odierna società appellante ha proposto il ricorso di primo grado n. 8606 del 2014 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, avverso il provvedimento del Gestore dei servizi energetici prot. n. (...) del 7 aprile 2014, avente a oggetto «comunicazione dell'esito finale della richiesta di concessione della tariffa incentivante, ai sensi del DM 5 luglio 2012. per l'impianto Fotovoltaico denominato (...). di potenza pari a 154.4950 kW ubicato in (...) (...) Comune di NO. (RE) località NO. identificato con il numero (...), Soggetto Responsabile MI. SRL», con cui il Gse le ha comunicato che «la documentazione pervenuta unitamente alla richiesta di ammissione alle tariffe incentivanti in data 09/09/2013, non può essere accolta al fine del riconoscimento delle tariffe incentivanti ai sensi del DM 5 Luglio», nonché, in parte qua, avverso le «Regole Applicative per l'iscrizione ai registri e per l'accesso alle tariffe incentivanti DM 5 luglio 2012 (Quinto Conto Energia)», pubblicate dal GSE sul proprio sito internet in data 7 agosto 2012, laddove prevedono nuove ipotesi di decadenza/esclusione dai registri, ovvero di diniego di tariffa incentivante e, in particolare, all'art. 2.5, e anche avverso il bando pubblico per l'iscrizione al secondo registro degli impianti fotovoltaici di cui al d.m. 5 luglio 2012, pubblicato sul sito del Gse in data 18 marzo 2013; l'interessata ha chiesto altresì il risarcimento dei danni. 1.1. Il Gestore dei servizi energetici si è costituito nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso; si è costituita inoltre l'allora Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico (oggi Arera), mentre non si è costituita un'altra società evocata. 2. Con l'impugnata sentenza n. 4516 dell'8 aprile 2019, il T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, sezione terza ter, ha respinto il ricorso e ha condannato la ricorrente al pagamento, in favore del Gestore, delle spese processuali, liquidate in euro 3.000, oltre agli accessori di legge. 3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato - rispettivamente in data 7 giugno 2019 e in data 18 giugno 2019 - la società interessata ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando sei motivi. 4. Il Gestore dei servizi energetici si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame. 5. L'Arera - Autorità di regolazione per energia reti e ambiente e altro soggetto privato societario, pur ritualmente evocati, non si sono costituiti in giudizio. 6. In vista dell'udienza di discussione tanto l'appellante quanto il Gestore dei servizi energetici hanno depositato memoria e memoria di replica, con cui hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi e hanno insistito sulle proprie posizioni. 7. La causa è stata trattenuta in decisione all'udienza pubblica dell'8 novembre 2022. 8. L'appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto. 9. Tramite il primo motivo d'impugnazione l'appellante ha lamentato «Error in iudicando - Violazione e falsa applicazione di legge: violazione degli artt. 3, comma 2, 4, commi 2, 5, 6, 8, 13 e art. 20 del D.M. 5 luglio 2012; degli artt. 2.1. e 4.7 delle Regole Applicative del GSE; dell'art. 23, comma 3 del D.lgs n. 28/2011 e dell'art. 71 e 76 del D.P.R. 445/2000. Incompetenza del GSE. Eccesso di potere sviamento. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di diritto e di fatto del D.M. 5 luglio 2012. Difetto di motivazione. Irragionevolezza». Dunque l'interessata ha impugnato il capo della sentenza che ha confermato l'applicabilità della tabella 1 del decreto che impone la misurazione in kwh/m3 per gli edifici non residenziali, deducendo in sintesi che «il Decreto e le Regole Applicative del GSE giammai hanno rimandato alle previsioni e ai criteri di calcolo della tabella 1 di cui al D.M. 26 giugno 2009», che «il Decreto ha espressamente rimesso alle Regole Applicative del GSE (E NON AD ALTRA NORMATIVA, quale il contenuto dei paragrafi 3 e 7.3 dell'Allegato A al D.M. 26 giugno 2009!) la definizione delle modalità per la determinazione della classe energetica degli edifici (rilevante ai fini della graduatoria)» e che «secondo i criteri di calcolo testualmente specificati nelle stesse Regole Applicative, gli algoritmi da applicarsi nel caso di specie, ai fini dell'interpolazione, erano quelli contenuti nella tabella 3 e non, così come ha lasciato erroneamente intendere il TAR nella sentenza che qui si impugna, quelli riportati nella tabella 1 del D.M. 26 giugno 2009». Siffatta censura è infondata. Le tesi dell'appellante contrasta con la citata normativa di riferimento, che univocamente impone agli edifici non residenziali (come quello in esame) la misurazione degli indici di prestazione energetica in kwh/m3. Sul punto si precisa che le norme poste dal Gestore alla base del diniego sono recate dal decreto del Ministero dello sviluppo economico 26 giugno 2009 in tema di regolamentazione generale della certificazione energetica degli edifici. Dette disposizioni erano quindi vigenti al momento della presentazione della domanda incentivante (nel 2013). Ciò posto, agli edifici non residenziali è applicabile soltanto la tabella 1, in quanto il d.m. 26 giugno 2009, nei paragrafi 3 e 7.3, fa espressamente riferimento alla differenza tra edifici residenziali e edifici non residenziali, specificando che per i primi gli indici di prestazione energetica sono espressi in kWh/mq, mentre per i secondi i medesimi indici sono espressi in kWh/mc, cosicché per individuare la classe energetica degli edifici non residenziali (come quello oggetto di causa), si devono utilizzare i parametri e le tabelle che consentono una misurazione in kWh/mc e l'unica delle tre Tabelle contenute nell'allegato 4 (par. 7.2) al d.m. 26 giugno 2009 che può essere utilizzata indifferentemente per edifici residenziali o non residenziali è la Tabella 1, essendo l'unica priva di costante dimensionale (né kWh/mc anno, né kWh/mq anno), riferendosi invece le tabelle 2 e 3 a kWh/mq anno, grandezza riferibile in base alla normativa in esame solo agli edifici residenziali (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 17 aprile 2019, n. 2502). Pertanto, a differenza di quanto sostenuto dall'appellante, la tabella 3 del d.m. 26 giugno 2009 non è applicabile agli edifici non residenziali. È altresì inconferente il richiamo alla normativa adottata dalla regione Emilia-Romagna che asseritamente escluderebbe l'applicazione del d.m. 29 giugno 2009, siccome qualora l'attestato di certificazione energetica venga redatto sulla base di norme regionali (nel caso di specie le linee guida della Regione Emilia-Romagna), l'identificazione della classe energetica globale dell'edificio si effettuata secondo il sistema di classificazione nazionale previsto dal paragrafo 7.2. dell'allegato 4 al d.m. 26 giugno 2009. 10. Mediante la seconda doglianza la società interessata ha dedotto «Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione di legge: violazione degli artt. 3, comma 2, 4, comma 2, 5, 6, 8, 13 e art. 20 del D.M. 5 luglio 2012; degli artt. 2.1. e 4.7 delle Regole Applicative del GSE; dell'art. 23, comma 3 del D.lgs n. 28/2011 e dell'art. 71 e 76 del D.P.R. 445/2000. Incompetenza del GSE. Eccesso di potere sviamento. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di diritto e di fatto del D.M. 5 luglio 2012. Difetto di motivazione. Irragionevolezza. Illogicità, difetto ed erroneità dei presupposti. Ingiustizia manifesta e disparità di trattamento». Segnatamente la società contesta il capo della sentenza con cui il T.a.r. ha confermato la legittimità dell'esclusione dalle tariffe incentivanti per la mancanza di adeguata certificazione di classe energetica, sostenendo che il possesso di adeguata certificazione energetica sarebbe un criterio di priorità e non un requisito di partecipazione al bando o di ammissione all'incentivo, con la conseguenza che il Gestore non potrebbe negare l'incentivo. Tale motivo è infondato. Il sistema di incentivazione dell'energia, invero, è basato sul principio di autoresponsabilità, che impone all'interessato l'onere di fornire tutti gli elementi idonei a dar prova della sussistenza delle condizioni per l'ammissione ai benefici, con conseguente valenza preclusiva delle eventuali carenze che incidano sul perfezionamento della fattispecie agevolativa. Ne discende che la produzione di documentazione non conforme, lungi dal configurare una violazione meramente formale, integra una violazione rilevante, che osta all'erogazione degli incentivi, impedendo, infatti, al Gestore di riscontrare la presenza dei requisiti indispensabili per il riconoscimento del beneficio, a prescindere dal dolo o la colpa della società interessata ed escludendosi la possibilità di soccorso istruttorio in relazione a procedure di massa scandite da termini perentori (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 12 gennaio 2017, n. 50). Né, come si vedrà diffusamente al punto 11, ha alcuna rilevanza la circostanza che la dichiarazione non veritiera si sia rivelata in concreto innocua o priva di effettivi vantaggi concreti, poiché la normativa di riferimento, ispirata ad un rigore giustificato dalla peculiare materia (si tratta di incentivi pubblici di rilevante entità che comportano l'esborso di risorse finanziarie pubbliche per loro natura limitate), pone particolare enfasi sulle difformità circa le informazioni rilevanti ai fini della ammissione al beneficio (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 12 dicembre 2019, n. 8442). Atteso che l'interessata ha dichiarato che l'impianto era installato su un edificio dotato di un attestato di certificazione energetica in classe "C", anziché di classe "E", come emerso in sede di istruttoria, il provvedimento adottato dal Gestore si configura di conseguenza come atto dovuto in conseguenza di una non veritiera e/o errata dichiarazione resa dal soggetto responsabile sia in sede di domanda di iscrizione al primo registro che nella domanda di accesso agli incentivi, considerato che la dichiarazione del possesso di un requisito che in realtà non è posseduto integra l'ipotesi di decadenza per dichiarazioni non veritiere, che rilevano sotto un profilo oggettivo (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 28 giugno 2016, n. 2847). In detto contesto non residua in capo al Gestore alcun margine di discrezionalità, non potendosi quindi predicare alcuna violazione del principio di proporzionalità, la quale è da escludere pure in ragione del fatto che il provvedimento di decadenza, come si illustrerà al punto 12, è privo di alcuna connotazione sanzionatoria (cfr. Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 11 settembre 2020, n. 18). Anche la mancata formazione della graduatoria da parte del Gestore è elemento del tutto irrilevante, in quanto la non veridicità delle dichiarazioni rese dal soggetto responsabile inficia in radice la complessiva domanda di ammissione ai benefici. Va inoltre precisato che il provvedimento adottato dal Gestore dei servizi energetici non è manifestazione di potere di autotutela, ma è espressione di un suo potere di verifica, accertamento e controllo, sicché esso «è privo di spazi di discrezionalità ed ha, al contrario, natura doverosa ed esito vincolato; esso, inoltre, non è volto al riesame della legittimità di una precedente decisione amministrativa di spessore provvedimentale, bensì al controllo circa la veridicità delle dichiarazioni formulate da un privato nell'ambito di una procedura volta ad attribuire sovvenzioni pubbliche: esulano quindi, in radice, le caratteristiche proprie degli atti di secondo grado e, conseguentemente, non è applicabile l'art. 21-nonies, della legge n. 241 del 1990» (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 15 ottobre 2020, n. 6241; nello stesso senso Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza n. 8442/2019 cit.). 11. Attraverso la terza censura l'appellante ha lamentato «Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione di legge: violazione degli artt. 3, comma 2, 4, comma 2, 5, 6, 8, 13 e art. 20 del D.M. 5 luglio 2012; degli artt. 2.1., 2.5 e 4.7 delle Regole Applicative del GSE; dell'art. 23, comma 3 del D.lgs n. 28/2011 e dell'art. 71 e 76 del D.P.R. 445/2000. Incompetenza del GSE. Eccesso di potere sviamento. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di diritto e di fatto del D.M. 5 luglio 2012. Difetto di motivazione. Irragionevolezza». In particolare la parte privata ha sostenuto l'erroneità del capo della sentenza gravata con cui il T.a.r. ha confermato la sussistenza della presentazione di dichiarazioni non veritiere da parte della società interessata in sede di domanda incentivante, non riscontrandosi asseritamente alcuna violazione del d.P.R. n. 445/2000. Detto motivo è infondato, poiché la prospettazione dell'appellante è oggettivamente smentita per tabulas, avendo la società dichiarato il possesso di un attestato di certificazione energetica di classe "C", anziché di classe "E", come successivamente emerso in sede istruttoria. In proposito si osserva che la mera dichiarazione del possesso di un requisito di priorità che in realtà non è posseduto, a prescindere da qualsivoglia indagine sul coefficiente psicologico, che in questo ambito è del tutto irrilevante, integra l'ipotesi di decadenza per dichiarazioni non veritiere. Come già precedentemente evidenziato la potestà di cui trattasi non ha connotazioni sanzionatorie, trattandosi invece di un atto vincolato di decadenza accertativa dell'assodata mancanza dei requisiti oggettivi condizionanti ab origine l'ammissione all'incentivo pubblico (cfr. Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza n. 18/2020 cit. e Consiglio di Stato, sezione IV, n. 50/2017 cit.). Tutto il meccanismo di riconoscimento degli incentivi postula, infatti, una corretta autodichiarazione da parte degli interessati dei requisiti tecnici necessari per ottenere il beneficio richiesto, in quanto, qualora si consentisse l'uso in materia di criteri difformi da quanto stabilito dal Gestore, la possibilità di abusi aumenterebbe fino a pregiudicare l'esistenza del sistema. La non corrispondenza al vero dei dati dichiarati ha di per sé rilievo decadenziale dai benefici, giacché in un sistema basato sulle autodichiarazioni la funzionalità delle operazioni, le esigenze di celerità procedimentale e di parità di trattamento, nonché il principio di autoresponsabilità impongono un onere di veritiera dichiarazione di tutti i dati in possesso dell'interessato (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 4 luglio 2022, n. 5576). Pertanto, una volta verificata la presentazione di dati non veritieri, si imponeva la decadenza dal diritto agli incentivi: il provvedimento del Gestore è dunque legittimo e doveroso. L'appellante, in sede di memoria, ha richiamato una sentenza del Consiglio di Stato (sezione II, 22 luglio 2022, n. 6455), nonché una sentenza del T.a.r. per il Lazio (sezione III stralcio, 19 gennaio 2022, n. 624), che hanno valorizzato entro certi limiti il cosiddetto "falso innocuo" nel caso di dichiarazioni di un criterio di priorità poi accertato non sussistente, nelle ipotesi in cui il Gestore non approvi alcuna graduatoria finale. Cionondimeno il Collegio non intende discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui «nelle procedure evidenziali il c.d. falso innocuo è istituto insussistente atteso che, nelle procedure di evidenza pubblica, la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire perché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell'amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine all'ammissione dell'operatore economico alla selezione; pertanto, una dichiarazione che è inaffidabile perché, al di là dell'elemento soggettivo sottostante, è falsa o incompleta, deve ritenersi già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l'impresa meriti sostanzialmente di partecipare» (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 7 luglio 2016 n. 3014; Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezione giurisdizionale, sentenza n. 710 del 2013; Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 3397 del 2013). Va sottolineato, infatti, che «L'intero sistema della disciplina delle procedure di evidenza pubblica poggia sulla presentazione, da parte delle imprese concorrenti, di dichiarazioni sostitutive che le vincolano in base all'elementare principio dell'autoresponsabilità e che devono essere rese con diligenza e veridicità» (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 1° dicembre 2014, n. 5928) e che «Tale principio, ancorché affermato relativamente ai procedimenti a evidenza pubblica, può trovare applicazione anche nel caso dell'ammissione a incentivi, non solo perché anche a tali fattispecie è riferibile la ratio che ispira il principio, ma anche perché, diversamente opinando, l'amministrazione sarebbe tenuta, pur a fronte di dati non veritieri perché non rispondenti ai requisiti, a procedere a un'autonoma verifica, caso per caso, dei requisiti sostanziali per l'ammissione al beneficio. Il che, ancora una volta, vanifica la logica stessa dell'autoresponsabilità. Tanto precisato, non può assumere alcun rilievo né la "inoffensività" della inautenticità di taluni certificati di conformità, né l'assenza di consapevolezza di ciò da parte del soggetto presentatore della domanda di ammissione alle agevolazioni, né la diversa determinazione eventualmente assunta da Gestore in casi analoghi» (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 13 dicembre 2017, n. 5869). 12. Con la quarta doglianza l'appellante ha lamentato «Error in iudicando. Carenza di motivazione. Violazione e falsa applicazione di legge: violazione dell'art. 10-bis della L. 241/1990 e del diritto di partecipazione al procedimento. Eccesso di potere sotto ulteriori profili: carenza e difetto di motivazione, illogicità, difetto, travisamento, irragionevolezza», asserendo la sussistenza di una violazione delle garanzie partecipative, per non aver il Gestore considerato le osservazioni inviate dall'interessata a seguito del preavviso di rigetto. Tale censura è infondata, poiché, da un lato, il Gestore ha adottato il provvedimento finale dopo aver esaminato le deduzioni inoltrate dalla società in sede procedimentale, reputandole non in grado di superare le criticità già accertate e, dall'altro, l'ipotetica mancata valutazione delle osservazioni non sarebbe in astratto idonea a cagionare l'illegittimità del provvedimento, in quanto l'art. 10-bis della legge n. 241/1990 non impone la puntale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dalla parte privata, essendo sufficiente ai fini della sua giustificazione una motivazione logicamente e complessivamente resa a suo sostegno (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 4 ottobre 2022, n. 8488; Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 20 ottobre 2021, n. 7054; Consiglio di Stato, sezione II, sentenza 10 maggio 2021, n. 3683). 13. Mediante il quinto motivo l'interessata ha dedotto «Error in iudicando: Carenza di motivazione. Ingiustizia manifesta e disparità di trattamento. Insufficiente motivazione. Violazione del principio del legittimo affidamento e di certezza del diritto e delle posizioni giuridiche consolidate», sostenendo in sintesi di aver subito una lesione del proprio affidamento, siccome, con l'entrata in funzione del proprio impianto fotovoltaico, successiva all'iscrizione in graduatoria nel secondo registro, essa avrebbe maturato definitivamente il diritto a ottenere l'incentivo. Detta contestazione è infondata, in quanto il paragrafo 2.2 delle regole applicative prevede che «L'invio della richiesta di iscrizione al Registro da parte del Soggetto Responsabile implica l'integrale conoscenza e accettazione delle presenti regole, del bando e di ogni altro atto richiamato e/o presupposto», sicché non vi è alcun legittimo affidamento invocabile dall'operatore economico (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 4 marzo 2019, n. 1459, 21 gennaio 2019, n. 508 e n. 5869/2017 cit.), il quale aveva l'onere di conoscere le chiare regole della procedura e segnatamente avrebbe potuto e dovuto comprendere le conseguenze derivanti dalle dichiarazioni non veritiere rese in sede di accesso agli incentivi. 14. Con il sesto motivo l'appellante ha reiterato la domanda di risarcimento dei danni, respinta dal T.a.r. «per assenza di danno ingiusto ex art. 2.043 c.c.». Detta doglianza è infondata, atteso che anche in questa sede è stata riconosciuta la legittimità dell'azione del Gestore, sicché difetta in radice della condotta illecita, indefettibile presupposto della domanda risarcitoria, che, pertanto, va respinta. 15. In conclusione l'appello va respinto. 16. La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione tra le parti delle spese processuali del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 5196 del 2019, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa tra le parti le spese processuali del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2022, con l'intervento dei magistrati: Oberdan Forlenza - Presidente Francesco Frigida - Consigliere, Estensore Carla Ciuffetti - Consigliere Francesco Guarracino - Consigliere Maria Stella Boscarino - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6873 del 2017, proposto da Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Cr. Sa., domiciliato presso la Consiglio Di Stato Segreteria in Roma, piazza (...); per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Prima n. 00568/2017. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2023 il Cons. Oreste Mario Caputo; nessuno è comparso per le parti costituite; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Il Ministero dello Sviluppo Economico appella la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Prima n. 00568/2017 d'accoglimento del ricorso proposto dal Comune di (omissis) avverso il decreto di revoca del contributo di Euro 74.800,00 concessogli per l'acquisto d'impianto fotovoltaico da installare sulla copertura della scuola elementare. La revoca del Ministero dello Sviluppo Economico (d'ora in poi Ministero) è stata disposta sul rilievo che, nel selezionare le imprese per la realizzazione dell'opera, il Comune "ha omesso di verificare il possesso, da parte delle imprese partecipanti alla gara, delle qualifiche aggiuntive da essa specificamente richieste a comprova dei requisiti di natura tecnico-professionale". 2. Il Tar, con sentenza resa in forma immediata, ha colto il ricorso. Contrariamente a quanto ritenuto dal Ministero, il Comune, secondo i giudici di prime cure, non sarebbe incorso nell'affidamento dell'appalto in alcuna delle ipotesi integrante la "grave violazione" che ai sensi dell'art. 11 dell'Avviso pubblico - denominato "CSE 2014 - Comuni per la Sostenibilità e l'Efficienza energetica - comporta la revoca del contributo. 3. Appella la sentenza il Ministero dello Sviluppo Economico. Resiste il Comune di (omissis). 4. All'udienza pubblica del 4 aprile 2023 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 5. Con unico articolato motivo d'appello, il Ministero lamenta l'errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nel ritenere che la violazione contestata al Comune non costituisca "grave violazione" che ai sensi dell'art. 11 dell'Avviso pubblico - ossia della normativa disciplinate l'erogazione del contributo - comporta la revoca della provvidenza economica per la realizzazione di interventi di efficientamento energetico e/o produzione di energia da fonti rinnovabili. A riguardo, il Ministero sottolinea che nei "criteri di qualificazione aggiuntivi" dell'appalto, il Comune ha espressamente stabilito che "le ditte partecipanti dovranno essere in possesso delle seguenti qualifiche aggiuntive, a comprava dei requisiti di natura tecnica professionale, ritenuti necessari per lo svolgimento delle attività : - Possesso di certificazione del sistema di qualità della serie europea ISO 9001:2000 nei settori costruzione e progettazione; - Qualifica di operatore ESCo, che ha effettuato interventi di efficientamento energetico". Ciononostante, denuncia il Ministero, il Comune ha affidato l'appalto senza verificare il possesso in capo all'aggiudicatario della qualifica di operatore Esco" e della certificazione del sistema di qualità della serie europea ISO 9001:2000 nei settori costruzione e progettazione. Sicché la stazione appaltante, violando la lex specialis alla quale s'era autovincolata, sarebbe incorsa nella violazione dell'art. 62, comma 5, d.l.vo 163/2006 - a mente del quale "le stazioni appaltanti non possono invitare ... candidati che non hanno i requisiti richiesti" - qualificabile come "grave violazione" che giustifica ipso facto, ai sensi dell'art. 11dell'Avviso pubblico, la revoca del contributo. 6. L'appello è infondato. 6.1 Prima d'affrontare in dettaglio il motivo d'appello, va precisato che la revoca del contributo, per come concretamente disciplinata dalla fonte normativa che regola la contribuzione, va qualificata come misura sanzionatoria, volta a disincentivare comportamenti illegali in grado di frustrare le finalità perseguite con l'elargizione dei benefici economici in favore delle amministrazioni locali. In quanto sanzione, la revoca (recte:decadenza) obbedisce ai principi di legalità sostanziale e tipicità, strettamente intesi, senza possibilità alcuna d'estendere in via ermeneutica le fattispecie astratte che attribuiscono all'amministrazione il potere di revoca. 6.2 In senso paradigmatico, l'art. 11 dell'Avviso Pubblico, dopo aver elencato in via tassonomica singole ipotesi astratte di revoca del contributo ricevuto - per inciso, nessuna delle quali applicabili al caso in esame -, prevede, con disposizione c.d di chiusura, la revoca per grave violazione di quanto previsto dal presente avviso "dalle disposizioni della normativa rilevante al cui rispetto il beneficiario sia tenuto in sede di affidamento, stipulazione e attuazione dei contratti rilevanti, nonché dalla normativa sull'ammissibilità, rendicontazione e certificazione delle spese." Senonché la stessa norma ha cura di precisare che per "grave violazione" si intende "qualsiasi atto, fatto e/o omissione, da parte del beneficiario, che abbia per effetto, ancorché indirettamente, la mancata rispondenza dell'intervento, sia esso in fieri che già ultimato, agli obiettivi, alle finalità e alle caratteristiche principali che ne avevano determinato l'ammissione al contributo". 6.3 Vale a dire che per revocare il contributo non è sufficiente aver accertato l'avvenuta violazione della lex specialis di gara, essendo necessario verificare, altresì, che siano stati pregiudicati gli obiettivi e le finalità perseguiti con la corresponsione del contributo. Verifica che, nel caso in esame, l'amministrazione appellante non ha compiuto. 6.4 In definitiva la violazione contestata al Comune di (omissis) non è stata preceduta dalla verifica della mancata rispondenza dell'intervento alle finalità e alle caratteristiche principali che ne avevano determinato l'ammissione al contributo. È appena il caso di precisare che la violazione riscontrata dal Ministero, ancorché non comportante la revoca del contributo, è comunque passibile delle conseguenze di legge previste a carico dei responsabili. 7. Conclusivamente, l'appello deve essere respinto. 8. Sussistono giustificati motivi per compensare le spese del grado di giudizio individuabili nella condotta del Comune non rispettosa della disciplina d'evidenza pubblica. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Giordano Lamberti - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7353 del 2018, proposto da Vi. Ob., rappresentata e difesa dagli avvocati Mi. Re. D'A. e Ha. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Mi. Re. D'A. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa avvocati Al. Ro., Ju. Se., Lu. Pl. e Lu. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Gr. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del T.R.G.A. - Sezione Autonoma di Bolzano, n. 186/2018, resa tra le parti, per l'annullamento dei seguenti atti: 1) provvedimento del Comune di (omissis) dd. 10/01/2017, prot. n. 175 avente ad oggetto pratica edilizia n. 2016-119: rigetto della domanda di concessione edilizia riguardante la riqualificazione energetica secondo lo standard casa clima "A" con demolizione e ricostruzione con ampliamento del 20% della casa situata sulla p.ed. (omissis) (omissis); 2) del relativo parere della commissione edilizia di data 14.11.2016, anche se non integralmente conosciuto; 3) nota della Provincia Autonoma di Bolzano, Ufficio Tutela del Paesaggio di data 12.09.2016; 4) nota della Provincia Autonoma di Bolzano, Ufficio Tutela del Paesaggio, prot. n. 24136 di data 14.01.2014; 5) deliberazione della Giunta Provinciale n. 1429 del 20.12.2016, in parte qua, avente ad oggetto Come di (omissis) - Esposto ai sensi dell'art. 105 della legge urbanistica provinciale (legge provinciale del 11/08/1997, n. 13) presentato dai sig.ri Co. An. e Co. Fr. in data 18.02.2016; 6) ogni altro atto relativo non conosciuto presupposto, prodromico, infraprocedimentale, consequenziale o comunque connesso, anche non richiamato. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Bolzano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2023 il Cons. Thomas Mathà e uditi per le parti gli avvocati Mi. Re. D'A. e Lu. Gr.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza in epigrafe, il T.r.g.a. - Sezione autonoma di Bolzano respingeva il ricorso n. 50 del 2017 (integrato da motivi aggiunti), proposto dalla società agricola Ma. Zi. di Ko. Fr. & Co. S.a.s. (dante causa dell'odierna appellante) avverso una serie di provvedimenti del 2016 e 2017 riguardanti l'ampliamento e la riqualificazione energetica di un edificio di civile abitazione sulla p.ed. (omissis) C.C. (omissis), costruito in base alle concessioni edilizie n. 54/91 del 17.12.1991 e n. 54/91/B del 11.5.1993. 2. E' necessario premettere che per il medesimo edificio, la Società Ma. Zi. già nel mese di dicembre 2014 aveva chiesto al Comune di (omissis) il rilascio di una concessione edilizia per realizzarvi lavori di risanamento energetico e di ampliamento, attraverso la demolizione e ricostruzione e l'utilizzo del bonus di cubatura riconosciuto dalla disciplina urbanistica provinciale per incentivare il risparmio energetico (nella misura di 20% della volumetria esistente ai sensi dell'art. 127, comma 3, l. prov. 11 agosto 1997, n. 13 (l. urb. prov.), e del punto 11.3 della deliberazione attuativa n. 362/2013 della Giunta provinciale). 3. Ma tale procedimento veniva interrotto nel febbraio del 2016, in quanto i controinteressati An. e Fr. Co. avevano proposto un ricorso al Collegio per la tutela del paesaggio avverso l'autorizzazione paesaggistica del Vice Direttore della Ripartizione Natura, paesaggio e sviluppo del territorio del 18.3.2015 e la nota dell'Ufficio Tutela del paesaggio del 14 gennaio 2016, concernenti tale primo progetto. Il Collegio adito dichiarava la propria incompetenza e trasmetteva il fascicolo all'Ufficio amministrativo del Paesaggio e sviluppo del territorio per l'esame da parte della Giunta provinciale (previsto dall'art. 105 della l.u.p.). La Giunta provinciale, con delibera 20.12.2016 dichiarava l'improcedibilità del ricorso in quanto, medio tempore, l'autorizzazione paesaggistica del marzo 2015 e la nota dell'Ufficio Tutela del paesaggio del gennaio 2016 erano stati annullati in autotutela dal dirigente della Ripartizione Natura, paesaggio e sviluppo del territorio il 12.9.2016. 4. La Società Agricola ad ottobre del 2016 aveva presentato un secondo progetto per il medesimo fine, e acquisito il parere negativo della Commissione Edilizia Comunale del 14.11.2016. Il Comune comunicava all'istante i motivi ostativi all'accoglimento con nota 14.11.2016 che rilevavano l'insufficiente cubatura esistente per poter beneficiare del bonus e l'insussistenza dei requisiti per l'ampliamento, trovandosi l'edificio progettato parzialmente in zona di verde alpino (ove l'ampliamento non è consentito dalla l.u.p.). Seguivano controdeduzioni della Società agricola del 16.12.2016 che spiegavano l'esistenza di un volume fuori terra di 322,92 m3 e che il progetto verrà realizzato non nella zona identificata come verde alpino, ma come verde agricolo. 5. Il Comune, dopo il riesame (negativo) dell'istanza alla luce delle osservazioni della Società agricola nella commissione edilizia del 9.1.2017 (che si poggiava, per quanto riguarda il requisito volumetrico della nota dell'Ufficio provinciale Tutela Paesaggio del 12.9.2016, e per quanto concerne l'individuazione della zona edificanda della nota dell'Ufficio provinciale Tutela paesaggistica del 14.1.2014), respingeva la richiesta con nota del 10.1.2017. 6. Seguiva poi anche la reiezione del primo progetto con provvedimento del 28.2.2017. 7. La Società agricola impugnava i provvedimenti del Comune e quelli interlocutori della Provincia dinanzi al TRGA, sezione autonoma di Bolzano, che provvedeva come segue: (i) respingeva il primo motivo del ricorso introduttivo di primo grado - con cui era stata dedotta la violazione dell'art. 127, comma 3 l.u.p. e della deliberazione della giunta provinciale n. 964/2014 in merito al calcolo della cubatura per poter beneficiare del bonus energetico - e chiariva che il concetto di "cubatura esistente" non poteva includere il concetto di "cubatura ammissibile" se non per edifici nuovi, ma non per casi di demo-ricostruzione; (ii) respingeva la seconda censura dedotta - secondo cui l'Amministrazione non avrebbe tenuto sufficientemente conto nella motivazione del provvedimento finale delle controdeduzioni spese in seguito alla comunicazione dei motivi ostativi e non avrebbe compiuta un'autonoma istruttoria -, rilevando che il provvedimento era sufficientemente motivato e non era presente il difetto d'istruttoria; (iii) respingeva il terzo ed il quarto motivo - con i quali erano stati censurati il motivo di diniego del rilascio della concessione edilizia per la posizione dell'edificio nel verde alpino -, ritenendo infondata la tesi della società ricorrente, secondo cui ai sensi dell'art. 127 co. 3 l.u.p. tutti gli edifici possono ampliarsi nell'ambito della riqualificazione energetica, e rilevando che comunque la p.ed. (omissis) del C.C. (omissis) si troverebbe in zona di verde agricolo (dato che non era neanche stato fornito un valido elemento di prova riguardante tale ultima asserzione); (iv) respingeva anche il quinto motivo - vertente sull'incompetenza della Giunta provinciale in materia di esame e valutazione urbanistica delle domande volte al rilascio di concessioni edilizie, competenza che spetterebbe solo al Comune - ritenendo che la deliberazione n. 1429/2016 era una mera sollecitazione verso il Comune, in quanto espressione della competenza di direzione, vigilanza e controllo sull'attività urbanistica ed edilizia del Comune; (v) dichiarava infondate anche le doglianze contenute nei motivi aggiunti, in quanto contenevano le medesime censure di cui al ricorso introduttivo; (vi) condannava la ricorrente a rifondere all'Amministrazione Provinciale le spese di causa, mentre nulla era da distrarsi in favore al Comune, rimasto contumace nel giudizio. 8. Avverso tale sentenza interponeva appello con ricorso rubricato sub r.g. n. 7353/2018 la signora Vi. Ob., proprietaria dal 1.6.2018 della p.ed. (omissis) e della p.f. (omissis) in P.T. (omissis) del CC (omissis), già oggetto dei vari provvedimenti amministrativi impugnati, deducendo i motivi come di seguito rubricati: a) "1. Error in iudicando in punto di merito con riferimento al primo motivo d'impugnazione del procedimento di primo grado: Violazione dell'art. 127, comma 3, lup e della deliberazione della Giunta Provinciale n. 964/2014", dovendosi interpretare la nozione di cubatura ai sensi della delibera n. 964/2014 non in modo da considerarsi solo la cubatura originariamente (1993) approvata, ma con riferimento anche alle potenzialità edificatorie, da individuarsi con il metodo di calcolo al momento della demo-ricostruzione, ossia al momento del rilascio della nuova concessione edilizia che contiene lo sfruttamento del "bonus energia" nel 2016. L'appellante sostiene che il TRGA avrebbe interpretato erroneamente la norma, disattendendo il riferimento che il legislatore aveva fatto alla data del 12.1.2005. Si dovrebbe quindi procedere al (ri)calcolo della cubatura in base alle sopravvenute prescrizioni del PUC di (omissis) del 2003, che porterebbe la cubatura dell'edificio (calcolando ora anche sottotetto e seminterrato) a 322,92 m3. b) "Error in iudicando: violazione dell'art. 127, comma 3, lup e violazione della deliberazione della Giunta Provinciale - DGP - n. 964/2014 punto 2) nonché error in iudicando: Violazione del PUC di (omissis) - Eccesso di potere sotto vari aspetti e forme: sviamento di potere - difetto istruttorio - travisamento di fatti - difetto di motivazione, fatto valere anche sotto l'aspetto della violazione dell'art. 7, l.p. n. 17/1993", sotto il profilo che l'immobile individuato dalla p.ed. (omissis) C.C. (omissis) potrebbe in ogni modo ampliarsi anche nel verde alpino (deducendo l'omessa pronuncia del TRGA sul punto), non essendo escluso dal punto 1) della delibera della giunta provinciale n. 964/2014 l'ampliamento con il bonus energetico in sede di demolizione e ricostruzione di un edificio esistente nel verde alpino. A prosieguo l'appellante denuncia che il Comune si poggiava solamente su un parere della Provincia, ma la precisa destinazione urbanistica avrebbe dovuto essere rilevata oggettivamente attraverso l'esame degli strumenti urbanistici. Qualora, continua l'appellante, potessero residuare dei dubbi, stante la produzione in giudizio di documenti che avrebbero attestato che l'edificio è situato nel verde agricolo (e quindi sarebbe sementito l'assunto del TRGA sull'inesistenza di una valida prova), il primo Giudice avrebbe dovuto servirsi di una consulenza tecnica d'ufficio. L'appellante chiedeva pertanto la riforma dell'impugnata sentenza e l'accoglimento del ricorso di primo grado. 9. Si costituiva la Provincia Autonoma di Bolzano, contestando la fondatezza dell'avversario appello e chiedendone la reiezione. La difesa della Provincia ha inoltre eccepito l'inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto d'interesse, in quanto nel caso di specie non si sarebbe in presenza di una demolizione con ricostruzione fedele, bensì di una nuova costruzione, per cui non era ammesso derogare alle distanze indicate nel piano urbanistico. Il progetto del 2014 non avrebbe rispettato le distanze dalle zone confinanti, mentre il successivo progetto del 2016 non sarebbe stato trattato ed esaminato dall'Amministrazione provinciale e dalla Giunta provinciale. 10. All'udienza pubblica del 20 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 11. Si osserva nel merito che l'appello è infondato, potendo quindi per economicità processuale soprassedere all'eccezione di inammissibilità spiegata dall'amministrazione provinciale. 12.1 L'art. 127, comma 3, l.u.p. (ratione temporis vigente) disciplina "edifici già legalmente esistenti alla data del 12 gennaio 2005 o concessionati prima di tale data possono essere ampliati nell'ambito di una riqualificazione energetica in misura non superiore al 20 per cento della cubatura esistente. Sussistendo gli stessi presupposti edifici residenziali possono essere comunque ampliati fino a 200 metri cubi. Con delibera della Giunta provinciale sono stabiliti ulteriori presupposti e le direttive di applicazione." 12.2 Il punto 2 della delibera n. 964/2014, rubricato "BONUS PER EDIFICI NUOVI", prevede: "Nel caso di nuovi edifici la cubatura ammissibile può essere aumentata per un periodo di tempo limitato, in conformità alla tabella di seguito riportata. In tal caso l'intero edificio deve rispettare la classe CasaClima indicata: (...) Per "nuovo edificio" ai sensi delle presenti direttive si intende un edificio avente qualsiasi destinazione, costruito ex novo oppure completamente demolito e ricostruito. Nel caso di un nuovo edificio la base di calcolo per il bonus energia è costituita dalla cubatura ammissibile secondo le norme urbanistiche e gli strumenti di pianificazione vigenti. Nel caso di completa demo-ricostruzione, il presupposto per usufruire del bonus energia è la presenza di una cubatura minima fuori terra di 300 m³ legalmente esistente dal 12 gennaio 2005 e destinata già da tale data prevalentemente ad uso abitativo. Si può usufruire del bonus energia anche nel caso di ricostruzione in altra sede nel verde agricolo per motivi di pericolo ai sensi dell'articolo 107, comma 13/bis, lettera a), della legge urbanistica provinciale, qualora nel piano delle zone di pericolo sia documentata la sussistenza di un pericolo elevato o molto elevato nella sede originaria. Anche in questo caso è richiesta l'esistenza legale dal 12 gennaio 2005 di almeno 300 m³ di cubatura fuori terra destinata già da tale data prevalentemente ad uso abitativo. Nel caso di un nuovo edificio la base di calcolo per il bonus energia è costituita dalla cubatura ammissibile secondo le norme urbanistiche e gli strumenti di pianificazione vigenti. Nel caso di completa demo-ricostruzione, il presupposto per usufruire del bonus energia è la presenza di una cubatura minima fuori terra di 300 m³ legalmente esistente dal 12 gennaio 2005 e destinata già da tale data prevalentemente ad uso abitativo." 12.3 Il punto 3 della medesima delibera, rubricato "BONUS PER EDIFICI ESISTENTI", dispone: "Per "edificio esistente" ai sensi delle presenti direttive si intende un edificio legalmente esistente dal 12 gennaio 2005 ovvero concessionato prima di tale data. Presupposto per usufruire del bonus energia è l'esistenza di una cubatura minima di almeno 300 m³ fuori terra dal 12 gennaio 2005, destinata già da tale data prevalentemente ad uso abitativo. La base di calcolo per la cubatura esistente è costituita dalla cubatura comprovata ovvero approvata alla data di cui sopra secondo le norme urbanistiche e gli strumenti di pianificazione allora vigenti. La cubatura esistente utilizzata per il calcolo del bonus energia non deve superare la cubatura ammissibile secondo gli strumenti di pianificazione vigenti. Non si può usufruire del bonus energia in zone individuate come "bosco", "verde alpino", "zona produttiva con particolare destinazione" o "zona produttiva", fatto salvo quanto previsto per quest'ultima zona al punto 5) della presente delibera. La cubatura ammissibile per gli edifici esistenti può essere aumentata fino al 31 dicembre 2019 come segue: Qualora attraverso l'intervento edilizio si ottenga un miglioramento dell'efficienza energetica complessiva dell'intero edificio da una classe CasaClima inferiore ad almeno la classe CasaClima C, ovvero qualora con la certificazione CasaClima R si raggiunga un miglioramento dell'efficienza energetica dell'edificio, il bonus energia può corrispondere al 20% della cubatura esistente con la destinazione urbanistica "abitazione" ovvero "abitazione convenzionata" ed in ogni caso raggiungere 200 m³ . Nel verde agricolo il bonus non deve essere superiore a 200 m³ . Nel caso in cui sia demolita più del 50% della cubatura esistente, può essere applicata soltanto la disciplina di cui al punto 2 delle presenti direttive. Con la riqualificazione energetica l'altezza massima ammissibile prevista dallo strumento di pianificazione vigente può essere superata fino ad 1 metro. Nel caso di recupero ad uso abitativo di sottotetti legalmente esistenti non abitabili, questi ultimi possono essere alzati nella misura assolutamente necessaria per raggiungere l'abitabilità, anche se in tal modo si supera la misura del bonus energia. La cubatura aggiuntiva può essere utilizzata solamente per il sottotetto e l'altezza massima ammissibile prevista dallo strumento di pianificazione vigente può essere superata fino ad 1 metro." 13. Analizzato e premesso il tenore di queste disposizioni, si deve quindi trovare una risposta alla domanda se siano applicabili - per il calcolo della cubatura - i criteri indicati nelle norme di attuazione al piano urbanistico vigenti al momento del rilascio della concessione edilizia o quelli "attualmente" vigenti (al momento della richiesta del bonus energetico). 14. Ad avviso del collegio è evidente che il legislatore ha diversamente trattato il bonus nei casi di riqualificazione energetica, quando l'esercizio dello ius aedificandi è completamente nuovo o quando è riesercitato in sede di demo-ricostruzione (e quindi il diritto di edificare era già stato concesso). Nel primo caso il legislatore ha ritenuto opportuno stabilire la cubatura ammissibile, mentre nei casi dove è stato rilasciato un titolo edilizio ed è già stata realizzata una cubatura, il legislatore ha utilizzato la locuzione di "edifici esistenti". Di conseguenza il richiamo all'edificio esistente può solamente riferirsi al volume realizzato e non a quello astrattamente realizzabile (e quindi solo eventualmente - e non realmente - maggiorato, se successivamente alla costruzione sono stati modificati gli strumenti urbanistici). 15. Il metodo di calcolo previsto dalle norme di attuazione al p.u.c. di (omissis), approvato con delibera della Giunta provinciale n. 4003 del 2003 allora non rileva, altrimenti il legislatore avrebbe dovuto richiamare un concetto di "cubatura ammissibile" anche per la demo-ricostruzione, ma quella è presente solo nelle costruzioni nuove. 16. La formulazione dell'art. 127, comma 3 l.u.p. e del punto 2 della delibera n. 964/2014 coincidono, ma non si trova alcun riferimento ad una possibilità che si possa applicare un metodo introdotto successivamente per calcolare la cubatura già esistente ed approvata ad una data determinata. Pertanto neanche al Collegio è permesso superare tale incontrovertibile limite. 17. Nel caso che occupa la Sezione, la cubatura approvata nel 1991/1993 e contemplata nel relativo progetto ammonta a 184,21 m³, ma né il seminterrato né il sottotetto possono essere calcolati diversamente in base a delle norme successivamente introdotte nel 2003. 18. Non può essere condivisa la tesi che il TRGA abbia omesso di considerare poi la data del 12.1.2005, e che altrimenti la norma non avrebbe alcun senso, avendo invece il primo giudice statuito che "dunque, mentre per i "nuovi edifici" la base di calcolo per il c.d. bonus energia è costituita dalla cubatura "ammissibile" secondo le norme urbanistiche e gli strumenti di pianificazione "vigenti", per gli "edifici esistenti", la base di calcolo per la cubatura "esistente" è costituita dalla cubatura comprovata ovvero approvata al 12 gennaio 2005, secondo le norme e gli strumenti di pianificazione "allora vigenti"". Tale qualificazione viene condivisa anche da questo Giudice d'appello, rilevando che l'introduzione di una precisa data di realizzazione segue proprio la necessità di "fermare le bocce" per la cubatura realizzata, nel senso che costruzioni successive non possono essere prese in considerazione. Se prima di tale data è stato cambiato il regime urbanistico-edilizio, con modifiche di calcolo per taluni aspetti (nella specie il sottotetto ed il seminterrato), ciò non significa che questo possa comportare un aumento della consistenza volumetrica. 19. Analoghe considerazioni, che vanno nella identica direzione, sono state impiegate dalla Sezione nella sentenza n. 5674/2020, accertando che "Il riferimento, contenuto nella norma primaria, agli "edifici già legalmente esistenti alla data del 12 gennaio 2005 o concessionati prima di tale data", non può che intendersi nel senso che, ai fini dell'accesso al beneficio del bonus energetico di cubatura, l'edificio preesistente alla data rilevante del 12 gennaio 2005 deve essere conforme al titolo edilizio in ogni suo aspetto, per cui la fruizione deve ritenersi preclusa anche nei casi di difformità parziale. In tal senso depone non solo il senso letterale della disposizione normativa all'esame, laddove contempla gli "edifici legalmente esistenti", ma anche la correlativa ratio legis, non essendo stata introdotta una nuova forma di sanatoria, ma una misura premiale di ampliamento per edifici legalmente esistenti in funzione incentivante la realizzazione di interventi di riqualificazione energetica." Con ciò è già stato precisato, ed il Collegio non vede alcun motivo per discostarsi neanche nel caso presente, che la delibera provinciale n. 964/2014, in aderenza al tenore letterale e alla ratio della norma primaria, non lascia spazio ad un'interpretazione estensiva, ma impone un'esegesi ristretta, anche al fine di concentrare le risorse per la riqualificazione energetica sul patrimonio edilizio esistente. In caso contrario l'agevolazione sarebbe un incentivo (indiretto) a nuove espansioni del tessuto edilizio. Non è infatti possibile che ogni edificio possa beneficiare del bonus su astratte potenzialità edificatorie, ma in caso di demo-ricostruzione di edifici esistenti solo laddove sia presente una massa critica di volumetria realizzata entro una certa data ed in relazione ad essa, come definita dal legislatore bolzanino. 20. Essendo stato il diniego della concessione edilizia un atto plurimotivato, ed avendo già respinta la censura sub 8-a), l'esame del secondo motivo d'appello diventa superfluo, in quanto l'accoglimento di tale censura non potrebbe in ogni modo comportare l'annullamento del provvedimento gravato. A fronte di un atto plurimotivato, infatti, è sufficiente riscontrare la legittimità di una delle autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa, per condurre al rigetto dell'intero ricorso, tenuto conto che, anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza riferiti alle distinte rationes decidendi poste a fondamento del provvedimento amministrativo, questo non potrebbe comunque essere annullato in quanto sorretto da un'autonoma ragione giustificatrice confermata in sede giudiziale (Cons. Stato, Sez. VI, n. 3587/2023). 21. In ragione di quanto sopra illustrato, l'appello non si presta ad essere accolto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. 22. La soccombenza determina la decisione sulle spese di lite che vengono liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese di lite in favore alla Provincia Autonoma di Bolzano, che vengono liquidate complessivamente in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7784 del 2020, proposto da -OMISSIS-(già -OMISSIS- società consortile a responsabilità limitata - -OMISSIS-), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Za. e Va. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'Avv. Pi. Cu. in Roma, via (...); contro Gse - Gestore dei Servizi Energetici Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Se. Fi., An. Gi. e An. Pu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (sezione terza ter) -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il provvedimento del G.S.E. di reiezione della Richiesta di Verifica e Certificazione nonché per l'accertamento dell'avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta presentata dalla società ; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del GSE - Gestore dei Servizi Energetici Spa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 12 aprile 2023 il Cons. Carmelina Addesso e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Società -OMISSIS-, già -OMISSIS- Società Consortile a responsabilità limitata - -OMISSIS- (d'ora innanzi, -OMISSIS-), chiede la riforma della sentenza del TAR Lazio, sezione terza ter, -OMISSIS- 2019 che ha respinto il ricorso per l'annullamento del provvedimento del G.S.E. di reiezione della Richiesta di Verifica e Certificazione nonché per l'accertamento dell'avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta presentata dalla società . 2. Con istanza inoltrata in data 23 marzo 2015 tramite compilazione della scheda tecnica modello 40E -OMISSIS- chiedeva al G.S.E. la verifica e la certificazione dei risparmi (RVC) ai fini del rilascio dei Titoli di Efficienza Energetica (TEE), ai sensi del d.m. 28 dicembre 2012, per l'installazione di un impianto di riscaldamento a biomassa alimentato a pallet, a servizio dell'Azienda agricola "-OMISSIS-". 2.1 Con nota del 14 luglio 2015 il gestore chiedeva alcune integrazioni documentali ai sensi dell'articolo 16, comma 4, delle Linee Guida di cui alla delibera dell'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas EEN 9/11, richiesta riscontrata dalla società in data 13 agosto 2015. 2.2 All'esito dell'istruttoria, il G.S.E. comunicava, dapprima, il preavviso di diniego (nota del 14 settembre 2015) e, successivamente, il rigetto della Richiesta di Verifica e Certificazione (provvedimento del 3 novembre 2015). 2.3 Con ricorso al TAR Lazio -OMISSIS- lamentava l'illegittimità del provvedimento di diniego in quanto, a suo avviso, in relazione alla RVC presentata si sarebbe formato il silenzio assenso ai sensi dell'art. 6 d.m. 28 dicembre 2012. La ricorrente chiedeva, infine, il risarcimento di tutti i danni subiti a seguito dell'illegittimo esercizio dell'azione amministrativa e del ritardo conseguente al mancato riconoscimento dei titoli di efficienza energetica. 2.4 Il giudice adito, con sentenza -OMISSIS-, respingeva il ricorso con compensazione delle spese. Ad avviso del Tribunale, il silenzio serbato dal soggetto responsabile rispetto ad una Richiesta di Verifica e Certificazione non risulta normativamente qualificato sicché lo spirare del termine di 60 giorni, previsto dall'art. 16 delle Linee Guida, non produce l'effetto invocato dalla ricorrente, permanendo, al contrario, il potere del G.S.E. di valutare la richiesta e di determinarsi attraverso l'adozione di un provvedimento espresso. Né può trovare applicazione l'art. 20, comma 1, l. n. 241 del 1990 che esclude l'istituto del silenzio assenso rispetto agli atti e procedimenti riguardanti l'ambiente, materia nella quale rientra a pieno titolo la disciplina riferibile al settore degli incentivi per il risparmio energetico e al rispetto degli impegni internazionali sui cambiamenti climatici. In relazione al merito dell'istanza presentata, il TAR respingeva la censura afferente alla violazione dell'art. 10 bis l. 241/1990, osservando che la documentazione fornita dalla ricorrente a sostegno della Richiesta di Verifica e Certificazione si è rivelata inidonea, oltre che carente, con conseguente reiezione definitiva della richiesta per le ragioni già evidenziate nel preavviso di diniego; dichiarava, infine, l'inammissibilità per difetto d'interesse delle restanti censure di tipo sostanziale, il cui eventuale accoglimento non avrebbe consentito di adottare l'invocata statuizione caducatoria alla luce della natura plurimotivata del provvedimento di diniego. 3. Con ricorso in appello -OMISSIS- chiede la riforma della sentenza sulla scorta di tre motivi con cui lamenta: 1) "Violazione e falsa applicazione di legge e dei provvedimenti applicativi di legge (artt. 6 Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 28.12.2012; art. 16, comma 1, Linee Guida approvate con Decreto dell'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas sub EEN 9/11 e successive modifiche ed integrazioni; artt. 29 e 30 Decreto Legislativo 03.03.2011 n. 28; artt. 2, 3, 20, 21-quinquies e 21-nonies della Legge 07 agosto 1990 n. 241). Eccesso di potere per contraddittorietà con il silenzio-assenso formatosi sulla richiesta di verifica e certificazione e comunque per difetto di motivazione. Eccesso di potere per carenza dei presupposti legittimanti l'annullamento del provvedimento implicito di accoglimento formatosi in relazione all'istanza presentata dalla appellante. Carente e comunque perplessa motivazione." Contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, dalla lettura coordinata dell'art. 6, comma 3, del D.M. 28.12.2012 e delle Linee Guida recanti "Criteri e modalità per il rilascio dei titoli di efficienza energetica" emerge che l'istituto del silenzio-assenso trova, nel caso in esame, adeguata "copertura", anche perché, trattandosi di metodo di valutazione standarizzata, sono già quantificati a monte sia il risparmio specifico lordo di energia primaria conseguibile per singola unità di riferimento (tep/anno/m2) sia i conseguenti titoli di efficienza energetica riconosciuti all'intervento. In ragione di quanto previsto dalla disciplina speciale regolante la fattispecie, perde rilievo l'assunto, espresso nella sentenza impugnata (pag. 5), a mente del quale, nell'ambito della normativa generale dettata dall'art. 20 della legge n. 241/1990, l'istituto del silenzio-assenso sarebbe escluso nella materia "ambientale" perché le esigenze di tutela della materia sono già state prese in considerazione in sede di emanazione dei provvedimenti disciplinanti gli specifici regimi incentivanti, quale è quello di verifica e certificazione oggetto di causa; 2) "Violazione e falsa applicazione di legge (art. 10 bis Legge 07.08.1990 n. 241). Eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di istruttoria e carenza assoluta di motivazione. Omessa pronuncia". Del pari erroneo è il capo della sentenza di primo grado che ha respinto il motivo di ricorso afferente alla violazione dell'art. 10 bis l. 241/1990 poiché dal confronto tra il preavviso di diniego e il provvedimento definitivo emerge chiaramente come il secondo contenga nuovi e diversi profili di diniego rispetto a quelli individuati nel primo, con violazione del contraddittorio infraprocedimentale e delle garanzie partecipative del privato. Il TAR, inoltre, non ha preso posizione sulla specifica doglianza relativa all'omessa indicazioni delle ragioni di presunto rigetto delle osservazioni presentate dal privato. 3) "Eccesso di potere per difetto assoluto d'istruttoria e carenza dei presupposti legittimanti il provvedimento di diniego. Eccesso di potere per contraddittorietà estrinseca ed estrinseca. Eccesso di potere per disparità di trattamento". Erroneamente il TAR ha respinto il terzo motivo di ricorso di primo grado con cui si è rilevata l'assenza delle dedotte carenze documentali alla luce della documentazione allegata alla domanda di RCV e a quella trasmessa a seguito di richiesta di integrazione documentale da parte del G.S.E., nonché dei chiarimenti forniti in sede di preavviso di rigetto. Il giudice, inoltre, è incorso in un palese errore laddove ha sostenuto che la mera presenza di teli termici avrebbe imposto un diverso calcolo della trasmittanza, con la conseguenza che avrebbe dovuto esaminare anche le ulteriori censure proposte nel ricorso di primo grado ed erroneamente ritenute assorbite che devono essere ribadite in questa sede. 3.1 L'appellante ha riproposto, altresì, la domanda di risarcimento del danno già formulata in primo grado e respinta dal TAR. 4. In data 13 ottobre 2020 si è costituito il G.S.E. che, con successiva memoria del 10 marzo 2023, ha eccepito l'inammissibilità e l'infondatezza dell'appello, insistendo per la reiezione del gravame. 5. Entrambe le pari hanno depositato memorie e memorie di replica, insistendo nelle proprie difese. 6. All'udienza di smaltimento del 12 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 7. L'appello è infondato e deve essere respinto, circostanza che esime il Collegio dal pronunciarsi sull'eccezione di inammissibilità dell'appello per difetto di specificità dei motivi formulata dal G.S.E. (memoria del 10 marzo 2023). 8. Con il primo motivo l'appellante censura il capo della sentenza di primo grado che ha respinto il primo motivo di ricorso relativo all'avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta di verifica e certificazione (RVC) n. 0204430022215R001 presentata in data 26.03.2015 da -OMISSIS- S.r.l. (ora -OMISSIS- S.r.l.) e alla conseguente illegittimità di tutti gli atti, sia di carattere istruttorio che provvedimentale, adottati in data successiva allo spirare del termine previsto ex lege per il formarsi del silenzio significativo. Deduce che, contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, la normativa in materia prevede espressamente il silenzio assenso sulla richiesta di RCV poiché : i) il III^ comma dell'art. 6 del D.M. 28.12.2012 stabilisce che il relativo procedimento debba essere concluso "entro 60 giorni dal ricevimento della proposta", con la previsione che "Trascorsi i termini di cui sopra, in mancanza di una diversa valutazione da parte del GSE, la proposta di progetto e programma di misura si intende approvata"; ii) l'art. 16 comma 1 delle Linee guida di cui alla delibera EEN 9/11 ribadisce, correlativamente, che la certificazione deve essere rilasciata "entro 60 giorni dalla ricezione della richiesta di verifica e certificazione"; iii) nel caso di metodi di valutazione standarizzata l'attività di verifica del G.S.E. non richiede necessariamente un provvedimento di accoglimento, trattandosi di attività vincolata, diretta esclusivamente alla constatazione della presenza dei requisiti di legge, come emerge dalle Linee Guida approvate con delibera AEEG EEN 9/2011 (artt. 3, 4 12, 13,14 e 16). 8.1 Il motivo è infondato. 8.2 Il silenzio assenso invocato da parte appellante non trova fondamento né nella previsione generale dell'art. 20 l. 241/1990 né nella disciplina di settore. 8.3 Sotto il primo profilo, l'art. 20 comma 4 della legge sul procedimento amministrativo ha espressamente escluso dalla previsione generalizzata del silenzio assenso di cui al primo comma gli atti e i procedimenti riguardanti l'ambiente, tra cui rientra la disciplina riferibile al settore degli incentivi per il risparmio energetico e al rispetto degli impegni internazionali sui cambiamenti climatici. Sul punto è sufficiente richiamare il primo considerando della Direttiva del 23 aprile 2009, n. 28 (a cui è stata data attuazione con il d.lgs 28/2011) che sancisce: "Il controllo del consumo di energia europeo e il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili, congiuntamente ai risparmi energetici e ad un aumento dell'efficienza energetica, costituiscono parti importanti del pacchetto di misure necessarie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e per rispettare il protocollo di Kyoto della convenzione quadro delle nazioni Unite sui cambiamenti climatici e gli ulteriori impegni assunti a livello comunitario e internazionale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra oltre il 2012". 8.4 Come correttamente osservato dal giudice di primo grado, non vi è dubbio che il procedimento diretto alla verifica e al rilascio dei titoli di efficientamento energetico attenga alla materia ambientale. 8.5 Sotto il secondo profilo, né il d.m. 28 dicembre 2012 né le linee guida approvate con delibera AEEG n. 9/2011 contemplano un'ipotesi di silenzio assenso in relazione al rilascio dei titoli di efficienza energetica (TEE) o certificati bianchi. D'altra parte nemmeno la società appellante ha indicato con precisione su quale disposizione, tra quelle che disciplinano le RCV e il rilascio dei TEE, si fonderebbe l'invocato silenzio assenso, atteso che: i) inconferente è il richiamo, su cui insiste l'appellante, all'art. 6 comma 3 d.m. 28 dicembre 2012 (che sancisce "Trascorsi i termini di cui sopra, in mancanza di una diversa valutazione espressa da parte del GSE, la proposta di progetto e di programma di misura si intende approvata") che attiene esclusivamente al metodo di valutazione a consuntivo di cui all'art. 6 delle Linee Guida, che è l'unico fondato sulla proposta di progetto e programma di misura (PPPM), mentre nel caso di specie si verte in tema di misurazione con il metodo di valutazione standarizzato di cui all'art. 6 comma 2 d.m. 28 dicembre 2012 e all'art. 4 delle Linee Guida, fondato su schede tecniche predeterminate (cfr. art. 12 d.m. 28 dicembre 2012 e art. 4.3 delle Linee Guida); ii) irrilevante è il richiamo all'art. 16 delle citate Linee Guida che si limita a disciplinare il procedimento per il rilascio dei titoli di efficienza energetica, prevedendo che, entro 60 giorni dalla ricezione della richiesta di verifica e di certificazione e completati con esito positivo gli eventuali controlli, il soggetto responsabile certifica la corrispondente quota di risparmio netto integrale riconosciuta, fatto salvo quanto disposto al successivo comma 2 relativo al computo del risparmio netto anticipato. Il medesimo articolo precisa, al comma 4, che, nel caso in cui il soggetto responsabile ritenga opportuno richiedere al soggetto titolare del progetto informazioni aggiuntive, il termine di cui al comma 1 viene sospeso fino alla ricezione delle informazioni aggiuntive e viene ridefinito pari a 90 giorni, senza sancire alcuna ipotesi di silenzio assenso. 8.6 La normativa non prevede, pertanto, che il superamento dei termini da essa contemplati determini il formarsi di un provvedimento favorevole per silentium. 8.7 Questa Sezione con sentenza del 25 marzo 2022 n. 2196, nell'ambito di una controversia afferente alla configurabilità o meno del silenzio assenso su PPPM, ha escluso che sia ravvisabile un provvedimento tacito di accoglimento alla luce dell'espresso dato testuale dell'art. 6, comma 3, del d.m. 28 dicembre 2012 (disposizione impropriamente richiamata anche da -OMISSIS- con riferimento al metodo di valutazione standarizzato) e ha precisato che il silenzio assenso non trova fondamento nemmeno nella previsione dell'art. 20 l. 241/1990 poiché le fattispecie in questione sono sussumibili nella materia ambientale "sotto il profilo dell'esigenza di contenimento dell'impiego di materie prime e di riduzione delle emissioni inquinanti e clima-alteranti, in attuazione degli obblighi nazionali il cui rispetto è imposto dall'Unione Europea per garantire il raggiungimento degli obiettivi quantitativi a tutela dell'ambiente delineati nel protocollo di Kyoto". 8.8 Il motivo deve, pertanto, essere respinto. 9. Con il secondo motivo l'appellante censura il capo della sentenza impugnata che ha respinto il secondo motivo di ricorso relativo alla violazione dell'art. 10 bis l. 241/1990 per avere il GSE introdotto nel provvedimento finale nuovi e diversi profili di rigetto rispetto a quelli individuati nella comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza. Contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, il provvedimento impugnato reca, secondo l'appellante, i seguenti nuovi motivi di diniego non indicati nel preavviso di diniego: i) l'aver utilizzato come fattore di conversione da tep a MWh, il valore di 0,0860 tep/MWh; ii) il non aver inserito nel file excel di rendicontazione, per una riga, un solo generatore di calore, così come indicato nella FAQ pubblicata sul sito del GSE; iii) il non aver fornito "planimetrie, sezioni e prospetti che permettono di individuare in maniera chiara le aree riscaldate e quelle non riscaldate, nonché i camminamenti principali e le aree non destinate alla coltivazione. Tale condizione non permette di verificare i valori di UFR proposti ed i calcoli del fabbisogno energetico". Espone che, in ogni caso, la sentenza impugnata non ha preso posizione sulla separata doglianza - comunque dedotta nel II^ motivo di ricorso- con cui è stato censurato il difetto di motivazione del provvedimento che non ha esplicitato le ragioni del rigetto delle osservazioni del privato. 9.1 Il motivo è nel complesso infondato. 9.2 Dal confronto tra il contenuto del preavviso di diniego e il contenuto del provvedimento finale non emerge la discordanza lamentata dall'appellante poiché il secondo atto si è limitato e precisare e puntualizzare, in considerazione dell'istruttoria svolta, le criticità già illustrate nel primo. 9.3 Tutte le ragioni su cui si è fondato il diniego risultano, infatti, già indicate nella comunicazione ex art. 10 bis poiché : i) quanto alla contestazione dell'aver "utilizzato come fattore di conversione da tep a MWh, il valore di 0,0860" (punto i., lett a), già nel preavviso di rigetto il gestore aveva contestato alla ricorrente di aver fornito un calcolo del fabbisogno energetico non corretto, avendo "indicato dei fattori di conversione non corretti"; ii) quanto al mancato inserimento nel file excel di rendicontazione, per una riga, un solo generatore di calore (punto ii.) e alla mancata comunicazione di "planimetrie, sezioni e prospetti che permettono di individuare in maniera chiara le aree riscaldate e quelle non riscaldate..." (punto iii.), si tratta di omissioni già sottolineate dal G.S.E. nel preavviso di rigetto dove si legge che il proponente "non ha risposto ai punti 1 e 4 della richiesta di integrazione" (cfr. richiesta di integrazione del GSE del 14 luglio 2015). 9.4 La coerenza sul piano motivazionale e contenutistico tra preavviso di diniego e provvedimento finale non postula l'identità sul piano letterale dei due atti, la quale non solo non è richiesta ai fini della legittimità dei medesimi, ma neppure sarebbe concretamente possibile, atteso che il provvedimento finale viene adottato a valle della fase istruttoria e all'esito del contraddittorio procedimentale. 9.5 Ne discende che è sempre consentito all'amministrazione in sede di adozione del provvedimento finale la specificazione e puntualizzazione delle ragioni del diniego purché si rimanga entro i confini già tracciati con la comunicazione dei motivi ostativi e non vengano introdotti nuovi e diversi profili di criticità non previamente sottoposti al contraddittorio procedimentale, circostanza che non ricorre nella fattispecie per cui è causa. 9.6 Come chiarito dalla giurisprudenza, il corretto svolgimento del contraddittorio procedimentale non esige, peraltro, la completa indicazione da parte dell'Amministrazione, in sede di adempimento dell'onere partecipativo di cui all'art. 10 bis, delle ragioni astrattamente fondanti l'adozione del provvedimento conclusivo, in quanto il momento partecipativo si colloca nella fase della gestazione del provvedimento conclusivo e sarebbe contrario ai principi di efficienza ed economicità dell'attività amministrativa se l'Amministrazione fosse tenuta ad enucleare compiutamente e analiticamente i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, in una sorta di integrale anticipazione del contenuto motivazionale del futuro ed eventuale provvedimento di diniego; del resto, proprio perché rispondono ad esigenze differenziate e attingono ad interessi aventi distinta valenza, la diversa calibratura dell'onere motivazionale con riferimento alla comunicazione dei motivi ostativi, da un lato, e al provvedimento conclusivo, dall'altro, si spiega con la finalità meramente dialettico-partecipativa della prima e con l'incidenza definitiva, propria solo del secondo, nella sfera giuridica dell'interessato (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. III, 1 giugno 2020, n. 3438). 9.7 Non coglie nel segno nemmeno la censura relativa all'omessa valutazione delle osservazioni inoltrate in sede di preavviso di diniego poiché la società, in sede di osservazioni ex art. 10 bis l. 241/1990, non ha fornito i chiarimenti richiesti, ma si è limitata ad affermare la completezza della documentazione già trasmessa e a sostenere, in chiave critica, che le mancanze rilevate dal gestore non sono corrette e riguardano documenti integrativi non previsti come necessari (cfr. osservazioni -OMISSIS- del 25 settembre 2015). 9.8 Giova ancora osservare che, secondo la giurisprudenza, l'onere di cui all'art. 10 bis, l. 241 del 1990 non esige la puntuale confutazione analitica delle argomentazioni svolte dalla parte privata; al contrario, per giustificare il provvedimento conclusivo adottato è sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso, alla luce delle risultanze acquisite (Cons. Stato Sez. VI, 18/11/2022, n. 10189; id. 16/06/2017, n. 2947). 9.9 Il motivo deve, quindi, essere respinto. 10. Con il terzo motivo l'appellante censura il capo della sentenza impugnata che ha respinto il terzo motivo di ricorso con cui sono stati dedotti plurimi elementi sintomatici dell'eccesso di potere alla luce della sufficienza e determinatezza della cospicua documentazione allegata alla Richiesta di Verifica e Certificazione. Lamenta che il giudice di primo grado è pervenuto ad una decisione del tutto incongrua, soffermandosi - peraltro in maniera erronea e perplessa - su uno solo degli aspetti asseritamente ostativi all'accoglimento della RVC (la presenza di teli termici), ritenuto sufficiente ad escludere qualsivoglia verifica delle restanti censure per carenza di interesse. Precisa che l'asserita alterazione delle caratteristiche termiche dell'intervento determinata dalla presenza di teli termici in alcune serre, poteva - se del caso - assumere rilievo nella sola evenienza in cui detti teli fossero concretamente utilizzati in situ (e dunque aperti), ma non certo nell'ipotesi - corrispondente a quella di specie - in cui gli stessi si trovino chiusi "a pacchetto" in vista della loro futura dismissione. Ripropone, infine, le censure di carattere sostanziale svolte a conforto del motivo in trattazione e ritenute assorbite dal giudice di primo grado. 10.1 Il motivo è infondato. 10.2 Sul punto giova segnalare che: i) il soggetto titolare del progetto ha fornito la documentazione fotografica dalla quale emerge che per la serra n. 5 sono presenti teli termici (cfr. file "010_14 Documentazione da allegare", doc. n. 1 prodotto in primo grado dalla ricorrente, comprensivo della dichiarazione a firma del legale rappresentate della società attestante la presenza di teli termici limitatamente alle zone evidenziate nei riferimenti planimetrici allegati), dato confermato da -OMISSIS- nelle osservazioni del 13 agosto 2015, dove si dichiara che "sono presenti teli termici" (cfr. doc. n. 6 produzioni di primo grado ricorrente); ii) la società non ha fornito alcun riscontro alla richiesta, avanzata dal G.S..E con nota del 14 luglio 2015 di dimostrazione tramite apposito calcolo della trasmittanza che l'applicazione di teli termici non comporti un coefficiente di trasmittanza differente da quello indicato nella Scheda 40E per i materiali di copertura presenti (doc. n. 4 del fascicolo di primo grado). Tale lacuna della richiesta presentata non è stata colmata neppure nelle osservazioni presentate in seguito al preavviso di rigetto del 14 settembre 2015, ove la società si è limitata a sostenere che "i teli termici sono obsoleti e che, a causa dell'elevato costo richiesto per la dismissione, gli stessi sono tenuti a pacchetto. Per tale motivo le caratteristiche termiche della copertura presente in situ non risultano alterate", in contrasto con quanto precedentemente dichiarato e con la documentazione fornita; iii) poiché la presenza di teli termici non consente di applicare la Scheda 40E, come illustrato nella FAQ rinvenibile sul sito del GSE e richiamata nella nota del 14 luglio 2015, (ove si evidenzia che in presenza di teli termici "le dispersioni termiche attraverso la copertura sarebbero inferiori a quelle utilizzate all'interno della scheda tecnica per la definizione del RS."), il gestore ha respinto la richiesta di RCV. 10.3 A nulla rileva il riferimento, su cui insiste l'appellante, a quanto indicato nella Guida operativa predisposta da ENEA, punto G di pag. 70, poiché, come sopra chiarito, il provvedimento di diniego si fonda non tanto e non solo sulla presenza di teli termici in sé considerata, ma sull'impossibilità di accertare- per la mancata comunicazione dei chiarimenti richiesti- se la presenza dei suddetti teli determini un coefficiente di trasmittanza differente da quello indicato nella Scheda 40E per i materiali di copertura presenti. 10.4 Alla luce delle considerazioni sopra richiamate è immune da censure il capo della sentenza impugnata che ha respinto il terzo motivo di ricorso di primo grado in considerazione della mancata dimostrazione dell'assenza di dispersioni termiche nell'utilizzo dei teli termici e ha dichiarato, conseguentemente, l'inammissibilità per difetto di interesse delle ulteriori censure, da ritenersi assorbite anche in questa sede alla luce della natura plurimotivata del provvedimento di diniego. 11. In conclusione, l'appello è infondato e deve essere respinto, con conseguente reiezione anche della domanda risarcitoria riproposta dalla società appellante. 12. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la società appellante alla refusione a favore del G.S.E. delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Giovanni Sabbato - Presidente FF Antonella Manzione - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8825 del 2014, proposto da Ar. Ro., rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Es. e Gi. Pa., con domicilio eletto presso lo studio Pl., in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Na., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in (...), via (...), presso la casa comunale; nei confronti Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Soprintendenza per Beni Architettonici e Paesistici per le Province di Salerno e Avellino, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentato e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via (...), sono domiciliati ex lege; Lu. De Ro., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 2260 del 2020, proposto da Ar. Ro., rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Es., con domicilio eletto presso lo studio Pl., in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Na., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia; nei confronti Ma. Ne. Sa. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma quanto al ricorso n. 8825 del 2014: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Salerno Sezione Prima, n. 464/2014, resa tra le parti, concernente un diniego di compatibilità paesaggistica; quanto al ricorso n. 2260 del 2020: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Salerno (sezione Seconda) n. 01900/2019, resa tra le parti, concernente due ordinanze di demolizione. Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Soprintendenza per Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Salerno e Avellino; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2023 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per la parte appellante l'avvocato Al. Es.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Il Comune di (omissis) ha rilasciato al sig. Ar. Ro. la concessione edilizia 27/11/2002, n. 62 per eseguire lavori di "ristrutturazione e piccolo ampliamento in sopraelevazione" di un edificio ubicato, nella via (omissis), in area soggetta a vincolo paesaggistico. Successivamente la detta amministrazione ha contestato al sig. Ro. la realizzazione di interventi in difformità da quanto assentito con la detta concessione, consistenti, in particolare: in un leggero incremento dell'altezza del fabbricato, in un inferiore arretramento delle pareti del sottotetto (lato sud e lato nord), con conseguente ampliamento volumetrico, in alcune variazioni dei prospetti, nella mancata realizzazione di una scala esterna, in una maggiore ampiezza del terrazzo d'ingresso e in alcune opere interne. L'ente ha, pertanto, emesso l'ordinanza 27/8/2008, n. 35, con cui ha ingiunto al sig. Ro. la demolizione degli abusi riscontrati. Con successiva ordinanza 17/7/2009, n. 21 il comune, vista la DIA 7/8/2008, prot. n. 21919, presentata dal sig. Ro. per l'installazione di una ringhiera in ferro sulla copertura di un fabbricato pertinenziale rispetto all'immobile di cui sopra, ha mosso a quest'ultimo le seguenti contestazioni: "a) L'andamento planimetrico della ringhiera è difforme da quanto rappresentato nei grafici alla DIA del 07/08/2008 con prot. n. 21919, in quanto essa è stata in parte realizzata al disopra della copertura in tegole di un manufatto che insiste sul lotto confinante. La ringhiera ha, quindi, un tracciato rettangolare in luogo di quello più articolato previsto dalla DIA prima citata; b) Scala in ferro per l'accesso al terrazzino oggetto dell'installazione della ringhiera. Tale scala non è rilevabile dai grafici allegati alla DIA del 07/08/2008 con prot. n. 21919"; c) Realizzazione della pavimentazione in piastrelle sul terrazzino in esame con contestuale innalzamento dell'altezza dello stesso di circa mt. 0,10 per la realizzazione del massetto delle pendenze". L'amministrazione comunale, con la medesima ordinanza, ha, quindi, disposto la demolizione delle suddette opere abusive. Con un'ulteriore ordinanza, la n. 44 del 22/12/2009, l'ente ha, ingiunto al sig. Ro. di demolire l'ampliamento del terrazzo realizzato sulla copertura dell'edificio pertinenziale di cui alla precedente ordinanza n. 21/2009, in quanto eseguito in assenza di titolo abilitativo e lo ha diffidato a "utilizzare le opere realizzate in assenza di una verifica della condizione strutturale dello stato dei luoghi anche in previsione dell'utilizzo del terrazzo". Ritenendo le tre ordinanze illegittime il sig. Ro. le ha impugnate con due distinti ricorsi al T.A.R. Campania - Salerno: il n. 1824/2008, rivolto contro la prima, e il n. 296/2010 diretto nei confronti delle restanti due. Nelle more dei due giudizi il sig. Ro. ha chiesto l'accertamento di conformità in relazione alle opere oggetto dell'ordinanza n. 35/2008. Sull'istanza è intervenuto il parere 6/9/2012, n. 25178, con cui la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Salerno e Avellino, ha negato la compatibilità paesaggistica. Il diniego è stato impugnato, davanti al medesimo Tribunale, con ricorso 1847/2012 proposto dal sig. Ro., unitamente alla sig.ra Lu. De Ro., comproprietaria dell'immobile interessato dai lavori oggetto della richiesta di sanatoria. Il giudizio è stato definito con sentenza 25/2/2014, n. 464 con cui il gravame è stato respinto. Con successiva sentenza 4/11/2019, n. 1900, l'adito Tribunale, riuniti i ricorsi 1824/2008 e 296/2010, ha respinto il secondo e ha accolto il primo, limitatamente alla "mancata realizzazione della scala esterna di collegamento tra il terrazzino ed il balcone" e alle opere interne, respingendolo per tutto il resto. Le due pronunce sono state appellate dal sig. Ro. con due separati ricorsi: il n. 8825/2014, rivolto nei confronti della sentenza n. 464/2014, e il n. 2260/2020, diretto contro la sentenza n. 1900/2019. Per resistere ai due ricorsi si è costituito in giudizio il Comune di Pontecagnano - Faiano. In relazione al ricorso n. 8825/2014 si sono costituiti anche il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno e Avellino. L'appellante e il comune appellato, con ulteriori scritti difensivi, depositati nell'ambito del ricorso n. 2260/2020, hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive. Con ordinanza 6/6/2022, n. 4583, la Sezione, riuniti i due appelli, ha disposto una verificazione con cui è stato posto al perito il seguente quesito: "dica il verificatore, previo esame della documentazione acquisita agli atti di causa, dello stato dei luoghi e di ogni altro elemento rilevante ivi inclusa la documentazione sussistente agli atti del Comune di (omissis) e chiarito, sotto il profilo prettamente tecnico, quale sia il significato da attribuire ai termini "superficie utile" e "volume", tenuto conto della normativa specifica applicabile, anche proveniente da fonte regionale: 1) se nel caso di specie siano presenti "opere minori" (ai fini della verifica della loro compatibilità con le esigenze di tutela del paesaggio); 2) ancor più nello specifico, se sussista e in quale misura assuma rilevanza il contestato arretramento della parte superiore delle pareti al livello sottotetto (lato sud e lato nord) di circa 0.30 cm rispetto al progetto edilizio a suo tempo assentito; 3) in conclusione, quali siano la natura, la tipologia e le dimensioni degli interventi oggetto di domanda di sanatoria e la loro compatibilità paesaggistica". Eseguito l'incombente, il sig. Ro. ha depositato ulteriore memoria con cui ha chiesto l'accoglimento di entrambi gli appelli. Alla pubblica udienza del 30/3/2023 le cause sono passate in decisione. Assume priorità logica la trattazione dell'appello n. 8825/2014. Col primo motivo si denuncia l'errore commesso dal giudice di prime cure nell'escludere la sussistenza della dedotta violazione dell'art. 10-bis della L. 7/8/1990, n. 241. Tale norma, al contrario, risulterebbe violata in quanto, nel negare la compatibilità paesaggistica dei lavori oggetto della richiesta di accertamento di conformità, la Sovrintendenza non avrebbe dato riscontro alle osservazioni presentate dall'appellante in sede procedimentale. Col secondo motivo si critica la sentenza appellata per aver escluso che, nel caso concreto, potesse essere accertata la compatibilità paesaggistica dei lavori eseguiti. Questi, infatti, avrebbero dato luogo a opere minori, ai sensi del D.P.R. 9/7/2010, n. 139 ("Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell'articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni"), in relazione alle quali non sarebbe escluso a priori accertarne la compatibilità paesaggistica. Col terzo motivo si deduce che il giudice di prime cure non avrebbe rilevato che "le difformità dichiarate" sarebbero state del tutto prive di significativa rilevanza sotto il profilo paesaggistico-ambientale e urbanistico. Col quarto mezzo di gravame si lamenta che il Tribunale avrebbe errato a escludere che gli incrementi volumetrici realizzati dall'appellante potessero beneficiare della disciplina introdotta dagli artt. 11, comma 1, del D.Lgs. 30/5/2008, n. 115 e 5, comma 2, del D.L. 13/5/2011, n. 70, sul presupposto che tale normativa sarebbe applicabile ai soli "edifici di nuova costruzione". Tale normativa, che rende obbligatorio l'adeguamento delle strutture immobiliari ai nuovi parametri di contenimento energetico, opererebbe, infatti, anche nei confronti degli edifici preesistenti. Col quinto motivo si deduce che il giudice di prime cure avrebbe errato a ritenere che il minimale incremento volumetrico ammesso dall'art. 34, comma 2-ter, del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, avrebbe un esclusivo rilievo urbanistico, senza ricadute sulle valutazioni paesaggistiche. Si tratterebbe, infatti, di volumi tecnici indispensabili per ottenere la certificazione energetica. Le cinque doglianze, così sinteticamente riassunte, tutte infondate, si prestano a una trattazione congiunta. Occorre premettere che ai sensi dell'art. 167, comma 4, del D.Lgs. 22/1/2004, n. 42, espressamente richiamato nel provvedimento di diniego impugnato in primo grado, l'accertamento della compatibilità paesaggistica non è ammesso laddove i lavori eseguiti "abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati", senza che sia possibile distinguere tra volumi c.d. tecnici e altri tipi di volume (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 1/9/2022, n. 7625). Nel caso di specie, i lavori oggetto del contestato provvedimento negativo hanno sicuramente comportato un aumento di cubatura dell'edificio preesistente, in quanto, come ammesso dal medesimo appellante a pag. 10 dell'appello, gli stessi hanno determinato, rispetto al progetto assentito con la concessione edilizia n. 62/2002, un leggero incremento dell'altezza del fabbricato e un ampliamento volumetrico, determinato da un minore arretramento delle pareti del sottotetto (lato sud e lato nord), tant'è che ai fini di sanare i relativi abusi è stata presentata istanza di accertamento di conformità . La sussistenza del contestato incremento di volume è del resto confermata dagli esiti della verificazione disposta con la menzionata ordinanza n. 4583/2022, la quale ha evidenziato come il fabbricato abbia un'altezza maggiore di quella prevista nel progetto assentito. Il ché, ai sensi dell'art. 167, comma 4, del citato D.Lgs. n. 42/2004, impedisce l'accertamento della compatibilità paesaggistica, dato che questo non è ammesso in tutti i casi in cui si tratti di lavori realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati, circostanze che ricorrono precisamente nel caso in esame. Contrariamente a quanto l'appellante deduce il divieto posto dalla suddetta norma non è superabile invocando la normativa introdotta dal D.P.R. n. 139/2010. Quest'ultimo si limita a stabilire che "Sono assoggettati a procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica... gli interventi di lieve entità ", senza derogare, data anche la sua natura di norma secondaria, al precetto posto dalla disposizione primaria contenuta nel ricordato art. 167, comma 4. La deduzione secondo cui gli abusi riscontrati dall'amministrazione comunale sarebbero privi di significativa rilevanza sotto il profilo paesaggistico-ambientale e urbanistico si risolve poi, per un verso, in un'affermazione apodittica, e, per altro verso, in un motivo inammissibile in quanto concernente il merito dell'azione amministrativa, valutato all'atto del diniego della compatibilità paesaggistica. Peraltro, alla luce di quanto sopra esposto, è conclamato il rilevo paesaggistico dell'intervento edilizio posto in essere dall'appellante. Sul punto giova osservare che risultano del tutto ininfluenti le personali considerazioni espresse dal verificatore, in ordine alla sanabilità, quali opere minori, degli abusi contestati all'appellante. Trattasi, infatti, di valutazioni giuridiche che esorbitano dai compiti del perito, competendo queste ultime esclusivamente all'organo giudicante (Cons. Stato, Sez. VI, 23/11/2022, n. 10326; 29/7/2022, n. 6681). Non giova alla tesi dell'appellante nemmeno il riferimento alle norme di cui agli artt. 11, comma 1, del D.Lgs. n. 115/2008 e 5, comma 2, lett. a, n. 5, del D.L. n. 70/2011, vigenti all'epoca di adozione dell'impugnato diniego di compatibilità paesaggistica. La prima disponeva: "Nel caso di edifici di nuova costruzione, lo spessore delle murature esterne, delle tamponature o dei muri portanti, superiori ai 30 centimetri, il maggior spessore dei solai e tutti i maggiori volumi e superfici necessari ad ottenere una riduzione minima del 10 per cento dell'indice di prestazione energetica previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, certificata con le modalità di cui al medesimo decreto legislativo, non sono considerati nei computi per la determinazione dei volumi, delle superfici e nei rapporti di copertura, con riferimento alla sola parte eccedente i 30 centimetri e fino ad un massimo di ulteriori 25 centimetri per gli elementi verticali e di copertura e di 15 centimetri per quelli orizzontali intermedi. Nel rispetto dei predetti limiti è permesso derogare, nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici alle distanze minime dai confini di proprietà, alle distanze minime di protezione del nastro stradale, nonché alle altezze massime degli edifici". La seconda, aggiungendo il comma 2-ter all'art. 34, del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, stabiliva: "Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali". Orbene, entrambe le norme hanno una rilevanza limitata ai profili urbanistico-edilizi della costruzione, ma sono ininfluenti sul piano paesaggistico. Priva di pregio è, infine, la doglianza con cui è stata dedotta la violazione dell'art. 10-bis della L. n. 241/1990. Per consolidato orientamento giurisprudenziale, l'invocata norma non impone, di per sé, all'amministrazione di introdurre nel provvedimento conclusivo del procedimento, la puntale e analitica confutazione delle argomentazioni svolte dalla parte privata, essendo sufficiente, ai fini della sua legittimità, una motivazione complessivamente e logicamente idonea a sorreggere la determinazione assunta (Cons. Stato, Sez. IV, 4/10/2022, n. 8488; 1/7/2021, n. 5018; 18/4/2018, n. 2330; Sez. V, 6/9/2022, n. 7763; Cons. Giust. Amm., 24/4/2018, n. 231). D'altra parte, stante il divieto di inutili formalismi, non può imporsi all'amministrazione di prendere in considerazione le osservazioni procedimentali dell'interessato, quando queste, comunque, non avrebbero potuto influenzare la concreta portata del provvedimento finale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22/2/2019, n. 1225). Nel caso di specie, come emerge dalle considerazioni più sopra svolte, l'avversato diniego aveva natura vincolata, in quanto l'intervento eseguito, avendo comportato un ampliamento volumetrico non poteva ottenere, ex art. 167, comma 4, del D.Lgs. n. 42/2004, espressamente richiamato dalla Soprintendenza, l'accertamento della compatibilità paesaggistica. Ne discende, che il contestato provvedimento negativo, in cui si fa esplicito riferimento all'impossibilità di rilasciare la reclamata compatibilità paesaggistica per la constatata "creazione di superfici utili e volumi", risulta congruamente motivato. Tanto basta a determinare l'infondatezza del ricorso in esame. Deve ora procedersi ad affrontare l'appello n. 2260/2020. Col primo motivo, rivolto a contestare il capo di sentenza con cui è stato definito il ricorso n. 1842/2008, si deduce che il Tribunale non avrebbe compiutamente valutato la natura e tipologia dell'abuso contestato con l'ordinanza n. 35/2008, e la proporzionalità della sanzione con essa irrogata rispetto all'illecito commesso. Le opere realizzate, conformi alla disciplina urbanistica di zona e non in contrasto con la disciplina paesaggistica, non rientrerebbero, infatti, tra quelle che necessitano di permesso di costruire, per cui, nei confronti delle stesse, sarebbe applicabile la sola sanzione pecuniaria di cui all'art. 37 del D.P.R. n. 380/2001, mentre resterebbe esclusa la possibilità di ingiungerne la demolizione. Peraltro, sostanziandosi i contestati abusi in lievi difformità progettuali, gli stessi sarebbero sanabili mediante semplice SCIA. Oltre a ciò, l'avversato provvedimento ripristinatorio non evidenzierebbe alcun contrasto dei lavori eseguiti con lo strumento urbanistico e avrebbe omesso di richiamare l'attenzione del destinatario sulla facoltà di richiedere la sanatoria ai sensi degli artt. 36 e 37 del D.P.R. n. 380/2001. La doglianza è infondata. Occorre premettere, che per consolidato orientamento giurisprudenziale, la valutazione degli abusi edilizi, sotto il profilo urbanistico e paesistico, richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio, o ai valori paesaggistici, deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e paesaggistico e nelle reciproche interazioni (fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 1/3/2023, n. 2119; 18/10/2022, n. 8848; 29/7/2022, n. 6681; 30/6/2020, n. 4170; 7/11/2019, n. 7601). La suddetta valutazione unitaria è da escludersi solo laddove (ma non è questo il caso di specie) tra gli interventi realizzati, non sia configurabile alcun intrinseco e oggettivo collegamento funzionale (Cons. Stato, Sez. VI, 30/6/2020, n. 4170; 13/5/2020, n. 3036; Sez. V, 12/10/2018, n. 5887). Orbene, nella fattispecie, come emerge dall'impugnata ordinanza di demolizione, l'appellante ha eseguito, su un'area soggetta a vincolo paesaggistico, una molteplicità di opere, alcune delle quali recanti ingombro volumetrico, altre incremento di superficie (maggior estensione del terrazzo d'ingresso) idonee, per lo più, a provocare significative modifiche della conformazione dell'immobile, e, quindi, in ogni caso soggette a permesso di costruire e preventivo rilascio di autorizzazione paesaggistica. Nel descritto contesto, l'adozione dell'ordine di demolizione assumeva carattere vincolato, ai sensi degli artt. 31 e 32, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001. Tutto ciò rende irrilevante che alcune delle menzionate opere, singolarmente considerate, potessero essere eseguite mediante semplice SCIA o DIA. Va ancora osservato che l'impugnata ordinanza n. 35/2008 specifica che le opere contestate sono state eseguite in assenza di titolo edilizio e in area soggetta a vincolo paesaggistica e tanto basta a giustificare l'adozione della misura ripristinatoria. Contrariamente a quanto dedotto dall'appellante, non occorreva, invece, che il provvedimento repressivo preavvisasse l'interessato della facoltà di chiedere la sanatoria delle opere realizzate, non rinvenendosi nell'ordinamento alcuna norma o principio che imponga un onere siffatto. Col secondo motivo, diretto contro il capo di sentenza con cui è stato definito il ricorso n. 296/2010, si censura la decisone assunta dal giudice di prime cure per non aver rilevato come le opere contestate non fossero soggette al preventivo rilascio del permesso di costruire, per cui non se ne sarebbe potuta ordinare la demolizione. D'altra parte, i provvedimenti gravati sarebbero illegittimi anche per le seguenti ulteriori ragioni. 1) il manufatto interessato dai contestati lavori avrebbe ottenuto l'agibilità /abitabilità, per cui il responsabile dell'ufficio tecnico non avrebbe potuto decretare l'inagibilità dell'opera senza prima ritirare gli atti abilitativi precedentemente intervenuti; 2) in assenza dell'agibilità l'unica sanzione prevista è di natura pecuniaria; 3) il provvedimento di inagibilità sarebbe di competenza del Sindaco; 4) in caso di pericolo impellente spetterebbe sempre al Sindaco provvedere sulla base del proprio potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti, ai sensi degli artt. 24, 25 e 26 del D.P.R. n. 380/2001 e 222 e segg. del R.D. 27/7/1934, n. 1265. La modifica dell'andamento planimetrico della ringhiera, la realizzazione della scala, la pavimentazione della copertura del locale pertinenziale e l'incremento di superficie del terrazzino, costituirebbero opere sanabili mediante SCIA, mentre la diffida ad utilizzare quanto realizzato in assenza della verifica delle condizioni strutturali riguarderebbe un locale munito di regolare certificato di agibilità /abitabilità . In ogni caso, il Tribunale non avrebbe considerato che l'amministrazione appellata avrebbe dovuto assicurare all'interessato la partecipazione al procedimento e avrebbe dovuto fornire congrua motivazione in ordine all'interesse pubblico al ripristino dei luoghi, motivazione richiesta anche in relazione ad atti vincolati. La doglianza non merita accoglimento. Come correttamente affermato nell'appellata sentenza, sul punto non fatta oggetto di censura, le opere contestate con le due ordinanze n. 21/2009 e 44/2009, devono essere fatte oggetto di una valutazione globale e complessiva, essendo le stesse teleologicamente preordinate all'esecuzione di un intervento strutturalmente e funzionalmente unitario, sostanzialmente coincidente con l'ampliamento della superficie di un terrazzo. Quest'ultimo non poteva avvenire in assenza di apposito permesso di costruire, con la conseguenza che, del tutto correttamente, le ordinanze di demolizione hanno riguardato gli abusi complessivamente commessi. E invero, le opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, pur se di natura pertinenziale o precaria e, quindi, assentibili con mera DIA, devono considerarsi abusive, laddove, come nella specie, realizzate in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica, con la conseguente applicazione della sanzione demolitoria (Cons. Stato, Sez. IV, 26/9/2018, n. 5524). Peraltro, è appena il caso di aggiungere che la DIA n. 21919 del 2008 non avrebbe, comunque, potuto legittimare i lavori di cui si discute, in quanto avente a oggetto la mera "installazione di una ringhiera". La censura con cui si deduce che la competenza a emanare la diffida a utilizzare le opere abusivamente realizzate sarebbe del sindaco e non del responsabile dell'ufficio tecnico e che, comunque, la stessa sarebbe illegittima in quanto il locale avrebbe ottenuto il certificato di agibilità /abitabilità, è infondata. Con riguardo al profilo della competenza, si rileva che non vi è alcun elemento che induca a ritenere che la diffida contenuta nell'ordinanza n. 44/2009, sia stata adottata nell'esercizio di un potere extra ordinem di spettanza del Sindaco. D'altra parte, ai sensi dell'art. 107 del D.Lgs. 18/8/2000, n. 267, rientra nelle funzioni del dirigente comunale competente per materia, inibire, al responsabile di un abuso edilizio, l'utilizzo del bene che ne costituisce il prodotto, per l'assenza di certezze in ordine all'idoneità statica del medesimo. Nessun rilievo può, poi, avere, ai fini della legittimità della contestata diffida, la circostanza che il manufatto su cui sono state eseguite le opere abusive di che trattasi, avesse, a suo tempo, ottenuto il certificato di abitabilità . Quest'ultimo, infatti, si limita ad accertare l'inesistenza di cause di insalubrità dell'edificio (Cons. Stato, Sez. VI, 17/10/2022, n. 8811), senza alcuna inerenza con i profili di idoneità statica dell'edificio. Sono, infine, prive di pregio le doglianze con cui si lamenta che, nella specie, le avversate ordinanze sarebbero state emanate senza assicurare le garanzie partecipative e in assenza di congrua motivazione in ordine all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi. E invero, per pacifica giurisprudenza, che il Collegio condivide: a) appurata l'abusività dei lavori, l'esercizio del potere repressivo assume natura doverosa e vincolata, per cui il provvedimento demolitorio è sufficientemente motivato, come nella fattispecie, con l'individuazione delle opere contestate e delle ragioni della loro illiceità (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 13/1/2022, n. 251); b) l'interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive è sempre in re ipsa, per cui sul punto non occorre specifica motivazione, né è necessario comparare tale interesse con quello del privato alla conservazione della situazione di fatto illecita (Cons. Stato, A.P. 17/10/2017, n. 9, Sez. VI, 10/7/2020, n. 4425; 22/4/2020, n. 2557; 4/10/2019, n. 6720; 8/4/2019, n. 2292; 5/11/2018, n. 6233; 26/3/2018, n. 1893; 23/11/2017, n. 5472 e 5/1/2015, n. 13; Sez. II, 19/6/2019, n. 4184; Sez. IV, 11/12/2017, n. 5788); c) l'ordine di demolizione non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento, dato che la natura vincolata del relativo potere non consente all'amministrazione di compiere valutazioni di interesse pubblico in ordine alla conservazione del bene (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 24/2/2022, n. 1304; 27/9/2021, n. 6490; 15/2/2021, n. 1351; 7/1/2021, n. 187; 13/5/2020, n. 3036; 25/2/2019, n. 1281; Sez. V, 12/10/2018, n. 5887; Sez. IV, 27/5/2019, n. 3432; Sez. II, 29/7/2019, n. 5317 e 26/6/2019, n. 4386). L'appello va, pertanto, respinto. Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese di verificazione, liquidate come da richiesta del perito, vanno poste a carico della parte appellante che ha dato causa alla controversia. Sussistono eccezionali ragioni per disporre l'integrale compensazione di spese e onorari di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge. Le spese di verificazione, liquidate in Euro 4.916,12 (quattromilanovecentosedici/12) come da richiesta del perito, vanno poste a carico della parte appellante. Spese e onorari di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Alessandro Maggio - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER L’EMILIA-ROMAGNA  composta dai magistrati: dott. Marcovalerio Pozzato Presidente dott. Tiziano Tessaro dott. Marco Scognamiglio Consigliere Primo Referendario dott.ssa Ilaria Pais Greco Referendario (relatore) Adunanza del 29 marzo 2023 Comune di (Omissis) (RN) Rendiconto 2021 e Preventivo 2022-2024 Visti gli artt. 81, 97, 100, 117 e 119 della Costituzione; Visto il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni; Vista la L. 14 gennaio 1994, n. 20; Visto il Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti con il quale è stata istituita in ogni Regione ad autonomia ordinaria una Sezione Regionale di Controllo, deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000, modificato con le deliberazioni delle Sezioni Riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004, e, da ultimo, con deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 229, del 19 giugno 2008; Visto il D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali; Vista la L. 5 giugno 2003, n. 131; Visto l’art. 1, c. 166 e seguenti, della L. 23 dicembre 2005, n. 266; Vista la L. 31 dicembre 2009, n. 196; Visto il D. Lgs. 23 giugno 2011, n. 118; Visto l’art. 148 bis, comma 3, del TUEL, così come introdotto dall’art. 3, c. 1 lettera e), del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni nella del 7 dicembre 2012, n. 213; Viste le linee guida per la redazione delle relazioni inerenti al rendiconto dell’esercizio 2021, approvate dalla Sezione delle autonomie con deliberazione n. 10/2022/INPR; Considerato che le suddette linee guida e i relativi questionari sono stati portati a conoscenza degli enti locali dell’Emilia-Romagna con lettera di questa Sezione del 10 ottobre 2022 (prot. n. 6305); Vista la deliberazione n. 2/SEZAUT/2022/INPR con la quale la Sezione delle autonomie ha approvato le linee guida per la relazione dell’organo di revisione economico-finanziaria sul bilancio di previsione 2022-2024 nonché il relativo questionario; Considerato che dette linee guida e i relativi questionari sono stati portati a conoscenza degli enti locali dell’Emilia-Romagna con lettera di questa Sezione del 27 giugno 2022 (prot. n. 3173); Vista la deliberazione n. 195/2022/INPR con la quale la Sezione ha approvato il programma di lavoro per l’anno 2023; Vista la deliberazione di questa Sezione n. 190/2022/INPR con la quale sono stati approvati i criteri di selezione degli enti da assoggettare al controllo; Esaminate, a seguito delle indicazioni della Sezione delle autonomie, le relazioni sul rendiconto di gestione per l’esercizio finanziario 2021 e sul bilancio preventivo 2022-2024 redatte dall’Organo di Revisione del Comune di (Omissis) (RN); Viste le note del 9 e 19 gennaio 2023 (prot. n. 80 e prot. n. 300), con le quali il magistrato istruttore ha chiesto chiarimenti al Comune; Viste le deduzioni pervenute, a firma dell’Organo di revisione e del Responsabile del servizio finanziario del Comune; Vista l’ordinanza del Presidente della Sezione mediante la quale il Collegio è stato convocato per l’odierna camera di consiglio; Udito il relatore, Referendario Ilaria Pais Greco. RITENUTO IN FATTO La Sezione, nell’ambito delle attività di controllo per l’anno 2023, ha esaminato la documentazione relativa al bilancio preventivo per il triennio 2022- 2024 e al rendiconto per l’esercizio 2021 del Comune di (Omissis), e in particolare: le relazioni dell’Organo di revisione sul rendiconto per l’esercizio 2021 e sul bilancio di previsione per gli esercizi 2022-2024, inviate a questa Sezione ai sensi dell’art. 1, c. 166, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, redatte in conformità alle linee guida approvate dalla Sezione delle autonomie con deliberazione n. 2/SEZAUT/2022/INPR e n. 10/SEZAUT/2022/INPR, mediante la compilazione dei questionari ivi allegati (di seguito anche “questionari”); le relazioni dell’Organo di revisione, prodotte ai sensi dell’art. 239 del TUOEL, sulla proposta di bilancio di previsione 2022-2024 e sulla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto della gestione per l’esercizio finanziario 2021; gli schemi di bilancio presenti nella banca dati delle amministrazioni pubbliche (BDAP) relativi ai suddetti documenti contabili; l’ulteriore documentazione relativa al bilancio preventivo e al rendiconto pubblicata sul sito internet istituzionale del Comune di (Omissis). Dall’esame della documentazione in atti, emerge la situazione contabile e finanziaria compendiata nelle seguenti tabelle relative al rendiconto 2021. EQUILIBRI DI BILANCIO Rendiconto 2021 Equilibrio di parte corrente € 132.234,54 Equilibrio di parte capitale € 11.008,88 Saldo delle partite finanziarie € 0,00 Equilibrio finale € 143.243,42 La costruzione degli equilibri nel 2021 rispetta quanto stabilito dal D. Lgs. 118/2011 e il Comune di (Omissis) ha conseguito un risultato di competenza non negativo, così come prescritto dall'art. 1, c. 821, della L. n. 145/2018. RISULTATO D’AMMINISTRAZIONE Rendiconto 2020 Rendiconto 2021 Fondo cassa € 357.599,42 € 282.947,87 Residui attivi € 849.201,56 € 881.738,27 Residui passivi € 852.932,39 € 739.059,71 FPV per spese correnti € 0,00 € 15.879,46 FPV per spese in conto capitale € 98.436,17 € 75.213,89 Risultato di amministrazione € 255.432,42 € 334.533,08 Totale accantonamenti € 201.540,56 € 311.077,30 di cui: FCDE € 118.565,54 € 184.548,48 Totale parte vincolata € 62.171,56 € 40.278,88 Totale parte destinata agli investimenti € 0,00 € 0,00 Totale parte disponibile - € 8.279,70 - € 16.823,10 Come già rilevato nelle precedenti deliberazioni della scrivente Sezione (n. 259/2021/PRSE e n. 102/2022/PRSE), il Comune di (Omissis) ha maturato, al 1° gennaio 2015, un disavanzo da riaccertamento straordinario pari a 177.522,23 euro da ripianare in 30 anni, con quote costanti di 5.917,40 euro. Il Comune, come negli anni precedenti, presenta la parte disponibile del risultato di amministrazione negativa, sebbene in progressivo recupero e con quote maggiori rispetto a quelle previste nel piano di rateizzazione, riportate nella sottostante tabella. Nell’esercizio 2021 l’Ente ha applicato correttamente al bilancio di previsione la quota annua di disavanzo derivante da riaccertamento straordinario dei residui pari a 5.917,40 euro. Disavanzo effettivo -€ 158.677,21 - € 153.852,40 -€ 145.652,45 -€ 8.279,70 -€ 16.823,10 -€142.017,60 -€ 136.100,20 Rendiconto 2020 Rendiconto 2021 € 5.917,40 € 5.917,40 € 5.917,40 € 5.917,40 € 5.917,40 Disavanzo teorico da piano di rateizzazione -€ 159.769,80 -€ 153.852,40 -€ 147.935,00 Rendiconto 2017 Rendiconto 2018 Rendiconto 2019 Quota annua da recuperare A seguito delle risultanze del rendiconto dell’anno precedente (2020), il disavanzo residuo atteso a rendiconto 2021, in base al maggior recupero del disavanzo registrato negli anni precedenti, avrebbe dovuto essere pari a - 2.362,30 euro (ossia disavanzo accertato a rendiconto 2020 di - 8.279,70 euro ridotto della quota annua da recuperare pari a 5.917,40 euro) in luogo di quello accertato a rendiconto 2021 pari a - 16.823,10 euro. Il maggiore disavanzo di 14.460,80 euro costituisce pertanto nuovo disavanzo ordinario generato in tale esercizio, da recuperare ai sensi dell’art. 188 del D. Lgs. 267/2001. Come già riportato nella precedente deliberazione di questa Sezione (n. 102/2022/PRSE), relativa ai controlli sul rendiconto 2020, l’Ente, a seguito di richiesta istruttoria, ha dichiarato di aver approvato, con delibera di Consiglio comunale n. 18 del 18 maggio 2022, il ripiano negli esercizi 2022/2023 della quota di disavanzo di amministrazione di 14.460,80 euro ai sensi dell’art. 188 del TUOEL, applicando la quota annuale di 7.230,40 euro per ciascuno degli esercizi 2022 e 2023, mediante maggiori entrate da recupero evasione IMU e minori spese. Come evidenziato nella richiamata delibera consiliare, il peggioramento del recupero del disavanzo di amministrazione nel 2021 rispetto al 2020, nonostante l’Ente mostri un trend virtuoso di recupero rispetto al piano, è stato determinato essenzialmente dall’accantonamento nell’esercizio 2021 del fondo garanzia dei debiti commerciali e dalla rinegoziazione dei mutui effettuata nel 2020, che ha comportato una notevole riduzione della spesa per la quota capitale nell’esercizio di adesione alla rinegoziazione (avvenuta nello stesso 2020), prevedendo tuttavia quote progressivamente crescenti per gli esercizi dal 2021 in poi. Nel bilancio di previsione finanziario 2022-2024, l’Ente ha inserito quindi, con apposita variazione, la nuova quota annuale di disavanzo ordinario di 7.230,40 euro, andata così ad aggiungersi alla quota annuale di recupero di disavanzo derivante da riaccertamento straordinario dei residui pari a 5.917,40 euro. Riguardo alla gestione dei residui, l’Organo di revisione nella propria relazione rileva una capacità di smaltimento di quelli attivi pari al 52,74 % e di quelli passivi del 75,21 %. Nel sottostante quadro riassuntivo è riportato l’ammontare dei residui attivi, ripartiti per titoli di entrata, provenienti dalla gestione residui nonché da quella di competenza e il cui andamento si presenta costante rispetto al 2020. Titolo entrata  Rendiconto 2021 Gestione residui Gestione competenza 2021 1 - Entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa € 132.338,93 € 145.599,85 2 - Trasferimenti correnti € 12.975,31 € 58.485,07 3 - Entrate extratributarie € 26.168,31 € 54.184,53 4 - Entrate in conto capitale € 182.997,97 € 253.419,58 5 - Entrate da riduzione di attività finanziarie € 0,00 € 0,00 6 - Accensione prestiti € 0,00 € 0,00 7 - Anticipazioni da istituto tesoriere/cassiere € 0,00 € 0,00 9 - Entrate per conto terzi e partite di giro € 10.243,52 € 5.325,20 Totale € 364.724,04 € 517.014,23 Fra gli accantonamenti nel risultato di amministrazione, il Fondo crediti dubbia esigibilità (FCDE) ammonta a 184.548,48 euro (118.565,54 nel 2020) e nel questionario sul rendiconto 2021 l’Ente dichiara che l’Organo di revisione ha verificato la regolarità della metodologia di calcolo e che il Comune non si è avvalso della facoltà di calcolare, nella quantificazione del fondo da accantonare nel risultato di amministrazione 2021, la percentuale di riscossione del quinquennio precedente con i dati del 2019 in luogo di quelli del 2020 e del 2021, ai sensi dell’art. 107 bis del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, come modificato dall’art. 30 bis del D.L. 22 marzo 2021, n. 41. Oltre al Fondo crediti di dubbia esigibilità, è stata accantonata la quota di 72.619,92 euro al Fondo anticipazioni di liquidità (FAL) per il contratto di anticipazione stipulato dall’Ente, ai sensi dell’art. 116 del D.L. 19 maggio 2020, 34, in data 11 agosto 2020 con Cassa Depositi e Prestiti al fine di far fronte ai pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2019. Dal piano di ammortamento, la cui corretta contabilizzazione l’Organo di revisione attesta di avere verificato, risultano 25 rate decorrenti dal 1° novembre 2021 fino al 31 ottobre 2046, con un debito residuo invariato pari ad 72.619,92 euro per gli anni 2021 e 2022 e in costante diminuzione negli anni successivi alla prima scadenza di pagamento della quota capitale, intervenuta nel 2022. L’Ente ha costituito, inoltre, un accantonamento a fondo rischi di 5.254,56 euro di cui l’Organo di revisione, nella propria relazione, attesta la congruità precisando come l’ente dichiari di non aver alcun contenzioso in essere e di come l’accantonamento abbia mera natura prudenziale. Ad ogni buon conto, il Revisore invita l’Ente, nonostante l’assenza di contenziosi, ad adottare una deliberazione di Giunta di ricognizione negativa di tali procedimenti. Ulteriori accantonamenti riguardano l’indennità di fine mandato del Sindaco per 8.399,25 euro e gli aumenti contrattuali del personale dipendente per 12.319,14 euro. Il Revisore unico ha altresì verificato che l’Ente è tenuto alla previsione del fondo per garanzia dei debiti commerciali che, in effetti, risulta quantificato tra le quote accantonate del risultato di amministrazione nella misura di 27.935,95 euro. D’altro canto, non risulta costituito il Fondo perdite partecipate non ricorrendone la fattispecie, secondo quanto dichiarato dall’Ente nel questionario. Dal medesimo questionario sul rendiconto emerge che il fondo per le risorse decentrate non è stato certificato dall’Organo di revisione e che l’ente non ha sottoscritto, entro il 31 dicembre 2021, l’accordo decentrato integrativo del personale dipendente. La motivazione fornita è che l’Ente aveva in corso una revisione del Fondo risorse decentrate, in attesa della quale la contrattazione e la gestione del fondo sono state prudenzialmente congelate. Sul punto l’Ente dichiara di aver accantonato nel risultato di amministrazione le somme concernenti l’accordo decentrato integrativo non approvato entro l’esercizio finanziario ma, da un’analisi dei documenti contabili, tali quote non risultano confluite nella parte vincolata del risultato di amministrazione bensì imputate, per il salario accessorio, a fondo pluriennale vincolato di parte corrente per l’importo complessivo di 15.879,46 euro. CAPACITÀ DI RISCOSSIONE La capacità di riscossione delle entrate proprie dell’ente mostra, rispetto al precedente esercizio, un incremento delle entrate sia tributarie sia extratributarie dell’Ente in conto residui (titoli 1 e 3) mentre, in conto competenza, se lo stesso andamento crescente è riscontrabile per il titolo 3, per le entrate del titolo 1 la percentuale di riscossione rimane costante. I dati riassunti nella seguente tabella restituiscono il quadro della riscossione in rapporto agli accertamenti nell’esercizio considerato. Rendiconto 2021 Accertamenti (a) Rendiconto 2021 Riscossioni (b) % (b/a) Tit.1 residui (iniziali +riaccertati) € 225.517,57 € 93.178,64 41,32 % Tit.1 competenza € 860.455,55 € 714.855,70 83,08 % Tit.3 residui (iniziali +riaccertati) € 78.748,97 € 52.580,66 66,77 % Tit.3 competenza € 192.819,03 € 138.634,50 71,90 % Al fine di avere un quadro dinamico dell’andamento della riscossione, come sopra rappresentato, si riportano nella tabella sottostante le percentuali di riscossione in rapporto agli accertamenti dell’esercizio in corso rispetto a quelle del 2020. Anno 2020 Anno 2021 Tit.1 residui (iniziali +riaccertati) 39,93 % 41,32 % Tit.1 competenza 83,59 % 83,08 % Tit.3 residui (iniziali +riaccertati) 29,88 % 66,77 % Tit.3 competenza 60,04 % 71,90 % In merito all’attività di contrasto all’evasione tributaria, notevolmente incrementata rispetto all’esercizio 2020 nel quale risultavano accertamenti per complessivi 1.776,66 euro, dal questionario sul rendiconto 2021 risultano accertamenti per recupero evasione per IMU/TASI per 100.476,80 euro e per altri tributi (TARSU/TIA/TARES/TARI) per 13.000,00 euro. Nessun incasso è avvenuto nell’esercizio in quanto, come precisato dall’ente, gli avvisi di accertamento sono stati notificati a fine esercizio. L’accantonamento a fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE) iscritto a rendiconto è pari a 69.652,06 euro. SITUAZIONE DI CASSA Rendiconto 2021 Fondo cassa finale € 282.947,87 Anticipazione di tesoreria (importo massimo dell’anticipazione giornaliera utilizzata) € 0,00 Cassa vincolata € 20.000,20 Tempestività dei pagamenti + 35,44 giorni Il fondo cassa del conto del Tesoriere al 31 dicembre 2021 corrisponde alle risultanze delle scritture contabili dell’ente. L’ente gestisce la cassa vincolata e dichiara di averla aggiornata correttamente sebbene la stessa non risulti movimentata in corso d’esercizio. Nel 2021 il Comune non ha fatto ricorso all’anticipazione di tesoreria a differenza dei precedenti esercizi finanziari nei quali risulta averla utilizzata per 2 giorni (nel 2020) e per 233 giorni (nel 2019). L’indicatore annuale di tempestività dei pagamenti, ancora positivo, è tuttavia significativamente migliorato rispetto al 2020 in cui era di+ 87,96 giorni. INDEBITAMENTO Rendiconto 2020 Rendiconto 2021 Debito complessivo a fine anno € 1.679.741,88 € 1.634.992,84 L’Ente, nell’esercizio 2021, non ha fatto ricorso a nuovo debito né ha effettuato operazioni di rinegoziazione mutui o ha in essere garanzie (fideiussioni o lettere di patronage) e altre operazioni di finanziamento né a favore dei propri organismi partecipati né a favore di soggetti terzi. Non sono stati conclusi - o risultano in corso di esecuzione - contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati od operazioni di partenariato pubblico privato di cui al D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50. 2.1. Dalla documentazione in atti per l’esercizio 2021 risulta inoltre quanto segue: dalle domande preliminari del questionario non risultano elementi di criticità; il rendiconto 2021 è stato approvato, nei termini di legge, con delibera consiliare n. 17 del 18 maggio 2022; l’Ente ha trasmesso i dati alla BDAP con esito dei controlli negativo per cui l’Organo di revisione, nella propria relazione, invita ad effettuare per i prossimi adempimenti una prova preliminare di invio al fine di non incorrere in errori; c’è coerenza nell’ammontare del FPV con quello iscritto a rendiconto 2020 anche se il FPV 2021 è stato reimputato al solo esercizio 2022; l’indebitamento rispetta i parametri sanciti dagli articoli 203, 204 e 207 del TUOEL; a rendiconto 2021 risultano rispettati tutti i parametri obiettivi per i Comuni ai fini dell'accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario; durante l’esercizio 2021 non sono stati riconosciuti debiti fuori bilancio; nel medesimo esercizio risultano rispettati il vincolo di spesa per il personale dettato dall’art. 1, c. 557 e 562, della L. 27 dicembre 2006, n. 296, ed è stato altresì accertato dall’Ente, con delibera n. 60 del 10 ottobre 2020, che lo stesso si colloca quale ente virtuoso rispetto alle nuove regole assunzionali previste dall’art. 33, c. 2, del D.L. 30 aprile 2019, n. 34; quanto agli effetti dell’emergenza sanitaria sulla gestione finanziaria dell’esercizio in esame, l’Ente ha trasmesso alla Ragioneria Generale dello Stato le certificazioni sulla perdita di gettito 2020 e 2021, connessa all'emergenza, entro il 31 maggio, rispettivamente del 2021 e 2022, e il Comune ha dichiarato che i dati ivi contenuti concordano con quelli esposti nel conto consuntivo 2021. Nel questionario a rendiconto il Comune indica che i ristori specifici di spesa, confluiti al 31 dicembre 2020 nell’avanzo vincolato, sono stati interamente spesi nell’esercizio 2021 come si evince anche dal prospetto di utilizzo delle risorse vincolate confluite del risultato di amministrazione dell’esercizio precedente che mostra come tali risorse, pari a 62.171,56 euro, risultino totalmente applicate per spese correnti all’esercizio 2021. Parallelamente, infatti, a rendiconto 2020, le somme collegate all’emergenza sanitaria definitivamente vincolate nel risultato di amministrazione, secondo quanto riportato nell’elenco analitico di cui all’allegato a2), ammontano a 62.171,56 euro, di cui 17.933,56 per fondo funzioni fondamentali, 4.128,00 euro quali ristori di entrata e 40.110,00 euro quali ristori specifici di spesa relativi al Fondo comuni particolarmente danneggiati dall’emergenza sanitaria di cui all’art. 112 bis, c. 1, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34. la contabilizzazione dei servizi per conto terzi rispetta il relativo principio contabile; il Comune ha provveduto alla tenuta dell’inventario, dichiarando, nel questionario sul rendiconto, di essersi avvalso della facoltà di redigere la situazione patrimoniale semplificata secondo le indicazioni del D.M. 10 novembre 2020, trattandosi di ente con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti; nel questionario l’Organo di revisione dichiara che i prospetti dimostrativi per la rilevazione dei debiti e crediti reciproci tra l’ente e gli organismi partecipati, di cui all'art. 11, c. 6, lett. j, del D. Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, hanno riguardato la totalità delle partecipazioni rilevanti ai fini dell’adempimento - dirette, indirette o di controllo –, confermando il medesimo organo, nel proprio parere, che dal confronto non sono emerse criticità; nell’ esercizio 2021 non sono state costituite società o acquisite partecipazioni in società già esistenti né sono stati dismessi organismi partecipati. Sul bilancio di previsione per il triennio 2022-2024 del Comune di (Omissis), approvato con deliberazione di Consiglio comunale n. 14 del 31 marzo 2022, è stato espresso il parere favorevole dell’Organo di revisione, nella relazione prodotta ai sensi dell’art. 239 del TUEL. L’impostazione del bilancio preventivo, come confermato nel questionario dall’Organo di revisione, è altresì tale da garantire il rispetto degli equilibri di cui all’art. 162 del TUEL nonché dei risultati di competenza d’esercizio non negativi ai sensi dell’art. 1, c. 821, della L. 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019), come da prospetti di cui al D.M. 1° agosto 2019 e successive modificazioni. Dal medesimo questionario emerge inoltre che l’ente ha in corso di attuazione o prevede di attivare interventi di efficientamento energetico, sismico e di digitalizzazione a valere su risorse del PNRR o del PNC, per alcuni dei quali è unico soggetto attuatore ed i cui termini, previsti dai cronoprogrammi approvati, rientrano nel periodo dal 2023 al 2026. Si rammenta, infine, come sopra evidenziato (par. 2), che il Comune di (Omissis) è stato destinatario di pronuncia relativa al rendiconto 2020 e al preventivo 2021/2023, nella quale la Sezione ha invitato l’ente al rispetto delle prescrizioni legislative sulla gestione delle risorse destinate al trattamento retributivo accessorio del personale dipendente e all’espletamento delle fasi prodromiche alla sua corresponsione nonché sottolineato l’importanza della doppia asseverazione nei prospetti dimostrativi dei crediti e debiti reciproci con i propri enti strumentali e società partecipate. In esito agli elementi di potenziale criticità, il magistrato istruttore ha avviato l’istruttoria, chiedendo al Comune, con note del 9 gennaio e del 19 gennaio 2023 (prot. n. 80 e n. 300), di fornire chiarimenti in merito ai seguenti punti: fondo crediti dubbia esigibilità (FCDE); fondo pluriennale vincolato (FPV) e cronoprogrammi di spesa; aumento dei costi delle utenze in relazione alla crisi energetica in corso; assunzione o meno della decisione, in base all’art. 1, c. 129, della L. 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di bilancio 2023), di non applicare l’annullamento automatico, previsto dall’art. 1, c. 227 e 228, della medesima legge, di debiti di importo residuo fino a mille euro risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015. 5.1. A riscontro delle avanzate richieste istruttorie, il Comune, in data 3 febbraio (note prot. C.d.c. dal n. 694-695), ha fornito i seguenti chiarimenti. 5.1.1. In merito al calcolo del FCDE, l’Ente ha trasmesso il prospetto utilizzato per quantificare l’accantonamento a rendiconto 2021, rappresentando le tipologie di entrate considerate, motivando su quelle escluse dal calcolo, nonché le annualità prese a riferimento (dal 2017 al 2021). Come già sopra evidenziato, il Comune non si è avvalso della facoltà di quantificare il fondo crediti dubbia esigibilità, da accantonare nel risultato di amministrazione 2021 (entrate titolo 1 e 3), calcolando la percentuale di riscossione del quinquennio precedente con i dati del 2019 in luogo di quelli del 2020 e del 2021, introdotta dall’art. 107 bis del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, successivamente modificato dall’art. 30 bis del D.L. 22 marzo 2021, n. 41. Modalità e metodologia di calcolo – quelle rappresentate dall’Ente - che il Revisore dichiara di aver verificato. 5.1.2. A riscontro della richiesta di dare conto della corretta valorizzazione del FPV di parte capitale, pari a 75.213,89 euro, l’Ente precisa che le opere pubbliche in programma sono state realizzate prevalentemente con contributi ministeriali, regionali e provinciali e in parte con oneri di urbanizzazione, avendo riguardato modesti interventi per i quali, in fase di progettazione e/o di realizzazione, era ipotizzabile la conclusione delle opere entro la fine dell’esercizio. Per ogni intervento relativo alle opere pubbliche avviate nell’esercizio 2021 vengono forniti aggiornamenti e precisazioni in merito alle fonti di finanziamento nonché al rispetto delle normative e dei principi contabili vigenti. Un unico intervento, finanziato da contributo ministeriale (intervento di efficientamento energetico e messa in sicurezza per “Completamento interventi di manutenzione straordinaria all’edificio scolastico in Via Circonvallazione”), ha comportato la costituzione del fondo pluriennale vincolato con imputazione all’esercizio 2022 nel quale è diventata esigibile la spesa, mentre per un altro intervento, finanziato prevalentemente da contributi regionali (intervento di riqualificazione delle aree di viabilità comunale), il Comune ha proceduto, in sede di riaccertamento dei residui, alla contestuale reimputazione all’esercizio successivo dei relativi accertamenti e impegni. 5.1.3. Al fine di valutare l’adeguatezza della copertura delle maggiori spese derivanti dall’aumento dei costi energetici, l’Ente ha precisato di aver provveduto a un incremento degli stanziamenti dei capitoli di spesa già in fase di previsione di bilancio 2022, iscrivendo 114.000,00 euro, e di aver provveduto, mediante apposite variazioni di bilancio intervenute in corso d’anno, ad incrementare gli stanziamenti per ulteriori 47.770,24 euro le cui fonti di finanziamento sono fondi statali per la continuità dei servizi erogati per 18.536,23 euro, proventi dalle concessioni edilizie per 16.939,10 euro ed altre risorse proprie dell’ente per 12.294,91 euro. Nonostante alcuni conguagli non siano ancora pervenuti, l’Ente prevede, in base all’andamento delle spese, l’integrale copertura dei costi segnalando di aver avviato nel 2022 un costante monitoraggio della spesa energetica ed azioni tese alla razionalizzazione e riduzione dei consumi affiancati ad investimenti di efficientamento energetico dei propri impianti di illuminazione pubblica mediante l’utilizzo di fondi statali, ai sensi dell’art. 1, c. 29, della L. 27 dicembre 2019, n. 160, confluiti successivamente nel PNRR, Missione 2 Rivoluzione verde e transizione ecologica, Componente 4 Tutela del territorio e della risorsa idrica, Investimento 2.2 Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l'efficienza energetica dei comuni, come riportato nella delibera di Giunta comunale n. 72 del 9 dicembre 2022. 5.1.4. In ordine all’annullamento automatico, introdotto dalla legge di bilancio 2023, dei debiti di importo residuo fino a mille euro, risultanti alla data di entrata in vigore della medesima legge dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015, il Comune, richiamando la normativa, precisa di non essere fra i destinatari della stessa, individuati esclusivamente in quei Comuni che nell’arco temporale in esame abbiano affidato all’Agenzia Entrate Riscossione il relativo servizio mediante l’emissione di ruoli e non a quegli enti che, come il Comune di (Omissis), abbiano utilizzato, ai fini della riscossione coattiva, le ingiunzioni fiscali e gli accertamenti esecutivi. Il Magistrato istruttore, alla luce del contraddittorio cartolare con l’Ente e delle criticità rilevate per tabulas, ha chiesto al Presidente della Sezione di sottoporre le risultanze dell’istruttoria sul Comune di (Omissis) all’esame del Collegio. CONSIDERATO IN DIRITTO In seguito alla riforma del Titolo V Parte II della Costituzione, la L. 5 giugno 2003, n. 131, concernente “Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3” ha previsto in capo alla Corte dei conti forme di controllo cd. “collaborativo” nei confronti di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni (art. 114 Cost.), finalizzate alla verifica del rispetto degli equilibri di bilancio da parte delle autonomie territoriali, in osservanza dei vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (art. 117 Cost.). La successiva L. 23 dicembre 2005, 266 (Legge finanziaria 2006), ha poi previsto, per gli Organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali, l’obbligo di trasmissione alle competenti sezioni regionali di controllo di una relazione sul bilancio di previsione e sul rendiconto dell'esercizio di competenza, in base a criteri e linee guida definiti dalla Corte dei conti. Nelle intenzioni del legislatore tale adempimento deve dare conto, in particolare, del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell'osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'art. 119, u.c., della Costituzione nonché di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alla quale l'amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall'Organo di revisione. Chiamata a pronunciarsi sulle citate disposizioni, la Corte costituzionale ha affermato che tale forma di controllo esterno è da ritenere “ascrivibile alla categoria del riesame di legalità e regolarità”, concorrendo “alla formazione di una visione unitaria della finanza pubblica, ai fini della tutela dell’equilibrio finanziario e di osservanza del patto di stabilità interno” (ex multis, sent. n. 179 del 2007), e altresì che tale nuova attribuzione trova diretto fondamento nell’art. 100 Cost., il quale - come noto - assegna alla Corte dei conti il controllo successivo sulla gestione del bilancio come controllo esterno e imparziale, dovendosi quindi intendere il controllo sulla gestione del bilancio dello Stato esteso, alla luce del mutato quadro costituzionale di riferimento, ai bilanci di tutti gli enti pubblici che costituiscono, nel loro insieme, la finanza pubblica allargata (art. 97, C. 1, Cost.). 1.1. L’art. 3, c. 1, lett. e), del D.L. n. 174/2012, convertito con modificazioni nella L. n. 213/2012, ha introdotto nel D. Lgs. n. 267/2000 l’art. 148 bis (“Rafforzamento del controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti locali”) il quale prevede che le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti esaminino i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi degli enti locali per la verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'articolo 119, ultimo comma, della Costituzione, nonché della sostenibilità dello stesso, dell'assenza di irregolarità, suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti. Ai fini della verifica in questione, la Sezione regionale di controllo deve accertare che i rendiconti degli enti locali tengano conto anche delle partecipazioni in società alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici locali e di servizi strumentali. In conformità alla disposizione dell’art. 148 bis, c. 3, del D. Lgs. n. 267/2000, qualora le Sezioni regionali della Corte accertino la sussistenza "di squilibri economico-finanziari, della mancata copertura di spese, della violazione di norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria, o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il Patto di stabilità interno”, gli enti locali interessati sono tenuti ad adottare, entro sessanta giorni dalla comunicazione della delibera di accertamento, “i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio”, nonché a trasmettere alla Corte i provvedimenti adottati, in modo che la magistratura contabile possa verificare, nei successivi trenta giorni, se gli stessi siano idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio. In caso di mancata trasmissione dei provvedimenti correttivi o di esito negativo della valutazione, “è preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria”. Sulle disposizioni normative appena esaminate la Corte costituzionale (sent. n. 60/2013) ha evidenziato come l’art. 1, c. 166-172, L. n. 266/2005 e l’art. 148 bis del TUEL abbiano istituito tipologie di controllo, estese alla generalità degli enti locali, finalizzate a evitare e prevenire situazioni di pregiudizio irreparabile agli equilibri di bilancio. Pertanto, tali forme di controllo si collocano su profili distinti rispetto al controllo sulla gestione amministrativa e sono compatibili con l’autonomia di regioni, province e comuni, in forza del supremo interesse alla legalità finanziaria e alla tutela dell’unità economica della Repubblica (artt. 81, 119 e 120 Cost.). Tali funzioni di controllo attribuite alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti assumono ancora maggior rilievo nel quadro delineato dall’art. 2, c. 1, della L. Cost. 20 aprile 2012, n. 1, che, nel comma introdotto a modifica dell’art. 97 Cost., richiama il complesso delle pubbliche amministrazioni ad assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea. Qualora le riscontrate irregolarità non integrino fattispecie di irregolarità sanzionabili ai sensi dell’art. 148 bis, c. 3, del TUEL, la Sezione regionale di controllo ritiene comunque necessario richiamare l’attenzione dell’Ente, in particolare degli organi politici e degli organi tecnici di controllo (responsabile dei servizi finanziari, Revisori dei conti, Segretario comunale), ognuno per la parte di competenza, affinché siano adottate le opportune misure di autocorrezione. In tale contesto si inserisce peraltro la riforma operata dal D. Lgs. 23 giugno 2011, 118, che, in virtù della delega contenuta nella L. 42/2009 per l’attuazione del federalismo fiscale di cui all’art. 119 Cost., ha intrapreso il processo di armonizzazione dei sistemi contabili degli enti territoriali e dei loro organismi partecipati, in quanto dalla leggibilità e confrontabilità dei bilanci pubblici dipende la corretta valutazione degli andamenti della finanza territoriale, i cui esiti si riflettono sui conti pubblici nazionali nei termini già descritti. 1.2. Con riferimento alla fase di avvio del procedimento di controllo dei rendiconti da parte delle Sezioni regionali, la Sezione delle autonomie ha precisato che “le Linee guida e il questionario costituiscono un supporto operativo fondamentale e propedeutico agli approfondimenti istruttori di cui le stesse ravvisino la necessità” (del. n. 12/SEZAUT/2019/INPR, del 28 maggio 2019), sebbene debba ritenersi che l’interpretazione sistematica della vigente normativa, orientata dai principi costituzionali, non escluda la possibilità di estendere le verifiche contabili, in primo luogo al fine di accertare l’attualità degli equilibri economico-finanziari e la regolarità contabile. Del resto, da lungo tempo la Corte costituzionale evidenzia che il controllo in esame si pone in una prospettiva non più statica (come, invece, il tradizionale controllo di legalità-regolarità) ma dinamica, in grado di finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo all’adozione di effettive misure correttive, funzionali a garantire il rispetto complessivo degli equilibri di bilancio (ex multis, sent. 7 giugno 2007, n. 179). Ne consegue che l’attività di controllo deve consentire di rappresentare non solo le gravi irregolarità eventualmente riscontrate, ma anche l’effettiva situazione finanziaria che ne discende, a vantaggio della collettività interessata e degli organi elettivi degli enti controllati, affinché questi ultimi possano responsabilmente assumere le decisioni correttive ritenute più appropriate (ex plurimis, Sez. contr. Calabria, del. 8 gennaio 2020, n. 4). Coerentemente la Sezione delle autonomie raccomanda alle Sezioni territoriali di “avvicinare le analisi sui documenti di bilancio all’esercizio finanziario più prossimo a quello in corso di gestione”, al fine di consentire di “collegare, nella migliore misura possibile, gli effetti delle pronunce delle Sezioni regionali alla formalizzazione delle decisioni di programmazione/ rendicontazione/correzione di competenza dell’ente ed ampliare il concreto margine d’azione di queste ultime”. La verifica degli equilibri in chiave dinamica non può pertanto prescindere dalla generale considerazione circa l’effettiva e duratura tenuta degli stessi, come momento di scrutinio del raggiungimento di una situazione stabile di equilibrio del bilancio (Corte cost. n. 18/2019), la quale non può essere condizionata da fattori contingenti. È utile sottolineare che, in relazione agli artt. 81 e 97, c. 1, Cost., sotto l’aspetto della garanzia della sana ed equilibrata gestione finanziaria, il principio dell’equilibrio di bilancio non corrisponde al formale pareggio contabile coincidendo piuttosto con la continua ricerca di una stabilità economica di media e lunga durata. 1.3. In continuità con il percorso già intrapreso in passato e conformemente alla ormai consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, anche per l’esercizio in esame il controllo ha privilegiato l’analisi degli aspetti principali della gestione, ossia la gestione finanziaria, il risultato di amministrazione, l’indebitamento. 1.3.1. La Sezione ricorda che “il risultato di amministrazione è parte integrante, anzi coefficiente necessario della qualificazione del concetto di equilibrio dei bilanci” (Corte cost., sent. n. 247/2017, punto 8.5 del considerato in diritto) e che l’elevata tecnicità degli allegati di bilancio e il conseguente deficit in termini di chiarezza devono essere necessariamente compensati, nel testo della legge di approvazione del rendiconto, da una trasparente, corretta, univoca, sintetica e inequivocabile indicazione del risultato di amministrazione e delle relative componenti di legge (in termini Corte cost., sent. n. 274/2017, punto 4.4 del considerato in diritto). Nell’ordinamento contabile degli enti locali, il risultato di amministrazione è definito, in termini puramente finanziari, dall’art. 186 del TUOEL quale somma del fondo cassa aumentato dei residui attivi e diminuito dei residui passivi al termine dell’esercizio nonché del fondo pluriennale vincolato in uscita. La disciplina dell’istituto trova una più compiuta definizione nell’attuale formulazione dell’art. 187 del TUEL che, al c. 1, dispone: “Il risultato di amministrazione è distinto in fondi liberi, fondi vincolati, fondi destinati agli investimenti e fondi accantonati. I fondi destinati agli investimenti sono costituiti dalle entrate in c/capitale senza vincoli di specifica destinazione non spese, e sono utilizzabili con provvedimento di variazione di bilancio solo a seguito dell'approvazione del rendiconto. L'indicazione della destinazione nel risultato di amministrazione per le entrate in conto capitale che hanno dato luogo ad accantonamento al fondo crediti di dubbia e difficile esazione è sospeso, per l'importo dell'accantonamento, sino all'effettiva riscossione delle stesse. I trasferimenti in conto capitale non sono destinati al finanziamento degli investimenti e non possono essere finanziati dal debito e dalle entrate in conto capitale destinate al finanziamento degli investimenti. I fondi accantonati comprendono gli accantonamenti per passività potenziali e il fondo crediti di dubbia esigibilità. Nel caso in cui il risultato di amministrazione non sia sufficiente a comprendere le quote vincolate, destinate e accantonate, l'ente è in disavanzo di amministrazione. Tale disavanzo è iscritto come posta a sé stante nel primo esercizio del bilancio di previsione secondo le 18 modalità previste dall'art. 188”. Appare quindi chiaro che il risultato contabile di amministrazione costituisce il dato fondamentale di sintesi dell’intera gestione finanziaria dell’ente, dal momento che ne rappresenta, come detto, il coefficiente necessario ai fini dell’equilibrio di bilancio (Corte cost., sent. n. 18/2019). Oltre che nelle citate previsioni (artt. 186 e 187 del TUEL), esso trova indiretta declinazione nell’art. 162 del TUOEL per cui deve essere garantito il pareggio finanziario complessivo per la competenza, comprensivo dell'utilizzo dell'avanzo di amministrazione e del recupero del disavanzo di amministrazione e garantendo un fondo di cassa finale non negativo. Inoltre, le previsioni di competenza relative alle spese correnti, sommate alle previsioni di competenza relative ai trasferimenti in conto capitale, al saldo negativo delle partite finanziarie e alle quote di capitale delle rate di ammortamento dei mutui e degli altri prestiti, con l'esclusione dei rimborsi anticipati, non possono essere complessivamente superiori alle previsioni di competenza dei primi tre titoli dell'entrata, ai contribuiti destinati al rimborso dei prestiti e all'utilizzo dell'avanzo di competenza di parte corrente e non possono avere altra forma di finanziamento, salvo le eccezioni, tassativamente indicate nel principio applicato alla contabilità finanziaria, necessarie a garantire elementi di flessibilità degli equilibri di bilancio al fine del rispetto del principio dell’integrità (art. 162, c. 6, del TUEL). Il D. Lgs. n. 118/2011 definisce gli schemi e i prospetti ai quali gli enti locali sono tenuti ad attenersi nella raffigurazione dei dati contabili: in particolare, l’all. 10 consente di dare rappresentazione agli equilibri della gestione annuale a rendiconto. La ricerca di un equilibrio stabile consente all’ente di mantenersi, in prospettiva, in una situazione di avanzo di amministrazione e di sostenibilità dell’indebitamento. È per questa ragione che il legislatore, oltre a delineare nei termini sopra illustrati il principio dell’equilibrio di bilancio, ha previsto anche vincoli ben precisi alla crescita dell’indebitamento: uno di carattere qualitativo, relativo alla destinazione delle risorse in tal modo acquisite, l’altro di carattere quantitativo, relativo alla sostenibilità degli oneri annuali che discendono dall’indebitamento. Rispetto al primo profilo (vincolo di carattere qualitativo della spesa), l’art. 119, u. c., della Costituzione, stabilisce che gli enti territoriali possono indebitarsi per le sole spese di investimento. La riforma che ha costituzionalizzato il principio del pareggio di bilancio ha dunque inteso rafforzare il divieto già affermato dall’art. 119, c. 6, della Costituzione nella sua versione originaria e sancito a livello di legislazione ordinaria dall’art. 3, c. 16, della L. 350/2003. Sotto il secondo profilo (vincolo quantitativo della spesa), l’art. 203 del TUOEL detta regole per la contrazione di nuovo indebitamento in modo da assicurare che i connessi oneri non assumano dimensioni tali da vulnerare la stabilità finanziaria dell’ente, dovendo essere pari a una determinata percentuale delle entrate correnti di questo. 1.4. La Sezione autonomie, con del. n. 10/2022/INPR, nell’approvare le linee guida per la relazione dell’Organo di revisione economico-finanziaria dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Province sul rendiconto 2021, per l’attuazione dell’art. 1, c. 166 e ss., della L. 23 dicembre 2005 n. 266, ha evidenziato la necessità di verifica, da parte degli organi interni di revisione e delle Sezioni regionali, della sana gestione degli enti, focalizzando l’analisi sull’esigenza di ripristinare i parametri finanziari di carattere ordinario e sui principali aspetti strutturali a presidio dell’equilibrio di bilancio. Al fine di neutralizzare e/o evidenziare per tempo gli effetti negativi del trascinamento di componenti finanziarie positive “non ordinarie”, annidate nei resti di amministrazione, e il conseguente “mascheramento” di potenziali criticità strutturali di bilancio, si è reso necessario focalizzare l’attenzione sui trasferimenti statali ricevuti nel corso del biennio 2020/2021, chiedendo conto del rispetto degli obblighi di certificazione, previsti dall’art. 39, c. 2, del D.L. 14 agosto 2020, n. 104, e dall’art. 1, c. 827, della L. 30 dicembre 2020, n. 178, e della concordanza dei dati oggetto di certificazione con quelli esposti nel conto consuntivo. La L. 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di bilancio per il 2023), al c. 785, ha fornito disposizioni sul conguaglio finale dei ristori Covid modificando l'articolo 106, c. 1, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, e prevedendo che «Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro il 31 ottobre 2023, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono individuati i criteri e le modalità per la verifica a consuntivo della perdita di gettito e dell'andamento delle spese, provvedendo all'eventuale regolazione dei rapporti finanziari tra comuni e tra province e città metropolitane, ovvero tra i due predetti comparti, mediante apposita rimodulazione dell'importo assegnato nel biennio 2020 e 2021. Le eventuali risorse ricevute in eccesso sono versate all'entrata del bilancio dello Stato». 1.5. Del pari la L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha introdotto una serie di disposizioni rilevanti per i Comuni in termini di nuove o riconfermate risorse a finanziamento di fondi dedicati e di agevolazioni gestionali previste in via eccezionale per l’anno 2023. La stessa Legge ha inoltre introdotto ulteriori disposizioni per i Comuni in materia di entrate proprie tra cui l‘annullamento automatico di carichi affidati all'Agenzia della riscossione, salva la decisione dell’ente di non farvi ricorso da adottare con delibera entro il termine prorogato al 31 marzo 2023 dal D.L. 19 dicembre 2022, n. 198. In fatto di entrate risultano di particolare rilievo i temi dell’evasione fiscale e dell’omissione di versamenti dovuti che hanno una notevole incidenza sui bilanci dal momento che le imposte comunali (IMU e addizionale comunale all'IRPEF) rappresentano entrate ricorrenti idonee a sostenere indistintamente la parte corrente della spesa e a garantire il mantenimento degli equilibri finanziari nel tempo. L'ottimizzazione della riscossione incide positivamente non solo sugli equilibri correnti di competenza attraverso una riduzione nel tempo del Fondo crediti dubbia esigibilità ma anche sugli equilibri di cassa. E’ di immediata evidenza, infatti, che una migliore e più efficiente riscossione consente di poter disporre di maggiore liquidità per far fronte in modo tempestivo ai pagamenti dell'ente evitando di effettuare accantonamenti al Fondo di garanzia dei debiti commerciali che, irrigidendo la spesa, rende difficile garantire servizi di buona qualità. 1.6. La situazione finanziaria dell’esercizio in esame potrebbe subire una variazione sul versante dinamico dovuta a fattori di carattere contingente. L’equilibrio di bilancio potrebbe essere inciso, in altri termini, dall’aumento dei costi dell’energia che impattano sulla tenuta finanziaria dei documenti contabili dell’Ente. Il principio dell’equilibrio tendenziale del bilancio, infatti, «impone all’amministrazione un impegno non circoscritto al solo momento dell’approvazione del bilancio, ma esteso a tutte le situazioni in cui tale equilibrio venga a mancare per eventi sopravvenuti o per difetto genetico conseguente all’impostazione della stessa legge di bilancio (Corte cost., sent. n. 250/2013): di talché, al di là degli interventi di carattere una tantum disciplinati dal legislatore in soccorso degli enti locali, diviene doveroso per il Comune apprestare i necessari strumenti idonei a garantire l’indispensabile flessibilità del bilancio quali «appropriate variazioni del bilancio di previsione, in ordine alla cui concreta configurazione permane la discrezionalità dell’amministrazione” (Corte cost., sent. n. 266/2013). Per l’esame del rendiconto relativo all’esercizio 2021 e al bilancio di previsione 2022-2024 questa Sezione ha definito i criteri di selezione degli enti da assoggettare al controllo (del. n. 190/2022/INPR del 16 dicembre 2022) e precisamente: 1) differenza tra i residui attivi e fondo crediti di dubbia esigibilità, rapportata alla popolazione, maggiore di 2,5 volte del dato medio regionale; 2) parte disponibile del risultato d’amministrazione negativa; 3) Enti non ricompresi nei criteri precedenti, per i quali si ritengano necessari specifici approfondimenti in ordine a profili di carattere contabile e gestionale. All’esito dell’istruttoria svolta sul Comune di (Omissis), selezionato in base al criterio n. 2, si rilevano i seguenti profili di criticità. Monitoraggio delle entrate in relazione all’ingente esposizione debitoria dell’Ente. L’analisi della situazione finanziaria del Comune di (Omissis) si innesta su quanto già rilevato dalla Sezione nelle proprie precedenti deliberazioni (259/2021/PRSE e 102/2022/PRSE), relative all’esame dei questionari sui rendiconti 2018, 2019 e 2020, in cui la Sezione ha preso atto del progressivo recupero del disavanzo da riaccertamento straordinario e, nell’ottica del controllo il più possibile attualizzato all’esercizio di riferimento, ha rilevato il nuovo disavanzo emerso con il rendiconto 2021 e oggetto di recupero a decorrere dagli esercizi 2022/23. La Sezione, in occasione delle precedenti delibere, ha richiamato l’attenzione del Comune a proseguire nel costante monitoraggio dell’evoluzione del disavanzo, raccomandando la corretta applicazione dei principi contabili che regolano la modalità del suo ripiano. In sede di successiva istruttoria, svolta in occasione dell’odierno controllo, la Sezione osserva un importante quadro debitorio che impegna il Comune fino al 2043 nel pagamento di una rata annuale, comprensiva di capitale e interessi, di 117.779,15 euro nel 2023 e di 117.414,86 euro negli anni a seguire (con un abbassamento a 116.579,16 euro nel 2040 e a 106.379,76 euro negli ultimi tre anni dal 2041 al 2043). Di tali mutui, stipulati in passato con Cassa Depositi e Prestiti, l’Ente ha effettuato una rinegoziazione nel 2020 per la quale si sono allungati i tempi di restituzione di capitale e interessi, abbassandosi, d’altro lato, la relativa rata annuale di ammortamento. Tale rinegoziazione, come già argomentato dal Comune in occasione del controllo esitato nella precedente deliberazione (102/2022/PRSE), è stata una delle cause, oltre all’accantonamento nell’esercizio 2021 del fondo garanzia dei debiti commerciali, del peggioramento del recupero del disavanzo di amministrazione nel 2021 rispetto al 2020, data la riduzione della spesa per la quota capitale nell’esercizio di adesione alla rinegoziazione (avvenuta nello stesso 2020) seguita tuttavia dall’incremento, dal 2021 fino al 2043, delle quote di rientro dal debito rinegoziato. Non può sottacersi, e anzi si riconosce con particolare favore, il virtuoso recupero operato dall’Ente, rispetto al piano di rientro disposto in seguito al riaccertamento straordinario dei residui, anche sensibilmente superiore, soprattutto negli ultimi due anni (2020 e 2021), alla quota minima di rientro prevista e che ha portato a una forte riduzione del disavanzo nel 2020 e nel 2021 sia pure, in quest’ultimo esercizio, con un minimo incremento del disavanzo rispetto al 2020 dovuto alle ragioni esposte e, in ogni caso, oggetto di ripiano ai sensi dell’art. 188 del TUEL. Preme solo richiamare l’attenzione del Comune su come, in conseguenza della rinegoziazione, sia impegnato sino al 2043 in onerosi piani di ammortamento di mutui stipulati in passato con Cassa Depositi e Prestiti che, pur soddisfacendo secondo il parere dell’Organo di revisione le condizioni di cui all’art. 202 del TUEL e rispettando le condizioni poste dal successivo art. 203 nonché il limite di indebitamento previsto dall’articolo 204 del medesimo Testo Unico, gravano in modo importante sul bilancio dell’Ente attestandosi, nel 2021, sul 7,25% rispetto al limite del 10% previsto dall’art. 204 ai fini dell’assunzione di nuovi mutui o accensione di altre forme di finanziamento e sul 9,97% rispetto all’indicatore della sostenibilità dei debiti finanziari fissato in un importo maggiore del 16% dal nuovo impianto parametrale stabilito ai fini della dichiarazione di deficitarietà strutturale dei Comuni. Con ciò, nel dare atto all’Ente dei risultati ottenuti nel recupero del disavanzo da riaccertamento straordinario, si vuole esclusivamente richiamare l’ente a mantenere costante il monitoraggio e alta l’attenzione sulla cura delle proprie entrate al fine di garantirne la riscossione, in special modo ai titoli 1 e 3 - nei quali in conto residui non si presenta particolarmente sostenuta - e coprire corrispondentemente le spese, ivi incluse quelle per il pagamento dei debiti finanziari. Costituzione del fondo per il salario accessorio e mancata sottoscrizione del contratto decentrato integrativo. Come rilevato in fatto, dal questionario sul rendiconto emerge che il fondo per le risorse decentrate non è stato certificato dall’Organo di revisione e che l’Ente non ha sottoscritto, entro il 31 dicembre 2021, l’accordo decentrato integrativo del personale dipendente poiché, secondo quanto affermato dal medesimo ente, era in corso una revisione del fondo risorse decentrate, in attesa della quale la contrattazione e la gestione del fondo sono state prudenzialmente congelate. Sul punto l’ente dichiara di aver accantonato nel risultato di amministrazione le somme concernenti l’accordo decentrato integrativo non approvato entro l’esercizio finanziario ma, da un’analisi dei documenti contabili, tali quote non risultano confluite nella parte vincolata del risultato di amministrazione bensì imputate a fondo pluriennale vincolato di parte corrente per l’importo complessivo di 15.879,46 euro. Si rinnova l’esortazione al rispetto, pro futuro, della sequenza procedimentale già evidenziata nella precedente delibera 102/2022/PRSE (pubblicata in verità successivamente all’approvazione del rendiconto 2021 per cui l’ente non vi si è potuto uniformare in tale sede), funzionale alla corresponsione del trattamento accessorio e costituita in primo luogo dall’individuazione in bilancio delle risorse, in seconda battuta dalla costituzione del fondo con cui è impresso alle risorse un vincolo di destinazione, da ultimo dalla fissazione dei criteri di ripartizione delle risorse mediante la contrattazione decentrata, necessaria ai fini di impegno e pagamento. Pertanto, la sottoscrizione del contratto decentrato rappresenta il presupposto per l’erogazione dei trattamenti economici accessori, costituendo il titolo giuridico legittimante il pagamento. Qualora alla fine dell'esercizio, la sottoscrizione del contratto non sia ancora intervenuta, nelle more della stessa, sulla base della formale delibera di costituzione del fondo e vista la certificazione dei revisori, le risorse destinate al finanziamento del fondo risultano definitivamente vincolate e, non potendo l’ente assumere l'impegno, le correlate economie di spesa confluiscono nella quota vincolata del risultato di amministrazione. Tanto premesso, la Sezione richiama l’Ente al rispetto delle prescrizioni legislative sulla gestione delle risorse destinate al trattamento retributivo accessorio del personale dipendente e all’espletamento delle fasi descritte, prodromiche alla corresponsione del suddetto trattamento, nonché l’Organo di revisione a vigilare sulla corretta costituzione del fondo ed espletare le verifiche prescritte dagli artt. 40 e 40-bis del d.lgs. n. 165 del 2001. PQM la Sezione Regionale di Controllo per l’Emilia-Romagna, nel concludere l’esame sulla documentazione inerente al bilancio di previsione 2022-2024 e al rendiconto per l’esercizio 2021 del Comune di (Omissis): - raccomanda all’Ente l’osservanza dei principi, anche di armonizzazione contabile, funzionali al rispetto degli equilibri di bilancio, presidiati dagli artt. 81 e 97 Cost. nonché dalla L. 24 dicembre 2012, n. 243, che possono essere vulnerati, in ragione delle criticità evidenziate in parte motiva, nella gestione risultante dalla documentazione esaminata da questa Sezione; - raccomanda infine al Comune, in ossequio al rispetto del precetto dinamico della gestione finanziaria, di continuare ad apprestare in corso di esercizio i necessari strumenti di flessibilità del bilancio, al fine di dare adeguata copertura alle vicende emergenziali in particolare di aumento delle spese dell’energia; - rammenta l’obbligo di pubblicazione della presente pronuncia ai sensi dell’art. 31 del D. Lgs. 14 marzo 2013, n. 33; - dispone che copia della presente deliberazione sia trasmessa in via telematica, mediante l’applicativo Con.Te., al Consiglio comunale, al Sindaco e all’Organo di revisione del Comune di (Omissis). Così deliberato in Bologna nella Camera di consiglio del 29 marzo 2023.  Il Presidente Marcovalerio Pozzato (firmato digitalmente) Il Relatore Ilaria Pais Greco (firmato digitalmente)  Depositata in segreteria in data  Il Funzionario preposto  Roberto Iovinelli  (firmato digitalmente)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI MILANO SECONDA SEZIONE CIVILE La Corte d'Appello, nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Maria Caterina Chiulli - Presidente dott.ssa Gabriella Anna Maria Schiaffino - Consigliere rel. dott.ssa Cesira D'Anella - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 2038/2022 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. AN.RO. elettivamente domiciliato in VIA (...) SIDERNO presso il difensore avv. AN.RO. APPELLANTE contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. QU.VE., elettivamente domiciliata in VIA (...) 98031 CAPIZZI presso il difensore avv. QU.VE. (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. QU.VE., elettivamente domiciliata in VIA (...) C/O AVV.MATRICARDI 37 21100 VARESE presso il difensore avv. QU.VE. (...) (C.F.(...)), con il patrocinio dell'avv. QU.VE. elettivamente domiciliata in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. QU.VE. (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. QU.VE. elettivamente domiciliato in VIA (...) 98031 CAPIZZI presso il difensore avv. QU.VE. (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. QU.VE., elettivamente domiciliato in VIA (...) 98031 CAPIZZI presso il difensore avv. QUINTESSENZA VELIA (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. QU.VE., elettivamente domiciliata in VIA (...) 98031 CAPIZZI presso il difensore avv. QU.VE. APPELLATI Oggetto: altre ipotesi di responsabilità extracontrattuale non ricomprese nelle altre materie (art. 2043 c.c. e norme speciali) FATTO E DIRITTO Il Tribunale di Busto Arsizio, sezione terza civile, con sentenza n 879/2022 pubblicata il 3 giugno 2022, decidendo sulle domande di recesso ai sensi della previsione di cui all'art. 1385 c.c. e di risarcimento del danno, formulate da (...), nella sua qualità di promissario acquirente di un immobile sito in S. V. O., via D. P. 10, oggetto di un contratto preliminare dal medesimo concluso con (...), (...), (...), (...), nata nel (...), (...) e con (...),nata nel (...), nella loro qualità di promittenti venditori, così statuiva: accoglieva la domanda riconvenzionale dei convenuti con la quale chiedevano che il Tribunale accertasse il grave inadempimento dell'attore con conseguente risoluzione del contratto medesimo, e lo condannasse alla restituzione in loro favore dell'appartamento mai liberato concesso in godimento fin dal 13 giugno 2020,e con condanna del medesimo al risarcimento dei danni, e per l'effetto ordinava a (...) di liberare immediatamente l'immobile che occupava fin dalla data del preliminare, atteso il grave inadempimento a lui imputabile della mancata stipula del definitivo; condannava il medesimo a titolo di risarcimento del danno a corrispondere in favore dei convenuti l'importo di Euro 3050,00 oltre rivalutazione e interessi, con riferimento al pregiudizio da loro patito, costituito dalle somme versate per provvigione, mentre rigettava le ulteriori richieste risarcitorie relative al pagamento da parte del promissario acquirente di un canone per occupazione illegittima dell'immobile mai liberato, ritenendo che i proprietari non avessero provato il danno prospettato a loro avviso costituito dalla mancata possibilità di concedere in locazione ad altri l'appartamento in contestazione, a causa della presenza dell'attore; condannava, infine, (...) al pagamento delle spese di lite per Euro 7600,00 per compensi, Euro 237,00 per spese, oltre accessori. Avverso la decisione questi proponeva appello chiedendo la riforma delle statuizioni emesse a suo carico; nel giudizio si costituivano gli appellati, insistendo per la conferma della sentenza, senza proporre appello incidentale con riguardo alla liquidazione dei danni in loro favore in misura inferiore alle loro iniziali richieste. Non essendo possibile definire la lite in via bonaria, all'udienza del giorno 10 gennaio 2023 le parti precisavano le rispettive conclusioni nelle forme della trattazione scritta e la Corte, concessi termini di giorni cinquanta per il deposito delle comparse conclusionali e di ulteriori giorni venti per repliche, tratteneva la causa in decisione. Nel presente giudizio, con il primo motivo (...) censura la sentenza nella parte in cui, accogliendo la domanda di risoluzione svolta dagli odierni appellati, non ha ordinato la restituzione a proprio favore della caparra confirmatoria a suo tempo corrisposta, pari ad Euro 20.000,00. Sul punto assume che, avendo controparte agito chiedendo la risoluzione del contratto e non già di recedere da esso, trattenendo la caparra quale liquidazione anticipata del danno, era obbligo dei promittenti venditori provvedere alla restituzione di quanto in precedenza ottenuto a titolo di caparra, non essendo compatibile la domanda di risoluzione con quella di recesso ed avendo il Tribunale quantificato il pregiudizio da loro patito nella minor misura di Euro 3.050, oltre rivalutazione ed interessi. Assume, in particolare, che tale valutazione sarebbe del tutto corretta, non appena si consideri che il Tribunale aveva accertato come controparte avesse patito un danno solo in tale importo ben inferiore rispetto a quello della caparra stessa. Con il secondo motivo critica la decisione nella parte in cui ha ritenuto, diversamente da come prospettato da D.L., che l'appartamento in oggetto non era privo di certificato di abitabilità, in quanto esso era stato rilasciato dal Comune di San Vittore Olona il 2 dicembre 1997. A riguardo l'appellante assume come tale certificato non abbia in realtà alcun valore, dato che, diversamente da come affermato nel preliminare, nella parte nella quale i promittenti venditori dichiaravano che all'atto del definitivo le porzioni immobiliari sarebbero state conformi alle normative urbanistiche-edilizie, nonché alle leggi vigenti anche in materia di impiantistica e di certificazione energetica, l'impianto a gas era risultato del tutto difforme. Chiede, pertanto, in riforma della sentenza, la restituzione in suo favore, ai sensi della previsione di cui all'art. 1385 c.c., del doppio della caparra confirmatoria ravvisando il grave inadempimento contrattuale di controparte e, in subordine, la restituzione dell'importo di Euro 20.000,00 oltre i danni, risultando evidente l'assenza di qualsivoglia valenza della dichiarazione del 2 dicembre 1997. Tanto precisato, la Corte ritiene di dover esaminare, anzitutto, per ragioni di ordine logico sistematico, il secondo motivo di censura, inerente l'asserita sussistenza dell'inadempimento contrattuale dei promittenti venditori, idoneo, secondo l'appellante, a fondare l'accoglimento della domanda di recesso e di restituzione del doppio della caparra confirmatoria riproposta nel presente grado. Le censure svolte non meritano accoglimento. Occorre evidenziare, infatti, che parte appellante non ha compiutamente criticato il percorso argomentativo svolto nella sentenza impugnata, non appena si consideri, non solo come il Tribunale abbia sottolineato la sussistenza del certificato di abitabilità prodotto dai convenuti, mai scaduto, ma anche come, una volta riscontrata dai proprietari la non conformità dell'impianto a gas alla data prevista per il rogito, lo stesso promissario acquirente avesse comunque manifestato interesse per la conclusione di esso, tanto da assumersi l'obbligazione di sistemare l'impianto a proprie spese, ottenuta la compensazione parziale con quanto a sua volta dovuto all'agenzia immobiliare per provvigione. Lo stesso legale di D.L., inoltre, il 29 marzo 2021, aveva comunicato che l'impianto era stato sistemato con ciò indirettamente confermando sia la permanente volontà del promissario acquirente di mantenere il godimento dell'appartamento, sia come, la carenza dell'impianto inizialmente lamentata, non avesse avuto per questi alcuna concreta rilevanza ai fini di un giudizio di gravità dell'inadempimento di controparte, tanto da aver provveduto alla sua regolarizzazione. Se, dunque, correttamente il Giudice ha ritenuto, nel valutare i comportamenti dei contraenti e i loro contrapposti interessi, ben più consistente l'inadempimento del promissario acquirente che, senza concludere alcun contratto definitivo, aveva continuato ad utilizzare l'appartamento nel quale era stato immesso fin dal 2020, senza corrispondere importo di sorta e senza liberarlo, nonostante le richieste degli appellati, così imputando a (...) la responsabilità contrattuale conseguente, procedendo all'esame del primo motivo si osserva quanto segue. In primo grado questi non ha svolto domanda di restituzione dell'importo della caparra ex art. 1453 c.c., ma ha chiesto di poter recedere dal contratto con restituzione, ai sensi della previsione di cui all'art. 1385 c.c., del doppio dell'importo corrisposto. Ne consegue che la domanda di restituzione di essa non può trovare alcun accoglimento nella presente sede, presupponendo tale richiesta, al contrario, l'inadempimento dei promittenti venditori che, per le ragioni in precedenza svolte deve essere escluso. Con riguardo, quindi, alla domanda subordinata di restituzione in suo favore del minor importo di Euro 20.000,00 occorre evidenziare come essa sia stata formulata per la prima volta nel gravame, e sia, pertanto, assolutamente tardiva. Avendo l'appellante scelto di agire in primo grado,non già per la risoluzione, ma per il recesso, la richiesta ora avanzata appare del tutto nuova e inammissibile, non vertendosi nell'ambito di una ipotetica riduzione della maggior pretesa iniziale, ma in quello della proposizione di una differente domanda. Sul punto, infatti, risulta assolutamente costante la giurisprudenza di Legittimità secondo la quale l'istituto della risoluzione è del tutto distinto da quello del recesso (in termini da ultimo Cass.sez.VI-2, 12 ottobre 2020,21971). Oltre a ciò, occorre considerare, attese le ulteriori argomentazioni di parte appellante, che, pur determinando la risoluzione del contratto ottenuta dagli appellati il venir meno del titolo contrattuale che giustificava in loro favore il diritto di trattenere gli importi già ricevuti, da restituire, atteso l'effetto retroattivo della risoluzione stessa, la giurisprudenza di Legittimità ha, peraltro, ribadito che la domanda di restituzione di quanto versato non consegue di diritto e automaticamente alla risoluzione, ma deve essere formulata espressamente e ritualmente fin dal primo grado e non può essere proposta per la prima volta in appello (Cass. sez. II, Ordinanza, 4 ottobre 2022,28722;). Nel caso di specie non solo (...) in primo grado ha chiesto di recedere in modo del tutto infondato, assumendo il grave altrui inadempimento, ma in quella sede non ha svolto rispetto alle domande di risoluzione di controparte, alcuna richiesta di restituzione dell'importo a suo tempo corrisposto, per cui la domanda sul punto formulata nel gravame risulta, anche sotto tale profilo, del tutto nuova (Cass. 28722/2022 che in particolare ha precisato, in motivazione: "la risoluzione del contratto comporta sì l'obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, ma il giudice non può emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell'altro contraente,domanda che non può essere formulata per la prima volta in appello. "rientrando nell'autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione chiedendo o meno la restituzione della prestazione rimasta senza causa; Cass. 2075/2013; Cass. 2562/2009). All'esito delle valutazione esposte si impone, pertanto, conclusivamente, il rigetto dell'impugnazione e la condanna di parte appellante, interamente soccombente, al pagamento delle spese del grado in favore di parte appellata liquidate in dispositivo, tenuto conto della nota spese depositata, che costituisce limite alla domanda di liquidazione, e considerato il valore del procedimento, nonché le attività difensive effettivamente svolte, pertanto, con esclusione della fase istruttoria. Essendosi il difensore di parte appellata, avv. Velia Quintessenza, dichiarato antistatario per averle anticipate e non esatte, si provvede in conformità. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, seconda sezione civile definitivamente pronunciando così provvede: RIGETTA l'appello proposto da (...) nei confronti di (...), di (...), di (...), di (...), di (...), di (...), e per l'effetto CONFERMA la sentenza n. 879/2022 emessa dal Tribunale di Busto Arsizio, terza sezione civile, pubblicata il 3 giugno 2022; CONDANNA (...) al pagamento delle spese processuali del presente grado che liquida in Euro 6615,00 per compensi oltre contributo spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, direttamente in favore dell'avv VELIA QUINTESSENZA difensore degli appellati, che si è dichiarata antistataria per averle anticipate e non riscosse; DICHIARA la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 così come modificato dall'art. 1, comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228; Così deciso in Milano il 29 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 3 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5922 del 2022, proposto da Di. Ca., rappresentato e difeso dall'avvocato Sa. Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del dott. Al. Pl. in Roma, via (…); contro Comune di Barletta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ca. e Is. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Condominio di (omissis), rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) n. 00967/2022, resa tra le parti;   Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Barletta e di Condominio di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2023 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per l'appellante, Fr. Sa. Es. per delega dell'avv. Sa. Pr. e per le parti appellate, l'avv. Gi. Ca. e l'avv. Ma. Sa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.   FATTO Parte appellante ha gravato la sentenza del T.A.R. Puglia, Sez. II, n. 967 del 2022. In particolare, l’impresa individuale “Bo. De. Ni.” del signor Di. Ca. esercisce un’attività principale di macelleria e vendita al dettaglio di carni e prodotti a base di carne, con annessa attività secondaria di braceria per la cottura e somministrazione degli stessi prodotti di carne. A seguito di lamentele provenienti dal condominio dove è ubicata la macelleria-braceria in questione, a causa dell’esalazione di cattivi odori e propagazione di rumori, il Comune effettuava dei controlli in ordine al rispetto dei vigenti regolamenti comunali. Veniva eseguito un sopralluogo nel settembre 2019, presso la “Bo. De. Ni.” nel quale emergevano violazioni amministrative per la violazione di alcune disposizioni del Regolamento edilizio relativamente all’impianto di scarico dei fumi da cucina e, in particolare, l’assenza di una canna fumaria conforme alla suddetta normativa. Successivamente, anche i Carabinieri NAS di Bari, con verbale del 22 giugno 2021, davano conto dell’esistenza di un impianto fumario, con scarico “a parete”, “posto ad altezza vetrata in area laboratorio”. Il Comune di Barletta ha adottato un atto di diffida a eseguire opere edili consistenti nel montaggio di una “canna fumaria” prot. n. 55791 del 5.8.2021 e, successivamente, vista l’inottemperanza alla diffida, il medesimo Comune ha emanato l’ordinanza, prot. n. 65664 del 20.9.2021, di sospensione dell'attività di somministrazione alimenti e bevande, con conseguente chiusura dell’attività di cottura degli alimenti e somministrazione al pubblico fino alla realizzazione di idonea canna fumaria per l’allontanamento al tetto delle emissioni di fumi e vapori (braceria). L’odierno ricorrente ha impugnato dinanzi al T.A.R. Puglia i suddetti atti, unitamente al regolamento edilizio del Comune di Barletta, al regolamento di igiene e sanità del Comune di Barletta, approvato con deliberazione C.C. n. 99/2000, nella parte in cui non prevedono la possibilità di utilizzare tecnologie alternative alla canna fumaria (tradizionale) per le emissioni di fumo in atmosfera. Più nello specifico, il Comune ha disposto, ai sensi dell’art.69 del vigente Regolamento Edilizio e dello speculare art. 3.25 di quello previgente, nonché dell’art. 191 del Regolamento di Igiene, la sospensione della SCIA di somministrazione di alimenti e bevande prot. n.13127, risalente al 3.3.2016, con conseguente chiusura dell’attività di cottura degli alimenti e somministrazione al pubblico svolta nella braceria sino all’installazione della canna fumaria. L’adito T.A.R., con la sentenza impugnata in questa sede, ha rigettato il ricorso La sentenza impugnata ha indicato che, in punto di fatto, risulta incontroverso che l’esercizio di preparazione e vendita al dettaglio non sia munito di impianto con convogliamento dei fumi ed esalazioni in “canna fumaria” alla sommità dell’edificio, bensì di un impianto “a parete”. In punto di diritto, sempre secondo la sentenza impugnata, indubbia è la non conformità dell’impianto fumario con scarico “a parete” (cappa di aspirazione a carboni attivi), con le disposizioni del regolamento edilizio che prevedono (art.69 del R.E.C.) la presenza di una di idonea canna fumaria per l’allontanamento dei fumi in atmosfera oltre un metro dal tetto. L’odierno appellante ha formulato i seguenti rubricati motivi di ricorso: Violazione e falsa applicazione dell’art.19 della l.n. 241/1990 e dell’art. 272 del D.Lgs. n. 152/2006. Violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza, partecipazione, economicità, efficacia, imparzialità, di trasparenza, di buon andamento della P.A., di completezza e adeguatezza dell’azione amministrativa, di tutela dell’affidamento, di proporzionalità, del giusto procedimento. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e per travisamento dei fatti, genericità, indeterminatezza, irrazionalità, arbitrarietà, illogicità, ingiustizia manifesta, contraddittorietà. Difetto di istruttoria e di motivazione. Parte appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza gravata per non aver correttamente considerato la tardività, ai sensi degli artt. 19, 21 nonies e art. 2 comma 8-bis della l.n. 241/1990, dell’esercitato potere di sospensione della Scia prot. n. 13127/2016 avente ad oggetto (anche) l’utilizzazione del sistema a carboni attivi in luogo di quello a canna fumaria. L’installazione della cappa a carboni attivi risulterebbe, quindi, essere stata assentita per silentium con la SCIA del 2016, a seguito dell’inutile decorso del termine innanzi indicato (nonché di una precedente DIA del 2016 anch’essa accolta per silentium per decorrenza del termine di 45 giorni ex art. 272 del D.Lgs. 152/2006 e tuttora efficace in quanto non incisa dai provvedimenti impugnati). Ciò anche alla luce della circostanza che entro il termine di un anno dallo scadere del predetto termine di decadenza di 60 giorni (45 per la domanda di adesione), il Comune appellato non ha proceduto all’annullamento in autotutela della SCIA (o della DIA). La sentenza gravata avrebbe denegato rilevanza a tale profilo sulla base delle considerazioni che la SCIA, indica quale “attività prevalente” il commercio al dettaglio in sede fissa di carni macellate fresche di varia specie, nonché solo come “attività accessoria” la cottura e somministrazione di carni in forma di c.d. braceria. Inoltre, i provvedimenti gravati (diffida del SUE e ordine di sospensione della cottura degli alimenti disposta dal SUAP) non sarebbero inerenti al commercio delle carni, bensì alla sola ulteriore attività di c.d. braceria e sarebbero stati disposti “in funzione collaborativa”, al fine di consentire all’attività di conformarsi al rispetto delle norme comunali vigenti. Tali circostanze sono, tuttavia, inconferenti rispetto alla legittimità dei provvedimenti impugnati. Inoltre, la sentenza sarebbe erronea in quanto ha ritenuto ostativo all’accoglimento del relativo motivo di ricorso la supposta circostanza che “nella relazione tecnica, acclusa alla SCIA, si fa menzione della presenza di un impianto di canalizzazione per estrazione di fumi e di odori, senza precisarne il tipo (<canna fumaria> tradizionale a sommità dell’edificio o <a parete>). Mentre, con l’autocertificazione a firma del titolare, redatta su modello conforme, viene dato atto di aver rispettato il <regolamento edilizio>”. Al riguardo, secondo l’appellante, nella relazione tecnica allegata alla SCIA, è stato dichiarato espressamente che per lo svolgimento dell’attività di braceria sarebbe stato utilizzato un impianto “di canalizzazione per estrazione di fumi e odori … a carboni attivi” e sono state esplicitate le caratteristiche tecniche dello stesso. Anche nella DIA del 2016, ex art. 272 del D.Lgs. 152/2006, pure allegata agli atti processuali e ignorata dal TAR, è stata espressamente dichiarato “di aver avviato n.1 cappa di aspirazione a carboni", e sono state chiarite le caratteristiche tecniche della stessa, allegando anche il manuale di istruzioni della Airfan e la dichiarazione di conformità della macchina alle norme in materia di emissioni. Dalla SCIA (come dalla precedente DIA) era, quindi, evincibile la tipologia di sistema di canalizzazione dei fumi adottato nella braceria (cappa a carboni attivi in luogo della canna fumaria) e quali fossero le specifiche caratteristiche tecniche dello stesso. Violazione e falsa applicazione dell’art.19 della l.n. 241/1990, del regolamento edilizio comunale vigente e previgente, del regolamento comunale di igiene, della direttiva 2002/92/CE. Violazione dei principi in materia di successione delle leggi nel tempo, di interpretazione delle stesse e dei rapporti di gerarchia tra le fonti; di eguaglianza, ragionevolezza, partecipazione, economicità, efficacia, imparzialità, di buon andamento della P.A., di completezza e adeguatezza dell’azione amministrativa, di tutela dell’affidamento, di proporzionalità, del giusto procedimento. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e per travisamento dei fatti, genericità, indeterminatezza, irrazionalità, arbitrarietà, illogicità, ingiustizia manifesta, contraddittorietà. Difetto di istruttoria e di motivazione. L’appellante deduce l’erroneità della sentenza che ha rigettato le censure avverso il regolamento edilizio comunale vigente e previgente, nonché del regolamento comunale di igiene, nella parte in cui non consentono l’adozione di tipologie di impianto con i filtri a carbone attivo per lo smaltimento dei fumi in luogo delle tradizionali cappe (richiama le sentenze Cons. Stato, sez. V, 524/2019 e Cons. Stato sent. 120/2019). Peraltro nel caso di specie, a seguito di sopralluogo dei NAS, avvenuto unitamente a personale del NOA specializzato alla verifica delle emissioni inquinanti, non sarebbe stata rilevata alcuna emissione inquinante ma esclusivamente gli odori tipici della cottura dei prodotti, nonché l’elevato grado di assorbimento dell’impianto installato dall’appellante. In ogni caso, inoltre, sarebbe inapplicabile l’art. 191 del Regolamento d’Igiene, il quale dispone che le emissioni debbano essere convogliate al di sopra dei tetti, in quanto la norma si riferisce ai laboratori industriali e non contempla un esercizio come una braceria non assimilabile a un “laboratorio industriale”. L’appellante deduce, altresì, che l’art. 69 del R.E.C. nella parte in cui dispone che “è proibito inderogabilmente collocare o far sboccare sulle fronti dei fabbricati … i condotti del fumo dei camini, dei caloriferi” non afferisce al divieto di installare sistemi alternativi alla canna fumaria ma, molto più semplicemente alla tutela dell’estetica e del decoro del palazzo derivante dall’installazione di camini e caloriferi nonché di canne fumarie, e simili. In sostanza, pertanto, tale articolo non impedirebbe di utilizzare sistemi di filtrazione a carboni attivi, che non compostano l’istallazione di una canna fumaria. Deduce la possibilità di disapplicare il regolamento comunale in contrasto con disposizioni di rango primario o eurounitarie. Fa riferimento alla Direttiva del Parlamento Europeo 2002/91/CE, sul tema del rendimento energetico nell’edilizia con l’obiettivo di “promuovere il miglioramento del rendimento energetico degli edifici tenendo conto delle condizioni locali e climatiche esterne, nonché delle prescrizioni per quanto riguarda il clima degli ambienti” (art.1, la cui lett. e richiama espressamente la materia dei “sistemi di condizionamento dell’aria negli edifici”). La Direttiva 2002/91/CE è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. n.192 del 19.08.2005 che all’Allegato M, recante “norme tecniche di riferimento”, richiama per tabulas la normativa dell’ “UNI EN 13779 Ventilazione degli edifici non residenziali: Requisiti di prestazione per i sistemi di ventilazione e di climatizzazione”. La disciplina di cui alla Direttiva 2002/91/CE è stata, poi, rifusa nella Direttiva 2011/31/UE che è stata recepita a livello statale con il D.L. 63/13, convertito nella l. n. 90/13, il quale all’art 4, nel modificare l’art.4 del D.L.gs n.192/2005, ha stabilito che “la prestazione energetica degli edifici è determinata in conformità alla normativa tecnica UNI e CTI, allineate con le norme predisposte dal CEN a supporto della direttiva 2010/31/CE, su specifico mandato della Commissione europea”. Il MISE il quale con D.M. n.16/2015, in ulteriore attuazione della Direttiva 2011/31/UE, all’Allegato 2, recante le norme tecniche di riferimento per il rendimento energetico degli edifici nel cui novero rientra il sistema di ventilazione degli stessi, ha disposto che “… la prestazione energetica degli edifici è determinata in conformità alla normativa tecnica UNI e CTI in materia. Dette norme sono allineate con le norme predisposte dal CEN a supporto della direttiva 2010/31/CE”. In sostanza, né a livello sovranazionale, né a livello statale, sussisterebbe alcun obbligo di installazione della canna fumaria per gli edifici non residenziali. Sarebbe, quindi, erronea la sentenza che sul punto ha indicato l’irrilevanza della “circostanza che la cappa in questione sarebbe conforme a quanto previsto dalla direttiva 2002/92/CE … e munita della certificazione della qualità dell’aria interna EN 13779:2007, con la classificazione della qualità dell’aria in EHA 2 (ETA2) cioè a “livello medio”. Ciò, in quanto, “una simile attestazione inerisce il prodotto di aspirazione vagliato per se stesso ed al funzionamento interno dell’impianto di aspirazione, ma nulla dice in ordine ai riflessi esterni del convogliamento dei fumi”. 3.) Incompetenza. La sentenza gravata sarebbe illegittima anche nella parte in cui non ha rilevato l’incompetenza del Dirigente del SUE a interferire nel procedimento per la sospensione della SCIA adottando la comunicazione di avvio del procedimento, riscontrando le osservazioni prodotte e diffidando l’appellante a provvedere alla installazione di una canna fumaria. Il T.A.R. ha ritenuto di non ravvisare la dedotta incompetenza, in quanto la diffida sarebbe stata correttamente adottata dal SUE, “attenendo l’installazione della canna fumaria all’aspetto edilizio” e la sospensione della SCIA dal SUAP “riferendosi allo svolgimento dell’attività economica “. Secondo l’appellante il SUAP costituisce uno strumento di semplificazione che rappresenta un unico punto di accesso, di riferimento e di potestà provvedimentale in relazione a tutte le vicende amministrative relative agli impianti produttivi e all’esercizio dell’impresa. Sicchè, in considerazione di quanto previsto nell’art.19 della 241/1990, nel momento in cui una SCIA è stata presentata al SUAP è il dirigente dello stesso l’unico organo competente a incidere sulle sorti della stessa ancorché la stessa involga anche aspetti edilizi urbanistici o edilizi. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Barletta e il Condominio di via degli orti n. 47, resistendo all’appello. L’adito Consiglio, con l’ordinanza n. 4238/2022, ha accolto l’istanza cautelare “Atteso che, prima facie, il ricorso non appare manifestamente infondato, relativamente all’aspetto della tardività di esercizio del potere inibitorio e in via di autotutela di cui all’art. 19, commi 3 e 4, della legge n. 241 del 1990, fermo ogni ulteriore approfondimento in sede di merito, e che il Collegio ritiene di dare prevalenza, sotto il profilo del periculum, all’interesse della parte appellante a continuare l’attività imprenditoriale, stante anche che, da quanto emergente in atti, a causa della presenza della cappa filtrante a carboni attivi non appaiono sussistere profili di inquinamento o emissione significativa di fumi e considerato il diniego del condominio sull’istanza dell’appellante di installare una canna fumaria”. La controversia è stata trattenuta in decisione all’udienza del 21 febbraio 2023. DIRITTO 1) L’appello si palesa fondato. 2) Il Collegio ritiene di dover scrutinare in via prioritaria il motivo di appello inerente alla competenza del Dirigente del Settore Edilizia che ha adottato la diffida ad installare la canna fumaria, che tuttavia ritiene infondato. Correttamente, infatti, il T.A.R. ha rilevato la competenza l’installazione della canna fumaria attiene all’aspetto edilizio, nell’ambito del potere di vigilanza sull’assetto del territorio e, pertanto, l’atto adottato rientra nella competenza del suddetto Dirigente. 3) Nel primo motivo di appello, come più specificatamente indicato nella parte in fatto, l’odierno appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza gravata per non aver correttamente considerato la tardività, ai sensi degli artt. 19, 21 nonies e art. 2 comma 8-bis della l.n. 241/1990, dell’esercitato potere di sospensione della Scia prot. n. 13127/2016 Il motivo di palesa fondato. L’odierno appellante, nella SCIA del 2016 ha indicato chiaramente nella relazione tecnica che l’impianto di canalizzazione ed estrazione fumi sarebbe stato costituito da una cappa di aspirazione a carboni attivi, descrivendo l’impianto. Peraltro anche nella DIA, presentata del 2016, ex art.272 del D.Lgs. 152/2006, l’appellante aveva indicato come sistema di estrazione fumi l’utilizzo di una cappa di aspirazione a carboni, chiarendo le caratteristiche tecniche della stessa. Il Collegio non può, pertanto, concordare, in punto di fatto, con la circostanza affermata dalla sentenza gravata secondo cui nella SCIA non era stata indicata la tipologia dell’impianto di estrazione fumi (“nella relazione tecnica, acclusa alla SCIA, si fa menzione della presenza di un impianto di canalizzazione per estrazione di fumi e di odori, senza precisarne il tipo (“canna fumaria” tradizionale a sommità dell’edificio o “a parete”)”. L’inazione dell’Amministrazione a seguito della presentazione della SCIA, entro i termini previsti dalla vigente normativa (l’atto gravato è stato assunto a distanza di cinque anni) ha comportato il consolidamento per silentium della suddetta SCIA, anche nella parte che riguarda il sistema di estrazione dei fumi effettuato mediante una cappa di aspirazione a carboni attivi (ovverosia anche sul tema della questione dell’assenza della canna fumaria). In particolare, indipendentemente dalla questione dell’effettiva violazione del Regolamento edilizio e di quello di igiene urbana, al momento dell’adozione dell’atto impugnato era spirato il termine previsto dall’art.19 della l.n. 241/1990 per l’esercizio dei poteri inibitori da parte dell’Amministrazione a seguito della presentazione della SCIA, nonché quello di 12 mesi previsto dall’art. 21 nonies della l.n. 241/1990 per l’attivazione dei poteri sanzionatori, nelle forme e termini previsti per l’autotutela. L’intervento dell’Amministrazione a distanza di cinque anni, con l’esercizio di un potere inibitorio (la sospensione dell’attività) o sanzionatorio si palesa quindi ormai tardivo. D’altra parte, una volta che sia decorso il termine perentorio per l'esercizio del potere inibitorio in materia di Segnalazione certificata di inizio attività - previsto in generale in 60 giorni dal comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241/1990 e in materia edilizia in 30 giorni dal comma 6 bis del medesimo articolo - la P.A. conserva un residuale potere di autotutela, ma tale potere con cui l'Amministrazione è chiamata a porre eventuale rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dagli att. 21-quinquies e 21-nonies, L. n. 241/1990, dovendosi, quindi tali poteri esercitarsi nelle forme dell'autotutela (T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 23/11/2022, n. 7228; T.A.R. Brescia, Sez. II , 11/07/2022 , n. 682), con i relativi limiti anche di carattere temporale. In tal senso il comma 4 dell’indicato art. 19 della legge n. 241/1990, recita infatti che “Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies”. In sostanza in materia edilizia, decorsi i previsti termini di 30 o 60 giorni dalla proposizione della SCIA, l'amministrazione competente, ai sensi del comma 4 dell'art. 19 della L. n. 241/90, adotta comunque i provvedimenti inibitori ovvero repressivo/sanzionatori previsti dal precedente comma 3, ma previa valutazione dell'esistenza delle condizioni previste per l'esercizio del cd. potere di autotutela di cui all'art. 21 nonies della L. n. 241/90 (T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, 25/01/2021, n. 911). Il superamento del limite temporale di 18 mesi per l'esercizio del potere di autotutela di cui all'art. 21-nonies, legge n. 241/90 e, quindi, in tema di SCIA, per l'esercizio "tardivo" dei poteri repressivo/sanzionatori di cui al D.P.R. n. 380/2001, comporta l’illegittimità dell’esercizio tardivo dell’indicato potere, salvo nei casi in cui, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, il soggetto segnalante abbia rappresentato uno stato preesistente - anche mediante il solo silenzio su circostanze rilevanti - diverso da quello reale (T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, 21/10/2020, n. 10702). Risulta, pertanto, illegittimo l'operato dell'amministrazione comunale che, in presenza di una SCIA, adotti provvedimenti sanzionatori dopo che sia decorso il termine previsto per il consolidamento del titolo, senza rispettare i limiti e le condizioni in base ai quali è possibile esercitare i poteri di autotutela ai sensi dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990, tra cui quello del rispetto del “termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi” (in precedenza diciotto mesi sino alla novella del dal D.L. 31 maggio 2021, n. 77). Sul punto del tardivo esercizio del potere sanzionatorio questo Consiglio ha rilevato come in presenza di una SCIA, anche nel caso in cui un terzo abbia sollecitato i poteri inibitori o repressivi della pubblica amministrazione, il comma 3 dell'art. 19 attribuisce alla Pubblica Amministrazione un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA, mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili in presenza delle condizioni previste dall'art. 21-nonies della stessa legge n. 241 del 1990 a mente del quale sussistendo un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, deve operarsi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi (Cons. Stato Sez. IV, 11-03-2022, n. 1737). Nell’ipotesi di specie i termini massimi previsti dell’art.. 21-nonies della stessa legge n. 241 del 1990 sono decorsi, né l’appellante, per quanto suindicato ha rappresentato uno stato preesistente - anche mediante il solo silenzio su circostanze rilevanti - diverso da quello reale. Il motivo di appello deve pertanto essere accolto. 4) Risulta irrilevante, a questi fini, come indicato dalla parte appellante, la circostanza riportata nella sentenza di primo grado secondo cui la SCIA in questione indicasse quale “attività prevalente” il commercio al dettaglio in sede fissa di carni macellate fresche di varia specie, nonché come “attività accessoria” la cottura e somministrazione in forma di c.d. braceria e che i provvedimenti gravati (diffida del SUE e ordine di sospensione della cottura degli alimenti disposta dal SUAP) non ineriscono al commercio delle carni, bensì alla sola ulteriore attività di c.d. braceria e sono stati disposi “in funzione collaborativa”, al fine di consentire all’attività di conformarsi al rispetto delle norme comunali vigenti. La SCIA deve essere, infatti, considerata in modo unitario, così come unitari sono gli effetti del suo avvenuto “consolidamento”, senza che si possa negare rilevanza anche all’attività cosiddetta secondaria ed esercitare per quest’ultima i poteri inibitori e repressivi fuori dai termini previsti dalla legge. 5) Per le suesposte ragioni l’appello va accolto. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015 n. 5 nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26242), e le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese del grado di giudizio di appello tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso e annulla il provvedimento gravato. Compensa le spese del doppio grado di giudizio tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente Giovanni Sabbato, Consigliere Giancarlo Carmelo Pezzuto, Consigliere Alessandro Enrico Basilico, Consigliere Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6573 del 2022, proposto da En. Se. S.p.A., in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria del costituendo raggruppamento temporaneo di imprese con Consorzio Stabile Un. s.c. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Cl., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, al viale (...); contro Gu. s.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati So. Ma. e Ro. Mi., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; Consip S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, alla via (...); Ministero dello Sviluppo Economico, non costituito in giudizio; nei confronti Consorzio Stabile Un. s.c.a r.l., non costituito in giudizio; della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Roma, sez. II, n. 8062/2022, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gu. s.p.A. e di Consip Spa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2023 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Cl., Ma. e l'avvocato dello Stato Di Le.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.- Con bando di gara inviato alla GUCE il 30 novembre 2015, Consip S.p.a. indiceva, ai sensi del d.lgs. n. 163/2006, vigente ratione temporis, una procedura aperta per l'affidamento "del Servizio Integrato Energia e dei Servizi connessi per le Pubbliche Amministrazioni, edizione 4, ai sensi dell'art. 26, Legge n. 488/1999 e s.m.i. e dell'art. 58, Legge n. 388/2000 (ID 1615)", suddivisa in sedici lotti individuati su base geografica. Il bando di gara: a) precisava che i servizi oggetto di affidamento avrebbero dovuto essere eseguiti presso gli edifici in uso a qualsiasi titolo alle Pubbliche Amministrazioni, siti nei distretti geografici che contraddistinguevano i diversi lotti; b) disponeva, altresì, che i concorrenti potessero partecipare anche per più lotti messi a gara, potendosene nondimeno aggiudicare fino ad un massimo di quattro. Per il lotto n. 1, oggetto della presente controversia e relativo agli edifici insistenti nel territorio delle Regioni Valle d'Aosta e Piemonte 1 (ossia le Provincie di Biella, Torino e Vercelli), presentavano una propria offerta otto concorrenti, tra cui il raggruppamento capeggiato da En. Se. s.p.a. (odierna appellante) e Gu. s.p.a. (odierna appellata). Nella seduta pubblica del 1° febbraio 2019, la Commissione giudicatrice dava lettura dei punteggi attribuiti alle offerte tecniche relative a tutti i lotti messi in gara, procedendo di seguito (nella successiva seduta del 6 marzo 2019) all'attribuzione del punteggio economico per ogni lotto e per ogni concorrente, redigendo di conserva la graduatoria per ciascun lotto ed individuando le offerte sospette di anomalia, ai sensi dell'art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 163/2006, tra cui quella En. Se. s.p.a., risultata prima in graduatoria nel lotto n. 1. Con verbale del 2 marzo 2020, la Commissione dava atto di aver completato la verifica di anomalia del raggruppamento En. Se., per i lotti nn. 1, 10, 11 e 12, affermando che le giustificazioni fornite erano idonee ad escludere l'incongruità delle offerte. Nel corso della successiva seduta del 2 aprile, la Commissione proponeva, quindi, l'aggiudicazione del lotto n. 1 al ridetto raggruppamento. Con nota del 9 aprile 2020, la stazione appaltante sollecitava la produzione della documentazione a comprova del possesso dei requisiti dichiarati e, con successiva nota del 5 giugno 2020, ne comunicava il positivo esito. Con nota del 12 novembre 2020, comunicata a mezzo pec anche alla Gu. s.p.a., dava quindi atto dell'aggiudicazione, a favore del raggruppamento En. Se., del lotto in questione. 2.- All'esito della sollecitata ostensione degli atti di gara, Gu. s.p.a. impugnava, dinanzi al TAR per il Lazio, l'esito della gara, lamentando: a) che la mandante del raggruppamento aggiudicatario si fosse illegittimamente impegnata ad eseguire, oltre ad una quota parte dei lavori, il 30% dei servizi denominati A, B, C, D ed E (con la sola esclusione del servizio denominato F, assunto integralmente dalla mandataria) nonché delle attività ex DM 307/2008 e di terzo responsabile, pur essendo asseritamente priva dei requisiti all'uopo richiesti dalla legge di gara; b) che En. Se. avesse omesso di rappresentare, in corso di gara, molteplici e rilevanti circostanze asseritamente idonee ad incidere sulla sua affidabilità morale e professionale; c) che non fosse stata data dimostrazione del necessario possesso continuativo, in capo alla mandante, della certificazione di qualità, conforme alle norme europee della serie EN ISO 9001, per l'attività di manutenzione e gestione degli impianti termici; d) che l'offerta dell'aggiudicataria fosse stata significativamente sottostimata con riferimento ad alcune specifiche voci, con conseguente irragionevolezza ed illogicità del giudizio di congruità espresso dalla stazione appaltante, avuto segnatamente riguardo: d1) ai "costi di manutenzione straordinaria e adeguamento normativo" di cui al paragrafo 6.3 del capitolato tecnico; d2) al "costo del personale operativo"; d3) ai "costi relativi al consumo di gas metano per l'espletamento del Servizio A". 3.- Nel rituale contraddittorio delle parti, con ordinanza n. 6289 del 27 maggio 2021 il Tribunale adito - sul rilievo: a) che "alla luce del complesso sub-procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta non risulta(ssero) evidenti le ragioni sulla base delle quali la Commissione di gara (aveva) ritenuto di superare le articolate osservazioni da essa stessa sollevate (...)"; b) che le censure sollevate "(avessero) natura estremamente tecnica", sicché "(era) necessario disporre una verificazione volta ad accertare se, alla stregua della disciplina di gara e della normativa alla stessa applicabile, il giudizio di non anomalia dell'offerta economica dell'aggiudicataria (fosse), alla luce dei vizi dedotti (...), da ritenersi affetto, sotto il profilo tecnico, da irragionevolezza" - disponeva una verificazione ai sensi dell'art. 66 cod. proc. amm.. sollecitando il professionista designando alla verifica di ragionevolezza (recte: non irragionevolezza), alla luce delle censure prospettate con il quarto motivo di ricorso ed "alla stregua della disciplina di gara e della normativa alla stessa applicabile", della ritenuta assenza di profili di anomalia, con specifico riguardo all'incidenza dei costi di manutenzione straordinaria di cui al paragrafo 6.3 del capitolato tecnico, del costo del personale operativo e dei costi relativi al consumo di gas metano per l'espletamento del servizio denominato "Servizio A". Il verificatore designato, nella persona del Prof. Ga. (ordinario di Economia aziendale nell'Università degli Studi di Roma - La Sapienza ), all'esito dell'istruttoria svolta in contraddittorio con i consulenti tecnici nominati dalle parti, depositava, in data 26 aprile 2022, la propria relazione definitiva (che teneva conto anche delle osservazioni delle parti rese sulla bozza di relazione previamente trasmessa), con la quale rassegnava le proprie conclusioni nel senso che "il giudizio di non anomalia espresso da CONSIP sull'offerta dell'aggiudicataria EN. (potesse) ritenersi affetto da irragionevolezza", in ragione della accertata carenza della "economicità /remuneratività della commessa", costituente "elemento giuridicamente essenziale per la corretta esecuzione del contratto." In dettaglio - pur rimarcando "l'impossibilità di determinare in modo certo le voci di costo in questione", in ragione "delle modalità di calcolo e di rappresentazione dei valori da parte di EN., che non (consentivano) un riscontro obiettivo ed inconfutabile" - assumeva (alla luce di una "ricostruzione dei valori più prudente e al tempo stesso più verosimile") che l'offerta formulata comportasse un totale di costi superiore ai ricavi, "con conseguente risultato economico della Commessa negativo (Perdita di Commessa) per Euro 895.035". 4.- Con sentenza n. 8062 del 16 giugno 2022, resa all'esito del rituale contraddittorio processuale, il TAR - dopo aver respinto i primi tre motivi ed assorbito i residui profili di censura - accoglieva il ricorso, valorizzando adesivamente le conclusioni del verificatore in ordine alla ritenuta insostenibilità, nel suo complesso, dell'offerta, così come articolata dal raggruppamento aggiudicatario, segnatamente rimarcando che - alla luce della emergente "perdita di commessa" per Euro 895.035,00, insuscettibile di prospettica rimodulazione in meliorem partem anche all'esito di una eventuale riconsiderazione dei "titoli di efficientamento energetico", che Consip aveva ammesso di non aver valutato - l'apprezzamento dell'affidabilità della proposta contrattuale del concorrente aggiudicatario fosse stato connotato da "significativi profili di complessiva irragionevolezza", tali da non legittimare la prospettica "rinnovazione della verifica dell'anomalia" e da imporre senz'altro "l'esclusione dell'operatore economico dalla gara". 5.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, En. Se. s.p.a., in proprio e quale mandataria del costituendo raggruppamento temporaneo di imprese, impugnava la ridetta statuizione, di cui lamentava la complessiva erroneità ed ingiustizia, auspicandone l'integrale riforma. Si costituivano in giudizio Consip S.p.a., che aderiva alla posizione di parte appellante, e Guerrasio s.p.a., che diffusamente contestava il gravame, anche mercé articolazione di appello incidentale. 6.- Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2023, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa era riservata per la decisione e definita come da dispositivo pubblicato in pari data. DIRITTO 1.- L'appello è fondato e merita di essere accolto. 2.- Con un primo motivo di gravame, l'appellante lamenta violazione e/o falsa applicazione dell'art. 86 del d.lgs. n. 163/2006 e della lex specialis, per travisamento dei fatti, in relazione all'errore materiale sui ricavi dai meccanismi di incentivazione. Assume, in dettaglio, che, nel confronto di posizioni in sede di verificazione, aveva evidenziato, in convergenza con ana rilievo operato dalla stazione appaltante, che nella stima dei ricavi conseguibili dalla esecuzione della commessa avrebbero dovuto essere presi in considerazione anche i proventi rinvenienti dai meccanismi di incentivazione connessi agli incrementi di efficienza energetica, quantificati, per la quota di spettanza, in Euro 1.310.177, 11 (una somma corrispondente essendo destinata alle stazioni appaltanti interessate). Il punto non era, in effetti, sfuggito al verificatore, il quale (alla p. 94 della relazione) aveva dato atto che "i CTP di EN. (avevano sviluppato) i relativi conteggi", i quali avrebbero indotto "a quantificare i maggiori Ricavi di EN. in Euro 1.310.177,11 (pari al 50% dell'intero incentivo di Euro 2.620.354,22 da ripartire a metà con la stazione appaltante)". La stazione appaltante non aveva, per parte sua, omesso di valutare l'incidenza degli incentivi in questione, sia pure operando una stima più prudente, che aveva indotto ad una quantificazione pari ad Euro 1.000.000: stima, in ogni caso, riferita anch'essa "al valore di stretta pertinenza dell'impresa" (in quanto frutto della prefigurata dimidiazione, ai fini del prospettico riparto): il che era fatto ben chiaro al verificatore, che aveva registrato, sul punto, la considerazione del consulente di parte in ordine alla necessaria integrazione del conto economico di EN. di "una ulteriore voce di Ricavo stimata in Euro 1.000.000", che avrebbe reso in tesi "comunque la commessa in utile". I valori in questione (non contestasti, in fatto, dalla controinteressata) erano stati sottoposti già dalle prime fasi della verificazione (v. p. 12 della "nota tecnica" Consip del 3 novembre 2021 e p. 9 della "replica tecnica" EN. del 10 novembre 2021, entrambe in allegato alla verificazione), e in ogni caso ribaditi nelle osservazioni svolte sulla bozza sottoposta al contraddittorio tecnico (richiamate anche nel testo finale della stessa, alle pp. 84-85 e 94). D'altra parte, si trattava, in assunto, di stime senz'altro pertinenti all'oggetto della verifica, posto che il capitolato tecnico legava espressamente tali ricavi agli "interventi di manutenzione straordinaria", che erano oggetto specifico di verificazione (il che, di nuovo, era ben chiaro al verificatore incaricato, se, alla p. 50 della relazione, lo stesso aveva correttamente puntualizzato che "i proventi derivanti dalla vendita dei titoli (scil.: di efficienza energetica, di cui ai decreti ministeriali del 20/07/2004 così come modificati ed integrati dai decreti ministeriali del 21/12/2007, per gli interventi realizzati nel corso di validità dei contratti di fornitura)" fossero "nella titolarità dell'Amministrazione per una quota pari al 50% del valore", che il fornitore avrebbe riconosciuto "attraverso l'emissione di note di credito per l'importo corrispondente"). Nondimeno, nella sua relazione finale il verificatore (assumendone la "non pertinenza" rispetto alla stima dei costi e dei ricavi ed una asserita "tardività " di prospettazione, nel contesto del confronto tecnico) aveva ricusato (e, comunque, omesso) di prendere in considerazione la posta in questione. Per contro, la sentenza impugnata ne aveva bensì, per un verso, ammesso, quanto meno in via ipotetica, la rilevanza, ma - invece di prendere a riferimento il valore (di Euro 1.300.000 o 1.000.000 Euro che fosse) spettante all'impresa, già derivante dal dimezzamento del totale dei ricavi previsti, essendo il restante 50%, come chiarito, a beneficio delle amministrazioni - lo aveva, in modo del tutto ingiustificato, ulteriormente dimezzato, giungendo così alla cifra di soli Euro 500.000,00 Euro, sì da trarne l'erroneo convincimento della concreta irrilevanza, posto che - per come quantificata - essa non avrebbe immutato la conclusione, argomentata dal verificatore, della non redditività dell'offerta. Nell'assunto critico dell'appellante, se fosse stato, invece, preso correttamente in considerazione tale voce di ricavo, per almeno Euro 1.000.000, a fronte della prospettata perdita per 895.035,00 Euro, la commessa sarebbe tornata comunque in utile, smentendo l'apprezzamento di antieconomicità . 2.1.- Il motivo è fondato. Occorre considerare, in premessa, che la decisione appellata muove da precise opzioni di metodo in ordine ai tratti, agli spazi ed ai limiti, in prospettiva remediale, del sindacato sulle valutazioni di anomalia dell'offerta, nella ipotesi di contratti oggetto di affidamento con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Invero, un giudizio "pieno" sulla effettiva "congruità " dell'offerta formulata in sede di gara è ivi legittimato in ragione della ritenuta possibilità di ripetere e "doppiare", in sede di confronto processuale paritario e con la garanzia di effettività del contraddittorio, la valutazione di complessiva "attendibilità " operata, in prima battuta, dagli organi tecnici dell'Amministrazione, ai fini dell'apprezzamento: a) di coerenza e congruità del contenuto della proposta negoziale, sotto il profilo tecnico non meno che economico; b) di idoneità , adeguatezza ed effettiva sostenibilità della relativa struttura dei costi; c) di obiettiva plausibilità della correlativa prefigurazione dei potenziali esiti lucrativi; d) di ragionevolezza e, più ancora, condivisibilità razionale delle giustificazioni emergenti dal confronto dialettico. Ne discende - con la valorizzazione di una compiutezza di acquisizione valutativa al fatto tecnico e al dato economico, ancorché mediato da "valutazioni che richiedano particolari competenze tecniche", garantita dagli strumenti processuali di accertamento (segnatamente, la consulenza tecnica d'ufficio o, come nella specie, la verificazione: cfr. art. 63, comma 4 cod. proc. amm.) - una attitudine potenzialmente "sostitutiva" dell'apprezzamento giudiziale, rispetto a quello amministrativo, le quante volte non fosse superato un critico vaglio di effettiva "attendibilità " (o "maggiore attendibilità "). L'assunto è coonestato dal richiamo a plurimi precedenti del Consiglio di Stato, i quali (a partire dalla nota decisione della VI Sezione, n. 4990 del 15 luglio 2019) hanno avvalorato la prospettiva di una giurisdizione pienamente sindacatoria (secondo il paradigma, di ascendenza euroconvenzionale, della full jurisdiction), senza i limiti tradizionalmente affidati alla (superata) logica della (c.d.) discrezionalità tecnica. 2.2.- In realtà, l'operazione è, di là da più generali rilievi, viziata, nella sua complessiva plausibilità, da una omessa contestualizzazione, ob rem, dei (limiti) del giudizio sul fatto tecnico: altra essendo (come può esser qui sufficiente osservare) l'apprezzamento sulla legittimità della irrogazione di una misura sanzionatoria (cui si riferisce, come è noto, il valorizzato precedente, relativo ad una sanzione antitrust), altro il vaglio di ragionevolezza (o meglio si direbbe di non irragionevolezza) della complessiva sostenibilità di un impegno negoziale programmaticamente assunto in sede di confronto competitivo evidenziale. È chiaro, infatti, che - laddove nel primo caso è necessario garantire, ai fini di una tutela giurisdizionale sostanziale ed effettiva, la possibilità di una alternativa e critica prospettazione dei fatti rilevanti, rimessa al vaglio di un organo imparziale ed indipendente che possa apprezzarne la concreta e circostanziata idoneità a legittimare l'esito afflittivo (arg. ex art. 6, § 1 CEDU e dall'art. 7 del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, pur con la preservazione, su cui non giova indugiare, della sussistenza di un "oggettivo margine di opinabilità ") - nel caso in esame la posizione della stazione appaltante non può che giovarsi di un ampio, quantunque non illimitato, margine di apprezzamento, in ragione della sua posizione di prospettico beneficiario delle prestazioni oggetto di negoziazione sul piano schiettamente privatistico. È questa la ragione per la quale (sovente perseverando, pur nella consapevolezza della sua imprecisione denotativa ed inadeguatezza concettuale, nella valorizzazione della ambigua figura della c.d. discrezionalità tecnica) la giurisprudenza è consolidata nel senso che il giudizio di (non) anomalia dell'offerta si risolva in una valutazione "complessiva" (cioè di "natura globale e sintetica") rimessa (essenzialmente) alla stazione appaltante, che perciò costituisce, in quanto tale, espressione di un tipico "potere tecnico-discrezionale riservato", in via di principio "insindacabile" in sede giurisdizionale, salvo che per ragioni legate alla eventuale (e dimostrata) "manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza" dell'operato dell'amministrazione, tale da rendere "palese" l'inattendibilità (e più precisamente, con rimarcato limite: l'inattendibilità "complessiva") dell'offerta. È per tale ordine di ragioni che - pur essendo, beninteso, perfettamente possibile attivare una verificazione o perfino disporre una consulenza tecnica d'ufficio - il sindacato che è rimesso al giudice non può atteggiarsi, come si vorrebbe, a sindacato potenzialmente "sostitutivo". E così pure al verificatore (o, eventualmente, al consulente) non può essere sollecitata una (autonoma) "rivalutazione" dell'offerte, sotto il profilo dell'apprezzamento della concreta sostenibilità dell'impegno economico, ma solo una evidenziazione degli eventuali errori, travisamenti, incongruenze commessi, avuto riguardo ad una non inattendibile applicazione della regola tecnica, dalla stazione appaltante ovvero della palese irragionevolezza dell'esito giustificativo operato a fronte delle emergenze documentali (cfr., ex permultis e da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 29 luglio 2022, n. 6696). È quel che, in disparte quel che di seguito si dirà in relazione alle specifiche ragioni di doglianza, è accaduto, per contro, nel caso di specie, in cui le risultanze della verificazione sono richiamate, a sostegno della decisione, in termini puramente quantitativi, come scostamenti monetari rispetto alla valutazione compiuta dalla stazione appaltante: sicché, a partire dal mero dato quantitativo della indicata perdita di commessa, se ne è desunta l'irragionevolezza della valutazione e, di conserva, la necessaria esclusione dell'operatore economico. 2.3.- Le osservazioni che precedono consentono di apprezzare, relativamente al primo motivo di appello in esame, le repliche sul punto, che parte appellata affida all'appello incidentale: con il quale di duole, censurando la difforme valutazione del verificatore, condivisa dal primo giudice, una sottostima dei costi di gestione relativamente alla manutenzione straordinaria, il cui apprezzamento finirebbe, in tesi, per sterilizzare (e rendere, con ciò, irrilevante) anche la rivendicata considerazione degli incentivi per l'efficientamento energetico). Per questo rispetto, l'esame del primo motivo dell'appello incidentale si impone (con inversione dell'ordine delle questioni) con priorità . 2.3.1.- Esso è infondato. Invero, risulta dalla documentazione in atti che EN. aveva regolarmente imputato (sotto il profilo degli oneri per la programmata riqualificazione energetica) i costi di manutenzione straordinaria per i necessari interventi di ottimizzazione, operandone una puntuale quantificazione. La stazione appaltante ha concretamente riscontrato, in sede giustificativa, tale imputazione, ritenendola formalmente corretta (quanto al criterio utilizzato) e sostanzialmente congrua (quanto alla relativa misura): sicché, trattandosi di un apprezzamento formulato in assenza di macroscopici travisamenti del dato economico o di manifesta irragionevolezza, deve ritenersi (in coerenza con le riassunte coordinate ermeneutiche, che non giova ribadire) inammissibile la prospettazione di una valutazione meramente alternativa. 2,4,. Ne discende de plano la fondatezza del primo motivo dell'appello principale, in esame. Dalla disamina che precede, emerge infatti che - a fronte delle complessive risultanze documentali - sia il verificatore che, pedissequamente, la sentenza che ne ha recepito le conclusioni sono incorse (anche di là dalla plausibilità delle premesse di metodo) in un errore obiettivo, risoltosi nella arbitraria dimidiazione della posta incentivante da riconoscere all'appellante (che - sia nella più favorevole stima operata in sede di formulazione e di successiva giustificazione dell'offerta, sia nella più prudenziale valutazione formulata dalla stazione appaltante - era stata già valutata, nel senso diffusamente illustrato, al 50%). Ne discende, altresì, a cascata, che - emendata di conserva, quand'anche ceteris paribus, la stima del potenziale utile rinveniente dalla commessa - l'iniziale valutazione di (sia pure limitata o, nelle stesse parole del verificatore, "relativamente modesta") perdita (quantificata nello 0,942%) si trasforma (tralasciando ogni altro profilo) in un (sia pur marginale ma apprezzabile) utile: il quale, per consolidato intendimento (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 2021, n. 243) - che trae, di nuovo, alimento dalla ribadita premessa che ogni valutazione di complessiva congruenza, attendibilità ed economicità deve essere rimessa alla stazione appaltante, sicché non se ne possono, in principio, contestare gli apprezzamenti nel merito - è per sé (ed in guisa assorbente) sufficiente a contraddire la valutazione 'peritalè e le sue conclusioni. 3.- L'accoglimento, negli argomentati sensi, del primo motivo di gravame è assorbente. Invero, anche indipendentemente dalle ulteriori doglianze, il giudizio sull'anomalia dell'offerta oggetto di contestazione ne risulta né irragionevole, né incongruo, sottraendosi, come tale, alle censure complessivamente affidate, per quanto devoluto nella presente sede di gravame, al ricorso di prime cure. 4.- Importa solo precisare come non ostino al ridetto esito i (residuali) motivi affidati all'appello incidentale, in ordine ai quali è sufficiente precisare, con adeguata sintesi: a) che il secondo motivo (con il quale si lamenta uno "scostamento troppo marcato tra il consumo teorico di gas e quello storico ") è inammissibile, per le considerazioni già esposte in relazione al primo motivo, trattandosi in definitiva (di là dai suoi eccepiti profili di 'novità ') di apprezzamento parcellizzato, insuscettibile di incrinare la complessiva e globale valutazione di attendibilità dell'offerta, già utilmente apprezzata dalla commissione valutatrice all'esito di adeguata e completa interlocuzione; b) che il terzo motivo (preordinato alla devoluzione delle ragioni di doglianza rimaste assorbite, ex art. 101, comma 2 cod. proc. amm.) è inammissibile, per tardività . Sotto quest'ultimo profilo, vale invero osservare che l'art. 101, comma 2 cod. proc. amm. prescrive, ai fini della riproposizione, relativamente alle "parti diverse dall'appellante", delle "domande" e delle "eccezioni" dichiarate "assorbite" (o, comunque, "non esaminate") nella sentenza di primo grado, l'onere di formalizzazione "con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio" (e, segnatamente, nel termine di "sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso: cfr. art. 46, comma 1, cod. proc. amm., applicabile anche nella fase di gravame; termini, nella specie, dimidiati ratione materiae, ex art. 119, comma 2 cod. proc. amm.). La "memoria" in questione - in quanto non semplicemente preordinata alla articolazione delle difese, ma alla definizione, necessariamente liminare ed incipitaria, del thema decidendum - rappresenta, di là dalla sua tempestività (non a caso presidiata dalla attitudine decadenziale del relativo termine), il primo atto difensivo, quand'anche fosse incorporato in un appello incidentale, nella logica del principio di concentrazione che connota, anche ai fini del contraddittorio tra le parti e tra le parti ed il giudice, la perimetrazione (e l'ambito) della concreta materia del contendere (cfr., in termini, Cons. Stato, sez. V, 6 settembre 2022, n. 7742 nonché, per ana principio, Cass. SS.UU., 21 marzo 2019, n. 7940 e Id., 9 novembre 2021, n. 32650). Nel caso di specie: a) per un verso, l'appello incidentale non rappresenta il "primo atto difensivo", in quanto preceduto dalla memoria di costituzione depositata in data 9 settembre 2022; b) per altro, concorrente verso, a fronte della notifica dell'appello principale, avvenuta in data 21 luglio 2022, esso risulta depositato il 21 settembre successivo, oltre il termine ne ultra quem che, tenendo conto della sospensione feriale, veniva a scadenza il 20 settembre. 5.- Le considerazioni che precedono militano, in definitiva, per l'accoglimento dell'appello, da cui discende, in riforma della sentenza impugnata, la reiezione del ricorso di prime cure. Le peculiarità della vicenda esaminata giustificano, ad avviso del Collegio, l'integrale compensazione, tra le parti costituite, delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado. Spese del doppio grado compensate. Ordina che il presente dispositivo sia eseguito dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Giovanni Grasso - Consigliere, Estensore Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1502 del 2019, proposto dalla società Pr. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Mo. e Ba. Si. ed elettivamente domiciliata presso lo studio Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (...); contro Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.A., in persona Direttore Generale Affari Legali e Societari avv. Vi. Mo. Vi., rappresentato e difeso dall'avv. An. Se. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione terza ter, del 17 luglio 2018, n. 7971, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Viste le richieste di passaggio in decisione senza discussione orale presentate dalle parti; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2022 il Cons. Francesco Guarracino, nessuno comparso; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La società Pr. S.r.l. ha appellato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione terza ter, del 17 luglio 2018, n. 7971, di reiezione del ricorso avverso il provvedimento GSE/p20130168200 dell'8 agosto 2013 col quale il Gestore dei Servizi Energetici - G.S.E. S.p.a. aveva respinto la domanda di ammissione alle tariffe incentivanti presentata dalla ricorrente in data 8 marzo 2013 per l'impianto n. (omissis) denominato "Pr. Fo. Su.", di potenza pari a 88,20 kW. Il Gestore dei Servizi Energetici - G.S.E. S.p.a. ha resistito all'appello. Le parti hanno prodotto scritti difensivi a sostegno delle rispettive ragioni e alla pubblica udienza dell'8 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. - E' appellata la sentenza con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha respinto il ricorso proposto contro il provvedimento del Gestore dei Servizi Energetici (G.S.E.) di reiezione della domanda di riconoscimento delle tariffe incentivanti per l'impianto fotovoltaico n. (omissis) denominato "Pr. Fo. Su.". 2. - Nella domanda d'iscrizione dell'impianto al (primo) Registro per gli impianti fotovoltaici presentata il 12 settembre 2012 ai sensi dell'Allegato 3-A del D.M. 5 luglio 2012, la società titolare aveva dichiarato, in ordine ai criteri di priorità per la formazione della graduatoria, che l'impianto sarebbe stato installato su di un edificio dotato di attestato di certificazione energetica in classe C, con i moduli montati in sostituzione delle coperture esistenti. Secondo il G.S.E., tuttavia, l'impianto sarebbe stato in realtà installato su un edificio in classe energetica inferiore (classe E), poiché l'attribuzione della classe energetica C non poteva essere determinata, come invece accaduto, adoperando gli algoritmi del sistema di classificazione nazionale concernente la climatizzazione invernale degli edifici e la produzione di acqua calda sanitaria riportato alla Tabella 3 dell'Allegato 4 (All. A, par. 7.2) del DM 26 giugno 2009 - che sarebbe stato utilizzabile esclusivamente per edifici con consumi di acqua calda sanitaria e quindi non nel caso di specie, dove questi consumi risultavano pari a zero - occorrendo viceversa far riferimento al sistema di classificazione riportato in Tabella 1 del medesimo Allegato. 3. - Il T.A.R. ha giudicato il provvedimento immune dai vizi denunciati nel ricorso di primo grado. Ritenuto evidente e pacifico che l'edificio rientrasse nella categoria dei fabbricati non residenziali e non fosse interessato da produzione di acqua calda sanitaria, ha concluso, in conformità con la propria pregressa giurisprudenza, che nel caso di specie effettivamente il calcolo della classe energetica dovesse effettuarsi tenendo conto della Tabella n. 1, anziché della Tabella n. 3 dell'Allegato 4, in quanto unica tabella applicabile anche agli edifici non residenziali; di conseguenza ha giudicato infondato anche il motivo d'impugnazione teso a dimostrare la correttezza sostanziale dei calcoli effettuati per l'individuazione della classe energetica, avendo tali calcoli origine da un erroneo presupposto, ossia la non corretta individuazione della tabella applicabile in base alla tipologia di edificio; ha, infine, disatteso la censura sull'omesso puntuale esame delle controdeduzioni presentate ai sensi dell'art. 10 bis l. 241/1990, dovendosi ritenere comunque legittimo il provvedimento sorretto da una motivazione esaustiva e logica, tale da evidenziare inequivocabilmente le ragioni delle diverse conclusioni raggiunte. 4. - Col primo motivo di gravame l'appellante lamenta che il T.A.R. avrebbe frainteso il motivo di ricorso sull'applicazione della Tabella 3 dell'Allegato 4, col quale aveva dedotto la violazione del bando pubblico per l'iscrizione al primo Registro degli impianti fotovoltaici (procedura FTV1-2012) siccome questo avrebbe prescritto proprio l'uso della Tabella 3 anche per gli edifici che non presuppongono la produzione di acqua calda sanitaria; quest'ultima circostanza si ricaverebbe dal fatto che il bando del 19 agosto 2012 disponeva che la procedura fosse svolta in esecuzione delle Regole applicative del D.M. 5 luglio 2012, emanate il 7 agosto 2012, costituenti parte integrante del bando medesimo, e che l'art. 4.7 delle Regole applicative, al fine di garantire un accesso equo e trasparente alle tariffe incentivanti indipendentemente dall'ubicazione dell'impianto fotovoltaico, dettava apposite modalità per rendere omogenei e comparabili i dati ricavabili dagli attestati di prestazione energetica redatti secondo la normativa della Regione o Provincia autonoma di riferimento, in particolare prescrivendo, al comma 6, lettera d), di "determinare la classe energetica globale dell'edificio verificando l'intervallo di appartenenza sulla base degli algoritmi riportati nella Tabella 3 dell'Allegato 4 (Allegato A, par. 7.2) al D.M. 26.6.2009". La circostanza sarebbe decisiva e comprovata anche dal fatto che lo stesso GSE avrebbe richiesto, quale integrazione documentale, il calcolo redatto sulla base della Tabella 3, ma il fraintendimento avrebbe indotto il T.A.R. a dar seguito a una giurisprudenza non conferente, assimilando il caso in esame ad altre fattispecie in realtà difformi. Si sarebbe trattato, piuttosto, di verificare la correttezza del calcolo effettuato dalla società Pr. applicando la Tabella 3 che era prescritta dal bando, ma al riguardo i calcoli forniti in sede endoprocedimentale non erano stati contestati dal GSE. 5. - Il motivo è infondato. Nel riassumere al punto 2.1 della motivazione il contenuto del primo motivo di censura il giudice di primo grado mostra di aver esattamente colto che la critica era rivolta al fatto che il GSE aveva ritenuto inapplicabile la Tabella 3 dell'Allegato 4 nonostante questa fosse richiamata nel bando per l'iscrizione nel registro. Nel merito, questo Consiglio, con orientamento dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, ha già escluso che dal richiamo alla Tabella 3 dell'Allegato 4 (Allegato A, par. 7.2) al D.M. 26 giugno 2009 contenuto nell'art. 4.7 delle Regole applicative (che, per l'odierna appellante, integrano per relationem il bando) possa derivare, ai fini dell'interpolazione dalla classe energetica certificata nella Regione o Provincia autonoma di appartenenza alla classe energetica globale da valutare ai fini dell'incentivo, l'applicabilità dei criteri di calcolo e dei relativi algoritmi previsti nella Tabella 3, anziché di quelli riportati nella Tabella 1 (cfr. C.d.S., sez. II, 22 luglio 2022, n. 6455; id., sez. IV, 17 aprile 2019, n. 2502). In particolare nel più recente precedente di questa stessa Sezione (n. 6455/22 cit.) è stato condivisibilmente osservato: "- che il citato D.M. del 26 giugno del 2009, nei paragrafi 3 e 7.3, fa espressamente riferimento alla differenza tra edifici residenziali e edifici non residenziali specificando che, per i primi, gli indici di prestazione energetica sono espressi in kWh/mq, mentre per i secondi i medesimi indici sono espressi in kWh/mc; - che quindi per individuare la classe energetica degli edifici non residenziali (come quello oggetto di causa), si devono utilizzare i parametri e le Tabelle che consentono una misurazione in kWh/mc; - che l'unica delle tre Tabelle contenute nell'Allegato 4 (Allegato A, par. 7.2) al D.M. 26 giugno 2009 che può essere utilizzata indifferentemente per edifici residenziali o non residenziali è la Tabella 1, essendo l'unica priva di costante dimensionale (né kWh/mc anno, né kWh/mq anno), riferendosi invece le Tabelle 2 e 3 a kWh/mq anno, grandezza riferibile in base alla normativa in esame solo agli edifici residenziali; - che il paragrafo 3 dell'Allegato A al D.M. 26 giugno 2009 fa espressamente riferimento alla differenza tra edifici residenziali ed edifici non residenziali: la disposizione, dopo aver indicato la formula di calcolo dell'indice di prestazione energetica globale, precisa: "Nel caso di edifici residenziali tutti gli indici sono espressi in kWh/mq anno. Nel caso di altri edifici (residenze collettive, terziario, industria) tutti gli indici sono espressi in kWh/mc anno"; - che il par. 7.3 del medesimo Allegato A al D.M. 26 giugno 2009, appositamente dedicato alla "climatizzazione invernale dell'edificio", prevede: "Si richiama l'attenzione sul fatto che nel costruire la scala di confronto, per gli edifici residenziali gli indici di prestazione sono espressi in kWh/mq anno, mentre per residenze collettive o edifici non residenziali, i medesimi indici sono espressi in kWh/mc anno". Si veda, in senso conforme alle considerazioni sopra esposte, la pronuncia di questo Consiglio di Stato, Sezione quarta, 17 aprile 2019, n. 2502. Può aggiungersi che (...) lo stesso richiamo effettuato dal suddetto art. 4.7 delle Regole Applicative appare impreciso, e quindi non pienamente attendibile, se riferito agli edifici che, come quello di cui si discute, non sono residenziali. Infatti quell'art. 4.7 delle Regole Applicative, nel richiamare gli algoritmi riportati nella Tabella 3 dell'Allegato 4 (Allegato A, par. 7.2) al D.M. 26 giugno 2009 ai fini di determinare omogeneamente la classe energetica globale degli edifici: - oltre a non tener conto, come già rilevato, che gli indici espressi in kWh/mq anno per gli edifici residenziali non sono tecnicamente relazionabili con gli indici di prestazione energetica, espressi in kWh/mc anno, degli edifici non residenziali; - non considera, né reca precisazioni sul punto, che le tre Tabelle contenute nel suddetto art. 4.7 delle Regole Applicative sono precedute dalla intestazione "Esempio per un edificio residenziale", così apparentemente escludendo l'applicabilità della disposizione agli edifici non residenziali. In tal modo - considerato che, come già detto, gli indici espressi in kWh/mq anno per gli edifici residenziali non sono tecnicamente relazionabili con gli indici di prestazione energetica, espressi in kWh/mc anno, degli edifici non residenziali; e che le Tabelle 2 e 3 recano indici espressi in kWh/mq anno - l'unica interpretazione del suddetto art. 4.7 delle Regole Applicative compatibile con restante corpo normativo regolamentare appare essere quella di richiamo alla sola Tabella 1, la sola delle tre Tabelle, recante la scala di classi energetiche espressione della prestazione energetica per la climatizzazione invernale avente portata generale, perché non limitata agli indici espressi in kWh/mq anno". Non è corretto inoltre che il GSE avrebbe richiesto, nella sua richiesta di integrazione documentale, il calcolo redatto sulla base della Tabella 3. La richiesta di documentazione integrativa per l'impianto fotovoltaico in questione, motivata dal fatto che l'attestato di certificazione energetica era stato redatto sulla base di normative regionali, risulta infatti neutra rispetto alla questione esaminata, poiché a ben vedere esso si limita a riassumere nelle "note" dell'allegato 1 il contenuto dall'art. 4.7, comma 6, delle Regole Applicative. 6. - Col secondo motivo di appello la società Pr. deduce che la sentenza impugnata avrebbe completamente omesso la valutazione del secondo motivo di ricorso, col quale in realtà la ricorrente avrebbe sostenuto che la sua dichiarazione fosse veritiera e conforme a quanto prescritto dagli artt. 71 e 75 del DPR n. 445/2000 e quindi semmai regolarizzabile, ma non sanzionabile con l'esclusione o la decadenza prevista per il caso di dichiarazione falsa; tanto più che, non essendo stati interamente assegnati i fondi disponibili del Quinto conto energia, l'attribuzione di una classe energetica in ipotesi superiore a D non avrebbe comunque inciso sul conferimento in suo favore del beneficio dell'incentivazione della tariffa. 7. - Il motivo è infondato. Il T.A.R., dopo aver respinto al punto 2.1. della sentenza il primo motivo di ricorso riguardante l'applicazione della Tabella 3 anziché della Tabella 1 dell'Allegato 4 ai fini della classificazione della classe energetica dell'edificio, ha osservato: "2.2 Queste considerazioni, quindi, consentono di ritenere non fondato anche il secondo motivo di impugnazione, laddove la ricorrente rivendica la correttezza sostanziale dei calcoli effettuati per l'individuazione della classe energetica: calcoli che, secondo quanto appena visto, hanno origine da un erroneo presupposto, ossia la non corretta individuazione della tabella (di cui al d.m. 26 giugno 2009) nella specie applicabile, in base alla tipologia di edificio". Giova ricordare che il secondo motivo del ricorso, contenuto a pag. 13 dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, testualmente recitava: "L'atto impugnato contesta, anche se solo nella parte motiva, che la dichiarazione del Soggetto Responsabile non è conforme al DPR 445/2000 (quarto capoverso del "Considerato che"). Il che fermamente contestiamo posto che, con tutta evidenza, GSE ha agito nel presente procedimento per la verifica dei dati attraverso il controllo della documentazione trasmessa dal Soggetto Responsabile, ai sensi dell'art. 42, comma 1 del D. Lgs. n. 28/2011, valutando diversamente i dati forniti da Pr., che pertanto sono veritieri oppure, al più (ma non lo si è contestato), errati. La dichiarazione di Pr. è, certamente, veritiera, onde non può certo ipotizzarsi l'applicazione degli artt. 71 e 75 del DPR n. 445/2000. Anzi, l'art. 71, comma 3 di tale DPR avrebbe semmai prescritto la regolarizzazione della dichiarazione in quanto essa non conteneva falsità . Solo che la regolarizzazione non sarebbe stata nella fattispecie possibile se non si fosse previamente provveduto a modificare la normativa di gara, prescrivendo, in alternativa, l'applicazione della Tabella 1 oppure della Tabella 3". Dunque nel motivo di censura si assumeva che il GSE avesse semplicemente "valuta(to) diversamente" i dati forniti dal soggetto responsabile dell'impianto, che potevano essere errati ma non falsi, e che a ostare alla regolarizzazione della dichiarazione fosse piuttosto la necessità di provvedere previamente alla modifica della normativa di gara, che secondo quanto assunto nel primo motivo di ricorso avrebbe vincolato all'utilizzo della Tabella 3. Ma come visto poc'anzi il T.A.R. ha correttamente escluso che il bando, tramite il rinvio alle Regole applicative, avesse imposto l'utilizzo della Tabella 3; altrettanto correttamente il primo giudice ha rilevato, per questa stessa ragione, che i calcoli forniti dal soggetto responsabile trovavano origine in un'erronea individuazione della tabella applicabile in base alla tipologia dell'edificio di cui nel concreto si trattava. Non si è trattato, dunque, di una diversa valutazione dei dati forniti, ma della constatazione che dalla documentazione prodotta, una volta applicato il corretto sistema di classificazione, la classe energetica dell'edificio in questione risultava diversa da quella dichiarata (cfr. il provvedimento impugnato in primo grado: "contrariamente a quanto dichiarato dal Soggetto Responsabile, ai sensi del DPR 445/2000, in ordine ai criteri di priorità per l'iscrizione al Registro, l'impianto è stato installato su un edificio in classe energetica inferiore a C (classe E), poiché nella fattispecie è necessario fare riferimento al sistema di classificazione riportato in tabella 1 dell'Allegato 4 (Allegato A, par, 7.2) al DM 26 giugno 2009"). 8. - Per le ragioni esposte, in conclusione, l'appello deve essere respinto. 9. - La novità delle questioni all'epoca della proposizione dell'appello giustificano la compensazione delle spese del grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Oberdan Forlenza - Presidente Francesco Frigida - Consigliere Carla Ciuffetti - Consigliere Francesco Guarracino - Consigliere, Estensore Maria Stella Boscarino - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Simona Caterbi ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 5264/2020 promossa da: (...) (cf. (...)) (...), C.F. (...) , con il patrocinio dell'avv. FA.FR. e dell'avv.to PA.FI. PARTE RICORRENTE E (...) (c.f. (...) ) (...) (c.f. (...) ) con il patrocinio dell'avv. VA.BO. e dell'avv.to LU.BA. PARTE RESISTENTE FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida in data 22.05.2020, (...) e (...) convenivano in giudizio avanti il Tribunale di Pavia i signori (...) e (...) deducendo: di essere proprietari di una unità immobiliare sita in V. (P.), corso T. n. 29, piano primo, censita al NCEU del predetto Comune al foglio (...) particella (...) sub. (...) P. 1 cat. (...) cl. (...) vani 6,5 R.C. 315,56; che la predetta unità abitativa veniva concessa in locazione ai signori (...) e (...) ad uso abitativo, in forza di contratto di locazione in data 29.09.2018, debitamente registrato; che il contratto prevedeva un canone mensile di locazione di Euro 700,00 da pagarsi in rate anticipate scadenti il giorno 15 di ogni mese; che i conduttori non avevano provveduto a pagare le rate del canone di locazione relative ai mesi da ottobre 2019 a maggio 2020 per un importo di Euro 5.600,00, cui si somma un arretrato sulle mensilità precedenti pari ad Euro 1.000,00; convenivano gli stessi in giudizio instando per la convalida di sfratto per morosità e per la contestuale emanazione di decreto ingiuntivo di pagamento. Alla udienza fissata si costituivano i conduttori contestando la debenza di Euro 1.000,00, e deducendo la legittima sospensione del pagamento dei canoni di locazione a partire dal mese di ottobre 2019 per grave inadempimento dei locatori per le mensilità successive. In particolare rilevavano: che fra le parti era intercorso Acc. in data 11 luglio 2019, nel quale i proprietari concedevano uno sconto di Euro 1.000,00 sulle mensilità arretrate, ante ottobre 2019; che, infatti, nel febbraio 2019, dopo quattro mesi dall'inizio del contratto di locazione, nell'appartamento locato i conduttori avevano evidenziato problematiche quali considerevoli macchie di umidità, muffe ed efflorescenze in pressoché tutti i locali dell'abitazione, che il tecnico dagli stessi incaricato aveva individuato la causa delle stesse in una serie di molteplici fattori: insufficiente riscaldamento dell'appartamento lasciato vuoto e quindi freddo per molti anni in data antecedente alla stipula della locazione; nella presenza sia sottostante che soprastante l'appartamento di unità immobiliari non riscaldate in grado di provocare, a livello di pavimento e soffitto, un grande sbalzo termico: nella presenza di una caldaia poco prestante che non riesce a sopperire al riscaldamento interno dell'appartamento e che non fa superare i 19 gradi; nella presenza di un intonaco plastico che non permette ai muri di respirare, con nuovi serramenti molto prestanti, che non permettono il passaggio di aria e quindi il ricambio naturale; nella probabile presenza all'interno del servizio igienico di perdite che macchierebbero il soffitto dell'appartamento del piano terra; presenza di forte umidità; che inoltre vi era forte odore di fogna permanente che fuoriesce dagli scarichi, presumibilmente dovuti ad un mancato, ovvero errato, posizionamento della colonna di esalazione dei bagni. Evidenziavano la sussistenza di una danno patrimoniale, connesso ai mobili ammalorati dalla umidità e connesso ai maggiori esborsi per riscaldamento da affrontare; deducevano che la proprietà veniva immediatamente informata della problematica e sollecitata ad intervenire, tenuto conto dei consigli offerti dal tecnico sulle modalità di emanazione dei vizi; che, inoltre, la persistenza della umidità, che si andava aggravando, aveva causato gravi problemi dermatologici al loro figlio minore; che ciò giustificava il diritto a sospendere, ex art. 1460 c.c., il versamento del canone; che ancor prima della notifica della citazione per convalida di sfratto era stato incardinato avanti il Tribunale di Pavia una procedura ex art. 696-bis c.p.c. allo scopo di far accertare la fondatezza delle proprie doglianze; che l'immobile non era stato rilasciato attesa la emergenza sanitaria in atto. Alla udienza fissata per la convalida, il giudice non disponeva il rilascio dell'immobile e concedeva i termini per la instaurazione della mediazione e per il deposito di memorie integrative, previa conversione del rito. Nelle memorie integrative parte locatrice dava atto di essersi immediatamente attivata nell'anno 2019, non appena ricevute le richieste dei conduttori, per eliminare le problematiche; di aver installato, infatti, nell'immobile un ventilconvettore al fine di migliorare il ricircolo dell'aria; di aver, altresì, provveduto alla sostituzione di una tubatura ammalorata essendo nelle more emersa detta problematica; di aver effettuato dei fori di areazione nei cassonetti delle tapparelle per migliorare il ricambio d'aria all'interno dell'abitazione e a fare isolare con un "cappotto termico"; di aver quindi raggiunto un accordo per il pagamento delle mensilità arretrate con uno sconto di Euro 1.000 per i disagi; che controparte aveva messo in discussione tale accordo, motivo per il quale aveva formulato domanda di pagamento anche di detta somma; che a seguito della ulteriore interruzione dei pagamenti a partire dall'ottobre 2019 era stato dato incarico ad un tecnico di posizionare nell'appartamento in questione uno strumento a registrazione continua di temperatura e umidità ambiente che aveva verificato la costante umidità all'interno dell'appartamento da imputare alla formazione di vapore acqueo e alla mancata ventilazione naturale; che il Consulente nominato nel procedimento per ATP aveva riconosciuto che l'immobile era stato costruito secondo le normative dell'epoca e i nuovi serramenti erano adeguati e montati correttamente. Rilevavano da ultimo che i conduttori non tenevano il bene in maniera adeguata, in specie nella parte esterna. Instavano pertanto, oltre che per la risoluzione del contratto con rilascio dell'immobile e condanna al pagamento dei canoni scaduti e da scadere, anche per la condanna alla rifusione dei danni cagionati all'immobile che erano stati evidenziati dal consulente. Nella memoria dei conduttori questi riportavano quanto già dedotto dinanzi al giudice dello sfratto. La causa veniva istruita attraverso la assunzione di altra CTU. Indi veniva discussa e decisa alla udienza del 1.2.2023. P. e non contestato che fra le parti, (...) e (...) quali proprietari e (...) e (...) quali conduttori, è intercorso, in data 29.09.2018, contratto di locazione ad uso abitativo dell'immobile sito in V. (P.), corso T. n. 29, piano primo, censita al NCEU del predetto Comune al foglio (...) particella (...) sub. (...), contratto che prevede il versamento in capo ai conduttori di un canone mensile di locazione di Euro 700,00 da pagarsi in rate anticipate scadenti il giorno 15 di ogni mese. E' incontestata una prima sospensione del pagamento dei canoni, che si risolve a seguito della firma dell'Acc. di data 1 luglio 2019, con il quale, a fronte delle mensilità da gennaio a maggio 2019, a quella data non corrisposte, i locatori concedevano un abbuono di Euro 1.000,00 così richiedendo la minor somma di Euro 2.500 anziché di Euro 3.500,00 come da contratto. Il detto accordo prevedeva una sorta di decadenza da detto sconto in ipotesi di mancato versamento anche di una sola rata. Risulta peraltro che tutte le rate siano state pagate; non risulta, altresì richiesta la risoluzione del detto accordo; ne consegue la infondatezza della domanda (che peraltro non sembra riproposta nelle conclusioni), di versamento dell'importo di Euro 1.000,00. (...) e non contestato inoltre che a partire dal mese di ottobre 2019 i conduttori non hanno versato alcunché. Ciò premesso, si osserva. Parte ricorrente, allegando il contratto di affitto, ha adempiuto all'onere probatorio sulla stessa incombente. Secondo la ormai nota decisione delle Sezioni Unite della Corte, infatti, "In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento" (Cass. S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533; cfr., in senso conforme, più di recente, Cass. sez. 6 - 3, Ordinanza n. 3587 del 11/02/2021; Cass. sez. 3, ordinanza n. 22244 del 14/07/2022). Spetta, pertanto, al convenuto eccepire l'avvenuto rispetto delle previsioni contrattuali. Nel caso di specie gli odierni convenuti non hanno in alcun modo dedotto di aver corrisposto i canoni (dall'ottobre 2019 i canoni non corrisposti ad oggi ammontano a ben 40), rilevando la sussistenza del proprio diritto alla sospensione, ex art. 1460 c.c., quale forma di autotutela, atteso l'inadempimento della locatrice ad attuare le opere di manutenzione straordinaria necessarie alla abitabilità dello stesso. A tali eccezioni, replica parte locataria rilevando la esecuzione di ogni intervento richiesto e comunque il buono stato dell'immobile, considerata l'epoca di edificazione. Come già rilevato, la causa è stata istruita con le allegazioni delle parti e con la assunzione di ben due consulenze. Si rileva, infatti, che risulta eseguito accertamento tecnico preventivo e disposta, altresì, nel corso del presente giudizio, ulteriore consulenza. Il consulente nominato dal precedente istruttore nel presente giudizio, Architetto Teresio (...), cui veniva demandato il seguente quesito: "compiuti gli accertamenti ritenuti necessari, dica il CTU se le caratteristiche costruttive della stessa siano o meno conformi allo stato dell'arte vigente al tempo della realizzazione della unità immobiliare con riferimento alle problematiche di umidità e muffa riscontrate, considerato anche che l'edificio risulta esposto su tutti e quattro lati e solo la facciata posta a Ovest risulta essere con cappotto esterno così che l'immobile non è prestante ai fini energetici", ha concluso il suo elaborato precisando che: "Gli edifici costruiti antecedentemente la L. n. 10 del 9 gennaio 1991, non avevano nessun obbligo di isolamento termico (e acustico); Si lasciava in capo al progettista la discrezionalità di tecniche costruttive di ogni tipo, la cui scelta era in primis dettata dai costi stessi dei prodotti. Naturalmente esistevano le buone tecniche costruttive per i vari tipi di edifici, indicate nei manuali tecnici, che iniziavano negli anni '80 a trattare l'argomento del risparmio energetico, divenuto problema per gli effetti della crisi energetica sopra detta: per esempio "il risparmio energetico è l'aspetto che maggiormente preoccupa i Paesi industrializzati" era scritto nella prefazione della "Enciclopedia pratica per progettare e costruire" di Ernst Neufert -edita da HOEPLI nel Gennaio 1981- (praticamente la Bibbia dei progettisti, fonte di studio e confronto di generazioni di Architetti e Ingegneri); in essa nella sesta edizione derivata dalla trentesima edizione tedesca, erano dedicati "ampio spazio agli isolamenti delle costruzioni, e di tutte le parti accessorie, porte, finestre, ecc.", oltre che "la revisione e l'aggiornamento delle voci afferenti gli impianti di riscaldamento, in seguito all'emissione delle nuove disposizioni di Legge riguardanti tali impianti". Il CTU ha pertanto rilevato che l'immobile è stato edificato secondo le normative vigenti all'epoca dei fatti; ha evidenziato che all'epoca erano stati emanati degli studi volti ad individuare le buone tecniche costruttive degli edifici; che dette buone tecniche sono state poi tradotte in normativa negli anni successivi. Circa la presenza di muffa e di umidità il consulente ne ha dato atto, rilevando che: "Dalle numerose immagini fotografiche allegate e sopra indicate, si rilevano zone con formazione di muffa, soprattutto negli incontri tra pavimenti, pareti e soffitti, nei sottodavanzali e intorno ai serramenti, in quanto in realtà in quei punti sono presenti maggiormente i ponti termici non corretti (mancanza o carenza di isolamento termico-Vedi Nota 1-). Questi facilitano lo scambio di aria calda dall'interno, verso l'esterno (nella stagione invernale) e in presenza di umidità relativa ambientale interna elevata del 65-70% (come di fatto rilevato e già agli Atti), provocano fenomeni di condensa superficiale dell'umidità, che asciugando si tramuta in muffa. Quindi anche l'umidità contenuta nell'aria dell'ambiente, che non trova libero sfogo, si condensa nei punti più freddi dell'involucro parete. Questa umidità è prodotta sia dalle attività fisiologiche umane, che da quelle domestiche" (Punto 6 CTU Fa.). Il consulente ha altresì evidenziato che nell'immobile si formano ponti termici, "i quali sono da attribuire al combinato disposto di pareti perimetrali prive di coibentazione, sottotetto e piano terra non riscaldati e dalla dimostrazione tramite indagini termografiche eseguite di zone parietali a differenti temperature, coincidenti con i punti ove si manifestano le muffe, rende evidente che l'appartamento nel suo insieme non è termicamente adeguato alla normativa attuale nonostante le azioni positive messe in atto per cercare di migliorarne le condizioni: Serramenti finestra isolanti e a tenuta, di recente installazione, con cassonetti ventilati; Cappotto isolante esterno nella parete a Ovest di sp. 10 cm. Un miglioramento delle condizioni ambientali interne, si noterà sicuramente una volta conclusi i lavori in corso nel piano terra dell'immobile, con conseguente riscaldamento invernale dello stesso. (Punto 7 CTU Fa.). Informazioni più pregnanti ai fini della risoluzione della presente controversia ci pervengono dall'ATP disposto. Il consulente ha evidenziato che "Principalmente la problematica è presente nei locali soggiorno e cucina, inoltre in uno dei due servizi igienici e nella camera matrimoniale. La parte di strutture più compromesse dal problema risultano orientate verso nord-est e parte della parete verso sud". Ha evidenziato inoltre che "Non risultava più presente l'infiltrazione e muffa sulla parete tra soggiorno e bagno, come detto dalle parti il problema derivava da un'infiltrazione proveniente dal bagno e poi nel tempo riparata" (ATP pag. 5 e 6). Ha evidenziato altresì che i serramenti dell'immobile risultano tutti sostituiti con nuovi serramenti nell'anno 2018. L'Ing. Arch. (...) ha inoltre provveduto, stante il quesito demandato, a verificare le cause sottese a detti ammaloramenti, in specie eseguendo indagine termografica. Il consulente ha preliminarmente dato atto che l'appartamento locato si trova compreso fra due immobili non riscaldati; in particolare, il piano terra sottostante, risulta freddo in quanto sottoposto a intervento di manutenzione, mentre il piano superiore ad uso sottotetto risulta invece freddo in quanto, come previsto dalle normative vigenti in materia (L.R. Lombardia n. 24 del 2006) regolarmente non riscaldato (privo di qualsiasi sistema di generatore/emissione e regolazione) in quanto locale ad uso accessorio e non abitativo. Il CTU nominato nell'ATP in merito alla formazione di muffe dichiara (pagine 11-12 relazione prodotta da parte ricorrente) rileva: "Si ritiene che il problema della formazione di muffe su parte delle pareti si possa associare al fenomeno di condensazione superficiale per cui, raggiunta la temperatura di rugiada, il vapore presente nell'ambiente passa dallo stato gassoso allo stato liquido dall'elevato valore dell'umidità relativa. L'umidità relativa (UR) indica la quantità di vapore acqueo contenuto nell'aria di un ambiente. Il suo valore dipende dalla temperatura ma all'interno delle abitazioni essa è condizionata dalla presenza di persone sia per le attività fisiologiche (sudorazione, respirazione, riposo ecc.) che per le attività domestiche (cottura dei cibi, doccia calda, biancheria stesa ecc.). In assenza di un sistema di controllo dell'umidità relativa interna, quando l'umidità relativa è superiore al valore di progetto (la normativa riguardante l'efficienza energetica degli edifici specifica che per i calcoli necessari si assumono come valori di progetto l'umidità relativa al 65%) vuol dire che si è in presenza di una quantità di vapore acqueo in eccesso, che non potendo essere dissipato, condensa e successivamente può portare alla formazione di muffe. La soluzione a valori alti di umidità relativa è la ventilazione; essa può essere naturale (apertura delle finestre programmata) o tramite VMC ventilazione meccanica controllata. Valutata la presenza di solo una parete isolata, le restanti strutture non coibentate e la ventilazione presente nei cassonetti dei recenti infissi si ritiene che potrebbe bastare per una giusta ventilazione solo l'areazione naturale." Da tali risultanze si può ricavare quanto segue. L'immobile venne edificato secondo le normative vigenti dell'epoca; esistevano, fin dai primi anni '80 degli studi in ordine alle buone tecniche edificatorie, i quali peraltro, non avendo assunto a valore normativo, non imponevano in alcun modo di edificare secondo le tecniche indicate negli studi. E', infatti, completamente irrilevante quanto dedotto dall'ing. F. circa la esistenza, all'epoca della edificazione, di manuali individuanti tecniche costruttive maggiormente adeguate rispetto a quelle utilizzate dalla ditta che ha eseguito l'immobile; trattavasi di meri studi, non trasfusi in normativa ed ai quali non è in alcun modo possibile riconoscere valore alcuno. L'immobile locato è costituito da appartamento sito in una villetta posto al primo piano; il piano terra ed il piano superiore non sono abitati e pertanto non sono riscaldati. L'immobile, in quanto edificato in periodo nel quale non erano obbligatori degli standard minimi in tema di coibentazione, presenta la formazione di ponti termici; le muffe e gli ammaloramenti sono causati dal fenomeno di condensazione superficiale che comporta che il vapore presente nell'ambiente passa dallo stato gassoso allo stato liquido a causa dell'elevato valore dell'umidità relativa. Il valore della umidità relativa all'interno delle abitazioni è collegata alla formazione di vapore acqueo a suo volta connesso al numero di persone presenti, alla esecuzione di una serie di attività comportanti la formazione di vapore, e pertanto sia attività connesse alle persone quali sudorazione e respirazione, sia alle attività svolte, come cottura dei cibi, doccia calda, biancheria stesa. Quando il valore acqueo è eccessivo, questo, infatti, si posa si condensa e si posa successivamente sulle pareti causando il fenomeno lamentato. Come rilevato dai consulenti, all'interno di un immobile con non elevate capacità di coibentaizone, la formazione di muffe può essere eliminata solo attraverso il costante controllo della umidità, che si concretizza, di fatto, con una adeguata ventilazione, che l'ing. F., ha ritenuto, attesa la presenza di una parete isolata e la ventilazione presente nei cassonetti degli infissi, sufficiente attuarsi attraverso l'areazione naturale che in concreto si ottiene arieggiando le stanze ed utilizzando deumidificatori. Ciò premesso in punto emergenze istruttorie, in punto di diritto si evidenzia. A fronte di una giurisprudenza risalente, secondo la quale la autoriduzione del canone costituisce comportamento arbitrario ed illegittimo del conduttore (cfr. Cass. S.U. 23.10.1984), la giurisprudenza più recente ha ritenuto, in virtù della applicazione dei fondamentali principi di necessaria sinallagmaticità delle prestazioni contrattuali e della eccezione di inadempimento, la legittimità della autoriduzione medesima. Si è osservato, infatti, che "Nei contratti con prestazioni corrispettive, qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l'inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell'altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell'elemento cronologico, ma anche e soprattutto dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico - sociale del contratto." (Cass. Civ. sez. III, 18.04.2001, n. 5682). In particolare, la Suprema Corte ritiene che "in tema di inadempimento contrattuale vale la regola che l"exceptio non rite adimpleti contractus", di cui all'articolo 1460 c.c., si fonda su due presupposti: l'esistenza dell'inadempimento anche dell'altra parte e la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva. In applicazione di tale principio, qualora un conduttore abbia continuato a godere dell' immobile locato, pur in presenza di vizi, non è legittima la sospensione da parte sua del pagamento del canone, perché tale comportamento non sarebbe proporzionale all'inadempimento del locatore". (Cass. Civ. sez. III; 26.5.2022, n. 17020). La Corte pertanto ha legittimato la autoriduzione del canone laddove vi sia parziale utilizzo dell'immobile; ha pur sempre censurato il comportamento del conduttore che continua ad abitare l'immobile, e pertanto utilizza quanto messogli a disposizione dal locate ore, senza corrispondere alcunché. Nel caso di specie emerge dalle consulenze, che l'immobile è costituito da soggiorno, cucina, tre camere e due bagni, oltre agli accessori esterni quali balconi, giardino, ecc. In sede di Atp, il consulente ha rilevato che "Principalmente la problematica è presente nei locali soggiorno e cucina, inoltre in uno dei due servizi igienici e nella camera matrimoniale. La parte di strutture più compromesse dal problema risultano orientate verso nord-est e parte della parete verso sud". Se ne ricava che nelle due camere da letto, in un bagno e nelle parti esterne del bene non vi erano problemi. Posto che è pacificamente emerso che i conduttori sono ancora nell'immobile ed utilizzano lo stesso, sia nelle parti ammalorate, sia in quelle prive di vizi, e ciò pur avendo dall'ottobre 2019 sospeso interamente il canone, sussiste, indubbiamente, inadempimento dei conduttori, atteso che il loro comportamento non risulta in alcun modo giustificabile e proporzionato all'asserito inadempimento dei locatori. Ciò premesso, occorre verificare se, parallelamente vi sia un inadempimento imputabile ai locatori. Indubbiamente, come evidenziato, l'immobile, in quanto di non recente edificazione, non è adeguato alle più recenti normative energetiche. I conduttori, peraltro, al momento della stipula del contratto di locazione, hanno potuto verificare quale fosse lo stato energetico dell'immobile, attesa la certificazione allegata al contratto, che classifica l'immobile nella classe energetica E, vale a dire una delle più basse. Indubbiamente lo stato dell'immobile è condizionato anche dal fatto che trattasi di immobile autonomo, esposto su quattro lati ed oltretutto non riscaldato né al piano inferiore né a quello superiore; tali circostanze peraltro, in quanto attinenti alle caratteristiche esterne dell'immobile, erano evidenti fin dalla sottoscrizione del contratto. Entrambi i CTU, ed in specie il consulente dell'ATP, hanno evidenziato che la condensa e la muffa sono anche e soprattutto originate da attività umane, fisiologiche e domestiche; trattasi delle attività che vengono poste in essere ovviamente dagli occupanti dell'immobile. L'ing. F. inoltre ha anche evidenziato che portando la temperatura dell'immobile a valori ottimali, introno ai 20, l'umidità permane elevata; che pertanto l'unico modo per eliminarla consiste nella ventilazione e nella deumidificazione. Ciò premesso, ai locatori si può solo imputare di aver consegnato un immobile, peraltro di classe energetica E, con problemi dal punto di vista dal punto di vista della formazione della umidità; emerge peraltro che questi (cfr. doc. 4) nell'ottobre 2019 hanno fatto eseguire un cappotto termico sull'immobile; hanno installato un ventilconvettore al fine di migliorare il ricircolo dell'aria, (circostanza di cui alla memoria e non contestata);veniva sostituita una conduttura ammalorata e venivano effettuati dei fori di areazione nei cassonetti delle tapparelle per migliorare il ricambio d'aria all'interno dell'abitazione (circostanze non contestate). Non emerge che i conduttori abbiano successivamente richiesto ulteriori interventi ai locatori, posto che questi si sono limitati a sospendere il pagamento dei canoni. Non emerge altresì che i conduttori abbiano acquistato deumidificatori ovvero abbiano provveduto a ventilare spesso l'immobile, come fin dall'inizio consigliato dal perito dell'ATP. Ai conduttori va imputato quindi, oltre al mancato pagamento del canone, di non aver correttamente ventilato l'immobile. Deve pertanto pronunciarsi, alla luce della giurisprudenza sopra riportata, la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento dei conduttori, con condanna di questi al rilascio, atteso che il loro comportamento non risulta in alcun modo giustificabile e proporzionato all'asserito inadempimento dei locatori. Circa il termine per il rilascio, si concede ai conduttori, che non versano canone dall'ottobre 2019, il termine minimo di circa un mese, che si ritiene idoneo per reperire altra unità abitativa. Segue la condanna dei conduttori al pagamento dei canoni non versati. Non risulta svolta domanda di riduzione del canone per mancato utilizzo dei locali; sul punto pertanto questo giudice non può disporre alcunché. Considerato che trattasi di 40 canoni non versati alla data odierna, per Euro 700,00 mensili, i conduttori vanno condannati al versamento dell'importo di Euro 28.000,00. La richiesta di Euro 1.000 va respinta come già motivato. Con riferimento ai danni richiesti, si osserva. I proprietari chiedono la rifusione di Euro 6.900 oltre IVA per danni arrecati all'immobile. Come dedotto il danno è da imputare ad una serie di elementi, alcuni consessi alla particolare struttura dell'immobile ed i maggiori connessi alla non corretta tenuta del bene da parte dei conduttori, per mancata ventilazione e mancato utilizzo di deumidificatori da parte dei conduttori; appare difficile imputare a questi ultimi tutti i danni. La domanda va pertanto respinta. Quanto ai danni richiesti dai conduttori, questi richiedono: -Euro 2.000,00 per spese di scrostatura e rifacimento dell'intonaco delle pareti dell'abitazione eseguiti dai conduttori; -Euro 1700,00 per spese di surplus di costo per fornitura di gas; -Euro 7.000,00 per danni arrecati al mobilio di arredo. Si rileva: che non vi è prova che questi abbiano sostenuto spese per la scrostatura ed il rifacimento dell'intonaco; le spese di gas appaiono congrue atteso che dalla certificazione energetica emerge che l'appartamento necessita di mc 2753,08 annui di gas (cfr. doc. 3 ricorrenti); non emerge in alcun modo che i mobili si siano rovinati; in ogni caso è emerso che molti degli ammaloramenti sono imputabili alla mancata ventilazione dell'immobile e pertanto a fatto dei conduttori. La domanda va quindi respinta. Quanto alle spese di giudizio e alle spese di consulenza, le stese seguono la soccombenza dei convenuti e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così dispone: accerta e dichiara la risoluzione del contratto di locazione intercorso in fata 29.09.2018 fra (...) e (...) quali locatori e (...) e (...) quali conduttori relativi all'immobile sito in V. (P.), corso T. n. 29, piano primo, censito al NCEU del predetto Comune al foglio (...) particella (...) sub. (...) per inadempimento dei conduttori; per l'effetto ordina il rilascio dell'immobile, libero da persone e cose, entro il 28.02.2023. condanna i conduttori al pagamento dell'importo di Euro 28.000,00, oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo, nonché l'importo di Euro 700 mensili da febbraio 2023 al rilascio; respinge le domande di risarcimento danni formulate da entrambe le parti. Condanna altresì la parte resistente Ro. e Ma. a rimborsare alla parte ricorrente Ri. e Ma. le spese di lite, che si liquidano in Euro 410 per anticipazioni; Euro 6.500,00 per compenso, oltre rimborso spese gen. al 15%, c.p.a. e i.v.a.. Pone a carico dei resistenti le spese di CTU e di ATP. Indica giorni 15 per il deposito della motivazione. Così deciso in Pavia il 2 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI NOVARA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Annalisa Boido, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 3114/2018 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.ZA., elettivamente domiciliata presso il difensore in Novara, Via (...) ATTORE contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. GI.BA., elettivamente domiciliato presso il difensore in Novara, Via (...) CONVENUTO Oggetto: contratto di compravendita immobiliare - inadempimento - risoluzione CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato e depositato in via telematica presso la Cancelleria di questo Tribunale in data 22.11.2018, parte attrice ha convenuto in giudizio (...), esponendo di aver acquistato dal convenuto, con atto a rogito del Notaio (...) del (...), l'immobile sito in N., via (...) dal (...) n. 6 per il prezzo di Euro 96.000, pagato per l'importo di Euro 80.000 mediante sottoscrizione di mutuo fondiario; di avere riscontrato, nel giro di pochi mesi, che l'immobile era affetto da una serie di difetti di manutenzione (infiltrazioni, muffe, stillicidio, sgretolamento dei trucioli di legno del soffitto); di essersi, pertanto, rivolta a professionista, che accertava la presenza di difetti tecnici quali infiltrazioni, probabile presenza di amianto, mancata impermeabilizzazione del tetto, irregolarità dell'impianto elettrico e del gas, la cui obsolescenza e pericolosità era attestata anche da altri successivi professionisti incaricati; che in particolar modo l'Ing. (...), in seguito agli approfondimenti del caso, assegnava all'immobile la classe energetica F, diversamente da quanto certificato dal convenuto, e inoltre riscontrava, nelle proprie ricerche presso il competente Comune, che non erano reperibili le certificazioni di conformità degli impianti dell'elettricità e del metano e che era inesistente il certificato di abitabilità dell'immobile, in effetti non allegato all'atto di compravendita. In diritto, l'attrice ha contestato la validità dell'atto di compravendita, dal momento che ella non lo avrebbe stipulato se fosse stata a conoscenza dello stato dell'immobile, solo successivamente emerso e ha protestato la responsabilità del venditore, per aver consegnato un bene affetto da vizi; ha richiamato la giurisprudenza che iscrive la mancata consegna del certificato di abitabilità nel grave inadempimento del venditore, data la funzione che detto certificato assolve rispetto alla garanzia del pieno godimento dell'immobile da parte dell'acquirente, e ha evidenziato come detta azione esuli dall'ambito di applicabilità dell'art. 1495 c.c., dando facoltà all'acquirente di agire ai sensi dell'art. 1453 c.c. e per il risarcimento del danno. Rispetto, in particolare, all'azione risarcitoria, l'attrice ha evidenziato di avere subito esborsi per Euro 3507,78 per parziale messa in sicurezza dell'immobile e per l'accertamento dei vizi relativi, come da documentazione che ha allegato, e di avere sostenuto, per la stipula della compravendita, spese per il pagamento del notaio, pari a Euro 4000, e per il pagamento del perito della banca in vista della concessione del mutuo, pari a Euro 275. Parte attrice ha concluso, pertanto, chiedendo al Tribunale di voler, "accertata l'inesistenza del certificato di abitabilità dell'immobile sito in N. alla via (...) dal (...) n. 6 di proprietà dell'attrice, accertato l'inadempimento da parte del convenuto, per l'effetto condannare il sig. (...) a voler ripetere alla sig. (...) la somma di Euro.103.702,78 così come rubricati in narrativa, oltre oneri occorrendi di estinzione del mutuo". Il convenuto si è tempestivamente costituito in giudizio, opponendo, in fatto, che l'attrice prese possesso dell'immobile sin dalla sottoscrizione di contratto preliminare del 29.09.2014, accompagnato da accordo per la locazione provvisoria del bene; che, unitamente alla sottoscrizione del contratto di locazione, il futuro venditore consegnava l'attestato di Certificazione Energetica redatto da un professionista abilitato, nonché, al fine di consentire alla sig.ra (...) le volturazioni delle utenze, tutta la certificazione di conformità relativa all'impianto termico e del gas nonché all'impianto elettrico; che con la suddetta documentazione la sig.ra (...), come concordato con la proprietà, avrebbe dovuto richiedere la certificazione di agibilità a seguito dell'ultimazione della pratica edilizia; che il convenuto, pertanto, aveva confidato, all'atto della stipula del rogito, che tanto fosse stato fatto; che solo dopo notevole tempo dalla presa di possesso del bene l'attrice ha proposto le proprie doglianze per gli asseriti difetti degli impianti e per la mancanza del certificato di abitabilità; che l'attrice neppure ha riferito che le questioni sollevate dalla perizia del Geom. B. sono già state affrontate in sede di ATP e che il CTU, nominato dal Tribunale di Novara nel procedimento per accertamento tecnico preventivo RG n. 1963/2016 ha rigettato le doglianze della sig.ra (...) e ha quantificato, quale importo per una definizione conciliativa, la somma Euro 2.500,00, proposta accettata dal solo (...). Ciò esposto, il convenuto ha eccepito, in via preliminare, l'improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del tentativo di mediazione; ritenuti insussistenti i requisiti di integrazione della fattispecie di cui all'art. 1453 c.c. - reputando il certificato di agibilità agevolmente conseguibile, essendo al più questione di mancanza delle qualità promesse nell'immobile compravenduto - ha altresì eccepito le intervenute prescrizione e decadenza dell'azione ex art. 1495 c.c.; nel merito, ha chiesto il rigetto della domanda attorea; in via subordinata, nell'ipotesi di accoglimento della domanda formulata dalla parte attrice, ha chiesto disporsi in suo favore la restituzione dell'immobile e condannarsi la (...) alla corresponsione dell'equivalente pecuniario per l'uso e il godimento del bene compravenduto sino all'effettivo rilascio. Il convenuto ha altresì allegato di aver effettuato un prestito all'attrice di Euro 10.000, per consentire la stipula del rogito, essendo risultato dinanzi al notaio che l'acquirente non disponeva dell'intera cifra per corrispondere il prezzo richiesto, somma per cui l'attrice sottoscriveva riconoscimento di debito in data 22.12.2014, e ha domandato, pertanto, in via riconvenzionale la condanna di parte attrice al pagamento della somma suddetta. All'esito del deposito delle memorie di cui all'art. 183, co. 6 c.p.c.., precisate da parte dell'attore le conclusioni come riportato in epigrafe, con ordinanza del 12.5.2020 è stata ammessa CTU, volta ad accertare l'esistenza del certificato di agibilità e di eventuali vizi ostativi all'ottenimento del certificato di abitabilità all'atto dell'acquisto dell'immobile, e, successivamente, è stata ammessa la prova orale (per testi e per interpello del convenuto) come da ordinanza del 23.6.2021. Escussi i testi ammessi e sentito il convenuto in sede di interrogatorio formale, all'udienza del 14.06.2022 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Va preliminarmente ribadito che deve essere disattesa l'eccezione preliminare formulata dalla parte convenuta in ordine alla improcedibilità dell'azione per mancato esperimento della mediazione obbligatoria, dovendosi qui richiamare le ragioni già espresse nell'ordinanza del 26.3.2019. Ai sensi dell'art. 5 comma 1 bis D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162 e dal D.Lgs. 6 agosto 2015, n. 130, devono essere precedute dal tentativo di mediazione, a pena di improcedibilità della domanda "le controversie in materia di condominio, locazioni, comodato, affitto di aziende, diritti reali, divisioni, successioni ereditarie, patti di famiglia, risarcimento danni da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o con alto mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari". E' pacificamente ammesso che la mediazione obbligatoria costituisca una limitazione alla regola generale dell'accesso diretto ed incondizionato alla giustizia e pertanto rappresenti una norma eccezionale non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica, con la conseguenza che l'elenco delle materie per le quali la procedura di mediazione costituisce condizione di procedibilità deve essere interpretato restrittivamente. L'indice delle materie di cui all'art. 5, comma 1 bis D.Lgs. n. 28 del 2010, avente ad oggetto le ipotesi di mediazione obbligatoria, è tassativo, non esistendo margine alcuno per qualsiasi interpretazione analogica o estensiva (tra tante Tribunale Milano sez. II, 16/11/2021, n. 9350, Tribunale Catania sez. III, 29/07/2020, n.2665, Tribunale Bologna, 01/12/2011). La fattispecie in esame, vertendo in materia della risoluzione del contratto, è pertanto esclusa dall'ambito di applicazione dell'obbligatorio esperimento del procedimento di mediazione, non essendo ricompresa nelle materie indicate nel D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis (da ultimo Cass. sez. VI, 11/08/2021 n. 22736, nell'ambito della quale gli acquirenti avevano chiesto con rito sommario di cognizione la declaratoria di risoluzione per inadempimento della venditrice perché costei aveva falsamente dichiarato la sussistenza dell'agibilità/abitabilità dell'immobile). 2. Nel merito la domanda attorea non merita accoglimento per le ragioni che seguono. Parte attrice ha agito in giudizio - come definitivamente chiarito nella memoria depositata ai sensi dell'art. 183, co. 1 c.p.c. - al fine di ottenere, ai sensi dell'art. 1453 c.c., la risoluzione del contratto di compravendita stipulato in data 22.12.2014, avente a oggetto l'immobile oggetto di causa, risultato privo del certificato di abitabilità, circostanza appresa, in prospettazione attorea, a seguito di una serie di accertamenti posti in essere da professionista incaricato per la verifica di alcuni vizi emersi anch'essi solo dopo l'acquisto dell'immobile. Ha domandato, quindi, per l'effetto, la condanna del convenuto a restituire la somma di Euro 96.000,00 (pari al prezzo di acquisto dell'immobile), oltre al risarcimento del danno patrimoniale quantificato in Euro 7.702,78 (pari agli oneri accessori alla stipulazione della compravendita e alle spese sostenute per gli accertamenti posti in essere dal tecnico incaricato alle verifiche) o in somma eventualmente maggiore o minore, secondo valutazione equitativa. Parte convenuta, sin dall'atto di costituzione, ha ammesso la mancanza del certificato di abitabilità dell'immobile, deducendo, tuttavia, l'esistenza di un accordo tra venditore e acquirente, in virtù del quale quest'ultima si sarebbe fatta carico dell'ottenimento della predetta certificazione. Giova richiamare, in linea di principio, che per costante orientamento giurisprudenziale, "nella vendita di un immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, poiché vale ad incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico sociale assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità sicché il mancato rilascio della licenza di abitabilità integra un inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio" (cfr. Cass., n. 9788/2022; n. 23265/2019). In particolare, la consegna del certificato di abitabilità dell'immobile da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé condizione di validità della compravendita, integra comunque un'obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell'art. 1477 c.c., rilevante nella fase attuativa del contratto e concernente la possibilità di adibire l'immobile all'uso contrattualmente previsto (Cass., n. 23157/2013), legittimando sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento (cfr. sent. Cass. 23.1.2009 n. 1701). Là dove ricorra un inadempimento del venditore, nei suddetti termini, non configurandosi in sé un vizio materiale dell'immobile, l'attivazione delle relative iniziative a tutela dell'acquirente non è rimesso ai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c. (Cass., n. 4307/2018). La giurisprudenza, al contempo, ha evidenziato che la mancata consegna di detto certificato costituisce un inadempimento del venditore che non incide necessariamente in modo dirimente sull'equilibrio delle reciproche prestazioni delle parti, comportando l'inidoneità del contratto a realizzare la funzione economico - sociale che gli è propria ed escludendo rilievo alla causa effettiva dell'omissione (cfr. Cass., n. 6548/2010; n. 17123/2020; n. 34211/2022), giacché la mancata consegna può anche dipendere da circostanze che non escludono in modo significativo la oggettiva attitudine del bene a soddisfare le aspettative dell'acquirente. Infatti, soltanto nel caso in cui non ricorrano le condizioni per l'ottenimento del certificato in ragione di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche può ipotizzarsi nella mancata consegna del documento un inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della compravendita, mentre nelle altre ipotesi l'omissione del venditore non si sottrae a tale fine ad una verifica dell'importanza e gravità dell'inadempimento in relazione alle concrete esigenze del compratore di utilizzazione diretta od indiretta dell'immobile (Cass., n. 3851/2008; n. 17140/2006; n. 24786/ 2006). In altre parole, l'inadempimento, derivante dalla mancata consegna del certificato, può determinare la risoluzione solo qualora non ricorrano le condizioni per il suo conseguimento (Cass., n. 30950/2017) e l'ipotesi dell'aliud pro alio, che dà luogo all'azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, ai sensi dell'art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c., si realizza allorché il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito in quanto, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l'utilità richiesta (Cass. n. 10916/2011; n. 28419/2013). Ciò premesso, la CTU svolta - i cui esiti sono pienamente utilizzabili, risultando l'operato del professionista adeguatamente ed esaustivamente argomentato nel rispetto del quesito posto - ha permesso di accertare che, ancora alla data del 25.09.2020, presso il Comune di Novara non risultava essere mai stata depositata alcuna attestazione di abitabilità o agibilità afferente all'unità immobiliare di parte attrice. Rispondendo al quesito posto, il CTU ha espressamente chiarito che l'immobile "alla data dell'acquisto non si trovasse nelle condizioni di ottenere il certificato", sussistendo una carenza documentale di fine lavori in ordine all'attestato di rispondenza del progetto a seguito delle opere di sistemazione del fabbricato esistente con cambio di destinazione poste in essere in data 07.05.2007 e sussistendo alcune discordanze fra la realtà dei luoghi e le Tavole progettuali di cui al titolo edilizio (riguardanti tramezze interne, la posizione di una finestra e di una porta interne, la presenza di una pensilina esterna non assentita), oltre a difformità nell'impiantistica (in particolare nell'impianto di riscaldamento, mentre quello elettrico è risultato a norma) e alla presenza di efflorescenze e macchie di umidità, che il CTU ha ritenuto di poter condurre al fatto che alcune lastre della copertura risultassero spostate e che le canaline di scolo fossero ostruite. L'ottenimento del certificato di abitabilità, dunque, risulta condizionato alla chiusura della pratica edilizia, alla certificazione degli impianti (sul punto il CTU ha rilevato che la documentazione prodotta dal convenuto, e che quest'ultimo ha dichiarato di aver consegnato all'attrice all'atto della compravendita, consiste nella mera attestazione della ditta installatrice, rilasciata ai fini dell'attivazione della fornitura del gas, ma non è la certificazione della rispondenza dell'impianto a sicurezza necessaria ai fini dell'agibilità, che presupporrebbe la realizzazione delle modifiche evidenziate in perizia), alla effettuazione di collaudo statico e di regolare accatastamento, il che comporterebbe porre rimedio alle suddette difformità e ai suddetti difetti dell'immobile. Pur tuttavia, il CTU ha altresì espressamente precisato che "l'abitabilità si sarebbe potuta ottenere, e risulterebbe tuttora ottenibile, con poche e semplici lavorazioni", a seguito di avvio della pratica presso il Comune di Novara. Infatti non sono emersi difetti di alcun genere, sotto il profilo strutturale; le difformità dello stato dei luoghi rispetto al progetto sono minimali e regolarizzabili, così come le problematiche all'impianto, con interventi modesti. Quanto alle infiltrazioni, non sarebbe possibile stabilire ad oggi se le fessurazioni nelle lastre di copertura fossero già esistenti o se si siano prodotte nel tempo, mentre è certo che le carenze manutentive abbiano influito sul prodursi delle infiltrazioni. Proprio sulla scorta delle considerazioni suddette, il CTU nominato, nel corso dell'incarico ricevuto, ritenendo le lavorazioni di semplice esecuzione, ha dato luogo ad ampio tentativo di conciliazione tra le parti, quantificando i costi per l'esecuzione delle opere e per la richiesta ed il conseguente ottenimento del certificato di abitabilità in Euro 11.000,00: proposta conciliativa non accolta dalla parte attrice, mentre la parte convenuta sarebbe stata disposta ad assumere tutti gli oneri necessari al rilascio del suddetto certificato. Tenuto conto delle risultanze cui è pervenuto il CTU nominato, si ritiene che, non sussistendo al momento dell'atto di acquisto le condizioni per ottenere la dichiarazione di abitabilità, si configuri l'inadempimento del convenuto rispetto al proprio obbligo di alienare un bene fornito del certificato in questione, in difetto del quale risultano quantomeno diminuite le possibilità di normale commerciabilità del bene, essendo facoltà dell'acquirente pretenderne la presenza. Risulta, dunque, ininfluente l'allegazione della parte convenuta secondo cui le parti si sarebbero accordate perché fosse l'acquirente a portare a termine la pratica edilizia e, con la documentazione ottenuta dal venditore in ordine alla certificazione degli impianti, a richiedere il certificato di abitabilità. E' emerso, infatti, che nello stato in cui l'immobile è stato venduto, il certificato non sarebbe stato rilasciato, dal momento che la certificazione consegnata, quantomeno rispetto all'impianto del gas, non era l'attestazione necessaria a detto fine e dal momento che, in effetti, detto impianto presentava delle carenze. D'altro canto, tuttavia, l'agevole realizzazione degli interventi necessari per l'ottenimento della predetta certificazione impedisce di ritenere che l'inadempimento del venditore abbia caratteristiche di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c.. L'art. 1455 c.c. impone la verifica della non scarsa importanza dell'inadempimento, dovendo il giudice tenere conto dell'effettiva incidenza dell'inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o difettosa esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l'utilità del contratto alla stregua dell'economia complessiva del medesimo. Ora, i difetti individuati dal CTU sono di natura tale da non incidere sulla esistente e perdurante attitudine dell'immobile ad assolvere alla destinazione abitativa sua propria e che è stata oggetto di interesse dalla parte attrice al momento dell'acquisto. Non può non rilevarsi, d'altra parte, che l'attrice, pur essendo stata immessa nel possesso dell'immobile quantomeno dal dicembre 2014, ha proposto la presente azione - in relazione a fatti che il CTU, di ciò incaricato, ha potuto accertare nel giro dei sei mesi intercorsi fra l'assegnazione dell'incarico e la redazione della relazione peritale - solo nel novembre 2018, a distanza di anni dall'acquisto, godendo nel frattempo dell'immobile, a scopo abitativo, in modo perdurante e non compresso in modo sostanziale. Dunque, pur accertata l'inesistenza della certificazione di abitabilità, deve ritenersi che i vizi ostativi, tutti superabili in modo agevole, non consentano di ritenere il bene addirittura "diverso da quello pattuito". Anche l'impegno economico necessario per la regolarizzazione dell'immobile, che dovrà essere sostenuto per garantire la normale circolazione dello stesso sul mercato, se certo non può essere definito minimo, tuttavia non può ritenersi tale da alterare in modo irrimediabile il nesso di sinallagmaticità che lega le reciproche prestazioni, compromettendo quantitativamente l'equilibrio fra le stesse. Da ciò discende il rigetto della domanda attorea di risoluzione del contratto, non sorretta da inadempimento del convenuto qualificabile come grave, e conseguentemente il rigetto della domanda di condanna del convenuto alla restituzione delle somme versategli quale prezzo dell'immobile e della refusione delle spese sostenute per la stipula del contratto di compravendita, domande il cui accoglimento avrebbe avuto come necessario presupposto l'intervenuta risoluzione della compravendita. L'acquirente, odierna attrice, potrà, se del caso, ottenere tutela agendo per l'adempimento ovvero chiedendo di essere ristorata degli importi necessari alla realizzazione degli interventi necessari all'ottenimento del certificato di abitabilità e all'avvio della relativa pratica, domanda che in questa sede la parte, che ha agito unicamente per la risoluzione (e per essere reintegrata degli esborsi divenuti inutili in caso di pronuncia della risoluzione), non ha formulato. Va richiamato, al riguardo, che la domanda risarcitoria è da considerarsi domanda autonoma rispetto a quella di risoluzione, potendo le stesse essere proposte congiuntamente o separatamente, come si evince dall'art. 1453 c.c., atteso che l'inadempimento sussiste o meno - con tutte le conseguenze sul piano del diritto al risarcimento del creditore della prestazione inadempiuta - indipendentemente dall'eventuale pronuncia di risoluzione (Cassazione civile sez. I, 27/10/2006, n. 23273). Le domande del convenuto di restituzione dell'immobile e di pagamento di indennità per l'occupazione dello stesso da parte dell'attrice sono assorbite. 3. Neppure può trovare accoglimento la domanda riconvenzionale di parte convenuta, avente ad oggetto la restituzione della somma di Euro 10.000,00 da questa prestata alla (...), in data 22.12.2014, per consentirle il pagamento del prezzo dell'immobile e la conclusione del contratto di compravendita. Per consolidato principio, le dichiarazioni recanti ricognizioni di debito assumono l'efficacia processuale probatoria per cui, in deroga al normale canone di cui all'art. 2697 c.c., sollevano il creditore dall'onere di dimostrare la sussistenza e l'entità del proprio credito e fanno gravare sul debitore l'onere di dimostrare che il debito riconosciuto in realtà non esiste o è invalido o si è successivamente estinto (per tutte, da ultimo, Cass., n. 6353/2022). Parte attrice ha dedotto, in ordine alla domanda riconvenzionale formulata dal convenuto, l'avvenuto pagamento del debito contratto con il (...) per il tramite dell'assegno n. (...) del 03.02.2015, tratto su veneto Banca, emesso per la somma di Euro 10.000,00, dalla di lei madre, (...), in favore del sig. (...), padre del convenuto. Giova precisare che la deduzione - sebbene proposta solo in sede di prima memoria istruttoria, ma non anticipata all'udienza fissata ex art. 183 c.p.c. per la prima comparizione delle parti e la trattazione, nella quale, secondo il quinto comma di tale norma, "l'attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto" - è tuttavia tempestiva. Il pagamento, infatti, costituisce pacificamente una eccezione in senso lato (tra molte, Cass. n. 17196 del 2018; Cass. n. 9610 del 2012; Cass. n. 13014 del 2004) che, come tale, può essere rilevata dal giudice - e sollevata dalla parte - addirittura per la prima volta in appello, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe sviato ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (Cass., n. 10531/2013). Ciò posto, si osserva che l'avvenuto pagamento è documentato e, sostanzialmente, non contestato. Nella prima difesa utile (ossia la seconda memoria istruttoria) il convenuto, infatti, si è limitato a osservare che "a nulla rileva l'assegno bancario indicato e prodotto da controparte e relativo a due soggetti totalmente diversi ed estranei alla vicenda dedotta in atti": in tal modo confermando il trasferimento di denaro, pur ritenendolo non pertinente perché intervenuto fra due soggetti estranei alla compravendita. Non è stato dal convenuto spiegato quale, in alternativa, sarebbe stata la causa del bonifico, intercorso fra due soggetti per quanto consta del tutto estranei fra loro, ma legati da stretto vincolo di parentela rispetto alle parti della compravendita, né tantomeno è stata offerta prova su tale (non menzionato) titolo alternativo. Il sig. (...), escusso all'udienza del 26.10.2021, ha confermato di aver ricevuto, nell'anno 2015, un assegno del predetto importo, non ricordandosi se dalla (...) o dalla madre, che ha riferito di aver in effetti conosciuto, tanto da averla riconosciuta fra le persone in attesa di essere chiamate a testimoniare fuori dall'aula di udienza, ma ha dichiarato che si sarebbe trattato del corrispettivo per i mobili e gli arredi presenti nell'immobile compravenduto alla (...), aggiungendo che "L'appartamento era arredato, c'erano i mobili della cucina, fatti su misura; quelli del soggiorno, delle camere da letto e anche la cantina era semiarredata. L'immobile è stato venduto come arredato, anche se non è stato scritto nella compravendita". Alla stessa udienza, la madre della parte attrice, (...), anch'essa sentita come teste (testimonianza ritenuta ammissibile in quanto volta a dimostrare non il pagamento, ma il titolo dello stesso), ha riferito: "ho emesso un assegno di 10.000 Euro sul mio conto, all'epoca tratto sulla (...), era gennaio o febbraio 2015. E' l'unico assegno che io ho emesso in relazione a questo acquisto immobiliare. Io l'ho consegnato a mia figlia, che l'ha dato al sig. (...). So che lo ha dato a (...), e non ad (...) perché non abbiamo mai avuto a che fare con il figlio, che abbiamo conosciuto solo quando siamo andati davanti al Notaio per il rogito; abbiamo sempre avuto a che fare con il padre sig. (...). Mancava la somma di Euro 10.000 per l'acquisto della casa. La casa è stata venduta in parte ammobiliata; c'era un mobile in sala, la cucina, qualche lampadario, ma mia figlia so che aveva già pagato i mobili in precedenza; ero presente anche io, mia figlia aveva dato degli assegni per il pagamento dei mobili. Ribadisco che l'assegno da 10.000 Euro era l'ultima parte del prezzo dell'immobile". E' noto il principio, ancora recentemente ribadito dalla Suprema Corte, secondo cui soltanto a fronte della comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito, l'onere della prova viene nuovamente a gravare sul creditore, il quale controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso, con la conseguenza che tale principio non può trovare applicazione quando il pagamento venga eccepito mediante la produzione di assegni o cambiali, che per la loro natura presuppongono l'esistenza di un'obbligazione cartolare (e l'astrattezza della causa), così da ribaltare nuovamente l'onere probatorio in capo al debitore, che deve dimostrare il collegamento dei titoli di credito prodotti con i crediti azionati, ove ciò sia contestato dal creditore (Cass., n. 26897/2022; n. 15708/2021). Ora, sull'imputazione del pagamento a rimborso del prestito ottenuto per l'acquisto dell'immobile sono state raccolte, come detto, contrastanti dichiarazioni testimoniali. Si ritiene, tuttavia, maggiormente credibile quella fornita dalla sig.ra (...), sebbene proveniente da soggetto vicino alla parte attrice quanto lo è il sig. (...) rispetto alla parte convenuta, alla luce della condotta processuale assunta dal convenuto. Si deve rilevare che l'imputazione del pagamento a prezzo degli arredi neppure è stata allegata dal convenuto (che, come detto, si è limitato a protestare l'asserita irrilevanza di un pagamento fatto a soggetto estraneo alla compravendita, sebbene sia emerso - cfr. dich. teste (...) - che la trattativa intercorse proprio con il padre del convenuto e che quest'ultimo si presentò alle controparti unicamente in occasione del rogito) : anche perché, se allegata, tale imputazione alternativa sarebbe risultata in contrasto con quanto dedotto nella comparsa di costituzione, nella quale il convenuto aveva affermato che l'avvenuta pattuizione di un prezzo, allegato come inferiore a quello di mercato, quale corrispettivo del trasferimento di un immobile oltretutto semiarredato, confermasse appunto l'accordo che, a detta del convenuto, sarebbe intervenuto perché fosse l'acquirente a occuparsi, successivamente all'acquisto, del conseguimento del certificato di abitabilità. Tale deduzione, infatti, presuppone implicitamente l'ulteriore deduzione che gli arredi fossero compresi nel prezzo; né parte attrice è stata posta nella possibilità di controdedurre e controprovare, rispetto a quanto affermato dal teste, perché mai prima affermato dal convenuto. D'altra parte nella narrativa dei fatti contenuta negli atti del convenuto non è stato in alcun modo esplicitato che, all'atto della compravendita, residuasse un ulteriore debito, relativo al pagamento degli arredi: di cui, peraltro, appare scarsamente verosimile che le parti abbiano posticipato il pagamento rispetto al perfezionamento della compravendita senza che il venditore si tutelasse in alcun modo dall'eventuale inadempimento (come accaduto rispetto al prestito, in relazione al quale l'acquirente sottoscrisse un riconoscimento dell'esistenza del debito). Solo nella comparsa conclusionale, poi, il convenuto ha affermato che il pagamento dei mobili presenti all'interno dell'immobile compravenduto sarebbe avvenuto al sig. (...), perché di proprietà degli stessi e perché, inizialmente, era previsto dovessero essere dallo stesso ritirati. In definitiva, non solo manca del tutto la prova che la proprietà dei mobili presenti nell'immobile sia stata trasferita a parte, rispetto all'immobile stesso (tanto più con contratto stipulato fra soggetti diversi rispetto a quelli della compravendita immobiliare), ma sono in atti allegazioni dello stesso convenuto che contrastano con tale deduzione. Alla luce dei suddetti elementi, il pagamento, di importo esattamente coincidente con il debito riconosciuto e intervenuto a breve distanza di tempo dal rogito, si ritiene estintivo del debito contratto dalla (...) con il convenuto in data 22.12.2014. 4. La soccombenza reciproca giustifica ai sensi dell'art. 92 c.p.c., alla luce del peso delle rispettive domande in ordine al numero e alla complessità delle questioni, in fatto e in diritto, afferenti a ciascuna di esse, la compensazione delle spese di lite per il 50 %. Parte attrice dovrà rifondere al convenuto la residua frazione del 50% delle spese, che si liquida sulla base dei parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014, aggiornati al D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, in relazione allo scaglione da Euro 52.001,00 ad Euro 260.000,00 (già operata la riduzione del 50%) in Euro 1000,00 per la fase di studio, Euro 1000,00 per la fase introduttiva, in Euro 1.500,00 per la fase istruttoria e in Euro 1.500,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15% sui compensi, CPA e IVA se dovute per legge e oltre esborsi documentati. Le spese di CTU, tenuto conto che trattasi di mezzo di accertamento della verità materiale, compiuto nell'interesse generale della giustizia (Cass., n. 14300/2014), vanno poste a carico delle parti in pari misura. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel proc. n. 3114/2018, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) rigetta integralmente la domanda di parte attrice (...); 2) rigetta la domanda riconvenzionale di parte convenuta (...); 3) compensa le spese di lite per il 50% e condanna parte attrice a rimborsare alla parte convenuta la residua frazione del 50%, che si liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre i.v.a., c.p.a. e rimborso forfettario spese generali nella misura del 15%, spese documentate. 4) pone definitivamente le spese di c.t.u. a carico di entrambe le parti in pari misura. Così deciso in Novara il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.

  • Deliberazione n. 14/2023/PRSE SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER L’EMILIA-ROMAGNA composta dai magistrati*: dott. Marco Pieroni presidente (relatore) dott. Tiziano Tessaro consigliere dott. Marco Scognamiglio primo referendario dott.ssa Elisa Borelli referendario dott.ssa Ilaria Pais Greco referendario * riuniti mediante collegamento telematico Adunanza dell’11 gennaio 2023 Comune di (Omissis) (BO) Rendiconto 2020 e Preventivo 2021-23 VISTI gli artt. 81, 97, 100, 117 e 119 della Costituzione; VISTO il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni; VISTA la legge 14 gennaio 1994, n. 20; VISTO il Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti con il quale è stata istituita in ogni Regione ad autonomia ordinaria una Sezione Regionale di Controllo, deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000, modificato con le deliberazioni delle Sezioni Riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004, e, da ultimo, con deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 229, del 19 giugno 2008; VISTO il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali; VISTA la legge 5 giugno 2003, n. 131; VISTA la legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, commi 166 e seguenti; VISTA la legge 31 dicembre 2009, n. 196; VISTO il decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118; VISTO l’art. 148-bis, comma 3, del TUEL, così come introdotto dalla lettera e), del comma 1 dell’art. 3, d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; VISTE le linee guida per la redazione delle relazioni inerenti al bilancio preventivo e rendiconto dell’esercizio 2020, approvate dalla Sezione delle autonomie con deliberazione n. 7/2021/INPR; CONSIDERATO che dette linee guida ed i relativi questionari sono stati portati a conoscenza degli enti locali dell’Emilia-Romagna con lettera di questa Sezione regionale di controllo prot. n. 8713 del 9 settembre 2021; VISTA la deliberazione n. 2/SEZAUT/2021/INPR con la quale la Sezione delle Autonomie della Corte dei conti ha approvato le “Linee di indirizzo” cui devono attenersi gli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali nella predisposizione della relazione sul bilancio di previsione 2021-2023, non procedendo all’adozione del relativo questionario; CONSIDERATO che con lettera di questa Sezione regionale di controllo prot. n. 6445 del 24 giugno 2021 si è chiesto agli enti locali dell’Emilia-Romagna la trasmissione della deliberazione di approvazione del bilancio di previsione 2021-2023 e del relativo parere dell’Organo di revisione; VISTA la deliberazione n. 11/2022/INPR con la quale la Sezione ha approvato il programma di lavoro per l’anno 2022; VISTA la deliberazione di questa Sezione n. 243/2021/INPR, con la quale sono stati approvati i criteri di selezione degli enti da assoggettare al controllo; ESAMINATE, a seguito delle indicazioni della Sezione delle Autonomie, le relazioni sul rendiconto di gestione per l’esercizio finanziario 2020 e sul bilancio preventivo 2021-23 redatte dall’Organo di Revisione del Comune di (Omissis) (BO); VISTA le nota prot. n.6901 in data 3 novembre 2022 con la quale il magistrato istruttore chiedeva notizie e chiarimenti al suindicato Comune; VISTE le deduzioni fatte pervenire con la nota prot. Cdc n. 8.143 del 17 novembre 2022 a firma del Presidente del Collegio di Revisione; VISTA l’ordinanza presidenziale n. del 10 gennaio 2023, con la quale la Sezione è stata convocata per l’odierna camera di consiglio; UDITO il relatore, Presidente Marco Pieroni; FATTO La Sezione, nell’ambito delle attività di controllo per l’anno 2022, ha esaminato la documentazione relativa al bilancio preventivo per il triennio 2021/- 3 ed al rendiconto per l’esercizio 2020 del Comune di (Omissis), ed in particolare: la relazione dell’organo di revisione sul rendiconto per l’esercizio 2020, inviata a questa Sezione regionale di controllo ai sensi dell’art. 1, co. 166, l. 266/2005 cit., redatta in conformità alle linee-guida approvate dalla Sezione delle autonomie di questa Corte dei conti con deliberazione n. 7/SEZAUT/2021/INPR, mediante la compilazione del questionario ivi allegato; le relazioni dell’Organo di revisione, prodotte ai sensi dell’art. 239 del TUEL, sulla proposta di bilancio di previsione 2021-23 e sulla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto della gestione per l’esercizio finanziario 2020; gli schemi di bilancio presenti nella Banca dati delle amministrazioni pubbliche (BDAP) relativi ai suddetti documenti contabili; l’ulteriore documentazione relativa al bilancio preventivo e al rendiconto presente sul sito internet istituzionale del Comune di (Omissis). Dall’esame della predetta documentazione, emerge la situazione contabile e finanziaria compendiata dalle seguenti tabelle relative al rendiconto 2020. EQUILIBRI DI BILANCIO Rendiconto 2020 Equilibrio di parte corrente € 1.351.451,17 Equilibrio di parte capitale € 159.572,57 Saldo delle partite finanziarie € 0,00 Equilibrio finale € 1.511.023,74 La costruzione degli equilibri nel 2020 rispetta quanto stabilito dal d.lgs. 118/2011 e il Comune di (Omissis) ha conseguito un risultato di competenza non negativo, così come prescritto dall'art. 1, comma 821, della legge n. 145/2018. RISULTATO D’AMMINISTRAZIONE Rendiconto 2020 Fondo cassa € 2.762.027,54 Residui attivi € 4.750.031,09 Residui passivi € 3.985.282,66 FPV per spese correnti € 78.119,84 FPV per spese in conto capitale € 26.416,99 Risultato di amministrazione € 3.422.239,14 Totale accantonamenti € 2.380.967,76 di cui: FCDE € 2.165.047,82 Totale parte vincolata € 599.310,89 Totale parte destinata agli investimenti € 221.911,59 Totale parte disponibile € 220.048,90 L’Ente ha provveduto all’accantonamento nel risultato di amministrazione del fondo crediti di dubbia esigibilità e ha dichiarato di aver verificato la regolarità del calcolo. L’Ente ha dichiarato inoltre di aver costituito il fondo per l'indennità di fine mandato e il fondo per aumenti contrattuali ma non il fondo rischi. Relativamente al fondo rischi contenzioso il Comune ha riferito che avendo una polizza per la tutela legale non ha effettuato accantonamenti. Ha riferito inoltre di aver riconosciuto e finanziato con risorse proprie nel 2018 un debito fuori bilancio derivante da sentenza esecutiva. CAPACITÀ DI RISCOSSIONE Con riferimento alla capacità di riscossione delle entrate proprie dell’ente, si osserva in particolare quanto esposto nella seguente tabella. Rendiconto 2020 Accertamenti (a) Rendiconto 2020 Riscossioni (b) % (b/a) Tit.1 residui (iniziali +riaccertati) € 1.594.029,77 € 330.029,79 20,70% Tit.1 competenza € 9.159.817,27 € 8.647.802,69 94,41% Tit.3 residui (iniziali +riaccertati) € 1.610.151,14 €963.113,41 59,82% Tit.3 competenza € 4.500.753,81 € 3.088.276,48 68,62% Dalla tabella si evince che le maggiori difficoltà di riscossione si hanno sui titoli primo e terzo delle entrate, relativamente al conto residui. SITUAZIONE DI CASSA Rendiconto 2020 Fondo cassa finale € 2.762.027,54 Anticipazione di tesoreria € 0,00 Cassa vincolata € 18.939,65 Tempestività dei pagamenti -9,59 giorni L’Organo di revisione, nel questionario, dichiara la corrispondenza tra le scritture dell’ente e quelle del tesoriere. L’Ente ha inoltre dichiarato di non essere tenuto ad alcun accantonamento come fondo garanzia debiti commerciali. INDEBITAMENTO Rendiconto 2019 Rendiconto 2020 Debito complessivo a fine anno € 15.127.421,03 € 14.508.177,22 L’Ente ha rispettato il limite all’indebitamento disposto dall’art. 204 del TUEL con un’incidenza percentuale sul totale dei primi tre titoli delle entrate relative al rendiconto del penultimo anno, pari al 5,27%. Ha riferito inoltre di avere in essere garanzie a favore dei propri organismi partecipati. Sentito nel merito, il Comune ha fornito un allegato, precisando che “nel prospetto degli oneri finanziari sono inserite tali garanzie” e ha riferito di non aver mai pagato somme a titolo di escussione delle garanzie erogate. L’Ente ha dichiarato inoltre di non avere strumenti di finanza derivata. 2.1. Dalla documentazione versata in atti per l’esercizio 2020 risulta inoltre quanto segue: nelle domande preliminari dei questionari non sono segnalati elementi di criticità; il rendiconto 2020 è stato approvato nei termini di legge; la trasmissione a BDAP degli schemi di bilancio risulta avvenuta nei termini; c’è coerenza nell’ammontare del FPV iscritto nel rendiconto 2020; le spese impegnate a rendiconto, coperte da FPV, sono imputate ad un solo esercizio; l’indebitamento rispetta i parametri sanciti dagli articoli 203, 204 e 207 del TUEL; a rendiconto 2020 risultano rispettati tutti i parametri obiettivi per i Comuni ai fini dell'accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario; il Comune ha dichiarato di non aver riconosciuto debiti fuori bilancio nell’esercizio nel 2020; la contabilizzazione dei servizi per conto terzi rispetta il principio contabile; l’Ente ha provveduto alla tenuta dell’inventario e della contabilità economico-patrimoniale; nel questionario sul rendiconto 2020 l’ente dichiara che il sistema informativo non consente di rilevare i rapporti finanziari, economici e patrimoniali tra l'ente e le sue società partecipate; nel questionario l’Organo di revisione dichiara che i prospetti dimostrativi per la rilevazione dei debiti e crediti reciproci tra l’Ente e gli organismi partecipati di cui all'art. 11, comma 6, lett. j), d.lgs. n. 118/2011 hanno riguardo la totalità delle partecipazioni rilevanti ai fini del predetto adempimento, dirette, indirette o di controllo, che la nota informativa allegata al rendiconto risulta corredata dalla doppia asseverazione da parte dei rispettivi organi di controllo e che non si sono verificati casi di mancata conciliazione dei rapporti creditori e debitori tra l’ente e gli organismi partecipati; l’Ente ha dichiarato di aver verificato di non essere tenuto all’obbligo di accantonamento al Fondo Garanzia debiti commerciali; l’Organo di revisione, nella relazione sul rendiconto 2020, dichiara di aver correttamente contabilizzato e utilizzato le somme derivanti dal Fondo Funzioni Fondamentali di cui all’art. 106 DL 34/2020 e art 39 DL 104/2020 e degli altri specifici ristori di entrata e di spesa. Il bilancio di previsione per il triennio 2021-23 del Comune di (Omissis) è stato approvato con deliberazione di Consiglio comunale n. 72 del 30 dicembre 2020 e l’Organo di revisione, nella relazione prodotta ai sensi dell’art. 239 del T.U.E.L., ha evidenziato in particolare che “l’impostazione del bilancio di previsione 2021-2023 è tale da garantire il rispetto del saldo di competenza d’esercizio non negativo ai sensi dell’art.1, comma 821 della legge n.145/2018” e che “il bilancio di previsione proposto rispetta il pareggio finanziario complessivo di competenza e gli equilibri di parte corrente e in conto capitale, ai sensi dell’art. 162 del TUEL”. Si rammenta infine che il Comune di (Omissis) (BO) era stato destinatario di pronuncia inerente al rendiconto per l’esercizio 2010 e bilancio di previsione 2011 (deliberazione n. 368/2012/PRSE), con cui la Sezione aveva rilevato: a) consistente incremento dell’avanzo non vincolato, b) avanzo di amministrazione costituito da residui vetusti o scarsamente esigibili, c) entrate correnti aventi carattere ripetitivo superiori alle spese correnti aventi carattere non ripetitivo d) debiti fuori bilancio contratti per acquisizione di beni e servizi, e) conto economico con risultato d’esercizio negativo, f) rilascio di lettere di patronage a garanzia di mutui contratti da una società partecipata. In esito agli elementi di potenziale criticità, il magistrato istruttore ha esperito apposita istruttoria, chiedendo al Comune, con la nota prot. n. 6901 del 3 novembre 2022, di fornire chiarimenti in merito ai seguenti punti: Incongruenze in merito all’allegato a) Risultato di amministrazione, trasmesso 2 volte su BDAP; richiesta allegati; sistema informativo per rilevare i rapporti finanziari economici e patrimoniali con le proprie società partecipate; residui attivi; efficienza della riscossione; indebitamento; fondo rischi contenzioso; crisi energetica e costi delle utenze; fondo pluriennale vincolato e cronoprogrammi di spesa; determinazione e utilizzo delle risorse a valere sul Fondo per l’esercizio delle funzioni fondamentali e/o assegnate a vario titolo a ristoro delle minori entrate e/o delle maggiori spese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19. 5.1. In esito alla ricezione della predetta nota istruttoria, il Comune, con la nota prot. C.d.c. n. 8143 del 17 novembre ha fornito i seguenti chiarimenti. 5.1.1. Incongruenze in merito all’allegato a) Risultato di amministrazione trasmesso 2 volte su BDAP Dall’esame degli atti era emerso che l’allegato a), relativo al risultato di amministrazione, pubblicato su BDAP in data 29 marzo 2021, corrispondeva allo stesso allegato inserito a pag. 18 della relazione dell’Organo di revisione, ma era differente rispetto ad un’altra versione dello stesso prospetto inviata su BDAP in data 30 luglio 2021. Sul punto la Sezione ha chiesto all’Ente di relazionare nel merito e di fornire l’allegato a) corretto. Il Comune ha riferito che il risultato di amministrazione risulta modificato a seguito di invio certificazione Covid e allega la delibera n. 46/C del 29/07/2021 “riapprovazione prospetti” corredata dal parere del Collegio di revisione. Nella citata deliberazione, l’Ente riferisce che, in considerazione del fatto che il rendiconto è stato predisposto prima del completamento della certificazione Covid-19 relativa all’esercizio 2020, è stata ravvisata l’esigenza di “modificare l’importo del fondo funzioni fondamentali iscritto tra le quote vincolate del risultato di amministrazione 2020 e parificarlo con quello quantificato a seguito dell’invio della certificazione Covid-19”. Relativamente alla possibilità di rettificare la quota di avanzo vincolato derivante dal rendiconto e al nuovo invio alla BDAP il Comune richiama la FAQ 47 Arconet. 5.1.2. Organismi partecipati Nel questionario, è stato dichiarato che il sistema informativo in uso non consente di rilevare i rapporti finanziari economici e patrimoniali tra l’Ente e le sue società partecipate. Nel merito la Sezione ha chiesto al Comune di fornire chiarimenti stante la disposizione di cui al comma 2, art. 147-quater del TUEL che prescrive tale adempimento. L’Ente ha riferito che viene svolto il controllo analogo periodicamente, che in sede di rendiconto esiste la corrispondenza dei debiti e crediti con asseverazione dei rispettivi organi di revisione e che il bilancio consolidato evidenzia la corrispondenza dei dati con tali organismi. 5.1.3. Residui attivi Con riferimento ai residui attivi totali che ammontano ad euro 4.750.031,09 e a quelli vetusti pari ad euro 2.046.674,98, la Sezione ha chiesto di fornire aggiornamenti sulle iniziative intraprese dall’Ente per incrementare la percentuale di riscossione negli esercizi successivi illustrando le principali voci conservate ancora a residuo. Il Comune ha riferito che dopo “innumerevoli slittamenti contenuti nei vari decreti anti-Covid che si sono succeduti dal 2020 al 2021 le procedure della riscossione sono ripartite dal 1°settembre 2021 così le notifiche di nuove cartelle, i fermi amministrativi, i pignoramenti e le verifiche di inadempienza delle Pubbliche amministrazioni”. Ha evidenziato poi che le principali voci di residui attivi sono relative a IMU, Recupero TARI e Sanzioni Codice della strada. 5.1.4. Scarsa efficienza dell’attività di contrasto all’evasione tributaria. Dalla tabella compilata nel questionario relativo al consuntivo 2020, alla Sezione I.III – Gestione finanziaria – Entrate, è stato rilevato che a fronte di accertamenti per recupero evasione pari ad euro 347.008,25 risultano riscossioni per euro 220.705,62. Sulla bassa capacità di riscossione riscontrata nel richiamato esercizio, la Sezione ha chiesto al Comune di relazionare sulle iniziative intraprese dall’Ente nel merito, comunicando eventuali aggiornamenti sulle attività di riscossione successive al 31 dicembre 2020. L’Ente sul punto ha riferito che, “dopo aver espletato l’attività di riscossione coattiva tramite MUNICIPA S.P.A. ha ulteriormente avviato l’attività per le partite non ancora riscosse tramite ADER Agenzia delle Entrate – Riscossione”. 5.1.5. Re-imputazione ad un solo esercizio delle spese coperte dal fondo pluriennale vincolato – corretta gestione dei cronoprogrammi di spesa. Sul punto la Sezione ha predisposto apposita istruttoria, volta a conoscere le ragioni dell’imputazione delle spese coperte da FPV ad un solo esercizio, invece che su più annualità, e di precisare se il Comune avesse provveduto all’adozione dei cronoprogrammi di spesa e alla corretta gestione del Fondo pluriennale vincolato in base alle normative vigenti e ai principi contabili dell’armonizzazione. Il Comune ha evidenziato le voci relative agli investimenti relativi al 2020 e 2021 e ha inviato gli allegati b) composizione per missioni e programmi del fondo pluriennale vincolato per i due esercizi. Relativamente al 2020 il comune ha riferito che sono presenti le seguenti voci: Cap. 92161 Manutenzione straordinaria piscina comunale; Cap. 92260 Costruzione pista ciclabile Selva Malvezzi; Cap 82260 Costruzione pista ciclabile S.Pietro Capofiume; Cap.2660 Costruzione piste ciclabili (Omissis); Cap 72260 Costruzione ponte ciclo pedonale S. Pietro Capofiume; Cap.2000 Riqualificazione area stazione ferroviaria. Nel caso dei punti A, B, C, ed E, si tratta di spese impegnate nel 2019, la cui obbligazione derivante da contratto scadeva nella stessa annualità. L’esigibilità della spesa ha trovato attuazione nell’annualità 2019 e i lavori sono terminati come da contratto nell’annualità 2019. L’Ente riferisce poi che in sede di riaccertamento ordinario, avente valore di cronoprogramma si è provveduto a definire e iscrivere economie di gara, indicando gli importi per tutti i punti citati. Relativamente al punto B “Costruzione pista ciclabile Selva Malvezzi” in aggiunta, e al punto D il Comune riferisce che con il riaccertamento ordinario, avente valore di cronoprogramma si è provveduto ad iscrivere unicamente in FPV 2021, le spese tecniche la cui esigibilità era legata alla conclusione del procedimento di esproprio in via di conclusione che ammontano ad euro 1,452,78 (punto B) e euro 8.449,50 (punto D). Relativamente al punto F “Riqualificazione area ferroviaria”, L’Ente ha riferito che i “lavori sono stati aggiudicati in via definitiva ed efficace con determinazione n.279/2018, trasformando la prenotazione in impegno di spesa giuridicamente perfezionato a carico del bilancio 2018”. L’obbligazione contrattuale fa riferimento ad un contratto 2018 poi risolto per grave inadempimento nel 2019, ai sensi dell’art. 108, c.3, del d.lgs. n. 50/2016. Sul punto, in sede di rendiconto 2020 “si è provveduto a definire ed iscrivere unicamente nel FPV 2021 l’importo di € 16.464,71 che corrisponde ai lavori eseguiti dalla RTI, a cui è stato risolto il contratto come da stato di consistenza ai sensi dell’art. 108 c.9 del d.l. n. 50/2016 e che devono essere riconosciuti per legge in attesa della nuova obbligazione giuridicamente perfezionata”. Relativamente al 2021 il comune ha riferito che sono presenti le seguenti voci: Cap. 2212 Manutenzione straordinaria per messa in sicurezza strade comunali; Cap. 2277 Rigenerazione aree Piazza Massarenti; Cap.2000 Riqualificazione area stazione ferroviaria. Il cronoprogramma dei lavori fissava il termine dei lavori al 27/12/2021 per il punto A e nell’annualità 2022 per il punto B. In entrambi i casi, a seguito di modifica del cronoprogramma dei lavori è stata chiesta la variazione di esigibilità delle opere al servizio ragioneria a carico del bilancio 2022. L’Ente precisa che tale variazione di esigibilità ha valore di cronoprogramma. In sede di rendiconto 2021, con riaccertamento ordinario avente valore di cronoprogramma, si è provveduto a definire e iscrivere unicamente in FPV 2022, l’importo di euro 53.514,36 per l’opera A e l’importo di euro 5.721,84 per l’opera B., pertanto l’FPV 2022 risulta complessivamente pari ad euro 199.948,52 nel primo caso e ad euro 190.330,17 nel secondo caso. Relativamente al punto C “Riqualificazione area stazione ferroviaria”, L’Ente ha riferito che “si è provveduto a definire ed iscrivere unicamente nel FPV l’importo di € 16.464,71 che corrisponde ai lavori eseguiti dalla RTI, a cui è stato risolto il contratto, come da stato di consistenza ai sensi dell’art. 108 c.9 del d.l. 50/2016 e che devono essere riconosciuti per legge”. 5.1.6. Cronoprogramma e opere finanziate dal PNRR. Sul punto l’Ente ha riferito che, con decreto interministeriale del 30/12/2021 sono stati assegnati i contributi ai comuni da destinare a investimenti in progetti di rigenerazione urbana anni 2021-2026 nell’ambito del PNRR Missione 5 Componente 2 Investimento 2.1, e che dall’Allegato 2, del citato decreto, risulta assegnatario di un contributo pari a euro 3.750.000,00. Ha evidenziato inoltre che il richiamato contributo “è suddiviso nelle annualità 2022-2023-2024-2025-2026” e riguarda l’intervento di rigenerazione urbana degli impianti sportivi all’aperto evidenziando che la spesa in conto capitale è prevista al Cap.2026 “Rigenerazione urbana impianti sportivi – PNRR”, Missione 6 – Programma 01. “Il cronoprogramma di tale contributo trova pari allocazione nel Bilancio Pluriennale del Comune di (Omissis), secondo il medesimo crono programma del Ministero: - ANNO 2022: 1.156.156,80 €; - ANNO 2023: 1.038.961,87€; - ANNO 2024: 658.978,94€;” Infine, l’Ente ha precisato che “è in fase di redazione il progetto definitivo esecutivo dell’opera e che i lavori avranno inizio nel 2023 coerentemente con l’assegnazione del contributo”. 5.1.7. Crisi energetica - aumenti costi utenze. In relazione alla crisi energetica in corso, al fine di valutare l’adeguatezza della copertura delle maggiori spese derivanti dal continuo aumento dei costi energetici, la Sezione ha chiesto all’Ente di fornire l’elenco dei capitoli di spesa delle utenze di luce e gas con l’indicazione dello stanziamento iniziale previsto a bilancio 2022, e dello stanziamento attuale, chiedendo di segnalare se si ritenesse di dovere effettuare variazioni di bilancio entro l’anno, al fine di garantire il regolare pagamento delle utenze di competenza. Per tutte le variazioni di bilancio intervenute nell’anno ai capitoli di utenze per luce e gas, si è chiesto di indicare le relative fonti di finanziamento, motivando, in particolare, in caso di utilizzo delle seguenti fonti: - fondo statale di 80 milioni di euro finalizzato a garantire la continuità dei servizi erogati (art. 27, comma 2, del d.l. n. 17/2022, art. 40, comma 3, del d.l. n. 50/2022 e art.16 del d.l. n. 115/2022); - avanzo vincolato da fondone covid o altra tipologia di avanzo di amministrazione; - proventi delle sanzioni amministrative, dei parcheggi o delle concessioni edilizie e sanzioni. Nel merito, il Comune ha riferito, in via generale che dal 2008 le utenze di energia elettrica e gas sono gestite dalla Società (Omissis) futura srl, interamente partecipata dall’Ente e che nel 2022, per i primi 8 mesi, i costi sono stati interamente sostenuti dalla partecipata. Dal 1° ottobre 2022 i costi di energia elettrica e gas sono passati in capo al Comune attraverso una convenzione bandita da CONSIP che è stata aggiudicata dalla Società Siram con sede a Milano. Per quanto concerne la pubblica illuminazione l’Ente ha precisato di avere in corso di perfezionamento una procedura per l’affidamento in concessione mediante finanza di progetto del servizio di gestione, manutenzione, efficientamento energetico e riqualificazione degli impianti di pubblica illuminazione, che si concluderà nell’anno. Il Comune ha poi precisato che per sostenere le spese delle utenze nell’anno 2022 sono stati utilizzati “il fondo statale e le risorse di bilancio senza utilizzo di avanzo né di proventi da sanzioni”, allegando una tabella con i costi sostenuti nel 2022. Cap Utenze Stanziamento Variazione Totale 1347 Casa di riposo 103.000,00 68.484,00 171.484,00 1355 Spese utenze roller 6.000,00 5.000,00 11.000,00 1374 Spese servizio illuminaz.Pubbl. 413.000,00 73.034,00 486.034,00 1378 Utenze varie 0 35.000,00 35.000,00 1377 Utenze gas fabb. comunali 0 183.300,00 183.300,00 5.1.8. In relazione alla determinazione e utilizzo delle risorse a valere sul Fondo per l’esercizio delle funzioni fondamentali e/o assegnate a vario titolo a ristoro delle minori entrate e/o delle maggiori spese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19 l’ente ha: a) comunicato l’ammontare delle risorse ricevute a valere sul Fondo di cui all’art. 106 del dl n. 34/2020 e successive integrazioni, ovvero assegnate a vario titolo a ristoro delle minori entrate e/o delle maggiori spese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19, nell’ annualità 2020; b) trasmesso copia della certificazione relativa all’esercizio 2020 della perdita di gettito connessa all’emergenza epidemiologica da COVID-19; c) comunicato che la suddetta certificazione è stata inviata nei termini; d) comunicato di non aver ricevuto segnalazioni e/o richieste di modifiche della certificazione Covid per i fondi 2020 da parte della RGS; e) trasmesso copia dell’allegato a2 contenente il dettaglio dei vincoli derivanti dalla legge relativi all’emergenza Covid; si rileva che dalla certificazione non risultano ristori specifici di spesa non utilizzati; f) comunicato che in sede di rendiconto 2020 non ha provveduto allo svincolo di quote di avanzo vincolato, secondo le modalità e per le finalità stabilite, per le annualità 2020 e 2021, dall’art. 109, comma 1-ter del d.l. n.18/2020 e successivamente prorogate all’anno 2022 dall’art. 3, comma 5- sexies, del dl n. 228/2022. Il Magistrato istruttore, considerato che il contraddittorio con l’Ente si è già instaurato in via cartolare e che le criticità emerse trovano riscontro documentale, ha chiesto al Presidente della Sezione di sottoporre le risultanze dell’istruttoria svolta sul Comune di (Omissis) (BO) all’esame del Collegio. DIRITTO Dopo la riforma del Titolo V Parte II della Costituzione, la legge 5 giugno 2003, n. 131, concernente “Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3” ha introdotto forme di controllo cd. “collaborativo” nei confronti di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni (art. 114 Cost.), finalizzate alla verifica del rispetto degli equilibri di bilancio da parte delle Autonomie territoriali, in relazione ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (art. 117 Cost.). La legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) ha poi previsto, per gli Organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali, l’obbligo di trasmissione alle competenti sezioni regionali di controllo di una relazione sul bilancio di previsione dell'esercizio di competenza e sul rendiconto dell'esercizio medesimo, sulla base di criteri e linee guida definiti dalla Corte dei conti. Nelle intenzioni del legislatore, tale adempimento deve dare conto, in particolare, del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno e dell'osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'articolo 119, ultimo comma, della Costituzione, nonché di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alle quali l'amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall'Organo di revisione. Chiamata a pronunciarsi su dette disposizioni, la Corte costituzionale ha affermato che tale forma di controllo esterno è da ritenere “ascrivibile alla categoria del riesame di legalità e regolarità” concorrendo “alla formazione di una visione unitaria della finanza pubblica, ai fini della tutela dell’equilibrio finanziario e di osservanza del patto di stabilità interno” (ex multis, sent. n. 179 del 2007), affermando altresì che tale nuova attribuzione trova diretto fondamento nell’art. 100 Cost., il quale - come noto - assegna alla Corte dei conti il controllo successivo sulla gestione del bilancio, come controllo esterno ed imparziale, dovendosi quindi intendere il controllo “sulla gestione del bilancio dello Stato”, esteso, alla luce del mutato quadro costituzionale di riferimento, ai bilanci di tutti gli enti pubblici che costituiscono, nel loro insieme, la finanza pubblica allargata (art. 97, primo comma, Cost.). 1.1. L’art. 3, comma 1, lett. e), del decreto-legge n. 174 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 213 del 2012, ha introdotto nel d.lgs. 267 del 2000 l’art. 148-bis (intitolato “Rafforzamento del controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti locali”), il quale prevede che le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti esaminano i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi degli enti locali per la verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell'osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, della sostenibilità dell'indebitamento, dell'assenza di irregolarità, suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti. Ai fini della verifica in questione, la Sezione regionale di controllo deve accertare che i rendiconti degli enti locali tengano conto anche delle partecipazioni in società alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici locali e di servizi strumentali. In conformità alla disposizione dell’art. 148-bis, comma 3, del d.lgs. n. 267 del 2000, qualora le Sezioni regionali della Corte accertano la sussistenza "di squilibri economico-finanziari, della mancata copertura di spese, della violazione di norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria, o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il Patto di stabilità interno”, gli enti locali interessati sono tenuti ad adottare, entro sessanta giorni dalla comunicazione della delibera di accertamento, “i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio”, nonché a trasmettere alla Corte i provvedimenti adottati, in modo che la magistratura contabile possa verificare, nei successivi trenta giorni, se gli stessi siano idonei a rimuovere le irregolarità ed a ripristinare gli equilibri di bilancio. In caso di mancata trasmissione dei provvedimenti correttivi, o di esito negativo della valutazione, “è preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria”. 1.2. Con riferimento alla fase di avvio del procedimento di controllo dei rendiconti da parte delle Sezioni regionali, la Sezione delle autonomie ha precisato che “le Linee guida ed il questionario costituiscono un supporto operativo fondamentale e propedeutico agli approfondimenti istruttori di cui le stesse ravvisino la necessità” (deliberazione n. 12/SEZAUT/2019/INPR, del 28 maggio 2019), sebbene debba ritenersi che l’interpretazione sistematica della vigente normativa, orientata dai principi costituzionali, non escluda la possibilità di estendere le verifiche contabili, in primo luogo al fine di accertare l’attualità degli equilibri economico-finanziari e la regolarità contabile. 1.3. In continuità con il percorso già intrapreso per il passato ed in conformità alla ormai consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, anche per gli esercizi in esame il controllo ha privilegiato l’analisi degli aspetti principali della gestione, ossia: la gestione finanziaria, il risultato di amministrazione, l’indebitamento. La Sezione evidenzia che “il risultato di amministrazione è parte integrante, anzi coefficiente necessario, della qualificazione del concetto di equilibrio dei bilanci” (Corte cost., sent. n. 247/2017, punto 8.6 del diritto) e che la disciplina della contabilità pubblica, laddove richieda anche complessi elaborati e allegati, deve trovare nel risultato di amministrazione un veicolo trasparente e univoco di rappresentazione degli equilibri nel tempo (Corte cost., sent. n. 274/2017, punto 4 del diritto). Nell’ordinamento contabile degli enti locali, esso è definito, in termini puramente finanziari, dall’art. 186 del TUEL quale somma del fondo di cassa aumentato dei residui attivi e diminuito dei residui passivi al termine dell’esercizio, nonché del fondo pluriennale vincolato di uscita. La disciplina dell’istituto in parola trova una sua più compiuta definizione nell’attuale formulazione dell’art. 187 del TUEL, che al comma 1 dispone che: “Il risultato di amministrazione è distinto in fondi liberi, fondi vincolati, fondi destinati agli investimenti e fondi accantonati. I fondi destinati agli investimenti sono costituiti dalle entrate in c/capitale senza vincoli di specifica destinazione non spese, e sono utilizzabili con provvedimento di variazione di bilancio solo a seguito dell'approvazione del rendiconto. L'indicazione della destinazione nel risultato di amministrazione per le entrate in conto capitale che hanno dato luogo ad accantonamento al fondo crediti di dubbia e difficile esazione è sospeso, per l'importo dell'accantonamento, sino all'effettiva riscossione delle stesse. I trasferimenti in conto capitale non sono destinati al finanziamento degli investimenti e non possono essere finanziati dal debito e dalle entrate in conto capitale destinate al finanziamento degli investimenti. I fondi accantonati comprendono gli accantonamenti per passività potenziali e il fondo crediti di dubbia esigibilità. Nel caso in cui il risultato di amministrazione non sia sufficiente a comprendere le quote vincolate, destinate e accantonate, l'ente è in disavanzo di amministrazione. Tale disavanzo è iscritto come posta a sé stante nel primo esercizio del bilancio di previsione secondo le modalità previste dall'art. 188”. Appare quindi chiaro che il risultato contabile di amministrazione costituisce il dato fondamentale di sintesi dell’intera gestione finanziaria dell’Ente. Altro essenziale dato contabile per la verifica della gestione finanziaria è rappresentato dagli equilibri di bilancio che, a norma dell’art. 163 del TUEL, devono caratterizzare la gestione annuale. In particolare, deve essere garantito il pareggio finanziario complessivo per la competenza, comprensivo dell'utilizzo dell'avanzo di amministrazione e del recupero del disavanzo di amministrazione e garantendo un fondo di cassa finale non negativo. Inoltre, le previsioni di competenza relative alle spese correnti sommate alle previsioni di competenza relative ai trasferimenti in c/capitale, al saldo negativo delle partite finanziarie e alle quote di capitale delle rate di ammortamento dei mutui e degli altri prestiti, con l'esclusione dei rimborsi anticipati, non possono essere complessivamente superiori alle previsioni di competenza dei primi tre titoli dell'entrata, ai contribuiti destinati al rimborso dei prestiti e all'utilizzo dell'avanzo di competenza di parte corrente e non possono avere altra forma di finanziamento, salvo le eccezioni tassativamente indicate nel principio applicato alla contabilità finanziaria necessarie a garantire elementi di flessibilità degli equilibri di bilancio al fine del rispetto del principio dell’integrità (art. 162, comma 6, del TUEL). Il d.lgs. n. 118/2011 definisce gli schemi ed i prospetti ai quali gli enti locali sono tenuti ad attenersi nella raffigurazione dei dati contabili: in particolare, l’allegato 10 consente di dare rappresentazione agli equilibri della gestione annuale a rendiconto. Il mantenimento di un equilibrio stabile consente all’ente di mantenersi, in prospettiva, in una situazione di avanzo di amministrazione e di sostenibilità dell’indebitamento. Con riferimento a tale ultimo parametro, va evidenziato che in un sistema di contabilità finanziaria il nuovo debito contratto rappresenta una entrata, capace dunque di migliorare il risultato contabile di amministrazione. È per questa ragione che il legislatore ha previsto vincoli ben precisi alla crescita dell’indebitamento: uno di carattere qualitativo, relativo alla destinazione delle risorse in tal modo acquisite, l’altro di carattere quantitativo, relativo alla sostenibilità degli oneri annuali che discendono dall’indebitamento. Rispetto al primo profilo (vincolo di carattere qualitativo della spesa), l’art. 119, sesto comma, della Costituzione, stabilisce che gli enti territoriali possono indebitarsi per le sole spese di investimento. La riforma che ha costituzionalizzato il principio del pareggio di bilancio ha, dunque, inteso rafforzare il divieto già affermato dall’art. 119, sesto comma, della Costituzione nella sua versione originaria e sancito a livello di legislazione ordinaria dall’art. 3, comma 16, della legge 24 dicembre 2003, n. 350. Sotto il secondo profilo (vincolo quantitativo della spesa), l’art. 203 del TUEL detta regole per la contrazione di nuovo indebitamento tali da assicurare che i connessi oneri non assumano dimensioni tali da vulnerare la stabilità finanziaria dell’ente, dovendo tali oneri essere pari ad una percentuale predefinita delle entrate correnti dell’ente. Le tre dimensioni fondamentali della gestione (risultato contabile di amministrazione, equilibri di bilancio ed indebitamento) sono pertanto tra loro strettamente connesse; sicché, il governo della loro evoluzione è funzionale al mantenimento di una situazione di sana gestione finanziaria da parte dell’ente e su di esse si concentra il controllo di legittimità-regolarità della Corte dei conti. 1.4. Nell’anno 2020, numerosi provvedimenti hanno destinato risorse agli enti locali al fine di contrastare gli effetti dell’emergenza epidemiologica. Tra i primi in tal senso si rammentano: gli artt. 114 e 115 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, c.d. «cura Italia», istitutivi del fondo per la sanificazione degli ambienti e fondo per lo straordinario della polizia locale, l’ordinanza del capo del dipartimento della Protezione civile n. 658 del 29 marzo 2020, relativo al fondo di solidarietà alimentare, gli artt. 112-bis e 177 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, rispettivamente dedicati ai fondo comuni particolarmente danneggiati dall’emergenza sanitaria ed ai ristori a fronte delle minori entrate da IMU. L’iniziale logica d’intervento settoriale è stata quindi superata, dal punto di vista della provvista di risorse finanziarie a favore degli enti locali, dall’art. 106 del d.l. n. 34/2020 citato, il quale ha istituito un fondo finalizzato a garantire l’espletamento delle funzioni fondamentali, anche in relazione alla possibile perdita di entrate connessa all'emergenza (il cd. “Fondone”). Successivamente, l’art. 39 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, ha incrementato il fondo in esame, finalizzato a ristorare la perdita di gettito, da considerare al netto delle minori spese e delle risorse già assegnate dallo Stato a compensazione delle minori entrate e delle maggiori spese. Ai sensi dell’articolo 1, comma 827, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, gli enti locali beneficiari delle risorse in esame sono stati chiamati a trasmettere, entro il termine perentorio del 31 maggio 2021, utilizzando l’apposito applicativo sul portale del Ministero dell’economia e finanze, una certificazione volta a documentare la suddetta «perdita di gettito». La legge in esame (nel disporre un ulteriore incremento, per l’anno 2021, del fondo funzioni fondamentali: art. 1, comma 822) ha disposto, al comma 823, che «le risorse non utilizzate alla fine di ciascun esercizio confluiscono nella quota vincolata del risultato di amministrazione e non possono essere svincolate ai sensi dell'articolo 109, comma 1-ter, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18». Successivamente, l’articolo 13 del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (c.d. «sostegni-ter») ha stabilito che le risorse del fondo di cui all’articolo 1, comma 822, della legge n. 178/2020 sono utilizzabili anche nel 2022 per le medesime finalità. Di conseguenza, è stato differito al 31 ottobre 2023 il termine entro cui il Ministero provvederà alla definitiva verifica della perdita di gettito degli enti e sarà quindi effettuato il conguaglio finale, considerando le risorse del fondo funzioni fondamentali 2020 e 2021 non utilizzate alla data del 31 dicembre 2022, unitamente alle risorse assegnate a ristoro di specifiche minori entrate, assegnate e non utilizzate nel triennio 2020-2022. In questo senso, già le Linee guida sui bilanci di previsione 2021-2023 avevano avuto modo di sottolineare come “All'adempimento degli obblighi di certificazione della perdita di gettito sono correlati significativi effetti sostanziali che incidono sulla gestione, per cui è necessario procedervi con particolare attenzione. In conseguenza di ciò, la possibilità di utilizzare il surplus delle risorse del c.d. «Fondone» nel 2021, anche tramite l'applicazione dell'avanzo presunto al bilancio di previsione 2021-2023, passa attraverso un'oculata rendicontazione delle minori entrate e delle maggiori spese dovute alla crisi pandemica indicate nell'apposita certificazione in scadenza al 31 maggio 2021”. Parimenti, “la previsione delle entrate correnti deve tenere conto, da un lato, delle rinnovate esenzioni da imposte e da altri obblighi tributari, evenienze determinate dalla normativa emergenziale e, dall’altro, recepire gli effetti della ripresa dell’attività degli uffici tributari”. 1.5. L’anzidetta rilevazione della situazione finanziaria dell’esercizio oggetto della presente analisi potrebbe verosimilmente subire una intuibile variazione sul versante dinamico dovuta a una serie di fattori esogeni di carattere contingente .L’equilibrio di bilancio così risultante potrebbe essere inciso, in altri termini, nella attuale situazione emergenziale, dall’aumento dei costi dell’energia che impattano sulla tenuta finanziaria dei documenti contabili dell’ente e, segnatamente, di quello in corso. Il principio dell’equilibrio tendenziale del bilancio, infatti, «impone all’amministrazione un impegno non circoscritto al solo momento dell’approvazione del bilancio, ma esteso a tutte le situazioni in cui tale equilibrio venga a mancare per eventi sopravvenuti o per difetto genetico conseguente all’impostazione della stessa legge di bilancio» (Corte cost., sent. 250/2013): di talché, al di là degli interventi di carattere una tantum disciplinati dal legislatore in soccorso degli enti locali, diviene doveroso da parte del Comune apprestare i necessari strumenti per garantire la indispensabile flessibilità del bilancio. A presidiare il principio dell’equilibrio tendenziale del bilancio, (cfr. ex plurimis, Corte cost., sent. n. 213 del 2008, n. 384 del 1991 e n. 1 del 1966), che «consiste nella continua ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalità pubbliche». Corte cost. n. 250/2013, è pertanto funzionalmente astretta la doverosità dell’adozione di «appropriate variazioni del bilancio di previsione, in ordine alla cui concreta configurazione permane la discrezionalità dell’amministrazione “(Corte cost., sent. n. 266/2013). La giurisprudenza di questa Sezione regionale di controllo ha formulato una serie di criteri campionari volti ad individuare le ipotesi di maggior rischio per la tenuta degli equilibri (deliberazione n. 43/2019/INPR del 14 giugno 2019, richiamata dalla Sezione delle Autonomie nella deliberazione n. 9/2020/INPR di approvazione delle linee guida e relativo questionario per gli organi di revisione economico finanziaria degli enti locali). Anche per l’esame dei rendiconti relativi all’esercizio 2020 e al bilancio di previsione 2021-23 questa Sezione ha definito i criteri di selezione degli enti da assoggettare al controllo (deliberazione n. 243/2021/INPR del 30 novembre 2021) e precisamente: 1) enti che non hanno inviato il rendiconto 2020 a BDAP e Comuni destinatari di deliberazione per inadempienza all’invio del questionario sul rendiconto 2020; 2) enti oggetto di segnalazione di gravi criticità da parte degli Organi di revisione; 3) enti con verifiche ispettive del MEF in corso di istruttoria; 4) enti destinatari di pronunce con significative criticità nell’esercizio 2020; 5) Comuni capoluogo di provincia; 6) Comuni con “FAL” valorizzato, e cioè riportato con valore superiore a zero nel risultato di amministrazione; 7) Comuni con fondo cassa a zero al 31 dicembre 2020; 8) Comuni con “FCDE” uguale a zero; 9) Comuni con parte disponibile del risultato d’amministrazione minore o uguale a zero; 10) Comuni con “FPV in c/capitale” uguale a zero e con popolazione superiore a 5.000 abitanti; 11) Comuni con giorni di utilizzo dell’anticipazione di tesoreria maggiore di 200; 12) Comuni per i quali la differenza tra i residui attivi e il fondo crediti di dubbia esigibilità, in rapporto ai residui passivi, è maggiore del 200%; 13) Comuni non in Unione con popolazione inferiore a 5.000 abitanti; 14) Comuni critici estratti da open civitas (revisione della spesa - quadranti 1, 2 e 3); 15) Comuni non assoggettati ai controlli finanziari negli ultimi cinque anni, con popolazione superiore a 15.000 abitanti; 16) Comuni con fondo perdite partecipate valorizzato, e cioè riportato con valore superiore a zero e popolazione superiore a 20.000 abitanti; 17) enti non ricompresi nei criteri precedenti, per i quali si ritengano necessari specifici approfondimenti in ordine a profili di carattere contabile e gestionale. All’esito dell’istruttoria svolta sul Comune di (Omissis), si rilevano i seguenti profili di criticità. 3.1. Mancanza di un sistema informativo che consenta di rilevare i rapporti finanziari economici e patrimoniali tra l’Ente locale e le società partecipate (Cfr. Corte conti, Sez. reg. contr. Emilia-Romagna delib. n. 79/2018/PRSE) Dall’esame del questionario sul rendiconto 2020 (cfr., precedente punto 5.1.2. del Fatto) risulta che il Comune non dispone di un sistema informativo che consenta di rilevare i rapporti finanziari, economici e patrimoniali con le proprie società partecipate In proposito, la Sezione ritiene opportuno segnalare il mancato rispetto delle disposizioni normative previste dall’art. 147-quater del TUEL, introdotte dall’anno 2015 per gli enti locali con popolazione superiore a 15.000 abitanti. Il disposto normativo prevede infatti che l’ente locale debba definire un sistema di controlli sulle società partecipate, secondo la propria autonomia organizzativa, individuando pertanto le strutture responsabili di detti controlli. L'amministrazione definisce preventivamente gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, secondo parametri qualitativi e quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l'ente proprietario e la società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa della società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica. Infine, sulla base delle informazioni precedenti, l'ente locale effettua il monitoraggio periodico sull'andamento delle società non quotate partecipate, analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individua le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell'ente. 3.2. Residui attivi conservati a rendiconto (Cfr. Corte conti, Sez. reg. contr. Emilia-Romagna, delibb. n. 228/2021/PRSE, n. 132/2021/PRSE, n.101/2020/PRSP, n. 6/2020/PRSE, n.61/2021/PRSE) 3.2.1. Dalle acquisizioni documentali, con riferimento ai residui attivi ancora da riscuotere, risulta che la mole dei residui attivi totali è aumentata. 3.2.2. Prendendo atto delle giustificazioni dell’Ente, deve, comunque, rilevarsi che il mantenimento di residui attivi eventualmente inesigibili nel conto del bilancio incide sull’attendibilità del risultato contabile di amministrazione e sulla formazione dell’avanzo di amministrazione che può risultare sussistente solo sotto il profilo contabile (art. 187 del TUEL). 3.2.3. La Sezione non può non richiamare l’attenzione sull’esigenza di operare una rigorosa ed attenta verifica delle voci classificate nei residui, finalizzata a mantenere in bilancio solo quelle per le quali la riscossione/pagamento possa essere previsto con un ragionevole grado di certezza; infatti, al fine di conferire veridicità ed attendibilità al bilancio dell’Amministrazione locale, il legislatore ha stabilito che al termine di ciascun esercizio, prima dell’inserimento in bilancio dei residui, l’ente debba procedere ad una specifica operazione di riaccertamento tesa a verificare le posizioni creditorie/debitorie. Considerata la finalità della norma, deve trattarsi di un controllo sostanziale e non solo formale. L’ente, cioè, non può limitarsi a verificare la ragione, il titolo giuridico, la giustificazione delle singole poste, ma deve accertare l’effettivo obbligo di riscuotere il credito e pagare il debito, attraverso un prudente apprezzamento dell’esistenza dei requisiti essenziali previsti dall’ordinamento. 3.3. Efficacia del contrasto all’evasione tributaria (Cfr. Corte conti, Sez. reg. contr. Emilia-Romagna, delibb. n. 228/2021/PRSE, n. 54/2021/PRSE, 129/2020/PRSE, n. 108/2020/PRSP) 3.3.1. Come si è visto (punto 5.1.4. del Fatto), dalla tabella compilata nel questionario relativo al consuntivo 2020, alla Sezione I.III – Gestione finanziaria – Entrate, è stato rilevato che a fronte di accertamenti per recupero evasione pari ad euro 347.008,25 risultano riscossioni per euro 220.705,62. L’Ente sul punto ha riferito che, “dopo aver espletato l’attività di riscossione coattiva tramite MUNICIPA S.P.A. ha ulteriormente avviato l’attività per le partite non ancora riscosse tramite ADER Agenzia delle Entrate – Riscossione”. 3.3.2. La Sezione pur prendendo atto delle misure intraprese in merito alla riscossione coattiva, rileva che la capacità di riscossione, incidendo sull’effettiva disponibilità, in termini di cassa, delle entrate previste a preventivo per il finanziamento dei programmi di spesa dell’ente, rileva ai fini della salvaguardia degli equilibri finanziari dell’ente qualora finisca con l’implicare una sovrastima dei crediti e, conseguentemente, del risultato di amministrazione. Gli eventuali accantonamenti al FCDE conseguenti alle difficoltà sul lato della riscossione, per quanto in grado di neutralizzare tali effetti, non possono essere considerati risolutivi in una prospettiva di lungo periodo, entro la quale l’ente deve provvedere ad azionare opportune leve organizzative che consentano l’effettiva affluenza di entrate in bilancio tali da consentire una programmazione delle spese volta ad approntare le necessarie misure per soddisfare i bisogni della collettività. 3.3.3. Va ulteriormente evidenziato che il versante dell’entrata, in termini di recupero dei crediti, come anche quello della minor spesa in termini di razionalizzazione della spesa, con recupero di “economie organizzative”, costituiscono ambiti gestionali da curare con particolare attenzione. 3.4. Fondo pluriennale vincolato (FPV) – Reimputazione ad un solo esercizio (cfr. Corte dei conti, Sez. reg. contr. Emilia-Romagna, delib. n. 138/2022/PRSE; delib. n. 157/2022/PRSE) 3.4.1. L’istruttoria ha evidenziato l’imputazione delle spese coperte da FPV ad un solo esercizio, invece che su più annualità. 3.4.2. La Sezione, pur prendendo atto dei chiarimenti forniti dal Comune (v. punto 5.1.5. del Fatto), sottolinea l’importanza di una scrupolosa programmazione della spesa di investimento, in coerenza con i relativi cronoprogrammi, che devono essere costantemente aggiornati, e del corretto impiego del FPV, strumento essenziale al fine di avvicinare il momento dell’acquisizione delle risorse a quello del loro impiego secondo il principio della competenza finanziaria potenziata. Puntuali indicazioni in tal senso sono contenute nel par. 3 delle Linee di indirizzo della citata delibera della Sezione delle Autonomie n. 2/2021/INPR, ove viene esaltato il ruolo fondamentale della fase di programmazione e progettazione degli investimenti pubblici, e viene ribadito, richiamando i precedenti della Sezione, il ruolo strategico del cronoprogramma che implica l’individuazione delle risorse finanziarie, la scomposizione del lavoro in fasi e la determinazione dei tempi di realizzazione di ciascuna fase. L’articolo 183, comma 3 del T.U.E.L. stabilisce che possono essere finanziate con il FPV tutte le spese degli esercizi successivi relative ad investimenti per lavori pubblici a condizione che la gara sia stata formalmente indetta, con aggiudicazione definitiva entro l’esercizio successivo. In difetto, fatte salve alcune eccezioni di legge (cfr., in particolare, all. 4/1, p. 5.4. decreto legislativo n. 118/2011), l’entrata accertata confluisce nel risultato di amministrazione, sottraendosi al finanziamento del quadro economico di spesa programmato. Come precisato sul punto dalla Sezione delle Autonomie, l’ente locale deve impegnare le sole spese (escluse quelle di progettazione) per le quali possa “(..) dimostrare di avere effettivamente e concretamente avviato il procedimento di impiego delle risorse per la realizzazione del lavoro pubblico” (cfr. deliberazioni 23/SEZAUT/2015 e n. 32/SEZAUT/2015). Sotto tale profilo, la Sezione Autonomie richiama pertanto gli enti locali a programmare la spesa di investimento in coerenza con i cronoprogrammi ed a impiegare correttamente il FPV che deve sempre costituire uno strumento di misurazione della diacronia tra acquisizione di risorse e relativo impiego. Puntuali indicazioni in tal senso sono contenute nel par. 3 delle Linee di indirizzo della citata delibera della Sezione delle Autonomie n. 2/2021/INPR, ove viene esaltato il ruolo fondamentale della fase di programmazione e progettazione degli investimenti pubblici, e viene ribadito, richiamando i precedenti della Sezione, il ruolo strategico del cronoprogramma che implica l’individuazione delle risorse finanziarie, la scomposizione del lavoro in fasi, e la determinazione dei tempi di realizzazione di ciascuna fase. La componente temporale costituisce l’elemento determinante per l’efficacia del ciclo programmatico e trova uno strumento di monitoraggio nell’istituto del Fondo pluriennale vincolato il quale, a seguito della modifica dei principi contabili operata con il d.m. 1 marzo 2019, viene costituito sull’intero quadro economico all’atto dell’avvio della fase di progettazione del livello minimo, sulla base della mera prenotazione della spesa, ma con l’obbligo di attivare gli strumenti di controllo sul rispetto dei tempi di progettazione al fine di poter confermare nel rendiconto dell’esercizio successivo le risorse nel FPV evitando di far confluire le somme in economia, con l’obbligo di iniziare nuovamente il ciclo. In pratica, pur con i complessi tecnicismi che caratterizzano il fondo pluriennale vincolato, le regole contabili contengono strumenti in grado di accompagnare l’intero ciclo dell’investimento (progettazione, procedura di affidamento, contrattualizzazione, esecuzione, collaudo) monitorando il rispetto del cronoprogramma, e fornendo, attraverso l’indicatore n. 14 del rendiconto, indicazioni utili in chiave di controllo strategico e sulla performance e per l’attivazione di misure correttive. Il monitoraggio del ciclo tecnico e del ciclo finanziario della spesa di investimento deve utilizzare, in modo adeguato, tali “indicatori” di andamento gestionale per garantire attendibilità e veridicità alla previsione e alla realizzazione nel ciclo di bilancio. 3.4.3. Nel caso del comune di (Omissis), l’Ente medesimo, pur dichiarando di aver correttamente adottato cronoprogrammi di spesa e, in conseguenza, quantificato e gestito le risorse ad esso correlate, nelle annualità in esame risulta aver imputato le relative spese ad una sola annualità, impegnandone solo una quota marginale e mandando in economia le restanti somme. 3.4.4. E’ pertanto necessario che l’ente riveda l’organizzazione, soprattutto il canale di comunicazione tra uffici tecnici e ragioneria, impostando la programmazione in coerenza con cronoprogrammi dettagliati e attendibili - anche con riferimento agli importi di spesa previsti, evitando di portare sistematicamente delle quote rilevanti in economia - in funzione dei quali impostare le previsioni di bilancio, e implementando gli strumenti di controllo interno mediante l’applicazione degli indicatori di bilancio di cui al D.M. 22 dicembre 2015; in proposito la Sezione Autonomie, con la delibera citata sottolinea anche che la vigilanza sulla prosecuzione, senza soluzione di continuità, di tutte le attività nel ciclo tecnico e che riguardano sia le fasi di progettazione, sia le fasi di esecuzione dell’opera o lavoro pubblico, comporta una sinergia tra gli uffici tecnici e dei lavori pubblici con il servizio economico- finanziario. Essendo il FPV, come detto, astretto a una funzione essenzialmente programmatoria, diviene evidente che le eventuali patologie si riverberano in termini di necessaria verifica tra quanto delineato negli atti fondamentali dell’ente e, in particolare, nel programma amministrativo di mandato e quanto effettivamente realizzato, segnatamente per ciò che concerne il controllo strategico e in termini di controllo sulla gestione. La Sezione vigilerà sul corretto adempimento di quanto indicato. 3.5. Tracciabilità, perimetrazione, cronoprogramma e rendicontazione delle opere finanziate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) (cfr. Corte dei conti, Sez. reg. contr. Emilia-Romagna, delib. n. 138/2022/PRSE) 3.5.1. In tema di esposizione delle poste contabili, in specie quelle di investimento, si coglie l’occasione per evidenziare un ulteriore fondamentale profilo, quello della tracciabilità, della perimetrazione, della definizione del cronoprogramma e della rendicontazione delle opere finanziate dal PNRR. 3.5.2. In proposito, l’art. 9, comma 4, del d.l. n. 77 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 108 del 2021, così dispone: “4. Le amministrazioni di cui al comma 1 assicurano la completa tracciabilità delle operazioni e la tenuta di una apposita codificazione contabile per l'utilizzo delle risorse del PNRR secondo le indicazioni fornite dal Ministero dell'economia e delle finanze. Conservano tutti gli atti e la relativa documentazione giustificativa su supporti informatici adeguati e li rendono disponibili per le attività di controllo e di audit.”. Il principio della tracciabilità e del suo corollario, la perimetrazione delle risorse PNRR, è stato ribadito dalla circolare n. 29 del 2022 datata 26 luglio 2022 del Ministero dell’economia e finanze -Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (punto 5, penultimo capoverso). 3.5.3. In proposito, il legislatore non ha finora introdotto puntuali norme circa l’attuazione contabile del principio della “tracciabilità” delle risorse PNRR, né, sul punto, l’Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali di cui all’art. 154 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 ha formulato specifici indirizzi o orientamenti. 3.5.4. Purtuttavia, si ritiene che l’ordinamento offra utili indicazioni per l’attuazione contabile del predetto principio di “tracciabilità”: si fa in particolare riferimento al punto 5.4.5. dell’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118 del 2011, che può essere mutuato per l’esposizione delle risorse finanziarie finalizzate a realizzare progetti PNRR. Invero, secondo il predetto criterio contabile, “l’esigenza di rappresentare nel bilancio di previsione le scelte operate, compresi i tempi di previsto impiego delle risorse acquisite per gli interventi PNRR, è fondamentale nella programmazione della spesa pubblica locale (si pensi alla indispensabilità di tale previsione nel caso di indebitamento o di utilizzo di trasferimenti da altri livelli di governo)” (v. citato punto 5.4.5.). 3.5.5. Sicché, come anche avviene per l’esposizione del fondo pluriennale vincolato, l’esposizione contabile, da parte dell’Ente, delle risorse PNRR, dovrà rappresentare i vincoli delle risorse PNRR da investimenti, imputandole nell'esercizio in cui si prevede di realizzare l'investimento in corso di definizione, individuando una sicura associabilità del Codice unico di progetto (CUP) con la misura PNRR, riportando altresì la denominazione del progetto, in modo da consentire una trasparente tracciabilità della spesa a beneficio non soltanto degli amministratori ma anche dell’organo di controllo e, soprattutto, del Consiglio comunale che potrà monitorare lo svolgersi in concreto delle linee gestionali stabilite nei propri documenti programmatici (es. art. 151 TUEL). A tale riguardo, merita ricordare come la FAQ n. 1 (Frequently Asked Questions «domande poste frequentemente» nel linguaggio internet) del Ministero dell’economia e delle finanze conferma l’obbligo di inserire i riferimenti al CUP ed al Codice identificativo di gara (CIG) in tutti gli atti amministrativi a partire dagli atti di gara, nel contratto, nelle fatture di riferimento e negli atti di pagamento (mandato/bonifico ecc.). 3.5.6. In proposito, va anche ricordato che la FAQ n. 3 del Ministero dell’economia e delle finanze ha precisato che i soggetti attuatori, tra cui i Comuni, sono tenuti al rispetto dell’obbligo di perimetrare le risorse del PNRR con l’accensione di appositi capitoli. A tal fine, il “Manuale delle procedure finanziarie degli interventi PNRR”, allegato alla circolare del Mef n. 29/2022, e in particolare il paragrafo 10, prevede, per gli enti territoriali in contabilità finanziaria, l’integrazione della descrizione di tali capitoli con l'indicazione della missione, componente, investimento e CUP. Altresì, la FAQ 5 MEF sottolinea che gli enti territoriali, in contabilità finanziaria, come previsto dal paragrafo 10 del Manuale delle procedure finanziarie degli interventi del PNRR, allegato alla circolare della Ragioneria generale dello Stato (RGS) n. 29 del 2022, garantiscono la prevista perimetrazione con l’accensione di appositi capitoli all'interno del piano esecutivo di gestione o del bilancio finanziario gestionale al fine di garantire l'individuazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento specifico e integrano la descrizione dei capitoli con l’indicazione della missione, componente, investimento e CUP. L’obbligo di perimetrazione si ritiene assolto anche con l’utilizzo delle articolazioni delle unità elementari del piano esecutivo di gestione e del bilancio finanziario gestionale: non solo capitoli, dunque, ma anche articoli. 3.5.7. Per ciò che concerne la gestione di cassa, nel rispetto di quanto sopra richiamato, poiché le risorse vincolate del PNRR per gli enti locali sono soggette anche al vincolo di cassa, si precisa che il d.lgs. n. 118/2011 non prevede una specifica modalità di gestione di tale vincolo; pertanto, gli enti locali, nella loro autonomia, possono autoregolamentarsi e, a differenza di quanto deve essere fatto per la gestione della competenza, per la cassa non è necessario gestire un vincolo per ogni opera. Infatti, anche le risorse del PNRR possono essere gestite, al pari delle altre risorse vincolate, in un'unica cassa che deve essere monitorata extra-contabilmente, costantemente, per ogni categoria di entrata. 3.5.8. Con riferimento ai pagamenti, in linea generale si suggerisce di verificare la possibilità operativa/informatica di indicare il CUP (e il CIG laddove previsto) anche in un campo note della disposizione di pagamento, specificando la quota parte del pagamento riferita al progetto. Laddove ciò sia tecnicamente impossibile (come nel caso di emissione di mandati cumulativi) è necessario ricondurre la specifica spesa, in aggiunta all'idonea documentazione (atti, provvedimenti, relazioni, ecc.), con un'apposita attestazione firmata dal dirigente responsabile. PQM la Sezione Regionale di Controllo per l’Emilia-Romagna nel concludere l’esame sulla documentazione inerente al bilancio di previsione 2021-23 e al rendiconto per l’esercizio 2020 del Comune di (Omissis): - raccomanda all’ente l’osservanza dei principi in tema di armonizzazione contabile; - invita l’Organo di revisione, in relazione alle criticità riscontrate (segnatamente ai punti nn. 3.1.; 3.2.; 3.3.; 3.4.; 3.5.) ad una puntuale e attenta vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economico-patrimoniale della gestione dell’ente per il rispetto degli equilibri di bilancio e della normativa vigente, anche in riferimento ai doveri, compendiati in termini generali dalla previsione dell’art. 147-quinquies del TUEL, di attestazione di congruità delle poste di bilancio funzionali al perseguimento degli equilibri di bilancio; - raccomanda infine al Comune, in ossequio al rispetto del precetto dinamico della gestione finanziaria, di apprestare in corso di esercizio i necessari strumenti di flessibilità del bilancio, al fine di dare adeguata copertura alle vicende emergenziali in particolare di aumento delle spese dell’energia, nonché in relazione alla diminuzione delle entrate; - rammenta l’obbligo di pubblicazione della presente pronuncia ai sensi dell’art. 31 del d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33; - dispone che copia della presente deliberazione sia trasmessa in via telematica, mediante l’applicativo Con.Te., al Consiglio comunale, al Sindaco e all’Organo di revisione del Comune di (Omissis). Così deliberato nella camera di consiglio del 11 gennaio 2023. Il presidente relatore Marco Pieroni (firmato digitalmente) Depositata in segreteria in data 23 gennaio 2023 Il Funzionario preposto Roberto Iovinelli (firmato digitalmente)

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