Sentenze recenti circonvenzione di incapaci

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Presidente Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 28/02/2022 della CORTE di APPELLO di TRIESTE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale ORSI LUIGI, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi. L'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e l'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) insistevano per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.La Corte di appello di Trieste confermava la condanna di (OMISSIS) e di (OMISSIS) per diverse condotte di circonvenzione ai danni di (OMISSIS), cl. (OMISSIS). Segnatamente si contestava: - a (OMISSIS) di avere indotto l'offesa a conferirgli una procura generale, che lo stesso utilizzava sia per chiedere sia la liquidazione di una polizza vita, che per ordinare due bonifici; - a (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS), di avere indotto la vittima (a) a redigere un primo testamento olografo - il 13 gennaio 2015 - che prevedeva il lascito a favore di (OMISSIS) della somma di Euro 350.000 e di una casa di abitazione, ed a favore di (OMISSIS) della somma di 250.000 Euro; (b) successivamente, di avere indotto l'offesa a disporre la variazione dei beneficiari della polizza vita che aveva ereditato dalla sorella (indicati negli eredi "testamentari" e non piu' "legittimi"), nonche' a redigere un secondo testamento il 27 ottobre 2016 - che aumentava le disposizioni a favore di (OMISSIS); - ad (OMISSIS) veniva contestato, inoltre, di avere accompagnato la vittima in banca, inducendola ad effettuare un bonifico di 80.000 Euro a proprio favore con la causale "prestito infruttifero per ampliamento casa"; bonifico che non andava a buon fine in quanto il funzionario di banca, percepite le condizioni dell'anziana, bloccava la procedura, allertando l'autorita' giudiziaria. Infine, la Corte di appello confermava la valutazione circa l'improcedibilita' per difetto di querela del delitto di tentata appropriazione indebita relativo all'ordine di effettuare due bonifici, non eseguito dai funzionari della banca. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 2.1. con il primo motivo si deduceva che il momento di consumazione della circonvenzione non avrebbe potuto essere identificato nella "redazione del testamento", dato che l'atto testamentario avrebbe prodotto effetti giuridici solo alla morte del testatore. 2.2. Con il secondo motivo si deduceva (a) che non sarebbe stato provato che i testamenti precedenti a quelli oggetto di presunta circonvenzione contenessero disposizioni di maggior favore per gli enti legatari, ovvero la Scuola elementare dove aveva lavorato la sorella della persona offesa ed Opera Pia (OMISSIS); (b) che la persona offesa avrebbe instaurato con (OMISSIS) un rapporto di consapevole collaborazione per la gestione del suo patrimonio e che non vi sarebbe alcuna prova che lo stesso avesse influito sul quantum da lasciare a ciascun legatario o erede; (c) che la variazione dei beneficiari della polizza vita sarebbe un'operazione "ordinaria", tenuto conto che, se non fosse stata effettuata la variazione, assenti gli eredi legittimi, le somme provento della liquidazione sarebbero andate allo Stato. 2.3. Con il terzo ed il quarto motivo si deduceva che (a) lo smobilizzo della polizza-vita, come si rilevava dalla deposizione del (OMISSIS), sarebbe stato richiesto ad ottobre del 2016, prima dell'apertura del conto corrente cointestato alla (OMISSIS) ed a (OMISSIS), sicche' il provento della liquidazione sarebbe confluito in un conto nella disponibilita' esclusiva della (OMISSIS); (b) che mancherebbe la prova del danno in quanto, tenuto conto dello smobilizzo della polizza, le percentuali dell'asse ereditario riservate agli enti legatari sarebbero aumentate. 2.4. Con il quinto motivo si deduceva l'illegittimita' del rigetto della richiesta di assumere la testimonianza del funzionario (OMISSIS); tale testimonianza sarebbe stata essenziale per accertare quale fosse il conto sul quale sarebbe dovuto confluire il denaro provento dello smobilizzo della polizza-vita. 2.5. Con il sesto motivo si deduceva che il rilascio della procura non sarebbe un atto in se' pregiudizievole, sicche' non sarebbe rinvenibile l'elemento oggettivo della circonvenzione. Inoltre, si contestava la sussistenza dello stato di circonvenibilita' allegando che alla vittima sarebbe stata diagnosticata solo una lieve psicosi compensata dai farmaci e che l'integrita' delle sue capacita' cognitive sarebbe attestata dal fatto che nel 2016 la stessa avrebbe trattato la vendita di un terreno, dal fatto che il medico curante non avrebbe rilevato decadimenti cognitivi ed, infine, dal fatto che, durante un ricovero, il personale sanitario aveva raccolto il consenso informato. 2.6. Con il settimo motivo si deduceva violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione: con riguardo alla circonvenzione funzionale al rilascio della procura mancherebbe la prova sia del dolo, che del pregiudizio, tenuto conto che la procura non sarebbe stata utilizzata per compiere atti dannosi, ma solo per aprire due conti correnti intestati alla presunta vittima e per trasferire il denaro tra conti intestati alla stessa offesa. 2.7. Infine, si deduceva l'omessa motivazione in ordine alla richiesta di assoluzione perche' "il fatto non sussiste" proposta con l'appello in ordine alla condotta contestata al capo 3), in relazione alla quale il Tribunale aveva disposto non doversi procedere per difetto di querela. 3. Ricorreva per cassazione anche il difensore di (OMISSIS), che deduceva: 3.1. violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilita': (a) non sarebbero state considerate le doglianze proposte con la prima impugnazione in ordine alla attendibilita' intrinseca dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che avrebbero avuto dei risentimenti nei confronti del ricorrente, ne' sarebbe stato considerato il contrasto tra le loro dichiarazioni e quanto emerso da quelle di altri testimoni privi di interesse (il dottor (OMISSIS) ed il notaio (OMISSIS)); (b) non sarebbe stato considerato che la vittima era anziana, affetta da un lieve disturbo mentale corretto con terapia farmacologica e che il medico curante ed il notaio, avevano confermato la sua capacita' di autodeterminarsi; (c) non sarebbe stato considerato che le disposizioni testamentarie a favore della ricorrente erano rimaste immutate nei due atti testamentari oggetto di ipotetica circonvenzione; 3.2. violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione in ordine allo stato di infermita' e deficienza psichica della vittima: la Corte di appello non avrebbe provato il concorso della (OMISSIS) nella redazione dei testamenti, ne' nella modifica dei beneficiari della polizza vita; inoltre non risulterebbe accertata alcuna condotta induttiva a lei specificamente riconducibile. Con riguardo al capo 4) di imputazione si deduceva, invece, che la ricorrente si sarebbe limitata a svolgere la sua funzione di badante, accompagnando la (OMISSIS) in banca per effettuare un atto da lei voluto. 3.3. Violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del concorso di persone nella condotta di circonvenzione diretta alla redazione dei testamenti olografi ed alla modifica dei beneficiari della polizza vita: si deduceva che (OMISSIS) e (OMISSIS) non si sarebbero mai frequentati per ragioni personali o di lavoro. 3.4. Violazione di legge (articolo 133 c.p.) e vizio di motivazione: il trattamento sanzionatorio sarebbe stato quantificato in misura eccessiva, tenuto conto dell'incensuratezza della ricorrente, della sua eta', della relazione di fiducia che aveva instaurato con la (OMISSIS) e del fatto che, comunque, le disposizioni a suo favore riguardavano solo una parte dell'ingente patrimonio dell'anziana donna. 3.Con motivi aggiunti - rinunciati in udienza - il ricorrente, in subordine invocava l'applicazione dell'articolo 545-bis c.p.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' infondato. 1.1.E' infondato il primo motivo, con il quale si contesta l'identificazione del momento di consumazione del reato di circonvenzione in quello della redazione del testamento, piuttosto che in quello del decesso del testatore (pag. 34 della sentenza impugnata). Il collegio, in via preliminare, ribadisce che il reato di circonvenzione di persone incapaci e' un "reato di pericolo" che sanziona ogni condotta di manipolazione della volonta' di persone che versano in un riconoscibile stato di vulnerabilita', che sia idonea a produrre "qualsiasi effetto giuridico" dannoso. Si ribadisce che, ai fini della configurabilita' del reato di circonvenzione di persone incapaci, sono necessarie le seguenti condizioni: a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilita' di manipolare la volonta' della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacita' critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilita' che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine e cioe' quello di procurare a se' o ad altri un profitto; d) la oggettiva riconoscibilita' della minorata capacita', in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti (tra le altre: Sez. 5, n. 29003 del 16/04/2012, Strino, Rv. 253311 - 01). Tale principio, messo in relazione con la condotta di chi induce il vulnerabile a redigere un testamento olografo a suo favore, conduce a ritenere che il reato di circonvenzione si "perfezioni" - e dunque debba ritenersi consumato - sin dal momento della redazione del testamento, dato che tale atto, contrariamente a quanto ritenuto da parte della giurisprudenza (Sez. 2, n. 10165 del 26/01/2021, C. Rv. 280771 - 01; Sez. 2, n. 20669 del 17/01/2017, M. Rv. 269883 - 01), e' dotato di effetti giuridici immediati, in quanto e' un atto imprescindibile per l'attivazione della successione su base volontaria, nulla rilevando, rispetto a tale immediata efficacia, che il percorso testamentario, al momento del decesso del testatore, trovi ulteriore - ed eventuale attuazione con la pubblicazione del testamento e la sua accettazione da parte degli eredi. Si ritiene cioe' che la successione governata da un testamento olografo sia un processo che origina dalla indispensabile redazione dell'atto testamentario, che e' la pre-condizione per avviare la successione, passa attraverso la eventuale pubblicazione delle volonta' del testatore al momento della morte ed infine, si conclude con l'accettazione delle volonta' del de cuius da parte degli eredi. La redazione del testamento olografo e', dunque, una condotta che condiziona la stessa sussistenza della successione su base volontaria, sicche' non si puo' negare che la stessa produca effetti giuridici, il che implica che la condotta di chi manipola la volonta' di un testatore vulnerabile a suo futuro vantaggio e' inquadrabile nella fattispecie prevista dall'articolo 643 c.p.: colui che soggioga un testatore vulnerabile, orientandone la volonta' per ottenerne un futuro vantaggio, compie una circonvenzione che si consuma gia' nel momento della redazione del testamento, il che rende penalmente rilevanti, contrariamente a quanto allegato dal ricorrente, anche le condotte di manipolazione della volonta' testamentaria di vulnerabili non deceduti. Deve essere tuttavia precisato che la condotta di circonvenzione, nel caso in cui si manifesti nella manipolazione della volonta' testamentaria, pur perfezionandosi gia' con la redazione testamento, puo' trovare ulteriore, eventuale, manifestazione con la pubblicazione dello stesso ed, infine, con la sua accettazione da parte degli eredi. La circonvenzione del testatore vulnerabile si atteggia, infatti, come un reato ad eventuale formazione progressiva ed a consumazione prolungata che, pur consumandosi con la prima condotta, ovvero la redazione del testamento, "puo'" avere una eventuale progressione, attraverso la perpetrazione di ulteriori condotte correlate alla manipolazione e funzionali ad ottenere il vantaggio testamentario, ovvero la pubblicazione e l'accettazione del testamento. Queste condotte non possono essere inquadrate come post-factum, ma si configurano come ulteriori momenti di perpetrazione di una condotta criminosa che, pur perfezionandosi con la redazione del testamento, si presta ad avere ulteriori, ingravescenti sviluppi. Diversamente opinando si eliminerebbe la rilevanza penale della condotta di chi induce persone vulnerabili a sottoscrivere testamenti olografi, azione imprescindibile per l'attivazione della successione su base volontaria. 1.2. I motivi descritti ai punti 2.2. e 2.3 del "ritenuto in fatto" non superano la soglia di ammissibilita', in quanto si risolvono nella richiesta di rivalutare la capacita' dimostrativa delle prove, attivita' esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimita'. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimita' della motivazione si riafferma che la Corte di legittimita' non puo' effettuare nessuna valutazione di "merito" in ordine alla capacita' dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito e' limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate, devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965). La responsabilita' di (OMISSIS) per le circonvenzioni contestate emerge, con inequivocabile chiarezza, dal compendio motivazionale integrato composto dalle due sentenze di merito e non risulta inciso dalle doglianze difensive che, invero, si profilano come reiterative rispetto a quelle gia' avanzate con la prima impugnazione. La Corte d'appello, con motivazione persuasiva, osservava che il ricorrente, nonostante l'invito alla prudenza ed a regolare il rapporto con la persona offesa con la nomina e la mediazione di un amministratore di sostegno, non solo non aveva dato seguito all'invito, ma si era adoperato per effettuare due distinti bonifici a favore di se' stesso e di (OMISSIS) che non eseguiti dai funzionari di banca che aveva rilevato l'anomalia. Quanto alla reiterata allegazione che il denaro proveniente dallo smobilizzo della polizza dovesse confluire sul conto intestato solo alla persona offesa, e dunque non fosse in alcun modo pregiudizievole per la stessa, deve essere osservato che la Corte di appello aveva rilevato senza che la affermazione risultasse smentita - che detto conto era stato aperto in epoca successiva alla richiesta di smobilizzo della polizza e che, comunque, pur essendo intestato all'offesa, (OMISSIS) ne aveva la disponibilita' "con firma disgiunta", il che gli consentiva di gestirlo da dominus (pag. 30 della sentenza impugnata). Non e' fondato neanche il motivo che allega che l'operazione compiuta da (OMISSIS) non avrebbe danneggiato gli enti destinatari dei legati riconducibili alla reale volonta' dell'offesa, ovvero quelli disposti a favore della Scuola elementare presso la quale aveva lavorato la sorella della (OMISSIS) e dell'Opera Pia (OMISSIS). Invero il computo effettuato dal difensore si configura suggestivo, ma fallace, in quanto non tiene conto del fatto che la manipolazione della volonta' testamentaria, come rilevato dalla Corte territoriale, si era - tra l'altro - manifestata nella modifica dei legati agli enti, che inizialmente prevedevano il lascito di "quattrocentomila Euro", mentre con il testamento del 2016 erano stati tramutati nel lascito "quote dei titoli rimanenti alla data della morte": tale mutamento unitamente alla richiesta di liquidazione della polizza, nella persuasiva valutazione dei giudici di merito si configurava come diretto a vanificare i legati (pag. 29 della sentenza impugnata). Quanto alla richiesta di liquidazione della polizza-vita posta in essere da (OMISSIS) in qualita' di procuratore speciale (pag. 31 della sentenza impugnata) la stessa, nella ineccepibile valutazione effettuata dalla Corte di appello, si configurava come un'azione diretta non solo a garantire l'attuazione dell'atto testamentario manipolato, ma anche a far confluire sul conto corrente della vittima una liquidita' che avrebbe potuto facilmente essere sottratta, come dimostrano i tentativi di bonifico contestati ai capi 3) e 4) (pagg. 29 e 30 della sentenza impugnata). 1.3. Nessuna censura puo' essere rilevata, inoltre, nei confronti del rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento attraverso l'audizione del funzionario (OMISSIS). Il collegio riafferma che la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, e' un istituto di carattere eccezionale al quale puo' farsi ricorso esclusivamente allorche' il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 - 01). A cio' si aggiunge che per "prova decisiva" e' da intendere unicamente quella che, non incidendo soltanto su aspetti secondari della motivazione (quali, ad esempio, quelli attinenti alla valutazione di testimonianze non costituenti fondamento della decisione) risulti determinante per un esito diverso del processo, nel senso che essa, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove fosse stata esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R. Rv. 278670 - OSez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323; Sez.2, n. 16354 del 28/04/2006, Maio, Rv. 234752). La prova richiesta deve comunque superare il vaglio della rilevanza in relazione al compendio probatorio disponibile: si tratta di una valutazione che rientra tra gli apprezzamenti tipici della giurisdizione di merito che, se espressi con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali, si presenta insindacabile in sede di legittimita'. Nel caso in esame, con motivazione ineccepibile, la Corte di appello rilevava che la esaustivita' e completezza delle prove raccolte, indicative della responsabilita' del ricorrente "al di la' di ogni ragionevole dubbio", ostavano all'accoglimento della richiesta di rinnovazione attraverso l'audizione del funzionario (OMISSIS). Emergeva infatti che la chiusura del conto cointestato era stata disposta su ordine dell'istituto di credito e che (OMISSIS) non solo non aveva raccolto l'invito alla prudenza dei colleghi, ma aveva aperto un nuovo conto intestato solo alla (OMISSIS), assegnandosi tuttavia il potere di disporne con firma disgiunta (pag. 32 della sentenza impugnata). 1.4. Il motivo di ricorso descritto al punto 2.5. del "ritenuto in fatto" e' infondato sia nella parte in cui ritiene che l'induzione al rilascio di una procura generale a gestire il patrimonio non sia un atto idoneo ad integrare il reato previsto dall'articolo 643 c.p., sia nella parte in cui contesta la legittimita' della motivazione in ordine allo stato di riconoscibile circonvenibilita' della vittima. 1.4.1. Quanto al primo profilo, il collegio, rileva che sebbene il conferimento di una procura generale non sia - in astratto - un atto univocamente diretto a produrre effetti dannosi nei confronti del delegante; lo stesso debba comunque essere valutato unitamente alle circostanze del caso concreto: sicche' se la procura si inserisce in un contesto di manipolazione e si profila come funzionale a porre in essere atti di disposizione patrimoniale contrari all'interesse del delegante, la stessa e' sicuramente idonea a produrre effetti giuridici dannosi (in tal senso: Sez. 2, n. 10587 del 27/02/2009, Rv. 243866). Si ritiene, cioe', che la procura generale conferita per gestire il patrimonio e' un atto sicuramente produttivo di effetti giuridici, in quanto trasferisce in capo al procuratore il potere di gestire il patrimonio del delegante; e che nonostante la procura generale sia, in se', un atto "neutro", in quanto, in astratto, funzionale anche a produrre effetti positivi nel patrimonio del delegante, puo' configurarsi, in concreto, dannoso - ovvero idoneo ad integrare una condotta di circonvenzione - quando, valutato unitamente agli altri elementi di contesto, emerga che la stessa sia stata ottenuta attraverso la manipolazione della volonta' del vulnerabile al fine di danneggiarlo. 1.4.2. Le contestazioni in ordine alla rilevazione dello stato di riconoscibile circonvenibilita' si profilano come reiterative rispetto a quelle gia' avanzate con la prima impugnazione e, comunque, come dirette ad invocare una nuova e diversa valutazione della capacita' dimostrativa delle prove in ordine ad un elemento essenziale per la sussistenza dei reati contestati. Contrariamente a quanto dedotto, la Corte di merito ha valorizzato una serie di prove indicative sia della sussistenza della fragilita' cognitiva della persona offesa, che della sua manipolabilita'; sul punto risulta assorbente la valorizzazione di un elemento incontestato, che definisce in modo certo la sussistenza sia della vulnerabilita', che della sua riconoscibilita', ovvero il fatto che i funzionari di banca, che hanno avuto contatto occasionale con la vittima, si sono immediatamente resi conto della sua condizione, non dando seguito agli atti di disposizione patrimoniale indotti dai ricorrenti. 1.5. Il motivo di ricorso descritto al punto 2.6. del "ritenuto in fatto" non supera la soglia di ammissibilita' in quanto invoca una diversa valutazione delle emergenze processuali, funzionale al riconoscimento della tesi alternativa proposta dalla difesa. Contrariamente a quanto dedotto, il compendio motivazionale integrato composto dalle due sentenze di merito si prospetta esaustivo e persuasivo ed indica con chiarezza che (OMISSIS) ha consapevolmente posto in essere un'azione persistente e reiterata di manipolazione della persona offesa, resistendo anche alle sollecitazioni alla prudenza provenienti dai colleghi. 1.6. Il motivo di ricorso descritto al punto 2.7. del "ritenuto in fatto" e' manifestamente infondato. Il difetto di querela, quando si procede per il reato di appropriazione indebita, osta all'apertura del rapporto processuale, sicche' non si rinviene alcun interesse dell'accusato a dolersi della decisione di improcedibilita'. Peraltro, nel caso in esame, ferma la improcedibilita' della condotte appropriative contestate al capo 3), la Corte di appello, al fine di evidenziare la persistente azione di circonvenzione e la sussistenza dell'elemento soggettivo, rilevava che il ricorrente, nella veste di procuratore della persona offesa, nel 2017 aveva effettuato - a soli nove mesi di distanza dalla richiesta di liquidazione della polizza - due distinti bonifici bancari in favore della (OMISSIS) e di se' stesso, che erano stati bloccati dai funzionari di banca (pag. 21 della sentenza impugnata). 1.7. I motivi aggiunti sono stati rinunciati dall'Avv. (OMISSIS) in udienza, sicche' gli stessi vanno considerati non ammissibili. 2. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 2.1.Il primo motivo di ricorso non supera la soglia di ammissibilita' in quanto si risolve nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove poste a sostegno della conferma della responsabilita', senza l'indicazione di travisamenti o fratture logiche capaci di disarticolare il percorso logico-argomentativo posto a sostegno della conferma di responsabilita'. Circa la sussistenza e la riconoscibilita' dello stato di circonvenibilita' si richiama quanto gia' osservato in relazione alla valutazione del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) (§ 1.4.2.). Quanto alla partecipazione della (OMISSIS) alle azioni delittuose contestate (ovvero alla induzione alla redazione di due testamenti olografi, oltre che alla modifica dei destinatari della polizza vita ed al fatto di aver accompagnato la vittima presso il suo istituto di credito per indurla ad effettuare un bonifico di 80.000 in suo favore) il collegio rileva che le valutazioni emergenti dalle due sentenze di merito non presentano alcuna illogicita'. Segnatamente: la condotta contestata al capo 4) - ovvero l'accompagnamento della vittima in banca per effettuare il bonifico - risulta provata dalle testimonianze dei dipendenti della banca e dal fatto che, proprio in quell'occasione, ebbero la possibilita' di verificare lo stato di vulnerabilita' dell'anziana persona offesa, al punto che bloccarono la procedura ed avviarono il procedimento penale. 2.2. Le censure dirette e contestare il difetto di motivazione in ordine alla dimostrazione del concorso di (OMISSIS) nelle condotte di circonvenzione contestate (proposte sia con il secondo che con il terzo motivo) sono infondate. Contrariamente a quanto dedotto, la Corte d'appello, confermando analoga valutazione del Tribunale, esplicava, in modo esaustivo e persuasivo, come la ricorrente avesse contribuito in modo consapevole alla consumazione delle condotte contestate. Veniva infatti ribadito che il fatto che le disposizioni testamentarie fossero in favore di entrambi gli imputati fosse una circostanza univocamente indicativa delle cointeressenze della ricorrente; tale dato veniva confortato dalla emersione dell'attivita' delittuosa contestata al capo 4): sul punto la Corte d'appello, confrontandosi con le deduzioni difensive, rilevava come fosse emerso in modo inequivoco che la ricorrente si era recata in banca insieme con la persona offesa e che, una volta giunta presso l'istituto di credito, aveva compilato la richiesta di bonifico, mentre la vittima si era limitata a firmarlo. I giudici di merito rilevavano come le prove raccolte indicassero con chiarezza che il funzionario di banca si fosse reso conto che l'anziana era assente e non consapevole del motivo per cui era nell'istituto di credito: tale rilevante emergenza processuale confermava in modo definitivo il coinvolgimento della (OMISSIS) nella persistente e reiterata manipolazione della persona offesa. Veniva rilevato, tra l'altro, che il funzionario di banca, che aveva visto per la prima volta la vittima, si era subito accorto che la stessa non era in grado di comprendere il significato dell'operazione che era stata sollecitata a compiere, sicche' non era ipotizzabile che (OMISSIS) non fosse consapevole delle condizioni dell'anziana, tenuto conto che la assisteva quotidianamente come badante (pag. 22 della sentenza impugnata). 1.4. Sono infondate anche le censure proposte con l'ultimo motivo di ricorso, che contesta la motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 - 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142, Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008 - dep. 26/03/2008, Gasparri e altri, Rv. 239754). La determinazione in concreto della pena costituisce, infatti, il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicche' l'obbligo della motivazione da parte del giudice dell'impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d'appello, quando egli, accertata l'irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Cio' dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell'articolo 133 c.p. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d'appello. La Corte di appello, con motivazione ineccepibile, riteneva ostativi al ridimensionamento del trattamento sanzionatorio il grado e l'intensita' del dolo dimostrata da entrambi gli imputati - e dunque anche dalla (OMISSIS) - come anche il fatto che la condotta manipolatoria fosse stata reiterata e perseverante (pag. 36 della sentenza impugnata). A cio' si aggiungeva il fatto che era emerso con chiarezza che la ricorrente aveva tradito la fiducia dell'ingenua e malata persona offesa. Tali circostanze, nella ineccepibile valutazione della Corte territoriale, rendevano equo e non ridimensionabile il trattamento sanzionatorio inflitto dal primo giudice: si tratta di una motivazione che non si presta ad alcuna censura, in quanto non presenta alcun vizio logico nel percorso argomentativo, si profila aderente alle emergenze processuali e coerente con i parametri di legge che limitano la discrezionalita' del giudice nella quantificazione della pena. 4.Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, le parti private che lo hanno proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IMPERIALI Luciano - Presidente Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - rel. Consigliere Dott. TURTUR M. Marzia - Consigliere Dott. SARACO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 03/06/2022 della CORTE di APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale ETTORE PEDICINI che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. il difensore della parte civile Avv. (OMISSIS) che concludeva per il rigetto del ricorso e depositava conclusioni e nota spese. I difensori, Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), insistevano per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Roma, decidendo con le forme del giudizio abbreviato, condizionato all'espletamento di una perizia sullo stato di vulnerabilita' della persona offesa, (OMISSIS), confermava la condanna di (OMISSIS) per il reato di circonvenzione di incapace e per due frodi informatiche. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva: 2.1. vizio di motivazione: la Corte di appello non avrebbe considerato che il ricorrente aveva prodotto - gia' dalla fase delle indagini - le distinte dei pagamenti della quasi totalita' delle spese sostenute per conto di (OMISSIS), che sarebbero state effettuate con addebito sul conto corrente di (OMISSIS). Tali emergenze contradirebbero le valutazioni della Corte di appello in ordine alla conferma della responsabilita' per i reati contestati, dato che dimostrerebbero che il ricorrente si sarebbe limitato ad aiutare la (OMISSIS), nell'espletamento delle ordinarie incombenze di vita, utilizzando il proprio conto e addirittura accedendo, per questo motivo, a dei finanziamenti; 2.2. vizio di motivazione in ordine alla dimostrazione dello stato di circonvenibilita' e della sua riconoscibilita': con due distinti motivi il ricorrente censurava la valutazione in ordine alla sussistenza della valutazione dei presupposti del reato di circonvenzione, rilevando come il disturbo bipolare diagnosticato a (OMISSIS), non sarebbe in grado di incidere sulla capacita'; inoltre non sarebbe stato valutato che, nel periodo in cui si sarebbero verificate le condotte contestate i (OMISSIS) aveva effettuato atti dispositivi ed azioni, come la firma di un verbale di polizia in occasione di un sinistro, che sarebbero incompatibili con la sussistenza dello stato di infermita'; infine, sarebbe carente la prova ed insufficiente la motivazione in ordine alla riconoscibilita' dello stato di vulnerabilita', tenuto conto del fatto che di tale stato non si sarebbe avveduta neanche la figlia della (OMISSIS). 2.3. Con l'ultimo motivo di ricorso si contestava la legittimita' della procura speciale per la costituzione di parte civile, il cui rilascio non sarebbe compatibile con il ritenuto stato d'incapacita'. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I primi tre motivi non sono consentiti, in quanto si risolvono nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove in ordine alla conferma della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di circonvenzione di incapace. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimita' della motivazione si riafferma che la Corte di legittimita' non puo' effettuare alcuna valutazione di "merito" in ordine alla capacita' dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito e' limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965). Nel caso in esame la Corte di appello affrontava con motivazione logica e persuasiva tutti i temi devoluti, rilevando conclusivamente come (OMISSIS) avesse approfittato dello stato di vulnerabilita' di (OMISSIS) per ricavarne un profitto personale. 1.1.Nel dettaglio, con specifico riferimento alla tesi alternativa proposta dalla difesa, ovvero la dedizione del (OMISSIS) ad aiutare la (OMISSIS), attraverso l'impiego di somme personali, il collegio rileva che, contrariamente a quanto dedotto, 'Corte di appello aveva valutato la tesi alternativa, compresa la allegazione della circostanza che i prestiti e i pagamenti fatti dal ricorrente nell'interesse dell'offesa fossero stati effettuati anche grazie a finanziamenti ottenuti da (OMISSIS), ritenendola non credibile ed inidonea a incrinare la capacita' dimostrativa delle prove raccolte. Invero tale allegazione difensiva veniva proposta anche con la prima impugnazione e veniva giudicata - con valutazione di merito non revisionabile in quanto coerente con le prove raccolte non illogica - "priva di riscontro", non essendo stato provato che (OMISSIS), che all'epoca dei fatti erano studente poco piu' che ventenne; avesse le disponibilita' finanziarie per eseguire versamenti e pagamenti indicati e essendo stato dimostrato che avesse ottenuto n finanziamenti (pagg. 22 e 23 della sentenza impugnata). La Corte di appello rilevava di contro che era invece emerso che, proprio su sollecitazione di (OMISSIS), la (OMISSIS), aveva ottenuto dei prestiti per effettuare una ristrutturazione; era emersa, inoltre, con altrettanta chiarezza, la dipendenza di (OMISSIS) dall'imputato per tutto cio' che concerneva l'utilizzo degli strumenti informatici. In sintesi, la Corte di appello riteneva che il mancato riscontro in ordine alla effettiva sussistenza in capo a (OMISSIS) di disponibilita' finanziarie che gli avrebbero consentito di anticipare e prestare il denaro alla (OMISSIS), privava di adeguato supporto probatorio la prospettazione difensiva. Tale tesi veniva proposta nuovamente in cassazione dato che, con il ricorso si denunciava il travisamento per omissione della documentazione contabile che dimostrerebbe la buona fede di (OMISSIS) ed il suo impegno nell'aiutare (OMISSIS), anche con risorse proprie. Il motivo, tuttavia, non risulta supportato dalla allegazione - o indicazione - delle prove non considerate, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso. In materia di oneri di allegazione e principio di autosufficienza la giurisprudenza aveva gia' chiarito che allorche' sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) la Corte e' giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, puo' accedere all'esame diretto degli atti processuali (Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304). Diversamente, quando viene invocato un atto che contiene un elemento di prova il principio della "autosufficienza del ricorso" costantemente affermato, in relazione al disposto di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile deve essere rispettato anche nel processo penale, sicche' e' onere del ricorrente suffragare la validita' del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era gia' stato dedotto in precedenza), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimita' il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 1, n. 16706 del 18/03/2008, Rv. 240123). Tale interpretazione deve essere aggiornata dopo l'entrata in vigore dell'articolo 165 bis disp. att. c.p.p., comma 2, che prevede che copia degli atti "specificamente indicati da chi' ha proposto l'impugnazione ai sensi dell'articolo 606 comma 1 lettera e) del codice" e' inserita a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in separato fascicolo da allegare al ricorso e che nel caso in cui tali atti siano mancanti ne sia fatta attestazione. Sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l'onere di indicare nel ricorso gli atti da inserire nel fascicolo, che ne consenta la pronta individuazione da parte della cancelleria, alla quale non puo' essere delegato il compito di identificazione degli atti attraverso la lettura e l'interpretazione del ricorso. Pertanto, anche dopo l'entrata in vigore dell'articolo 165-bis, disp. att. c.p.p. comma 2. e' necessario il rispetto del principio di autosufficienza del ricorso che si traduce nell'onere di puntuale indicazione da parte del ricorrente degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione delegata alla Cancelleria (Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432). Nel caso in esame, come gia' rilevato, la mancata allegazione delle distinte dei pagamenti in ipotesi travisate non consente alla doglianza di superare la soglia di ammissibilita'. 1.2. Con specifico riguardo alle censure relative allo stato di circonvenibilita' il collegio ribadisce che in tema di circonvenzione di incapaci, costituisce "deficienza psichica" la minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, di intensita' tale da agevolare la suggestionabilita' della vittima e ridurne i poteri di difesa contro le altrui insidie (Sez. 2, n. 21464 del 20/03/2019, D., Rv. 275781 - 01; Sez. 2, n. 3209 del 20/12/2013, dep. 2014, De Mauro, Rv. 258537). Ma quel che piu' rileva in relazione ai caso in esame e' che l'integrazione della circonvenzione di persone incapaci non richiede che il soggetto passivo versi in stato di incapacita' di intendere e di volere, essendo sufficiente che esso sia affetto da infermita' psichica o deficienza psichica, ovvero da un'alterazione dello stato psichico, che sebbene meno grave dell'incapacita', risulti tuttavia idonea a porlo in uno stato di minorata capacita' intellettiva, volitiva od affettiva che ne affievolisca le capacita' critiche (Sez. 2, n. 6971 del 26/01/2011, Knight, Rv. 249662 - 01). Per l'integrazione della circonvenzione non e' dunque necessario che si dimostri lo stato di incapacita' di intendere e di volere della vittima, ma e' sufficiente la prova della sua "vulnerabilita'", in ipotesi correlata al parziale decadimento delle funzioni cognitive e alla perdita di autonomia; la dipendenza e l'affidamento acritico sono infatti segnali inequivoci della perdita di autonomia nella gestione delle ordinarie incombenze vitali e devono essere considerati come possibili indicatori dello stato di vulnerabilita' richiesto per l'integrazione della condotta prevista dall'articolo 643 c.p.. La Corte di appello, sul punto, effettuava una analitica e persuasiva valutazione della della perizia disposta per verificare lo stato di vulnerabilita' di (OMISSIS) e giungeva alla conclusione che la donna era attualmente affetta da un disturbo nEurocognitivo maggiore dovuto a malattia vascolare oltre che da un disturbo bipolare e vari disturbi atipici, mentre, all'epoca dei fatti la stessa presentava gia' il disturbo bipolare mentre il decadimento nEurocognitivo era allo stadio iniziale. Tale quadro clinico costituiva, anche all'epoca dei fatti, un'infermita' rilevante sul piano medico legale, dato che i disturbi nEurocognitivi, seppur in fase iniziale, erano in grado di incidere significativamente sulle facolta' di discernimento e determinazione, nonche' sulla capacita' decisionale e sulla autonomia gestionale. La Corte di appello riteneva, altresi', che tale condizione non potesse essere non notata da chi aveva consuetudine e frequentazione con la stessa (pag. 23 della sentenza impugnata). In sintesi: la Corte d'appello effettuava una valutazione attenta della analisi peritale che sulla base delle acquisizioni scientifiche in ordine alla ordinari ingravescenza dei disturbi nEuro-cognitivi e confermando la decisione del Tribunale riteneva che all'epoca dei fatti fosse conclamata e, dunque, riconoscibile la vulnerabilita' della persona offesa. Le argomentazioni difensive volte a ritenere che la stipula da parte della (OMISSIS) di atti finanziari ed economici fosse, invece, indicativa della sua capacita' di autogestione non venivano considerate idonee ad incidere sulla valutazione di sussistenza dello stato di vulnerabilita': la Corte di merito, con valutazione priva di fratture logiche e coerente con le prove raccolte, riteneva che tali attivita', lungi dall'essere manifestazione di autonoma e libera capacita' di autodeterminazione indicavano piuttosto la dipendenza di (OMISSIS) da (OMISSIS), non solo per l'utilizzo e la gestione degli strumenti informatici, ma anche per il governo delle ordinarie incombenze di vita, tenuto conto delle difficolta' che la stessa aveva a gestire in autonomia qualunque imprevisto, compreso un semplice tamponamento. La Corte riteneva, con motivazione logica e persuasiva, che la ripetuta - e quasi ossessiva - richiesta di assistenza a (OMISSIS) di (OMISSIS), contraddiceva sia la dedotta autonomia gestionale della vittima sia la non riconoscibilita' dello stato di vulnerabilita' da parte di (OMISSIS) (pag. 27 della sentenza impugnata). La motivazione, anche in questo caso, non si presta ad alcuna censura in questa sede 2. L'ultimo motivo e' inammissibile in quanto dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, con insanabile frattura della catena devolutiva e violazione dell'articolo 606, c.p.p., comma 3. 3.Alla dichiarata inammissibilita' del ricorso consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro tremila. Condanna inoltre il ricorrente al pagamento delle spese di rappresentata e difesa sostenute dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che - tenuto conto dei parametri di legge - liquida in complessivi Euro 4000/00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di rappresentata e difesa sostenute dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4000/00, oltre accessori di legge. in caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - rel. Consigliere Dott. D'AURIA Donato - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste in data 1/12/2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Lucia Aielli; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rideterminazione della pena in anni uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 900 di multa e l'inammissibilita' del ricorso, nel resto; lette le conclusioni scritte del difensore avv. (OMISSIS) e la memoria di replica. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Trieste, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Udine dell'11 settembre 2020, ha confermato la condanna della ricorrente per il reato di circonvenzione di incapace, dichiarando prescritte le condotte commesse fino al (OMISSIS), assolvendola da una specifica condotta commessa il (OMISSIS) e rideterminando la pena in anni uno, mesi cinque di reclusione ed Euro 700 di multa, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile. La Corte ha ritenuto che la ricorrente, quale badante di (OMISSIS) classe (OMISSIS), deceduta il (OMISSIS), avesse abusato del suo stato di infermita' e deficienza psichica inducendola a compiere atti pregiudizievoli per se' stessa e per il di lei fratello (OMISSIS), parte civile. Atti consistiti nella formalizzazione, in data (OMISSIS), di un testamento pubblico con il quale l'imputata era istituita erede universale e nell'indurre la vittima, in svariate occasioni decorrenti dal dicembre 2013, a prelevare denaro dal proprio conto corrente (per oltre 50 mila Euro) impossessandosene. 2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), deducendo: 1) vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita'. La Corte, dando fazioso rilievo ad alcune certificazioni sanitarie, non avrebbe tenuto in adeguato conto la circostanza che lo stato di incapacita' mentale della vittima non sarebbe stato percepibile dall'imputata, in considerazione di quanto emerso sulle condizioni psichiche della persona offesa attraverso le dichiarazioni rese dal notaio che aveva rogato il testamento pubblico e della sua assistente di studio, dichiarazioni che il ricorso trasfonde nelle parti di interesse per segnalare che il professionista aveva valutato la donna come lucida e determinata nella sua volonta' di lasciare tutti i propri beni alla ricorrente al contempo escludendo i propri parenti. Anche gli impiegati della banca ove la persona offesa si era recata ad effettuare i prelievi di contante, non avevano ravvisato alcuna condizione mentale deficitaria della persona offesa, che avrebbe causato l'interruzione della prestazione a mente degli obblighi di controllo gravanti sugli operatori finanziari. Infine la documentazione sanitaria posta a fondamento della decisione della Corte di appello, non avrebbe contenuto specifiche indicazioni sulla malattia dalla quale la persona offesa era affetta, del suo andamento e della sua possibilita' di compenso attraverso l'uso di farmaci, come documentato da uno dei medici che avevano refertato la vittima; 2) vizio della motivazione, sempre sotto il profilo dell'accertamento della responsabilita', con riguardo alla prova del compimento da parte della ricorrente di atti di induzione. Non sarebbero stati riferibili alla ricorrente tutti i prelievi di contante effettuati, peraltro in misura non sporporzionata, avendo il fratello della vittima la delega ad operare sul conto; la volonta' di testare in favore della ricorrente era piena e non avrebbe alcun peso accusatorio la circostanza che l'imputata avesse accompagnato la vittima dal notaio, che conoscesse il contenuto del testamento ovvero che vivesse con lei. La Corte non avrebbe, infine, adeguatamente valutato la credibilita' del fratello della vittima, (OMISSIS), parte civile, artefice di prelievi e parte interessata; 3) vizio della motivazione in ordine alla determinazione della pena. La Corte, sottraendo i segmenti di pena relativi alle condotte prescritte ed a quella in relazione alla quale ha emesso pronuncia assolutoria, ha errato nel calcolo, indicando di voler eliminare complessivamente mesi quattro di reclusione ma di fatto togliendone solo tre dalla pena fissata dal Tribunale in anni uno, mesi otto di reclusione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio in relazione ai reati satellite ed inammissibile nel resto. 1.1. Manifestamente infondato e' il primo motivo. In punto di diritto, si deve premettere che, ai fini della configurabilita' del reato di circonvenzione di persone incapaci sono necessarie le seguenti condizioni: a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilita' di manipolare la volonta' della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacita' critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilita' che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine, ossia quello di procurare a se' o ad altri un profitto; d) l'oggettiva riconoscibilita' della minorata capacita', in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti (Sez. 2, n. 19834 del 01/03/2019, A., Rv. 276445; Sez. 5, n. 29003 del 16/04/2012, Strino, Rv. 253311). 1.2. La Corte ed il Tribunale hanno conformemente ritenuto, attraverso un giudizio di merito non rivedibile in questa sede in quanto privo di vizi logico-ricostruttivi, che la vittima del reato fosse in condizioni psichiche tali da non poter essere capace di intendere e di volere nel periodo in cui erano stati compiuti gli atti pregiudizievoli per il suo patrimonio, in particolare nel 2014 ed alla data della redazione del testamento pubblico (28 maggio 2014). Tanto era stato ampiamente documentato dalla sentenza del Tribunale, solo sinteticamente richiamata da quella impugnata, conforme nel giudizio di condanna, circostanza che consente di fondere le due decisioni sotto il profilo motivazionale. In particolare, era stata richiamata la consulenza tecnica del Pubblico ministero che aveva raccolto ed elaborato tutta la imponente e variegata documentazione sanitaria attestante lo stato di demenza senile della vittima nel 2014, che si era innestato, a cagione del progredire degli anni, su una condizione psicotica decorrente dal 2012, anno nel quale era stata avviata la procedura per nomina di un amministratore di sostegno e si erano verificate le prime segnalazioni da parte dei vicini di casa della vittima circa comportamenti denotanti le sue problematiche psichiche. Con nessuno di questi dati oggettivi, provenienti da piu' medici specialisti, la ricorrente si confronta in modo completo, limitandosi a ricordare le dichiarazioni del notaio che aveva redatto il testamento pubblico e della sua assistente di studio, soggetti privi di competenze mediche e che avevano visto la persona offesa in sole tre occasioni. I referti medici, per evidenti ragioni logiche, sono stati considerati di gran lunga piu' probanti rispetto alle atecniche impressioni del notaio o della sua assistente di studio o degli impiegati di banca. E tanto era avvenuto anche in sede civile - circostanza del tutto obliterata in ricorso - nella causa per l'annullamento del testamento pubblico sulla base di ulteriori consulenze tecniche conformi a quella effettuata nell'attuale procedimento. 1.3. Data la macroscopica condizione di deficienza psichica della vittima, i giudici di merito, senza incorrere in vizi logici, hanno ritenuto che per la particolare conformazione del rapporto esistente tra costei e la ricorrente, che era stata assunta come badante gia' dal febbraio del 2013 e dunque viveva a casa della vittima condividendone il quotidiano, fosse inverosimile ritenere che ella non fosse a conoscenza o non si rendesse conto del decadimento mentale della persona da lei avuta in cura, considerazione ineccepibile che il ricorso tenta di sminuire solo attraverso la svalorizzazione della rilevanza della patologia mentale che affliggeva la persona offesa fin dal 2012. 2. Le obbiettive condizioni poste attraverso l'esame del primo motivo di ricorso, rendono ragione dell'ulteriore affermazione della Corte e del Tribunale, di ritenere che la ricorrente avesse indotto la persona offesa, approfittando della sua vulnerabilita' e vecchiaia, a compiere gli atti per antonomasia piu' pregiudizievoli per lei o per altri (in questo caso il fratello ed i nipoti), quali il prelievo ingiustificato di danaro e la redazione di un testamento con nomina dell'imputata quale sola erede universale di tutto il patrimonio. Il Tribunale, con certosina motivazione solo sinteticamente richiamata dalla sentenza impugnata, ha messo in luce, a proposito dei prelievi di danaro contante, come quelli compiuti a decorrere dal momento in cui la persona offesa era stata accompagnata in banca dalla ricorrente, fossero di gran lunga piu' sproporzionati rispetto al periodo in cui ad occuparsi della vittima era la nipote e non trovassero alcuna giustificazione nelle esigenze quotidiane della anziana donna (fgg. 20 e 21 della sentenza di primo grado). Di tanto, il ricorso non da' fedele contezza, contestando genericamente il dato oggettivo. Inoltre, e' stato messo in luce che tanto per i prelievi quanto per la vicenda del testamento, l'imputata aveva manifestato il suo diretto attivismo, accompagnando in banca e dal notaio la vittima e seguendo di persona quanto stesse accadendo, conscia anche della disposizione testamentaria a suo favore. Da qui, l'altrettanto ineccepibile assunto che ella avesse avuto terreno facile, viste le condizioni della persona offesa, per manipolare a suo favore la volonta' di quest'ultima, inducendola a disporre dei suoi beni con quelle modalita'. Anche in questo caso, il ricorso e' generico nella misura in cui offusca il dato oggettivo di tipo clinico inerente alle condizioni di salute mentale della vittima. 3. Fondato e' il terzo motivo. Fermo restando il calcolo della pena pecuniaria, correttamente determinata dalla Corte di appello in Euro 700 di multa, quanto alla pena detentiva deve rilevarsi che il Tribunale aveva inflitto alla ricorrente anni uno e mesi otto di reclusione. La Corte di appello, dichiarando prescritti alcuni segmenti della condotta illecita ed assolvendo la ricorrente per un solo prelievo di denaro specifico, da lei non mediato, ha ritenuto di eliminare la pena corrispondente pari a complessivi mesi quattro di reclusione. Con il che, avrebbe dovuto determinare la sanzione finale in anni uno e mesi quattro di reclusione e non in anni uno e mesi cinque di reclusione cosi' come risulta nella motivazione e nel dispositivo (fgg. 7 e 8 della sentenza impugnata). L'errore rilevato, incidendo sulla pena relativa al reato gia' dichiarato estinto per prescrizione e sull'episodio delittuoso per il quale la (OMISSIS) e' stata assolta, non e' idoneo ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza con riferimento ai restanti reati per i quali i motivi di ricorso sono inammissibili dovendosi qui ribadire i principi espressi dalle Sezioni Unite Tuzzolino (sent. n. 1 del 19/01/2000, Rv. 216239) e Aiello (sent. n. 6903 del 27/05/2016, Rv. 268965), circa l'autonomia del rapporto processuale inerente a ciascun capo di sentenza, malgrado la trattazione unitaria del processo. In particolare S. Unite Aiello ha affermato "In caso di ricorso avverso una sentenza di condanna che riguardi piu' reati ascritti allo stesso imputato (sentenza oggettivamente cumulativa) l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilita' dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali l'impugnazione sia inammissibile e preclude per detti reati, in relazione ai quali si e' formato il giudicato parziale, la possibilita' di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello". Nel caso in esame, dunque, l'ammissibilita' del motivo relativo al trattamento sanzionatorio dei reati satellite, implica l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con riferimento a detti capi, con eliminazione della relativa pena (mesi quattro di reclusione), ma non incide sui restanti reati in relazione ai quali l'inammissibilita' del ricorso preclude la possibilita' di rilevare d'ufficio, ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. e articolo 609 c.p.p., comma 2, l'estinzione del reato per prescrizione (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Rv. 266818). Pertanto la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio che va rideterminato in anni uno e mesi quattro di reclusione con dichiarazione di inammissibilita' del ricorso, nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 700,00 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. VERGA Giovanna - Consigliere Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA Sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 02/12/2021 della Corte di assise di appello di Catanzaro, visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari; sentito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Lidia Giorgio, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso; sentito il difensore della parte civile, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso, depositando comparsa conclusionale e nota delle spese; sentito il difensore dei ricorrenti, Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di assise di appello di Catanzaro, parzialmente riformando la sentenza della Corte di assise di Catanzaro del 17 dicembre 2020, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti dei coniugi odierni ricorrenti in relazione al reato di circonvenzione di incapace loro ascritto in concorso al capo A, confermando le statuizioni civili in favore di (OMISSIS), quale erede della persona offesa (OMISSIS), anziana nubile indotta dai ricorrenti a redigere e sottoscrivere un testamento olografo in loro favore, due preliminari di vendita di immobili e ad attivare una carta di credito prepagata consegnata agli imputati e da loro utilizzata per prelevare denaro. 2. Ricorrono per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), con unico atto, attraverso il quale deducono, ai soli fini inerenti alle statuizioni civili, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita'. La Corte non avrebbe valutato le doglianze difensive contenute nell'atto di appello e relative alla prova dello stato di deficienza psichica della persona offesa al momento della redazione del testamento olografo (gennaio 2013), trascurando la testimonianza del medico che l'aveva avuta in cura, il dottor Scarpino, il quale aveva escluso tale evenienza e quella dei medici dell'Ospedale (OMISSIS) che avevano seguito la paziente fino ad epoca precedente alla sua morte, valorizzando, al contrario, deposizioni testimoniali molto piu' vaghe e generiche, rese da vicini di casa non in rapporti di quotidiana frequentazione con la vittima e che sarebbero stati suggestionati dalla vicenda giudiziaria. La Corte avrebbe, inoltre, travisato la testimonianza della suora (OMISSIS), a proposito della volonta' della persona offesa di destinare i suoi beni alla Chiesa e di vendere gli appartamenti oggetto dei contratti preliminari di cui alla imputazione. I ricorrenti censurano il rilievo della Corte anche in ordine al fatto che la vittima versasse in stato di abbandono. Sarebbe stato travisato, inoltre, il dato probatorio inerente all'abuso dello stato di vulnerabilita' della persona offesa, essendo emersa la sua capacita' di autodeterminazione mantenuta fino alla fine, come emergerebbe dal comportamento tenuto nei confronti del Notaio (OMISSIS) (fgg. 15-14-16 del ricorso). La Corte non avrebbe neanche valutato la documentazione prodotta dai ricorrenti in uno alla memoria difensiva (si cita in ricorso la valutazione OMI sul prezzo di uno degli immobili che la persona offesa voleva vendere, per dimostrarne la congruita' e la cartella clinica inerente al ricovero precedente al decesso). Si da' atto che nell'interesse della parte civile e' stata depositata una memoria. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' manifestamente infondato e generico. 1. I ricorrenti sono stati condannati in entrambi i gradi di merito con conforme decisione. La pacifica giurisprudenza di legittimita', ritiene che, in tal caso, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione, tanto piu' ove i giudici dell'appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicche' le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita' (Cass. pen., sez. 2, n. 1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250; sez. 3, n. 13926 del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, Valerio, rv. 252615). Si osserva, ancora, che la doppia conformita' della decisione di condanna dell'imputato, ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti della deducibilita' in cassazione del vizio di travisamento della prova lamentato dai ricorrenti. E' pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimita', che tale vizio puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme, sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi; Sez.4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine). 1.1. Fatte queste premesse, deve ancora essere sottolineato che, ai fini della configurabilita' del reato di circonvenzione di persone incapaci sono necessarie le seguenti condizioni: a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilita' di manipolare la volonta' della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacita' critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilita' che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine, ossia quello di procurare a se' o ad altri un profitto; d) l'oggettiva riconoscibilita' della minorata capacita', in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti (Sez. 2, n. 19834 del 01/03/2019, A., Rv. 276445). La Corte ha fornito, attraverso il richiamo a numerose testimonianze assunte in dibattimento e convergenti nella ricostruzione della vicenda, alcuni decisivi dati, neanche tutti richiamati in ricorso, idonei a mettere in evidenza gli elementi costitutivi del reato. In primo luogo, la sentenza ha sottolineato che vi era stata l'instaurazione di un rapporto tra i ricorrenti e la vittima viziato all'origine dalla perfida condotta degli imputati, che si erano spacciati per soggetti incaricati dalle suore di prendersi cura di lei, circostanza non a caso pretermessa in ricorso e che e' stata intesa dai giudici di merito, con ineccepibile ragionamento logico, come volta a dimostrare la finalita' illecita che aveva animato i ricorrenti fin dall'inizio, in quanto essi, evidentemente, ben sapevano che le intenzioni della vittima erano quelle di destinare i propri beni alla Chiesa (testi Ripamonti e Ceraudo, fgg. 20 e 21 della sentenza impugnata). In secondo luogo, lo stato di abbandono in cui versava la persona offesa e la sua eta' avanzata, unita al decadimento delle sue funzioni cognitive, erano elementi emersi a seguito di numerose deposizioni delle quali la Corte ha dato contezza (ivi compresa quella della Ceraudo in ordine al fatto che la persona offesa avesse visioni immaginarie e quella del notaio (OMISSIS), sul fatto che la vittima le fosse apparsa ritardata nel processo cognitivo, incerta e balbettante, fg. 23 della sentenza impugnata). In terzo luogo, la circostanza che la vittima avesse manifestato la volonta' di attribuire tutti i suoi beni alla Chiesa e che tale volonta' fosse nettamente in contrasto con gli atti pregiudizievoli per il suo patrimonio compiuti a favore degli imputati, e' stata ricostruita nella sentenza impugnata con dovizia di particolari emersi attraverso le testimonianze riportate, che davano ragione della conclusione che i ricorrenti avessero abusato della naturale vulnerabilita' di una persona di ottantacinque anni, sola e trasandata, per ottenere l'ingiusto profitto, consistente anche in una quantita' di prelievi in danaro assolutamente esorbitanti rispetto alle condizioni in cui viveva la vittima e rimasti senza alcuna spiegazione diversa da quella a favore della tesi accusatoria, circostanza anch'essa obliterata in ricorso. Quanto alla riconoscibilita' dello stato di vulnerabilita' della persona offesa da parte dei ricorrenti, essa e' stata tratta dallo stesso rapporto di relazione intercorso con costei e dalla frequentazione della sua abitazione nell'ultimo periodo di vita. Tanto supera ed assorbe ogni diversa argomentazione difensiva, da ritenersi relegata al merito del giudizio. Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all'effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilita'. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3800,00 oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. DE SANTIS M. Anna - rel. Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. TURTUR M. Marzia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), n. a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Perugia il 27/10/2021; dato atto che si e' proceduto a trattazione con contraddittorio cartolare ai sensi degli Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, e Decreto Legge n. 198 del 2022, articolo 8; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Cons. Anna Maria De Santis; letta la requisitoria del Sost. Proc. Gen., Dott. Raffaele Gargiulo, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al capo A) per intervenuta prescrizione, con rinvio alla Corte d'Appello di Perugia per la rideterminazione della pena; declaratoria di inammissibilita' nel resto letta le conclusioni scritte rassegnate dal difensore, Avv. (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1.Con l'impugnata sentenza la Corte d'Appello di Perugia confermava la decisione del locale Tribunale che, in data 17/12/2019, aveva riconosciuto l'imputato colpevole di piu' episodi di circonvenzione di incapace, previa riqualificazione ex articolo 643 c.p., del fatto estorsivo contestato al capo A), condannandolo alla pena di anni due, mesi due di reclusione. 2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato, Avv. (OMISSIS), il quale ha dedotto: 2.1 l'inosservanza degli articoli 129, 192, 530 e 533 c.p.p., con riguardo alla conferma del giudizio di responsabilita' del prevenuto per i reati ascrittigli e correlato vizio di motivazione. Il difensore sostiene che il fatto che la p.o. abbia prestato fede alle argomentazioni del (OMISSIS), circa la possibilita' che presunti "maghi" avrebbero potuto aiutarla a trovare un compagno non e' indice di una minorazione psichica, costituendo al piu' espressione dello stato di solitudine della vittima. In assenza di una accertata condizione di minorata capacita' psichica della p.o. la Corte d'appello ha fondato il proprio convincimento, al pari del primo giudice, su un giudizio morale della condotta del ricorrente che, tuttavia, non e' idoneo a giustificare l'integrazione degli elementi costitutivi del delitto ex articolo 643 c.p.. Aggiunge che la motivazione posta a base della reiezione delle doglianze difensive e' illogica in quanto non spiega in termini persuasivi le ragioni per cui si e' ritenuto di ravvisare uno stato di menomazione psichica sulla base della credulita' della vittima, pur avendo la stessa dimostrato piena capacita' di discernimento allorche' si e' rivolta ai Carabinieri dopo aver compreso di essere stata raggirata; 2.2 la violazione degli articoli 56,643 c.p., e connesso vizio della motivazione in relazione al capo A). Il difensore lamenta che la Corte di merito ha disatteso la richiesta di riqualificare il delitto di circonvenzione d'incapace ascritto sub A) nella fattispecie tentata richiamando la giurisprudenza relativa alla consegna controllata del profitto d'estorsione. Il ricorrente deduce l'impossibilita' di esportare i principi richiamati al reato ex articolo 643, che ha elementi costitutivi differenti, i quali non consentono di qualificare la consegna del danaro da parte della vittima, avvenuto sotto la vigilanza dei c.c., quale estrinsecazione dell'induzione patita. Infatti, l'accordo intervenuto con le Forze dell'Ordine, presenti nell'appartamento della p.o., impedisce di configurare l'induzione mentre la determinazione del momento dell'intervento e' stata frutto di una decisione discrezionale degli operanti con la conseguenza che non si e' mai realizzato un autonomo ed effettivo impossessamento del danaro da parte dell'imputato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.II primo motivo e' manifestamente infondato. La questione relativa alla condizione di circonvenibilita' della vittima e' stata oggetto di ampio e persuasivo scrutinio da parte del primo giudice, adesivamente richiamato dalla sentenza impugnata. Il Tribunale, infatti, ha evidenziato (pag. 8 e seguenti) che -contrariamente all'assunto difensivo- le compromesse condizioni psichiche della (OMISSIS), sono state illustrate sia dall'amministratrice di sostegno, che ha riferito di deficit cognitivi e comportamentali della stessa, sia direttamente constatate dal Collegio nel corso dell'esame dibattimentale, in cui e' apparsa evidente l'estrema vulnerabilita' psicologica della dichiarante, particolarmente sensibile alle tematiche del misticismo, della magia, delle superstizioni. 1.1 Questa Corte con indirizzo costante e consolidato ritiene che, in tema di circonvenzione di incapaci, costituisce "deficienza psichica" la minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica e indebolimento di quello volitivo, di intensita' tale da agevolare la suggestionabilita' della vittima e ridurne i poteri di difesa contro le altrui insidie (tra tante, Sez. 2, n. 21464 del 20/03/2019, Rv. 275781-01). Per l'integrazione di siffatto presupposto non e' necessario il riscontro di una vera e propria malattia mentale in quanto nel vigente sistema penale l'infermita' psichica, totale o parziale, e' ben distinta dalla deficienza psichica, richiamata non solo nell'articolo 643 c.p., ma anche negli articoli 112 n. 4 e 114 c.p., condizione riferibile a soggetti con un limitato processo evolutivo mentale ovvero affetti da uno scadimento della facolta' intellettiva anche in assenza di cause patologiche e, quindi, in grado di opporre minore resistenza all'opera di coazione o di suggestione dell'agente (Sez. 1, n. 1457 del 08/11/1977, dep. 1978, Rv. 137862-01). 2. Il secondo motivo e' fondato e deve trovare accoglimento. Merita condivisione l'orientamento di legittimita' secondo cui il delitto di circonvenzione di incapace ha natura di reato di pericolo e si consuma nel momento in cui viene compiuto l'atto idoneo a procurare un qualsiasi effetto giuridico dannoso per la persona offesa o per altri (Sez. 2, n. 8103 del 10/02/2016 Rv. 266366-01; n. 10165 del 26/01/2021, Rv. 280771-01; n. 20677 del 13/05/2022, Rv. 283337-01). Il tenore letterale della disposizione, infatti, e' incentrato sulla condotta materiale dell'induzione, eziologicamente collegata al compimento di un atto che importi effetti giuridici di carattere patrimoniale pregiudizievoli per il disponente o per altri, mentre il profitto qualifica il fine specifico dell'azione, rilevando nella connotazione del dolo. La struttura della fattispecie, pur comportando un arretramento della soglia di punibilita' rispetto alla concreta lesione dell'integrita' patrimoniale dell'offeso e', secondo il condivisibile avviso della dottrina, compatibile con il tentativo in quanto e' naturalisticamente configurabile una progressione criminosa dell'azione verso l'attingimento del risultato antigiuridico perseguito. 2.1 Nella specie la p.o., dopo aver subito per anni l'attivita' manipolatoria del prevenuto e dopo essersi confidata con un'amica che la sollecitava a rivolgersi alle Forze dell'Ordine, segnalava l'accaduto ai c.c., i quali predisponevano un apposito servizio presso l'abitazione della (OMISSIS), per monitorare l'incontro della stessa con l'imputato. Nel corso della visita il (OMISSIS), sollecitava la vittima al versamento di una somma di danaro, paventando che in caso negativo sarebbe cessata la protezione accordatale da maghi potenti e si sarebbe trovata esposta a "fatture" negative. La (OMISSIS), a seguito delle insistenze dell'imputato, al quale aveva rappresentato il proprio disagio economico con conseguente riduzione della pretesa originaria, versava l'importo di Euro 300,00 nelle mani del ricorrente, il quale veniva bloccato dagli operanti non appena allontanatosi dall'abitazione. In detto contesto, come esattamente rilevato dal P.G., l'attivita' criminosa deve ritenersi interrotta nella fase dell'induzione in quanto la successiva dazione, avvenuta sotto il controllo della P.g., era attivita' convenuta. Appare, pertanto, scarsamente conferente il richiamo della Corte di merito a sostegno della decisione reiettiva alla giurisprudenza in materia di estorsione, senza tener conto che per costante avviso di questa Corte in relazione al cennato delitto l'ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento del reato rispetto alla costrizione derivante dalla violenza o minaccia. 3. Osserva, nondimeno, il Collegio che alla riqualificazione della fattispecie sub A) alla stregua del tentativo ex articoli 56, 643 c.p. consegue la necessita' di rilevare l'avvenuta maturazione del termine di prescrizione, pari ad anni 8 mesi 4, decorso alla data del 6 aprile 2022. L'assenza di indicazioni circa l'aumento a titolo di continuazione effettuato per il reato estinto, considerata la sussistenza di continuazione interna con riguardo al residuo addebito, impone il rinvio alla Corte di Appello di Firenze per la rideterminazione della pena. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A) perche' e' estinto per prescrizione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e rinvia alla Corte di Appello di Firenze per la rideterminazione della pena. Dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VILLONI Orlando - Presidente Dott. PACILLI Giuseppina - Consigliere Dott. RADDUSA Benedetto - Consigliere Dott. DI NICOLA T. Paola - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombrett - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 05/04/2022 del Corte d'appello di Caltanissetta visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Ombretta Di Giovine; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Gargiulo, il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Caltanissetta confermava la condanna in primo grado di (OMISSIS) per circonvenzione di incapaci (articolo 643 cod. pen.), per avere, al fine di procurare a se' o ad altri un profitto e abusando dello stato di infermita' o di deficienza psichica di (OMISSIS), indotto quest'ultima a compiere piu' atti patrimoniali (riscuotendo e consegnando in piu' soluzioni somme di denaro ed attribuendo a (OMISSIS) la disponibilita' esclusiva della casa di proprieta', da (OMISSIS) successivamente posta in locazione per un corrispettivo da questo interamente trattenuto). Confermava altresi' la condanna di (OMISSIS), compagna di (OMISSIS), per maltrattamenti in famiglia (articolo 572 cod. pen.), per aver, approfittando dello stato di infermita' psichica di (OMISSIS), con lei convivente, sottoposto quest'ultima a violenze fisiche e verbali e comunque a continui atti vessatori. 2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), per il tramite dell'avvocato (OMISSIS). 3. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) consta di un unico motivo, in cui sono dedotte: violazione della legge penale per vizio di motivazione; manifesta illogicita' nella valutazione della prova e violazione dell'articolo 192 cod. proc. pen.; violazione della legge penale processuale per mancata assunzione di una prova decisiva di cui la parte aveva fatto richiesta a norma dell'articolo 495, comma 2, cod. proc. pen.. In violazione del diritto di difesa e al contraddittorio, al ricorrente sarebbe stata sottratta la possibilita' di confrontarsi in dibattimento con la persona offesa, sulla base delle cui dichiarazioni, rese in incidente probatorio, esclusivamente, egli e' stato condannato. L'imputato aveva infatti avanzato rituale richiesta di interrogare nel dibattimento la persona offesa. Ammesso tale mezzo istruttorio, il giudice di primo grado revocava tuttavia il teste, nonostante la persona offesa fosse affetta da un lieve deficit psichico e quindi in grado di rendere la deposizione. Ne' i giudici di secondo grado rispondono alle deduzioni sul punto. La motivazione e' inoltre mancante e/o manifestamente illogica poiche' vi si legge che le circostanze riferite dalla persona offesa sono state riscontrate, laddove le dichiarazioni richiamate rese da (OMISSIS) (consulente tecnico di parte), (OMISSIS) (assistente sociale), (OMISSIS) (psicologa e direttrice della struttura dove la persona offesa si e' ricoverata dopo i fatti) sono tutte de relato e riferiscono ancora una volta la sola versione di (OMISSIS). Inoltre, il medico (OMISSIS), sentito al dibattimento, non riferisce di aver riscontrato sulla persona offesa segni di lesioni, nonostante la abbia piu' volte visitata presso il proprio ambulatorio. In motivazione si parla, inoltre, di un "rapporto squilibrato tra vittima ed agente" e si desume l'incapacita' della persona offesa dai racconti di tutti coloro che la vedevano "inerte" quando il ricorrente la accompagnava, senza specificare chi fossero tali persone e da che cosa si evincesse l'asserita incapacita' di (OMISSIS), posto che questa ha continuato ad essere proprietaria della sua casa di famiglia. Ancora, si addebita al ricorrente l'induzione a compiere atti che importavano per il soggetto passivo effetti giuridici dannosi, senza tenere in conto il fatto che la persona offesa prelevava ogni mese circa Euro 1.000, che rappresenta una somma modesta, indispensabile al suo mantenimento - anche perche' l'imputato viveva soltanto della sua pensione di invalidita' - e a contribuire alle spese della casa in cui viveva. Quanto alla oggettiva riconoscibilita' della minorata capacita', i medici psichiatri hanno accertato che la persona offesa soffriva soltanto di un disturbo psichico lieve che, in quanto tale, non le impediva di badare a se stessa e di difendersi dalle insidie esterne, come la stessa ha dimostrato di saper fare nel tempo, salvaguardando il proprio patrimonio immobiliare. Di conseguenza, non risulterebbe nemmeno provato il requisito dell'induzione, richiesto dalla legge per l'integrazione del delitto di circonvenzione. Non sarebbero, inoltre, condivisibili le ragioni che hanno indotto la Corte di appello a negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione del fatto che il comportamento processuale del ricorrente e' stato improntato ad estrema collaborazione con l'autorita' giudicante. Si lamenta, infine, l'eccessivita' della pena irrogata. 4. Nell'interesse di (OMISSIS) e' presentato un motivo di ricorso in cui sono parimenti eccepite: violazione della legge penale per vizio di motivazione; manifesta illogicita' nella valutazione della prova e violazione dell'articolo 192 cod. proc. pen.; violazione della legge penale processuale per mancata assunzione di una prova decisiva di cui la parte aveva fatto richiesta a norma dell'articolo 495, comma 2, cod. proc. pen. Pure in questo caso si deduce che la condanna si sarebbe basata sulle dichiarazioni della sola persona offesa la quale, tuttavia, non e' stata sentita in dibattimento, nonostante la ricorrente ne avesse fatto rituale richiesta, aggiungendosi che, comunque, il fatto non sussiste per difetto del necessario requisito della abitualita', l'unico teste, il dottor (OMISSIS), che visitava abitualmente la persona offesa non avendo oltretutto mai riscontrato lividi sul corpo della persona offesa. Anche rispetto a (OMISSIS), poi, si censura l'eccessivita' della pena inflitta e la decisione di non riconoscere le attenuanti generiche, in considerazione della condotta processuale collaborativa dell'imputata, la quale e' oltretutto incensurata tranne che per un banale precedente risalente nel tempo. 3. Il procedimento e' stato trattato in forma cartolare, ai sensi del dl. 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, comma 1, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono entrambi inammissibili. 2. Manifestamente infondate sono, innanzitutto, le deduzioni, prospettate in entrambi i ricorsi, relative alla mancata escussione della persona offesa in dibattimento, da un lato, e alla mancanza di riscontri, se non de relato, alle dichiarazioni della stessa, poiche' i testi si sarebbero limitati a riferire quanto appreso da (OMISSIS). Quanto al primo profilo, la Corte d'appello, dinanzi alla quale la medesima eccezione era gia' stata devoluta, ha correttamente e compiutamente replicato osservando come l'audizione dovesse essere svolta con le modalita' richieste dalla legge in considerazione della condizione di vulnerabilita' di (OMISSIS) e che l'anticipata acquisizione della prova realizzatasi con l'incidente probatorio ne comporta l'utilizzabilita' in sede dibattimentale, senza alcun bisogno di procedere alla sua rinnovazione a seguito di richiesta del difensore, avanzata in ragione della necessita' di provvedere ad integrazione ovvero a contestazioni, risultando diversamente vanificata la funzione stessa dell'incidente probatorio (sez. 4, n. 1832 del 23/10/2014, dep. 2015, Ventre, Rv. 261771). Quanto al secondo aspetto, secondo la giurisprudenza pacifica di questa Corte di legittimita', le regole dettate dall'articolo 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu' penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. In tal senso, in particolare, si sono espresse Sez. U, n. 41461 de/ 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214, precisando in motivazione che, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, puo' essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi. Ebbene, a tale insegnamento si e' attenuta la sentenza impugnata, la quale, oltretutto, specifica come, al di la' di alcune espressioni iperboliche della parte civile, le circostanze da questa riferite siano state tutte riscontrate. Alle suddette testimonianze de relato si aggiunge, infatti, la circostanza che le condizioni di vita della parte civile, in un contesto privo di igiene e di cura, sono risultate anche dagli accertamenti delle forze dell'ordine e testimoniate dagli operatori sociali, nonche' dalle deposizioni di diversi soggetti, quali il direttore dell'ufficio postale e il conduttore dell'immobile di proprieta' della parte civile, che confermarono l'atteggiamento di sottoposizione di (OMISSIS) rispetto a (OMISSIS). Ne' - aggiunge quasi testualmente la Corte di appello - costituisce smentita alle dichiarazioni della parte civile il fatto che il medico non si pote' avvedere di lividi ed escoriazioni, visto che le modalita' di gestione degli spostamenti della donna erano controllate dal ricorrente, valendo, anzi, ad ulteriore riscontro della narrazione di (OMISSIS) proprio il fatto che la prima volta che la donna parlo' con il suo medico dei maltrattamenti ricevuti fu quando riusci' a recarvici da sola. 3. Il ricorso di (OMISSIS) appare inoltre inammissibile, in quanto versato in fatto, oltre che manifestamente infondato, nella parte in cui contesta la configurabilita' del delitto di circonvenzione, revocando in dubbio, da un lato, l'incapacita' della persona offesa, dall'altro lato, la produzione di un danno patrimoniale a carico della stessa. A proposito della ritenuta capacita' della persona offesa, l'argomento secondo cui la donna sarebbe tale in quanto dimostratasi in grado di difendere il proprio patrimonio immobiliare (la casa lasciatale dalla madre) propone, infatti, una valutazione alternativa rispetto al giudizio compiutamente e logicamente svolto dai giudici dell'appello, i quali hanno evidenziato che: le condizioni di fragilita' psichica delle donna erano state accertate con verifica peritale; tale condizioni si inferivano inoltre dalla circostanza che la donna, prima di tornare a (OMISSIS), viveva in una struttura adatta; la sua incapacita' di opporre resistenza e' emersa nel corso della istruttoria dibattimentale. Altrettanto deve dirsi in merito alla configurabilita' dell'evento-danno patrimoniale, la cui produzione e' richiesta dalla fattispecie di cui all'articolo 643 cod. pen. Infatti, alle osservazioni difensive relative al modesto ammontare della somma prelevata - che si assume, nel ricorso, "equamente" destinata al solo mantenimento della persona offesa - i giudici hanno coerentemente obiettano che la ricostruzione difensiva e' stata contraddetta dal fatto che sia i Carabinieri, sia gli operatori sociali hanno accertato che la donna viveva in uno stato gramo, indecoroso e anti-igienico (condivideva uno spazio ristretto con sei o sette cani), aggiungendo, peraltro, che il ridimensionamento delle somme riscosse per la locazione, secondo il racconto del ricorrente, contrasta con le ben piu' attendibili e disinteressate indicazioni provenienti dall'inquilino dell'immobile, dalle quali si ricava che questi verso' nelle mani dell'imputato, in due sole soluzioni, complessivamente Euro 2.500. 4. Considerazioni simili valgono in relazione al ricorso di (OMISSIS), per la parte in cui si contesta la configurabilita' del delitto di maltrattamenti. In particolare, per un verso, va ricordato che, pacificamente, il reato di cui all'articolo 572 cod. pen. puo' constare di vessazioni morali, oltre che di comportamenti lesivi della integrita' fisica della vittima di cui, peraltro, quest'ultima ha riferito. Di conseguenza, a nulla rileverebbe al di la' delle considerazioni della Corte di appello gia' riferite a proposito della posizione di (OMISSIS) - la circostanza che il medico curante di (OMISSIS) non avesse ravvisato sul corpo della donna i segni di lesioni, una volta che, come nel caso di specie, sia stata nella vittima accertata la produzione di uno stato di prostrazione psicologica e di assoggettamento nei confronti dell'autrice della condotta. Per altro verso, una volta motivatamente ritenuta la credibilita' della parte civile, deve concludersi che in modo coerente e compiuto la Corte di appello abbia ritenuto dimostrata la condotta illecita della ricorrente anche sotto il profilo, piu' specificamente dedotto, dell'abitualita' della condotta incriminata, senza, dunque, che questa Corte possa sostituirsi alla valutazione di fatto conformemente compiuta nei due gradi di giudizio di merito. 5. Manifestamente infondati sono, infine, i motivi dei due ricorsi relativi all'eccessiva severita' del trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Con motivazione, anche in questo caso, completa e logica, i giudici di secondo grado hanno, infatti, replicato che l'incensuratezza non da' diritto alle attenuanti e precisato che, comunque, nessuno dei due imputati e' incensurato, essendo entrambi, al contrario, gravati di precedenti, seppur risalenti. Ne' - si aggiunge nella sentenza impugnata, con motivazione parimenti insindacabile da questa Corte - la pena comminata dal giudice di primo grado puo' dirsi eccessiva, dal momento che corrisponde al minimo edittale per (OMISSIS) e che per. (OMISSIS) e' stata adeguatamente aumentata in considerazione della particolare odiosita' della condotta e per il suo reiterarsi in plurime induzioni e plurimi frazionati profitti. 6. Alla declaratoria di inammissibilita' segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'articolo 616 cod. proc. pen.. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, i ricorrenti al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in Euro 3.686,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierlui - Consigliere Dott. COSCIONI G. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 25/03/2021 della CORTE di APPELLO di FIRENZE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. COSCIONI GIUSEPPE; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERRAO D'AQUINO PASQUALE, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS), la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il difensore di (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze in data 25/03/2021 che confermava la condanna di (OMISSIS) per il reato di circonvenzione di incapace perche', "per procurarsi un profitto abusando dello Stato di deficienza psichica di (OMISSIS) con il quale coabita, con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso lo induceva a consegnargli varie somme di denaro in contanti o a mezzo bonifico o attraverso ricariche della postepay..." cosi' il capo di imputazione. 1.1 I difensore eccepisce l'erronea applicazione della legge penale con riferimento alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto ex articolo 643 c.p., la violazione di legge con riferimento all'articolo 192 c.p.p. e l'erronea e incompleta valutazione delle risultanze processuali con violazione dei principi che presidiano la valutazione della prova: inoltre si lamenta il vizio motivazionale della sentenza impugnata per la parte in cui la Corte di appello aveva omesso di pronunciarsi in ordine alle doglianze difensive dedotte relative alla erroneita' del giudice di primo grado sulla quantificazione del profitto ascritto in imputazione al ricorrente; analogamente la sentenza impugnata si mostrava illogicamente motivata nella parte in cui affermava che non vi era prova del titolo di apprensione per residue somme da parte di (OMISSIS) e dei suoi familiari, che avevano lavorato a vario titolo per (OMISSIS) o per la madre; inoltre, doveva rilevarsi una ulteriore illogicita' della motivazione laddove da un lato riteneva attendibile la testimonianza di (OMISSIS), ma affermava che la sua deposizione non costituiva prova del titolo di credito da lavoro vantato dall'imputato; infine, si muoveva una ulteriore censura all'iter motivazionale del giudice di secondo grado con specifico riferimento in ordine alla destinazione delle somme prelevate da (OMISSIS) in contanti per il periodo 27 Aprile-27 giugno 2015 e apoditticamente ritenuti oggetto di apprensione da parte del ricorrente. 1.2 Il difensore lamenta la carenza dell'elemento oggettivo del reato, la non riconducibilita' al ricorrente di condotte di abuso ed induzione ad effettuare disposizioni patrimoniali pregiudizievoli alla persona offesa: alla luce della documentazione prodotta dalla difesa relativa al titolo giuridico connesso alla dazione di denaro (la retribuzione ovvero il versamento delle somme poi spese per la ristrutturazione del giardino della casa) e dell'utilita' cui erano servite (attivita' di collaborazione domestica e bonifica e/o tenuta dell'immobile in condizioni salubri, acquisto di ciclomotore) non si poteva affermare che le stesse avessero comportato un depauperamento della capacita' patrimoniale del soggetto passivo a vantaggio dell'induttore, e non vi erano indizi atti a comprovare che (OMISSIS) avesse posto in essere condotte tali da essere annoverate nel concetto di induzione richiesto dall'articolo 643 c.p.. 1.3 Il difensore lamenta l'erroneita' della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto in capo alla persona offesa, al momento dei fatti, un grado di incapacita' tale da integrare il presupposto richiesto dalla norma: nonostante i rilievi della difesa, la Corte di appello non aveva fornito una motivazione atta a sostenere la prevalenza della sola relazione del Dott. (OMISSIS) rispetto a tutti gli altri dati documentali (relazioni peritali, certificati medici, provvedimenti giudiziari) che avevano ritenuto insussistente lo stato di elevata suggestionabilita' di (OMISSIS) e lo avevano ritenuto perfettamente capace di gestire in autonomia le proprie finanze nel periodo sia precedente che coevo all'imputazione (si faceva riferimento, in particolare, alla perizia del Dott. (OMISSIS), svoltasi proprio nel corso di un procedimento di volontaria giurisdizione, ed a quella del Dott. (OMISSIS)). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 1.1 Con riferimento alle censure di cui al ricorso, se ne deve rilevare la natura meramente fattuale, in quanto con esse il ricorrente propone una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimita', di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', quale e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. 6, 22/01/2014, n. 10289); Si deve poi ribadire che ai fini della configurabilita' del reato di circonvenzione di persone incapaci sono necessarie le seguenti condizioni: a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilita' di manipolare la volonta' della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacita' critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilita' che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine, ossia quello di procurare a se' o ad altri un profitto; d) l'oggettiva riconoscibilita' della minorata capacita', in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti. Nel caso in esame, la Corte di appello ha ritenuto sussistenti tutte le condizioni sopra richiamate, evidenziando (pag.9 sentenza impugnata) che dalla perizia effettuata dal Dott. (OMISSIS), coerente con le ulteriori risultanze dibattimentali, emergeva che la persona offesa (OMISSIS) "mostrava un indebolimento del potere di critica e della capacita' volitiva tale da renderlo soggetto particolarmente suggestionabile", condizione di fragilita' evidente ai soggetti che avevano con il medesimo contatti quotidiani, passando poi in rassegna quanto dichiarato sul punto dai testimoni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte di appello ha anche confutato la tesi difensiva basata sulle relazioni degli altri medici che si erano relazionati con (OMISSIS), ritenendo che non scalfissero le conclusioni della perizia (OMISSIS), che descriveva (OMISSIS) come soggetto suggestionabile. 1.2 Quanto al pregiudizio economico, la Corte di appello ha evidenziato che nello stesso giorno in cui aveva ricevuto la liquidazione del rapporto di lavoro per una somma pari ad Euro 66.000,00, (OMISSIS) aveva emesso in favore dell'imputato un assegno di Euro 6.500,00, uno di Euro 3.000,00 per la compagna dell'imputato per asserite prestazioni lavorative mai prima menzionate e per l'acquisto di un motorino ed effettuato ricariche Postepay in favore dei suddetti soggetti e di (OMISSIS), fratello dell'imputato, per un importo di Euro 18.490,00; a cio' andavano aggiunti prelievi per Euro 22.030,00 nel periodo 27 aprile-27 giugno 2015, senza che fosse chiarita la destinazione delle somme; gia' il primo giudice aveva argomentato sulla incongruita' delle somme pretese da (OMISSIS) e dai suoi familiari per il lavoro svolto in favore di (OMISSIS) e della madre dello stesso, rilevando che la somme di Euro 2.300,00 per la compagna di (OMISSIS) per pulizie svolte per tre settimane era assolutamente esorbitante, che nessun titolo per avere somme vantava il fratello dell'imputato, che aveva svolto attivita' lavorativa nel 2009 ed era stato regolarmente pagato, e che non risultava che (OMISSIS) vantasse crediti per lavori svolti in precedenza. Su tutti tali aspetti il ricorso propone inammissibili motivi di merito proponendo una differente valutazione delle risultanze processuali, operazione non consentita in sede di legittimita', tanto piu' in caso, come quello in esame, di cd. "doppia conforme" e cioe' doppia pronuncia di eguale segno, per cui il vizio di travisamento della prova puo' essere rilevato in sede di legittimita' solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione della motivazione del provvedimento di secondo grado; il vizio di motivazione puo' infatti essere fatto valere solo nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione ha riformato quella di primo grado nei punti che in questa sede ci occupano, non potendo, nel caso di c.d. "doppia conforme", superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimita', salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19/10/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/6/2007, Musumeci, Rv. 237207; Sez. 2, n. 5223 del 24/1/2007, Medina, Rv 236130; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432). 2. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibili. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento nonche', ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 3.000,00, cosi' equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. La natura non particolarmente complessa della questione e l'applicazione di principi giurisprudenziali consolidati consentono di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. Sentenza a motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 25/10/2021 della CORTE di APPELLO di GENOVA; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FULVIO BALDI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi, con le statuizioni consequenziali; udito l'avvocato (OMISSIS), in difesa della parte civile (OMISSIS), che ha concluso associandosi alle conclusioni del Proc. Gen. ed ha depositato conclusioni scritte e nota spese, chiedendone la liquidazione; uditi l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) nonche' l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 25/11/2021 la Corte d'appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale della Spezia in data 13/05/2020, confermava la condanna di (OMISSIS) nonche' di (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati rispettivamente ascritti, quanto alla prima, di circonvenzione di incapace continuata in danno di (OMISSIS) (capo A) e, quanto gli altri due imputati, di tentata circonvenzione di incapace continuata in danno di (OMISSIS) (capo B), e concedeva, accanto alla gia' disposta sospensione condizionale della pena, il benefico della non menzione a tutti gli imputati. 2. Avverso la sentenza suindicata propongono ricorsi per cassazione tutti e tre gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. 2.1. (OMISSIS) formula due motivi. Con il primo motivo lamenta vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato ex articoli 56, 643 c.p. Lamenta che la corte di merito, senza esaminare in modo adeguato i motivi di gravame, aveva errato nel confermare l'affermazione di responsabilita' dell'imputato facendo proprie acriticamente proprie le conclusioni del perito nominato Dott. (OMISSIS) sebbene, nella specie, non fosse emersa la prova della circonvenibilita' della vittima come desumibile dalla documentazione in atti (da cui risultava che, all'epoca dei fatti, la (OMISSIS) era vigile ed orientata) nonche' dalle conclusioni, la cui portata era stata sottovalutata, del consulente della difesa Prof. (OMISSIS) ed atteso che il perito Dott. (OMISSIS) - il quale aveva affermato che la predetta era soggetto circonvenibile in ragione di una situazione di deficienza psichica tale da renderla vulnerabile, sentito durante l'incidente probatorio, era incorso in evidenti contraddizioni in ordine alle effettive condizioni della vittima. Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione agli articoli 56, 643 c.p. Rileva che, nel caso in esame, la prova del tentativo di induzione mediante abuso era del tutto assente, difettando la dimostrazione di una pressione operata dal ricorrente sulla vittima la quale, in data 29/12/2017, si era recata presso l'istituto bancario liberamente, manifestando autonomamente la volonta' di cambiare l'intestazione di tre polizze alla presenza della direttrice e della impiegata di banca; trattandosi, quindi, di una libera scelta difettava la prova dell'elemento oggettivo del reato di circonvenzione di incapace. Osserva, altresi', che la Corte di appello non aveva considerato che mancava la dimostrazione dell'elemento soggettivo sotto il profilo della riconoscibilita' delle condizioni della vittima per come emerso dall'elaborato del Prof. (OMISSIS) e dall'esame del Dott. (OMISSIS) all'udienza del 9 aprile 2018. 2.2. (OMISSIS) propone tre motivi. Con i primi due motivi lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 56,643 c.p. formulando delle censure sovrapponibili a quelle avanzate da (OMISSIS) con il proprio ricorso. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge in relazione all'articolo 110 c.p. Deduce che la Corte di appello non aveva considerato che mancava la prova che la ricorrente avesse partecipato alla fase ideativa o commissiva della condotta in questione consistita nell'accompagnare la vittima presso l'istituto bancario per cambiare il beneficiario di alcune polizze. 2.3. (OMISSIS) formula tre motivi. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 643 c.p. quanto alla ritenuta sussistenza di una attivita' di induzione in danno della vittima da parte dell'imputata. Assume la Corte di appello aveva del tutto pretermesso dei dati probatori decisivi, non valutando adeguatamente quelle che erano le effettive condizioni della p.o. la quale non presentava un deficit cognitivo cosi' invalidante come ritenuto dai giudici di merito e sotto altro profilo non aveva chiarito in cosa sarebbe consistita l'attivita' di induzione che i giudici di merito avevano finito per identificare nel mero compimento degli atti dispositivi contestati. Evidenzia che, oltre alla mancata individuazione della condotta principale imputabile alla ricorrente, gravemente carente ed erronea era la motivazione circa le reali condizioni della persona offesa con riferimento ai diversi e specifici atti dispositivi, non avendo i giudici di merito considerato che gli atti in questione posti in essere nell'interesse della (OMISSIS) erano stati compiuti in situazione di pieno recupero da parte della vittima. Lamenta che la Corte di appello aveva finito per confondere e sovrapporre i diversi momenti di deficit cognitivo fra le due imputazioni contestate ai tre imputati. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione per travisamento della prova quanto ai resoconti investigativi inerenti al principale e decisivo elemento accusatorio riconducibile al rinvenimento/denuncia di smarrimento del testamento olografo in proprio favore. Rileva che la prova della malafede della imputata era stata desunta dalla asserita condotta dissimulatoria della stessa correlata alla denuncia di smarrimento del testamento olografo in suo favore, affermazione questa frutto di un vero e proprio travisamento in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, la ricorrente non aveva denunziato il furto del testamento. Lamenta che i giudici di merito aveva compiuto un altro travisamento: infatti avevano affermato che la ricorrente aveva riferito alla teste (OMISSIS), secondo quanto da questa asseritamente dichiarato, di avere subito il furto anche del testamento, mentre detta teste aveva affermato in sede di s.i.t. che l'imputata le aveva riferito che detto testamento non era stato asportato. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione per travisamento della prova quanto agli accertamenti effettuati dagli operatori bancari con riferimento alla ricorrente. Lamenta che la Corte di appello aveva omesso totalmente di valutare quanto riferito dagli operatori bancari (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alla circostanza che tutte le operazioni in questione erano state compiute dalla (OMISSIS) con spontaneita' e piena trasparenza, previa valutazione delle condizioni della persona offesa e verifica della effettiva volonta' della stessa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Prima di procedere all'esame dei singoli motivi dei ricorsi, anche al fine di evitare inutili ripetizioni, appaiono opportune alcune premesse in ordine agli ambiti del sindacato di legittimita' nonche' relativamente ai principi riguardanti la fattispecie di cui all'articolo 643 c.p. 1.1. "I limiti del sindacato di legittimita'". Va, in primo luogo, rilevato che al giudice di legittimita' e' preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perche' ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, e' - e resta - giudice della motivazione. Secondo le Sezioni Unite "l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali; l'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cass. Sez. Un. sent. n. 24 del 24.11.1999 dep. 16.12.1999 rv 214794). Deve, pure, essere rimarcato che ai fini del controllo di legittimita' sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello, trattandosi di c.d. doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordi nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Cass. Sez. 3, sent. n. 44418 del 16/07/2013, dep. 04/11/2013, Rv. 257595). Nel giudizio di appello e' pertanto consentita la motivazione "per relationem" alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate dall'appellante non contengano - come nel caso di specie - elementi di novita' rispetto a quelle gia' condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Cass. Sez. 2, sent. n. 30838 del 19/03/2013, dep. 18/07/2013, Rv. 257056). Va, anche, osservato che l'omesso esame di un motivo di appello da parte della Corte di merito non da luogo a un difetto di motivazione rilevante a norma dell'articolo 606 c.p.p., ne' determina incompletezza della motivazione della sentenza allorche', pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perche' incompatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonche' con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima. Secondo il disposto dell'articolo 597 c.p.p., comma 1, l'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione nel procedimento (limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti). Pertanto il giudice d'appello deve tenere presente, dandovi risposta in motivazione, quali sono state le doglianze dell'appellante in ordine ai punti (o capi articolo 581, comma 1, lettera e) investiti dal gravame, ma non e' tenuto ad indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell'appello quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poiche' in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado. (Sez. 1, Sentenza n. 1778 del 21/12/1992 Ud. (dep. 23/02/1993) Rv. 194804). Occorre rilevare, altresi', che in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita', dalla sua contraddittorieta' (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento". (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, 0., Rv. 26296501). Deve, pure, evidenziarsi, in generale, che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilita' delle fonti di prova e' devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilita' degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimita' della Corte Suprema. Si e' in particolare osservato che non e' sindacabile in sede di legittimita', salvo il controllo sulla congruita' e logicita' della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilita' delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 - dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 25036201). Deve, inoltre, ricordarsi che mentre e' consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non e' affatto permesso dedurre il vizio del "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimita' a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', qual e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cosi', tra le tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). E questo e' tanto piu' vero laddove con l'impugnazione venga posto un mero problema di interpretazione di espressioni o frasi, trattandosi di questione di fatto, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimita' se - come nella fattispecie e' accaduto - la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate. Il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non puo' limitarsi, pena l'inammissibilita', ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisivita', ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche' della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilita' all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato. (Sez. 6 -, Sentenza n. 10795 del 16/02/2021 Ud. (dep. 19/03/2021) Rv. 281085 - 01. Nel caso di cosiddetta "doppia conforme", e' inammissibile ex articolo 606, comma 3, c.p.p., il motivo fondato sul travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, che sia stato dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, poiche' in tal modo esso viene sottratto alla cognizione del giudice di appello, con violazione dei limiti del "devolutum" ed improprio ampliamento del tema di cognizione in sede di legittimita'. (Sez. 6 -, Sentenza n. 21015 del 17/05/2021 Ud. (dep. 27/05/2021) Rv. 281665 - 01. 1.2. Il reato di circonvenzione di incapace. In punto di configurabilita' del reato di cui all'articolo 643 c.p. occorre richiamare i seguenti principi che l'odierno collegio condivide integralmente: "Ai fini dell'integrazione dell'elemento materiale del delitto di circonvenzione di incapace, devono concorrere: (a) la minorata condizione di autodeterminazione del soggetto passivo (minore, infermo psichico e deficiente psichico) in ordine ai suoi interessi patrimoniali: (b) l'induzione a compiere un atto che comporti, per il soggetto passivo e/o per terzi, effetti giuridici dannosi di qualsiasi natura, che deve consistere in un'apprezzabile attivita' di pressione morale e persuasione che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in rapporto di causa ad effetto; (c) l'abuso dello stato di vulnerabilita' del soggetto passivo, che si verifica quando l'agente, ben conscio della vulnerabilita' del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il fine di procurare a se' o ad altri un profitto (Cass. Sez. 2, sent. n. 39144 del 20/06/2013, dep. 23/09/2013, Rv. 257068). Pacifico e', poi, in punto di diritto che "il delitto di circonvenzione di incapace non esige che il soggetto passivo versi in stato di incapacita' di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione" (Sez. 2, n. 3209 del 20/12/2013 - dep. 23/01/2014, P.O. in proc. De Mauro Luigi e altro, Rv. 25853701). Rientra, pertanto, nella nozione di "deficienza psichica" ex articolo 643 c.p. la minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione, perche' e' "deficienza psichica" qualsiasi minorazione della sfera volitiva ed intellettiva che agevoli la suggestionabilita' della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie (Cass. Sez. 2, sent. n. 24192 del 05/03/2010, dep. 23/06/2010, Rv. 247463). La Corte di Cassazione, in passato, ha avuto modo di chiarire quanto al concetto di induzione che indurre vuoi dire convincere, influire sulla volonta' altrui, essendo necessario, ai fini dell'integrazione del reato, uno stimolo, posto in essere dall'agente nei confronti del soggetto passivo, che determini quest'ultimo al compimento dell'atto dannoso, non essendo sufficiente giovarsi semplicemente delle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo (Sez. 2, sent. n. del 24/06/1985, Rv. 170826). E', poi, altrettanto pacifico che il convincimento circa la prova dell'induzione per la configurabilita' dell'articolo 643 c.p. ben puo' essere fondato su elementi indiretti e indiziari, cioe' risultare da elementi precisi e concordanti come la natura degli atti compiuti e il pregiudizio da essi derivante (cfr. in tal senso Cass. Sez. 2, Sent. n. 17415 del 23/01/2009, dep. 23/04/2009, Rv. 244343). L'articolo 643 c.p. al fine di ritenere integrata la fattispecie criminosa, prevede (in aggiunta alla minorata capacita' di cui si e' detto) altri due elementi oggettivi: - l'induzione a compiere un atto che importi, per il soggetto passivo e/o per altri, qualsiasi effetto giuridico dannoso. Per induzione deve intendersi un'apprezzabile attivita' di pressione morale e di persuasione Cass. 13.12.1993, Di Falco, CED 196331 che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in un rapporto di causa ed effetto; - L'abuso dello stato di vulnerabilita' che si verifica quando l'agente, conscio della vulnerabilita' del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine ossia quello di procurare a se' o ad altri un profitto. 2. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). 2.1. Il primo comune motivo appare formulato per motivi non consentiti ed e', comunque, da ritenere manifestamente infondato. La corte di appello, nel confermare la ricostruzione operata dal primo giudice e conformandosi alla giurisprudenza richiamata secondo cui ai fini della configurabilita' del delitto di circonvenzione di incapace e' sufficiente anche una minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione psicologica, con una motivazione che non appare ne' carente ne' gravemente illogica ne' contraddittoria ha ritenuto gli imputati responsabili del reato di tentata circonvenzione di incapace in danno della (OMISSIS), ritenendo comprovato che la quest' ultima, novantenne, fosse persona affetta all'epoca dei fatti da "demenza vascolare moderata" con "disturbo nEurocognitivo che ne alterava il discernimento e l'autodeterminazione", come rilevato dal perito Dott. (OMISSIS). I giudici territoriali hanno, in particolare, chiarito come la stessa era soggetto assai suggestionabile, come percepito anche dagli impiegati di banca i quali, in occasione dell'accesso presso l'istituto di credito del (OMISSIS) finalizzato ad ottenere la nuova intestazione delle polizze assicurative verificatosi in data 15/12/2017, insospettiti anche in ragione dello stato confusionale della vittima, avevano ritenuto di avvertire le forze dell'ordine, precisando che in epoca di poco precedente ai fatti la predetta era stata ricoverata presso l'istituto "(OMISSIS)" perche' affetta "da frequenti perdite di memoria" e che gia' nel luglio 2017 la farmacista di fiducia della (OMISSIS) aveva constato che la predetta, spesso, si trovava in stato confusionale. E non puo' revocarsi in dubbio alla luce della ricostruzione dei fatti, come concordemente operata dai giudici di merito, che i predetti imputati fossero ben consapevoli dello stato in cui versava la (OMISSIS). Del resto per quanto concerne il profilo relativo alla riconoscibilita' dello stato di infermita' o deficienza psichica va ribadito che se e' vero che lo stesso deve essere oggettivo, non e' tuttavia necessario che tutti ne siano consapevoli, essendo richiesta la relativa consapevolezza solo in capo all'autore del reato desumibile anche dalla arrendevolezza del soggetto (v., in proposito, Cass. Sez. 5, sent. n. 6782 del 14.12.1977, rv 139201). A fronte di tali congrue argomentazioni non colgono in alcun modo le censure dei ricorrenti i quali, attraverso un richiamo, assolutamente parziale e frammentario, di talune considerazioni del perito - il quale non si sarebbe espresso, a loro dire, in termini di certezza sulle condizioni di salute della (OMISSIS) al momento dei fatti - o lamentando l'omessa valutazione delle conclusioni del consulente di parte Prof. (OMISSIS) ovvero di documenti in atti mirano, in modo del tutto inammissibile, ad una rilettura del materiale probatorio, senza addurre vizi motivazionali deducibili in questa sede alla luce dei limiti del sindacato di legittimita' come sopra indicati. Trattasi all'evidenza di profili che attengono alla mera valutazione del materiale probatorio di competenza esclusiva dei giudici di merito, non potendosi parlare, certamente, di travisamenti rilevabili nel giudizio di legittimita' sulla scorta dei principi richiamati al §.1.1. 2.2. Anche il secondo comune motivo e' da ritenere manifestamente infondato. Dalla lettura della sentenza impugnata e', invero, emersa la prova univoca in ordine alla sussistenza dell'elemento materiale del reato ipotizzato. L'attivita' di induzione e di abuso, con riferimento agli episodi contestati, viene logicamente ed inequivocabilmente tratta dai comportamenti tenuti dagli imputati nei confronti della vittima nonche' dall'ampia istruttoria assunta, a comprova di una condotta finalizzata ad indurre la persona offesa ad intestare delle polizze ai ricorrenti, a seguito, evidentemente, di richieste del tutto ingiustificate e contrarie agli interessi della (OMISSIS). Risulta palese, dalla disamina delle complessive argomentazioni della sentenza impugnata, che la prova in ordine alla sussistenza dell'elemento materiale delle condotte ipotizzate e' emersa dalla valutazione combinata di tutti i numerosi elementi indiziari raccolti e logicamente interpretati, sicche' non puo' in alcun modo parlarsi di una motivazione, carente ovvero illogica in ordine all'accertato abuso per induzione. A fronte di detta ricostruzione la tesi difensiva, finalizzata ad escludere la configurabilita' di una condotta di induzione mediante abuso cosi' come la negazione dell'elemento soggettivo (pure in ragione della condizione di forte disagio mentale della vittima, tale da essere percepita dai dipendenti della banca i quali avevano deciso di allertare le forze dell'ordine) non e' diretta a contestare la logicita' dell'impianto argomentativo delineato nella motivazione della decisione impugnata, ma si risolve nella contrapposizione, a fronte del giudizio espresso dai giudici di merito, di una alternativa ricostruzione dei fatti, evidentemente sottratta alla delibazione di questa Suprema Corte in ragione dei limiti posti alla cognizione di legittimita' dall'articolo 606 c.p.p. e sopra richiamati. 2.3. In ordine al terzo motivo, quanto al dedotto vizio ex articolo 606 comma 1 lett.) b) c.p.p. per inosservanza dell'articolo 110 c.p. formulato dalla sola (OMISSIS) va evidenziato occorre rilevare che trattasi di censura priva di pregio alcuno. La circostanza che la p.o. si fosse determinata ad intestare le polizze alla (OMISSIS), unitamente al (OMISSIS), recandosi in banca con i dati anagrafici dei due soggetti, correttamente e' stata ritenuta sintomatica del pieno coinvolgimento della ricorrente, apparendo illogico ipotizzare che la stessa fosse del tutto inconsapevole di cio' e ben potendosi ritenere, come ricostruito dai giudici di merito, che la stessa ebbe a partecipare, sotto forma di agevolazione, di preparazione ovvero di rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, o autorizzazione a consentire l'intestazione anche a se' delle polizze de quibus. Del resto ai fini dell'accertamento del concorso di persone nel reato, il giudice di merito non e' tenuto a precisare il ruolo specifico svolto da ciascun concorrente nell'ambito dell'impresa criminosa, essendo sufficiente l'indicazione, con adeguata e logica motivazione, delle prove sulle quali ha fondato il libero convincimento dell'esistenza di un consapevole e volontario contributo, morale o materiale, dato dall'agente alla realizzazione del reato. (Sez. 2, Sentenza n. 48029 del 20/10/2016 Ud. (dep. 14/11/2016) Rv. 268177 - 01). 3. Il ricorso di (OMISSIS). 3.1. Il primo motivo e' aspecifico e, comunque, manifestamente infondato. Occorre qui integralmente richiamare le considerazioni svolte in ordine alle condizioni di deficienza psichica della persona offesa sopra richiamate, evidenziando come, la ricorrente nel rilevare che i giudici non avrebbero considerato che "gli atti dispositivi nell'interesse della (OMISSIS) venivano effettuati nel momento di pieno recupero, dopo una fase acuta di smarrimento" tende palesemente ad una lettura alternativa dei fatti ed ad una rivalutazione del compendio probatorio non confrontandosi adeguatamente con tutte le motivazioni dei giudici di merito i quali, con dovizia di argomentazioni, hanno ricostruito le condizioni patologiche e di disagio psichico della vittima all'epoca dei fatti, sicuramente noto alla imputata in ragione dei fatti per come svoltisi. Orbene, non sfugge che sulla questione sopra indicata la motivazione della sentenza impugnata va esente da censure essendosi nella stessa congruamente evidenziato (con rilievi di fatto fondati su prove documentali e con valutazioni di merito non sindacabili in questa sede ma idonee a confutare le principali tesi difensive che in questa sede sono state sostanzialmente riproposte) come la (OMISSIS), nella chiara consapevolezza delle condizioni in cui versava la p.o. e del condizionamento che subiva ad opera della stessa, aveva indotto la vittima a compiere una serie di atti pregiudizievoli per proprio patrimonio rispetto ai quali non aveva interesse alcuno. Sotto altro profilo va sottolineato che, correttamente, la attivita' di induzione e' stata dedotta dalla effettuazione di una serie di atti implicanti il depauperamento del patrimonio della vittima in favore dell'imputata senza alcun interesse per la persona offesa, sicuramente del tutto condizionata dalla ricorrente. Val del resto rilevato che in tema di circonvenzione di persone incapaci, la prova della condotta induttiva puo' risultare anche da elementi indiziari e prove logiche come la natura dell'atto posto in essere e l'incontestabile pregiudizio da esso derivato, nonche' dagli accadimenti piu' strettamente connessi al suo compimento. (Sez. 2 -, Sentenza n. 51192 del 13/11/2019 Ud. (dep. 19/12/2019), Rv. 278368 - 01). 3.2. Le censure avanzate con il secondo ed il terzo motivo non colgono in alcun modo nel segno. Va evidenziato, quanto al primo profilo, che la Corte di appello si e' limitata a rilevare nella parte motiva che la malafede era desumibile dalla riluttanza nella consegna dell'atto non facendo cenno significativo questione relativa alla denunzia di smarrimento, sicche' non puo' ritenersi in alcun modo inficiato complessivo ragionamento nella parte in cui e' stata ricostruita la condotta dolosa dell'imputata, basata su molteplici altri dati istruttori. A fronte dell'inequivoco quadro probatorio come ricostruito dalla Corte territoriale, e', poi, del tutto evidente che le censure che la ricorrente ripropone in questa sede relativamente al fatto che l'incapacita' della vittima non fosse percepibile, come sarebbe desumibile da alcuni dati probatori (in particolare dichiarazioni rese dagli operatori bancari (OMISSIS) e (OMISSIS) asseritamente oggetto di travisamento) appaiono di puro merito non solo perche' la Corte di appello ha sostanzialmente confutato la medesima doglianza, con motivazione nella quale non sono ravvisabili manifeste illogicita', ma anche perche' i giudici di merito hanno evidenziato elementi fattuali riferibili all'imputata (cfr. ff. 3-4) che indicano con certezza che, al di la' di quello che terzi totalmente estranei potevano percepire dello stato di deficienza della vittima, la (OMISSIS), proprio per la tipologia di rapporti intercorsi, si era perfettamente resa conto del suddetto stato di deficienza psichica della (OMISSIS) quale non ebbe remora ad approfittarsene inducendola a compiere atti spoliativi del suo patrimonio di sicuro vantaggio economico per l'imputata. Invero la ricorrente, solo formalmente, ha indicato vizi della motivazione della decisione gravata, ma non ha, invero, prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come non plausibilita' delle premesse dell'argomentazione, irrazionalita' delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni ne' e' stata lamentata, fondatamente, una reale incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dagli atti del procedimento. Pertanto non essendo evidenziabile alcuno dei vizi motivazionali deducibili in questa sede quanto alla affermazione della penale responsabilita' dell'imputata in ordine ai reati di cui sopra e non essendo configurabile, quindi, la dedotta contraddittorieta' della motivazione anche tenuto conto dei poteri del giudice di merito in ordine alla valutazione della prova, le censure, essendo sostanzialmente tutte incentrate su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, appaiono del tutto infondate. 4. Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla declaratoria d'inammissibilita' consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonche' al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in Euro tremila. 4.1. Gli imputati vanno condannati, inoltre, in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) liquidate in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge. 4.2. In caso di diffusione del presente provvedimento vanno omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n. 196 del 2003 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n.196/03 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANTOVANO Alfredo - Presidente Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. BELTRANI Sergio - Consigliere Dott. SARACO Antonio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 23/03/2022 del TRIBUNALE DI ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SARACO ANTONIO; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa COCOMELLO ASSUNTA che ha concluso per il rigetto del ricorso; a seguito di trattazione ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) impugna l'ordinanza in data 23/03/2022 del Tribunale di Roma, che ha accolto l'appello del Pubblico ministero avverso l'ordinanza in data 01/10/2021 del G.i.p. del Tribunale di Roma, che aveva rigettato la richiesta di applicazione di misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, in relazione ai reati di circonvenzione d'incapace e di tentativo di circonvenzione di persona incapace. Deduce: 1.1. "Violazione ed erronea applicazione degli articoli 282-ter, 275 c.p.p., articolo 14 disp. prel. c.c. in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e)". La questione che viene sollevata riguarda l'applicabilita' della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai reati contro il patrimonio. Il ricorrente nega tale applicabilita' sulla base della ratio normativa della misura cautelare, introdotta per contrastare i reati di violenza sessuale e di atti persecutori. Aggiunge che tale conclusione e' confortata dalla lettura dell'articolo 282-quater c.p.p.. 1.2. Violazione ed erronea applicazione dell'articolo 273 c.p.p., articolo 275 c.p.p., lettera b) e c), articolo 643 c.p. in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e). Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la mancanza di un'adeguata motivazione, in quanto il Tribunale non ha considerato che i prelievi bancomat effettuati da gennaio a novembre 2021 erano destinati al soddisfacimento delle esigenze quotidiane di una persona anziana come (OMISSIS). 1.3. Violazione ed erronea applicazione degli articoli 274, 275 c.p.p., articolo 280 c.p.p., lettera b) e c) in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b). Con l'ultimo motivo si contesta la sussistenza di esigenze cautelari, sia per l'episodicita' dei fatti contestati, sia per la sopravvenuta nomina di un amministratore di sostegno, che esclude in radice la possibilita' che (OMISSIS) ponga in essere autonomamente atti di disposizione patrimoniale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato, nei limiti di seguito specificati. 1.1. La questione sollecitata con il primo motivo di ricorso riguarda l'applicabilita' della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai reati contro il patrimonio. Il tema e' gia' stato trattato da questa Corte con la sentenza n. 443 del 25/11/2021 (dep. il 2022), con motivazione che - condivisa - si riporta integralmente: "ritiene il Collegio che la misura cautelare personale di cui all'articolo 282-ter c.p.p. trovi applicazione, nei limiti di cui all'articolo 280 c.p.p., comma 1, a qualsiasi fattispecie di reato, e, quindi anche a quelli contro il patrimonio. Non ignora il Collegio il recente e non condivisibile arresto di questa Sezione secondo cui la misura cautelare personale del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa non e' applicabile ai reati contro il patrimonio, trattandosi di misura introdotta dal Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito in L. 23 aprile 2009, n. 28, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale nonche' in tema di atti persecutori, la cui disciplina ne rivela l'esclusivo collegamento ai reati contro la persona (Sez. 4, n. 2147 del 13/01/2021, Macellaro, Rv. 280482). Depongono nel senso preferito dal Collegio, in primis, la collocazione all'interno del codice, ma, soprattutto l'assenza di alcuna limitazione nel testo di legge, che recita: "1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, anche disponendo l'applicazione delle particolari modalita' di controllo previste dall'articolo 275 bis.- 2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice puo' prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone. 3. Il giudice puo', inoltre, vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2. - 4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalita' e puo' imporre limitazioni". Non si vede, in altri termini, secondo il principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, per quale motivo, se avesse voluto limitare l'applicazione della misura solo a determinati reati, il legislatore non l'abbia indicato esplicitamente nelle norma. Ne' appare dirimente per opinare in senso contrario, limitandone l'applicazione ai soli reati sessuali - come fa la citata Sez. 4 n. 2147/2021 - la circostanza che l'occasione per introdurre la norma sia stato il Decreto Legge n. 11 del 2009, convertito con modificazioni nella L. n. 38 del 2009 recante "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori". E nemmeno la circostanza che, ai sensi del successivo articolo 282-quater c.p.p. i provvedimenti che prescrivono la misura di cui ci si occupa, oltre che quella di cui all'articolo 282-bis c.p.p. (allontanamento dalla casa familiare), oltre che all'autorita' di pubblica sicurezza competente, ai fini dell'eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni, sono altresi' comunicati alla parte offesa e, ove nominato, al suo difensore e ai servizi socio-assistenziali del territorio. E che quando l'imputato si sottopone positivamente ad un programma di prevenzione della violenza organizzato dai servizi socio-assistenziali del territorio, il responsabile del servizio ne da' comunicazione al pubblico ministero e al giudice ai fini della valutazione ai sensi dell'articolo 299 c.p.p., comma 2. Non va trascurato, come fa la condivisibile Sez. 5, n. 19552 del 26/3/2013, D.R., Rv. 255512, che la previsione della misura cautelare in esame e' stata preceduta dall'articolo 282-bis c.p.p., introdotto con la L. 4 aprile 2001, n. 154, articolo 1, che al comma 2, prevedeva la possibilita' per il giudice di prescrivere all'indagato di "non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti" della cui generale applicabilita' non si e' mai dubitato. Gia' nel 2001 la misura che fu introdotta appariva destinata, in altre parole, indipendentemente dal reato in contestazione, a tutte quelle situazioni nelle quali la possibile reiterazione della condotta criminosa, al di la' della sua generica incidenza sulla collettivita', si indirizza specificamente nei confronti di un determinato soggetto passivo, ponendone in pericolo l'incolumita'; la cui protezione acquisisce pertanto rilevanza in prospettiva cautelare. La norma prendeva atto, a questi fini, ricorda ancora la condivisibile Sez. 5, n. 19552 del 26/3/2013, della possibile insufficienza di una tutela, per cosi' dire, "statica" dell'incolumita' della vittima, laddove le circostanze rendano concreto il pericolo di un'aggressione della stessa nel corso dello svolgimento della sua vita di relazione e pertanto inadeguata una mera interdizione all'indagato del luogo di abitazione della persona offesa; e d'altra parte si faceva carico dell'eccessivita' del ricorso a misure custodiali a fronte di un'esigenza cautelare strettamente dipendente dai contatti dell'indagato con la vittima. Da cio' nasceva la configurazione di una misura nell'applicazione della quale assumeva primaria importanza la garanzia della liberta' di movimento e di relazioni sociali della persona offesa da possibili intrusioni dell'indagato, che facendo temere la vittima per la propria incolumita' finiscano per condizionare e pregiudicare la fruizione di dette liberta'. Quasi otto anni piu' tardi, con il Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con L. 23 aprile 2009, n. 38, che all'articolo 7 prevedeva la nuova fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 612 bis c.p., venne, altresi', introdotta, all'articolo 9, la disposizione integrativa della misura del divieto di avvicinamento di cui all'articolo 282-ter c.p.p., comma 1, per la quale "il giudice prescrive all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa". La norma si inserisce, coerentemente, nelle finalita' di tutela che si e' visto essere gia' proprie della misura in esame nella preesistente previsione di cui all'articolo 282-bis c.p.p., con il palese scopo di rendere detta tutela piu' efficace in determinate situazioni; ed e' particolarmente significativo, a questo riguardo, che la disposizione sia stata introdotta contestualmente alla previsione del delitto di atti persecutori. Le modalita' commissive di quest'ultimo comprendono, infatti, quali manifestazioni tipiche il costante pedinamento della vittima, da parte del soggetto agente, anche in luoghi nei quali la prima si trovi occasionalmente, e l'espressione di atteggiamenti minacciosi o intimidatori anche in assenza di contatto fisico diretto con la persona offesa e purtuttavia dalla stessa percepibili. Percio', alle necessita' indotte da quest'ultima tipologia comportamentale soccorre la sostanziale estensione della nozione di "avvicinamento" al superamento di una distanza minima della vittima, stabilita secondo le esigenze di tutela suggerite dal caso concreto. Ma, in termini piu' generali, il riferimento del divieto di avvicinamento non piu' solo ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ma altresi' alla persona offesa in quanto tale, esprime una precisa scelta normativa di privilegio, anche nelle situazioni in esame, della liberta' di circolazione del soggetto passivo. La norma, in altre parole, esprime una scelta di priorita' dell'esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza da aggressioni alla propria incolumita', anche laddove la condotta dell'autore del reato assuma connotazioni di persistenza persecutoria tale da non essere legata a particolari ambiti locali; con la conseguenza che e' rispetto a tale esigenza che deve modellarsi il contenuto concreto di una misura la quale, non lo si dimentichi, ha comunque natura inevitabilmente coercitiva rispetto a liberta' anche fondamentali dell'indagato. E' del resto significativo che l'articolo 282-ter c.p.p., nel richiamare la descrizione del divieto di cui al previgente articolo 282-bis c.p.p., non riproponga i pur non tassativi accenni ivi presenti al luogo di lavoro della vittima ed al domicilio della famiglia di origine della stessa; a conferma che la tutela di un sereno esercizio della liberta' di circolazione e di relazione della persona offesa non trova limitazione alle sfere del lavoro e della cura degli affetti familiari della stessa ed agli ambiti alle stesse assimilabili. Orbene, come si diceva in precedenza, non vi e' alcun dato normativo che evidenzi la volonta' del legislatore di escludere che tale tutela possa riguardare anche, ad esempio, reati quali la circonvenzione di persone incapaci (articolo 643 c.p.) o altri delitti contro il patrimonio". Sulla base di tale motivazione e' stato estratto il seguente principio di diritto: "La misura cautelare personale del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, in assenza di una espressa previsione normativa che ne limiti la portata, e' applicabile anche ai reati contro il patrimonio, ove sussista la necessita' di tutela non solo della "res", ma anche della incolumita' della persona che ne e' titolare" (Sez. 4 -, Sentenza n. 443 del 25/11/2021 Cc., dep. il 2022, Restivo Caponcello, Rv. 282561 - 01). La misura, dunque, e' astrattamente applicabile ai reati contro il patrimonio ogni qual volta, in concreto, siano presenti esigenze di tutela non solo della res, ma anche della persona che ne e' titolare. Il presupposto dell'applicazione della misura, cosi' come ricavabile dalla formulazione normativa e', quindi, la sussistenza di esigenze di tutela dell'incolumita' della persona offesa, cosi' che il ricorso alla misura di cui all'articolo 282-ter c.p.p. nei reati contro il patrimonio appare certamente possibile nei casi in cui c'e' la necessita' di tutelare non solo i beni, ma anche la stessa persona offesa. Il provvedimento impugnato e' carente proprio sotto tale ultimo profilo, in quanto e' rimasto del tutto inesplorata l'eventuale sussistenza dell'esigenza di tutelare l'incolumita' della persona. Da cio' discende l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio con nuovo giudizio che avra' a oggetto tale profilo. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla Legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Presidente Dott. CIANFROCCA P. - rel. Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. TUTINELLI Vincenzo - Consigliere Dott. SARACO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata in (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino del 21.12.2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Pierluigi Cianfrocca; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Mastroberardino Paola, che ha concluso per la correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza e per l'inammissibilita' del ricorso, nel resto; udito l'Avv. (OMISSIS), in difesa della costituita parte civile (OMISSIS), che ha depositato conclusioni scritte con richiesta di condanna alle spese; udito l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 23.2.2021, il Tribunale di Torino aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile del delitto di cui all'articolo 643 c.p. e, riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche, l'aveva condannata alla pena di anni 2 di reclusione ed Euro 600 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile in favore della quale aveva liquidato una provvisionale, immediatamente esecutiva, pari ad Euro 3.000, nonche' le spese sostenute nel grado; 2. la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto la pena inflitta alla (OMISSIS) rideterminandola in anni 1 e mesi 8 di reclusione ed Euro 500 di multa, con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione della condanna nel casellario spedito su richiesta di privati; 3. ricorre per cassazione il difensore della (OMISSIS) deducendo: 3.1 mancata assunzione di prove decisive - articolo 603 c.p.p., comma 1, lettera d), - con riguardo alla testimonianza della persona offesa, dell'assistente sociale (OMISSIS) e alla documentazione relativa al procedimento n. (OMISSIS) pendente di fronte al Giudice Tutelare di Torino: mancanza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione: rileva che il processo e' stato caratterizzato dalla contraddittorieta' del compendio probatorio risultando percio' assolutamente decisiva la escussione della persona offesa che, tuttavia, la Corte di appello non ha ritenuto di assumere, giustificando la propria decisione con le condizioni fisiche dell'anziano che, tuttavia, avrebbe potuto fornire la propria versione dei fatti su circostanze decisive e segnala che la Corte si e' espressa, sulla sua incapacita' a testimoniare, in termini meramente probabilistici e senza procedere ad alcun accertamento e, percio', in violazione di quanto previsto dall'articolo 196 c.p.p.; aggiunge che censurabile e' anche la motivazione con cui la Corte ha rigettato le altre richieste istruttorie dal momento che l'escussione dell'assistente sociale e la documentazione relativa al procedimento pendente di fronte al Giudice Tutelare avrebbero fatto luce sulla attivita' della ricorrente in favore dell'anziano; 3.2 mancanza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione con riferimento ai presupposti ed agli elementi costitutivi del delitto di cui all'articolo 643 c.p.: segnala che la Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilita' dell'imputata di fatto appiattendosi sulle considerazioni del giudice di primo grado ed omettendo, invece, di confrontarsi con le articolate considerazioni svolte con l'atto di appello; con riguardo alla circonvenibilita' del ricorrente, infatti, la Corte ha richiamato la sentenza del 14.1.2013 del Tribunale di Torino, acquisita ai sensi dell'articolo 238-bis c.p.p. secondo cui, tuttavia, le sentenze rese in altro procedimento puo' essere valutata come prova dei fatti in essa accertati e valutate ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 3 e, percio', con il conforto di adeguati riscontri; aggiunge che le valutazioni mediche prodotte dalla difesa sono state considerate non rilevanti in quanto non aventi ad oggetto la capacita' di autodeterminazione patrimoniale e segnala la contraddittorieta' di questa affermazione rispetto al contenuto delle certificazioni allegate all'atto di appello; segnala, ancora, come la Corte non abbia preso in esame altre circostanze, pure allegate con l'atto di appello, come la qualita' dei due testimoni presenti all'atto di trasferimento dell'immobile, uno dei quali potenziale erede della persona offesa; e, ancora, la procura rilasciata dal (OMISSIS) al legale che lo aveva assistito in una procedura di sfratto nonche' le dichiarazioni testimoniali del notaio e del medico di base; segnala, infine, come la Corte non abbia preso in considerazione alcuna il pacifico miglioramento delle condizioni di vita dell'anziano per effetto della assistenza prestatagli dalla odierna ricorrente; sull'induzione mediante abuso: richiama quanto riportato nella sentenza di appello a pag. 9 sostenendo che si tratterebbe di circostanze non corrispondenti alla realta' processuale, sia per quanto concerne il fatto che la persona offesa non avrebbe ricordato di aver predisposto un testamento in favore della ricorrente, evenienza che non risulta da alcun elemento ritualmente acquisito e, per altro verso, al fatto di essersi recato dal notaio senza nemmeno conoscerne le ragioni, circostanza smentita dai testi escussi sul punto; richiama la deposizione del teste (OMISSIS) e la motivazione con cui la Corte ha argomentato circa la induzione e che ritiene meramente apparente; 3.3 inosservanza di norme processuali in relazione agli articoli 125, 546 e 405 c.p.p.: segnala che, nel dare lettura del dispositivo, all'esito della discussione, la Corte aveva indicato la pena come rideterminata ad anni 1 e mesi 6 di reclusione ed Euro 500 di multa laddove, nella parte dispositiva della sentenza depositata, essa e' stata indicata in anni 1 e mesi 8 di reclusione ed Euro 500 di multa; 4. la difesa della costituita parte civile, a mezzo del proprio amministratore di sostegno, ha trasmesso una memoria con cui contesta i motivi di ricorso articolati nell'interesse della ricorrente: sulla mancata assunzione della testimonianza del (OMISSIS): osserva che la motivazione della Corte di appello e' puntuale e precisa in ordine alla superfluita' della prova sollecitata con il gravame richiamando, inoltre, la certificazione medica da ultimo acquisita sulle condizioni del (OMISSIS); sullo stato di circonvenibilita' del (OMISSIS): segnala che la Corte di appello si e' confrontata con il complesso delle prove motivando in maniera chiara, precisa e puntuale, e fondando le proprie conclusioni non soltanto sulla sentenza del 2013 ma su tutti gli altri elementi acquisiti quali la deposizione del Dott. Desana oltre alle circostanze in cui era intervenuto l'atto dispositivo e, ancora, le deposizioni del (OMISSIS) e dell' (OMISSIS); sull'induzione mediante abuso: rileva come anche su questo aspetto la Corte di appello di Torino abbia fornito una motivazione articolata e coordinata con il complesso quadro probatorio valorizzando una serie di elementi convergenti univocamente su quella soluzione; 5. la difesa della (OMISSIS), con una propria memoria, alla luce della entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2022, ha sollecitato la Corte a valutare la applicazione della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p. in considerazione della particolare tenuita' dellt pene e della non abitualita' del comportamento; richiamata la natura corrispettiva del contratto di cessione della nuda proprieta' dell'immobile; segnala, inoltre, l'incensuratezza della ricorrente e la sua condotta susseguente al reato atteso che la (OMISSIS), operatrice sociosanitaria, si e' presa cura del (OMISSIS) dal 2011 al 2019 fornendogli assistenza morale e materiale; 6. la difesa del (OMISSIS) ha a sua volta trasmesso una memoria di replica sottolineando come, anche a prescindere dall'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2022, il fatto di cui si discute non potesse comunque considerarsi di "particolare tenuita'" e, dunque, non punibile ai sensi dell'articolo 131-bis c.p., trattandosi di condotta posta in essere profittando delle condizioni di minorata difesa della vittima; aggiunge che, in ogni caso, va considerata la valutazione operata dai giudici di merito e, in particolare, della Corte di appello di Torino quale emergente dal complesso delle due sentenze da cui si ricava un giudizio di gravita' oggettiva e soggettiva del fatto che esclude l'applicazione della causa di non punibilita' invocata dalla difesa. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile in quanto, salvo per quanto concerne la segnalata erroneita' della pena indicata nel dispositivo, per cui si impone una rettifica, e' inammissibile perche' articolato su censure manifestamente infondate o non consentite in questa sede. 1. (OMISSIS) e' stata giudicata responsabile, nei due gradi di merito, ed all'esito di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, del delitto di circonvenzione di incapace in quanto "... abusando dello stato di deficienza psichica di (OMISSIS) (nato il (OMISSIS)), affetto da vasculopatia celebrale cronica, lo induceva, accompagnandolo personalmente dal notaio (OMISSIS), a cederle gratuitamente, mediante contratto di trasferimento di immobili, la nuda proprieta' del fabbricato sito in (OMISSIS)...". 2. Con il primo motivo di ricorso la difesa censura la sentenza della Corte di appello in merito al rigetto della richiesta di escussione, in secondo grado, della persona offesa e di altri testi da sentire su circostanze ritenute essenziali ai fini della decisione. Il giudice di primo grado, invero, aveva revocato la prova sul rilievo della impossibilita' della persona offesa di muoversi e, "verosimilmente", anche di testimoniare; per altro verso, pero', come ha ricordato la Corte di appello, condividendone l'assunto (cfr., pag. 5 della sentenza impugnata), il Tribunale aveva anche stimato la deposizione della persona offesa non necessaria in quanto, a suo avviso, la sua condizione di circonvenibilita' era stata assodata ed accertata in forza del complesso degli elementi gia' acquisiti. Quanto alle altre deposizioni, pure sollecitate dalla difesa con l'atto di gravame, la Corte ha anche in tal caso condiviso l'apprezzamento del primo giudice che le aveva giudicate non pertinenti al thema decidendi poiche', nell'intenzione della difesa, dirette a dimostrare la latitanza dell'amministratore di sostegno Avvocato (OMISSIS), ovvero la circostanza, assolutamente pacifica, che era stata la "pre-condizione" della vicenda qui esaminata, rappresentata dalla completa inottemperanza agli obblighi del suo ufficio; tanto che, come ha ricordato la Corte territoriale, richiamato all'ordine in data 9.1.2017 da un agente di polizia municipale, si era soltanto a quel punto risolto a fissare un appuntamento con il (OMISSIS) e la (OMISSIS) per il giorno il 16.1.2017, culminato con la denuncia-querela da cui e' scaturito il processo. Ebbene, con riguardo al rigetto della richiesta di escussione della persona offesa, questa Corte ha chiarito che l'idoneita' a rendere testimonianza e' concetto diverso e piu' ampio rispetto a quello della capacita' di intendere e volere, implicando la prima non soltanto la capacita' di determinarsi liberamente e coscientemente, ma anche quella di comprensione delle domande al fine di adeguarvi coerenti risposte, di sufficiente memoria in ordine ai fatti specifici oggetto della deposizione e di piena coscienza dell'impegno di riferire con verita' e completezza i fatti, sicche' l'obbligo di accertamento non deriva da qualsivoglia comportamento contraddittorio, inattendibile o immemore del teste, ma sussiste soltanto in presenza di una situazione di abnorme mancanza nel testimone di ogni consapevolezza in relazione all'ufficio ricoperto (cfr., Sez. 2, n. 3161 del 11/12/2012, F., Rv. 254537 - 01). E, tuttavia, il motivo di ricorso risulta generico in quanto, avendo appuntato la sua attenzione sulle ragioni di natura sanitaria che, a dire dei giudici di merito, rendevano "verosimilmente" impossibile acquisire la testimonianza dell'anziana persona offesa, non ha invece considerato come la Corte abbia motivato la sua decisione con la completezza della istruttoria in punto di sussistenza delle condizioni di infermita' o di deficienza psichica del (OMISSIS), tale da rendere superfluo ogni ulteriore approfondimento. Ed e' allora appena il caso di ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi "decisiva", secondo la previsione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (cfr., Sez. 3 -, n. 9878 del 21/01/2020, R., Rv. 278670 01; Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323 01; Sez. 6, Sentenza n. 14916 del 25/03/2010, Brustenghi, Rv. 246667 - 01). Con riguardo alle altre deposizioni, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso (cfr., ivi, pag. 3), la difesa, con l'atto di appello, le aveva sollecitate proprio al fine, correttamente individuato dalla Corte territoriale, di dimostrare la latitanza dell'amministratore e, percio', congruamente stimate non essenziali in quanto non pertinenti al nucleo dell'imputazione. 2.2 Il secondo motivo propone censure non consentite in questa sede perche', in definitiva, dirette a contestare l'approdo decisionale cui sono pervenuti i giudici di merito in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all'articolo 643 c.p. su cui la Corte di appello ha fornito una motivazione puntuale in fatto, corretta in diritto ed immune da profili di manifesta illogicita' o contraddittorieta'. Ha infatti ricordato che lo stato di circonvenibilta' del ricorrente era gia' stato oggetto di un accertamento giudiziale nel processo esitato nella sentenza n. 60 del 14.1.2013, confermata dalla Corte di Appello di Torino in data 3.12.2018, ed irrevocabile il successivo 14.1.2019, acquisita ai sensi dell'articolo 238-bis c.p.p., in cui era emerso che il (OMISSIS), nel periodo compreso tra il 2006 ed il 2010, era stato vittima di circonvenzione di incapace ad opera di una prostituta che gli aveva fatto credere di avere avuto da lui due figli gravemente malati inducendolo, in tal modo, a versarle complessivamente 30.000 Euro e a disporre in suo favore con testamento. Nel frattempo, infatti, in data 24.3.2011, il (OMISSIS) era stato sottoposto ad amministrazione di sostegno dal Tribunale di Torino. La Corte di appello, in ogni caso, ha riportato ampi passi della consulenza del Dott. Desana espletata nel giudizio conclusosi con la sentenza del 2013 ma ha anche dato conto della deposizione testimoniale resa dal professionista nel corso del giudizio di primo grado e su cui non era stata sollevata alcuna obiezione ne' articolato alcun motivo di gravame. Il sanitario aveva infatti riferito che i disturbi del (OMISSIS) risalivano al 2011 e non potevano che essere peggiorati nel 2016; la Corte di appello ha richiamato la stessa sentenza con cui era stato respinto il ricorso per interdizione con la conferma, tuttavia, della amministrazione di sostegno in quanto il (OMISSIS) era stato considerato "... non in grado di compiere, senza l'assistenza di una terza persona, gli atti di straordinaria amministrazione". I giudici di merito hanno confutato, poi, le difformi valutazioni della difesa "... perche' non contengono una valutazione psichiatrica con specifico riferimento alla capacita' di autodeterminazione patrimoniale e comunque non danno mai atto di un miglioramento cognitivo del (OMISSIS)". Rispetto all'impianto complessivo della motivazione con cui la Corte di appello ha sostenuto la conferma della sentenza di primo grado, e' allora possibile rilevare come i vari "travisamenti" denunziati dalla difesa (come, ad esempio, quelli relativi alle deposizioni di Veglio ed (OMISSIS) come, anche, le circostanze attribuite al ricordo del (OMISSIS) ovvero alle dichiarazioni del notaio rogante l'atto di cui si discute) si risolvano, in realta', in difformi valutazioni di elementi che, lungi dall'essere stati trascurati o malamente intesi, sono stati congruamente valutati dai giudici di merito che, alla luce di quelle risultanze, sono pervenuti ad un risultato conforme. Per altro verso, la Corte di appello, a conferma della mala fede della ricorrente e dello stesso stato di "difficolta'" del (OMISSIS), ha congruamente osservato che, nonostante la denunziata "latitanza" dell'amministratore di sostegno, ne' l'anziano ne', soprattutto, la ricorrente, hanno avuto mai cura di contattarlo e richiamarlo ai propri doveri. I giudici di merito hanno inoltre spiegato che la (OMISSIS) aveva ammesso di aver accompagnato il (OMISSIS) in Tribunale in occasione del giudizio per la interdizione (concluso con il rigetto dell'istanza ma, nel contempo, con la conferma della amministrazione di sostegno) e di aver provveduto al pagamento del CTU; hanno potuto congruamente concludere nel senso che costei era, dunque, perfettamente consapevole della esistenza di un amministratore di sostegno avendolo tuttavia negato al notaio in sede di stipula dell'atto di cessione della nuda proprieta', in tal modo inducendo il professionista a non operare alcun ulteriore controllo; salvo, poi, una volta scoperta, presentarsi presso lo studio notarile con la sentenza di rigetto del ricorso per interdizione con conferma dell'amministrazione di sostegno. In definitiva, quindi, ritiene il collegio che i giudici torinesi hanno replicato alle doglianze difensive in termini congrui ed esaustivi in punto di fatto e, nel contempo, corretti in punto di diritto in quanto coerenti con i consolidati principi elaborati e costantemente ribaditi da questa Corte quanto al delitto di cui all'articolo 643 c.p.; e' appena il caso di ricordare che, ai fini della configurabilita' del reato di circonvenzione di persone incapaci sono necessarie le seguenti condizioni: a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilita' di manipolare la volonta' della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacita' critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilita' che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine e cioe' quello di procurare a se' o ad altri un profitto; d) la oggettiva riconoscibilita' della minorata capacita', in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti (cfr., in tal senso, e tra le altre, Sez. 5, n. 29003 del 16.4.2012, Strino; Sez. 2, n. 30144 del 20.6.2013, Alfaro Yepez; Sez. 2, n. 28080 del 12.6.2015, Benucci). Quanto al primo dei sopra richiamati presupposti, e' pacifico che il delitto in esame non esige che il soggetto passivo versi in stato di incapacita' di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 3209 del 20.12.2013, Di Mauro; Sez. 2, n. 24192 del 2, 5.3.2010, Conte; Sez. 2, n. 19834 dell'1.3.2019). In merito alla condotta descritta dalla norma incriminatrice, questa Corte ha inoltre piu' volte ribadito che l-induzione" implica il compimento di attivita' di sollecitazione e suggestione capaci di far si' che il soggetto passivo presti il suo consenso al compimento dell'atto dannoso, con la conseguenza che, ai fini dell'integrazione del reato, non e' sufficiente che l'agente si limiti a trarre giovamento dalle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo (cfr., Sez. 2, n. 1419 del 13.12.2013, Pollastrini) e che deve sussistere correlazione tra l'azione subdola dell'agente e la ridotta capacita' di autodeterminarsi della vittima a causa della mancata o diminuita capacita' critica (cfr., Sez. 2, n. 9358 del 12.2.2015, Renna). Altrettanto consolidata e' la affermazione secondo cui la prova dell'induzione non deve necessariamente essere raggiunta attraverso episodi specifici, ben potendo risultare anche in via indiretta, indiziaria e presuntiva, ovvero desunta sulla scorta di elementi gravi, precisi e concordanti, come anche sul piano logico, avuto riguardo, in particolare, alla natura degli atti compiuti, alla mancanza di ogni loro plausibile giustificazione ed all'incontestabile pregiudizio da essi derivato nel patrimonio della parte offesa (cfr., Sez. 2, n. 48302 del 15.10.2004, Derosas; Sez. 6, n. 266 del 29.10.1996, Bullaro; Sez. 1, n. 16575 del 31.3.2005, Siciliano, Sez. 2, n. 6078 del 9.1.2009, Tripodi). 2.3 Quanto al terzo motivo, rilevata la difformita' tra il dispositivo letto in udienza e quello riportato in calce alla motivazione, e' sufficiente procedere alla correzione di quest'ultimo essendo assolutamente pacifico che detta difformita' non e' causa di nullita' della sentenza, che ricorre nei soli casi in cui difetti totalmente il dispositivo, ma, prevalendo il dispositivo di udienza, detta difformita' e' sanabile mediante il procedimento di correzione dell'errore materiale (cfr., Sez. 5, n. 17696 del 18/02/2009, Martucci, Rv. 243615 01; Sez. 6, n. 18372 del 28/03/2017, Giurovaz, Rv. 269852 - 01). 3. Con i motivi aggiunti, la difesa ha invocato la applicazione della causa di esclusione della punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p., nella "versione" introdotta dal Decreto Legislativo 150 del 2020 che, come e' noto, ne ha ampliato notevolmente l'ambito di operativita'. La richiesta, tuttavia, e' manifestamente infondata: e' vero che il delitto in esame non e' compreso nel novero di quelli per i quali la causa di non punibilita' non puo' operare; e, tuttavia, gia' in precedenza, con clausola di carattere "generale", la causa di non punibilita' per speciale tenuita' del fatto era - e continua ad essere - esclusa per i fatti in cui l'agente abbia profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima come, paradigmaticamente, avviene per il delitto in esame. 3. L'imputata va infine condannata alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile nella misura liquidata in dispositivo alla luce della notula depositata e delle tariffe vigenti. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in un anno, sei mesi di reclusione ed Euro 500 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3.686,00 oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DIOTALLEVI G. - Presidente Dott. MESSINI D'A. Piero - Consigliere Dott. DE SANTIS A.Maria - Consigliere Dott. BORSELLINO M. - rel. Consigliere Dott. SGADARI Giusepp - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA Sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); Avverso l'ordinanza del Tribunale di Torino resa il 7 settembre 2022. visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA DANIELA BORSELLINO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Felicetta Marinelli che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso e dell'avv. Alessandro Parrotta che ha insistito nei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Torino sezione del riesame ha respinto la richiesta di riesame avanzata nell'interesse di (OMISSIS) avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Ivrea il 25 maggio 2022, avente ad oggetto due autovetture, un dossier titoli e due conti correnti intestati alla predetta (OMISSIS), nella qualita' di indagata in ordine al delitto di circonvenzione di incapace continuata ed aggravata. 2.Avverso la detta ordinanza propone ricorso l'indagata, tramite il suo difensore di fiducia, deducendo: 2.1 violazione dell'articolo 643 c.p. e dell'articolo 321 c.p.p. per insussistenza del fumus commissi delitti con riferimento all'ipotesi di circonvenzione di incapace ascritta all'indagata e per l'omessa valutazione delle puntuali argomentazioni difensive e l'omesso esame di punti decisivi per l'accertamento del fatto, che rendono la motivazione apparente e, comportando la violazione di norme processuali, integrano una violazione di legge. In particolare il tribunale avrebbe omesso di valutare che da un referto medico geriatrico redatto il 23 Aprile 2019 emerge che la presunta persona offesa era all'epoca dei fatti vigile, ben orientata e presentava buone funzioni mnesiche, il che esclude che ricorra il reato ascritto alla (OMISSIS). Inoltre non e' stato considerato che nel 2019 la persona offesa era stata convocata dal Comando dei Carabinieri, a fronte di una segnalazione per operazioni bancarie sospette, e tale segnalazione non aveva avuto alcun seguito, a riprova della legittimita' di tali operazioni; che due notai hanno attestato la capacita' di stipulare della persona offesa. Il ricorrente lamenta che il tribunale della liberta', ha formulato una motivazione troppo succinta e superficiale e ha desunto pretesi deficit della persona offesa da comportamenti non univoci e non significativi di una incapacita' di intendere e di volere. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e non puo' trovare accoglimento. Giova ricordare che in tema di impugnazione di misure cautelari reali questa Corte puo' valutare soltanto il vizio di violazione di legge che viene integrato nell'ipotesi di mancanza assoluta di motivazione in ordine ad elementi determinanti della fattispecie. Nel caso in esame il tribunale ha fornito dettagliata ed esaustiva motivazione in ordine alle condizioni di fragilita' e infermita' della persona offesa, in ragione dell'eta' avanzata, novanta anni, della sua condizione di solitudine e di fragilita' emotiva che lo induceva ad assecondare le richieste della imputata, la quale esercitava su di lui un forte potere di suggestione. Questa Corte ha precisato che in tema di circonvenzione di incapaci, costituisce "deficienza psichica" la minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica e indebolimento di quello volitivo, di intensita' tale da agevolare la suggestionabilita' della vittima e ridurne i poteri di difesa contro le altrui insidie. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza di tale condizione in un caso nel quale risultava accertato un decadimento cognitivo della persona offesa che ne indeboliva la capacita' di determinazione in ordine alla cura degli interessi patrimoniali). (Sez. 2 -, Sentenza n. 21464 del 20/03/2019 Ud. (dep. 16/05/2019) Rv. 275781 01) Inoltre se e' vero che la situazione di deficienza psichica della persona offesa deve avere natura oggettiva, non e' necessaria l'immediata percepibilita' da parte di chiunque, atteso che la relativa consapevolezza e' richiesta soltanto in capo all'autore del reato, che abbia instaurato con la predetta una conoscenza significativa, alla cui stregua si sia potuto rendere conto, anche per la sua particolare arrendevolezza, delle fragilita' che la affliggono. (Sez. 2 -, Sentenza n. 4592 del 15/12/2021 Ud. (dep. 09/02/2022) Rv. 282587 - 01). Nel rispetto di questi principi il tribunale ha correttamente osservato che l'elevata entita' degli atti di disposizione realizzati dalla persona offesa in favore dell'imputata e le stesse avances di cui la stessa ha riferito, unitamente alla proposta di matrimonio avanzatale dalla persona offesa, costituiscono elementi gravemente indiziari della peculiare condizione di vulnerabilita' emotiva di quest'ultimo, che non era in grado di respingere le richieste economiche e le sollecitazioni dell'imputata. Il certificato medico valorizzato in ricorso, che il provvedimento prende in considerazione, e' stato esaminato e ritenuto non idoneo ad inficiare il robusto compendio indiziario su cui si fonda la motivazione, che di certo non si palesa apparente, in quanto ha adeguatamente esposto le ragioni del convincimento del giudice, valorizzando altri elementi di fatto da cui desumere il fumus e respingendo anche implicitamente l'alternativa ricostruzione della vicenda offerta dalla difesa. In conclusione non emergono le violazioni di legge e in particolare l'assenza di motivazione dedotta dalla ricorrente. Si impone il rigetto del ricorso con le conseguenti statuizioni. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma Decreto Legislativo n.196 del 2003, articolo 52, in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 04/05/2021 del TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO udita la relazione svolta dal Consigliere CARMINE RUSSO; lette le conclusioni del PG, Ettore Pedicini, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 4 maggio 2021 il Tribunale di sorveglianza di Torino ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto la istanza di riabilitazione presentata dal condannato (OMISSIS), in relazione a cinque sentenze di condanna emesse nei suoi confronti (1. sentenza del Tribunale di Torino 22 novembre 2004, irrevocabile l'8 gennaio 2005; 2. sentenza del giudice di pace di Torino del 03 febbraio 2005, irrevocabile il 13 maggio 2006; 3. sentenza del Tribunale per i minorenni di Torino del 7 febbraio 2006, irrevocabile il 25 marzo 2006; 4. sentenza del Tribunale di Torino del 24 aprile 2007, irrevocabile il 6 dicembre del 2007; 5. sentenza del Tribunale di Torino 8 giugno 2010, irrevocabile il 19 settembre 2010). Il Tribunale ha motivato la reiezione della istanza con la pendenza di un procedimento penale recente per circonvenzione di incapaci. Il condannato ha proposto opposizione rilevando che il procedimento per circonvenzione di incapaci era stato archiviato. Con ordinanza del 29 marzo 2022 il Tribunale di sorveglianza di Torino, quale giudice dell'opposizione ex articolo 678 c.p.p., comma 1-bis, ha respinto nuovamente la istanza. Il giudice dell'opposizione ha motivato il rigetto/ritenendo non totalmente adempiute le obbligazioni civili del reato e non ancora pagata la pena pecuniaria. 2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, c con due motivi, che sviluppano pero' il medesimo argomento, ovvero che il Tribunale avrebbe errato nel valutare i documenti sottoposti alla sua attenzione, in quanto avrebbe considerato solo il primo degli allegati della difesa (il riepilogo dell'ufficio recupero crediti) ma non i successivi che dimostrerebbero che le spese del procedimento sono state pagate e la' pena pecuniaria e' stata dichiarata estinta. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, Ettore Pedicini, ha chiesto l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso e' fondato. 1. Il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe errato nel valutare i documenti sottoposti alla sua attenzione, in quanto avrebbe considerato solo il riepilogo dell'ufficio recupero crediti, ma non i documenti successivi che dimostrerebbero che le spese del procedimento erano state pagate e la pena pecuniaria era stata dichiarata estinta. La lettura dei documenti del fascicolo del giudice dell'opposizione, cui la Corte puo' accedere, atteso il vizio dedotto (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092), permette di rilevare che, in effetti, il difensore aveva documentato che, dopo aver ottenuto il riepilogo dell'ufficio recupero crediti che evidenziava l'esistenza dei due debiti su cui si e' concentrata la motivazione dell'ordinanza del Tribunale, il (OMISSIS) era stato pagato a nome del ricorrente un bollettino postale in favore dell'(OMISSIS) della somma di (OMISSIS) Euro, che in astratto potrebbe corrispondere, per importo, al pagamento delle spese del procedimento oggetto del giudizio di riabilitazione. Al tempo stesso, in atti il difensore ha dato prova anche dell'esistenza di un provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Torino del 7 aprile 2020, che dichiara estinta, a seguito di positivo esito di un affidamento terapeutico, la pena pecuniaria di un procedimento che, a sua volta, in astratto potrebbe corrispondere a quello oggetto del giudizio di riabilitazione. Nel provvedimento impugnato manca la valutazione, anche eventualmente negativa, di questi due documenti che erano stati offerti in produzione al Tribunale. E' quindi, fondata la deduzione di vizio di motivazione, e l'ordinanza deve, pertanto, essere annullata con rinvio per nuovo giudizio sul punto. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Torino.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IMPERIALI Lucian - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. CIANFROCCA P - rel. Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere Dott. SARACO Antoni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto nell'interesse di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); contro la sentenza della Corte di Appello di Genova del 12.5.2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Pierluigi Cianfrocca; uditi il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Mastroberardino Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'Avv. Consiglia Steri, in difesa della costituita parte civile (OMISSIS), che ha concluso per la conferma della sentenza impugnata e la condanna del ricorrente alle spese; udito l'Avv. Salvatore Bottiglieri, in difesa di (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza dell'11.7.2019 il Tribunale di Genova aveva riconosciuto (OMISSIS) responsabile del delitto di tentata circonvenzione di incapace in relazione ai fatti di cui al capo A) della rubrica e lo aveva condannato alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed Euro 300 di multa oltre al pagamento delle spese processuali oltre che al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile in cui favore aveva liquidato le spese; 2. la Corte di Appello di Genova ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del (OMISSIS) in ordine al reato ascrittogli perche' estinto per intervenuta prescrizione ed ha tuttavia confermato le statuizioni civili condannando pertanto l'imputato alla rifusione delle spese della parte civile che era stata ammessa al Patrocinio a Spese dello Stato e da liquidarsi, per questa ragione, in favore dell'Erario; 3. ricorre per cassazione il (OMISSIS) a mezzo del proprio difensore lamentando, con un unico articolato motivo, violazione di legge con riferimento agli articoli 56 e 643 c.p. e articolo 129 c.p.p. e contraddittorieta' della motivazione: richiamata in breve la vicenda fattuale rileva: a) che il delitto di circonvenzione di incapace e' reato di pericolo per il quale, tradizionalmente, e' esclusa la configurabilita' del tentativo; richiama, a tal proposito, i delitti di attentato che non si distinguono dai primi sul piano strutturale ma della intensita' della tutela apprestata in via anticipata dall'ordinamento per determinate categorie di beni; per entrambi, sottolinea, si e' ripetutamente esclusa la ipotizzabilita' del tentativo che finirebbe per evocare il pericolo di un pericolo, cui osta il principio di offensivita' che deve fondare una lettura costituzionalmente orientata delle norme penali; b) che il delitto di circonvenzione di incapace e' ritenuto reato di pericolo concreto a dolo specifico in cui occorre verificare quale sia il momento consumativo che la Corte di Appello di Genova ha correttamente individuato in quello in cui l'atto frutto di induzione dispiega la sua pericolosita' che, nella giurisprudenza della S.C., che si e' occupata in particolare del testamento, e' stato individuato nel momento in cui esso viene reso pubblico ovvero in quello della accettazione dell'eredita'; c) che, percio', nel caso di specie la vicenda avrebbe dovuto ritenersi irrilevante dal punto di vista penale dal momento che il testamento in favore dell'imputato era stato revocato dalla persona offesa al termine della relazione sentimentale che aveva legato i due mancando percio' quel "minimum" di concretezza del pericolo evocato dalla norma incriminatrice; 4. la Procura Generale aveva gia' trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8 da ritenersi, all'esito della ammessa discussione orale, come memoria ai sensi dell'articolo 121 c.p.p.: richiamata la giurisprudenza di questa S.C. in ordine alla natura di pericolo del delitto di circonvenzione di incapace, il PG ha tuttavia affermato che il reato deve ritenersi consumato al momento della redazione dell'atto non vertendosi percio' in una ipotesi di delitto tentato. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. (OMISSIS) era stato chiamato a rispondere del delitto di circonvenzione di incapace in quanto "... per procurare a se' un profitto, abusando dello stato di infermita' psichica di (OMISSIS), la induceva a porre in essere un atto che importava per lei effetti giuridici dannosi: in particolare, abusando dello stato di salute psichica della (OMISSIS), affetta da sindrome depressiva ricorrente con tendenza alla cronicizzazione in disturbo della personalita' di tipo dipendente, la induceva a disporre per testamento il diritto di abitazione vitalizio in suo favore rispetto all'immobile sito in (OMISSIS)... comportando cosi' un effetto giuridico dannoso per la persona offesa". Il Tribunale, nel confermare la ricostruzione operata dalla pubblica accusa, aveva evocato la sentenza n. 20699 del 17.1.2017 della II Sezione Penale di questa Corte, che aveva ritenuto che il delitto di circonvenzione di incapace, nel caso di induzione a redigere un testamento a favore dell'agente, si consuma soltanto con la morte del "deceptus" in quando soltanto in quel momento l'atto "indotto" dal reo e "compromesso" dalla deficienza psichica della vittima, sarebbe stato in grado di spiegare i propri effetti pregiudizievoli. Aveva pertanto ritenuto che, nel caso di specie, poiche' il testamento a favore del (OMISSIS) era stato revocato dalla persona offesa, l'imputato dovesse rispondere non gia' del delitto consumato ma del mero tentativo di circonvenzione di incapace. 2. La Corte di appello, di fronte alla quale la difesa aveva sollevato la questione della configurabilita' del tentativo nel delitto di cui all'articolo 643 c.p., ha tuttavia preso atto della intervenuta prescrizione del reato confermando, nel contempo, le statuizioni civili. 3. Con il ricorso, la difesa del (OMISSIS) argomenta diffusamente sulla qualificazione del delitto di circonvenzione di incapace in termini di reato di pericolo e, di conseguenza, sulla impossibilita' - proprio per questa ragione - di ipotizzarne la fattispecie tentata. E' effettivamente ricorrente, nella giurisprudenza di questa Corte, l'affermazione secondo cui il tentativo non e' configurabile nei delitti di pericolo ovvero di attentato che realizzano una tutela "anticipata" dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice indipendentemente dalla sua effettiva e reale lesione (cfr., Sez. 3 -, n. 27989 del 15/04/2021, Delia, Rv. 282327 - 02, che ha escluso la configurabilita' del tentativo in relazione al delitto di associazione per delinquere, trattandosi di reato di pericolo che si perfeziona non appena si e' creato il vincolo associativo e si e' concordato il piano organizzativo per l'attuazione del programma delinquenziale, del tutto indipendentemente dalla concreta esecuzione dei singoli delitti, onde gli atti diretti alla formazione di tale associazione o sono meramente preparatori e non interessano la sfera giuridico-penale, ovvero hanno il carattere della idoneita' ed inequivocita' e determinano la consumazione del delitto; conf., Sez. 5 -, n. 10380 del 07/02/2019, Koraichi, Rv. 277239 - 03, che ha ritenuto non configurabile il tentativo con riguardo al delitto di associazione con finalita' di terrorismo anche internazionale, poiche' la norma incriminatrice di cui all'articolo 270-bis c.p., costruita come un reato di pericolo presunto, anticipa la soglia di punibilita' sanzionando il proposito di compiere atti di violenza con finalita' di eversione, attraverso la costituzione di una struttura associativa formata proprio per attuare il detto proposito; Sez. 6, n. 4294 del 09/10/2014, Chen, Rv. 262049 - 01, sul delitto di associazione a delinquere; Sez. 1, n. 7203 del 28/06/2017, Stefani, Rv. 272598 - 01, che ha escluso il tentativo nel delitto di attentato alla sicurezza dei trasporti, in quanto reato di pericolo concreto previsto dall'articolo 432 c.p., poiche' la fattispecie incriminatrice si perfeziona con l'insorgenza del pericolo, da individuarsi nel momento in cui sono posti in essere di atti concreti e non equivoci, idonei a cagionare una conseguenza pregiudizievole alla sicurezza dei trasporti, senza l'intervento di una serie causale indipendente dalla volonta' dell'agente; Sez. 6, n. 34667 del 05/05/2016, Arduino, Rv. 267704 - 01, secondo cui il delitto di subornazione previsto dall'articolo 377 c.p. non e' punibile a titolo di tentativo, trattandosi di fattispecie di pericolo che realizza una tutela anticipata del bene giuridico del buon andamento dell'amministrazione della giustizia; Sez. 1, n. 24050 del 29/05/2012, Diliberto, Rv. 253727 - 01, in cui la Corte ha escluso la configurabilita' del tentativo nel reato di istigazione a delinquere). Altrettanto diffusa e', poi, la affermazione secondo cui il delitto di circonvenzione di incapace e' un reato di pericolo (cfr., in tal senso, Sez. 2 -, n. 20677 del 13/05/2022, D., Rv. 283337 01; Sez. 2, n. 8103 del 10/02/2016, Raguso, Rv. 266366 01; Sez. 2, n. 12406 del 10/03/2009, Bergonzi, Rv. 244059 - 01). Sotto questo secondo profilo, si impone, tuttavia, una riflessione alla luce della formulazione della norma incriminatrice secondo cui il delitto in esame si concreta nel fatto di indurre la persona offesa "... a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso...". Il legislatore, quindi, ha ritenuto sufficiente ad integrare la fattispecie di reato l'avere indotto la vittima a porre in essere un atto produttivo di effetti giuridici indipendentemente dall'essersi determinato un reale ed effettivo pregiudizio patrimoniale in capo alla persona offesa. A ben guardare, le decisioni sopra richiamate e che, con riferimento al delitto di circonvenzione di incapace, hanno evocato la categoria del reato di pericolo, hanno avuto riguardo non alla idoneita' dell'atto, gia' perfezionato, a produrre effetti giuridici, ma al "pericolo" (ovvero, per meglio, dire, alla "eventualito'") che, in forza e per effetto di essi, potesse conseguire una effettiva perdita patrimoniale in danno della vittima; si e' tuttavia in tal modo dato rilievo ad una evenienza che e' evidentemente successiva ed eventuale rispetto al perfezionamento del reato che si consuma nel momento in cui l'atto sia produttivo di effetti giuridici. Cosi', ad esempio, era accaduto nella fattispecie esaminata da Sez. 2 -, n. 20677 del 13/05/2022, Dl, Rv. 283337 - 01, in cui si e' correttamente ritenuto integrato il reato nell'avere indotto la persona offesa a conferire le sue risorse patrimoniali in un "trust", senza possibilita' di retrocessione, poiche' proprio il "vincolo" giuridico determinatosi con l'atto "indotto" aveva realizzato pienamente la fattispecie incriminatrice; lo stesso dicasi per il caso esaminato da Sez. 2, n. 8103 del 10/02/2016, Raguso, Rv. 266366 - 01, in cui la Corte ha ritenuto che l'apertura di un conto corrente da parte della persona offesa, con la conseguente insorgenza di obbligazioni tra quest'ultima e l'istituto di credito, costituisse azione pregiudizievole per la vittima, sufficiente ai fini dell'integrazione del reato in questione; e, ancora, nella fattispecie vagliata da Sez. 2, n. 12406 del 10/03/2009, Bergonzi, Rv. 244059 - 01, in cui si era ritenuto integrato il delitto in esame nella induzione all'apertura di un libretto cointestato ad autore e vittima, essendosi in tal modo gia' prodotti effetti giuridici pregiudizievoli indipendentemente dalla effettiva realizzazione di un danno patrimoniale. In tutti questi casi, in definitiva, la fattispecie di reato si era in realta' perfezionata poiche' era stato perfezionato l'atto produttivo di effetti giuridici in capo alla persona offesa; e cio', anche indipendentemente dall'essersi o meno, o non ancora, determinati, in forza di essi, un pregiudizio nella sfera patrimoniale della vittima. Le stesse considerazioni vanno fatte anche con riguardo alle decisioni, taluna pure richiamata nel ricorso, in cui questa Corte ha affermato che il delitto di circonvenzione di incapaci, quando il soggetto passivo sia stato indotto alla redazione di un testamento olografo, si consuma con la pubblicazione dello stesso, concretizzandosi solo in quel momento la situazione di pericolo determinata dall'induzione, restando estranea al perfezionamento dell'illecito il conseguimento del profitto, che si ricollega all'accettazione dell'eredita' ed attiene esclusivamente al piano del dolo specifico (cfr., Sez. 2 -, n. 10165 del 26/01/2021, C., Rv. 280771 - 01); in altra decisione, citata dalla difesa, la Corte ha annullato la sentenza che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di circonvenzione di incapace consistito nella induzione alla redazione di un testamento olografo, in quanto il momento consumativo non si era realizzato con la condotta di induzione ma con la successiva pubblicazione dell'atto e l'accettazione dell'eredita', fatti produttivi di un effetto dannoso per il soggetto passivo e da cui deriva il materiale conseguimento del profitto ingiusto (cfr., Sez. 2, n. 20669 del 17/01/2017, M. Rv. 269883 - 01). Si tratta, tuttavia, in entrambi i casi, di sentenze che hanno vagliato il profilo della decorrenza del termine di prescrizione il cui momento iniziale era stato o con quello dell'accettazione dell'eredita' o con quello della pubblicazione del testamento. Ed e' stato piu' volte ribadito, dalla giurisprudenza, che il momento in cui si realizza la condotta delittuosa non necessariamente coincide con quello di decorrenza del termine di prescrizione che, ad esempio, nella truffa contrattuale, va determinato alla luce delle peculiarita' del singolo accordo, avuto riguardo alle modalita' ed ai tempi delle condotte, onde individuare, in concreto, quando si e' prodotto l'effettivo pregiudizio del raggirato in correlazione al conseguimento dell'ingiusto profitto da parte dell'agente (cfr., Sez. 2, Sentenza n. 11102 del 14/02/2017, Giannelli, Rv. 269688; conf., Sez. F, Sentenza n. 31497 del 26/07/2012, Abatematteo, Rv. 254043 secondo cui il momento di consumazione della truffa "contrattuale" non puo' essere individuato in via preventiva ed astratta essendo indispensabile muovere dalla peculiarita' del singolo accordo, dalla valorizzazione della specifica volonta' contrattuale, dalle peculiari modalita' delle condotte e dei loro tempi, al fine di individuare quale sia stato in concreto l'effettivo pregiudizio correlato al vantaggio e quale il momento del loro prodursi, avendo ribadito tale principio in una fattispecie riguardante la stipula di un contratto con rilascio di due cambiali in garanzia con sottoscrizione falsa, nella quale la suprema Corte ha individuato, quale momento di consumazione del reato di truffa, non la data di stipula del contratto ma quella della scadenza delle cambiali). Si e' affermato, quindi, che nella truffa c.d. "contrattuale", il delitto si consuma non al momento in cui il soggetto passivo, per effetto degli artifici o raggiri, assume l'obbligazione della dazione di un bene economico, ma al momento in cui si realizza il conseguimento del bene da parte dell'agente con la conseguente perdita dello stesso da parte della persona offesa (cfr., ad esempio, Sez. 2, Sentenza n. 49932 del 11/12/2012, R.C. e Nuzzoli, Rv. 254110, in coerenza con Sez. U, Sentenza n. 18 del 21/06/2000, Franzo ed altri, Rv. 216429, in cui si e' detto che poiche' la truffa e' reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la "deminutio patrimonii" del soggetto passivo, nell'ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non gia' quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l'obbligazione della "datio" di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato; ne consegue che, qualora l'oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione e' quello dell'acquisizione da parte dell'autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiche' solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell'agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa; in tal senso, anche Sez. 2, Sentenza n. 18859 del 24/01/2012, Volpi, Rv. 252821, secondo cui la truffa e' reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la "deminutio patrimonii" del soggetto passivo: ne consegue che, nell'ipotesi di c.d. truffa contrattuale, il reato si consuma non gia' quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l'obbligazione della "datio" di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato; conf., ancora, Sez. 2, Sentenza n. 20025 del 13/04/2011, PG in proc. Monti ed altri, Rv. 250358; Sez. 2, Sentenza n. 31044 del 11/07/2008, Miano, Rv. 240659; Sez. 2, Sentenza n. 7181 del 17/01/2008, Damiani, Rv. 239435). Allo stesso modo, nella circonvenzione di incapace, l'effettivo conseguimento di un profitto da parte dell'autore del reato ben puo' essere "successivo" rispetto al mero perfezionarsi dell'atto idoneo a produrre effetti giuridici e, percio', sufficiente ad integrare la fattispecie incriminatrice delineata dal legislatore. Nel caso in esame, non par dubbio che gli effetti giuridici propri del testamento (nel caso di specie pubblico) si fossero gia' prodotti con il perfezionamento dell'atto; tant'e' che, per porlo nel nulla, la persona offesa ha dovuto procedere alla sua formale revoca in mancanza della quale il testamento sarebbe stato ritualmente pubblicato con la piena realizzazione degli effetti sul piano patrimoniale stabiliti dal testatore. A ben guardare, poi, l'effetto giuridico primario, legato al testamento, e' proprio l'aver vincolato la volonta' dispositiva della vittima viene limitata nella sua liberta' di autodeterminazione per riacquistare la quale, in caso di testamento pubblico, deve necessariamente riprodurre l'iter che aveva portato alla sua redazione ovvero, in caso di revoca di un testamento olografo, correre il rischio che la essa non divenga nota. Il ricorso e' in definitiva infondato non potendosi, tuttavia, in difetto di impugnazione da parte del PM, modificare la soluzione cui erano pervenuti i giudici di merito nel ritenere essersi in presenza, nel caso di specie, di una ipotesi di tentativo di circonvenzione di incapace, questione, peraltro, che non ha alcuna incidenza sugli effetti civili unicamente coinvolti nella impugnazione stante la intervenuta e dichiarata prescrizione del reato. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita ed ammessa al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed inoltre alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di appello di Genova con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Presidente Dott. DE SANTIS Anna Maria - Consigliere Dott. PACILLI Giuseppina - Consigliere Dott. NICASTRO Giusep - rel. Consigliere Dott. MONACO Marco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/12/2020 della Corte d'appello di Venezia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. PEDICINI ETTORE, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE NICASTRO. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22/12/2020, la Corte d'appello di Venezia confermava la sentenza del 04/02/2020 del Tribunale di Rovigo di condanna di (OMISSIS) alla pena di tre anni di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa per il reato di circonvenzione di persone incapaci ai danni di (OMISSIS). Secondo il capo d'imputazione, tale reato era stato contestato all' (OMISSIS) "perche', per procurarsi un ingiusto profitto, abusando dello stato di infermita' e/o deficienza psichica di (OMISSIS) - affetto da "minorazione riconnessa ad un disturbo depressivo cronicizzato secondario ad un grave sinistro della strada", in grado di configurare una deficienza psichica atta a ridurre la capacita' di autodeterminazione, riconoscibile anche in capo a persone prive di conoscenze specialistiche (secondo le conclusioni rassegnate dal C.T.) -, induceva lo stesso, attraverso un meccanismo di condizionamento psicologico, a compiere i seguenti atti pregiudizievoli del proprio patrimonio: 1) si faceva consegnare denaro per una somma complessiva di 118.000,00 Euro; 2) si faceva assumere come collaboratore domestico dal mese di febbraio 2013 al mese di settembre 2014, facendosi retribuire con la somma complessiva di 80.657,22 Euro (circa 5.000 Euro al mese); 3) induceva l'acquisto di due immobili nella Repubblica Dominicana, il primo per la somma di Euro 120.000,00 di cui si faceva nominare usufruttuario in data 30.5.2014, ed il secondo per la somma di Euro 200.000,00, che si faceva cointestare; 4) si faceva nominare, con atto del 23.6.2014, quale unico erede testamentario. In (OMISSIS)". 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte d'appello di Venezia, ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), per il tramite del proprio difensore, affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo - relativo all'affermazione di responsabilita' - il ricorrente lamenta, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) ed e), che la Corte d'appello di Venezia, nel rigettare il proprio motivo di appello sul punto, abbia ribadito la legittimita' dell'ordinanza del Tribunale di Rovigo di revoca dell'ammissione dell'esame del consulente tecnico psichiatrico del pubblico ministero Dott.ssa (OMISSIS), da ritenersi prova decisiva riguardo allo stato di deficienza psichica della persona offesa (OMISSIS). Il ricorrente rappresenta che la decisivita' di detta prova - in assenza della quale non potrebbe ritenersi raggiunta l'evidenza dello stato di deficienza psichica della persona offesa - discende dalle circostanze: che la Dott.ssa (OMISSIS) era la psichiatra che visito' il (OMISSIS) all'epoca dei fatti in contestazione e che aveva redatto, insieme con la Dott.ssa (OMISSIS) - che, pero', era un medico legale e non una psichiatra - la perizia, per conto dell'assicurazione, diretta a ottenere il risarcimento del danno per il grave incidente stradale che aveva subito il (OMISSIS); non sarebbe ammissibile un richiamo de relato a quanto accertato dalla Dott.ssa (OMISSIS); la Dott.ssa (OMISSIS) aveva riscontrato una mera "minorata capacita' psichica"; la somma percepita dal (OMISSIS) quale risarcimento per il subito incidente stradale era stata liquidata "nella mani" del (OMISSIS) proprio sulla scorta della perizia della Dott.ssa (OMISSIS), cio' che porterebbe a escludere qualsiasi anche parziale compromissione della capacita' di intendere e di volere del (OMISSIS) all'epoca dei fatti. 2.2. Con il secondo motivo - relativo al trattamento sanzionatorio - il ricorrente lamenta, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), che la Corte d'appello di Venezia, nel rigettare il proprio motivo di appello sul punto, abbia confermato l'irrogazione della pena di tre anni di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, senza attribuire adeguato rilievo, nella prospettiva della riduzione di detta pena e della concessione delle menzionate circostanze attenuanti, alla sia pur parziale riparazione del danno, operata mediante la rinuncia abdicativa sia all'usufrutto sul primo dei due immobili acquistati nella Repubblica Dominicana sia alla quota del secondo di tali immobili. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. Come e' stato affermato, in modo condivisibile, dalla giurisprudenza di legittimita', il diritto dell'imputato all'ammissione delle prove a discarico, di cui all'articolo 495 c.p.p., comma 2, va coordinato con il potere attribuito al giudice dal comma 4 dello stesso articolo di revocare l'ammissione di prove che risultino "superflue". Tale potere, che viene esercitato dal giudice sulla base delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, e' assai piu' ampio di quello che al medesimo giudice e' riconosciuto all'inizio del dibattimento, fase processuale che e' caratterizzata dalla normale "verginita' conoscitiva" dell'organo giudicante rispetto alla regiudicanda ed e' pertanto regolata dal piu' restrittivo canone di cui all'articolo 190 c.p.p., comma 1, richiamato dall'articolo 495, comma 1, in base al quale, atteso il diritto delle parti alla prova, il giudice puo' non ammettere le sole prove vietate dalla legge o quelle che "manifestamente" risultino superflue o irrilevanti. Ne consegue che la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova gia' ammessa, in una verifica della logicita' e congruenza della relativa motivazione, raffrontata al materiale probatorio gia' raccolto e valutato (Sez. 3, n. 13095 del 17/01/2017, S., Rv. 26331-01; Sez. 2, n. 9056 del 21/01/2009, Zerabib, Rv. 243306-01; Sez. 6, n. 5562 del 13/04/2000, Ventre, Rv. 220547; Sez. 6, n. 13792 del 06/10/1999, Malorgio, Rv. 215281). Nel caso di specie, come risulta dalla sentenza di primo grado, il Tribunale di Rovigo aveva esaminato: il consulente tecnico del pubblico ministero, lo psichiatra (OMISSIS), il quale aveva descritto la condizione della persona offesa come di deficienza psichica, di forte deficit cognitivo e di possibile influenza di soggetti esterni e aveva affermato come tale condizione fosse facilmente riconoscibile da chiunque e come fosse altresi' riscontrabile una dipendenza, sia fisica sia psicologica, della persona offesa dall'imputato; la testimone della parte civile Dott.ssa (OMISSIS), medico legale - che, nell'aprile del 2012, cioe' in epoca prossima ai fatti in contestazione, aveva visitato il (OMISSIS) - la quale aveva riferito anche delle condizioni psicologiche, oltre che fisiche, della stessa persona offesa, nel senso di una sua minorata capacita' di autodeterminazione, facilmente riconoscibile da chiunque. Alla luce di tale gia' raccolto e valutato materiale probatorio, nessun addebito puo' essere mosso al Tribunale di Rovigo - come correttamente reputato dalla Corte d'appello di Venezia - per avere revocato l'ammissione dell'esame dell'altro consulente tecnico del pubblico ministero Dott.ssa (OMISSIS), essendo del tutto logico e congruo ritenere la superfluita' di tale ulteriore attivita' istruttoria sulle stesse gia' scandagliate e adeguatamente chiarite circostanze della minorata capacita' psichica del (OMISSIS), della riconoscibilita' di essa e del rapporto squilibrato tra lo stesso (OMISSIS) e l'imputato. 2. Il secondo motivo e' manifestamente infondato sotto entrambi i profili in cui e' articolato, relativi, rispettivamente, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena. 2.1. In materia di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non e' necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01). Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato e alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01). Nel caso di specie, la Corte d'appello di Venezia ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivi e prevalenti, a tale fine, gli elementi, attinenti alla gravita' del danno e alla condotta susseguente al reato, del totale disinteresse dimostrato dall'imputato nei confronti della vittima, essendo l' (OMISSIS), dopo il settembre 2014, "spari(to) nel nulla", e del fatto che la persona offesa era riuscita a vendere il primo dei due immobili che era stata indotta ad acquistare solo per una somma pari a circa la meta' di quella che era servita per l'acquisto e, per cercare di recuperare la somma di Euro 200.000,00 che aveva investito nel secondo degli immobili che era stata indotta ad acquistare, era stata costretta a intentare una causa civile. Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimita' sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimita'. 2.2. Quanto alla pena, la giurisprudenza di legittimita' e' costante nell'affermare che la determinazione di essa tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed e' insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor piu', se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si' sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equita' e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (tra le tante, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283-01). Anche successivamente, e' stato ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01). Nel caso di specie, la pena irrogata di tre anni di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa e' significativamente al di sotto della media edittale della pena per il delitto di cui all'articolo 643 c.p. (che e' pari a quattro anni di reclusione ed Euro 1.135,50 di multa). La Corte d'appello di Venezia ha peraltro diffusamente motivato le ragioni dell'irrogazione di una pena superiore al minimo edittale, sottolineando la gravita' del reato commesso dall' (OMISSIS), sia sotto il profilo oggettivo (attesa la protrazione nel tempo della condotta delittuosa, l'induzione a compiere una pluralita' di atti pregiudizievoli, il rilevantissimo danno subito dal (OMISSIS)), sia sotto il profilo soggettivo (attesa l'intensita' del dolo dell'imputato, che aveva, in modo preordinato, riallacciato i contatti con il (OMISSIS) dopo avere saputo dell'incidente da lui subito e della grossa somma da lui percepita a titolo di risarcimento, aveva fatto credere alla persona offesa di volersi occupare di lui prosciugandolo, invece, di tutte le sue risorse economiche, per poi fare perdere le proprie tracce, lasciando il (OMISSIS) nella disperazione, tanto da tentare anche il suicidio). Si tratta di una motivazione del tutto adeguata la quale, in quanto espressiva, anch'essa, di un giudizio di fatto, non e' sindacabile in questa sede di legittimita'. 3. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - rel. Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata in (OMISSIS); contro la sentenza della Corte di Appello di Torino del 9.11.2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Pierluigi Cianfrocca; letta la requisitoria del PG che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza con cui il Tribunale del capoluogo piemontese, in data 7.2.2020, aveva riconosciuto (OMISSIS) responsabile del delitto di circonvenzione di incapace con riguardo all'assegno di Euro 12.000 emesso in data 4.6.2015 (assolvendo nel contempo l'imputata per insussistenza del fatto con riferimento agli altri episodi contemplati nella imputazione) e, esclusa la contestata recidiva, l'aveva condannata alla pena di anni 2 e mesi 1 di reclusione ed Euro 250 di multa oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili che aveva liquidato in complessivi Euro 13.000 oltre che alla rifusione di quelle sostenute per la difesa; 2. ricorre per cassazione il difensore di (OMISSIS) lamentando: 2.1 il travisamento del contenuto della testimonianza della persona offesa in cui e' incorsa la sentenza impugnata che ha omesso di dar conto delle presunzioni idonee a dimostrare l'induzione esercitata dall'imputata: ripercorsi i termini della accusa ed il contenuto della sentenza di primo grado, ricorda che con l'atto di appello la difesa aveva dedotto che la somma di 12.000 Euro, per cui era intervenuta la condanna, non era il frutto di circonvenzione ma il compenso per l'attivita' lavorativa svolta dall'imputata nella abitazione della persona offesa la cui grave patologia psichiatrica rendeva inoltre inattendibili le sue dichiarazioni invece valorizzate da entrambi i giudici di merito; segnala che la Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado sostenendo che l'elemento dell'induzione fosse dimostrato dalla reiterazione delle richieste di denaro che l'imputata accompagnava con pianti disperati tanto da determinare nella persona offesa una condizione di pressione morale idonea ad integrare l'elemento costitutivo del delitto in esame; osserva che, tuttavia, la Corte e' incorsa in un travisamento della prova consistita nelle sit del (OMISSIS) che erano state acquisite al dibattimento su accordo delle parti e di cui la difesa riporta il contenuto dal quale non si rileva, a suo avviso, alcun rapporto eziologico tra le pretese condotte vittimistiche e la elargizione di denaro; rileva che la Corte ha valorizzato il titolo sotteso alla emissione dell'assegno omettendo tuttavia di considerare quanto gia' era stato segnalato dal Tribunale in ordine al fatto che la (OMISSIS) si era trasferita nella abitazione del (OMISSIS) dove svolgeva attivita' assistenziale senza percepire alcuna retribuzione; 2.2 la sovrapposizione tra la condotta rilevante ai fini della integrazione della fattispecie tipica e la aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 11: rileva che la Corte di Appello ha omesso di motivare su come la relazione di coabitazione avrebbe reso piu' agevole la commissione dell'illecito in tal modo realizzando la "ratio" della circostanza aggravante; 3. il PG ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, l'articolo 23 comma 8 concludendo per l'inammissibilita' del ricorso: segnala, infatti, che i giudici di merito hanno complessivamente motivato in termini non censurabili in questa sede in punto di responsabilita' che hanno affermato "ogni ragionevole dubbio". CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile in quanto articolato su censure manifestamente infondate o non consentite in questa sede. 1. Helen (OMISSIS) era stata tratta a giudizio e riconosciuta responsabile, nei due gradi di merito e sulla scorta di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze istruttorie, del delitto di cui all'articolo 643 c.p. poiche', abusando dello stato di infermita' e deficienza psichica della persona offesa, l'avrebbe indotta a corrisponderle somme di denaro non giustificate per un importo non inferiore ad Euro 12.000. 2. Il Tribunale aveva valorizzato la relazione del consulente tecnico del PM sulle condizioni psicofisiche della persona offesa (OMISSIS) sulle quali, peraltro, la stessa difesa non ha sollevato alcun rilievo limitandosi, semmai, ad invocarle per sostenere la inattendibilita' delle sue dichiarazioni in ordine ai suoi rapporti con l'imputata. Allo stesso tempo, non e' discussa la "materialita'" del fatto, ovvero che il (OMISSIS) avesse emesso un assegno di 12.000 Euro in favore della (OMISSIS) che costei aveva versato sul proprio conto corrente. 3. La difesa, infatti, con l'atto di appello, aveva piuttosto contestato che l'emissione del titolo fosse stata la conseguenza di una condotta di circonvenzione da parte della ricorrente resa possibile ovvero comunque grandemente agevolata dalla coabitazione. Piu' in particolare, la difesa aveva sottolineato come l'atteggiamento vittimistico della donna, tale da incidere sulla volonta' del (OMISSIS), fosse stato riferito esclusivamente dalla persona offesa, affetta da una gravissima patologia psichiatrica e, come tale, a suo avviso incapace di comprendere adeguatamente la realta' circostante; era inoltre ben possibile che la somma riconosciuta alla (OMISSIS) fosse il corrispettivo della attivita' lavorativa e di assistenza da costei assicurata presso il (OMISSIS) ovvero la restituzione di una somma mutuata alla parte civile dall'imputata. 3. Tanto premesso, rileva il collegio che la decisione della Corte territoriale non si presta ai rilievi sollevati con il ricorso. 3.1 Nel riepilogare la sentenza di primo grado, la Corte di Appello ha infatti segnalato che "... il Tribunale aveva ritenuto di poter desumere una condotta di induzione da elementi indiziari o logici ed anche da specifiche dichiarazioni della vittima che, in sede di sit..., aveva messo bene in rilievo l'atteggiamento vittimista con cui l'imputata faceva breccia in lui...". Sul primo motivo di appello, ha dunque richiamato la ricostruzione operata dal primo giudice, a partire dalla patologia di cui era affetto il (OMISSIS) su cui aveva riferito il CT Dott. (OMISSIS) che lo aveva descritto come soggetto affetto da schizofrenia paranoide e lo aveva indicato come persona certamente "circonvenibile" caratterizzata sia da una situazione di isolamento affettivo-relazionale sia, anche, dalla possibile inadeguata percezione del valore del denaro (cfr., pag. 6). Ha inoltre riportato passi delle sit del (OMISSIS) dal cui tenore ha evidenziato che l'assegno di 12.000 Euro aveva rappresentato una elargizione "una tantum"; ed era stato proprio questo dato che i giudici di merito hanno inteso come sintomatico della "eccentricita'" della corresponsione del non minimo importo rispetto a quelle correnti e modeste dazioni in contanti e che erano state ritenute penalmente irrilevanti. La Corte di Appello ha inoltre motivato, in termini lineari ed immuni da profili di manifesta illogicita' o contraddittorieta', con riguardo alla incidenza delle patologie che affliggevano il (OMISSIS) sulla sua capacita' di riferire i fatti osservando, anzi, che proprio le sue condizioni psicofisiche erano tali da impedirgli di mentire tanto da avere chiaramente dimostrato di non gradire domande sul suo rapporto con la donna. I giudici di appello hanno inoltre spiegato che le ragioni creditorie ipotizzate dalla difesa si erano risolte mere congetture prive di concretezza non essendo credibile che costei avesse prestato migliaia di ore di lavoro in poche settimane ne' tale circostanza era compatibile con il pagamento di una somma cosi' ingente ed eseguito "una tantum". Non hanno inoltre mancato di motivare sulla "induzione" in termini coerenti con i principi da sempre ribaditi da questa Corte e con cui, va pur detto, il ricorso non si e' adeguatamente confrontato. In definitiva, rileva il collegio che la Corte territoriale abbia fornito risposte congruamente ed esaustivamente motivate rispetto alle doglianze difensive pervenendo a soluzioni assolutamente corrette in punto di diritto e sulla scorta di una puntuale ricostruzione della vicenda rispetto alla quale, peraltro, il ricorso non ha potuto evidenziare profili di travisamento ne' aspetti di manifesta illogicita' o contraddittorieta'. I giudici del capoluogo piemontese si sono infatti conformati ai consolidati principi elaborati e costantemente ribaditi da questa Corte quanto al delitto di cui all'articolo 643 c.p.; e' infatti appena il caso di ricordare che, ai fini della configurabilita' del reato di circonvenzione di persone incapaci sono necessarie le seguenti condizioni: a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilita' di manipolare la volonta' della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacita' critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilita' che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine e cioe' quello di procurare a se' o ad altri un profitto; d) la oggettiva riconoscibilita' della minorata capacita', in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti (cfr., Cass. Pen., 5, 16.4.2012 n. 29.003, Strino; Cass. Pen., 2, 20.6.2013 n. 39.144, Alfaro Yepez; Cass. Pen., 2, 12.6.2015 n. 28.080, Benucci). Quanto al primo dei sopra richiamati presupposti fattuali, e' pacifico che il delitto in esame non esige che il soggetto passivo versi in stato di incapacita' di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione (cfr., in tal senso, e tra le altre, Cass. Pen., 2, 20.12.2013 n. 3.209, Di Mauro; Cass. Pen., 2, 5.3.2010 n. 24.192, Conte; recentemente, Cass. Pen., 2, 1.3.2019 n. 19.834, A.). In merito alla condotta descritta dalla norma incriminatrice, questa Corte ha piu' volte ribadito che I-induzione" implica il compimento di attivita' di sollecitazione e suggestione capaci di far si' che il soggetto passivo presti il suo consenso al compimento dell'atto dannoso, con la conseguenza che, ai fini dell'integrazione del reato, non e' sufficiente che l'agente si limiti a trarre giovamento dalle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo (cfr., Cass. Pen., 2, 13.12.2013 n. 1.419, Pollastrini) e che deve sussistere correlazione tra l'azione subdola dell'agente e la ridotta capacita' di autodeterminarsi della vittima a causa della mancata o diminuita capacita' critica (cfr., Cass. Pen., 2, 12.2.2015 n. 9.358, Renna; Cass. Pen., 2, 12.6.2015 n. 28.080, Benucci). Altrettanto consolidata e' la affermazione secondo cui la prova dell'induzione non deve necessariamente essere raggiunta attraverso episodi specifici, ben potendo risultare anche in via indiretta, indiziaria e presuntiva, ovvero desunta sulla scorta di elementi gravi, precisi e concordanti, come anche sul piano logico, avuto riguardo, in particolare, alla natura degli atti compiuti, alla mancanza di ogni loro plausibile giustificazione ed all'incontestabile pregiudizio da essi derivato nel patrimonio della parte offesa (cfr., Cass. Pen., 2, 15.10.2004 n. 48.302, Derosas; Cass. Pen., 6, 29.10.1996 n. 266, Bullaro; Cass. Pen., 1, 31.3.2005 n. 16.575, Siciliano; Cass. Pen., 2, 9.1.2009 n. 6.078, Tripodi, non massimate). Si tratta, peraltro, dell'elemento distintivo del delitto di circonvenzione di incapace che, come e' noto, si distingue dalla truffa per il fatto di non richiedere il ricorso ad artifici o raggiri essendo per l'appunto sufficiente qualsiasi attivita' di eccitamento, di stimolo, di suggestione, idonea a determinare nel soggetto passivo il consenso al compimento di un atto che se le condizioni di minorazione non fossero esistite non avrebbe compiuto (cfr., Sez. 5, Sentenza n. 5300 del 20/03/1979, Tintinaglia, Rv. 142204; Sez. 1, Ordinanza n. 791 del 10/05/1968, Taglietti, Rv. 109031). Ne', da ultimo, e' ravvisabile alcuna contraddizione tra l'accertamento delle condizioni di deficienza psichica nel soggetto vittima del delitto di circonvenzione di persone incapaci ed il fatto che lo stesso sia sentito come testimone e che siano utilizzate probatoriamente le sue dichiarazioni, attesa la differenza tra la capacita' per gestire il patrimonio e quella richiesta per riferire in modo veritiero determinati fatti storici (cfr., in tal senso, Sez. 2 -, Sentenza n. 31859 del 08/07/2020, L., Rv. 280004; Sez. 2, Sentenza n. 6078 del 09/01/2009, Tripodi, Rv. 243448). La sentenza impugnata risulta dunque coerente con i principi sopra richiamati e non presenta errori di diritto o profili di manifesta illogicita' o di travisamento della prova o del fatto. 3.2 La Corte di Appello ha motivato anche sulla aggravante contestata ritenuta sottolineando che il rapporto di coabitazione non e' affatto inerente al delitto di circonvenzione non essendo richiesto dalla norma incriminatrice ed ha anzi spiegato che "... proprio la coabitazione per un certo lasso di tempo ha progressivamente creato quella relazione di confidenza e fiducia approfittando della quale la prevenuta e' riuscita, piangendo e disperandosi, a indurre (OMISSIS) a versarle quanto lei chiedeva" (cfr., pag. 9 della sentenza impugnata). In tal modo, dunque, i giudici di merito hanno dato conto dei presupposti oggettivi su cui riposa la valutazione piu' severa legata al ricorrere della aggravante in parola che ha natura oggettiva ed e' finalizzata a punire piu' gravemente i delitti commessi nell'ambito di un rapporto di coabitazione o nel contesto di una relazione derivante anche solo dall'abituale frequentazione dell'abitazione della vittima (cfr., cosi', Sez. 1, Sentenza n. 41586 del 06/07/2017, Bertini, Rv. 271225 - 01). 4. L'inammissibilita' del ricorso comporta percio' la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende non ravvisandosi ragione alcuna d'esonero. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

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