Sentenze recenti clausole vessatorie

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - rel. Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/02/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere D'ANDREA ALESSANDRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ODELLO LUCIA; Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' di tutti i ricorsi. udito il difensore: E' presente come sostituto processuale con delega orale dell'avvocato (OMISSIS) del foro di BENEVENTO in difesa di: (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS). Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 21 febbraio 2022 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Benevento del 6 luglio 2021, con cui (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in esito a giudizio abbreviato, erano stati condannati, ritenuta la continuazione e la riduzione prevista per il rito, alla pena, rispettivamente, di: anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa ( (OMISSIS)); anni tre e mesi otto di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa ( (OMISSIS)); anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa, con pena sospesa ( (OMISSIS) e (OMISSIS)). Gli imputati erano stati, altresi', condannati alle pene accessorie ed al pagamento delle spese processuali, venendo, inoltre, ordinata la confisca dei rifiuti in sequestro ed il loro smaltimento a spese dei prevenuti. 1.1. I quattro imputati sono stati ritenuti responsabili del delitto di cui agli articoli 110 e 81 c.p., articolo 603-bis c.p., commi 1 e 4, n. 1, loro contestato al capo A, per avere, in concorso tra loro e con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella qualita' di titolari e gestori di fatto di un'attivita' familiare di impresa di lavorazione di tessuti - ditta individuale formalmente intestata a (OMISSIS) -, all'interno di locali adibiti ad opificio, utilizzato, assunto e impiegato manodopera, sottoponendo i lavoratori - oltre le dieci unita', prevalentemente di nazionalita' bangladese, nigeriana, rumena, ucraina e georgiana - a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno, in particolare retribuendoli con 20 Euro giornalieri, in modo palesemente difforme dai contratti collettivi e comunque sproporzionato rispetto alla quantita' di lavoro prestato, e sottoponendoli a condizioni lavorative e alloggiative degradanti, in un contesto di plurime violenze e minacce, nonche' in violazione della normativa dettata in materia di sicurezza e di igiene. I soli (OMISSIS) e (OMISSIS), quindi, sono stati ritenuti responsabili anche dei reati di cui all'articolo 110 c.p. e Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 256, comma 2, per avere, in concorso tra loro e nella qualita' di titolari e gestori di fatto della suddetta impresa di lavorazione di tessuti, abbandonato e depositato in modo incontrollato diversi rifiuti pericolosi all'interno ed in prossimita' dei locali con annesso opificio (capo B); articoli 81 e 110 c.p.; Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 22, commi 12 e 12-bis, per avere, in concorso tra loro e nella indicata qualita', occupato alle proprie dipendenze lavoratori stranieri di nazionalita' marocchina, georgiana e ucraina privi del permesso di soggiorno (capo C). 2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, con quattro differenti atti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 2.1. (OMISSIS) ha dedotto due motivi di doglianza, con il primo dei quali ha eccepito violazione di legge ed assenza, contraddittorieta' e illogicita' della motivazione in relazione all'articolo 603-bis c.p., oltre a travisamento della prova con riguardo alle dichiarazioni rese dalle persone offese. Il ricorrente lamenta l'illogicita' della modalita' con cui i giudici di merito hanno ritenuto comprovata la responsabilita' dell'imputato in ordine al contestato delitto di sfruttamento del lavoro, in quanto fondata sulle sole dichiarazioni di uno sparuto numero di lavoratori impiegati, dei quali non e' stata adeguatamente vagliata l'attendibilita', comunque mai riferendo condotte vessatorie o umilianti poste in essere dall'imputato, senza acquisire il supporto di alcun riscontro estrinseco, non evincibile ne' dalle propalazioni degli altri lavoratori escussi, ne' dalle testimonianze dagli altri collaboratori occasionali ascoltati, nonche', invero, dai dialoghi oggetto di captazione intercettiva. Risulterebbe, poi, illogico che dai contenuti di tali dichiarazioni non si fosse compreso come l'imputato ricoprisse solo un ruolo di mera subordinazione rispetto al padre (OMISSIS), unico ed effettivo titolare dell'impresa di lavorazione di tessuti. Con la seconda censura (OMISSIS) ha eccepito difetto di motivazione in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p., in materia di determinazione della pena. A dire del ricorrente, la Corte di appello avrebbe utilizzato mere clausole di stile per giustificare la congruita' e l'adeguatezza dell'eccessiva pena inflittagli, senza esplicare gli specifici criteri seguiti per determinare l'applicazione di una cosi' elevata sanzione. Essa sarebbe ingiusta ed illegittima, in quanto palesemente sproporzionata rispetto alle condotte a lui concretamente riferibili, senza un'adeguata modulazione della sua posizione rispetto a quella del padre (OMISSIS), nonche' in carenza di un'idonea rappresentazione delle ragioni del mancato riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena. 2.2. (OMISSIS) ha eccepito, in seno al proprio ricorso, un unico motivo di doglianza, con cui ha lamentato erronea applicazione o violazione di legge, nonche' difetto sostanziale di motivazione, in relazione all'articolo 133 c.p.. Lamenta il ricorrente l'eccessivita' della sanzione inflittagli, a suo dire determinata senza lo svolgimento di un adeguato percorso logico motivazionale. Una congrua valutazione dei parametri di cui all'articolo 133 c.p. avrebbe dovuto condurre, infatti, all'applicazione di una ben piu' mite pena. 2.3. (OMISSIS) e (OMISSIS), infine, hanno dedotto, nei loro rispettivi ricorsi, doglianze quasi del tutto coincidenti con quelle del fratello (OMISSIS) - al quale atto viene, pertanto, viene fatto integrale rinvio. Entrambe hanno, in particolare, evidenziato, con la prima doglianza, come le dichiarazioni accusatorie rese nei loro confronti provenissero solo da una ( (OMISSIS) avverso (OMISSIS)) o due ( (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS)) delle testimoni escusse, e come, pertanto, la loro responsabilita' fosse stata fondata in palese assenza di adeguati riscontri estrinseci, non evincibili ne' dalle propalazioni dei numerosi altri lavoratori escussi, ne' dagli altri elementi probatori presenti in atti. Risulterebbe, comunque, illogico che da tali emergenze non fosse stato acclarato come le due imputate non ricoprissero alcun ruolo decisionale all'interno dell'azienda familiare - ma caso mai fossero solo impiegate in essa essendo del tutto episodici, nonche' posti in essere in mera sostituzione del padre (OMISSIS) o del fratello (OMISSIS), le sparute condotte da cui, invece, i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto configurata la loro compartecipazione nella gestione dell'impresa. Entrambe hanno poi lamentato, con la seconda censura, l'illegittimita' della pena inflittagli, in quanto eccessiva ed applicata in carenza di indicazione dei criteri motivazionali seguiti, oltre che sproporzionata rispetto alle condotte loro riferibili e a quelle degli altri due imputati. 3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono manifestamente infondati e devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili. 2. L'esame della impugnata sentenza consente, infatti, di constatare come le censure in questa sede proposte siano sostanzialmente coincidenti con quelle dedotte nel giudizio di appello, rispetto alle quali non puo' che ribadirsi quanto gia', piu' volte, chiarito da parte di questa Corte di legittimita', per cui e' inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione (cosi', tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838-01). 3. In ogni modo, a prescindere dalla decisivita' della superiore argomentazione, il Collegio rileva come la prima censura eccepita da parte di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con cui e' stata lamentato l'effettuato riconoscimento della loro responsabilita' in ordine al contestato delitto di sfruttamento del lavoro sulle sole dichiarazioni di uno sparuto numero di lavoratori impiegati (addirittura solo di una testimone per (OMISSIS) e di due nei confronti di (OMISSIS)), di cui non sarebbe stata congruamente vagliata la relativa attendibilita', senza acquisire il supporto di adeguati riscontri estrinseci e senza valorizzare il loro esclusivo ruolo di dipendenti del padre (OMISSIS) - unico ed effettivo titolare dell'impresa di lavorazione di tessuti - nella sostanza riguardi la ricostruzione del fatto e la valutazione delle prove acquisite, e cioe' questioni non passibili di valutazione in questa sede. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi - dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti - e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cosi', tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01). Esula, quindi, dai poteri di questa Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicita' del discorso giustificativo, quale vizio di legittimita' denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944-01). Sono precluse al giudice di legittimita', pertanto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601- 01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507-01). E', conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimita' la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento. 4. Ebbene, nel caso di specie puo' senz'altro ritenersi che la Corte territoriale, dando adeguato riscontro a quanto dedotto con il motivo di ricorso introduttivo da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), abbia fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione, oltre che della modalita' maggiormente plausibile in cui la vicenda e' da ritenersi si sia svolta. In modo logico e congruo, infatti, la Corte di merito ha diffusamente esplicato come la tesi difensiva prospettata da parte degli imputati sia risultata del tutto smentita dalla presenza di plurimi elementi probatori, in particolar modo costituiti dalle convergenti propalazioni rese dai lavoratori stranieri impiegati nell'azienda familiare, che hanno comprovato l'avvenuta consumazione da parte dei prevenuti della condotta delittuosa loro concorsualmente ascritta. Cosi', con riferimento a (OMISSIS), titolare formale dell'attivita' produttiva, le risultanze probatorie hanno consentito di accertare come costui fosse costantemente presente all'interno dell'opificio, spesso accompagnando il padre a prelevare al mattino i lavoratori dai loro alloggi per condurli sul posto di lavoro, altresi' pagando i loro stipendi e, perfino, profferendo alcune parole irriguardose e offensive nei loro riguardi. Rispetto a (OMISSIS), invece, e' risultato comprovato come costei avesse in una circostanza esplicato alla lavoratrice (OMISSIS) le mansioni che era tenuta a svolgere, impartendole ordini e direttive, nonche' manifestando nei suoi confronti un atteggiamento offensivo ed ingiurioso. Anche tale imputata si era personalmente occupata del trasporto degli stranieri dai loro alloggi al posto di lavoro, spesso pagando i loro stipendi e talora manifestando nervosismo e profferendo offese nei loro confronti. Pure con riguardo a (OMISSIS) il compendio probatorio ha consentito ai giudici di merito di accertare la partecipazione dell'imputata all'attivita' imprenditoriale familiare, in quanto quotidianamente presente nell'opificio, con compiti di sorveglianza degli operai, annotazione degli orari di lavoro e pagamento dei compensi, in entita' inferiore rispetto a quanto originariamente pattuito, ricevendo direttive dal padre in ordine all'organizzazione del trasporto dei lavoratori. Per la Corte di appello, quindi, tutti e tre gli imputati, in quanto pienamente inseriti nella gestione dell'azienda familiare, avrebbero avuto assoluta consapevolezza delle precarie condizioni abitative e di lavoro sofferte dagli operai, da loro illecitamente sfruttate. In ragione della motivazione cosi' sinteticamente rappresentata, allora, non appare esservi dubbio di sorta in ordine al fatto che le censure mosse da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) circa l'erroneita' della ricostruzione dei fatti, delle dichiarazioni testimoniali acquisite e della mancata considerazione di alcuni decisivi elementi di valutazione si appalesano, nella sostanza, come volte ad ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto in sede di merito, il che, avuto riguardo alla coerenza ed alla logicita' della motivazione resa, appare del tutto infondato. 5. Del pari prive di ogni fondamento sono, poi, le doglianze eccepite da parte dei ricorrenti in ordine al trattamento sanzionatorio subito (seconda censura di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), unico motivo di ricorso dedotto da (OMISSIS)), di cui ne e' stata lamentata l'eccessiva entita', in quanto sproporzionata rispetto alle condotte loro effettivamente ascritte, oltre alla carente indicazione dei criteri motivazionali seguiti, altresi' lamentandosi l'omesso ingiustificato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 5.1. Ebbene, con riferimento a tale ultimo aspetto, il Collegio rileva come sia del tutto adeguata e logica la motivazione con cui la Corte di appello ha ritenuto l'insussistenza di elementi idonei a consentire il riconoscimento in favore degli imputati del beneficio ex articolo 62-bis c.p., considerata la gravita' delle condotte da costoro perpetrate, poste in essere approfittando, per motivi di lucro, dello stato di grave disagio socio-economico sofferto da parte degli stranieri occupati nel ciclo di lavorazione presso la loro azienda. Trattasi di motivazione che ben rappresenta e giustifica, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza palesare vizi logici e ponendosi in coerenza con le emergenze processuali acquisite, con motivazione, pertanto, non sindacabile in questa sede di legittimita' (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419-01). D'altro canto - in particolare dopo la modifica dell'articolo 62-bis c.p. disposta dal Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 2002, convertito con modifiche dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 - e' assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dare conto, come avvenuto nella situazione in esame, di avere valutato e applicato i criteri ex articolo 133 c.p.. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa e' quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e' reso responsabile, la meritevolezza di tale adeguamento non puo' mai essere data per scontata o per presunta, si' da imporre un obbligo per il giudice, ove ritenga di escluderla, di doverne giustificare, sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte, e' la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (cosi', tra le tante, Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381-01). In altri termini, l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace ed altro, Rv. 245241-01). 5.2. Del pari priva di ogni fondamento e' la doglianza relativa alla dedotta eccessiva entita' della pena inflitta, in quanto sollevata in termini generici e aspecifici, e, comunque, in palese contrasto con la logicita' e adeguatezza con cui la Corte di merito, diversamente da quanto eccepito da parte dei ricorrenti, ha rappresentato le ragioni per le quali ha ritenuto la congruita' della sanzione applicata, osservando come essa si conformi alla concreta gravita' dei fatti loro contestati, nonche' alla personalita' altamente trasgressiva palesata da parte dei prevenuti che, per come evidenziato dai giudici di appello, hanno proseguito nella loro condotta delittuosa pur dopo l'intervenuto sequestro di un capannone, trasferendo lo svolgimento della loro attivita' produttiva in un altro luogo, cosi' perseverando nell'illecito utilizzo di manodopera straniera in condizioni degradanti e di sfruttamento. Nel caso di (OMISSIS), inoltre, risulta giudizialmente comprovato, a conferma della sua negativa personalita', come il prevenuto avesse posto in essere violenze e minacce nei confronti dei lavoratori, anche ripetutamente chiedendo prestazioni sessuali alle sue dipendenti. L'indicata motivazione prevede, pertanto, un indubbio e adeguato riferimento alla norma dell'articolo 133 c.p., dei cui parametri e' evidente che il giudice di secondo grado abbia correttamente tenuto conto ai fini dell'effettuazione della sua valutazione. Si tratta, dunque, di una motivazione che, in quanto immune da vizi logici e coerente con il dictum della sentenza, non puo' in questa sede essere in alcun modo censurata. 5.3. Da ultimo, e' manifestamente infondata anche la censura con cui (OMISSIS) ha dedotto carenza motivazionale in ordine al mancato riconoscimento in suo favore della sospensione condizionale della pena. L'impugnata sentenza, infatti, ha conferito adeguato rilievo, ai fini della non concedibilita' dell'invocato beneficio, alla negativa personalita' dell'imputato, come evincibile dalla circostanza di aver trasferito altrove lo svolgimento dell'attivita' lavorativa a seguito dell'intervenuto sequestro di un loro opificio, cosi' inducendo ad una negativa prognosi circa la futura sua reiterazione di ulteriori condotte criminose. D'altro canto, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilita' del beneficio, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell'articolo 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione (Sez. 5, n. 17953 del 17/02/2020, Filipache, Rv. 279206-02; Sez. 4, n. 48013 del 12/07/2018, M., Rv. 273995-01), desumendo essi anche dalle modalita' di svolgimento del fatto. A tale parametro interpretativo si e' attenuta la Corte territoriale nel rigettare, con motivazione congrua e logica, percio' non sindacabile sotto il profilo del merito, l'indicata censura sollevata da (OMISSIS), che deve, conseguentemente, essere considerata manifestamente infondata. 6. I ricorsi, in conclusione, devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000). P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere Dott. APRILE Ercole - rel. Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere Dott. RICCIO Stefania - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/03/2022 della Corte di appello di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere APRILE Ercole; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Perelli Simone, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata in relazione ai capi a), b) e c), e il rigetto dei ricorsi nel resto; udito l'avv. (OMISSIS) per la parte civile Comune di Foggia, il quale ha concluso chiedendo l'inammissibilita' o il rigetto dei ricorsi; uditi per gli imputati ricorrenti: l'avv. (OMISSIS) e l'avv. (OMISSIS) per il (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS) per il (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS) e l'avv. (OMISSIS) per il (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bari, decidendo sulle impugnazioni presentate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia e dai tre imputati, riformava parzialmente la pronuncia di primo grado dichiarando (OMISSIS) responsabile dei reati di concussione e di tentata concussione dei capi a) e b), cosi' diversamente qualificati i fatti per i quali lo stesso era stato condannato in termini di favoreggiamento reale, riconoscendogli le attenuanti generiche e adottando altre statuizioni accessorie; e rideterminando la pena per (OMISSIS) e (OMISSIS), previa riqualificazione dei fatti loro addebitati ai capi d) ed e) in termini di induzione indebita a dare o promettere utilita' - e confermava nel resto la medesima pronuncia del 21 settembre 2015 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Foggia, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato i suddetti tre imputati in relazione alle imputazioni loro ascritte. Sulla base delle decisioni adottate al termine del giudizio di secondo grado, risultavano condannati: - il (OMISSIS), il (OMISSIS) e il (OMISSIS) in relazione ai reati di cui agli articoli 110, 117 e 317 c.p. (capo a), articoli 110, 117, 56 e 317 c.p. (capo b), per avere - il primo nella qualita' di dirigente del servizio lavori pubblici e dello sportello unico attivita' produttive del comune di Foggia, dunque abusando delle sue qualita' e dei suoi poteri, il secondo (pure consigliere comunale di Foggia) e il terzo in qualita' di intermediari operanti nell'esclusivo interesse del (OMISSIS) - in (OMISSIS), costretto (OMISSIS), legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., interessato alla stipula di un contratto di locazione all'amministrazione comunale di immobili destinati a sede dei locali uffici giudiziari (cosi' individuati a seguito di procedura di avviso pubblico e con il parere favorevole della Commissione manutenzione degli uffici giudiziari di Foggia) a versare loro indebitamente la somma di 80.000 Euro in contanti, consegnati in tre rate, mediante ripetute minacce di non stipulare quel contratto di locazione che il (OMISSIS) avrebbe dovuto sottoscrivere in rappresentanza di quell'ente municipale; ed ancora, per avere, nelle medesime vesti e abusando il (OMISSIS) della anzidetta qualita' pubblicistica e delle relative funzioni, in Foggia, in epoca immediatamente successiva e prossima al 19 febbraio 2014, compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere lo (OMISSIS) a consegnare loro la somma di 20.000 Euro, quale condizione per far ottenere alla citata societa' (OMISSIS) l'autorizzazione a realizzare dei parcheggi nell'area comunale adiacente al suddetto immobile locato al comune di Foggia; - il (OMISSIS) e il (OMISSIS) in relazione al reato di cui agli articoli 110, 117 e 317 c.p. (capo c), per avere - nelle vesti e abusando della qualita' e delle funzioni sopra indicate - in Foggia, in epoca immediatamente successiva e prossima al 25 novembre 2013, costretto (OMISSIS), componente del consiglio di amministrazione della (OMISSIS) s.r.l., societa' gia' incaricata per l'ampliamento del cimitero di Foggia, a consegnare loro la somma di 10.000 Euro in contanti, quale condizione per ottenere lo sgombero dei rifiuti presenti in quell'area, di cui la predetta societa' aveva sollecitato la rimozione perche' causa di impedimento dell'esecuzione dei gia' concessi lavori di edificazione di nuove cappelle; - il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), ancora, in relazione ai reati di cui agli articoli 110, 117 e 319-quater c.p. (capi d) ed e), per avere - nelle vesti e abusando della qualita' e delle funzioni sopra indicate - in (OMISSIS), indotto l'imprenditore (OMISSIS), gia' affidatario di lavori di impermeabilizzazione di due edifici scolastico comunali, a consegnare loro indebitamente la somma di 2.000 Euro in contanti, posta come condizione per continuare in futuro a ricevere altri analoghi affidamenti di lavori pubblici; nonche' per avere, in (OMISSIS), indotto l'imprenditore (OMISSIS), gia' affidatario di lavori di rifacimento della segnaletica stradale e di manutenzione in due edifici scolastici comunali, a consegnare loro indebitamente, in piu' riprese, la somma di 16.000 Euro, quale condizione per poter ottenere l'affidamento di quei lavori da parte dell'amministrazione municipale. 2. Contro tale sentenza ha proposto ricorso il (OMISSIS), con atto sottoscritto dai suoi difensori, il quale ha dedotto i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione agli articoli 317 e 319-quater c.p., per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna di primo grado in relazione ai reati dei capi a), b) e c), benche' le carte del processo avessero comprovato che lo (OMISSIS) non aveva subito propriamente un abuso costrittivo da parte del (OMISSIS) (il quale, al pari di altri componenti della Commissione di manutenzione, aveva legittimamente manifestato la inidoneita' dell'immobile da locare per un uso ad uffici giudiziari e la "non conformita'" del canone offerto, come altrettanto legittimamente aveva preteso che la stipula del contratto avvenisse nelle piu' consone forme della scrittura privata: sicche' l'iniziativa del (OMISSIS) non si era concretizzata nella prospettazione di un male ingiusto, ma "nella convenienza di un suo intervento" per giungere alla conclusione del contratto, senza attendere l'ulteriore parere della locale agenzia del demanio sulla congruita' del canone di locazione), ne' che tale abuso costrittivo fosse stato patito dall'imprenditore (OMISSIS) (il quale non aveva subito alcuna costrizione, tenuto conto che i lavori di bonifica dell'area cimiteriale erano stati gia' autorizzati prima della formulazione della richiesta e della dazione della somma di denaro precisata nell'imputazione). 2.2. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita', per avere la Corte distrettuale omesso di rispondere alle doglianze formulate dalla difesa in ordine alla attendibilita' delle persone offese e inadeguatamente valutato le ulteriori prove favorevoli che erano state segnalate dalla difesa nell'atto di appello: in particolare, mancando di considerare che era stato lo (OMISSIS) a sollecitare, per il tramite dell'amico (OMISSIS) (che non aveva ricevuto alcun compenso), il "favore" del (OMISSIS); che questi aveva svolto, in realta', un'attivita' di mera persuasione e suggestione verso lo (OMISSIS), il quale, gia' dichiaratosi potente imprenditore capace di condizionare le determinazioni persino del sindaco di Foggia, non era stato credibile quando aveva affermato, dinanzi alla polizia giudiziaria, di non aver dato alcun incarico al (OMISSIS), che si era fatto, invece, latore della richiesta di denaro del (OMISSIS); cio' tenuto conto che, risentito nel giudizio di appello, lo (OMISSIS) aveva finito per ammettere di aver chiesto al (OMISSIS), che "era completamente estraneo (a quella) faccenda", "di dargli una mano...(di) parlare" con il (OMISSIS) per "riuscire a stringere (...) vedi se chiudiamo a 80". 3. Contro la medesima sentenza ha presentato ricorso il (OMISSIS), con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto articolati motivi cosi' sintetizzati. 3.1. Violazione di legge, in relazione agli articoli 317 e 319-quater c.p., e vizio di motivazione, per contraddittorieta', illogicita' e travisamento della prova (punti 1, 2 e 3 dell'atto di impugnazione), per avere la Corte di appello confermato la condanna con riferimento ai capi a) e b), erroneamente qualificando i fatti di causa in termini di concussione e di tentata concussione, anziche' di induzione indebita: tenuto conto che le conversazioni intercettate non avevano dimostrato sotto l'aspetto oggettivo l'esistenza di un abuso costrittivo dell'imputato; che la scelta della modalita' di stipula del contratto di locazione oggetto di addebito era riferibile al segretario generale del comune di Foggia e non anche al (OMISSIS), come pure risultante da una nota a firma di quel segretario di cui era stata omessa la valutazione e che, comunque, era inutilizzabile perche' non acquisita al fascicolo dibattimentale; che le carte del procedimento avevano comprovato che dieci anni prima vi era stata altra vicenda amministrativa che aveva riguardato il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) per la costruzione di un edificio in "via Bari" a Foggia, per la quale vi era stato un accordo corruttivo tra i due prevenuti; ed ancora, che era stato lo (OMISSIS) a sollecitare, per il tramite del (OMISSIS), un incontro con il (OMISSIS), iniziativa che ben avrebbe potuto far rientrare i fatti di causa nell'alveo applicativo dell'articolo 319-quater c.p.. 3.2. Vizio di motivazione, per contraddittorieta', illogicita' e travisamento della prova (punto 4 dell'atto di impugnazione), per avere la Corte territoriale erroneamente confermato la condanna dell'imputato con riferimento al capo c), disattendendo la richiesta difensiva di riqualificazione dei fatti in termini di induzione indebita, benche' le emergenze processuali avessero dimostrato che la persona offesa (OMISSIS) aveva reso nella fase delle indagini dichiarazioni inattendibili perche' contraddittorie; e che le intercettazioni avevano dimostrato che l'Insalata aveva versato 10.000 Euro al (OMISSIS) solo dopo aver ottenuto l'affidamento dei "lavori per i rifiuti" a trattativa privata, dunque sulla base di un atto illegittimo che lo aveva indebitamente favorito. 3.3. Violazione di legge, in relazione agli articoli 110, 317 e 322-ter c.p., articolo 125 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' (punto 5 dell'atto di impugnazione), per avere la Corte di merito confermato l'applicazione della misura della confisca per equivalente nei riguardi del (OMISSIS) in relazione all'entita' dell'intero profitto derivante dalla commissione dei reati, senza verificare quanto effettivamente conseguito da ciascuno dei concorrenti. 4. Contro la stessa sentenza ha proposto ricorso anche il (OMISSIS), con atto sottoscritto dai suoi difensori, il quale ha dedotto i seguenti motivi. 4.1. Violazione di legge, in relazione agli articoli 110, 56, 117 e 317 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita', anche in relazione ai precetti degli articoli 533, 546 e 192 c.p.p., per avere la Corte di appello ingiustificatamente riformato la sentenza di primo grado, omettendo di confrontarsi con le motivazioni di tale pronuncia, percio' mancando di offrire una propria motivazione âEuroËœrafforzata': benche' i dati di conoscenza avessero provato che il (OMISSIS) si era limitato a svolgere una funzione di tramite tra il (OMISSIS) e lo (OMISSIS), agendo su sollecitazione e nell'esclusivo interesse di quest'ultimo (come riscontrato dalle intercettazioni in atti; dal fatto di essere stato anch'egli vittima di una richiesta concussiva del (OMISSIS); nonche' dalla circostanza che lo (OMISSIS) lo aveva informato di essere stato ascoltato dall'autorita' inquirente), senza incidere sulle decisioni delle parti interessate, senza essere portatore di un interesse proprio e senza percepire alcun compenso sulle tangenti pagate. La Corte distrettuale aveva, dunque, basato le proprie determinazioni su mere congetture, quale quella dell'interesse del (OMISSIS) a non perdere i favori del (OMISSIS) e del (OMISSIS), senza considerare che il primo era stato destinatario di analoghe richieste illecite del (OMISSIS), come risulta pure da una intercettazione in atti e dalle dichiarazioni sul punto rese dallo stesso (OMISSIS). 4.2. Violazione di legge, in relazione all'articolo 192 c.p.p., e vizio di motivazione, per carenza, contraddittorieta' e manifesta illogicita', per avere la Corte di merito asserito che il (OMISSIS) aveva agito in quanto portatore di un interesse personale, quale quello di continuare ad occuparsi dei lavori di manutenzione del palazzo di giustizia di Foggia che gli erano stati garantiti dal (OMISSIS): dunque, valorizzando una prova indiretta, priva dei requisiti di precisione e certezza. 4.3. Violazione di legge, in relazione all'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis e vizio di motivazione, per carenza, contraddittorieta' e manifesta illogicita', per avere la Corte di appello proceduto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per assumere la testimonianza dello (OMISSIS), senza procedere anche all'esame dell'imputato, che avrebbe potuto chiarire la propria posizione nella vicenda: cosi' violando il canone di giudizio dell'"al di la' di ogni ragionevole dubbio". 4.4. Violazione di legge, in relazione all'articolo 379 c.p., e vizio di motivazione, per carenza, contraddittorieta' e manifesta illogicita', per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sulle censure che erano state formulate con l'appello contro la sentenza di primo grado nella parte in cui il (OMISSIS) era stato condannato per il diverso reato di favoreggiamento reale: illecito insussistente, avendo il prevenuto operato non nell'interesse dell'autore del reato presupposto, ma per fare valere le ragioni della persona offesa (OMISSIS) e nella consapevolezza di agire nell'interesse di quest'ultimo. 4.5. Violazione di legge, in relazione agli articoli 110, 317 e 322-ter c.p., articolo 125 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita', per avere la Corte distrettuale disposto nei riguardi del (OMISSIS) la confisca per equivalente, senza spiegare perche' nella fattispecie non fosse stata possibile la confisca diretta del profitto; senza considerare che la confisca era stata gia' disposta sui beni del (OMISSIS) e del (OMISSIS) in precedenza sottoposti a sequestro preventivo; e senza tenere conto che il (OMISSIS) non aveva percepito neppure in parte il denaro provento della concussione, dunque non aveva conseguito alcun effettivo vantaggio da quell'illecito. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) sia inammissibile. 1.1. Il primo motivo del ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilita' perche' in parte manifestamente infondato e in parte presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. 1.1.1. Va innanzitutto precisato che, benche' nella rubrica vi sia un riferimento anche all'imputazione di tentata concussione del capo b), le doglianze difensive hanno riguardato esclusivamente gli addebiti dei capi a) e c): il primo di tali capi di imputazione e' rimasto estraneo alle censure dedotte con il ricorso, cosi' come era gia' accaduto con l'atto di appello, tanto che la Corte territoriale aveva precisato che la decisione sul relativo addebito doveva considerarsi oramai coperto dal giudicato (v. pag. 17 sent. impugn.). 1.1.2. Con riferimento all'imputazione del capo a), le censure difensive, finalizzate a prospettare una errata qualificazione giuridica dei fatti accertati, che secondo la difesa dell'imputato avrebbero integrato al piu' gli estremi del reato di cui all'articolo 319-quater c.p. e non anche quelli del contestato reato di cui all'articolo 317 c.p., sono del tutto prive di pregio. I rilievi formulati con il ricorso sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli gia' prospettati con l'atto di appello, ai quali la Corte di merito aveva risposto in maniera puntuale e logicamente ineccepibile: sicche' le doglianze difensive si muovono, in pratica, nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle emergenze processuali e si risolvono, dunque, in non consentite censure in fatto al percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata. La Corte di appello aveva, infatti, adeguatamente chiarito come, lungi dal potersi riconoscere una posizione paritaria nei rapporti tra il (OMISSIS) e lo (OMISSIS), le carte del processo avessero comprovato che il secondo era stato vittima di una iniziativa costrittiva attuata dal primo: il quale, pubblico ufficiale, aveva abusato della sua qualita' e delle sue funzioni, rappresentando al privato una serie di ostacoli alla stipula del contratto di locazione degli immobili che l'amministrazione comunale di Foggia avrebbe assunto in conduzione per destinarli a sede di uffici giudiziari del capoluogo dauno. In particolare, per il tramite del coimputato (OMISSIS), aveva fatto sapere allo (OMISSIS) che quegli ostacoli sarebbero stati superati solamente se lo stesso gli avesse consegnato la somma di 100.000 Euro, poi ridotta a 80.000 Euro, importo che l'imprenditore aveva infine effettivamente versato (e che il (OMISSIS) ha confessato di aver effettivamente ricevuto). Lo (OMISSIS), dunque, a tanto si era determinato perche' coartato nelle sue scelte volitive, essendo stato posto da quel pubblico funzionario, nelle specifiche circostanze del caso concreto, in uno stato di chiara soggezione perche' messo di fronte all'alternativa di soddisfare la pretesa del (OMISSIS), con la dazione di quella somma di denaro, per evitare un male contra ius o di subire il danno ingiusto consistente nell'ingiustificato e abusivo ritardo nella sottoscrizione del considerato contratto di locazione. In tale ottica, non e' ravvisabile la violazione di legge, denunciata in termini di inosservanza della norma incriminatrice applicata, dato che i giudici di merito hanno correttamente ricostruito i fatti in maniera corrispondente alla contestata disposizione di cui all'articolo 317 c.p.: avendo accertato che il (OMISSIS), dopo essersi strumentalmente opposto all'acquisizione da parte dell'amministrazione comunale in locazione degli immobili di proprieta' della societa' della (OMISSIS), perche' asseritamente non confacenti all'uso pubblico cui gli stessi dovevano essere destinati, aveva poi ostacolato ovvero ritardato la definizione della procedura dapprima pretendendo di ridurre in misura sensibile il canone di locazione che era stato inizialmente concordato e poi stabilendo che il contratto sarebbe stato rogitato non nelle forme dell'atto pubblico bensi' in quelle della scrittura privata, che avrebbero consentito al (OMISSIS) di inserire clausole finalizzate a realizzare il gia' definito proposito delittuoso. Manifestamente infondata e' la censura riguardante una mancata considerazione di elementi di prova asseritamente decisivi, perche' capaci di comprovare che lo (OMISSIS) avrebbe agito per trarre un indebito vantaggio dalle iniziative che il pubblico ufficiale si sarebbe impegnato di attuare in cambio della ricezione di quella somma di denaro. Sul punto il ricorrente ha riproposto una serie di questioni in fatto alle quali i giudici di merito, senza trascurare alcun elemento di prova, avevano dato congrua risposta con la sentenza gravata: convincentemente spiegando - con argomentazioni con le quali l'impugnazione ha sostanzialmente omesso di confrontarsi - come l'atteggiamento ostruzionistico del (OMISSIS) fosse deliberatamente proseguito anche dopo che la Commissione di manutenzione degli uffici giudiziari di Foggia aveva espresso, con il voto unanime di tutti i suoi componenti, compreso quello del rappresentante del comune di Foggia, parere favorevole alla stipula del contratto di locazione per l'acquisizione degli immobili di proprieta' della (OMISSIS), alle condizioni da questi proposte, il quale aveva percio' maturato la legittima aspettativa ad una pronta definizione della pratica; come la stipula del contratto nelle forme della scrittura privata fosse stata effettivamente prevista dal segretario comunale di Foggia, ma il (OMISSIS) avesse approfittato di tale circostanza per dettare ulteriori clausole vessatorie allo scopo di ritardare la definizione del contratto ovvero di continuare a condizionare la volonta' dello (OMISSIS); ed ancora, come l'agenzia del demanio di Foggia non fosse stata affatto chiamata ad esprimere il proprio parere sulla congruita' del canone di locazione stabilito dalle parti, come era pure successivamente risultato dalla sentenza con la quale, dopo gli arresti del (OMISSIS), il giudice civile aveva annullato il contratto de qua, senza alcun riferimento alla misura del corrispettivo richiesto dalla (OMISSIS) e accettato dalla citata Commissione di manutenzione (v. pagg. 13-17, sent. impugn.). Le statuizioni contenute nella sentenza della Corte di appello di Bari si pongono, dunque, in linea con le indicazioni interpretative fornite in materia da questa Corte di cassazione, delle quali e' stato fatto buon governo: criteri con i quali, nel delineare la differenza tra i reati di concussione per costrizione, di cui all'articolo 317 c.p., e di induzione indebita a dare o promettere utilita', di cui all'articolo 319-quater c.p., si e' puntualizzato che il primo di tali delitti e' caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente - analogo a quello riscontrato nel caso di specie - che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno "contra ius" da cui deriva una grave limitazione della liberta' di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per se', viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilita' indebita; e si distingue dal secondo di quei delitti, la cui condotta si configura, invece, come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con piu' tenue valore condizionante della liberta' di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di piu' ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perche' motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258470; in senso conforme, in seguito, tra le molte, Sez. 6, n. 9429 del 02/03/2016, Gaeta, Rv. 267277; Sez. 6, n. 32594 del 14/05/2015, Nigro, Rv. 264424; Sez. 6, n. 47014 del 15/07/2014, Virgadamo, Rv. 261008). 1.1.3. Quanto all'imputazione del capo c), le doglianze difensive formulate con il primo motivo del ricorso sono inammissibili per la genericita' del loro contenuto. Nella giurisprudenza di legittimita' si e' avuto modo ripetutamente di chiarire che il requisito della specificita' dei motivi implica non soltanto l'onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o piu' punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cosi', tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907). Nel caso di specie il ricorrente si e' limitato ad enunciare il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte territoriale, senza specificare gli aspetti di criticita' dei passaggi giustificativi della decisione, cioe' omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza gravata: pronuncia con la quale erano stati analiticamente indicati gli elementi di prova idonei ad integrare gli estremi del delitto oggetto di addebito, chiarendo come la responsabilita' del (OMISSIS) per la concussione consumata ai danni dell'imprenditore (OMISSIS) fosse stata accertata sulla base delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa - la quale, dopo un primo momento di reticenza, aveva finito per riconoscere di aver versato al pubblico ufficiale, per il tramite del (OMISSIS), 10.000 Euro per poter ottenere l'autorizzazione alla eliminazione dei rifiuti dall'area cimiteriale, dove avrebbe dovuto edificare nuove cappelle - ma anche del contenuto di una conversazione tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), intercettata dagli inquirenti, nel corso della quale il primo, ricordando come tutti gli imprenditori dovevano essere "riallineati... ogni volta che (volevano) venire a parlare" con lui, aveva rammentato all'amico come l'Insalata, "dopo aver affidato i lavori... dei rifiuti...", aveva "dato" loro "una dieci" (v. pagg. 34-36, sent. impugn.). Nel ricorso oggi in esame e' stato posto un mero problema di interpretazione delle frasi dei soggetti interessati a quella conversazione intercettata, che e' questione di fatto, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimita' se - come nella fattispecie e' accaduto - la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (cosi', tra le diverse, Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724). 1.2. Il secondo motivo del ricorso del (OMISSIS) e' inammissibile perche' presentato per fare valere ragioni diverse da quelle previste dalla legge. Il ricorrente solo formalmente ha indicato una serie di vizi della motivazione della decisione gravata, senza pero' prospettare alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilita' delle premesse dell'argomentazione, irrazionalita' delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni. La difesa si e' limitata a criticare il significato che la Corte di appello di Bari aveva dato al contenuto delle emergenze probatorie acquisite, in specie del contenuto delle intercettazioni eseguite durante le indagini e delle dichiarazioni rese dai protagonisti della vicenda contestata al capo a) della rubrica. Tuttavia, lungi dal proporre un âEuroËœtravisamento delle prove', vale a dire una incompatibilita' tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione, l'impugnazione e' stata presentata per sostenere, in pratica, una ipotesi di âEuroËœtravisamento dei fatti' oggetto di analisi, sollecitando un'inammissibile rivalutazione del materiale d'indagine, rispetto al quale e' stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell'ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente. La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e completa capacita' persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicita': avendo la Corte di appello analiticamente spiegato le ragioni per le quali le dichiarazioni della persona offesa potessero considerarsi attendibili e come sulla base di quelle deposizioni potessero essere congruamente ricostruite le vicende fattuali sottostanti al processo. In particolare, i giudici di merito hanno osservato come non esistesse alcuna contraddizione tra quanto riferito dalla persona offesa (OMISSIS) nella fase delle indagini preliminari e quanto dalla stessa riferito nel corso del suo esame nella istruttoria dibattimentale rinnovata nel giudizio di appello; ne' un contrasto tra la versione di quest'ultimo e quella del coimputato (OMISSIS), tenuto conto che lo (OMISSIS), escusso in giudizio, aveva confermato di non aver conferito alcun formale incarico all'amico (OMISSIS), al quale, in uno dei tanti loro incontri quotidiani, aveva confidato di essere vittima delle angherie del (OMISSIS) (che aveva tentato "in tutti i modi di ostacolarlo...(e che)... gli dava la morte"), e di avere cosi' solo accettato che il (OMISSIS) provasse a fissare "un incontro" ovvero provasse a "comprendere cosa aveva in testa" il (OMISSIS); successivamente il (OMISSIS), facendosi latore della pretesa del pubblico ufficiale, gli aveva fatto sapere che il (OMISSIS) pretendeva la consegna della somma di 100.000 Euro, poi ridotta a 80.000 Euro (v. pagg. 17 e segg., sent. impugn.). In tale contesto, nel quale la difesa del ricorrente ha provato a valorizzare la circostanza che l'iniziativa di contattare il (OMISSIS) fosse stata assunta dallo (OMISSIS) - il quale, dunque, nell'ottica difensiva avrebbe agito in una posizione asseritamente paritaria rispetto a quella del pubblico ufficiale, del quale sarebbero stati cercati i favori nell'ambito di una intesa corruttiva - la risposta data dai giudici di merito e' risultata rispettosa dei canoni interpretativi in materia offerti da questa Corte regolatrice: che ha piu' volte chiarito come la concussione e' qualificata dalla circostanza che la volonta' del privato non si e' formata liberamente a cagione, diretta o indiretta, della condotta costrittiva del pubblico ufficiale, ben potendo la relativa carica minacciosa essere anche implicita, come nei "casi di ostruzionismo a mezzo del quale il soggetto attivo fa comprendere che solo con la dazione o con la promessa dell'indebito una richiesta legittima del privato potra' essere esaudita" (cosi' Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, cit., § 13.4.). Inoltre, la motivazione proposta dalla Corte distrettuale va esente da qualsivoglia censura di manifesta illogicita': essendo stato congruamente chiarito che le captazioni delle conversazioni ambientali registrate dalla polizia giudiziaria avevano confermato come, al di la' del primo contatto che ad un certo punto lo (OMISSIS) aveva cercato, per il tramite del (OMISSIS), per comprendere quali fossero le reali ragioni dell'atteggiamento ostruzionistico assunto dal (OMISSIS), fosse stato quest'ultimo a tenere un chiaro e persistente atteggiamento intimidatorio verso l'imprenditore, al quale aveva formulato una espressa richiesta di consegna di una rilevante somma di denaro, indicandola come unica condizione per consentire al privato di ottenere quanto legittimamente allo stesso spettava. In questo senso e' stato letto - con una ragionevole soluzione a questioni di fatto, che in questa sede di legittimita' non e' consentito rimettere in discussione - il testo della registrazione di quei colloqui nel corso dei quali il (OMISSIS) aveva riferito al (OMISSIS) di aver fatto sapere al (OMISSIS) che "l'ingegnere (cioe' il (OMISSIS)) (avrebbe) "dovuto distruggere" il privato (cioe' lo (OMISSIS)), aggiungendo (riferendosi allo (OMISSIS)) che "sono abituati come i comunisti, li devi dominare, piu' li tratti male e piu' loro si abbassano al potere"; e il (OMISSIS) aveva replicato come solo se avesse pagato lo (OMISSIS) "avrebbe potuto respirare", perche' dallo stesso avrebbe preteso una totale sottomissione ("...tu sei vuoi avere a che fare con me... devi dire fai tu..." - v. pagg. 12 e segg., sent. impugn.). Ne' va trascurato quanto significativamente sottolineato dai giudici di merito a proposito del ruolo di intermediario del coimputato (OMISSIS) il quale, durante il suo interrogatorio, aveva confermato come la consegna del denaro fosse stata pretesa dal (OMISSIS) quale condizione per poter firmare il contratto di locazione (i soldi erano stati consegnati "...prima del contratto, se no il contratto non glielo firmava mai, il contratto a (OMISSIS)... se tu a (OMISSIS) non gli portavi i soldi... non firma, non cammina la penna..." - v. pagg. 30-31, 34, sent. impugn.). 2. Anche il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) va dichiarato inammissibile. 2.1. Il primo motivo del ricorso (di cui ai primi tre punti dell'atto di impugnazione, strettamente connessi tra loro e, percio', esaminabili congiuntamente) sono manifestamente infondati ovvero presentati per fare valere asseriti vizi diversi da quelle consentite dalla legge, per le ragioni innanzi esposte nei punti 1.1.1, 1.1.2 e 1.2. in occasione dell'analisi delle analoghe doglianze formulate nell'interesse del coimputato (OMISSIS): punti al cui contenuto, pertanto, e' sufficiente fare rinvio. Va aggiunto che e' del tutto priva di pregio l'eccezione difensiva, formulata in termini di inutilizzabilita' ovvero di travisamento della prova, per essere stato valorizzato nella sentenza impugnata il contenuto di un documento non acquisito al fascicolo, avendo la Corte di appello chiarito di avere considerato, ai fini della decisione, l'indiscusso tenore di un atto amministrativo cosi' come era stato riportato testualmente in una memoria depositata dalla difesa del coimputato. Quanto, invece, alle ulteriori doglianze concernenti la mancata valorizzazione dei brani di conversazioni intercettate afferenti ad una pregressa vicenda avente ad oggetto la realizzazione di una costruzione in "via Bari", va osservato come l'imputato ha formulato questioni che, al di la' del dato enunciativo, si risolvono in non consentite censure in fatto all'apparato argomentativo su cui fonda la sentenza gravata, sollecitando una diversa e alternativa lettura delle acquisite emergenze processuali, cosa che non e' consentita in sede di legittimita'. La Corte territoriale ha congruamente spiegato come il breve riferimento, presente nel testo della registrazione di una conversazione intercettate, ad una somma di denaro che circa dieci anni prima il (OMISSIS) aveva chiesto ma non aveva ottenuto dallo (OMISSIS) per il rilascio di una concessione ad edificare (avendo il (OMISSIS) confidato al (OMISSIS) che non avrebbe piu' commesso "l'errore di via Bari"), avesse comprovato esclusivamente che vi era stata una anomala, ma molto piu' risalente, relazione tra i due predetti, senza pero' nulla chiarire in ordine alla natura di quella richiesta, cioe' se la stessa fosse stata frutto di un accordo corruttivo o di una pretesa concussiva: dato informativo inidoneo, dunque, a mettere in discussione l'attendibilita' della versione accusatoria resa, in relazione agli odierni fatti di causa, dallo (OMISSIS) il quale, interrogato sul significato di quel riferimento presente nelle intercettazioni, aveva chiarito come molti anni prima il (OMISSIS) gli avesse chiesto la consegna della somma di 10.000 Euro per l'approvazione di un altro progetto edilizio, dazione che egli si era pero' rifiutato di versare. 2.2. Il secondo motivo del ricorso (di cui al quarto punto dell'atto di impugnazione) e' manifestamente infondato. Fermo restando quanto gia' esposto nel punto 1.1.3. della presente motivazione, da intendersi qui integralmente riprodotto, va rilevato che la sentenza impugnata ricostruisce in fatto la vicenda con motivazione esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze processuali: sicche' puo' ritenersi definitivamente acclarato che l'imprenditore (OMISSIS), dopo aver ottenuto dal comune di Foggia l'autorizzazione alla realizzazione di un ampliamento dell'area cimiteriale, si era trovato nell'impossibilita' di eseguire i lavori perche' la zona era occupata da rifiuti che la stessa amministrazione municipale avrebbe dovuto rimuovere; per evitare di essere danneggiato, si era determinato a proporre al comune di procedere egli stesso alla bonifica del sito, ovviamente a spese dell'ente pubblico, cosa che gli era stata riconosciuta; e che in quel momento il (OMISSIS), per il tramite del (OMISSIS), abusando delle proprie qualita' e funzioni, aveva preteso e ottenuto la indebita dazione della somma di 10.000 Euro quale condizione per firmare l'autorizzazione alla bonifica e "per evitare di creargli problemi" (v. pagg. 34-36 sent. impugn.; pag. 4, sent. primo grado). I rilievi formulati al riguardo dal ricorrente si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all'iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, per altro, v'e' puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli gia' sottoposti all'attenzione della Corte territoriale. 2.3. Il terzo motivo del ricorso (di cui al punto 5 dell'atto di impugnazione) e' inammissibile perche' avente ad oggetto un'asserita violazione di legge non dedotta con l'atto di appello, con il quale l'imputato si era doluto solamente del mancato rispetto del criterio di proporzione tra l'entita' dei redditi da lui percepiti e il valore dei beni acquistati. Ne' e' possibile sostenere che la difesa sia stata posta per la prima volta di fronte alla tematica della verifica dei presupposti giuridici per l'adozione di quel provvedimento ablatorio, considerato che nella sentenza di primo grado, al di la' di un erroneo e indeterminato richiamo in motivazione alla disposizione del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies era stato precisato in dispositivo come la confisca fosse stata disposta non per sproporzione ma per equivalente a norma dell'articolo 322-ter c.p.: aspetto, questo, che nell'atto di appello non era stato proprio affrontato. L'articolo 606 c.p.p., comma 3, prevede, infatti, espressamente come causa speciale di inammissibilita' la deduzione con il ricorso per cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale si e' inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello. 3. Consegue la condanna dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende; nonche' la condanna dei due prevenuti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile Comune di Foggia, liquidate, in ragione dell'attivita' effettivamente svolta e del fatto che la costituzione ha riguardato la posizione di piu' imputati, come indicato in dispositivo. 4. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) va, invece, accolto, per le ragioni e con gli effetti di seguito precisati. 4.1. I primi due motivi del ricorso sono fondati. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimita' il principio secondo il quale l'azione tipica della concussione, fattispecie appartenente alla categoria dei reati propri esclusivi o di mano propria del pubblico agente, puo' essere posta in essere anche dal concorrente privo della qualifica soggettiva, a condizione che costui abbia agito in accordo con il titolare della posizione pubblica, tenendo una condotta che ha contribuito a creare nel soggetto passivo quello stato di costrizione o di soggezione funzionale ad un atto di disposizione patrimoniale (in questo senso, tra le molte, Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013, Scala, Rv. 255365). D'altro canto, nel rispetto dei criteri che regolano la materia del concorso di persone nel reato, ai fini dell'applicabilita' dell'articolo 117 c.p., che disciplina il mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti, e' necessario che il fatto commesso dall'"extraneus" costituisca comunque reato anche in mancanza della qualifica rivestita dall'autore principale, mentre trova applicazione la norma generale dell'articolo 110 c.p., quando l'azione del concorrente sia di per se' lecita e la sua illiceita' dipenda dalla qualita' personale di altro concorrente (cosi', tra le tante, Sez. 5, n. 22786 del 26/04/2021, Biason, Rv. 281415-02). Escluso, dunque, che nel caso di specie il (OMISSIS) potesse rispondere della condotta ipotizzata a suo carico ai sensi dell'articolo 117 c.p., perche' lo stesso non aveva posto in essere, sotto l'aspetto oggettivo, un fatto costituente reato anche in mancanza della qualifica soggettiva del concorrente principale - dato che le ipotesi delittuose de quibus ruotavano interno alla posizione soggettiva e al ruolo del pubblico ufficiale (OMISSIS) - va rilevato come la Corte di appello di Bari non abbia fatto corretta applicazione della disposizione prevista in materia di concorso ordinario nel reato ai sensi dell'articolo 110 c.p.: responsabilita' che, nel caso dell'intermediario tra il pubblico funzionario concussore e il privato concusso, e' configurabile esclusivamente laddove sia dimostrato che il terzo abbia concorso nella azione prevaricatrice del primo d'intesa e nell'interesse di quest'ultimo, fornendo volontariamente un apporto causale alla consumazione dell'illecito nella consapevolezza di contribuire alla realizzazione dello scopo criminoso concordato con quel pubblico ufficiale. Sotto questo punto di vista la decisione della Corte territoriale appare giuridicamente non corretta: basata sulla condivisione dell'iniziale percorso argomentativo seguito dal giudice di primo grado, era stato accertato che il (OMISSIS), oltre a non percepire alcun compenso sulle tangenti pagate dallo (OMISSIS), era intervenuto nella vicenda esclusivamente perche' contattato dall'amico imprenditore, dunque nell'interesse di questo che gli aveva chiesto di fare da tramite con il pubblico ufficiale (OMISSIS); era stato pure verificato che il (OMISSIS) aveva svolto il ruolo di mero nuncius, senza concorrere in alcun modo all'adozione delle determinazioni degli autori della richiesta conclusiva e senza incidere sulle decisioni dell'amico, vittima di quella pretesa costrittiva: limitandosi ad aiutare lo (OMISSIS) (con il quale, anche in seguito, aveva mantenuto ottime relazioni) a preparare il denaro e a consegnare lo stesso ai concussori. Elementi di conoscenza, questi, che avevano indotto il Giudice per le indagini preliminari ad escludere che il (OMISSIS) fosse stato un concorrente nella commissione dei reati dei quali erano stati ritenuti responsabili il (OMISSIS) e il (OMISSIS) (v. pagg. 6-7, sent. primo grado). Tuttavia, partendo dalla medesima base di dati informativi - anzi trascurando ulteriori elementi fattuali, quale quello desumibile da quella conversazione intercettata durante le indagini che aveva comprovato come verosimilmente anche il (OMISSIS) fosse stato vittima di richieste conclusive del (OMISSIS) e del (OMISSIS) - la Corte di merito ha irragionevolmente affermato che il (OMISSIS) era stato concorrente nella commissione dei reati di concussione e tentata concussione ai danni dello (OMISSIS), per il sol fatto di avere ammesso, nel corso di un suo interrogatorio, di avere in passato sostenuto la campagna elettorale del (OMISSIS) e di avere ricevuto dall'amministrazione comunale l'affidamento dell'appalto per la manutenzione del palazzo di giustizia di Foggia. Argomentazione questa gravemente deficitaria sotto il profilo logico-deduttivo, del tutto svincolata dalle altre emergenze processuali e, comunque, inidonea ad integrare quella motivazione rinforzata che avrebbe potuto corroborare la fondatezza dell'ipotesi accusatoria come originariamente contestata, legittimando in appello la riforma in peius della sentenza di primo grado. Nel riconoscimento della fondatezza dei primi due motivi, resta assorbito l'esame del terzo e del quinto motivo del ricorso. 4.2. Resta da valutare se, anche con riferimento alle questioni poste nel quarto motivo del ricorso, vi sia spazio per rimettere le parti dinanzi al giudice di rinvio al fine di rimotivare la decisione ovvero di valutare la correttezza della diversa qualificazione giuridica dei fatti in termini di favoreggiamento reale, cioe' della soluzione privilegiata nel giudizio di primo grado. Gli accertamenti compiuti dai giudici di merito hanno permesso di acclarare non solo che il (OMISSIS) - come gia' chiarito - non aveva concorso nella commissione della concussione e della tentata concussione poste in essere dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) in danno dello (OMISSIS), ma anche di escludere la configurabilita' degli elementi costitutivi del diverso reato di favoreggiamento reale. Nella sentenza del Giudice per le indagini preliminari era stato inequivocabilmente chiarito come lo (OMISSIS) si fosse servito del (OMISSIS) per poter mantenere i contatti con il (OMISSIS), con il quale non aveva piu' alcun rapporto diretto; e come il (OMISSIS) si fosse limitato a farsi latore dei messaggi che il pubblico ufficiale e l'imprenditore privato si erano scambiati, e poi a consegnare al (OMISSIS) e al (OMISSIS) i soldi in contanti che assieme allo (OMISSIS) aveva provveduto a contare ed a preparare. E' risultato chiaramente - proprio per quanto evidenziato dagli stessi giudici di merito - che il (OMISSIS) non si era avvantaggiato economicamente ne' aveva beneficiato della divisione della âEuroËœtangente' pagata dalla vittima della concussione: se pure fosse stato animato da un qualche intento di assecondare l'operato del pubblico ufficiale, era stato acclarato come lo stesso si fosse attivato esclusivamente, o comunque in via prioritaria, per fare fronte alle esigenze dello (OMISSIS), come quest'ultimo aveva finito esplicitamente per precisare. Era stato, percio', fondatamente escluso che l'odierno ricorrente avesse operato con la volonta' di aiutare gli autori della concussione a conseguire la definitiva acquisizione del vantaggio tratto dall'azione criminosa: il che e' sufficiente a negare in radice la possibilita' di affermare la sussistenza dell'altro delitto, quello di favoreggiamento reale, per il quale il prevenuto era stato condannato in primo grado. Nell'ottica che ha caratterizzato la modifica legislativa dell'articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera I), il Collegio ritiene - in ossequio alle indicazioni delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 3464/18 del 30/11/2017, Matrone, Rv. 271831) - che la sentenza possa essere cassata senza rinvio, tenuto conto della infondatezza della ipotesi accusatoria, constatata sulla base degli innanzi delineati elementi di fatto accertati nei giudizi di merito: il che rende superfluo lo svolgimento di un giudizio che non consentirebbe di pervenire ad una decisione diversa da quella adottata in questa sede. In relazione all'originaria imputazione la sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio nei confronti del (OMISSIS) per non aver commesso il fatto. 5. Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi di legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) per non aver commesso il fatto. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali, della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende, nonche' alla rifusione, in solido tra loro, delle spese di rappresentanze e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di Foggia, che liquida in complessivi Euro 4.000, oltre accessori di legge. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 154-ter disp. att. c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI SEZIONE CIVILE composta dai MAGISTRATI: Dott. Donatella Aru Presidente relatore Dott. Emanuela Cugusi Consigliere Dott. Grazia Maria Bagella Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA OGGETTO: contratto di compravendita Nella causa iscritta al n. 1258 del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi dell'anno 2017, promossa da: (...) S.R.L., con sede in Settimo San Pietro, P.I. (...), in persona del suo legale rappresentante (...); (...) nato a Quartucciu il (...), (...) nata a Cagliari il (...), entrambi residenti a Settimo San Pietro, elettivamente domiciliati in Cagliari via (...) presso lo studio dell'avv. (...) che li rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce all'atto di appello; APPELLANTI CONTRO (...) PLC (GIÀ (...) PLC.), in persona del procuratore speciale p.t., c.f. (...), elettivamente domiciliata in Roma, Via (...) presso lo studio degli avvocati (...) che la rappresentano e difendono in forza di procura speciale a margine della comparsa di costituzione in primo grado; (...), nato a Napoli (NA), in data (...), residente in Cagliari (CA), c.f. (...), nella sua qualità di socio succeduto nei rapporti della (...) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, con sede legale in Cagliari (CA), Viale (...), codice fiscale e partita iva n. (...), elettivamente domiciliato in Cagliari (CA) nella via (...), presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende, in forza di procura speciale a margine della comparsa di costituzione; (...), contumace; APPELLATI All'udienza dell'11 novembre 2022 la causa è stata tenuta a decisione sulle seguenti CONCLUSIONI Nell'interesse dell'appellante (come da note di trattazione scritta depositate il 1 luglio 2021 ed atto di appello): "Piaccia all'Ecc.ma Corte d'Appello di Cagliari, respinta ogni contraria istanza, (...) ritenere fondati i motivi esposti con il presente gravame e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata accogliere: 1) In via preliminare dichiarare la propria competenza per territorio per le ragione esposte in narrativa 2) In via principale di merito accertare la responsabilità in solido della (...) " (...) PLC e della (...) s.r.l già (...) s.r.l concessionaria (...), in persona dei reciproci rappresentati legali, ex art 2018 e dichiarare il conseguente inadempimento in relazione al contratto di buy back, 3) Sempre in Via principale accertare la validità della diffida ad adempiere ex art 1454 c.c. inviata in data 08/01/2008 e il mancato adempimento in relazione alla diffida e per l'effetto dichiarare l'avvenuta risoluzione del contratto di buy back. 4) Per l'effetto dichiarare la convalida dell'offerta per intimazione ex art 1209 c.c e il relativo deposito dell'autovettura nuovo tipo XC90 Targato (...) con ogni provvedimento conseguente. 5) Condannare, ognuno in proporzione alla propria responsabilità la (...) "(...) PLC e la (...) s.r.l già (...) s.r.l. concessionaria (...) al risarcimento di tutti i danni subiti in relazione all'inadempimento comprensivi di tutte le spese sostenute dalla società attrice per la procedura ex art. 1209 c.c. 6) In relazione alla domanda principale rigettare la domanda attrice perché infondata in fatto e in diritto per le ragioni esposte. 7) Con vittoria di spese e competenze dei due gradi del giudizio." Nell'interesse dell'appellata (...) Plc (come da note di trattazione scritta del 2 luglio 2021 e da comparsa di costituzione): "L'Ill.ma Corte adita Voglia confermare la sentenza impugnata con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese, competenze ed onorari del grado." Nell'interesse dell'appellato (...) (come da note di trattazione scritta dell'8 luglio 2021 e da comparsa di costituzione): "Voglia la Corte D'Appello Ill.ma, contrariis reiectis, rigettando come di ragione tutti gli altri motivi di appello proposti dall'appellante principale: In via principale: 1) Rigettare l'appello in quanto infondato in fatto e diritto e per l'effetto confermare la sentenza n.2644/2017 del Tribunale di Cagliari; In via subordinata: 2) Nella denegata ipotesi di accoglimento, anche parziale delle avverse domande, si insiste per l'accoglimento delle conclusioni formulate nel giudizio di primo grado e di seguito trascritte: "In via principale: rigettare la domanda attrice perché infondata in fatto e diritto per le ragioni esposte in narrativa; In via subordinata: in caso di accoglimento, anche parziale, delle avverse domande, di essere tenuta indenne dalla (...) plc per ogni conseguenza pregiudizievole dovesse derivarle in conseguenza del contratto di finanziamento sottoscritto dalla (...) S.r.l. e dalla (...) plc; In ogni caso: con vittoria di spese e onorari di giudizio." In ogni caso: 3) Con condanna al rimborso delle spese e competenze di lite a favore dell'avv. (...) che si dichiara antistatario, giusta distrazione delle spese; 4) Limitare la responsabilità patrimoniale del signor (...) a quanto percepito dalla liquidazione sociale." IN FATTO E IN DIRITTO La società Impresa di Costruzioni (...) s.r.l. (da ora società (...)) ha richiesto alla (...) plc un finanziamento, formula Next By (...), allo scopo di acquistare dalla concessionaria (...), società (...) s.r.l. poi società (...) s.r.l., l'autovettura (...) nuovo tipo XC90 targata (...). La richiesta è stata accolta in data 2 novembre 2004 dalla (...) plc che ha erogato la somma capitale di euro 36.745,76 da rimborsarsi in 37 rate, compreso il Valore Futuro Garantito (VFG). Il contratto garantiva dopo tre anni un valore dell'autoveicolo stabilito, nel caso, in euro 24.334,05 e la possibilità per la società (...) di scegliere alla scadenza una delle seguenti soluzioni: a) riconsegnare il veicolo ad un "concessionario (...)" con la procura a vendere entro la data di scadenza del VFG per l'acquisto di un nuovo veicolo; b) pagare alla (...) plc entro la data di scadenza del finanziamento l'importo del VFG in una unica soluzione, cosiddetta maxi rata, trattenendo il veicolo; c) riconsegnare il veicolo ad un concessionario (...) con procura a vendere entro sette giorni dalla scadenza del VFG, rinunciando ad ogni diritto sulla vendita del veicolo. Nel contratto era altresì previsto che il richiedente potesse consegnare il veicolo entro la data di finanziamento stabilita, senza corrispondere la maxi rata residua denominata "Valore Futuro Garantito", a condizione che avesse manifestato la scelta per una delle opzioni previste dal contratto di finanziamento, inviando alla FCE apposita informazione entro 60 giorni antecedenti la scadenza dello stesso. L'omessa tempestiva comunicazione riguardo l'alternativa prescelta determinava l'obbligo del richiedente di pagare il Valore Futuro Garantito alla scadenza prevista. Con atto di citazione davanti al Tribunale di Cagliari in data 29 gennaio 2010 per quanto interessa il presente giudizio, la società (...) ha esposto che: - con comunicazione in data 2 agosto 2007 la (...) le aveva ricordato la scadenza al 2.12.2007 del contratto Next by (...) e la conseguente opportunità, entro tale data, di esercitare una delle opzioni a sua disposizione; si legge in detta comunicazione "scopo di questa nostra lettera, infatti è quello di consentirle di definire in tempo utile, la Sua scelta presso la concessionaria (...) entro 60 giorni dalla data della presente comunicazione....."; - poiché da tale nota risultava che la scelta dovesse essere fatta tramite concessionaria, essa aveva contattato quest'ultima fin dal mese di settembre 2007; - la concessionaria aveva tenuto una condotta illecita che le aveva impedito l'esercizio dell'opzione di cui al punto 3) (restituzione del veicolo senza acquisto di altra auto e senza versamento della maxi rata); infatti, in violazione del contratto, non riconosceva il Valore Futuro Garantito per l'acquisto di altre vetture (...) ad esclusione di quelle già nella sua disponibilità nonché teneva un comportamento ostruzionistico "per evitare di avere la restituzione della vettura, sostenendo che doveva essere restituita alla finanziaria, che non aveva i moduli per la procura, che probabilmente la procura doveva essere fatta non alla concessionaria... "; - a seguito di una conversazione con il numero verde della finanziaria, si era presentato alla concessionaria per la restituzione dell'autovettura con la procura notarile a vendere, concessionaria che si era rifiutata di accettare il veicolo in quanto non autorizzata dalla finanziaria e senza altra motivazione; - con lettera dell'8 gennaio 2008 la (...) si lamentava della circostanza che non era pervenuta alcuna indicazione sulla scelta effettuata per la definizione del contratto Next by (...) scaduto invitando la società entro sette giorni a fornire evidenza dell'avvenuta restituzione del mezzo alla Concessionaria venditrice o del pagamento della maxi rata; - dopo aver inutilmente offerto la restituzione della macchina con procura a vendere a favore della (...), aveva deciso di procedere con l'offerta per intimazione ai sensi dell'art. 1209 c.c., procedura definita con provvedimento depositato in cancelleria il 23 aprile 2009, a seguito del quale il mezzo è stato depositato presso la (...) s.r.l. - Concessionaria (...) con sede in Cagliari viale (...). La società (...) ha quindi convenuto in giudizio (...) PLC per vederne accertata la responsabilità ex art. 1218 c.c. in relazione al contratto di Next by (...), veder dichiarata la convalida dell'offerta per intimazione ex art. 1209 c.c. nonché per vederla condannare al risarcimento dei danni comprensivi di tutte le spese sostenute per la procedura ex art. 1209 c.c. ed alla rifusione delle spese di lite. Costituitasi la società convenuta, chiamati in causa su istanza della società attrice la società (...) s.r.l. e, su istanza della società convenuta, (...) quale coobbligato e (...) quale fideiussore, con la prima memoria ex art. 183 c.p.c. la società attrice ha precisato le conclusioni riproposte poi con l'atto di appello. Con sentenza n. 2644/2017 pubblicata il 12 settembre 2017 il Tribunale di Cagliari ha rigettato l'eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla società convenuta, ha rigettato la domanda della società attrice, ha condannato la società attrice, in solido con i terzi chiamati (...) e (...), al pagamento in favore della convenuta della somma di euro 24.304,05, ha dichiarato compensate per un mezzo le spese di lite tra la società attrice, i terzi chiamati e la società convenuta ponendo il residuo mezzo a carico della società (...) e dei chiamati in causa, ha disposto l'integrale compensazione delle spese di lite tra la società attrice e la società (...) s.r.l. Il Tribunale ha ritenuto: - la propria competenza a decidere della controversia (la statuizione non è stata oggetto di impugnazione); - sussistente un collegamento negoziale tra i due contratti, quello di acquisto dell'autoveicolo e quello di finanziamento, evidenziando che ciascuno di essi aveva tuttavia conservato la propria distinta individualità giuridica; - non applicabile l'invocata disciplina dettata dal codice del consumo in considerazione del fatto che il contratto non era stato concluso da un consumatore; - insussistente "la scarsa comprensibilità delle clausole contrattuali del contratto di buy back lamentata dalla attrice (essendo chiari e non equivocabili gli adempimenti a suo carico per l'esercizio dell'opzione prescelta alla scadenza del contratto)." - inadempiente la società attrice in quanto essa non aveva "dato seguito all'obbligazione su di essa gravante di "riconsegnare il veicolo alla concessionaria venditrice con procura a vendere entro la data di scadenza dell'accordo."; - sebbene non potesse "seriamente contestarsi il comportamento non iure della (...) S.r.l.", doveva "correlativamente osservarsi che, per espressa allegazione della attrice ella, sin dal 26.11.2007 aveva espresso alla concessionaria la sua intenzione di optare per la soluzione di cui al superiore punto C) restituendo l'autovettura", senza tuttavia attivarsi per il conseguimento di una procura a vendere in favore della concessionaria. Il giudice di prime cure, premesso che erano rimaste a livello di mera allegazione le condotte ostruzionistiche della concessionaria, ha infatti evidenziato che la società attrice aveva rilasciato la procura a vendere alla (...) S.r.l. solamente in data 18 dicembre 2007, allorquando erano ormai scaduti i termini contrattuali. Di conseguenza, doveva essere rigettata la domanda della società attrice e, per contro, in accoglimento della domanda riconvenzionale, essa, in solido con il coobbligato (...) ed il fideiussore (...), doveva essere condannata a corrispondere alla società convenuta la somma di euro 24.304,05 oltre interessi con decorrenza dal 25 maggio 2010, data della domanda, al saldo. Con atto di citazione notificato il 10 novembre 2017 hanno proposto appello la società Impresa di Costruzioni (...) s.r.l., (...) e (...), rassegnando le conclusioni in epigrafe trascritte. L'atto di impugnazione è stato notificato ad (...), costituitosi in giudizio, ed a (...), rimasto contumace, nella loro qualità di soci della società (...) s.r.l. in liquidazione, cancellata dal registro delle imprese. Si è costituita in giudizio la società (...) plc (da ora finanziatore) la quale ha concluso per il rigetto dell'appello. All'udienza dell'11 novembre 2022 la causa è stata trattenuta a decisione con rinuncia dei difensori ai termini, essendo già stati depositati gli atti di cui all'art. 190 c.p.c. Con la prima articolazione del primo motivo di impugnazione gli appellanti censurano la sentenza per aver ritenuto sussistente, tra i contratti di acquisto dell'autovettura e di finanziamento, un collegamento negoziale tra due contratti distinti ed autonomi e non invece, conformemente alla volontà delle parti, un contratto unitario con causa unica plurilaterale con la conseguenza che il comportamento inadempiente della concessionaria era andato ad incidere anche sul contratto di finanziamento. Con la seconda articolazione del motivo essi lamentano anche il fatto che il Tribunale abbia ritenuto inapplicabile il codice del consumo. Il motivo di appello è infondato. Non può revocarsi in dubbio che i due contratti - di vendita e di finanziamento - per cui è causa, siano autonomi e distinti, seppure essi danno vita ad un collegamento negoziale, riconosciuto dal Tribunale. "Il collegamento negoziale non dà luogo a un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, in ipotesi siffatte, il collegamento, pur potendo determinare un vincolo di reciproca dipendenza tra i contratti, non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica." (Cass., n. 18.884/2008). Pacifico che il contratto di finanziamento de quo si atteggia quale mutuo di scopo, essendo destinato esclusivamente a finanziare l'acquisto del veicolo oggetto della compravendita, la riconducibilità dei due contratti alla fattispecie del collegamento negoziale, è affermata dalla giurisprudenza di legittimità. Si richiama Cass., n. 3589/2010: "Nel contratto di mutuo in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l'acquisto di un determinato bene, il collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e quello di vendita, in virtù del quale il mutuatario è obbligato all'utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione, comporta che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita ed il correlato venir meno dello scopo del contratto di mutuo, legittimano il mutuante a richiedere la restituzione dell'importo mutuato non al mutuatario ma direttamente ed esclusivamente al venditore.". Conforme Cass., n. 12.454/2012. Alla luce delle esposte argomentazioni deve, pertanto, essere disattesa la tesi della società attrice della ricorrenza, nel caso scrutinato, di un contratto unitario plurilaterale. Deve parimenti essere disattesa la doglianza, oggetto della seconda articolazione del motivo esaminato, non trattandosi di fattispecie disciplinata dal codice del consumo, considerato che l'acquirente è una società di capitali. Con il secondo motivo di impugnazione, gli appellanti censurano la sentenza laddove il Tribunale, pur affermando l'inadempimento della concessionaria nel momento in cui non ha riconosciuto alla società (...) il Valore Futuro Garantito dell'autovettura, non avesse valutato quanto ciò avesse inciso sul fatto che essa aveva dovuto cambiare idea sulla opzione da scegliere e sul presunto ritardo nella comunicazione dell'opzione. Inoltre non poteva condividersi l'assunto della sentenza laddove non aveva rilevato "la indeterminatezza delle clausole relative al come e a chi l'opzione dovesse essere fatto", clausole che venivano a sancire una decadenza e che, pertanto, dovevano ritenersi nulle in quanto non specificamente approvate per iscritto. Infine, non poteva essere condivisa la decisione laddove il giudice di primo grado aveva considerato la sussistenza dell'inadempimento della società (...) per aver consegnato l'autovettura e la procura a vendere solo in data 19 dicembre 2007, ritenendo che la società non avesse più la facoltà di restituire il bene. Infatti: - veniva a riconoscere natura di termine essenziale al termine entro il quale doveva essere comunicata l'opzione scelta tra le tre previste in contratto, senza tuttavia farne conseguire l'effetto della risoluzione di diritto del contratto; - non riconoscendo al termine carattere di essenzialità, non poteva revocarsi in dubbio che l'adempimento di essa società acquirente doveva essere valutato alla luce dei principi di buona fede e correttezza ai quali doveva essere improntata la condotta di tutte le parti; - in particolare, doveva evidenziarsi che essa appellante aveva cercato di restituire in tutti i modi l'autovettura, inviando l'8 gennaio 2008 una raccomandata alla concessionaria e alla (...) FGE Bank plc avente ad oggetto una diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., invitandole a riprendersi l'autovettura con la procura a vendere; - ancora a questa data, sia con la lettera dell'8 gennaio 2008 sia con i contatti con la società per il recupero del credito nella persona del signor (...), la (...) aveva riconosciuto la possibilità di restituire l'autovettura, che alla fine non era stata ritirata in quanto aveva troppi chilometri e non perché non era stato rispettato il termine per la scelta. In sintesi, con il secondo motivo di impugnazione "Si ritiene quindi che la sentenza di primo grado debba essere modificata nella parte in cui pur avendo accertato l'inadempimento contrattuale della concessionaria non abbia valutato l'incidenza del predetto inadempimento sulle altre previsioni negoziali. Nella parte in cui non ha valutato la nullità delle clausole vessatorie relative alle modalità e termini entro cui dovevano essere operata la scelta della opzione. Infine la sentenza deve essere modificata nella parte in cui non accerta l'avvenuta risoluzione del contratto dopo l'invio della diffida ad adempiere dell'8/1/2007 e nella parte in cui non valuta nella ricostruzione dell'adempimento della società appellata la procedura di offerta per intimazione ex art. 1209 c.c.". Il motivo è fondato per quanto di ragione. Nelle condizioni generali di finanziamento (doc. n. 1 (...) s.r.l.) si legge: ".... alla scadenza del finanziamento, il Cliente potrà scegliere una delle seguenti soluzioni: A) riconsegnare il Veicolo ad un concessionario (...), con procura a vendere, entro la data di scadenza del VFG per l'acquisto di un nuovo Veicolo.....B)pagare alla (...) entro la data di scadenza del finanziamento l'importo del VFG in unica soluzione mediante bonifico bancario, trattenendo il Veicolo; C) riconsegnare il Veicolo ad un concessionario (...) con procura a vendere entro sette giorni dalla scadenza del VFG rinunciando ad ogni diritto sulla vendita del Veicolo. Il Cliente potrà riconsegnare il Veicolo entro la data prevista di scadenza del finanziamento senza corrispondere la rata residua denominata VFG (soluzione C) a condizione che a) abbia manifestato la scelta per una delle soluzioni previste dal contratto di finanziamento Next By (...), inviando alla (...) e al Concessionario (...) venditore una raccomandata a/r entro 60 giorni antecedenti la scadenza dello stesso. L'omessa comunicazione nei termini prescritti riguardo l'alternativa prescelta determinerà l'obbligo del Cliente di pagare il VFG alla scadenza prevista (soluzione B) (...)". Il collegamento tra il contratto di acquisto dell'autovettura ed il contratto di finanziamento pare particolarmente pregnante tenuto conto che questo era accordato dalla (...), servizio finanziario offerto all'interno della concessionaria, esclusivamente per l'acquisto dell'autovettura e che le opzioni A) e C) prevedevano, per la loro attuazione, necessariamente, nuovamente l'intervento del concessionario essendo costui che avrebbe venduto il nuovo veicolo o che avrebbe ricevuto il veicolo in restituzione. Non può pertanto condividersi l'assunto di (...) secondo cui la società concessionaria sarebbe priva di legittimazione passiva nel presente giudizio in quanto del tutto estranea al rapporto contrattuale di finanziamento, avendo esaurito i suoi impegni contrattuali con la consegna dell'autovettura e la ricezione del relativo prezzo. Il Tribunale ha ritenuto, "in conformità a quanto già ritenuto dal Tribunale di Brescia nella sentenza resa in data 17 maggio 2012 circa una configurabile remissione in termini', che "alcuna conseguenza pratica deriva dal fatto che la società attrice non ha comunicato alla convenuta la volontà di voler procedere alla restituzione del veicolo (in uno al mancato pagamento della maxi rata) almeno 60 gg. prima dalla scadenza del finanziamento (e ciò in considerazione del dato contenutistico delle missive del 2.08.2007 - ove si ricorda alla cliente che, entro il termine di scadenza del contratto, ovvero il 2.12.2007, ella avrà l'opportunità di esercitare una delle opzioni a sua disposizione - e 6.11.2007, ove si invita la stessa a recarsi presso la concessionaria (...) di fiducia per definire il contratto)". Tale statuizione, che la Corte ritiene pienamente condivisibile, non è stata oggetto di censura specifica da parte degli appellati, essendosi la (...) plc limitata a richiamare la disposizione contrattuale senza scalfirne l'interpretazione offerta dalla sentenza gravata. È provato documentalmente che il veicolo con procura a vendere è stato messo a disposizione della concessionaria il 19 dicembre 2007. È in atti la lettera del 19 dicembre 2007 inviata con raccomandata in pari data alla concessionaria e per conoscenza alla (...) plc, con la quale la società (...) restituisce il veicolo in buone condizioni con procura a vendere (doc. n. 13 (...)). Con lettera del 20 dicembre 2007 la concessionaria dichiara di non poter accettare la restituzione del veicolo in quanto non autorizzata dalla (...), invitando la società (...) a rimuovere il veicolo dal parcheggio della concessionaria (doc. n. 14 (...)). E' poi in atti la diffida inviata l'8 gennaio 2008 ai sensi dell'art. 1454 c.c. con la quale la società (...) ha diffidato la concessionaria e la finanziaria di adempiere al contratto, riprendendosi l'autovettura con la procura a vendere. Ad avviso della Corte, non può condividersi l'assunto del Tribunale che, pur affermando un comportamento non iure della concessionaria, in forza del principio dell'autonomia dei contratti, non ha ad esso riconosciuto alcuna valenza nella valutazione della condotta della società acquirente di cui ha rigettato la domanda, valutando esclusivamente il ritardo nella restituzione del veicolo, avvenuta il 19 dicembre 2007 invece che entro il 2 dicembre 2007. Premesso che "Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore " - deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore" - deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile. " (Cass., n. 9200/2021), deve ritenersi che nell'ipotesi di collegamento negoziale, nella quale i contratti "conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è concepito, funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri, cosicché le vicende che investono un contratto possono ripercuotersi sull'altro....", "....l'interpretazione della volontà negoziale - ai sensi degli artt. 1175 e 1375 - deve essere condotta alla luce degli evidenziati elementi di un collegamento negoziale in cui le condotte di buona fede delle parti si inseriscono. " (così Cass., n. 12.454/2012). Precipitato di tali principi, è che la valutazione della condotta della società acquirente non può prescindere dalla necessità di verificare l'osservanza dei doveri di correttezza, diligenza e buona fede (artt. 1175, 1176, 1375 cod. civ.) nell'esecuzione del contratto di finanziamento non solo del finanziatore ma anche del concessionario che, attraverso la vendita di un veicolo nuovo o attraverso la ricezione del veicolo e della procura a vendere, doveva consentire all'acquirente di attuare la scelta, nei confronti del finanziatore, delle possibilità A) o C). Con riguardo al concessionario, come affermato dal Tribunale, non può non contestarsi il suo comportamento non iure, in quanto, contattato dalla società acquirente che inizialmente aveva l'intenzione di acquistare un nuovo veicolo secondo la previsione di cui alla opzione A), ha riconosciuto all'attrice un VFG inferiore di circa euro 5000,00 rispetto alle previsioni contrattuali, violandole, senza fornire alcuna giustificazione. Si richiamano in particolare i preventivi in data 26.11.2007 (doc. n. 9) e 11.12.2007 (doc. n. 11). Non può pertanto condividersi l'assunto di cui alla comparsa di costituzione del finanziatore secondo cui le trattative che avrebbero integrato l'inadempimento della concessionaria erano successive alla scadenza stabilita per l'esercizio della vantaggiosa facoltà di avvalersi dell'opzione riconsegna. Non può revocarsi in dubbio che le trattative sull'acquisto del nuovo veicolo non andate a buon fine e condotte dal concessionario in violazione degli impegni contrattuali assunti sì dal finanziatore ma per il cui adempimento era necessaria la sua collaborazione, abbiano inciso sui tempi di restituzione del veicolo con procura a vendere, essendo la decisione di quale delle tre opzioni scegliere, strettamente connessa alle condizioni praticate per l'acquisto del nuovo autoveicolo. Inoltre, emerge dalle risultanze istruttorie documentali, con assoluta chiarezza, che il termine del 2 dicembre 2007 non era essenziale né perentorio, non essendo definito tale e dovendosi comunque rilevare che ben dopo il termine del 19 dicembre 2007 in cui il veicolo è stato restituito, il finanziatore riteneva possibile la sua restituzione, rinunciando, seppur tacitamente, ad avvalersene. A questo riguardo si richiamano: - la nota dell'8 gennaio 2008 con la quale la (...) invita la società acquirente a fornire "entro 7 giorni evidenza dell'avvenuta restituzione del mezzo alla Concessionaria venditrice o del pagamento del Valore Futuro Garantito che Le ricordiamo essere di euro 24.334,05." (doc. n. 15); - fax da (...), incaricato per il recupero del credito, a (...) in data 16 aprile 2008 con il quale si trasmettono i documenti necessari per la presa in carico dell'auto (doc. n. 20 (...)). Con fax del 27 maggio 2008 (...), dopo aver ricevuto dalla società acquirente tutti i documenti necessari e richiesti per detta presa in carico, comunica di non poter procedere al ritiro dell'autovettura in quanto non autorizzato dalla mandante FCE a causa non della scadenza del termine ma per via dei troppi chilometri percorsi, situazione peraltro che avrebbe dovuto imporre l'attivazione della procedura di cui all'art. 10 lett. d) delle condizioni generali del contratto. La mancata ricezione dell'autovettura e della procura a vendere da parte del concessionario il 19 dicembre 2007 e del finanziatore, che era stato posto a conoscenza dalla società acquirente della scelta dell'opzione C) e della sua volontà di restituire il veicolo (la lettera è stata inviata anche alla (...) plc), volontà ribadita ad entrambi i soggetti nella diffida ad adempiere dell'8 gennaio 2008, devono essere valutate quali condotte contrarie ai principi di lealtà, correttezza e buona fede che dovevano improntare l'esecuzione del contratto di finanziamento. Letta la comparsa di costituzione della (...) plc, si osserva che: - considerato che l'autoveicolo era stato acquistato tre anni prima, un ritardo di 17 giorni (che diventano 10 se si considera che la lettera (c) delle condizioni generali prevedeva la riconsegna del veicolo con procura a vendere entro sette giorni dalla scadenza del VFG) non può ragionevolmente ritenersi contrastare "la necessità di favorire il tempestivo inserimento del veicolo nel circuito di vendita, onde evitare di incorrere nelle rapide svalutazioni di prezzo cui questo tipo di beni è soggetto."; - non può revocarsi in dubbio, per quanto sopra esposto, che il finanziatore, non accettando la restituzione dell'autoveicolo con procura a vendere nei termini sopra esposti da parte della società (...), debba ritenersi in mora non avendo compiuto quanto necessario affinché essa potesse adempiere la sua obbligazione. Non conducono a diverse conclusioni le sentenze prodotte in argomento dal finanziatore, parte dei giudizi: si osserva infatti che nell'ipotesi esaminata dal Tribunale di Brescia del 17 maggio 2012 l'acquirente il veicolo non aveva consegnato la procura a vendere e nell'ipotesi esaminata dal Tribunale di Roma con sentenza n. 20.850/2017 pubblicata il 6 novembre 2017 a fronte della scadenza del 30 novembre 2015 il veicolo era stato riconsegnato il 16 dicembre 2015 senza procura a vendere e che nonostante la proroga richiesta e concessa fino al 23 gennaio 2016 per il rilascio della procura a vendere, essa era stata rilasciata soltanto in data 10 febbraio 2016. Al contrario, da tali sentenze si evince che il termine di restituzione del veicolo non è stato interpretato quale termine perentorio ed essenziale. Tanto premesso, deve essere accolta la domanda della società (...) avente ad oggetto la convalida dell'offerta per intimazione ex art. 1209 c.c. e del relativo deposito dell'autovettura (...) per cui è causa, di cui non è stata contestata la ritualità con riguardo a tutte le modalità, formali e temporali, prescritte dalla relativa disciplina normativa. Da ciò consegue il rigetto della domanda riconvenzionale spiegata dal finanziatore nei confronti dei tre appellanti, avente ad oggetto il pagamento della maxi rata, dovendo ritenersi che la società (...) abbia legittimamente esercitato l'opzione cui al punto C). Si ritiene poi di accogliere la domanda di risarcimento dei danni spiegata dalla società appellata limitatamente alle spese sostenute per la procedura ex art. 1209 c.c., in difetto di allegazione e prova di danni ulteriori, pari ad euro 159,36 come da nota allegata al verbale di offerta per intimazione di ricevere la consegna di un bene immobile in data 12 settembre 2008 (doc. n.32 (...)) e pari ad euro 199,36 come da nota allegata al processo verbale di deposito ai sensi degli artt. 1210 e 1212 c.p.c. in data 29 giugno 2009 (doc. n.33 (...)). Non potendosi ravvisare una mora del concessionario, che non riveste la qualità di parte del contratto di finanziamento, deve essere condannato alla corresponsione della somma di complessiva di euro 521,43 (euro 233,84 + euro 287,59), dovendo le suddette somme essere rivalutate alla data della presente decisione e riconosciuto altresì il danno da ritardato adempimento, il solo finanziatore ai sensi dell'art. 1207 c.c.. Sull'anzidetta somma devono essere corrisposti gli interessi nella misura legale dalla data della presente decisione fino al saldo. Deve invece rigettarsi la domanda di risoluzione del contratto di finanziamento proposta dalla parte appellante. La condotta del finanziatore non configura un inadempimento di detto contratto, così come da essa sostenuto, quanto, piuttosto, deve essere ricondotta all'ipotesi di mora del creditore, a fronte della quale essa ha correttamente proceduto all'offerta reale ai sensi degli artt. 1208 e ss. Rimane assorbito il terzo motivo di impugnazione. La valutazione dell'esito complessivo della lite, impone la condanna del finanziatore alla rifusione in favore della parte appellante delle spese di lite che si liquidano, con riguardo agli onorari, per il giudizio di primo grado aderendo alla quantificazione di cui alla sentenza impugnata, verso la quale nessuna delle parti ha sollevato contestazioni. Nel giudizio di appello esse sono liquidate secondo i valori medi di cui allo scaglione "valore indeterminabile complessità bassa" di cui al DM n.147/2022 per le fasi introduttiva, di studio e secondo il valore minimo per la fase di trattazione e per la fase decisionale, stanti le caratteristiche dell'attività espletata. Le ragioni poste a fondamento della decisione che evidenziano un chiaro comportamento non iure della società concessionaria, integrano le gravi ragioni di cui all'art. 92 c.p.c. per confermare la pronuncia di compensazione delle spese di lite di cui alla sentenza impugnata e per dichiarare compensate le spese anche del presente grado di giudizio tra parte appellante e (...). Nulla sulle spese per (...) contumace. PER QUESTI MOTIVI La Corte d'Appello definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, in riforma dell'impugnata sentenza: 1. rigetta la domanda di risoluzione del contratto proposta dalla parte appellante; 2. convalida l'offerta per intimazione ex art. 1209 c.c. ed il relativo deposito dell'autovettura (...) per cui è causa; 3. rigetta la domanda di condanna al pagamento della maxi rata proposta da (...) plc; 4. condanna (...) plc al risarcimento dei danni nei confronti della società appellante che liquida in euro 521,43 oltre gli interessi legali dalla data della presente decisione fino al saldo; 5. condanna (...) plc alla rifusione delle spese di lite in favore della parte appellante che liquida per il primo grado in euro 178,00 per spese e in euro 6000,00 per onorari oltre spese generali, Iva e cpa e per il giudizio di appello in euro 777,00 per spese e in euro 6734,00 per onorari oltre spese generali, Iva e cpa; 6. dichiara compensate le spese di lite del primo grado del giudizio tra l'attrice e la (...) s.r.l. e le spese del presente grado del giudizio tra parte appellante e (...). Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio della Sezione Civile della Corte d'Appello il 13 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D'ASCOLA Pasquale - Presidente Dott. TEDESCO Giuseppe - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 19109-2021 proposto da: (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro MINISTERO DELLA GIUSTIZIA; - intimato - avverso il decreto del TRIBUNALE di GROSSETO depositato il 22/06/2021; Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. ALDO CENICCOLA, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/02/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO. RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il Tribunale di Grosseto, decidendo sull'opposizione proposta dall'avv. (OMISSIS), Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 170 avverso il decreto di liquidazione dei compensi emesso in data 18/2/2020 in favore dell'opponente, ed in relazione ai compensi maturati per la difesa prestata in un procedimento di volontaria giurisdizione (dissenso del genitore al rilascio del passaporto in favore della figlia minore) svoltosi dinanzi allo stesso Tribunale, in favore di (OMISSIS), rigettava l'opposizione, che verteva solo sulla congruita' della liquidazione. Il Tribunale reputava che il compenso era stato liquidato in misura pari ad Euro 101,25, per un importo che appariva congruo sottolineando la vincolativita' dei parametri di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, sia nei valori massimi che in quelli minimi, pur a seguito della novella di cui al Decreto Ministeriale n. 37 del 2018. Pertanto tenuto conto dei valori di cui alla tabella 7 del citato D.M., per l'importo di Euro 405,00, avuto riguardo alla modestia delle questioni trattate ed alla durata del procedimento (definito con decreto resi fuori udienza), era giustificata una riduzione del 62,5%, essendo quindi corretta la liquidazione impugnata, dovendosi infatti procedere ad una ulteriore decurtazione di un terzo, trattandosi di compensi liquidati in favore del difensore di parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Per la cassazione di tale decreto (rectius "ordinanza", trattandosi di decisione emessa all'esito di opposizione Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 170) propone ricorso (OMISSIS) sulla base di quattro motivi. Il Ministero intimato non ha svolto difese in questa fase. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 5, quanto alla determinazione del valore della controversia, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si sostiene che il decreto in questione non avrebbe minimamente tenuto conto delle ragioni dell'opposizione, omettendo ogni necessaria valutazione circa il valore della controversia. Infatti, il giudice di merito avrebbe dovuto far riferimento alle cause di valore indeterminabile, tenuto conto delle questioni dibattute nel giudizio presupposto (opposizione di un genitore alla richiesta dell'altro genitore di rilascio del passaporto in favore della figlia minore), cosi' che in base al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 5, comma 6, "...le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a Euro 26.000,00 e non superiore a Euro 260.000,00, tenuto conto dell'oggetto e della complessita' della controversia...". Dall'importo prescelto per la liquidazione, tratto dalla Tabella 7 del D.M., si ricava che il Tribunale abbia inteso fare riferimento e applicare alla controversia lo scaglione piu' basso (quello da 0 a 5.200 Euro) destinato, invero, alle sole questioni di valore economico determinabile, violando la norma in questione e, in particolare, dell'articolo 5, il comma 6 che e' da considerarsi un vero e proprio parametro normativo vincolante di fonte legale e, come tale, non derogabile dal giudice. Peraltro, la stessa giurisprudenza di legittimita' nell'interpretare le norme in esame ha affermato che "...la frase "di valore non inferiore a 26.000 Euro" non sta a significare che i 26.000 Euro rappresentano il valore massimo, ma, contrario, il valore da cui partire per individuare lo scaglione applicabile..." (cosi' Cass. Civ., Sez. VI, Ord. 25/VI/2018, n.16671). Ne consegue che i compensi professionali relativi a causa (di volontaria giurisdizione) di valore indeterminabile devono essere sempre calcolati secondo lo scaglione tariffario che va dai 26 mila ai 260 mila Euro, con la conseguente erronea individuazione della base di partenza per le determinazione del compenso dovuto. Il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4 come modif. dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018 quanto all'arbitraria e immotivata esclusione di taluni parametri discrezionali. Infatti, il provvedimento impugnato ha preso in esame solo quei parametri discrezionali negativi per il difensore, e cioe' quelli comportanti una diminuzione del compenso, senza che tale scelta sia stata adeguatamente supportata dal punto di vista logico e motivazionale. Sono stati trascurati la complessita' delle questioni di fatto, l'urgenza dell'affare, il positivo risultato conseguito dal cliente ed il valore intrinseco dell'affare. Il terzo motivo denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo con riferimento alla questione di fatto dedotta quale parametro di oggettiva complessita' della controversia. Infatti, anche a voler convenire che la questione sub iudice non abbia comportato la disamina di complesse questioni di diritto, non altrettanto puo' dirsi in relazione alla questione di fatto che essa implicava, essendosi posta la necessita' di impedire che la richiedente il passaporto per la figlia potesse in tal modo procedere al definitivo trasferimento della minore all'estero, ed in un paese di cui occorreva verificare l'effettiva adesione a trattati internazionali sulla protezione dalla sottrazione illegittima di minori. I motivi, che possono essere congiuntamente espianti per la loro connessione, sono infondati. Quanto alla determinazione del valore della controversia, non ignora il Collegio come nella giurisprudenza di questa Corte sia stato affermato il principio secondo cui (Cass. n. 16671/2018) l'espressione "Di valore non inferiore a 26.000 Euro" non sta a significare che i 26.000 Euro rappresenterebbero il valore massimo ma, al contrario, il valore da cui partire per individuare lo scaglione applicabile (conf. Cass. n. 24076/2019; Cass. n. 22330/2020), tuttavia deve tenersi conto proprio della formulazione letterale della norma de qua ( Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 5, comma 6 nella formulazione applicabile ratione temporis, prima delle modifiche di cui al Decreto Ministeriale n. 147 del 2022), secondo cui "Le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a Euro 26.000,00 e non superiore a Euro 260.000,00, tenuto conto dell'oggetto e della complessita' della controversia. Qualora la causa di valore indeterminabile risulti di particolare importanza per lo specifico oggetto, il numero e la complessita' delle questioni giuridiche trattate, e la rilevanza degli effetti ovvero dei risultati utili, anche di carattere non patrimoniale, il suo valore si considera di regola e a questi fini entro lo scaglione fino a Euro 520.000,00. La dizione letterale ha quindi legittimato l'affermazione del principio di diritto, al quale la Corte intende assicurare continuita', secondo cui il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 5, comma 6, - secondo cui le cause di valore indeterminabile si considerano normalmente di valore non inferiore ad Euro 26.000 e non superiore ad Euro 260.000 - non impedisce al giudice di scendere al di sotto dei detti limiti, e pertanto allo scaglione immediatamente inferiore, quando il valore effettivo della controversia non rifletta i parametri "di regola" predisposti dal legislatore, ossia quando sussistano particolarita' della singola lite che rendano giustificato il ricorso ad uno scaglione piu' basso, in rapporto "all'oggetto e alla complessita' della controversia" (Cass. n. 968/2022; Cass. n. 38466/2021, secondo cui alla lettera della norma va assegnato il significato di individuare uno scaglione cui il giudice deve in genere attenersi, ad eccezione dei casi in cui sussistano particolarita' della singola lite che rendano giustificato il ricorso ad uno scaglione piu' basso, in rapporto "all'oggetto e alla complessita' della controversia", di tal che lo scaglione tariffario per le cause di valore indeterminabile di bassa complessita' puo' essere quello compreso tra Euro 5201,0026000,00; conf. Cass. 29821/2019; Cass. 11887/2019). Il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 5, comma 6, non impedisce - dunque - al giudice di scendere al di sotto dei limiti indicati dalle disposizioni, allorquando il valore effettivo della controversia non rifletta i parametri "di regola" predisposti dal legislatore, impregiudicato il dovere di dare adeguatamente conto in motivazione delle ragioni della decisione (Cass. 11887/2019), dovere che nello specifico il tribunale ha compiutamente assolto, evidenziando la particolare modestia delle questioni trattate e la sollecita definizione del procedimento. Una volta quindi ritenuto soddisfatto l'iter argomentativo per giustificare l'applicazione dello scaglione sulla cui scorta il Tribunale ha individuato il compenso base, ne consegue altresi' che si palesino prive di fondamento le ulteriori due censure del ricorrente che investono evidentemente apprezzamenti di merito, quali la mancata valutazione di concorrenti circostanze che avrebbero dovuto indurre ad una valutazione diversa circa la complessita' e la delicatezza della controversia, questioni che risultano evidentemente sottratte al sindacato del giudice di legittimita'. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 1 come modif. dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018 nonche' della L. n. 794 del 1942, articolo 24 quanto all'applicazione di una duplice diminuzione e, comunque, all'errata percentuale di diminuzione. Si lamenta che il provvedimento impugnato ha operato una duplice diminuzione, non consentita dall'articolo 4 citato, in quanto sull'importo determinato in misura corrispondente ai minimi parametrici, il Tribunale ha operato un'ulteriore riduzione di oltre la meta' in termini percentuali, che pero' non e' consentita a seguito delle modifiche apportat6e al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018. In subordine si deduce che il provvedimento impugnato ha operato una diminuzione del 62,5%, percentuale priva di conforto normativo e che si discosta dalla percentuale massima di riduzione che le norma fissa nel 50%, stante anche l'assenza di una suddivisione dell'attivita' per fasi quanto ai procedimenti di volontaria giurisdizione. Il motivo e' fondato. Il motivo pone quindi all'attenzione della Corte la questione circa la possibilita' per il giudice, nel caso di assenza di accordo tra le parti circa la determinazione del compenso, ovvero in caso di liquidazione delle spese di lite a carico del soccombente, ovvero in caso di liquidazione del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, di poter derogare, sia pure in maniera motivata, ai minimi dettati dai parametri dettati in base alla previsione di cui alla L. n. 247 del 2012, articolo 13 per effetto della novella del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, operata dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018, e confermata dalle previsioni di cui al Decreto Ministeriale n. 147 del 2022. Occorre a tal fine ricordare che il codice del 1942 affida la determinazione del compenso dei professionisti intellettuali ai criteri individuati dall'articolo 2233 c.c., ordinati secondo una specifica gerarchia entro la quale figurano anche le tariffe. La peculiarita' di queste ultime, nell'ambito della professione forense, in passato, emergeva dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 24, il quale, a pena di nullita', imponeva l'inderogabilita' degli onorari minimi, divieto che, fra l'altro, veniva interpretato in maniera rigorosa dalla giurisprudenza, che riteneva che in tal modo fosse assicurato il rispetto del criterio di adeguatezza al decoro della professione posto dall'articolo 2233 c.c., comma 2, per garantire una libera concorrenza sul mercato e per proteggere i clienti dall'imposizione di compensi eccessivamente elevati. La c.d. riforma Bersani (Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in L. n. 248 del 2006), ha comportato l'abrogazione di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle prestazioni professionali, "l'obbligatorieta' di tariffe fisse o minime", sul presupposto che tale scelta fosse imposta dalla normativa di rango comunitario, che non tollerava piu' un'imposizione vincolante delle tariffe professionali, essendo incompatibile con i principi comunitari di libera concorrenza e libera circolazione delle persone e dei servizi (e cio' sebbene, come si dira' oltre, tale incompatibilita' della precedente disciplina con gli obblighi derivanti non avesse avuto seguito nella giurisprudenza della Corte di Giustizia). Il Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, articolo 9, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, ha provveduto all'abrogazione delle tariffe (comma 1), sostituendole con i parametri (comma 2), ed a tale intervento normativo fece seguito l'emanazione della L. 31 dicembre 2012, n. 247, recante la nuova disciplina dell'ordinamento forense e dunque concernente, a differenza del Decreto Legge n. 1 del 2012, soltanto gli avvocati e non anche le altre figure di professionisti, ma l'articolo 13, commi 6 e 7, di tale legge riprende i parametri gia' introdotti per tutte le professioni intellettuali dal Decreto Legge n. 1 del 2012. Nelle more dell'emanazione della L. n. 247 del 2012, stante l'avvenuta abrogazione delle tariffe, era stato pero' emanato il Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, volto a fissare i nuovi criteri di determinazione dei compensi dei professionisti forensi. Per quanto rileva ai fini della questione in esame il decreto n. 140 contiene l'esplicita affermazione del carattere sussidiario della liquidazione giudiziale del compenso rispetto all'accordo delle parti e della possibilita' di ricorrere all'analogia per risolvere i casi non espressamente menzionati nel regolamento (entrambi esplicitati nell'articolo 1, comma 1), nonche' l'affermazione della non vincolativita' delle soglie indicate per la determinazione del compenso, nelle tabelle allegate al regolamento, anche a mezzo di percentuale sia nei minimi che nei massimi. La L. n. 247 del 2012, articolo 13 per cio' che attiene alla determinazione dei compensi, al comma 6, dispone che: "I parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale e' resa nell'interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge", ed al successivo comma 7 precisa che: "I parametri sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali e l'unitarieta' e la semplicita' nella determinazione dei compensi". In attuazione di tale norma e' stato poi emesso il Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, che sostituito integralmente, per gli esercenti la professione forense, sia la parte generale che quella che era loro specificamente dedicata (articoli 2 - 14) del Decreto Ministeriale 20 luglio 2012, n. 140. La novella, pur avendo lasciato immutato il criterio di liquidazione, per le quattro fasi processuali distinte gia' individuate, secondo una ripartizione valida per tutti gli organi giurisdizionali davanti ai quali venga svolta l'attivita', e onnicomprensive, ha pero' nella sostanza confermato la possibilita' di deroga ai valori minimi e massimi, quali scaturenti dalle percentuali di aumento e diminuzione massimi che il giudice puo' apportare ai valori medi, essendo stato valorizzato l'utilizzo dell'inciso "di regola" per indicare l'entita' dell'aumento o della diminuzione, in quanto volto a sottendere come tali indicazioni non sono vincolanti per il giudice che puo' quindi anche discostarsi da esse nella misura che ritenga adeguata al caso specifico, purche' ne dia conto in motivazione. A conforto di tale conclusione si pone anche la relazione illustrativa al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 che chiarisce tale aspetto laddove, nella parte dedicata ad illustrare la proposta del CNF, (par. b), affermando che il predetto inciso, cosi' come l'avverbio "orientativamente", erano stati introdotti al fine di sottolineare la non vincolativita' dei parametri, in linea di continuita' con quanto disposto dal Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, articolo 1, comma 7. La successiva giurisprudenza di legittimita' ha avallato tale lettura della norma, essendo pervenuta reiteratamente ad affermare che, nella vigenza delle previsioni di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non e' soggetto al controllo di legittimita', attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione e' doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. n. 14198 del 05/05/2022; Cass. n. 19989 del 13/07/2021; Cass. n. 89 del 07/01/2021, Cass. n. 2386 del 31/01/2017; Cass. n. 11601 del 14/05/2018). Resta pero' in ogni caso precluso al giudice di poter liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione" (cfr. ex plurimis Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2386; Cass. civ., 31 luglio 2018, n. 20183; contra, Cass. civ., 17 gennaio 2018, n. 1018 e Cass. civ., 5 novembre 2018, n. 28267). Il quadro normativo ha poi subito un'ulteriore variazione a seguito dell'emanazione del Decreto Ministeriale n. 37 del 2018, entrato in vigore il 27 aprile 2018, che ha modificato solo alcune delle previsioni del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014. Ai fini che rilevano la modifica ha integrato i parametri per la determinazione dei compensi, sia per l'attivita' giudiziale che per quella stragiudiziale (rispettivamente articoli 4 e 19) precisando che la riduzione, rispetto al valore medio di liquidazione non puo' essere superiore alla misura del 50% (per la sola fase istruttoria fino al 70%) mentre l'aumento puo' essere anche superiore alla percentuale fissata di regola nell'80%, eliminando per il potere di riduzione l'espressione "di regola" che aveva appunto giustificato l'interpretazione volta a consentire, sia pure con motivazione, la liquidazione anche al di sotto dei minimi tariffari. La significativita' della modifica del testo delle norme richiamate si ricava anche dalle argomentazioni spese dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema del decreto del 2018 (parere numero 02703/2017 del 27/12/2017), nel quale si sottolinea come tra gli obiettivi del Ministero vi fosse anche quello di "superare l'incertezza applicativa ingenerata dalla possibilita', nell'attuale sistema parametrale, che il giudice provveda alla liquidazione del compenso dell'avvocato senza avere come riferimento alcuna soglia numerica minima, rendendo inadeguata la remunerazione della prestazione professionale", limitando quindi ".... il perimetro di discrezionalita' riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non e' possibile andare". Nel parere, inoltre, si rimarcava come la modifica proposta non si palesasse in contrasto neanche con la normativa Europea in materia anche alla luce delle argomentazioni contenute nella sentenza n. 427 del 23 novembre 2017 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Nella specie, si segnalava che, rispetto alla vicenda vagliata dal giudice Eurounitario, il provvedimento che fissa i parametri, oltre che essere adottato non da un'organizzazione di rappresentanza della categoria forense ma dal Ministro della giustizia, rispondeva anche all'esigenza di perseguire precisi criteri d'interesse pubblico stabiliti dalla legge quali la trasparenza e l'unitarieta' nella determinazione dei compensi professionali. La necessita' di interpretare le novellate previsioni per effetto del Decreto Ministeriale n. 37 del 2018 come intese a ribadire l'inderogabilita' da parte del giudice, chiamato a liquidare i compensi a carico del soccombente ovvero in assenza di preventivo accordo tra le parti, dei minimi fissati dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, rinviene poi un argomento di carattere sistematico nella pressoche' coeva introduzione della disciplina in tema di equo compenso per le attivita' professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, nonche' di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, previsto dall'articolo 13-bis, comma 1, della legge forense, come inserito dal Decreto Legge 16 ottobre 2017, n. 148, articolo 19-quaterdecies, comma 1, recante "Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili", convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172. In particolare, il secondo comma dispone che "si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni di cui al comma 1 quando risulta proporzionato alla quantita' e alla qualita' del lavoro svolto, nonche' al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6", aggiungendo al comma 4 che "si considerano vessatorie le clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 che determinano, anche in ragione della non equita' del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell'avvocato". Infine, il comma 10 dispone che "Il giudice, accertate la non equita' del compenso e la vessatorieta' di una clausola a norma dei commi 4, 5 e 6 del presente articolo, dichiara la nullita' della clausola e determina il compenso dell'avvocato tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6". Emerge quindi la evidente volonta' del legislatore di assimilare i parametri minimi fissati dall'apposito decreto alla misura dell'equo compenso, trattandosi di esigenza che trova un suo fondamento costituzionale nell'articolo 35, e che si giustifica al fine di impedire la conclusione di accordi volti a mortificare la professionalita' dell'esercente la professione forense, con la fissazione di compensi meramente simbolici e non consoni al decoro della professione. La misura risulta poi approntata in vista non solo della tutela delle esigenze del professionista, ma anche, di riflesso, delle esigenze dell'utente delle prestazioni stesse, in quanto solo la previsione di un compenso non irrisorio o mortificante risulta in grado di assicurare il mantenimento di standard di professionalita' e diligenza essenziali in vista della tutela anche del diritto di difesa, ove, come nella maggioranza dei casi, il ricorso alle prestazioni del professionista sia funzionale alla difesa in giudizio. Non viene quindi in rilievo solo l'interesse (privato) del professionista a percepire un compenso equo, ma anche un interesse generale (pubblico) di tutela dell'indipendenza e dell'autonomia del professionista, atto a garantire la qualita' e il livello della prestazione offerta nonche' la buona e corretta amministrazione della giustizia, a loro volta indispensabili per assicurare il pieno esplicarsi del diritto di difesa, tanto piu' meritevole di tutela in quanto sancito a livello costituzionale (articolo 24 Cost.). L'assimilazione tra i minimi tariffari e l'equo compenso, perlomeno nei casi rientranti nella previsione di cui al citato articolo 13 bis, trova poi supporto nel rilievo per cui la versione originaria dell'articolo 13-bis, comma 2, imponesse, fra gli altri criteri, affinche' il compenso risultasse equo, di "tenere conto" dei parametri previsti dal decreto ministeriale, cosi' che e' stato sottolineato come l'attuale formulazione, risultante dalla modifica apportata dalla L. n. 205 del 2017, secondo cui il compenso deve essere "conforme" ai parametri, corrisponde ad un ampliamento della tutela degli avvocati, in quanto determina una piu' stringente corrispondenza fra le convenzioni contrattuali ed i parametri legali. La conclusione per l'inderogabilita' dei minimi tariffari in sede di liquidazione giudiziale, ed in assenza di diversa convenzione non appare in alcun modo attinta dalle modifiche apportate al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 del recente Decreto Ministeriale n. 147 del 2022, che, come si evince anche dal parere reso dal Consiglio di Stato sul relativo schema (affare n. 00183/2022, reso all'esito dell'adunanza del 17 febbraio 2022), ha previsto la soppressione, in tutti i commi in cui ricorrono, delle parole "di regola", e cio' nel dichiarato intento (cfr. relazione illustrativa del Ministero della Giustizia) di ridurre il margine di discrezionalita' dell'autorita' giudiziaria nella liquidazione dei compensi, rendere piu' omogena l'applicazione dei parametri e garantire maggiore coesione interna alla categoria degli esercenti la professione forense. Deve poi recisamente negarsi ogni dubbio circa la compatibilita' della soluzione in punto di inderogabilita' dei minimi tariffari con la normativa comunitaria. Giova in tal senso ricordare come l'analogo dubbio postosi in relazione alla disciplina previgente la riforma del 2006 e' stato ritenuto insussistente dalla giurisprudenza della CGUE, che con la sentenza del 19 febbraio 2002 C-35/99 (cd. caso Arduino), adito dal pretore di Pinerolo in merito alla paventata violazione dell'articolo 85 trattato CE da parte della normativa italiana in materia di tariffe forensi, in quanto adottate da un ente qualificabile come associazione di imprese (il Consiglio nazionale forense), ha escluso la ricorrenza di intese restrittive della liberta' di concorrenza. La risposta dei giudici di Lussemburgo e' pero' stata nel senso della piena compatibilita' dei sistemi tariffari con il diritto comunitario della concorrenza, e cio' in quanto gli articoli 5 e 85 del Trattato CE (divenuti articoli 10 CE e 81 CE) non ostano all'adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine professionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell'ordine, qualora tale misura statale sia adottata. Pur essendosi posto in rilevo che l'adozione di tariffe a livello nazionale puo' incidere sulla concorrenza e che, sebbene l'allora articolo 85 del Trattato CE (ora articolo 101 TFUE) riguardasse solo la condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari, cio' non toglieva che tale disposizione, in combinato disposto con l'articolo 5 del Trattato (ora articolo 5 TUE), obbligasse gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l'effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese, tuttavia la Corte ha specificato che l'elaborazione di un progetto di tariffa per le prestazioni professionali non priva automaticamente la tariffa del suo carattere di normativa statale se, come nel caso italiano, lo Stato membro non rinunci ad esercitare il suo potere di decisione in ultima istanza o a controllare l'applicazione della tariffa stessa (punto 40), posto che al CNF era riservato soltanto il ruolo di proporre un progetto di tariffe, le quali venivano poi emanate dal ministero della Giustizia, sentito il parere del CIP e previa consultazione obbligatoria del Consiglio di Stato (secondo quindi un procedimento di formazione del tutto analogo a quello attuale). Sebbene nella sentenza si qualifichi il CNF come associazione di imprese, la Corte ha poi evidenziato che, in forza della lettura combinata dell'articolo 101 TFUE con il principio di leale cooperazione di cui all'articolo 4, par. 3, TFUE, gli Stati membri devono astenersi dall'imporre o dall'agevolare la conclusione di accordi in contrasto con l'articolo 101, astenersi dal rafforzare gli effetti di siffatti accordi, ed astenersi dal privare la normativa nazionale rilevante del suo carattere pubblico, delegando ad operatori privati la responsabilita' di adottare decisioni d'intervento in materia economica. Nella vicenda e' stato pero' ritenuto che lo Stato italiano non avesse rinunciato ad esercitare un controllo decisionale sull'approvazione ed applicazione della tariffa, il escludeva che vi fosse una violazione del diritto UE rilevante. L'arresto del giudice di Lussemburgo e' stato poi favorevolmente recepito dalla giurisprudenza nazionale, in quanto a far data da Cass. n. 7094 del 28 marzo 2006 e' stato ribadito che, in tema di tariffe professionali degli avvocati, e' valida la disposizione statale che fissa il principio della normale inderogabilita' dei minimi degli onorari (conf. Cass. n. 15666/2007; Cass. n. 27090 del 15/12/2011; Cass. n. 15666 del 13/07/2007, che ha esteso la soluzione anche alla inderogabilita' dei minimi delle tariffe professionali dei dottori commercialisti; Cass. n. 15963/2011, quanto alle tariffe notarili). La soluzione del 2002 ha poi ricevuto continuita' con la sentenza della Corte di Giustizia del 5 dicembre 2006 (cd. caso Cipolla e altri) nelle cause riunite C-94/04 e C-202/04, che ha escluso anche la sussistenza di un profilo di incompatibilita' dell'ordinamento della professione, avvalendosi delle medesime argomentazioni formulate nel suo precedente. Il tema della compatibilita' delle tariffe professionali legali connotate da inderogabilita' con i principi della legislazione comunitaria e' stato successivamente oggetto della sentenza della Corte di Giustizia del 29 marzo 2011 nella causa C565/08, avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, che ha pero' escluso che vi fosse la prova che la previsione di tariffe massime per gli avvocati, anche dopo la legge Bersani, violasse gli articoli 43 e 49 del Trattato. Un altro intervento del giudice di Lussemburgo e' stato quello dell'8 dicembre 2016 nelle cause riunite C-532/15 e C538/15, nel quale, pronunciando su rinvio pregiudiziale della Corte distrettuale di Saragoza, ha stabilito la conformita' al diritto UE della determinazione di tariffe fissate per legge per i servizi prestati da procuratori legali senza possibilita' di negoziazione tra le parti, stabilendo infine che le tariffe fisse non vanno ad inficiare la libera concorrenza. In particolare, il giudice remittente aveva posto i seguenti quesiti: "1) Se l'esistenza di una normativa dettata dallo Stato, che prevede il controllo di quest'ultimo nella fissazione dei diritti dei procuratori legali, precisandone per via regolamentare l'importo esatto e obbligatorio e attribuendo agli organi giurisdizionali, specialmente in caso di condanna alle spese, la competenza a controllare in ogni singolo caso la fissazione di tali diritti, benche' siffatto controllo sia limitato a verificare la rigorosa applicazione della tariffa, senza che sia possibile, in casi eccezionali e con decisione motivata, derogare ai limiti stabiliti dalla normativa tariffaria, sia conforme agli articoli 4, paragrafo 3, TUE e 101 TFUE. 2) Se la delimitazione delle nozioni di "motivi imperativi d'interesse generale", "proporzionalita'" e "necessita'" di cui agli articoli 4 e 15 della direttiva 2006/123, operata dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, consenta ai giudici nazionali - nei casi in cui la fissazione della tariffa dei servizi sia prevista da una normativa dello Stato e in cui sussista una dichiarazione tacita (per assenza di disposizioni nella normativa di trasposizione) sull'esistenza di motivi imperativi di interesse generale, benche' un confronto con la giurisprudenza comunitaria non consenta di affermarlo - di ritenere che in un caso particolare sussista una limitazione non giustificata dall'interesse generale e, pertanto, di disapplicare o adeguare la normativa che disciplina i compensi dei procuratori legali. 3) Se l'applicazione di una normativa avente tali caratteristiche possa contrastare con il diritto a un equo processo come interpretato dalla Corte di giustizia". Anche in tale caso la risposta data al primo quesito (essendosi la Corte ritenuta incompetente sugli altri due) e' stata pero' nel senso della compatibilita' della normativa nazionale con il diritto dell'Unione, e cio' proprio facendo leva sull'intervento dello Stato nell'adozione della tariffa, come appunto ribadito nei propri precedenti. Un altro rilevante tassello del mosaico giurisprudenziale si rinviene nella sentenza della Corte giustizia UE sez. I, 23/11/2017, n.427, che ha affermato che l'articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l'articolo 4, paragrafo 3, TUE, dev'essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che, da un lato, non consenta all'avvocato e al proprio cliente di pattuire un onorario d'importo inferiore al minimo stabilito da un regolamento adottato da un'organizzazione di categoria dell'ordine forense, a pena di procedimento disciplinare a carico dell'avvocato medesimo, e, dall'altro, non autorizzi il giudice a disporre la rifusione degli onorari d'importo inferiore a quello minimo, e' idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno ai sensi dell'articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ma che spetta comunque al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalita' applicative, risponda effettivamente ad obiettivi legittimi e se le restrizioni cosi' stabilite siano limitate a quanto necessario per garantire l'attuazione di tali legittimi obiettivi. Inoltre, e' stato altresi' affermato che e' contrario alle regole Ue in materia di libera concorrenza un sistema nazionale che attribuisce a un'organizzazione di categoria di professionisti, senza alcun intervento dell'autorita' pubblica, il potere di stabilire le tariffe minime inderogabili, ma che spetta ai giudici nazionali verificare se un simile sistema possa essere giustificato dal perseguimento di un obiettivo legittimo. La rimessione alla Corte di Giustizia era stata occasionata dalla normativa bulgara, nella quale le tariffe, senza un intervento ovvero un controllo dell'autorita' statale (se non quello di conformita' dei regolamenti adottati dal Consiglio degli avvocati con la Costituzione e la legge bulgare), erano direttamente fissate da parte del Consiglio superiore dell'ordine forense, con la previsione degli importi minimi delle parcelle degli avvocati. La sentenza dopo aver precisato che il Consiglio superiore dell'ordine forense doveva essere qualificato come associazione di imprese, e dopo aver ribadito la necessita' di dover attivare il controllo sul rispetto del divieto di cui all'articolo 101, par. 1, TFUE, pur reputando che la determinazione degli importi minimi degli onorari d'avvocato, resi obbligatori da una normativa nazionale, come quella oggetto di esame, equivaleva alla determinazione orizzontale di tariffe minime imposte, risultando pertanto, idonea a produrre una compressione della concorrenza nel mercato interno, ha pero' rimesso al giudice nazionale la verifica della effettiva compatibilita' della disciplina interna con il diritto dell'UE. A tal fine e' stato evidenziato come l'idoneita' potenziale non e' sufficiente per supporre una violazione conclamata del diritto della concorrenza, occorrendo tenere conto anche del principio di ragionevolezza, tenuto conto del contesto globale nel quale la decisione della associazione di imprese e' stata adottata o e' chiamata a produrre i suoi effetti, oltre che gli obiettivi che essa persegue. Inoltre, e' stato sottolineato come, tra le verifiche demandate al giudice del rinvio, vi fosse anche quella, in ossequio al principio di proporzionalita', circa il fatto che gli effetti prodotti sul gioco della concorrenza non eccedano quanto necessario per il perseguimento degli obiettivi meritori di tutela. Traendo spunto dalle considerazioni da ultimo richiamate, deve percio' escludersi che la normativa italiana, quale derivante dalle modifiche apportate dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018 al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, sia suscettibile di porsi in contrasto con la normativa unionale. In primo luogo, in quanto le tariffe, seppure approntate da parte del CNF, sono poi sottoposte al vaglio ed al controllo dell'autorita' statale, essendo la loro approvazione oggetto di una trasposizione in decreti ministeriali, e con la formulazione di un preventivo parere da parte del Consiglio di Stato. In secondo luogo, in quanto resta impregiudicata la possibilita' per le parti di poter porre in essere degli accordi anche in deroga alle previsioni tariffarie, essendo l'inderogabilita' dettata per il caso di assenza di pattuizioni ovvero di liquidazione giudiziale in danno della parte soccombente. In terzo luogo, perche', come sopra evidenziato, avuto riguardo alla assimilazione sul piano quantitativo dei minimi dettati per i parametri forensi con la disciplina dettata per l'equo compenso, la previsione in punto di inderogabilita' trascende il mero interesse privato della categoria professionale, ma assolve alla tutela di interesse di carattere pubblico. Infatti, la previsione di una soglia minima per i compensi al di sotto della quale non e' dato scendere assicura una garanzia di tipo economico che si traduce nella tutela dell'indipendenza e dell'autonomia del professionista, e che, oltre ad assicurare la qualita' ed il livello della prestazione offerta, si riflette anche nella adeguata assicurazione del diritto di difesa, impedendo che possano essere superati gli standard minimi di diligenza e cura degli interessi del cliente, che viceversa tariffe eccessivamente mortificanti potrebbero compromettere (in tale direzione si veda anche CGUE 4 luglio 2019 causa C-377/17, relativa alla normativa della Germania che prevede tariffe minime obbligatorie per gli architetti e gli ingegneri, ritenute in astratto compatibili con l'articolo 15 della direttiva 2006/123, in quanto necessarie e proporzionate alla realizzazione di un motivo imperativo di interesse generale, quale puo' essere quello di assicurare la qualita' delle prestazioni di progettazione, a tutela dei consumatori, della sicurezza delle costruzioni, della salvaguardia della cultura architettonica e della costruzione ecologica, ma che nella specie sono state in concreto reputate incompatibili con il diritto unionale in quanto le prestazioni interessate dalle tariffe e precisamente quelle di progettazione, non erano riservate a determinate professioni soggette alla vigilanza obbligatoria in forza della legislazione professionale o da parte degli ordini professionali, circostanza questa che non ricorre per le prestazioni forensi rese in Italia, in quanto riservate in esclusiva agli iscritti agli ordini professionali). Deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto: ai fini della liquidazione in sede giudiziale del compenso spettante all'avvocato nel rapporto col proprio cliente, in caso di mancata determinazione consensuale, come ai fini della liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente, ovvero in caso di liquidazione del compenso del difensore della parte ammessa al beneficio patrocinio a spese dello Stato nella vigenza del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 1, e articolo 12, comma 1, come modificati dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018, il giudice non puo' in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate. Nella specie, il Tribunale, pur avendo individuato il compenso sulla base del valore minimo (gia' quindi interessato da una riduzione del 50% del valore medio) e sulla base dello scaglione inferiore, ha poi provveduto ad un'ulteriore decurtazione del 62,5%, come detto non consentita, errando altresi' nell'applicare l'ulteriore riduzione dettata per la liquidazione in caso di patrocinio a spese dello Stato, facendo applicazione dell'articolo 106 bis del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, norma dettata per il processo penale, e non anche di quella di cui all'articolo 130, espressamente prevista per le controversie civili. Il motivo deve quindi essere accolto. Il provvedimento impugnato deve quindi essere cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Grosseto, in persona di diverso magistrato, che provvedera' anche sulle spese del giudizio di legittimita'. P.Q.M. Accoglie il quarto motivo di ricorso, e rigettati i primi tre, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale di Grosseto, in persona di diverso magistrato.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D'ASCOLA Pasquale - Presidente Dott. TEDESCO Giuseppe - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 2290-2022 proposto da: (OMISSIS), quale difensore di se' stessa, elettivamente domiciliata presso il proprio studio in (OMISSIS); - ricorrente - contro MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO; che lo rappresenta e difende ope legis; - controricorrente - avverso l'ordinanza del TRIBUNALE di ROMA depositata il 15/06/2021; Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. ALDO CENICCOLA, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/02/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO. RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il Tribunale di Roma, decidendo sull'opposizione proposta dall'avv. (OMISSIS), Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 170 avverso il decreto di liquidazione dei compensi emesso in data 18/11/2019 in favore dell'opponente, ed in relazione ai compensi maturati per la difesa prestata in un procedimento di scioglimento del matrimonio civile svoltosi dinanzi allo stesso Tribunale, in favore di (OMISSIS), rigettava l'opposizione, che verteva solo sulla congruita' della liquidazione. Dopo aver ricordato che ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 82: "L'onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall'autorita' giudiziaria con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennita', tenuto conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa", evidenziava che costituiva principio affermato in sede di legittimita' quello secondo cui in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione. Tale regola trovava anche applicazione in vista della liquidazione del compenso per la parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Dagli atti, emergeva che l'avv. (OMISSIS) aveva redatto un breve ricorso evidenziando le responsabilita' dell'altro coniuge, chiedendo l'affidamento congiunto del figlio minore, con collocamento presso di lui, difese poi reiterate anche nei successivi scritti difensivi. Doveva quindi reputassi che ricorresse una limitata complessita' della vicenda, in relazione alle questioni trattate, che era sufficiente ed idonea a legittimare una riduzione del compenso oltre i parametri minimi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, dovendosi anche concordare circa la non liquidabilita' dei compensi per la fase istruttoria, in quanto non vi era stata alcuna autonoma istanza di prova, ne' il compimento di alcuna delle attivita' descritte del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4 tra cui non rientrava il deposito di documenti su richiesta del giudice o l'esame della relazione dei servizi sociali (non paragonabili ad un CTU), il cui intervento non ha previsto la partecipazione del difensore. Per la cassazione di tale ordinanza propone ricorso (OMISSIS) sulla base di due motivi. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82, 84 e 130 (t.u. spese di giustizia) e dell'articolo 2233 c.c., comma 2, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n 3, nella parte in cui il tribunale ha rigettato l'opposizione Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articolo 15 senza pronuncia sull'autonomo motivo di opposizione costituito dall'indeterminatezza dei criteri di liquidazione, stante la liquidazione dei compensi in modo parziale e forfettario, per l'attivita' svolta in favore della parte ammessa al patrocinio a spese dello stato; mancata ed errata valutazione dell'attivita' effettivamente svolta dal difensore, percio' arrecando lesione al decoro professionale; nella parte in cui ha confermato la derogabilita' dei minimi tariffari per la motivazione apparente della limitata complessita' della vicenda. Si deduce che con i motivi di opposizione si era lamentata l'assenza di specificita' del decreto opposto e la genericita' del quantum liquidato determinato complessivamente in Euro 900,00, senza una puntuale motivazione circa le voci riconosciute. Il Tribunale aveva liquidato i compensi per sole tre fasi (di studio, introduttiva e decisionale) ma non aveva chiarito se la liquidazione operava con riferimento ai valori (medi o minimi) della tariffa forense applicati, ne' quale fosse lo scaglione di valore considerato. Nell'istanza di liquidazione del compenso avanzata dalla ricorrente era stato specificamente richiesto l'importo di Euro 2.417,50, calcolato in base allo scaglione da Euro 5.201,00 ad Euro 26.000,00 (valore indeterminabile minimo per cause di divorzio), e sulla base dei valori medi, per un totale complessivo Euro 4.835,00, ridotto poi del 50% Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 130 ad Euro 2.417,50 oltre accessori di legge. Il Decreto Ministeriale n. 37 del 2018 dispone, infatti, che il giudice deve tenere conto dei valori medi espressi dalle tariffe forensi che, in applicazione dei parametri generali (caratteristiche, natura e difficolta' dell'affare, etc.) possono essere di regola aumentati fino all'80% o diminuiti in ogni caso non oltre il 50%, dizione questa che rende oggi impossibile procedere a riduzioni di entita' maggiore. Quindi il Tribunale avrebbe dovuto fare applicazione dei valori medi delle tabelle, anche se solo per le tre fasi considerate, cosi' da pervenire non all'importo di Euro 900,00 come liquidato in decreto, bensi' all'importo di Euro 1.617,50, per un ammontare complessivo Euro 3.235,00, che ridotto del 50% e' pari ad Euro 1.617,50. Si deduce che il provvedimento impugnato non si e' pronunciato su tale questione il che imporrebbe la riforma dell'ordinanza, con rinvio al Tribunale che dovra' emettere un nuovo provvedimento con l'indicazione specifica delle singole voci di compenso liquidate e dello scaglione di valore considerato applicabile. Si assume altresi' che sia insufficiente, formale, inconsistente, apodittica e riduttiva la ragione della decisione di ridurre il compenso oltre i minimi tariffari, individuata nella "limitata complessita' della vicenda", in quanto trattasi di formula generica ed inidonea a consentire l'individuazione delle questioni la cui semplicita' importerebbe l'esercizio del potere di ridurre il compenso all'avvocato. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 82 e del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 5, lettera c), in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui ha rigettato l'opposizione Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articolo 15 negando la liquidazione del compenso per la fase istruttoria. Il Tribunale ha escluso il compenso per la fase istruttoria "in quanto non vi e' stata alcuna autonoma istanza di prova, ne' il compimento di alcuna delle attivita' descritte dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4 tra cui non rientra il deposito di documenti su richiesta del giudice o l'esame della relazione dei servizi sociali (non paragonabili ad un CTU), il cui intervento non ha previsto la partecipazione del difensore" (cfr. pag. 2 provvedimento impugnato), ma trattasi di affermazione che contrasta con la giurisprudenza di legittimita', che ha invece riconosciuto il compenso per la detta fase anche laddove non siano state espletate prove orali, ne' disposta CTU, essendo sufficiente anche la sola proposizione di istanze istruttorie ovvero il deposito di memorie memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande. Nella fattispecie la ricorrente aveva svolto attivita' istruttoria e di trattazione, per la quale ha diritto alla liquidazione del compenso, avendo depositato dei documenti in virtu' del decreto del Giudice che ne ordinava il deposito ed aveva assistito la parte ammessa al patrocinio in occasione dell'indagine svolta dai Servizi Sociali incaricati dal Giudice di fornire una relazione sul nucleo familiare e sulle condizioni di vita del minore. Inoltre, aveva provveduto al deposito di memoria integrativa all'esito dell'ordinanza di mutamento del rito e di prosecuzione del giudizio a cognizione piena, tutte attivita' rientranti nella nozione di fase istruttoria quale delineata dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 5, lettera c). Si palesa quindi erroneo il mancato riconoscimento dei compensi anche per tale fase. Ritiene il Collegio che debba essere esaminato in via prioritaria il secondo motivo di ricorso che si palesa fondato. Infatti, il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 5, lettera e) individua esemplificativamente come attivita' suscettibili di legittimare la liquidazione del compenso per la fase istruttoria: "le richieste di prova, le memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande o dei motivi d'impugnazione, eccezioni e conclusioni, l'esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell'istruzione, gli adempimenti o le prestazioni connesse ai suddetti provvedimenti giudiziali, le partecipazioni e assistenze relative ad attivita' istruttorie, gli atti necessari per la formazione della prova o del mezzo istruttorio anche quando disposto d'ufficio, la designazione di consulenti di parte, l'esame delle corrispondenti attivita' e designazioni delle altre parti, l'esame delle deduzioni dei consulenti d'ufficio o delle altre parti, la notificazione delle domande nuove o di altri atti nel corso del giudizio compresi quelli al contumace, le relative richieste di copie al cancelliere, le istanze al giudice in qualsiasi forma, le dichiarazioni rese nei casi previsti dalla legge, le deduzioni a verbale, le intimazioni dei testimoni, comprese le notificazioni e l'esame delle relative relate, i procedimenti comunque incidentali comprese le querele di falso e quelli inerenti alla verificazione delle scritture private. Al fine di valutare il grado di complessita' della fase rilevano, in particolare, le plurime memorie per parte, necessarie o autorizzate dal giudice, comunque denominate ma non meramente illustrative, ovvero le plurime richieste istruttorie ammesse per ciascuna parte e le plurime prove assunte per ciascuna parte. La fase rileva ai fini della liquidazione del compenso quando effettivamente svolta". La giurisprudenza di questa Corte ha poi chiarito che, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per la fase istruttoria, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 5, lettera c) rileva anche l'esame dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell'istruzione, compresi quelli da cui puo' desumersi la non necessita' di procedere all'istruzione stessa (Cass. n. 20993 del 02/10/2020), essendosi anche reputata sufficiente a tal fine (Cass. n. 34575/2021) la trattazione del processo, anche in assenza di istruzione probatoria, e cio' in quanto (Cass. n. 4698/2019) rilevano non solo l'espletamento di prove orali e di ctu, ma anche le ulteriori attivita' difensive che il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 5, lettera c), include in detta fase, tra cui pure le richieste di prova e le memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande gia' proposte. Nella fattispecie, oltre ad emergere l'avvenuta produzione di documenti da parte della ricorrente nell'interesse del proprio assistito, risulta anche che il Tribunale abbia sollecitato ai servizi sociali una relazione circa le condizioni in cui versava il figlio minore, attivita' questa che, seppur non qualificabile come espletamento di una CTU, costituisce sicuramente attivita' di carattere istruttorio ai sensi della norma richiamata, legittimante quindi il riconoscimento al difensore del relativo compenso. Il motivo deve quindi essere accolto, imponendosi la cassazione dell'ordinanza con rinvio al giudice di merito affinche' provveda a liquidare il compenso anche per la fase istruttoria. La necessita' di attribuire il compenso anche per tale fase rende poi evidente come sia meritevole di accoglimento il primo motivo in quanto, ancorche' il Tribunale abbia liquidato erroneamente il compenso solo per tre fasi, e con esclusione di quella istruttoria, l'ordinanza gravata ha pero' ritenuto conforme a diritto la liquidazione effettuata in Euro 900,00, sul presupposto che anche i minimi tariffari di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 siano suscettibili di ulteriore riduzione con adeguata motivazione. Il motivo pone quindi all'attenzione della Corte la questione circa la possibilita' per il giudice, nel caso di assenza di accordo tra le parti circa la determinazione del compenso, ovvero in caso di liquidazione delle spese di lite a carico del soccombente, ovvero in caso di liquidazione del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, di poter derogare, sia pure in maniera motivata, ai minimi dettati dai parametri dettati in base alla previsione di cui alla L. n. 247 del 2012, articolo 13 per effetto della novella del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, operata dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018, e confermata dalle previsioni di cui al Decreto Ministeriale n. 147 del 2022. Occorre a tal fine ricordare che il codice del 1942 affida la determinazione del compenso dei professionisti intellettuali ai criteri individuati dall'articolo 2233 c.c., ordinati secondo una specifica gerarchia entro la quale figurano anche le tariffe. La peculiarita' di queste ultime, nell'ambito della professione forense, in passato, emergeva dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 24, il quale, a pena di nullita', imponeva l'inderogabilita' degli onorari minimi, divieto che, fra l'altro, veniva interpretato in maniera rigorosa dalla giurisprudenza, che riteneva che in tal modo fosse assicurato il rispetto del criterio di adeguatezza al decoro della professione posto dall'articolo 2233 c.c., comma 2, per garantire una libera concorrenza sul mercato e per proteggere i clienti dall'imposizione di compensi eccessivamente elevati. La c.d. riforma Bersani (Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in L. n. 248 del 2006), ha comportato l'abrogazione di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle prestazioni professionali, " l'obbligatorieta' di tariffe fisse o minime ", sul presupposto che tale scelta fosse imposta dalla normativa di rango comunitario, che non tollerava piu' un'imposizione vincolante delle tariffe professionali, essendo incompatibile con i principi comunitari di libera concorrenza e libera circolazione delle persone e dei servizi (e cio' sebbene, come si dira' oltre, tale incompatibilita' della precedente disciplina con gli obblighi derivanti non avesse avuto seguito nella giurisprudenza della Corte di Giustizia). Il Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, articolo 9, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, ha provveduto all'abrogazione delle tariffe (comma 1), sostituendole con i parametri (comma 2), ed a tale intervento normativo fece seguito l'emanazione della L. 31 dicembre 2012, n. 247, recante la nuova disciplina dell'ordinamento forense e dunque concernente, a differenza del Decreto Legge n. 1 del 2012, soltanto gli avvocati e non anche le altre figure di professionisti, ma l'articolo 13, commi 6 e 7, di tale legge riprende i parametri gia' introdotti per tutte le professioni intellettuali dal Decreto Legge n. 1 del 2012. Nelle more dell'emanazione della L. n. 247 del 2012, stante l'avvenuta abrogazione delle tariffe, era stato pero' emanato il Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, volto a fissare i nuovi criteri di determinazione dei compensi dei professionisti forensi. Per quanto rileva ai fini della questione in esame il decreto n. 140 contiene l'esplicita affermazione del carattere sussidiario della liquidazione giudiziale del compenso rispetto all'accordo delle parti e della possibilita' di ricorrere all'analogia per risolvere i casi non espressamente menzionati nel regolamento (entrambi esplicitati nell'articolo 1, comma 1), nonche' l'affermazione della non vincolativita' delle soglie indicate per la determinazione del compenso, nelle tabelle allegate al regolamento, anche a mezzo di percentuale sia nei minimi che nei massimi. La L. n. 247 del 2012, articolo 13 per cio' che attiene alla determinazione dei compensi, al comma 6, dispone che: "I parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale e' resa nell'interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge", ed al successivo comma 7 precisa che: "I parametri sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali e l'unitarieta' e la semplicita' nella determinazione dei compensi". In attuazione di tale norma e' stato poi emesso il Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, che sostituito integralmente, per gli esercenti la professione forense, sia la parte generale che quella che era loro specificamente dedicata (articoli 2 - 14) del Decreto Ministeriale 20 luglio 2012, n. 140. La novella, pur avendo lasciato immutato il criterio di liquidazione, per le quattro fasi processuali distinte gia' individuate, secondo una ripartizione valida per tutti gli organi giurisdizionali davanti ai quali venga svolta l'attivita', e onnicomprensive, ha pero' nella sostanza confermato la possibilita' di deroga ai valori minimi e massimi, quali scaturenti dalle percentuali di aumento e diminuzione massimi che il giudice puo' apportare ai valori medi, essendo stato valorizzato l'utilizzo dell'inciso "di regola" per indicare l'entita' dell'aumento o della diminuzione, in quanto volto a sottendere come tali indicazioni non sono vincolanti per il giudice che puo' quindi anche discostarsi da esse nella misura che ritenga adeguata al caso specifico, purche' ne dia conto in motivazione. A conforto di tale conclusione si pone anche la relazione illustrativa al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 che chiarisce tale aspetto laddove, nella parte dedicata ad illustrare la proposta del CNF, (par. b), affermando che il predetto inciso, cosi' come l'avverbio "orientativamente", erano stati introdotti al fine di sottolineare la non vincolativita' dei parametri, in linea di continuita' con quanto disposto dal Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, articolo 1, comma 7. La successiva giurisprudenza di legittimita' ha avallato tale lettura della norma, essendo pervenuta reiteratamente ad affermare che, nella vigenza delle previsioni di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non e' soggetto al controllo di legittimita', attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione e' doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. n. 14198 del 05/05/2022; Cass. n. 19989 del 13/07/2021; Cass. n. 89 del 07/01/2021, Cass. n. 2386 del 31/01/2017; Cass. n. 11601 del 14/05/2018). Resta pero' in ogni caso precluso al giudice di poter liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione" (cfr. ex plurimis Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2386; Cass. civ., 31 luglio 2018, n. 20183; contra, Cass. civ., 17 gennaio 2018, n. 1018 e Cass. civ., 5 novembre 2018, n. 28267). Il quadro normativo ha poi subito un'ulteriore variazione a seguito dell'emanazione del Decreto Ministeriale n. 37 del 2018, entrato in vigore il 27 aprile 2018, che ha modificato solo alcune delle previsioni del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014. Ai fini che rilevano la modifica ha integrato i parametri per la determinazione dei compensi, sia per l'attivita' giudiziale che per quella stragiudiziale (rispettivamente articoli 4 e 19) precisando che la riduzione, rispetto al valore medio di liquidazione non puo' essere superiore alla misura del 50% (per la sola fase istruttoria fino al 70%) mentre l'aumento puo' essere anche superiore alla percentuale fissata di regola nell'80%, eliminando per il potere di riduzione l'espressione "di regola" che aveva appunto giustificato l'interpretazione volta a consentire, sia pure con motivazione, la liquidazione anche al di sotto dei minimi tariffari. La significativita' della modifica del testo delle norme richiamate si ricava anche dalle argomentazioni spese dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema del decreto del 2018 (parere numero 02703/2017 del 27/12/2017), nel quale si sottolinea come tra gli obiettivi del Ministero vi fosse anche quello di "superare l'incertezza applicativa ingenerata dalla possibilita', nell'attuale sistema parametrale, che il giudice provveda alla liquidazione del compenso dell'avvocato senza avere come riferimento alcuna soglia numerica minima, rendendo inadeguata la remunerazione della prestazione professionale", limitando quindi ".... il perimetro di discrezionalita' riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non e' possibile andare". Nel parere, inoltre, si rimarcava come la modifica proposta non si palesasse in contrasto neanche con la normativa Europea in materia anche alla luce delle argomentazioni contenute nella sentenza n. 427 del 23 novembre 2017 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Nella specie, si segnalava che, rispetto alla vicenda vagliata dal giudice Eurounitario, il provvedimento che fissa i parametri, oltre che essere adottato non da un'organizzazione di rappresentanza della categoria forense ma dal Ministro della giustizia, rispondeva anche all'esigenza di perseguire precisi criteri d'interesse pubblico stabiliti dalla legge quali la trasparenza e l'unitarieta' nella determinazione dei compensi professionali. La necessita' di interpretare le novellate previsioni per effetto del Decreto Ministeriale n. 37 del 2018 come intese a ribadire l'inderogabilita' da parte del giudice, chiamato a liquidare i compensi a carico del soccombente ovvero in assenza di preventivo accordo tra le parti, dei minimi fissati dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, rinviene poi un argomento di carattere sistematico nella pressoche' coeva introduzione della disciplina in tema di equo compenso per le attivita' professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, nonche' di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, previsto dall'articolo 13-bis, comma 1, della legge forense, come inserito dal Decreto Legge 16 ottobre 2017, n. 148, articolo 19-quaterdecies, comma 1, recante "Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili", convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172. In particolare, il comma 2 dispone che "si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni di cui al comma 1 quando risulta proporzionato alla quantita' e alla qualita' del lavoro svolto, nonche'' al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6", aggiungendo al comma 4 che "si considerano vessatorie le clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 che determinano, anche in ragione della non equita' del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell'avvocato". Infine, il comma 10 dispone che "Il giudice, accertate la non equita' del compenso e la vessatorieta' di una clausola a norma dei commi 4, 5 e 6 del presente articolo, dichiara la nullita' della clausola e determina il compenso dell'avvocato tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6". Emerge quindi la evidente volonta' del legislatore di assimilare i parametri minimi fissati dall'apposito decreto alla misura dell'equo compenso, trattandosi di esigenza che trova un suo fondamento costituzionale nell'articolo 35, e che si giustifica al fine di impedire la conclusione di accordi volti a mortificare la professionalita' dell'esercente la professione forense, con la fissazione di compensi meramente simbolici e non consoni al decoro della professione. La misura risulta poi approntata in vista non solo della tutela delle esigenze del professionista, ma anche, di riflesso, delle esigenze dell'utente delle prestazioni stesse, in quanto solo la previsione di un compenso non irrisorio o mortificante risulta in grado di assicurare il mantenimento di standard di professionalita' e diligenza essenziali in vista della tutela anche del diritto di difesa, ove, come nella maggioranza dei casi, il ricorso alle prestazioni del professionista sia funzionale alla difesa in giudizio. Non viene quindi in rilievo solo l'interesse (privato) del professionista a percepire un compenso equo, ma anche un interesse generale (pubblico) di tutela dell'indipendenza e dell'autonomia del professionista, atto a garantire la qualita' e il livello della prestazione offerta nonche' la buona e corretta amministrazione della giustizia, a loro volta indispensabili per assicurare il pieno esplicarsi del diritto di difesa, tanto piu' meritevole di tutela in quanto sancito a livello costituzionale (articolo 24 Cost.). L'assimilazione tra i minimi tariffari e l'equo compenso, perlomeno nei casi rientranti nella previsione di cui al citato articolo 13 bis, trova poi supporto nel rilievo per cui la versione originaria dell'articolo 13-bis, comma 2, imponesse, fra gli altri criteri, affinche' il compenso risultasse equo, di "tenere conto" dei parametri previsti dal decreto ministeriale, cosi' che e' stato sottolineato come l'attuale formulazione, risultante dalla modifica apportata dalla l. n. 205/2017, secondo cui il compenso deve essere "conforme" ai parametri, corrisponde ad un ampliamento della tutela degli avvocati, in quanto determina una piu' stringente corrispondenza fra le convenzioni contrattuali ed i parametri legali. La conclusione per l'inderogabilita' dei minimi tariffari in sede di liquidazione giudiziale, ed in assenza di diversa convenzione non appare in alcun modo attinta dalle modifiche apportate al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 del recente Decreto Ministeriale n. 147 del 2022, che, come si evince anche dal parere reso dal Consiglio di Stato sul relativo schema (affare n. (OMISSIS), reso all'esito dell'adunanza del 17 febbraio 2022), ha previsto la soppressione, in tutti i commi in cui ricorrono, delle parole "di regola", e cio' nel dichiarato intento (cfr. relazione illustrativa del Ministero della Giustizia) di ridurre il margine di discrezionalita' dell'autorita' giudiziaria nella liquidazione dei compensi, rendere piu' omogena l'applicazione dei parametri e garantire maggiore coesione interna alla categoria degli esercenti la professione forense. Deve poi recisamente negarsi ogni dubbio circa la compatibilita' della soluzione in punto di inderogabilita' dei minimi tariffari con la normativa comunitaria. Giova in tal senso ricordare come l'analogo dubbio postosi in relazione alla disciplina previgente la riforma del 2006 e' stato ritenuto insussistente dalla giurisprudenza della CGUE, che con la sentenza del 19 febbraio 2002 C-35/99 (cd. caso Arduino), adito dal pretore di Pinerolo in merito alla paventata violazione dell'articolo 85 trattato CE da parte della normativa italiana in materia di tariffe forensi, in quanto adottate da un ente qualificabile come associazione di imprese (il Consiglio nazionale forense), ha escluso la ricorrenza di intese restrittive della liberta' di concorrenza. La risposta dei giudici di Lussemburgo e' pero' stata nel senso della piena compatibilita' dei sistemi tariffari con il diritto comunitario della concorrenza, e cio' in quanto gli articoli 5 e 85 del Trattato CE (divenuti articoli 10 CE e 81 CE) non ostano all'adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine professionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell'ordine, qualora tale misura statale sia adottata. Pur essendosi posto in rilevo che l'adozione di tariffe a livello nazionale puo' incidere sulla concorrenza e che, sebbene l'allora articolo 85 del Trattato CE (ora articolo 101 TFUE) riguardasse solo la condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari, cio' non toglieva che tale disposizione, in combinato disposto con l'articolo 5 del Trattato (ora articolo 5 TUE), obbligasse gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l'effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese, tuttavia la Corte ha specificato che l'elaborazione di un progetto di tariffa per le prestazioni professionali non priva automaticamente la tariffa del suo carattere di normativa statale se, come nel caso italiano, lo Stato membro non rinunci ad esercitare il suo potere di decisione in ultima istanza o a controllare l'applicazione della tariffa stessa (punto 40), posto che al CNF era riservato soltanto il ruolo di proporre un progetto di tariffe, le quali venivano poi emanate dal ministero della Giustizia, sentito il parere del CIP e previa consultazione obbligatoria del Consiglio di Stato (secondo quindi un procedimento di formazione del tutto analogo a quello attuale). Sebbene nella sentenza si qualifichi il CNF come associazione di imprese, la Corte ha poi evidenziato che, in forza della lettura combinata dell'articolo 101 TFUE con il principio di leale cooperazione di cui all'articolo 4, par. 3, TFUE, gli Stati membri devono astenersi dall'imporre o dall'agevolare la conclusione di accordi in contrasto con l'articolo 101, astenersi dal rafforzare gli effetti di siffatti accordi, ed astenersi dal privare la normativa nazionale rilevante del suo carattere pubblico, delegando ad operatori privati la responsabilita' di adottare decisioni d'intervento in materia economica. Nella vicenda e' stato pero' ritenuto che lo Stato italiano non avesse rinunciato ad esercitare un controllo decisionale sull'approvazione ed applicazione della tariffa, il escludeva che vi fosse una violazione del diritto UE rilevante. L'arresto del giudice di Lussemburgo e' stato poi favorevolmente recepito dalla giurisprudenza nazionale, in quanto a far data da Cass. n. 7094 del 28 marzo 2006 e' stato ribadito che, in tema di tariffe professionali degli avvocati, e' valida la disposizione statale che fissa il principio della normale inderogabilita' dei minimi degli onorari (conf. Cass. n. 15666/2007; Cass. n. 27090 del 15/12/2011; Cass. n. 15666 del 13/07/2007, che ha esteso la soluzione anche alla inderogabilita' dei minimi delle tariffe professionali dei dottori commercialisti; Cass. n. 15963/2011, quanto alle tariffe notarili). La soluzione del 2002 ha poi ricevuto continuita' con la sentenza della Corte di Giustizia del 5 dicembre 2006 (cd. caso Cipolla e altri) nelle cause riunite C-94/04 e C-202/04, che ha escluso anche la sussistenza di un profilo di incompatibilita' dell'ordinamento della professione, avvalendosi delle medesime argomentazioni formulate nel suo precedente. Il tema della compatibilita' delle tariffe professionali legali connotate da inderogabilita' con i principi della legislazione comunitaria e' stato successivamente oggetto della sentenza della Corte di Giustizia del 29 marzo 2011 nella causa C565/08, avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, che ha pero' escluso che vi fosse la prova che la previsione di tariffe massime per gli avvocati, anche dopo la legge Bersani, violasse gli articoli 43 e 49 del Trattato. Un altro intervento del giudice di Lussemburgo e' stato quello dell'8 dicembre 2016 nelle cause riunite C-532/15 e C538/15, nel quale, pronunciando su rinvio pregiudiziale della Corte distrettuale di Saragoza, ha stabilito la conformita' al diritto UE della determinazione di tariffe fissate per legge per i servizi prestati da procuratori legali senza possibilita' di negoziazione tra le parti, stabilendo infine che le tariffe fisse non vanno ad inficiare la libera concorrenza. In particolare, il giudice remittente aveva posto i seguenti quesiti: "1) Se l'esistenza di una normativa dettata dallo Stato, che prevede il controllo di quest'ultimo nella fissazione dei diritti dei procuratori legali, precisandone per via regolamentare l'importo esatto e obbligatorio e attribuendo agli organi giurisdizionali, specialmente in caso di condanna alle spese, la competenza a controllare in ogni singolo caso la fissazione di tali diritti, benche' siffatto controllo sia limitato a verificare la rigorosa applicazione della tariffa, senza che sia possibile, in casi eccezionali e con decisione motivata, derogare ai limiti stabiliti dalla normativa tariffaria, sia conforme agli articoli 4, paragrafo 3, TUE e 101 TFUE. 2) Se la delimitazione delle nozioni di "motivi imperativi d'interesse generale", "proporzionalita'" e "necessita'" di cui agli articoli 4 e 15 della direttiva 2006/123, operata dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, consenta ai giudici nazionali - nei casi in cui la fissazione della tariffa dei servizi sia prevista da una normativa dello Stato e in cui sussista una dichiarazione tacita (per assenza di disposizioni nella normativa di trasposizione) sull'esistenza di motivi imperativi di interesse generale, benche' un confronto con la giurisprudenza comunitaria non consenta di affermarlo - di ritenere che in un caso particolare sussista una limitazione non giustificata dall'interesse generale e, pertanto, di disapplicare o adeguare la normativa che disciplina i compensi dei procuratori legali. 3) Se l'applicazione di una normativa avente tali caratteristiche possa contrastare con il diritto a un equo processo come interpretato dalla Corte di giustizia". Anche in tale caso la risposta data al primo quesito (essendosi la Corte ritenuta incompetente sugli altri due) e' stata pero' nel senso della compatibilita' della normativa nazionale con il diritto dell'Unione, e cio' proprio facendo leva sull'intervento dello Stato nell'adozione della tariffa, come appunto ribadito nei propri precedenti. Un altro rilevante tassello del mosaico giurisprudenziale si rinviene nella sentenza della Corte giustizia UE sez. I, 23/11/2017, n. 427, che ha affermato che l'articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l'articolo 4, paragrafo 3, TUE, dev'essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che, da un lato, non consenta all'avvocato e al proprio cliente di pattuire un onorario d'importo inferiore al minimo stabilito da un regolamento adottato da un'organizzazione di categoria dell'ordine forense, a pena di procedimento disciplinare a carico dell'avvocato medesimo, e, dall'altro, non autorizzi il giudice a disporre la rifusione degli onorari d'importo inferiore a quello minimo, e' idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno ai sensi dell'articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ma che spetta comunque al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalita' applicative, risponda effettivamente ad obiettivi legittimi e se le restrizioni cosi' stabilite siano limitate a quanto necessario per garantire l'attuazione di tali legittimi obiettivi. Inoltre, e' stato altresi' affermato che e' contrario alle regole Ue in materia di libera concorrenza un sistema nazionale che attribuisce a un'organizzazione di categoria di professionisti, senza alcun intervento dell'autorita' pubblica, il potere di stabilire le tariffe minime inderogabili, ma che spetta ai giudici nazionali verificare se un simile sistema possa essere giustificato dal perseguimento di un obiettivo legittimo. La rimessione alla Corte di Giustizia era stata occasionata dalla normativa bulgara, nella quale le tariffe, senza un intervento ovvero un controllo dell'autorita' statale (se non quello di conformita' dei regolamenti adottati dal Consiglio degli avvocati con la Costituzione e la legge bulgare), erano direttamente fissate da parte del Consiglio superiore dell'ordine forense, con la previsione degli importi minimi delle parcelle degli avvocati. La sentenza dopo aver precisato che il Consiglio superiore dell'ordine forense doveva essere qualificato come associazione di imprese, e dopo aver ribadito la necessita' di dover attivare il controllo sul rispetto del divieto di cui all'articolo 101, par. 1, TFUE, pur reputando che la determinazione degli importi minimi degli onorari d'avvocato, resi obbligatori da una normativa nazionale, come quella oggetto di esame, equivaleva alla determinazione orizzontale di tariffe minime imposte, risultando pertanto, idonea a produrre una compressione della concorrenza nel mercato interno, ha pero' rimesso al giudice nazionale la verifica della effettiva compatibilita' della disciplina interna con il diritto dell'UE. A tal fine e' stato evidenziato come l'idoneita' potenziale non e' sufficiente per supporre una violazione conclamata del diritto della concorrenza, occorrendo tenere conto anche del principio di ragionevolezza, tenuto conto del contesto globale nel quale la decisione della associazione di imprese e' stata adottata o e' chiamata a produrre i suoi effetti, oltre che gli obiettivi che essa persegue. Inoltre, e' stato sottolineato come, tra le verifiche demandate al giudice del rinvio, vi fosse anche quella, in ossequio al principio di proporzionalita', circa il fatto che gli effetti prodotti sul gioco della concorrenza non eccedano quanto necessario per il perseguimento degli obiettivi meritori di tutela. Traendo spunto dalle considerazioni da ultimo richiamate, deve percio' escludersi che la normativa italiana, quale derivante dalle modifiche apportate dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018 al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, sia suscettibile di porsi in contrasto con la normativa unionale. In primo luogo, in quanto le tariffe, seppure approntate da parte del CNF, sono poi sottoposte al vaglio ed al controllo dell'autorita' statale, essendo la loro approvazione oggetto di una trasposizione in decreti ministeriali, e con la formulazione di un preventivo parere da parte del Consiglio di Stato. In secondo luogo, in quanto resta impregiudicata la possibilita' per le parti di poter porre in essere degli accordi anche in deroga alle previsioni tariffarie, essendo l'inderogabilita' dettata per il caso di assenza di pattuizioni ovvero di liquidazione giudiziale in danno della parte soccombente. In terzo luogo, perche', come sopra evidenziato, avuto riguardo alla assimilazione sul piano quantitativo dei minimi dettati per i parametri forensi con la disciplina dettata per l'equo compenso, la previsione in punto di inderogabilita' trascende il mero interesse privato della categoria professionale, ma assolve alla tutela di interesse di carattere pubblico. Infatti, la previsione di una soglia minima per i compensi al di sotto della quale non e' dato scendere assicura una garanzia di tipo economico che si traduce nella tutela dell'indipendenza e dell'autonomia del professionista, e che, oltre ad assicurare la qualita' ed il livello della prestazione offerta, si riflette anche nella adeguata assicurazione del diritto di difesa, impedendo che possano essere superati gli standard minimi di diligenza e cura degli interessi del cliente, che viceversa tariffe eccessivamente mortificanti potrebbero compromettere (in tale direzione si veda anche CGUE 4 luglio 2019 causa C-377/17, relativa alla normativa della Germania che prevede tariffe minime obbligatorie per gli architetti e gli ingegneri, ritenute in astratto compatibili con l'articolo 15 della direttiva 2006/123, in quanto necessarie e proporzionate alla realizzazione di un motivo imperativo di interesse generale, quale puo' essere quello di assicurare la qualita' delle prestazioni di progettazione, a tutela dei consumatori, della sicurezza delle costruzioni, della salvaguardia della cultura architettonica e della costruzione ecologica, ma che nella specie sono state in concreto reputate incompatibili con il diritto unionale in quanto le prestazioni interessate dalle tariffe e precisamente quelle di progettazione, non erano riservate a determinate professioni soggette alla vigilanza obbligatoria in forza della legislazione professionale o da parte degli ordini professionali, circostanza questa che non ricorre per le prestazioni forensi rese in Italia, in quanto riservate in esclusiva agli iscritti agli ordini professionali). Deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto: ai fini della liquidazione in sede giudiziale del compenso spettante all'avvocato nel rapporto col proprio cliente, in caso di mancata determinazione consensuale, come ai fini della liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente, ovvero in caso di liquidazione del compenso del difensore della parte ammessa al beneficio patrocinio a spese dello Stato nella vigenza del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 1, e articolo 12, comma 1, come modificati dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018, il giudice non puo' in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate. Il giudice del rinvio dovra' quindi procedere alla liquidazione del compenso anche per la fase istruttoria, ma senza la possibilita' di poter scendere al di sotto dei minimi tariffari, applicando poi la riduzione prescritta per il compenso del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato (Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 130). Il provvedimento impugnato deve quindi essere cassato in relazione ad entrambi i motivi accolti, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, che provvedera' anche sulle spese del giudizio di legittimita'. P.Q.M. Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il provvedimento impugnato, con rinvio, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIUSTI Alberto - Presidente Dott. TEDESCO Giuseppe - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. AMATO Cristina - rel. Consigliere Dott. CAPONI Remo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 12584-2018 proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), domiciliati presso lo studio dall'avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende; - ricorrenti - contro (OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza n. 2081-2017 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 10/11/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22.03.2023 dal Consigliere CRISTINA AMATO; lette le conclusioni scritte del sostituto Procuratore Generale nella persona del Dott. ALESSANDRO PEPE, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. FATTI DI CAUSA 1. Il Tribunale di Chieti accoglieva l'opposizione a decreto ingiuntivo n. 731-08 elevata dai coniugi (OMISSIS) ed (OMISSIS), con il quale gli opponenti erano stati condannati a versare ad (OMISSIS) s.r.l. la somma di Euro 4.800,00 a titolo di compenso per l'attivita' di intermediazione immobiliare da essa svolta in loro favore. Reputava il giudice dell'opposizione non concluso l'affare che avrebbe fatto sorgere il diritto alla provvigione in capo alla societa' mediatrice, posto che i promittenti opponenti si erano rifiutati di sottoscrivere il contratto preliminare, predisposto dalla stessa opposta, in quanto contenente evidenti variazioni nelle condizioni di pagamento del saldo del prezzo rispetto a quanto concordato nel corso delle trattative. 2. Impugnava la pronuncia (OMISSIS) s.r.l. innanzi alla Corte d'Appello di l'Aquila, la quale, con sentenza n. 2081-2017, accoglieva il gravame confermando il decreto ingiuntivo. A sostegno della sua decisione affermava la Corte che: - deve considerarsi fondamentale l'esame delle clausole contenute nel contratto di mediazione immobiliare stipulato in data 03.08.2007, e in particolare della clausola n. 4, che individua il momento di maturazione del diritto alle provvigioni nell'avvenuta accettazione della proposta d'acquisto, nella percentuale ivi indicata (2,5% + I.V.A. del prezzo di vendita); - tale diritto alla provvigione diventa esigibile al momento della sottoscrizione della scrittura ripetitiva del contratto mediato o, in mancanza di questa, trascorsi trenta giorni dall'accettazione della proposta irrevocabile; - nel caso di specie, la proposta irrevocabile di acquisto - benche' non contenente ne' le modalita' di pagamento del prezzo ne' il termine per la stipula del contratto definitivo - e' stata sottoscritta dagli appellati in data 06.11.2007: tanto basta a considerare maturato, in capo alla societa' mediatrice, il diritto alla provvigione nella percentuale concordata. 3. Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione (OMISSIS) ed (OMISSIS), affidandolo a tre motivi. Si difendeva (OMISSIS) s.r.l. con controricorso. Fissata la pubblica udienza, la causa e' stata trattata in camera di consiglio, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8-bis, convertito nella L. n. 176 del 2020, non avendo nessuna delle parti ne' il Pubblico Ministero chiesto la discussione orale. Il PG si pronunciava per l'accoglimento del primo motivo e l'assorbimento dei restanti. In prossimita' dell'udienza entrambe le parti depositavano memoria. In data 09.02.2023 perveniva comparsa di costituzione del nuovo difensore dei sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), avvocato (OMISSIS). RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli articoli 1754 e 1755 c.c. (articolo 369, comma 1, n. 3), c.p.c.): la Corte d'Appello, elevando la mera accettazione della proposta irrevocabile trasmessa dai promissari acquirenti ad elemento cardine del diritto alla provvigione, ha violato le norme teste' citate con un vizio che attiene alla nozione di conclusione dell'affare. Secondo la giurisprudenza di legittimita', infatti, nel rapporto di mediazione ai fini della maturazione della provvigione occorre verificare - oltre al nesso di causalita' tra la conclusione dell'affare e l'opera del mediatore, nonche' l'identita' dell'affare proposto con quello concluso (Cass. 22.01.2015, n. 1120) - il compimento di un'operazione generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti che dia diritto di agire per l'adempimento o per il risarcimento dei danni (Cass. 3.11.2005, n. 24399). Orbene, la proposta irrevocabile d'acquisto sottoscritta dagli esponenti in data 06.11.2007 non puo' integrare un contratto preliminare, ma deve ritenersi una puntuazione di contratto destinata a fissare, senza alcun effetto vincolante, il contenuto del successivo negozio, che avrebbe dovuto assumere natura di vero e proprio contratto preliminare. 1.1. Il motivo e' fondato. Nel contratto di mediazione, il pagamento della provvigione ai sensi dell'articolo 1755 c.c. e' strettamente connesso alla conclusione dell'affare. La rilevanza causale della conclusione dell'affare, quale fondamento delle pretese di carattere patrimoniale del mediatore, del resto, emerge indirettamente anche dall'articolo 1756 c.c., ai sensi del quale, salvo patti o usi contrari, il mediatore avra' diritto al rimborso delle spese nei confronti della persona per incarico della quale sono state eseguite, anche se l'affare non e' stato concluso (Cass. Sez. 2, n. 26682 del 24.22.2020). Dall'articolo 1755 c.c. deriva, allora, che i soggetti intermediati, aderendo al contratto di mediazione, non assumono alcun obbligo di pagare la provvigione quale diretto corrispettivo dell'attivita' posta in essere dal mediatore a loro vantaggio, se non al momento della conclusione dell'affare (ex plurimis: Cass. Sez. 2, n. 28879 del 05.10.2022 - Rv. 665970-01; Cass. Sez. 2, n. 30083 del 19.11.2019 - Rv. 656202-01). 1.2. Nel caso di specie, la proposta irrevocabile proveniente dal promissario acquirente ed accettata dai promittenti venditori assume la veste di accordo preparatorio destinato ad inserirsi nell'iter formativo del futuro negozio traslativo della proprieta' che mai ha avuto luogo, stante la difformita' della bozza del contratto preliminare (predisposto da (OMISSIS) s.r.l.) rispetto alle concordate modalita' di pagamento del prezzo al saldo, ritenute rischiose dall'odierno ricorrente. E', dunque, dal momento della stipulazione del contratto preliminare ovvero del contratto definitivo, se avessero avuto luogo, che sarebbe potuto maturare il diritto alla provvigione di (OMISSIS) s.r.l. nei confronti degli odierni ricorrenti. 2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di regole ermeneutiche contrattuali, dell'articolo 1341 c.c. e dell'articolo 1362 c.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)), nonche' omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5)). I ricorrenti lamentano la mancata operazione ermeneutica che la Corte d'Appello avrebbe, invece, dovuto compiere per interpretare la volonta' delle parti, non limitandosi al dato letterale del contratto di mediazione, omettendo di esaminare un documento cardine, ossia la sottoscrizione da parte degli odierni ricorrenti di una clausola negoziale inserita su una pagina recante intestazione dell'agenzia nella quale il pagamento della provvigione veniva riconosciuto al momento della stipulazione del contratto definitivo di compravendita immobiliare. Nella ricostruzione dei ricorrenti si e' in presenza di una clausola concordata tra le parti - sebbene sottoscritta dal solo sig. (OMISSIS) - il cui mancato esame intanto rende inadeguata la motivazione ex articolo 360, comma 1, nn. 3 e 5) c.p.c., ma contribuisce a dimostrare che si era in presenza di una formazione progressiva del contratto di compravendita, rispetto alla quale e' configurabile la liberta' di recesso delle parti dalle trattative nei limiti di cui all'articolo 1337 c.c.. 3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 1337, dell'articolo 1469-bis e dell'articolo 1469-quinquies c.c. (oggi Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206 - Codice del consumo), nonche' omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5)). I ricorrenti sollecitano la declaratoria di inefficacia della clausola n. 4) del contratto di mediazione in quanto vessatoria, poiche' determina tra le parti un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. L'attuale articolo 34, comma 3, del Codice del consumo consente, infatti, al giudice di sindacare la vessatorieta' di una pattuizione attinente alla determinazione del prezzo ove i suoi elementi non siano individuati in modo chiaro e comprensibile; oltre al fatto che essa potrebbe essere considerata come penale manifestamente eccessiva. Ne' la vessatorieta' di tale pattuizione puo' dirsi sanata dal fatto che sia stata oggetto di specifica sottoscrizione ex articolo 1341, comma 2, c.c., o che sia stata oggetto di contrattazione individuale. 4. Il secondo e terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, in quanto logicamente collegati, e sono fondati per quanto di ragione. 4.1. In disparte l'errato riferimento alle norme gia' inserite nel codice civile in applicazione della Dir. 93/13/CEE sulla disciplina delle clausole vessatorie, ora rifusa nel Codice del consumo applicabile ratione temporis al caso che ci occupa, concluso tra professionista e consumatore ai sensi dell'articolo 3, comma 1, Codice del consumo. Tanto premesso, la clausola n. 4) contenuta nel contratto di mediazione deve essere considerata nulla (e quindi non apposta, per nullita' parziale di protezione ex articolo 36, comma 1, Codice del consumo) in quanto determina un significativo "squilibrio normativo" (ex articolo 33, comma 1, Codice del consumo) laddove prevede la maturazione del diritto alla provvigione in una fase non corrispondente alla conclusione dell'affare (nell'interpretazione della giurisprudenza ricordata al punto 1.1.), cosi' stravolgendo il fondamento causale dell'operazione economico-giuridica posta in essere dalle parti. E' stato gia' stabilito da questa Corte che la clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche nel caso di mancata conclusione dell'affare per fatto imputabile al venditore puo' presumersi vessatoria, e quindi inefficace a norma dell'articolo 1469-bis c.c. (norma applicabile ratione temporis al caso ivi esaminato), se le parti non abbiano espressamente pattuito un meccanismo di adeguamento di tale importo all'attivita' sino a quel momento concretamente espletata dal mediatore: Cass. Sez. 3, n. 22357 del 03.11.2010, n. 22357. Tale pronuncia ha introdotto un "principio di gradualita'" la cui ratio va ravvisata nell'esigenza di garantire, nei contratti a prestazioni corrispettive come il contratto di mediazione "atipica" in esame, il rispetto del sinallagma contrattuale, dovendo trovare la prestazione di una parte il proprio fondamento nella controprestazione dell'altra parte, al fine di evitare il ricorrere di situazioni di indebito arricchimento ai danni del contraente debole del negozio perfezionato. Come argomentato nella citata sentenza, il compenso del mediatore, in caso di mancata conclusione dell'affare, trova giustificazione nello svolgimento di una concreta attivita' di ricerca di terzi interessati, attraverso la predisposizione dei propri mezzi e della propria organizzazione (Cass. n. 19656 dell'08.09.2020). L'accertamento relativo all'abusivita' della clausola va svolto anche nell'ipotesi in cui sia prevista l'anticipazione della maturazione del diritto alla provvigione, al fine di evitare che il diritto al compenso possa essere fissato in misura indipendente dal tempo e dall'attivita' da questi svolta. Cio' in conformita' con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea secondo la quale l'articolo 3, par. 1, della direttiva 93/13/CEE (corrispondente al nostro articolo 33, comma 1, Codice del consumo) deve essere interpretato nel senso che la nozione di "significativo squilibrio" a danno del consumatore deve essere valutata mediante un'analisi delle disposizioni nazionali applicabili in mancanza di un accordo tra le parti, onde appurare se, ed eventualmente in che misura, il contratto collochi il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole rispetto a quella prevista dal vigente diritto nazionale (Corte di Giustizia Europea, C - 415/11, Mohammed Aziz). Nel nostro caso, soccorre l'articolo 1755 c.c. laddove fa coincidere la maturazione del diritto alla provvigione con la "conclusione dell'affare", da interpretarsi nei termini e limiti sopra precisati. D'altra parte, aggiunge la Corte di Giustizia, per accertare se lo squilibrio sia creato "malgrado il requisito della buona fede", occorre verificare d'ufficio se il professionista, qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest'ultimo avrebbe aderito alla clausola in oggetto in seguito a negoziato individuale. La Corte d'appello avrebbe dovuto altresi' considerare la scrittura del 06.11.2007 (sottoscritta da uno degli odierni ricorrenti contestualmente alla sottoscrizione del contratto di mediazione) con la quale il proponente sig. (OMISSIS) riconosce a (OMISSIS) s.r.l. il diritto alla corresponsione della provvigione solo al momento della stipulazione del contratto definitivo, in linea con la piu' volte menzionata disposizione di cui all'articolo 1755 c.c.; e cio', considerata la collocazione della firma del (OMISSIS) su carta intestata dell' (OMISSIS) s.r.l.. 5. - La sentenza impugnata e' cassata. La causa deve essere rinviata alla Corte d'appello di L'Aquila, che la decidera' in diversa composizione. Il Giudice del rinvio provvedera' anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di L'Aquila in diversa composizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CURZIO Pietro - Primo Presidente Dott. D'ASCOLA Pasquale - Presidente di Sezione Dott. NAPOLITANO Lucio - Consigliere Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere Dott. IOFRIDA Giulia - Consigliere Dott. CRUCITTI Roberta - Consigliere Dott. MAROTTA Caterina - Consigliere Dott. VINCENTI Enzo - rel./est. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 24533-2021 R.G. proposto da: (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS) S.R.L. e per essa (OMISSIS) S.P.A.; (OMISSIS) S.C. e per essa (OMISSIS) S.P.A.; -intimati- avverso la sentenza n. 1184-2021 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO, depositata il 23/07/2021. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2023 dal Consigliere ENZO VINCENTI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA, che ha concluso per la declaratoria di estinzione del giudizio, previa affermazione del principio di diritto ex articolo 363, comma 3, c.p.c.; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS). FATTI DI CAUSA 1. - (OMISSIS) stipulo', il 21 marzo 2007, un contratto di fideiussione con il (OMISSIS), in forza del quale essa si costitui' garante delle obbligazioni assunte dalla (OMISSIS) s.r.l. verso l' (OMISSIS). In conseguenza della escussione senza esito della garanzia, il (OMISSIS) chiese al Tribunale di Sondrio decreto ingiuntivo per le somme dovute dalla (OMISSIS); provvedimento monitorio (n. 706-2011) che il ricorrente ottenne dal Tribunale adito e che l'ingiunta non oppose. 1.1. - In base a quel titolo il (OMISSIS) intervenne, quindi, nella procedura di espropriazione immobiliare (r.g.e. n. 417-2014) che era stata intrapresa, nei confronti della (OMISSIS) davanti al Tribunale di Busto Arsizio, da altro creditore ( (OMISSIS) S.p.A.) in forza di contratto di mutuo ipotecario rimasto inadempiuto. Il (OMISSIS) cedette, poi, il proprio credito verso la (OMISSIS) a (OMISSIS) s.r.l., che in veste di cessionaria intervenne (il 23 ottobre 2017) nella medesima anzidetta procedura esecutiva. 1.2. - Disposta la vendita dei beni immobili oggetto di espropriazione, che venivano trasferiti (l'11 giugno 2019) una volta intervenuta l'aggiudicazione e il versamento del prezzo (di Euro 265.000,00), il giudice dell'esecuzione procedeva a depositare il progetto di distribuzione della somma ricavata, che l'esecutata contestava, adducendo l'insussistenza del diritto di credito della cessionaria (OMISSIS) s.r.l. in ragione della nullita' del titolo costituito dal decreto ingiuntivo n. 706-2011, giacche' emesso da giudice territorialmente incompetente. Il giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 24 ottobre 2020, dichiarava esecutivo il progetto di distribuzione depositato. 2. - Avverso tale ordinanza (OMISSIS) proponeva opposizione ex articolo 617 c.p.c., ribadendo la precedente contestazione sulla nullita' del titolo azionato esecutivamente, per essere stato il decreto ingiuntivo emesso da giudice territorialmente incompetente, in quanto adito sulla scorta di una clausola del contratto di fideiussione illegittimamente derogatrice del foro del consumatore (ossia, il Tribunale di Busto Arsizio, comune di residenza dell'ingiunta), qualita' che essa poteva vantare anche come fideiussore alla luce del mutamento di giurisprudenza nella materia. 2.1. - Il Tribunale di Busto Arsizio rigettava l'opposizione ex articolo 617 c.p.c. con sentenza resa pubblica il 23 luglio 2021. 2.1.1. - Il giudice dell'opposizione, pur riconoscendo alla (OMISSIS) l'anzidetta qualita' e individuando nell'opposizione tardiva ex articolo 650 c.p.c. il rimedio per farla valere compatibilmente con il diritto Europeo, escludeva che la stessa avesse tempestivamente utilizzato detto strumento; di qui, il rigetto dell'opposizione ex articolo 617 c.p.c.. 3. - Per la cassazione di tale sentenza (OMISSIS) ha proposto, ai sensi della Cost., articolo 111, comma 7, ricorso straordinario affidato a due motivi. 3.1. - Con entrambi i motivi ha dedotto la violazione e/o errata interpretazione della direttiva 93-13 e dell'articolo 19 del TUE, con riferimento al principio di effettivita' della tutela del consumatore, mettendo in discussione l'impossibilita', a fronte di decreto ingiuntivo non opposto, sia di "un secondo controllo d'ufficio nella fase dell'esecuzione sulla abusivita' delle clausole contrattuali", sia di "una successiva tutela, una volta spirato il termine per proporre opposizione nei confronti del decreto ingiuntivo". 3.2. - Le intimate (OMISSIS) S.C., e per essa la (OMISSIS) S.p.A., nonche' la (OMISSIS) s.r.l., e per essa la (OMISSIS) S.p.A., non hanno svolto attivita' difensiva in questa sede. 3.3. - Ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articoli 23, comma 8-bis, (convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020) e del Decreto Legge n. 228 del 2021, articolo 16(convertito, con modificazioni, nella L. n. 15 del 2022), e su istanza della ricorrente, e' stata fissata udienza pubblica, con discussione in presenza, per il giorno 13 luglio 2022 dinanzi alla Terza Sezione civile di questa Corte. 3.5. - Con atto depositato il 6 luglio 2022, (OMISSIS) ha rinunciato al ricorso. 3.6. - Con atto in pari data, il pubblico ministero ha depositato le proprie conclusioni scritte, con le quali ha chiesto che il giudizio venga dichiarato estinto, sollecitando, pero', la Corte ad enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge, ai sensi dell'articolo 363 c.p.c., reputando cio' necessario "a fronte della particolare rilevanza della questione e della situazione di grave incertezza interpretativa determinata dalle quattro recenti sentenze del 17 maggio 2022 della Corte di Giustizia, tutte relative ad analoghe vicende, inerenti le sorti del giudicato nazionale dinanzi alla normativa Eurounitaria qualificata inderogabile dalla CGUE". 3.7. - Con provvedimento in data 7 luglio 2022, il Presidente titolare della Terza sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente, evidenziando che il ricorso pone una questione di massima di particolare importanza e coinvolge materie di competenza tabellare di diverse Sezioni civili della Corte, cosi' da rendersi necessaria una pronuncia delle Sezioni Unite. 4. - Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite civili. 5. - Su istanza della ricorrente e del pubblico ministero, e' stata fissata udienza pubblica, con discussione in presenza, in data odierna. 5.1. - Il pubblico ministero ha depositato le proprie conclusioni scritte, ribadendo, con ulteriori argomentazioni, quanto in precedenza sostenuto e chiedendo che, con la pronuncia di estinzione del giudizio, sia enunciato, ai sensi dell'articolo 363 c.p.c., il principio di diritto, il quale, in sintesi, dovrebbe essere cosi' orientato: il giudice del monitorio deve motivare sul compiuto esame d'ufficio in ordine alla assenza di clausole abusive in contratto concluso tra professionista e consumatore, con relativo avvertimento a quest'ultimo sugli effetti della mancata opposizione; diversamente, il controllo officioso sulla abusivita' delle clausole va effettuato in fase esecutiva, dovendo il giudice dell'esecuzione indicare al consumatore esecutato il rimedio in suo favore, da individuarsi in un'ordinaria azione di accertamento (c.d. actio nullitatis). 5.2. - La ricorrente ha depositato memoria con la quale chiede, anch'essa, che sia enunciato il principio di diritto nell'interesse della legge, proponendo, in sintesi, che esso sia declinato nel senso di intestare al giudice dell'esecuzione sia il rilievo officioso, che l'accertamento sull'abusivita' delle clausole e di mantenere nell'ambito delle opposizioni esecutive anche l'eventuale formazione del giudicato al riguardo. 5.3. - Il Pubblico ministero e la parte ricorrente hanno diffusamente argomentato le rispettive posizioni nella discussione in pubblica udienza. RAGIONI DELLA DECISIONE L'estinzione del giudizio. 1. - Alla rituale rinuncia al ricorso per cassazione (ex articolo 390 c.p.c.) da parte di (OMISSIS), che non richiede l'accettazione delle controparti per essere produttiva di effetti processuali, segue l'estinzione del giudizio di legittimita' (ex articolo 391 c.p.c.) introdotto con il medesimo atto di impugnazione. In assenza di attivita' difensiva delle parti intimate non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita'. L'estinzione del giudizio di legittimita' per rinuncia al ricorso esclude la sussistenza dei presupposti per il pagamento del c.d. "doppio contributo unificato", ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17. L'esercizio del potere conferito alla Corte di cassazione dall'articolo 363 c.p.c.. 2. - Il Collegio reputa, tuttavia, di doversi soffermare su una questione di particolare importanza che trova origine proprio dalla proposizione del ricorso e di utilizzare, cosi', il potere, che l'articolo 363, comma 3, c.p.c., assegna alla Corte di Cassazione, di enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge; cio' che la declaratoria di estinzione conseguente alla rinuncia al ricorso non impedisce (Cass., S.U., 6 settembre 2010, n. 19051; Cass. S.U., 24 settembre 2018, n. 22438). 2.1. - Si tratta della questione che - come evidenziato sia dalla ricorrente, che dal pubblico ministero - e' sorta a seguito di quattro coeve pronunce della CGUE, emesse dal Collegio della Grande Sezione in data 17 maggio 2022 (sentenza in C-600/19, Ibercaja Banco; sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C831/19, Banco di Desio e della Brianza; sentenza in C-725/19, Impuls Leasing Romania; sentenza in C-869/19, Unicaja Banco), una delle quali (sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C831/19, Banco di Desio e della Brianza) a seguito di rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Milano con ordinanze del 10 agosto 2019 e del 31 ottobre 2019. 2.2. - La questione di diritto che scaturisce dalle citate sentenze del Giudice di Lussemburgo - e, segnatamente, dalla pronuncia da ultimo citata (di seguito anche soltanto: sentenza "SPV/Banco di Desio") - riveste una rilevanza davvero peculiare, pari alla complessita' dei temi che essa intercetta, cosi' da fornire evidente giustificazione all'intervento nomofilattico che queste Sezioni Unite intendono assumere ai sensi dell'articolo 363 c.p.c.. 2.3. - Essa, per i connotati che la caratterizzano e per le implicazioni che ne discendono, si presta, altresi', ad essere esempio paradigmatico di come possa trovare virtuosa applicazione l'istituto, di nuovo conio, del rinvio pregiudiziale di cui all'articolo 363 bis c.p.c. (introdotto dal Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 149, articolo 3, comma 27, lettera c, con decorrenza dal 1 gennaio 2023 per effetto del citato Decreto Legislativo n. 149 del 2022, articolo 35, comma 7, come sostituito dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, articolo 1, comma 380, lettera a)), rimesso alla valutazione del giudice di merito in base a concorrenti presupposti (questione di diritto, necessaria alla definizione anche parziale del giudizio non ancora risolta da questa Corte di cassazione, che presenta gravi difficolta' interpretativa e che e' suscettibile di porsi in numerosi giudizi), tutti ricorrenti nel caso in esame. Il perimetro della pronuncia di queste Sezioni Unite ai sensi dell'articolo 363 c.p.c.. 3. - L'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge, ex articolo 363 c.p.c., non ha "un carattere meramente esplorativo o preventivo", ma si lega necessariamente alla fattispecie concreta oggetto di cognizione (Cass., S.U., n. 404/2011 e Cass., S.U., n. 23469/2016). E cio' anche la' dove la norma anzidetta intesta tale potere direttamente in capo alla Corte di cassazione (comma 3 dell'articolo 363 c.p.c.) e ne attiva, dunque, la funzione nomofilattica pur a prescindere, eccezionalmente, dalla decisione sul fondo delle censure con effetti sul concreto diritto dedotto in giudizio. Dunque, anche nell'applicazione dell'istituto del principio di diritto nell'interesse della legge rimane viva e vitale quella necessaria compenetrazione tra l'esercizio dei compiti di nomofilachia e i "fatti della vita" portati dalle parti dinanzi al giudice. Cio' da' fondamento alle ragioni di una disciplina che, a fronte di questioni di diritto e di fatto rivestenti particolare importanza, consente di pronunciare una regola di giudizio che, sebbene non influente sulla concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili (tra le altre, Cass., S.U., n. 27187/2007 e Cass., S.U., n. 19051/2010). 3.1. - La fattispecie che qui rileva ha riguardo - in estrema sintesi - all'emissione di un decreto ingiuntivo in favore di un professionista che il consumatore non ha opposto, lamentando, pero', in sede di procedura esecutiva per il soddisfo del credito ingiunto, l'omesso rilievo officioso del giudice del procedimento monitorio su una clausola abusiva (nella specie, di deroga del foro del consumatore) presente nel contratto fonte di quel credito e, quindi, chiedendo al giudice dell'esecuzione di farsi carico del controllo sull'abusivita' della clausola contrattuale. Le strette coordinate della pronuncia da adottare ai sensi dell'articolo 363 c.p.c. sono, dunque, quelle, soltanto, della tutela consumeristica di cui alla direttiva 93/13/CEE, concernente l'abusivita' di clausole presenti in contratto concluso con professionista, nel contesto dell'anzidetta specifica scansione processuale di diritto nazionale. La sentenza della CGUE in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza. 4. - Cosi' circoscritti i confini della presente pronuncia nomofilattica, e' affatto palese la peculiare rilevanza che per essa assume, nel novero delle quattro decisioni adottate dalla CGUE il 17 maggio 2022, la sentenza "SPV/Banco di Desio", in quanto resa all'esito di un rinvio pregiudiziale disposto da un giudice italiano nel contesto di controversie similari alla presente e, dunque, della comune disciplina, segnatamente processuale, di diritto interno. 4.1. - E' - beninteso - una rilevanza che si colloca armonicamente nel contesto del tradizionale perimetro entro il quale, in conformita' a quanto disposto dagli articoli 19, § 1, TUE e 267 TFUE, si svolge, al fine di garantire un'interpretazione unitaria delle norme dell'ordinamento dell'Unione (quale obiettivo imprescindibile per la stessa sopravvivenza di tale ordinamento), l'esercizio della competenza attribuita alla Corte di Lussemburgo e si assegna valore di ulteriori e vincolanti fonti del diritto Eurounitario (ai sensi della Cost., articoli 11 e 117, comma 1: cosi', segnatamente, Corte Cost., sentenza n. 263 del 2022) alle sentenze della medesima Corte, la cui interpretazione, avente efficacia erga omnes nell'ambito dell'Unione, chiarisce e fissa il significato, nonche' i limiti di applicazione, delle norme di quel diritto nel senso in cui deve o avrebbe dovuto essere inteso e applicato sin dalla data della sua entrata in vigore (tra le altre, CGUE, sentenza 22.11.2017, in C-251/16, Cussens; CGUE, sentenza 7.8.2018, in C-300/17, Hochtief; CGUE, sentenza 10.3.2022, in C-177/20, Grossmania; cosi' anche Corte Cost., sentenze n. 113 del 1985, n. 285 del 1993, n. 227 del 2010, n. 54 del 2022, n. 263 del 2022, citata; Cass., 11 dicembre 2012, n. 22577 e Cass., 3 marzo 2017, n. 5381). Ai nostri fini, quindi, rendendosi cogente l'interpretazione fornita dalla CGUE (ovviamente, non soltanto con la sentenza "SPV/Banco di Desio") degli articoli 6 e 7 della citata direttiva 93/13/CEE. 4.2. - E', dunque, da ribadirsi quel rapporto di complementarieta' - messo in risalto da Cass., S.U., 30 ottobre 2020, n. 24107 (con estesi richiami alla giurisprudenza Eurounitaria) - che si instaura, in funzione cooperativa, tra la Corte di Giustizia dell'Unione Europea e il giudice nazionale, tale da costituire quest'ultimo non solo quale "giudice comunitario di diritto comune", ma anche di riservagli, in via esclusiva, il potere sia di interpretare il diritto interno - rendendolo, pero', conforme al diritto dell'Unione o anche di disapplicarlo, ove cio' sia consentito -, sia di applicare, nel caso concreto, il diritto unionale come interpretato dalla Corte di Giustizia (CGUE, sentenza 5.4.2016, in C-689/13, PFE; CGUE, sentenza 24.9.2019, in C-573/17, Poplawski; CGUE, Grossmania, cit.). 4.3. - Giova, dunque, rammentare quale e' stata la risposta della CGUE alle questioni pregiudiziali sollevate con le gia' menzionate ordinanze del Tribunale di Milano e, in sintesi, quali argomentazioni sorreggono quella risposta. 4.3.1. - La CGUE, con la sentenza "SPV/Banco di Desio", ha, dapprima, riformulato (cfr. § 50) la richiesta pregiudiziale del Tribunale di Milano nei seguenti termini: "(...) se l'articolo 6, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell'esecuzione non possa - per il motivo che l'autorita' di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validita' delle clausole del contratto che ne e' alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validita' - successivamente controllare l'eventuale carattere abusivo di tali clausole. Nella causa C-831/19, esso chiede altresi' se la circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo e' divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come "consumatore" ai sensi di tale direttiva abbia una qualsivoglia rilevanza al riguardo". 4.3.2. - In coerenza con il complessivo quesito come sopra riformulato, la Corte di giustizia ha, poi, dato la seguente risposta: "L'articolo 6, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell'esecuzione non possa - per il motivo che l'autorita' di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validita' delle clausole del contratto che ne e' alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validita' - successivamente controllare l'eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo e' divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come "consumatore" ai sensi di tale direttiva e' irrilevante a tale riguardo". 4.3.3. - Cosi' si snoda, nella sua essenzialita', l'iter giustificativo della decisione: - al fine di ovviare allo squilibrio esistente tra consumatore e professionista, il giudice nazionale e' tenuto a esaminare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell'ambito di applicazione della direttiva 93/13 (clausola abusiva che, ai sensi della norma imperativa di cui all'articolo 6, par. 1, non vincola il consumatore), laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto a tal riguardo necessari (§§ 51-53); - l'articolo 7, par. 1, della direttiva 93/13 impone agli Stati membri di "fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori" e, tuttavia, in assenza di armonizzazione delle procedure applicabili a tal fine, tali procedure, in forza del principio dell'autonomia processuale, rientrano nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri, "a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell'Unione (principio di effettivita')" (§§ 53-54); - il principio dell'autorita' di cosa giudicata riveste importanza sia nell'ordinamento giuridico dell'Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali (§ 57) e la stessa tutela del consumatore "non e' assoluta", non imponendo il diritto dell'Unione "di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorita' di cosa giudicata a una decisione, anche quando cio' permetterebbe di porre rimedio a una violazione di una disposizione, di qualsiasi natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13... fatto salvo tuttavia... il rispetto dei principi di equivalenza e di effettivita'" (§ 58); - il principio di equivalenza e' nella specie rispettato, poiche' "il diritto nazionale non consente al giudice dell'esecuzione di riesaminare un decreto ingiuntivo avente autorita' di cosa giudicata, anche in presenza di un'eventuale violazione delle norme nazionali di ordine pubblico" (§ 59); - quanto al principio di effettivita': a) esso, pur non potendo "supplire integralmente alla completa passivita' del consumatore interessato", impone di garantire l'effettivita' dei diritti spettanti ai singoli, nella specie, in base alla direttiva 93/13 ed implica "un'esigenza di tutela giurisdizionale effettiva", secondo quanto previsto dal citato articolo 7, par. 1, nonche' dall'articolo 47 CDFUE, "che si applica, tra l'altro, alla definizione delle modalita' procedurali relative alle azioni giudiziarie fondate su tali diritti"; b) "in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non puo' essere garantito"; c) "le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali, alle quali si riferisce l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93-13, non possono pregiudicare la sostanza del diritto spettante ai consumatori in forza di tale disposizione... di non essere vincolati da una clausola reputata abusiva" (§§ 60-63); - "una normativa nazionale secondo la quale un esame d'ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall'autorita' di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo puo', tenuto conto della natura e dell'importanza dell'interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93-13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l'obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d'ufficio dell'eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali" (§ 65); - "in un caso del genere, l'esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell'esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione" (§ 66). Le premesse al "seguito" da assicurare alla sentenza "SPV/Banco di Desio". 5. - E' opportuno muovere dal principio di autonomia procedurale degli Stati membri (ribadito dalla sentenza "SPV/Banco di Desio" ai §§ 53-54) che, alla luce dell'evoluzione della giurisprudenza di Lussemburgo (dalle sentenze del 16.12.1976 - in C-33/76, Rewe e in C-45/76, Comet - in poi), va letto sotto la lente di quella interrelazione necessaria che l'ordinamento dell'Unione viene a comporre tra situazioni giuridiche soggettive da esso stabilite e la disciplina processuale degli Stati membri, quest'ultima - in assenza di misure di armonizzazione assunte da quell'ordinamento - deputata ad assicurare, alle prime, i rimedi atti a garantire una tutela giurisdizionale effettiva (articolo 19, § 1, comma 2, TUE), quale principio generale di diritto dell'Unione derivante dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che, attualmente, trova affermazione nell'articolo 47 CDFUE (tra le altre, CGUE, sentenza 5.11.2019, in C-192/18, Commissione c. Polonia). Ha, quindi, preso corpo, nel contesto di un assetto complessivo che vede primeggiare l'ordinamento sovranazionale, un meccanismo di complementarieta' funzionale delle norme processuali nazionali rispetto al diritto Europeo sostanziale che, orientato dai principi di equivalenza ed effettivita' - nella calibrazione data ad essi, di volta in volta, dall'interpretazione della Corte di giustizia -, trova svolgimento in un processo dinamico e complesso di integrazione, tale che la disciplina interna sul processo, ove necessario, si debba flettere sino al punto di mostrarsi adeguata e congruente rispetto agli standard di garanzia richiesti dal diritto Eurounitario. L'autonomia procedurale degli Stati membri, in materia di armonizzazione minima come quella regolata dalla direttiva 93/13/CEE, e', dunque, un valore che la stessa CGUE si preoccupa di tenere ben fermo, configurandolo come recessivo solo a certe condizioni, ossia per dare piena espansione ai principi di equivalenza ed effettivita' della tutela giurisdizionale. Cio' sta a significare che le categorie e gli istituti di diritto processuale interno potranno mantenere intatto il proprio fisiologico spazio applicativo la' dove sia possibile rinvenire nel sistema, e fintanto che lo sia, l'apparato di tutela giurisdizionale che garantisca appieno l'effettivita' del diritto Eurounitario, per come interpretato dalla CGUE nel suo ruolo di fonte del diritto e, dunque, nell'esercizio della sua funzione nomogenetica. E' una prospettiva, quindi, che porta ad individuare nell'ordinamento processuale interno la disciplina adeguata a quello scopo, nel rispetto della struttura e funzione degli istituti che essa configura (e, dunque, delle categorie giuridiche in tanto implicate), operando, pero', su di essa, ove necessario, quegli adattamenti che sono imposti dal diritto unionale in funzione della tutela della posizione soggettiva da esso regolata. Di qui, come detto, il compito, cruciale, affidato al giudice nazionale/giudice comune Europeo, che, in siffatta opera di coordinamento ed integrazione attraverso gli strumenti (ormai istituzionali) dell'interpretazione conforme (sin dalla sentenza 10.4.1984, in C-14/83, Von Colson, e proprio in riferimento all'interpretazione di una direttiva, da intendersi alla luce della lettera e dello scopo di quest'ultima, al fine di conseguire il risultato indicato dall'articolo 189 CEE e ora dall'articolo 288 TFUE) e, se del caso (poiche' la relativa attivazione si pone come sussidiaria rispetto all'interpretazione conforme: CGUE, sentenza 24.1.2012, in C282/10, Dominguez), della disapplicazione, da', alfine, concretezza al principio di leale collaborazione di cui all'articolo 4 TUE, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad assicurare la conformita' dell'ordinamento interno al diritto dell'Unione. 5.1. - E', dunque, questo il terreno, giuridico e culturale, su cui deve misurarsi il seguito che occorre assicurare alla sentenza della CGUE del 17 maggio 2022 in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza, la quale - in estrema sintesi - ha affermato che, ove il consumatore non abbia fatto opposizione avverso un decreto ingiuntivo non sorretto da alcuna motivazione in ordine alla vessatorieta' delle clausole presenti nel contratto concluso con il professionista e posto a fondamento del credito azionato da quest'ultimo, la "valutazione" (il "controllo") sull'eventuale carattere abusivo di dette clausole deve poter essere effettuata dal giudice dell'esecuzione dinanzi al quale si procede per la soddisfazione di quel credito. 5.2. - Il dictum della CGUE, per la sua portata incidente - nella specifica materia implicata - sull'efficacia di giudicato che, alla luce del diritto vivente (tra le molte: Cass., 7 ottobre 1967, n. 2326; Cass., 7 luglio 1969, n. 2508; Cass., 20 aprile 1996, n. 3757; Cass., 11 giugno 1998, n. 5801; Cass., S.U., 16 novembre 1998, n. 11549; Cass., 24 novembre 2000, n. 15178; Cass., 24 marzo 2006, n. 6628; Cass., 6 settembre 2007, n. 18725; Cass., 28 agosto 2009, n. 18791; Cass., 11 maggio 2010, n. 11360; Cass., 25 ottobre 2017, n. 25317; Cass., 28 novembre 2017, n. 28318; Cass., 18 luglio 2018, n. 19113; Cass., 24 settembre 2018, n. 22465; Cass., 4 novembre 2021, n. 31636), si viene a determinare, in conseguenza della mancata opposizione al decreto ingiuntivo, non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sugli accertamenti che ne costituiscono i necessari e inscindibili antecedenti o presupposti logico-giuridici, non pone affatto in crisi gli equilibri di quel rapporto, stabile e fecondo, tra ordinamenti, i quali - soprattutto a partire dal Trattato di Maastricht e con l'avvento della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE) e, quindi, del Trattato di Lisbona - mirano ad una integrazione sempre piu' profonda, i cui orizzonti si aprono ad un territorio piu' vasto di quello, tradizionale, in cui rivestiva centralita' assorbente l'efficienza del mercato, per annettervi, non soltanto in via mediata, le esigenze di tutela della persona e, quindi, per costruire una "comunita' di diritti". 5.2.1. - Un siffatto contesto, sempre piu' maturo, ha alimentato una declinazione anche in termini personalistici della figura del consumatore, alla quale i Trattati assegnano un ruolo centrale "nella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attivita' dell'Unione" (articolo 12 TFUE), tale da garantirne un elevato livello di protezione che va oltre gli interessi strettamente economici (pur presenti e rilevanti), per estendersi alla salute e alla sicurezza (articolo 169 TFUE), in un'ottica che la Carta di Nizza complessivamente ascrive al principio di solidarieta' (articolo 38 CDFUE), ossia a quel paradigma comune alle tradizioni costituzionali degli Stati membri che, come malta preziosa, fa da collante tra i diritti e i doveri del singolo nell'ambito di una collettivita'. E' una prospettiva alla cui concretezza cooperano anche gli obiettivi e l'economia generale della direttiva 93/13/CEE, la quale, in armonia con le previsioni dei Trattati e della CDFUE, "nel suo complesso, costituisce un provvedimento indispensabile per l'adempimento dei compiti affidati all'Unione e, in particolare, per l'innalzamento del livello e della qualita' della vita all'interno di quest'ultima" (CGUE, sentenze: del 26.10.2006, in C-168/05, Mostaza Claro; del 4.6.2009, in C-243/08, Pannon GSM; del 6.10.2009, in C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones; del 14.6.2012, in C-618/10, Banco Español de Cre'dito). Trattasi, quindi, di obiettivi valoriali comuni ai Paesi dell'Unione e che, in ambito nazionale, possono rinvenirsi in quella correlazione - cui da' risalto, segnatamente, la giurisprudenza costituzionale in sintonia con le coordinate dell'ordinamento sovranazionale - tra protezione degli interessi dei consumatori e utilita' sociale, nonche' sicurezza, liberta', dignita' umana (alle quali la legge costituzionale n. 1 del 2022 ha aggiunto salute ed ambiente), che la Cost., comma 2 dell'articolo 41 ha assunto a limiti generali della liberta' di iniziativa economica garantita dal comma 1 della stessa norma della Carta fondamentale (tra le altre: Corte Cost., sentenze n. 270 del 2010 e n. 210 del 2015 e, in precedenza, la sentenza n. 241 del 1990; cfr. anche, per la giurisprudenza di legittimita', Cass., S.U., 12 dicembre 2014, n. 26242 e n. 26243). 5.2.2. - Pertanto, e' proprio tramite gli articoli 6 e 7 della citata direttiva, alla stregua della lettura che ne ha dato la CGUE con la sentenza "SPV/Banco di Desio", nel solco dei propri precedenti in materia (oltre a quelli citati al § 5.1., cfr. CGUE: sentenza 14.3.2013, in C-415/11, Aziz; sentenza 13.9.2018, in C-176/17, Profi Credit Polska; sentenza 20.9.2018, in C-448/17, EOS KSI; inoltre, successivamente al 17 maggio 2022, v. anche: CGUE, sentenza 30.6.2022, in C-170/21, Profi Credit Bulgaria), che si impone, nel contesto del rapporto contrattuale instauratosi tra professionista e consumatore, il riequilibrio della posizione strutturalmente minorata di quest'ultimo sia sotto il profilo del potere negoziale, che per il livello di informazione, cosi' da esserne vulnerata la scelta, consapevole e razionale, volta a soddisfare, attraverso quel contratto, le esigenze quotidiane della vita. Cio' che puo' ottenersi "solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale" (cosi' gia' CGUE, sentenza 27.6.2000, in cause riunite C-240/98 e C-244/98, Oce'ano; successivamente, tra le altre, le citate sentenze Mostaza Claro e Asturcom Telecomunicaciones, nonche' CGUE: sentenza 9.11.2010, in C-137/08, VB Pe'nzügyi Lizing e sentenza 14.6.2012, C-618/10, Banco EspaPiol de Cre'dito), ossia, nella sede processuale, tramite il dovere del giudice investito dell'istanza di ingiunzione di esaminare d'ufficio il carattere abusivo della clausola contrattuale e di dare conto degli esiti di siffatto controllo. Sicche', l'inattivita' del giudice del procedimento monitorio, ove non rimediabile in una sede successiva (si veda anche la citata sentenza EOS KSI e, segnatamente, la sentenza in C-600/19, Ibercaja Banco, del 17.5.2022), impedirebbe definitivamente di colmare proprio nel processo quel dislivello sostanziale esistente tra i contraenti, facendo gravare la violazione dell'obbligo del rilievo officioso della abusivita' della clausola negoziale sul consumatore, sebbene questi sia rimasto privo di tutte le "informazioni" che gli sono dovute per porlo in condizione di determinare la portata dei suoi diritti (cfr. le citate sentenze Banco EspaPiol de Cre'dito ed EOS KSI, nonche' CGUE, sentenza 18.2.2016, in C-49/14, Finanmadrid) al fine di poter esercitare, per la prima volta, la propria difesa in sede di opposizione al decreto ingiuntivo "con piena cognizione di causa" (cosi' la citata sentenza Ibercaja Banco). E, tuttavia, e' proprio la carente attivazione del giudice del monitorio - mancato rilievo officioso e omessa motivazione, imposti da norma imperativa (articolo 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE) - che comporta, secondo il diritto dell'Unione (nell'interpretazione vincolante della CGUE: cfr. anche sentenza Ibercaja Banco), che la decisione adottata, sebbene non fatta oggetto di opposizione, e' comunque insuscettibile di dar luogo alla formazione, stabile e intangibile, di un giudicato, cosi' da consentire anche nella contigua sede esecutiva, dove si procede per l'attuazione del diritto accertato, una riattivazione del contraddittorio impedito sulla questione pregiudiziale pretermessa (concernente, per l'appunto, l'assenza di vessatorieta' delle clausole del contratto) e, quindi, di un meccanismo processuale (come si vedra' nel prosieguo) che possa rimettere in discussione anche l'accertamento sul bene della vita implicato dal decreto ingiuntivo, ossia il credito riconosciuto giudizialmente. In altri termini - ove si legga una tale vicenda attraverso la lente di una tradizionale e icastica descrizione della scansione processuale del procedimento monitorio -, sarebbe monca la provocatio ad opponendum (ossia la "provocazione a contraddire": Cass., S.U., 1 marzo 2006, n. 4510) che il decreto ingiuntivo innesca, richiedendo che il debitore si attivi entro un certo termine per evitare altrimenti la c.d. impositio silentii (il giudicato o la c.d. "preclusione da giudicato": la citata Cass., S.U., n. 4510/2006) sul provvedimento d'ingiunzione emesso. Dunque, nel nostro caso (ma analogamente in quello di cui alla coeva sentenza Ibercaja Banco), e' proprio l'impedimento al contraddittorio, differito, sulla pregiudiziale dell'abusivita' delle clausole, conseguente all'omissione del giudice, che frustra il diritto di azione e difesa del consumatore, vulnerandone in modo insostenibile la tutela giurisdizionale effettiva, cosi' da rendere vuota prescrizione anche quella, dettata dall'articolo 7, par. 1, della direttiva 93/13/CEE (in ragione del 24 Considerando), che impone agli Stati membri di predisporre "mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori". 5.3. - Come gia' in precedenza nella materia in esame (le citate sentenze Finanmadrid e Ibercaja Banco; inoltre, CGUE, sentenza 26.1.2017, in C-421/14, Banco Primus), tale esito e' frutto di un bilanciamento che la Corte di Lussemburgo ha effettuato, anche nel caso specifico, secondo una visione scevra da concettualizzazioni e orientata dal c.d. "canone di adeguatezza tra esigenze di tutela e forme di tutela disponibili", saggiando il punto di rottura tra le esigenze di certezza dei rapporti giuridici, presidiate dal principio di immutabilita' della decisione, e quelle di effettivita' della tutela del consumatore imposte dalla direttiva 93/13/CEE, assegnando, per le ragioni anzidette, prevalenza a quest'ultime. Ne' un siffatto bilanciamento e' tale da elidere, alla luce della prospettiva che ha ispirato la giurisprudenza della CGUE, l'importanza dell'istituto processuale del giudicato nazionale, nella sua ambivalente declinazione sostanziale (articolo 2909 c.c.) e processuale (articolo 324 c.p.c.), che si rinviene anche nel diritto dell'Unione in consonanza con le tradizioni giuridiche degli Stati membri, dalle cui fondamenta, tuttavia, trova con vigore emersione la profondita' di senso che permea la funzione servente del processo rispetto all'attuazione dei diritti, il suo essere mezzo e non fine. La tutela effettiva rimediale configurata, nella specie, dalla CGUE a fronte della violazione di una disciplina dal carattere imperativo specificamente dettata dal diritto dell'Unione (direttiva 93/13/CEE), che quella tutela intende assicurare appieno, trova, infatti, radicamento in principi - del contraddittorio e del pieno dispiegamento del diritto di azione e di difesa in giudizio - che rappresentano, insieme all'imparzialita' e terzieta' del giudice, nonche' alla motivazione dei provvedimenti giudiziari, i cardini del "giusto processo" di cui agli articoli 47 CDFUE e 6 CEDU e che, del pari, costituiscono il nucleo indefettibile delle garanzie fondamentali somministrate anche dalla Cost., articoli 24 e 111, quali "principi supremi dell'ordine costituzionale italiano" (Corte Cost., sentenza n. 238 del 2014) che attengono all'esercizio della giurisdizione. Il "seguito" alla sentenza "SPV/Banco di Desio". 6. - Al fine di dare il necessario seguito ai dicta della CGUE, la comunita' degli interpreti - dai giudici territoriali (con le loro prime pronunce in medias res) all'avvocatura (e con essa la difesa della ricorrente), dall'accademia (con i contributi, numerosi, al dibattito giuridico) alla procura generale (nella sua funzione istituzionale di compartecipe alla costruzione della nomofilachia), cui le Sezioni Unite di questa Corte hanno posto attento ascolto prima di adottare la presente pronuncia nomofilattica ex articolo 363-bis c.p.c. - ha individuato una pluralita' di soluzioni, pur rimarcando che nessuna di esse si presenta piana e che ciascuna sconta un margine differenziale rispetto all'assetto del nostro ordinamento processuale, nel suo proporsi come diritto vivente frutto della attuale compenetrazione tra formante legislativo e quello giurisprudenziale. La via che questa Corte intende percorrere nel dettare i principi nell'interesse della legge e' quella - gia' illustrata in precedenza (cfr. § 5) - che si presta, anzitutto, ad operare, con convinzione, la necessaria saldatura tra ordinamenti, sovranazionale e interno, che e' la cifra, anche culturale, attraverso la quale rendere concretamente operante il principio di effettivita' della tutela nella sua duplice declinazione, presente nelle pieghe della giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, negativa (volta a superare gli ostacoli che, in ambito nazionale, si frappongono alla piena realizzazioni delle liberta' e dei diritti riconosciuti dall'Unione) e pro-attiva (diretta ad individuare le misure e i rimedi idonei alla piena espansione della tutela di quelle liberta' e di quei diritti). Una via, che, al tempo stesso, sia pero' tale da preservare, sin dove il principio preminente anzidetto lo renda possibile, i doverosi margini di autonomia procedurale, ambito nel quale e' dato tradurre, nei termini cooperativi innanzi evidenziati (sempre al § 5), il valore persistente dell'ordinamento processuale nazionale. A) la fase monitoria (ovvero il c.d. "seguito pro futuro"). 7. - Secondo la giurisprudenza della CGUE (tra le altre: le citate sentenze Pannon, Banco Espanol de Credito, Aziz, Profi Credit Polska; inoltre, le sentenze: 9.11.2010, in C-137/08, VB Pe'nzügyi Lizing; 11.3.2020, in C-511/17, Lintner; 4.6.2020, in C-495/19, Kancelaria Medius; 30.6.2022, in C-170/21, Profi Credit Bulgaria), il giudice nazionale e' tenuto ad esaminare d'ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, connessa all'oggetto della controversia, purche' gli elementi di diritto e di fatto gia' in suo possesso suscitino seri dubbi al riguardo, dovendo, quindi, adottare d'ufficio misure istruttorie necessarie per completare il fascicolo, chiedendo alle parti di fornirgli informazioni aggiuntive a tale scopo. Sono principi enunciati anche in riferimento al procedimento d'ingiunzione e, del resto, avuto riguardo proprio all'ingiunzione di pagamento Europea (IPE), disciplinata dal regolamento n. 1896-2006, la Corte di Lussemburgo ha affermato che il giudice investito della domanda del creditore puo' richiedere, anche d'ufficio, ed al fine di procedere all'esame del carattere eventualmente abusivo di alcune clausole, informazioni complementari ovvero la produzione di ulteriori documenti dalla parte interessata e che, pertanto, va considerata contraria al diritto dell'UE una normativa nazionale che qualifichi come irricevibili tali documenti aggiuntivi (sentenza 19.12.2019, in cause riunite C-453/18 e C-494/18, Bondora AS). Sempre nel contesto del procedimento d'ingiunzione, nel quale, per l'appunto la partecipazione del debitore consumatore e' consentita solo nella fase dell'opposizione al decreto monitorio, la CGUE ha affermato che il dovere del giudice di disapplicazione una clausola contrattuale abusiva puo' riguardare anche soltanto "una parte del credito fatto valere" e, in tale ipotesi, "il giudice dispone della facolta' di respingere parzialmente detta domanda, a condizione che il contratto possa sussistere senza nessun'altra modifica o revisione o integrazione, circostanza che spetta a detto giudice verificare" (cosi' la citata sentenza Profi Credit Bulgaria). 7.1. - Gli approdi della giurisprudenza Eurounitaria - come anche messo in risalto dal pubblico ministero, nelle sue conclusioni scritte, e dalla stessa dottrina - non pongono soverchi problemi di compatibilita' con l'assetto processuale interno, delineato dagli articoli 633-644 c.p.c., il quale rende certamente praticabile il doveroso controllo, da parte del giudice, sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore, cosi', in ragione degli esiti del rilievo d'ufficio (sussistenza o meno della vessatorieta' incidente, in tutto o in parte, sull'oggetto della domanda monitoria), da addivenire al rigetto del ricorso (che non preclude la riproposizione della domanda: articolo 640, ultimo comma, c.p.c.), ovvero al suo consentito accoglimento parziale (per tutte, Cass., S.U., n. 4510/2006, citata; in armonia, quindi, con la surrichiamata sentenza della CGUE Profi Credit Bulgaria). 7.1.1. - Non puo', infatti, seguirsi la diversa tesi secondo la quale il c.d. "diritto all'interpello" del consumatore imporrebbe al giudice di emettere il decreto ingiuntivo, evidenziando la presenza di uno o piu' profili di abusivita' delle clausole contrattuale, per invitare, poi, il consumatore stesso a prendere posizione sul punto mediante la proposizione dell'opposizione. Si tratta, anzitutto, di orientamento che non collima, in linea piu' generale, con l'indirizzo della CGUE (cfr. le citate sentenze Pannon e Lintner; inoltre, le sentenze: 21.2.2013, in C-472/11, Banif Plus; 21.12.2016, in cause riunite C-154/15, C- 307/15, C-308/15, Guterriez Naranjo; 3.10.2019, C-260/18, Dziubak) per cui, sebbene il giudice nazionale non sia tenuto, in forza della direttiva 93/13/CEE, a disapplicare le clausole contrattuali qualora il consumatore, dopo essere stato avvisato, non intenda invocarne la natura abusiva e non vincolante, tuttavia, una volta che abbia accertato d'ufficio il carattere abusivo di una clausola, puo' trarre tutte le conseguenze derivanti da tale accertamento, senza attendere che il consumatore, informato dei suoi diritti, presenti una dichiarazione diretta ad ottenere l'annullamento di detta clausola. Ma ancor prima, nel costringere il consumatore a proporre l'opposizione per far valere i propri diritti, si pone in contrasto con lo stesso principio del rilievo d'ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali che anche nell'ambito del procedimento monitorio e' funzionale all'effettivita' della tutela del consumatore sotto il profilo della non vincolativita' delle clausole medesime, ai sensi dell'articolo 6, par. 1, della anzidetta direttiva. 7.2. - Strumentali rispetto all'esercizio del controllo officioso cui e' tenuto il giudice del monitorio sono i poteri istruttori consentiti dall'articolo 640, comma 1, c.p.c. (poteri, del resto, gia' valorizzati, sebbene in un diverso ambito, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 410 del 2005); cio', dunque, al fine di risolvere i seri dubbi, sorti in base agli elementi gia' in suo possesso, sulla presenza di clausole vessatorie (ovviamente anche in punto di competenza territoriale in violazione del foro, inderogabile, del consumatore di cui al Decreto Legislativo n. 206 del 2005, articolo 33, comma 2, lettera u), che rendono "insufficientemente giustificata la domanda", impedendone l'accoglimento in tutto o in parte. Il giudice dovra', quindi, sollecitare il ricorrente a "provvedere alla prova" del credito anche sotto il profilo che la relativa spettanza, in parte o per l'intero, non sia esclusa dai profili di abusivita' negoziale rilevati, a tal fine richiedendo che sia prodotta pertinente documentazione (anzitutto, il contratto su cui si basa il credito azionato) e/o che siano forniti i chiarimenti necessari. 7.2.1. - Tuttavia, l'obbligo del rilievo officioso del giudice del monitorio in funzione dell'effettivita' della tutela del consumatore non si spinge sino a richiedere che l'esercizio dei poteri istruttori, in capo al medesimo giudice, sia tale da rendersi esorbitante rispetto alla struttura, funzione e finalita' della fase inaudita altera parte come configurata dal legislatore nazionale, in cui condizione di ammissibilita' della domanda d'ingiunzione e' pur sempre la "prova scritta" (articoli 633, comma 1, n. 1, e 634 c.p.c.). Sicche', ove l'accertamento sulla vessatorieta' imponga, per la sua complessita', un'istruzione probatoria non coerente con detta configurazione (ad es., richiedendosi l'assunzione di testimonianze o l'espletamento di c.t.u.), il giudice dovra' rigettare l'istanza d'ingiunzione, che il ricorrente, se riterra', potra' comunque riproporre (evidentemente sulla scorta di ulteriori e piu' congruenti elementi probanti), o, invece, affidarsi alla "via ordinaria" (articolo 640, ultimo comma, c.p.c.). Cosi' letto il sistema, l'istanza di tutela che il diritto dell'Unione impone di soddisfare non trova ostacoli nel modello processuale di diritto interno, il quale con detta istanza verrebbe, invece, a confliggere ove interpretato nel senso che il controllo sull'abusivita' delle clausole non possa compiersi nel procedimento d'ingiunzione, poiche' esso implicherebbe necessariamente il contraddittorio delle parti, sia in ragione delle circostanze di fatto su cui si basa (articolo 34, comma 1, del codice del consumo), sia in ragione della perdita di celerita' propria del rito che tale valutazione richiederebbe, con la conseguenza che il decreto dovrebbe essere comunque emesso e quel controllo rinviato in sede di giudizio di opposizione. 7.3. - L'articolo 641 c.p.c. richiede che il decreto ingiuntivo sia "motivato". Tale previsione e', in riferimento a credito vantato da professionista in forza di contratto stipulato con un consumatore, da leggersi in conformita' al diritto dell'Unione e dunque - secondo l'interpretazione fornita dalla CGUE proprio nella sentenza "SPV/Banco di Desio" e in quella, coeva, Ibercaja Banco (dalla quale sentenza sono tratte le citazioni che seguono) - necessitando il provvedimento che accoglie la domanda di ingiunzione di una motivazione che, pur "sommariamente,... dia atto della sussistenza dell'esame" in base al quale il giudice "ha ritenuto che le clausole in discussione non avessero carattere abusivo", in modo da consentire al debitore consumatore di "valutare con piena cognizione di causa" (cosi' la citata sentenza Ibercaja Banco) se occorra proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo. Si tratta, dunque, di un obbligo di motivazione funzionale a dare al consumatore l'informazione circa l'assolvimento, da parte del giudice adito in via monitoria, del controllo officioso sulla presenza di clausole vessatorie a fondamento del contratto fonte del credito azionato dal professionista e che siano rilevanti rispetto all'oggetto della domanda di ingiunzione. In quanto strumentale rispetto all'esercizio del diritto di difesa del consumatore nella fase processuale a contraddittorio pieno, una tale motivazione esige che nel decreto sia individuata, con chiarezza, la clausola del contratto (o le clausole) che abbia(no) incidenza sull'accoglimento, integrale o parziale, della domanda del creditore e che se ne escluda, quindi, il carattere vessatorio. E', dunque, la chiara individuazione dei profili di abusivita' rilevanti rispetto all'oggetto dell'ingiunzione che assume centralita' nell'assolvimento di detto obbligo motivazionale, questo ben potendo esprimersi in un apparato argomentativo estremamente sintetico (ad una sommaria motivazione, come detto, fa riferimento la CGUE), semmai strutturato anche per relationem al ricorso monitorio ove questo si presti allo scopo. 7.4. - L'articolo 641, comma 1, c.p.c., inoltre, rende necessario che il decreto ingiuntivo contenga l'avvertimento che, nel termine di quaranta giorni, puo' essere fatta opposizione al decreto ingiuntivo "e che, in mancanza di opposizione, si procedera' ad esecuzione forzata". La disposizione, in parte qua, deve essere interpretata in senso conforme al diritto Eurounitario di cui alla direttiva 93/13/CEE e, dunque, quell'avvertimento dovra', altresi', rendere edotto il consumatore che, in assenza di opposizione, "decadra' dalla possibilita' di far valere l'eventuale carattere abusivo" delle clausole del contratto (cosi' la citata sentenza Ibercaja Banco). Si tratta di una specificazione armonica rispetto alla ratio della norma, della quale e' estesa la virtualita' di significato gia' in nuce, che e' nel senso di mettere sull'avviso il debitore circa l'immutabilita' della decisione che trovera' soddisfazione come tale. 7.5. - Come anche rilevato dallo stesso pubblico ministero tramite un puntuale riferimento alla sentenza Ibercaja Banco, una volta che il decreto ingiuntivo presenti la motivazione e l'avvertimento anzidetti, la tutela del consumatore e' da reputarsi rispettosa del canone dell'effettivita' e la maturazione del termine di cui all'articolo 641 c.p.c., senza che sia stata proposta opposizione, non consentira' piu' successive contestazioni sulla questione di abusivita' delle clausole contrattuali. B) il c.d. "seguito per il passato" (ovvero anche "per il futuro" ove il giudice del monitorio non osservi quanto indicato al punto A). 8. - La portata retroattiva delle sentenze interpretative della CGUE (rammentata al § 4.1., che precede) impone di rinvenire anche per il "passato" - ossia a fronte di decreti ingiuntivi in precedenza emessi in difetto di quanto indicato sub A) e divenuti irrevocabili, nonche' di conseguenti procedimenti esecutivi ancora in corso (rispetto ai quali, dunque, il bene staggito o il credito pignorato non sia stato, rispettivamente, trasferito o assegnato, giacche' in tal caso il consumatore potra' soltanto attivare, in altro giudizio, il rimedio risarcitorio: cosi' la sentenza Ibercaja Banco) - la soluzione che, nell'ambito dell'ordinamento processuale interno, assicuri al consumatore stesso tutela effettiva alla luce dei dicta della Corte di Lussemburgo. Soluzione che, del pari, s'impone nell'ipotesi in cui il decreto ingiuntivo venga ancora emesso senza rispettare le indicazioni di cui al precedente punto A) e, come tale, divenga irrevocabile. Si tratta, all'evidenza, della scelta ermeneutica maggiormente problematica, rispetto alla quale le proposte che la comunita' degli interpreti ha individuato sono davvero plurime e articolate: da quelle che fanno appello essenzialmente a rimedi tipici della cognizione piena, lasciando al giudice dell'esecuzione soltanto il potere di rilevazione dei profili di abusivita' delle clausole contrattuali al fine esclusivo di sanare il difetto di controllo determinatosi nella fase monitoria; a quelle che, invece, prediligono un ruolo attivo del giudice dell'esecuzione anche nell'accertamento della vessatorieta', sebbene con efficacia circoscritta al processo esecutivo in corso. 8.1. - La risposta che queste Sezioni Unite ritengono di dover privilegiare e, quindi, declinare in principio nomofilattico e' quella che, a valle del rilievo sui profili di abusivita' della clausola contrattuale ad opera del giudice dell'esecuzione, fa applicazione della disciplina dell'opposizione tardiva a decreto ingiuntivo dettata dall'articolo 650 c.p.c., con gli adeguamenti che per essa si rendono necessari in ragione di una piena conformazione al diritto unionale di cui alla direttiva 93/13/CEE, secondo l'interpretazione della CGUE. L'opzione interpretativa dell'opposizione tardiva ex articolo 650 c.p.c. si fa preferire perche' - in armonia con la prospettiva in precedenza evidenziata (§§ 5 e 6) - e' capace di coniugare, meglio di altre (come si dara' ragione piu' avanti), l'esigenza preminente della tutela effettiva del consumatore con l'esigenza, pur garantita dall'ordinamento sovranazionale, di rendere operante nella maggiore espansione possibile il principio di autonomia procedurale. 8.2. - Queste le relative scansioni processuali. 8.2.1. - In assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusivita' delle clausole, il giudice dell'esecuzione (G.E.), sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito, ha il potere/dovere di rilevare d'ufficio l'esistenza di una clausola abusiva che incida sulla sussistenza o sull'entita' del credito oggetto del decreto ingiuntivo. A tal fine, il G.E., nelle forme proprie del processo esecutivo - ossia secondo un modello strutturalmente deformalizzato (articoli 484487 c.p.c.) -, dovra', nel contraddittorio delle parti, provvedere, ove detto rilievo non sia possibile solo in base agli elementi di diritto e di fatto gia' in atti, ad una sommaria istruttoria, rispetto alla quale si presentera', sovente, la necessita' di acquisire anzitutto il contratto fonte del credito ingiunto. In particolare, ove non sia adito prima dalle parti, il G.E. potra' dare atto, nel provvedimento di fissazione, rispettivamente, dell'udienza ex articolo 530 c.p.c. (nel caso di vendita o assegnazione dei beni pignorati) o ex articolo 543 c.p.c. (nel caso di espropriazione presso terzi), che il decreto ingiuntivo non e' motivato e invitare il creditore procedente o intervenuto a produrre, in un certo termine prima dell'udienza, il contratto fonte del credito azionato in via monitoria, cosi' da instaurare, nell'udienza stessa, il contraddittorio delle parti sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto. All'esito, il G.E., se rileva il possibile carattere abusivo di una clausola contrattuale, ma anche se ritenga che cio' non sussista, ne informa le parti e avvisa il debitore consumatore (cio' che varra' come interpello sull'intenzione di avvalersi o meno della nullita' di protezione) che entro 40 giorni da tale informazione - che nel caso di esecutato non comparso e' da rendersi con comunicazione di cancelleria - puo' proporre opposizione a decreto ingiuntivo e cosi' far valere (soltanto ed esclusivamente) il carattere abusivo delle clausole contrattuali incidenti sul riconoscimento del credito oggetto di ingiunzione. Prima della maturazione del predetto termine, il G.E. si asterra' dal procedere alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito. 8.2.1.1. - Va, peraltro, evidenziato che potrebbero porsi casi in cui il debitore consumatore abbia gia' proposto un'opposizione all'esecuzione ex articolo 615, comma 1, c.p.c. - dunque, prima dell'inizio dell'esecuzione, a seguito della notificazione del precetto - intendendo elidere il titolo esecutivo costituito dal decreto ingiuntivo divenuto irrevocabile proprio a motivo dell'abusivita' delle clausole contrattuali incidenti sul riconoscimento del credito del professionista. In tale evenienza (possibile soprattutto dopo la pubblicazione delle sentenze della CGUE del 17 maggio 2022), il giudice adito riqualifichera' l'opposizione come opposizione tardiva ex articolo 650 c.p.c. e rimettera' la decisione al giudice di questa, fissando un termine non inferiore a 40 giorni per la riassunzione (in applicazione dell'articolo 50 c.p.c., in forza di interpretazione adeguatrice). 8.2.1.2. - Se, poi, sia, allo stato, gia' in corso un'opposizione esecutiva ed emerga un problema di abusivita' delle clausole del contratto concluso tra consumatore e professionista, il giudice dell'opposizione rilevera' d'ufficio la questione e interpellera' il consumatore se intende avvalersi della nullita' di protezione. Ove il consumatore voglia avvalersene, il giudice dara' al consumatore termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva ex articolo 650 c.p.c. e, nel frattempo, il G.E. si asterra' dal disporre la vendita o l'assegnazione del bene o del credito. 8.2.2. - Il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, una volta investito, avra' il potere, ex articolo 649 c.p.c. (quale disposizione richiamata dal comma 2 dell'articolo 650 c.p.c.), di sospendere l'esecutorieta' del decreto ingiuntivo in modo totale o parziale, a seconda degli effetti che potrebbe comportare l'accertamento sulla abusivita' clausola che viene in rilievo. Sicche', in via meramente esemplificativa, se si tratta di clausola derogatoria del foro del consumatore la sospensione sara' totale; se, invece, si discute unicamente di una clausola determinativa di interessi moratori eccessivi, la sospensione ben puo' essere parziale, mantenendo intatta l'esecutorieta' del titolo per la sorte capitale, rispetto alla quale proseguira' l'esecuzione forzata gia' intrapresa dal creditore professionista. Il giudizio di opposizione procedera', quindi, secondo il rito. 8.3. - Come si evince chiaramente dalle illustrate scansioni processuali, la soluzione dell'opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, per poter operare nei termini anzidetti, presuppone taluni adeguamenti del diritto processuale interno, che si rendono possibili attraverso gli strumenti, in precedenza richiamati (cfr. § 5), dell'interpretazione conforme e della disapplicazione. 8.3.1. - In primo luogo, attraverso un'interpretazione conforme del comma 1 dell'articolo 650 c.p.c., e' dato ritenere che l'assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in punto di valutazione della vessatorieta' delle clausole e (specialmente) il mancato avvertimento circa la possibilita' di far valere detta abusivita' solo entro un certo termine configurino un'ipotesi riconducibile alla previsione normativa del "caso fortuito o forza maggiore", la quale da' facolta' al debitore consumatore, sebbene destinatario della notificazione del decreto ingiuntivo, di fare opposizione tardiva pur avendo avuto conoscenza del decreto ingiuntivo della cui rituale notificazione e' stato destinatario (e cio' secondo l'addizione alla disposizione originaria resa dalla sentenza n. 120 del 1976 della Corte costituzionale). Operazione ermeneutica che non e' inibita dall'enunciato legislativo ed e' sorretta dalle ragioni, gia' evidenziate, di effettivita' della tutela del consumatore per la sua strutturale posizione di debolezza dovuta - non solo, ma in modo significativo - per un deficit informativo superabile solo grazie ad un intervento esterno: quello del rilievo officioso del giudice. In tale specifica prospettiva, quindi, le indicate carenze formali del decreto monitorio vengono a configurare per il consumatore, privo della necessaria informazione per esercitare con piena consapevolezza i propri diritti, una causa non imputabile impeditiva della proposizione tempestiva dell'opposizione sul profilo della abusivita' delle clausole contrattuali e, dunque, il requisito richiesto dall'articolo 650 c.p.c. per accedere all'opposizione tardiva. E' una lettura che, nel conformare al diritto dell'Unione la disposizione di legge nazionale che contempla le anzidette clausole generali, non decampa, tuttavia, dalla portata prescrittiva ascrivibile plausibilmente allo stesso comma 1 dell'articolo 650 c.p.c., poiche' il "caso fortuito" o la "forza maggiore" ivi previsti sono stati assunti dalla citata sentenza n. 120 del 1976 proprio nel significato di "causa... non imputabile" o di "circostanze non dipendenti dalla... volonta'" impeditive dell'esercizio del diritto di azione e difesa in giudizio (e nell'interpretazione, non confliggente, di questa Corte come "forza esterna ostativa" e "fatto di carattere oggettivo avulso dall'umana volonta'": tra le altre, Cass., 20 novembre 1996, n. 10170 e Cass., 4 luglio 2019, n. 17922), in contrapposizione ad una condotta (quella, per l'appunto, di far "decorrere inutilmente il termine per proporre opposizione") posta in essere "volontariamente o colposamente". 8.3.2. - L'ulteriore adeguamento del diritto processuale interno riguarda il termine entro il quale proporre l'opposizione tardiva, poiche' l'ultimo comma dell'articolo 650 c.p.c., nello stabilire che l'"opposizione non e' piu' ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione", reca una disposizione che, diversamente da quella del comma 1 della stessa norma, non consente - secondo i criteri ermeneutici utilizzabili anche per dare ingresso ad una lettura conforme al diritto sovranazionale - un'interpretazione che si possa discostare dal tenore dell'enunciato che definisce strettamente il perimetro nel quale e' possibile proporre l'opposizione, tale da pregiudicarne la facolta' di esercizio in ogni diversa ipotesi. A tal fine e', pertanto, necessario procedere alla disapplicazione dell'ultimo comma dell'articolo 650 c.p.c. e rinvenire il termine di 40 giorni dall'articolo 641 c.p.c., ossia un termine che e' pur sempre tratto dall'interno della disciplina dettata per l'opposizione a decreto ingiuntivo e della cui rispondenza al criterio di effettivita' non e' dato dubitare. B.1) le ragioni della scelta dettata per il c.d. "seguito per il passato" (ovvero anche "per il futuro" come indicato sub B). 9. - Le ragioni che hanno concorso a determinare il Collegio per la soluzione prescelta, e a preferirla ad altre pur autorevolmente proposte, sono plurime e possono essere sintetizzate nei termini seguenti. 9.1. - Anzitutto, esse riguardano il profilo - come detto, preminente - della tutela effettiva del consumatore. - L'opposizione ex articolo 650 c.p.c. e' rimedio idoneo a garantirla anzitutto perche' e' esperibile non solo dopo, ma anche anteriormente all'inizio dell'esecuzione e, segnatamente, pure in momento antecedente alla stessa notificazione del precetto, cosi' da evitare al consumatore di trovarsi nell'eventualita' - non remota - di subire l'esecuzione e, quindi, il vincolo del pignoramento sui propri beni, ancor prima di poter dare ingresso ad un controllo sulla vessatorieta' delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto. - Inoltre, assume una valenza pregnante il potere del giudice dell'opposizione tardiva di sospendere l'esecutorieta' del titolo giudiziale (articolo 649 e 650, comma 2, c.p.c.), che concreta l'ipotesi di sospensione di cui all'articolo 623 c.p.c. (tra le altre, Cass., 16 gennaio 2006, n. 709 e Cass., 22 dicembre 2022, n. 37558; sospensione che ha effetti favorevoli anche rispetto alla comunque pregiudizievole iscrizione di ipoteca ex articolo 655 c.p.c.), cosi' da evitare al debitore consumatore di dover ottenere la sospensione di ciascuna procedura esecutiva nella quale il creditore professionista (in forza di una facolta' che puo' ben esercitare: tra le altre, Cass., 18 settembre 2008, n. 23847) lo coinvolga sulla base del medesimo titolo esecutivo costituito dal decreto ingiuntivo non opposto. In tal modo, per il consumatore esecutato verrebbe meno anche il rischio che il bene sia venduto o il credito assegnato da uno (o piu') dei GG.EE. aditi che rigettino l'istanza di sospensione della procedura, con la conseguenza che al consumatore stesso rimarrebbe, semmai, la possibilita' di attivare rimedi non altrettanto effettivi, come quello risarcitorio. - Ed ancora, l'opposizione ex articolo 650 c.p.c. e' attivabile entro uno spatium deliberandi di 40 giorni e, dunque, entro un termine certo, cio' che, invece, non sarebbe possibile per l'opposizione all'esecuzione ex articolo 615 c.p.c., alla quale, in mancanza di un termine per la sua proposizione, si potrebbe fare ricorso durante tutto lo svolgimento della fase di liquidazione giudiziale e fino alla apertura della fase distributiva. Ed analogo rilievo, ossia l'assenza di un termine per la proposizione, vale a maggior ragione per il rimedio dell'actio nullitatis. - L'opposizione tardiva consente al debitore consumatore di recuperare la tutela, piena ed effettiva, di cui non ha potuto usufruire e permette al giudice di svolgere, in una sede di cognizione piena e nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, quella delibazione integrale non effettuata in precedenza, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo, totale o parziale, sia quando la nullita' riguardi una clausola che inficia solo il quantum debeatur, sia quando essa incida integralmente sull'an debeatur, sempre che a tale declaratoria il consumatore non si opponga, giacche' trattasi comunque di nullita' relativa e "a vantaggio" (cfr. Cass., S.U., 4 novembre 2019, n. 28314; analogamente, Cass., S.U., n. 26242 e n. 26243 del 2014, citate). - E' proprio quel principio del pieno contraddittorio, quale nucleo essenziale della tutela giurisdizionale, che non potrebbe trovare adeguata garanzia dinanzi ad un G.E. al quale venga affidato anche l'accertamento e la declaratoria di abusivita' delle clausole contrattuali, poiche', come detto, il rito e' essenzialmente deformalizzato e i poteri cognitivi ad esso attribuiti, sebbene arricchiti dalle piu' recenti riforme legislative rispetto all'assetto originario, sono pur sempre funzionali allo svolgimento della procedura esecutiva. - Del resto, in questa stessa prospettiva, il rilievo officioso del G.E. avrebbe un valore soltanto endoprocedimentale e anche l'eventuale ordinanza di chiusura della procedura in caso di accertata abusivita' della clausola non potrebbe essere idonea alla formazione di un giudicato, per cui il consumatore sarebbe ancora esposto al rischio di nuove procedure esecutive (anche sullo stesso bene), senza poter far valere la precedente decisione a lui favorevole. - Peraltro, anche in caso di sentenza emessa all'esito di opposizione ex articolo 617 c.p.c., essendo un tale provvedimento ricorribile soltanto per cassazione, il debitore consumatore non avrebbe a disposizione un grado di giudizio per far valere le proprie ragioni e, pertanto, sebbene il rimedio del "doppio grado" non sia necessario presidio di effettivita' della tutela anche alla luce dell'articolo 47 CDFUE (tra le altre, CGUE, sentenza 26.9.2018, in C-180/17) e neppure oggetto, di per se', di copertura costituzionale (tra le molte, Corte Cost., ord. n. 190 del 2013), si verrebbe, comunque, a determinare un vulnus del criterio, Eurounitario, di equivalenza, poiche' l'ordinamento interno disciplina rimedi - e cio' anche in riferimento all'opposizione ex articolo 650 c.p.c. - che di quel doppio grado di giudizio fanno beneficiare. - E' pur vero, invece, che nel caso in cui il rilievo officioso riguardi la clausola abusiva di deroga del foro del consumatore, l'opposizione tardiva imporrebbe a quest'ultimo di difendersi in giudizio in una sede diversa da quella del suo domicilio. Tuttavia, l'opposizione ex articolo 650 c.p.c. e' rimedio che, per le gia' evidenziate caratteristiche, e' tale da prevalere, tra varie opzioni possibili, in un bilanciamento il quale ha come obiettivo il piu' ampio livello di tutela effettiva del consumatore, la' dove, del resto, neppure le prospettate soluzioni endoesecutive potrebbero, sempre e comunque, ovviare all'anzidetta situazione, che avrebbe modo di proporsi in forza di quanto dettato, in materia di competenza territoriale, dagli articoli 26 e 27 c.p.c. per l'espropriazione forzata di bene immobile e per l'espropriazione presso terzi, allorquando, rispettivamente, il bene e il terzo pignorato non si trovino nel domicilio del debitore. - Nondimeno, sul piano della garanzia fondamentale della ragionevole durata del processo, anch'essa principio funzionale (e, dunque, mezzo) rispetto al fine dell'effettivita' della tutela giurisdizionale, occorre che i meccanismi procedurali delineati dal legislatore nazionale siano coerenti in vista dello scopo. L'obbligatorieta' del processo telematico, di recente ribadita a regime dalla riforma recata dal Decreto Legislativo n. 149 del 2022, cospira in tale direzione e rende sicuramente piu' agevole e celere la difesa in giudizio anche del consumatore quanto alla prima fase di opposizione, del deposito del ricorso e al rilievo circa il foro del consumatore, che ben puo' essere supportato, almeno per l'istanza di sospensione, da idonea documentazione (certificato anagrafico/residenza); - Ne' puo' dirsi che l'opposizione ex articolo 650 c.p.c. sia rimedio non aderente ai principi espressi dalla giurisprudenza della CGUE (anche con le sentenze del 17 maggio 2022), adducendo che esso, pur garantendo il necessario controllo officioso sul carattere abusivo delle clausole contrattuali ad opera del giudice dell'esecuzione, demanda, pero', ad una sede giudiziale distinta la declaratoria di nullita' di esse. La Corte di Lussemburgo, infatti, non impone di tenere insieme, nella stessa sede processuale esecutiva, il rilievo d'ufficio e la dichiarazione di abusivita' delle clausole contrattuali, con i relativi effetti sull'azione monitoria intrapresa dal professionista. Come in precedenza evidenziato, nella materia disciplinata dalla direttiva 93/13/CEE rimane intatto il principio di autonomia procedurale se gli istituti di diritto nazionale assicurino l'effettivita' della tutela del consumatore. Con la sentenza "SPV/Banco di Desio", nonostante che il quesito interpretativo avesse di mira (cfr. § 24 della sentenza, dove si auspica che il G.E. posa "superare gli effetti del giudicato implicito") anche una soluzione di una concentrazione dei poteri (di rilevazione e dichiarazione) nel G.E., la CGUE si e' arrestata al potere di rilievo - di "valutazione", di "controllo" -, senza affermare che lo stesso G.E. debba, altresi', accertare e dichiarare l'abusivita' (o meno) della clausola. Nella sentenza Impuls Leasing Romania (del 17 maggio 2022, in C-725/19: cfr. §§ 51-58) - come anche messo in rilievo nelle conclusioni scritte del pubblico ministero - la contrarieta' della normativa processuale nazionale alla direttiva 93/13/CEE e' stata valutata in ragione del fatto che, in assenza del rilievo officioso dell'abusivita' della clausola contrattuale ad opera del G.E., la declaratoria di nullita' della stessa rimessa successivamente ad altro giudice di merito non consente di garantire al consumatore tutela effettiva (tale non essendo quella soltanto risarcitoria a posteriori) in quanto quest'ultimo giudice ha il potere di sospendere il procedimento di esecuzione, ma soltanto "su cauzione calcolata sulla base del valore dell'oggetto del ricorso". Un elemento, quest'ultimo, che, dunque, e' risultato decisivo per la delibazione sulla mancanza di una tutela effettiva, poiche' tale da scoraggiare il consumatore stesso dall'adire quel giudice di merito; elemento che, pero', nel nostro caso, non sussiste, giacche' la sospensione ex articolo 649 c.p.c. non e' condizionata da alcuna cauzione. 9.2. - Viene, poi, in rilievo - nei termini in precedenza delineati (§§ 5, 6 e 8.1.) - il piano che intercetta il principio dell'autonomia procedurale degli Stati membri. - Sotto questo profilo, l'opposizione tardiva si lascia preferire perche' e' rimedio che l'ordinamento stesso appresta contro il giudicato (cfr. Cass., S.U., 16 novembre 1998, n. 11549; Cass., 6 ottobre 2005, n. 19429; Cass., 24 marzo 2021, n. 8299) e, quindi, consente, anzitutto, di mantenere ferma la configurazione del decreto ingiuntivo non opposto quale provvedimento idoneo a passare in giudicato formale e a produrre effetti di giudicato sostanziale. - Inoltre, in quanto rimedio di sistema contro il giudicato, tale soluzione permette, anche nel limitato campo del decreto ingiuntivo non opposto in materia consumeristica, di fare salvo il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. - Al tempo stesso, l'opposizione ex articolo 650 c.p.c. si presenta come risposta coerente rispetto ai dicta della CGUE, giacche' e' idonea a rimettere in discussione il risultato di condanna conseguito dal creditore con il decreto ingiuntivo non opposto proprio in ragione del carattere abusivo della clausola del contratto fonte del diritto azionato in via monitoria, cosi' da poter determinare la caducazione di quel decreto ovvero la riduzione del suo importo quale conseguenza della dichiarazione della natura abusiva di una o piu' clausole, con sentenza - come detto - suscettibile di passare in giudicato formale e con attitudine al giudicato sostanziale. - Ed ancora, tale soluzione consente di non derogare alla regola (tra le tante, Cass., 18 febbraio 2015, n. 3277 e Cass., 14 febbraio 2020, n. 3716) secondo cui in sede di opposizione all'esecuzione, ove alla base dell'opposizione sia posto un titolo esecutivo giudiziale, non possono farsi valere fatti impeditivi anteriori alla formazione del titolo, cosi' da non mettere in discussione la natura di titolo esecutivo giudiziale del decreto ingiuntivo non opposto. - Nondimeno, l'individuazione di una tipica sede di cognizione permette di circoscrivere nei limiti consentiti dal diritto dell'Unione la deroga alla distinzione, propria della tradizione del nostro ordinamento processuale, tra il piano della cognizione e quello dell'esecuzione (tra le molte, Cass., 24 febbraio 2011, n. 4505), di cui - come gia' evidenziato (§ 9.1.) - rimane tuttora espressione il fatto che i poteri cognitivi riconosciuti dal codice di rito al giudice dell'esecuzione siano, comunque, funzionali all'espletamento dell'esecuzione stessa. - Non essendo la soluzione della revocazione ex articolo 395 c.p.c. (disposizione richiamata dall'articolo 656 c.p.c. in materia di decreto d'ingiunzione) praticabile in via interpretativa, per essere riservato al legislatore il potere di ampliare il catalogo delle ipotesi (numeri da 1 a 5) ad ulteriori casi che ne consentano l'attivazione (Corte Cost., n. 123 del 2017; Cass., 27 ottobre 2015, n. 21912; cfr. la recente introduzione del Decreto Legislativo n. 149 del 2022, articolo 391-quater c.p.c., ad opera, dell'ipotesi di revocazione per contrarieta' alla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo), l'opposizione tardiva si fa preferire anche alla soluzione, pur pertinente alla sede della cognizione piena, dell'"actio nullitatis". Opzione, questa, auspicata dallo stesso pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte, dove le complessive argomentazioni spese si sono fatte carico, comunque, e pur a prescindere dalla soluzione privilegiata, di salvaguardare la duplice esigenza, coltivata dal Collegio, di preservare, al contempo, l'effettivita' della tutela del consumatore e, fin dove possibile, il principio di autonomia procedurale. L'actio nullitatis non solo - come detto (§ 9.1.) - e' priva di un termine per la sua proposizione e, altresi', impone, per ottenere il necessario risultato della sospensione dell'esecutorieta' del titolo giudiziale, di attivare il percorso, non cosi' agevole e diretto (soprattutto ad esecuzione non iniziata), dello strumento cautelare disciplinato dall'articolo 700 c.p.c., il quale, comunque, contempla anche la possibilita' di disporre una cauzione, che la CGUE intende come fattore idoneo ad ostacolare il pieno dispiegamento della tutela del consumatore. Ma ancor piu' rileva il fatto che si tratta di uno strumento di creazione pretoria - peraltro legato a presupposti (la cd. inesistenza giuridica o la nullita' radicale di un provvedimento decisorio dal contenuto abnorme: tra le altre, piu' di recente, Cass., 15 aprile 2021, n. 9910 e Cass., 7 febbraio 2022, n. 3810) non riscontrabili nella fattispecie - il quale, nel collocarsi al di fuori del sistema della disciplina processuale dettata dall'ordinamento interno, si atteggia, come tale, a risposta che tradisce, nelle pieghe, il suo ergersi ad "extrema ratio" e, dunque, di non essere in grado, sino in fondo, di mettersi in sintonia con quel contesto, richiamato piu' volte in precedenza, di complementarieta' funzionale tra ordinamenti, nel quale deve svolgersi l'opera, cruciale, affidata al giudice nazionale/giudice comune Europeo. I principi di diritto da enunciarsi ai sensi dell'articolo 363, comma 3, c.p.c.. 10. - Alla luce delle considerazioni che precedono vanno enunciati, nell'interesse della legge, i principi dettagliatamente riportati nel dispositivo della presente sentenza. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, dichiara l'estinzione del giudizio di legittimita' per intervenuta rinuncia e, nell'interesse della legge, enuncia i seguenti principi di diritto: Fase monitoria: Il giudice del monitorio: a) deve svolgere, d'ufficio, il controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all'oggetto della controversia; b) a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell'articolo 640 c.p.c., con il potere istruttorio d'ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d'ingiunzione: b.1.) potra', quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore; b.2) ove l'accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un'istruttoria eccedente la funzione e la finalita' del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovra' rigettare l'istanza d'ingiunzione; c) all'esito del controllo: comma 1) se rileva l'abusivita' della clausola, ne trarra' le conseguenze in ordine al rigetto o all'accoglimento parziale del ricorso; comma 2) se, invece, il controllo sull'abusivita' delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncera' decreto motivato, ai sensi dell'articolo 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione; comma 3) il decreto ingiuntivo conterra' l'avvertimento indicato dall'articolo 641 c.p.c., nonche' l'espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potra' piu' far valere l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventera' irrevocabile. Fase esecutiva. Il giudice dell'esecuzione: a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusivita' delle clausole, ha il dovere - da esercitarsi sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito - di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull'esistenza e/o sull'entita' del credito oggetto del decreto ingiuntivo; b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto gia' in atti, dovra' provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine; c) dell'esito di tale controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole - sia positivo, che negativo - informera' le parti e avvisera' il debitore esecutato che entro 40 giorni puo' proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'articolo 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusivita' delle clausole, con effetti sull'emesso decreto ingiuntivo; d) fino alle determinazioni del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'articolo 649 c.p.c., non procedera' alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito; e) se il debitore ha proposto opposizione all'esecuzione ex articolo 615, comma 1, c.p.c., al fine di far valere l'abusivita' delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualifichera' in termini di opposizione tardiva ex articolo 650 c.p.c. e rimettera' la decisione al giudice di questa (translatio iudicii); f) se il debitore ha proposto un'opposizione esecutiva per far valere l'abusivita' di una clausola, il giudice dara' termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva - se del caso rilevando l'abusivita' di altra clausola - e non procedera' alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell'opposizione tardiva sull'istanza ex articolo 649 c.p.c. del debitore consumatore. Fase di cognizione Il giudice dell'opposizione tardiva ex articolo 650 c.p.c.: a) una volta investito dell'opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusivita' delle clausole contrattuali), avra' il potere di sospendere, ex articolo 649 c.p.c., l'esecutorieta' del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l'accertamento sull'abusivita' delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale; b) procedera', quindi, secondo le forme di rito.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI ROMA SEZIONE SETTIMA CIVILE così composta: dr. Maria Rosaria Rizzo - Presidente dr. Paola Agresti - Consigliere relatore dr. Maria Speranza Ferrara - Consigliere riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1154 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2017, assunta in decisione all'udienza del 11.01.2023, vertente TRA CONDOMINIO DI VIA (...) 6-20 R. (c.f. (...) ), in persona del legale rappresentante pro tempore; elettivamente domiciliato in Roma, Via Nairobi n. 40, presso lo studio dell'avv. Adalgisa Manzari (c.f. (...) ) e dell'avv. Silvia Manzari (c.f. (...) ), che lo rappresentano e difendono per procura a margine della comparsa di costituzione e risposta depositata nel primo grado di giudizio il 19.12.2014 nel procedimento pendente presso il Tribunale di Roma - APPELLANTE - E (...) S.P.A. - già (...) S.P.A. (c.f. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore; elettivamente domiciliata in Roma, Lungo Tevere Flaminio n. 34, presso lo studio dell'avv. Giancarlo Nunè (c.f. (...) ), che la rappresenta e difende per procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello - APPELLATA - OGGETTO: appello contro la sentenza n. 15691/2016 resa in data 03.08.2016 dal Tribunale Ordinario di Roma FATTO-DIRITTO RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione in appello ritualmente notificato il CONDOMINIO DI VIA (...) 6-20 R.( di seguito per brevità solo CONDOMINIO ) ha proposto appello avverso la sentenza n. 15691/2016, pubblicata in data 03.08.2016, resa dal Tribunale Ordinario di Roma nel giudizio di primo grado recante n. R.G.: 37738/2014 promosso da (...) S.P.A. (già (...) S.P.A.) ( di seguito per brevità solo (...)) nei confronti del medesimo appellante. I fatti di causa sono così riportati nella sentenza impugnata: "(...) S.p.a., poi divenuta (...) S.p.a. a seguito di atto di scissione stipulato in data 3.12.2014, ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 8627/2014 (RG 18216/2014) emesso ad istanza del Condominio di via P.G. n. 6/20, provvisoriamente esecutivo, per la somma di Euro 6.707,70, oltre interessi e spese della procedura, a titolo oneri condominiali non pagati, impugnando con autonoma domanda in via riconvenzionale anche la relativa delibera assembleare del 6.12.2013, assumendola invalida, nulla ed inesistente. Detto ricorso, pedissequo decreto, e relativo atto di precetto sono stati notificati all'(...) Spa, la quale provvedeva al pagamento dell'importo precettato ma, non ritenendo di essere debitrice di alcuna somma, in virtù di espressa esclusione ai sensi dell'art. 49 del Regolamento di condominio, con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo notificato il 30.05.2014, conveniva in giudizio il Condominio di Via (...) 6/20 per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale civile di Roma adito, respinta ogni contraria istanza e disattesa ogni eccezione avversaria, verificati di ufficio tutti gli elementi di procedibilità della domanda opposta, così giudicare: 1. in via pregiudiziale e preliminare accertare e dichiarare l'invalidità del ricorso anche per difetto di poteri e della procura alle liti e per l'effetto rigettare la domanda avversaria e/o annullare e/o revocare l'ingiunzione impugnata;2. In via principale, anche riconvenzionale e nel merito, rigettare la domanda avversaria, infondata in fatto e in diritto e non provata, accertare e dichiarare anche in via negativa la nullità/invalidità ed inesistenza delle delibere condominiali individuate nel ricorso e sottese al decreto ingiuntivo e in particolare anche quella del 6.12.13 e le loro convocazioni, di tutti gli atti ad essa connessi, dipendenti e collegati, nonché dell'ingiunzione impugnata anche per i motivi individuati in narrativa e per contrarietà alla legge e al regolamento, con tutte le statuizioni conseguenti e necessarie e, per I 'effetto, accertare e dichiarare non dovuta la somma di Euro 6.707,70 e condannare il Condominio di Via (...) n.6-20, in persona dell'Amministratore pro tempore, alla restituzione, di quanto eventualmente pagato nelle more. In ogni caso con vittoria di spese, competenze e onorari. A sostegno della propria domanda, la società opponente deduceva: (i) il difetto di poteri dell'amministratore ed il conseguente difetto di procura alle liti; (ii) che l'art. 49 del Regolamento condominiale prevede per l'(...) Spa l'esonero da ogni contribuzione relativamente alle unità immobiliari invendute; (iii) la nullità della Delib. del 6 dicembre 2013 sottesa al decreto opposto, per essersi l'assemblea condominiale pronunciata su una materia alla stessa preclusa. Si costituiva in giudizio il condominio opposto, chiedendo al Giudice di respingere la spiegata opposizione e, confermato in ogni sua parte il decreto ingiuntivo, condannarsi l'(...) Spa a corrispondere al Condominio di R. Via (...) 6/20 la somma di Euro 6.707,70, o quella che dovesse risultare di giustizia, oltre interessi legali dal dovuto al saldo; il tutto con rivalutazione e interessi sulle somme rivalutate dalla data di maturazione dei singoli crediti fino all'effettivo soddisfo, nonché di dichiarare nulla la clausola di cui all'art. 49 del Regolamento condominiale. La causa è stata istruita in via esclusivamente documentale". All'esito del giudizio il Tribunale adito ha così deciso: "il Tribunale, definitivamente pronunciando sull'opposizione proposta da (...) S.p.A., ora (...) S.p.A., avverso il decreto ingiuntivo n. 8627/2014 (RG 18216/2014), emesso in data 10.4.2014 dal Tribunale di Roma ad istanza del Condominio di via P.G. n. 6/20 - Roma, disattesa ogni contraria istanza o eccezione, così provvede: A) in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiara la nullità delle delibere adottate dal Condominio opposto all'assemblea del 6.12.2013 (segnatamente: quella di approvazione del consuntivo 2012 e quella di approvazione del piano di riparto lavori straordinari); B) accoglie l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto; C) condanna il condominio opposto al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 235,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi di avvocato, oltre IVA e CPA nella misura di legge". Il Tribunale, a fondamento della decisione, ha posto le seguenti considerazioni: "Va preliminarmente esaminata l'eccezione relativa al difetto di mandato, sollevata da parte opponente. L'eccezione è destituita di fondamento e va pertanto rigettata, in quanto rientra tra i poteri-doveri dell'amministratore del condominio agire prontamente in giudizio per riscuotere gli oneri condominiali dovuti dai condomini morosi, ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c. e 63 disp. att. c.c. Va poi esaminata la questione relativa alla legittimità della clausola di esonero dalla contribuzione, prevista dall'art. 49 del regolamento condominiale a favore della società opponente e quella della validità della delibera di approvazione della ripartizione delle spese tra i condomini. Deve premettersi che il regolamento condominiale è di natura contrattuale, essendo stato recepito nei singoli atti di acquisto da parte degli attuali proprietari o dei rispettivi danti causa. Ritiene il giudicante di uniformarsi all'indirizzo giurisprudenziale di questa sezione, secondo cui il regolamento condominiale di natura contrattuale ben può modificare i criteri di riparto delle spese come previsti dalla legge, non essendo comprese le norme che disciplinano il riparto delle spese tra quelle inderogabili di cui all'art. 1138, ult. comma, c.c.. I diversi criteri previsti nel regolamento, invece, non possono considerarsi alla stregua di clausole vessatorie, come assume il condominio opposto, non essendo applicabile la disposizione di cui all'art. 1341, comma 2, c.c., norma che presuppone, invece, la predisposizione di clausole per una serie indeterminata di casi, da parte di uno solo dei contraenti e a suo esclusivo vantaggio. In accoglimento della domanda riconvenzionale formulata dall'opponente, le delibere poste a fondamento del decreto opposto - e in particolare quelle di approvazione del consuntivo 2012 e del piano di riparto lavori straordinari, adottate all'assemblea del 6.12.2013 - vanno pertanto dichiarate nulle, in applicazione di principi sanciti dalla costante giurisprudenza della Cassazione, secondo cui qualora si tratti di violazione in concreto dei criteri di riparto ricorre un'ipotesi di annullabilità, mentre, qualora - come nella fattispecie - la delibera abbia approvato dei criteri destinati a valere per il futuro, si verte in tema di nullità, essendo stata effettuata, in sostanza, un'illegittima modifica delle tabelle millesimali (ex plurimis Cass. SS.UU. n. 4806/2005). L'assemblea, infatti, non ha commesso alcun errore materiale, ma ha scientemente modificato i criteri di riparto delle spese in deroga ed in violazione del dettato del regolamento condominiale, con conseguente violazione del diritto della società opponente di non contribuire, nei limiti pattuiti, alle spese comuni. Alla declaratoria di nullità delle delibere impugnate conseguono l'accoglimento dell'opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo opposto. Si è ritenuto di fare applicazione dei princìpi sanciti nella sentenza di questo Tribunale allegate da parte opponente, con particolare riferimento alla sentenza n. 8961/2013, alle cui considerazioni, che si condividono integralmente, si fa rinvio per ovvie esigenze di sintesi. Resta assorbita ogni altra questione, domanda o eccezione, prospettata dalle parti o rilevabile d'ufficio. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in applicazione del D.M. della Giustizia n. 55 del 2014". Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il CONDOMINIO, per i motivi che verranno di seguito esaminati, e ha rassegnato le seguenti conclusioni. " Voglia l'Ecc.ma Corte d'Appello adita, respinta ogni contraria domanda, istanza ed eccezione, accogliere l'appello proposto con riferimento alla sentenza del Tribunale di Roma, n. 15691/16 del 3.8.2016 e, in integrale riforma della stessa, così pronunciare: - dichiarare inammissibile e comunque infondata l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta, e dichiarare dovute le somme già corrisposte da (...) (già (...)) S.p.A. al Condominio di R., Via (...) 6-20 in forza del decreto ingiuntivo del Tribunale di Roma n. 8627/14 rg 18216/14; - dichiarare la nullità dell'art. 49 del regolamento del Condominio di Via (...) 6-20". Con vittoria delle spese di lite del doppio grado di giudizio ". Si è costituita l'appellata I., con comparsa di costituzione depositata in data 20 Giugno 2017, la quale ha rassegnato le seguenti conclusioni. " Voglia l'Ill.ma Corte di Appello adita, contrariis reiectis, così giudicare: 1. in via preliminare, accertare e dichiarare l'inammissibilità dell'appello ex artt. 342 e 348 bis e ss c.p.c.; 2. in via principale, respingere l'appello avversario, poiché infondato in fatto e diritto e non provato, con conferma nel merito dell'impugnata Sentenza; 3. Con vittoria di spese e competenze del doppio grado di giudizio". La causa è stata trattenuta in decisione all'udienza dell'11 gennaio 2023, con termini di gg. 40 per lo scambio di memorie conclusionali e di ulteriori 20 gg. per le repliche. In via pregiudiziale si rileva che l'eccezione di inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 348-bis c.p.c. resta assorbita dalla presente decisione nel merito, cui il Collegio è addivenuto, non essendo apparsa l'impugnazione del CONDOMINIO palesemente infondata all'esame sommario dei motivi di gravame compiuto in limine litis. Sempre in via pregiudiziale deve rilevarsi l'infondatezza della eccezione di inammissibilità dell'appello principale, ex art. 342 c.p.c., dovendosi, viceversa, ritenere i motivi di appello sufficientemente specifici e meritevoli di esame nel merito. In proposito occorre richiamare la recente ordinanza della Suprema Corte (Cass. ord. n. 13535/18) che nel ribadire quanto già in precedenza affermato dalle sezioni Unite (Cass S U, n. 27199/17) ha rilevato come l'art. 342 c.p.c. (nel testo post riforma del 2012) deve essere interpretato nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. Passando all'esame del merito il Condominio, con il primo motivo di impugnazione rubricato: "SULLA VALIDITA' E L'EFFICACIA DELLA DELIB. DEL 6 DICEMBRE 2013 - ANNULLABILITA' E NON NULLITA", censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto affetta da nullità e non da annullabilità, la delibera assembleare posta a fondamento del decreto ingiuntivo opposto. Deduce in contrario l'appellante che l'assemblea del 6 dicembre 2013 deliberava all'unanimità approvando il consuntivo delle spese di esercizio e quelle per lavori straordinari per Euro 107.729,33 e il relativo piano di riparto; che la società appellata, pur regolarmente convocata, non aveva partecipato all'assemblea e non aveva impugnato la delibera nel termine decadenziale di legge; che, richiamati i principi di diritto in punto di cause di invalidità della delibera condominiale, ne deduce l'errata applicazione; che invero la delibera non ha approvato criteri diversi di riparto a valere pro futuro, né ha apportato una modifica del regolamento contrattuale; che, in ogni caso, nel presente giudizio - originato da ricorso monitorio diretto a ottenere il pagamento di oneri condominiali non pagati - il thema decidendum deve circoscriversi alla sola sussistenza del debito e/o la documentazione costituente prova scritta dell'ingiunzione ovvero il verbale della delibera assembleare, ma non consente di sindacare anche la validità della stessa, pena l'elusione del termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c.. Il motivo è parzialmente fondato nei termini che di seguito si espongono. In primo luogo occorre rilevare che, con riguardo alla questione della sindacabilità, da parte del Giudice, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi per le spese condominiali , delle eventuali ragioni di nullità della deliberazione assembleare di ripartizione delle spese su cui è fondata l'ingiunzione di pagamento, la più recente giurisprudenza della Suprema Corte a Sezioni Unite ha enunciato il seguente principio di diritto: "Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, sia l'annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest'ultima sia dedotta in via di azione - mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione in opposizione - ai sensi dell'art.1137, secondo comma, cod. civ., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione" (cfr. Cass. SU n. 9839/2021). Ragion per cui in linea di principio la (...) era certamente legittimata a sollevare, in primo grado, allorquando ha opposto il decreto ingiuntivo n. 8627/2014, la questione della nullità della delibera assembleare del 6.12.2013,posta a base dell'ingiunzione di pagamento e tale nullità poteva essere rilevata dal Giudice dell'opposizione anche d'ufficio. Ciò posto occorre verificare, nel caso di specie, se detta delibera assembleare, che ha ripartito le spese di gestione delle cose e dei servizi comuni in violazione dell'art. 49 del regolamento condominiale contrattuale (circostanza questa pacificamente acclarata e neanche contestata dal Condominio appellante ), debba ritenersi affetta da nullità e come tale sottratta al regime di cui all'art.1137 cod. civ., ovvero meramente annullabile, come tale soggetta alla disciplina dell'art. 1137 cod. civ., dovendosi quindi ritenere del tutto tardiva l'impugnativa svolta solo in sede di opposizione a decreto ingiuntivo. La medesima pronuncia a Sezioni Unite sopra richiamata , a maggior chiarimento della precedente pronuncia sempre a Sezioni unite n. 4806/2005, ha in proposito enunciato il seguente principio di diritto : "In tema di deliberazioni dell'assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell'assemblea previste dall'art. 1135,numeri 2) e 3), cod. civ. e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell'esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall'art. 1137, secondo comma, cod. civ.". Invero come argomentato da parte appellante dalla lettura del verbale della assemblea condominiale impugnata si rileva per tabulas che sul punto 2 dell'ordine del giorno il consesso condominiale si è limitato ad approvare il consuntivo dell'esercizio 2012, con oneri ripartiti in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino, includendo anche la (...) ma nessun cenno, nella delibera, viene fatto in ordine ad una volontà di modificare i criteri di riparto, né con valenza di carattere generale come precisato dalla Suprema Corte, né per il futuro. Non risulta, quindi, dalla delibera impugnata, a differenza di quanto apoditticamente affermato dal primo Giudice, la volontà di modificare in linea generale i criteri di riparto delle spese in violazione del regolamento contrattuale, né tale volontà può ricavarsi dal contegno processuale del Condominio che , nel corso del giudizio di opposizione, ha invocato la declaratoria di nullità della norma regolamentare asseritamente violata, questione che è del tutto autonoma rispetto a quella relativa alla validità o meno della delibera de quo. Né può assumere rilievo la circostanza che anche con altra delibera condominiale sono state ripartite le spese condominiali a carico della I., in quanto non è stato né allegato , né tantomeno provato che nella delibera impugnata sia stato posta all'ordine del giorno la modifica del regolamento contrattuale , né emerge in alcun modo il fatto concreto che il Condominio avesse agito con volontà di modificare i criteri di riparto a valere per il futuro. Trattandosi, quindi, di delibera meramente annullabile era onere della (...) proporre tempestivamente la relativa impugnativa nei termini di decadenza previsti dall' art. 1137 cod. civ. Con il secondo motivo di gravame rubricato: "NULLITA' DELL'ART. 49 DEL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO", l'appellante censura la decisione del primo Giudice per aver considerato legittima, e non abusiva, la clausola contrattuale di esonero dell'impresa costruttrice dagli oneri contributivi condominiali. Rileva, al riguardo, che la norma regolamentare in questione, di fatto contenente una condizione meramente potestativa, attribuisce ad un condomino un potere apparentemente "a tempo", ma che in realtà che può essere esercitato senza alcun limite e/o condizione, ovvero procrastinato sine die, e che a nulla vale la circostanza secondo la quale i condomini siano posti a conoscenza di questo squilibrio. Con riguardo a tale motivo occorre rilevare in via pregiudiziale che la questione se il diritto azionato in giudizio, o che costituisce il presupposto del diritto azionato in giudizio, appartenga effettivamente a chi assume di esserne titolare è un elemento costitutivo della domanda, e qualora riguardi "un fatto costitutivo ascrivibile alla categoria dei fatti-diritto in tale ambito il semplice difetto di contestazione non impone(ndo) alcun vincolo di meccanica conformazione, in quanto il giudice può sempre rilevare l'inesistenza della circostanza allegata da una parte, anche se non contestata dall'altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto (cfr. SS UU 2951/2016)" ( cfr Cass. n. 23721/2021). Pertanto il difetto di legittimazione così come la carenza di titolarità del rapporto, ancorché non oggetto di contestazione dall'altra parte, sono rilevabili di ufficio se risultanti dagli atti di causa, anche in appello ( cfr. anche n.11744/2018; Cass. SS UU n. 2951/2016). Nel caso di specie, la (...) ha effettivamente contestato sin dal primo grado ( cfr memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c.) il difetto di legittimazione del Condominio in tale materia in quanto trattandosi dell'impugnativa di una clausola di natura contrattuale solo i condomini -non il Condominio , in persona dell'Amm.re, quale ente di gestione - "sono legittimati ad iniziare le azioni giudiziarie per sovvertire tali patti negoziali", contestazione , poi ribadita anche nella comparsa di costituzione in appello e nelle memorie conclusionali. Tale difetto di legittimazione è stata di recente ribadito dalla Suprema Corte che così si è chiaramente espressa : " Il Condominio, in persona dell'amministratore, non è invece legittimato ai fini di una decisione con efficacia di giudicato sulla questione della nullità o della inefficacia della clausola convenzionale relativa alla ripartizione delle spese, contenuta nel regolamento di condominio, che si assume accettato dai partecipanti. Tale pronuncia postulerebbe, com'è noto, un'azione esperibile da o nei confronti (non del condominio, ma) di tutti i condomini in situazione di litisconsorzio necessario, trattandosi di un contratto plurilaterale avente scopo comune., in quanto partecipi al vincolo negoziale che si assume viziato (da ultimo, Cass. Sez. 6 - 2, 10 marzo 2021, n. 6656)" (cfr. Cass. n. 20007/2022 in motivazione). Atteso che i Condomini non risultano essersi costituiti in proprio nel presente giudizio, da ciò discende che la predetta domanda di nullità della clausola del Regolamento contrattuale deve essere rigettata per il difetto della legittimazione attiva in capo al Condominio, in tal senso dovendosi integrare la sentenza di primo grado, comunque reiettiva della domanda proposta dal Condominio. Alla luce dell'accoglimento del primo motivo di appello la sentenza di prime cure deve quindi essere riformata, l'appello deve essere accolto e ,per l'effetto, deve rigettarsi l'opposizione al decreto ingiuntivo n. 8627/2014 e rigettarsi nel contempo la domanda riconvenzionale proposta da (...), in primo grado, di annullamento della delibera assembleare del 6.12.2013. Alla luce dell'esito complessivo del giudizio, che vede l' (...) sostanzialmente e integralmente soccombente, le spese di lite del doppio grado devono essere poste a suo carico, e si liquidano, nel dispositivo, nella misura media, con esclusione della fase istruttoria non espletata in appello, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 in favore dell' appellante (valore della causa da Euro 5.200,00 ad Euro 26.000,00, tabelle 2 e 12, 3 scaglione). P.Q.M. la Corte, definitivamente pronunciando, sull'appello proposto dal CONDOMINIO DI VIA (...) 6-20 R., nei confronti di (...) S.P.A., avverso la sentenza n. 15691/2016, del Tribunale Ordinario di Roma, così provvede: 1)accoglie parzialmente l'appello, per quanto di ragione, e, per l'effetto, in riforma dell'appellata sentenza, rigetta l'opposizione a decreto ingiuntivo n. 8627/2014 proposta da (...) S.P.A.; 2) rigetta la domanda riconvenzionale, proposta da (...) S.P.A., di annullamento della delibera assembleare del 6.12.2013; 3)condanna la Soc. (...) S.P.A. al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio, in favore dell'appellante CONDOMINIO DI VIA (...) 6-20 R., che si liquidano per il primo grado in complessivi Euro 5.077,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario (15%), IVA e CPA nella misura di legge; per il secondo grado, in complessivi Euro 4.321,50 di cui Euro 355,50 per spese ed Euro 3.966,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario (15%), IVA e CPA nella misura di legge. Così deciso in Roma il 24 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI ROMA SEZIONE SECONDA SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA così composta: dr. Benedetta Thellung de Courtelary - presidente relatore dr. Marina Tucci - consigliere dr. Mario Montanaro - consigliere riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello iscritta al numero 5887 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2017, posta in decisione all'udienza del giorno 17 ottobre 2022 e vertente TRA (...) S.P.A. (C.F. (...)), con l'avvocato Ma.Ia. PARTE APPELLANTE E (...) S.R.L. (C.F. (...)), QUALE CESSIONARIA DI (...) S.P.A. (C.F. (...)), INTERVENUTA AI SENSI DELL'ART. 111 C.P.C. (con atto del 21 settembre 2022), RAPPRESENTATA DA (...) S.P.A. (C.F. (...)), con l'avvocato Ma.Ia. PARTE INTERVENUTA E (...) E (...), con l'avvocato Ar.Ca., il quale si è dichiarato antistatario PARTI APPELLATE/APPELLANTI INCIDENTALI E (...), Fallimento (...)C. S.p.a. PARTI APPELLATE CONTUMACI OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 290/2017 del 28 febbraio 2017 del Tribunale di Cassino. Si dà atto che la causa non riguarda la materia specializzata dell'impresa. FATTO E DIRITTO 1. - Primo grado: - con distinti atti di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo ritualmente notificato, la (...) S.p.a., (...) e (...), da un lato e (...), dall'altro, hanno citato in giudizio la (...) chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo n. 471/2010 del 26 luglio 2010, del Tribunale di Cassino per la somma di Euro 456.513,51, richiesta per anticipi su fatture commerciali ricevuti dalla società, conto a sofferenza n. (...), e, quanto a (...) e (...), quali fideiussori, e (...), quale erede dei fideiussori (...) e (...); - gli opponenti hanno altresì proposto distinte opposizioni al decreto ingiuntivo n. 466/2010 del Tribunale di Cassino ottenuto dalla Banca sulla base del saldo debitore di Euro 547.737,46 del c/c n. (...) già (...) divenuto conto sofferenza n. (...) intestato dalla società (...) e garantito dalla fideiussione rilasciata da (...) e (...), e, quanto a (...), fideiussori (...) e (...); - entrambe le opposizioni sono state interrotte in conseguenza della dichiarazione di fallimento della (...) S.p.a. in data 20 dicembre 2010 dal Tribunale di Cassino; - gli opponenti hanno riassunto le opposizioni e (...) S.p.A. ha eccepito l'estinzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo n. 466/2010 ai sensi dell'art. 307 c.p.c.. - all'udienza del 4 febbraio 2013, le cause sono state riunite nel giudizio contrassegnato da R.G. n. 2694/2010 dinanzi al Tribunale di Cassino; - la causa è stata istruita mediante CTU contabile, nella quale sono stati proposti al CTU molteplici quesiti alternativi; - all'udienza del 9 novembre 2016, le parti hanno precisato le proprie conclusioni ed il Giudice ha trattenuto la causa in decisione. 2. - All'esito del giudizio, il Tribunale ha così deciso: "REVOCA i Decreti Ingiuntivi n. 466/2010 del 16.07.2010 e n. 471/2010 del 26.07.2010 e, per l'effetto, DICHIARA che il credito residuo della Banca opposta è pari ad Euro 168.453,46. Rigetta tutte le altre richieste. Condanna la Banca al pagamento delle spese di questo giudizio che si liquidano in complessivi Euro 22.000 oltre accessori (oltre alle spese di ctu)". A fondamento della decisione, il primo Giudice, per quanto interessa il presente giudizio di appello, ha ritenuto che: - dovevano essere rigettate le eccezioni riguardanti la fideiussione omnibus sottoscritta in data 4 agosto 1988, perché conforme all'art. 1938 c.c. e non qualificabile come "in bianco", ai sensi del testo di legge allora in vigore, mentre l'atto del 2001 conteneva unicamente la limitazione dell'importo garantito nella somma di Lire 1.550.000.000, ai sensi della L. 17 febbraio 1992, n. 154, che aveva modificato l'art. 1938 c.c. ; - non erano stati tempestivamente proposti disconoscimenti da parte degli opponenti, se non mediante generiche argomentazioni; - l'obbligazione fideiussoria contratta dai garanti originari, non si era estinta in conseguenza della loro morte, ma si era trasmessa agli eredi, i quali subentravano nella stessa posizione giuridica dei danti causa ed erano tenuti all'adempimento delle obbligazioni fideiussorie pro quota; - gli eredi rispondevano, in virtù della trasmissione mortis causa della posizione giuridica dei fideiussori in loro capo, anche dei debiti contratti dal garantito dopo la morte dei garanti originali, salvo accettazione dell'eredità con beneficio di inventario, nei limiti della quota ereditaria; - la Banca non aveva prodotto alcuna prova in relazione agli specifici movimenti avvenuti sul conto corrente; - le contestazioni della Banca alla relazione del CTU dovevano essere rigettate poiché la CTU appariva priva di errori; - il CTU aveva correttamente ricostruito il TEG ed il saldo contabile del conto corrente poiché si era attenuto ai criteri metodologici definiti dalle indicazioni fornite dalla (...) e dalla Del.CICR del 9 febbraio 2000; - da quanto risultava dalla CTU, il credito residuo della Banca era pari ad Euro 168.453,46, secondo quanto rilevato dal CTU, previa eliminazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, spese e commissioni; azzeramento del saldo debitore iniziale; disapplicazione del tasso debitore fino al 3 agosto 1988; azzeramento del tasso creditore fino al 3 agosto 1988; tasso debito pari a zero in caso di superamento del tasso soglia; disapplicazione CMS; epurazione degli interessi scaturenti dal contratto swap. 3. - Ha proposto appello. (...) S.p.a., rassegnando le seguenti conclusioni: "a) in via principale rigettare le proposte opposizioni, le eccezioni e le domande tutte dei garanti opponenti perché infondate in fatto ed in diritto per tutti i motivi esposti e comunque perché decaduti questi da ogni azione e diritto anche alla ripetizione dell'indebito per avvenuta prescrizione e conseguentemente, confermare i due decreti ingiuntivi opposti, e condannare, in ogni caso, gli opponenti, in solido tra loro, al pagamento in favore della concludente appellante di tutte le somme con i predetti provvedimenti ingiunte, comunque nel limite massimo complessivo della prestata fideiussione, ivi inclusi gli interessi e le spese del procedimento monitorio o della diversa maggiore o minore somma che dovesse risultare provata e ritenuta dall'adita Corte, anche, in via subordinata, ad eventuale diverso titolo di indebito arricchimento o risarcimento del danno od a qualunque altro diverso titolo dovesse essere ritenuto; b) invia subordinata rigettare in ogni caso le due opposizioni proposte dai garanti al decreto ingiuntivo n. 471/2010, emesso dal Tribunale di Cassino in data 26.07.2010 per il credito derivante dal rapporto di anticipi su fatture, ed accertare e dichiarare che il saldo dare del conto corrente intestato alla debitrice principale, di cui al decreto ingiuntivo n. 466/2010, è pari ad Euro 536.455,71 per le ragioni proposte in primo grado e nei motivi del presente atto di appello o, salva impugnazione, pari alla diversa somma determinata dal CTU in Euro 486.517, 85 o in Euro 460.064,86 in risposta al quesito n. 7, determinando quindi il debito complessivo della società garantita come costituito dalla somma dei due saldi dare del conto corrente e del conto anticipi; c) condannare, conseguentemente al rigetto delle sole opposizioni proposte avverso il decreto ingiuntivo n. 471/2010, gli opponenti garanti, in solido tra loro, al pagamento in favore della concludente appellante dell'ulteriore somma di Euro 343.994,68 pari alla differenza tra il limite massimo della fideiussione prestata per complessivi Euro 800.508, 19 e l'importo portato dal citato decreto ingiuntivo n. 471/2010, oltre gli interessi nelle misure e con le decorrenze indicate nei due provvedimenti monitori, o, in via subordinata, e fatta salva impugnazione, nella diversa somma che dovesse risultare provata e ritenuta dalla ditta Corte , anche, ad eventuale diversotitolo di indebito arricchimento o risarcimento del danno od a qualunque altro diverso titolo dovesse essere ritenuto; d) in ulteriore subordine, fatta salva impugnazione, ritenuto ed accertato il debito complessivo della società garantita per ambedue i rapporti per cui è causa comunque maggiore di quello di cui alla prestata fideiussione, condannare i garanti tutti, sempre in solito tra loro, al pagamento in favore della banca appellante dell'importo di Euro 800.508,19, oltre gli interessi nelle misure e con le decorrenze indicate nei due provvedimenti monitori, o, in via subordinata, e fatta salva impugnazione, nella diversa somma che dovesse risultare provata e ritenuta dall'adita Corte, anche, ad eventuale diverso titolo di indebito arricchimento o risarcimento del danno od a qualunque altro diverso titolo dovesse essere ritenuto; e) condannare i garanti opponenti al pagamento delle spese di lite di ambedue i gradi di giudizio comprese quelle di CTU, od in estremo subordine, e salva impugnazione, con compensazione parziale soltanto di quelle di primo grado". E' intervenuta in giudizio (...) S.r.l., quale cessionaria di (...) S.p.a., rappresentata da (...) S.p.a., ed ha concluso conformemente ad (...) S.p.a., (...) S.p.a., chiedendo l'estromissione della cedente. (...) e (...) hanno resistito al gravame, rassegnando le seguenti conclusioni: "Voglia la Corte di appello adito rigettare il proposto appello principale in quanto infondato in fatto e diritto. In accoglimento dell'appello incidentale proposto, riformare l'impugnata sentenza dichiarando che nulla è dovuto per le ragioni scaturenti dai rapporti intercorsi tra le parti e dedotte con i ricorsi per i provvedimenti monitori oggetto di opposizione, in via subordinata disporre rinnovazione della CTU strumentale alla ricostruzione degli importi non dovuti addebitati per interessi spese e competenze scaturenti dai rapporti di finanziamento per anticipo fatture, calcolando inoltre l'incidenza negativa che il relativo addebito in conto ha operato. In via subordinata dichiarare che nulla è dovuto dai fideiussori (...) e (...). Il tutto sempre e comunque con condanna alle spese del doppio grado di giudizio da distrarsi in favore dello scrivente procuratore che se ne dichiara antistatario, quantificando l'esatto importo da imputarsi agli opponenti (...) e (...) e quanto eventualmente per le restanti parti". (...) e il Fallimento (...) automatiche (...) S.p.a. sono rimasti contumaci Con ordinanza in data 14.3.2018, avuto riguardo al motivo di appello incidentale proposto da (...) riguardante il disconoscimento delle sottoscrizioni apposte dai genitori (...) e (...), e considerata l'istanza di verificazione ribadita dalla Banca appellante con l'atto di appello, la Corte ha disposto CTU grafologica sulle suddette sottoscrizioni. Il CTU ha così concluso: "Le due sottoscrizioni di (...) risultanti sulla fidejussione del 4 agosto 1988 prodotte dalla Banca appellante sono autentiche. La sottoscrizione a nome (...) sulla fidejussione del 19/1/2001 è apocrifa. Le firme di (...) sulle fidejussione del 4 agosto 1988 e del 19 gennaio 2001 sono tutte autografe, eseguite dalla mano del sig. (...)". L'appello è stato posto in decisione all'udienza del giorno 17 ottobre 2022 e successivamente deciso allo spirare dei termini per il deposito di conclusionali e repliche. 4. - L'appello principale contiene i seguenti motivi di contestazione: "Erroneamente il primo Giudice non si è pronunciato sulla natura del contratto di fideiussione stipulato dai garanti e sulla relativa eccezione formulata in primo grado dalla banca opposta, ritenendola altrettanto erroneamente assorbita violando l'art. 112 c.p.c." "Erroneamente il primo Giudice ha dichiarato che il credito complessivo della Banca è pari ad Euro168.453,46 sia per avere totalmente omesso di considerare e/o riconoscere come dovuto il credito di Euro 456.513,51 relativo agli anticipi su fatture e derivante da distinto rapporto negoziale rispetto a quello di cui al conto corrente di corrispondenza, così violando anche l'art. 112 c.p.c. e sia per avere erroneamente individuato come esatto il citato saldo del conto corrente intestato alla debitrice principale, tra i diversi indicati da CTU, anche per non avere esaminato deciso ed accolto l'eccezione di prescrizione avanzata dalla Banca, con ulteriore violazione dell'art. 112 c.p.c. per le circostanze e le motivazioni che seguono" "Erroneamente, poi, il Giudice di primo grado ha indicato in motivazione e ritenuto che gli eredi dei garanti succeduti nel rapporto obbligatorio di garanzia, siano tenuti all'adempimento della propria obbligazione pro quota e non ha condannato gli opponenti al pagamento in solido tra loro, in favore della banca, dell'importo comunque erroneamente stabilito in sentenza come "credito residuo della Banca pari ad Euro 168.453,46, cos' violando l'art. 112 c.p.c." "Erroneamente il primo Giudice ha posto integralmente le spese del primo grado a carico della Banca opposta comprese quelle di CTU liquidate le prime in Euro 22.000,00 oltre accessori e le seconde nel rilevante importo di Euro 37.000,00 oltre IVA e contributi, così violando l'art. 91 c.p.c." L'appello incidentale proposto da (...) e (...) contiene i seguenti motivi di contestazione: "a) Si impugna la parte della sentenza in cui si dichiara che il credito della Banca opposta è pari ad Euro 168.453,46, chiedendone la riforma nel senso di dichiarare non dovuta alcuna somma da parte dei fideiussori". Gli appellanti lamentano che il primo giudice avrebbe dovuto valutare la responsabilità della banca per aver fatto sottoscrivere la fideiussione omnibus del 1988 priva del limite dell'importo garantito "b) Si impugna la parte della sentenza in cui si dichiara che il credito della Banca opposta è pari ad Euro 168453,46, chiedendone la riforma nel senso di dichiarare non dovuta alcuna somma dal Sig. (...) chiamato a rispondere quale erede del padre (...) effettivo sottoscrittore della fideiussione". Con il motivo in esame si deduce che (...) non era responsabile dell'obbligazione contratta dai genitori, non essendo a conoscenza del predetto contratto di garanzia al momento dell'apertura della successione e, dunque, essendogli stato impedito di recedere dal contratto. "c) Si impugna la parte della sentenza in cui si dichiara che il credito della Banca opposta è pari ad Euro 168453,46, chiedendone la riforma nel senso di dichiarare non dovuta alcuna somma". Gli appellanti in via incidentale lamentano che il giudice di primo grado abbia ritenuto gli opponenti debitori della somma pari ad Euro 168453,46 senza sostanzialmente motivare la scelta di tale opzione, avendo invece il c.t.u. eseguito calcoli alternativi dei quali uno, in risposta al quesito 6, che vedeva un credito a favore del correntista. "d) Si impugna la parte della sentenza in cui si afferma espressamente (Pag. 4) "Inoltre nessun tempestivo disconoscimento fu proposto da alcun opponente e sul punto possono condividersi le deduzione della banca alla luce della genericità degli argomenti offerti dagli attori", chiedendone la riforma nel senso dichiarare l'inefficacia probatoria del documento costituito dalla fideiussione apparentemente sottoscritta da (...) e (...), con la conseguenza che alcuna responsabilità può essere ascritta al Sig. (...), chiamato a rispondere quale erede dei primi, mentre allo stesso tempo stante, l'inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti, dichiararsi non dovuta la somma oggetto di ingiunzione scaturente per interessi oneri e spese addebitati per i singoli rapporti di finanziamento". L'appellato (...) lamenta che il giudice di primo grado ha omesso di considerare il disconoscimento, da parte del predetto appellato, delle sottoscrizioni apposte dai due genitori sul contratto di fideiussione, con la conseguenza che dette scritture non potevano essere poste a fondamento della statuizione nei confronti del suddetto appellato. "e) Si impugna la parte della sentenza in cui si condanna la Banca al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 22000,00 oltre accessori (oltre spese CTU ) da ripartirsi in parti uguali tra i due diversi procuratori costituiti, chiedendone la riforma nel senso di condannare la Banca al pagamento delle spese legali da liquidarsi nei termini ritenuti operando una diversa proporzione tra i due procuratori costituiti che assistono un diverso numero di parti" 5. - Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità della domanda proposta dalla società intervenuta in sede di precisazione delle conclusioni volta alla "dichiarazione d'ufficio dell'estinzione ex artt. 305 e 307 c.p.c., del giudizio di opposizione averso il decreto ingiuntivo n. 466/2010, iscritto al n. di RG 2742/2010, con conseguente definitività ed esecutorietà del provvedimento monitorio ex art. 653, I c. c.p.c., per avere omesso gli opponenti di richiedere ed eseguire la notifica nel termine concesso dal Giudice dell'atto di riassunzione del giudizio dichiarato interrotto a seguito dell'intervenuto fallimento della (...) S.p.A., come già rappresentato sia in primo grado che in atto di appello". Invero, l'eccezione di estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo n. 466/2010, sebbene tempestivamente sollevata dalla banca opposta nel precedente grado di giudizio, è stata all'evidenza ritenuta infondata dal giudice di primo grado, che pur senza motivare sulle ragioni del rigetto di detta eccezione (pag. 8 "Le altre questioni devono ritenersi assorbite"), ha valutato nel merito l'opposizione al decreto ingiuntivo menzionato. La parte appellante, nel proporre l'impugnazione, a pagina 30 e seguenti ha riproposto le eccezioni e le domande non accolte e, tuttavia, non ha reiterato nei motivi e neppure nelle conclusioni l'eccezione relativa all'estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo n. 466/2010. Anche la società cessionaria, intervenuta ai sensi dell'articolo 111 c.p.c., si è costituita in giudizio concludendo conformemente alla società cedente, e solo in sede di precisazione delle conclusioni ha proposto l'eccezione di estinzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo n. 466/2010. La domanda e le relative deduzioni risultano, pertanto, inammissibili, non essendo contenute nell'atto di impugnazione, con la conseguenza che, sull'eccezione di estinzione del giudizio, la sentenza impugnata, che l'ha evidentemente respinta, è divenuta definitiva. Va altresì premesso, quanto al fallimento della (...) S.p.A., che la domanda è improcedibile in virtù del principio secondo il quale: Nell'ipotesi di dichiarazione di fallimento intervenuta nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore ingiunto poi fallito, la domanda è contrassegnata da improcedibilità rilevabile d'ufficio, senza che vada integrato il contraddittorio nei confronti della curatela fallimentare, in quanto il creditore opposto è tenuto a far accertare il proprio credito nell'ambito della verifica del passivo ai sensi degli artt. 92 e s. l. fall., in concorso con gli altri creditori. Cass. n. 6196 del 05/03/2020. L'appello principale, con riguardo alla posizione dei garanti, è fondato, dovendo invece respingersi l'appello incidentale. Deve invero ritenersi che la fideiussione sottoscritta il 4 agosto 1988 da (...), (...), (...) ed (...), nonché l'atto di limitazione della suddetta fideiussione del 19 gennaio 2001 entro l'importo di L. 1.550.000.000 da (...), , (...) ed (...), e non invece da (...), la cui sottoscrizione è risultata apocrifa, costituiscano un contratto autonomo di garanzia e non, invece, una fideiussione, nonostante il riferimento a quest'ultima sia contenuto nel testo contrattuale. Premesso che è da condividere il rilievo del giudice di primo grado secondo il quale l'atto di integrazione del 19 gennaio 2001 costituisce una mera indicazione dell'importo garantito al fine di adeguare il contratto al nuovo dettato dell'articolo 1938 c.c., essendo rimasto inalterato il testo contrattuale del 4 agosto 1988, che viene integralmente richiamato, deve osservarsi che il contratto prevede la garanzia dei sottoscrittori di tutte le obbligazioni già assunte o che saranno in futuro assunte dalla società (...), e prevede altresì che: "il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente al banco, a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione del debitore, quanto dovutogli per capitale, interessi, spese, tasse ed ogni altro accessorio"; è altresì previsto che: "il fideiussore si impegna altresì a rimborsare al banco le somme che dal banco stesso fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite in seguito ad annullamento o revoca dei pagamenti stessi"; "in deroga all'articolo 1939 cod. civ. la fideiussione mantiene tutti i suoi effetti anche se la obbligazione principale sia dichiarata invalida". Nel contratto in questione, dunque, i garanti si impegnano a pagare quanto richiesto dalla banca, risultante dalle scritture contabili, a semplice richiesta, senza poter opporre eccezioni relative al rapporto garantito, ed ove anche quest'ultimo fosse invalido ovvero anche nel caso in cui la banca debba restituire le somme addebitate a seguito di annullamento o revoca dei pagamenti effettuati. Viene pertanto meno il rapporto di accessorietà che, invece, caratterizza il contratto di fideiussione, laddove, invece, all'articolo 1945 c.c., è previsto che il fideiussore può opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale e laddove, all'articolo 1939 c.c., è prevista l'invalidità della fideiussione se non è valida l'obbligazione principale. In proposito, va dato seguito all'orientamento secondo il quale: L'inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni" vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, essendo tale clausola incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un'evidente discrasia rispetto all'intero contenuto della convenzione negoziale, non desumibile, peraltro, dalla semplice circostanza che il garante si sia costituito "fideiussore solidale", atteso che la menzionata rinuncia alle eccezioni contrasta con l'assunzione di un impegno solidale. Cass, n. 27619 del 03/12/2020, Cass. n. 22233 del 20/10/2014. Ciò premesso, deriva dalla diversa qualificazione della garanzia prestata dagli opponenti odierni appellanti, l'inopponibilità delle eccezioni sollevate nei due giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo poi riuniti in primo grado, in quanto relative al rapporto garantito, essendo ammissibili solo le eccezioni derivanti dal rapporto di garanzia oppure la "exceptio doli", che nel caso in questione non risulta sollevata, o, ancora, l'eccezione di estinzione della garanzia, ove il garante risulti liberato (Cass. n. 31956 del 11/12/2018). Ne consegue l'inammissibilità delle eccezioni proposte dagli originari opponenti relative al rapporto principale, con la conseguenza che il ricalcolo dell'importo risultante a debito della società correntista in relazione al c/c n. (...) già (...) divenuto conto sofferenza n. (...), risulta del tutto inutile, in quanto, come si è visto, i garanti non potevano eccepire l'illegittimità delle clausole contrattuali, ovvero l'illegittimo addebito di somme in violazione delle previsioni contrattuali, essendo tenuti al pagamento della somma richiesta dalla banca sulla base delle scritture contabili. Nel caso in questione, dagli estratti conto relativi a tutto il rapporto contrattuale prodotti dalla banca dall'inizio del rapporto, sia in allegato al ricorso per decreto ingiuntivo n. 466/2010, sia nel corso del giudizio di opposizione, -diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, secondo cui la Banca non avrebbe prodotto gli estratti conto,- risulta un saldo debitore alla data del 30 aprile 2010 pari ad Euro 547.737,46. Rimane dunque assorbito il motivo contenuto nell'appello principale relativo all'omessa valutazione da parte del Tribunale dell'eccezione di prescrizione in relazione alle rimesse solutorie relative al conto corrente in questione, antecedenti al decennio dalla chiusura del conto in questione, sul quale, peraltro, il c.t.u. aveva risposto, evidenziando, all'esito del ricalcolo, un debito nei confronti della banca pari ad Euro 536.455,71 (c.t.u. pagina 58). Altresì fondato è il motivo contenuto nell'appello principale secondo il quale il giudice di primo grado avrebbe tenuto conto, nella statuizione, solamente del debito derivante dal rapporto di c/c n. (...) già (...) divenuto conto sofferenza n. (...), oggetto del opposizione al decreto ingiuntivo n. 466/2010 e non avrebbe, invece, tenuto conto del debito di cui al decreto ingiuntivo n. 471/2010 per la somma di Euro 456.513,51, derivante da anticipi su fatture commerciali ricevuti dalla società, conto a sofferenza n. (...). In effetti, risulta dalla motivazione del tribunale che il giudice di primo grado ha ritenuto gli opponenti debitori della somma di Euro 168.453,46, sulla base di uno dei ricalcoli effettuati dal c.t.u., che, però, ha ricevuto l'incarico esclusivamente riferito al conto corrente e non invece al conto anticipi. Ebbene, tanto il c.t.u. quanto la banca opposta, con la documentazione prodotta in allegato alla memoria di cui all'articolo 183 VI comma c.p.c., hanno documentato che le somme delle fatture scontate in favore della società correntista sono state riversate nella voce attivo del conto corrente n. (...). Tuttavia dagli estratti conto che, si ripete, sono stati integralmente depositati dalla banca opposta, non risulta in alcun modo che le fatture, specificamente indicate e prodotte in copia nel fascicolo monitorio del decreto ingiuntivo n. 471/2010, siano state addebitate sul conto corrente n. (...) a seguito del loro mancato pagamento. Risulta anzi, dal documento 17 relativo alla posizione di sofferenza del rapporto in questione un debito pari ad Euro 454.195,41 pari al capitale delle suddette fatture, scontate e non pagate. Non essendo rinvenuti gli addebiti corrispondenti agli importi delle fatture negli estratti conto del c/c di pari importo negli estratti conto del conto corrente (...) esaminato dal c.t.u., è evidente che il complessivo debito, oggetto del decreto ingiuntivo 471/2010, va aggiunto alla somma di cui gli odierni appellati, quali garanti, e (...), quale erede, risultano debitori. Risulta altresì fondato il terzo motivo riguardante l'affermazione del Tribunale secondo la quale gli opponenti sarebbero obbligati "pro quota" e non in solido tra loro. Per un verso, infatti, (...) e (...) risultano aver sottoscritto quali garanti il contratto del 4 agosto 1988, nonché l'atto di limitazione della garanzia del 19 gennaio 2001 entro l'importo di L. 1.550.000.000, di talché essi sono tenuti in solido nei confronti della banca quali contraenti, e non quali eredi, attese le previsioni contrattuali secondo le quali: "le obbligazioni derivanti dalla fideiussione sono solidali ed indivisibile anche nei confronti degli aventi causa a qualsiasi titolo" ed altresì: "fanno prova in qualsiasi sede contro il fideiussore, i suoi eredi, successori ed aventi causa le risultanze delle scritture contabili del banco". Per altro verso, e per quanto attiene all'appellato (...), gli opponenti avevano richiamato a sostegno della tesi poi adottata dal Tribunale, la previsione di cui agli articoli 752 e 754 c.c.. Tuttavia, la Suprema Corte ha, sul punto, ha affermato il principio secondo il quale: La clausola di un contratto concluso dal "de cuius", nella specie un contratto di conto corrente bancario, con la quale si pattuisce che per le obbligazioni derivanti dal contratto siano solidalmente responsabili gli eredi del debitore, non può ritenersi vessatoria, non rientrando fra quelle tassativamente indicate dall'art. 1341 c. c., giacché, se da un lato la deroga a un principio di diritto non costituisce parametro di configurazione delle clausole vessatorie, dall'altro la ripartizione dei debiti fra gli eredi è prevista dalla disposizione dell'art. 752 c. c. salvo che il testatore abbia disposto diversamente, potendo il debitore porre, sui suoi beni, carichi secondo la sua volontà, salva per gli eredi la facoltà di sottrarsi a quei vincoli, rinunciando all'eredità o accettandola con il beneficio d'inventario. Cass. n. 20397 del 25/08/2017. Ne consegue la validità e l'opponibilità agli eredi della clausola con la quale il de cuius ha pattuito con la Banca la solidarietà ed indivisibilità dell'obbligazione di garanzia. Ne deriva che l'appellato (...), l'unico destinatario del provvedimento monitorio in virtù della qualità di erede dei genitori (...) e (...), nel frattempo deceduti, è obbligato in solido con gli altri opponenti al pagamento delle somme di cui ai due decreti ingiuntivi opposti. Con riguardo alla posizione del predetto appellato (...) va rilevata l'infondatezza della tesi sostenuta nell'appello incidentale secondo la quale la banca sarebbe onerata della prova della cognizione, da parte dell'erede, dell'esistenza della garanzia prestata dai danti causa. Invero, non può configurarsi a carico del creditore un obbligo di comunicazione ai chiamati all'eredità, al momento dell'apertura della successione, dell'esistenza del proprio credito. Ed infatti, il chiamato ben può, da un lato, non accettare l'eredità, ovvero accettarla con il beneficio d'inventario, al fine di limitare la propria responsabilità nei limiti di quanto abbia ricevuto per effetto della successione. Per altro verso la garanzia sottoscritta dai genitori del predetto appellato prevedeva che la banca non era tenuta ad effettuare di propria iniziativa alcuna comunicazione in ordine alla situazione dei conti ed in genere ai rapporti col debitore, essendo invece onere del garante di "tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore e in particolare informarsi dello svolgimento dei suoi rapporti con il banco". Va infine respinta la deduzione secondo la quale (...) non risponderebbe del debito verso la banca, non per non avere il predetto accettato l'eredità del padre (...), di talché, essendo il predetto appellato succeduto esclusivamente alla madre (...), dovrebbe escludersi ogni debito pervenuto per via materna, essendo invalida la limitazione della fideiussione dalla (...) sottoscritta nel 2001, come risulta dalla c.t.u. grafologica disposta nel presente giudizio di appello. La deduzione, invero, risulta del tutto nuova e, quindi, inammissibile, risultando formulata solo a seguito della suddetta c.t.u. grafologica, e non invece nell'appello incidentale proposto avverso la sentenza del Tribunale di Cassino. Concludendo, le opposizioni a decreto ingiuntivo proposte dagli odierni appellati (...), (...) e (...) vanno respinte. Tuttavia, poiché la garanzia prestata dai garanti era limitata all'importo di Lire 1.550.000.000 pari ad Euro 800.508.19 i decreti ingiuntivi vanno confermati nei limiti della predetta somma. Nessun motivo di opposizione è stato proposto con riguardo alla decorrenza e alla misura degli interessi sulle somme oggetto dell'ingiunzione, di talché gli stessi sono dovuti nella misura e con la decorrenza e pattuita nei decreti ingiuntivi opposti. Per effetto della riforma della sentenza, anche le spese del giudizio di primo grado vanno diversamente regolate e vanno poste a carico di (...), (...) e (...). Esse si liquidano, avuto riguardo al valore della causa, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 ratione temporis vigente, nella misura pari ad Euro 27.804 oltre a spese generali, Iva e cpa in favore di (...) S.p.a.. Le spese della c.t.u. svolta in primo grado vanno definitivamente poste a carico di predetti opponenti. 6. - Le spese del grado seguono la soccombenza degli appellati (...), (...) e (...). Esse si liquidano, avuto riguardo al valore della causa, ai sensi del D.M. n. 147 del 2022 nella misura di Euro 26.155 oltre a spese generali, Iva e cpa in favore della società intervenuta. Infine, devono porsi definitivamente a carico di (...) e (...) le spese della c.t.u. svolta nel presente grado di giudizio. PER QUESTI MOTIVI definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) S.p.a e con l'intervento di (...) S.r.l., quale cessionaria di (...) S.p.a., intervenuta ai sensi dell'art. 111 c.p.c., rappresentata da (...) S.p.a., nei confronti di (...) e (...), appellanti in via incidentale, (...) e Fallimento (...) automatiche (...) S.p.a., contumaci, contro la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Cassino, ogni altra conclusione disattesa, così provvede: 1. - dichiara improcedibile la domanda nei confronti del Fallimento (...) automatiche (...) S.p.a.; -accoglie l'appello principale quanto agli altri appellati e, per l'effetto, rigetta l'opposizione ai decreti ingiuntivi n. 466/2000 e 471/2010 limitatamente alla somma complessiva di Euro 800.508.19 con interessi come richiesti, nei confronti di (...), (...) e (...); -condanna i predetti opponenti al rimborso in favore di (...) S.p.a., delle spese sostenute per il giudizio di primo grado, liquidate in complessivi Euro 27.804 oltre a spese generali, Iva e cpa; -pone definitivamente a carico dei predetti opponenti le spese della c.t.u. svolta in primo grado; - rigetta l'appello incidentale proposto da (...) e (...); 2. - condanna (...), (...) e (...) al rimborso, in favore della parte intervenuta, delle spese sostenute per questo grado del giudizio, liquidate 26.155 oltre a spese generali, Iva e cpa; - pone definitivamente a carico di (...) e (...) le spese della c.t.u. svolta nel presente grado di giudizio. - Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di (...) e (...), dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello, a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002. Così deciso in Roma il 27 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE QUINTA CIVILE La Corte così composta: dr. Diego Pinto - Presidente dr.ssa Maria Grazia Serafin - Consigliere dr.ssa Fiorella Gozzer - Consigliere rel. ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di secondo grado iscritta al numero 5091/17, posta in deliberazione all'udienza del 17 novembre 2022 e vertente TRA (...) e (...) (Avv. Gian Luca De Angelis) PARTE APPELLANTE E (...) S.P.A. (Avv.ti En.Ba., Ro.Pa., Eu.Cr. e Gi.Gi.) PARTE APPELLATA E (...) (Avv.ti Ra.Al., Ma.Al. e Lu.Al.) PARTE APPELLATA OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 10807/17 emessa dal Tribunale di Roma RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 10807/17 ha respinto la domanda proposta da (...) e (...) che avevano agito nei confronti della (...) s.p.a. - che a sua volta aveva chiamato in manleva il promotore finanziario (...) - per sentire dichiarare la nullità delle operazioni di negoziazione in conseguenza della nullità del contratto quadro, in subordine per la risoluzione dei contratti di acquisto e comunque per ottenere la condanna dei convenuti alla restituzione del capitale investito, nonché al risarcimento dei danni derivati dagli investimenti finanziari; ha posto a carico della parte attrice le spese di lite. (...) e (...) hanno proposto appello avverso la citata sentenza e hanno chiesto l'accoglimento delle seguenti conclusioni: " previa riforma della sentenza n. 10807/2017, emessa dalla III Sezione del Tribunale civile di Roma (G.U. dott. (...)) in data 17.5.2017 a definizione del giudizio contraddistinto dal n.r.g. 82688/2014, pubblicata in data 29.5.2017 e notificata in data 21.6.2017, in relazione ai capi sopra trascritti e censurati: - accertare e dichiarare la nullità del contratto-quadro di negoziazione del 6.12.2004 (articolato sul dossier titoli n. (...) e collegato al conto corrente d'appoggio e regolamento n. (...)) per difetto del contenuto minimo previsto per tale contratto dall'art. 23 del TUF nonché dall'art. 30 del Reg. Consob n. 11522/1998 e dall'art. 37 del Reg. Consob n. 16190/207 e/o per difetto della sottoscrizione del medesimo contratto ad opera dell'intermediario finanziario in violazione sempre dell'art. 23 del D.Lgs. n. 58 del 1998 e, per l'effetto, accertare e dichiarare la nullità derivata delle operazioni di negoziazione illecitamente eseguite da (...) per conto degli attori dal 2004 al 2014 con riferimento al dossier titoli n. (...) (collegato al predetto contratto quadro), in conseguenza della inesistenza/nullità del medesimo contratto quadro di negoziazione e, quindi, condannare (...): (i)alla restituzione integrale del capitale investito nelle predette operazioni di negoziazione, pari ad Euro 338.588,42 (secondo la quantificazione effettuata nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado) o ad Euro 326.498,53 (secondo la quantificazione risultante dai documenti 15 e 17 prodotti dalla banca convenuta nel giudizio di primo grado) o alla diversa somma, maggiore o minore, reputata di giustizia, maggiorata degli interessi al tasso legale dal giorno delle singole operazioni di negoziazione fino all'effettivo soddisfo, in ragione della mala fede della banca ai sensi dell'art. 2033 c.c.; (ii) al risarcimento del correlato danno ai sensi dell'art. 1338 c.c., così determinato: 1) danno emergente, causato dalla mancata disponibilità delle somme investite, quantificato nella differenza tra il capitale iniziale e il capitale rivalutato dal giorno dell'investimento fino a quello della sentenza; 2) lucro cessante, determinato dalla diminuzione patrimoniale provocata dal mancato guadagno per l'impossibilità di impiegare altrimenti le somme investite nei titoli per cui è causa, quantificato mediante l'applicazione al capitale investito, dal giorno della singola operazione di negoziazione sino a quello dell'effettivo soddisfo, di un tasso pari al rendimento medio dei titoli di Stato italiani (quelli in cui avrebbe verosimilmente investito un investitore della tipologia degli odierni attori), pari mediamente al 3% annuo; - in via istruttoria, ammettere una Consulenza Tecnica d'Ufficio al fine della precisa quantificazione delle somme prelevate dal conto corrente di appoggio e regolamento degli attori (conto n. (...)) per eseguire, in forza del contratto-quadro del 6.12.2004, tutte le operazioni di investimento in strumenti finanziari elencate negli estratti del deposito titoli n. (...) intestato agli stessi attori (estratti allegati come doc. 20 della produzione di (...) nel giudizio di primo grado) nonché nel doc. 15 ('Storico Movimenti Titoli') e nel doc. 17 ('Evoluzione portafoglio titoli dall'1-2-2005 al 21-4-2015') della produzione della stessa (...) (sempre nel giudizio di primo grado) al netto delle somme accreditate sul predetto conto corrente in conseguenza di operazioni di rivendita di taluni dei medesimi titoli precedentemente acquistati e al lordo delle somme accreditate sullo stesso conto corrente a titolo di cedole periodiche e dividendi generati dai medesimi strumenti finanziari. Il tutto con vittoria di spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio, da liquidarsi in favore dello scrivente procuratore, antistatario.". Instaurato il contraddittorio, si è costituita la (...) s.p.a. che ha così concluso: " In via preliminare..1. Accertare e dichiarare l'inammissibilità ex art. 348 bis e ter c.p.c. dell'appello interposto dai sig.ri (...) e (...) avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 17 maggio 2017 n. 10807 per i motivi esposti in narrativa. In via principale 2. Dichiarare inammissibili o, comunque, rigettare perché infondati i motivi di appello spiegati dai sig.ri (...) e (...) nei confronti di (...) S.p.A. e, per l'effetto, confermare la sentenza del Tribunale di Roma del 17 maggio 2017 n. 10807. In via subordinata 3. Per il non creduto caso di accoglimento di uno o più dei motivi di appello spiegati dai sig.ri (...) e (...) rigettare le domande tutte svolte dagli stessi sig.ri (...) e (...) nei confronti di (...) perché prescritte, infondate in fatto e in diritto, oltre che non provate e, per l'effetto, confermare la sentenza del Tribunale di Roma del 17 maggio 2017 n. 10807. 4. In subordine alla conclusione che precede, nel non creduto caso di accoglimento di uno o più dei motivi di appello spiegati dai sig.ri (...) e (...) e di integrale e/o parziale accoglimento delle pretese avanzate dagli stessi sig.ri (...) e (...) nei confronti di (...), determinare gli effetti restitutori e/o risarcitori in favore dei sig.ri (...) e (...), anche con riguardo al quantum, tenendo conto di tutti i rilievi e le eccezioni sollevati in narrativa e, in particolare, condannando i sig.ri (...) e (...) a restituire a (...) tutti i titoli (o i relativi controvalori) acquistati dalla data di apertura del dossier titoli n. (...) sino alla data odierna nonché le cedole e/o interessi e/o dividenti e/o tutti gli importi a qualunque titolo riscossi dai suddetti titoli. In ogni caso 5. Con vittoria di spese, competenze e onorari, oltre accessori di legge". Si è costituito anche (...) che ha contestato la fondatezza dell'appello e ha chiesto "rigettare tutte le domande formulate dai sig.ri (...) e (...) in quanto inammissibili e/o improponibili e, comunque, in quanto infondate in fatto e diritto e non provate per tutti i motivi esposti in narrativa o per ogni altra norma applicabile, nonché per difetto di legittimazione passiva del sig. (...) anche in conseguenza della espressa rinuncia di (...) alla domanda di manleva nei confronti del chiamato in causa (...). Con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa, maggiorate del rimborso forfettario per le spese generali, IVA e CAP come per legge, da distrarsi in favore dei sottoscritti difensori che si dichiarano antistatari.". Precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza in epigrafe. Per quanto attiene alla ricostruzione della vicenda si rinvia per relationem all'impugnata sentenza. Preliminarmente, vi è da dire che alcun gravame è stato svolto sulle seguenti circostanze oggetto di pronuncia del primo giudice (cfr. pag. 11 e 17 sentenza), ovvero che "non è oggetto di causa il nuovo contratto quadro del 27.4.2015" e "che tutti i disconoscimenti delle sottoscrizioni apposte nei documenti..sono da ritenersi inefficaci". Inoltre, non sono state riproposte le domande (né svolte censure su quanto ritenuto) di nullità del contratto per mancato adeguamento alla normativa Mifid e di risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale, con conseguenti domande restitutorie e di risarcimento. Infatti, gli stessi appellanti hanno rappresentato che le domande " qui parzialmente riproposte devono intendersi articolate solo ed esclusivamente con riferimento al contratto-quadro che reca la data del 6.12.2004..". L'esame del giudizio sarà, quindi, limitato, evidentemente, alle sole censure e domande riproposte con il presente appello, di nullità del contratto quadro del 6.12.2004 per difetto del contenuto minimo e/o per difetto della sottoscrizione ad opera dell'intermediario finanziario e conseguenti domande restitutorie e risarcitorie. L'appello, così svolto, non è fondato. La censura afferente alla nullità del contratto-quadro del 6.12.2004, essendo stato sottoscritto solo da una parte, ovvero dagli investitori, e non anche dall'intermediario finanziario, ossia dalla B., va disattesa. La questione deve ritenersi oramai risolta poiché la Corte di Cassazione a sezioni unite (sentenza n. 898 del 2018) ha così statuito "In tema d'intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall'art. 23 del D.Lgs. n. 58 del 1998, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell'investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest'ultimo, e non anche quella dell'intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti. " (cfr. anche ordinanza n. 9187 del 2021). Talché, pacifica la sottoscrizione da parte degli investitori - così come dedotto dagli stessi appellanti - ne consegue che il contratto-quadro era stato redatto nel rispetto della forma scritta ed era pienamente efficace, ben potendosi desumere poi il consenso della B. dal comportamento concludente tenuto dalla stessa mediante l'invio della documentazione (cfr. documenti depositati). Stante l'insussistenza dell'eccepita nullità (per la mancata firma) è da ritenersi assorbita l'ulteriore questione circa la rilevabilità d'ufficio della predetta nullità, nonché la censura di erronea pronuncia per avere ritenuto tardiva la domanda (di nullità) in tal senso proposta. La domanda di accertamento della nullità (in tal senso svolta) del contratto-quadro e di conseguenza (perché derivata) delle operazioni di negoziazione andava e va comunque respinta, unitamente alla richiesta del correlato danno. Le censure inoltre afferenti all'asserita nullità del contratto quadro per mancanza del contenuto minimo secondo le previsioni di cui all'art. 30 Regolamento Consob 11522/98 e all'art. 37 Regolamento Consob 16190/2007, parimenti non sono condivisibili. Orbene il primo giudice ha sul punto ritenuto "è evidente che gli attori, oltre ad aver dato atto della conoscenza delle citate condizioni generali, ne hanno confermato l'esistenza con la doppia sottoscrizione a margine dell'accettazione delle clausole vessatorie; quindi si deve ritenere che gli attori conoscessero o dovessero conoscere, in base al principio sull'autoresponsabilità e sulla condotta dell'uomo medio, le condizioni che disciplinavano i servizi prestati dalla banca. Sempre dall'esame del citato contratto quadro del 6/12/2004, nel riquadro intitolato 'la firma di conferma delle scelte effettuate", risulta che gli attori avevano confermato, apponendo poi varie sottoscrizioni della cui attribuzione non è dato dubitare, "... di aver letto e di accettare integralmente tutte le norme che disciplinano i rapporti ed i servizi di cui alla presente richiesta, strutturata in un Frontespizio e in tre Sezioni ..." nonché "... di aver ricevuto copia del contratto relativo alla presente Richiesta di servizi bancari e di investimento,completa del Frontespizio, delle tre Sezioni sopra descritta (dati anagrafici e presente modulo di richiesta di servizi bancari, Normativa Contrattuale applicabile ai servizi bancari e d'investimento ..., Foglio I.), nonché della Carta del Cliente";nonché ancora, quanto al riquadro "informazione precontrattuale", "... di volersi avvalere del diritto di ottenere copia del testo contrattuale prima della conclusione del contratto per una ponderata valutazione, ai sensi della vigente normativa in materia di informazione precontrattuale...e di aver ricevuto copia completa del contratto di "Richiesta di servizi bancari e di investimento', completa del Frontespizio,delle tre Sezioni ... nonché della Carta del Cliente". Inoltre non va dimenticato, come emerge sempre dalla lettura del citato contratto quadro del 6/12/2004, che gli odierni attori avevano provveduto alla specifica sottoscrizione anche in tema di accettazione delle clausole vessatorie ex artt. 1341 e 1342 c.c.; infatti costoro avevano dichiarato"... di approvare specificatamente le seguenti norme previste nei Documenti contenuti nella Sezione Seconda se ed in quanto applicabili ai rapporti e servizi da noi richiesti: ...": segue il riferimento a specifici articoli relativi al Documento A ed al Documento I. In conclusione appare poco credibile, viste le sottoscrizioni apposte e l'attribuibilità delle stesse agli attori, che costoro abbiano firmato senza leggere e senza comprendere il significato di quanto sottoscritto o senza aver ricevuto la documentazione di cui attestano l'avvenuta consegna e conoscenza. Nei predetti allegati, in conformità al citato art. 30 del Regolamento Consob 11522/1998, vi erano indicazioni p.es. sulla durata del contratto art. 1 delle Norme Generali (documento A), sulle modalità di conferimento degli ordini art. 1 delle Norme che regolano la negoziazione, la ricezione e la trasmissione degli ordini, la mediazione e il collocamento di strumenti finanziari' (documento I)" Invero, così come dagli stessi evidenziato, ciò che contestano gli appellanti " è non solo e tanto la mancata consegna della documentazione esterna al contratto-quadro del 6.12.2004 contenente le informazioni imposte dalla legge a tutela degli interessi degli investitori, quanto e soprattutto che tali documenti non sono stati anche essi sottoscritti dagli investitori e che, di conseguenza, per essi non risulta né dimostrata l'effettiva consegna né, in particolare, integrata la forma scritta imposta sotto pena di nullità per tale tipologia negoziale. Dunque, il rinvio operato dal contratto-quadro del 6.12.2004 ai documenti esterni al testo negoziale contenenti le informazioni prescritte dall'art. 30 del Reg. Consob n. 11522/1998 e dall'art. 37 del Reg. Consob n. 16190/2007 è totalmente privo di rilievo o efficacia sanante. E ciò per una evidente ragione: gli appellanti non hanno sottoscritto gli altri documenti richiamati nella 'Richiesta di servizi bancari e di investimento' del 6.12.2004, sicché non risulta rispettato il requisito della forma scritta ad substantiam imposta dall'art. 23 del TUF; se, infatti, una norma di legge impone, come per i contratti quadro abilitanti alla prestazione di servizi di investimento in strumenti finanziari, sia la forma scritta sottopena di nullità sia (sempre sotto pena di nullità) un contenuto minimo che i medesimi contratti devono avere, è evidente che, qualora l'investitore sottoscriva soltanto un documento che non presenti il predetto contenuto minimo e non anche gli altri documenti cui il documento sottoscritto faccia un mero e generico rinvio, non solo non v'è prova della consegna effettiva di tali altri documenti, ma, soprattutto, rispetto a questi ultimi non risulta integrato il requisito della forma scritta ad substantiam..". Ricorre nella specie il principio affermato dal giudice di legittimità (Cass. Ordinanza n. 8751 del 10/04/2018) "In tema d'intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto quadro imposta dall'art. 23 del D.Lgs. n. 58 del 1998 è adempiuto anche quando le parti richiamino per iscritto elementi contenuti in un diverso atto, cui espressamente e specificamente si riportano. (Nella specie, la S.C. ha confermato la conclusione cui è pervenuto il giudice di appello circa la validità del contratto quadro che richiamava, riportandole in un allegato, visionato e accettato dall'investitore, le norme contrattuali che regolano i servizi finanziari della banca)". Ora, non vi è dubbio che gli appellanti avendo sottoscritto il contratto, che a loro dire aveva in allegato documenti contenenti le previsioni richieste dal Regolamento Consob e ove era scritto che il rapporto era disciplinato dal doc. A "Norme generali" e dal doc. 1 " Norme che regolano la negoziazione, la ricezione e la trasmissione di ordini, la mediazione e il collocamento di strumenti finanziari, contenute nella Seconda Sezione" (cfr. pag. 20 sentenza), nonchè avendo dato atto di aver ricevuto una copia dei documenti elencati (cfr. pag. 38 appello), hanno comunque conosciuto dei documenti e del loro contenuto. Infatti, così motiva la Corte nella pronuncia sopra riportata "La Corte di merito ha, inoltre, accertato che la investitrice aveva, altresì, sottoscritto il documento n. 1, dichiarando "di avere ricevuto, visionato ed accettato tutte le norme contrattuali che regolano i servizi bancari e finanziari prestati dalla (...)", contenenti anche la previsione delle modalità di effettuazione degli ordini di acquisto, e che,pertanto, il regolamento negoziale era stato determinato dalle parti per relationem. Tanto premesso, va osservato che la conclusione cui è pervenuto il giudice di appello, circa la validità del contratto quadro, deve essere condivisa, tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte che, in materie diverse, ha da tempo ritenuto che l'onere di forma può ritenersi adempiuto allorquando le parti richiamino per iscritto elementi contenuti in un diverso atto, espressamente e specificamente richiamato nel contratto (Cass. Sez. U. 19/05/2009, n. 11529, in materia di clausola compromissoria richiamata per relationem; Cass. 06/09/2006, n. 19130, con riguardo a contratto di appalto di opera pubblica, nel quale veniva operato il richiamo al capitolato speciale predisposto dalla stazione appaltante ed inserito negli atti di gara; Cass. 23/06/1998, n. 6247, in materia di interessi dovuti in misura extralegale). E tale principio è stato ribadito anche di recente, in materia di condizioni generali di contratto, essendosi affermato che, qualora le parti contraenti richiamino, ai fini dell'integrazione del rapporto negoziale, uno schema contrattuale predisposto da una di loro in altra sede, non è configurabile un'ipotesi di contratto concluso mediante moduli o formulari, assumendo la disciplina richiamata (nella specie, una clausola compromissoria, peraltro integralmente riprodotta dai contraenti) per il tramite di "relatio perfecta" il valore di clausola concordata; sicché tale disciplina resta sottratta all'esigenza dell'approvazione specifica per iscritto di cui all'art. 1341 cod. civ. (Cass. 14/04/2016, n. 7403).". Anche sotto tale profilo, dunque, andavano e vanno respinte le domande di nullità del contratto-quadro e delle operazioni di negoziazione, unitamente alle richieste di restituzione e di risarcimento del danno. Concludendo l'impugnazione va respinta. Le spese, che seguono la soccombenza, si liquidano come da dispositivo e, in relazione alla posizione del (...), se pur vero che è litisconsorte processuale e quindi si è dovuto costituire in giudizio il che determina la causalità, considerando l'abbandono della domanda di manleva, si può ridurre al minimo la liquidazione e devono essere distratte in favore dei Difensori che si sono dichiarati antistatari. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando, ogni altra contraria istanza disattesa, così provvede: - rigetta l'appello; - condanna la parte appellante alla rifusione delle spese del grado che liquida per la (...) S.P.A. in complessivi Euro 9.991,00, oltre accessori di legge e spese forfettarie e per l'appellato (...) in complessivi Euro 7.120,00, con distrazione in favore dell'Avv. Ra.Al., dell'Avv. Lu.Al. e dell'Avv. (...); - dichiara la parte appellante tenuta al versamento dell'ulteriore somma pari all'ammontare del contributo unificato dovuto. Così deciso in Roma il 2 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D'ASCOLA Pasquale - Presidente Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. CRISCULO Mauro - Consigliere Dott. DONGIACOMO Giuseppe - Consigliere Dott. CAPONI Remo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 12166/2019 proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), domiciliati in Roma, presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrenti - contro (OMISSIS) s.r.l.; - intimata - avverso la sentenza del TRIBUNALE DI LECCE n. 962/2019, depositata il 14/3/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/06/2022 dal consigliere REMO CAPONI; udite le conclusioni del P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale CORRADO MISTRI, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; udito l'Avvocato (OMISSIS) per la parte ricorrente. FATTI DI CAUSA (OMISSIS) e (OMISSIS) impugnano in cassazione la sentenza che, in accoglimento dell'appello, ha ordinato a ciascuno di loro la restituzione della somma di denaro che costoro avevano versato, a titolo di deposito cauzionale (l'una di 4.890,00 Euro, l'altra di 3.400,00 Euro), all'atto del rilascio di due proposte di acquisto, ognuna delle quali avente ad oggetto un bene immobile da costruire, rivolte il 4/6/2013 dai (OMISSIS) alla (OMISSIS), odierna intimata in cassazione. I (OMISSIS) avevano adito l'autorita' giudiziaria in conseguenza della mancata stipula dei due preliminari di compravendita entro il termine del 31/12/2013. Il 2/1/2014 i (OMISSIS) ricevevano da (OMISSIS) una richiesta datata 4/12/2013 di concordare - nei successivi 5 giorni - un incontro per la stipula del preliminare. Con raccomandata dell'8/1/2014 i (OMISSIS) contestavano l'operato della societa' immobiliare, con particolare riferimento alla tardivita' dell'invito alla stipula, e chiedevano la restituzione delle somme. Nel 2004, il Giudice di pace di Lecce emetteva due corrispondenti decreti ingiuntivi aventi ad oggetto la condanna di (OMISSIS) alla restituzione. I decreti ingiuntivi venivano confermati in sede di giudizio di opposizione nel 2015. In secondo grado il Tribunale di Lecce revocava i decreti ingiuntivi, condannando i (OMISSIS) ad un rinnovato pagamento delle somme in controversia. Due sono i motivi che i (OMISSIS) affidano al loro ricorso in cassazione. La (OMISSIS) rimane intimata. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - Ragioni di priorita' logica suggeriscono di invertire l'esame dei due motivi e di anteporre una premessa. Il testo delle due proposte di acquisto e' redatto su formulari predisposti dalla (OMISSIS), nei quali, per quanto qui interessa, e' prevista la stipula dei contratti preliminari di compravendita entro il 31/12/2013, oltre alla seguente clausola n. 3: "(...) In caso di revoca della presente proposta e/o di rinuncia all'acquisto dell'immobile in oggetto, il sottoscritto riconoscera' all'Agenzia, a titolo distinto di penale e di rimborso per le spese sostenute, la somma di Euro 3.400,00 (Euro 4.890,00 per (OMISSIS))". Vi e' infine una clausola aggiunta di pugno, secondo la quale: "Nel caso in cui non dovesse partire il cantiere le somme versate a titolo di deposito cauzionale saranno restituite". Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si deduce violazione degli articoli 1453 e 1457 c.c. per avere il giudice d'appello ritenuto che: (a) il termine del 31/12/2013 non fosse essenziale; (b) che la clausola aggiunta di pugno non prevedesse alcun termine entro cui sarebbero dovuti iniziare i lavori; (c) il contratto non fosse da dichiarare risolto per inadempimento della (OMISSIS). 2. - Nei suoi vari profili, il secondo motivo esibisce ragioni d'inammissibilita' e d'infondatezza. Nel complesso e' infondato. Iniziando la disamina dal primo profilo (sub a), occorre muovere dall'orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'accertamento in ordine alla essenzialita' del termine per l'adempimento, ex articolo 1457 c.c., e' riservato al prudente apprezzamento del giudice di merito, che esamina le espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, la natura e l'oggetto del contratto, al fine di verificare se e' manifesta la volonta' delle parti di ritenere perduta l'utilita' economica dell'accordo dopo l'inutile decorso del termine. Tale volonta' non puo' essere desunta unicamente dall'uso di espressioni come "entro e non oltre" oppure "termine ultimo" (come parte ricorrente allega essere stato concordato nel caso di specie, cfr. ricorso, p. 9), riferite al tempo di esecuzione della prestazione. Infatti, deve profilarsi dall'oggetto del negozio o da indicazioni specifiche e circostanziate delle parti il fatto che costoro intendano considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l'utilita' ripromessa (cfr. Cass. 10353/2020). Proseguendo sulla direttrice segnata dall'orientamento giurisprudenziale sintetizzato nel capoverso precedente, con l'occhio rivolto al caso di specie, e' appena il caso di precisare che l'apprezzamento riservato al giudice di merito e' - per cosi' dire - di secondo grado: accerta e ricostruisce il comune apprezzamento che, al tempo della conclusione del contratto, le parti hanno compiuto nel senso del carattere essenziale che il rispetto tassativo del termine fissato per la prestazione assume nell'interesse di una di esse. Orbene, le pur perspicaci argomentazioni svolte dalla parte ricorrente per contestare l'accertamento giudiziale (ricorso, p. 7-11) muovono integralmente da una logica di apprezzamento unilaterale ad opera della parte beneficiata dalla fissazione del termine e non scalfiscono l'accertamento giudiziale che ha tratto correttamente ad oggetto la ricostruzione dell'apprezzamento comune delle parti al tempo della sottoscrizione della proposta irrevocabile, ricostruzione condotta attraverso un buon governo - sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici - degli orientamenti della giurisprudenza di legittimita', appena richiamati. Valga per tutte il richiamo alla seguente osservazione, svolta dal giudice di appello: "In particolare nella presente fattispecie si deve escludere che il termine indicato nella proposta fosse essenziale e' che, comunque, il suo decorso abbia fatto inesorabilmente venir meno l'interesse delle parti all'utilita' economica dell'operazione negoziale, in quanto in primis entro tale termine le parti avrebbero dovuto stipulare un mero contratto preliminare, mentre solo con la successiva stipulazione del contratto di compravendita avrebbero regolato in maniera definitiva i loro rapporti". In conclusione, il primo profilo del secondo motivo e' infondato. 3. - Passando ad esaminare il secondo profilo del secondo motivo, e' sufficiente richiamare integralmente le considerazioni svolte nel paragrafo precedente, per attestare l'incensurabilita' in questa sede del seguente accertamento compiuto dal giudice d'appello sulla clausola aggiunta in calce alla proposta di acquisto: "Innanzitutto si deve osservare l'assenza di qualsivoglia espresso riferimento nella clausola in esame ad un collegamento tra l'inizio del cantiere e la stipulazione del contratto preliminare, oltre che tanto meno qualsivoglia richiamo allo specifico termine del 31/12/2013 previsto per la stipulazione del preliminare stesso, mentre, d'altro canto, occorre invece rilevare come data la genericita' del tenore letterale della clausola in questione non si puo' che ritenere che la stessa sia stata aggiunta in coda alla proposta irrevocabile di acquisto come clausola di chiusura volta a garantire agli acquirenti che solo in caso di definitiva mancata attivazione del cantiere le somme corrisposte all'agenzia sarebbero state restituite". E' appena il caso di ribadire - proprio al cospetto di una citazione cosi' ampia della sentenza impugnata - che il compito di una corte di legittimita' non e' di condividere o fare proprio l'apprezzamento riservato al giudice di merito, ma unicamente di controllare che esso sia immune da vizi logici e giuridici. Un controllo che, nel caso di specie, si conclude nel senso della incensurabilita'. In conclusione, il secondo profilo del secondo motivo e' infondato. 4. - Il terzo profilo del secondo motivo e' articolato in questi termini: "comunque, ed anche indipendentemente dalla valutazione circa l'essenzialita' di quel termine, il Tribunale avrebbe dovuto accertare, ex articolo 1453 c.c., la risoluzione del contratto per inadempimento della (OMISSIS), e cio' proprio per i rilevanti interessi economici in gioco e lo squilibrato sinallagma contrattuale". A parte l'errore di qualificare come contratto una proposta irrevocabile, il profilo e' inammissibile per difetto di specificita' ex articolo 366 c.p.c., n. 4, perche' privo di censure articolate e circostanziate con riferimento ai luoghi salienti della sentenza impugnata che si intendono bersagliare. Anzi, esso e' inserito in modo parentetico nel contesto di argomentazioni rivolte a censurare la motivazione sull'essenzialita' del termine, gia' esaminata nei due paragrafi precedenti. In conclusione, il terzo profilo del secondo motivo e' inammissibile. 5. - Dalla infondatezza o inammissibilita' di ogni profilio di cui consta il secondo motivo segue il rigetto di quest'ultimo nel suo complesso. 6. - Con il primo motivo, proposto ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si deducono la violazione del Decreto Legislativo n. 206 del 2005, articolo 33, lettera e), articolo 18 comma 1, articolo 34, comma 5, nonche' omesso e/o insufficiente esame di fatti oggetto di discussione tra le parti per avere il giudice d'appello omesso di applicare alle proposte di acquisto de quibus la disciplina delle clausole vessatorie prevista dal codice del consumo. In particolare, la parte ricorrente censura la mancata applicazione delle seguenti previsioni: "(Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di): (...) e) consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se e' quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere" (articolo 33, lettera e); "Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l'onere di provare che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore". Il primo motivo e' da dichiarare inammissibile poiche' non bersaglia la ratio sottostante alla decisione del giudice d'appello, che si coglie invece con chiarezza nel brano seguente: "Si deve escludere che la mancata stipulazione del contratto preliminare entro il termine del 31/12/2013 ed anche il mancato avvio del cantiere dei lavori nello stesso termine possano giustificare la restituzione delle somme di Euro 4.890 ed Euro 3.400,00, atteso che il termine del 31/12/2013 non puo' ritenersi essenziale, la societa' immobiliare ha effettivamente invitato gli odierni opposti a procedere alla stipulazione del contratto preliminare proprio a ridosso della scadenza del termine e comunque non era stato previsto alcun specifico termine per l'attivazione del cantiere". Pertanto, il fondamento della condanna alla restituzione delle somme non e' l'accertamento del diritto a trattenerle definitivamente sulla base della clausola n. 3 delle proposte irrevocabili d'acquisto di cui e' lamentato il carattere vessatorio, bensi' l'accertamento che la restituzione delle somme ordinata dal giudice di primo grado e' priva di ragioni, poiche' il termine del 31/12/2013 non riveste carattere essenziale (come si e' avuto modo di constatare anteponendo l'esame del secondo motivo) e nessun termine e' stato previsto per l'avvio del cantiere. Detto altrimenti: alla stregua dell'apprezzamento del giudice d'appello, permangono le ragioni del versamento delle somme a titolo di deposito cauzionale concordato e attuato al momento della sottoscrizione delle due proposte irrevocabili di acquisto. Infatti, a fondamento della propria decisione, il Tribunale ha accertato che il termine del 31/12/2013 non riveste carattere essenziale e che nessun termine e' stato previsto per l'avvio del cantiere. Ancora in altri termini: secondo il giudice d'appello e' giuridicamente ancora in essere il rapporto che ha preso a svolgersi tra le parti sulla base della sottoscrizione delle proposte irrevocabili di acquisto. 7. - Se ne fosse bisogno, una conferma che e' questa la ratio decidendi della condanna alla restituzione e non gia' l'irrilevante clausola di cui i ricorrenti lamentano la vessatorieta', lo si desume dall'articolazione dei motivi d'appello. Infatti, la decisione del giudice d'appello si basa sull'esplicito accoglimento del secondo e terzo motivo d'appello, esaminati congiuntamente, mentre il quarto e' rimasto assorbito. Orbene, con il secondo motivo d'appello la (OMISSIS) deduceva che il giudice di primo grado aveva errato nel ritenere che la clausola aggiunta in calce alla proposta d'acquisto ponesse a carico della societa' immobiliare l'obbligo di restituire le somme gia' percepite nel caso in cui il cantiere non fosse partito entro il termine del 31/12/2013. Con il terzo motivo, l'appellante contestava che il predetto termine, fissato per la stipulazione del preliminare, fosse essenziale. Solo con il quarto motivo, in via subordinata, la societa' immobiliare deduceva che il giudice di primo grado avesse mancato di riconoscere in ogni caso il suo diritto a trattenere le somme in causa a titolo di penale e di rimborso spese ai sensi della clausola n. 3 delle proposte irrevocabili d'acquisto. Pertanto il primo motivo del ricorso in cassazione cade nel vuoto di decisione perimetrato dall'accoglimento del secondo e del terzo motivo d'appello e dall'implicito assorbimento del quarto motivo. In conclusione, il primo motivo e' inammissibile. 8. - L'inammissibilita' ovvero l'infondatezza di ciascuno dei due motivi su cui e' fondato il ricorso determina il rigetto del ricorso nel suo complesso. Poiche' la parte intimata non ha svolto attivita' difensiva nel presente giudizio, non vi e' luogo a provvedere su spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma - dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI MESSINA SEZIONE I CIVILE riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati: 1)Dott. Maria Pina Lazzara - Presidente 2)Dott. Marisa Salvo - Consigliere rel. 3)Dott. Maria Giuseppa Scolaro - Consigliere ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 99/2020 R. G. cont., posta in decisione all'udienza del 4.07.2022 vertente tra (...) nato a S. F. il (...) c.f. (...) elettivamente domiciliato via (...) presso lo studio dell'avv. Mario Mancuso, recapito professionale dell' avv. Gi.Ci., che lo rappresenta e difende per procura allegata all'atto di appello; Appellante- ammesso al gratuito patrocinio e (...) s.p.a. con sede in S. Piazza S. n. 3 c.f. e numero iscrizione presso il Registro delle Imprese di Arezzo-Siena p (...), Gruppo IVA MPS p.i. (...) in persona del dott. (...) in qualità di Responsabile Area di Capogruppo Bancario della Direzione Group General Consuel e, come tale, munito dei necessari poteri di rappresentanza come da delibera del CDA del 25.03.2014 e della conseguente procura ai rogiti del dott. (...) notaio in S. in data (...) rep. n. (...) racc. n. (...), elettivamente domiciliata in Messina via (...) nello studio dell'avv. Ma.Pa. che la rappresenta e difende in forza della procura in calce alla comparsa di costituzione; Appellata oggetto: appello avverso la sentenza n. 370/2019 emessa dal Tribunale di Patti in data 25.06.2019 e pubblicata in pari data. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione regolarmente notificato (...) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Patti la (...) s.p.a. e, premesso di intrattenere con la stessa rapporto di conto corrente contrassegnato dal n.(...), eccepiva la nullità delle clausole che prevedevano interessi anatocistici, ultralegali non pattuiti e contra legem, (...), spese e commissioni non dovute. Chiedeva, pertanto, la condanna della convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente incassate ed al risarcimento del danno derivante dal comportamento illegittimo e contrario a buona fede. Si costituiva (...) s.p.a., che, in via preliminare, eccepiva l'inammissibilità della domanda di ripetizione dell'indebito poiché avanzata nel corso del rapporto; la decadenza dell'attore da ogni contestazione in ordine agli estratti conto ai sensi dell'art. 8 delle condizioni contrattuali nonché la prescrizione decennale. Nel merito, deduceva la legittimità delle clausole contrattuali e chiedeva il rigetto della domanda. Disposto l'espletamento di c.t.u., con la sentenza impugnata il Tribunale dichiarava l'inammissibilità della domanda di ripetizione e condannava l'attore al pagamento delle spese di lite, ponendo a suo carico anche quelle di c.t.u.. Avverso la sentenza il Gentile proponeva appello con atto di citazione regolarmente notificato. Si costituiva in giudizio (...) s.p.a., che chiedeva il rigetto del gravame. Con ordinanza del 23-29.07.2020 la Corte, ritenuta l'insussistenza dei presupposti per la declaratoria di inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c., rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni e all'udienza del 4.07.2022 - precisate le conclusioni come da note scritte ex art. 83 comma 3 lettera h) D.L. n. 18 del 2020 - la poneva in decisione, previa concessione dei termini per il deposito degli atti conclusivi. MOTIVI DELLA DECISIONE 1.- Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello sollevata ai sensi dell'art. 342 c.p.c. da (...) s.p.a.. Al riguardo, è sufficiente osservare che l'art. 342 c.p.c., nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame, non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il "quantum appellatum", circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata. (Cass. civ. sez. lav., 05/02/2015, n. 2143; Cass. civ. sez. VI 30.05.2018 n.13535). Nella specie, risultano sufficientemente indicate tanto le parti della motivazione ritenute erronee quanto le ragioni poste a fondamento delle critiche e la loro rilevanza al fine di confutare la decisione impugnata, come, peraltro, dimostra la circostanza che la stessa parte appellata è stata in grado di predisporre una congrua difesa Quanto, invece, all'eccezione di inammissibilità dell'appello sollevata ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c. la Corte si è già pronunciata con l'ordinanza del 23-29.07.2020, alla quale si rinvia 2.-Con il primo motivo di gravame, parte appellante ha lamentato l'erroneità della sentenza nella parte in cui il primo decidente aveva dichiarato l'inammissibilità della domanda di ripetizione di indebito poiché formulata quando ancora il conto corrente era aperto. Ha dedotto, al riguardo, anche sulla scorta di alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità (in particolare Cass. 21646/2018) e di merito, che il correntista, benché il conto corrente sia ancora in essere al momento della proposizione della domanda di ripetizione di indebito, ha un interesse di sicura consistenza a che si accerti, prima della chiusura del conto, la nullità e/o validità delle clausole anatocistiche, l'esistenza o meno di addebiti illegittimi operati in suo danno e l'entità del saldo (parziale), ricalcolato, previa depurazione delle appostazioni illegittime. Il Tribunale, pertanto, avrebbe dovuto statuire sulle domanda di accertamento della nullità delle clausole contrattuali, a prescindere dalla chiusura del conto al momento della proposizione della domanda. Muovendo da tale premessa, l'appellante ha ribadito l'illegittimità della clausola contrattuale anatocistica, in quanto fondata su un uso negoziale in contrasto con la previsione di cui all'art. 1283 c.c. e, peraltro, da considerarsi vessatoria, configurando una deroga peggiorativa del contratto e delle previsioni altrimenti conformi al dettato di cui all'art. 1283 c.c.. Ha sostenuto che, in mancanza di espressa pattuizione scritta, la predisposizione di modelli unilateralmente predisposti, contenenti clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, commissioni o spese, comunque denominate, non concordate ed immotivate, integrano clausole vessatorie illegittime, come tali meritevoli di essere dichiarate nulle ed inefficaci. Ne conseguiva la violazione da parte del primo decidente del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c. Ha aggiunto l'appellante che il Tribunale aveva ignorato le conclusioni rassegnate dal c.t.u., che aveva accertato il superamento nel corso del rapporto del tasso soglia e che, scorporando dal saldo debitore la capitalizzazione degli interessi passivi ed applicando la (...) senza capitalizzazione, aveva accertato l'illegittimo addebito di Euro 18.130,59 e rideterminato il saldo negativo in Euro 9.309,27, piuttosto che nell'importo risultante dall'ultimo estratto conto (pari ad Euro - 27.439,86). Ha, pertanto, chiesto che la Corte, dichiarata la nullità delle clausole con cui erano state previste commissioni, costi e remunerazioni non espressamente concordate per iscritto e, comunque, indeterminate nel loro esatto ammontare, ridetermini il saldo in favore di esso correntista, decurtando le somme illegittimamente pretese dalla Banca per il complessivo importo di Euro 18.130,59. La Banca appellata ha, invece, ribadito l'inammissibilità della domanda, poiché formulata prima della chiusura del conto. Ha, inoltre, eccepito il mancato assolvimento dell' onere probatorio gravante sul Gentile, che non aveva prodotto tutti gli estratti conto, necessari a ricostruire la movimentazione integrale del conto. Ne conseguiva l' inutilizzabilità delle conclusioni rassegnate dal c.t.u., che, a causa della parziale produzione (mancando gli estratti conto riferiti al IV trimestre 2004, al V trimestre 2005, al III trimestre 2009), aveva proceduto alla rideterminazione del saldo in base ad inaccettabili ed indebite operazioni di raccordo Nel merito, l'appellata ha rilevato che tutte le condizioni e le clausole applicate al rapporto erano state espressamente convenute tra le parti. In particolare, ha evidenziato che nel contratto era stato specificamente pattuito il tasso di interesse, determinato mediante l'indicazione in cifre ed era stata dettagliatamente disciplinata la C.. Quanto all'asserito superamento dei tassi soglia usura, peraltro genericamente dedotta, senza produrre i decreti ministeriali di riferimento, la Banca appellata ha contestato le conclusioni del c.t.u. poiché basate su modalità di calcolo del TAEG non corrispondenti alle istruzioni dell'Ufficio Italiano Cambi, pubblicate nella G.U. sin dal 1996 e periodicamente aggiornate. L'ausiliario, inoltre, non aveva tenuto conto della facoltà di scoperto accordata al correntista, aveva incluso nel computo la (...), sebbene esclusa fino al 2009, aveva considerato tutte le spese e le commissioni addebitate in conto, anziché solo quelle collegate all'erogazione del credito. Ha, in ogni caso, eccepito la decadenza ex art. 8 delle condizioni di contratto, per mancata contestazione dell'estratto conto nei (...) giorni dal ricevimento, e la prescrizione decennale del diritto alla restituzione di somme, contestando, comunque, la fondatezza della domanda di restituzione. In sede di comparsa conclusionale la appellata ha evidenziato un ulteriore profilo di infondatezza delle deduzioni ex adverso articolate. Ha, in particolare, sostenuto la irripetibilità dei versamenti effettuati dal correntista, anche a titolo di interessi ultralegali o di capitalizzazione trimestrale degli interessi ex art.2034 c.c., integrando adempimento di obbligazione naturale. 3.-Con il secondo motivo di gravame, l'appellante ha lamentato l'illegittimità ed erroneità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alla domanda di risarcimento del danni derivante dal contegno illegittimo e contrario a buona fede tenuto dalla Banca in violazione degli artt. 1175, 1137 e 1375 c.c. Tale condotta, secondo l'assunto del Gentile, era censurabile sotto due diversi aspetti. Sotto un primo profilo, ha sostenuto che i periodici addebiti effettuati sin dal primo trimestre del 2004, a titolo sia di anatocismo, sia di costi per (...) e spese non giustificate, avevano condotto ad un illegittimo lievitamento delle passività in danno del correntista, con conseguente responsabilità contrattuale da inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. per lesione dei doveri di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto in violazione dell'art. 1375 c.c.. Sotto un secondo profilo, ha, invece, rilevato il mancato rispetto degli obblighi informativi in violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nella fase di formazione del contratto ex art. 1337 c.c. Al cliente deve essere, infatti, fornita una piena conoscenza, non essendo sufficiente a tal fine la semplice lettura del contratto già formato, mentre, nella specie, (...) non aveva fornito le informazioni necessarie a comprendere la ratio delle svariate remunerazioni, dei costi e delle commissioni addebitate in conto. Sulla scorta di tali argomentazioni, l'appellante ha insistito nella domanda di risarcimento del danno, patrimoniale e non, da liquidarsi nella misura dell'interesse positivo, ossia dei vantaggi economici che sarebbero derivai dall'esecuzione del contratto secondo buona fede. La Banca appellata ha, invece, evidenziato la genericità della domanda risarcitoria, contestandone pure la fondatezza. Ha, infatti, ribadito che tutte le condizioni applicate al rapporto erano state convenute tra le parti, ivi compresi tasso di interesse praticato, (...) applicata, giorni di valuta e esercizio del diritto di recesso. 4. - I motivi possono trattarsi congiuntamente, poiché strettamente connessi. E' certamente corretta la declaratoria di inammissibilità della domanda di ripetizione delle somme, che l'attore assume indebitamente corrisposte alla Banca a titolo di interessi anatocistici, ultra-legali e di commissione di massimo scoperto, posto che nel rapporto di conto corrente bancario il correntista che agisce in giudizio per la ripetizione dell'indebito è tenuto, oltre che a provare la mancanza di una valida "causa debendi" originaria o sopravvenuta, anche a dimostrare di avere effettuato dei pagamenti solutori. In applicazione di tali principi, nel caso in cui, come nella specie, il conto corrente sia ancora in essere al momento della notificazione della citazione, è inammissibile qualsiasi domanda di ripetizione di indebito fondata sul presupposto della nullità di alcune prestazioni del contratto, comportando l'annotazione in conto corrente di una posta relativa a commissioni o ad interessi in ipotesi illegittimamente addebitati unicamente un incremento del debito del correntista (o, nel caso di affidamento, una riduzione del credito in ipotesi disponibile), in nessun caso risolvendosi in un trasferimento patrimoniale ed in una rimessa solutoria e quindi in un pagamento, oggetto di possibile ripetizione (salva l'ipotesi in cui il correntista fornisca la dimostrazione che, pur in costanza di rapporto, egli abbia eseguito rimesse solutorie). Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (con la nota sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418), partendo dal riferimento alla distinzione tra atti ripristinatori della provvista ed atti di pagamento compiuti dal correntista per estinguere il proprio debito verso la banca, al fine di stabilire se (e quando) sia o meno configurabile un pagamento, asseritamente indebito, da cui possa scaturire una pretesa restitutoria ad opera del solvens, hanno osservato - per quanto qui di specifico interesse - che se durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti, ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto "scoperto" (cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento) e non, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere. L'annotazione in conto di una posta di interessi (o di commissione di massimo scoperto) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un incremento del debito dello stesso correntista, o una riduzione dei credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria nei termini sopra indicati in favore della banca; con la conseguenza che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa, ma non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all'atto della chiusura del conto. Orbene, se la declaratoria di inammissibilità della domanda di ripetizione al cospetto di un conto ancora aperto è conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale, non è, però, condivisibile la conclusione cui è pervenuto il primo decidente, che ha omesso di statuire sul merito della domanda di accertamento delle nullità contrattuali. Ed invero, se l'azione di ripetizione dell'indebito non è proponibile in costanza di rapporto, non per questo, tuttavia, il cliente non potrà agire per fare valere la nullità della clausole contrattuali illegittime, ma anzi, al contrario, l'azione di nullità deve in tal caso considerarsi adeguatamente sorretta dall'interesse del correntista di accertare in giudizio, prima della chiusura del conto, la nullità o validità delle clausole anatocistiche, l'esistenza o meno di addebiti illegittimi operati in proprio danno e, da ultimo, l'entità del saldo (parziale) ricalcolato, depurato dalle appostazioni che non potevano aver luogo. Siffatto interesse è rilevante sul piano pratico almeno sotto tre profili: quello dell'esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime; quello del ripristino da parte del correntista, in caso di conto affidato, di una maggiore estensione dell'affidamento a lui concesso, siccome eroso da addebiti contra legem; quella della riduzione dell'importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere a seguito della cessazione del rapporto (allorquando, cioè, dovranno regolarsi tra le parti le contrapposte partite di debito e credito). Trattasi perciò di un'azione volta al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, raggiungibile solo attraverso una pronuncia giudiziale. Come, infatti, osservato dalle SS.UU., il correntista, infatti, sin dal momento dell'annotazione in conto di una posta, accortosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso, senza dovere necessariamente attendere la cessazione del rapporto bancario (Cass. Civ. n. 21646/2018; SS. UU. n. 24418/2010; Cass. Civ. n. 798/2013). E poiché, nel caso di specie, il Gentile ha agito per ottenere non solo la ripetizione delle somme indebitamente incassate dalla Banca, ma anche l'accertamento della nullità dell'applicazione nel corso del rapporto di interessi anatocistici, ultra -legali e della (...), la domanda deve essere vagliata nel merito, posto che l'azione di nullità è pienamente ammissibile, per le ragioni esposte, anche incostanza di rapporto. Tale trattazione impone, però, l'esame delle preliminari eccezioni sollevate dalla Banca. E' infondata quella di decadenza, posto che ai sensi dell'art. 1382 c.c. la mancata contestazione dell'estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale nonché la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate, con conseguente decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni ad esse relative, ma non impediscono la formulazione di censure concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti, cioè quelle fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, del'inclusione o dell'eliminazione di partite del conto corrente (Cass. 30000/2018; 23421/2016). Quanto all'eccezione di prescrizione è sufficiente evidenziare l'infradecennalità della domanda, avanzata con atto di citazione notificato in data 24.02.2014 al cospetto di un conto aperto il 15.09.2004 ed ancora in essere al momento del'introduzione del giudizio. Giova, ancora, osservare che, contrariamente a quanto assunto dalla Banca appellata, il pagamento spontaneo di interessi ultralegali costituisce adempimento di obbligazione naturale e determina l'irripetibilità ex art. 2034 c.c. delle somme pagate a tal titolo a condizione che ciò consegua ad una pattuizione che determini anche la misura degli stessi, dovendosi altrimenti escludere che possa configurarsi un dovere morale e sociale che ne giustifichi l'adempimento. Devono, pertanto, ritenersi ripetibili gli interessi addebitati da una banca sul conto corrente del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza autorizzazione da parte del medesimo (Cass. 30114/2017. Per le medesime ragioni, in mancanza di diversa determinazione da parte dei contraenti, neanche il pagamento di interessi anatocistici costituisce adempimento di obbligazione naturale. Sgomberato il campo dalle questioni preliminari e passando alla trattazione del merito, va rilevato che, secondo l'insegnamento giurisprudenziale maggioritario della Suprema Corte, grava su colui che agisce per far valere l'illegittimità del praticato anatocismo, dell'applicazione di interessi passivi ultra-legali e della commissione di massimo scoperto la prova dell'inesistenza di accordi tra le parti che abbiano legittimato tale operato dell'istituto di credito, anche se trattasi di prova negativa. E' stato, infatti, affermato che ai fini della dimostrazione dell'indebito o dell'indebita appostazione in conto corrente di interessi anatocistici, ultra-legali e/o ella commissione di massimo scoperto non è sufficiente dare la prova dell'avvenuto pagamento o, rispettivamente, dell'avvenuta appostazione in conto degli stessi. Poiché, infatti, è lo stesso Legislatore ad ammettere che a certe condizioni le parti pattuiscano l'applicazione di interessi anatocistici, ultra-legali e la commissione di massimo scoperto, è a carico di colui che agisce in ripetizione di indebito la prova negativa dell'inesistenza di tali accordi, senza poter invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla Banca, posto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti acquisisce la disponibilità del documento al momento della sottoscrizione (Cass. 1550/2022; 6480/2021) Attraverso tale scritto il correntista può dimostrare la mancanza della pattuizione di interessi anatocistici, ultra-legali, della commissione di massimo scoperto. Orbene, nella specie, il Gentile ha prodotto nel giudizio di primo grado il contratto, con cui sono state convenute tra le parti le condizioni e le clausole applicate al rapporto. Senonchè, tale contratto, esaminato dal c.t.u. non risulta prodotto in atti (neanche tra gli allegati alla c.t.u.) e posto nella disponibilità conoscitiva della Corte. Tale carenza preclude l'accertamento della nullità delle clausole denunciata dall'appellante concernenti l'applicazione nel corso del rapporto di interessi anatocistici, di interessi ultralegali e della commissione di massimo scoperto. A tal fine, giova ricordare che, ai fini della dimostrazione dell'indebito pagamento o, per quel che qui rileva, dell'indebita appostazione in conto corrente di interessi anatocistici, ultralegali e/o di commissione di massimo scoperto, non è sufficiente dare la prova dell'avvenuta appostazione in conto degli stessi (al qual fine sarebbe sufficiente la mera produzione in giudizio degli estratti conto). Poiché, infatti, è proprio la legge a consentire, in determinate situazioni, di pattuirne il pagamento o l'appostazione (v., ad esempio, l'art. 1283 c.c.; l'art.120 TUB; l'art. 1284 c.c. e l'art. 117 TUB), è posto a carico di colui che agisce in ripetizione di indebito o per la rideterminazione del saldo la prova (negativa) dell'inesistenza di tali accordi tra le parti, senza poter invocare, al fine di spostare detto onere in capo alla banca, il principio di vicinanza della prova, che non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione (Cass. 1550/2022; 6480/2021). E' bene rimarcare che tale principio opera sempre qualora si tratti di contratto pacificamente concluso per iscritto tra le parti. Assunta, infatti, l'esistenza del contratto scritto di conto corrente, l'attore che alleghi, come nel caso in esame, la mancata valida pattuizione dell'interesse anatocistico, dell'interesse debitore ultralegale e della commissione di massimo scoperto (che, per essere validamente applicabile, deve essere pattuita in misura determinata o complessivamente determinabile), è gravato dall'onere di provare l'assenza della causa debendi anche attraverso la produzione in giudizio del documento contrattuale. Nella specie, è pacifica l'esistenza del contratto scritto, stipulato il 15.09.2004 e che, secondo quanto emerge dalla relazione di c.t.u., "contiene la previsione delle spese di tenuta di conto oltre alla (...) per gli utilizzi senza affidamento". Inoltre, secondo quanto allegato dalla Banca appellata, tutte le condizioni e le clausole applicate al rapporto risultano espressamente convenute tra le parti, essendo stati, in sede contrattuale, specificamente pattuito il tasso di interesse, determinato mediante l'indicazione in cifre, e dettagliatamente disciplinata la (...). In presenza di tali contrapposte deduzioni fattuali, non avendo l'appellante fornito il riscontro documentale del proprio assunto circa l'illegittima applicazione di interessi anatocistici, di interessi ultralegali non pattuiti e contra legem, di (...), spese e commissioni non dovute, la domanda di rideterminazione del saldo, per quanto ammissibile, deve ritenersi infondata. Né vale a superare le precedenti considerazioni la circostanza che il c.t.u. abbia accertato l'illegittimo addebito di Euro 18.130,59 e rideterminato il saldo negativo in Euro 9.309,27, piuttosto che nell'importo risultante dall'ultimo estratto conto. Tale conclusione, infatti, si basa sullo scorporo dal saldo debitore della capitalizzazione degli interessi passivi e sull' applicazione della (...) senza capitalizzazione. La Corte, tuttavia, non è in condizione di verificare la correttezza del calcolo eseguito dall'ausiliario, dato che la mancata conoscenza delle condizioni contrattuali pattuite tra le parti non consente di verificare se la (...) sia stata legittimamente applicata, come assunto dalla Banca e contestato dall'appellante, e se gli interessi anatocistici siano stati legittimamente depurati. Sotto tale profilo,deve ricordarsi che, a fronte di contratto concluso per iscritto nel 2004, a certe condizioni, quali, tra le altre, la previsione della medesima periodicità per gli interessi debitori e creditori, anche gli interessi anatocistici potrebberoo ritenersi legittimamente applicati. In tale contesto di estrema incertezza, scarsamente significative sono pure le conclusioni del c.t.u. in materia di superamento del tasso soglia. Al fine di verificare se sia intervenuto il superamento del tasso soglia dell'usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, occorre, infatti, effettuare la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) dell'interesse praticato in concreto con il tasso soglia, nonché della commissione di massimo scoperto applicata con la (...) soglia, calcolata aumentando della metà la percentuale della (...) media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2 comma 1 della L. n. 108 del 2008, compensandosi, poi, il valore dell'eventuale eccedenza della (...) praticata in concreto, rispetto a quella della (...) rientrante nella soglia, con il margine eventualmente residuo degli interessi, pari alla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticato. Nella specie, al di là dei rilievi formulati dalla Banca appellata in merito all'omessa considerazione della facoltà di scoperto accordata al correntista ed all'inclusione nel computo di tutte le spese e le commissioni addebitate in conto, anziché solo di quelle collegate all'erogazione del credito, già la mancata conoscenza del tasso effettivo, convenuto tra le parti in sede contrattuale, non consente di verificare l'esattezza del calcolo. Tanto più che il c.t.u. (v. risposta ai rilievi del c.t.p. dell'allora convenuta), applicando una diversa formula ai fini del calcolo, è pervenuto a risultati opposti. Alla stregua delle argomentazioni che precedono, deve ritenersi assorbito il secondo motivo di appello, con cui il Gentile ha invocato la condanna delle controparte al risarcimento dei danni subiti in conseguenza degli illegittimi addebiti operati a titolo sia di anatocismo, sia di costi per (...) e spese non giustificate. Deve, invece, rigettarsi la domanda risarcitoria basata sul preteso inadempimento di obblighi informativi,per totale carenza di prova. L'appello va, pertanto, rigettato. Segue la condanna dell' appellante al pagamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo delle spese delle spese di questo grado di giudizio, che si liquidano come da dispositivo, in applicazione, secondo lo scaglione del dichiarato valore, dei parametri tariffari di cui al D.M. n. 55 del 2014, come parzialmente modificato da ultimo con D.M. n. 147 del 2022 (in vigore dal 23 ottobre 2022), qui applicabile ratione temporis (secondo l'art. 6 del citato D.M. n. 147 del 1922 invero "le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore". Tale condanna non è impedita dall'ammissione del Gentile al patrocinio gratuito. Detto beneficio, infatti, non comporta che siano a carico dello Stato le spese che l'assistito dal beneficio sia condannato a pagare all'altra parte risultata vittoriosa, perché gli onorari e le spese di cui all'art. 131 d.P.R. cit. sono solo quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio, che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte - in considerazione delle sue precarie condizioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese - si impegna ad anticipare (Cassazione civile, sez. VI, 19/06/2012, n. 10053). Atteso il rigetto dell'appello, va dato atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico dell'appellante il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente dovuto per l' appello, giusta quanto disposto dall'art. 1 commi 17 e 18 L. n. 228 del 2012. Giova, infatti, precisare che il giudice dell'impugnazione che emetta una delle pronunce di cui all'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 è tenuto a dare atto della sussistenza dei presupposti in questione anche quando questo non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venir meno (come nel caso di ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato) (Cass. SSUU 4315/2020). L'attestazione del giudice ha, infatti, funzione ricognitiva della sussistenza di uno soltanto dei presupposti previsti dalla legge, quello di carattere processuale attinente al tipo di pronuncia adottato. Rimane affidato all'Amministrazione il compito di accertare in concreto la sussistenza degli altri presupposti dai quali dipende in concreto la debenza del doppio contributo. Va riservata a separato decreto la liquidazione dei compensi in favore del procuratore dell'appellante. P.Q.M. La Corte d'Appello di Messina,Prima Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 99/202o, sull'appello proposto da (...) avverso la sentenza n. n. 370/2019 emessa dal Tribunale di Patti in data 25.06.2019 e pubblicata in pari data., così provvede: 1) rigetta l' appello; 2) condanna l' appellante al pagamento, in favore di parte appellata, delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 2.023,00 (di cui Euro 536,00 per la fase di studio; Euro 536,00 per quella introduttiva ed Euro 951,00 per quella decisoria) oltre rimborso spese generali nella misura di legge, cpa e iva (se dovuta); 3) dà atto della sussistenza dei presupposti per porre a carico dell'appellante il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello e mandala Cancelleria per gli adempimenti relativi alla riscossione; 4) riserva di provvedere con separato decreto alla liquidazione dei compensi in favore del procuratore dell'appellante.. Così deciso in Messina il 13 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI MESSINA SEZIONE PRIMA CIVILE riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati: 1) Dott. Maria Pina Lazzara - Presidente 2) Dott. Marisa Salvo - Consigliere rel. 3) Dott. Maria Giuseppa Scolaro - Consigliere ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 99/2020 R. G. cont., posta in decisione all'udienza del 4.07.2022 vertente tra (...) nato a S. F. il (...) c.f. (...) elettivamente domiciliato via (...) presso lo studio dell'avv. Ma.Ma., recapito professionale dell' avv. Gi.Ci., che lo rappresenta e difende per procura allegata all'atto di appello; Appellante- ammesso al gratuito patrocinio e (...) s.p.a. con sede in S. Piazza S. n. 3 c.f. e numero iscrizione presso il Registro delle Imprese di Arezzo-Siena p (...), Gruppo IVA (...) p.i. (...) in persona del dott. (...) in qualità di Responsabile Area di Capogruppo Bancario della Direzione Group General Consuel e, come tale, munito dei necessari poteri di rappresentanza come da delibera del CDA del 25.03.2014 e della conseguente procura ai rogiti del dott. (...) notaio in S. in data (...) rep. n. (...) racc. n. (...), elettivamente domiciliata in Messina via (...) nello studio dell'avv. Maurizio Parisi che la rappresenta e difende in forza della procura in calce alla comparsa di costituzione; Appellata oggetto: appello avverso la sentenza n. 370/2019 emessa dal Tribunale di Patti in data 25.06.2019 e pubblicata in pari data. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione regolarmente notificato (...) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Patti la (...) s.p.a. e, premesso di intrattenere con la stessa rapporto di conto corrente contrassegnato dal n.(...), eccepiva la nullità delle clausole che prevedevano interessi anatocistici, ultralegali non pattuiti e contra legem, (...), spese e commissioni non dovute. Chiedeva, pertanto, la condanna della convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente incassate ed al risarcimento del danno derivante dal comportamento illegittimo e contrario a buona fede. Si costituiva (...) s.p.a.., che, in via preliminare, eccepiva l'inammissibilità della domanda di ripetizione dell'indebito poiché avanzata nel corso del rapporto; la decadenza dell'attore da ogni contestazione in ordine agli estratti conto ai sensi dell'art. 8 delle condizioni contrattuali nonché la prescrizione decennale. Nel merito, deduceva la legittimità delle clausole contrattuali e chiedeva il rigetto della domanda. Disposto l'espletamento di c.t.u., con la sentenza impugnata il Tribunale dichiarava l'inammissibilità della domanda di ripetizione e condannava l'attore al pagamento delle spese di lite, ponendo a suo carico anche quelle di c.t.u. Avverso la sentenza il Gentile proponeva appello con atto di citazione regolarmente notificato. Si costituiva in giudizio (...) s.p.a., che chiedeva il rigetto del gravame. Con ordinanza del 23-29.07.2020 la Corte, ritenuta l'insussistenza dei presupposti per la declaratoria di inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c., rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni e all'udienza del 4.07.2022 - precisate le conclusioni come da note scritte ex art. 83 comma 3 lettera h) D.L. n. 18 del 2020 - la poneva in decisione, previa concessione dei termini per il deposito degli atti conclusivi. MOTIVI DELLA DECISIONE 1.- Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello sollevata ai sensi dell'art. 342 c.p.c. da (...) s.p.a.. Al riguardo, è sufficiente osservare che l'art. 342 c.p.c., nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame, non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il "quantum appellatum", circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata. (Cass. civ. sez. lav., 05/02/2015, n. 2143; Cass. civ. sez. VI 30.05.2018 n.13535). Nella specie, risultano sufficientemente indicate tanto le parti della motivazione ritenute erronee quanto le ragioni poste a fondamento delle critiche e la loro rilevanza al fine di confutare la decisione impugnata, come, peraltro, dimostra la circostanza che la stessa parte appellata è stata in grado di predisporre una congrua difesa Quanto, invece, all'eccezione di inammissibilità dell'appello sollevata ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c. la Corte si è già pronunciata con l'ordinanza del 23-29.07.2020, alla quale si rinvia 2.-Con il primo motivo di gravame, parte appellante ha lamentato l'erroneità della sentenza nella parte in cui il primo decidente aveva dichiarato l'inammissibilità della domanda di ripetizione di indebito poiché formulata quando ancora il conto corrente era aperto. Ha dedotto, al riguardo, anche sulla scorta di alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità (in particolare Cass. 21646/2018) e di merito, che il correntista, benché il conto corrente sia ancora in essere al momento della proposizione della domanda di ripetizione di indebito, ha un interesse di sicura consistenza a che si accerti, prima della chiusura del conto, la nullità e/o validità delle clausole anatocistiche, l'esistenza o meno di addebiti illegittimi operati in suo danno e l'entità del saldo (parziale), ricalcolato, previa depurazione delle appostazioni illegittime. Il Tribunale, pertanto, avrebbe dovuto statuire sulle domanda di accertamento della nullità delle clausole contrattuali, a prescindere dalla chiusura del conto al momento della proposizione della domanda. Muovendo da tale premessa, l'appellante ha ribadito l'illegittimità della clausola contrattuale anatocistica, in quanto fondata su un uso negoziale in contrasto con la previsione di cui all'art. 1283 c.c. e, peraltro, da considerarsi vessatoria, configurando una deroga peggiorativa del contratto e delle previsioni altrimenti conformi al dettato di cui all'art. 1283 c.c. Ha sostenuto che, in mancanza di espressa pattuizione scritta, la predisposizione di modelli unilateralmente predisposti, contenenti clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, commissioni o spese, comunque denominate, non concordate ed immotivate, integrano clausole vessatorie illegittime, come tali meritevoli di essere dichiarate nulle ed inefficaci. Ne conseguiva la violazione da parte del primo decidente del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c. Ha aggiunto l'appellante che il Tribunale aveva ignorato le conclusioni rassegnate dal c.t.u., che aveva accertato il superamento nel corso del rapporto del tasso soglia e che, scorporando dal saldo debitore la capitalizzazione degli interessi passivi ed applicando la (...) senza capitalizzazione, aveva accertato l'illegittimo addebito di Euro 18.130,59 e rideterminato il saldo negativo in Euro 9.309,27, piuttosto che nell'importo risultante dall'ultimo estratto conto (pari ad Euro - 27.439,86). Ha, pertanto, chiesto che la Corte, dichiarata la nullità delle clausole con cui erano state previste commissioni, costi e remunerazioni non espressamente concordate per iscritto e, comunque, indeterminate nel loro esatto ammontare, ridetermini il saldo in favore di esso correntista, decurtando le somme illegittimamente pretese dalla Banca per il complessivo importo di Euro 18.130,59. La Banca appellata ha, invece, ribadito l'inammissibilità della domanda, poiché formulata prima della chiusura del conto. Ha, inoltre, eccepito il mancato assolvimento dell' onere probatorio gravante sul Gentile, che non aveva prodotto tutti gli estratti conto, necessari a ricostruire la movimentazione integrale del conto. Ne conseguiva l' inutilizzabilità delle conclusioni rassegnate dal c.t.u., che, a causa della parziale produzione (mancando gli estratti conto riferiti al IV trimestre 2004, al V trimestre 2005, al III trimestre 2009), aveva proceduto alla rideterminazione del saldo in base ad inaccettabili ed indebite operazioni di raccordo Nel merito, l'appellata ha rilevato che tutte le condizioni e le clausole applicate al rapporto erano state espressamente convenute tra le parti. In particolare, ha evidenziato che nel contratto era stato specificamente pattuito il tasso di interesse, determinato mediante l'indicazione in cifre ed era stata dettagliatamente disciplinata la C.. Quanto all'asserito superamento dei tassi soglia usura, peraltro genericamente dedotta, senza produrre i decreti ministeriali di riferimento, la Banca appellata ha contestato le conclusioni del c.t.u. poiché basate su modalità di calcolo del TAEG non corrispondenti alle istruzioni dell'Ufficio Italiano Cambi, pubblicate nella G.U. sin dal 1996 e periodicamente aggiornate. L'ausiliario, inoltre, non aveva tenuto conto della facoltà di scoperto accordata al correntista, aveva incluso nel computo la (...), sebbene esclusa fino al 2009, aveva considerato tutte le spese e le commissioni addebitate in conto, anziché solo quelle collegate all'erogazione del credito. Ha, in ogni caso, eccepito la decadenza ex art. 8 delle condizioni di contratto, per mancata contestazione dell'estratto conto nei (...) giorni dal ricevimento, e la prescrizione decennale del diritto alla restituzione di somme, contestando, comunque, la fondatezza della domanda di restituzione. In sede di comparsa conclusionale la appellata ha evidenziato un ulteriore profilo di infondatezza delle deduzioni ex adverso articolate. Ha, in particolare, sostenuto la irripetibilità dei versamenti effettuati dal correntista, anche a titolo di interessi ultralegali o di capitalizzazione trimestrale degli interessi ex art.2034 c.c., integrando adempimento di obbligazione naturale. 3.-Con il secondo motivo di gravame, l'appellante ha lamentato l'illegittimità ed erroneità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alla domanda di risarcimento del danni derivante dal contegno illegittimo e contrario a buona fede tenuto dalla Banca in violazione degli artt. 1175, 1137 e 1375 c.c. Tale condotta, secondo l'assunto del Gentile, era censurabile sotto due diversi aspetti. Sotto un primo profilo, ha sostenuto che i periodici addebiti effettuati sin dal primo trimestre del 2004, a titolo sia di anatocismo, sia di costi per (...) e spese non giustificate, avevano condotto ad un illegittimo lievitamento delle passività in danno del correntista, con conseguente responsabilità contrattuale da inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. per lesione dei doveri di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto in violazione dell'art. 1375 c.c.. Sotto un secondo profilo, ha, invece, rilevato il mancato rispetto degli obblighi informativi in violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nella fase di formazione del contratto ex art. 1337 c.c. Al cliente deve essere, infatti, fornita una piena conoscenza, non essendo sufficiente a tal fine la semplice lettura del contratto già formato, mentre, nella specie, (...) non aveva fornito le informazioni necessarie a comprendere la ratio delle svariate remunerazioni, dei costi e delle commissioni addebitate in conto. Sulla scorta di tali argomentazioni, l'appellante ha insistito nella domanda di risarcimento del danno, patrimoniale e non, da liquidarsi nella misura dell'interesse positivo, ossia dei vantaggi economici che sarebbero derivai dall'esecuzione del contratto secondo buona fede. La Banca appellata ha, invece, evidenziato la genericità della domanda risarcitoria, contestandone pure la fondatezza. Ha, infatti, ribadito che tutte le condizioni applicate al rapporto erano state convenute tra le parti, ivi compresi tasso di interesse praticato, (...) applicata, giorni di valuta e esercizio del diritto di recesso. 4.- I motivi possono trattarsi congiuntamente, poiché strettamente connessi. E' certamente corretta la declaratoria di inammissibilità della domanda di ripetizione delle somme, che l'attore assume indebitamente corrisposte alla Banca a titolo di interessi anatocistici, ultra-legali e di commissione di massimo scoperto, posto che nel rapporto di conto corrente bancario il correntista che agisce in giudizio per la ripetizione dell'indebito è tenuto, oltre che a provare la mancanza di una valida "causa debendi" originaria o sopravvenuta, anche a dimostrare di avere effettuato dei pagamenti solutori. In applicazione di tali principi, nel caso in cui, come nella specie, il conto corrente sia ancora in essere al momento della notificazione della citazione, è inammissibile qualsiasi domanda di ripetizione di indebito fondata sul presupposto della nullità di alcune prestazioni del contratto, comportando l'annotazione in conto corrente di una posta relativa a commissioni o ad interessi in ipotesi illegittimamente addebitati unicamente un incremento del debito del correntista (o, nel caso di affidamento, una riduzione del credito in ipotesi disponibile), in nessun caso risolvendosi in un trasferimento patrimoniale ed in una rimessa solutoria e quindi in un pagamento, oggetto di possibile ripetizione (salva l'ipotesi in cui il correntista fornisca la dimostrazione che, pur in costanza di rapporto, egli abbia eseguito rimesse solutorie). Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (con la nota sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418), partendo dal riferimento alla distinzione tra atti ripristinatori della provvista ed atti di pagamento compiuti dal correntista per estinguere il proprio debito verso la banca, al fine di stabilire se (e quando) sia o meno configurabile un pagamento, asseritamente indebito, da cui possa scaturire una pretesa restitutoria ad opera del solvens, hanno osservato - per quanto qui di specifico interesse - che se durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti, ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto "scoperto" (cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento) e non, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere. L'annotazione in conto di una posta di interessi (o di commissione di massimo scoperto) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un incremento del debito dello stesso correntista, o una riduzione dei credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria nei termini sopra indicati in favore della banca; con la conseguenza che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa, ma non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all'atto della chiusura del conto. Orbene, se la declaratoria di inammissibilità della domanda di ripetizione al cospetto di un conto ancora aperto è conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale, non è, però, condivisibile la conclusione cui è pervenuto il primo decidente, che ha omesso di statuire sul merito della domanda di accertamento delle nullità contrattuali. Ed invero, se l'azione di ripetizione dell'indebito non è proponibile in costanza di rapporto, non per questo, tuttavia, il cliente non potrà agire per fare valere la nullità della clausole contrattuali illegittime, ma anzi, al contrario, l'azione di nullità deve in tal caso considerarsi adeguatamente sorretta dall'interesse del correntista di accertare in giudizio, prima della chiusura del conto, la nullità o validità delle clausole anatocistiche, l'esistenza o meno di addebiti illegittimi operati in proprio danno e, da ultimo, l'entità del saldo (parziale) ricalcolato, depurato dalle appostazioni che non potevano aver luogo. Siffatto interesse è rilevante sul piano pratico almeno sotto tre profili: quello dell'esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime; quello del ripristino da parte del correntista, in caso di conto affidato, di una maggiore estensione dell'affidamento a lui concesso, siccome eroso da addebiti contra legem; quella della riduzione dell'importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere a seguito della cessazione del rapporto (allorquando, cioè, dovranno regolarsi tra le parti le contrapposte partite di debito e credito). Trattasi perciò di un'azione volta al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, raggiungibile solo attraverso una pronuncia giudiziale. Come, infatti, osservato dalle SS.UU., il correntista, infatti, sin dal momento dell'annotazione in conto di una posta, accortosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso, senza dovere necessariamente attendere la cessazione del rapporto bancario (Cass. Civ. n. 21646/2018; SS. UU. n. 24418/2010; Cass. Civ. n. 798/2013). E poiché, nel caso di specie, il Gentile ha agito per ottenere non solo la ripetizione delle somme indebitamente incassate dalla Banca, ma anche l'accertamento della nullità dell'applicazione nel corso del rapporto di interessi anatocistici, ultra -legali e della (...), la domanda deve essere vagliata nel merito, posto che l'azione di nullità è pienamente ammissibile, per le ragioni esposte, anche incostanza di rapporto. Tale trattazione impone, però, l' esame delle preliminari eccezioni sollevate dalla Banca. E' infondata quella di decadenza, posto che ai sensi dell'art. 1382 c.c. la mancata contestazione dell'estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale nonché la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate, con conseguente decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni ad esse relative, ma non impediscono la formulazione di censure concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti, cioè quelle fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, del'inclusione o dell'eliminazione di partite del conto corrente (Cass. 30000/2018; 23421/2016). Quanto all'eccezione di prescrizione è sufficiente evidenziare l'infradecennalità della domanda, avanzata con atto di citazione notificato in data 24.02.2014 al cospetto di un conto aperto il 15.09.2004 ed ancora in essere al momento del'introduzione del giudizio. Giova, ancora, osservare che, contrariamente a quanto assunto dalla Banca appellata, il pagamento spontaneo di interessi ultralegali costituisce adempimento di obbligazione naturale e determina l'irripetibilità ex art. 2034 c.c. delle somme pagate a tal titolo a condizione che ciò consegua ad una pattuizione che determini anche la misura degli stessi, dovendosi altrimenti escludere che possa configurarsi un dovere morale e sociale che ne giustifichi l'adempimento. Devono, pertanto, ritenersi ripetibili gli interessi addebitati da una banca sul conto corrente del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza autorizzazione da parte del medesimo (Cass. 30114/2017. Per le medesime ragioni, in mancanza di diversa determinazione da parte dei contraenti, neanche il pagamento di interessi anatocistici costituisce adempimento di obbligazione naturale. Sgomberato il campo dalle questioni preliminari e passando alla trattazione del merito, va rilevato che, secondo l'insegnamento giurisprudenziale maggioritario della Suprema Corte, grava su colui che agisce per far valere l'illegittimità del praticato anatocismo, dell'applicazione di interessi passivi ultra-legali e della commissione di massimo scoperto la prova dell'inesistenza di accordi tra le parti che abbiano legittimato tale operato dell'istituto di credito, anche se trattasi di prova negativa. E' stato, infatti, affermato che ai fini della dimostrazione dell'indebito o dell'indebita appostazione in conto corrente di interessi anatocistici, ultra-legali e/o ella commissione di massimo scoperto non è sufficiente dare la prova dell'avvenuto pagamento o, rispettivamente, dell'avvenuta appostazione in conto degli stessi. Poiché, infatti, è lo stesso Legislatore ad ammettere che a certe condizioni le parti pattuiscano l'applicazione di interessi anatocistici, ultra-legali e la commissione di massimo scoperto, è a carico di colui che agisce in ripetizione di indebito la prova negativa dell'inesistenza di tali accordi, senza poter invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla Banca, posto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti acquisisce la disponibilità del documento al momento della sottoscrizione (Cass. 1550/2022; 6480/2021) Attraverso tale scritto il correntista può dimostrare la mancanza della pattuizione di interessi anatocistici, ultra-legali, della commissione di massimo scoperto. Orbene, nella specie, il Gentile ha prodotto nel giudizio di primo grado il contratto, con cui sono state convenute tra le parti le condizioni e le clausole applicate al rapporto. Senonchè, tale contratto, esaminato dal c.t.u. non risulta prodotto in atti (neanche tra gli allegati alla c.t.u.) e posto nella disponibilità conoscitiva della Corte. Tale carenza preclude l'accertamento della nullità delle clausole denunciata dall'appellante concernenti l'applicazione nel corso del rapporto di interessi anatocistici, di interessi ultralegali e della commissione di massimo scoperto. A tal fine, giova ricordare che, ai fini della dimostrazione dell'indebito pagamento o, per quel che qui rileva, dell'indebita appostazione in conto corrente di interessi anatocistici, ultralegali e/o di commissione di massimo scoperto, non è sufficiente dare la prova dell'avvenuta appostazione in conto degli stessi (al qual fine sarebbe sufficiente la mera produzione in giudizio degli estratti conto). Poiché, infatti, è proprio la legge a consentire, in determinate situazioni, di pattuirne il pagamento o l'appostazione (v., ad esempio, l'art. 1283 c.c.; l'art.120 TUB; l'art. 1284 c.c. e l'art. 117 TUB), è posto a carico di colui che agisce in ripetizione di indebito o per la rideterminazione del saldo la prova (negativa) dell'inesistenza di tali accordi tra le parti, senza poter invocare, al fine di spostare detto onere in capo alla banca, il principio di vicinanza della prova, che non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione (Cass. 1550/2022; 6480/2021). E' bene rimarcare che tale principio opera sempre qualora si tratti di contratto pacificamente concluso per iscritto tra le parti. Assunta, infatti, l'esistenza del contratto scritto di conto corrente, l'attore che alleghi, come nel caso in esame, la mancata valida pattuizione dell'interesse anatocistico, dell'interesse debitore ultralegale e della commissione di massimo scoperto (che, per essere validamente applicabile, deve essere pattuita in misura determinata o complessivamente determinabile), è gravato dall'onere di provare l'assenza della causa debendi anche attraverso la produzione in giudizio del documento contrattuale. Nella specie, è pacifica l'esistenza del contratto scritto, stipulato il 15.09.2004 e che, secondo quanto emerge dalla relazione di c.t.u.,"contiene la previsione delle spese di tenuta di conto oltre alla (...) per gli utilizzi senza affidamento". Inoltre, secondo quanto allegato dalla Banca appellata, tutte le condizioni e le clausole applicate al rapporto risultano espressamente convenute tra le parti, essendo stati, in sede contrattuale, specificamente pattuito il tasso di interesse, determinato mediante l'indicazione in cifre, e dettagliatamente disciplinata la C.. In presenza di tali contrapposte deduzioni fattuali, non avendo l'appellante fornito il riscontro documentale del proprio assunto circa l'illegittima applicazione di interessi anatocistici, di interessi ultralegali non pattuiti e contra legem, di (...), spese e commissioni non dovute, la domanda di rideterminazione del saldo, per quanto ammissibile, deve ritenersi infondata. Né vale a superare le precedenti considerazioni la circostanza che il c.t.u. abbia accertato l'illegittimo addebito di Euro 18.130,59 e rideterminato il saldo negativo in Euro 9.309,27, piuttosto che nell'importo risultante dall'ultimo estratto conto. Tale conclusione, infatti, si basa sullo scorporo dal saldo debitore della capitalizzazione degli interessi passivi e sull' applicazione della (...) senza capitalizzazione. La Corte, tuttavia, non è in condizione di verificare la correttezza del calcolo eseguito dall'ausiliario, dato che la mancata conoscenza delle condizioni contrattuali pattuite tra le parti non consente di verificare se la (...) sia stata legittimamente applicata, come assunto dalla Banca e contestato dall'appellante, e se gli interessi anatocistici siano stati legittimamente depurati. Sotto tale profilo,deve ricordarsi che, a fronte di contratto concluso per iscritto nel 2004, a certe condizioni, quali, tra le altre, la previsione della medesima periodicità per gli interessi debitori e creditori, anche gli interessi anatocistici potrebberoo ritenersi legittimamente applicati. In tale contesto di estrema incertezza, scarsamente significative sono pure le le conclusioni del c.t.u. in materia di superamento del tasso soglia, Al fine di verificare se sia intervenuto il superamento del tasso soglia dell'usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, occorre, infatti, effettuare la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) dell'interesse praticato in concreto con il tasso soglia, nonché della commissione di massimo scoperto applicata con la (...) soglia, calcolata aumentando della metà la percentuale della (...) media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2 comma 1 della L. n. 108 del 2008, compensandosi, poi, il valore dell'eventuale eccedenza della (...) praticata in concreto, rispetto a quella della (...) rientrante nella soglia, con il margine eventualmente residuo degli interessi, pari alla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticato. Nella specie, al di là dei rilievi formulati dalla Banca appellata in merito all'omessa considerazione della facoltà di scoperto accordata al correntista ed all'inclusione nel computo di tutte le spese e le commissioni addebitate in conto, anziché solo di quelle collegate all'erogazione del credito, già la mancata conoscenza del tasso effettivo, convenuto tra le parti in sede contrattuale, non consente di verificare l'esattezza del calcolo. Tanto più che il c.t.u. (v. risposta ai rilievi del c.t.p. dell'allora convenuta), applicando una diversa formula ai fini del calcolo, è pervenuto a risultati opposti. Alla stregua delle argomentazioni che precedono, deve ritenersi assorbito il secondo motivo di appello, con cui il Gentile ha invocato la condanna delle controparte al risarcimento dei danni subiti in conseguenza degli illegittimi addebiti operati a titolo sia di anatocismo, sia di costi per (...) e spese non giustificate. Deve, invece, rigettarsi la domanda risarcitoria basata sul preteso inadempimento di obblighi informativi,per totale carenza di prova. L'appello va, pertanto, rigettato. Segue la condanna dell'appellante al pagamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo delle spese delle spese di questo grado di giudizio, che si liquidano come da dispositivo, in applicazione, secondo lo scaglione del dichiarato valore, dei parametri tariffari di cui al D.M. n. 55 del 2014, come parzialmente modificato da ultimo con D.M. n. 147 del 2022 (in vigore dal 23 ottobre 2022), qui applicabile ratione temporis (secondo l'art. 6 del citato D.M. n. 147 del 1922 invero "le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore". Tale condanna non è impedita dall'ammissione del Gentile al patrocinio gratuito. Detto beneficio, infatti, non comporta che siano a carico dello Stato le spese che l'assistito dal beneficio sia condannato a pagare all'altra parte risultata vittoriosa, perché gli onorari e le spese di cui all'art. 131 d.P.R. cit. sono solo quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio, che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte - in considerazione delle sue precarie condizioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese - si impegna ad anticipare (Cassazione civile, sez. VI, 19/06/2012, n. 10053). Atteso il rigetto dell'appello, va dato atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico dell'appellante il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente dovuto per l' appello, giusta quanto disposto dall'art. 1 commi 17 e 18 L. n. 228 del 2012. Giova, infatti, precisare che il giudice dell'impugnazione che emetta una delle pronunce di cui all'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 è tenuto a dare atto della sussistenza dei presupposti in questione anche quando questo non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venir meno (come nel caso di ammissione della parte al patrocinio aspese dello Stato) (Cass. SSUU 4315/2020). L'attestazione del giudice ha, infatti, funzione ricognitiva della sussistenza di uno soltanto dei presupposti previsti dalla legge, quello di carattere processuale attinente al tipo di pronuncia adottato. Rimane affidato all'Amministrazione il compito di accertare in concreto la sussistenza degli altri presupposti dai quali dipende in concreto la debenza del doppio contributo. Va riservata a separato decreto la liquidazione dei compensi in favore del procuratore dell'appellante. P.Q.M. La Corte d'Appello di Messina,Prima Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 99/202o, sull'appello proposto da (...) avverso la sentenza n. n. 370/2019 emessa dal Tribunale di Patti in data 25.06.2019 e pubblicata in pari data, così provvede: 1) rigetta l'appello; 2) condanna l'appellante al pagamento, in favore di parte appellata, delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 2.023,00 (di cui Euro 536,00 per la fase di studio; Euro 536,00 per quella introduttiva ed Euro 951,00 per quella decisoria) oltre rimborso spese generali nella misura di legge, cpa e iva (se dovuta); 3) dà atto della sussistenza dei presupposti per porre a carico dell'appellante il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello e mandala Cancelleria per gli adempimenti relativi alla riscossione; 4) riserva di provvedere con separato decreto alla liquidazione dei compensi in favore del procuratore dell'appellante. Così deciso in Messina il 13 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La CORTE DI APPELLO DI FIRENZE SEZIONE SECONDA CIVILE Così composta: dott. Edoardo Monti - Presidente dott. Ludovico Delle Vergini - Consigliere dott.ssa Annamaria Loprete - Consigliere rel. Ha pronunciato la presente SENTENZA Nella causa civile iscritta in grado di appello al n. 2409 del ruolo generale della Corte dell'anno 2019 promossa Da (...) rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Al.Ca. e Mi.Ma., entrambi del foro di Firenze, come da mandato allegato all'atto di citazione in appello. Appellante Contro (...) s.p.a., in qualità di incorporante per fusione (...) s.p.a. ((...) s.p.a.), rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Pa. del foro di Milano come da comparsa di costituzione di nuovo difensore. Convenuta in appello (...) s.r.l. e per essa, quale mandataria, (...) s.p.a. a socio unico rappresentata e difesa dall'avv. Ce.De. del foro di Firenze come da mandato in calce all'atto di intervento ex art. 105 c.p.c. Intervenuta in appello Oggetto: contratti bancari (usura, anatocismo). FATTO E DIRITTO Il Tribunale di Prato, con sentenza ex art. 281-sexies c.p.c. n. 498 del 16.7.2019, previo espletamento di una Ctu contabile, ha disatteso le domande proposte da (...), in veste di fideiussore di (...) s.r.l., società titolare di un conto corrente ordinario n. (...) e due conti anticipi nn. (...) e (...), nei confronti di (...) (già (...) soc. coop.) protese ad ottenere 1- l'accertamento della illegittima applicazione di interessi usurari, della pratica anatocistica, delle commissioni di massimo scoperto, in quanto non pattuite, dell'illegittimo esercizio dello ius variandi previo ricalcolo delle valute per illegittima antergazione di valuta passiva e postergazione di valuta attiva con conseguente rideterminazione del saldo contabile dei singoli conti correnti e la conseguente condanna della banca alla ripetizione della somma di Euro 14.000,00 versata dal (...), nella sua veste di garante, per far fronte all'esposizione debitoria della società correntista; 2- l'accertamento della illegittima segnalazione alla (...) con conseguente condanna della banca al risarcimento del danno patito. In particolare, il Giudice di primo grado, dato atto della legittimazione attiva del (...) poiché le domande svolte erano finalizzate ad ottenere la ripetizione delle somme dal medesimo indebitamente versate in favore della banca, ha rilevato invece la legittimità del suddetto pagamento finalizzato al ripianamento dei debiti maturati dalla (...), non essendo emerse dalla perizia svolta poste creditorie della società correntista nei confronti della banca. Nonostante infatti il perito avesse accertato l'illegittima applicazione della capitalizzazione degli interessi e delle commissioni di massimo scoperto, dalla rideterminazione dei saldi dei singoli conti, tenuto conto della prescrizione delle rimesse effettuate dalla correntista nel decennio anteriore al momento della notifica dell'atto di citazione, avvenuta il 9.3.2015, emergeva comunque un saldo negativo ben superiore rispetto a quanto versato dal fideiussore all'istituto di credito in adempimento alla garanzia prestata. Segnatamente, con riferimento al conto corrente n. (...).52, ancorché il perito in forza della accertata illegittimità della pratica anatocistica nonché della applicazione delle CMS avesse rideterminato il saldo positivo del conto in + Euro 28.914,00 a credito della (...), il Giudice lo ha a sua volta ricalcolato in - Euro 38.407,73 considerando il giroconto di - Euro 67.321,73, "per estinzione del rapporto per giro esposizione a sofferenza" non avendo il (...) dimostrato che la somma di Euro 67.321,73 annotata in riaccredito dalla banca solo per chiudere ilrapporto di c/c e spostata in posizione a sofferenza fosse stata poi effettivamente versata dalla correntista alla banca (trattandosi l'accredito non di versamento reale ma un'annotazione necessaria ad azzerare per poter estinguere il conto). Per quanto attiene invece al contratto di conto anticipi n. (...), accertata l'inesistenza della capitalizzazione degli interessi e l'irrilevanza dell'usura, perché da considerarsi sopravvenuta, il Giudice ha rideterminato il saldo contabile in + Euro 626,56 a favore della società correntista riaccreditando esclusivamente le somme versate per l'illegittimo addebito della CMS. Infine, quanto al conto anticipi n. (...), a fronte di due diversi calcoli svolti dal perito per la mancata produzione del relativo contratto e quindi considerando, in un caso, l'illegittimità di ogni competenza attribuita e, nell'altro, la presunta esistenza di un accordo fra le parti con conseguente validità delle commissioni addebitate, il Giudice, aderendo alla seconda ipotesi, ha confermato la correttezza del saldo determinato dalla banca pari ad - Euro 44.936,00 non risultando né usura né indebita capitalizzazione degli interessi. In forza di ciò, il Tribunale ha poi ritenuto infondata la domanda di risarcimento del danno per illegittima segnalazione alla (...) sia della società garantita che del medesimo (...), sussistendo comunque una consistente esposizione debitoria della società correntista anche sulla base dei riaccrediti operati. Ha infine condannato parte attrice alla rifusione delle spese in favore della banca nonché al pagamento delle spese per l'espletata Ctu; ha inoltre condannato (...) al versamento di Euro 518,00, a titolo di sanzione in favore dello Stato attesa l'ingiustificata mancata comparizione alla mediazione. Avverso questa pronuncia (...) ha interposto appello, facendo valere le seguenti censure: 1) Falsa ed erronea applicazione dell'art. 2697 c.c. Afferma l'appellante che il Giudice avrebbe dovuto ordinare ex art. 210 c.p.c. all'istituto di credito l'esibizione della documentazione bancaria già richiesta dal (...) prima dell'introduzione del giudizio ai sensi dell'art. 119 TUB, poiché necessaria ai fini della prova della pretesa creditoria dell'attore ancorché, come correttamente rilevato dal Giudice, spettasse in prima battuta al (...) provare i fatti posti alla base delle domande avanzate. In mancanza di tale ordine, non avendo la banca prodotto con riferimento al conto anticipi n. (...) né il contratto né i relativi estratti conto l'attore non ha potuto dimostrare l'illegittimità delle competenze addebitate sul conto n. (...). Inoltre, l'appellante rileva che, nonostante la contestazione relativa all'illegittimo esercizio dello ius variandi ex art. 118 TUB, la banca non aveva dato prova di aver comunicato le modifiche unilaterali alla società correntista né che esistesse di volta in volta una valida giustificazione per l'esercizio di tali variazioni unilaterali. In forza di ciò il Giudice avrebbe dovuto dichiarare la nullità delle modifiche apportate con restituzione dei maggiori oneri da esse derivati. 2) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1422 e 2934 c.c. Il Giudice di prime cure si è pronunciato sulla domanda di ripetizione dell'indebito svolta dal (...) tenendo conto della prescrizione decennale dell'azione. Rileva tuttavia l'appellante che in realtà il Giudice avrebbe dovuto considerare l'illegittimità delle poste addebitate a prescindere dall'intervenuta prescrizione in modo tale da verificare, in prima battuta, l'illegittimità degli addebiti operati sul conto della (...) e la conseguenziale non debenza di quanto versato dal (...) per estinguere la relativa scopertura. 3) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1815 c.c.; 117 TUB e 117-bis TUB. L'appellante sostiene l'erroneità dei calcoli svolti dal Ctu fatti propri dal Giudice non avendo provveduto a rideterminare il saldo ex art. 117 TUB nonostante l'accertamento della indeterminatezza delle CMS e l'inesistenza di clausole di capitalizzazione degli interessi. Afferma che i contratti bancari "non sono indeterminati solo nella pattuizione delle CMS, ma sono integralmente indeterminati senza alcuna specifica sulle spese e oneri addebitati, facenti riferimento a un fido misto per portafoglio, a limiti di fido e scoperti, sovrapponendo il contratto base di servizi con contratti di credito plurimi e diversi, con oneri vari e valute non correttamente pattuiti, questo in violazione della trasparenza dovuta al proprio correntista". Oltre a ciò, il perito, pur avendolo accertato, non ha scomputato dal saldo i maggiori oneri derivanti dall'illegittima variazione unilaterale delle condizioni economiche; non ha detratto dal saldo del conto n. (...) la somma di Euro 37.027,41 a titolo di illegittimi addebiti confluiti dal conto anticipi n. 2554 né ricalcolato tutti gli interessi ex art. 117 TUB sul conto n. (...) attesa la nullità del contratto per mancata produzione del documento stesso e non ha neanche ricostruito il saldo dei singoli conti tenendo conto del giorno in cui le rimesse sono state effettuate e non del giorno di valuta considerato dalla banca. 4) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 644 c.p., della L. n. 108 del 1996 nonché dell'art. 1815 c.c. L'appellante sostiene che il perito avrebbe dovuto calcolare il TEG tenendo conto sia della CMS che degli ulteriori oneri applicati in maniera occulta dalla banca ancorché non pattuiti. Rileva che ai fini della verifica del debordamento dal tasso soglia il perito avrebbe dovuto considerare anche le CMS seppur invalide applicando la seguente formula TEG = (interessi + oneri + c.m.s.) 36.500: numeri debitori, formula questa diversa rispetto a quella indicata dalla (...) in quanto quella predisposta da (...) in tema di usura non consente di conoscere il reale costo del credito e così argomenta: "introducendo una discriminazione fra interessi da un lato e commissioni, oneri e spese dall'altro: ai primi si applica rigidamente il disposto normativo, riferendoli al credito erogato, mentre ai secondi si applica un diverso e più edulcorato vincolo, riferendoli al credito accordato o, al più, al massimo credito concesso nel trimestre". Con riferimento poi all'usura sopravvenuta, il (...), richiamando alcune pronunce della giurisprudenza di merito, contesta l'estensione del principio elaborato sul tema da parte delle Sezioni Unite al contratto di conto corrente posto che, diversamente da quello di mutuo, la banca nel corso del rapporto può modificare le condizioni economiche originariamente pattuite. 5) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1936 e ss c.c. nonché della L. n. 287 del 1990. L'appellante deduce l'omessa pronuncia da parte del Tribunale in ordine: 1- alla qualifica della garanzia prestata - se in termini di fideiussione ovvero di contratto autonomo di garanzia -; 2-alla nullità delle clausole vessatorie pattuite, avendo il (...) pattuito la fideiussione in qualità di consumatore; 3- alla domanda di nullità della fideiussione prestata poiché predisposta sul modello A. e pertanto contraria alla normativa antitrust. 6) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. con riferimento al rigetto della domanda di risarcimento del danno per illegittima segnalazione alla (...) nonostante il Giudice avesse dato atto della illegittima applicazione della pratica anatocistica nonché della CMS. In data 19.2.2011 si è costituita (...) s.p.a. ((...) s.p.a.), che nelle more della definizione del presente giudizio è stata incorporata per fusione in (...) s.p.a., avvenuta il 12 aprile 2022, con efficacia a far data dal 24 aprile 2022, chiedendo, in rito, dichiararsi l'inammissibilità dell'appello ex art. 342 c.p.c. e, nel merito, il rigetto attesa l'infondatezza nel merito delle censure. Segnatamente l'appellata rilevava la tardività della eccezione di nullità della fideiussione per contrasto con la normativa antitrust poiché dedotta per la prima volta soltanto all'udienza di precisazione delle conclusioni del 18.9.2018. Per quanto attiene alla produzione dei documenti bancari, l'istituto di credito ha chiarito che l'omessa consegna della documentazione bancaria al (...) era dovuta al mancato pagamento dei costi di produzione richiesti dalla banca nella lettera di risposta del 20.5.2014. È intervenuta in giudizio il 19.2.2021 (...) s.r.l., in qualità di successore a titolo particolare di (...) avendo acquistato pro soluto il credito inerente alla posizione della società (...) s.r.l., e per essa, quale mandataria, (...) s.p.a. a socio unico, riportandosi a tutte le difese svolte dalla banca cedente. La causa è stata trattenuta in decisione a seguito di trattazione scritta con ordinanza collegiale del 24.5.2022 con concessione dei termini per il deposito delle conclusionali e delle repliche. Preliminarmente deve respingersi l'eccezione processuale di inammissibilità del gravame ex art. 342 c.p.c. avanzata dalla convenuta, posto che l'appellante nell'atto di citazione in appello ha correttamente indicato le parti della sentenza di primo grado da riformarsi e ha esposto le ragioni a sostegno delle doglianze mosse. Risultano pertanto chiari i motivi di gravame enucleati dall'appellante tali da far comprendere alla Corte quali siano gli errori in cui, a suo avviso, è incorso il Giudice di primo grado (si veda in tal senso Cass. SSUU 27199/2017). Sempre in via preliminare occorre poi pronunciarsi sulla questione della qualifica da attribuire alla garanzia prestata dal (...) posto che l'istituto di credito, contestando la natura di fideiussione, ha eccepito che il garante non potesse sollevare eccezioni con riferimento al rapporto principale, trattandosi di contratto autonomo di garanzia. Ora, premesso che il contratto autonomo di garanzia si distingue dalla fideiussione per la mancanza del vincolo dell'accessorietà o interdipendenza dal rapporto principale garantito, individuandosi la sua causa in una garanzia rafforzata integrata dalla costituzione in favore del creditore di un obbligo di indennizzo, ove comunque questi sia rimasto insoddisfatto, l'elemento che contraddistingue la garanzia autonoma dalla fideiussione non si rinviene solo nella previsione della clausola "a prima richiesta" quanto piuttosto nell'impossibilità per il garante di opporre al creditore tutte le eccezioni esperibili dal debitore principale (ex multis Cass. 4717/2019; Cass. 15091/2021; Corte App. Firenze 1512/2022). In assenza di una clausola che neghi al garante di opporre le eccezioni che il debitore principale può opporre al creditore, è rimessa al Giudice l'indagine circa la natura del negozio stipulato tenuto conto del complessivo regolamento contrattuale (cfr. SSUU 3947/2010; Cass. 4717/2019). Nel caso di specie si osserva come il contratto stipulato inter partes contenga la sola clausola "a prima richiesta scritta": difatti la previsione di cui all'art. 9, in forza del quale si dispone che "nessuna eccezione può essere opposta dal fideiussore riguardo al momento in cui la banca esercita la sua facoltà di recedere dai rapporti con il debitore" non è sufficiente a qualificare la garanzia come autonoma posto che non preclude al garante in generale di sollevare le ulteriori eccezioni che lo stesso debitore principale potrebbe opporre. Si osserva inoltre che vi sono ulteriori previsioni negoziali che si pongono in netto contrasto con una qualificazione del contratto come garanzia autonoma poiché sottintendono la sussistenza di un vincolo accessorio con il rapporto principale garantito. In particolare, si prevede all'art. 7 che "In caso di suo ritardo nel pagamento, il fideiussore è tenuto a corrispondere alla (...) gli interessi moratori nella stessa misura ed alle stesse condizioni previste a carico del debitore. L'eventuale decadenza del debitore del beneficio del termine si intenderà automaticamente estesa al fideiussore. Il fideiussore riconosce alla banca il diritto di stabilire a quali delle obbligazioni del debitore debbono imputarsi i pagamenti da lui fatti". Alla luce di ciò, pertanto, dovendo inquadrare il contratto di garanzia nella fideiussione omnibus e non, come sostenuto dalla banca, nella garanzia autonoma, si rileva come il (...) potesse sollevare qualsiasi eccezione inerente al rapporto garantito non sussistendo alcuna preclusione in tal senso. Andando ad esaminare il gravame nell'articolazione di tutti i suoi motivi, è opportuno dare una immediata risposta di carattere generale e di sintesi esegetica, salvo nel dettaglio approfondire le singole censure: l'appello proposto è infondato, perché pur tenendo conto delle correzioni apportate dalla Corte ai calcoli effettuati dal CTU circa la sussistenza dell'usura (alla luce di quanto meglio si dirà con riferimento al quarto motivo di gravame), prendendo a riferimento i saldi ricalcolati sui tre distinti rapporti per effetto della elisione degli addebiti illegittimi operati dalla banca, la complessiva posizione della società garantita (...) s.r.l. non si trasforma comunque da debitoria in creditoria verso la banca, né la posizione debitoria si riduce al di sotto della somma Euro 14.000,00 che è la somma richiesta in ripetizione dal (...), cosicché, in definitiva, non può ritenersi indebito il pagamento effettuato dal fideiussore alla banca medesima, in esecuzione della garanzia prestata. Premessa questa considerazione di sintesi che rappresenta il vertice della motivazione, e scandagliando gli specifici motivi di censura, si osserva quanto segue. Con il primo motivo l'appellante contesta, innanzitutto, l'omessa pronuncia da parte del Giudice di primo grado rispetto alla richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c. della documentazione bancaria già richiesta dal (...) in via stragiudiziale ai sensi dell'art. 119 TUB volta principalmente ad ottenere la produzione del contratto nonché degli estratti conto relativi al conto anticipin. (...). La richiesta, riproposta a questa Corte, non può trovare accoglimento. La giurisprudenza maggioritaria adotta una sorta di lettura combinata dell'art. 210 c.p.c. con l'art. 119 TUB nel senso che viene riconosciuto al correntista ovvero ai soggetti terzi cui ne sia stato riconosciuto il diritto - fra i quali è ricompreso anche il fideiussore - di precostituirsi la prova necessaria ai fini della dimostrazione della sua pretesa tramite l'invio della richiesta di consegna della documentazione contabile all'istituto di credito, con lo scopo secondario anche di valutare l'eventuale opportunità di agire in giudizio ed evitare l'incardinazione di azioni temerarie; il tutto senza tuttavia arrivare a scardinare il generale riparto dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. che, nel caso di azione promossa dal correntista (e quindi anche dal fideiussore), impone a quest'ultimo di dimostrare i fatti posti alla base di quanto domandato. Solo laddove l'istanza resti inevasa da parte della banca, soltanto in tal caso il cliente o il terzo che ne ha diritto potrà in giudizio chiedere al Giudice di ordinarne l'esibizione ai sensi dell'art. 210 c.p.c.. Pertanto, l'art. 210 c.p.c. in tali particolari rapporti soccorre al mancato adempimento da parte dell'istituto di credito di un obbligo espressamente imposto dal Legislatore. In una tale ottica si osserva che affinché possa essere accolta l'istanza ai sensi dell'art. 210 c.p.c. è necessario che preventivamente l'attore abbia inoltrato la richiesta in conformità del dettato normativo del TUB posto che in caso contrario si arriverebbe ad eludere essenzialmente l'onere della prova posta a carico di chi agisce. A conferma di ciò, si richiama il principio di diritto sancito dalla Suprema Corte nella pronuncia n. 24641 del 2021 - con la quale fra l'altro la Corte prende le distanze dalla precedente sentenza n. 11554/2017 richiamata dall'appellante a sostegno della sua prospettazione ed afferma quanto segue: "Il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell'amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall'articolo 119, quarto comma, del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l'istanza di cui all'articolo 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, acondizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca,che senza giustificazione non vi abbia ottemperato; la stessa documentazione non può essere acquisita in sede di consulenza tecnica d'ufficio contabile, ove essa abbia ad oggetto fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse". Orbene, nel caso in esame il (...) con lettera del 5.5.2014 ha inoltrato alla banca la richiesta di copia "degli estratti conto dall'inizio del rapporto fino alla chiusura" con riferimento al "conto corrente (...) n.(...)", richiesta che pertanto era limitata ai soli estratti conto del conto corrente n. (...), che sono stati prodotti in giudizio dallo stesso (...). Sicché essendo stata l'istanza circoscritta soltanto al conto corrente ordinario, rispetto al quale risulta esser stata prodotta la maggior parte della documentazione contabile, non può disporsi l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. con riferimento agli altri due conti e in particolare al conto anticipi n.2554 non avendo il (...) in sede stragiudiziale formulato una esplicita richiesta in tal senso. Sempre con riferimento al primo motivo di appello, il (...) censura l'omessa pronuncia da parte del Tribunale in ordine alla domanda di accertamento dell'illegittima variazione unilaterale ai sensi dell'art. 118 TUB: sul punto rileva la Corte l'assoluta genericità della domanda avanzata, posto che l'appellante/attore si è limitato a riportare gli obblighi imposti alla banca in forza della predetta norma e ad affermare che non è stato comunicato alcunché alla (...) da parte dell'istituto bancario. Alla luce di ciò non può che prendersi atto della mancata prova di quanto asserito posto che il normale riparto dell'onus probandi impone in questo caso al correntista di provare non soltanto che vi è stata variazione unilaterale delle condizioni ma che ciò sia avvenuto nel mancato rispetto delle prescrizioni normative. Si osserva comunque che all'art. 17 di entrambi i contratti versati in atti, cioè quelli relativi al conto corrente (...) e al conto anticipi (...), le parti hanno espressamente pattuito e sottoscritto la clausola che consente alla banca di modificare in via unilaterale le condizioni economiche nel rispetto del dettato normativo di cui all'art. 118 TUB. Passando al secondo motivo di appello, secondo la prospettazione dell'appellante il Giudice di primo grado avrebbe errato nell'applicazione dell'istituto della prescrizione in quanto rilevante nel solo caso in cui la società avesse agito al fine di ottenere in ripetizione le somme indebitamente versate all'istituto di credito; contrariamente il (...) ha agito al solo fine di vedersi restituire la complessiva somma di Euro 14.000,00 corrisposta alla banca tra il 2013 e il 2014 attesa l'illegittimità degli oneri imposti alla (...) La doglianza così posta è infondata: il Tribunale ha rideterminato il saldo dei tre diversi conti correnti tenuto conto dell'intervenuta prescrizione delle poste anteriori al decennio decorrente dalla notifica dell'atto di citazione, al fine di verificare la persistenza di una esposizione debitoria della (...) nei confronti della banca e pertanto la debenza e legittimità dei versamenti posti in essere dal (...) in veste di fideiussore. Dalla sentenza emerge che la complessiva somma dovuta dalla società (...) alla banca, previa espunzione delle accertate poste illegittime, è pari Euro 82.744,17, che consiste nella differenza fra i saldi negativi dei due conti nn. (...) e (...), e quindi a debito della correntista, e quello n. 1314.53 a credito della correntista (Euro 38.407,73 + Euro 44.936,00 - 626,56). Atteso l'ingente importo ancora dovuto dalla (...) è evidente come il (...), quale fideiussore della società, non abbia diritto alla ripetizione della minor somma versata di Euro 14.000,00 posto che l'esposizione debitoria è ben superiore a quanto corrisposto e pertanto il pagamento non può considerarsi indebito. È inoltre opportuno precisare che il Giudice correttamente ha rideterminato il saldo del conto corrente ordinario n. (...) in - Euro 38.407,73, discostandosi in tal modo dalle risultanze peritali dalle quali invece emergeva un saldo positivo di + Euro 28.914,00, posto che il perito nel ricalcolare il saldo al netto delle poste illegittimamente addebitate è partito dalla considerazione per cui il saldo finale del conto fosse pari a zero posto che l'esposizione debitoria di - Euro 67.321,73 risultava essere estinta in forza dell'annotazione di una entrata di pari importo: in realtà tale annotazione contabile è servita alla banca al solo fine di chiudere il conto per realizzare il passaggio a sofferenza dello stesso. Sì che l'esposizione debitoria doveva ritenersi, come il Tribunale ha fatto, ancora esistente: si sottolinea infatti che sul punto l'appellante non ha avanzato alcuna censura, confermando così la fondatezza del ragionamento e del ricalcolo effettuato dal Giudice. Con il terzo motivo di appello, il (...) ha censurato i calcoli svolti dal perito e a cui si era riportato il Giudice di prime cure con riguardo ad altri aspetti: segnatamente sostiene che il perito 1- non ha provveduto a ricalcolare il saldo contabile applicando i criteri di cui all'art. 117 TUB nonostante l'indebita applicazione da parte della banca delle CMS e della pratica anatocistica; 2- non ha scomputato gli ulteriori oneri pattuiti che risultano esser totalmente indeterminati né gli addebiti relativi alle variazioni ex art. 118 TUB; 3- non ha ricostruito le singole competenze per data invece che per valuta; 4- non ha detratto dal saldo del conto corrente n. (....).52 gli addebiti di Euro 37.027,41 relativi al conto anticipi n. (...) che devono considerarsi illegittimi attesa la nullità del contratto; 5- non ha ricalcolato il saldo del conto anticipi n. (...) ex art. 117 TUB tenuto conto della nullità del contratto attesa la mancata produzione sia del contratto originario che degli estratti conto. Tutte le censure sono infondate in quanto, con riguardo agli aspetti recriminati, i calcoli svolti dal Ctu sono corretti: si osserva quanto al punto n.1 che a fronte dell'accertata illegittimità della CMS addebitata nonché dell'applicazione della pratica anatocistica, il perito ha detratto le somme addebitate a tale titolo, ma senza tuttavia operare alcun ricalcolo ai sensi dell'art. 117 TUB, che invece sarebbe stato necessario solo in caso di mancata pattuizione per iscritto degli interessi ultra legali. Con riferimento al punto n.2, si rileva la genericità della contestazione avendo l'appellante fatto richiamo alla indeterminatezza di ulteriori "spese e oneri addebitati, facenti riferimento a un fido misto per portafoglio, a limiti di fido e scoperti, sovrapponendo il contratto base di servizi con contratti di credito plurimi e diversi, con oneri vari e valute non correttamente pattuiti", senza adempiere all'onere sullo stesso gravante di specifica indicazione delle singole voci di costo oggetto di contestazione. Parimenti alcuno scomputo deve essere operato con riferimento allo ius variandi presuntivamente disposto dalla banca atteso quanto già esposto precedentemente sulla questione. Per quanto attiene alla illegittima antergazione di valuta passiva e postergazione di valuta attiva, la contestazione è priva di pregio posto che innanzitutto era onere dell'attore riportare specificatamente le operazioni la cui data questi ritiene esser stata erroneamente retrodatata o antidatata; in secondo luogo con riferimento ai due contratti prodotti di apertura dei conti, risultano esser stati espressamente pattuiti i giorni di valuta a seconda del tipo di operazione, mentre per quanto riguarda il conto anticipi n. (...) la mancata produzione del documento alla luce di quanto sin qui detto determina l'inadempimento dell'attore circa l'onere della prova dei fatti posti alla base di tale contestazione. Quanto, infine, ai rilievi relativi al conto anticipi n. (...) (punti 4 e 5), l'omesso versamento in atti del contratto va, come già chiarito, a discapito dell'appellante, il quale non ha ha dato prova dei fatti contestati, sì che gli addebiti annotati dalla banca, che sono anche confluiti nel conto corrente ordinario, non possono che considerarsi legittimi non sussistendo prova del contrario. Con il quarto motivo di appello, il (...) contesta le operazioni peritali inerenti al calcolo dell'usura, ritenendo, da un lato, erronea la formula impiegata dal consulente d'ufficio poiché incapace di rendere il reale costo del credito e, dall'altro, non estensibile la pronuncia delle Sezioni Unite sull'usura sopravvenuta ai casi inerenti i rapporti di conto corrente. Quanto al primo aspetto, non può essere condivisa da questa Corte la prospettazione dell'appellante che ravvisa la necessità di impiegare una diversa formula rispetto a quella elaborata dalla (...): infatti si osserva che le due formule di (...) - quella applicabile al periodo anteriore al 2010 e quella invece rilevante per il periodo successivo - che si sono fra di loro succedute, sono le uniche formule che consentono di rispettare il principio di simmetria, posto che solo ricorrendo a tali metodologie è possibile confrontare in tema di usura grandezze omogenee (TEG e (...)), determinate tramite la considerazione delle medesime voci di costo e nella stessa misura nel rispetto del predetto principio. Il ricorso alla formula proposta dall'appellante, invece, poiché basato su una diversa modalità di calcolo del TEG non permetterebbe di confrontare medesime entità discostandosi dal modo con cui viene trimestralmente rilevato il TEG. Occorre poi disattendere la contestazione dell'appellante circa la mancata considerazione da parte del perito degli ulteriori oneri occulti applicati dalla banca ai fini del calcolo del TEG: infatti, l'assunto si ritiene privo di pregio poiché totalmente generico attesa la mancata specificazione di tali presunte voci di costo occulte applicate ancorché, ad avviso dell'appellante, non pattuite. Andando oltre ed entrando nel merito della censura, si rileva la parziale erroneità delle risultanze peritali inerenti ai soli conti nn. (...) e (...)quanto all'usura (non essendo stato possibile verificare, come riferito dal perito, l'usurarietà dei tassi per mancata allegazione da parte dell'attore della necessaria documentazione contabile relativa al conto anticipi n. (...)), consequenziale all'erroneità dei calcoli. Infatti a ben guardare nella verifica del superamento del tasso soglia il consulente d'ufficio si è limitato a calcolare il TEG con riferimento ai soli interessi senza tener conto né degli ulteriori oneri applicati dalla banca né della CMS: contrariamente il perito avrebbe dovuto in primo luogo calcolare il TEG considerando anche gli ulteriori oneri che egli stesso aveva riportato negli allegati 3 e 7, quali ad esempio spese di liquidazione o di produzione dell'e/c; oltre a ciò, avrebbe dovuto estendere le verifiche anche alla CMS, ancorché invalidamente pattuita, nel rispetto delle prescrizioni dettate dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 16303 del 2018. Pertanto il perito avrebbe dovuto per il periodo anteriore al 2010 svolgere due distinti calcoli confrontando, da un lato, il TEG con il tasso soglia usurario e, dall'altro, la CMS applicata con la CMS soglia; e nel caso di accertamento del debordamento della CMS rispetto a quella soglia avrebbe dovuto svolgere un ulteriore accertamento consistente nel confrontare l'eccedenza della CMS applicata "con l'ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti ("margine")". Mentre per il periodo successivo, essendo la CMS ricompresa nella determinazione del TEG così come disposto dall'art. 2-bis D.L. n. 185 del 2008, si sarebbe dovuto includere tale onere nel calcolo del TEG per poi confrontarlo con il TSU. Essendo stati riportate dal Ctu tutte le voci sopra menzionate, è stato possibile svolgere i predetti calcoli secondo le modalità precedentemente esposte: Omissis Dalle tabelle riportate emerge che per quanto attiene al conto corrente ordinario n. (...) non risulta esser mai stato superato il tasso soglia usura tranne che nell'ultimo trimestre, mentre con riferimento al conto anticipi n. (...) risulta che in alcuni trimestri (III e IV del 2000, dal II del 2001 al I del 2003, II e III del 2004 e I e II del 2005) i tassi praticati ovvero la CMS applicata superano la relativa soglia usura: tuttavia si osserva che non essendo stata ravvisata una usura genetica sin dalla conclusione del contratto, gli unici eventuali interessi che la società ha diritto a vedersi ripetere sono quelli corrisposti in quei trimestri, successivi al 9.3.2005 (giorno oltre il quale le rimesse risultano essere prescritte poiché anteriori al decennio decorrente dalla data di notifica dell'atto di citazione avvenuto il 9.3.20015), nei quali è emerso il debordamento dal tasso soglia al netto della CMS essendo stata già detratta in quanto invalidamente pattuita. Sì che la società avrebbe diritto alla restituzione della somma di Euro 2.719,34 con riferimento al conto corrente ordinario, somma alla quale va aggiunto il complessivo importo di Euro 1.122,09 pari alle competenze dei due trimestri del 2005 relativi al conto anticipi n. (...) dove sono stati rinvenuti interessi usurari. Ora è ben evidente, specificando ulteriormente quanto già a monte della presente motivazione si è era detto, che, anche a voler riaccreditare le predette somme, l'esposizione debitoria della (...) pari a Euro 82.744,17 resterebbe pressoché invariata ragion per cui il (...) non ha diritto alla restituzione dei 14 mila Euro versati alla banca, vantando comunque quest'ultima un considerevole credito nei confronti della società garantita che lo stesso (...) si è impegnato ad estinguere. Infine con riferimento al conto anticipi n. (...), è opportuno svolgere una precisazione: il Ctu ha affermato di non poter accertare con riferimento a tale rapporto l'eventuale debordamento dal tasso soglia a causa della mancanza degli scalari e, in risposta alle osservazione del perito di parte attrice, ha sostenuto che "mancando i dettagli delle competenze, non possono essere operati i conteggi con le formule di (...) ai fini del supero del tasso soglia, quindi i conteggi del CTP (con documenti evidentemente non facenti parte del fascicolo di causa) non possono trovare riscontro nell'elaborato peritale del CTU; quindi si confermano i calcoli eseguiti". A fronte di ciò, il Ctp di parte attrice nelle copiose osservazioni depositate ha svolto i calcoli riportando tutte le voci di costo rilevanti ed ha accertato il superamento del tasso soglia con riferimento a tutti i trimestri applicando una formula diversa da quella impiegata da (...) (in particolare afferma il Ctp che "Per ottenere il TEG reale si è poi provveduto a riportare quanto rilevato su base trimestrale a livello annuo, attraverso la formula della equivalenza del tasso, e cioè: TEG ANNUO/T.I.R (TASSO INTERESSE REALE - TASSO INTERNO DI RIFERIMENTO) = ((1+TEG TRIMESTRALE:400) 4-1) 100"), formula tuttavia che per i motivi già esposti, rende di per sé inattendibile i risultati ottenuti. Nonostante ciò, anche per questo conto si è proceduto al ricalcolo del corretto TEG con l'impiego della formula di BI partendo dai dati riportati dal Ctp a pag. 13 per poi verificare il rispetto o meno della normativa antiusura. Di seguito si riporta la relativa tabella: Omissis Dalle analisi svolte deve concludersi affermando che non vi è stato alcun superamento del tasso soglia. Infatti, come si può osservare, mentre il TEG non deborda mai dal (...), la CMS applicata invece in tre trimestri deborda dalla relativa soglia. Tuttavia, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite con la sentenza n. 16303/2018 "l'applicazione di commissioni che superano l'entità della "CMS soglia" non determina, di per sè, l'usurarietà del rapporto, che va invece desunta da una valutazione complessiva delle condizioni applicate. A tal fine, per ciascun trimestre, l'importo della CMS percepita in eccesso va confrontato con l'ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti ("margine"). Qualora l'eccedenza della commissione rispetto alla "CMS soglia" sia inferiore a tale "margine" è da ritenere che non si determini un supero delle soglie di legge". Sicché nei trimestri in cui è stato rilevato un superamento della CMS soglia è necessario svolgere un ulteriore calcolo (i cui risultati sono stati riportati nella tabella) consistente nel raffronto fra la CMS applicata eccedente la CMS soglia e il c.d. "margine", la cui formula di calcolo è stata indicata dalla (...) nel Bollettino di Vigilanza del dicembre 2005 a pag. 5 nota 4, consistente nella differenza fra gli interessi massimi (nella tabella riportati come INTERESSI MAX) che la banca avrebbe potuto richiedere (calcolato con la seguente formula: INTERESSI = (TASSO SOGLIA - (ONERI X 100/ACCORDATO)) X NUMERI DEBITORI/36500) e quelli effettivamente richiesti. Da tale complessa verifica risulta che la CMS in eccedenza applicata è comunque sempre inferiore agli interessi massimi che la banca avrebbe potuto legittimamente richiedere alla società di talché può affermarsi che rispetto al conto n. (...) non è ravvisabile alcuna usurarietà degli interessi praticati con conseguente validità degli oneri applicati. A fronte di quanto sin qui esposto in tema di usura, ancorché gli esiti peritali e le prospettazioni del ctp di parte attrice risultavano essere di per sé non perfettamente rispondenti ai criteri elettivamente prescelti dalla giurisprudenza maggioritaria, i dati comunque forniti dai medesimi consulenti hanno consentito di accertare in concreto se rispetto a tutti e tre i rapporti vi fosse stata o meno violazione della normativa antiusura: dagli esiti è emerso il superamento del tasso soglia nell'ultimo trimestre per quanto riguarda il conto corrente ordinario e in alcuni trimestri del rapporto di conto n. (...). Tale rilievo, tuttavia, non va ad incidere sulla decisione del Giudice di primo grado atteso che le somme che eventualmente si dovrebbero riaccreditare in favore della (...) sono talmente esigue da non aver alcun impatto sul complessivo debito che la società ha maturato nei confronti della banca confermando così la legittimità del pagamento dei 14 mila Euro effettuato dal (...) in favore dell'istituto di credito al fine di estinguere parte del debito della società garantita. Difatti ricalcolando i saldi dei conti nei quali è stata ravvisata l'usurarietà dei tassi tramite riaccredito degli oneri relativi ai trimestri dove è stato rilevato il debordamento dal tasso soglia risulta che il conto corrente n. (...).52 avrebbe uno scoperto di - Euro 35.688,39 (=38.407,73 - 2.719,34) mentre il conto anticipi n. (...) avrebbe un saldo positivo a favore della società correntista pari a + Euro 1.748,65 (= 626,56 + 1.122,09). Considerando questi nuovi valori persisterebbe comunque un debito della (...) nei confronti della banca pari a Euro 78.875,74 (= 35.688,39 + 44.936,00 - 1.748,65) ad ogni modo superiore rispetto a quanto versato dal (...). Passando al quinto motivo di appello, l'appellante per un verso afferma di aver stipulato la garanzia in qualità di consumatore, con conseguente nullità delle clausole vessatorie limitative della facoltà di opporre le eccezioni e, per altro, sostiene la nullità del contratto per violazione della normativa antitrust. Con riferimento alla prima questione, si osserva che in conformità con l'orientamento adottato dalla Corte di Giustizia UE ai fini della valutazione circa la sussistenza dei requisiti di applicabilità della disciplina consumeristica al fideiussore, è necessario tener conto esclusivamente del rapporto di garanzia e non anche del rapporto principale in quanto "il contratto di garanzia o fideiussione, sebbene possa essere descritto, in relazione al suo oggetto, come un contratto accessorio rispetto al contratto principale da cui deriva il debito che esso garantisce ... si presenta, dal punto di vista delle parti contraenti, come un contratto distinto in quanto è stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale. È dunque in capo alle parti del contratto di garanzia o di fideiussione che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito" (cfr. Corte di Giustizia EU, ord., 14.09.2016, in causa C-534/15). In virtù di ciò, pertanto, al fine di comprendere se il (...) possa essere qualificato come consumatore si rende necessario indagare le ragioni che lo hanno spinto ad assumersi una tale garanzia. Ora nel caso di specie, lo stesso (...) ha affermato nell'atto di citazione di primo grado di aver in data 18.7.1997 aperto "una società a responsabilità limitata (...) s.r.l." e di aver "in qualità di legale rappresentato della (...)" acceso presso il (...) nell'ottobre del 1999 un conto corrente ordinario e un conto anticipi. Oltre a ciò, dalla visura camerale della società prodotta dall'attore, risulta che detentore dell'intero capitale sociale sia il (...), il quale inoltre è stato nominato liquidatore della società. Da tali elementi appare inverosimile che la garanzia sia stata contratta dal (...) per scopi meramente personali e non invece da esigenze di natura imprenditoriale legate alla qualità di socio nonché di legale rappresentante della (...). Cosicché, non essendo state addotte ulteriori circostanze dalle quali poter trarre una diversa conclusione, deve escludersi l'applicazione della disciplina consumeristica al caso di specie con conseguente infondatezza delle censure mosse sul punto. Con riferimento invece alla violazione della normativa antitrust, si osserva che i fatti posti alla base di tale causa excipiendi sono stati allegati tardivamente soltanto all'udienza di precisazione delle conclusioni del primo grado di giudizio ed è pacifico l'orientamento della S.C. (Cass., 23.11.21, n. 36353) secondo cui "il rilievo d'ufficio di una nullità sostanziale è ammissibile esclusivamente se basato su fatti ritualmente introdotti, o comunque acquisiti in causa, secondo le regole che disciplinano, anche dal punto di vista temporale, il loro ingresso nel processo, non potendosi fondare su fatti di cui il giudice (o la parte, tardivamente rispetto ai propri oneri) possa ipotizzare solo in astratto la verificazione e la cui introduzione presupponga l'esercizio di un potere di allegazione ormai precluso in rito". In ogni caso, l'eccezione così sollevata non escluderebbe in astratto l'obbligo di garanzia prestato dal fideiussore, in quanto la denunciata nullità investirebbe solo quelle clausole (2-6-8) che sono state ritenute violative della normativa antitrust dalla (...) con Decreto n.55 del 2.5.2005, avendo la Corte di Cassazione a Sez. Unite n. 41994 del 2021 ritenuto che si tratterebbe di nullità che non intacca l'intera validità della fideiussione prestata e quindi non varrebbe a liberare il garante dall'obbligo assunto. E anche a far valere la nullità d'ufficio e parziale delle specifiche clausole menzionate, in difetto della allegazione di come inciderebbero tali nullità sul rapporto (ad esempio se la banca abbia diligentemente o meno coltivato la sua pretesa verso il debitore principale nei sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione o meno, tale da derivare da tale omissione l' inefficacia della fideiussione prestata ex art. 1957 c.c.) questa Corte non potrebbe comunque trarre alcuna conseguenza dalla dedotta, generica nullità lamentata, la cui pronuncia è stata sollecitata solo in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado. Il sesto motivo di appello si incentra invece sulla presunta erronea segnalazione alla (...) dalla quale, secondo la prospettazione del (...) ne sarebbe derivato un grave danno "provocando una serie di conseguenze fortemente negative, quali: l'impossibilità di accedere al credito, la revoca degli affidamenti concessi da altri Istituti, e ancor più grave la con-causazione della crisi dell'azienda (...) S.r.l., ora in concordato". Fermo restando che con riferimento alla segnalazione in (...) della (...) difettando il requisito della legittimazione attiva in capo al (...) poiché ha agito in giudizio in proprio soltanto in qualità di fideiussore, la domanda di risarcimento del danno causato alla società è inammissibile. Per quanto attiene invece alla posizione del (...) si osserva che dai report della (...) prodotta in giudizio non risulta alcuna segnalazione posta in essere dall'istituto di credito nei suoi confronti. Difatti emerge soltanto che il (...) ha concesso una garanzia in favore dell'istituto di credito per la posizione della (...) Contrariamente le posizioni a sofferenza segnalate che emergono dai documenti risultano esser state effettuate da altri istituti di credito, estranei al presente giudizio. Oltre a ciò, si osserva che costituiva comunque onere del (...) dimostrare le conseguenze pregiudizievoli derivate dalla presunta segnalazione: non è sufficiente ai fini dell'accoglimento della domanda la mera allegazione dell'appellante relativa all'impossibilità di ottenere la concessione di finanziamenti ovvero la revoca delle altre banche circa gli affidamenti concessi. Tali elementi andavano contestualizzati e specificati essendo stati genericamente indicati senza alcuna effettiva prova di quanto asserito. Per quanto sin qui esposto, l'appello deve essere disatteso con condanna di parte appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore della convenuta in appello nonché dell'intervenuta, spese che si liquidano unitariamente in favore di entrambe, attesa la sostanziale unicità della difesa svolta a tutela della medesima posizione sostanziale. La Corte dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, per il raddoppio del contributo unificato a carico di parte appellante. P.Q.M. La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, sull'appello proposto da (...) avverso la sentenza del Tribunale di Prato n. 498 del 16.7.2019 nei confronti di (...) s.p.a., in qualità di incorporante per fusione (...) s.p.a. ((...) s.p.a.) con l'intervento di (...) s.r.l. e per essa, quale mandataria, (...) s.p.a. a socio unico, ogni avversa domanda ed eccezione disattesa: - Rigetta l'appello e per l'effetto conferma la sentenza impugnata. - Condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di (...) s.p.a. e (...) s.r.l., spese che liquida unitariamente in favore di entrambe le parti in Euro 10.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario e accessori di legge. - La Corte dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, per il raddoppio del contributo unificato. Così deciso in Firenze il 13 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI SALERNO PRIMA SEZIONE CIVILE La Corte di Appello di Salerno, nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Ornella CRESPI - Presidente dott.ssa Giuliana GIULIANO - Consigliere dott. Guerino IANNICELLI - Consigliere rel. riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello, iscritta al n. 226 del Ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2020, vertente TRA (...), nato a (...) il (...) (C.F. (...) ); rappresentato e difeso dagli avv.ti Um.d'A. e Fr.Br. per procura allegata all'atto di appello; - appellante - E (...), nata ad (...) il (...) (C.F. (...) ); rappresentata e difesa dall'avv. Fr.De. per procura allegata alla comparsa di risposta; - appellata - OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 535/2019, pubblicata il 08/02/2019. RAGIONI DELLA DECISIONE Con la sentenza in oggetto, impugnata dal convenuto (...), il Tribunale di Salerno lo ha condannato al pagamento della somma di Euro 6.500,00 oltre interessi in favore dell'attrice (...), titolare dell'agenzia immobiliare "S.I.V.". Il giudice di primo grado esponeva, in motivazione, che il contratto di mediazione del 11.8.2006 stipulato tra le parti prevede il conferimento dell'incarico all'agente immobiliare in via esclusiva e, al punto 10), è stabilito, a titolo di penale, che, "nel caso di violazione dell'eventuale obbligo di esclusiva sia per il caso di vendita effettuata direttamente dal venditore che per il caso di incarico conferito ad altra agenzia" il venditore dovrà versare all'agente immobiliare il 100% della provvigione pattuita; che, pertanto, sussiste il diritto dell'agente immobiliare al pagamento della penale pattuita corrispondente alla provvigione da parte del convenuto, avendo venduto autonomamente il proprio immobile in violazione del patto di esclusiva; che è fondata anche la domanda riconvenzionale di restituzione della somma di Euro 2.500,00 versata quale acconto provvisionale, come risulta confermato dalla testimonianza di (...), il quale ha dichiarato che in sua presenza furono versati dal proprio figlio (...) pezzi da Euro. 50,000 quale anticipo sulla provvigione; che, compensando i due crediti, il convenuto dovrà versare la residua somma di Euro 6.500,00 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo. L'appellante censura, in primo luogo, il vizio di extrapetizione della sentenza, che lo ha condannato al pagamento della provvigione, mentre la domanda proposta ha ad oggetto il pagamento della penale pattuita all'art. 10 per violazione del patto di esclusiva. Censura anche il vizio di omessa pronuncia sulla sua eccezione di inefficacia o nullità delle clausole vessatorie, ex art. 35, comma 1, cod. consumo, di esclusività dell'incarico, di rinnovo automatico dello stesso in mancanza di una disdetta entro un termine troppo anticipato (trenta giorni) e di previsione di una penale eccessiva, ex art. 33, comma 3, cod. cons., pari all'ammontare della provvigione, le quali non hanno formato oggetto di una trattativa, ai sensi dell'art. 34 cod. cons. (come confermato dal teste (...)), non possono ritenersi approvate da una seconda sottoscrizione sul documento contrattuale e comportano gravi squilibri tra le parti, a danno del consumatore e a favore del professionista (agenzia di mediazione). Lamenta l'omessa pronuncia anche sulla sua eccezione di cessazione del contratto per scadenza naturale dell'incarico, trattandosi di vendita avvenuta nel maggio del 2007, mentre la scadenza dell'incarico era fissata a marzo del 2007 e (...), dopo il mese di febbraio, non ha più svolto alcuna attività, come risulta dalla testimonianza di (...). Deduce la mancanza di prova dei danni lamentati dall'attrice nella domanda risarcitoria formulata in via subordinata. (...), costituitasi, resiste. Non è ravvisabile un vizio di extrapetizione della sentenza, sussistendo precisa corrispondenza, a norma dell'art. 112 c.p.c., tra la domanda proposta e la pronuncia, sia quanto alla relazione tra il petitum della prima e la statuizione della seconda (la condanna al pagamento della penale prevista dalla clausola n. 10 delle condizioni generali di contratto, in misura pari al 100% della provvigione pattuita), sia quanto alla relazione tra la causa petendi della prima e le ragioni della decisione (l'inadempimento del patto di esclusiva per aver venduto l'immobile direttamente, senza la mediazione dell'agente). La sentenza di primo grado, infatti, accoglie la domanda di condanna dal risarcimento dei danni da inadempimento del contratto di mediazione immobiliare per violazione della clausola di esclusività dell'incarico, nella misura predeterminata dalle parti con la clausola penale. Non condanna il convenuto ad adempiere l'obbligo di pagamento del compenso, come erroneamente ritiene l'appellante in base al riferimento ivi contenuto alla provvigione, che vale solo a richiamare il parametro in base al quale è stata fissata la prestazione pecuniaria a cui è tenuta la parte per l'inadempimento dell'obbligo di garantire l'esclusività dell'incarico. Ricorre, invece, il vizio di omessa pronuncia della sentenza sulle eccezioni, proposte in primo grado, di nullità o inefficacia delle clausole vessatorie che prevedono l'esclusività dell'incarico, il rinnovo automatico dello stesso in mancanza di una disdetta entro il termine di trenta giorni prima della scadenza e la previsione di una penale eccessiva. Spetta, perciò, alla Corte il vaglio delle eccezioni ignorate dal primo giudice. Stante la qualità di "consumatore" di (...) (quale "persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta") e quella di "professionista" di (...) (quale "persona fisica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale" di agente immobiliare), al contratto tra loro concluso si applica la normativa speciale dettata dal codice del consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) e, in particolare, la disciplina in tema di c.d. clausole vessatorie dettata dagli artt. 33 e ss. In termini generali, sono vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto (art. 33, comma 1), con esclusione delle clausole che attengono alla determinazione dell'oggetto del contratto, o all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi (art. 34, comma 2). La sanzione delle clausole vessatorie è la c.d. "nullità di protezione" prevista dall'art. 36, ossia la nullità parziale del contratto (comma 1: "le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto") che "opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice" (comma 3). A nulla rileva, per esse, la specifica approvazione per iscritto, che è, invece, prevista, a pena di inefficacia, dalla disciplina generale dei contratti (e non dalla normativa speciale in tema di contratti del consumatore) per le clausole vessatorie previste dall'art. 1341, comma 2, c.c. Escludendo le clausole per le quali sussiste una presunzione assoluta di vessatorietà (di cui all'art. 36, comma 2), che non rilevano nel caso in esame, vanno prese in considerazione quelle, elencate all'art. 33, comma 2, per le quali il codice del consumo pone una presunzione di vessatorietà, salvo che il professionista fornisca la prova contraria (in particolare, dimostrando, come previsto dall'art. 34, comma 4, che la clausola non è stata unilateralmente imposta al consumatore, ma ha formato oggetto di specifica trattativa individuale tra le parti). Nell'elenco delle clausole che si presumono vessatorie, quelle che interessano nel caso di specie, sono quella che impone al consumatore "in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d'importo manifestamente eccessivo" (lett. f) e quella che stabilisce "un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione" (lett. i). Non vi è, invece, nell'elenco, alcuna clausola vessatoria nella quale possa includersi la clausola di esclusività dell'incarico pattuita dalle parti, né questa può apprezzarsi, comunque, come una clausola che impone uno "significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto". La clausola che prevede il rinnovo automatico dell'incarico in mancanza di una disdetta non è sussumibile nell'ipotesi prevista dalla lett. i), dato che il termine di trenta giorni prima della scadenza non è "eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto". Di conseguenza, è infondato l'assunto dell'appellante, secondo cui il contratto di mediazione è cessato alla scadenza naturale dell'incarico (in data 31.3.2007), prima della vendita immobiliare del 23.5.2007. La questione decisiva consiste, perciò, nello stabilire se la clausola che prevede il pagamento della penale in caso di violazione del patto di esclusiva integri l'ipotesi prevista dalla lett. f), ossia la presunzione di vessatorietà della clausola penale di "importo manifestamente eccessivo". Come è noto, la clausola penale, con la quale si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, disciplina gli effetti dell'inadempimento in modo diverso da quello stabilito dalla legge, liquidando il danno in maniera preventiva e convenzionale, indipendentemente dalla prova del danno (art. 1382 c.c.). Nella clausola penale può essere ravvisata anche una funzione punitiva e deterrente, in ciò giustificando l'accordo per una prestazione maggiore e indipendente dal danno effettivo patito dalla parte non inadempiente. L'autonomia delle parti nel determinare l'ammontare della penale, indipendentemente dal danno effettivo, incontra, però, un limite normativo rappresentano dalla manifesta eccessività che, in generale, attribuisce al giudice il potere di riduzione ad equità (art. 1384 c.c.) e, nell'ambito dei contratti conclusi dal consumatore, ne presume la vessatorietà, sanzionandola con una nullità di protezione. Ritiene la Corte che il criterio in base al quale valutare se l'importo della penale sia "manifestamente eccessivo" debba rinvenirsi, analogamente a quanto stabilito dalla Suprema Corte per la clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche nel caso di mancata effettuazione dell'affare per fatto imputabile al venditore (Cass, 3.11.2010, n. 22357), nella sua proporzionalità rispetto all'attività concretamente espletata dal mediatore. Il contratto di mediazione immobiliare è riconducibile ad una mediazione "atipica", ovvero ad un contratto di mandato, nel quale il mediatore opera su incarico di una delle parti e nel quale le parti prevedono, di regola (e nel caso di specie), che il diritto alla provvigione spetta, in deroga all'art. 1755 c.c., con l'accettazione della proposta, a prescindere dal buon fine della compravendita, essendo sufficiente il compimento dell'attività svolta in funzione della conclusione dell'affare. Il rispetto del sinallagma contrattuale implica che la prestazione a cui è tenuto il mandante sia giustificata dalla controprestazione del mediatore, ossia dallo svolgimento di un'attività di ricerca di terzi interessati all'acquisto, attraverso la predisposizione dei propri mezzi e della propria organizzazione, in mancanza della quale il compenso si risolverebbe in un indebito arricchimento ai danni del contraente debole. Ciò vale a dire che, nel caso in cui il mandante violi il patto di esclusiva, vendendo l'immobile direttamente, come nel caso di specie, la clausola penale deve essere commisurata al tempo e all'attività svolta dal mediatore. Deve, cioè, risarcire il mediatore in una misura convenzionale e predeterminata, ma non eccessiva rispetto al danno subito per aver predisposto mezzi e impiegato la sua organizzazione nella ricerca di potenziali acquirenti senza raggiungere il risultato a causa della violazione del patto di esclusiva da parte del mandante. Una clausola penale che non sia proporzionata all'attività concretamente svolta determina, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Nel caso in esame, l'atto di citazione di primo grado non contiene una narrazione dell'attività svolta dall'attrice, se non un cenno a "vari tentativi ? di contattare il convenuto sig. (...) per varie formalità inerenti il conferimento dell'incarico", prima di scoprire che l'immobile era stato venduto senza la mediazione della sua agenzia. Il convenuto, dal canto suo, ha descritto l'attività svolta dalla mediatrice immobiliare, consistente esclusivamente nel reperimento di un solo potenziale acquirente, che "non acquistò l'immobile né concluse alcun affare". A questa ricostruzione, l'attrice ha opposto, nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., la versione secondo la quale "si è adoperata per tale incarico fornendo molte proposte di acquisto pervenute al sig. B., nonché formale proposta di acquisto, come dallo stesso riconosciuto; non solo, la stessa ha continuato la sua attività per quanto attiene la ricerca di acquirenti dell'immobile anche dopo il mancato accordo di conclusione dell'affare nel febbraio 2007". Le testimonianze assunte, vertenti prevalentemente sul luogo in cui fu sottoscritto l'incarico, non confermano la versione dell'attrice sull'intensa attività svolta; al contrario, la deposizione del padre del convenuto ((...)) rappresenta che, dopo il contatto con il potenziale acquirente nel febbraio del 2007, e la richiesta del figlio di restituzione dell'anticipo del compenso di Euro 2.500,00, "la (...) non è più venuta presso l'abitazione di mio figlio per proporre l'acquisto ad altri acquirenti. Tanto posso confermare in quanto ero proprio io a detenere le chiavi dell'appartamento e facevo entrare la (...) per le visite all'immobile. Successivamente mio figlio ha venduto privatamente l'immobile. (...) se mal non ricordo la (...) sempre fino al febbraio del 2007 ha effettuato con me circa 5 o 6 visite all'appartamento con potenziali acquirenti. Preciso che la (...) non aveva le chiavi dell'appartamento". Risulta, perciò, dimostrato che l'attività svolta dalla mediatrice immobiliare è consistita solo in 5 o 6 visite dell'appartamento da parte di potenziali acquirenti, che alcuna accettazione della proposta di acquisto è stata acquisita, neanche da parte dell'unica persona che aveva mostrato interesse, e che i rapporti tra le parti cessarono nel febbraio del 2007, dopo il rifiuto della mediatrice di restituire l'anticipo del compenso ricevuto, tre mesi prima della vendita. Questa ricostruzione dimostra che la clausola penale di ammontare pari alla provvigione (Euro 9.000,00) è squilibrata in danno del consumatore e in favore del professionista, non avendo alcuna proporzionalità con l'attività concretamente svolta e i mezzi impiegati per assolvere all'incarico. Una clausola penale così determinata non ha, infatti, una funzione di ristoro del danno subito, bensì lo scopo di avvantaggiare il professionista procurandogli l'intero compenso pattuito in maniera automatica, svincolata dalla sua controprestazione. In tal senso, la Suprema Corte ha posto l'accento sulla necessità, nell'indagine sulla vessatorietà della clausola penale che prevede un importo eccessivo, in favore del mediatore, nell'ipotesi della mancata conclusione dell'affare, di valutare in concreto l'attività svolta, la quale "impedisce che il diritto alla provvigione da parte del mediatore possa essere svincolato dallo svolgimento di qualsiasi controprestazione, determinando inevitabilmente non tanto uno squilibrio nella prestazioni ma addirittura l'assenza della prestazione" (Cass., 18.9.2020, n. 19565). Di qui l'accoglimento dell'appello, stante la nullità, ex artt. 33, comma 2, lett. f) e 36 del codice del consumo, della clausola penale (art. 10) contenuta nel contratto sottoscritto dalle parti, di importo manifestamente eccessivo. L'appellata (...) non ha riproposto, nella comparsa di risposta di secondo grado, le domande subordinate di risoluzione del contratto di mediazione per inadempimento di (...) e di condanna di questi al risarcimento del danno (nella misura di Euro 10.000,00), né quella, ulteriormente gradata, di condanna della controparte, ex art. 756 c.c., al rimborso delle spese di pubblicità e alle spese generali di agenzia, da liquidare in via equitativa. La loro mancata riproposizione implica la rinuncia, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., dovendosi intendere per domande non accolte nella sentenza di primo grado anche quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite. Non sussistendo il diritto di (...) al risarcimento del danno da inadempimento del patto di esclusiva, né nella misura della clausola penale (nulla), né nella misura del danno effettivamente patito, ai sensi dell'art. 1223 c.c. (stante la mancata riproposizione della domanda subordinata), va accolta la domanda riconvenzionale di restituzione della somma di Euro 2.500,00 corrisposta nel febbraio 2007 dall'appellante a titolo di acconto sulla provvigione, oltre interessi legali dalla domanda. Il regolamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio segue il principio di soccombenza, di cui all'art. 91, comma 1, c.p.c. (valutata globalmente, non sulle singole questioni: Cass., 3.11.2016 n. 22273), non ricorrendo alcuna delle ipotesi previste dall'art. 92, comma 2, c.p.c., nel testo anteriore alla modifica dell'art. 13, comma 1, del D.L. n. 132 del 2014, convertito con modificazioni nella L. n. 162 del 2014, applicabile ratione temporis (soccombenza reciproca o altre gravi ed eccezionali ragioni) per la compensazione parziale o per intero, con conseguente condanna di parte appellata al rimborso delle spese e degli onorari di difesa in favore di parte appellante, che si liquidano come in dispositivo, tenuto conto dei parametri stabiliti con D.M. della Giustizia 10 marzo 2014, n. 55 (valore Euro 9.000,00). Su richiesta difensiva ex art. 93, comma 1, c.p.c., gli onorari non riscossi e le spese anticipate sono distratti in favore dei difensori. P.Q.M. La Corte di Appello di Salerno, prima sezione civile, definitivamente decidendo in grado di appello nella causa civile iscritta al R.G. n. 226/2020, così provvede: 1. accoglie l'appello e, per l'effetto, in totale riforma della sentenza di primo grado: a. rigetta la domanda proposta da (...); b. accoglie la domanda riconvenzionale proposta da (...) e, per l'effetto, condanna (...) alla restituzione in favore del predetto della somma di Euro 2.500,00 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo; 2. condanna (...) al rimborso delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio in favore di (...), che liquida in Euro 382,50 per spese vive di secondo grado ed Euro 5.000,00 per onorari di difesa (Euro 2.500,00 per il primo grado ed Euro 2.500,00 per il secondo grado), oltre il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% degli onorari, Cnap ed Iva come per legge, con attribuzione ai difensori antistatari, avv.ti Um.d'A. e Fr.Br., per dichiarato anticipo. Così deciso in Salerno il 29 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2023.

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