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In tema di mediazione, la clausola predisposta unilateralmente dal mediatore - che prevede il diritto del compenso provvigionale, dopo la scadenza del contratto e senza limiti di tempo, da parte di un soggetto che si sia avvalso della sua attività qualora l'affare sia stato successivamente concluso da un familiare, società o persona "riconducibile" - è vessatoria ed abusiva, ai sensi dell'art.1341 c.c. e dell'art.33 del Codice del Consumo, in quanto determina un significativo squilibrio a carico del consumatore, obbligato ad una prestazione in favore del professionista indipendentemente da ogni accertamento, anche in via presuntiva, del preventivo accordo con il soggetto che ha concluso l'affare o di ogni altra circostanza concreta da cui risulti che l'affare sia stato agevolato in ragione dei rapporti familiari o personali tra le parti. (Principio affermato dalla S.C. in fattispecie in cui, successivamente alla scadenza della mediazione, il contratto di locazione oggetto della stessa, veniva concluso dal coniuge della parte che si era vista rifiutare l'originaria proposta).
La clausola compromissoria inserita unilateralmente in un contratto predisposto da una parte per regolare in modo uniforme una pluralità indeterminata di rapporti di subappalto, costituisce una clausola vessatoria ai sensi dell'art. 1341, comma 2, c.c., la cui validità è subordinata alla specifica approvazione per iscritto da parte dell'aderente, non essendo sufficiente la mera sottoscrizione di ogni pagina del contratto. Tale specifica approvazione scritta è necessaria al fine di richiamare l'attenzione del contraente aderente sul contenuto e sulla portata della clausola compromissoria, a tutela della sua effettiva consapevolezza e libertà di scelta, in considerazione della disparità di forza contrattuale tra le parti. La sottoscrizione separata della clausola vessatoria può essere sostituita solo da una trattativa specifica sulle clausole onerose, di cui non vi sia prova in atti, mentre resta indispensabile ove il contraente aderente vi abbia aderito senza alcuna discussione. La valutazione circa il carattere standardizzato e ripetitivo del contratto, idoneo a far presumere l'interesse della parte predisponente all'impiego di clausole uniformi per accelerare l'eventuale definizione di controversie, costituisce un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito, la cui motivazione deve essere adeguatamente esplicitata.
Il contratto di affiliazione commerciale (franchising) impone obblighi reciproci tra le parti, il cui inadempimento può legittimare il recesso e il risarcimento del danno. Tuttavia, l'onere probatorio grava sulla parte che invoca la responsabilità contrattuale, dovendo essa dimostrare l'esistenza del contratto, l'inadempimento della controparte e il nesso di causalità con il danno subito. Viceversa, il debitore può fornire la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, come l'avvenuto adempimento. Le clausole contrattuali, anche se predisposte unilateralmente, sono efficaci se specificamente approvate per iscritto, salvo che non risultino manifestamente squilibrate a danno della parte debole. Infine, il danno da mancato guadagno deve essere provato in modo rigoroso, non essendo sufficiente una mera valutazione equitativa, mentre il danno all'immagine non sussiste in re ipsa, dovendo essere allegato e dimostrato dalla parte che lo invoca.
La clausola penale prevista in un contratto di mediazione immobiliare, che impone al consumatore-venditore il pagamento di una somma pari all'intero ammontare della provvigione in caso di violazione del patto di esclusiva, è nulla per manifesta eccessività ai sensi degli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36 del Codice del Consumo, qualora l'attività concretamente svolta dal mediatore-professionista sia risultata limitata e non proporzionata all'importo della penale, non essendo sufficiente il mero compimento di alcune visite dell'immobile da parte di potenziali acquirenti senza il raggiungimento dell'effettiva conclusione dell'affare. In tali casi, la clausola penale, anziché avere una funzione di ristoro del danno, mira a procurare al professionista l'intero compenso pattuito in maniera automatica e svincolata dalla sua controprestazione, determinando un significativo squilibrio a danno del consumatore. Pertanto, il giudice è tenuto a dichiarare la nullità di tale clausola vessatoria, senza poter procedere alla sua riduzione ad equità, in quanto la normativa speciale del Codice del Consumo prevale sulla disciplina generale dell'art. 1384 c.c.
La clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell'edificio e richiamata nel contratto di vendita della unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può essere considerata vessatoria ai sensi dell'art. 33, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo), ove determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, incidendo sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall'alienante, o sull'obbligo di pagamento del prezzo gravante sull'acquirente, restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo appartamento l'obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano. Tale verifica deve essere effettuata dal giudice, anche d'ufficio, nell'ambito dei rispettivi diretti rapporti processuali di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo (la venditrice ed il singolo acquirente), a prescindere dalla data di conclusione del contratto, essendo comunque applicabile, anche anteriormente all'entrata in vigore del Codice del Consumo, l'art. 1469-bis, comma 1, c.c., che prevede l'abusività delle clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Le deliberazioni assembleari condominiali con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, sono nulle, mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c. Nell'ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare l'annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione soltanto a condizione che quest'ultima sia dedotta in via d'azione, mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione, ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione.
In tema di condizioni generali di contratto, la clausola apposta a un contratto di durata, che ne preveda il divieto di rinnovazione tacita alla scadenza, non può considerarsi vessatoria, dal momento che non determina un vantaggio unilaterale a favore del predisponente, avendo ad oggetto un contegno riferibile ad entrambe le parti.
Il contratto di assicurazione, caratterizzato da un certo grado di aleatorietà, consente alle parti di procedere alla selezione degli interessi da tutelare e dei rischi contro i quali azionare la garanzia assicurativa, attraverso la delimitazione del rischio assicurato. Le clausole che indicano i limiti dell'indennizzo e le concrete modalità di accadimento del sinistro, come il termine di carenza della copertura assicurativa, non possono essere considerate vessatorie, in quanto attengono all'oggetto del contratto e non mirano a limitare la responsabilità dell'assicuratore. Pertanto, in presenza di una patologia preesistente e latente alla stipula della polizza, il mancato decorso del termine di carenza previsto contrattualmente esclude il diritto dell'assicurato all'indennizzo, senza che ciò integri una limitazione di responsabilità dell'assicuratore. Il giudice può rilevare d'ufficio l'inefficacia di una clausola vessatoria anche in sede di giudizio di appello, qualora l'eccezione non sia stata sollevata in primo grado, purché il contraente abbia allegato i fatti costitutivi dell'eccezione. Tuttavia, nel caso di specie, la clausola relativa al termine di carenza non riveste carattere vessatorio, in quanto attiene all'oggetto del contratto e non mira a limitare la responsabilità dell'assicuratore.
Il giudice, nell'esaminare la validità di clausole contrattuali, deve verificare se le stesse siano da considerare vessatorie ai sensi della normativa di tutela del consumatore, valutando in particolare se determinino a carico della parte debole un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. In tal caso, le clausole ritenute vessatorie devono essere dichiarate inefficaci, ferma restando la validità del contratto nelle restanti parti, al fine di preservare per quanto possibile l'autonomia negoziale delle parti e garantire la tutela della parte contrattualmente più debole. Tale principio trova applicazione anche nei contratti di ormeggio e servizi portuali stipulati tra un gestore portuale e un utente, in cui il giudice deve verificare se le clausole contrattuali, anche se frutto di una trattativa, determinino comunque un ingiustificato squilibrio a danno dell'utente, considerato parte debole del rapporto. Ove riscontrate clausole vessatorie, il giudice deve dichiararne l'inefficacia, preservando la validità del contratto nelle restanti parti, al fine di tutelare l'utente e garantire l'equilibrio contrattuale, senza incidere sulla libertà negoziale delle parti.
Il creditore che deduce l'inadempimento del debitore deve provare, secondo i criteri di distribuzione dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., il fatto costitutivo del credito, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa o di una sua parte. Pertanto, il creditore opposto deve allegare e provare il proprio credito nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in maniera più completa ed esaustiva rispetto alla procedura di ingiunzione, al fine di consentire al giudice di accertare la fondatezza della pretesa fatta valere. Ove il creditore abbia fornito tale prova, incombe sul debitore opponente l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento delle proprie obbligazioni o l'intervento di un fatto estintivo del debito. L'eccezione di nullità della clausola contrattuale per violazione della disciplina in materia di usura o per vessatorietà deve essere specificamente dedotta e provata dalla parte che la invoca, non essendo sufficiente una generica contestazione. Inoltre, la consulenza tecnica d'ufficio non può essere disposta per sopperire alle lacune difensive della parte in termini di allegazione e prova, ma solo per valutare fatti di cui sia già pacifica la dimostrazione.
La specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie per il contraente in adesione, ai sensi dell'art. 1341 c.c., è rispettata soltanto quando tali clausole siano collocate in modo autonomo e separato nel testo delle condizioni generali del contratto e siano seguite da una distinta sottoscrizione del contraente. Non è sufficiente che la singola clausola risulti evidenziata nel contesto del contratto, quando la sottoscrizione sia stata unica, né rileva la collocazione della clausola immediatamente prima della sottoscrizione o la sua stampa in caratteri tipografici evidenziati. Pertanto, la mancanza di una distinta sottoscrizione per le clausole vessatorie comporta la loro potenziale declaratoria di nullità verso il contraente aderente eccipiente, con conseguente necessità di determinare il foro competente sulla scorta dei criteri generali ex artt. 19 e 20 c.p.c.
Il contratto di trasporto aereo concluso tra un consumatore (passeggero) e un professionista (compagnia aerea) che contiene una clausola di proroga della giurisdizione a favore dei tribunali dello Stato di residenza della compagnia aerea, senza essere stata oggetto di trattativa individuale, deve essere considerata una clausola vessatoria ai sensi della direttiva 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori. Pertanto, tale clausola non può essere opposta dalla compagnia aerea all'acquirente finale (cessionario) del credito vantato dal passeggero per il risarcimento in caso di cancellazione del volo, a meno che, secondo la legge dello Stato membro i cui tribunali sono designati da tale clausola, il cessionario non sia subentrato in tutti i diritti e gli obblighi del passeggero originario. Inoltre, la limitazione convenzionale del diritto di cedere il credito vantato dal passeggero nei confronti della compagnia aerea deve essere considerata una clausola vessatoria, in quanto limita ingiustificatamente le azioni del consumatore contro il professionista in caso di inadempimento, in violazione dell'art. 36 del Codice del Consumo. Infine, l'acquisto di crediti di modesto importo vantati dai passeggeri nei confronti delle compagnie aeree, al fine di sollevare i cedenti dagli oneri della gestione delle relative controversie giudiziarie, non integra un'attività di concessione di finanziamenti soggetta all'obbligo di autorizzazione ai sensi dell'art. 106 del Testo Unico Bancario.
Il contratto di manutenzione e pronto intervento per l'ascensore condominiale, che prevede una clausola di recesso anticipato a favore del cliente con il pagamento di una indennità calcolata in base a criteri percentuali e scalari sulle mensilità residue, non integra una clausola vessatoria ai sensi dell'art. 33 lett. f) del D.Lgs. 206/2005 (Codice del Consumo), in quanto tale pattuizione non determina uno squilibrio significativo tra i diritti e gli obblighi delle parti e la sua quantificazione non è manifestamente eccessiva, rappresentando un adeguato bilanciamento degli interessi contrattuali. La clausola che prevede il pagamento di una somma a titolo di indennità per l'esercizio del diritto di recesso anticipato da parte del cliente, pur inserita in un articolo contrattuale che disciplina anche ipotesi di risoluzione per inadempimento, deve essere qualificata come "multa penitenziale" o "corrispettivo per il recesso", in conformità all'art. 1373 c.c., e non come "penale", essendo estranea alla fattispecie di inadempimento e non rientrando pertanto nelle ipotesi di clausole vessatorie di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c. Anche qualora la clausola fosse qualificata come "penale", essa non sarebbe comunque da ritenersi vessatoria ai sensi della disciplina consumeristica, in quanto il meccanismo di quantificazione dell'indennità, parametrato in misura percentuale e scalare sulle mensilità residue, non determina uno squilibrio significativo tra i diritti e gli obblighi delle parti e non risulta manifestamente eccessivo, rappresentando un adeguato bilanciamento degli interessi contrattuali.
La clausola floor inserita nei contratti di mutuo a tasso variabile, che prevede che il tasso di interesse non possa scendere al di sotto dello spread concordato anche in caso di valori negativi del parametro di riferimento (Euribor), pur non rientrando nella nozione di "oggetto principale del contratto", è soggetta al sindacato di vessatorietà in quanto determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, non essendo accompagnata da alcuna clausola correttiva a tutela del mutuatario, come una clausola cap o una riduzione dello spread. Tale clausola, pertanto, deve essere considerata vessatoria ai sensi degli artt. 33 e 34 del Codice del Consumo, in attuazione della Direttiva 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in quanto, pur essendo chiara e comprensibile nella sua formulazione letterale, determina un'ingiustificata disparità di trattamento tra le parti, consentendo alla banca di beneficiare integralmente delle variazioni favorevoli del parametro di riferimento senza alcuna corrispondente limitazione nel caso di variazioni sfavorevoli. Conseguentemente, il giudice può inibire l'utilizzo di tale clausola, ordinando alla banca di pubblicare il dispositivo della sentenza sul proprio sito internet e su un quotidiano nazionale, nonché imponendo una penale in caso di inostemperanza, senza poter tuttavia disporre misure volte a incidere sugli effetti concreti derivanti dall'esecuzione dei singoli contratti, che richiedono accertamenti della situazione di fatto di ciascun contraente e possono formare oggetto solo di azioni individuali.
La prescrizione quinquennale, prevista dall'art. 2948, comma 1, n. 4, c.c., si applica agli interessi moratori, purché risulti pattuito che devono essere corrisposti periodicamente, con cadenza annuale o infrannuale.
Il contratto di finanziamento con annessa polizza assicurativa per la copertura di eventi che impediscano il puntuale pagamento delle rate, come il caso di disoccupazione, deve essere interpretato in base ai principi di buona fede e correttezza contrattuale. Le clausole che delimitano l'oggetto della garanzia assicurativa, escludendo specifiche fattispecie di rischio, non sono da considerarsi vessatorie ai sensi dell'art. 1341 c.c. e non necessitano di specifica approvazione scritta, in quanto attengono alla definizione del rischio assicurato e non comportano una limitazione della responsabilità dell'assicuratore. L'onere di conoscibilità delle condizioni contrattuali grava sull'aderente, il quale deve impiegare l'ordinaria diligenza per comprenderne il contenuto, senza poter invocare l'oscurità o l'illeggibilità del testo, ove non abbia richiesto la consegna di un esemplare pienamente leggibile. L'inosservanza delle prescrizioni formali sulla redazione chiara ed esauriente delle clausole, di cui all'art. 166 Codice delle Assicurazioni Private, non determina la nullità del contratto o della clausola, ma può dar luogo a responsabilità precontrattuale o contrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove la violazione abbia cagionato un danno.
Il proprietario o custode di un impianto idrico è responsabile per i danni causati dalla sua rottura, anche se l'impianto serve un'attività commerciale condotta in locazione, salvo che non provi di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire il danno. Tale responsabilità sussiste in capo al conduttore dell'attività commerciale, in qualità di custode dell'impianto, ai sensi dell'art. 2051 c.c., e non può essere esclusa o limitata mediante clausole contrattuali non specificamente approvate per iscritto dal contraente più debole, in applicazione della disciplina sulle clausole vessatorie di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c. Il risarcimento dei danni deve essere determinato in via equitativa, tenendo conto dei costi effettivamente sostenuti per la riparazione, anche se superiori ai prezzi di riferimento di prezzari ufficiali, in considerazione dei metodi di lavoro adottati dall'impresa incaricata.
La clausola contrattuale che prevede l'obbligo del gestore di sala da gioco di raggiungere un determinato obiettivo trimestrale di "netto giocato" per ciascun apparecchio videoterminale, la cui violazione consente al concessionario di risolvere il contratto ai sensi dell'art. 1456 c.c., può essere qualificata come clausola vessatoria ai sensi dell'art. 1341, comma 2, c.c., in quanto stabilisce a favore del predisponente la facoltà di recedere dal contratto in dipendenza di fatti diversi dall'inadempimento, salvo che tale facoltà non sia espressamente approvata per iscritto dal contraente debole. Al contrario, la clausola che prevede l'obbligo del gestore di corrispondere al concessionario il c.d. "minimo garantito" non può essere considerata vessatoria, in quanto attiene esclusivamente alla disciplina economica del contratto e non determina a carico del gestore alcun effetto particolarmente oneroso riconducibile alle ipotesi tassativamente indicate nell'art. 1341 c.c. Pertanto, tale clausola è pienamente valida ed efficace, con conseguente fondatezza delle pretese creditorie del concessionario fondate sulla stessa. Inoltre, il mancato svincolo della sala da gioco da parte del concessionario, a seguito della risoluzione del contratto, non determina un danno risarcibile in favore del gestore, qualora tale mancato svincolo sia dipeso dalla pendenza di un contenzioso civile relativo al credito vantato dal concessionario, come da indicazioni fornite dall'Amministrazione competente. In tal caso, infatti, il comportamento del concessionario non può essere qualificato come illecito o abusivo.
Il contratto di assicurazione contro i danni è un contratto a prestazioni corrispettive, in cui l'assicurato è tenuto al pagamento del premio e l'assicuratore è obbligato al pagamento dell'indennizzo in caso di verificazione del rischio assicurato. L'assicurato che agisce per l'adempimento dell'obbligazione indennitaria deve provare la fonte negoziale del suo diritto e la verificazione dell'evento dannoso coperto dalla garanzia assicurativa, mentre l'assicuratore che intenda contestare l'operatività della polizza ha l'onere di offrire la prova della causa estintiva o impeditiva del diritto all'indennizzo. Nell'ipotesi di furto del veicolo assicurato, l'assicurato deve provare la sottrazione del bene da parte di terzi ignoti, mentre l'assicuratore può contestare la veridicità della ricostruzione fattuale fornita dall'assicurato, dimostrando elementi incompatibili con la verificazione dell'evento dannoso. Tuttavia, in assenza di prova contraria idonea a smentire le allegazioni dell'assicurato, il giudice può ritenere raggiunta la prova presuntiva dell'avvenuto furto, sulla base di un quadro indiziario complessivamente coerente. La determinazione dell'indennizzo dovuto dall'assicuratore deve avvenire nel rispetto dei limiti contrattuali, con riferimento al valore commerciale del veicolo al momento del sinistro, come individuato sulla base di parametri oggettivi di valutazione, senza che tali clausole possano ritenersi vessatorie o comunque contrastanti con la disciplina a tutela del consumatore. Oltre all'importo dell'indennizzo, l'assicurato ha diritto al rimborso delle spese stragiudiziali sostenute per l'attività di assistenza legale finalizzata all'ottenimento della prestazione contrattualmente dovuta, in quanto danno emergente conseguente all'inadempimento dell'assicuratore.
La clausola contrattuale che attribuisce al mediatore immobiliare il diritto alla provvigione anche in caso di recesso anticipato del cliente, senza prevedere un adeguamento dell'importo all'effettiva attività svolta dal mediatore, può essere ritenuta vessatoria ai sensi dell'art. 33 del Codice del Consumo, in quanto determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Il giudice è tenuto a valutare in concreto l'attività effettivamente svolta dal mediatore fino alla data del recesso, al fine di accertare se il compenso pattuito risulti proporzionato e giustificato rispetto alla prestazione resa, evitando che il diritto alla provvigione possa essere riconosciuto in assenza di qualsivoglia controprestazione. Inoltre, si presume vessatoria la clausola che consente al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore in caso di mancata conclusione del contratto o recesso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta qualora sia quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere.
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