Sentenze recenti concorrenza sleale

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo sezione staccata di Pescara Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 218 del 2022, proposto da Al. Mo., rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento del Comune di (omissis) (prot. n. 1595) del 22.06.2022 (doc. 1), notificato in data 7.07.2022 a mezzo raccomandata A/R, che dispone la revoca dell'autorizzazione n. 1/2013 per il noleggio auto con conducente rilasciata da detto Comune al Sig. Mo. e di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 aprile 2024 il dott. Massimiliano Balloriani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Considerato che: -la parte ricorrente ha impugnato il provvedimento di revoca dell'autorizzazione NCC adottato dal Comune di (omissis); - nel ricorso si espongono le seguenti ragioni di censura: - la violazione dell'articolo 11 del Regolamento comunale, approvato con delibera del 7.11.2006, in materia NCC, rubricato "Revoca della autorizzazione", laddove prevede in tal caso l'obbligo di sentire prima "le locali organizzazioni di categoria del settore autonoleggio...quando l'attività non risulti mantenuta nelle condizioni corrispondenti agli obblighi fissati per l'esercizio stesso"; - la violazione del comma 2 dello stesso art. 11, laddove prevede che "Il provvedimento di revoca dell'autorizzazione comunale di esercizio deve essere preceduto dalla contestazione degli addebiti da comunicarsi in due successive diffide notificate, a termini di legge, a distanza non inferiore e 30 gg. l'una dall'altra"; - la violazione del comma 3 dell'art. 11, il quale prevede che "In caso di giustificazione dopo la prima diffida, con la seconda l'autorità comunale è tenuta ad indicare le motivazioni di rigetto delle giustificazioni prodotte"; - in virtù della normativa dettata in occasione della pandemia Covid 19 il ricorrente avrebbe dovuto beneficiare della proroga dell'autorizzazione pur in mancanza dei requisiti; - la revoca è intervenuta su istanza dell'Anar (associazione noleggiatori area metropolitana di Roma), ma tale istanza sarebbe manifestazione di un comportamento ostruzionistico e anticoncorrenziale, dunque trasmetterebbe per connessione funzionale la propria antigiuridicità anche al provvedimento finale; - siccome le limitazioni territoriali previste dalla L. 21/1992 non potrebbero trovare applicazione nei confronti di cittadini di altri stati membri Ue, non sarebbe lecito applicare tali disposizioni a quelli italiani, creando una disparità di trattamento; - dopo l'intervento dalla sentenza della Corte Costituzionale 26 marzo 2020, n. 56, ai sensi della legge 21 del 1992 il servizio non deve necessariamente iniziare a terminare presso l'autorimessa sita nel Comune che ha rilasciato l'autorizzazione; - vi sarebbe in ogni caso la prova di un solo servizio svolto in Roma nel febbraio 2019 e non di un'attività ivi svolta stabilmente; - il ricorrente chiede inoltre la condanna del Comune al risarcimento del danno, che, a suo dire, essendo riconducibile alla perdita di clientela, quindi al paradigma della concorrenza sleale, non necessiterebbe di prova specifica; - nelle more della decisione è stata respinta la ordinanza cautelare, ed è stato respinto dal Consiglio di Stato l'appello avverso tale provvedimento interinale; - alla udienza del 19 aprile 2024 la causa è passata in decisione; - preliminarmente, il Collegio rileva che sussiste la legittimazione in capo alla parte ricorrente, nonché l'interesse ad agire; - pur avendo la medesima ceduto a un soggetto collettivo terzo la facoltà di esercizio delle attività previste da detta autorizzazione, la legittimazione del cedente permane con la titolarità, che deve ritenersi rimasta in campo al medesimo, come si evince dal fatto che lo stesso Comune, nella nota 529 del 20 febbraio 2024, afferma che la revoca dell'autorizzazione è stata indirizzata al titolare An. Mo. e solo per conoscenza alla Ro. Tr. St. Li., cessionaria; - il ricorso è infondato; - dagli atti di causa emerge che l'Amministrazione ha fornito numerosi elementi probatori idonei a dimostrare l'assenza dello stazionamento della macchina del ricorrente nel territorio del Comune resistente (vedasi i vari verbali di controllo anche dopo l'avviso di avvio del procedimento dell'autorizzazione) oltre alla presenza della stessa auto in Roma, come denunciato dalla stessa Anar (denuncia che vale come mera notizia per il Comune, essendo un procedimento instaurabile d'ufficio e che quindi non risente delle ragioni per le quali un privato ha fatto la segnalazione al Comune stesso); - tali elementi sono quantomeno idonei a invertire l'onere probatorio, nel senso che sarebbe spettato al ricorrente superare, in modo dettagliato e circostanziato, tale compendio indiziario da cui si desume l'assenza di una rimessa e di una sede operativa effettive nel territorio del Comune che ha rilasciato l'autorizzazione (cfr. Tar Bolzano sentenza 118 del 2020); - il ricorrente, viceversa, si è limitato solo a invocare e ricordare in modo generico la disciplina applicabile e le deroghe consentite senza rappresentare e dimostrare i presupposti concreti della loro applicabilità al caso di specie nei singoli episodi; - quello che si contesta al ricorrente, in altri termini, è la mancata osservanza dell'articolo 3 comma 3 della legge 21 del 1992, non dichiarato incostituzionale dalla sentenza 56 del 2020 della Consulta, a mente del quale "La sede operativa del vettore e almeno una rimessa devono essere situate nel territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione."; - ciò connota quel minimo vincolo di territorialità che deve legare l'operatore NCC con l'Ente locale che rilascia la licenza; - in altri termini, solo la necessità di ritornare ogni volta alla sede o alla rimessa per raccogliere le richieste o le prenotazioni colà effettuate può essere ritenuta superflua (determinando una inutile duplicazione dei costi del servizio), in quanto ritenuta non proporzionata dalla Corte Costituzionale (grazie anche alla possibilità, introdotta dalla stessa normativa statale di settore, di utilizzare gli strumenti tecnologici per le prenotazioni); nessuna deroga invece in ordine all'obbligo di disporre di una sede operativa e una rimessa effettive sul territorio (obbligo la cui violazione è invece sottolineata e documentata da parte del Comune: "le ulteriori verifiche consentivano di accertare che non risultavano agli atti dell'Ufficio neppure comunicazioni da parte della Ditta in oggetto in merito all'utilizzo di rimesse situate in altri Comuni all'interno della Provincia di Chieti ed emergeva altresì che la ditta titolare dell'autorizzazione risultava cancellata dal registro delle imprese per cessazione dell'attività in data 21/12/2015 e la licenza conferita alla RO. TR. ST. LI., che ugualmente non aveva mai utilizzato lo stallo di sosta e che svolgeva regolarmente l'attività altrove...nei verbali di sopralluogo redatti dallo stesso Responsabile dell'Ufficio Tecnico emergeva che l'area adibita a stalli di sosta risultava completamente abbandonata, vista la presenza della vegetazione sulla superficie asfaltata e il fatto che una parte dell'area risultava addirittura inibita allo stazionamento dalla presenza di materiale inerte depositato e da vegetazione infestante, a dimostrazione per l'appunto che l'area non era mai stata utilizzata da alcuno"); - permane in altri termini "l'obbligo di disporre di una sede o di una rimessa nel territorio del Comune che ha rilasciato la licenza di esercizio, atteso che ciò risponde all'esigenza "di preservare la dimensione locale di un servizio pubblico finalizzato, in primo luogo, a soddisfare le esigenze della comunità locale e di coloro che si vengano a trovare sul territorio comunale. La necessità di uno stabile collegamento dell'attività con la presenza di una rimessa ubicata all'interno del territorio dell'Ente è, quindi, coessenziale alla natura stessa dell'attività da espletare, diretta principalmente ai cittadini del Comune autorizzante cui si vuol garantire un servizio complementare e integrativo rispetto ai trasporti pubblici di linea" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4795 del 2023); -del resto, viceversa, sganciando l'espletamento dell'attività dalla sede di appartenenza, perderebbe di significato la competenza in capo ai Comuni, quali enti territoriali, nel rilascio delle licenze in argomento, la loro dimensione locale, nonché il necessario contingentamento delle medesime (T.A.R. Ancona, sentenza168 del 2023); - è già stata inoltre risolta in senso negativo dalla giurisprudenza la questione di un possibile contrasto tra il principio di operatività territoriale delle licenze, come sopra delineato, e il TFUE (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 11 luglio 2022, n. 5756); - i requisiti richiesti (sede e rimessa territorialmente circoscritti) non costituiscono misure restrittive della concorrenza essendo "misure indistintamente applicabili" a cittadini italiani ed europei, inidonee, in quanto tali, a porre in essere qualsivoglia discriminazione: l'accesso a simili attività è consentito alle medesime condizioni richieste dall'ordinamento italiano nei confronti dei propri cittadini e di quelli europei (cfr. art. 49 TFUE); difatti, "l'attività di N.C.C. non è un'attività liberalizzata, ma soggetta ad autorizzazione" (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1° marzo 2021, n. 1703; 21 settembre 2020, n. 4581), che viene rilasciata al ricorrere di determinati requisiti che non hanno natura "soggettiva" (es. precedenti penali, capacità finanziaria, competenze professionali, e per i quali troverebbe pacificamente applicazione il principio del c.d. home country control) ma piuttosto "oggettiva" in quanto legati a determinati standard di tipo organizzativo ("sede operativa" e "rimessa" entrambi da collocare nel territorio del comune che rilascia l'autorizzazione quali "fattori spia" di tale dimensionamento territoriale) e di tipo funzionale (relativi all'esigenza di prestare il servizio di noleggio prevalentemente all'interno del territorio provinciale di riferimento) (Consiglio di Stato sentenza 5756 del 2022); - inoltre, la sentenza della Corte di Giustizia Ue dell'8 giugno 2023 C 50/21, citata dal ricorrente, riguarda la diversa questione della imposizione di una duplice autorizzazione, prima statale e poi locale, per l'esercizio dell'attività di NCC; questione non oggetto della presente controversia; - le censure riguardanti l'omessa doppia diffida, a parere del Collegio, non valgono a connotare di illegittimità il provvedimento gravato atteso che, come documentato dal Comune e non specificamente contestato anche sul piano probatorio da parte ricorrente, pur dopo l'avviso di avvio del procedimento di revoca dell'autorizzazione (che sul piano sostanziale fornisce le medesime garanzie e la medesima consapevolezza di una diffida), il medesimo ha continuato a tenere il comportamento contestato; sicchè non appare verosimile che il medesimo (pur in concreto noncurante del procedimento sanzionatorio) avrebbe cessato la condotta all'atto della seconda diffida; - peraltro, siccome nella seconda diffida, a mente dell'articolo 11 del regolamento comunale, l'Amministrazione avrebbe dovuto confutare le ragioni esposte dal diffidato, prima di adottare il provvedimento definitivo, questa seconda garanzia può essere equiparata. sotto il profilo della partecipazione procedimentale, a una conferma dell'avvio del procedimento, la cui violazione può assumere rilievo sul piano di validità solo se la parte ricorrente prova in giudizio lacune istruttorie essenziali che sarebbero derivate dalla sua mancata piena partecipazione al procedimento, ex articolo 21 octies della legge 241 del 1990; - sotto altro profilo, tale duplicazione di forma, appare di per sé un inutile aggravamento e dunque può al più rilevare come mera irregolarità, essendo stato raggiunto pienamente lo scopo della consapevolezza e partecipazione del privato al procedimento che sanzionatorio che lo ha riguardato (Consiglio di Stato sentenza 3165 del 2018); - quanto alla omessa partecipazione delle organizzazioni di categoria, l'articolo 11 comma 1 del regolamento si riferisce alle organizzazioni locali, e dunque sarebbe stato onere di parte ricorrente indicare quali esano queste organizzazioni aventi carattere locale e che non sono state sentite, tanto più che il Comune nega la esistenza di organizzazioni di categoria locali; - quanto alla proroga delle autorizzazioni durante il periodo pandemico (a parte la circostanza che tale proroga era strettamente finalizzata a impedire decadenze direttamente collegate alle limitazioni disposte d'autorità, circostanza che nel caso di specie non è in questione; e non invece a sanare tutte le ipotesi di decadenza di carattere sanzionatorio), come evidenziato dal Comune la revoca è intervenuta in un momento successivo; - da tutto quanto sopra esposto consegue la infondatezza della domanda di annullamento e a valle, per mancanza del requisito della ingiustizia della condotta, anche della domanda di risarcimento del danno, peraltro sfornita di prova del nesso di causalità materiale e giuridica e del danno; - le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 2.500 complessive, oltre accessori come per legge; Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Passoni - Presidente Massimiliano Balloriani - Consigliere, Estensore Giovanni Giardino - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - est. Consigliere Dott. FLORIT Francesco - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA Sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/11/2021 della Corte di appello di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dott. Giuseppe Sgadari; sentito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mastroberardino Paola, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi; sentiti i difensori delle parti civili: Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), per Regione Calabria, in persona del Presidente pro tempore; Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' o comunque il rigetto dei ricorsi, depositando comparse conclusionali e note delle spese; lette le conclusioni scritte del difensore della parte civile (OMISSIS) s.r.l., Avv. (OMISSIS), che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' o comunque il rigetto dei ricorsi depositando comparsa conclusionale e nota spese; sentito il difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Reggio Calabria, in esito a giudizio abbreviato, parzialmente riformando la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria emessa il 9 settembre 2019, ha confermato la responsabilita' del ricorrente per una serie di reati di estorsione e di illecita concorrenza con minaccia e violenza, perpetrati nei confronti di imprese interessate alla realizzazione di parchi eolici in Calabria, alle quali, con metodo mafioso e nella qualita' di appartenente ad una cosca di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta (la ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrina (OMISSIS)), l'imputato aveva chiesto l'ottenimento di lavori in subappalto o il pagamento della cosiddetta tassa ambientale, ponendosi quale "referente di zona". 2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo dei suoi difensori e con distinti atti, entrambi a firma degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS). 2.1. Nel ricorso depositato il 23 giugno 2022, si deduce: 1) violazione di legge per non avere la Corte ritenuto inutilizzabili le intercettazioni disposte in esecuzione dei decreti autorizzativi n. 193/12 e 959/12, che avrebbero dovuto essere ritenuti affetti da nullita' in conseguenza del fatto che l'ufficio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria avrebbe fatto ricorso alla decretazione di urgenza in ragione di una mera attestazione dei Carabinieri relativa alla assenza di segnale nella zona di interesse sita nel territorio dell'(OMISSIS), attestazione non meglio documentata sotto il profilo tecnico - e dunque generica - che non avrebbe potuto comportare la deroga ai principi stabiliti dall'articolo 268 c.p.p., comma 3. Su tale questione, anche la Corte di cassazione, in sede cautelare, non avrebbe offerto risposta, limitandosi a statuire sul diverso aspetto relativo alla inidoneita' degli impianti della Procura ad effettuare le intercettazioni; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' per il reato di tentata estorsione aggravata di cui al capo A della imputazione. Il ricorrente e' stato ritenuto esecutore materiale della tentata estorsione alla ditta (OMISSIS) in quanto esponente della ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrina (OMISSIS); cio', nonostante nessuna sentenza avrebbe attestato tale sua appartenenza criminale alla associazione denominata ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta. La Corte, basandosi sul contenuto delle intercettazioni, avrebbe trascurato la prova documentale secondo la quale, alla data della presunta richiesta estorsiva ((OMISSIS)), la societa' (OMISSIS) aveva gia' affidato in subappalto i lavori ad altra societa' ( (OMISSIS)), sicche' il ricorrente non avrebbe potuto commettere la contestata condotta volta a costringere la (OMISSIS) proprio a tale tipo di affidamento a condizioni deteriori per la societa'. La Corte avrebbe violato il principio di correlazione tra accusa contestata e sentenza, stabilendo che la condotta avrebbe avuto ad oggetto altri e successivi lavori che la (OMISSIS) doveva subappaltare, a sua volta, ad altra societa' alla quale era interessato il ricorrente, il quale era gia' in rapporti lavorativi leciti con la (OMISSIS) prima della pretesa estorsione, altro dato documentale che la Corte avrebbe trascurato e che si porrebbe in contrasto con il contenuto delle intercettazioni valorizzate dalla sentenza (fg. 17 del ricorso). Non sarebbe stato valutato il fatto che la minaccia estorsiva era stata effettuata da due sconosciuti nei confronti di un dipendente dello stesso ricorrente, circostanza che renderebbe illogica l'assunzione del ruolo illecito ritagliato dalla Corte all'imputato, invece a sua volta vittima della pretesa estorsiva. Infine, la Corte avrebbe attribuito rilievo alle dichiarazioni di (OMISSIS), soggetto inattendibile il quale, comunque, non avrebbe formulato accuse nei confronti del ricorrente riguardo al reato di cui si discute. Nel ricorso ci si duole anche della ritenuta sussistenza delle aggravanti delle piu' persone riunite - legata incongruamente alla condotta contro il ricorrente posta in essere da due sconosciuti - di quella della appartenenza mafiosa, non dimostrata per le ragioni dette, dell'uso del metodo mafioso e della finalita' di agevolazione, escluso dalle circostanze di fatto della vicenda; 3) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' per i reati aggravati di illecita concorrenza con minaccia o violenza ed estorsione di cui ai capi G ed H. Quanto al reato di illecita concorrenza di cui al capo G, la Corte, basandosi sul contenuto delle intercettazioni, non avrebbe adeguatamente valutato che il ricorrente, sulla base dei rapporti con una ditta (la (OMISSIS)) che aveva opere in subappalto da altra che doveva realizzare un parco eolico (la (OMISSIS)), aveva titolo ad intervenire, non avrebbe estromesso alcuna altra societa' e/o commesso condotte sussumibili nella fattispecie contestata alla stregua del capo di imputazione. La Corte avrebbe travisato i fatti e condannato il ricorrente violando il principio di correlazione tra accusa contestata e sentenza nella individuazione della societa' persona offesa dal reato, indicata nella (OMISSIS) e non in altra societa' (la (OMISSIS)). La Corte avrebbe, inoltre, inaccettabilmente sminuito e dichiarato inattendibili le dichiarazioni di un manager della (OMISSIS), (OMISSIS) - rese nel giudizio di appello in seguito a rinnovazione dell'istruzione dibattimentale - e con le quali questi aveva negato di aver subito minacce dall'imputato; le quali minacce, in ogni caso, non avrebbero potuto sortire l'effetto desiderato poiche' il (OMISSIS) non era munito di potesta' decisionali. La Corte avrebbe equivocato il contenuto delle intercettazioni, attribuendo al ricorrente il ruolo di referente del territorio invece chiarito dal teste (OMISSIS) in termini leciti (fg. 32 del ricorso). Quanto al reato di estorsione di cui al capo H, la Corte avrebbe duplicato la condanna, ponendo a fondamento della decisione lo stesso materiale probatorio inerente al capo G. La Corte avrebbe travisato il contenuto della intercettazione n. 35174 dell'11 luglio 2012, il cui contenuto avrebbe dimostrato l'esistenza di rapporti leciti tra il ricorrente ed il suo interlocutore, inerenti alla spartizione di subappalti relativi ai trasporti di utilita' del costruendo parco eolico che il ricorrente gia' aveva in carico. L'imputato si duole anche della ritenuta sussistenza dell'aggravante dell'uso del metodo mafioso, non risultante dalle parole contenute nelle intercettazioni; 4) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' per i reati di illecita concorrenza ed estorsione di cui ai capi L, M ed M1. La Corte, a proposito del reato di cui all'articolo 513-bis c.p., non avrebbe tenuto conto della circostanza che non vi fosse alcuna ditta da coartare e che a nessuno fosse stato impedito di partecipare lealmente all'aggiudicazione dei lavori. Le due estorsioni contemplate nei capi L ed M sarebbero due porzioni della stessa condotta e dalle dichiarazioni dei manager della (OMISSIS) ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) rimarrebbe escluso che la societa' avesse avuto imposto di affidare lavori alla ditta Ielapi e pagato somme non dovute alla societa' (OMISSIS), cui era indirettamente interessato il ricorrente. Il ricorso, ai fgg. 37 e segg., trasfonde le dichiarazioni del manager (OMISSIS) a conforto dell'assunto e richiama quelle di (OMISSIS) idonee a smentire il dato probatorio tratto dalle intercettazioni, tanto quanto la consulenza tecnica acquisita agli atti, dimostrativa del fatto che la societa' persona offesa non aveva versato alcuna somma aggiuntiva rispetto all'entita' dei lavori indicati nella imputazione, come riportato a fg. 42 del ricorso. Il ricorrente, inoltre, segnala, con riguardo ai reati di estorsione e di illecita concorrenza di cui al capo M1, che il parallelo procedimento che ineriva alla posizione del coimputato (OMISSIS), si era concluso con un decreto di archiviazione; 5) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' per i reati di illecita concorrenza ed estorsione di cui al capo O. La Corte avrebbe travisato le prove, ritenendo sussistente - diversamente che nel parallelo procedimento a carico dei coimputati - la sussistenza dei reati di illecita concorrenza ed estorsione in danno di (OMISSIS), il quale, secondo il ricorso, era titolare di una impresa che avrebbe svolto altre incombenze (lavori di sollevamento) rispetto a quelle assegnate alla ditta dell'imputato (inerenti ai trasporti), sicche' non vi poteva essere stata alcuna estromissione della ditta dell' (OMISSIS) che avesse rilievo per la posizione del ricorrente; Mancherebbe anche il pregiudizio patrimoniale idoneo a configurare l'estorsione; 6) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' per i reati di cui ai reati di illecita concorrenza ed estorsione di cui ai capi P, Q ed R (quest'ultimo solo con riferimento al reato di estorsione). In ordine al reato di illecita concorrenza di cui al capo P, il ricorrente richiama la statuizione assolutoria resa in parallelo procedimento a carico del correo (OMISSIS). Mancherebbe l'atto di concorrenza sleale, non evincibile dalle intercettazioni, al contrario dimostrative che l'affare non fosse andato a buon fine e che nessuna imposizione si sarebbe verificata nei confronti della societa' (OMISSIS), siccome finalizzata all'ottenimento di lavori da parte di altra societa', come dichiarato dagli stessi rappresentanti della (OMISSIS). Quanto ai reati di illecita concorrenza e tentata estorsione di cui al capo Q, le risultanze processuali escluderebbero atti di minaccia o violenza nei confronti della (OMISSIS) finalizzati a imporre l'affidamento di lavori di trasporto in favore della ditta del ricorrente. Anche in questo caso, i coimputati erano stati assolti in separato processo e la Corte non individua come persona offesa la (OMISSIS) bensi' (OMISSIS), confondendo la vicenda con quella di cui al capo R. In ordine a quest'ultima imputazione - per la sola parte relativa al reato di estorsione (il ricorrente essendo stato assolto da quello di illecita concorrenza) la persona offesa (OMISSIS), soggetto legato ad ambienti malavitosi, non avrebbe potuto ritenersi attendibile, avuto riguardo alle circostanze di fatto indicate a fg. 51 del ricorso; 7) vizio della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della pena; 8) vizio della motivazione in ordine alla confisca della societa' F.E. Autotrasporti riferibile al ricorrente, compagine non piu' operativa al momento della sentenza e che, tenuto conto della estraneita' del ricorrente ai fatti sulla base di quanto sostenuto nei precedenti motivi, non avrebbe potuto essere oggetto di provvedimento ablativo. 2.2. Nel ricorso depositato il 20 giugno 2022 si deduce: 1) violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di illecita concorrenza di cui al capo G. Nella condotta contestata mancherebbe la dialettica concorrenziale che e' tipica del reato in esame, in quanto la ditta riconducibile al ricorrente aveva un contratto di subappalto precedente rispetto alle conversazioni intercettate poste a base della condanna, circostanza oggettiva che la Corte non avrebbe valutato adeguatamente ritenendo che tale contratto non avesse rilevanza, con considerazioni, tuttavia, ininfluenti rispetto al tema. Pertanto, l'impresa che avrebbe subito gli atti illeciti (la (OMISSIS)) non avrebbe potuto essere considerata una impresa concorrente. Non sarebbero stati neanche specificati gli specifici atti di violenza o minaccia posti in essere dal ricorrente e le conversazioni non proverebbero alcunche' in questo senso posta la sussistenza, a monte, del contratto di subappalto a loro precedente. Non sarebbe stata valutata la circostanza che (OMISSIS) non avrebbe avuto alcun potere decisionale, sicche' ogni minaccia nei suoi confronti, peraltro negata dal teste, non avrebbe avuto alcun effetto; 2) violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza dei reati di illecita concorrenza di cui ai capi L ed M1. Anche in questo caso, mancherebbe l'indicazione di una impresa anche potenzialmente danneggiata e, dunque, di una imprescindibile dialettica concorrenziale, cosi' come era stato ritenuto in sede cautelare dal Tribunale del riesame, con statuizione passata in giudicato in quella fase, identica nei contenuti alla fase processuale stante la scelta del rito abbreviato. Quanto al reato di cui al capo L, non sarebbe emersa alcuna specifica condotta intimidatoria posta in essere dal ricorrente nei confronti della societa' (OMISSIS) al fine di condizionare la scelta della ditta alla quale affidare i lavori del by-pass di (OMISSIS), tanto non risultando dalle emergenze valorizzate dalla sentenza impugnata. Quanto al reato di cui al capo M1, anche in questo caso mancherebbero atti di illecita concorrenza con violenza e minaccia per assicurare il servizio di guardiania alla ditta (OMISSIS), non potendo bastare i riferimenti al contesto ambientale di tipo mafioso e nulla provando in tal senso le intercettazioni se non la mera ingerenza del ricorrente nella vicenda, priva di interesse concreto; 3) violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di illecita concorrenza di cui al capo O. In questo caso, mancherebbero gli elementi attestanti il concorso del ricorrente nella condotta da altri commessa, essendosi egli limitato a commentare la vicenda senza prenderne parte; 4) violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di illecita concorrenza di cui al capo P. Anche in questo caso, mancherebbero atti di violenza o minaccia nei confronti della impresa succube, dai quali non sarebbe stato corretto prescindere cosi' come e' avvenuto con la sentenza impugnata; 5) violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di illecita concorrenza di cui al capo Q. La sussistenza del reato, come negli altri casi, avrebbe fatto riferimento al contesto ambientale e non a specifici atti illeciti riconducibili alla fattispecie contestata; 6) violazione di legge ed, in particolare, del divieto di bis in idem sostanziale per non avere la Corte ritenuto punibile il ricorrente solo per il piu' grave reato di estorsione, nel quale avrebbe dovuto ritenersi assorbita la condotta ex articolo 513-bis c.p., cosi' come contestata nelle singole imputazioni; 7) violazione di legge con riguardo alla circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1. c.p., con riferimento a tutte le imputazioni, non essendo stata provata l'appartenenza del ricorrente ad una famiglia di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta e nemmeno tale ruolo in capo ai correi; 8) violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio, avendo la Corte escluso la recidiva senza adeguata diminuzione della pena e valorizzato comportamenti processuali non significativi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono complessivamente infondati. 1.1.Quanto al primo motivo del ricorso depositato il 23 giugno 2022 ed alla eccezione di inutilizzabilita' delle intercettazioni, deve rilevarsene la manifesta infondatezza e genericita'. In primo luogo, la Corte di appello, affrontando la questione ai fgg. 18-21 della sentenza impugnata, ha opportunamente richiamato - anche trasfondendo in sentenza il passo di interesse - la pronuncia emessa dalla Corte di cassazione in fase cautelare che aveva dichiarato inammissibile il ricorso dell'imputato avverso l'ordinanza impositiva della misura cautelare disposta a suo carico (Sez. 2, n. 9669 del 06/02/2019, (OMISSIS), non massimata). In quella sede e contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di legittimita', con argomenti che il Collegio condivide e ribadisce, aveva superato l'eccezione in tutta la sua ampiezza, ritenendo legittimo il ricorso da parte del Pubblico ministero alla decretazione di urgenza ed all'utilizzo di impianti esterni rispetto a quelli in dotazione della Procura della Repubblica, in forza della specifica attestazione operata dalla polizia giudiziaria circa l'assenza di copertura telefonica nella zona aspromontana di interesse investigativo, che richiedeva l'uso di particolari apparecchiature in loco. La questione processuale, senza sostanziali modifiche, e' stata ancora una volta riproposta in questa sede. E' a dirsi, inoltre, che essa e' generica nella misura in cui non contraddice il rilievo della Corte di appello (fg. 21 della sentenza impugnata) circa il fatto che la prova di responsabilita' si fosse basata anche su intercettazioni non sorrette dai due decreti che il ricorrente vorrebbe che fossero dichiarati inutilizzabili in ragione di quanto da lui sostenuto. Tale circostanza avrebbe dovuto imporre una migliore specificazione delle emergenze potenzialmente non utilizzabili messe a confronto con le altre diversamente acquisite, in guisa da superare la prova di resistenza quale operazione indispensabile per non rendere aspecifico il motivo di ricorso per cassazione. Infatti, e' noto il principio di diritto che in tema di ricorso per cassazione, e' onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilita' di atti processuali indicare, pena l'inammissibilita' del ricorso per genericita' del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresi' la incidenza sul complessivo compendio indiziario gia' valutato, si' da potersene inferire la decisivita' in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416). Inoltre, nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilita' di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilita' per aspecificita', l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 - dep. 23/01/2015, Calabrese, Rv. 262011). 1.2. E' infondato il secondo motivo del ricorso depositato il 23 giugno 2022. Con esso si censura il giudizio di responsabilita' in ordine al capo A della imputazione, relativo al tentativo di estorsione pluriaggravata alla (OMISSIS) s.r.l. (da ora in avanti (OMISSIS)), societa' incaricata di costruire un parco eolico in (OMISSIS). Secondo i giudici di merito, pervenuti a conforme giudizio di condanna, il ricorrente, ponendosi come "referente criminale di zona" aveva imposto alla societa' il pagamento di una "tassa ambientale" e l'affidamento di lavori inerenti ai trasporti ad una ditta, la (OMISSIS) s.r.l, che successivamente li avrebbe subappaltati alla (OMISSIS) riconducibile all'imputato. 1.2.1. La prima censura difensiva, inerente alla circostanza che non fosse stata giudizialmente acclarata la partecipazione del ricorrente alla ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrina (OMISSIS), secondo quanto ritenuto dalla Corte e dal Tribunale a giustificazione del suo ruolo nella vicenda, deve ritenersi correttamente superata da quanto la sentenza impugnata ha specificato ai fgg. 59 e 60. In linea di principio, deve ricordarsi che, ai fini della configurabilita' della circostanza aggravante prevista dall'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, non e' necessario che l'appartenenza dell'agente a un'associazione di tipo mafioso sia accertata con sentenza definitiva, ma e' sufficiente che tale accertamento sia avvenuto nel contesto del provvedimento di merito in cui si applica la citata aggravante (Sez. 2, n. 33775 del 04/05/2016, Bianco, Rv. 267850; Sez. 2, n. 6533 del 01/12/2012, Santapaola, Rv. 252084). Nel caso in esame, attraverso la valorizzazione di alcuni dialoghi sui quali il ricorrente sorvola, la Corte di appello ha messo in luce che (OMISSIS) rappresentava la longa manus di (OMISSIS), correo nella estorsione della cui intraneita' alla ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta neanche il ricorso dubita. La sentenza impugnata, inoltre, ha richiamato, condividendone le conclusioni, altra statuizione non ancora irrevocabile nella quale il ricorrente era stato condannato come esponente proprio della cosca " (OMISSIS)" (sono stati indicati i riferimenti al proc. n. 4344/R.G.N. R. cosiddetto "(OMISSIS)". Peraltro, le intercettazioni richiamate dalla Corte territoriale dimostravano che egli si era mosso nella vicenda come rappresentante di varie cosche criminali interessate alla estorsione (fgg. 33-38), sicche' e' di nessun rilievo in questa sede l'accertamento di appartenenza dell'imputato all'una o all'altra compagine, come si vorrebbe in ricorso. 1.2.2. La seconda censura difensiva non tiene conto di quanto precisato ai fgg. 52-54 della sentenza impugnata, a proposito del fatto che l'imposizione all'impresa che si era realizzata attraverso la condotta del ricorrente era relativa non soltanto ai lavori di trasporto gia' affidati in subappalto alla (OMISSIS) ma aveva una piu' ampia estensione, sicche' nessuna illogicita' puo' riscontrarsi nella circostanza che il ricorrente si muovesse dopo che la (OMISSIS) aveva instaurato relazioni lavorative con la (OMISSIS). 1.2.3. Che vi sia stata una mancata correlazione tra accusa contestata e sentenza, secondo quanto adombrato dal ricorrente con altra censura, oltre che essere smentito dalla ricostruzione in fatto operata dalla sentenza impugnata, non e' eccezione che puo' trovare ingresso in questa sede, non risultando dedotta con i motivi di appello. In punto di diritto, la mancata correlazione tra accusa contestata e sentenza e' una nullita' a regime intermedio che in quanto verificatasi in primo grado deve essere dedotta fino alla sentenza del grado successivo e non per la prima volta in sede di legittimita' (Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 269886; Sez. 6, n. 31436 del 12/07/2012, Di Stefano, Rv. 253217). Semmai, nell'atto di appello si era fatta questione in ordine alla genericita' del capo di imputazione, da ritenere non ammissibile in ragione della scelta del rito abbreviato (Sez. 5, n. 33870 del 07/04/2017, Crescenzo, Rv. 270475). 1.2.4. La censura in ordine alla circostanza che il ricorrente potesse essere stato a sua volta vittima della estorsione - per il fatto che i primi emissari sconosciuti si fossero rivolti ad un suo dipendente - rappresenta una diversa ricostruzione di merito, non rivedibile in questa sede. Deve, infatti, aversi riguardo al fatto che la Corte di appello, approfondendo il punto ai fgg. 41 e 42 della sentenza, ha richiamato specifici passaggi di dialoghi intercettati - sui quali il ricorso sorvola - nei quali l'imputato aveva egli stesso attribuito a quella prima sollecitazione estorsiva un chiaro significato illecito rivolto non a lui ma alla impresa (OMISSIS), a dimostrazione che i due sconosciuti in motocicletta presentatisi al cantiere di quest'ultima ditta per pretenderne la "messa a posto", non avessero compreso di interloquire con un operaio dell'imputato e non dell'azienda principale, avendo l' (OMISSIS) gia' in essere contratti di subappalto limitati che giustificavano la presenza anche di suoi dipendenti in quel luogo. 1.2.5. La censura che inerisce alla incidenza sul quadro accusatorio della testimonianza di (OMISSIS) e' irrilevante dal momento che la Corte, a fg. 46, ha conferito un valore pressoche' nullo alla deposizione di tale teste nell'economia del giudizio relativo al delitto sub capo A, che l'ha condotta a confermare la condanna dell'imputato per tale reato. 1.2.6. Sono infondate tutte le censure volte a contestare la sussistenza delle aggravanti. Sulla integrazione dell'aggravante dell'appartenenza del ricorrente ad una compagine di tipo ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndranghetistico (articolo 628 c.p., comma 3, n. 3) si e' gia' detto al punto 1.2.1. Sulla circostanza che l'estorsione fosse stata posta in essere da piu' persone riunite, la Corte di appello, nella ricostruzione gia' esaminata, ha correttamente posto l'attenzione sulla prima intimidazione ad opera di due sconosciuti, ricondotta dallo stesso ricorrente, nei dialoghi intercettati, ad un'unica matrice nella quale anch'egli si andava ad inserire quale referente delle famiglie criminali della zona. Nel che, la presenza simultanea sul luogo del delitto di due persone, cosi' come richiesto dalla oramai pacifica giurisprudenza di legittimita' i cui contenuti in diritto non sono contestati in ricorso (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Alberti e successive conformi). Quanto alla aggravante dell'uso del metodo mafioso e della finalita' di agevolazione di una cosca, il ricorso e' generico a fronte della intera ricostruzione di merito operata senza vizi logico ricostruttivi dalla sentenza impugnata, a proposito del ruolo del ricorrente, gia' evidenziato fin qui, di referente delle famiglie di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta aventi interesse territoriale diretto al compimento della estorsione quale tipica espressione di egemonia sul territorio e di arricchimento illecito, la cui presenza era stata piu' volte evocata dal ricorrente nei dialoghi con i rappresentanti dell'impresa estorta e che, peraltro, aveva avuto una diretta estrinsecazione intimidatoria in un danneggiamento effettuato ai macchinari dell'impresa "a pacchetto lavorativo ormai perso" (fg. 43 della sentenza impugnata). Ogni altra argomentazione difensiva deve ritenersi assorbita, ivi compresa quella relativa alla mancanza di prova di una imposizione di imprese o altro a prezzi superiori a quelli operati dalle altre ditte, poiche' nel caso in esame, come si evince dalla sentenza, la natura estorsiva della pretesa consisteva nel decisivo fatto che venisse imposta alla ditta offesa una determinata impresa, cosi' elidendo la liberta' contrattuale della vittima in questo danneggiata, con ingiusto profitto per l'impresa favorita in quanto riveniente dalla imposizione e non da una normale scelta libera di mercato da parte del contraente. 1.3. E' infondato il terzo motivo del ricorso depositato il 23 giugno 2022. Con esso si critica il giudizio di responsabilita' per i reati di illecita concorrenza ed estorsione, entrambi aggravati, di cui rispettivamente ai capi G ed H della imputazione. La Corte di appello tratta dei due reati ai fgg. 64-85 della sentenza impugnata. 1.3.1. Il ricorrente pretenderebbe una diversa ricostruzione di merito delle risultanze processuali, non effettuabile in questa sede alla luce della mancanza di vizi logico-ricostruttivi nella disamina della vicenda effettuata dalla Corte di appello, siccome volta a mettere in luce, con riguardo ad altro ma similare contesto e ad altra azienda estorta (la multinazionale (OMISSIS), incaricata della realizzazione di altro parco eolico, sito in localita' (OMISSIS)), l'identico ruolo del ricorrente gia' evidenziatosi in relazione alla vicenda di cui al capo A, circostanza gia' di per se' correttamente ritenuta dai giudici di merito fortemente significativa sul piano logico. La sentenza impugnata ha basato la sua decisione interpretando il contenuto di diverse intercettazioni che dimostravano come il ricorrente avesse minacciato un manager della (OMISSIS), (OMISSIS), finanche della mancata prosecuzione dei lavori relativi al parco eolico se la gestione di essi non fosse stata attribuita a lui quale "referente di quell'area", ruolo che l'interlocutore non stentava a riconoscergli espressamente in uno dei dialoghi richiamati (fg. 70 della sentenza). La Corte territoriale ha chiarito come il ricorrente non avesse titolo alcuno a ricoprire tale ruolo se non sotto l'ottica criminale, indipendentemente dal fatto di avere in gestione subappalti, non autorizzati peraltro dall'impresa madre, in ordine ad alcune commesse, circostanza che non gli impediva di esternare la sua intenzione di estromettere altra impresa subappaltatrice delle opere (la (OMISSIS), riconducibile alla parte civile (OMISSIS)) e di manifestare la sua condotta prevaricatrice anche nei confronti della ditta dalla quale riceveva i subappalti (la (OMISSIS)) e che aveva pagato allo stesso ricorrente anche lavori da lui mai effettuati. Pertanto, sulla base di una attenta ricostruzione di merito dei fatti, la Corte ha ritenuto la sussistenza di entrambi i reati contestati. Si ricordi che secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, cui anche il Collegio aderisce, in materia di intercettazioni l'interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimita' se motivata in conformita' ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Sez.3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337). 1.3.2. Anche con riguardo a tali capi di imputazione, come per il capo A, non era stata eccepita con l'atto di appello alcuna violazione dell'articolo 521 c.p.p., sicche' la relativa censura non e' consentita in questa sede, per quanto gia' esplicitato al paragrafo 1.2.3. della presente esposizione in diritto. 1.3.3. Del pari, non risulta conforme al vero che la Corte non si sia fatta carico di valutare le dichiarazioni rese dal manager (OMISSIS) ed acquisite nel procedimento di appello. Al contrario, attraverso una dettagliata analisi contenuta ai fgg. 22-28 della sentenza impugnata, la Corte territoriale - tenendo a mente il contenuto delle intercettazioni dei dialoghi tra il manager ed il ricorrente, invero di estrema chiarezza per le ragioni dell'accusa - ha ritenuto che il teste avesse voluto sminuire i fatti, trincerandosi, piu' volte, nei "non ricordo", cosi' non fornendo adeguata spiegazione neanche delle sue stesse parole oggetto di captazione. L'assunto difensivo ulteriore che il (OMISSIS) non avesse potesta' decisionali dirette, risulta superato dalla considerazione che la minaccia all'impresa (OMISSIS) era stata veicolata attraverso di lui, che era un manager della multinazionale ben addentro alle vicende degli appalti in Calabria e del ruolo del ricorrente, come dimostrato dalle intercettazioni. L'operazione ermeneutica effettuata dalla Corte attinge al merito del giudizio, qui non rivedibile in quanto esente da criticita' o travisamenti. Tanto supera ed assorbe ogni ulteriore argomentazione difensiva. 1.3.4. La sentenza impugnata ha anche messo a (OMISSIS), attraverso la descrizione dei fatti, la sussistenza di entrambi i reati, evidenziando, per un verso, il turbamento delle regole del mercato consistite nella estromissione di ogni soggetto imprenditoriale che non fosse gestito direttamente dall'imputato; per altro verso, rimarcando la realizzazione della condotta estorsiva nei confronti dell'impresa principale attraverso l'affidamento di lavori in subappalto non autorizzati ed ottenendo anche il pagamento di importi per lavori non effettuati (conversazione con esponente della ditta (OMISSIS) a nome (OMISSIS), fg. 71 della sentenza impugnata). Nessuna duplicazione di condotte punite si e', dunque avuta, cosi' come si sostiene in ricorso senza un adeguato confronto con le specificazioni tratte dal resoconto dei fatti offerto dalla sentenza impugnata. 1.3.5. Ed e' qui il caso di sottolineare, in punto di diritto e rispetto a censure contenute anche nel secondo ricorso depositato il 20 giugno 2022, che i due reati di illecita concorrenza e di estorsione possono concorrere tra loro e gli atti di minaccia e violenza di cui all'articolo 513-bis c.p. - compiuti dal ricorrente secondo quanto evidenziato dai passi delle intercettazioni riportate ai fgg. 70 e 71 della sentenza impugnata - non necessariamente devono essere rivolti al rappresentante dell'impresa in concorrenza. Sotto il primo profilo, deve evidenziarsi un decisivo passaggio motivazionale che esprime principi giuridici in questa sede condivisi - contenuto nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 13178 del 28/11/2019, dep. 2020, Guadagni, fgg. 27 e 28: "Le illecite forme di esercizio della concorrenza incriminate dalla richiamata disposizione minacciano di rimuovere le precondizioni necessarie all'esplicarsi della stessa liberta' di funzionamento del mercato, incidendo al contempo sulla liberta' delle persone di autodeterminarsi nello svolgimento delle attivita' produttive. E' dunque il libero svolgimento delle iniziative economiche ad essere tutelato, attraverso la sanzione di comportamenti costrittivi o induttivi che possono orientarsi anche sulla liberta' di iniziativa delle persone, non piu' solo sulle cose, come nella condotta contemplata dalla contigua previsione dell'articolo 513 c.p., che di contro richiede, in alternativa all'uso della violenza, il ricorso a mezzi fraudolenti con il fine di cagionare, in entrambi i casi, l'impedimento o il turbamento dell'esercizio di un'attivita' industriale o commerciale. L'idoneita' a recare un pregiudizio all'impresa concorrente, contrastandone od ostacolandone la liberta' di autodeterminazione, connota la fattispecie dell'articolo 513-bis nella sua materialita', poiche' costituisce un elemento oggettivo della condotta, a sua volta accompagnata dalla coscienza e volonta' di compiere un atto di concorrenza inficiato dal ricorso ai mezzi della violenza o della minaccia, ossia di determinare una situazione di concorrenzialita' illecita che rischia obiettivamente di alterare o compromettere l'ordine giuridico del mercato. Sotto altro profilo, infine, gli elementi che concorrono a descrivere la tipicita' del reato di illecita concorrenza impediscono di ritenerne assorbita la condotta nella piu' grave fattispecie della estorsione (consumata o tentata) in base al criterio di specialita'. I due reati, rientranti in una diversa collocazione sistematica, offendono beni giuridici diversi, incidendo nel secondo caso sul patrimonio del soggetto passivo (Sez. 6, n. 6055 del 24/06/2014, dep. 2015, Amato, cit.), con la previsione dell'elemento di fattispecie relativo all'ottenimento di un ingiusto profitto con altrui danno, senza tradursi in una violenta manipolazione dei meccanismi di funzionamento dell'attivita' economica concorrente (Sez. 2, n. 53139 del 08/11/2016, Cotardo, Rv. 268640). Ne discende, altresi', che il delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia non puo' essere assorbito nel delitto di estorsione, trattandosi di norme con diversa collocazione sistematica e preordinate alla tutela di beni giuridici diversi, sicche', ove ricorrano gli elementi costitutivi di entrambi i delitti, si ha il concorso formale degli stessi (Sez. 2, n. 5793 del 24/10/2013, dep. 2014, Campolo, Rv. 258200; Sez. 1, n. 24172 del 31/03/2010, Vistolo, Rv. 247946)". Nello stesso senso, la piu' recente decisione di Sez. 5, n. 40803 del 15/07/2022, Mazzitelli, Rv. 283758. Sotto il secondo profilo e con particolare rilievo per il caso in esame, stante l'omologia delle vicende, va ribadito il principio secondo il quale, integra il reato di illecita concorrenza con violenza e minaccia, di cui all'articolo 513-bis c.p., l'occupazione da parte di un imprenditore colluso con i clan mafiosi di un certo mercato o di una zona "contrattualmente" stabilita, conseguente all'azione intimidatoria del gruppo criminale egemone sul territorio, determinando tale illecita concorrenza "ambientale" un forzoso boicottaggio ai danni degli altri operatori del settore, anche quando la condotta intimidatoria sia indirizzata a soggetti diversi dai concorrenti in senso stretto (fattispecie in cui, attraverso l'appoggio della cosca locale, veniva imposta agli esercenti commerciali la fornitura in via esclusiva di "slot machine" di un certo imprenditore) (Sez. 2, n. 34214 del 15/10/2020, Capriati, Rv. 280237, che richiama analogo orientamento gia' espresso da Sez. 6, n. 37520 del 18/04/2019, Rocca, Rv. 276725 a sua volta presa in considerazione dalla sentenza delle SS.UU. Guadagni, gia' richiamata, fg. 24). Inoltre, la stessa decisione della Seconda Sezione Penale di questa Corte, Capriati, prima citata, ha stabilito il principio secondo cui, integra il delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia, ex articolo 513-bis c.p., l'acquisizione di una posizione dominante in un determinato settore economico dovuta all'accordo con i clan di stampo mafioso che, attraverso condotte violente o intimidatorie, anche implicite o ambientali, precluda tanto l'accesso nel settore di altri concorrenti, quanto la liberta' dell'esercente al dettaglio di scegliere il contraente fornitore. 1.3.6. In ordine alla censura sulla sussistenza dell'aggravante dell'uso del metodo mafioso e della finalita' di agevolazione di cosche di quella tipologia, puo' rimandarsi a cio' che si e' osservato a proposito del reato di cui al capo A al paragrafo 1.2.6. delle presenti considerazioni in diritto, il ricorrente avendo assunto lo stesso ruolo criminale (indipendentemente dalle specifiche parole utilizzate nei singoli contesti) anche in relazione alle vicende descritte ai capi G ed H ed agli altri episodi ancora da esaminare, a dimostrazione della tenuta complessiva della accusa sotto il profilo logico-ricostruttivo, a volte con precise e chiare esternazioni del ricorrente volte ad individuarlo quale "referente" delle cosche di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta interessate a gestire gli appalti nel settore di interesse. 1.4. E' infondato il quarto motivo del ricorso depositato il 23 giugno 2022. Con esso si critica il giudizio di responsabilita' per i reati di illecita concorrenza ed estorsione aggravati, di cui ai capi L, M e M1 della imputazione. 1.4.1. La sentenza impugnata ha sottolineato la circostanza sempre piu' significativa in chiave logico-ricostruttiva per evidenziare l'esistenza di un radicato "sistema" di relazioni tra le cosche e le imprese e della quale il ricorso non tiene conto - che il ricorrente, in relazione alla costruzione di un by-pass stradale nel territorio di (OMISSIS) relativo a dei lavori affidati alla ditta (OMISSIS) per la costruzione di un parco eolico in (OMISSIS) (capi L ed M), aveva assunto lo stesso ruolo gia' evidenziatosi a proposito dei fatti gia' esaminati in relazione ai precedenti motivi, vale a dire di "referente mafioso" delle compagini criminali radicate nei luoghi di riferimento, che poteva decidere quale impresa doveva effettuare i lavori (in questo caso la ditta (OMISSIS) anche se formalmente l'esecutrice era la (OMISSIS)) - senza che la (OMISSIS) potesse scegliere liberamente tra quelle potenzialmente presenti sul mercato - ed anche la "tassa ambientale" che l'impresa avrebbe dovuto corrispondere per la "messa a posto", circostanza direttamente deducibile dalle intercettazioni citate in sentenza, a dispetto di ogni altra contraria deduzione. 1.4.2. Si richiama il paragrafo 1.3.3. delle presenti considerazioni in diritto quanto alle argomentazioni offerte dalla Corte in relazione alla valenza poco significativa delle dichiarazioni rese al processo dai manager della (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rispetto al contenuto delle intercettazioni dei dialoghi intrattenuti con il ricorrente e dimostrativi del timore da costoro nutrito verso quest'ultimo, nonche' del riconoscimento del suo ruolo criminale in quel contesto, ben ricostruito nel dettaglio dalla Corte, di nuovo ai fgg. 93 e seguenti della sentenza impugnata, dove si richiamano intercettazioni, dimenticate dal ricorrente, dimostrative di come egli fosse il soggetto che doveva risolvere la questione, che era presente pur non avendone titolo alla consegna dei lavori, che invitava (OMISSIS) a sovrafatturare i lavori alla (OMISSIS), che richiedeva a (OMISSIS) somme ulteriori quale tangente mafiosa, rapportandosi personalmente al soggetto mafioso che comandava in quel territorio (in questo caso (OMISSIS), con il quale il ricorrente commentava i fatti e dal quale riceveva disposizioni). Sulla configurabilita' di entrambi i reati contestati ai capi L ed M, avuto riguardo a tali specifiche condotte ben descritte e differenziate a fg. 97 della sentenza impugnata anche in relazione alle diverse fasi ed ai diversi delitti, si richiama quanto sottolineato in diritto ai precedenti paragrafi 1.3.5. e 1.3.6., in punto di sussistenza anche delle aggravanti contestate, con superamento di ogni ulteriore obiezione difensiva. 1.4.3. In ordine ai reati di estorsione e illecita concorrenza condensati nel capo M1, il ricorrente trascura del tutto la ricostruzione operata dalla Corte ai fgg. 136139 della sentenza impugnata, dove sono state citate le conversazioni dalle quali emergeva a chiare lettere che il ricorrente aveva imposto alla (OMISSIS), sempre assumendo l'oramai noto ruolo di portavoce degli interessi delle cosche del luogo, anche il servizio di guardiania relativo al parco eolico gia' interessato dai lavori di costruzione del by-pass di cui ai precedenti capi L ed M prima esaminati. Significative, tra le tante, la conversazione nella quale il ricorrente diceva espressamente che "se non c'e' guardianeria questo parco non si fa", quella nella quale (OMISSIS) della (OMISSIS) manifestava al ricorrente la difficolta' contabile a giustificare tale servizio in corso da mesi e la richiesta di pagamento del medesimo servizio sempre proveniente da (OMISSIS) ma inoltrata all'impresa da terzi (fgg. 136138 della sentenza impugnata). Rimane irrilevante e generico, rispetto a tale prospettiva basata su elementi di fatto dei quali il ricorso non tratta, l'assunto per cui dovrebbe avere un qualche significato a discarico l'intervenuta archiviazione della quale ha beneficiato altro originario coindagato del medesimo reato. Anche in relazione al reato estorsivo di cui si discute, vale il principio di diritto, gia' richiamato, secondo il quale, nel delitto di estorsione c.d. contrattuale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l'agente o con altri soggetti, l'elemento dell'ingiusto profitto con altrui danno e' implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, essendogli impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto piu' opportuno. (Fattispecie in cui la Corte ha evidenziato la compromissione dell'autonomia contrattuale della vittima, costretta ad assumere una persona non scelta da lei come "buttafuori" del locale di sua proprieta', senza la possibilita' di valutarne le qualita' personali, di particolare importanza in ragione della delicatezza delle mansioni) (Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, Di Grazia, Rv. 278998). Tanto assorbe e supera ogni diversa argomentazione difensiva, anche in riferimento a quanto dedotto con il secondo ricorso. 1.5. E' infondato il quinto motivo del ricorso depositato il 23 giugno 2022. Con esso si critica il giudizio di responsabilita' per i reati di illecita concorrenza ed estorsione, entrambi aggravati, di cui al capo O della imputazione. Anche in relazione a tali delitti, la Corte ha premesso che l'imputato aveva avuto il medesimo ruolo criminale svolto nelle precedenti occasioni, questa volta riferibili alla costruzione di un parco eolico indicato come parco (OMISSIS). Questo assunto rappresenta un primo elemento logico di valutazione avente, allo stato della trattazione delle vicende incriminate, una valenza significativa in punto di responsabilita' e di interpretazione delle emergenze processuali, che il ricorso trascura. Nella vicenda sussunta nel capo O, (OMISSIS) si era fatto tramite di imposizioni mafiose alla persona offesa (OMISSIS) che avrebbe dovuto fornire una gru alla (OMISSIS) ed eseguire i trasporti connessi. Le intercettazioni citate ai fgg. 182-184 della sentenza - sulle quali il ricorso sorvola - dimostravano che (OMISSIS) era stato intimidito e costretto a ridimensionare la portata dei lavori da fornire alla (OMISSIS) in favore della impresa ( (OMISSIS)) legata ad (OMISSIS) e che aveva effettuato i trasporti invece di quella, adibita al medesimo settore (la (OMISSIS)), riferibile ad (OMISSIS). Le diverse considerazioni difensive, oltre che inerenti al merito del giudizio, sono evasive rispetto al fulcro dell'accusa ricavato dalle intercettazioni non citate in ricorso. Sui profili giuridici, idonei a configurare entrambi i reati siccome contestati, bastera' rinviare ai paragrafi 1.3.5. e 1.3.6. delle presenti considerazioni in diritto. 1.6. E' infondato il sesto motivo del ricorso depositato il 23 giugno 2022. Con esso si critica il giudizio di responsabilita' per i reati di illecita concorrenza ed estorsione aggravati, di cui ai capi P,Q ed R della imputazione. 1.6.1. Le vicende descritte nei capi di imputazione sono legate alla realizzazione del parco eolico di (OMISSIS), commissionato dalla (OMISSIS) alla societa' (OMISSIS). Le argomentazioni difensive ineriscono al merito del giudizio e sono generiche. La Corte di appello ha iniziato la disamina dalla vicenda di cui al capo R, inerente alla estorsione ai danni di (OMISSIS), imprenditore nel settore dei sollevamenti e dei trasporti, soggetto che aveva espressamente dichiarato di aver ricevuto personalmente dal ricorrente la minaccia estorsiva consistente nel fatto di dover accettare il subappalto dei lavori commissionatigli dalla (OMISSIS) ad imprese legate all'imputato, secondo quanto da questi preteso in virtu' di una funzione di comando in quel territorio ("qui e' zona nostra e comandiamo noi", fg. 228 della sentenza impugnata). In esecuzione di tale proposito, la persona offesa aveva raccontato di un incontro procuratogli dall'imputato con un soggetto malavitoso che comandava nella zona e che da lui veniva indicato come "l'ingegnere (OMISSIS)", che aveva rinnovato le richieste estorsive consistenti nell'affidare i trasporti al ricorrente, nell'assumere personale e nel fare alloggiare i dipendenti della vittima in una struttura determinata (fgg. 230 e 231 della sentenza impugnata). La persona offesa aveva accondisceso a tali richieste con riguardo alle prestazioni del ricorrente perche' impaurita dalle minacce ricevute. La Corte ha, poi, individuato una condotta estorsiva e di illecita concorrenza, non portata a piena consumazione, prodromica a quella di cui al capo R e condensata nel capo Q, siccome volta a raffigurare il tentativo di far affidare ad (OMISSIS) il servizio di trasporto delle pale eoliche della (OMISSIS) dal porto di (OMISSIS), un "pacchetto completo" che avrebbe del tutto esautorato ogni ditta rivale e che non si era realizzato poi optandosi per l'imposizione del subappalto di cui al capo R. Altro episodio di concorrenza illecita ai sensi dell'articolo 513-bis c.p., infine, era quello descritto al capo P, avendo il ricorrente interceduto presso la (OMISSIS) affinche' affidasse alcuni lavori di sollevamento a persona con la quale egli era in contatto diretto ( (OMISSIS), presidente del consiglio di amministrazione della societa' (OMISSIS), cfr. fg. 236 della sentenza impugnata), senza che cio' si realizzasse e senza che la mancata realizzazione dell'evento avesse eliso la responsabilita' del ricorrente trattandosi di reato di pericolo. 1.6.2. Dopo le premesse descrittive, la Corte, con argomenti che i ricorsi solo genericamente contestano, ha indicato, quale primo elemento logico di valutazione, il fatto che il ricorrente avesse posto in essere ancora una volta una condotta analoga a quella tenuta con riferimento ad altri appalti riguardanti il settore eolico prima esaminati. In secondo luogo, la Corte ha messo in luce precise emergenze processuali relative all'interessamento delle cosche mafiose della zona affinche' il ricorrente ottenesse i lavori relativi ai trasporti del (OMISSIS), evidenziando dai fgg. 244 e segg., 18 precisi riscontri esterni alle dichiarazioni del (OMISSIS) idonei a giustificare il giudizio di attendibilita' criticato dal ricorrente. Tali riscontri, non richiamati in ricorso ed idonei a superare le obiezioni difensive piu' specifiche ma che non tengono conto di tali dati processuali, sono stati indicati in specifiche intercettazioni di dialoghi tra il ricorrente ed i suoi referenti criminali, aventi ad oggetto le modalita' della imposizione a (OMISSIS) in senso conforme alle dichiarazioni di quest'ultimo ed alle vicende pregresse di cui al capo Q ed ancora di quelle relative al capo P (fgg. 244 e segg. della sentenza impugnata). La Corte ha offerto una certosina ricostruzione delle vicende che non presenta vizi logici ed e' fondata su specifici dati processuali non richiamati nei ricorsi, a dimostrazione della loro genericita'. 1.7. E' infondato il settimo motivo del ricorso depositato il 23 giugno 2022. Il ricorrente non e' stato ritenuto meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per la molteplicita' e gravita' dei fatti commessi e per l'esistenza di un precedente penale specifico per tentata estorsione. Tali dati, hanno orientato la Corte a ritenere congrua una pena ben al di sotto della media edittale per il reato di estorsione consumata di cui al capo L, con giudizio che ha tenuto conto della elisione della recidiva, della sussistenza delle aggravanti e degli aumenti per la continuazione, invero assai contenuti ed ulteriormente ridotti dalla Corte rispetto alla statuizione di primo grado. La motivazione, contenuta a fg. 257 della sentenza impugnata, e' immune da vizi rilevabili in questa sede, dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche e' sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime. (da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, rv. 204768). Inoltre, nell'ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'articolo 125 c.p., comma 3, anche ove adoperi espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", ovvero si richiami alla gravita' del reato o alla personalita' del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri, Rv. 237402). 1.8. E' infondato anche l'ultimo motivo del ricorso depositato il 23 giugno 2022. La Corte ha ampiamente motivato sulle ragioni della confisca della societa' di trasporti riferibile al ricorrente e da lui gestita attraverso l'uso delle modalita' criminali che ne hanno contraddistinto la condotta in tutte le vicende oggetto di scrutinio processuale e che avevano consentito a tale societa' di accaparrarsi lavori in forza della commissione di specifici reati. Le deduzioni del ricorrente sono generiche e non richiamano tali assunti condensati ai fgg. 258 e 259 della sentenza impugnata, mentre non si comprende il suo interesse ad eccepire la circostanza che la societa', in quanto non piu' operativa, non avrebbe dovuto subire il provvedimento ablativo. 2. Tutte le argomentazioni fin qui spese per ritenere infondati i motivi del ricorso depositato il 23 giugno 2022 assorbono ogni deduzione contenuta nel secondo ricorso proposto nell'interesse del ricorrente. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di quest'ultimo al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili: - (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 2000,00 oltre accessori di legge; - (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. e (OMISSIS), che liquida per ciascuna in complessivi Euro 3686,00 oltre accessori di legge; - Regione Calabria, in persona del Presidente p.t., che liquida in complessivi Euro 3000,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniel - Consigliere Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. NICASTRO Giusepp - rel. Consigliere Dott. LEOPIZZI Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 24/11/2022 del Tribunale di Catania; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE NICASTRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che rendeva noto che, con ordinanza del 13/02/2023, la misura degli arresti domiciliari era stata sostituita con quelle dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e dell'obbligo di dimora e che, dopo dibattimento, ha chiesto l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 24/11/2022, il Tribunale di Catania, in sede di riesame, confermava l'ordinanza del 11/11/2022 del G.i.p. del Tribunale di Catania, come modificata dall'ordinanza del 14/11/2022 dello stesso G.i.p. che aveva sostituto la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, applicata ad (OMISSIS), in relazione ai delitti, commessi in concorso con altri, di illecita concorrenza con minaccia o violenza e di tentata estorsione ai danni di (OMISSIS), entrambi aggravati dal metodo mafioso. Peraltro, come si e' gia' evidenziato nell'epigrafe, il difensore dell' (OMISSIS) ha reso noto che, con ordinanza del 13/02/2023, la misura degli arresti domiciliaci e' stata sostituita dal G.i.p. del Tribunale di Catania con quelle dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e dell'obbligo di dimora. Secondo i capi d'imputazione provvisoria, i menzionati reati sono stati contestati all' (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS): a) quello di illecita concorrenza con minaccia o violenza (capo A dell'imputazione provvisoria), "poiche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e in tempi diversi, in concorso tra loro e con altri soggetti allo stato rimasti non identificati, (OMISSIS) quale titolare dell'omonima agenzia di pompe funebri sita a (OMISSIS), compivano atti di concorrenza con violenza e minaccia nei confronti di (OMISSIS) (titolare delle omonime agenzie di onoranze funebri, di cui una sita a (OMISSIS) e l'altra a (OMISSIS)) al fine, dapprima di impedire l'apertura della predetta attivita' nel Comune di Sortino e, successivamente all'apertura, al fine di impedirgliene il concreto esercizio, segnatamente: ancor prima che il predetto (OMISSIS), aprisse la nuova agenzia a Sortino, in occasione di un servizio funerario svolto in quel Comune nel 2019, veniva avvicinato da 5 soggetti non meglio identificati e uno di loro proferiva la seguente minaccia di morte: "qui non devi piu' venire a svolgere funerali, perche' se vieni di nuovo lo ti porto al cimitero assieme al morto" e, successivamente, sempre in tale occasione, mentre faceva rientro a Siracusa, veniva affiancato da un'autovettura BMW, di colore scuro con a bordo i soggetti che prima lo avevano avvicinato e uno di essi (diverso da quello che lo aveva precedentemente minacciato) gli faceva segno con il dito indice come se premesse il grilletto di un'arma da fuoco in sua direzione, nonche', dopo l'apertura dell'agenzia di (OMISSIS), (OMISSIS), (custode del cimitero di (OMISSIS)) che era stato incaricato da (OMISSIS) di reperire un muratore che lo collaborasse per le tumulazioni, veniva minacciato ad opera di ignoti al fine di rifiutare la collaborazione con il suddetto (OMISSIS); in particolare (OMISSIS), riferiva a (OMISSIS): "quelli che comandano il paese, non vogliono, non vogliono, non vogliono me lo hanno detto bello chiaro. Tu come gli fai il muratore e' meglio che ti guardi perche' ti picchiamo"; e ancora, prima che (OMISSIS), aprisse l'agenzia a Sortino, in occasione di un servizio funerario ivi svolto mediante l'agenzia siracusana, ignoti strappavano i manifesti funebri affissi a Sortino dai suoi dipendenti, mentre successivamente all'apertura dell'agenzia di Sortino, in occasione di altro servizio funebre ne danneggiavano i manifesti alterandone l'indicazione dell'ora della cerimonia funebre; e invero: (OMISSIS), contiguo al clan Nardo di Lentini (al momento dei fatti detenuto presso la Casa di Reclusione di Augusta), faceva pervenire a (OMISSIS) l'ordine di impedire a (OMISSIS), di aprire una filiale della sua agenzia in (OMISSIS), (OMISSIS), (al momento dei fatti detenuto presso la Casa di Reclusione di Augusta), in data (OMISSIS), a mezzo telefono minacciava (OMISSIS) proferendo le seguenti parole: "nunna' mettiri chiu' peri a Sortino... nu cia' passari nemmeno ra' strada... u vo' rapiri-", (OMISSIS), (titolare dell'omonima agenzia di pompe funebri sita a (OMISSIS)) dava mandato ai propri dipendenti (OMISSIS) e (OMISSIS) di porre in essere piu' atti di concorrenza mediante minaccia nei confronti del suddetto (OMISSIS) e dei suoi collaboratori e invero (OMISSIS), dapprima, minacciava (OMISSIS), (collaboratore di (OMISSIS)), mentre questi si trovava per strada a (OMISSIS), proferendo al suo indirizzo le seguenti parole: "ma tu chi cazzo sei per attaccare le carte- Tu non le devi piu' attaccare Tu non le devi piu' attaccare altrimenti ti succede qualcosa di brutto" (riferendosi all'affissione dei manifesti funebri dell'agenzia (OMISSIS)), e successivamente minacciava di morte (OMISSIS) (altro collaboratore di (OMISSIS)) che in quel momento si trovava davanti all'agenzia, proferendo al suo indirizzo le seguenti parole "bastardo picca nai... te' scannari"; mentre, (OMISSIS), minacciava (OMISSIS), dopo che (OMISSIS) aveva aperto l'agenzia a Sortino, dicendogli che per il suo bene era meglio che smettesse di collaborare con il predetto (OMISSIS); (OMISSIS), in data (OMISSIS), esplodeva due colpi di fucile a canne mozze all'indirizzo della porta d'ingresso della sede di Siracusa dell'agenzia di onoranze funebri di (OMISSIS). Con l'aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416 bis c.p., segnatamente con metodo mafioso fondato sulla intimidazione della vittima, sulla minaccia armata mediante danneggiamento, nonche' facendo intendere alla persona offesa l'esistenza del controllo del territorio di Sortino da parte di un'organizzazione criminale di tipo mafioso. (...) In (OMISSIS)"; b) quello di tentata estorsione ai danni di (OMISSIS), (capo B dell'imputazione provvisoria), "perche', in concorso tra loro e con altri soggetti allo stato rimasti non identificati, con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e anche in tempi diversi, al fine di procurare a (OMISSIS), titolare dell'omonima agenzia di onoranze funebri sita in (OMISSIS), l'ingiusto profitto di mantenere nel settore funerario sortinese una situazione di monopolio di fatto, con violenza e minaccia, meglio descritte al capo che precede, compivano atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere (OMISSIS), gia' titolare dell'omonima agenzia di onoranze funebri sita in (OMISSIS), dapprima a non aprire una nuova agenzia a Sortino, e successivamente all'apertura, per costringerlo a desistere dal concreto esercizio della stessa, non riuscendo nel loro intento per la reazione della vittima che nonostante tutto si determinava ad avviare l'attivita' anche nel Comune di Sortino e a denunciare i fatti all'Autorita' Giudiziaria. Con l'aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416 bis c.p., segnatamente con metodo mafioso fondato sulla intimidazione della vittima, sulla minaccia armata mediante danneggiamento nonche' facendo intendere alla persona offesa l'esistenza del controllo del territorio di Sortino da parte di un'organizzazione criminale di tipo mafioso. (...) In (OMISSIS)". 2. Avverso la menzionata ordinanza del Tribunale di Catania, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, (OMISSIS), affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), c.p.p., la "mancanza di gravi indizi di colpevolezza (articolo 273 c.p.p.) ed erronea valutazione degli stessi" con riguardo ai due menzionati reati di illecita concorrenza con minaccia o violenza e di tentata estorsione, aggravati dal metodo mafioso. Il ricorrente rappresenta in proposito che: a) "(n)essun episodio viene ricondotto all' (OMISSIS)", "se non ipoteticamente", e "il Tribunale eredita la motivazione del Giudice delle Indagini Preliminari senza nulla aggiungere in merito alla carenza (per meglio dire assenza) dei gravi indizi di colpevolezza eccepiti dalla Difesa. Si sottolinea inoltre come il Tribunale del Riesame si sia limitato ad elencare gli elementi di fatto - in particolare, riportando il contenuto delle intercettazioni captate tra terzi coinvolti - senza compiere alcuna valutazione critica delle fonti indiziarie sulla scorta della ricostruzione effettuata dalla Difesa"; b) "il Tribunale nulla dice in merito alle prove a favore" e, in particolare, non si fa "carico di un'evidenza probatoria di straordinaria rilevanza: (OMISSIS), si reca a parlare, a chiarire con (OMISSIS), perche' ha saputo che nella giornata del dialogo a Sortino sono arrivate 4/5 persone, che lo cercano per picchiarlo. Si reca dunque, a parlare con il (OMISSIS), a cui evidentemente attribuisce l'iniziativa, e il (OMISSIS), non nega la circostanza. (OMISSIS) ammette che ha strappato le carte ma nega gli altri avvenimenti. Si rinvia alla lettura della trascrizione della conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), registrata da quest'ultimo. Quello del (OMISSIS), organizzare una spedizione punitiva, e' l'atteggiamento di un soggetto succube della violenza di cui al 513 c.p., che gia' si e' rivolto peraltro in svariate occasioni all'Autorita'- Tale circostanza fa il paio con la presentazione che di se' fornisce ai Carabinieri, il socio del (OMISSIS), (OMISSIS), come soggetto che ha avuto guai con la giustizia ma ha pagato i debiti, ed anche con l'aggressione del (OMISSIS) ad opera di ignoti nel corso di un servizio funebre. Nulla sul punto viene detto in motivazione dal Tribunale del Riesame, eppure e' circostanza che di certo riverbera lo stato di soggezione del (OMISSIS) e le esigenze cautelari poste a fondamento della misura"; c) "l' (OMISSIS) non ha posto in essere nessuna minaccia ne' estorsione ed inoltre non vi sono atti idonei a dimostrare presunti legami diretti tra clan e (OMISSIS)- (OMISSIS) e (OMISSIS)"; d) "nell'ordinanza cautelare, alla quale rinvia per relationem il Tribunale del Riesame, non vi e' traccia di alcuna conversazione che funga da collegamento tra (OMISSIS) e (OMISSIS) con il detenuto (OMISSIS)", inoltre, da un lato, "sorge un grande interrogativo che fa perdere logica all'assunto accusatorio: perche' (OMISSIS) che e' impossibilitato dallo stato detentivo, chiede aiuto ad un altro detenuto (il Sinatra) per effettuare una telefonata minacciosa-" e, dall'altro lato, "non vi e' alcun collegamento-contatto verificato tra Sinatra e (OMISSIS)"; d) il Tribunale di Catania non si sarebbe confrontato con il rilievo, contenuto nella memoria difensiva, che, dalla telefonata fatta da (OMISSIS) alla persona offesa (OMISSIS), "Sinatra sembrerebbe agire in autonomia e di propria esclusiva iniziativa e non nell'interesse di (OMISSIS) anzi in suo sfavore e quindi giammai ha agito nell'interesse della ditta (OMISSIS)"; e) "in nessun punto dell'ordinanza il Tribunale del Riesame riesce a collocare, ne' a contestualizzare la figura dell' (OMISSIS) ai due esponenti del clan" ( (OMISSIS) e (OMISSIS)); f) il Tribunale di Catania, nel ritenere che la persona offesa (OMISSIS) "percepiva chiaramente che dietro agli atti di illecita concorrenza con minaccia e violenza posti in essere da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ci fosse l'organizzazione mafiosa locale, facente capo a (OMISSIS)", avrebbe "fatto proprie dichiarazioni evidentemente suggestive e prive di riscontro" e avrebbe fatto leva "solo su "percezioni" avute dalla persona offesa ma mai riscontrate"; g) il Tribunale di Catania non avrebbe motivato in ordine alla deduzione difensiva secondo cui, come risultava dalla conversazione con il guardiano del cimitero (OMISSIS), "i problemi al (OMISSIS), non nasce(vano) dalla presenza della ditta (OMISSIS) ma dalla mancanza di autorizzazioni" e lo stesso Tribunale non si sarebbe posto "il problema di riscontrare se veramente vi fosse un monopolio illegale garantito dalla criminalita' a favore di (OMISSIS) o vi fossero altre "preoccupazioni" che sicuramente non sono addebitabili agli odierni indagati", segnatamente, "se il movimento creatosi attorno all'apertura della sede del (OMISSIS) fosse solo mera preoccupazione commerciale"; h) il Tribunale di Catania avrebbe quindi dovuto annullare l'ordinanza impugnata perche' la motivazione di essa non conteneva la valutazione, a norma dell'articolo 292 c.p.p., dei motivi per i quali erano stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa; i) il Tribunale di Catania avrebbe travisato le dichiarazioni di (OMISSIS); I) quanto al reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza, il Tribunale di Catania non avrebbe "chiarito come la condotta specifica di (OMISSIS) possa aver direttamente limitato la liberta' di autodeterminarsi del (OMISSIS) se lo stesso, sentito a sommarie informazioni in data 12/05/2022 conferma di voler continuare l'attivita' a Sortino pur avendo avuto scarsi risultati. (...) inoltre (...) nessun indizio inequivocabile e' stato indicato come idoneo a sostenere che effettivamente il (OMISSIS) ha subito una limitazione della capacita' imprenditoriale a causa delle minacce e violenze poste in essere dal (OMISSIS) e dai coindagati, infatti non e' mai stato fatto un riscontro dei servizi funebri realizzati dal (OMISSIS) o da altri concorrenti prima degli eventi contestati"; m) quanto al reato di tentata estorsione, nell'ordinanza impugnata "non vi sono neanche accennati i gravi indizi di colpevolezza (...) di detto reato a carico di (OMISSIS)", sicche', "in merito al reato di estorsione vi e' una totale carenza di motivazione"; n) quanto all'aggravante del metodo mafioso, "gli elementi raccolti a carico dell'indagato si limitano a generiche asserzioni e rinvii agli atti di indagine, cosi' da esporre l'ordinanza all'ulteriore censura di carenza di motivazione" e la stessa qualificazione dell'aggravante come oggettiva, operata dal Tribunale di Catania, sarebbe erronea, avendo invece la stessa circostanza natura soggettiva; o) il Tribunale di Catania avrebbe omesso "di rappresentare quali siano gli atti intimidatori posti in essere dal (OMISSIS), (banale "dipendente" di un'agenzia di pompe funebri) per un cosi' largo lasso di tempo" e l'assenza di un'idonea motivazione in ordine alla gravita' indiziaria risulterebbe anche alla luce "dell'inattendibilita', intrinseca ed estrinseca, del "teste/querelante" di riferimento le cui dichiarazioni non possono ritenersi corroborate dalle captazioni telefoniche non contestualizzate e comunque non riferibili agli odierni indagati"; p) sempre a proposito dell'aggravante del metodo mafioso, il Tribunale di Catania non si sarebbe fatto "carico di una circostanza ampiamente rappresentata dalla Difesa in sede di riesame, nessun legame diretto e' stato riscontrato tra il (OMISSIS) e l'ambiente malavitoso, e' necessario prendere in considerazione la natura condotta occasionale dell'indagato che non puo' essere sufficiente, di per se' a configurare la fattispecie tipica dell'aggravante del metodo mafioso". 2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la mancanza delle "esigenze cautelari in riferimento per mancanza di gravi indizi di colpevolezza (articolo 273 c.p.p.) ed erronea valutazione degli stessi". Dopo avere affermato che la presunzione relativa prevista dall'articolo 275 c.p.p., comma 3, secondo periodo, dovrebbe essere valutata, per i reati aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1 c.p., secondo parametri diversi da quelli valevoli per gli associati o per i concorrenti nel reato di associazione di tipo mafioso, il ricorrente lamenta che il Tribunale di Catania: a) avrebbe applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari "sulla scorta di un automatismo e senza valutare gli elementi sintomatici della pericolosita' sociale dell'indagato, sui quali (...) si e' espresso in termini assertivi e svincolati dalle emergenze indiziarie"; b) avrebbe dovuto "analizza(re) le modalita' e la gravita' del fatto, onde desumerne elementi sintomatici della pericolosita' dell'indagato, circostanza che non si e' realizzata", atteso che lo stesso Tribunale avrebbe omesso "di motivare concretamente in merito alle esigenze cautelar', ed in particolare ad oggi non c'e' una valutazione aggiornata del periculum ma e' cristallizzata al periodo della richiesta di misura cautelare, di circa 10 mesi fa. Inoltre, (...) la misura cautelare, giunge quasi due anni dall'ultimo asserito episodio"; c) si' sarebbe "limita(to) a motivare il rischio di reiterazione dei reati desumendolo non solo dalla frequenza delle condotte illecite compiute (pur rappresentando che di fatto e' solo una) ma anche dalla spregiudicatezza (immotivata) con cui gli indagati starebbero ancora pianificando "l'isolamento lavorativo" del (OMISSIS): un sistema collaudato che potrebbe perpetuarsi all'infinito se il (OMISSIS) non dovesse riuscire ad incrementare i servizi funebri a Sortino"; d) avrebbe illogicamente motivato la sussistenza delle esigenze cautelari nonostante la mancanza di "ulteriori atti eclatanti" di intimidazione; e) avrebbe operato una valutazione disancorata dalle risultanze processuali, atteso che "la stessa persona offesa LI sentita in data (OMISSIS), alla specifica domanda se fosse stata ancora avvicinata da persone con l'intenzione di intimorirla e/o dissuaderla dall'operare nel territorio di Sortino, afferma "dopo il chiarimento avuto con (OMISSIS) di cui vi ho parlato nessuno mi ha piu' avvicinato per minacciarmi"", con la conseguenza che "la circostanza che permangono gli effetti degli atti intimidatori di concorrenza sleale e' solo una presunzione e non e' ancorata all'oggettiva pericolosita' dell' (OMISSIS)"; f) non avrebbe considerato che l' (OMISSIS) "e' sottoposto alla misura degli arresti domiciliari da circa un mese e nessuna ulteriore azione e' stata lui addebitabile", e' incensurato ed e' dedito a una regolare attivita' lavorativa. Quanto alla scelta della misura degli arresti domiciliari, il ricorrente deduce che: a) la stessa sarebbe inadeguata e sproporzionata in relazione alla natura e alle concrete esigenze cautelari in quanto "eccessivamente afflittiva e sproporzionata"; b) il Tribunale di Catania avrebbe operato "un'aprioristica presunzione di adeguatezza, giustificata dalla contestata aggravante ex articolo 416 bis 1 c.p."; c) "la modalita' della condotta e la personalita' del (OMISSIS) sono tali da giustificare la possibilita' che le esigenze cautelari (...) possano essere soddisfatte con altra misura". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo non e' consentito. 1.1. Occorre preliminarmente rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo chiarito che, "(i)n tema di misure cautelari personali, allorche' sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimita' e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravita' del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie" (Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828-01). Tale orientamento, dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi e al quale intende, percio', dare continuita', e' stato ribadito anche in pronunce piu' recenti di questa Corte (tra le altre: Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 25546001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012-01). Da cio' consegue che "(I)'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex articolo 273 c.p.p. e delle esigenze cautelari di cui all'articolo 274 stesso codice e' rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicita' della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che il controllo di legittimita' non concerne ne' la ricostruzione dei fatti, ne' l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilita' delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze gia' esaminate dal giudice di merito)" (tra le altre: Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400-01). Piu' in generale, con riguardo all'illogicita' della motivazione, si deve ricordare che l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01; in senso analogo, Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074-01). 1.2. L'ordinanza impugnata, anche richiamando la motivazione dell'ordinanza del G.i.p. del Tribunale d Catania applicativa della misura, ha confermato la sussistenza, in capo all' (OMISSIS) - titolare dell'impresa concorrente di quella di (OMISSIS) - dei gravi indizi di colpevolezza dei reati di illecita concorrenza con minaccia o violenza e di tentata estorsione ai danni del (OMISSIS), sulla base dei seguenti elementi indiziari: a) le dichiarazioni della persona offesa (OMISSIS), ritenuto credibile e attendibile, con particolare riferimento a quella relativa alla telefonata ricevuta dallo stesso (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) - preceduta da una telefonata da parte di un ignoto interlocutore di analogo contenuto - il quale, veicolando un ordine di (OMISSIS) (come era confermato dall'intercettata conversazione progr. 249 del (OMISSIS)), gli aveva intimato di non mettere piu' piede a Sortino, lasciandogli intendere che, in caso contrario, avrebbe subito gravi conseguenze; b) l'esplosione, da parte di (OMISSIS), di due colpi di fucile a canne mozze all'indirizzo della porta d'ingresso della sede di Siracusa dell'Agenzia di onoranze funebri del (OMISSIS); c) le dichiarazioni di (OMISSIS), (al quale il (OMISSIS) aveva commissionato il servizio di affissione dei manifesti funebri) e di (OMISSIS), (dipendente dell'agenzia di onoranze funebri del (OMISSIS)), i quali avevano riferito delle intimidazioni e minacce rivolte loro dai due dipendenti dell' (OMISSIS) (OMISSIS) (genero dell' (OMISSIS)) e (OMISSIS), nonche' la registrata (dal (OMISSIS)) conversazione tra lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS) (guardiano del cimitero di Sortino), elementi che comprovavano come a essere minacciati fossero stati anche i vari soggetti che si erano trovati a collaborare con il (OMISSIS); d) gli atti di "sabotaggio" subiti dal (OMISSIS), come l'asportazione o la copertura dei manifesti da lui fatti affiggere, fatto, quest'ultimo, che era stato ammesso da (OMISSIS); e) la conversazione del (OMISSIS) tra il (OMISSIS), il suo socio (OMISSIS) e (OMISSIS), ritenuta dal G.i.p. del Tribunale di Catania dimostrativa dei rapporti tra l' (OMISSIS) e il (OMISSIS), almeno quanto alla protezione di cui il primo godeva da parte della locale criminalita' organizzata, di cui il (OMISSIS), era esponente di spicco, la quale garantiva all' (OMISSIS) una situazione di monopolio di fatto nel settore delle onoranze funebri a Sortino. Quanto all'aggravante del metodo mafioso - la quale, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, essendo relativa alle modalita' di realizzazione dell'azione criminosa, ha natura oggettiva (e non soggettiva); con la conseguenza che essa e' valutabile a carico dei concorrenti che siano stati a conoscenza del metodo mafioso ovvero l'abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa (Sez. 4, n. 5136 del 02/02/2022, Arlotta, Rv. 282602-02) - il Tribunale di Catania ha ritenuto la sussistenza dei gravi indizi della stessa aggravante alla luce dei seguenti elementi indiziari: a) la gia' menzionata telefonata fatta da (OMISSIS) a (OMISSIS) nella quale il primo, veicolando indicazioni di (OMISSIS), chiariva al secondo che, per aprire un'agenzia di pompe funebri a Sortino, doveva avere l'autorizzazione di chi cola' comandava, evocando cosi' la forza intimidatrice dell'organizzazione mafiosa che operava nel territorio; b) le gia' menzionate affermazioni di (OMISSIS), il quale inizialmente si rifiutava di aiutare il (OMISSIS) per paura di (OMISSIS), poi riferiva allo stesso (OMISSIS) che nessuno voleva lavorare con lui perche' nessuno voleva avere problemi con (OMISSIS) e che anch'egli era stato piu' volte minacciato da "quelli che comandano in questo paese"; c) la gia' menzionata conversazione tra il (OMISSIS), il suo socio (OMISSIS) e (OMISSIS); d) il "classico avvertimento di natura mafiosa" costituito dalla gia' ricordata esplosione, da parte di Jonny Pezzinga, di due colpi di fucile a canne mozze all'indirizzo della porta d'ingresso della sede di Siracusa dell'Agenzia di onoranze funebri del (OMISSIS). Sulla base di tali elementi, il Tribunale di Catania perveniva alla conclusione che, data anche la contestualita' temporale tra le menzionate telefonata del (OMISSIS), ed esplosione dei due colpi di fucile e gli atti di illecita concorrenza e di intimidazione posti in essere dai collaboratori dell' (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti dei collaboratori del (OMISSIS), quest'ultimo ebbe chiara la percezione che dietro i predetti atti di illecita concorrenza e di intimidazione posti in essere dai collaboratori dell' (OMISSIS) vi fosse l'organizzazione mafiosa locale, che faceva capo a (OMISSIS). In tale modo, l'ordinanza impugnata si deve ritenere avere dato adeguatamente conto, senza incorrere in alcuna violazione di norme di legge, e con una motivazione esente da incoerenze e da illogicita' manifeste, delle ragioni che l'hanno indotta ad affermare la gravita' del quadro indiziario a carico dell' (OMISSIS). A fronte di cio', le doglianze del ricorrente riguardano l'apprezzamento del giudice di merito in ordine alla rilevanza e alla concludenza dei dati probatori, risolvendosi nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze gia' esaminate dal giudice di merito, il che, come si e' visto al punto 1.1, non e' ammissibile in questa sede di legittimita'. 2. Il secondo motivo e' manifestamente infondato. 2.1. Si deve anzitutto evidenziare che, come correttamente affermato dal Tribunale di Catania, per i reati di illecita concorrenza con minaccia o violenza e di tentata estorsione aggravati dal metodo mafioso opera la doppia presunzione relativa - di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere - prevista dall'articolo 275 c.p.p., comma 3, terzo periodo. Cio' precisato, con riguardo a tale doppia presunzione relativa nel caso di delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1, comma 1, c.p., la Corte di cassazione ha affermato i seguenti principi, che il Collegio condivide: in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato per delitto aggravato dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, comma 1, conv. con modif dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 (ora articolo 416-bis.1 c.p., comma 1), la presunzione relativa di pericolosita' sociale di cui all'articolo 275 c.p.p., comma 3, terzo periodo, puo' essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga che l'associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l'organizzazione criminosa. In assenza di tali elementi, il giudice della cautela non ha l'onere di argomentare in ordine alla sussistenza o permanenza delle esigenze cautelari ancorche' sia decorso un notevole lasso di tempo tra i fatti contestati in via provvisoria all'indagato e l'adozione della misura cautelare (Sez. 5, n. 35847 del 11/06/2018, C., Rv. 274174-01; in senso analogo: Sez. 1, n. 23113 del 19/10/2018, dep. 2019, Fotia, Rv. 276316-01; Sez. 5, n. 35848 del 11/06/2018, Trifiro', Rv. 273631-01); in tema di misure cautelari, la presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, operante - ai sensi del comma 3 dell'articolo 275 c.p.p. - per i delitti aggravati del Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7, puo' essere superata soltanto quando, in relazione al caso concreto, siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, non essendo idonea, allo scopo, la mera allegazione del tempo trascorso e della durata della restrizione sofferta (Sez. 2, n. 6574 del 02/02/2016, Cuozzo, Rv. 266236-01; Sez. 1, n. 29530 del 27/06/2013, De Cario, Rv. 256634-01); la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all'articolo 275 c.p.p., comma 3, e' prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall'articolo 274 c.p.p., con la conseguenza che, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall'articolo 275, comma 3, c.p.p., detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualita' e concretezza del pericolo (Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, Ferri, Rv. 282766-02. In motivazione la Corte ha aggiunto che, nella materia cautelare, il decorso del tempo, in quanto tale, possiede una valenza neutra ove non accompagnato da altri elementi circostanziali idonei a determinare un'attenuazione del giudizio di pericolosita'); la regola generale contenuta nell'articolo 275 c.p.p., comma 3-bis, secondo cui il giudice, nel disporre la custodia in carcere, deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo elettronico, non trova applicazione quando la custodia in carcere venga disposta per uno dei delitti per i quali opera la presunzione relativa di adeguatezza di tale misura, ai sensi del comma 3 del predetto articolo 275 (Sez. 2, n. 3899 del 20/01/2016, Martinelli, Rv. 265598-01; Sez. 2, n. 4951 del 12/01/2016, Soleti, Rv. 266152-01; Sez. 1, n. 19234 del 22/12/2015, dep. 2016, Rotari, Rv. 26669201). 2.2. Nel caso in esame, il Tribunale di Catania, in assenza di elementi che potessero fare ritenere che l' (OMISSIS), avesse rescisso i propri legami con la locale organizzazione mafiosa che faceva capo a (OMISSIS), ha vieppiu' sottolineato, in punto di attualita' e concretezza del periculum, come il (OMISSIS), ancorche' non avesse subito atti di manifesta intimidazione dopo la propria denuncia del gennaio del 2021, permanesse nell'impossibilita' di reperire a Sortino i collaboratori che gli erano necessari per organizzare i servizi funebri e come, su cento all'anno di questi, egli ne organizzasse non piu' di dieci. In tale modo, il Tribunale di Catania si deve ritenere avere senz'altro assolto all'onere motivazionale che grava sul giudice della cautela nelle ipotesi in cui proceda per un reato aggravato ai sensi dell'articolo 416-bis.1 c.p., comma 1. Quanto, infine, alla doglianza con la quale il ricorrente ha censurato la scelta della misura degli arresti domiciliari, asserendo che le esigenze cautelari ben avrebbero potuto essere soddisfatte con un'altra misura meno afflittiva, e' sufficiente osservare che - come si e' gia' detto sia nell'epigrafe sia al punto 1 del "Ritenuto in fatto" - il G.i.p. del Tribunale di Catania ha gia' provveduto, con ordinanza del 13 febbraio 2023, a revocare la misura degli arresti domiciliari e ad applicare all' (OMISSIS), le meno afflittive misure cautelari dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e dell'obbligo di dimora. 3. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento nonche' della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); (OMISSIS) SRL IN PERS. DEL RAPPR. PROC. (OMISSIS) avverso la sentenza del 08/09/2021 della CORTE APPELLO di GENOVA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' dei ricorsi. uditi i difensori: L'avvocato (OMISSIS), difensore delle parti civili, deposita nota spese e conclusioni alle quali si riporta; chiede rigetto dei ricorsi. L'avvocato (OMISSIS), quale sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS) difensore di (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso; nelle more eccepisce l'intervenuta prescrizione. L'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), legale rappresentante della (OMISSIS) srl, si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Genova, in riforma della sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Massa il 14.6.2019, ha condannato (OMISSIS) alla pena di anni uno di reclusione e 7000 Euro di multa in relazione ai reati di contraffazione di alcuni rotoli di nastri da bomboniere e da confezione, tra quelli contestati e sequestrati, riproducenti marchi figurativi dei brand di lusso "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" (attraverso la ditta individuale tessile denominata " (OMISSIS)", di cui era titolare), e di commercializzazione sistematica di tali prodotti contraffatti (attraverso la " (OMISSIS). s.r.l.", di cui era amministratore unico); sono state riconosciute, nei confronti dell'imputato, le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto all'aggravante di cui all'articolo 474-ter c.p.; la sentenza d'appello ha anche dichiarato, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, la responsabilita' amministrativa della societa' " (OMISSIS). s.r.l.", applicando all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria pari a 200 quote del valore di Euro 300 ciascuna, nonche' la sanzione interdittiva prevista dagli articoli 5, 25-bis e 9, comma 1, n. 2, dello stesso decreto legislativo per la durata di mesi sei, ordinando la pubblicazione della sentenza per estratto, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 18. 1.1. L'assoluzione era stata fondata dal giudice di primo grado su alcuni argomenti principali: a) i disegni impressi sui nastri sequestrati erano diversi rispetto a quelli oggetto di registrazione da parte delle due case di moda (OMISSIS) e (OMISSIS) e non era rinvenibile nemmeno la presenza di segni distintivi delle predette griffe che permettessero di confondere i rispettivi prodotti (cfr. pag. 4 e ss della sentenza di primo grado) con cio' escludendosi la contraffazione laddove i marchi venissero considerati di tipo "debole"; b) qualora i marchi fossero ritenuti di tipo "forte" non ricorrevano comunque quei requisiti enunciati dalla giurisprudenza di legittimita' per determinare la tutela penale ed identificabili nel riferimento al nucleo ideologico caratterizzante il messaggio proveniente dal marchio; nell'affinita' tra prodotti e nel "rischio di associazione" ai prodotti originali, che determinerebbero un vulnus al segno oggetto di tutela, tenuto conto della destinazione merceologica dei prodotti della ditta individuale " (OMISSIS)" esclusivamente al settore delle bomboniere, assai diverso da quello oggetto interesse delle case di moda coinvolte; c) il marchio "(OMISSIS) check" non sarebbe oggetto di tutela in qualsivoglia colore declinato, ma solo per quella combinazione di colori oggetto di registrazione nella domanda specificamente depositata (ovvero marrone chiaro, beige, rosso, bianco e nero); d) quanto al nastro ricondotto a (OMISSIS), l'aspetto del nastro sarebbe talmente comune da non potersi collegare univocamente alla nota griffe fiorentina, stante anche l'assenza di elementi ulteriori che vanno a comporre il marchio nell'insieme, quali, ad esempio, il monogramma o la staffa. E questo dato e' confortato dalla documentazione prodotta dalla difesa dell'imputato all'udienza del 14 giugno 2019 volta ad evidenziare come l'impiego dei colori del nastro, tra loro accostati nella medesima sequenza "verde-rosso-verde", sia proprio, ad esempio, di altra identita', quale l'ordine cavalleresco al merito del lavoro ovvero sia addirittura presente in opere d'arte figurativa del XV secolo, che riproducono personaggi abbigliati con tessuti a strisce "verde-rosso-verde" (vedi pagina 5 della sentenza). Infine, ad avviso del Tribunale, nessun significato penale di ammissione del reato poteva essere ricondotto all'atto di transazione sottoscritto nel 2010 da (OMISSIS) con la "(OMISSIS)". 1.2. La sentenza d'appello ha ribaltato, sostanzialmente, le affermazioni della pronuncia assolutoria, complessivamente ritenendo provato il reato sulla base principalmente dei seguenti argomenti: a) il marchio "(OMISSIS)" sarebbe registrato anche come marchio "figurativo" in bianco e nero, con copertura della tutela per tutte le declinazioni di colori; b) sono stati sequestrati alla ditta (OMISSIS) anche nastri pedissequamente riproduttivi del disegno grafico e della colorazione "(OMISSIS)" di (OMISSIS) (nastro (OMISSIS)) o estremamente somigliante (nastri (OMISSIS)); c) la tutela penale investe il marchio e non il prodotto, sicche' non ha rilievo il settore merceologico delle bomboniere cui si dedicava l'attivita' d'impresa dell'imputato, tanto piu' che i nastri potevano avere anche altre destinazioni; d) il diritto di preuso riconosciuto in qualche modo all'imputato dal primo giudice si riferisce, al piu', solo alle colorazioni del check diverse da quella classica, poiche' quest'ultima avrebbe avuto gia' una sua notorieta' al momento dell'utilizzo da parte della " (OMISSIS)"; e) non sarebbe credibile la tesi difensiva secondo cui il nastro contraffatto riproduttivo del marchio (OMISSIS) con colorazione verde-rosso-verde era solo un prodotto semilavorato e da completare con caratteri che ne avrebbero impedito l'assimilazione al marchio figurativo piu' famoso oggetto di tutela. 2. Avverso la citata sentenza ricorrono sia l'imputato che l'ente, tramite distinti ricorsi. 3. Il ricorso di (OMISSIS), proposto dal difensore di fiducia, eccepisce sette diversi motivi. 3.1. Il primo argomento di censura evidenzia il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata, in relazione alla sussistenza del reato di contraffazione ex articolo 473 c.p. in capo all'imputato. La tesi difensiva e', in sintesi, basata sulla constatazione che i giudici d'appello hanno solo apoditticamente affermato la notorieta' e la natura di "marchio di fatto" del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS) gia' in epoca precedente al preuso da parte dell'imputato, superando il difetto di qualsiasi registrazione del marchio in esame che fondasse il diritto di privativa formalmente e, quindi, determinando una violazione della disposizione penale incriminatrice che esplicitamente prevede - dopo la novella del 1999 - l'inciso "potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprieta' industriale", a significare la necessita', per la proprieta' industriale e per la tutela penale, della brevettazione e registrazione del marchio. La sentenza d'appello, con l'interpretazione "estensiva" della tutela penale ad un "marchio di fatto", avrebbe violato i principi di tassativita' della norma penale che, come riconosciuto anche in dottrina, ritiene la registrazione del marchio l'elemento essenziale ed il presupposto dell'integrazione del reato. 3.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia mancanza e manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata, ancora una volta stigmatizzando il concetto di marchio "notorio" antecedente alla registrazione formale del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS), sotto il profilo del difetto argomentativo ex articolo 606, comma 1, lettera e, c.p.p.: nel processo ed in sentenza non vi sono tracce di prova di tale notorieta' in epoca antecedente all'uso da parte del ricorrente dei nastri incriminati, dedicati, peraltro, ad un settore merceologico ben preciso, quello delle bomboniere, completamente estraneo all'interesse della casa di moda inglese, che ha registrato il marchio "classico" (cammello, nero, bianco e rosso) nel 1986 solo per le classi merceologiche "pelletteria, tessuti e abbigliamento" (classi 18, 24 e 25; mentre i nastri per confezioni appartengono alla classe 16); il disegno "(OMISSIS)", peraltro, ancora nella giurisprudenza civile della Cassazione del 1999, non era univocamente ritenuto espressivo di marchio piuttosto che di decoro figurativo. Inoltre, il ricorrente propone la seguente questione in tema di interpretazione dell'articolo 473 c.p.: il marchio registrato riconoscerebbe un'esclusiva limitata ai prodotti e servizi rivendicati nella domanda, ovvero circoscritta al settore merceologico di riferimento; di conseguenza la sua tutela penale deve essere limitata alla classe merceologica rispetto alla quale viene registrato il marchio o segno distintivo (tanto e' vero che il marchio "(OMISSIS)" puo' essere registrato per due aziende completamente differenti: auto e spumanti): ecco perche' la stessa (OMISSIS) ha registrato numerosi marchi per lo stesso segno "classico" in relazione a diversi prodotti. Nel caso di specie, quindi, la registrazione non afferisce al settore "nastri per confezioni". 3.3. La terza censura attiene al travisamento delle prove in relazione alla parte della condotta di contraffazione riferita al nastro per bomboniere ritenuto pedissequa copia del segno (OMISSIS) (nastro verde-rosso-verde): la sentenza impugnata ha ignorato le emergenze istruttorie dalle quali era evidente che il prodotto sequestrato non era ancora ultimato ne' destinato alla vendita. La polizia giudiziaria ha attestato di aver trovato i nastri "pseudo-(OMISSIS)" solo presso la ditta individuale del ricorrente e non presso la societa' che avrebbe dovuto commercializzarli, a riprova che il nastro fosse una produzione ancora da elaborare, come sostenuto dall'imputato e dal commercialista aziendale; la Corte d'Appello ha equivocato il luogo del ritrovamento del nastro, abbinandolo alla societa' (OMISSIS). s.r.l. e le dichiarazioni del teste (OMISSIS). 3.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'articolo 473 c.p. avente ad oggetto il nastro riproduttivo dei colori di (OMISSIS), facendo leva sull'argomento della riconducibilita' del disegno a bande "verde-rosso-verde" anche alla decorazione per l'onoreficenza dell'ordine dei (OMISSIS), disciplinata espressamente dalle leggi n. 199 del 1952 e n. 194 del 1986, che prevedono una croce d'oro piena sorretta da un nastro listato da una banda proprio identica a quella utilizzata dalla griffe, specificando che il nastro puo' essere portato senza la decorazione, a riprova della sua qualita' di nastro-emblema di Stato. La difesa evidenzia che, pur senza voler sindacare la possibile nullita' del marchio riproduttivo di un emblema di Stato (ai sensi della Convenzione di Parigi del 20.3.1883 e successive modifiche, che sancisce la nullita' di marchi industriali che riproducono stemmi, bandiere e altri emblemi di Stato, nonche' del Regolamento UE 2017/1001 del Parlamento Europeo e del Consiglio), non e' stato provato che l'imputato non avesse intenzione di destinare la produzione di nastri all'impiego nell'investitura dei (OMISSIS), perfettamente sovrapponibile tanto piu' per il settore merceologico di utilizzo del nastro, vale a dire bomboniere per cerimonie. 3.5. La quinta ragione di ricorso eccepisce vizio di motivazione del provvedimento di riforma, che non ha corrisposto ai canoni argomentativi giurisprudenziali della cd. "motivazione rafforzata", in particolare omettendo di confrontarsi con le considerazioni del primo giudice circa l'assenza di un effettivo rischio di confondibilita' tra i prodotti, sia per il settore merceologico di riferimento, sia per le caratteristiche intrinseche del nastro e le divergenze rispetto al marchio (OMISSIS) (una "tramatura" giudicata molto "comune"). 3.6. Si denuncia anche, in punto di dosimetria sanzionatoria, la mancata attestazione della pena nel minimo edittale, nonostante la valutazione di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche sull'aggravante ex articolo 474-ter c.p., ritenuta sussistente pur se i marchi contraffatti costituivano solo una minima parte della produzione della ditta individuale ed ancorche' la disciplina aggravatrice sia stata voluta per reprimere fenomeni di attivita' di contraffazione organizzata, certamente estranei al ricorrente. 3.6. Un ultimo motivo di ricorso impugna l'ordinanza del 17.11.2020 della Corte d'Appello ed eccepisce vizio di mancanza e contraddittorieta' della motivazione: i giudici hanno rinnovato solo parzialmente la prova dichiarativa, riascoltando un solo teste tra i tredici dipendenti e tecnici tessili presenti nella lista difensiva, nonche' uno solo dei tre agenti di rappresentanza indicati in lista, senza neppure farsi carico di spiegare le ragioni dell'operata selezione, con cio' ledendo il diritto di difesa del ricorrente. 4. Il ricorso proposto per conto dell'ente - la " (OMISSIS). s.r.l.", in persona del suo procuratore speciale (OMISSIS), evidenzia diversi profili di censura, raccolti in due macroaree: la prima, dedicata a contestare l'an della responsabilita' dell'ente; la seconda, incentrata sui vizi determinativi delle sanzioni inflitte all'ente. 4.1. Quanto alle censure che afferiscono alla stessa affermazione di responsabilita' della persona giuridica, un primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza del reato presupposto della responsabilita' amministrativa dell'ente, richiamandosi la difesa alla motivazione della pronuncia di primo grado, che non sarebbe stata superata adeguatamente da quella d'appello. La Corte territoriale ha riconosciuto la notorieta' del marchio di fatto "(OMISSIS)", ritenendo che i prodotti in relazione ai quali e' intervenuta condanna lo riproducessero pedissequamente, senza tener in conto del diritto di preuso, sin dagli anni ottanta (ex articolo 2571 c.c.) riconoscibile al ricorrente, e della mancanza dei presupposti su cui ritenere operante, in assenza di registrazione formale del marchio in epoca precedente al diritto di preuso, un diritto di privativa della societa' londinese derivante dalla asserita rinomanza del suo logo. Inoltre, si sottolinea come il primo marchio vantato come "classico" da (OMISSIS) (con i colori cammello, nero, bianco e rosso), registrato il (OMISSIS) era riferito alle classi merceologiche "pelletteria", "tessuti", "abbigliamento", con esclusione, quindi, dei "nastri per confezione", non ricompresi sino all'anno 1992. La circostanza, evocata dai giudici d'appello, che la tutela penale si accorderebbe al "segno" e non al "prodotto" prova troppo, visto che, se fosse possibile ritenere un marchio tutelato a prescindere dal settore merceologico in cui viene registrato, non vi sarebbe allora necessita' di registrarlo nuovamente per ogni segmento di prodotti. Mancherebbe, altresi', la prova dell'elemento soggettivo del reato, come dimostrerebbe la liceita', riconosciuta dagli stessi giudici di merito, della condotta del ricorrente di produzione di nastri a disegno "scozzese" con colorazioni diverse da quelle tipiche del marchio (OMISSIS). Si invoca, altresi', l'insussistenza del reato di contraffazione di marchi anche per la riproduzione dei nastri con colorazione e disegno "(OMISSIS)" (bande verde-rosso-verde): la difesa sostiene che si trattasse di prodotti merceologici non ancora ultimati, dei "semilavorati", tanto che non vi e' prova della loro commercializzazione (come risulta dallo stesso esame dei testi di polizia giudiziaria e di un operaio della ditta tessile). Inoltre, si rappresenta che il marchio (OMISSIS), in realta', sfrutta un disegno cromatico gia' disciplinato dalla L. n. 1999 del 1952 e dalla L. n. 194 del 1986 per la decorazione della croce di nomina dei (OMISSIS), sicche' il nastro listato da una banda di colore rosso fra due bande verdi e' gia' un "segno" d'interesse pubblico sin da prima della nascita del marchio (OMISSIS) e non avrebbe potuto essere registrato a scopi commerciali, anzi potrebbe essere oggetto di domanda di nullita' ai sensi della Convenzione di Parigi per la protezione della proprieta' industriale del 20.3.1883 e successive modifiche. In ogni caso, tale circostanza, come anche confermato dalla sentenza di primo grado, comporta che non puo' escludersi che i nastri prodotti dalla ditta " (OMISSIS)" potevano essere destinati all'uso per cerimoniale collegato all'investitura dei (OMISSIS). I giudici d'appello, con riguardo alle considerazioni da ultimo svolte, non hanno speso alcuna motivazione, ne' al riguardo potrebbe mai invocarsi una motivazione implicita, poiche' gli argomenti utilizzati a sostegno della condanna non assorbono e superano la questione relativa alla riconducibilita' del marchio all'ordine di rilievo pubblicistico. Si denuncia anche violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata rispetto alle considerazioni del giudice di primo grado relative al fatto che la trama comune del nastro, unita alla circostanza della netta diversita' del settore merceologico di destinazione del prodotto rispetto alla registrazione (OMISSIS), impedivano qualsiasi confusione del marchio. 4.2. Il secondo argomento difensivo eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al necessario presupposto per giungere all'affermazione della responsabilita' amministrativa dell'ente: il reato deve essere stato commesso nell'interesse o a vantaggio della persona giuridica (Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5); al riguardo, la sentenza d'appello non da' alcuna argomentazione se non la tautologica asserzione che la posizione apicale rivestita da (OMISSIS) in entrambe le societa' e il ripetuto acquisto del materiale sono aspetti tali da dimostrare che egli avrebbe agito non nell'interesse esclusivo personale ma anche nell'interesse o a vantaggio della societa' rappresentata, ignorando gli elementi di prova contraria presenti nel processo. In altre parole, non vi e' prova di una politica d'impresa volta all'illecito, tanto piu' che l'attivita' di vendita relativa ai prodotti in contestazione era marginale per la (OMISSIS). s.r.l. e la dimensione irrisoria degli introiti dovuti a tali operazioni commerciali, l'irrilevanza sul suo fatturato (inferiore all'10/0, dimostrata dalla difesa con le produzioni documentali all'udienza del 17.5.2021), lo confermano. 4.3. La terza censura si incentra sull'affermazione di responsabilita' dell'ente (OMISSIS). s.r.l. relativamente alla produzione del nastro ritenuto contraffacente il marchio (OMISSIS). La difesa sottolinea che il sequestro del nastro e' avvenuto solo presso la ditta individuale, poiche' nella societa' condannata non e' stato rinvenuto che il solo nastro (OMISSIS): pertanto, non vi sarebbe prova dell'illecita commercializzazione del prodotto contraffatto da parte dell'ente, che sarebbe stato coinvolto, per tale aspetto del reato, solo per la coincidenza soggettiva tra il titolare della ditta individuale produttrice e l'amministratore legale della persona giuridica. E la stessa imputazione non reca traccia della commercializzazione da parte di (OMISSIS). s.r.l. dei prodotti a marchio contraffatto (OMISSIS), ma si limita a contestare alla persona fisica (OMISSIS), quale titolare della ditta individuale " (OMISSIS)", la produzione illecita, senza che sia coinvolta la societa' poi condannata anche per questa porzione di condotta (riguardo alla contestazione delle violazioni rilevanti ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, il GUP aveva gia' prosciolto in udienza preliminare la ditta individuale dell'imputato, inizialmente imputata, per l'inapplicabilita' della legislazione a tale tipologia di ente: l'imputazione non e' stata mai modificata, peraltro, sicche' la condanna e' stata emessa anche in violazione delle norme del codice di rito a tutela della coerenza tra accusa e sentenza). In altre parole, la tesi difensiva e' che la persona fisica autrice del reato non ha neppure formalmente impegnato l'ente nel compimento di un'attivita' destinata a riversarsi nella sua sfera giuridica, sicche' la condanna per tale parte di condotta relativa alla commercializzazione del prodotto con marchio contraffatto (OMISSIS) sarebbe stata emessa in violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 66. 4.4. Un ulteriore motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'ordinanza emessa il 17.11.2020 dalla Corte d'Appello, con cui si e' disposta la rinnovazione delle prove dibattimentali, senza spiegare sulla base di quale valutazione esse siano state selezionate. In particolare, si lamenta la revoca di alcune prove gia' ammesse in primo grado e la conseguente limitazione del diritto dell'ente alla difesa (testimonianze di operai, agenti di rappresentanza). 4.5. Passando ad esaminare il blocco di eccezioni relative alla determinazione delle sanzioni, una prima ragione difensiva denuncia la dosimetria della sanzione pecuniaria inflitta alla (OMISSIS). s.r.l., con riguardo alla misura delle quote societarie. Nonostante l'affermazione dei giudici d'appello di non particolare gravita' del fatto ascritto all'ente, la determinazione del numero di quote in cui si concretizza la sanzione pecuniaria non e' stata contenuta nel minimo (che e' 100, con massimo edittale di 500 quote ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25-bis), bensi' in una misura che e' pari quasi alla meta' della forbice edittale, con violazione dei parametri commisurativi dettati dagli articoli 10 e 11 del medesimo decreto legislativo (che prescrive di confrontarsi con le condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, valutazione del tutto omessa dalla Corte d'Appello, che non ha tenuto conto delle piccole dimensioni imprenditoriali della (OMISSIS). s.r.l.) e delle stesse premesse argomentative anteposte alla sanzione. Si contesta, altresi', la mancata applicazione dell'attenuante ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 12, comma 1, priva di motivazione, nonostante sussistessero i due requisiti previsti: a) l'interesse minimo dell'ente al fatto di reato e l'interesse prevalente della persona fisica; b) il danno patrimoniale cagionato di particolare tenuita'. La concedibilita' dell'attenuante avrebbe potuto determinare anche la condizione ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 13, comma 3, ostativa all'inflizione delle sanzioni interdittive e quella ostativa alla pubblicazione della sentenza di condanna (articolo 18 del citato decreto legislativo), sanzioni che, pertanto, risultano inflitte al di fuori delle disposizioni di legge. 4.6. La seconda, complessa, ragione di censura afferente al trattamento sanzionatorio denuncia violazione di legge in relazione all'applicazione della sanzione interdittiva all'ente, in assenza della prova dei presupposti richiesti dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 13, nonche' violazione dell'articolo 59 del medesimo decreto, che prescrive che la contestazione deve contenere gli elementi identificativi dell'ente, l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto che puo' comportare l'applicazione delle sanzioni amministrative (vale a dire, a giudizio della difesa, i caratteri concreti che denotano il deficit organizzativo-preventivo, la natura dell'interesse o vantaggio dell'ente), con l'indicazione del reato da cui l'illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova: il deficit dell'imputazione determinerebbe la sua nullita' per violazione dell'articolo 178, comma 1, lettera c) e del diritto di difesa (articoli 24, 111 Cost; articolo 6 CEDU). Quanto all'assenza dei presupposti ex Decreto Legislativo n. 231, articolo 13, la difesa rileva che non si ricade nel presupposto della lettera a (poiche' il fatto non e' grave), ne' in quello della lettera b (poiche' gli illeciti non sono reiterati: la societa' non e' mai stata imputata o condannata prima del presente processo). Infine, un ultimo argomento difensivo evidenzia la violazione dei criteri previsti dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 11 e 14, in relazione alla scelta di applicare anche la sanzione interdittiva, senza tener conto che la seconda disposizione citata impone una valutazione di proporzionalita' complessiva dell'intervento sanzionatorio nei confronti dell'ente, mentre i giudici d'appello, nel caso di specie, hanno applicato tutte le sanzioni previste dall'articolo 9 del decreto 231, automaticamente e senza motivare sulla loro scelta ne' sul criterio della loro commisurazione. Si rappresenta, in proposito, che il comma 4 del richiamato articolo 14 consente il ricorso all'interdizione dell'attivita' solo se le altre sanzioni risultino inadeguate, poiche' la misura interdittiva costituisce una extrema ratio, data la sua afflittivita' e l'incidenza sulla vita giuridica ed economica dell'ente; la Corte d'Appello, contraddittoriamente ed immotivatamente, ha applicato la sanzione interdittiva, peraltro senza specificare le ragioni della durata stabilita, pur qualificando l'illecito come non di particolare gravita' e non ha indicato le attivita' o le strutture sulle quali deve avere incidenza la sanzione, come invece prescritto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 69, comma 2: da qui il vizio di omessa motivazione. 4.7. Il terzo motivo di ricorso, attinente alle sanzioni inflitte all'ente, ruota intorno alla condanna alla pubblicazione della sentenza ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 18, considerata dai giudici d'appello alla stregua di un effetto automatico dell'affermazione di responsabilita' dell'ente, laddove, invece, il legislatore la prevede come facoltativa, con necessita' di valutazione da parte del giudice della sua necessita' (evidente per l'utilizzo dell'espressione normativa "La pubblicazione della sentenza di condanna puo' essere disposta quando nei confronti dell'ente viene applicata una sanzione interdittiva"); per di piu', la sua applicazione e' subordinata alla riscontrata gravita' della condotta, senza dubbio esclusa nel caso di specie dalla stessa sentenza impugnata. Vi sarebbe, pertanto, sia un vizio di omessa motivazione che di motivazione manifestamente illogica. 5. Il Sostituto Procuratore Generale Pasquale Serrao d'Aquino ha chiesto l'inammissibilita' dei ricorsi. 6. Ha depositato memoria la parte civile "(OMISSIS) s.p.a.", evidenziando con ampie argomentazioni le ragioni di manifesta infondatezza del ricorso; in particolare, si mette in risalto l'assoluta non confondibilita' tra il disegno (OMISSIS) a nastro verde-rosso-verde e il simbolo dei (OMISSIS); tale carattere di distinguibilita' da parte del pubblico rende l'utilizzo del marchio legittimo, tanto che e' stato registrato sia in Italia sia in Europa. Inoltre, si aggiunge che vi sarebbero elementi per ritenere che il settore merceologico di utilizzo nei nastri da parte dell'imputato sia stato anche quello dell'abbigliamento (come emerge dalla transazione della ditta (OMISSIS) con la (OMISSIS) ltd, agli atti del processo) e la totale infondatezza della prospettiva difensiva secondo cui il nastro "(OMISSIS)" poteva essere destinato a quell'uso limitatissimo del conferimento dell'onoreficenza di (OMISSIS), ovvero fosse un prodotto semilavorato non commercializzabile (il quantitativo ritrovato sarebbe di ostacolo a tale ultima conclusione). 7. Ha proposto memoria anche la parte civile "(OMISSIS) ltd", sostenendo la correttezza della decisione di condanna, che contiene una motivazione rafforzata ed esatta dal punto di vista dell'applicazione giurisprudenziale in tema di contraffazione di marchi; si rappresenta, altresi', che la rinnovazione della prova dichiarativa in appello, sfrondando le liste testi, sia stata assunta di comune accordo tra le parti e i giudici. Nel merito, la parte civile evidenzia, quanto alla tesi difensiva sul preuso del marchio (che la memoria ritiene, peraltro, non adeguatamente provata poiche' basata solo su incerte prove testimoniali), come i giudici d'appello hanno correttamente osservato che non vi potesse essere un preuso lecito da parte dell'imputato rispetto alla registrazione del 1986, se gia' da prima di tale anno il marchio era gia' in uso a (OMISSIS) e noto ai consumatori. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso dell'imputato (OMISSIS) non e' inammissibile, sicche' deve rilevarsi l'intervenuta prescrizione del reato, fissata al 19.10.2021 ai sensi degli articoli 157 e 161 c.p., tenuto conto della data dei fatti (contestati al 1.2.2013) e pur computati i periodi di sospensione rilevabili dagli atti. Rileva il Collegio che in particolare, i due motivi di censura proposti dal ricorrente per vizi di natura processuale (il quinto ed il sesto motivo dell'impugnazione di legittimita'), pur infondati, superano la soglia di ammissibilita', di talche' il ricorso e' idoneo - diversamente dai casi di inammissibilita' per manifesta infondatezza delle censure - ad instaurare il rapporto di impugnazione, condizione che consente di rilevare d'ufficio ex articolo 609, comma 2, c.p.p. una causa di non punibilita' nelle more intervenuta, nel caso di specie costituita, appunto, dalla prescrizione del reato (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 e Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818, in motivazione). Ed infatti, non e' fondata l'obiezione (quinto motivo) relativa al mancato rispetto dell'obbligo, gravante sul giudice d'appello, di delineare le linee portanti del proprio, alternativo ragionamento decisionale, compendiato nell'endiadi sintetica utilizzata dal ricorrente della violazione dell'obbligo di "motivazione rafforzata" - obbligo che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice da tempo indica come lo standard motivazionale necessario per superare la pronuncia di primo grado (cfr., per tutte, Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679 e Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430), vieppiu' quando il ribaltamento riguardi una sentenza assolutoria. La sentenza impugnata ha ampiamente argomentato sui punti di contrasto tra il proprio convincimento e quello del giudice di primo grado, supportando la motivazione con riferimenti puntuali alle prove raccolte nel processo, in particolare alla struttura dei prodotti con marchio ritenuto contraffatto di "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" ed alle ragioni giuridiche in base alle quali ha ritenuto che fosse integrato il reato previsto dall'articolo 474 c.p. (secondo quanto meglio si dira' di seguito per valutare la sentenza impugnata agli effetti civili). Anche la censura espressa nell'ultimo motivo di ricorso e' priva di fondamento, poiche', se e' vero che non sono stati ascoltati tutti i testi indicati nelle liste ammesse in primo grado, e' altrettanto indubbio che il Tribunale non abbia svolto alcuna istruttoria, avendo pronunciato sentenza di assoluzione sulla base delle sole prove documentali e fotografiche relative ai sequestri dei prodotti con marchi ritenuti contraffatti ed all'esito di un esame della giurisprudenza di legittimita' sia civile che penale. Viene meno, dunque, l'esigenza stessa di ragionare in termini di rinnovazione in contraddittorio orale della prova dichiarativa in caso di overturning di condanna, dettata dal nuovo articolo 603, comma 3-bis, c.p.p. e desunta dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr., per tutte, Sez. U, n. 11586 del 30/9/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808, che, in motivazione, ha riepilogato il percorso ermeneutico sul tema, disegnato dalle Sezioni Unite, a partire dalla sentenza Sez. U, n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, Rv. 267490, in linea con la giurisprudenza della Corte EDU): nel caso di specie, infatti, non vi e' stata alcuna assunzione in contraddittorio di testimonianze poi non rinnovate in appello ne' vi e' stata alcuna indicazione motivazionale relativa ad una valutazione di prove testimoniali o della loro attendibilita'. Pertanto, in assenza di elementi che rendano evidenti i presupposti per un proscioglimento nel merito ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., deve accedersi ad una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali perche' il reato e' estinto per prescrizione. 1.1. La declaratoria di prescrizione non esime il Collegio dall'esaminare il ricorso agli effetti civili, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., quanto alle sue ulteriori ragioni, essendo stato l'imputato condannato anche alle statuizioni civili in favore delle societa' "(OMISSIS) ltd" e "(OMISSIS) s.p.a." (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244273). Ed infatti, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale nei gradi di merito e' intervenuta condanna, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., il giudice d'appello e la Corte di cassazione sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili e, a tal fine, i motivi di ricorso proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato secondo quanto previsto dall'articolo 129 c.p.p. (cfr., per il giudizio d'appello, negli stessi termini, Sez. 5, n. 28289 del 6/6/2013, Cologno, Rv. 256283; nonche', tra le tante, in ordine al giudizio di legittimita', in motivazione: Sez. 1, n. 14822 del 20/2/2020, Milanesi, Rv. 278943 e Sez. 5, n. 26217 del 13/7/2020, G., Rv. 279598-02, nonche' Sez. 5, n. 28848 del 21/9/2020, D'Alessandro, Rv. 279599. Vedi in precedenza, altresi', Sez. 5, n. 5764 del 7/12/2012, dep. 5/2/2013, Sarti, Rv. 254965 - 01; Sez. 5, n. 14522 del 24/3/2009, Petrilli, Rv. 243343 - 01; Sez. 6, n. 21102 del 9/3/2004, Zaccheo, Rv. 229023 - 01). Secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale (cfr. la sentenza n. 182 del 2021 Corte Cost.), il giudice penale, chiamato a verificare la sussistenza dell'illecito civile ai sensi dell'articolo 578, comma 1, c.p.p., dovra' basarsi sulla regola di giudizio civilistica per la valutazione della responsabilita', vale a dire il canone valutativo del "piu' probabile che non", piuttosto che sul criterio penalistico dell'alto grado di probabilita' logica (ovvero dell-oltre ogni ragionevole dubbio"), sia pur riconoscendo la non piena sovrapponibilita' della fisionomia del giudizio relativo ai soli interessi civili svolto in sede penale rispetto a quello che si tiene dinanzi al giudice civile (cfr. Sez. 5, n. 4902 del 16/1/2023, Rv. 284101). 1.2. Orbene, le censure di merito relative alla sussistenza del reato di contraffazione nei riguardi della "(OMISSIS) ltd" e della "(OMISSIS) s.p.a." sono prive di pregio, alla stregua della suddetta verifica, e complessivamente anche formulate secondo direttrici di critica inammissibili dinanzi alla Cassazione, poiche' declinate come ricostruzione alternativa degli elementi di prova in atti. Il Collegio premette che la tutela penale accordata alla protezione marchi, riconosciuta nell'ambito di fattispecie di reati cd. "di pericolo", discende dalla necessita' di offrire adeguata garanzia al bene giuridico della fede pubblica, direttamente coinvolto, pur implicando, al fondo, evidenti ragioni di garanzia degli interessi economici sottesi. Le figure tipiche dei delitti previsti dagli articoli 473 e 474 c.p., pertanto, sono costruite secondo lo schema normativo dei reati di pericolo, sicche' cio' che rileva e' la mera attivita' di contraffazione o alterazione dell'altrui marchio in quanto foriera dell'immissione sul mercato di beni suscettibili di ledere la fede pubblica e ingenerare confusione, nuocendo all'affidamento dei consumatori (Sez. 3, n. 14812 del 30/11/2016, dep. 2017, Shi, Rv. 260751; Sez. 5, n. 27743 del 30/4/2019, Campo, Rv. 276772; Sez. 5, n. 28956 del 8/5/2012, Mugnolo, Rv. 253240). Tanto cio' e' vero che, secondo la giurisprudenza assolutamente pacifica di questa Corte regolatrice, integra il delitto di cui all'articolo 474 c.p. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che abbia rilievo neppure la configurabilita' della contraffazione grossolana, considerato che l'articolo 474 c.p. tutela, in via principale e diretta, non gia' la libera determinazione dell'acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno, non ricorrendo, quindi, l'ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanita' della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilita' che gli acquirenti siano tratti in inganno (cfr., per tutte, la piu' recente sentenza massimata sul punto: Sez. 2, n. 16807 del 11/1/2019, Assane, Rv. 275814). Quanto alla configurabilita' oggettiva del reato, ai fini dell'integrazione dei reati di cui agli articoli 473 e 474 c.p., un marchio si intende contraffatto quando la confusione con un segno distintivo similare emerga non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo cioe' all'insieme degli elementi salienti, grafici, fonetici o visivi, tenendo, altresi', presente che, ove si tratti di un marchio "forte", sono illegittime anche le variazioni, sia pure rilevanti ed originali, che lasciano sussistere l'identita' sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l'attitudine individuante (Sez. 2, n. 40324 del 7/6/2019, D'Ospina, Rv. 277049). Inoltre, l'oggettiva e inequivocabile possibilita' di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore forma oggetto di un giudizio di fatto demandato al giudice di merito e insindacabile se rispondente ai criteri della completezza e logicita' (Sez. 5, n. 25147 del 31/1/2005, Bellomo, Rv. 231894). La giurisprudenza della Cassazione civile - necessario specchio ermeneutico di quella penale in materia di tutela dei marchi - anche recentemente ha ricordato come la qualificazione del segno distintivo quale marchio "debole" non incide sull'attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull'intensita' della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio "forte", in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l'identita' sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l'idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilita' anche lievi modificazioni od aggiunte (Sez. 1, n. 8942 del 14/5/2020, Rv. 657905). E sull'amplissima tutela che la giurisprudenza accorda ai marchi cd. "forti", basti rammentare il costante orientamento che evidenzia la punibilita' di riproduzioni di personaggi di fantasia a marchio registrato, ancorche' non fedeli, ma espressive di una forte somiglianza, che renda possibile la confusione delle immagini tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 9362 del 13/2/2015, Iervolino, Rv. 262841; Sez. 2, n. 20040 del 20/4/2011, Ferrantino, Rv. 250157; Sez. 5, n. 25147 del 31/1/2005, Bellomo, Rv. 231894). Si rammenta, altresi', nella medesima ottica, la punibilita' della contraffazione dei cd. modelli ornamentali, indicativi della provenienza del prodotto dall'impresa che l'ha brevettato; in tal caso la contraffazione consiste nel dare al prodotto quella forma e quei colori particolari che possono indurre il pubblico ad identificarlo come proveniente da una certa impresa, anche contro le eventuali indicazioni dei marchi con i quali venga contrassegnato (Sez. 5, n. 8758 del 22/6/1999, ROSSI, Rv. 214652, che ha segnalato, come, quando il modello contraffatto sia legittimamente contrassegnato anche da un marchio di provenienza, per la consumazione del reato e' necessario che sia integralmente riprodotta per imitazione una forte capacita' identificativa del modello, pur riconoscendosi autonoma rilevanza penale alla contraffazione del modello a norma dell'articolo 473, comma 2, c.p.). La natura di marchio "forte" si accompagna quasi sempre alla "notorieta'" del marchio, che, in quanto tale, puo' prescindere anche dalla necessita' della registrazione a fini di tutela. E difatti, ai fini della configurabilita' del reato di commercio di prodotti con segni falsi, e' sufficiente e necessaria l'idoneita' della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell'acquisto, bensi' alla loro successiva utilizzazione, a nulla rilevando che il marchio, se notorio, risulti, o non, registrato, data l'illiceita' dell'uso senza giusto motivo di un marchio identico o simile ad altro "notorio anteriore" utilizzato per prodotti o servizi sia omogenei o identici, sia diversi, allorche' al primo derivi un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorieta' del secondo (Sez. 5, n. 40170 del 1/7/2009, Bogoni, Rv. 244750). Naturalmente, allorche' si tratti di marchio di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione, pur non essendo richiesta la prova della registrazione, e' comunque indispensabile la previa acquisizione di elementi attestanti la rinomanza del marchio e la notoria sua riferibilita' alla casa produttrice ed alla tipologia di prodotti che contraddistingue, tale da giustificarne la tutela, con conseguente onere, per l'incolpato, di fornire la prova contraria (Sez. 2, n. 46882 del 3/12/2021, Huang, Rv. 282404). Infine, aspetto di fondamentale rilievo interpretativo nell'analisi della fattispecie sottoposta al Collegio, la notorieta' del marchio, la sua fama risalente ed estesa determinano la dimensione del campo applicativo dei delitti previsti dagli articoli 473 e 474 c.p.. Sin d'ora si intende ribadire, infatti, che integra il delitto di cui all'articolo 473 c.p., ovvero quello di cui all'articolo 474 c.p., la contraffazione di marchi celebri pur se apposti su prodotti appartenenti a un settore merceologico diverso da quello tradizionale posto che il bene della fede pubblica e' leso dalla confondibilita', secondo il giudizio del consumatore medio, del marchio originale con quello contraffatto, quand'anche utilizzato in ambiti non tradizionali per effetto di attivita' di "merchandising", non costituendo tale circostanza, di per se' sola, motivo di sospetto (Sez. 5, n. 35235 del 18/5/2022, Lelli, Rv. 283796, nella specie, si trattava di marchi di case automobilistiche apposti su capi di vestiario e "gadget"). 1.3. Anche alla luce del tessuto ermeneutico delineato al paragrafo precedente, risulta l'infondatezza delle ragioni di ricorso relative alla contraffazione dei nastri riportati al marchio notorio e registrato "(OMISSIS)", nelle quali si evocava la sovrapponibilita' tra il disegno a bande "verde-rosso-verde", caratterizzante il marchio famoso, con il nastro costituente la decorazione per l'onoreficenza dell'ordine dei (OMISSIS) e, in ogni caso, l'impiego del nastro in prodotti futuri personalizzati. Infatti, al di la' della questione, comunque ampiamente superata dalla sentenza impugnata, che ha sottolineato - con ragioni in fatto non sindacabili da questa Corte di legittimita', poiche' del tutto plausibili - come il nastro sequestrato all'imputato sia in tutto identico al marchio notorio ampiamente utilizzato e registrato dalla famosa casa di moda (sulla cui notorieta', cosi' come su quella della azienda "(OMISSIS)", la sentenza si e' spesa, apparendo la motivazione al riguardo priva di qualsiasi aporia, al di la' dell'immediata riconoscibilita' delle due "griffes" nel sentire comune), rimane, altresi', nel campo della mera, assertiva prospettazione difensiva, priva di elementi di fatto che la sostengano, la circostanza relativa sia all'uso che di tali nastri si faccia nell'ambito della disciplina dell'onoreficenza citata, sia alla loro destinazione a lavori inerenti all'investitura di "(OMISSIS)" ovvero a lavori non ancora ultimati, nonche' alla natura di semilavorato dei nastri in sequestro, che, una volta completati, avrebbero avuto caratteristiche non confondibili con l'originale. La sentenza impugnata ha enucleato vari indicatori della contraffazione punibile, tra questi: la quantita' di prodotto, confezionato gia' in bobine di grandi dimensioni; l'assenza di campionario o documentazione che prevedesse segni di personalizzazione del nastro, con apposizione di altre figure; la riproduzione cosi' pedissequa del marchio/disegno, da non aver rilievo la tesi difensiva del diverso settore merceologico di utilizzo, essendo compromessa comunque l'identificabilita' del prodotto, come proveniente dalla (OMISSIS). 1.3. Eguale sorte di manifesta infondatezza tocca ai motivi di ricorso dedicati a contestare la responsabilita' del ricorrente per il reato di contraffazione ex articolo 474 c.p. in relazione ai nastri abbinati alla contraffazione del marchio (OMISSIS). La Corte d'Appello ha spiegato, anche con esempi (sia per (OMISSIS) che per (OMISSIS)) le ragioni di fatto e quasi "storiche" sulla base delle quali ha ritenuto il marchio in esame "forte" e notorio, assegnandogli la tutela estesa gia' richiamata, esponendo con argomenti insindacabili, poiche' non manifestamente illogici, il proprio convincimento su tale aspetto - del resto di immediata percezione anche secondo il senso medio di comune percezione - e sulla pedissequa riproduzione ovvero sulla forte similitudine dei prodotti sequestrati, messi a confronto con il disegno "a scacchi" (declinato nel colore classico o in diversi colori) del "brand" famoso. Rimane, pertanto, del tutto infondata la tesi difensiva, che denunciava l'apodittica affermazione della notorieta' e della natura di "marchio di fatto" del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS) gia' in epoca precedente al preuso da parte dell'imputato, nonche' della necessita' di registrazione del marchio in esame che fondasse il diritto di privativa formalmente, per il settore merceologico di interesse (non rileva, peraltro, il richiamo difensivo ad un'unica, isolata e risalente pronuncia della giurisprudenza civile, in cui sembra trovare spazio una tutela meno ampia del disegno "(OMISSIS)" - Sez. 1 civile, n. 5243 del 29/5/1999, Rv. 526838 - poiche' la Cassazione, in quella sede, ha preso atto dei limiti del sindacato di legittimita' proprio in relazione alla valutazione del giudice di merito relativa alla prevalente funzione estetica del disegno "check" in esame). Come si e' gia' evidenziato, infatti, integra il delitto di cui all'articolo 474 c.p. la contraffazione di marchi celebri pur se apposti su prodotti appartenenti a un settore merceologico diverso da quello tradizionale posto che il bene della fede pubblica e' leso dalla confondibilita', secondo il giudizio del consumatore medio, del marchio originale con quello contraffatto, quand'anche utilizzato in ambiti non tradizionali e non ricompresi nella produzione di quest'ultimo, come nel caso di specie, in cui il marchio "forte" costituito dal disegno "(OMISSIS)" e' stato pedissequamente riprodotto in nastri di tessuto, destinati al settore delle bomboniere da cerimonia. La tutela penale di marchi celebri, quindi, deve essere estesa anche a settori merceologici completamente estranei all'interesse del brand oggetto della riproduzione pedissequa, allorche' si rischi, secondo il giudizio del consumatore medio, la confondibilita' dell'attribuzione del prodotto riproduttivo del marchio, del disegno o del modello ornamentale originali e "forti" perche' "ampiamente notori". In altre parole, cio' che conta e' la capacita' del disegno, della forma o del modello ornamentale di rappresentare un "segno distintivo", la cui contraffazione pone in pericolo il bene della fede pubblica. Significative, al riguardo, sono le affermazioni della giurisprudenza civile di legittimita', che ha recentemente evidenziato come possa essere registrato e tutelato come marchio di forma quel prodotto la cui pubblicizzazione e commercializzazione ne abbiano favorito la diffusione tra il pubblico al punto da comportare la generalizzata riconducibilita' di quella determinata forma dell'oggetto ad una specifica impresa, consentendo l'acquisto, tramite il c.d. "(OMISSIS)", di capacita' distintiva del marchio che ne era originariamente privo (Sez. 1 civile, ord. n. 30455 del 17/10/2022, Rv. 666037). La stessa giurisprudenza Europea ha osservato che "non si puo'.. escludere che l'aspetto estetico di un marchio (...) che assume (una determinata) forma (...) possa essere tenuto in considerazione, tra gli altri elementi, per accertare uno scostamento dalla norma e dagli usi del settore, purche' tale aspetto estetico sia inteso come richiamante l'effetto visivo oggettivo e inusuale del design specifico del marchio suddetto (sentenza del 12 dicembre 2019, Euipo/Wajos, C-783/18, p. 32; Tribunale UE, 14 luglio 2021, T488/20, p. 43 e 44); di conseguenza, "la presa in considerazione dell'aspetto estetico del marchio (...) mira a verificare (...) se tale aspetto e' idoneo a suscitare un effetto visivo oggettivo e inusuale presso il pubblico di riferimento" (i richiami alla giurisprudenza Europea ed una piu' ampia analisi del tema sono contenuti nella citata ordinanza Sez. 1 civ., n. 30455 del 2022). Del resto, lo stesso percorso storico che ha legato l'azienda del ricorrente con la societa' "(OMISSIS)" fa da sfondo utile a quanto sinora affermato: gia' in passato, infatti, era stato siglato un accordo di "non concorrenza sleale" tra la casa di moda inglese e la " (OMISSIS)", con riguardo alla produzione di un prodotto di abbigliamento (gambaletti), decorati con un nastro riportante il marchio contraffatto prodotto dalla societa' dell'imputato. Anche in questo caso, infine, cosi' come gia' evidenziatosi per il brand "(OMISSIS)", sono insindacabili le ragioni di accertamento che hanno condotto la Corte d'Appello a ritenere del tutto sovrapponibile il disegno dei prodotti sequestrati con quello del marchio originale (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata), concludendo per la contraffazione di questo e, nel caso di alcuni nastri, per l'imitazione pedissequa anche del colore (OMISSIS) nelle sue ben note sfumature di colore, sicche' non assume rilievo la destinazione ad un settore merceologico (quello delle bomboniere per cerimonie e occasioni speciali) che non vede operativo il colosso del lusso inglese. In ogni caso, il preuso evocato dal ricorrente e' rimasto privo di elementi di fatto utili a ritenerlo esistente, e rilevante secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimita' (cfr. Sez. 5, n. 28956 del 8/5/2012, Mugnolo, Rv. 253239), essendo stato, anzi, espressamente escluso dalla Corte d'Appello, che ha evidenziato la risalenza del marchiom (OMISSIS) come marchio notorio (in tal senso devono leggersi anche le lunghe memorie di parte civile). 1.4. In relazione alla posizione del ricorrente (OMISSIS), quindi, la sentenza deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione; il ricorso, invece, deve essere rigettato agli effetti civili, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili, da liquidarsi in complessivi Euro 4.900,00, oltre accessori di legge. 2. Sono, invece, fondate le ragioni di ricorso proposte dall'ente, la societa' " (OMISSIS) s.r.l.", coinvolta nel processo sulla base della prospettazione di un vantaggio derivato all'ente dalla commissione del reato. 2.1. Anzitutto, deve essere chiarito che, in tema di responsabilita' degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8, comma 1, lettera b), deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilita' amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, pero', non puo' prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 6, n. 21192 del 25/1/2013, Barla, Rv. 255369; Sez. 4, n. 22468 del 18/4/2018, Eurocos s.n.c., Rv. 273399; vedi anche Sez. 4, n. 38363 del 23/5/2018, Consorzio Melinda S.C.A., Rv. 274320-03). La responsabilita' dell'ente sussiste, infatti, anche quando il reato "presupposto" si estingue per una causa diversa dall'amnistia (cosi', espressamente, il Decreto Legislativo n. 8 giugno 2001, n. 231, articolo 8, comma 1, lettera b)). Si tratta di una delle ipotesi, espressamente contemplate dalla legge, in cui l'inscindibilita' tra le vicende processuali delle persone fisiche e quelle dell'ente puo' venire meno, con la conseguenza che l'accertamento della responsabilita' amministrativa della societa' nel cui interesse o per il cui vantaggio il reato e' stato commesso puo' e deve proseguire attraverso un percorso processuale autonomo, nella sede propria del processo penale voluta dal legislatore della "L. 231", pur non potendosi prescindere da una verifica quanto meno incidentale circa la sussistenza del fatto di reato. In situazioni del genere, dunque, il potere cognitivo del giudice penale resta immutato, dovendo egli comunque procedere all'accertamento della sussistenza del reato cd. presupposto. In altre parole, per il principio di autonomia della responsabilita' dell'ente (articolo 8 cit.), la prescrizione del reato presupposto nei confronti della persona fisica autrice, anche se dichiarata nello stesso processo in cui e' imputato l'ente, non fa venir meno la sussistenza della sua eventuale responsabilita' (ed e' irrilevante che vi sia stata anche una pronuncia ex articolo 578 c.p.p. nei confronti della persona fisica. Il differente regime di prescrizione previsto normativamente per l'ente-imputato e' stato ritenuto compatibile con i principi costituzionali da Sez. 6, n. 28299 del 10/11/2015, dep. 2016, Bonomelli, Rv. 267047). 2.2. Nel percorso motivazionale dell'impugnata pronuncia non risultano, tuttavia, adeguatamente illustrati, se non con una formula del tutto generica, inidonea a dar conto delle ragioni giustificative dell'esito decisorio, i criteri oggettivi attraverso cui la Corte di merito e' pervenuta all'affermazione della responsabilita' dell'ente. Al riguardo, la Corte d'Appello si e' limitata a riportare, del tutto tautologicamente, l'interesse dell'ente alla posizione apicale di (OMISSIS), quale legale rappresentante sia della ditta produttrice dei prodotti con marchio contraffatto - la ditta individuale " (OMISSIS)" di (OMISSIS) - sia dell'ente stesso - la " (OMISSIS). s.r.l." - che commercializzava i prodotti contraffatti: da questa identita' personale e dall'oggetto delle attivita' di impresa si e' desunto del tutto apoditticamente il vantaggio dell'ente, in ragione del quale si attiva la responsabilita' ex L. n. 231 del 2001. Non sono stati presi in considerazione elementi concreti, indicativi dell'interesse e della consapevolezza dell'illecito in capo all'ente. La motivazione della sentenza impugnata e' del tutto inidonea a sostenere l'affermazione di responsabilita' ai sensi della L. n. 231 del 2001. Come ha di recente, condivisibilmente, chiarito la Sesta Sezione Penale, nella sentenza Sez. 6, n. 23401 del 11/11/2021, dep. 2022, Impregilo s.p.a., Rv. 283437, l'addebito di responsabilita' all'ente non si fonda su un'estensione, piu' o meno automatica, della responsabilita' individuale al soggetto collettivo, bensi' sulla dimostrazione di una difettosa organizzazione da parte dell'ente, a fronte dell'obbligo di auto-normazione volta alla prevenzione del rischio di realizzazione di un reato presupposto, secondo lo schema legale dell'attribuzione di responsabilita' mediante analisi del modello organizzativo. L'illecito dell'ente, infatti, pur se inscindibilmente connesso alla realizzazione di un reato da parte di un autore individuale nell'interesse o a vantaggio dell'ente, risulta comunque caratterizzato da autonomia di configurazione giuridica, poiche' fondato su presupposti di tipicita' normativa differenti, basati su un deficit organizzativo "colpevole" che ha reso possibile la realizzazione di tale reato. Si e' percio' affermato che, in tema di responsabilita' delle persone giuridiche per i reati commessi dai soggetti apicali, ai fini del giudizio di idoneita' del modello di organizzazione e gestione adottato, il giudice e' chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della cd. "prognosi postuma", proprio della imputazione della responsabilita' per colpa: deve cioe' idealmente collocarsi nel momento in cui l'illecito e' stato commesso e verificare se il "comportamento alternativo lecito", ossia l'osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso e' stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della "compliance" alle regole cautelari di tipo globale. Il Collegio intende ribadire tale principio di diritto anche nel caso oggi in esame e nella fattispecie sottoposta al suo giudizio, gia' descritta poco sopra. Infatti, sia nell'ipotesi valutata dalla sentenza della Sesta Sezione Penale richiamata, che in quella che occupa lo spazio decisorio del Collegio nel presente processo, il giudice di merito, oltre a non aver individuato gli specifici profili di colpa di organizzazione, non ha, ovviamente, neppure accertato se tale elemento - vale a dire la "colpa in organizzazione" - abbia avuto incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto. In altre parole, si intende aderire a quella che, in dottrina, e' stata individuata come una nuova frontiera ermeneutica in relazione all'illecito degli enti, e cioe' la tesi che ricostruisce la struttura dell'illecito dell'ente secondo un modello di tipo colposo, forse per la prima volta chiaramente espressa dalla decisione citata n. 23401 del 2022. In tale prospettiva interpretativa, l'accertamento della responsabilita' dell'ente deve passare attraverso la verifica della sussistenza di specifici nessi, di ordine naturalistico e normativo, che intercorrono tra la carenza organizzativa e il fatto-reato, sicche' il reato presupposto deve essere messo in collegamento con la carenza di auto-organizzazione preventiva, che costituisce la vera e propria condotta stigmatizzabile dell'ente. Ed e' evidente, quindi, che il giudice di merito dovra' dimostrare, al fine di giustificare l'affermazione di responsabilita' dell'ente, di aver valutato il suo deficit di auto-organizzazione, vale a dire la carenza di quel complesso delle regole elaborate dall'ente per la prevenzione del rischio reato, che trovano la loro sede naturale nei "Modelli di organizzazione, gestione e controllo", delineati, su un piano generale di contenuti, dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 6 e 7. La dottrina ha favorevolmente accolto questa nuova e piu' consapevole prospettiva di accertamento, che, invero, era gia' presente, in nuce, nella sentenza Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, Rv. 261115 (per quanto sviluppata su di un illecito presupposto di tipo colposo), sottolineando, con indicazione condivisa dal Collegio, come non sia consentito al giudice di merito neppure un vaglio sull'adeguatezza del modello condotto solo "in generale", ma sia necessaria una verifica in concreto; ne' e' possibile giungere a sanzionare l'ente in ragione di una "cultura d'impresa deviante", ovvero mediante un criterio sillogistico semplificatorio secondo cui la commissione del reato equivale a dimostrare l'inidoneita' dell'assetto organizzativo. Invece, il giudice di merito, deve verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo; ovvero deve accertare che, se il modello "idoneo" fosse stato rispettato, l'evento non si sarebbe verificato. Seguendo tale linea interpretativa, ispirata alla valorizzazione dei principi costituzionali riferiti alla materia penale nel sistema della "231", la responsabilita' dell'ente deriva dalla valutazione sulla bonta' del modello organizzativo di prevenzione degli illeciti di cui si e' dotato: l'ente che si dota di modelli organizzativi idonei e tendenzialmente efficaci potrebbe, pertanto, andare esente da responsabilita' ex L. n. 231 del 2001, pur se un reato presupposto sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, con prevedibile effetto virtuoso anche rispetto all'incentivazione dell'adozione di modelli di compliance aziendale. Ovviamente, l'ente che non si sia dotato affatto di siffatti modelli organizzativi rispondera' verosimilmente del reato presupposto commesso dal suo rappresentante, se compiuto a suo vantaggio o nel suo interesse. Nel caso di specie, si rende necessario colmare la carenza motivazionale relativa sia alla verifica della sussistenza di un modello di compliance ed alla sua adeguatezza ed idoneita' a prevenire il reato presupposto, sia alla sussistenza del vantaggio o interesse dell'ente, solo acriticamente evocato dalla sentenza impugnata, nonostante, come ha sottolineato la societa' ricorrente, questi vadano accertati in concreto. Il Collegio rammenta, peraltro, come i due criteri di imputazione oggettiva dettati dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5 siano alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile "ex ante", cioe' al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito (cosi', Sez. U, Espenhahn, Rv. 261114). Nessuna distinzione al riguardo si legge in sentenza: la motivazione del provvedimento impugnato si e' limitata ad abbinare l'interesse della societa' all'interesse proprio della persona fisica, legale rappresentante di entrambe le aziende legate alla produzione e commercializzazione dei prodotti contraffatti, senza prendere neppure in esame il fatturato complessivo dell'ente rispetto agli introiti derivanti dalla commercializzazione dei prodotti in sequestro, che, pur se non configurabile come parametro decisivo ai fini di ritenere o meno sussistente la responsabilita' ex L. 231, puo' comunque costituire uno degli indicatori valutabili al riguardo (in questo, anche, colgono nel segno le sollecitazioni difensive). 2.3. Rimangono assorbite le pur fondate doglianze difensive relative alle sanzioni inflitte all'ente, in relazione alle quali il Collegio rileva che: - avrebbe dovuto applicarsi il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25-bis, che non prevede un minimo sanzionatorio qualora il reato presupposto sia costituito dai delitti di cui agli articoli 473 e 474 c.p., laddove la Corte territoriale ha applicato l'articolo 10 del medesimo testo normativo, norma generale che prevede il minimo di cento quote indicato in sentenza; - l'applicazione delle sanzioni interdittive previste dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 9 e' subordinata alla sussistenza delle condizioni indicate dall'articolo 13 Decreto Legislativo cit.: necessariamente, quindi, il giudice penale che intenda applicare detta sanzione deve motivare la ricorrenza delle condizioni di legge che ne costituiscono indispensabile presupposto; - la pubblicazione della sentenza di condanna per estratto costituisce una sanzione ulteriore e facoltativa, dunque da motivare appositamente, e non discende automaticamente dalla condanna. 2.4. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata nei confronti dell'ente, con rinvio al giudice penale - che e' il giudice "naturale" nel processo instaurato nel sistema della responsabilita' degli enti - competente a norma del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 36, vale a dire ad altra Sezione della Corte d'Appello di Genova. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di (OMISSIS), agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso del medesimo (OMISSIS) agli effetti civili e condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.900,00, oltre accessori di legge. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS). s.r.l., con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Genova.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere Dott. MONACO Marco Maria - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - rel. Consigliere Dott. MELE Maria Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del Tribunale di Napoli in data 25/11/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENOLDI Carlo; udita la requisitoria del Pubblico ministero, in persona dell'Avvocato generale GAETA Pietro, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; uditi, per (OMISSIS), gli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche', per (OMISSIS), gli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi e l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza in data 7/09/2022, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ha disposto, nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), la misura della custodia in carcere in quanto gravemente indiziati del reato di cui all'articolo 416-bis c.p., quali promotori e capi del clan (OMISSIS), nonche' di numerosi reati scopo, quali quelli di cui agli articolo 512-bis c.p. (contestato al capo 2 per il solo (OMISSIS)), articolo 513-bis (contestato al capo 8 per entrambi, nonche' al capo 13 per il solo (OMISSIS)), 644 (contestato al capo 14 per il solo (OMISSIS) e al capo 15 per (OMISSIS)), L. n. 497 del 1974, articoli 10 e 12, (contestato ai capi 21, 22, 25 per il solo (OMISSIS)), 629 (contestato ai capi 9, 10, 11 per entrambi), articolo 648-ter.1 (contestato al capo 30-bis per (OMISSIS)), Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 106, comma 1 e articolo 132, comma 1, (contestato al capo 31 per (OMISSIS)). Con ordinanza del 25/11/2022, il Tribunale di Napoli ha accolto il riesame presentato dai due indagati limitatamente al delitto di usura contestato al capo 15) a (OMISSIS) e ai delitti di cui agli articoli 513-bis e 629 c.p. contestati, ai capi 8) e 9), ad (OMISSIS) e, per l'effetto, ne ha disposto l'annullamento in relazione a tali capi. 1.1. I due indagati sono stati attinti dal titolo cautelare all'esito di investigazioni del Comando provinciale dei Carabinieri di Castello di Cisterna relative alla famiglia camorristica (OMISSIS) operante nel territorio notano e avellinese, contrapposta ai dan 40Cava e Fabbrocino per il controllo delle attivita' estorsive su settori economici come quello edilizio e delle forniture casearie, per l'esercizio dell'usura e il reinvestimento dei proventi illeciti nel mercato finanziario e immobiliare. Il Tribunale del riesame ha premesso che l'esistenza e l'operativita' del gruppo camorristico non ha formato oggetto di specifica contestazione da parte dei difensori, sostanzialmente limitatisi a smentire la partecipazione dei singoli indagati; e ha evidenziato come esse siano state riscontrate a partire dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia (tra i quali (OMISSIS) e i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS)), i quali hanno descritto la nascita e il progressivo radicamento del clan (OMISSIS) tra le province di Avellino e Napoli, nonche' da talune attivita' di captazione, soprattutto ambientale, dalle registrazioni video delle telecamere posizionate nei punti nevralgici in cui si svolgeva la vita associativa (le abitazioni dei (OMISSIS), i depositi e i magazzini dell'impresa di famiglia (OMISSIS), gli spazi antistanti ai bar e agli esercizi commerciali piu' frequentati della zona), dagli esiti delle attivita' di pedinamento e dalle dichiarazioni rese dalle vittime delle condotte di usura ed estorsione. Quindi, l'ordinanza ha evidenziato come le posizioni apicali del clan, con sede operativa nella frazione di Livardi del comune di San Paolo Belsito, fossero rivestite dai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), coadiuvati sia da alcuni familiari (il cognato (OMISSIS), lo zio (OMISSIS), il cugino (OMISSIS)), sia da uomini di fiducia (tra cui (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)). 1.2. Quanto a (OMISSIS), in relazione al reato di cui al capo 8), il Tribunale ha richiamato le conversazioni tra il ricorrente e gli agenti di commercio (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), reiteratamente intimiditi e diffidati dal procacciarsi clienti, nella zona del notano, per la vendita di forniture di materiali da costruzione in via diretta, ovvero senza la intermediazione della ditta (OMISSIS). Particolarmente significativa e' stata ritenuta la vicenda relativa allo smontaggio di un silos, dapprima consegnato a un cantiere per contenere gli inerti necessari per le lavorazioni e poi ritirato su imposizione di (OMISSIS), come confermato da (OMISSIS), agente di commercio per la (OMISSIS), che avrebbe riferito di essere stato costretto a ritirarlo per timore della minaccia di (OMISSIS) di non consentirgli piu' di lavorare in quella zona. In generale, il Tribunale ha riferito che dalle captazioni sarebbe emerso che (OMISSIS) pretendeva di stabilire i prezzi dei materiali e che, anche in caso di acquisto diretto dalla casa di produzione, gli agenti di commercio dovevano far transitare le consegne dal suo magazzino, riconoscendogli una percentuale sulle vendite. (OMISSIS) pretendeva di effettuare le forniture di ferro per ogni nuovo cantiere della zona, che monitorava attraverso i propri uomini, contattando personalmente i committenti e pressandoli affinche' acquistassero i materiali dalla (OMISSIS). Comportamenti, quelli descritti, ritenuti rientranti nella previsione dell'articolo 513-bis c.p., e realizzati con l'aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. nonostante l'assenza di esplicite minacce agli operatori, avendo i soggetti escussi evocato il potere della organizzazione criminale egemone in zona, di cui ritenevano che (OMISSIS) fosse diretta espressione. Quanto al reato estorsivo di cui al capo 9) in danno dell'imprenditore (OMISSIS), il Tribunale ha ritenuto che dalle captazioni emergessero le pressioni esercitate sul costruttore per l'acquisto dei materiali edili presso la (OMISSIS) (progr. 4326) e per l'estinzione di un debito relativo a una pregressa fornitura di ferro, per il cui pagamento (OMISSIS) aveva fatto intervenire un affiliato, (OMISSIS), che aveva contattato (OMISSIS) a nome del capoclan, secondo quanto confermato dallo stesso (OMISSIS) in occasione delle sommarie informazioni testimoniali dell'11/07/2017, allorche' egli aveva anche ammesso che le forniture di materiale gli venivano imposte. La posizione associativa di (OMISSIS) e' stata fondata, principalmente, sul suo ruolo economico nel gruppo criminale, che si alimenta anche attraverso la gestione di attivita' apparentemente lecite, come quella edilizia o l'acquisizione di terreni, ma anche con l'imposizione di forniture di prodotti alimentari e con l'usura; sodalizio al cui interno, secondo il Tribunale, (OMISSIS) si occupa del versante militare, mentre il fratello (OMISSIS) gestisce il settore economico dell'organizzazione, come confermato dal suo rapporto con il commercialista (OMISSIS), coinvolto nell'attivita' di occultamento e di conservazione del patrimonio dell'associazione, cui, secondo quanto riferisce il Tribunale, e' stato riconosciuto il ruolo di concorrente esterno. Tra i due fratelli (OMISSIS), secondo l'ordinanza del riesame, vi sono delle cointeressenze economiche ed esiste una vera e propria societa' di fatto ruotante intorno alla societa' (OMISSIS), come dimostrato dalla intercettazione ambientale del 18/12/2016, in cui (OMISSIS), partecipe con ruolo ampiamente fiduciario della organizzazione criminale, parlando con altro affiliato, (OMISSIS), commentava il positivo fatturato della (OMISSIS), pari a due-tre milioni di Euro, asserendo che l'azienda fosse "in societa'" tra (OMISSIS) e (OMISSIS), con quote, rispettivamente, del 60% e del 40% e con il riconoscimento, per (OMISSIS), anche di uno stipendio per il lavoro prestato nell'azienda. Un diretto interesse di (OMISSIS) confermato dall'utilizzazione da parte di costui e di sua moglie di un'auto concessa in leasing alla (OMISSIS), nonche' dalla captazione del 24/06/2016, progr. 4890, in cui lo stesso (OMISSIS), raccontando degli esordi criminali suoi e del fratello, risalenti all'adolescenza, diceva " (OMISSIS) pero' pure tiene assai soldi in mano alla gente", confermando il suo ruolo in attivita' illecite. Al fine di evidenziare che l'affiliazione di (OMISSIS) aveva un riconoscimento e una visibilita' esterna, il Tribunale ha sottolineato che anche costui era stato protagonista dell'episodio del c.d. inchino mafioso avvenuto in data 5/06/2016, allorche' dopo aver ricevuto, insieme al fratello (OMISSIS), l'omaggio dei fedeli in processione dinanzi alla propria casa, si era poi posto a capo dei c.d. "cullatori" portando la statua della Madonna in chiesa. 1.4. Quanto ad (OMISSIS), cui vengono ascritti il capo 1), in qualita' di capo e promotore, e i reati di cui ai capi 2), 13), 14), 21), 22), 25), 30-bis) e 31), la esistenza della organizzazione camorristica e il ruolo di capo riconosciuto non sarebbero messi seriamente in discussione dai difensori, che dedicherebbero a tale imputazione poche righe finali della memoria. Quanto alle altre imputazioni, il Collegio ha condiviso il giudizio di gravita' indiziaria formulato dal Giudice della cautela, ad eccezione dei reati di cui ai capi 8) e 9), all'uopo richiamando il contenuto del provvedimento genetico ed evidenziando, sulle contestazioni contenute nella memoria difensiva, quanto al capo 2), relativo alla intestazione fittizia del (OMISSIS), come le intercettazioni dimostrino che, alla fine del 2016, (OMISSIS) era intervenuto pesantemente nella gestione del caseificio formalmente intestato a terzi (tra cui (OMISSIS) e la moglie di (OMISSIS)), secondo quanto reso evidente dall'attivismo e dall'interesse all'accaparramento della clientela, anche fuori della regione Campania, da parte di (OMISSIS), cognato e alter ego dello stesso (OMISSIS), che spenderebbe il nome del clan per imporre ai ristoratori e ai commercianti riottosi le forniture della mozzarella del caseificio. Analogamente, quanto alla situazione oggetto del capo 13), relativa al bar tabacchi (OMISSIS), formalmente intestato a (OMISSIS), ma di fatto riferibile all'imputato, le captazioni rivelerebbero come, circa venti giorni dopo l'apertura del locale, il 7/12/2016, in occasione di una conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dipendente di un esercizio commerciale in zona, il primo aveva chiesto alla seconda di trovare una ragazza da assumere nel bar. I comuni interessi del capoclan con (OMISSIS) sono poi stati ricostruiti a partire dalle conversazioni tra costui e (OMISSIS) in cui il primo riferiva al suo interlocutore l'importo investito da ciascuno dei fratelli per realizzare la societa' di fatto, raccontandogli di come dovesse rendicontare al capoclan sulle spese e sui guadagni e rallegrandosi dell'approvazione ricevuta dal capo, al quale tutti i guadagni venivano consegnati, non potendo (OMISSIS) ricavare per se' stesso uno stipendio per l'attivita' di gestore del bar. Secondo il Tribunale, inoltre, le telecamere posizionate nei pressi dell'abitazione di (OMISSIS) documentavano i reiterati accessi di (OMISSIS), anche nel pomeriggio del (OMISSIS), quando dalle captazioni era emerso che gli avesse consegnato la contabilita' del bar; dato confermato dal posizionamento dell'utenza cellulare in uso a (OMISSIS) e dal GPS presente sulla sua autovettura. Quanto al reinvestimento dei proventi del gruppo, e' stato ritenuto sussistente un quadro di gravita' indiziaria in relazione allo svolgimento continuativo di attivita' creditizia abusiva, contestata al capo 31) in relazione alle ipotesi in cui non e' stato possibile accertare l'entita' del tasso di interesse praticato, nonche' in relazione al delitto di usura, contestata al capo 14) ai danni di (OMISSIS), riscontrata dalle captazioni riportate a pag. 1376 ss. della ordinanza di custodia cautelare e dal verbale di SIT, riportato alle pagg. 1384 ss. del provvedimento. Inoltre, a partire dalle captazioni (riportate alle pagg. 1522 ss.) e dagli accertamenti bancari si e' ritenuto che (OMISSIS) abbia utilizzato il conto corrente intestato alla suocera, (OMISSIS), per la ripulitura delle consistenti somme di danaro di cui, pur non svolgendo alcuna lecita attivita' lavorativa, risultava avere la disponibilita', con conseguente integrazione del reato, contestato al capo 30-bis), di autoriciclaggio aggravato. In riferimento ai capi 21), 22) e 23), la disponibilita' di armi e' stata ritenuta a partire dal contenuto di varie captazioni e dal sequestro, all'atto della esecuzione della ordinanza cautelare, di un'arma clandestina trovata nella tasca del giubbino che (OMISSIS) indossava, nonche' da filmati che avrebbero documentato l'effettiva disponibilita' di armi da parte dei (OMISSIS), occultate all'interno dei terreni e dei magazzini di famiglia. 1.5. Quanto alle esigenze cautelari, per entrambi gli indagati e' stata evidenziata, in relazione alla fattispecie associativa, la doppia presunzione di cui all'articolo 275 c.p.p., nonche', per gli altri reati, aggravati dalla circostanza dell'articolo 416-bis.1 c.p., la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari. Presunzione confermata, nonostante l'ampio lasso temporale trascorso dalla conclusione dell'attivita' di captazione, da recenti manifestazioni di operativita' del clan (OMISSIS) sul territorio nolano e avellinese, secondo quanto emerso da captazioni del 2021 in diverso procedimento, riportate nella annotazione dei Carabinieri di Castello di Cisterna dell'8/12/2021, ove e' stato riferito che, in concomitanza con attentati compiuti nell'agosto 2021 ai danni di una concessionaria di auto in San Vitaliano, due esponenti di gruppi criminali della zona, (OMISSIS) e (OMISSIS), si preoccupavano di coinvolgere "i (OMISSIS)" nel riassetto necessario a evitare una escalation militare. Operativita' del clan (OMISSIS), ancora nel 2022, testimoniata anche dalle dichiarazioni rese dal parroco della (OMISSIS), don (OMISSIS), gia' protagonista dell'episodio del c.d. inchino mafioso del 5/06/2016, allorche' il religioso aveva abbandonato la processione in segno di dissenso. Secondo l'ordinanza (OMISSIS) ha denunziato i comportamenti intimidatori dei (OMISSIS) ai danni della locale comunita' e ha raccontato del suo tentativo di impedire, nel corso di successive manifestazioni religiose, il ripetersi di atti di asservimento al potere mafioso. Per questo, (OMISSIS) era intervenuto per intralciare l'attribuzione di contributi pubblici alla Parrocchia, come riferito al parroco da (OMISSIS), destinatario di minacce di morte da parte di (OMISSIS). Don (OMISSIS) ha riferito agli inquirenti degli atti intimidatori compiuti dai (OMISSIS) ai danni di altri cittadini, indicandone le generalita' e le motivazioni, confermando l'attuale controllo camorristico della famiglia (OMISSIS), giunto fino a condizionare la partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose presso la parrocchia retta da (OMISSIS); racconto non smentito dalla documentazione fotografica depositata dai difensori, utile a dimostrare soltanto, secondo il Tribunale, che il parroco non si era sottratto alla somministrazione dei sacramenti ai componenti della famiglia (OMISSIS). A conferma dell'operativita' del gruppo criminale, il Tribunale ha, inoltre, evidenziato gli esiti delle perquisizioni compiute all'atto della esecuzione della ordinanza cautelare in esame, in data 3/11/2022, quando nell'abitazione di piu' indagati sono state rinvenute cospicue somme di danaro contante e armi da fuoco illegalmente detenute (cosi' per (OMISSIS) e per (OMISSIS)). 2. I difensori di fiducia di (OMISSIS), avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno proposto distinti ricorsi per cassazione avverso il provvedimento del riesame, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Il ricorso dell'avv. (OMISSIS) e' articolato in 4 motivi. 2.1.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla gravita' indiziaria per il delitto di illecita concorrenza con minaccia o violenza nei confronti di vari imprenditori/rappresentanti del settore edile contestato al capo 8) ex articolo 513-bis c.p.. Il Tribunale del riesame non avrebbe preso in considerazione i motivi nuovi depositati in udienza, con i quali sarebbero state passate in rassegna le fonti indiziarie relative a ciascun episodio descritto nel capo d'imputazione (intercettazioni e sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria), rispetto alle quali il provvedimento impugnato richiamerebbe esclusivamente i rapporti con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), omettendo graficamente di motivare in ordine alla sussistenza dei gravi indizi relativamente alle vicende occorse con riferimento a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), oggetto, nei motivi nuovi, di esplicite censure, dettagliatamente ribadite nel ricorso. Quanto, poi, alla seconda condotta contestata al capo 8), avente quale presunta vittima (OMISSIS), la difesa aveva segnalato la assenza di minacce o violenze perpetrate da (OMISSIS) nei suoi confronti e il rapporto di collaborazione tra i due, con una vera e propria co-gestione degli affari, emergente dalla telefonata n. 21035, in cui i soggetti intercettati concordavano la scontistica da applicare agli acquirenti di materiale edile. L'ordinanza del riesame sarebbe, dunque, contraddittoria rispetto agli atti e apodittica, non prendendo in considerazione gli elementi probatori segnalati dalla difesa. Quanto al reato commesso ai danni di (OMISSIS), agente di commercio, la cui posizione verrebbe richiamata dal Tribunale del riesame tra i soggetti "reiteratamente intimiditi e diffidati dal procacciarsi clienti nella zona del nolano senza utilizzare la intermediazione della ditta (OMISSIS)", dalla lettura integrale della trascrizione della telefonata n. 16107 del 24/03/2016 sarebbe emerso che (OMISSIS) era risentito con l'interlocutore in quanto aveva precisi accordi commerciali di reciproca convenienza con Ranzo, a suo dire violati da quest'ultimo, avendo egli provveduto a rifornire di materiali argillosi un cantiere che gia' aveva acquistato dalla (OMISSIS) prodotti ferrosi, affermando nel frangente (OMISSIS) che Ranzo poteva fare quello che voleva, senza dovergli dare spiegazioni. E a conferma, si ribadisce che Ranzo, sentito dalla polizia giudiziaria, avrebbe riferito di non essere mai stato minacciato da (OMISSIS). Quanto all'episodio a carico di (OMISSIS), agente di commercio della ditta (OMISSIS), il quale avrebbe subito le imposizioni di (OMISSIS) al punto da essere costretto a rimuovere un silos installato presso un cantiere di (OMISSIS), l'ordinanza non affronterebbe le censure difensive, secondo cui le dichiarazioni sarebbero state in contrasto con gli esiti dell'attivita' di intercettazione, che avrebbe certificato la inattendibilita' di (OMISSIS), secondo cui (OMISSIS) decideva in prima persona quali prezzi dovessero essere praticati ai clienti. Dalle conversazioni n. 39391 del 18/05/2016 e n. 71841 del 26/08/2016 (entrambe RIT n. 456/2016) sarebbe emerso un rapporto di collaborazione tra i propalanti: nelle due occasioni (OMISSIS) contattava (OMISSIS) per l'installazione di silos della (OMISSIS), invitandolo a recarsi nei cantieri delle ditte richiedenti per concordare le forniture. Quanto, poi, alla affermazione secondo la quale (OMISSIS) avrebbe imposto i prezzi dei materiali ai rappresentanti, la telefonata n. 110524 del 23/11/2016 (RIT n. 456/2016) avrebbe mostrato che (OMISSIS) non aveva coartato (OMISSIS) e che il primo non conosceva il modus operandi diffuso tra i rivenditori (la possibilita' di concordare con i rappresentanti le percentuali di ricarico sui materiali edili). Anche in merito allo smontaggio del silos presso il cantiere della ditta (OMISSIS), dalla conversazione n. 128869 del 21/02/2017 (RIT n. 456/2016) emergerebbe che (OMISSIS) si lamentava con (OMISSIS) dell'affare concluso con (OMISSIS), rivelatosi poco vantaggioso e che (OMISSIS) lo esortava a mettersi direttamente in contatto con l'imprenditore, con cio' dimostrandosi che (OMISSIS) gestiva in prima persona l'affare con (OMISSIS). Quest'ultimo, sentito in data 17/09/2018, avrebbe acquistato, nel gennaio 2017, un silos e una fornitura di premiscelato direttamente dalla (OMISSIS), mettendosi in contatto con (OMISSIS), che lo avrebbe poi convinto a rimuovere il silos, senza una spiegazione sul punto. Anche in ordine alla fatturazione del silos rimosso, mentre secondo (OMISSIS) esso sarebbe stato fatturato "tramite il venditore di riferimento, ovvero la (OMISSIS)", secondo (OMISSIS) il premiscelato sarebbe stato acquistato direttamente dalla (OMISSIS), e solo dopo (OMISSIS) avrebbe chiesto di fatturare tramite la (OMISSIS). Dunque, (OMISSIS) avrebbe reso dichiarazioni volte a marginalizzare la propria posizione, presentandosi come succube di (OMISSIS), ma venendo smentito dall'attivita' di intercettazione e dalle dichiarazioni di (OMISSIS). 2.1.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 629 c.p., nonche' la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della gravita' indiziaria per il delitto di estorsione aggravata commesso nei confronti di (OMISSIS), costretto ad acquistare materiali edili presso la (OMISSIS), alla stregua delle intercettazioni telefoniche sull'utenza di (OMISSIS) e delle sommarie informazioni rese da (OMISSIS) in data 11/07/2017. Nei motivi nuovi la attendibilita' di (OMISSIS) sarebbe stata censurata, tenuto conto delle discrasie con le conversazioni captate con (OMISSIS). Il Tribunale del riesame non avrebbe affrontato la doglianza difensiva. (OMISSIS), sentito dai Carabinieri di Castello di Cisterna, avrebbe dichiarato di avere comprato alcuni materiali ferrosi presso la (OMISSIS) e di essere stato costretto da (OMISSIS) ad acquistarli, essendo "a conoscenza che lo stesso e' il fratello di (OMISSIS), pericolosissimo criminale della zona di Liveri". Dalla conversazione n. 4326 del 29/02/2016 (RIT n. 456/2016), non sarebbe emersa alcuna coartazione in danno di (OMISSIS), risultando che: (OMISSIS) contattava spontaneamente (OMISSIS) per l'acquisto di materiale edile, senza subire alcuna pressione, neppure implicita. E anche rispetto alle pressioni per il pagamento di una fornitura di ferro, (OMISSIS), che riferiva di un debito verso (OMISSIS) per l'acquisto di materiale ferroso nel 2015, avrebbe concordato con l'indagato, a compensazione, delle operazioni di potatura di alcuni alberi, rispetto alla quale i due avrebbero avuto un contrasto sull'ammontare di quest'ultima prestazione, come dimostrato da successive conversazioni, nel corso delle quali i due dialogavano in maniera serena, anche rispetto ai lavori da effettuare in un cantiere sito nella zona di Lausdomini. Inoltre, dalle conversazioni intercettate emergerebbe che (OMISSIS) non aveva ancora provveduto a versare la somma dovuta a titolo di corrispettivo per l'acquisto, sicche' si verterebbe in una ipotesi di estorsione senza conseguimento del profitto da parte dell'agente. E ove si volesse procedere alla derubricazione dei fatti di cui al capo 9) nella fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, difetterebbe la condizione di procedibilita' della querela di parte; fermo restando che difetterebbe comunque il requisito della "violenza o minaccia". 2.1.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 416-bis.1 c.p., nonche' la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione sulla circostanza aggravante del "metodo" e della c.d. "agevolazione" mafiosi, frutto di una indebita parificazione tra (OMISSIS) e il fratello (OMISSIS). Quanto al primo profilo, (OMISSIS) non avrebbe mai speso il nome della associazione capeggiata dal fratello, ne' di alcuni altra consorteria criminale. Ad essere valorizzata sarebbe, dunque, la percezione delle vittime, senza che esse abbiano fatto riferimento a un solo episodio in cui egli abbia fatto valere il rapporto con il fratello, secondo quanto emergerebbe dai verbali di sommarie informazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), riportati in ricorso. Dunque, il dato letterale dell'articolo 416-bis.1 c.p. verrebbe illegittimamente interpolato sino a snaturarne la ratio, posto che verrebbe ritenuto sufficiente il mero status personale del soggetto agente, mentre il dato testuale, con riferimento al predicato "avvalendosi", richiamerebbe una situazione attiva, dinamica, e non una qualita' soggettiva dell'agente. Quanto, poi, alla c.d. "agevolazione mafiosa", l'ordinanza impugnata non le dedicherebbe alcun passaggio. Quanto alla valorizzazione del coinvolgimento di (OMISSIS) nella gestione (occulta) della (OMISSIS), gli argomenti spesi contrasterebbero con l'intercettazione n. 1145 del 18/12/2016 (RIT n. 3793/2016), nel corso della quale (OMISSIS) e (OMISSIS), discutendo del fatturato della societa', farebbero riferimento a una divisione dei profitti tra i fratelli (OMISSIS), con quote pari al 60% e al 40% del totale, smentita dai dati della Camera di commercio, secondo cui esse sarebbero state ripartite tra (OMISSIS) e la moglie, (OMISSIS). 2.1.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 416-bis c.p., nonche' la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla gravita' indiziaria per il delitto di associazione camorristica, che il Tribunale del riesame fonderebbe sulle condotte delittuose di cui ai capi 8) e 9), oltre che su talune circostanze sintomatiche dell'assunzione di un ruolo verticistico in seno al dan da parte di (OMISSIS), benche' nessuno dei collaboratori di giustizia gli abbia attribuito un ruolo operativo in seno alla consorteria e benche' (OMISSIS) avesse riferito di riconoscere in foto "un altro dei (OMISSIS) di cui non ricordo il nome". I collaboratori, dunque, non farebbero riferimento a (OMISSIS), sicche' la motivazione sul punto sarebbe manifestamente illogica. Quanto agli ulteriori elementi indiziari, la conversazione n. 4892 del 24/06/2016 (RIT n. 1985/2016) tra (OMISSIS) e (OMISSIS), il provvedimento impugnato riterrebbe in maniera apodittica che essa confermi "la condivisione di interessi tra i due fratelli". Altrettanto illogica sarebbe l'interpretazione della conversazione n. 1145 del 18/12/2016 (RIT n. 3793/2016), relativa al dialogo tra (OMISSIS) e (OMISSIS), oggetto di un esame parcellizzato e non coordinato con gli altri atti di indagine, da cui emergerebbe che a dividere gli introiti al "sessanta e quaranta" per cento erano (OMISSIS) e la moglie, (OMISSIS). Quanto all'uso, da parte di (OMISSIS), di una autovettura concessa in leasing alla (OMISSIS), il dato sarebbe neutro e privo di rilevanza ai fini della dimostrazione dell'inserimento del fratello (OMISSIS) nella compagine associativa. Inoltre, si denuncia l'omessa indicazione di elementi dai quali dedurre l'assunzione di un ruolo apicale da parte di (OMISSIS), che, affermata dal Tribunale del riesame, verrebbe smentita dai collaboratori di giustizia, secondo cui il capo indiscusso sarebbe stato il solo (OMISSIS). Ne' il provvedimento impugnato segnalerebbe una sola condotta tenuta da (OMISSIS) dalla quale evincere la presenza di poteri di comando e direzione del clan. L'odierno indagato, in ogni caso, non potrebbe essere ritenuto neanche un mero partecipe della consorteria criminale, non essendo emerso alcun elemento indicativo del suo "prendere parte" al sodalizio, quale la messa a disposizione a favore della societas sceleris, la partecipazione a summit con gli altri affiliati, cosi' come non verrebbe motivata la connessione tra i reati commessi da (OMISSIS) e il perseguimento degli obiettivi dell'associazione per delinquere. 2.2. Il ricorso dell'avv. (OMISSIS) e articolato in 4 motivi. 2.2.1. Con il primo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 416-bis c.p., articoli 273 e 125 c.p.p., nonche' la carenza e apparenza della motivazione risultante dal testo impugnato e l'omesso esame degli scritti difensivi. Sotto un primo profilo si contesta l'affermazione secondo la quale l'esistenza dell'associazione camorristica non sarebbe stata oggetto di censura, dovendo al contrario ritenersi che l'avere definito il clan (OMISSIS) come una associazione di coltivatori esprimesse una radicale contestazione della configurabilita' del sodalizio criminoso, sia pure sinteticamente espressa. Ne' l'episodio del cd. inchino mafioso potrebbe ritenersi indicativo dell'esistenza del clan, essendo stato esso oggetto di evidente sopravvalutazione e avendo la difesa fornito ampia giustificazione dell'accaduto anche grazie alle dichiarazioni rese da alcuni fedeli, ingiustamente e immotivatamente pretermesse. Sotto altro profilo, i collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), le cui dichiarazioni sarebbero state valorizzate ai fini della ritenuta sussistenza dell'associazione camorristica, non avrebbero superato il prescritto scrutinio di attendibilita', essendo stati sconfessati in altri procedimenti. In ogni caso, il loro racconto sarebbe irrilevante in relazione alla posizione di (OMISSIS), al quale essi non farebbero alcun riferimento. 2.2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 125 c.p.p., nonche' la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione al ruolo di promotore, in difetto di qualunque motivazione da parte del provvedimento impugnato. Dopo avere premesso che il ruolo apicale deve estrinsecarsi in condotte specifiche ed essere riconoscibile da parte degli affiliati, il ricorso evidenzia la mancanza di tali indicatori, tenuto conto dell'assenza di dichiarazioni dei collaboratori che lo abbiano indicato come tale e non avendo le immagini, captate dagli inquirenti attraverso l'impianto di videosorveglianza posizionato in prossimita' di una sede dell'impresa, restituito alcun episodio indicativo di un interfacciarsi dell'indagato con soggetti appartenenti al sodalizio sulla base di una posizione apicale. E anche le intercettazioni captate riguarderebbero l'attivita' di impresa svolta dall'indagato. Assente sarebbe, inoltre, la motivazione dell'ordinanza in relazione agli elementi da cui trarre l'affermazione di una cointeressenza, economica e criminale, con il fratello (OMISSIS). 2.2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione degli articoli 513-bis e 629 c.p. aggravati ex articolo 416-bis.1 c.p. e articolo 125 c.p.p., nonche' la carenza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Il ricorso analizza i reati satellite ascritti all'indagato, sottolineando come la pretesa di (OMISSIS) di essere pagato o l'intervento dal medesimo nei confronti di taluni operatori del settore rientrasse in ordinarie dinamiche imprenditoriali. In particolare, con riferimento all'episodio del silos, il suo mantenimento sarebbe stato antieconomico; quanto alla presunta estorsione consumata ai danni di (OMISSIS), (OMISSIS) avrebbe chiesto cio' che gli spettava e, in ogni caso, l'aspro confronto tra i due dimostrerebbe che (OMISSIS) non agiva quale appartenente a un clan camorristico; mentre l'usura asseritamente compiuta ai danni di (OMISSIS) in realta' non supererebbe il tasso soglia. Quanto, infine, al delitto previsto dall'articolo 512-bis c.p., esso punisce soltanto le condotte tipicamente concorrenziali (quali il boicottaggio, lo storno dei dipendenti, il rifiuto di contrattare, etc.) attuate con atti di coartazione che inibiscono la normale dinamica imprenditoriale, non rientrando nella fattispecie astratta gli atti intimidatori finalizzati a contrastare o ostacolare l'altrui libera concorrenza. Atti che, nella specie, non vi sarebbero nemmeno stati, atteso che dall'ampia rassegna delle intercettazioni riportate in ricorso dovrebbe essere esclusa qualunque condotta costrittiva, apparendo chiaro che (OMISSIS) non imponesse i prezzi (come si evincerebbe dall'espressione "fai tu" in occasione della conversazione con (OMISSIS)). 2.2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 274 c.p.p., nonche' la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. In relazione ai delitti contestati all'indagato, ricorrerebbe una presunzione non assoluta di adeguatezza della custodia cautelare, destinata a venire meno ove siano emersi elementi di segno opposto, che nella specie non sarebbero stati indagati dal Tribunale del riesame, diversamente da quanto fatto per la posizione di altri soggetti coinvolti. In ogni caso, il richiamo alla lettere di don (OMISSIS), contestate con riferimento alla posizione di (OMISSIS), non sarebbero riferibili al fratello (OMISSIS), per il quale non si registrerebbero elementi tali da giustificare alcuna presunzione assoluta di adeguatezza. 3. Avverso l'ordinanza del riesame ha proposto ricorso per cassazione anche (OMISSIS), per mezzo dei difensori di fiducia, avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendo sette distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti necessari alla motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), l'inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 273 c.p.p. e articoli 110 e 416-bis c.p., in relazione al capo 1) dell'imputazione, nonche' la mancanza della motivazione nella parte in cui ha confermato l'esistenza della gravita' indiziaria in relazione al delitto di associazione di tipo mafioso, essendosi il Tribunale limitato a richiamare il contenuto dell'ordinanza genetica. In proposito, si opina che l'impugnazione dinnanzi al Tribunale del riesame abbia effetto totalmente devolutivo e che essa attribuisca al giudice del gravame la pienezza della cognizione, di talche' il Tribunale avrebbe dovuto affrontare approfonditamente ciascuna delle imputazioni costituenti titolo cautelare, cosa che, nella specie, non sarebbe avvenuta, nonostante le censure difensive espresse in sede di discussione orale avvenuta nel corso dell'udienza del 25/11/2022. Inoltre, il Tribunale del riesame avrebbe fatto riferimento alle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, con una valutazione cumulativa delle fonti dichiarative, senza alcuna valutazione di attendibilita' dei collaboratori, richiesta dalla consolidata giurisprudenza di legittimita'. Allo stesso modo sarebbe viziata dalla mancanza di motivazione la parte dell'ordinanza che, in maniera assertiva, avrebbe soltanto elencato gli elementi probatori, senza che per gli stessi siano state indicate le ragioni dell'attribuito carattere oggettivo e individualizzante. Anche l'attribuzione a (OMISSIS) della posizione apicale del clan e del ruolo di vertice militare dell'organizzazione criminale non sarebbe retta da una motivazione in grado di dare conto delle conclusioni cui e' giunto il Tribunale. Anzi, il riconoscimento del suo ruolo militare avrebbe reso priva di motivazione l'affermazione secondo la quale egli abbia avuto interesse a salvaguardare la "cassaforte" del gruppo rappresentata dalle attivita' economiche del fratello, non essendo stato spiegato perche' non sia stata preferita la tesi secondo la quale egli, nell'occasione della perquisizione dell'11/10/2018 richiamata, abbia agito in quanto mosso da interesse egoistico e non associativo. Infine, vi sarebbe mancanza di motivazione sulla qualificazione, come mafiosa, dell'associazione contestata, essendosi il Tribunale limitato a evocare l'episodio del cd. inchino mafioso. Sul punto, la documentazione attestante la somministrazione del sacramento da parte del parroco, (OMISSIS), da cui emergerebbe una particolare familiarita' nell'occasione della ostensione del piccolo (OMISSIS) ai fedeli, sarebbe stata svalutata illogicamente, cosi' come la produzione della difesa relativa alla sottoscrizione di numerosi fedeli, che spontaneamente avrebbero attestato una realta' antitetica a quel gesto, essendo l'omaggio alla statua della Madonna usuale il 25 giugno di ogni anno in Livardi nell'unica chiesa del paese, con un fisiologico avvicendarsi dei collatori. 3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 273 c.p.p., articoli 110 e 512-bis c.p. in relazione al capo 2) dell'imputazione, nonche' la mancanza e contraddittorieta' della motivazione in relazione al trasferimento fraudolento di valori contestato con riferimento al (OMISSIS). Il Tribunale del riesame non dimostrerebbe che (OMISSIS) avesse ricevuto direttive dal cognato, (OMISSIS), aventi ad oggetto la gestione della societa' e che (OMISSIS) avesse reso conto a (OMISSIS) della stessa; ma valorizzerebbe la spendita del nome del gruppo criminale per imporre ai commercianti riottosi le forniture della mozzarella del caseificio: spendita che, con riferimento ad altre imputazioni, sarebbe stata ritenuta insufficiente a fondare la gravita' indiziaria a carico di (OMISSIS), come per i reati di cui ai capi 8) e 9). Il Tribunale del riesame non dimostrerebbe la fittizia attribuzione di quote e di intestazione, essendo verosimile che (OMISSIS) abbia svolto un'autonoma attivita', abbandonata per lo scarso successo ottenuto. Sul punto, l'ordinanza impugnata non si sarebbe confrontata con le censure contenute alle pagine da 1 a 3 della memoria difensiva, aventi a oggetto le intercettazioni riportate a pag. 706 e ss. dell'ordinanza cautelare, richiamate dal Tribunale del riesame senza valutarle alla luce delle doglianze difensive, rimaste prive di riscontro. Ne' l'ordinanza impugnata avrebbe detto alcunche' circa la contestazione difensiva sulla gravita' indiziaria a carico dell'indagato, ritenuta nonostante che il Giudice per le indagini preliminari avesse affermato che la prova dell'intestazione fittizia della societa' (OMISSIS) s.r.l. derivava dai delitti commessi per imporre l'acquisto del prodotto presso diversi esercizi commerciali e nonostante che (OMISSIS) fosse risultato estraneo a tutte le contestazioni aventi a oggetto tale condotta. 3.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 273 c.p.p., articoli 110 e 512-bis c.p., in relazione al capo 13) dell'imputazione, nonche' la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in relazione al delitto di trasferimento fraudolento di valori contestato con riferimento al (OMISSIS), ritenuta a partire dalla conversazione del 7/12/2016, con la valorizzazione del pronome "ci", laddove, nel linguaggio di uso comune (soprattutto dialettale), quel pronome sarebbe utilizzato quale "sostituto" di "gli" (a lui). Inoltre, nella memoria difensiva sarebbe stato evidenziato che quella condotta doveva considerarsi espressione della comune pratica dell'intercessione (disinteressata) volta all'individuazione di un lavoratore da far assumere da altri. Ne' sarebbe stato considerato quanto dedotto con la memoria in ordine al fatto che mentre nella conversazione del 29/12/2016 (OMISSIS) e (OMISSIS) parlavano di (OMISSIS) indicandolo come l'architetto, nella conversazione del 4/01/2017 essi non lo avessero appellato in quel modo. E mancante sarebbe la motivazione anche nella parte in cui essa avrebbe dimenticato che (OMISSIS) e la moglie, (OMISSIS), erano titolari di diverse attivita', sicche' non sarebbe stato dimostrato se, nel corso della conversazione con (OMISSIS) del 4/01/2017, (OMISSIS) facesse riferimento al (OMISSIS) ovvero ad altre attivita' a lui facenti capo. Infine, i dati delle telecamere e del GPS relativi alla presenza di (OMISSIS) nei pressi dell'abitazione di (OMISSIS) sarebbero stati solo apparentemente valutati, in quanto di essi sarebbe stato fatto un utilizzo non di oggettivo riscontro. 3.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 273 c.p.p., articoli 110 e 644 c.p., in relazione al capo 14) dell'imputazione, nonche' la mancanza della motivazione in relazione al concorso nel delitto di usura ai danni di (OMISSIS), le cui dichiarazioni sarebbero state ritenute riscontrate da captazioni, con le quali l'ordinanza non si sarebbe confrontata, come indicato alle pagg. 6 e 7 della memoria difensiva, completamente trascurata e in particolare nella conversazione del 6/03/2014, nel corso della quale la vittima avrebbe affermato che il debito esisteva nei confronti di " (OMISSIS)", ovvero "uno del clan (OMISSIS)". Inoltre, l'ordinanza impugnata non avrebbe considerato l'ulteriore dato, contrastante con le dichiarazioni di (OMISSIS) e conforme al contenuto delle intercettazioni, secondo cui: in data 15/02/2014 la polizia giudiziaria avrebbe riscontrato la presenza, alle ore 10.23, di (OMISSIS) presso la sede della (OMISSIS) s.r.l., societa' di (OMISSIS); mentre in data 15/02/2014, alle ore 12.33, (OMISSIS) sarebbe stato osservato mentre si incontrava con (OMISSIS). Il reato di usura, infine, sarebbe inesistente a partire dalla stessa dichiarazione di (OMISSIS), in quanto il tasso applicato sarebbe stato pari al 18% annuo, sicche', rapportato ai tassi praticati nel 2010, non avrebbe superato quello soglia. 3.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 273 c.p.p., articolo 110 c.p. e L. n. 497 del 1974, articoli 10, 12 e 14, nonche' la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in relazione ai delitti concernenti le armi contestati ai capi 21), 22) e 25) dell'imputazione per l'omesso esame delle censure difensive contenute nelle pagg. 7 e 8 della memoria difensiva. Il Tribunale del riesame si sarebbe limitato a ritenere che la disponibilita' delle armi sia stata confermata dal contenuto delle captazioni, senza indicare quali e senza evidenziare le ragioni di dissenso dalla memoria difensiva, e valorizzando illogicamente il sequestro, all'atto dell'esecuzione della ordinanza di custodia cautelare, di un'arma clandestina trovata nella tasca del giubbino che (OMISSIS) indossava in quel frangente e, dunque, ben sei anni dopo i fatti oggetto di contestazione. Inoltre, il Tribunale del riesame si sarebbe pronunciato esclusivamente sui capi 21) e 25) e non anche sul capo 22) dell'imputazione, nonostante lo specifico motivo proposto nella memoria difensiva. Con riferimento al capo 21) dell'imputazione, la motivazione si sarebbe limitata a ritenere non convincenti le deduzioni difensive circa la mancata dimostrazione dell'esistenza delle armi, senza evidenziare per quale motivo non potesse escludersi che, nel corso dell'intercettazione, gli interlocutori stessero solo parlando di armi. Inoltre, l'effettiva disponibilita' di esse da parte del clan dimostrata dai filmati, non proverebbe lo specifico fatto contestato, posto che le immagini non fornirebbero un riscontro individualizzante a carico di (OMISSIS). Con riferimento al capo 25) dell'imputazione, l'ordinanza si limiterebbe a evidenziare che, nelle immagini del 5/08/2016, (OMISSIS) avrebbe prelevato, da una ruspa, una pistola, alla presenza del cugino (OMISSIS), senza spiegare le ragioni per le quali la mera presenza sul posto di quest'ultimo costituisse concorso nel reato, essendosi al cospetto di una condotta attribuibile esclusivamente a (OMISSIS). 3.6. Con il sesto motivo, il ricorso deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione degli articoli 273 c.p.p. e 648-ter.1 c.p., nonche' la mancanza della motivazione in relazione al delitto di riciclaggio di cui al capo 30-bis) dell'imputazione, oggetto di contestazione nella memoria difensiva, totalmente trascurata, nella quale si evidenziava la mancata dimostrazione che l'assegno di 30.000 Euro incassato da (OMISSIS) il 28/04/2017 fosse riconducibile a (OMISSIS); che la somma di 10.000 Euro, bonificata da (OMISSIS) in favore di (OMISSIS) il 5/05/2017, fosse derivata proprio dall'importo dell'assegno incassato il 28/04/2017; che la somma di 30.000 Euro di cui ai 2 assegni postali di 15.000 Euro utilizzati per la corresponsione del prezzo di acquisto dell'immobile, emessi da (OMISSIS), fosse derivata dal bonifico in suo favore disposto da (OMISSIS). In ogni caso, le transazioni economiche indicate dall'Accusa sarebbero del tutto tracciabili, per cui verrebbe a mancare ab origine l'effetto dissimulatorio e l'ostacolo per l'identificazione dell'operazione economica. 3.7. Con il settimo motivo, il ricorso lamenta, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 273 c.p.p., articolo 110 c.p. e Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articoli 106 e 132 nonche' la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in relazione al delitto di esercizio abusivo di attivita' finanziaria al capo 31) dell'imputazione. In primo luogo, sarebbe rimasta priva di riscontro l'eccezione, contenuta nella memoria difensiva, secondo cui gli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari non fossero in grado di dimostrare che le condotte di finanziamento siano state realizzate con l'inserimento nel libero mercato, sottraendosi ai controlli di legge e rivolgendosi a un numero potenzialmente illimitato di soggetti, con carattere di professionalita', ovvero in modo continuativo e non occasionale. Infatti, la condotta sarebbe stata realizzata con riferimento a una cerchia ristrettissima di destinaiari, pari a sole 6 persone. Ne' l'ordinanza avrebbe risposto alla censura svolta nella memoria secondo cui non vi sarebbe la prova che il riferimento ad (OMISSIS), contenuto nella captazione del 24/08/2018, dovesse intendersi riferito proprio a (OMISSIS) e che la somma da corrispondergli fosse dovuta in quanto finanziatore e non per altre ragioni. Ne' il Tribunale avrebbe considerato il contenuto delle intercettazioni e delle sommarie informazioni testimoniali riguardanti le persone offese (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dimostrative dell'estraneita' ai fatti dell'indagato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono infondati e, pertanto, devono essere respinti. 2. Preliminarmente giova osservare che i ricorsi proposti nell'interesse dei due indagati presentano, accanto a una serie di censure che sono riferibili soltanto alla specifica posizione giudiziaria di ognuno di essi, alcune questioni comuni, rispetto alle quali si impone, per evidenti ragioni di economica espositiva, la trattazione congiunta delle coordinate normative e giurisprudenziali che ognuna di esse pone. 2.1. Una prima questione comune, non oggetto di specifiche considerazioni difensive, ma comunque significativa ai fini della valutazione di questo Collegio, attiene ai caratteri propri del giudizio cautelare e del relativo controllo in sede di legittimita'. La giurisprudenza di legittimita' si e' da tempo consolidata nel senso di affermare che, in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell'articolo 273 c.p.p. devono intendersi tutti quegli elementi, di natura logica o rappresentativa che, contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova, non valgono, di per se', a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilita' dell'indagato e che, tuttavia, consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilita', fondando, nel frattempo, una qualificata probabilita' di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, Costantino, Rv. 202002-01; Sez. 3, n. 17527 del 11/01/2019, Inegbedion, Rv. 275699 - 02; Sez. 2, n. 12851 del 7/12/2017, dep. 2018, Miele, Rv. 272687-01; Sez. 2, n. 28865 del 14/06/2013, Cardella, Rv. 256657-01). La valutazione allo stato degli atti in ordine alla "colpevolezza" dell'indagato, per essere idonea a integrare il presupposto per l'adozione di un provvedimento de libertate, deve, quindi, condurre non all'unica ricostruzione dei fatti che determini uno scrutinio di responsabilita' dell'incolpato al di la' di ogni ragionevole dubbio, ma deve permettere un mero apprezzamento in termini prognostici; il quale, come tale, e' ontologicamente compatibile con possibili ricostruzioni alternative, anche se fondate sugli stessi elementi. La valutazione della "prova" in sede cautelare rispetto a quella nel giudizio di cognizione, infatti, si contraddistingue non in base alla differente intrinseca capacita' dimostrativa del materiale acquisito, ma proprio per l'aspetto di provvisorieta' del compendio indiziario che, in una prospettiva di evoluzione dinamica, potra' essere successivamente arricchito (Sez. 1, n 13980 del 13/02/2015, Cilio, Rv. 262300 - 01). Cio' significa, dunque, che nella evoluzione del procedimento, l'acquisizione di ulteriori elementi probatori o anche soltanto indiziari potra' legittimamente condurre a una differente ricostruzione dei profili attinenti alla responsabilita' dell'indagato, consentendo una diversa interpretazione del compendio in precedenza acquisito. E questo vale, ovviamente, anche per la vicenda qui trattata. 2.2. Altro tema comune riguarda la natura del giudizio di riesame e la necessita' o meno che il tribunale proceda a una nuova e completa rivalutazione di tutti gli elementi valutati dal primo giudice, al momento dell'adozione del provvedimento genetico, in relazione al profilo dei gravi indizi e delle esigenze cautelari. E connessa con tale questione generale e' quella degli standard motivazionali che il tribunale del riesame e' tenuto a osservare rispetto a tale motivazione, con particolare riguardo al ricorso alla cd. motivazione per relationem e alla legittimita' del suo utilizzo quando la difesa abbia formulato, in sede di richiesta di riesame o con eventuali memorie, specifici rilievi alle valutazioni contenute nell'ordinanza applicativa della misura cautelare. 2.2.1. Quanto alla prima questione, posta sia con il primo motivo del ricorso proposto dall'avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS), sia con il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), va certamente ribadito che il riesame di una misura cautelare personale e' un mezzo di impugnazione con effetto interamente devolutivo. Ne consegue, da un lato, che il tribunale puo' annullare o riformare in senso favorevole all'imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell'atto di impugnazione, cosi' come puo' confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell'ordinanza cautelare (Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, Valorosi, Rv. 278314-03; Sez. 6, n. 18853 del 15/03/2018, Puro, Rv. 273384-01); e, dall'altro lato, che il provvedimento originario viene integrato da quello emesso dal tribunale, sicche' quest'ultimo, quando rilevi motivi di nullita' derivanti da carenze di motivazione dell'ordinanza genetica, puo' procedere all'integrazione della motivazione e non dichiarare, se non in via del tutto incidentale e transitoria, la nullita' dell'ordinanza impositiva (Sez. 4, n. 2006 del 13/08/1996, Pacifico, Rv. 206123-01). E' stato condivisibilmente affermato, infatti, che l'ordinanza applicativa della misura e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro strettamente collegate e complementari, sicche' la motivazione del tribunale del riesame integra e completa l'eventuale carenza di motivazione del provvedimento del primo giudice; e, viceversa, la motivazione insufficiente del giudice del riesame puo' ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato, allorche', in quest'ultimo, siano state indicate le ragioni logico-giuridiche che, ai sensi degli articoli 273, 274 e 275 c.p.p., ne hanno determinato l'emissione (Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, Moni, Rv. 205257-01; nella giurisprudenza successiva v. Sez. 3, n. 8669 del 15/12/2015, dep. 2016, Berlingeri, Rv. 266765-01; Sez. 6, n. 48649 del 6/11/2014, Beshaj, Rv. 26108501; Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 2008, Beato, Rv. 238903-01; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, Panebianco, Rv. 212685-01). 2.2.2. Peraltro, la natura interamente devolutiva della richiesta di riesame di una misura cautelare personale e la facoltativita' dell'indicazione dei motivi non comportano l'automatica rilevanza di doglianze di carattere generico articolate in sede di impugnazione. Pertanto, in assenza della formulazione di specifiche questioni sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il giudice del riesame, pur tenuto a verificare anche tale presupposto, puo', in presenza di un provvedimento motivato, limitarsi a richiamare il contenuto del titolo genetico, a condizione che mostri di averlo, comunque, valutato (Sez. 6, n. 56968 del 11/09/2017, Ghezzo, Rv. 272202-01). E cio' anche in virtu' del gia' richiamato principio di reciproca integrazione dei provvedimenti (Sez. 1, n. 54607 del 2/11/2016, Milo, Rv. 268591 - 01; conf. n. 54608 del 2016). Ne consegue che, ove il ricorrente non abbia specificato le doglianze attinenti al merito (sul fatto, sulle fonti di prova e sulla relativa valutazione), e' inammissibile il ricorso che sottoponga alla Corte di legittimita' censure su tali punti, le quali non possono trovare risposte per carenza di cognizione in fatto addebitabile alla mancata osservanza del relativo onere, in relazione ai limiti del giudizio di cassazione, ex articolo 606 c.p.p. (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, Di Maggio, Rv. 27950503; Sez. 6, n. 16395 del 10/01/2018, Contardo, Rv. 272982-01). 2.2.3. Le considerazioni che precedono consentono, altresi', di ritenere che in mancanza di specifiche deduzioni difensive, formulate con l'istanza originaria o con successiva memoria difensiva, ovvero articolate oralmente in udienza, sia legittimo il ricorso, da parte del tribunale comunque investito della relativa richiesta, a una motivazione che richiami o riproduca le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato (v. Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, Falduto, Rv. 272628 - 01, relativa a un caso di inammissibilita' di un ricorso che si doleva, unicamente, della tecnica di redazione della motivazione, effettuata con il cd. copia e incolla). Va, del resto, ribadito il legittimo ricorso a una motivazione per relationem, sempre che il secondo provvedimento: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facolta' di valutazione, di critica e, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione (Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, Salcini, Rv. 274252-01). 2.3. Altro tema generale, trasversale a entrambi i ricorsi, concerne i requisiti per integrare le condotte di partecipazione a un'associazione di stampo mafioso e, in seconda battuta, quelle connesse al ruolo di capo, promotore o organizzatore del sodalizio, le quali descrivono delle autonome fattispecie di reato e non configurano circostanze aggravanti della condotta partecipativa (cosi' Sez. 2, n. 40254 del 12/06/2014, Avallone, Rv. 260444-01; Sez. 5, n. 8430 del 17/01/2014, Castaldo, Rv. 258304-01; Sez. 1, n. 29770 del 24/03/2009, Vernengo, Rv. 244459-01). Quanto al primo profilo, va ribadito l'indirizzo ermeneutico di legittimita' secondo il quale, ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, non e' necessario, essendosi al cospetto di un reato di pericolo presunto, che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso, essendo sufficiente che lo stesso realizzi, con modalita' e contenuti diversi, essendosi al cospetto di un reato a forma libera, una stabile e organica compenetrazione rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, idonea al perseguimento dei fini comuni (Sez. U n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889-01), venendogli riconosciuto il ruolo di componente del sodalizio e accrescendo la potenziale capacita' operativa dell'associazione, al cui programma criminoso aderisca consapevolmente (cfr. anche Sez. 2, n. 55141 del 16/07/2018, Galati, Rv. 274250 - 01). Quanto, poi, ai ruoli apicali rivestiti all'interno del sodalizio mafioso, che il soggetto deve esercitare in concreto (Sez. 6, n. 40530 del 31/05/2017, Abbinante, Rv. 271482 - 01; Sez. 1, n. 3137 del 19/12/2014, dep. 2015, Terracchio, Rv. 262487 - 01; Sez. 6, n. 19191 del 7/02/2013, Stanganelli, Rv. 255132 - 01), si ritiene, in giurisprudenza, che la qualifica di promotore spetti a colui il quale prende l'iniziativa per la creazione dell'associazione, portando a conoscenza dei terzi il programma sociale (Sez. 2, n. 20098 del 3/06/2020, Buono, in motivazione), quella di capo debba essere riconosciuta non soltanto al vertice dell'organizzazione, ma anche a colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati (Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Serio, Rv. 280890 - 01; Sez. 4, n. 29628 del 21/06/2016, Pugliese, Rv. 267464 - 01; Sez. 2, n. 19917 del 15/01/2013, Bevilacqua, Rv. 255915 - 01); mentre con riferimento a quella di organizzatore deve essere riferita a colui il quale, pur non essendo il vertice assoluto del gruppo criminale dedito al traffico, sia posto a capo di un settore delle attivita' illecite del gruppo criminale con poteri decisionali e deliberativi autonomi (Sez. 2, n. 20098 del 3/06/2020, Buono, Rv. 279476 - 03). 2.4. Da ultimo, va affrontata la questione attinente al controllo da parte del Giudice di legittimita' sulla motivazione relativa alla valutazione del contenuto di conversazioni oggetto di captazione. In proposito, va ricordato che le intercettazioni vanno valutate verificando che: a) il contenuto della conversazione sia chiaro; b) non vi sia dubbio che gli interlocutori si riferiscano all'indagato; c) per il ruolo ricoperto dagli interlocutori nell'ambito dell'associazione di cui fanno parte, non vi sia motivo per ritenere che parlino non seriamente degli affari illeciti trattati; d) non vi sia alcuna ragione per ritenere che un interlocutore riferisca il falso all'altro. Va poi ribadito che, in sede di legittimita', e' possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in presenza di un travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e sempre che la difformita' risulti decisiva e incontestabile (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714 - 01; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558 - 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, Napoleoni, Rv. 259516 - 01; Sez. 6, n. 11189 del 8/03/2012, Asaro, Rv. 252190 - 01; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Donno, Rv. 237994 - 01). 3. Tanto premessa in termini generali, e' possibile affrontare le singole doglianze avanzate nei ricorsi proposti nell'interesse dei due indagati. 3.1. Preliminarmente, vanno prese in esame le censure relative all'esistenza del sodalizio e alla gravita' indiziaria delle condotte di partecipazione, svolte con il quarto motivo del ricorso presentato dall'avv. (OMISSIS) e con il primo motivo del ricorso proposto dall'avv. (OMISSIS), nonche' con il primo motivo del ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS). Quanto al primo profilo, l'ordinanza impugnata ha evidenziato come l'esistenza del clan (OMISSIS) non abbia costituito oggetto di specifica contestazione in sede di riesame, ove le difese si erano limitate a confutare gli elementi indiziari relativi alla partecipazione dei singoli indagati. Ne consegue che la mancata rivalutazione dell'intera provvista indiziaria in relazione a tale aspetto non configura alcun vizio del provvedimento, che ha potuto fare legittimamente rinvio, con motivazione per relationem, alla parte dell'ordinanza genetica che aveva diffusamente trattato tale profilo. In ogni caso, va osservato che il Tribunale partenopeo ha mostrato di avere, comunque, preso in esame tale questione, attraverso una sintetica rassegna degli elementi idonei a comprovare l'esistenza e l'operativita' del gruppo camorristico: dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia (tra i quali (OMISSIS) e i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS)), che hanno descritto la nascita e il progressivo radicamento del clan (OMISSIS) tra le province di Avellino e Napoli, alle attivita' di captazione, soprattutto ambientale, che hanno interessato numerosi sodali; dalle registrazioni video delle telecamere posizionate nei punti nevralgici in cui si svolgeva la vita associativa (le abitazioni dei (OMISSIS), i depositi e i magazzini dell'impresa di famiglia (OMISSIS), gli spazi antistanti ai bar e agli esercizi commerciali piu' frequentati della zona), agli esiti delle attivita' di osservazione, controllo e pedinamento, sino alle dichiarazioni rese dalle vittime in relazione ai fatti di usura ed estorsione. Quanto, poi, alle condotte di partecipazione dei due indagati, le considerazioni che precedono valgono anche rispetto al riconoscimento del ruolo, all'interno del clan camorristico, di (OMISSIS), che, secondo quanto riportato a pag. 6 dell'ordinanza impugnata, non risulta essere fatto oggetto di specifica disamina critica nella memoria cui le difese hanno affidato l'esplicazione delle loro doglianze in sede di riesame e al quale, in relazione a tale profilo, sono stati dedicati "pochi righi finali della memoria". In ogni caso, come anticipato, il Tribunale, pur con la sintesi consentita dalla genericita' delle deduzioni difensive, ha evidenziato come la partecipazione e il ruolo apicale rivestito da (OMISSIS) all'interno dell'omonimo clan emergessero dal contributo offerto dai collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni sono state puntualmente riportate alle pagine 24 e seguenti dell'ordinanza genetica e la cui attendibilita' e' stata oggetto di specifico vaglio da parte del Giudice della cautela, dal ricco compendio intercettativo, telefonico e ambientale (dimostrativo dell'intensa attivita' criminale del sodalizio e, al suo interno, della posizione egemone rivestita dall'indagato e da tutti riconosciuta), dalle immagini tratte dagli impianti di videosorveglianza, dalle dichiarazioni delle persone offese dei delitti di estorsione e usura, nonche' dal racconto di don (OMISSIS), che ha diffusamente riferito sulle azioni vessatorie poste in essere da (OMISSIS) sulle attivita' della parrocchia, come confermato anche da (OMISSIS), destinatario di minacce di morte da parte dell'indagato (v. pag. 9 dell'ordinanza impugnata). E a dimostrazione del riconoscimento sociale accordato alle figure apicali dell'organizzazione, le ordinanze di merito hanno anche ricordato l'episodio del cd. inchino mafioso, rispetto al quale, anche grazie alle menzionate dichiarazioni del religioso, le stesse hanno posto in luce il profondo significato simbolico, non revocato in dubbio dalle allegazioni difensive, frutto di un tentativo di isolare i singoli elementi della provvista indiziaria, al fine di depotenziarne, sino a eliderla del tutto, la capacita' dimostrativa. 3.2. Quanto, poi, alle questioni relative al ruolo apicale svolto da (OMISSIS), esso e' stato ricostruito, in maniera niente affatto illogica, a partire dal racconto dei collaboratori, che hanno sottolineato la conduzione familiare del clan; dalle captazioni in cui gli uomini del sodalizio evidenziavano il rapporto di cointeressenza tra i due fratelli, che si spartivano i proventi della societa' edile, la quale costituiva lo strumento per conseguire significativi guadagni, grazie alla posizione dominante acquisita sul mercato proprio in virtu' della capacita' di pressione e di intimidazione esercitata, nel contesto del territorio di riferimento; dallo stretto rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), commercialista a disposizione del sodalizio e dal gia' ricordato episodio dell'inchino mafioso, indicativo del riconoscimento, nella realta' sociale del piccolo paese di residenza, del ruolo importante rivestito anche da (OMISSIS) nella gerarchia criminale della famiglia camorristica. Un ruolo che pertiene, secondo la non illogica motivazione offerta dai due provvedimenti di merito, in particolare alla autonoma organizzazione di uno specifico settore delle attivita' del clan, costituito dalle attivita' economiche illecite ruotanti intorno alla (OMISSIS). Fermo restando che, come gia' osservato, tale valutazione e' strettamente ancorata allo stato attuale del procedimento e che la consistenza del quadro probatorio potra' essere ulteriormente vagliata nel corso del giudizio di cognizione. 4. Tanto premesso, in ordine all'esistenza del clan, alle condotte di partecipazione dei due indagati e al ruolo apicale dagli stessi rivestito, occorre prendere in considerazione le censure difensive svolte, con il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), in relazione ai vari reati satellite. 4.1. Infondato deve, in primo luogo ritenersi il secondo motivo, con cui il ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al delitto previsto dall'articolo 512-bis c.p., relativo alla intestazione fittizia del (OMISSIS). Le ordinanze di merito hanno evidenziato che (OMISSIS) aveva l'effettiva titolarita' dell'esercizio commerciale, formalmente intestato a (OMISSIS) e a (OMISSIS), i quali la gestivano a partire dalle direttive impartite dall'indagato e dal suo uomo di fiducia, (OMISSIS), gia' impegnato, per conto del capoclan, in una serie di attivita' criminali, oggetto di altre contestazioni. E a fondamento di tale ricostruzione hanno evidenziato le numerose intercettazioni, oggetto di captazione anche presso l'abitazione di (OMISSIS) e che vedevano protagonista quest'ultimo e lo stesso (OMISSIS), in cui gli esponenti del sodalizio camorristico gestivano le relazioni commerciali del caseificio (con un intervento, in prima battuta, di (OMISSIS), il quale riferiva costantemente a (OMISSIS), definito "o' mast" in varie conversazioni). A fronte di tale motivazione, che si fonda sulla interpretazione non illogica di numerose conversazioni, il ricorso deduce, del tutto genericamente, la mancata dimostrazione che (OMISSIS) avesse impartito a (OMISSIS) le direttive e che il secondo gli rendesse conto periodicamente della gestione (circostanza smentita, come si e' appena detto, dalle numerose conversazione intercettate, riportate nell'ordinanza genetica e richiamate da quella impugnata); e, ancora, che la fittizia intestazione fosse stata dedotta unicamente dalla spendita del nome del gruppo criminale per imporre ai ristoratori e ai commercianti riluttanti le forniture della mozzarella del caseificio e dai delitti commessi in tale frangente, omettendo qualunque considerazione critica sulle captazioni citate e, in definitiva, operando una valutazione frammentata dei vari elementi indiziari, che devono essere, invece, presi in considerazione in maniera globale. 4.2. Il terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. Inammissibili, infatti, devono ritenersi, in primo luogo, le censure relative alla interpretazione del dialogo intercorso il 7/12/2016 tra lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS), rispetto al quale la difesa propone, sostanzialmente, un differente apprezzamento del significato semantico di espressioni che l'ordinanza ha interpretato in maniera non manifestamente illogica (e' il caso dell'uso del pronome "ci", che il Tribunale ha ritenuto indicativo di una diretta partecipazione dell'indagato alle vicende del (OMISSIS)). Quanto, poi, al fatto che, come indicato nella memoria difensiva, detto interessamento dovesse ritenersi espressione della pratica dell'intercessione (disinteressata) volta all'individuazione di un lavoratore da fare assumere da altri, tale deduzione difensiva, al di la' della circostanza che la stessa si connota in termini essenzialmente rivalutativi di una non illogica ricostruzione dei fatti operata in sede di merito, appare assorbente il rilievo che la stessa appare il frutto di una lettura parcellizzata degli elementi indiziari, che dimentica. totalmente il significato delle intercettazioni riportate dall'ordinanza e il dato, anch'esso riscontrato, della significativa frequentazione della casa di (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), cui l'attivita' commerciale era formalmente intestata e che il Tribunale ha spiegato con il periodico rendiconto sull'andamento di essa. E ad analoga censura si presta la considerazione difensiva secondo cui non sarebbe stato valutato il fatto che (OMISSIS) e la moglie, (OMISSIS), fossero titolari di diverse attivita', sicche' non sarebbe stato dimostrato se, nel corso della conversazione con (OMISSIS) del 4/01/2017, (OMISSIS) facesse riferimento al (OMISSIS) e non ad altre attivita' a lui facenti capo. Anche tale osservazione, apparentemente calzante, si scontra con gli altri elementi di rilievo indiziario gia' rasegnati e appare viziata, ancora una volta, da un'analisi atomistica delle varie circostanze di rilievo indiziario valorizzate in sede di merito. Quanto, infine, all'osservazione secondo cui nella conversazione del 4/01/2017 (OMISSIS) e (OMISSIS) non avevano indicato (OMISSIS) con l'appellativo di "architetto", utilizzato dai loquenti in quella del 29/12/2016, e' appena il caso di osservare che il contenuto della prima captazione appare riferibile all'indagato in base ad altri elementi di riscontro, indicati nell'ordinanza e accantonati dal ricorso, ovvero che il giorno precedente, il (OMISSIS), (OMISSIS) si era recato presso l'abitazione di (OMISSIS) per portargli "la contabile fiscale" (progr. 11580), come evidenziato dalle telecamere posizionate nei pressi della casa di (OMISSIS), dalle captazioni effettuate nella dimora dell'indagato, dal posizionamento dell'utenza cellulare in uso allo stesso (OMISSIS) e dal GPS presente sulla sua autovettura (v. quanto riportato alle pagine 1359 ss. e 1363 del provvedimento genetico). 4.3. Infondate sono le censure svolte dalla difesa di (OMISSIS) con il quarto motivo di ricorso, con cui si deduce l'insussistenza della gravita' indiziaria in relazione al delitto di usura in danno di (OMISSIS), contestato al capo 14) dell'imputazione. In particolare, non puo' condividersi l'assunto difensivo secondo cui le captazioni poste a fondamento del giudizio di gravita' indiziaria non sarebbero state indicate, avendo il Tribunale richiamato espressamente quelle riportate alle pagine 1376 e seguenti del provvedimento genetico; ma, soprattutto, deve osservarsi che le dichiarazioni rese dallo stesso (OMISSIS), ripetutamente escusso dagli inquirenti, hanno fornito una base molto solida al giudizio di gravita' indiziaria; dichiarazioni delle quali il ricorso sembra sostanzialmente disinteressarsi. Quanto, infine, al profilo del superamento del tasso soglia (oggetto di censura anche nel terzo motivo del ricorso proposto dall'avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS)), si e' in presenza di un profilo fattuale certamente suscettibile di adeguato riscontro nell'ulteriore corso del procedimento, ma non in sede di legittimita'. 4.4. Con il quinto motivo del ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS), la difesa lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla detenzione e al porto illegale di armi contestati, rispettivamente, in Liveri il 15/06/2016 (capo 21), in Roccarainola il 19/06/2016 (capo 22) e in San Paolo Belsito il 5/08/2016 (capo 25). Le doglianze, incentrate sull'omesso esame delle censure difensive, sono infondate. Sotto un primo profilo, l'affermazione della difesa secondo cui il Tribunale del riesame non avrebbe indicato le captazioni significative sul piano della gravita' indiziaria e' smentita dal richiamo al contenuto delle conversazioni riportato alle pagg. 1498 e ss. del provvedimento genetico, di cui il Collegio di merito ha evidenziato il carattere "esplicito", attraverso il riferimento ad armi come il kalashnikov (progr. 430) e a parti di armi, come il caricatore, la sicura, le cromature. Quanto, poi, al veloce accantonamento delle doglianze difensive, l'ordinanza ha, in realta', spiegato, in maniera sintetica ma certamente adeguata, come l'esistenza delle armi fosse confermata, in punto di gravita' indiziaria, dalle immagini attestanti la pacifica disponibilita' di tali strumenti da parte della cosca; e quanto alla riferibilita' a (OMISSIS) della loro detenzione e' appena il caso di osservare come, al di la' del ruolo di capo del sodalizio rivestito dall'indagato, le intercettazioni riguardassero delle conversazioni tenutesi presso l'abitazione dello stesso (OMISSIS), come indicato alle pagine 1469 e seguenti dell'ordinanza genetica. In breve, il Tribunale ha ritenuto che la cosca, capeggiata dall'indagato, disponesse, per le sue finalita', di una significativa provvista di armi, come dimostrato dal rinvenimento, ancora a distanza di anni dai fatti contestati, di alcune pistole in occasione dell'esecuzione del provvedimento cautelare; cio' che ha evidentemente ha consentito di ritenere riferibile ad (OMISSIS) anche l'arma prelevata, alla sua presenza, dal cugino (OMISSIS), ritenuta riconducibile all'arsenale del sodalizio e in ogni caso utilizzata, nel frangente, per la protezione del capoclan, con una inevitabile proiezione concorsuale della condotta detentiva (v. pag. 1509 dell'ordinanza genetica). 4.5. Infondate sono le doglianze articolate con il sesto motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), relative alla configurabilita' dei gravi indizi in relazione al delitto di autoriciclaggio previsto dall'articolo 648-ter.1 c.p. e contestato al capo 30-bis) dell'imputazione. Sotto un primo profilo si opina che la tracciabilita' delle transazioni economiche indicate dall'Accusa sarebbero incompatibili con il delitto contestato, non consentendo quell'effetto dissimulatorio e di ostacolo all'identificazione dell'operazione che costituiscono l'elemento essenziale della fattispecie in esame. Sul punto, tuttavia, e' sufficiente osservare che in tema di autoriciclaggio, il criterio da seguire ai fini dell'individuazione della condotta dissimulatoria e' quello della sua idoneita' ex ante ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene, che deve essere apprezzata sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione e senza che il successivo disvelamento dell'illecito per effetto degli accertamenti compiuti determini una condizione di inidoneita' dell'azione per difetto di concreta capacita' decettiva (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri, Rv. 279407-01, relativo a un caso, analogo a quello di specie, in cui le operazioni poste in essere fra diverse societa' risultavano tracciabili; v. anche Sez. 2, n. 16908 del 5/03/2019, Ventola, Rv. 276419-01). Sotto altro aspetto, la difesa lamenta la mancata dimostrazione del fatto che l'assegno di 30.000 Euro incassato da (OMISSIS) il 28/04/2017 fosse riconducibile ad (OMISSIS) e che le ulteriori somme indicate nell'imputazione (quella di 10.000 Euro, accreditata con bonifico da (OMISSIS) in favore di (OMISSIS) il 5/05/2017 e quella di 30.000 Euro di cui ai 2 assegni postali emessi da (OMISSIS) per pagare il prezzo di acquisto di un immobile) fossero derivate dall'assegno originario di 30.000 Euro. Secondo quanto ricostruito nell'ordinanza di custodia cautelare, richiamata per relationem dal provvedimento qui impugnato, la suocera di (OMISSIS), (OMISSIS), era titolare di un conto corrente presso la (OMISSIS) filiale di (OMISSIS), sul quale era transitata una somma di 30.000 Euro di provenienza ritenuta delittuosa, immessa subito dopo l'accreditamento nel mercato immobiliare grazie a un investimento effettuato con l'acquisto di un bene in localita' (OMISSIS). La riferibilita' della somma all'indagato e' stata motivata con una conversazione ambientale, identificata con il n. 13925366, intercorsa, in data 28/06/2017, tra la stessa (OMISSIS) e il figlio, (OMISSIS). In tale occasione, la madre e il figlio avevano discusso di alcuni assegni negoziati in banca dalla stessa (OMISSIS), la quale aveva detto chiaramente che i soldi erano "suoi", ad indicare la riferibilita' delle somme a una terza persona; e aveva poi fatto riferimento, parlando con tono di voce piu' basso, proprio ad (OMISSIS), suscitando l'irata reazione del figlio ("ma questi sono stupidi lascia stare e. basta"), il quale aveva subito compreso come, in tal modo, gli inquirenti sarebbero potuti risalire facilmente a loro. Dalla piana lettura del provvedimento genetico, il cui contenuto e' stato integralmente richiamato dall'ordinanza impugnata e che appare lineare e privo di aporie dal punto di vista logico (nemmeno dedotte dalla difesa), si ricava, dunque, come la (OMISSIS), priva di qualunque fonte di reddito, avesse messo a disposizione il proprio conto corrente per farvi transitare la somma di 30.000 Euro, poi fatta pervenire a (OMISSIS) tramite i due figli, (OMISSIS) e (OMISSIS), quest'ultima moglie dell'indagato, dapprima con tre bonifici, dell'ammontare complessivo di 22.515 Euro e, quindi, con successivi prelievi al bancomat di somme piu' contenute (in un arco di poco piu' di due mesi), per non suscitare, su di se', le attenzioni degli investigatori. 4.6. Venendo, quindi, alle censure svolte con il settimo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), concernente la fattispecie di esercizio abusivo di attivita' finanziaria prevista dal Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 132, contestata al capo 31) dell'imputazione, va premesso che tale delitto presuppone che l'agente realizzi le condotte previste dall'articolo 106 del medesimo decreto inserendosi nel libero mercato e sottraendosi ai controlli di legge, purche' l'attivita', anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di destinatari, sia rivolta a un numero potenzialmente illimitato di soggetti e sia svolta professionalmente, ovvero in modo continuativo e non occasionale, non essendo invece necessario il perseguimento di uno scopo di lucro o, comunque, di un obiettivo di economicita' (Sez. 5, n. 18317 del 16/12/2016, dep. 2017, Kienesberger, Rv. 269616 - 01). Nel caso di specie, l'ordinanza genetica ha evidenziato come dal complesso delle attivita' tecniche disposte nel corso procedimento emergesse lo svolgimento di un attivita' organizzata di concessione di prestiti a terzi, senz'altro connotata da abitualita' e rivolta ad un numero non ristretto di soggetti, all'uopo richiamando le plurime intercettazioni da cui si evinceva che (OMISSIS) aveva, nell'ambito di tale organizzazione, il ruolo di finanziatore, al quale (OMISSIS), suo principale collaboratore in tale attivita', doveva poi rendere conto nella gestione pratica della concessione dei prestiti a terzi (tra cui (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)). Pertanto, la pur stringata motivazione contenuta nell'ordinanza impugnata, che rimanda per relationem a quella del provvedimento genetico, assolve pienamente all'onere incombente sul Tribunale del riesame di pronunciarsi sulle censure difensive, attesa la loro manifesta infondatezza. Anche con riferimento alla identificazione del soggetto denominato con il solo prenome di " (OMISSIS)" nella intercettazione del 24/08/2018, riportata alle pagine 1450 e ss. del provvedimento applicativo, il relativo passaggio motivazionale, che ricollega quella intercettazione a tutte le altre che attestavano il ruolo di coadiutore svolto da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), rende palese il motivo per il quale si e' ritenuto che i loquenti si riferissero proprio all'odierno indagato; sicche' a fronte, anche in questo caso, di una deduzione generica e manifestamente infondata, il rinvio alla motivazione del primo provvedimento appare del tutto giustificato. Quanto, poi, al riferimento del ricorso al contenuto delle intercettazioni e delle sommarie informazioni testimoniali riguardanti le persone offese (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), asseritamente dimostrative dell'estraneita' ai fatti dell'indagato, l'assoluta genericita' della deduzione in parola non ne consente in alcun modo, in questa sede, lo scrutinio. Ne consegue, pertanto, la complessiva infondatezza del presente motivo di censura. 5. Esaurita la trattazione della posizione di (OMISSIS), occorre, indi, prendere in considerazione le censure difensive svolte con riferimento ai vari reati-satellite attribuiti al fratello (OMISSIS), oggetto dei primi due motivi del ricorso presentato dall'avv. (OMISSIS) e dal terzo motivo del ricorso presentato dall'avv. (OMISSIS). 5.1. Muovendo dall'analisi delle questioni afferenti alla gravita' indiziaria del delitto di illecita concorrenza contestato al capo 8) (primo motivo del ricorso dell'avv. (OMISSIS) e terzo motivo di quello proposto dall'avv. (OMISSIS)), premesso che le vicende occorse con riferimento a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) erano state censurate, nei motivi nuovi, con argomentazioni, dettagliatamente ribadite nel ricorso, che afferivano a una diversa interpretazione del contenuto di intercettazioni di chiarissimo significato, di cui il Giudice di legittimita' non puo' essere investito, vanno prese in considerazione le condotte agite nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), oggetto di specifica disamina da parte del Tribunale del riesame. Quanto alle prime, la difesa opina che, in particolare con la telefonata n. (OMISSIS) in cui i due conversanti concordavano la scontistica da applicare agli acquirenti di materiale edile, sarebbe emerso che (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano un rapporto di collaborazione connotato da una vera e propria co-gestione degli affari. Osserva, nondimeno, il Collegio che l'argomento difensivo propone una differente lettura del materiale intercettativo, rispetto al quale l'ordinanza genetica ha fornito una non illogica interpretazione circa il ruolo di totale subordinazione di (OMISSIS) alle indicazioni di (OMISSIS), che le ulteriori conversazioni, non citate nel ricorso (n. 36640 dell'11/05/2016), qualificano in termini di vero e proprio assoggettamento, tanto da consentire all'indagato di redarguirlo per non avere preso contatti con l'imprenditore (OMISSIS). Quanto, poi, alle condotte realizzate ai danni di Ranzo, dalla lettura integrale della telefonata n. 16107 del 24/03/2016 sarebbe emerso che (OMISSIS) era risentito con l'interlocutore perche' Ranzo avrebbe violato precedenti accordi commerciali, avendo rifornito di materiali argillosi un cantiere che gia' aveva acquistato dalla (OMISSIS) prodotti ferrosi. Anche in tal caso, tuttavia, le intercettazioni citate nel provvedimento impugnato, in particolare la n. 16107 del 24/03/2016, che unitamente alla n. 16126 in pari data, descrivono un differente contesto, nel quale (OMISSIS), accanto all'azione di costante monitoraggio dei cantieri da lui svolta, aveva dato puntuali indicazioni affinche' le aziende produttrici non intrattenessero contatti diretti con i titolari dei diversi cantieri edili, in modo che questi ultimi poi confluissero verso la rivendita (OMISSIS); contesto rispetto al quale, ancora una volta, le doglianze difensive si connotano in termini essenzialmente rivalutativi. Quanto, ancora, all'episodio concernente (OMISSIS), agente di commercio della ditta (OMISSIS), anche in questo caso la difesa deduce che da una serie di conversazioni (in particolare la n. 39391 del 18/05/2016 e la n. 71841 del 26/08/2016, entrambe RIT n. 456/2016) sarebbe emerso un rapporto di collaborazione tra i propalanti, che smentiva l'affermazione secondo la quale (OMISSIS) avrebbe imposto i prezzi dei materiali ai rappresentanti (in contrasto, peraltro, anche con la telefonata n. 110524 del 23/11/2016, RIT n. 456/2016). E con riferimento alla vicenda dello smontaggio del silos presso il cantiere della ditta (OMISSIS), dalla conversazione n. 128869 del 21/02/2017 (RIT n. 456/2016), emergerebbe che (OMISSIS) gestiva in prima persona l'affare con (OMISSIS), il quale, sentito in data 17/09/2018, avrebbe riferito che era stato (OMISSIS) a convincerlo a rimuovere il silos, negando di essere mai stato vittima di minacce finalizzate a fargli acquistare materiale edile dalla (OMISSIS). Anche in tal caso, pero', e' appena il caso di osservare che le intercettazioni richiamate dal Tribunale del riesame (contrassegnate con i progr. 393391 e 71841) hanno descritto, secondo la non illogica lettura che ne e' stata fatta, una rimozione del silos disposta certamente da (OMISSIS) (donde le dichiarazioni di (OMISSIS) non rappresentano alcuna smentita rispetto alla ricostruzione dell'ordinanza) ma per il timore che (OMISSIS) non gli consentisse piu' di lavorare nella zona controllata dal clan. Quanto, infine, alle censure svolte con il terzo motivo del ricorso dell'avv. (OMISSIS), secondo cui il delitto previsto dall'articolo 513-bis c.p. punisce soltanto le condotte tipicamente concorrenziali attuate con atti di coartazione che inibiscono la normale dinamica imprenditoriale (quali il boicottaggio, lo storno dei dipendenti, il rifiuto di contrattare, etc.) e che, dall'ampia rassegna delle intercettazioni riportate nel ricorso, non sarebbero state attuate, dal momento che (OMISSIS) non avrebbe imposto i prezzi a coloro che contraevano con lui, il complesso delle risultanze indiziarie consente di condividere la conclusione del Collegio in relazione alla configurabilita' del delitto previsto dall'articolo 513-bis c.p.. Secondo l'interpretazione accolta dalla giurisprudenza di legittimita' nella sua massima espressione nomofilattica, ai fini della configurabilita' di tale fattispecie e' necessario il compimento di atti di concorrenza che, posti in essere nell'esercizio di un'attivita' commerciale, industriale o comunque produttiva, siano connotati da violenza o minaccia e idonei a contrastare od ostacolare la liberta' di autodeterminazione dell'impresa concorrente (Sez. U, n. 13178 del 28/11/2019, dep. 2020, Guadagni, Rv. 278735 - 01). Tale situazione ricorre anche quando un imprenditore acquisisca posizioni dominanti di mercato attraverso l'intervento di un clan che controlli la zona ove insistano le attivita' di impresa coinvolte, verificandosi, anche in una siffatta ipotesi, un'alterazione dell'equilibrio del mercato e del principio della libera concorrenza, atteso che i relativi rapporti economici non sono il frutto di una libera scelta dei singoli esercenti, ma della minaccia scaturente dall'apparentamento dell'imprenditore con i clan mafiosi, con danno per gli altri imprenditori operanti nel medesimo settore, i cui prodotti finiscono per essere forzatamente boicottati. La liberta' di concorrenza, infatti, non si traduce solo nella possibilita' di svolgere la propria attivita' d'impresa in competizione con una pluralita' di soggetti operanti sul mercato, ma anche nella liberta' da illecite interferenze e condizionamenti che ne contrastino od ostacolino l'esercizio, alterando la dimensione concorrenziale di uno spazio produttivo che i protagonisti utilizzano anche in favore della collettivita', e dove quella liberta' non solo viene generalmente regolata e promossa, ma anche lecitamente ad attuarsi. In questa prospettiva, l'acquisizione di una posizione dominante in un determinato settore economico, dovuta all'accordo con i clan, integra un comportamento anticoncorrenziale, in quanto della posizione e' stata conseguita con un'attivita' preclusiva dell'accesso nel settore di altri imprenditori e della liberta' dell'esercente al dettaglio di scegliere liberamente il contraente (cosi', ancora, Sez. U, n. 13178 del 28/11/2019, Guadagni). E quanto alla minaccia costitutiva dell'intimidazione "anticoncorrenziale", questa ben puo' essere, al pari di quella del delitto di estorsione, implicita o ambientale, non necessitando di manifestazioni "eclatanti", purche' sia idonea a incutere timore e a coartare la volonta' del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alle condizioni soggettive della vittima e alle situazioni in cui opera, come del resto avviene, secondo la pratica giudiziaria, in relazione proprio all'azione delle consorterie mafiose, le quali, secondo la formulazione dello stesso articolo 416-bis c.p., si avvalgono della forza di intimidazione ad esse propria per "acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e il controllo di attivita' economiche". Di conseguenza, quando la posizione dominante all'interno di un determinato mercato sia connessa, secondo quanto adeguatamente motivato dai Giudici del merito, alla stretta vicinanza dell'impresa al clan, non e' necessario che vi sia stato il compimento di atti di violenza o di esplicita minaccia, essendo la coartazione della liberta' di impresa dei soggetti economici determinatisi a riconoscere tale posizione dominante riconducibile al timore di subire ritorsioni nel patrimonio o contro la persona a causa del clima di intimidazione diffusa promanante dal gruppo criminale egemone nel territorio di riferimento. Fermo restando che, in questo modo, gli altri imprenditori del settore patiscono la preclusione della via d'accesso al mercato proprio in virtu' della stretta compenetrazione tra l'imprenditore "dominante" e i clan, costituendo concorrenza sleale penalmente rilevante anche il frapporre barriere all'ingresso di altri concorrenti su un certo mercato o su una zona "contrattualmente" stabilita, allorche' tale ostacolo consegua all'opera intimidatoria operata dai clan egemoni sui territori di insediamento delle attivita' commerciali interessate dalle prestazioni rese dall'azienda "monopolista", venendo realizzato, ai danni degli altri operatori del settore, un sostanziale e forzoso boicottaggio (cosi' Sez. 2, n. 34214 del 15/10/2020, Capriati, in motivazione). Fermo restando che, ai fini della tipicita' di fattispecie, la norma incriminatrice non richiede che l'atto di concorrenza con violenza e minaccia si rivolga agli altri concorrenti in senso stretto, potendo esso configurarsi anche quando tale atto si diriga verso altri soggetti (v. ex multis Sez. 6, n. 37520 del 18/04/2019, Rocca, Rv. 276725-01). Un quadro, normativo e giurisprudenziale, quello appena descritto, che e' pienamente compatibile con le acquisizioni indiziarie, dalle quali e' emerso, secondo quanto posto in luce dai Giudici di merito, come (OMISSIS), avvalendosi della capacita' di coartazione della libera scelta degli imprenditori derivante dalla consapevolezza, per costoro, della forza del dan cui apparteneva, pretendesse di stabilire i prezzi dei materiali e come, in caso di acquisto diretto dalla casa di produzione, gli agenti facessero transitare le consegne dal suo magazzino, riconoscendogli una percentuale sulle vendite (v. il progr. 110524). 5.2. Venendo alle questioni relative al delitto di estorsione aggravata commesso nei confronti di (OMISSIS), le censure difensive sono inammissibili e, in ogni caso, infondate. Le ordinanze di merito hanno puntualmente riscostruito la cornice fattuale della contestazione, grazie a un cospicuo compendio intercettativo e alle dichiarazioni dello stesso (OMISSIS) in data 11/07/2017, giungendo a ritenere sussistente un solido compendio indiziario in ordine alla circostanza che costui fosse stato costretto ad acquistare materiali edili dalla (OMISSIS). Secondo la difesa, tuttavia, proprio le conversazioni captate tra (OMISSIS) e (OMISSIS) dimostrerebbero l'inattendibilita' del primo, il quale, secondo quanto ricavabile dalla conversazione n. 4326 del 29/02/2016 (RIT n. 456/2016), avrebbe contattato, spontaneamente, (OMISSIS) per l'acquisto di materiale edile, in particolare pannelli termoisolanti, senza alcuna pressione esercitata dall'indagato, neppure in maniera implicita. In questo modo, tuttavia, il ricorso finisce per sollecitare, ancora una volta, una differente lettura del materiale captativo, che, come gia' anticipato, non e' consentita al Giudice di legittimita', salvo il caso, qui non ricorrente, di un chiaro travisamento del suo contenuto. Tanto piu' che quest'ultimo, come detto, si salda con le dichiarazioni rese da (OMISSIS) ai Carabinieri di Castello di Cisterna, in occasione delle quali l'imprenditore aveva dichiarato che egli aveva comprato alcuni materiali ferrosi presso la (OMISSIS) in quanto era a conoscenza che (OMISSIS) era fratello di (OMISSIS), da lui definitivo come un "pericolosissimo criminale della zona di Liveri". Le ulteriori censure articolate con il secondo motivo del ricorso proposto dall'avv. (OMISSIS), che sostanzialmente si sovrappongono alle deduzioni contenute nel terzo motivo del ricorso presentato dall'avv. (OMISSIS), concernono il pagamento di una fornitura di ferro; episodio non inserito nel capo d'imputazione e che, tuttavia, viene richiamato nell'ordinanza impugnata. La difesa evidenzia come le parti avessero convenuto che (OMISSIS) avesse offerto, a compensazione del suo debito di circa 800 Euro, delle operazioni di potatura di alcuni alberi; e che rispetto a tale accordo i due avevano avuto un fisiologico contrasto per definire l'ammontare di quest'ultima prestazione, per la quale (OMISSIS) non aveva mai precisato il corrispettivo, senza che peraltro, dalle relative conversazioni (n. 4326, n. 124495, n. 41384 e n. 84056), emergessero delle pressioni illecite e, soprattutto, senza che si potesse al riguardo configurare alcun illecito profitto da parte dell'indagato. Tuttavia, anche con riferimento a tale episodio, e' appena il caso di osservare come la contestazione del fatto descritto al capo 9) si riferisca, all'evidenza, a una ipotesi di estorsione contrattuale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l'agente o con altri soggetti e nella quale l'elemento dell'ingiusto profitto con altrui danno e' implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, essendogli impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto piu' opportuno (Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, Di Grazia, Rv. 278998 - 01; Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, dep. 2017, Mancuso, Rv. 269364 - 01; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258168 - 01; Sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012, Biondo, Rv. 252283 - 01; Sez. 6, n. 46058 del 14/11/2008, (OMISSIS), Rv. 241924 - 01). Ne consegue che le osservazioni difensive svolte nei due ricorsi in ordine alla legittimita' della pretesa di essere pagato, avanzata da (OMISSIS), deve ritenersi inammissibile in quanto non assiale rispetto all'oggetto della contestazione. E quanto al profilo della violenza o minaccia va ulteriormente ribadito che tale nozione deve essere ritenuta comprensiva - in specie, anche se non solo, nei casi di estorsione contrattuale - dell'implicita intimidazione, in particolare quanto al contraente sia nota l'appartenenza dell'altro a un'associazione mafiosa (Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv. 274149 - 01). Ne consegue, pertanto, che anche le censure relative a tale fattispecie incriminatrice devono essere respinte. 5.3. Le considerazioni che precedono conducono, necessariamente, a ritenere infondate le argomentazioni difensive svolte nel terzo motivo del ricorso dell'avv. (OMISSIS), relative alla configurabilita' dell'aggravante prevista dall'articolo 416-bis.1 c.p. Si e' gia' osservato, nell'analisi dei motivi che riguardano le varie fattispecie incriminatrici, come le attivita' economiche poste in essere da (OMISSIS), anche, ma non solo, per il tramite dell'impresa edile allo stesso intestata, fossero caratterizzate dalla capacita' di intimidazione delle persone offese con le quali l'indagato intratteneva rapporti commerciali, acquisendo un ruolo dominante all'interno del microsistema economico costituito dalle attivita' edilizie nel territorio di riferimento proprio in virtu' della dalla capacita' criminale del clan, di cui (OMISSIS) era considerato un esponente autorevole. 5.4. Per quanto, infine, concerne le esigenze cautelari, contestate con riferimento alla posizione del solo (OMISSIS), il quarto motivo del ricorso proposto dall'avv. (OMISSIS) e' inammissibile. Dopo avere richiamato la disciplina processuale in materia di presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura custodiale, l'ordinanza impugnata ha evidenziato, innanzitutto, l'assenza di concreti elementi in grado di sovvertire tale presunzione. Inoltre, il Tribunale del riesame, senza sottrarsi alla verifica dell'incidenza del tempo trascorso sull'esistenza e sull'attualita' delle esigenze cautelari (Sez. 5, n. 31614 del 13/10/2020, Lo (OMISSIS), Rv. 279720 - 01), ha puntualmente passato in rassegna i concreti elementi di fatto indicativi della persistente operativita' del clan fino ad epoca recente, all'uopo valorizzando le dichiarazioni di don (OMISSIS), che per come riportate appaiono riferibili al complesso del sodalizio e non certo alla sola posizione di (OMISSIS), come invece opinato dalle difesa con argomentazioni generiche e meramente confutative. 6. Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. 6.1. Non comportando la presente decisione la rimessione in liberta' dei ricorrenti, la Cancelleria provvedera' agli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE PRIMA CIVILE nella persona dei magistrati: dott.ssa Serena BACCOLINI - Presidente dott. Lorenzo ORSENIGO - Consigliere rel. dott.ssa Manuela CORTELLONI - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 2651/2021 R.G. promossa in grado d'appello da (...) S.R.L (C.F. e P. Iva (...)), elettivamente domiciliata in via Mellerio 1 Milano, presso lo studio degli avv.ti Fa.Be. e En.Le., che la rappresentano e difendono come da procura in atti. APPELLANTE contro (...) L.L.C. (C.F. (...) e P. Iva (...)), elettivamente domiciliata in Piazza (...), 2 Milano presso lo studio dell'avv. Ru.Di., che la rappresenta e difende come da procura in atti. APPELLATA OGGETTO: Franchising IN FATTO E IN DIRITTO (...) s.r.l. ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale di Milano n. 6058/2021, pubblicata in data 12/07/2021, con la quale, nell'ambito di una causa introdotta dalla stessa appellante nei confronti di (...) LLC ed avente ad oggetto la domanda di risarcimento danni per ingiustificata interruzione delle trattative relative alla stipula di un contratto di franchising, per abuso di dipendenza economica e per concorrenza sleale intrabrand, è stato così deciso: "1. respinge le domande proposte da (...) srl nei confronti di (...) LLC; 2. condanna l'attrice a pagare alla convenuta le spese processuali che liquida in Euro 21.387,00 per compenso oltre il rimborso del 15 % ex art. 2 D.M. n. 55 del 2014 oltre oneri accessori di legge". Vicende processuali 1) Nel maggio 2019, con atto di citazione, la (...) S.r.l. (anche solo "(...)"), agiva in giudizio di fronte al Tribunale di Milano, esponendo quanto segue. In qualità di "affittuario", la (...) s.r.l. aveva stipulato nel 1999 e nel 2000 due contratti di franchising, di durata ventennale, con (...) LCC (d'ora in poi "(...)"), aventi ad oggetto un ristorante sito nel comune di Sanremo e uno ubicato a V., la gestione dei quali veniva affidata, sin da subito, in qualità di "Responsabile", al sig. (...), titolare del 98% del capitale sociale della (...) S.r.l. e, al tempo, Amministratore Unico di detta società. Visti gli ottimi risultati conseguiti dai due ristoranti, a seguito della Business review del 19 ottobre 2014, (...) aveva riconosciuto alla (...) lo "stato di espandibilità" all'interno del sistema (...), riconoscimento poi confermato dal franchisor anche per gli anni 2015 e 2016. Sulla base di suddetto riconoscimento, la (...) aveva sottoposto a (...) un "piano di sviluppo" relativo alla possibile nuova apertura di un terzo ristorante in una nuova località, individuata poi in Imperia. Analizzato e approvato il progetto da parte del franchisor, il Sig. (...) aveva provveduto alla formazione del personale destinato al ristorante di nuova apertura, che comportava per la (...) una spesa di Euro 88.866,41. Avviata la formazione, nel gennaio del 2017 il Sig. (...) sollecitava (...) a fissare una data di apertura del nuovo ristorante, ma senza alcun esito concreto; nel luglio del 2017 apprendeva, da notizie stampa, che nell'ottobre dello stesso anno sarebbe stato inaugurato un nuovo (...) ad Imperia, la cui gestione sarebbe stata affidata al franchisee di Savona, società V. S.r.l. Il Sig. (...) contestava immediatamente a (...) la violazione degli accordi tra loro intercorsi, chiedendo a questa di revocare l'assegnazione all'altro affiliato, di risolvere i relativi accordi con lo stesso sottoscritti e di dar corso alla concordata assegnazione del ristorante alla (...) s.r.l. Nel mese di dicembre 2017 (...) comunicava, infine, alla (...) che non avrebbe rinnovato i contratti di franchising, di ormai prossima scadenza, per i ristoranti di Sanremo e Ventimiglia: tale decisione giungeva al (...) in modo inaspettato, considerato che nel 2016 erano state avviate, su impulso di (...), le procedure di New Term, finalizzate alla stipula di nuovi contratti di franchising sia su Sanremo che su Ventimiglia. L'affidamento del (...) circa il rinnovo dei contratti di franchising dei due ristoranti e circa la gestione del nuovo (...) di Imperia, si fondava anche sull'accordo transattivo del febbraio del 2013, con cui si era conclusa una controversia pendente con (...) inerente la ristrutturazione dei ristoranti di Sanremo e Ventimiglia: con tale accordo (...) si era impegnata a rimborsare alla (...) la spesa della ristrutturazione, a rinnovare entrambi i contratti di franchising e a consentire alla (...) di raggiungere l'obiettivo dell'espandibilità. La (...) deduceva, inoltre, che, in conseguenza della Transazione, essa aveva subito un'ingente perdita economica per entrambi i ristoranti di Sanremo e Ventimiglia pari ad Euro 1.787.273,39 per il riallineamento dei prezzi dei propri prodotti a quelli più bassi suggeriti da (...) e che, in conseguenza dell'attribuzione della gestione del ristorante di Imperia ad altro affiliato, aveva subito anche un danno da calo del fatturato del ristorante di Sanremo pari ad Euro 284.378,08. 2) Introducendo il giudizio di primo grado la (...) svolgeva, quindi, le seguenti domande di risarcimento dei danni nei confronti di M.: A) per l'importo di Euro 88.866,41, per responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. per l'interruzione ingiustificata delle trattative relative alla stipula del contratto di franchising avente ad oggetto il ristorante di Imperia; B) per l'importo di Euro 1.787.273,39, per violazione dei principi di correttezza professionale di cui all'art. 2598, n. 3 c.c. e/o il disposto dell'art. 1175 c.c. per concorrenza sleale intrabrand; C) per l'importo di Euro 284.378,08, per abuso di dipendenza economica ai sensi dell'art. 9 della L. n. 192 del 1998 e/o violazione del dovere di buona fede e correttezza nei rapporti contrattuali e commerciali di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. 3) Si costituiva in giudizio (...) che, contestando quanto allegato da controparte, chiedeva il rigetto delle domande attoree. Al riguardo, la convenuta deduceva: - che il rapporto tra il franchisor (...) e il franchisee (...) era stato spesso conflittuale, in quanto la (...) aveva dimostrato più volte un'aspettativa a ricevere trattamenti diversi e preferenziali rispetto agli altri appartenenti alla catena (...), avanzando pretese non corrispondenti alle pattuizioni contrattuali; - che in sede di accordo transattivo, la (...) aveva chiesto che nel testo dell'accordo fossero inseriti alcuni obblighi di (...) relativi alla proroga dei due contratti di affiliazione commerciale per il ristorante di Ventimiglia e di Sanremo, nel caso in cui essa fosse risultata "espandibile" alla luce dei criteri prestabiliti da (...), ma la richiesta non aveva trovato accoglimento, in quanto l'espandibilità viene considerata presupposto necessario ma non sufficiente per l'ottenimento della proroga dei contratti di franchising e per la sottoscrizione di un nuovo contratto di affiliazione commerciale; - che (...) non aveva assunto nessun impegno circa l'assegnazione del locale di Imperia alla (...) s.r.l., essendosi solo limitata a rispondere alle richieste di visita della location sita in I.; - che il costo della formazione del personale, che la convenuta contestava fosse avvenuta per il ristorante di Imperia, non poteva essere imputato a (...) in mancanza di una trattativa; - che il danno lamentato dalla (...), conseguenza del presunto illecito di concorrenza sleale, risultava insussistente e non provato; - che la (...) si era adeguata spontaneamente ai prezzi consigliati dalla (...), non essendoci stata nessuna imposizione; Sulla base di tali argomentazioni, (...) chiedeva il rigetto delle domande di parte attrice, perché inammissibili e infondate. 4) Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 6058/2021, pubblicata in data 12/07/2021, ha rigettato integralmente le domande di (...) s.r.l., avendo rilevato quanto segue. 4.1.) Sulla domanda di risarcimento del danno per ingiustificata interruzione delle trattative: - che, "con riferimento alla dedotta interruzione ingiustificata delle trattative, ... secondo l'orientamento giurisprudenziale più recente, la responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta, posta dall'art. 1337 c.c. a tutela del corretto dipanarsi dell'iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell'onere della prova; ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede l'onere della prova che il proprio comportamento corrisponda ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull'altra parte l'onere di dimostrare che il recesso esuli dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma "de qua" (cfr. ad es. Cass. n. 24738 del 03/10/2019)"; - che "la stipulazione nell'ottobre del 2017 con altro affiliato del contratto per la gestione del nuovo Ristorante in Imperia, non comporta la responsabilità di (...) per interruzione di trattative nei confronti di (...) srl, in quanto l'attrice non ha provato che tale condotta di (...) esulasse dalla discrezionalità - riservata al franchisor - di organizzare la gestione di un locale di nuova apertura, né ha provato che nel corso della preliminare verifica della disponibilità di (...) ad assumere la gestione del nuovo Ristorante, (...) abbia tenuto una condotta che oggettivamente potesse ingenera il legittimo affidamento di (...) srl nella stipulazione di un nuovo contratto". 4.2.) Sulla prova dei danni riferibili all'interruzione delle trattative e al riallineamento dei prezzi: - che "come ulteriore ed autonomo motivo di rigetto della prima domanda risarcitoria, si deve rilevare che l'attrice non ha neppure dimostrato danni causalmente riferibili all'interruzione delle trattative per la gestione del nuovo Ristorante". 4.3.) Sulla prova del danno subito per abuso di dipendenza economica ex art. 9 L. n. 192 del 1998: - che "la Suprema Corte ha rilevato, ... "che non ogni situazione di dipendenza economica può dirsi vietata, ma unicamente quella che sia abusivamente sfruttata dalla parte dominante, al fine di trarne vantaggi ulteriori rispetto a quelli derivanti dal legittimo esercizio della propria autonomia negoziale"; ha statuito, infine, che "l'onere della prova di tali presupposti resta a carico dell'attore che invochi le tutele ex art. 9 della L. n. 192 del 1998 (Cass. n. 1184/2020)"; - che "l'attrice non ha assolto tale onere probatorio, in quanto si è limitata a ribadire le medesime condotte di (...) relative all'interruzione delle trattative ed alla scelta di un altro affiliato per la gestione del nuovo Ristorante d'Imperia, alla politica dei prezzi consigliati,al diniego di rinnovo dei contratti per i Ristoranti di Sanremo e Ventimiglia (controversia per la quale pende altro giudizio)"; - che "l'attrice nulla ha dedotto circa un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi eventualmente rinvenibile nel regolamento negoziale del sistema di franchising "(...)", né in merito al perseguimento da parte del franchisor "di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse economico dell'impresa", vale a dire di fini estranei alla discrezionalità riservata al franchisor nell'organizzare la gestione dei Ristoranti nel Sistema "(...)". 4.4.) Sulla domanda di risarcimento del danno per concorrenza sleale intrabrand, in violazione dell'art. 2598 n. 3 c.c., domanda dedotta sotto il profilo del diniego di espansione della (...) e dell'assegnazione d altro affiliato del Ristorante d'Imperia: - che, "la responsabilità a titolo di concorrenza sleale, ai sensi dell'art. 2598, numero 3), cod. civ., presuppone che l'imprenditore si sia avvalso di un mezzo, non soltanto contrario ai principi della correttezza professionale, ma anche idoneo a danneggiare l'altrui azienda; pertanto, detta responsabilità non opera allorché il giudice accerti che il comportamento denunciato non abbia provocato alcun pericolo di sviamento di clientela in danno dell'imprenditore denunciante (Cass. n. 8215/2007)"; - che, nel caso in esame, "la convenuta ha eccepito che nel suo sistema di franchising non spetta all'affiliato un diritto di esclusiva sul territorio e che ... non è stato dimostrato dall'attrice che l'apertura del nuovo Ristorante ad Imperia, a distanza di oltre 30 km dal Ristorante di San Remo, sia la causa del lamentato decremento di fatturato e, comunque, non è provato che la scelta di (...) di non assegnare il nuovo Ristorante a (...) srl fosse contraria a regole di correttezza nel rapporto del franchisor con gli affiliati". 5) Contro tale sentenza ha proposto appello la (...) che, richiamando preliminarmente una decisione (del 27 luglio 2021) dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, inerente ad una recente istruttoria che ha interessato il rapporto tra (...) e i suoi franchisee, ritenuta dall'appellante rilevante nella causa pendente, ha chiesto l'accoglimento delle stesse domande già avanzate in primo grado, previa riforma della sentenza impugnata, per i seguenti motivi. 5.1.) Erronea pronuncia nella parte in cui la sentenza ha omesso di ravvisare la responsabilità precontrattuale di controparte per interruzione ingiustificata delle trattative. 5.2.) Erronea pronuncia nella parte in cui il Tribunale omette di valutare i profili inerenti la responsabilità precontrattuale della (...). 5.3.) Erronea pronuncia nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto non provati i danni derivanti dalla dedotta responsabilità precontrattuale della (...) e il loro ammontare. 5.4.) Erronea pronuncia nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di ravvisare la responsabilità della (...) per aver imposto alla (...) s.r.l. il riallineamento dei prezzi applicati nei ristoranti di Sanremo e Ventimiglia a quelli consigliati dalla (...) stessa con conseguente abuso di dipendenza economica ex art. 9 della L. n. 192 del 1998. 5.5.) Erronea pronuncia nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto non provati i danni derivanti dalla dedotta responsabilità della (...) per abuso di dipendenza economica e il loro ammontare. 5.6.) Erronea pronuncia nella parte in cui il Tribunale ha omesso di ravvisare la responsabilità della convenuta per concorrenza sleale intrabrand, in violazione dell'art. 2598, primo comma, n. 3, cod. civ., e/o dell'obbligo di buona fede di cui all'art .1175 cod. civ. per aver affidato ad altro affiliato il Ristorante d'Imperia con conseguente calo del fatturato della (...). 5.7.) Erronea pronuncia nella parte in cui il Tribunale ha omesso di quantificare il danno derivante dalla concorrenza sleale intraband ex art. 2598, primo comma, n. 3, cod. civ. e/o dalla violazione dell'obbligo di buona fede di cui all'art. 1175 cod. civ. 6) Si è costituita in giudizio (...) che, deducendo preliminarmente l'estraneità della decisione dell'AGCM del 2021 rispetto alla causa pendente e l'inammissibilità della produzione documentale avversaria, in quanto nuova rispetto al giudizio di primo grado, e contestando, puntualmente, tutto quanto ex adverso dedotto, ha chiesto, in via preliminare, la declaratoria di inammissibilità dell'appello per violazione dei requisiti di cui all'art. 342 c.p.c. e, nel merito, il rigetto dell'appello con conferma della sentenza impugnata. Motivi della decisione 7) Va, anzitutto, respinta l'eccezione di inammissibilità dell'appello sollevata dalla parte appellata con riguardo all'asserita violazione dell'art. 342 c.p.c. sul rilievo che l'appellante avrebbe "articolato i numerosi motivi di appello in modo irrituale in violazione dei rigorosi criteri imposti dal legislatore della riforma, senza indicare le pretese violazioni di legge o le pretese contraddizioni nella motivazione, limitandosi a trascrivere gli stralci della motivazione dalla stessa ritenuti non condivisibili". Al riguardo, si osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità, alla quale questo Collegio intende aderire, "gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata" (ex multis, Cass. civ. n. 7675/2019; Cass. civ. n. 13535/2018; Cass. civ. SS.UU. 27199/2017). Nell'atto di appello proposto sono, invero, individuate le statuizioni contestate della sentenza impugnata e sono esposte le argomentazioni a sostegno delle richieste di riforma della decisione del Tribunale e, quindi, a contrasto della valutazione del primo giudice, il che, d'altro canto, ha consentito alla parte appellata di prendere compiutamente posizione e di esercitare pienamente il diritto di difesa. 8) Quanto al merito, l'appello è infondato e va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata, per i seguenti motivi. 8.1.) Con il primo motivo di appello la (...), contestato preliminarmente l'orientamento richiamato nella sentenza impugnata, ancorato alla concezione della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. come responsabilità di tipo extra-contrattuale, ha censurato la decisione del giudice di prime cure nella parte in cui, per un'errata valutazione degli elementi probatori dalla stessa allegati, il Tribunale non ha ravvisato un'ingiustificata interruzione delle trattative inerenti la stipula del contratto di franchising relativo alla gestione del nuovo ristorante di Imperia, né ha riconosciuto la ricorrenza di un legittimo affidamento della (...) medesima in ordine alla loro conclusione positiva della trattativa. 8.1.1.) Ad avviso della Corte, tale motivo di appello è infondato. Va preliminarmente posta in luce, in punto di diritto, l'adesione di questa Corte alla consolidata tesi della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell'onere della prova: ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, grava non su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull'altra parte l'onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della correttezza e della buona fede postulati dall'art. 1337 c.c.. Tanto premesso, merita di essere condivisa la valutazione svolta dal giudice di prima istanza che, in applicazione del suesposto principio, ha rigettato la domanda della (...) di risarcimento del danno ex art. 1337 c.c. per ingiustificata interruzione delle trattative, essendo stata ritenuta del tutto carente la prova dei presupposti su cui è basata la pretesa risarcitoria in questione. Invero, deve ritenersi che il Tribunale abbia diffusamente illustrato nella sentenza impugnata la mancanza di prova circa le condotte di (...) che potessero valere a concretizzare in capo all'appellante il legittimo affidamento sulla conclusione del nuovo contratto di franchising. Invero, la (...), a dimostrazione del dedotto legittimo affidamento, ha allegato il riconoscimento di espandibilità del novembre del 2014, la Transazione del febbraio del 2013 e la corrispondenza con i "vertici" di (...): tali elementi di prova sono stati considerati dal giudice di prime cure "non idonei a provare che la condotta della (...) esulasse dalla discrezionalità, riservata al franchisor, di organizzare la gestione di un locale di nuova apertura". Più precisamente, per quel che concerne la Transazione del febbraio 2013, il Tribunale ha rilevato che dalla stessa non si potesse evincere "alcun dato oggettivo dal quale desumere lo "spirito" di un accordo dal quale, a dire dell'attrice, avrebbero preso avvio le trattative ... per l'assegnazione del terzo Ristorante di Imperia". La questione merita pochi cenni: invero, come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, in tale accordo transattivo, frutto della composizione bonaria della controversia al tempo pendente tra la (...) e (...) di fronte al Tribunale di Ventimiglia ed avente ad oggetto una questione del tutto estranea rispetto al presente giudizio, quale la ristrutturazione dei ristoranti di Sanremo e Ventimiglia, non è stato fatto cenno alcuno rispetto alla stipula di nuovi contratti di affiliazione commerciale, né tantomeno, contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, ciò potrebbe considerarsi condizione implicita nella Transazione. Per ciò che concerne, invece, il riconoscimento dello stato di espandibilità del novembre 2014, il Tribunale ha rilevato che detto riconoscimento dovesse essere inteso come "certificazione della sussistenza ... di alcuni dei requisiti oggettivi di "buona salute gestionale" del franchisee, che rappresentano una condizione necessaria, ma non sufficiente, perché sia accordata l'eventuale assegnazione di una location aggiuntiva o la proroga della durata di un contratto in corso". Sul punto, è da ritenersi condivisibile la valutazione del giudice di primo grado, in quanto anche in caso di riconoscimento del requisito di espandibilità, la stipula di un ulteriore contratto di affiliazione commerciale resta una mera facoltà per il franchisor, le cui decisioni rispondono a legittime ed autonome valutazioni, nel rispetto della reciproca e libera autonomia contrattuale e imprenditoriale. Pertanto, il riconoscimento dello stato di espandibilità non avrebbe potuto far sorgere in capo alla (...) la legittima aspettativa di ottenere l'assegnazione di un nuovo ristorante. In ultimo, per quanto attiene alle circostanze dedotte dalla (...) in merito all'esame e alla discussione con i "vertici" di (...) del progetto di apertura del ristorante di Imperia, il Tribunale ha rilevato che "la corrispondenza email prodotta dall'attrice, non dimostra condotte di (...) che potessero valere a concretizzare in capo a (...) il legittimo affidamento sulla conclusione di uno nuovo contratto per la gestione di un Ristorante nel sito di I.". Il giudice di primo grado ha, condivisibilmente, ritenuto a tal proposito quanto mai significativa la lettera del 3 maggio 2017 (doc. 15 fasc. primo grado parte appellante), con la quale il Sig. (...) chiedeva all'Amministratore delegato di (...), (...), un incontro per sottoporre alla sua attenzione le "aspettative" della società, relative al prolungamento dei contratti di entrambi i ristoranti e all'espansione della (...) con l'acquisizione del ristorante di Imperia, nonchè la successiva risposta di (...), del 29 maggio 2017 (doc. 16, fasc. primo grado parte appellante), con la quale veniva comunicato alla (...) che "l'instaurazione della procedura per un'eventuale stipula di un nuovo contratto di franchising non costituisce obbligo né della (...) s.r.l., né della (...), di addivenire alla conclusione ed alla stipula di tale nuovo contratto". Ebbene, per quanto l'appellante, nel proprio atto di appello, insista nel rimarcare "la prassi avversaria di condurre trattative verbali" (sì da non lasciare particolari tracce sullo stato e il contenuto della trattativa), tuttavia, dallo scambio di email appena citato, pare difficile immaginare che tra le parti fossero pendenti delle vere e proprie avanzate trattative per l'apertura di un nuovo ristorante ad Imperia; invero, nel maggio del 2017, a pochi mesi dall'inaugurazione del ristorante di Imperia (avvenuta nell'ottobre del 2017) le suddette trattative avrebbero dovuto essere oramai in una fase "avanzata", mentre dalla corrispondenza tra le parti (e, soprattutto, dalla citata lettera di parte (...) del 3/5/2017) emerge, piuttosto, che le stesse fossero ancora in una fase "embrionale", come dimostrato dal fatto che il Sig. (...), in detta lettera, chiedeva un incontro al sig. (...) di (...) per "riportare alla tua attenzione le aspettative della mia società" oltre che per il prolungamento dei contratti anche per l'acquisizione del ristorante di Imperia, sì da potersi ricondurre la posizione di (...), in una tale fase, più che ad un ragionevole affidamento sul buon esito di una trattativa in uno stato ormai avanzato, ad una mera e soggettiva "aspettativa" riguardo alla prospettiva della possibile assegnazione di un nuovo ristorante ad Imperia, ossia ad una situazione che, a fronte dell'autonomia negoziale della controparte, non è certo meritevole della tutela invocata dall'appellante in termini di responsabilità precontrattuale. Alla stregua delle considerazioni che precedono, risultano indimostrati i presupposti essenziali della responsabilità precontrattuale. A tal proposito, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha stabilito che "per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale, occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l'altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita responsabilità; che, infine, pur nell'ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto" (Cass., Ord. 34510/2021). Orbene, anche alla luce di quanto affermato dalla Suprema Corte, la decisione del giudice di primo grado, che ha escluso la responsabilità precontrattuale di (...) per interruzione delle trattative nei confronti della (...) per mancanza di prova, appare lineare e corretta e, pertanto, non può dirsi in alcun modo sussistente il vizio lamentato dall'appellante con il motivo di appello de quo. 8.2) Con il secondo motivo di appello la parte appellante ha contestato l'esclusione, da parte del giudice di primo grado, della responsabilità in capo all'appellata per aver interrotto, improvvisamente e senza giustificato motivo, le trattative con la (...). Secondo parte appellante, (...) sarebbe responsabile ai sensi dell'art. 1337 c.c. per violazione degli obblighi di lealtà reciproca, di buona fede, di correttezza e di cooperazione, derivante dall'omissione di alcune informazioni e circostanze importanti circa la reale intenzione di (...) di concludere il contratto e circa l'avvio di trattative parallele con diversi franchisee. 8.2.1) Tale motivo di appello è da ritenersi infondato per le considerazioni già illustrate in sede di esame del precedente motivo, in cui si è rimarcata e condivisa la valutazione del giudice di primo grado rispetto agli elementi di prova dallo stesso analizzati e che hanno portato ad escludere la responsabilità precontrattuale di (...) nei confronti della (...) per ingiustificata interruzione delle trattative. 8.3) Con il terzo motivo di appello la (...) ha censurato la decisione del giudice di primo grado nella parte in cui ha ritenuto non provati i danni derivanti dalla dedotta responsabilità precontrattuale della (...) e il loro ammontare. 8.3.1) Tale motivo di appello deve ritenersi assorbito dal rigetto dei precedenti motivi. 8.4) Con il quarto motivo di appello, la (...) ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di primo grado non ha ravvisato l'integrazione della fattispecie di abuso di dipendenza economica di cui all'art. 9 della L. n. 192 del 1998, quale dovrebbe ritenersi dimostrata dalla politica dei prezzi di rivendita dei prodotti perpetrata da (...) che si sarebbe tradotta nell'imposizione di prezzi senza alcuna possibilità di negoziazione né flessibilità da parte dei franchisee. 8.4.1) Tale motivo di appello è inconcludente e comunque infondato. Da un lato, va segnalata l'irrilevanza della questione rispetto alla pretesa risarcitoria avanzata in causa a titolo di responsabilità precontrattuale con riferimento all'aspettativa nutrita da (...) in vista dell'apertura di un nuovo ristorante nella location di Imperia. Da un altro lato, merita di essere condivisa la valutazione del giudice di prime cure, il quale ha ritenuto infondata la medesima domanda risarcitoria per il rilevante importo di Euro 1.787.273,39 contemporaneamente prospettata (oltre che quale danno conseguente alla dedotta responsabilità precontrattuale, anche) per il "riallineamento prezzi dei ristoranti di Sanremo e Ventimiglia" ai prezzi consigliati da (...) per abuso di dipendenza economica ex art. 9 L. n. 192 del 1998. Al riguardo, deve confermarsi la valutazione con cui il giudice di primo grado ha escluso la fondatezza di tale domanda non solo "per l'evidente carenza di prova del danno" (in ordine alla quale è stato evidenziato come l'attrice avesse semplicemente "prodotto listini prezzi del 2012 e prospetti riepilogativi privi di riscontri contabili per il periodo dal 1 gennaio 2013 e sino al 2019") ma anche per il mancato assolvimento all'onere "di provare le circostanze oggettive dalle quali desumere i presupposti dell'abuso di dipendenza economica": invero, la parte appellante, contrariamente a quanto richiede la più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 1184/2020), non ha provato i presupposti dell'istituto di cui all'art. 9 L. n. 192 del 1998, in quanto nulla ha dedotto circa un eccessivo squilibrio dei reciproci diritti ed obblighi tra i due contraenti, né l'esistenza di un comportamento vessatorio da parte di (...), né l'intenzionalità di tale presunta vessazione. Parte appellante, inoltre, a sostegno delle proprie argomentazioni, ha allegato un provvedimento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del luglio 2021 (doc. 28, fasc. parte appellante): peraltro, in assenza delle necessarie allegazioni e prove, di cui s'è detto, tale provvedimento, frutto di un'indagine svolta relativamente ai rapporti contrattuali di (...) con alcuni propri licenziatari, sebbene riguardi anche la questione relativa all'adeguamento dei prezzi suggeriti da (...) ai franchisee, non pare che possa, di per sé, sorreggere la pretesa risarcitoria avanzata in causa dalla (...) per abuso di dipendenza economica. 8.5) Con il quinto motivo di appello la parte appellante ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto non provati i danni derivanti dalla dedotta responsabilità della (...) per abuso di dipendenza economica e il loro ammontare. 8.5.1) Tale motivo di appello deve ritenersi assorbito dal rigetto del precedente motivo. 8.6.) Con il sesto motivo di appello la parte appellante ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha omesso di ravvisare la responsabilità di (...) per concorrenza sleale intrabrand ai sensi dell'art. 2598 n. 3 c.c., per aver affidato ad altro franchisee la gestione del ristorante di Imperia. 8.6.1) Tale motivo di appello, ad avviso della Corte, è del tutto infondato. Va, anzitutto, considerato che la parte appellante, già titolare di due contratti di franchising, non godeva, in base a tali contratti, di un diritto di esclusiva territoriale, che, cioè, vincolasse il franchisor a non sottoscrivere con terzi altri contratti in una determinata zona territoriale, sì da garantire al franchisee di non subire concorrenza (c.d. intrabrand) di altri affiliati o dello stesso affiliante in un certo territorio, che quindi in tale senso diviene "protetto"; in mancanza di una clausola di esclusiva, che deve essere prevista espressamente dalle parti, in quanto non costituisce elemento naturale del contratto di franchising, non potrebbe vantare alcun diritto in tal senso, con conseguente insussistenza della responsabilità contrattuale dedotta in capo al franchisor, che rimane libero di avvalersi di altri distributori nello stesso mercato territoriale in cui opera il franchisee. Ciò premesso, ed esclusa, quindi, l'invocabilità di un diritto di esclusiva territoriale in capo alla (...), deve ritenersi condivisibile la valutazione del giudice di prime cure, che, in tale contesto, ha escluso la responsabilità di (...) per concorrenza sleale non avendo assolto l'appellante all'onere di provare i presupposti di detta responsabilità, in quanto, da un lato, non potrebbe dirsi che "la scelta di (...) di non assegnare il nuovo ristorante a (...) fosse contraria a regole di correttezza nel rapporto del franchisor con gli affiliati"; da un altro lato, l'appellante non ha dimostrato che il comportamento di (...), che ha affidato ad altro franchisee la gestione del nuovo ristorante di Imperia, situato ad oltre 30 km. dal ristorante di Sanremo gestito da (...), abbia di per sé determinato il decremento di fatturato di cui si è lamentata in causa la parte appellante che si è limitata ad affermare che "il danno in parola è stata diretta conseguenza dell'apertura di un nuovo ristorante di Imperia nella stessa trading area della (...)". Alla luce delle suesposte considerazioni, risulta, pertanto, del tutto infondata la doglianza di parte appellante. 8.7) Con il settimo e ultimo motivo di appello, la parte appellante ha denunciato l'errata decisione del Tribunale nella parte in cui ha omesso di quantificare il danno derivante dalla concorrenza sleale intrabrand ex art. 2598 n. 3 c.c.. 8.7.1) Tale motivo di appello resta assorbito dalle valutazioni svolte nel precedente motivo. 9) Alla luce di quanto considerato, l'appello deve essere rigettato e la sentenza impugnata integralmente confermata. Al rigetto dell'appello consegue la condanna dell'appellante al pagamento in favore della parte appellata delle spese del grado che si possono liquidare, come da nota spese, rispettosa dei parametri previsti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, nell'importo complessivo di Euro 10.534,00, oltre accessori. P.Q.M. La Corte di Appello di Milano, disattesa ogni contraria ed ulteriore domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) S.r.l., avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 6058/2021 pubblicata in data 12/07/2021, e nei confronti di (...) LLC, così provvede: 1) rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata; 2) condanna l'appellante (...) S.r.l. a rifondere alla parte appellata (...) LLC le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano in complessivo Euro 10.534,00 per compenso, oltre 15% per rimborso spese forfettarie, oltre IVA e C.P.A. come per legge; 3) dichiara la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, così come modificato dall'art. 1 comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all'art. 13 comma 1 bis D.P.R. n. 115 del 2002. Così deciso in Milano il 3 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. COSTANTINI Antoni - rel. Consigliere Dott. VIGNA M.Sabina - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 22/09/2022 del Tribunale del riesame di Catanzaro; visti gli atti, la ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Antonio Costantini; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Tomaso Epidendio, che ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. udito il difensore, avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS), con due distinti atti affidati ai difensori, ricorre avverso l'ordinanza del Tribunale di Catanzaro che, in funzione giudice del riesame ex articolo 309 c.p.p., ha confermato l'ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva applicato al medesimo la misura cautelare degli arresti domiciliari. Le indagini hanno portato i Giudici della cautela a ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza circa l'integrazione, da parte del ricorrente, del reato di cui all' articolo 513-bis, comma 2, e articolo 416-bis.1 c.p., poiche', quale organizzatore di fatto dell'evento "(OMISSIS), in concorso con (OMISSIS), quale amministratore di fatto della " (OMISSIS)" S.r.l., compiva atti di concorrenza illecita con minaccia implicita in occasione della suddetta manifestazione; con le aggravanti di aver agito in relazione ad attivita' sponsorizzata e patrocinata dal Comune di Cetraro, sfruttando il "metodo mafioso" ed al fine di agevolare l'associazione di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta facente capo alla "cosca (OMISSIS)". Secondo l'accusa, dopo aver concordato con i referenti della cosca (OMISSIS) l'affidamento in favore di (OMISSIS) del servizio di sicurezza e vigilanza per l'evento "(OMISSIS)", (OMISSIS), avrebbe rappresentato a (OMISSIS) - operatore economico che era stato in precedenza individuato ed opzionato per il medesimo servizio - il cambio deciso dagli esponenti mafiosi, cosi' da indurlo a desistere da eventuali ragioni contrarie alla scelta operata dal sodalizio. Allo stesso modo, (OMISSIS), altro operatore economico interessato all'affidamento del servizio, veniva escluso nella preliminare fase di valutazione. 2. Con atto dell'avvocato (OMISSIS) si deducono vizi di motivazione e violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e). Il Tribunale della cautela, secondo la difesa, si e' limitato a rinviare alla motivazione resa nell'ordinanza genetica senza evidenziare le ragioni alla base della ritenuta integrazione del delitto di cui all'articolo 513-bis c.p.. Dalla stessa ordinanza (pag. 4) emerge il pregresso rapporto commerciale tra (OMISSIS) ed il concorrente nel reato (OMISSIS), per il quale il primo aveva omesso di saldare il debito contratto per la relativa prestazione l'anno precedente. Il Tribunale ha ritenuto integrato il reato facendo non pertinente riferimento a precedenti giurisprudenziali, senza pero' motivare in ordine alla concorrente condotta violenta o minacciosa realizzata nei confronti degli altri soggetti attivi nel settore; infondatamente il Tribunale ha ritenuto integrato il concorso nel delitto di cui all'articolo 513-bis c.p. per aver individuato l'agenzia riferibile al (OMISSIS), per la sicurezza dell'evento "(OMISSIS)", senza indicazione alcuna in ordine alle modalita' attraverso cui sarebbe stata esercitata violenza o minaccia nei confronti degli altri due operatori del settore ( (OMISSIS) e (OMISSIS)). 3. L'avvocato (OMISSIS) formula cinque motivi di ricorso. 3.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce vizi di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e). Si rileva l'esistenza di plurime contraddizioni ed illogicita' allorche' il Tribunale ha ritenuto che (OMISSIS), avesse partecipato ad un incontro con esponenti della locale criminalita' organizzata. La dimostrazione della riunione da parte del Tribunale e' stata fondata su mere congetture (la decisione afferma, testualmente, "non puo' fondatamente disconoscersi l'intervenuta riunione"), mentre il significato assegnato al contenuto delle intercettazioni dai Giudici della cautela e' stato confutato dal ricorrente attraverso specifiche allegazioni che avevano messo in risalto come le captazioni non fossero chiare e decifrabili. Sono state travisate le parti delle conversazioni in cui il Tribunale ha inteso ricondurre alla cosca di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta facente capo al clan (OMISSIS) il termine "loro" utilizzato da (OMISSIS), che aveva invece inteso riferirsi ai suoi collaboratori che avrebbero dovuto riferire a (OMISSIS), imprenditore a cui (OMISSIS), aveva promesso la gestione del servizio di sicurezza, la scelta di altro soggetto ( (OMISSIS)). 3.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizi di motivazione ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), c.p.p.. Dal compendio indiziario emergere l'assenza di qualsivoglia comportamento violento o minaccioso da parte di (OMISSIS). Oltre a quanto sopra rappresentato in ordine al significato da assegnare al termine "loro" utilizzato da (OMISSIS), inconferente risulta il riferimento svolto dal Tribunale alla vicenda che aveva interessato l'imprenditore (OMISSIS), semmai intimidito dai fratelli (OMISSIS), ma non dall' (OMISSIS); parimente insignificante e' il rinvio alla presunta revoca dell'incarico a (OMISSIS), a cui era stato gia' assegnato. La necessita' di trovare una scusa apparentemente lecita da comunicare all'offerente pretermesso, esternata dall' (OMISSIS) durante le intercettazioni, assume un significato contrario rispetto a quello assegnata dal Tribunale, testimoniando non un forzoso boicottaggio ai danni dell'imprenditore, bensi' la necessita' del ricorrente di giustificare il venir meno alla parola data. 3.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione di legge ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), c.p.p. in relazione alla mancata individuazione delle condotte tipiche del reato posto in essere dal ricorrente, con particolare riferimento all'efficacia intimidatoria del contributo di (OMISSIS) non idoneo a delineare un'ipotesi di concorso nel reato che si realizza accomunando la condotta del ricorrente con quella di (OMISSIS), del quale sono stati evidenziati gli aspetti che lo ponevano quale soggetto contiguo al clan (OMISSIS). Il contributo non puo' essere fatto discendere dalla mera partecipazione ad una riunione con la locale criminalita' organizzata, peraltro non debitamente sorretto da gravi indizi. 3.4. Con il quarto motivo si deducono vizi di motivazione e violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione agli articoli 110, 416-bis.1 e 513-bis c.p., comma 2, articoli 192 e 273 c.p.p.. Graficamente assente risulta la parte di motivazione relativa alla contestata aggravante del "metodo mafioso", mentre apodittica risulta la ragione posta a fondamento della ritenuta "agevolazione mafiosa". Non sussiste alcun elemento tale da corroborare l'esistenza della presunta riunione in cui sarebbe maturata la volonta' illecita, ne' dell'appartenenza di (OMISSIS) e (OMISSIS), al clan " (OMISSIS)", ne', in ogni caso, che il ricorrente sapesse di interagire con esponenti di un'organizzazione di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta e avesse voluto agevolare il clan nella sua interezza piuttosto che il solo (OMISSIS), ad oggi incensurato. L'adesione al volere del vertice della consorteria non e' idonea ad integrare la finalita' mafiosa. La difesa esclude la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 513-bis c.p., comma 2, visto che l'adesione dell'Amministrazione comunale, meramente simbolica, alla gestione dell'evento non ha comportato la dazione di sovvenzioni pubbliche o benefici fiscali. 3.5. Con il quinto ed ultimo motivo la difesa deduce vizi di motivazione e violazione di legge ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), c.p.p. in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato in ordine al motivo - comune ad entrambe le difese che censura la ritenuta integrazione del reato, dovendosi ritenere superate le restanti censure formulate nei confronti dell'ordinanza impugnata. 2. Deve premettersi che, secondo l'accusa, il ricorrente, in concorso con (OMISSIS), a cui viene attribuita la condotta principale, avrebbe contribuito a rafforzare la posizione di monopolista di costui che si sarebbe avvalso dell'implicita minaccia proveniente dalla vicinanza alla cosca (OMISSIS). A tal fine, dopo che (OMISSIS) aveva affidato l'incarico a (OMISSIS) per la gestione della sicurezza nel corso dello svolgimento della manifestazione "(OMISSIS)", a seguito di un incontro in cui avevano preso parte (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), questi ultimi due quali soggetti di vertice della "cosca (OMISSIS)", era stato imposto ad (OMISSIS) (che secondo l'accusa sarebbe stato "gestore di fatto" del citato evento) la "scelta" di (OMISSIS), amministratore di fatto di una societa' che svolgeva servizi di sicurezza in concorrenza con il (OMISSIS), con la conseguente necessita' di trovare una scusa per riferire a quest'ultimo che, contrariamente alla parola in precedenza data da (OMISSIS), non avrebbe piu' gestito il servizio, scusa che si sarebbe resa necessaria al fine di evitare eventuali conseguenze legali. Secondo il Tribunale, proprio il fatto di aver consolidato la posizione di monopolista del (OMISSIS) costituirebbe comportamento tale da far ritenere la condotta determinante ai fini della integrazione, in concorso con il citato (OMISSIS), della fattispecie di reato di cui all'articolo 513-bis c.p.. 3. Pur prendendo atto dell'inconferenza, in sede di legittimita', delle censure delle difese che tendono a diversamente ricostruire la vicenda (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460), che non risulta sia frutto di manifesta illogicita' avendo i Giudici della cautela fatto pertinente riferimento alle complessive risultanze ed al contenuto delle conversazioni la cui lettura non e' sindacabile in questa sede (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715-01), si osserva che la condotta posta in essere da (OMISSIS) e' estranea al delitto di illecita concorrenza ex articolo 513-bis c.p.. Secondo giurisprudenza di questa Corte, che sul punto si e' espressa attraverso il suo piu' prestigioso consesso, ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 513-bis c.p. e' necessario il compimento di atti di concorrenza che siano realizzati nell'esercizio di un'attivita' commerciale, industriale o comunque produttiva, siano connotati da violenza o minaccia e idonei a contrastare od ostacolare la liberta' di autodeterminazione dell'impresa concorrente (Sez. U, n. 13178 del 28/11/2019, dep. 2020, Guadagni, Rv. 278735 - 01). La decisione citata ha sottolineato la centralita', ai fini di una corretta interpretazione della fattispecie, del principio di libera concorrenza come discendente, oltre che dall'articolo 41 Cost., comma 1, dalla normativa di riferimento, sia interna (in particolare si fa riferimento agli atti di concorrenza sleale ex articolo 2598, c.c., ivi compresi i comportamenti, diversi da quelli indicati ai numeri 1 e 2, e degli abusi di posizione dominante descritti nella L. n. 287 del 1990, articoli 2 e 3, a cui fanno cenno Sez. 6, n. 50084 del 12/07/2018, Rv. 274288; Sez. 2, n. 30406 del 19/06/2018, Rv. 273374; Sez. 6, n. 38551 del 05/06/2018, Rv. 274101) che Euro-unitaria, assumendo in concreto rilevanza quei comportamenti che risultano "idonei a falsare il mercato" e a consentire l'acquisizione, in danno dell'imprenditore minacciato, di illegittime posizioni di vantaggio eccentriche rispetto alla reale capacita' economica, ovvero "le condotte contrarie ai principi della correttezza professionale, intese come "qualunque comportamento violento o minatorio" posto in essere nell'esercizio dell'attivita' imprenditoriale al fine di acquisire una posizione dominante sul mercato non correlata alla capacita' operativa dell'impresa (Sez. 6, n. 38551 del 05/06/2018, D., Rv. 274101; Sez. 2, n. 30406 del 19/06/2018, Sergi, Rv. 273374), o comunque diretto ad alterare l'ordinario e libero rapportarsi degli operatori in una economia di mercato (Sez. 6, n. 50094 del 12/07/2018, Alati, Rv. 275717; Sez. 6, n. 50084 del 12/07/2018, Terracciano, Rv. 274288)". Ratio della disposizione e', pertanto, quella di porre un argine alle condotte anticoncorrenziali comunque realizzate con comportamenti violenti o minatori. Rilevante, per quel che in questa sede rileva, risulta la parte della citata sentenza delle Sezioni Unite Guadagni che richiede, ai fini della sussistenza della compartecipazione criminosa nella realizzazione della condotta punibile, la dimostrazione della "conoscenza da parte dell'extraneus della qualita' di intraneus del soggetto agente ed il contributo del primo alla commissione del fatto (Sez. 6, n. 7627 del 31/01/1996, Alleruzzo, Rv. 206603)". Non si ritiene invece necessario, sotto diverso ma connesso profilo, "che gli atti di concorrenza illecita siano diretti nei confronti dell'imprenditore concorrente, non essendo tale caratteristica espressamente richiesta dalla norma a fronte di condotte che ben possono coinvolgere anche persone diverse da quello (Sez. 6, n. 37520 del 18/04/2019, Rocca, Rv. 276725)". La norma reputa penalmente rilevanti, pertanto, quei comportamenti che possono in concreto essere rivolti nei confronti di persona diversa dall'imprenditore concorrente, pur se funzionali ed idonei a danneggiare quest'ultimo sul mercato. 4. Circoscritta in questi termini la portata della fattispecie, non puo' non rilevarsi come la condotta di (OMISSIS), soggetto che a seguito della riunione veniva indotto da parte degli esponenti della "cosca (OMISSIS)" a "scegliere" il contraente individuato in (OMISSIS), con la conseguente necessita' di revocare l'incarico (non si comprende se formalmente o meno ed a che titolo fosse stato concesso) al (OMISSIS), non risulta operazione posta in essere con violenza o minaccia e idonea a contrastare od ostacolare la liberta' di autodeterminazione dell'impresa concorrente. Nel caso di specie non assume rilevanza solo la circostanza che vede gli altri imprenditori dello stesso ambito concorrenziale quale il (OMISSIS) ed il Rizzello (quest'ultimo individuato in via meramente ipotetica sulla base di non dimostrate intimidazioni da parte di alcuno, ne' e' noto in che termini fosse stato interpellato per detto servizio di vigilanza), non essere a conoscenza delle modalita' attraverso cui veniva individuato il contraente da parte di (OMISSIS), quanto, piuttosto, il dato assorbente a mente del quale al (OMISSIS) doveva essere rappresentata una "scusa" onde evitare conseguenze legali, condotta distante dall'ipotizzata violenza o minaccia che avrebbe dovuto interessare l'agente, in generale, e il ricorrente, in particolare. Quanto alla posizione del Rizzelli, che la decisione afferma apoditticamente sia stato intimidito, e' la stessa decisione che rileva come fosse stato gia' pretermesso sulla base dell'essenziale e determinante decisione di (OMISSIS) che aveva gia' individuato nel (OMISSIS) il contraente a cui assegnare il servizio sicurezza dell'evento. 5. Ne' risulta logica o giuridicamente corretta la risposta del Tribunale della cautela che, al fine di confutare le censure tese a far rilevare l'assenza di azioni di minaccia o violenza - sia pure implicite - commesse dal ricorrente, ha rilevato come (OMISSIS) avesse agito in concorso con l'autore della condotta principale individuato in (OMISSIS) (uomo ritenuto vicino alla cosca di Cetraro), al contempo ritenendo l'apporto di (OMISSIS) a tal fine determinante, con rinvio a giurisprudenza di legittimita' che esclude la necessita' che gli atti di concorrenza illecita siano diretti nei confronti dell'imprenditore concorrente (sotto il profilo economico), essendo sufficienti, in assenza di disposizione esplicita contenuta nella norma, condotte che possono coinvolgere anche persone diverse da quello (Sez. 6, n. 37520 del 18/04/2019, Rocca, cit.)" Per quanto la fattispecie possa ritenersi ampia in ordine ai soggetti astrattamente destinatari dell'intimidazione, la giurisprudenza citata non autorizza a ritenere ipotizzabile un'illecita concorrenza ex articolo 513-bis c.p. allorche' il concorrente esterno sia proprio colui che, in definitiva, risulta la persona in concreto intimidita; l'errata lettura della norma da parte del Tribunale e' resa palese proprio dove l'ordinanza cautelare impugnata valorizza la conversazione di (OMISSIS) che afferma come, a seguito dei colloqui intercorsi tra gli esponenti della cosca ed (OMISSIS), costui non potesse piu' permettersi di non pagare, come fatto l'anno precedente con il (OMISSIS), perche' in questo caso i soldi sarebbero andati direttamente al clan, circostanza che rendeva impossibile un inadempimento o anche solo il ritardo nel pagamento da parte del ricorrente (pag. 4, ordinanza impugnata). Egualmente privo di pregio risulta il riferimento del Tribunale al ruolo determinante assunto nella vicenda da (OMISSIS), rilevanza assegnata al contributo causale nel concorso di persone nel reato che non prende in esame la veste di costui quale soggetto direttamente intimidito dalla cosca (OMISSIS) che, di fatto, imponevano il contraente (2Caputo) in quanto vicino al sodalizio di `ndrangheta. 6. Quanto sopra evidenziato in ordine all'assoluta eccentricita' dei fatti accertati, seppure nei limiti della attuale fase cautelare, rispetto alla fattispecie di cui all'articolo 512-bis c.p. per come ipotizzata a carico del ricorrente - e ritenuti logicamente superati gli ulteriori motivi di ricorso - impone l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata in uno all'ordinanza genetica che ha disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari a carico di (OMISSIS), con conseguente trasmissione della decisione alla Cancelleria per gli adempimenti di rito. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonche' il provvedimento emesso dal GIP del Tribunale di Catanzaro del 2 agosto 2022 e per l'effetto ordina la cessazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS)Occhiuzzi (OMISSIS) di cui dispone la immediata liberazione se non detenuto per altra causa. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 626 c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4197 del 2021, proposto da La Ch. di Po. società cooperativa a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Et. Ne., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; contro Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Bo., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Se. Fi. in Roma, al Piazzale (...); nei confronti E 1 S.r.l. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sez. II, n. 262/2021, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Toscana; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2022 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Ne. e Fi., in sostituzione dell'avvocato Bo. per dichiarata delega; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.- La società La Ch. di Po., costituita con atto del 16 maggio 2002 si costituiva, in forma di cooperativa a responsabilità limitata con oggetto sociale "altre attività dei servizi connessi al trasporto marittimo e per vie d'acqua", programmava il proprio concorso operativo alla realizzazione di un nuovo porto turistico in località "Ch. di Po.", a nord-est del porto industriale di (omissis) e alla foce del fiume Co., in vista del previsto recupero, a fini turistici, dell'area dismessa, già destinata all'industria siderurgica. Invero, con l'art. 27 del d. l. n. 83/2012 (recante "Misure urgenti per la crescita del paese") si prevedeva che, in caso di situazioni di crisi industriali complesse, in specifici territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale, potessero essere attivati progetti di riconversione e riqualificazione industriale. Al comma 3 del citato art. 27 era sancito che i progetti di riconversione avrebbero potuto essere adottati mediante appositi accordi di programma, intesi alla disciplina degli interventi agevolativi, dell'attività integrata e coordinata delle P.A. interessate e dei privati, delle modalità di esecuzione degli interventi e di verifica dello stato di attuazione e del rispetto delle condizioni fissate. In effetti, con delibera della Giunta regionale toscana n. 825 del 17 settembre 2012, il polo siderurgico di (omissis) era stato, per l'appunto, incluso tra le aree "in situazione di crisi industriale complessa con impatto significativo sulla politica industriale nazionale", tanto che - con successivo d. l. n. 43/2013 - erano stati finanziati gli interventi di implementazione e infrastrutturazione del porto. Con delibere di Giunta regionale n. 626 del 25 luglio 2013 e n. 661 del 29 luglio 2013, erano quindi stati all'uopo approvati un apposito "protocollo d'intesa" ed un "accordo di programma quadro", cui era seguita (con delibera n. 1170 del 23 dicembre 2013) l'approvazione di protocollo d'intesa (poi sottoscritto il successivo 16 gennaio 2014), con cui erano stati definiti obiettivi e azioni finalizzati all'elaborazione del "Progetto di riconversione e riqualificazione industriale (PRRI") del polo industriale. Con delibera di Giunta regionale n. 137 del 24 febbraio 2014 la proposta era stata, quindi, approvata e, con delibera n. 318 del 15 aprile 2014, era stato deciso l'inserimento del sistema locale di lavoro di (omissis) nella proposta delle aree ammissibili agli aiuti di stato a finalità regionale 2014-2020. Di poi, in data 24 aprile 2014 era stato sottoscritto l'accordo di programma (ex art. 1 d.l. n. 43/2013) per la disciplina degli interventi (approvato con pedissequa deliberazione n. 345 del 28 aprile 2014). Approvati, infine, lo schema di accordi di programma di adozione del PRRI (con delibera n. 457 del 7 aprile 2015) e il "documento di dettaglio" del "Programma Attuativo Regionale (DAR) del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione PAR - FSC" (con delibera n. 307 dell'11 aprile 2016), con decreto n. 11891 del 16 luglio 2018 era stato dato atto della perdurante disponibilità di Euro 7.432.868,10, quali risorse impegnate sullo strumento agevolativo dei protocolli di insediamento in questione. Sicché da ultimo, con delibera di Giunta regionale n. 1342 del 2 dicembre 2018, erano state riallocate le risorse stanziate a favore degli interventi, con previsione della indizione di apposito bando con la modalità operativa a sportello. In tale complessivo quadro programmatico, l'intervento - denominato "Ma. Ar. To.", a rimarcarne l'importanza in ambito regionale, ed implicante un cospicuo investimento pari a circa 15 milioni di euro - era destinato ad inserirsi in più ampio progetto, denominato "Polo della cantieristica, dei servizi e delle attività ittiche", del costo complessivo sarà di circa 60 milioni di euro, contemplante l'attivazione di quattro distinti interventi fra loro complementari, ma funzionalmente autonomi: 1) Da. Tu.; 2) Da. Pe.; 3) Ca. Na.; 4) Na. so. e Sp.. In data 4 aprile 2012, la società aveva, perciò, formalizzato all'Autorità portuale di (omissis) e dell'Elba, ai sensi del D.P.R. n. 509/1997, della L.R. Toscana n. 1/2005 e dalla Convenzione del 20 ottobre 2010 fra Comune di (omissis) e la ridetta Autorità portuale, una "richiesta di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di una struttura dedicata alla nautica da diporto, nel Comune di (omissis), denominata Polo della Cantieristica dei servizi e delle attività ittiche". Ciò in ragione del fatto che il nuovo porto turistico cittadino era stato previsto dalla variante al Piano regolatore generale, approvata con delibera consiliare n. 64 del 15.4.2009, confermata dal successivo R.U.C., approvato con delibera n. 13 del 25.3.2014. In data 18.7.2013, l'istanza era stata esaminata in sede di conferenza di servizi, di tal che, con lettera datata 6.8.2013 (prot. n. 2013/17645), il Comune aveva partecipato l'esito favorevole dell'istruttoria e, per tal via, l'ammissione della domanda alle fasi successive dell'iter autorizzativo. Peraltro, con la stessa comunicazione, il Comune aveva chiesto alla cooperativa richiedente di predisporre uno schema di "Piano regolatore portuale", da sottoporre al successivo vaglio consiliare, per poi procedere, all'esito della sua prospettica approvazione, alla presentazione del progetto definitivo. A tanto la cooperativa provvedeva, con consegna dei relativi elaborati in data 2.4.2014, tanto che - con delibera consiliare n. 29 dell'8.2.2016 - era stato adottato, ai sensi dell'art. 111 L.R. n. 65/2014, il P.R.P. "Polo della cantieristica, dei servizi e delle attività ittiche", che acquisiva efficacia, ai sensi del comma 5 del citato art. 111, con la pubblicazione del relativo avviso sul B.U.R.T. del 6 aprile 2016. In data 8 agosto 2016, la cooperativa La Ch. aveva, quindi, presentato ai protocolli comunali gli elaborati del "progetto definitivo" (comprensivo del prescritto "studio di impatto ambientale"), al fine di concludere la procedura attivata ai sensi del D.P.R. n. 509/1997. In base al progetto, la società avrebbe segnatamente provveduto alla realizzazione delle infrastrutture, a terra e a mare, indispensabili per l'operatività del porto turistico e la sua gestione, e in particolare: a) della diga, delle banchine, dei moli e dei pontili per la realizzazione dei "posti barca" di diverse dimensioni, con idonei sistemi di ormeggio e con erogatori di acqua ed energia elettrica; b) di box ad uso ripostiglio; c) di posti auto scoperti per autoveicoli; d) di immobili destinati ad attività varie, tra le quali fondi commerciali ed uffici; e) di un'area dedicata ad attività connesse alla cantieristica nautica (costruzione, manutenzione, riconversione, assistenza tecnica, varo e rimessaggio di imbarcazioni anche all'aperto, comprese attività di esposizione e vendita); f) di altri immobili di servizio, quali servizi igienici, docce, spogliatoi; g) della relativa viabilità, parcheggi ad uso pubblico ed opere di urbanizzazione connesse. Il successivo 30 novembre 2016, la società aveva formalizzato anche istanza di avvio del procedimento di V.I.A., di cui agli artt. 23 e seguenti del d.lgs. 152/2006 (e artt. 52 e seguenti della L.R. 10/2010). In data 6 dicembre 2016, ai sensi dell'art. 6 del D.P.R. n. 509/1997, l'Amministrazione comunale aveva convocato, per il giorno 29 maggio 2017, la conferenza dei servizi per l'approvazione del progetto che, nondimeno, sospendeva l'iter decisionale, in attesa che fosse definito il procedimento di VIA/VAS, esprimendo, comunque, "fin da subito un giudizio positivo in ordine agli obiettivi di proficua utilizzazione del complesso compendio immobiliare demaniale marittimo per il quale si avanza(va) la richiesta di concessione". In data 15 dicembre 2017, la cooperativa aveva sottoscritto un "accordo procedimentale" ex art. 11 legge n. 241/1990, in forza del quale, in conformità all'approvato piano regolatore portuale, aveva acquisito titolo: a) a sottoscrivere, con l'Amministrazione comunale e l'Autorità di sistema portuale, il previsto "accordo quadro" per la definizione degli impegni e degli adempimenti fra le parti in vista della attuazione dell'intervento oltre e per la disciplina delle modalità di gestione; b) a richiedere i titoli autorizzati e abilitativi, di cui al D.P.R. 160/2010, necessari per la costruzione delle opere previste dall'intervento; c) ad assumere impegni contrattuali, di diritto pubblico e privato, nonché accordi di natura economico-finanziaria finalizzati alla realizzazione delle opere previste dal programma urbanistico e progettuale. Con successiva delibera della Giunta regionale toscana n. 231 del 13 marzo 2018 si era quindi concluso il procedimento coordinato di V.I.A. e V.A.S., sicché, il successivo 9 aprile, era stato approvato, in sede conferenziale, il progetto definitivo del nuovo porto turistico. A questo punto, in data 22 luglio 2019, la società sottoscriveva (con l'impresa appaltatrice Sa. S.p.A.) il contratto quadro per la realizzazione del progetto, denominato "La Ch. di Po." - Polo della Cantieristica, dei Servizi e delle Attività Ittiche" e il successivo 9 settembre 2019, sottoscriveva, altresì, l'accordo quadro con il Comune e l'Autorità, per definire gli impegni e gli adempimenti tra le parti necessari per l'attuazione degli interventi previsti dal piano. In particolare, si prevedeva che la società avrebbe curato l'erogazione di servizi a favore degli utenti del porto turistico, di cui si prevedeva la gestione diretta, sia a vantaggio dei propri soci che di soggetti terzi. Segnatamente, era prevista la somministrazione (a soci e altri clienti, utilizzatori dei posti in transito ed affittuari degli stessi) dei servizi di ormeggio, secondo le modalità previste dal "Regolamento di Gestione" del Porto, in conformità allo Statuto della stessa cooperativa. Si prevedeva, inoltre, l'assegnazione di posti barca in esclusiva, sia a favore dei soci che degli altri clienti (nel caso dei soci, previa sottoscrizione di un numero minimo di quote, da 45 a 348). In data 4 aprile 2020 - al fine di co-finanziare l'intervento per la realizzazione di un primo stralcio funzionale del progetto complessivo (segnatamente: diga sopraflutto, dragaggio, banchine, moli e pontili attinenti alla Da. Tu. principale, parcheggi scoperti e strada di accesso interna al comparto, comprese le relative opere di urbanizzazione primaria ed i servizi strettamente necessari all'esercizio della Da. Tu.) - la cooperativa sottoponeva alla Regione Toscana (dopo aver conseguito, all'esito di apposito interpello, la certezza che anche una società cooperativa, in quanto "impresa", avesse facoltà di partecipare al relativo bando) una proposta di realizzazione della "Da. Tu." (così come prevista nel relativo programma di investimenti), accompagnata dalla richiesta di un contributo a fondo perduto per Euro 3.130.297,80, a fronte di un investimento pari a complessivi Euro 10.434.326,00. Nella domanda si evidenziava: a) che sarebbero stati realizzati 386 posti barca; b) che sarebbero stati inoltre offerti servizi accessori (quali ormeggio, sorveglianza, rifornimento, affitto posto-barca, noleggio imbarcazioni e transito, pesca turismo e pesca sportiva, formazione e attività agonistiche sportive inerenti al mare, sportello per il turismo inerente alla pesca, al diporto e al territorio). Orbene, all'esito della seduta della Commissione tecnica di valutazione all'uopo istituita, quest'ultima, con verbale del 30 luglio 2020, evidenziava, in danno della cooperativa La Ch., che nella relativa attività, identificata con codice Ateco 52.22.09, sarebbero rientrati soltanto 141 posti dei 386 previsti, di tal che "il contributo richiesto per la maggior parte del suo importo (avrebbe finito per compensare) gli investimenti dei privati nell'acquisizione del proprio posto barca", mentre "solo per circa il 36,5% (poteva considerarsi) rivolto a finanziare investimenti che (sarebbero stati) utilizzati nell'attività imprenditoriale rivolta al mercato". L'esito dell'istruttoria (con la prospettiva riparametrazione del contributo massimo concedibile, in proporzione al numero di posti barca disponibili) era, quindi, recepito con decreto n. 12636 del 7 agosto 2020, con il quale il contributo a fondo perduto spettante era, in definitiva, quantificato in Euro 1.143.133,95, a fronte di un investimento complessivo di Euro 10.431.006,00. 2.- Vana la successiva interlocuzione procedimentale, intesa ad un sollecitato riesame del provvedimento, la società si induceva ad impugnare la lesiva determinazione, con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Toscana, con il quale, con articolato apparato censorio, lamentava: a) che, in guisa asseritamente erronea, la Regione avesse di fatto negato la natura imprenditoriale della cooperativa, in ventilata collisione con la nozione di operatore economico di matrice unionale ed in violazione delle previsioni del Regolamento (U.E.) n. 651/2014, preordinato a favorire gli investimenti senza distinzioni fondate sulla natura giuridica dei proponenti; b) che siffatta negazione si ponesse, altresì, in contrasto anche con il diritto interno (posto che la natura imprenditoriale di un operatore economico andasse desunta da criteri oggettivi, senza fermarsi a criteri formalistici e non rilevando lo scopo di lucro eventualmente perseguito; c) che erroneamente la Regione avrebbe affermato che la sottoscrizione di capitale da parte dei soci non avrebbe potuto configurare, per i fini di interesse, un "acquisto di servizi" (in ragione di una implausibile simulazione, atta a depauperare il patrimonio netto)-: laddove - all'incontro -il diritto di ricevere prestazioni sarebbe dipeso dalla mera sottoscrizione di quote sociali, bensì dalla sottoscrizione di un numero adeguato di quote corrispondente al valore attuale delle prestazioni da ricevere in futuro; d) che - fondandosi sull'errata valutazione della commissione tecnica - l'impugnato decreto sarebbe stato, per ciò solo, viziato di invalidità derivata; e) che, infine, la contestata quantificazione della misura di contribuzione "esposta a rischio di impresa" sarebbe stata, con calcolo in tesi erroneo, effettuata commisurando la percentuale di contributo alla percentuale dei posti barca riservati ai non soci: soluzione, a suo dire, irragionevole, posto che non avrebbe tenuto conto degli innumerevoli per la realizzazione di opere che non erano destinate alla mera realizzazione di posti barca e il cui peso economico e infrastrutturale avrebbe dovuto, per tal via, prescinde dal numero dei posti barca. 3.- Nel rituale contraddittorio delle parti, con sentenza n. 262 del 19 febbraio 2021, l'adito Tribunale respingeva il ricorso. Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, la società La Ch. di Po. ha impugnato la ridetta statuizione, di cui lamenta la complessiva erroneità ed ingiustizia, auspicandone, con l'accoglimento del gravame, l'integrale riforma. Nella resistenza della Regione Toscana, alla pubblica udienza del 27 ottobre 2022, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti, la causa è stata riservata per la decisione. DIRITTO 1.- L'appello non è fondato e merita di essere respinto. 2.- Con il primo ed il secondo motivo di gravame, che possono essere esaminati congiuntamente, l'appellante si duole, censurando sul punto l'intendimento del primo giudice, del fatto che, con la valutazione operata, la Commissione tecnica avrebbe sostanzialmente ed apoditticamente negato la natura imprenditoriale dell'attività esercitata, con ciò violando sia la normativa unionale (e, segnatamente, gli artt. 54, 101 e 102 TFUE, la raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003 e il regolamento UE 651/2014) sia le norme nazionali (artt. 2, 3, 41, 45 e 97 della Costituzione; artt. 2082, 2195, 2512 c.c.; art. 4 D.P.R. 633/1972; art. 148 D.P.R. 917/1986; 'art. 7 comma I, lett. i) d.lgs. 504/1992), incorrendo, ad un tempo, in violazione del bando relativo ai "Protocolli di Insediamento" ed in eccesso di potere, sotto plurimo rispetto. In particolare, a suo dire, la sentenza impugnata solo apparentemente avrebbe rispettato la c.d. nozione comunitaria di impresa, disattendendola nondimeno nei fatti, laddove ha affermato che, nella valutazione del bando in contestazione, per sé volto ad agevolare lo svolgimento di attività imprenditoriale, l'offerta di servizi ai propri soci non avrebbe potuto essere qualificata tale, in quanto priva di "alea gestionale". Con maggiore e più articolato impegno critico, l'appellante assume che, applicando - come necessario - i canoni ermeneutici unionali, la propria attività avrebbe per contro dovuto considerarsi (sempre) di natura imprenditoriale, anche quando rivolta a favore dei propri soci, e ciò in quanto: a) per un verso, non sarebbe stata, in diverso senso, decisiva la mancanza di un concreto "rischio di impresa" (in tesi, e nella specie, correlato alla destinazione prevalente dell'attività, in attuazione dello scopo mutualistico, ad esclusivo favore dei soci della cooperativa, e con ciò fuori da una logica "di mercato"), come, in particolare, chiarito dalla sentenza della Sezione VI della Corte di Giustizia del 23 aprile 1991, C- 41/90, Hö fner e Elser, la quale ha affermato che anche un "ente pubblico" (come "un ufficio pubblico per l'occupazione che svolge attività di collocamento") possa essere qualificato, a dispetto della posizione monopolistica, "impresa ai fini dell'applicazione delle norme di concorrenza comunitarie"; b) per altro verso, non avrebbe potuto negarsi (alla luce della Comunicazione della Commissione 97/C 372/03 e della pedissequa elaborazione giurisprudenziale) la concreta sussistenza di un "mercato rilevante", quando si fosse adeguatamente tenuto conto del fatto: b1) che i servizi offerti "anche ai soci" erano, di fatto, in concorrenza con quelli offerti da altri operatori, siccome interscambiabili sia per caratteristiche tecniche e funzionali, sia per il livello del loro prezzo; b2) che, in funzione delle caratteristiche di tali servizi offerti e dei relativi costi, quanti avessero avuto la disponibilità di natanti avrebbero, alternativamente, potuto decidere di diventare soci ovvero di acquistare servizi dalla medesima cooperativa, che sarebbe stata perciò preferita ad altri operatori presenti nel mercato geograficamente rilevante; b3) che l'accesso ai servizi de quibus, sia operato "mediante sottoscrizione di quote", sia alternativamente conseguito "mediante acquisto diretto", avrebbe (in ogni caso) comportato l'esborso di denaro, commisurato al valore di mercato dei servizi offerti, determinato secondo logiche effettivamente concorrenziali (onde la prefigurata "sostituibilità sul versante della domanda" avrebbe rappresentato, sotto il profilo economico, un vincolo, essendo la scelta dei titolari di natanti di divenire soci prospetticamente e concretamente condizionata "dalle condizioni economiche offerte"; di tal che sarebbe stata comunque, in definitiva, la "pressione del mercato" a determinare le decisioni in materia di prezzo dei servizi offerti e del numero di quote occorrenti per l'accesso); c) sotto distinto (e concorrente) profilo, la struttura cooperativa e la funzione mutualistica non sarebbero state di ostacolo (giusta il non conferente richiamo alla figura dell'"autoconsumo") al ribadito riconoscimento della natura imprenditoriale, ai preordinati fini della erogabilità degli auspicati ausili finanziari, avendo la giurisprudenza europea puntualizzato che, a dispetto "dei principi di funzionamento peculiari che le differenziano nettamente dagli operatori economici", si tratta in ogni caso imprese nello svolgimento di attività economiche a beneficio dei propri soci, i quali "sono al tempo stesso utilizzatori, clienti o fornitori, affinché ciascuno di essi possa trarre profitto dall'attività della cooperativa in base alla propria partecipazione nella medesima e in proporzione alle proprie transazioni con tale società " (così Corte di Giustizia, Sez. I, sentenza 8 settembre 2011, cause riunite da C-78/08 a C-80/08, Paint Graphos Scarl & A.); d) del resto, obiettivo dell'intervento oggetto di controversia - nei bene intesi termini veicolati dal relativo bando - era quello di "agevolare investimenti, salvaguardando livelli occupazionali e incrementando la presenza di attività economiche", con la programmata creazione di uno "stabilimento", inteso come luogo destinato ad accogliere un'attività economicamente rilevante: finalità per il cui perseguimento non era affatto necessario, con arbitraria limitazione, imporre agli operatori economici di assumere specifiche vesti giuridiche, né postulare la pregiudiziale esclusione, tra i possibili fruitori, dei soci della cooperativa, in concorrenza con altri soggetti privati; e) peraltro, a diversamente opinare, rilevante sarebbe il sospetto della contrarietà degli atti impugnati alla libertà di stabilimento garantita dai Trattati, con esito discriminatorio nei confronti delle cooperative in ragione esclusiva della loro struttura soggettiva formale. 2.1.- Il motivo, per quanto abilmente articolato, non appare tuttavia persuasivo. Va, beninteso, condiviso l'assunto che la matrice unionale della nozione di "impresa" emerge nel quadro della verifica dei presupposti per la corretta erogazione, anche a valere su cofinanziamento di fondi europei, di aiuti di Stato compatibili con i Trattati: decisivo accertare se l'attività ausilianda sia, o meno, in grado di incidere sulla concorrenza. È noto, invero, che la definizione di aiuto di cui all'art. 107, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) prevede che siano incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali sotto qualsiasi forma, i quali, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza. Per tal via, la nozione di aiuto presuppone che il beneficiario dello stesso sia, appunto, un'impresa, ossia un soggetto che opera in regime di concorrenza. Ciò posto, la nozione coinvolge qualsiasi ente che, a prescindere dal suo stato giuridico e dalle sue modalità di finanziamento, esercita un'attività economica. Si tratta, con ciò, di una nozione non collegata alla soggettività del beneficiario, ma all'attività svolta: sicché, per esempio, nulla osta a che uno stesso soggetto possa qualificarsi, nella consueta logica delle geometrie variabili, come impresa per alcune delle attività che svolge e non per altre: nel qual caso, solo il finanziamento delle attività economiche costituirebbe (in presenza delle altre condizioni) un aiuto di Stato. Laddove, per converso, le altre attività - non economiche - possono essere finanziate senza essere sottoposte alla disciplina degli aiuti di Stato, purché vi sia una netta distinzione, almeno contabile, tra i diversi flussi di cassa. La prassi decisionale della Commissione UE e l'elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia UE, alla quale anche l'appellante fa diffuso richiamo, ha indotto, considerata l'importanza della materia, alla emanazione di un "comunicazione interpretativa", preordinata alla sintesi dei principi generali: si tratta della Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all'articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (2016/C 262/01), pubblicata sulla GUUE C 262 del 19.7.2016 (c.d. Comunicazione Aiuti). Come ivi evidenziato, e come, peraltro, ribadito dalla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, le norme in materia di aiuti di Stato si applicano, per l'appunto, "solo se il beneficiario di una misura è 'un'impresà ", con la precisazione che la qualificazione di un determinato ente come impresa "dipende (...) interamente dalla natura delle sue attività ". Il riferimento alla "attività economica" va acquisito nel senso della "fornitura di beni e/o servizi sul mercato", dietro ordinaria corresponsione di un "corrispettivo", normalmente pagato dagli stessi utenti e beneficiari. Ne discende: a) che, in primo luogo, lo stato giuridico dell'ente, nella prospettiva qualificatoria di diritto nazionale, è effettivamente "ininfluente" (sicché, per esempio, un ente che, in base alla normativa interna sia qualificato come "associazione" o "società sportiva" o, appunto, "società cooperativa" può senz'altro essere considerato un'impresa, ai sensi del ridetto articolo 107, paragrafo 1, del Trattato; così come, per esempio, anche un ente facente formalmente parte della pubblica amministrazione); b) che, in secondo luogo, non è dirimente lo scopo di lucro, vale a dire la destinazione dell'attività al conseguimento di utili: e ciò perché anche enti senza scopo di lucro possono "offrire beni e servizi su un mercato"; c) che peraltro, in terzo luogo, un ente va qualificato come impresa "sempre in relazione a un'attività specifica". Tali conclusioni si fondano, in definitiva, sulla nozione di "servizio" di cui all'art. 56 TFUE, secondo cui sono considerati tali "le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione". Nella riassunta prospettiva, la circostanza che si tratti, in concreto, di società di tipo cooperativo non appare perciò, di per sé sola ed in via di principio, tratto differenziale decisivo, posto che - come la Corte di giustizia ha avuto modo di puntualizzare con la sentenza 8 settembre 2011, nelle cause riunite da C-78/08 a C-80/08, Paint Graphos Scarl & A., cui la stessa appellante fa diffuso riferimento, peraltro traendone argomento al proprio critico assunto - le cooperative, pur rette da principi di funzionamento peculiari che le differenziano nettamente dagli operatori economici, sono "imprese" anche quando svolgano attività economiche a beneficio dei propri soci i quali "sono al tempo stesso utilizzatori, clienti o fornitori, affinché ciascuno di essi possa trarre profitto dall'attività della cooperativa in base alla propria partecipazione nella medesima e in proporzione alle proprie transazioni con tale società ". 2.2.- Nondimeno, la soluzione non può essere generalizzata, nel senso auspicato da parte appellante (che autorizzerebbe il corollario secondo cui l'attività mutualistica svolta dalle società cooperative vada considerata in ogni caso come effettuata nell'esercizio di "impresa", nel senso chiarito). In effetti, la Corte evidenzia che un sistema di agevolazione, anche sotto il profilo fiscale, alle società cooperative deve ritenersi legittimo (in quanto non contrastante con il divieto di erogazione di aiuti di Stato) nella misura in cui (e a condizione che) le cooperative "operino nell'interesse economico dei loro soci e intrattengano con questi ultimi una relazione non puramente commerciale, bensì personale particolare, in cui essi siano attivamente partecipi e abbiano diritto ad un'equa ripartizione dei risultati economici". In tal caso, non si tratta, in effetti, di attività di impresa, in quanto svolta in "autoproduzione". È, dunque, il rapporto con i soci che caratterizza e differenzia tale tipologia societaria, rendendola, a determinate condizioni, legittima beneficiaria di una misura non discriminatoria di agevolazione: dato che, in sostanza, il socio della cooperativa ha possibilità concrete di decidere il modello d'impresa, la qualità del prodotto o della merce, l'ambiente di lavoro e così via. Per usare le parole della Commissione UE nella comunicazione del 23 aprile 2004 - che bene illustra ed anticipa il fondamento della decisione - nelle società cooperative i membri "hanno, in quanto utilizzatori, un'influenza reale sulle decisioni di gestione. La struttura di gestione partecipativa delle imprese cooperative genera gli attivi immateriali che sono il sapere e le competenze. Da questo punto di vista le cooperative sono scuole di imprenditorialità e di gestione per quanti non avrebbero altrimenti accesso a posti di responsabilità ". È tale valore che rende accettabile un trattamento fiscale ed agevolativo particolare che non costituisca un'ipotesi di concorrenza sleale, onde la finalità mutualistica valga a sottrarre l'agevolazione alla cooperativa dal campo di applicazione del divieto di aiuti di Stato. In definitiva, il valore attribuito alla funzione sociale ed economica delle cooperative prevale, in tal caso, sul principio di funzionamento del mercato unico, rappresentato dalla libera concorrenza. Quando ciò accade, allora, le cooperative con finalità mutualistica non rientrano nella nozione di "impresa", essenzialmente correlata alla apertura al mercato. D'altro canto, vale osservare, anche in relazione alla prospettiva interna, è ben noto il "fine mutualistico", proprio delle società cooperative, non esclude, di per sé , la "natura di imprenditore commerciale di una cooperativa" (cfr. Cass., 24 marzo 2014, n. 6835 e Cass., 28 luglio 1994, n. 706): e ciò in quanto può assumere connotazioni e gradazioni diverse, che vanno dalla "mutualità pura" (caratterizzata dall'assenza di qualsiasi scopo di lucro) alla "mutualità spuria" (che, con l'attenuazione del fine mutualistico, consente una maggiore dinamicità operativa anche nei confronti di terzi non soci, conciliando così il fine mutualistico con un'attività commerciale e con la conseguente possibilità per la cooperativa di cedere beni o servizi a terzi a fini di lucro: cfr. Cass., sez. I, 8 settembre 1999, n. 9513; Id., sez. V, 9 ottobre 2000, n. 13423). Si tratta, in definitiva, di una valutazione da operare in concreto. 2.3.- È alla luce di tali premesse che occorre, allora, valutare il fondamento del provvedimento regionale oggetto del presente contenzioso. La cooperativa appellante risulta iscritta al registro delle imprese della CCIAA di Livorno-Grosseto con un'attività commerciale (identificata al codice ATECO 52.22.09), con la quale in particolare si prefigge, secondo quanto previsto dall'atto costitutivo e dallo statuto, lo scopo di "svolgere nell'interesse preminente dei soci attività dirette alla costituzione e/o gestione anche sotto forma di concessione amministrativa, di porti, di porticcioli, punti di ormeggio e punti di approdo turistici e di pesca professionale nei Comuni delle Province di Livorno e di Grosseto" e di "provvedere alla assistenza culturale, ricreativa e mutualistica in genere a favore dei soci e delle loro famiglie ed all'organizzazione di locali di ritrovo per le riunioni, di rimessa per attrezzature dei soci e dei loro familiari". La richiesta di contributo, formalizzata alla Regione Toscana, riguarda, come evidenziato in narrativa, la realizzazione di "un complesso portuale turistico per ospitare imbarcazioni da diporto e da pesca", nel contesto di un progetto più ampio destinato ad attivare anche interventi relativi a una Da. Pe., Ca. Na. e Na. so. e Sp. con una spesa totale prevista di circa 60 milioni di euro. La società conta, allo stato, 366 soci effettivi, che hanno aderito alla società con lo scopo di acquistare il proprio posto barca, cui sarà prevalentemente diretta l'attività di vendita. Per tal via, il finanziamento per cui è causa è stato richiesto per la realizzazione di 386 posti barca, dei quali tuttavia 245 sono acquisiti nella disponibilità esclusiva dei soci ("vendita") e solo 141 sono destinati ad una gestione imprenditoriale di "vendita" e/o "transito" (cioè affitto annuale stagionale o giornaliero), attività commerciale identificata al codice ATECO 52.22.09 come indicato nella domanda di contributo. Alla luce di questo dato, la Commissione di valutazione ha ritenuto che il contributo richiesto per la maggior parte del suo importo fosse destinato a compensare gli investimenti dei soci privati "nell'acquisizione del proprio posto barca", mentre solo per circa il 36,53% era rivolto a finanziare investimenti che sarebbero stati utilizzati nell'attività imprenditoriale rivolta al mercato, con la prospettiva di assunzioni di manodopera addizionali. Per tal via, il mancato riconoscimento della "quota di aiuto" per la parte di investimento destinata all'utilizzo personale del socio non appare motivata né dalla natura giuridica del soggetto proponente, né dalla sua natura imprenditoriale e commerciale: e neppure è da ricondursi alla non pertinenza della tipologia di spesa (investimento in attivi materiali) rispetto al dettato dell'art. 14 del Reg. UE n. 651/2014 o alle spese ammissibili stabilite dal bando stesso. Non si è negato alla cooperativa, a "prevalente finalità mutualistica", con riguardo alla sua attività di "impresa" - in quanto effettivamente "rivolta al mercato" - l'accesso ai contributi pubblici, al pari degli altri operatori economici: si è, per contro, disconosciuto il beneficio in relazione alla diretta - e riservata - destinazione degli investimenti a favore dei soci, esulanti da una (pur potenzialmente attuabile) logica di "transazione commerciale" con ciascuno di essi, in concorrenza con soggetti terzi. Si tratta, sotto il profilo in questione, di attività no-profit: sicché il contributo pubblico avrebbe, di fatto, agevolato direttamente il patrimonio del socio partecipante alla cooperativa, in quanto fruitore di un beneficio in via esclusiva e non aperto al mercato (in violazione di quanto disposto dalla normativa sugli aiuti di stato Reg. 651/2014). Del resto, il bando regionale prefigurava la destinazione degli aiuti, per i quali è causa, a "progetti di investimento inseriti in processi di reindustrializzazione del tessuto produttivo finalizzati a salvaguardare i livelli occupazionali, incrementare la presenza di attività economiche", oltreché alla "salvaguardia ed al consolidamento delle imprese dell'Area di crisi industriale complessa di (omissis), alla riqualificazione delle aree produttive, all'attrazione di nuove iniziative imprenditoriali ed al reimpiego dei lavoratori espulsi dal mercato del lavoro" (cfr. il decreto dirigenziale n. 5028/2019, con il quale il bando era stato approvato). Sicché, in definitiva, appare coerente la destinazione delle agevolazioni finanziarie ad attività destinate alla collocazione sul mercato, nel confronto tra la domanda dei potenziali interessati all'"acquisto" o alla "locazione" e le (limitate) risorse dal lato dell'offerta: laddove, di nuovo, la "riserva" ai soci, in relazione allo status sociale, contraddice, sia pure in parte qua, la logica e la finalità dell'ausilio. Appare, perciò, esente da censura la valutazione complessiva del TAR toscano, nella parte in cui, nel rigettare le riassunte ragioni di doglianza, ha concluso nel senso che non sia verificata "alcuna discriminazione in danno della cooperativa", la quale "è, e rimane, libera di svolgere anche attività esposta a rischio di mercato (per la quale ha ricevuto una quota della contribuzione richiesta) assieme al servizio ai soci". In definitiva, non si tratta di sostenere, come vorrebbe l'appellante, che la cooperativa "non farebbe impresa quando rivolge i propri servizi a favore dei propri soci" (che, come affermazione di principio, suonerebbe in effetti inesatta): ma solo che, nel caso di specie, non si trattava della erogazione, dietro corrispettivo, un servizio ai soci, con una relazione negoziale accessiva all'acquisto dello status sociale e quale alternativa concorrenziale alla collocazione sul mercato, ma della destinazione ai soci medesimi, in quanto tali ed in via di riserva, dei posti barca in via di realizzazione. 3.- Con distinto motivo di gravame, la società appellante si duole che la sentenza appellata, nel validare la valutazione operata dalla Commissione di valutazione, abbia escluso che la sottoscrizione del capitale da parte dei singoli soci potesse, di per sé, configurarsi - ai fini della argomentata natura commerciale e imprenditoriale dell'attività sociale - quale "acquisto di servizi" dalla cooperativa (prefigurandosi, per tal via, la posizione dei soci e dei terzi sostanzialmente equivalente, in relazione alla complessiva offerta sul mercato concorrenziale, affidata solo a modalità negoziali alternative). 3.1.- Il motivo non persuade. Come ha plausibilmente ritenuto il primo giudice, il versamento delle quote sociali non può essere qualificato alla stregua di "corrispettivo" per la "cessione di beni" o la "prestazione di servizi", avuto riguardo al diverso trattamento giuridico del capitale sociale a fronte degli introiti dell'attività economica della società . Le quote entrano, in effetti a far parte del capitale e sono come tali, soggette al regime di trasferibilità di cui al libro quinto, titolo VI, del codice civile. Per tal via, la destinazione ai soci, in base alle quote associative versate, dei posti barca in via di realizzazione, opera alla stregua di una prenotazione ancorata alla posizione sociale, è non di una offerta competitiva sul mercato. Il punto è colto dalla sentenza, laddove afferma che, in forza dell'atto costitutivo della cooperativa (segnatamente, dell'articolo 6) il contratto sociale "ha ad oggetto l'acquisto delle quote sociali e non di uno specifico servizio", sicché "che il socio acquista è la proprietà del capitale sociale, rectius di una sua quota, senza che la causa del negozio evidenzi anche la traslazione del diritto a fruire di un determinato servizio". Non è dato, perciò, assimilare il contratto di sottoscrizione della quota sociale con quello di vendita, a titolo oneroso, di un servizio (il che è confermato, sotto il profilo contabile, dal fatto che, se così fosse, le quote sociali avrebbero dovuto essere qualificate come "ricavi anticipati", da contabilizzare tra i "risconti passivi" anziché come "capitale sociale"). In diverso senso, non vale l'assunto che i soci, aspiranti beneficiari, avrebbero comunque dovuto pagare un corrispettivo (sicché non si tratterebbe di assegnazione "gratuita"): in realtà, nello stesso argomento di parte appellante, si tratta solo di precisare che, per l'acquisizione del posto barca, occorresse, semplicemente, un numero minimo, sia pure cospicuo, di quote sociali. 4.- Con distinto mezzo, l'appellante si duole che la sentenza impugnata abbia respinto il morivo di gravame, con il quale aveva contestato l'irragionevolezza del criterio seguito dalla Regione nel ridurre la contribuzione richiesta in misura proporzionale al numero di posti barca riservati a soggetti "non soci". Contesta, segnatamente, l'assunto, che sorregge la decisione sul punto, per cui "i costi per dotare il porto delle infrastrutture (...) non po(trebbero) essere computati quali voce a sé stante, separatamente dalla valutazione relativa ai singoli posti barca da realizzare in quanto corrisponde(nti) ad un eguale ammontare del complessivo investimento funzionale alla loro attivazione". Per tal via, il costo complessivo dell'intervento non potrebbe ridursi a quello necessario per la realizzazione dei posti barca, dovendo ricomprendere, in ogni caso, gli altri costi, ancorché riguardanti opere e infrastrutture portuali. Si tratterebbe, in sostanza, di una "banalizzazione del progetto in corso di realizzazione", essendo la Da. Tu. soltanto "una delle componenti funzionali di un intervento complessivo ben più ampio", come evidenziato in narrativa. 4.1.- Il motivo non è fondato. La misura del contributo regionale, a termini del relativo bando, va parametrata alla realizzazione del porto turistico, mediante realizzazione di posti barca: la circostanza che, nel più comprensivo intervento, siano programmati ulteriori opere infrastrutturali (per altro, come evidenziato dalla difesa regionale, oggetto di distinto finanziamento a domanda) non legittima, come correttamente ritenuto dal TAR, un diverso criterio di quantificazione. 5.- Alla luce delle considerazioni che precedono, l'appello deve essere complessivamente respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla refusione delle spese di lite a favore della Regione Toscana, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Federico Di Matteo - Consigliere Stefano Fantini - Consigliere Giovanni Grasso - Consigliere, Estensore

  • La Corte d'Appello di Brescia è chiamata ad esprimersi in merito alla asserita violazione della normativa sulla concorrenza sleale con riferimento all'abuso di posizione dominante. Osserva così in sentenza che tale figura di abuso non può ravvisarsi in ogni atto di concorrenza svolto da un'impresa asseritamente dominante nei confronti di tutte le altre operanti nello stesso settore. Nel tentativo di conciliare la libertà di iniziativa economica costituzionalmente garantita (art. 41) e la tutela degli imprenditori da condotte che possano porsi in contrasto con l'utilità sociale, è stata emanata la L. n. 192/1998 che traccia i limiti entro i quali tali condotte possano ritenersi illegittime (e che, all'art. 9, vieta l'abuso di dipendenza economica instaurata tra una ed altra impresa, fra le quali intercorra un rapporto contrattuale). È alla stregua di tali disposizioni - sottolinea ancora l'adito Collegio giudicante - che si è stabilito di fare ricorso al concetto di "squilibrio" stigmatizzando la condotta di chi rifiuta di vendere o comprare, impone condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie o, ancora, interrompe arbitrariamente le relazioni commerciali in atto. Si richiama così la necessità di tracciare il confine tra il comportamento "lecito", anche se gravoso per la controparte, e quello "vietato", e ciò avendo riguardo della liceità dell'interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto. Ove si persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi non vi è alcun abuso. A tal fine deve indagarsi non già se sussista una situazione di mero squilibrio, o asimmetria, di diritti, o obblighi, ma se lo stesso sia "eccessivo" e, in particolare, se l'altro contraente fosse realmente privo di alternative economiche sul mercato. Occorre poi verificare se vi sia una condotta contraria a buona fede che vada oltre l'attuazione della lecita iniziativa concorrenziale. (Gi.Ca.)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENOVESE Francesco Antonio - Presidente Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. - Consigliere Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere Dott. IOFRIDA Giulia - rel. Consigliere Dott. CASADONTE Annamaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 29892-2021 R.G. proposto da: (OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA ADRIANA 15, presso lo studio dell'avvocato COCCIA MASSIMO ((OMISSIS)) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CANNIZZARO VINCENZO ((OMISSIS)), VECCHIO FEDERICO ((OMISSIS)); -ricorrente- contro ASSOCIAZIONE SINDACALE LANDSORGANISATIONEM I DANMARK, ASSOCIAZIONE SINDACALE FAGLIGT FAELLES FORBUND, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati TEDOLDI ALBERTO ((OMISSIS)), CONSOLO CLAUDIO ((OMISSIS)); -controricorrenti- nonche' contro MINISTERO DEL LAVORO DELLA DANIMARCA; - intimato - avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO CATANIA n. 1864-2021 depositata il 27/09/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2023 dal Consigliere GIULIA IOFRIDA. FATTI DI CAUSA La Corte d'appello di Catania, con sentenza n. 1864-21, pubblicata il 27/9/21, ha riformato integralmente l'ordinanza, ex articolo 702 bis c.p.c., del Tribunale di Siracusa, pubblicata il 5/12/2018, che aveva accolto la domanda avanzata, ai sensi degli articoli 45 e 46 del Regolamento UE n. 1215-2012 (c.d. Bruxelles I bis), dalla (OMISSIS) spa, nei confronti delle Associazioni sindacali danesi Fagbevaegelsens Hovedorganisation (gia' associazione Sindacale Landorganisationen I Danmark) e Associazione Sindacale Fagligt Faelles Forbun, di diniego di riconoscimento nello Stato italiano, per contrarieta' all'ordine pubblico, della sentenza resa l'8/12/2017 dal Tribunale del Lavoro dello Stato di Danimarca, con la quale la societa' italiana (la quale, nel dicembre 2013, aveva sottoscritto con l'associazione sindacale 3F un accordo di adesione per le aziende con lavoratori distaccati all'estero) era stata condannata al pagamento, in favore delle suddette associazioni sindacali, di una pena pecuniaria di circa Euro 1.900.000,00, a titolo di ammenda per omissione di versamento di contributi previdenziali e oneri sociali vari, in relazione ai lavoratori impiegati nel cantiere danese di (OMISSIS), ove la (OMISSIS) si era aggiudicata una commessa per lo svolgimento di lavori edili all'interno di una raffineria. Il Tribunale di Siracusa, come si evince dagli atti, premesso che il giudice del lavoro danese aveva espressamente chiarito che la pena era stata calcolata "in base al principio della differenza (cioe' il risparmio ottenuto dall'impresa), maggiorata di una penale", penale che svolgeva una funzione sia afflittiva che deterrente, quale sanzione per le imprese che, giocando sulle differenze del costo del lavoro nei singoli Stati membri, fossero tentate di concorrere in modo sleale sul mercato Europeo, aveva affermato, in primis, che non si vertesse in ambito di meri danni punitivi (sulla cui non contrarieta' in linea di principio all'ordine pubblico si erano di recente pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 16601-2017), ma di una sanzione penale (alla luce di alcuni criteri sintomatici, c.d. criteri "Engel", quali individuati dalla Corte EDU, nella sentenza del 8.6.1976, Engel c. Olanda, § 80-82, "carattere di generalita', scopo repressivo-punitivo, afflittivita'") e che, stante la ritenuta la violazione di una serie di garanzie poste a tutela dei diritti fondamentali, doveva negarsi il riconoscimento della sentenza danese, in accoglimento della domanda della ricorrente. I giudici d'appello, dichiarati preliminarmente inammissibili l'intervento in appello del Ministero del Lavoro danese e la produzione, sempre in appello, dei documenti "F 11 e F12", perche' gia' ritenuti inammissibili in primo grado in quanto nuovi, in difetto di un motivo specifico di gravame, hanno sostenuto che: a) come evidenziato nel gravame delle Associazioni sindacali, la condanna inflitta dal giudice danese al pagamento di un "bod" non era riconducibile alla materia penale in quanto non integrante irrogazione di una sanzione penale ma un risarcimento del danno da inadempimento contrattuale (la violazione dell'obbligo assunto dalla (OMISSIS) con il sindacato danese, in forza di accordo contrattuale inter partes, di applicare ai lavoratori dipendenti occupati in Danimarca la contrattazione collettiva), ancorato, ai sensi dell'articolo 12 della legge nazionale danese n. 106-2008, al minor costo affrontato dall'impresa inadempiente per il mancato rispetto dell'accordo stipulato oltre ad una maggiorazione percentuale del 7%, per compensare il danno anche conseguente al c.d. dumping sociale che l'accertato inadempimento aveva causato; b) neppure poteva affermarsi, anche alla luce del divieto di riesame nel merito, che il pagamento del "bod" integrasse una danno punitivo contrario al principio di legalita' e dunque in contrasto con l'ordine pubblico (per essere la legge danese applicata carente di tipicita' e per risultare non univoco il sistema adoperato per il calcolo del danno), in quanto la sentenza danese, al fine di quantificare l'entita' del risarcimento dovuto dal contraente inadempiente, aveva applicato l'articolo 12 della legge nazionale n. 106-2008, secondo cui la condanna deve essere determinata "avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto inclusa la gravita' della violazione da parte dell'autore dell'illecito", ed aveva calcolato il risarcimento nella misura del risparmio economico conseguito dalla (OMISSIS) spa per avere sottopagato i dipendenti, rispetto alla contrattazione collettiva che la societa' italiana si era impegnata a rispettare, "applicando poi una maggiorazione" pari al 7% del superiore importo "per rendere aderente la condanna alla gravita' del caso concreto in considerazione del fatto che tale condotta illecita realizza una pratica vietata ovvero il c.d. dumping sociale", consistente in un insieme di attivita' tese ad eludere la legislazione nazionale e Europea integranti "una forma di concorrenza sleale a danno delle imprese concorrenti al fine di ridurre in modo illegale i costi legati alla manodopera a danno dei diritti dei lavoratori con lo sfruttamento della manodopera impiegata riconoscendo retribuzioni inferiori ai salari minimi concordati e riducendo le tutele contributive e previdenziali dei prestatori di lavoro"; c) la condanna del giudice danese era, in effetti, prevedibile, sia in relazione alla normativa estera applicata che alla prassi adottata dal Tribunale danese in decisioni analoghe, come espressamente motivato, non era ne' vaga ne' in determinata, ne' di particolare gravita' "in considerazione dell'entita' delle somme che hanno formato oggetto del risarcimento" e conservava "una funzione compensativa riparatoria propria del risarcimento da illecito civile"; d) inoltre, anche a volere ritenere la condanna complessivamente inflitta dal Tribunale del Lavoro danese ("aumento del risparmio di spesa conseguito a causa dell'inadempimento ella misura del 7%") come avente anche una funzione deterrente -sanzionatoria, essa risponde ai criteri enucleati dalle Sezioni Unite del 2017, di legalita', prevedibilita' e proporzionalita', e mancava il profilo di contrarieta' all'ordine pubblico erroneamente ravvisato in primo grado; e) era inammissibile la doglianza in punto di contrarieta' all'ordine pubblico della sentenza per non terzieta' del giudice danese (perche' proposta per la prima volta in appello) ed erano infondati i motivi relativi all'assenza del doppio grado di giudizio (per essere la sentenza del Tribunale del Lavoro della Danimarca inappellabile), stante la natura non penale della condanna inflitta nello specifico, ed al mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte del giudice danese (trattandosi di una facolta' e non di un obbligo). Avverso la suddetta pronuncia, la (OMISSIS) spa propone ricorso per cassazione, notificato il 29/11/21, affidato a nove motivi, nei confronti di Fagbevaegelsens Hovedorganisation, gia' Associazione Sindacale Landorganisationen I Danmark, e dell'Associazione Sindacale Fagligt Faelles Forbund (che resistono con controricorso, notificato il 10/1/2022) e del Ministero del Lavoro della Danimarca (che non svolge difese). Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. La causa e' stata tratta all'udienza pubblica del 20 febbraio 2023, con discussione orale su istanza della P.G. e della ricorrente. RAGIONI DELLA DECISIONE La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la nullita' della sentenza, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli articoli 45,47 e 48 Regolamento Bruxelles I Bis, ai principi regolatori del giusto processo ex Cost., articolo 111, agli articoli 101, 112, 702 bis e ter c.p.c. e al D.lgs. 150-2011, articolo 30, in punto di rigetto, da parte della Corte d'appello, del motivo di gravame (ma l'eccezione era stata gia' sollevata in primo grado nelle "note autorizzate di replica del 31 luglio 2018" e comunque era rilevabile d'ufficio) relativo alla mancanza di terzieta' del Tribunale del Lavoro danese, in quanto composto da membri, tra giudici e sostituti, "in buona parte indicati" da una delle parti del giudizio svoltosi in Danimarca, la Associazione Sindacale Landorganisationen I Danmark, con conseguente contrarieta' all'ordine pubblico della sentenza danese anche sotto tale profilo; b) con il secondo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, della Cost., articoli 111, 45, 47 e 48 Regolamento Bruxelles I bis, 101, 112, 702 bis e ter c.p.c. e 30 D.lgs. 150/2011, in relazione all'articolo 6 della CEDU ed alla Cost., articoli 101 e 111 e 101 c.p.c., sempre in punto di rigetto, da parte della Corte d'appello, della questione, rilevabile d'ufficio, relativa alla mancanza di terzieta' del giudice danese; c) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell'articolo 267, comma 3, TFUE, per avere ritenuto facoltativo e discrezionale il rinvio pregiudiziale d alcune questioni alla Corte di Giustizia, da parte del giudice danese in unico grado e di ultima istanza, come sollecitato da (OMISSIS); d) con il quarto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, sia dell'articolo 45 del Regolamento Bruxelles I bis, sia dell'articolo 6 CEDU, per avere la Corte territoriale riconosciuto una sentenza contraria all'ordine pubblico in ragione del mancato rinvio alla Corte di Giustizia, sempre in relazione alla violazione dell'obbligo del giudice danese, di ultima istanza, di promuovere il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia; e) con il quinto motivo, l'omesso esame, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per non avere la Corte d'appello considerato tutte le circostanze di fatto, allegate da (OMISSIS), che dimostrano che il "bod", vale a dire la multa imposta dalla sentenza danese, e' sostanzialmente una sanzione penale; f) con il sesto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex articolo 360 n. 3 c,p.c., degli articoli 45 e 46 Reg. Bruxelles I bis, nonche' 6 e 7 Convenzione EDU, Costituzione, 23-25, 2 Protocollo Addizionale n. 7 CEDU e 49 Carta dei Diritti Fondamentali UE, per non avere la Corte d'appello ritenuto manifestatamente contrario all'ordine pubblico il riconoscimento della sentenza danese in Italia per essere la sanzione imposta alla (OMISSIS) una sanzione sostanzialmente penale, per la quale non si e' rispettato il principio di legalita' o comunque per avere la sentenza danese imposto la condanna al pagamento di un importo punitivo senza rispettare i parametri di legalita' enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 16601-2017 sui punitive damages; g) con il settimo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 45 e 46 Reg. Bruxelles I bis, nonche' 6 e 7 Convenzione EDU, Costituzione , 23-25, 2 Protocollo Addizionale n. 7 CEDU e 49 Carta dei Diritti Fondamentali UE, per non avere la Corte d'appello accolto la censura sollevata da (OMISSIS) in ordine all'assenza, nel giudizio svoltosi in Danimarca, del doppio grado di giudizio; h) con l'ottavo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 116 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione alla qualificazione della natura dei "bod" e la violazione del principio "Iudex iuxta alligata et probata indicare debet"; i) con il nono motivo, la nullita' della sentenza, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia, in violazione dell'articolo 112 c.p.c., in merito alla richiesta di espungere anche i documenti "H, I e J", documenti nuovi prodotti in appello dalle Associazioni Sindacali, avendo la Corte di merito dato conto solo della richiesta di espungere i documenti "F 11 e F 12", laddove si dovesse ritenere non implicitamente accolta l'eccezione di inammissibilita' anche con riferimento ai primi documenti, per le identiche ragioni espresse in relazione ai secondi indicati. 2. Preliminarmente, occorre rilevare che, nel presente giudizio, si discute del diniego di riconoscimento di sentenza emessa in altro Stato membro dell'UE, la Danimarca, nel dicembre 2017, secondo quanto stabilito dal reg. UE n. 1215/2012, che si applica, in base all'articolo 66, a tutti i procedimenti iniziati in data successiva al 10.1.2015 e per effetto del quale "la decisione emessa in uno Stato membro e' riconosciuta in un altro Stato membro senza che sia necessario il ricorso ad alcuna procedura particolare" (articolo 36) ed "e' esecutiva negli altri Stati membri senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutivita'" (articolo 39). Tale disciplina, sostituendo il precedente reg. UE n. 44-2001, ha ulteriormente facilitato la circolazione dei provvedimenti in ambito comunitario. In particolare, si e' rafforzato il principio del riconoscimento automatico, atteso anche il superamento dell'esigenza di un provvedimento dell'autorita' giudiziaria dello Stato ad quem che dichiari l'esecutivita' della sentenza estera e la trasformazione dei motivi di non riconoscibilita' in motivi di diniego del riconoscimento e dell'esecuzione delle sentenze straniere, sulla base di una specifica iniziativa giudiziaria della parte interessata. Il Regolamento citato, infatti, sancisce, all'articolo 45, che la parte interessata puo' chiedere che il riconoscimento (e l'esecuzione, ex articolo 46) sia negato, ove esso (lett.a), per quanto nel presente giudizio rileva, sia "manifestamente contrario all'ordine pubblico (ordre public) nello Stato membro richiesto". I motivi di diniego, quali individuati dall'articolo 45, in quanto idonei ad ostacolare la circolazione della sentenza straniera, sono soggetti ad interpretazione restrittiva, con onere della prova a carico della parte che li invoca. Competente sulle domande di diniego presentate, sulla base delle comunicazioni del Governo italiano alla Commissione Europea, in adempimento dell'obbligo sancito dall'articolo 75, e' il Tribunale ordinario; le decisioni del Tribunale possono essere impugnate dinanzi alla Corte d'appello (mentre la l.218-1995 contempla, per le controversie in tema di riconoscimento ed esecuzione delle sentenze straniere, la competenza della Corte d'appello in unico grado), contro la cui decisione e' esperibile il ricorso per cassazione. Per contrarieta' all'ordine pubblico deve intendersi, secondo la stessa Corte di giustizia, la contrarieta' ad "una regola di diritto considerata essenziale nell'ordinamento giuridico dello Stato richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale nello stesso ordinamento giuridico" (Corte giust. UE, 28.4.2009, causa C-420/07, infra, sez. III). La sentenza impugnata tiene conto, altresi', della evoluzione sia in tema di natura penale - o meno - di una sanzione (e delle figure sintomatiche, quali affermate dalla Corte Europea dei Diritti Dell'Uomo, nella sentenza 8.6.1976, Engel c. Olanda, § 80-82; vedasi anche, successivamente, Corte eur. dir. uomo, 21.2.1984, Ã-ztürk c. Repubblica federale tedesca; Corte eur. dir. uomo, 24.2.1994, Bendenoun c. Francia; Corte eur. dir. uomo, 27.9.2011, Menarini Diagnostics S.r.l. c. Italia; Corte eur. dir. uomo, 4.3.2014, Grande Stevens e altri c. Italia; Corte eur. dir. uomo, 23.11.2006, Jussila c. Finlandia; nonche' dalla Corte di giustizia UE, nella sentenza 26.2.2013, C-617/10, Aklagaren c. Hans Akerberg Franssonn, e dalla stessa Corte Costituzionale italiana, nelle sentenze n. 276/2016 e n. 43/2017), sia in tema di danni punitivi e di compatibilita' o meno dell'istituto con il sistema ordinamentale italiano (Cass., Sez. un., 5.7.2017, n. 16601). Si deve rilevare, sempre in generale, come l'ordine pubblico, da "complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunita' nazionale in un determinato periodo storico, e nei principi inderogabili immanenti nei piu' importanti istituti giuridici" (Cass. n. 1680-1984), sia divenuto espressione del "sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria, sicche' occorre far riferimento alla Costituzione e, dopo il trattato di Lisbona, alle garanzie approntate ai diritti fondamentali dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi dell'Unione Europea dall'articolo 6 TUE" (Cass. n. 1302-2013), con l'ultima precisazione che la valutazione deve essere condotta "non solo alla stregua dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui detti principi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione da' forma a quel diritto vivente, dal quale non puo' prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico" (Cass. Sez.Un. 12193-2019; Cass. Sez.Un. 16601-2017). 4. Tanto premesso, le prime due censure sono inammissibili. La ricorrente si duole, anzitutto nel primo motivo, del fatto che l'eccezione (formulata nelle note conclusive del procedimento sommario d'appello), in ordine alla mancata garanzia di terzieta' del Tribunale del Lavoro danese (per essere la maggioranza dei suoi componenti designati da una delle associazioni sindacali parti del presente giudizio), sia stata ritenuta inammissibile dalla Corte territoriale, in quanto proposta per la prima volta nel grado di appello ("non essendovene traccia nel ricorso introduttivo di primo grado"), trattandosi di questione esposta gia' nel corso del giudizio di primo grado, in note autorizzate del 31/7/2018 (ma ritenuta assorbita, avendo il Tribunale riscontrato altra ragione di contrarieta' all'ordine pubblico della sentenza danese) e comunque rilevabile d'ufficio. Nel secondo motivo, la ricorrente deduce, sulla stessa questione, un vizio per error in iudicando. Vero che, nella lettura ampia che della clausola di ordine pubblico la Corte di Giustizia (Causa C-394/07, Gambazzi) ha dato, gia' in relazione all'interpretazione della Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, puo' ritenersi che i principi del contraddittorio e dell'imparzialita' del giudice, in quanto rientranti nel piu' generale principio dell'equo processo, siano immanenti e debbano essere rispettati nel procedimento d'origine (vedasi, sulle garanzie di indipendenza e di imparzialita' di un giudice, che presuppongono l'esistenza di regole, relative in particolare alla composizione dell'organo, alla nomina, alla durata delle funzioni nonche' alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all'impermeabilita' di tale organo nei confronti di elementi esterni e alla sua neutralita' rispetto agli interessi contrapposti, sentenza del 20 aprile 2021, Repubblika, C-896/19, punto 53). Nella specie si verte, tuttavia, in tema di diniego di riconoscimento, ai sensi del Reg. n. 1215 del 2012, articolo 45, il cui giudizio e' generalmente caratterizzato da un'inversione formale dei ruoli, in quanto l'attore, che contesta la riconoscibilita' o la idoneita' del dictum, dovra' allegare e provare uno dei requisiti ostativi del riconoscimento e quindi la sussistenza di uno dei fatti impedivi (o estintivi, limitatamente alla contrarieta' all'ordine pubblico) dell'efficacia della sentenza straniera, mentre il convenuto non sara' gravato di nessun particolare onere probatorio, beneficiando della presunzione di automatica riconoscibilita'/eseguibilita' posta dal regolamento. Si pone quindi la questione se il giudice possa rilevare d'ufficio l'integrazione di un requisito ostativo - ad esempio il contrasto con l'ordine pubblico processuale o sostanziale del foro - anche in mancanza di un apposito rilievo di parte, a fronte di un interesse pubblicistico, sulla base delle regole processuali del foro che, in Italia, generalmente consentono tale rilievo (il nostro articolo 112 c.p.c.), ovvero su tale rilievo officioso sia precluso, a fronte del favor verso la riconoscibilita' espresso dal regolamento, nella parte in cui esige espressamente che ad attivarsi sia la parte interessata. Tuttavia, pur dando per allegato il motivo della mancanza di terzieta' del giudice danese, come specificazione della domanda introduttiva operata nel corso del giudizio, italiano con rito sommario di cognizione, di primo grado, deve essere, anzitutto, rilevata la genericita' della deduzione, fondata unicamente sul richiamo alla disposizione dell'articolo 1, comma 2, del Testo Unico del Lavoro danese, laddove le controricorrenti hanno replicato che i magistrati sono nominati dal Ministero del Lavoro sulla base delle indicazioni espresse dalle parti, soltanto nel caso di adesione di entrambe all'associazione sindacale danese (sulla base di una Riforma del 1997), e che, in caso di mancata adesione di una di esse, la controversia e' devoluta ad un giudice monocratico, come si e' controdedotto essere avvenuto nella fattispecie, essendo stata la sentenza pronunciata da Marianne Hojgaard Pedersen, giudice scelto tra quelli in carica presso la Suprema Corte danese. Si evidenzia, inoltre, dalle controcorrenti, che il magistrato danese non sia stato ricusato del corso del giudizio. In effetti, la sola deduzione circa la possibilita' di decisioni collegiali assunte anche da membri scelti dalle associazioni sindacali non vale a dimostrare la mancanza di terzieta' del giudice che ha pronunciato nel caso in esame. Nella memoria depositata, la ricorrente insiste sul fatto che la dedotta mancanza di terzieta' ed indipendenza del giudice del lavoro danese, stante il potere di designazione dei membri del Tribunale da parte dei sindacati danesi ed il potere di nomina dei membri del Tribunale da parte del Ministero danese, su designazione dei sindacati e delle associazioni dei datori di lavoro, organismi portatori di un interesse diretto "di tipo nazionalistico/protezionistico", rappresenterebbe una "carenza strutturale del predetto giudice". Orbene, il parametro dell'ordine pubblico da prendere in esame non e', in tal caso, quello dell'ordine pubblico interno, ma quello dell'ordine pubblico internazionale, che, ricomprendendo le norme che rispondono all'esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell'uomo o, ancora, che informano l'intero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduca in uno stravolgimento dei suoi valori fondanti, "svolge una funzione di meccanismo di salvaguardia dell'armonia interna dell'ordinamento giuridico statale di fronte all'ingresso di valori incompatibili con i suoi principi ispiratori, di argine contro la compromissione dei valori irrinunciabili dell'ordinamento del foro" (Cass. Sez.Un. 38162-2022). Si deve allora osservare come costituisca una tradizione non isolata quella che, nei vari ordinamenti nazionali, contempla la possibilita', in materie specialistiche, di corti con funzioni giurisdizionali a composizione mista, alcune di nomina ministeriale (si pensi, nel nostro sistema, ai giudici designati con decreto del Ministero dello Sviluppo economico nella composizione della Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio Italiano brevetti e marchi, di cui all'articolo 136 c.p.i., o al sistema giudiziario francese (e svizzero) - Conseil De Prud'hommes - o statunitense - in vari modi regolato da giudici elettivi-). Ma, in ogni caso, non e' compito del giudice del diniego di riconoscimento della sentenza pronunciata da giudice di uno Stato membro UE indagare su carenze generali di sistema ("strutturali") di detto ordinamento, tanto piu' alla luce della stima e della considerazione che a detto Stato, nello specifico (la Danimarca), e' riconosciuta proprio a livello Eurounitario. 5. La terza e la quarta censura sono infondate. 5.1. La ricorrente si duole del rigetto della doglianza da essa sollevata in ordine alla contrarieta' all'ordine pubblico della sentenza danese per mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex articolo 267, comma 3, del TFUE da parte del Tribunale del Lavoro, per avere la Corte d'appello ritenuto facoltativo e discrezionale il rinvio pregiudiziale di questione di interpretazione del diritto dell'Unione alla Corte di Giustizia, essendo invece il Tribunale del Lavoro danese, giudice danese in unico grado e di ultima istanza, tenuto a rivolgersi alla Corte UE o, alternativamente, a motivarne il diniego in base ai tassativi motivi enucleati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Risulta, dal presente ricorso per cassazione, che la (OMISSIS) aveva chiesto al giudice danese di disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia su tre questioni di diritto Europeo attinenti alla conformita' della legislazione danese a vari principi e norme comunitarie: a) il principio della libera circolazione dei servizi e di non discriminazione in ragione della nazionalita', in relazione all'obbligo di versamento anticipato della retribuzione feriale a favore della Cassa Ferie 3F; b) l'articolo 3 comma 1 lett.c) della Direttiva 96/71/CE sul distacco dei lavoratori e l'articolo 6, comma 2, della Direttiva 98/49/CE sulle pensioni complementari, in relazione all'obbligo di versamento di contributi pensionistici; c) l'articolo 11 della CEDU e l'articolo 12 della Carte dei diritti fondamentali della UE, in relazione all'imposizione di una pena pecuniaria, a favore del Sindacato ed alla violazione di tali norme Eurounitarie nei confronti dei lavoratori stranieri non sindacalizzati (pagg.18 e 19 della sentenza danese, nella traduzione italiana in atti). Tutte e tre le richieste sono state respinte dal giudice danese ma, ad avviso della ricorrente, senza effettiva motivazione. Il Tribunale danese avrebbe ritenuto che non vi fosse, "a seguito della valutazione probatoria in relazione alle concrete circostanze del caso in esame", alcuna fondata ragione per supporre una violazione del diritto Europeo ad opera della legislazione nazionale. Ora, dalla lettura della sentenza danese (pagg.40/46), si evince che il giudice del lavoro ha diffusamente motivato le ragioni del mancato rinvio pregiudiziale, ritenendo che: a) rispetto alla prima questione, sebbene il doppio pagamento a favore della cassa ferie F3 e della cassa nazionale possa porre in svantaggio (dal punto di vista della liquidita') il datore di lavoro straniero (rispetto alle aziende danesi che non hanno dipendenti distaccati o che hanno un numero inferiore di dipendenti distaccati), tale posizione e' controbilanciata dal rapido rimborso delle somme versate in eccedenza, nonche' giustificato dalla necessita' di assicurare un efficace tutela dei diritti dei lavoratori stranieri; b) quanto al versamento dei contributi pensionistici (ed all'asserito contrasto dell'accordo contrattuale con l'articolo 6, comma 2, della Direttiva sulle pensioni, dovuto al fatto che l'impresa italiana gia' versa i contributi ai propri dipendenti nel proprio Paese su fondo previdenziale complementare), la (OMISSIS) non ha fornito prova di avere effettuato i pagamenti alla cassa edile nazionale; c) rispetto all'ultimo punto (lamentandosi che se l'associazione 3F avesse tratto guadagno a scapito dei lavoratori non sindacalizzati cio' sarebbe stato in contrasto con l'articolo 11 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e con l'articolo 12 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea), si e' rilevato che la quota dell'ammenda relativa ai lavoratori sindacalizzati deve essere pagata al sindacato 3F, mentre la quota relativa ai lavoratori non sindacalizzati deve essere pagata direttamente a questi ultimi e che, in ogni caso, l'imposizione del "bod" al prestatore di servizi straniero si basa sul risparmio illecitamente ottenuto ed e' finalizzata ad evitare il fenomeno del c.d. dumping sociale. Di conseguenza, il Tribunale del Lavoro ha ritenuto, per tali ragioni, non fondata la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (pag. 46). 5.2. Orbene, obbligano il giudice di ultima istanza al rinvio pregiudiziale (vedasi Corte di giustizia, Raccomandazioni all'attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale, 2012/C 338/01, che tengono conto del nuovo Regolamento di procedura della Corte, adottato il 25 settembre 2012) le questioni di interpretazione del diritto dell'Unione Europea, rilevanti al fine della decisione del giudizio, non perfettamente identiche ad altre gia' decise dalla Corte di giustizia UE, nonche' quelle sulle quali la corretta applicazione del diritto dell'Unione Europea "non si impone con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alle questioni sollevate". La Corte di Giustizia ha invero chiarito (sentenza 6/10/1982, causa n. C-283/81, c.d. caso CILFIT) che l'obbligo di rinvio pregiudiziale incontra tre eccezioni, non essendo il giudice tenuto a sollevare la questione quando essa non e' pertinente, perche' non puo' influire sull'esito della lite, ovvero quando la disposizione comunitaria di cui e' causa ha gia' costituito oggetto di interpretazione da parte della stessa Corte oppure ancora quando la corretta interpretazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata. Poiche' si verte in ambito di esame della fondatezza della richiesta di diniego del riconoscimento di sentenza emessa in uno Stato membro - la Danimarca -, occorre verificare se l'omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia o meglio la carenza motivazionale nel rigetto della istanza di rinvio pregiudiziale possa o meno rappresentare una "manifesta contrarieta' all'ordine pubblico" ostativa al riconoscimento, di regola automatico, della sentenza del giudice danese. 5.3. E' necessario fare richiamo ai principi enunciati al riguardo dalla Corte EDU di Strasburgo e dalla Corte di Giustizia. La Corte EDU ha esaminato il rapporto tra mancato rinvio pregiudiziale ed equo processo, ai sensi dell'articolo 6 della CEDU dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, nella sentenza del 20 settembre 2011, Ullens de Schooten and Rezabek c. Belgio (ricorso n. 3989/97 e n. 38353/07), affermando che il mancato rinvio pregiudiziale non e' di per se' incompatibile con l'articolo 6 della Convenzione, a condizione che il rifiuto sia motivato. Nella sentenza del 6/10/2021 della Grande Sezione della Corte di Giustizia (causa C-561/19, caso Consorzio Italian Management) si e' ribadito (par.51) che "dal sistema istituito dall'articolo 267 TFUE, letto alla luce dell'articolo 47, comma 2, della Carta, discende che, allorche' un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno ritenga, per il fatto di trovarsi in presenza di una delle tre situazioni menzionate al punto 33 della presente sentenza, di essere esonerato dall'obbligo di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte, previsto dall'articolo 267, comma 3, TFUE, la motivazione della sua decisione deve far emergere o che la questione di diritto dell'Unione sollevata non e' rilevante ai fini della soluzione della controversia, o che l'interpretazione della disposizione considerata del diritto dell'Unione e' fondata sulla giurisprudenza della Corte, o, in mancanza di tale giurisprudenza, che l'interpretazione del diritto dell'Unione si e' imposta al giudice nazionale di ultima istanza con un'evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi". Vige tuttavia, nell'ambito specifico che qui interessa della circolazione all'interno della UE delle sentenze emesse dai giudici degli Stati membri, per il giudice dello Stato membro richiesto, stante il principio di fiducia reciproca che deve permeare i rapporti tra gli stati membri dell'UE, il divieto, ai sensi del Reg.1215 del 2012, articolo 52, di riesame nel merito della controversia svoltasi nello Stato di origine, tanto che egli non puo' rifiutarsi di riconoscere o porre in esecuzione una sentenza "per il solo motivo che esiste una divergenza tra la norma giuridica applicata dal giudice dello Stato membro d'origine e quella che avrebbe applicato il giudice dello Stato membro richiesto se fosse stato investito della controversia" (sentenza Corte Giustizia 6 settembre 2012, Trade Agency Ltd c. Seramico Investments Ltd, causa C-619/10, par. 50; cfr. anche Corte Giustizia 28/3/2000, Krombach, C-7/97, punto 36, ove si e' evidenziato che debba ricorrere una violazione "manifesta di una norma considerata essenziale nell'ordinamento giuridico dello Stato membro richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale nello stesso ordinamento giuridico" e che la clausola di ordine pubblico prevista dall'articolo 27, par. 1, della Convenzione di Bruxelles potrebbe rilevare anche quando il provvedimento da riconoscere o eseguire fosse stato pronunciato in violazione di un principio fondamentale in materia processuale). E la valutazione della Grande Camera della Corte EDU, nella sentenza Avotis c.Lettonia del 23 maggio 2016, richiamata dalla ricorrente, che ha riguardato proprio l'ambito del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale all'interno dello spazio giudiziario Europeo (oggetto di riconoscimento, in Lettonia, era una decisione giudiziaria cipriota di condanna di un cittadino lettone, in contumacia, al pagamento di somma di denaro, ricevuta in prestito da societa' cipriota, ed era in discussione la garanzia del diritto ad un equo processo come sancito dall'articolo 6 della Convenzione Europea, lamentando il ricorrente di non esser stato debitamente informato del procedimento a suo carico), non mette in discussione sia la presunzione secondo cui l'ordinamento comunitario offre un livello di protezione dei diritti umani equivalente a quello proprio del sistema della Convenzione sia il tradizionale principio di riconoscimento automatico delle sentenze e il divieto di riesaminarle nel merito, pur essendosi rilevata la necessita' per i giudici di non abdicare il loro ruolo di giudicare le denunce relative a "gravi violazioni dei diritti fondamentali tutelati dalla Convenzione Europea"; la Corte EDU, nel respingere il ricorso del cittadino lettone, essendosi esclusa qualsiasi violazione della Convenzione da parte delle autorita' lettoni, ha, in motivazione, altresi' affermato che il fatto che la questione, relativa all'applicazione del Reg.44 del 2001 ed ai limiti del potere di controllo riservato ai giudici dello Stato richiesto dell'esecuzione della sentenza, non fosse stata sottoposta a pronuncia pregiudiziale non era decisivo, in quanto il ricorrente non aveva ne' presentato una richiesta in tal senso dinanzi ai tribunali nazionali ne' sollevato argomenti che richiedessero l'interpretazione da parte della CGUE. Ma la "manifesta" violazione dell'ordine pubblico, ostativa alla circolazione della decisione estera, implica dunque un contrasto grave e non tollerabile che mette in discussione i principi dell'ordine pubblico internazionale (sentenza del 28 aprile 2009, causa C420/07, Meletis Apostolides contro David Charles Orams e Linda Elizabeth Orams, Meletis Apostolides). La Corte di Giustizia nella sentenza del 16/7/2015 (causa C-681/13, Diageo Brands) ha poi affermato che "l'articolo 34, punto 1, del regolamento n. 44 del 2001 deve essere interpretato nel senso che il fatto che una decisione emessa in uno Stato membro sia contraria al diritto dell'Unione non giustifica che tale decisione non venga riconosciuta in un altro Stato membro sulla base del rilievo che essa viola l'ordine pubblico di quest'ultimo Stato, qualora l'errore di diritto invocato non costituisca una violazione manifesta di una norma giuridica considerata essenziale nell'ordinamento giuridico dell'Unione, e dunque in quello dello Stato membro richiesto, o di un diritto riconosciuto come fondamentale in tali ordinamenti giuridici"; nella motivazione, ai par. 43-44, si e' ribadito che: a) l'articolo 36 del regolamento n. 44 del 2001, vietando il riesame nel merito della decisione emessa in un altro Stato membro, osta a che il giudice dello Stato richiesto neghi il riconoscimento di tale decisione "per il solo fatto che esista una divergenza tra la norma giuridica applicata dal giudice dello Stato di origine e quella che avrebbe applicato il giudice dello Stato richiesto se fosse stato investito della controversia", oltretutto non potendo il giudice dello Stato richiesto "controllare l'esattezza delle valutazioni di diritto o di fatto operate dal giudice dello Stato di origine (v. sentenza flyLAL-Lithuanian Airlines, C-302/13, EU:C:2014:2319, punto 48 e la giurisprudenza ivi citata)"; b) e' ammissibile ricorrere alla clausola dell'ordine pubblico di cui all'articolo 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001 solo ove "il riconoscimento della decisione pronunciata in un altro Stato membro contrasti in modo inaccettabile con l'ordinamento giuridico dello Stato richiesto, in quanto detta decisione lederebbe un principio fondamentale" e, per rispettare il divieto di un riesame nel merito della decisione pronunciata in un altro Stato membro, la lesione "dovrebbe costituire una violazione manifesta di una norma giuridica considerata essenziale nell'ordinamento giuridico dello Stato richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale in tale ordinamento (v. sentenza flyLAL-Lithuanian Airlines, C-302/13, EU:C:2014:2319, punto 49 e la giurisprudenza ivi citata)". 5.4. Non possono poi essere tralasciati i principi di diritto affermati da questo giudice di legittimita'. In punto di insussistenza di un diritto della parte all'automatico rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, in sede di giudizio di cassazione, di ultima istanza, questa Corte ha ribadito che in base al criterio del c.d. "acte clair", non esiste alcun diritto della parte che formula la relativa istanza all'automatico rinvio ogniqualvolta la Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive, essendo sufficiente che le ragioni del diniego siano espresse ovvero implicite se la questione pregiudiziale e' manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Cass. 19880-2021; Cass. 36776-2022). Questa Corte di Cassazione ha ritenuto che non possa essere invocato il limite dell'ordine pubblico in relazione alle sentenze straniere prive di motivazione esplicita o altrimenti ricavabile dal loro contenuto o dagli atti processuali (Cass. 3365-2000: "Puo' essere dichiarata efficace nella Repubblica una sentenza straniera anche se priva di motivazione, nel senso che la relativa mancanza non costituisce condizione ostativa alla delibazione, vuoi perche' la motivazione medesima non e' compresa nell'articolo 797 c.p.c. tra le condizioni per la suddetta declaratoria, vuoi perche', quando il contraddittorio sia stato assicurato e la sentenza sia passata in giudicato (tanto da dover presumere che i fatti e le questioni di diritto posti a fondamento della decisione vengano considerati non piu' discutibili dalle stesse parti), e' da ritenere che l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali non rientri tra i principi inviolabili fissati nel nostro sistema normativo a garanzia del diritto di difesa, sancendo la Cost., al comma 1 dell'articolo 111, che siffatto obbligo prevede, un assetto organizzativo della giurisdizione il quale attiene esclusivamente all'ordinamento interno"; conf. Cass. 9247-2002; Cass. 597-2017: "In tema di riconoscimento di sentenze straniere, nel vigore della disciplina introdotta dalla l. n. 218 del 1995, articoli 64 e segg. (cosi' come sotto la vigenza dell'abrogato articolo 797 c.p.c.), gli eventuali vizi e la stessa mancanza della motivazione della sentenza straniera non costituiscono cause ostative al riconoscimento invocato, posto che, quando il contraddittorio sia stato assicurato e la sentenza sia passata in giudicato (tanto da doversi presumere che i fatti e le questioni di diritto posti a fondamento della decisione siano non piu' discutibili), e' da ritenere che l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali non rientri tra i principi inviolabili fissati nel nostro sistema normativo a garanzia del diritto di difesa, sancendo la Cost., articolo 111, che siffatto obbligo prevede, un assetto organizzativo della giurisdizione che attiene esclusivamente all'ordinamento interno"; conf. Cass. 10540-2019). In memoria, la ricorrente ha richiamato un passaggio motivazionale contenuto nell'ordinanza interlocutoria delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 19598-2020, caso Randstad), secondo cui "il giudice nazionale che, in assenza delle condizioni tassativamente indicate dalla Corte di giustizia (a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81, p. 14) che esonerano il giudice nazionale dall'obbligo di rinvio pregiudiziale, ometta senza motivare di effettuare tale rinvio - anche "nuovamente" quando sia necessario per la decisione della causa principale (v. Corte di giustizia, 5 marzo 1986, C-69/85, p.14) - e decida la causa interpretando direttamente le norme non chiare del diritto dell'Unione, invade le attribuzioni esclusive della Corte di giustizia cui spetta l'ultima parola in ordine all'interpretazione di tale diritto, poiche' esercita un potere giurisdizionale di cui e' privo, esponendosi, nell'ordinamento italiano, al ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione". Questa Corte ha ritenuto di dovere investire la Corte di Giustizia ex articolo 267 del Trattato sulla compatibilita' con il diritto dell'Unione dell'orientamento interpretativo che in radice esclude la possibilita' per le Sezioni Unite della Corte di cassazione, investite da un mezzo di impugnazione ordinaria, il ricorso per cassazione, di esaminarlo nel merito quando sia denunciata la immotivata violazione dell'obbligo di rinvio da parte del Consiglio di Stato e di effettuare direttamente il rinvio pregiudiziale, al fine di accertare l'esatta interpretazione del diritto dell'Unione e, di conseguenza, la compatibilita' della sentenza impugnata con il diritto dell'Unione, ma la questione specifica e' stata ritenuta dalla Corte di Giustizia irricevibile non emergendo, nell'ambito del ricorso per cassazione, che la Randstad ricorrente avesse dedotto motivi vertenti sul fatto che il Consiglio di Stato, in violazione dell'articolo 267, comma 3, TFUE, avesse omesso di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale. 5.5. Alla luce di tali considerazioni, si deve ritenere che il giudice italiano, quale giudice ad quem dello Stato membro richiesto dall'esecuzione, non puo', in ambito di articolo 45 lett.a) Reg.1215-2012 e di verifica della manifesta contrarieta' dell'atto all'ordine pubblico, anche inteso come ordine pubblico processuale, sindacare il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia su questioni interpretative attinenti strettamente al merito della controversia (ed alla legge danese applicata dal giudice straniero), istituzionalmente riservate al giudice a quo dello Stato membro di origine, mancato rinvio comunque, nella specie, specificamente motivato dal giudice danese sulla base della ritenuta superfluita' della questione. La Corte d'appello dunque del tutto correttamente ha affermato che la necessita' di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia e' rimessa alla discrezionalita' del giudice adito. Il giudice danese ha poi assolto l'obbligo di motivazione idoneo ad evitare l'obbligatorieta' del rinvio pregiudiziale. 6. I motivi quinto, sesto ed ottavo, con i quali si censura la sentenza impugnata in ordine alla statuizione di non contrarieta' all'ordine pubblico della sentenza danese sull'assunto che la sanzione inflitta alla ricorrente con tale provvedimento sarebbe sostanzialmente penale o violerebbe le prescrizioni di questo giudice di legittimita' sul riconoscimento dei c.d. danni punitivi, sono in parte inammissibili, in parte infondati. 6.1. Anzitutto, viene denunciato un vizio di omesso esame di fatti decisivi, ex articolo 360 n. 5 c.p.c. (con il quinto motivo), in quanto la sentenza impugnata, nel negare la qualificazione della sanzione irrogata nella specie come sanzione penale, avrebbe non considerato i criteri, alternativi tra loro, conosciuti come criteri "Engel", della qualificazione giuridica del provvedimento contestato nel diritto nazionale (lo stesso diritto danese qualifica come pena - pecuniaria -, "bod", in lingua danese, la sanzione inflitta a (OMISSIS) ed essa ha "la sua base legale unicamente in una norma di legge dello Stato danese", non nel contratto stipulato), della natura preventiva ed afflittiva del provvedimento contestato (a tutela di "un interesse - pubblico - diffuso, la protezione del sistema industriale e lavoristico danese dal c.d. "dumping sociale"", senza che sia ricollegato ad alcun danno, privatistico, subito da chi incassa la sanzione, il sindacato dei lavoratori, essendo inoltre il pagamento non favore dei singoli lavoratori ma del sindacato) e della particolare gravita' della sanzione. Ora, non si verte in ipotesi di omesso esame di fatti ma di valutazione, sulla base degli elementi documentali acquisiti, di questione giuridica, la natura o meno penale della condanna pecuniaria inflitta alla (OMISSIS) dal giudice danese. La Corte d'appello ha qualificato la condanna in termini di responsabilita' civile da inadempimento contrattuale (il contratto collettivo stipulato con l'associazione sindacale 3F), sia pure avuto riguardo ad un accordo specifico, quello tra la societa' italiana e le associazioni sindacali, motivando sul fatto che i c.d. criteri Engel, elaborati alla giurisprudenza della Corte EDU (vale a dire, la qualificazione dell'illecito operata dal diritto nazionale danese, la natura della sanzione, alla luce della sua funzione punitiva-deterrente, la sua severita', ovvero la gravita' del sacrificio imposto) per identificare le sanzioni che realizzano la stessa finzione di una pena, attenevano alla materia delle sanzioni amministrative, ma sostanzialmente penali. La doglianza come vizio motivazionale e' quindi inammissibile. 6.2.Le doglianze sono poi infondate quanto al vizio di violazione di legge. La ricorrente censura sia la statuizione in ordine alla natura non penale della condanna inflitta sia quella sulla natura non di danno punitivo e sulla conformita' all'ordine pubblico (in rapporto ai criteri dettati dalle Sezioni Unite nel 2017 per la verifica di compatibilita' della sentenza straniera con il nostro ordine pubblico). 6.3. Orbene, nella fattispecie, il Tribunale del Lavoro danese ha irrogato, in conformita' dell'articolo 12 del Testo Unico del Lavoro danese, una sanzione quantificata sulla base del risparmio economico illegittimamente compiuto dalla societa' italiana, per mancata corresponsione dei salari, delle indennita' di ferie e per il lavoro domenicale e festivo e dei contributi pensionistici, maggiorato di un quid pluris in ragione delle circostanze del caso concreto. Tale condanna, inclusa la maggiorazione (nella stessa tabella della ricorrente, indicata come pari ad Euro 129.000,00, circa, in rapporto alla quantificazione della base della pena pecuniaria, in misura di DKK 13.032.688,84, pari ad Euro 1.745.760,00) non ha anzitutto natura penale, in quanto adottata in ambito di un giudizio di responsabilita' civile (e sulla natura polifunzionale della responsabilita' civile nell'attuale sistema ordinamentale basta il richiamo alle Sezioni Unite del 2017). Il "bod" nel diritto danese corrisponde ad una condanna di tipo civilistico, prevista dal Testo unico del lavoro (articolo 12), come alternativa alla normale responsabilita' risarcitoria: esso e' comminato esclusivamente rispetto alla violazione (inadempimento) dei contratti collettivi, con la finalita' di rafforzare la vincolativita' dei suddetti contratti, il cui scopo sarebbe vanificato se dal loro inadempimento derivasse un risarcimento solo al danno effettivo, e di evitare il fenomeno del c.d. dumping sociale. Esso combina quindi una funzione risarcitoria, derivante dall'inadempimento, ad una funzione deterrente sanzionatoria, al fine di garantire una tutela effettiva agli impegni presi con il contratto collettivo e salvaguardare la fiducia degli accordi. La sola funzione anche repressiva e preventiva perseguita dalla penalita' civile non e' condizione sufficiente per qualificarne la natura in termini penalistici e di conseguente contrasto con l'ordine pubblico. In ambito nazionale dell'ordinamento dello Stato danese, poi, la condanna inflitta, anche ai sensi dell'articolo 12 del Testo Unico Lavoro danese, non e' formalmente qualificata come sanzione penale ma come pena pecuniaria. Esistono anche nel nostro ordinamento similari misure coercitive previste all'articolo 614 bis c.p.c. o agli articoli 124, comma 2, 131, comma 2, del Codice della Proprieta' Industriale. Lo stesso Regolamento UE n. 1215-2022 contempla che le sentenze straniere possano disporre il pagamento di penalita' e che esse sono esecutive "solo se l'ammontare di quest'ultima e' stato definitivamente fossato dall'autorita' giurisdizionale d'origine". L'eventuale carattere sanzionatorio punitivo va allora apprezzato sulla base dei due criteri sostanziali indicati: da un lato, la natura della violazione, desunta dal suo ambito applicativo, in quanto, per essere "penale", essa deve essere rivolta alla "generalita' dei consociati" e non agli appartenenti ad un ordinamento particolare, e, soprattutto, dallo scopo perseguito, che deve essere "non meramente risarcitorio, ma repressivo e preventivo"; dall'altro, la natura e la gravita' della sanzione cui l'interessato si trova esposto, che deve presentare "una connotazione afflittiva, potendo raggiungere un rilevante grado di severita'" (sentenza Corte Costituzionale n. 43 del 2017). Nella specie, alcuno dei parametri indicati ricorre: la misura e' stata applicata in rapporto ad una controversia di inadempimento di un accordo contrattuale, tra la societa' italiana e le associazioni sindacali, ed e' stata calcolata sulla base del criterio del risparmio economico illegittimo, con una maggiorazione, in senso afflittivo-deterrente, al fine di evitare il fenomeno, distorsivo della concorrenza comunitaria, del c.d. dumping sociale, lesivo del trattamento dei lavoratori. Con riguardo alle sanzioni, amministrative, inflitte in sede disciplinare ad un notaio, questa Corte (Cass. n. 641/2023) ha avuto modo di affermare che ne doveva essere esclusa la natura penale, anche alla luce dei criteri Engel, osservando che " la valutazione sull'afflittivita' economica di una sanzione non puo' essere svolta in termini totalmente astratti, ma va necessariamente rapportata ai contesto normativo nel quale la disposizione punitiva si inserisce". In ambito di rapporto di lavoro e di provvedimenti disciplinari, sempre questa Corte (Cass. 25485-2017) ha affermato che "le sanzioni disciplinari inflitte dal datore di lavoro abbiano natura penale ai fini dell'applicazione dell'articolo 4 del Protocollo 7 CEDU perche' il potere disciplinare non e' espressione della pretesa punitiva dell'autorita' pubblica e, nei rapporti disciplinati dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, ha natura privatistica-contrattuale. La sanzione disciplinare, infatti, e' strettamente correlata al potere direttivo del datore di lavoro, inteso come potere di conformazione della prestazione alle esigenze organizzative dell'impresa o dell'ente, potere che comprende in se' quello di reagire alle condotte del lavoratore che integrano inadempimento contrattuale. La previsione della sanzione disciplinare non e' posta a presidio di interessi primari della collettivita', tutelabili erga omnes, ne' assolve alla funzione preventiva propria della pena, sicche' l'interesse che attraverso la sanzione disciplinare si persegue, anche qualora i fatti commessi integrino illecito penale, e' sempre quello del datore di lavoro al corretto adempimento delle obbligazioni che scaturiscono dal rapporto". 6.4. In relazione, poi, al tema dei danni puntivi e del loro ingresso nel nostro ordinamento, questa Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 16601 del 2017, enunciando principio di diritto ai sensi dell'articolo 363, comma 3, c.p.c., ha affermato che: a) l'ordine pubblico internazionale si compone dei principi fondamentali che, nell'ordinamento interno ed in un dato momento storico, ispirano la disciplina di una certa materia a prescindere dal rango della fonte da cui traggono origine; b) "nel vigente ordinamento, alla responsabilita' civile non e' assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiche' sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile"; c) "il riconoscimento di una sentenza estera di condanna al risarcimento dei danni c.d. punitivi non e' incompatibile con l'ordinamento italiano, alla luce della funzione anche deterrente e sanzionatoria della responsabilita' civile. La delibazione, in tal caso, presuppone che il provvedimento straniero sia stato reso su basi normative che garantiscono la tipicita' delle ipotesi di condanna, la prevedibilita' e i limiti quantitativi della medesima, dovendosi avere riguardo, sempre in sede di delibazione, agli effetti della sentenza e alla loro compatibilita' con l'ordine pubblico" Nella specie, le Sezioni Unite hanno affermato quindi che, nel sistema italiano della responsabilita' civile, cosi' come regolato dalla legge, la valutazione dell'incidenza della condotta del danneggiante sulla entita' del danno da liquidare (e, dunque, l'apprezzamento di una sostanziale funzione sanzionatoria dell'istituto della responsabilita' risarcitoria) non e' astrattamente incompatibile con i principi dell'ordinamento, in cui al risarcimento non e' assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, ma anche la funzione di deterrenza e la funzione sanzionatoria del responsabile civile, anche se richiede la sussistenza di specifici presupposti di tipicita' legislativa, oltre che ulteriori requisiti di prevedibilita' e di dimensionamento quantitativi. Le Sezioni Unite hanno confermato la sentenza impugnata, la quale aveva delibato decisioni statunitensi riguardanti responsabilita' di un produttore di caschi da motocross, in giudizi in cui l'ammontare del danno - del tutto privo di carattere abnorme o esemplare - era stato quantificato in sede transattiva: formulando il principio di diritto sopra richiamato, le Sezioni Unite hanno ricordato un elenco di disposizioni normative nazionali riconducibili alla categoria dei danni punitivi, comprendente tra gli altri, della L. 22 aprile 1941, n. 633, articoli 158, nonche' l'articolo 124, II co., 131, II co, e il Decreto Legislativo n. 30, 10 febbraio 2005, 125, pur con i limiti posti dal considerando 26 della direttiva CE cd. Enforcement 29 aprile 2004, n. 48, sul rispetto dei diritti di proprieta' intellettuale, attuata dal Decreto Legislativo n. 16 marzo 2006, n. 140. Nello stesso senso si veda anche Cass. 5829-2019. Sempre questa Corte (Cass. n. 5666 del 2/3/2021) ha poi affermato, in relazione all'articolo 125 c.p.i., comma 3, nella formulazione conseguente al recepimento della Direttiva 2004/48/CE (ma anche prima di tale intervento normativo, l'articolo 125 prevedeva, al comma 1, che il risarcimento del danno andasse liquidato "anche tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto" e cio' era consentito pure nella vigenza della I.m., di cui al RD. N. 942-1942, e, nella disciplina della legge d'autore, L. n. 633 del 1941, nel periodo anteriore alla modificazione, ad opera del Decreto Legislativo n. 140 del 2006, articolo 5, dell'articolo 158), secondo cui il titolare di diritto di proprieta' intellettuale danneggiato potra' chiedere il risarcimento del danno nella forma alternativa della restituzione degli utili del contraffattore, che "anche per il comma 3 della disposizione in esame, ci si trova indubbiamente di fronte non ad una mera e tradizionale funzione esclusivamente riparatoria o compensativa del risarcimento del danno, nei limiti del pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, ma ad una funzione, se non propriamente sanzionatoria, diretta, quantomeno, ad impedire che il contraffattore possa arricchirsi mediante l'illecito consistito nell'indebito sfruttamento del diritto di proprieta' intellettuale altrui. Le Sezioni Unite (Cass. 16601-2017) hanno, al riguardo, chiarito, proprio richiamando la normativa nazionale in materia di tutela della proprieta' intellettuale, che, nel vigente ordinamento nazionale, "alla responsabilita' civile non e' assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiche' sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicche' non e' ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto, di origine statunitense, dei risarcimenti punitivi", purche' la misura si regga "su basi normative che garantiscano la tipicita' delle ipotesi di condanna, la prevedibilita' della stessa ed i suoi limiti quantitativi" (nella specie, si discuteva del riconoscimento di una sentenza straniera). Questa Corte (Cass. 8944-2020) ha poi, di recente, rilevato che l'utile percepito dal contraffattore non corrisponde all'intero ricavo derivante dalla commercializzazione del prodotto contraffatto, ma al margine di profitto conseguito da colui che si e' reso responsabile della lesione del diritto di privativa, deducendo i costi sostenuti (produttivi e di distribuzione) dal ricavo totale". Deve poi aggiungersi che anche la condanna ex articolo 96, comma 3 c.p.c., applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilita' aggravata ex articolo 96, commi 1 e 2 c.p.c., e con queste cumulabile, volta al contenimento dell'abuso dello strumento processuale (Cass. civ., n. 27623-2017) e cioe' nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione, in rapporto alla evoluzione della fattispecie dei "danni punitivi" che ha progressivamente fatto ingresso nel nostro ordinamento (cfr. Cass. S.U. 16601-2017, in particolare quanto all'inserimento della fattispecie legale di cui trattasi nell'elenco di quelle con funzioni di deterrenza rinvenibili nel nostro ordinamento (vedasi, sempre riguardo all'azione temeraria, Cass. 16898/2018; Cass. 20018/2020; Cass. 3830/2021; Cass. SU 25041/2021; Cass. 234090/2021). E la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 152/2016, nel dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 96, comma 3, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento alla Costituzione, articoli 3, 24 e 111, ha ritenuto che, pur avendo tale disposizione natura non risarcitoria ma piu' propriamente, sanzionatoria, con finalita' deflattive, finalizzata alla tutela di un interesse che trascende (o non e', comunque, esclusivamente) quello della parte stessa (tanto da potere essere la condanna disposta d'ufficio) e si colora di connotati innegabilmente pubblicistici, "l'istituto cosi' modulato e' suscettibile di rispondere, peraltro, anche ad una concorrente finalita' indennitaria nei confronti della parte vittoriosa (pregiudicata anch'essa da una temeraria, o comunque ingiustificata, chiamata in giudizio) nelle, non infrequenti, ipotesi in cui sia per essa difficile provare l'an o il quantum del danno subito, suscettibile di formare oggetto del risarcimento di cui ai primi due commi dell'articolo 96 c.p.c." e non presenta connotati di irragionevolezza, riflettendo "una delle possibili scelte del legislatore, non costituzionalmente vincolato nella sua discrezionalita', nell'individuare la parte beneficiaria di una misura che sanziona un comportamento processuale abusivo e che funga da deterrente al ripetersi di una siffatta condotta". 6.5. Ora, nella specie, anche laddove si possa ritenere che la condanna si concreti in una condanna a danni punitivi, essa risponde ai criteri enucleati dalle Sezioni Unite nel 2017, della tipicita', essendo prevista da una fonte normativa riconoscibile (l'articolo 12 del Testo Unico Lavoro danese, che detta i criteri generali, sia pure rimettendo l'applicazione al giudice del merito sulla base delle circostanze del caso concreto), quale interpretata, in relazione ai criteri di quantificazione, dalla giurisprudenza del Tribunale del Lavoro danese (e la Corte danese ha anche stabilito linee guida fisse per la commisurazione dei "bod", che ne rendono prevedibile il calcolo), della prevedibilita' (come indicato dalla Corte d'appello, sia in relazione alla normativa estera applicata che alla prassi adottata dal Tribunale danese in decisioni analoghe) e della proporzionalita' (in rapporto alla maggiorazione applicata avente valenza prettamente punitiva, rispetto alla restante parte liquidata a titolo compensativo, in relazione all'accertato risparmio economico illegittimamente conseguito dall'impresa italiana). 7. Il settimo motivo e' infondato. In molteplici occasioni e' stato ribadito dalla stessa Corte costituzionale che il principio del doppio grado del giudizio non e' garantito, in ambito civile, a livello costituzionale (cfr., ad esempio, C. Cost. 29 dicembre 2000, n. 585, C. Cost. 23 dicembre 1994, n. 438). Diverso discorso per il principio, nel processo penale, del doppio grado del giudizio incidentale cautelare, che riceve espressa dignita' costituzionale dalla Cost., articolo 111, comma 7, laddove prevede la ricorribilita' in Cassazione per violazione di legge, oltre che delle sentenze, di tutti i provvedimenti in materia di liberta' personale. Principio che trova puntuale riscontro nella L. 4 agosto 1955, n. 848, articolo 5, comma 4, di ratifica ed esecuzione della C.E.D.U. (Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali), che statuisce la ricorribilita', davanti ad un tribunale che ne accerti la legittimita', delle misure dell'arresto o comunque privative della liberta' personale. Le Sezioni Unite (Cass. 13617-2012) hanno affermato che " In tema di responsabilita' disciplinari a carico dei notai, la conformazione del procedimento, nel quale e' previsto un unico grado in sede giurisdizionale, non e' in contrasto con i principi o le disposizioni della Costituzione e della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, poiche' queste fonti di rango primario non impongono il doppio grado di giudizio, come evidenziato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza del 30 luglio 1997, n. 288, ne' puo' ritenersi violato il principio di uguaglianza, perche' anche altri ordinamenti disciplinari professionali (come quello forense) prevedono un'articolazione analoga a quella fissata per i notai". 8. Il nono motivo e' inammissibile, in quanto generico e comunque privo di decisivita'. La ricorrente neppure prospetta in che modo l'omessa pronuncia della Corte d'appello sulla propria richiesta di espunzione anche dei documenti "H, I e J", documenti nuovi prodotti in appello dalle Associazioni Sindacali, abbia cagionato ad essa un concreto pregiudizio. In ogni caso, come chiarito da questa Corte, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullita' della sentenza per violazione dell'articolo 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all'articolo 360, n. 4 dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti, attinenti al merito, che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l'omissione e' denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass.3357/2009; Cass. 13716/2019; Cass. 24830/2017). Le controricorrenti, peraltro, deducono che i documenti in questione (pareri pro veritate) non integravano neppure produzioni istruttorie su fatti costitutivi o impeditivi, trattandosi di "meri sussidi all'espletamento del dovere officioso del giudice di accertamento della portata della norma straniera anche ai sensi della l. 218 del 1995, articolo 14" o comunque di mere argomentazioni difensive. 9. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimita', liquidate in complessivi Euro 20.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonche' al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SPIRITO Angelo - Presidente Dott. DELL'UTRI Marco - rel. Consigliere Dott. AMBROSI Irene - Consigliere Dott. GUIZZI Stefano Giaime - Consigliere Dott. Spa ZIANI Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 5047/2020 R.G. proposto da: (OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato BERRUTI PAOLO, ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati BERTANI BRUNELLA, ( (OMISSIS)), COTTAFAVI PIERLUIGI, ( (OMISSIS)), BARBIERI GIORGIO, ( (OMISSIS)), COSTANTINO GIORGIO, ( (OMISSIS)); - ricorrente - contro (OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS) ( (OMISSIS)), presso lo studio dell'avvocato LEONE ARTURO, ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIUSSANI ANDREA, ( (OMISSIS)); - controricorrente - avverso SENTENZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 17043/2019 depositata il 26/06/2019; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/10/2022 dal Consigliere Dott. MARCO DELL'UTRI. FATTI DI CAUSA 1. Con sentenza resa in data 26/6/2019, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla (OMISSIS) s.p.a. avverso la sentenza resa in data 7/3/2016 con la quale la Corte d'appello di Milano (in riforma della decisione di primo grado) ha rigettato la domanda proposta dalla (OMISSIS) s.p.a. (di seguito (OMISSIS) s.p.a) diretta, tra le restanti domande, alla condanna della (OMISSIS) s.p.a. al risarcimento dei danni subiti dall'attrice in conseguenza della responsabilita' (variamente configurata, anche in forma alternativa o gradata, come responsabilita' precontrattuale, contrattuale o extracontrattuale, nonche' per abuso di dipendenza economica o concorrenza sleale) assunta dalla (OMISSIS) s.p.a. a margine della definizione e dell'esecuzione di taluni accordi conclusi tra le parti per la commercializzazione, da parte della (OMISSIS) s.p.a., di servizi di connessione alla Rete Internet offerti alla propria clientela; responsabilita' nella specie esclusa dalla corte territoriale milanese in relazione a ciascuno dei diversi profili denunciati dalla societa' originaria attrice. 2. A sostegno della decisione assunta, tra le altre argomentazioni (per quel che rileva in questa sede), la Corte di cassazione ha ritenuto inammissibili il quarto, il quinto e il sesto motivo di censura illustrati dalla (OMISSIS) s.p.a. (gia' (OMISSIS) s.p.a.) nei confronti della sentenza d'appello, per non avere la societa' ricorrente adeguatamente assolto ai propri oneri di puntuale e completa allegazione del ricorso, ai sensi dell'articolo 366 c.p.c., n. 6. 3. Avverso l'indicata sentenza della Corte di cassazione, la (OMISSIS) s.p.a. propone ricorso per revocazione ex articolo 391-bis c.p.c. sulla base di tre motivi d'impugnazione, invocando, in caso di revoca, l'accoglimento del ricorso proposto avverso la sentenza resa in data 7/3/2016 dalla Corte d'appello di Milano. 4. La (OMISSIS) s.p.a. resiste con controricorso. 5. Entrambe le parti hanno depositato memorie. 6. A seguito della fissazione della trattazione del ricorso dinanzi alla Sesta - 3 Sezione Civile di questa Corte (sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c.), con ordinanza interlocutoria resa dalla Sesta - 3 Sezione Civile in data 4/1/2022, il ricorso per revocazione e' stato rimesso dinanzi alla Terza Sezione Civile per la trattazione all'odierna pubblica udienza. 7. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, instando per l'accoglimento del ricorso per revocazione in fase rescindente e, in fase rescissoria, per l'accoglimento del ricorso con le conseguenze di legge. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo, la societa' ricorrente impugna per revocazione la sentenza n. 17043 del 26/6/2019 resa dalla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (ex articolo 395 c.p.c., n. 4, e articolo 398 c.p.c., comma 2), denunciando l'errore di fatto risultante dagli atti e documenti di causa in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato, per avere la Corte di cassazione erroneamente dichiarato inammissibile il quarto motivo del ricorso proposto dalla ricorrente avverso la sentenza resa dalla Corte d'appello di Milano in data 7/3/2016, sul presupposto della mancata trascrizione, da parte della societa' ricorrente, "in modo completo", del capo della sentenza di primo grado che avrebbe asseritamente riconosciuto sussistenti i presupposti applicativi della responsabilita' per abuso di dipendenza economica della (OMISSIS) s.p.a., nonche' dei passaggi del motivo d'appello proposto dalla medesima societa' ricorrente avverso il suddetto capo con il quale, in tesi, quest'ultima si sarebbe limitata a contestare la qualificazione della natura di detta responsabilita', senza alcun riferimento ai presupposti di fatto di detta responsabilita'; presupposti il cui riconoscimento non era stato impugnato dalla (OMISSIS) s.p.a. in via incidentale, con la conseguente formazione del giudicato sul punto. 2. Al riguardo, la ricorrente si duole dell'errore di fatto in cui sarebbe incorso il giudice di legittimita', atteso che il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della corte d'appello aveva testualmente riportato, tanto il capo della sentenza (non definitiva) resa dal giudice di primo grado sul riconoscimento della responsabilita' contestata a carico della (OMISSIS) s.p.a., quanto il motivo d'appello che aveva investito tale capo di sentenza sul punto concernente la sussunzione della responsabilita' della (OMISSIS), nella specie ricondotta all'alveo della responsabilita' precontrattuale, anziche' (come invocato dalla societa' ricorrente) a quello della responsabilita' per abuso di dipendenza economica. 3. Il motivo e' fondato. 4. Osserva il Collegio come il contenuto del ricorso per cassazione originariamente proposto dalla (OMISSIS) s.p.a. sia stato erroneamente ritenuto incompleto dal giudice a quo; e cio', sulla base di una scorretta percezione della relativa entita', nella specie tale da rivelare, ictu oculi, la relativa sufficienza ad evidenziare, tanto l'an, quanto il quomodo dell'effettiva contestazione, da parte di (OMISSIS), della qualificazione della responsabilita' della (OMISSIS) quale culpa in contraendo anziche' quale responsabilita' per abuso di dipendenza economica. 5. Il mancato riconoscimento dell'oggettiva entita' del contenuto del ricorso per cassazione proposto dall'odierna societa' ricorrente per revocazione deve ritenersi tale, nel caso di specie, da integrare gli estremi di un vero e proprio errore di percezione (e dunque di un errore revocatorio rilevante ai sensi degli articolo 395 c.p.c., n. 4, e articolo 391-bis c.p.c.), e non gia' di un mero eventuale errore concernente l'interpretazione o l'applicazione delle norme di diritto (processuale) concernenti l'operativita' dell'articolo 366 c.p.c., n. 6, avendo il giudice di legittimita', non gia' applicato tale norma (in modo eventualmente erroneo) sul presupposto di un'esatta ricognizione del contenuto del ricorso per cassazione (cio' che avrebbe escluso i presupposti per l'ammissibilita' dell'odierna censura per revocazione), bensi' rilevato la sussistenza della violazione del principio di autosufficienza senza avvedersi dell'esatta e oggettiva entita' dell'atto processuale introduttivo del giudizio di legittimita'. 6. Sulla base di tali premesse, in accoglimento del motivo d'impugnazione in esame, dev'essere disposta la revoca della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con la conseguente necessita' di procedere in sede rescissoria all'esame del quarto motivo dell'originario ricorso per cassazione (di cui v. infra). 7. Con la seconda censura, la societa' ricorrente si duole dell'errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione nel dichiarare inammissibile il quinto motivo del ricorso proposto avverso la ridetta sentenza d'appello, sul presupposto della mancata ("compiuta") riproduzione delle difese illustrate della (OMISSIS) s.p.a. in sede d'appello, con la conseguente impossibilita', per la medesima corte di legittimita', di apprezzare se, effettivamente, quest'ultima societa' avesse trascurato di impugnare la statuizione del giudice di primo grado che ne aveva attestato la responsabilita' nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. (oggi (OMISSIS) s.p.a), con il conseguente passaggio in giudicato di tale punto. 8. Al riguardo, la ricorrente si duole dell'errore di fatto in cui sarebbe incorso il giudice di legittimita', atteso che il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della corte d'appello aveva compiutamente riportato le difese avanzate da (OMISSIS) in appello e, in particolare, i suoi quattro motivi di appello incidentale. 9. Il motivo e' infondato. 10. Osserva il Collegio come la prospettazione che la societa' odierna ricorrente avanzo', in sede di legittimita', nell'impugnare la sentenza d'appello, riguardo' il rilievo della riscontrata mancata impugnazione, da parte di (OMISSIS) s.p.a., della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva accertato la relativa responsabilita' contrattuale nei confronti della (OMISSIS). 11. Dedotta in questi termini, la questione avrebbe imposto (come effettivamente ritenne il Collegio della Corte di cassazione la cui sentenza e' impugnata per revocazione in questa sede) che si riproducesse in modo completo il contenuto delle difese di (OMISSIS), atteso il carattere indefettibile della verifica circa la radicale inesistenza di eventuali passaggi di dette difese che, in via di appello incidentale, contestassero quell'accertamento di responsabilita' operato dal primo giudice. 12. Tali osservazioni appaiono tanto piu' rilevanti nel caso di specie, la' dove si consideri l'avvenuta espressa menzione, da parte di (OMISSIS) in questa sede (in corrispondenza della pag. 10 dell'odierno ricorso per revocazione), di un appello incidentale di (OMISSIS) concernente la contestazione dell'accertamento della responsabilita' della stessa (OMISSIS) operato dal primo giudice: appello incidentale che, sebbene (OMISSIS) interpreti riduttivamente come limitato entro i confini dell'articolo 1337 c.c., in ogni caso avrebbe reso necessaria la relativa integrale sottoposizione all'esame della Corte di cassazione attraverso la riproduzione del testo completo dell'appello incidentale di (OMISSIS) al fine di misurare i termini integrali ed effettivi dell'estensione della contestazione avanzata da detta societa' nei confronti della sentenza di primo grado. 13. Da tale premessa deriva che la mancata completa riproduzione, nel corpo del ricorso per cassazione, delle integrali difese illustrate da (OMISSIS) in appello (e non quindi il solo richiamo di taluni brani, come nella specie avvenuto) vale a giustificare il riconoscimento dell'infondatezza del presente motivo di revocazione, non essendo il provvedimento impugnato incorso in alcun errore di fatto concernente la concreta ricognizione dell'effettivo contenuto del ricorso per cassazione illo tempore proposto dalla (OMISSIS), segnatamente con riguardo alla completa riproduzione delle contestazioni avanzate da (OMISSIS) in appello avverso la sentenza del primo giudice. 14. Varra' incidentalmente anticipare, peraltro, la sostanziale irrilevanza di tale questione ai fini della decisione dell'originario ricorso per cassazione, dovendo ritenersi, per quanto si dira', che l'avvenuta espressa contestazione, da parte di (OMISSIS), in sede di appello incidentale, della propria responsabilita' per come positivamente riconosciuta dal giudice di primo grado, valse a escludere, in ogni caso, l'avvenuta formazione di alcun giudicato sui presupposti della responsabilita' risarcitoria della societa' originariamente convenuta, sia pure diversamente qualificata sul piano giuridico (cfr. infra). 15. Con la terza censura, la societa' ricorrente si duole dell'errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione nel dichiarare inammissibile il sesto motivo del ricorso proposto avverso la ridetta sentenza d'appello (in relazione al punto concernente la responsabilita' di (OMISSIS) s.p.a. per il mancato rispetto dei doveri di trasparenza e di informazione nei confronti di (OMISSIS) s.p.a.), sul presupposto del difetto di autosufficienza "per le medesime ragioni indicate in relazione al quarto motivo". 16. Al riguardo, la ricorrente si duole dell'errore di fatto in cui sarebbe incorso il giudice di legittimita', atteso che il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della corte d'appello aveva correttamente riportato tutti i necessari e pertinenti passi della sentenza di primo grado e i corrispondenti motivi di appello proposti da (OMISSIS) s.p.a., nonche' tutte le difese avanzate da (OMISSIS) s.p.a. in appello al fine di escludere che la stessa si fosse doluta dell'accertamento della propria responsabilita' nei confronti di (OMISSIS) (con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza del primo grado emessa sul punto). 17. Il motivo e' fondato nei termini di seguito specificati. 18. Dev'essere preliminarmente esclusa la fondatezza della censura in esame limitatamente al punto concernente la contestazione della pretesa completezza della riproduzione, in sede di legittimita', delle difese avanzate da (OMISSIS) s.p.a. in appello al fine di escludere l'avvenuta contestazione, da parte di quest'ultima, della sentenza di primo grado in relazione al riconoscimento della relativa responsabilita' per il mancato rispetto dei doveri di trasparenza e di informazione, valendo, al riguardo, le medesime considerazioni gia' esposte in relazione alla motivazione del rigetto del secondo motivo di revocazione: considerazioni e valutazioni da ritenersi, in questa sede, integralmente richiamate, adattate e riproposte. 19. Nel resto, il motivo di revocazione deve ritenersi fondato. 20. Osserva il Collegio come, anche con riguardo al sesto motivo del ricorso per cassazione illo tempore avanzato dalla (OMISSIS), il contenuto del ricorso per cassazione da quest'ultima originariamente proposto sia stato erroneamente ritenuto incompleto dal giudice a quo; e cio', sulla base di una scorretta percezione della relativa entita', ancora una volta tale da rivelare, ictu oculi, la relativa sufficienza ad evidenziare l'an e il quomodo dell'effettiva contestazione, da parte della (OMISSIS), della qualificazione della responsabilita' della (OMISSIS) quale culpa in contraendo anziche' quale responsabilita' per il mancato rispetto dei doveri di trasparenza e di informazione confronti di (OMISSIS). 21. Il mancato riconoscimento dell'oggettiva entita' del contenuto del ricorso per cassazione proposto dall'odierna societa' ricorrente per revocazione deve pertanto ritenersi tale, anche in relazione al punto in esame, da integrare gli estremi di un vero e proprio errore di percezione (e dunque di un errore revocatorio rilevante ai sensi degli articolo 395 c.p.c., n. 4, e articolo 391-bis c.p.c.), e non gia' di un mero eventuale errore concernente l'interpretazione o l'applicazione delle norme di diritto (processuale) concernenti l'operativita' dell'articolo 366 c.p.c., n. 6, avendo il giudice di legittimita', non gia' applicato tale norma (in modo eventualmente erroneo) sul presupposto di un'esatta ricognizione del contenuto del ricorso per cassazione (cio' che avrebbe escluso i presupposti per l'ammissibilita' dell'odierna censura per revocazione), bensi' rilevato la sussistenza della violazione del principio di autosufficienza senza avvedersi dell'esatta e oggettiva entita' dell'atto processuale introduttivo del giudizio di legittimita'. 22. Sulla base di tali premesse, in accoglimento del motivo d'impugnazione in esame, dev'essere disposta la revoca della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con la conseguente necessita' di procedere in sede rescissoria all'esame del sesto motivo dell'originario ricorso per cassazione (di cui v. infra). 23. Sulla base dell'insieme delle premesse sin qui argomentate, in accoglimento del primo e del terzo motivo dell'odierno ricorso per revocazione (disatteso il secondo), dev'essere disposta la revoca della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, segnatamente con riguardo alla decisione del giudice di legittimita' emessa in relazione al quarto e al sesto motivo dell'originario ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano resa in data 7/3/2016. 24. Pervenendo alla conseguente decisione in sede rescissoria, occorrera' pertanto procedere all'esame del quarto e del sesto motivo dell'originario ricorso per cassazione. 25. Con il quarto motivo dell'originario ricorso per cassazione, la societa' ricorrente ha censurato la sentenza d'appello impugnata per violazione degli articoli 342 e 343 c.p.c. nonche' dell'articolo 2909 c.c. (in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte d'appello erroneamente escluso la responsabilita' della (OMISSIS) s.p.a. (nei confronti di (OMISSIS)) ai sensi della L. n. 192 del 1998, articolo 9 (ossia per abuso di dipendenza economica), la' dove la sentenza non definitiva di primo grado aveva ritenuto esistente in fatto la condotta lamentata (concretatasi nella rottura arbitraria delle relazioni commerciali e nell'imposizione di condizioni contrattuali gravose per la prosecuzione del rapporto) sussumendola tuttavia nella violazione del generale dovere di buona fede che deve presiedere anche la fase delle trattative precontrattuali, con statuizione che non era stata investita dall'appello incidentale di (OMISSIS) e che (OMISSIS) aveva impugnato in via principale unicamente in relazione alla qualificazione della natura (contrattuale o extracontrattuale non precontrattuale) della responsabilita'; capo della sentenza non definitiva, pertanto, su cui doveva ritenersi definitivamente formato il giudicato con riguardo all'accertamento della rivendicata responsabilita' della societa' avversaria. 26. Con il sesto motivo dell'originario ricorso per cassazione, la societa' ricorrente ha censurato la sentenza d'appello per violazione degli articoli 342 e 343 c.p.c., nonche' dell'articolo 2909 c.c. (in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte d'appello erroneamente escluso la responsabilita' di (OMISSIS) per il mancato rispetto del dovere di trasparenza e di informazione nei confronti di (OMISSIS) con riguardo ai profili economici in sede di verifica, tra le parti, della correttezza dello schema economico del secondo contratto, e quindi delle trattative per la rinegoziazione dell'accordo, la' dove la sentenza non definitiva di primo grado aveva ritenuto esistente, in fatto, detta responsabilita'; capo della sentenza non definitiva che, non essendo stato investito dall'appello incidentale di (OMISSIS), doveva ritenersi definitivamente passato in giudicato con riguardo alla all'accertamento della rivendicata responsabilita' della societa' avversaria. 27. Entrambi i motivi - congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione - sono infondati. 28. Osserva il Collegio come, secondo quanto espressamente riconosciuto dalla stessa societa' odierna ricorrente (cfr. pag. 10 del ricorso per revocazione), (OMISSIS), nel proporre appello incidentale avverso la decisione del primo giudice, ebbe espressamente a contestare l'avvenuto riconoscimento, da parte di quest'ultimo, della propria responsabilita' risarcitoria nei confronti di (OMISSIS) (gia' (OMISSIS)); responsabilita' identificata dal tribunale nella prospettiva della c.d. culpa in contraendo (articolo 1337 c.c.), essendosi (OMISSIS) sottratta al puntuale rispetto degli obblighi derivanti dall'osservanza del principio di buona fede, destinato a vincolare le parti impegnate nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. 29. Lo stesso tribunale, nel qualificare in tali termini la responsabilita' riconosciuta in capo a (OMISSIS), ebbe espressamente a precisare come l'avvenuto riconoscimento della responsabilita' per violazione dei doveri precontrattuali di buona fede, doveva ritenersi nella specie tale da assorbire ogni altra prospettazione avanzata in iure dalla societa' danneggiata, segnatamente con riguardo alla ritenuta violazione della L. n. 192 del 1998, articolo 9 (riguardante l'ipotesi dell'abuso di dipendenza economica, individuata dallo stesso tribunale come forma particolare della responsabilita' di cui all'articolo 1337 c.c.), ovvero ad eventuali forme alternative di responsabilita' civile connesse al mancato rispetto di pretesi doveri di trasparenza e di informazione nei confronti di (OMISSIS). 30. Posta in questi termini, varra' osservare come l'avvenuta espressa contestazione, da parte di (OMISSIS), in sede di appello incidentale, del riconoscimento della (unica forma di) responsabilita' espressamente riconosciuta a suo carico dal giudice di primo grado (ossia di una responsabilita' di natura precontrattuale, tale, per espressa indicazione di quello stesso giudice, da assorbire ogni altra possibile qualificazione giuridica alternativa), dovesse ritenersi tale da impedire la formazione di alcun giudicato interno sulle eventuali forme alternative di responsabilita' di (OMISSIS) ancora in questa sede rivendicate da (OMISSIS); e tanto, in forza dell'immediata considerazione per cui ogni altra e diversa forma di responsabilita' (per abuso di dipendenza economica, per inadempimento di obbligazioni, o per altro) avrebbe dovuto in ogni caso ritenersi esclusa per (espressa) volonta' dello stesso giudice di primo grado, ovvero, in ogni caso, assorbita dalla (unica) forma di responsabilita' formalmente riconosciuta dal medesimo giudice. 31. Cio' posto, l'avvenuta contestazione, da parte di (OMISSIS), della sentenza di primo grado attraverso la proposizione di un proprio appello incidentale (quanto meno nella parte in cui risulta riproposto dalla (OMISSIS) nel ricorso per cassazione), nella misura in cui ha coinvolto l'accertamento della (unica forma di) responsabilita' riconosciuta a carico di (OMISSIS) in relazione al tenore delle relazioni intrattenute con (OMISSIS), deve ritenersi tale da aver impedito la formazione di alcun giudicato interno sul punto; e cio', non solo in relazione all'avvenuto riconoscimento della responsabilita' precontrattuale formalmente individuata a suo carico, bensi' anche in relazione a qualsivoglia eventuale altra forma di responsabilita' diversamente qualificata in iure in relazione ai medesimi fatti materiali, avendo, tanto (OMISSIS) quanto (OMISSIS), provveduto, attraverso la proposizione dei rispettivi appelli principale e incidentale, a riaprire per intero, in sede di gravame, l'ambito della discussione processuale gia' sottoposto al giudice di primo grado, e dunque nuovamente riaffidato, nella sua interezza, all'esame del giudice d'appello. 32. Sulla base di tali premesse, pronunciando in sede rescissoria, a seguito della revoca della sentenza n. 17043 del 26/6/2019 resa dalla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, sul ricorso per cassazione proposto dalla (OMISSIS) s.p.a. avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano resa in data 7/3/2016, rilevata l'infondatezza del quarto e del sesto motivo del ricorso per cassazione, dev'essere pronunciato il rigetto del ricorso. 33. Ritiene il Collegio sussistenti i presupposti, in considerazione dell'esito complessivo del processo, per l'integrale compensazione, tra le parti, delle spese del giudizio di cassazione e delle due fasi del presente giudizio di revocazione. 34. Dev'essere attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della societa' ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater. P.Q.M. Accoglie il primo e, per quanto di ragione, il terzo motivo del ricorso per revocazione; rigetta il secondo; revoca la sentenza di cassazione impugnata in relazione ai motivi di revocazione accolti e, nuovamente pronunciando sul ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano resa in data 7/3/2016, rigetta il ricorso. Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione e delle due fasi del presente giudizio di revocazione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5184 del 2021, proposto da Ba. Vi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocato St. Zu. e dall'Avvocato Vi. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Vi. Ce. in Roma, piazza (...); contro Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocato Se. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); Agenzia del Demanio, non costituita nel presente giudizio; Regione Lazio, non costituita nel presente giudizio; Ministero dell'Economia e delle Finanze, non costituito nel presente giudizio; per la riforma della sentenza n. 11554 del 6 novembre 2020 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. II, resa tra le parti, che ha respinto il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti proposti contro gli ordini di introito per il pagamento degli oneri concessori visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2023 il Consigliere Massimiliano Noccelli e udito per l'odierna appellante, Ba. Vi. s.r.l., l'Avvocato Vi. Ce.; viste, altresì, le conclusioni della parte appellata, come da verbale; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'odierna appellane Ba. Vi. s.r.l., titolare di una concessione demaniale marittima nel Comune di Roma, località (omissis), ha impugnato avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale) l'ordine di introito del Comune di Roma prot. n. 120534 del 16.12.2011, con cui era stata invitata a corrispondere, per l'anno 2011, l'importo di Euro 25.820,997, e l'ordine di introito prot. n. 1748, con cui le era stato chiesto il pagamento della somma di Euro 22.410,01 per il 2009, nonché gli ordini di introito - non meglio specificati - per l'anno 2010 nella misura di Euro 21.845,246 e per l'anno 2008 nella misura di Euro 24.855,01 ed ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso. 1.1. A sostegno della sua domanda, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi: 1) la violazione di legge nonché la falsa ed erronea applicazione degli artt. 7 ed 8 della l. n. 241 del 1990, l'eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, oltre che per difetto di istruttoria e di motivazione; 2) la violazione di legge sub violazione dell'art. 21-bis della l. n. 241 del 1990, nonché in relazione agli artt. 7 ed 8 della medesima l. n. 241 del 1990, l'omessa e carente motivazione; 3) la violazione e la falsa applicazione dell'art 39 cod. nav. e degli artt. 19 e 24 del Regolamento della navigazione marittima, l'errata e falsa applicazione dell'art. 3, comma 3, del d. l. n. 400 del 1993, conv. in l. n. 494 del 1993, l'eccesso di potere per violazione del legittimo affidamento, per il travisamento dei presupposti e per errore di fatto e di diritto, oltre che per illogicità ed irragionevolezza, violazione della circolare n. 120 del 24 maggio 2001; 4) la violazione di legge sub violazione degli artt. 2 e 2-bis della l. n. 241 del 1990 in ordine al tempo dell'azione amministrativa, la violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, silenzio assenso sulle istanze di rideterminazione dei canoni per gli anni 2007-2011; 5) la violazione dell'art. 3 del d.l. n. 400 del 1993, conv. in l.,n. 494 del 1993, l'eccesso di potere per errore di fatto e di diritto, il difetto di istruttoria e di motivazione, violazione di legge in riferimento all'art. 53 Cost., lo sviamento di potere; 6) il difetto di motivazione; 7) la violazione dell'art. 3 del d. l. n. 400 del 1993, conv in l. n. 494 del 1993, come modificato dall'art. 1 commi 251-256 della l. finanziaria per il 2007, dell'art. 11 delle disposizioni preliminari sulla legge in generale, nonché dell'art. 39 cod. nav. e dell'art. 19 del Regolamento di esecuzione del codice della navigazione; 8) la violazione di legge per violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost. nonché la violazione del principio del legittimo affidamento di derivazione comunitaria ex art. 117, comma primo, della Costituzione, la violazione diretta dei principi comunitari e delle norme dei trattati a tutela dei principi di concorrenza e di proporzionalità ; 9) contrasto dell'art. 1, comma 252, della l. n. 296 del 2006 con gli artt. 3 e 41 della Costituzione nonché con gli artt. 3 e 24 Cost. e con il principio del legittimo affidamento, questione di legittimità costituzionale; 10) la violazione di legge in relazione agli artt. 29 e 49 cod. nav. e all'art. 1, comma 251, della l. n. 296 del 2006 e al d.P.R. n. 328 del 1952, l'errata applicazione dell'art. 3 del d.l. n- 400 del 1993, conv. in l. n. 494 del 1993, eccesso di potere per travisamento dei presupposti ed errore di fatto e di diritto, illogicità ed irragionevolezza; 11) in via subordinata, la violazione di legge ex art. 21-septies, comma 1, della l. n. 241 del 1990 e conseguente nullità dei provvedimenti di determinazione degli importi richiesti per i canoni demaniali 2007-2011 per difetto assoluto di attribuzione dell'Autorità Comunale. 1.2. Si sono costituiti nel primo grado del giudizio il Comune di Roma, l'Agenzia del Demanio, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze. 1.3. La ricorrente ha successivamente proposto in prime cure ben 10 atti di motivi aggiunti. 1.4. Sono stati proposti anzitutto i motivi aggiunti, depositati il 3 novembre 2012, avverso l'ordine di introito di Roma Capitale del 13 luglio 2012 prot. n. 61207 per l'anno 2012; a) i II motivi aggiunti, depositati 21 gennaio 2013 contro l'ordine di introito prot. n. 101951 del 16 ottobre 2012, sempre per l'anno 2012, di annullamento e sostituzione della precedente nota n. 61207; b) i III motivi aggiunti, depositati il 12 dicembre 2013, contro l'ordine di introito per l'anno 2013 prot. 82933 del 22 agosto 2012; c) i IV motivi aggiunti, depositati in data 1° aprile 2015, contro l'ordine di introito per l'anno 2014 prot. 155258 del 10 dicembre 2014; d) i V motivi aggiunti, depositati il 10 marzo 2016, contro l'ordine di introito per l'anno 2015 n. 144441 del 14 dicembre 2015; e) i VI motivi aggiunti, depositati il 29 luglio 2016 avverso il "Primo sollecito di pagamento del Canone Demaniale Marittimo" per l'anno 2007 del 27.06.2016 prot. 69777 e gli altri atti di "Primo Sollecito", sempre del 27 giugno 2016, prot. 69781, prot. 69782, prot. 69783, rispettivamente per gli anni 2011, 2012 e 2013 e del 5 maggio 2016 prot. 47672 per l'anno 2015; f) i VII motivi aggiunti, depositati il 30 novembre 2016, contro l'ordine di introito dell'8.08.2016 per l'anno 2016, la delibera n. 5 del 26 novembre 2015 con cui la Commissione straordinaria per la gestione provvisoria del Municipio Roma X ha approvato la nuova scheda di analisi del territorio del Municipio X di Roma Capitale, attribuendo alle aree del Demanio Marittimo di sua competenza il valore di "Alta Valenza Turistica", la nota n. 244171 del 5 maggio 2015 con cui la Regione Lazio ha invitato il Municipio X a procedere all'adozione di nuova scheda di analisi del territorio municipale, la determina della Regione Lazio n. A022994 del 9 aprile 2013 avente ad oggetto "Individuazione dei criteri generali per la classificazione di aree manufatti, pertinenze e specchi d'acqua concessi ad uso pubblico in categoria A - alta valenza turistica e B - normale valenza turistica. Presa d'atto delle risultanze del gruppo di lavoro interdirezionale e modifica dell'iter procedurale", la deliberazione della Giunta Municipale del Municipio Roma X n. 52 del 10 ottobre 2014, l'art. 1, comma 251, della legge finanziaria n. 296 del 2006, nella misura in cui riforma la valenza turistica delle aree demaniali marittime e l'art. 46-bis della l Reg. Lazio n. 13/2007, il d.P.R. 27 agosto 2015 recante la nomina della Commissione straordinaria per la provvisoria gestione del Municipio X di Roma Capitale; g) gli VIII motivi aggiunti, depositati il 30 dicembre 2016, contro il "Secondo sollecito di pagamento del canone demaniale marittimo per l'anno 2013" del 24.10.2016 prot. 121509, il riscontro prot. 141237 del 13.12.2016 all'istanza di avvio del procedimento volto alla definizione del contenzioso pendente ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 commi 732 e 733 della l. n. 147 del 2013; h) i IX motivi aggiunti, depositati il 14.10.2018, avverso il provvedimento avente ad oggetto "Canone Demaniale Marittimo per l'anno 2018", prot. 95643 del 26 giugno 2018; i) i X motivi aggiunti, depositati il 12 dicembre 2019, contro il provvedimento prot. 139245 del 12 settembre 2019 "Canone Demaniale Marittimo per l'anno 2019" e tutti gli atti connessi. 1.5. Nei primi sei atti di motivi aggiunti la ricorrente in prime cure ha riproposto, contro i provvedimenti via via adottati dell'amministrazione successivamente ai primi, le medesime censure già svolte nel ricorso introduttivo, formulando, poi, negli altri motivi aggiunti, anche ulteriori doglianze in relazione: a) all'illegittimità dell'art. 1, comma 251, della l. n. 296 del 2006 e dei provvedimenti impugnati per eccesso di potere nelle forme dello sviamento e la conseguente questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 41 Cost. e dei principi di rango costituzionale di cui sono espressione gli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale; b) alla violazione di legge, con riguardo all'art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed all'art. 46-bis comma 3 della L.R. n. 13 del 2007, violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, violazione dell'art. 97 Cost., eccesso di potere nelle forme della contraddittorietà e per errata acquisizione degli elementi di fatto; c) alla violazione di legge per difetto di motivazione ed eccesso di potere nella forma della contraddittorietà ; d) alla violazione e falsa applicazione della direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014 sui principi in materia di concessioni di beni pubblici e del principio comunitario del legittimo affidamento, eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e segnatamente illogicità manifesta, disparità di trattamento, ingiustizia, contraddittorietà intrinseca ed estrinseca, difetto di motivazione, alterazione causale del negozio concessorio; e) all'incompetenza dell'organo commissariale, eccesso di potere per contraddittorietà e perplessità dell'azione amministrativa (VII motivi aggiunti); f) alla violazione della l. n. 147 del 2013, eccesso di potere, carenza di istruttoria e di motivazione (VIII motivi aggiunti); g) alla violazione degli artt. 2, 3, 41, 97 Cost. dell'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, dell'art. 1, comma 251, della l. n. 296 del 2006, l'eccesso di potere per difetto di istruttoria, la carenza di motivazione, il travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, contraddittorietà ; h) alla violazione degli artt. 934 e 936 c.c. (IX e X motivi aggiunti). 1.6. Nelle more si è altresì costituita in giudizio la Regione Lazio. 1.7. Successivamente il Comune di Roma, ora Roma Capitale, ha depositato documentazione ed un'articolata memoria difensiva. 1.8. Anche la società ricorrente ha prodotto memorie, anche di replica, in vista dell'udienza pubblica del 25 settembre 2020, nella quale, all'esito della discussione la causa è stata trattenuta in decisione. 1.9. Infine, con la sentenza n. 11554 del 6 novembre 2020, il Tribunale, all'esito di un complesso e articolato iter motivazionale, ha respinto il ricorso introduttivo e tutti i motivi aggiunti, salvo il primo atto di motivi aggiunti, che ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. 2. Avverso tale sentenza ha proposto appello Ba. Vi. s.r.l., articolando ben dieci motivi di censura che verranno di seguito partitamente esaminati, e ne ha chiesto la riforma, con il conseguente annullamento degli atti in prime cure gravati. 2.1. Si è costituita Roma Capitale per chiedere la reiezione dell'appello. 2.2. Il 29 dicembre 2022 Roma Capitale ha depositato un'articolata memoria difensiva alla quale ha replicato, con la memoria depositata il 18 gennaio 2023, l'odierna appellante. Infine, nell'udienza pubblica del 7 febbraio 2023, il Collegio, sulle conclusioni rassegnate dalle parti come a verbale, ha trattenuto la causa in decisione. 3. L'appello è in parte fondato. 4. Ai sensi e per gli effetti dell'art. 88, comma 3, lett. d), c.p.a., il Collegio deve anzitutto richiamare, nell'esame delle questioni controverse, la recente pronuncia n. 129 del 4 gennaio 2023 di questa Sezione, che ha affrontato e risolto alcune delle censure in questo giudizio proposte, proprio con riferimento al lido di Ostia. 4.1. La società appellante, va qui ricordato di nuovo, è titolare di una concessione di beni del demanio marittimo stipulata in data 26 ottobre 2006, con atto formale n° 11/2006, per l'occupazione e l'uso di una zona demaniale marittima di mq. 8.803 e delle opere ivi da ristrutturare gestendo lo stabilimento balneare denominato Ba. Vi. che in virtù della legislazione sopravvenuta si è vista richiedere dall'amministrazione concedente, a partire dall'anno 2007, un canone superiore rispetto a quello indicato nell'atto di concessione. 4.2. Le richieste dei canoni venivano perciò impugnate avanti alla giustizia amministrativa ed in pendenza del ricorso al Tribunale la società concessionaria ha ricevuto il pagamento dei canoni per l'anno 2012 unitamente al sollecito delle annualità pregresse. 4.3. I canoni così aumentati erano contestati per ogni singola annualità e nelle more del giudizio venivano altresì proposte critiche in ordine all'inserimento dell'area oggetto di concessione tra le aree ad alta valenza turistica e con riferimento alla classificazione dell'attività esercitata (cfr., in particolare, i motivi aggiunti depositati il 30 novembre 2016). 4.4. Roma Capitale ha contestato puntualmente tutti i singoli motivi di censura. 4.5. Il Tribunale, come detto, con la pronuncia qui impugnata ha respinto tutte le censure proposte dall'appellante. 5. Con il primo motivo di appello (pp. 4-5 del ricorso), anzitutto, la società deduce di avere contestato il vizio del procedimento nella parte in cui era stato dato seguito all'aumento dei canoni senza alcuna preventiva comunicazione di avvio del procedimento. 5.1. Su questo punto il giudice di prime cure ha affermato che non sono condivisibili le doglianze svolte in relazione alla asserita illegittima pretermissione della comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della l. n. 241 del 1990 e delle garanzie procedimentali perché la determinazione del canone consegue all'applicazione, da parte della pubblica amministrazione, di precisi criteri normativi contenuti nella disciplina nazionale e regionale, senza alcun margine di discrezionalità amministrativa, sicché nell'ipotesi di specie l'eventuale contributo partecipativo della ricorrente non avrebbe potuto condurre all'adozione di provvedimenti diversi da quelli in concreto adottati, ai sensi dell'art. 21-octies della l. n. 241 del 1990. 5.2. L'assunto del primo giudice, tuttavia, non è condivisibile perché la partecipazione del privato sarebbe stata ed è quanto mai necessaria e imprescindibile al cospetto di determinazioni autoritative che presuppongono non già la mera applicazione matematica di parametri legislativi ad effetto vincolato quanto piuttosto in presenza di un procedimento, di carattere tecnico-discrezionale, che mette in discussione i presupposti della concessione e della sua natura. 5.3. La rideterminazione del canone demaniale in applicazione dei parametri stabiliti dalla l. n. 296 del 2006 implicava, infatti, una necessaria e scrupolosa attività procedimentale, consistente nella verifica dei presupposti applicativi e nella qualificazione delle opere insistenti sull'area in concessione, con particolare riguardo alle pertinenze demaniali. 5.4. E ciò dal momento che la l. n. 296 del 2006 non si è limitata a prevedere un semplice aggiornamento dei canoni demaniali sulla base dei preesistenti valori tabellari, ma ha profondamente rivisitato i criteri di determinazione dei canoni medesimi con riferimento, in particolare, alla categoria delle cd. "pertinenze", per le quali è stata introdotta una valorizzazione in base a criteri di mercato. 5.5. Non convince, d'altro canto, il richiamo del primo giudice al precedente di Cons. St., sez. VI, 26 gennaio 2018, n. 546, stante la irriducibile alterità della ratio decidendi ad esso sottesa, dato che in quel caso si controverteva effettivamente di un adempimento vincolato ex lege, nella quale non era ravvisabile alcun margine di apprezzamento discrezionale da parte dell'amministrazione, in quanto, come si legge in detta pronuncia, "la determinazione degli effetti fattuali necessari per la quantificazione del canone è stata rimessa al concessionario, soggetto precipuamente titolare dell'interesse sia alla esatta individuazione delle aree, delle relative caratteristiche e dello specchio d'acqua oggetto di concessione", mentre nel caso presente si è al cospetto di richieste di pagamento che involgono l'apprezzamento di profili tecnico-discrezionale tutt'altro che rigidamente predeterminati, ampiamente opinabili e, di fatto, ampiamente contestati dall'appellante sulla scorta di constatazioni fattuali e di considerazioni tecniche scevre da ogni precostituita certezza. 5.6. Da qui scaturisce la violazione delle fondamentali regole e garanzie che presiedono alla partecipazione procedimentale, di cui all'art. 7 della l. n. 241 del 1990, con il conseguente annullamento di tutti gli atti di introito, gravati in prime cure con il ricorso introduttivo e i successivi plurimi motivi aggiunti via via proposti, nella misura in cui non sono stati preceduti da nessun atto di interlocuzione procedimentale con la società, odierna appellante, che avrebbe potuto fornire, già in sede procedimentale, un ampio apporto conoscitivo, se non valutativo, delle circostanze utili alla determinazione dei canoni concessori qui contestati. 5.7. L'accoglimento del motivo in esame sarebbe già bastevole ad assorbire l'esame delle ulteriori censure, qui proposte in ordine al merito della vicenda, per il carattere radicalmente invalidante dell'omessa partecipazione procedimentale. 5.8. Il Collegio ritiene tuttavia di dover esaminare, seppur brevemente in ossequio al principio di sintesi prescritto dal codice di rito (art. 3, comma 2, c.p.a.) e con richiamo, comunque, ai principî di recente affermati da questa Sezione proprio in subiecta materia (art. 88, comma 2, c.p.a.), anche le ulteriori censure qui proposte dall'appellante per un più compiuto e consapevole riesame della vicenda sul piano conformativo, da parte dell'amministrazione, in seguito al disposto annullamento e previa, come detto, necessaria interlocuzione procedimentale con la società . 6. Con il secondo motivo di appello (pp. 5-7 del ricorso), ancora, l'appellante ha proposto rispetto ad un altro, ma connesso, profilo, anche la contestazione relativa alla carente motivazione degli atti e alla omessa comunicazione personale dell'atto pregiudizievole. 6.1. La sentenza appellata ha respinto la questione affermando che non vi sarebbe un vizio di motivazione cosicché gli atti sarebbero compiutamente motivati con richiami in fatto ed in diritto. 6.2. Si tratta di una conclusione, tuttavia, che questo Collegio non può condividere se si considera la complessità della vicenda e le numerose allegazioni e produzioni nel giudizio dall'appellante, a dimostrazione del fatto che in una vicenda in cui vengono ad essere, se non modificati, certo fortemente incisi i presupposti fattuali ed economici della concessione l'amministrazione non può limitarsi ad operare in assenza di qualsivoglia interlocuzione procedimentale e di un minimo supporto motivazionale un calcolo matematico peraltro basato su parametri opinabili e comunque puntualmente contestati. 6.3. Non basta insomma, per esprimersi in termini di teoria generale dell'atto amministrativo, una mera giustificazione dell'atto stesso, con il richiamo alle norme applicabili e ai semplici presupposti fattuali, ma occorre una specifica motivazione di questo, con l'esternazione, pure sintetica ma intellegibile, delle ragioni di fatto e di diritto - art. 3 della l. n. 241 del 1990 - e dell'iter logico-giuridico, indefettibile, che hanno condotto la pubblica amministrazione a rideterminare i canoni in aumento. 6.4. L'obbligo di motivazione, va qui ricordato, costituisce presidio insostituibile della legalità sostanziale nell'azione amministrativa - v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 23 agosto 2021, n. 6018 - e questo obbligo vale indubbiamente anche per quegli atti nei quali la determinazione del dare/avere tra il privato e la pubblica amministrazione non si fondi su un mero calcolo matematico, ma su un più complesso apprezzamento tecnico-discrezionale contraddistinto da margini di opinabilità . 6.5. La motivazione, secondo l'orientamento che la Sezione condivide, costituisce un requisito sostanziale, rappresentando "il presupposto, il fondamento, il baricentro e l'essenza stessa del legittimo potere amministrativo (...) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile" (Corte cost., n. 92 del 2015 e n. 58 del 2017; Cons. St., sez. V, 27 giugno 2017, n. 3136; Cons. St., sez. III, 30 aprile 2014, n. 2247). 6.6. Diversamente, diventa impossibile per il privato comprendere, prima ancora che contestare, l'azione amministrativa quando impatta fortemente sulla sua sfera individuale e, in particolare, sull'esercizio della propria attività imprenditoriale, salvo doverne poi contestare in giudizio, con un ricorso al buio, la legittimità . 6.7. Ne consegue che anche questo motivo deve essere accolto, con il conseguente obbligo, per l'amministrazione, di rideterminarsi motivatamente, nei sensi di cui si è detto, sulla debenza e sulla misura dei canoni concessori. 7. Con il terzo motivo di appello (pp. 6-8 del ricorso), ancora, la società lamenta l'error in iudicando della sentenza impugnata per avere respinto la censura inerente alla violazione del principio del legittimo affidamento nel momento in cui sarebbero state apportate ad un rapporto negoziale in corso modifiche unilaterali ed autoritative, richiamandosi alla pronuncia n. 302 del 22 ottobre 2010 della Corte costituzionale laddove ha respinto l'eccezione di incostituzionalità delle norme che prevedevano la modifica dei canoni per le concessioni in corso ritenendo che l'aumento dei canoni non fosse giunto inaspettato né potesse considerarsi frutto di irragionevole arbitrio. 7.1. L'affermazione di principio andrebbe, ad avviso dell'appellante, collocata nel caso concreto dovendo prendere in considerazione la specificità di un soggetto giuridico che non si trovava in una mera condizione di godimento di un bene immobile conferito in uso quanto, invece, nella situazione di un imprenditore che aveva investito più di un milione di euro per riqualificare un immobile di proprietà pubblica o comunque destinato a diventare di proprietà pubblica rispetto ad un piano economico finanziario aggiornato all'investimento iniziale e il suo ammortamento, completamente sovvertito in modo autoritario e ingiusto. 7.2. La censura deve però essere respinta in quanto risulta apodittica se è vero, come ha correttamente rilevato la sentenza qui impugnata, che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 302 del 22 ottobre 2010 (successivamente richiamata anche dalla sentenza n. 29 del 27 gennaio 2017), ha già chiarito che nel nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione). 7.3. Unica condizione essenziale è che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto. 7.4. Sotto altro profilo, la Corte costituzionale ha preso in considerazione anche i corrispondenti principi elaborati in ambito europeo, evidenziando che "la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (...) sottolinea che una mutazione dei rapporti di durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli stessi "in modo improvviso e imprevedibile", senza che lo scopo perseguito dal legislatore ne imponesse l'intervento (sentenza 29 aprile 2004, in cause C-487/01 e C-7/02). 7.5. Facendo applicazione dei predetti principi, la Corte costituzionale ha escluso che "l'aumento dei canoni, disposto dalla previsione legislativa censurata, sia giunto inaspettato, giacché esso si è sostituito ad un precedente aumento, di notevole entità, non applicato per effetto di successive proroghe, ma rimasto tuttavia in vigore sino ad essere rimosso, a favore di quello vigente, dalla norma oggetto di censura" e ha negato che l'aumento possa "essere considerato frutto di irragionevole arbitrio del legislatore, tale da indurre (...) questa Corte a sindacare una scelta di indirizzo politico economico, che sfugge, in via generale, ad una valutazione di legittimità costituzionale" in quanto "si tratta (...) di una linea di valorizzazione dei beni pubblici, che mira ad una loro maggiore redditività per lo Stato, vale a dire per la generalità dei cittadini, diminuendo proporzionalmente i vantaggi dei soggetti particolari che assumono la veste di concessionari". 7.6. Il motivo, dunque, deve essere respinto. 8. Con il quarto motivo di appello (pp. 8-9 del ricorso), ancora, l'appellante lamenta che uno dei motivi di impugnazione degli atti contestati afferiva all'erronea applicazione dei valori stabiliti dall'Osservatorio del Mercato Immobiliare previsi per gli immobili con destinazione commerciale laddove l'attività di stabilimento balneare esercitata dal concessionario avrebbe dovuto condurre all'applicazione dei valori previsti per il terziario. 8.1. Su questo punto la sentenza impugnata concluderebbe superficialmente, ad avviso dell'appellante, asserendo come "risulta corretta l'applicazione dei valori OMI relativi alle attività commerciali" e incorrendo anche in questo caso nel vizio di falsa ed errata applicazione della legge, nel vizio e carenza di motivazione e nell'errore sui presupposti. 8.2. Il compendio immobiliare di cui si tratta annovera infatti nel suo complesso attività eterogenee comunque riconducibili all'attività di stabilimento balneare. 8.3. Il giudice di prime cure avrebbe così completamente ignorato l'orientamento giurisprudenziale in virtù del quale il gestore di uno stabilimento balneare va inquadrato nel settore dell'artigianato qualora l'attività risulti consistere prevalentemente nella prestazione di servizi di assistenza, di sorveglianza, di salvataggio, di sistemazione, pulizia e riassetto della spiaggia e delle attrezzature, mentre lo stesso deve essere inquadrato nel settore terziario se lo stabilimento è dotato di strutture idonee ad accogliere e intrattenere la clientela, nei quali vengono svolte, con carattere di prevalenza, attività commerciali quali servizi di ristoro e somministrazione di alimenti e bevande, gestione e cessione in godimento temporaneo di cabine ed attrezzature varie, animazione, intrattenimento, custodia valori, sorveglianza bambini ed offerta di ulteriori servizi commerciali (edicole, tabaccheria, ecc.). (Circolare INPS n. 187 del 10 dicembre 2003). 8.4. Ne deriverebbe perciò anche in questo caso un vizio della sentenza appellata nella parte in cui non ha considerato che i giudici di legittimità e gli enti pubblici previdenziali - v., in particolare, la Circolare INPS n. 187 del 10 dicembre 2003 - inquadrano l'attività svolta dal concessionario in una categoria diversa da quella commerciale che comporta valori ben diversi da quelli previsti per le categorie del terziario e della produzione di beni e servizi. 8.5. Il motivo deve essere respinto perché, come ha correttamente rilevato il primo giudice, per pertinenze demaniali marittime non destinate ad attività commerciali devono intendersi solo quelle che possono configurarsi come beni strumentali all'attività concessoria, mentre non lo sono le attività connesse, le quali sono attività secondarie, con una propria individualità fisica e una propria conformazione strutturale. 8.6. In questo caso, oltre alla gestione dello stabilimento balneare, nell'area de qua sono altresì esercitate ulteriori attività, proprio impiegando i manufatti integranti le pertinenze, con la conseguenza che risulta corretta l'applicazione dei valori OMI relativi alle attività commerciali. 8.7. Si tratta di valutazione che, invero, va immune da censura, anche tenendo presente quanto la Corte costituzionale ha osservato nella sentenza n. 302 del 2010, più volte citata, e cioè che "la differenza di trattamento trova giustificazione nella diversa attitudine dei beni pubblici a produrre reddito per i concessionari, che certamente è maggiore se gli stessi vengono destinati alle attività considerate dalla norma censurata, piuttosto che a destinazioni diverse, che ne implicano il mero godimento, senza un attivo sfruttamento economico". 9. Con il quinto motivo di appello (pp. 9-10 del ricorso), ancora, la società interessata torna ad eccepire l'invalidità degli atti impugnati per la violazione dell'art. 39 cod. nav. ove si precisa che la misura del canone è determinata dall'atto di concessione, e dall'art. 19 Reg. esec. cod. nav., dove si prescrive il contenuto dell'atto di concessione che deve indicare, tra l'altro, il canone, la decorrenza e la scadenza dei pagamenti, nonché il numero di rate del canone il cui omesso pagamento può comportare la decadenza della concessione ai sensi dell'art. 47 cod. nav. 9.1. Ne conseguirebbe in sostanza che, una volta determinato il canone all'atto del rilascio della concessione, non sembra possibile procedere alla modifica delle condizioni economiche della concessione in costanza di quel rapporto. 9.2. La censura è destituita di fondamento. 9.3. È evidente, infatti, che l'assunto secondo cui il canone non sarebbe in nessun caso o modo modificabile, in corso di rapporto, non trovi alcun fondamento positivo, nemmeno nell'art. 39 cod. nav., e provi troppo perché, come ha chiarito la stessa Corte costituzionale nelle più volte citate pronunce n- 302 del 2010 e n. 29 del 2017, nel nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall'art. 25, secondo comma, Cost.), essendo unica condizione essenziale, come si è già veduto, che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto. 9.4. Ne segue il rigetto del motivo. 10. Con il sesto motivo di appello (pp. 10-11 del ricorso), ancora, la società interessata lamenta che la sentenza appellata abbia solo incidentalmente affrontato un tema che merita quindi di essere integralmente riproposto in questa sede con riferimento al fatto che la qualificazione delle opere realizzata dall'amministrazione concedente si fonda su di un travisamento dei presupposti ed una carenza istruttoria oltre che su un vizio della motivazione. 10.1. L'amministrazione avrebbe infatti classificato alcuni immobili come pertinenze con destinazione commerciale senza alcun accertamento istruttorio e senza svolgere alcuna interlocuzione con il concessionario, né tantomeno tenendo conto della perizia (doc. 2) che è stata fornita in giudizio e che è stata messa a disposizione dell'amministrazione. 10.2. Il giudice di prime cure avrebbe ritenuto di non doversi pronunciare su questo punto se non affermando laconicamente che per le pertinenze demaniali non destinate ad attività commerciali devono intendersi solo quelle che possono configurarsi come beni strumentali all'attività in concessione mentre non lo sono le attività connesse le quali sono attività secondarie con una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale. 10.3. Invero una simile motivazione risulterebbe, ad avviso dell'appellante, fallace nella misura in cui non tiene in considerazione le osservazioni di carattere tecniche versate in giudizio ad opera dei professionisti da cui risulta che le destinazioni d'uso e le caratteristiche intrinseche delle opere presenti sull'area in concessione consentono di ricostruire una diversa e più corretta classificazione dei beni tale per cui le strutture corrispondono a quanto indicato nella perizia (doc. 2) asseverata secondo una consistenza diversa da quella ritenuta dall'amministrazione concedente. 10.4. All'interno delle pertinenze devono sempre escludersi le aree non a servizio commerciale quali scale e magazzini. 10.5. La determinazione del canone sarebbe pertanto inesatta anche sotto questo profilo e le motivazioni addotte dal giudicante risulterebbero fallaci perché ripetono lo stesso vizio di motivazione, errore di fatto e di diritto ed il travisamento dei presupposti. 10.6. Anche questo motivo non può trovare accoglimento. 10.7. Come ben ricorda l'appellante, infatti, costituisce indirizzo consolidato in giurisprudenza, recepito e confermato dalla stessa Agenzia del Demanio mediante l'emanazione della circolare n. prot. 2007/9801 del 9 marzo 2007, che gli spazi non direttamente finalizzati ad uso commerciale non debbono essere ricompresi nel conteggio dei nuovi canoni relativi alle pertinenze demaniali marittime. 10.8. Al riguardo la suindicata circolare ha previsto testualmente che le pertinenze demaniali marittime non destinate ad attività commerciali, terziario-direzionale e di produzione di beni e di servizi (deposito di attrezzi, scale camminamenti pedonali, accessi) si inquadrano, ai fini della qualificazione dei canoni, nelle tipologie di cui all'art. 1, comma 251, della l. n. 296 del 2006 (art. 3, comma 1, lettera b) punto 1.3. legge 494/1993) e, cioè, nelle "aree occupate con impianti di difficile rimozione". 10.9. E tuttavia la sentenza impugnata ha osservato, in base ad un costrutto motivazionale che non è stato oggetto di specifica contestazione da parte dell'odierna appellante, che oltre alla gestione dello stabilimento balneare nell'area de qua sono altresì esercitate ulteriori attività, proprio impiegando i manufatti integranti le pertinenze, con la conseguenza che risulta corretta l'applicazione dei valori OMI relativi alle attività commerciali e il motivo, complessivamente, va respinto. 11. Con il settimo motivo di appello (pp. 11-17 del ricorso), ancora, la società deduce che uno altro dei motivi formulati avverso la determinazione dei nuovi canoni trovava ragione nel fatto che l'amministrazione avesse proceduto alla qualificazione come pertinenze del demanio marittimo, con riferimento alle opere che rientrano nella concessione assentita in favore del concessionario, senza che vi fosse mai stato un formale incameramento delle stesse e nonostante si fosse in presenza di una serie ripetuta di rinnovi della concessione senza soluzione di continuità . 11.1. La sentenza appellata afferma che l'amministrazione comunale avrebbe chiarito che prima della concessione 11/2006 (doc. 1) si erano susseguiti in favore della ricorrente numerosi titoli demaniali dai quali risultava che sull'area demaniale concessa vi erano 977 mq occupati da pertinenze demaniali e che dovevano pertanto ritenersi già acquisiti perché si trattava di manufatti realizzati in precedenza ed essendo stata la concessione rilasciata per mantenere lo stabilimento balneare. 11.2. La lettura fornita dalla Corte costituzionale della nuova disciplina implicherebbe, secondo l'appellante, che la pubblica amministrazione competente a determinare gli oneri concessori deve compiere in concreto una valutazione che muova dalla consistenza specifica dei beni oggetto della concessione, dai quali vanno quindi esclusi quelli che non sono di proprietà della stessa pubblica amministrazione o che non lo sono ancora. 11.3. Ne conseguirebbe che tale specifica valutazione, involgendo gli stessi presupposti della concessione e l'individuazione dei beni che ne formano oggetto non può che essere realizzata nel contraddittorio (e partecipazione) delle parti e sulla base di una motivazione che individui le voci che determinano la fissazione del canone ad un determinato livello, evidenziando la consistenza dei luoghi al momento della consegna al concessionario, individuando le superfici il cui utilizzo è stato effettivamente consentito, senza tenere conto delle opere realizzate successivamente dal concessionario, in quanto non ancora di proprietà della pubblica amministrazione. 11.4. Il motivo è infondato. 11.5. Invero, alla stregua delle coordinate ermeneutiche da ultimo riaffermate anche dalla sentenza n. 129 del 4 gennaio 2023 di questa Sezione, nel caso di specie non si è avuta proroga o rinnovo automatico, ma rinnovo della concessione. 11.6. Bene ha osservato la sentenza impugnata che nel solo caso del rinnovo, decorso il termine di durata iniziale, scaduta l'originaria concessione demaniale marittima, si verifica ipso iure, ai sensi dell'art. 49 del cod. nav., la devoluzione a favore dello Stato delle opere non agevolmente rimuovibili realizzate dal concessionario nel periodo d'efficacia della concessione scaduta, fatta poi oggetto di rinnovo; il tutto con effetto legale automatico al demanio statale, sicché "il rinnovo della concessione non posticipa affatto l'effetto traslativo della proprietà già prodottosi alla scadenza del termine di durata della concessione" (Cons. St., sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6852). 11.7. Dai suddetti principi, che sono stati confermati dalla Corte costituzionale anche nelle motivazioni della sentenza n. 29 del 27 gennaio 2017 (v., in particolare, § 5.7.), deriva che i manufatti che compongono lo stabilimento balneare Ba. Vi., sui quali la pubblica amministrazione risulta aver calcolato i canoni demaniali dovuti, essendo stati realizzati in costanza di precedenti rapporti concessori, erano già stati acquisiti al demanio prima dell'atto di concessione e sono stati, dunque, legittimamente computati ai fini della determinazione del canone nei provvedimenti impugnati. 11.8. Al riguardo si deve rilevare che nella sua dettagliata relazione prot. CO 68080 del 10.07.2020 l'amministrazione comunale ha chiarito che prima della concessione n. 11/2006 si erano susseguiti in favore della ricorrente numerosi titoli demaniali, dai quali già risultava un'area demaniale di mq 5.700 di cui mq 3.899 di area scoperta, mq 977 occupati da pertinenze demaniali e mq 824 occupati da impianti di facile rimozione, il tutto concesso allo scopo di mantenervi uno stabilimento balneare denominato Ba. Vi. (cfr. licenza di concessione demaniale n. 40/1998, rilasciata per mesi 12 dal 1.01.1998 al 31.12.1998; licenza di rinnovo concessione n. 36/2003 e licenza di rinnovo n. 8/2004). 11.9. Sia in tali atti, dove vengono espressamente indicate le "pertinenze esistenti", sia nella stessa concessione del 2006, dove si concedono "una zona di demanio marittimo e le opere ivi insistenti", sono, quindi, considerati oggetto di concessione anche i manufatti già in precedenza realizzati e, perciò, già acquisiti anche essi al demanio, essendo la concessione stata rilasciata per "mantenere" lo stabilimento balneare, come ha correttamente rilevato la sentenza qui impugnata. 11.10. In ogni caso, in sede di riesame conseguente al qui disposto annullamento, l'amministrazione procederà, nel necessario contraddittorio con l'appellante, a verificare con esattezza le pertinenze che siano state acquisite all'atto della scadenza della precedente concessione, secondo i principî già affermati dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (v., supra, § 11.6.). 11.11. Il motivo, dunque, va respinto. 12. Con l'ottavo motivo di appello (pp. 17-18 del ricorso), ancora, l'interessata deduce che uno degli atti impugnati in primo grado con motivi aggiunti aveva ad oggetto il diniego opposto dall'amministrazione con riferimento alla domanda di definizione agevolata del contenzioso prevista dall'art. 1, commi 732 e 733, della l. n. 147 del 2013 se si considera che il legislatore ha ritenuto di adottare misure deflattive del diffuso contenzioso, generato dall'applicazione delle misure di riforma contenute nella legge finanziaria 2007, consentendo una cospicua riduzione del canone dovuto. 12.1. La società concessionaria ha ritenuto di avvalersi di tale facoltà e, pertanto, il 28 febbraio 2014 (motivi aggiunti depositati il 1° aprile 2015) ha presentato una domanda di condono specificando che la stessa domanda veniva presentata con riferimento al canone di concessione del quale si chiedeva di sapere l'esatto ammontare dovuto ai sensi della norma. 12.2. L'amministrazione non avrebbe mai risposto salvo poi dichiarare inammissibile la domanda perché assolutamente priva degli elementi indispensabili previsti dalla legge e non accompagnata da alcun versamento neppure in astratto ascrivibile al 30% di quanto dovuto. 12.3. Il primo giudice ha respinto la censura perché ha ritenuto che dinanzi all'istanza dell'appellante che, non tenendo conto della modifica del sistema di determinazione dei canoni demaniali di cui alla l. n. 296 del 2006 e degli importi richiesti, ha conteggiato solo le somme dovute in base all'atto formale di concessione del 2006 e alla precedente disciplina, arrivando addirittura a vantare una "differenza a credito di Euro 74.421,13", correttamente la pubblica amministrazione avrebbe ritenuto inammissibile la domanda di definizione agevolata del contenzioso, assolutamente priva degli elementi indispensabili previsti dai commi 732 e 733 dell'art. 1 della l. n. 147 del 2013 e non accompagnata da alcun versamento neppure in astratto ascrivibile al 30% di quanto effettivamente dovuto. 12.4. L'assunto del primo giudice non può essere condiviso perché, come ha dedotto l'appellante, il diniego, sopraggiunto dopo oltre due anni dall'istanza, non è stato preceduto da alcun preavviso di diniego ai sensi dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 che, anche in questo caso, assicurasse comunque il contraddittorio procedimentale con la società in modo da poter addivenire ad una definizione agevolata del contenzioso. 12.5. Questa possibilità deve essere assicurata da una pur minima interlocuzione procedimentale che consenta alla società di comprendere le ragioni dell'amministrazione, rappresentare le proprie e giungere, ove possibile, ad un punto di convergenza nell'applicazione delle norme al caso concreto. 12.6. Solo per tali ragioni, attinenti alla violazione del contraddittorio procedimentale, il motivo deve essere quindi accolto, con il conseguente obbligo di riesaminare la domanda, proposta ai sensi dell'art. 1, commi 732 e 733, della l. n. 147 del 2013, in funzione deflattiva del contenzioso. 13. Con il nono motivo di appello (pp. 18-27 del ricorso), ancora, Ba. Vi. s.r.l. deduce che, con ricorso per motivi aggiunti, aveva impugnato la delibera della Commissione Straordinaria che, riclassificando la valenza turistica dell'area costiera in cui è ricompresa l'area in concessione all'odierno appellante, ha classificato l'area nella categoria dell'alta valenza turistica così aggravando ulteriormente l'aumento dei canoni. 13.1. In primo luogo l'appellante ha ribadito l'eccezione di incompetenza formulata con riferimento al fatto che la classificazione è stata adottata dalla Commissione Straordinaria del X municipio, ma il giudice di prime cure ha respinto la censura sul rilievo che la competenza della Commissione straordinaria del X Municipio si giustificherebbe per il fatto che si tratta di un attività rientrante tra le funzioni amministrative delegate e quindi in ragione del principio di prossimità la competenza spettava al X Municipio trattandosi del territorio interessato. 13.2. L'appellante contesta tuttavia che le motivazioni del giudicante non consentono di superare l'incompetenza del Municipio X e dell'allora Commissario Straordinario dal momento che sia la l. n. 296 del 2006 che la circolare del 21 febbraio 2007, prot. 2007/7162/DAO, dell'Agenzia del Demanio attribuiscono alla Regione, posto che essa avrebbe dovuto imporre criteri generali e non settoriali sul territorio, soprattutto laddove realtà prossime tra loro, ma appartenenti a comuni diversi, avrebbero potuto generare situazioni di concorrenza sleale. 13.3. Sarebbe dunque arbitrario utilizzare criteri che attengono all'intero versante di Roma Capitale rispetto alla valutazione della incidenza turistica della costa per assegnare una valenza superiore rispetto a parametri normativi che fanno riferimento al litorale. 13.4. Per quanto attiene al merito della deliberazione, argomenta ancora l'appellante, il primo giudice afferma che la collocazione tra i territori ad alta valenza turistica risulta essere il frutto di un attento esercizio di discrezionalità tecnica peraltro attentamente e dettagliatamente motivato e comunque scevro da profili di manifesta erroneità o palese irragionevolezza e pertanto, in assenza di macroscopiche incongruenze o gravi irrazionalità, non sarebbe consentito al giudice amministrativo sostituire il proprio giudizio a quello dell'amministrazione. 13.5. In senso contrario, tuttavia, l'appellante deduce i puntuali motivi di contestazione in ordine agli errori commessi nella classificazione della valenza turistica sulla base della relazione fornita dall'Università La Sapienza con il Prof. Mo. (doc. 3) a cui fa rinvio. 13.6. La relazione del Prof. Mo. esamina punto per punto i punteggi attribuiti al litorale sotto il profilo della valenza turistica e, tralasciando qui il valore assegnato alle acque rispetto alla attribuzione di bandiera blu (cfr. 3 relazione), sviluppa numerose e argomentate conclusioni critiche che sono da valutare in una adesione alla realtà territoriale diversa da quella prospettata dall'amministrazione capitolina. 13.7. Il motivo può trovare solo parziale accoglimento. 13.8. Quanto alla questione di competenza, anzitutto, il primo giudice ha osservato in modo del tutto condivisibile che, una volta delegate ai Comuni le funzioni amministrative in materia di demanio marittimo, l'attribuzione del compito di provvedere anche alla nuova qualificazione della valenza turistica del territorio deve seguire anch'essa le regole dell'organizzazione dell'ente e dunque il decentramento amministrativo, formula adottata da Roma Capitale fin dal Regolamento del decentramento di cui alla deliberazione C.C. n. 10/1999, che implica la valorizzazione del principio di prossimità tra amministrazione decidente e cittadinanza radicata in un determinato territorio. 13.9. Poiché il mare di Roma è "prossimo" al territorio del Municipio X, questo era l'Autorità competente ad esprimere, in base ai criteri tracciati dalla Regione, la valutazione in questione, come, del resto, accaduto anche in precedenza con i giudizi di minore valenza turistica espressi nel 2014 dalla Giunta del Municipio X. 13.10. Quanto al merito delle valutazioni, in questa sede largamente contestato, si devono richiamare qui, ai sensi dell'art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a., le argomentazioni sviluppate dalla più volte citata sentenza n. 129 del 4 gennaio 2023, la quale ha censurato il difetto di istruttoria di alcuni punti della delibera, annullandone l'esito valutativo di alta valenza turistica. 13.11. Il Collegio, richiamandosi alle valutazioni già svolte da detta sentenza, ritiene che, nell'attività di riesame conseguente all'annullamento della delibera già statuito da detta pronuncia, l'autorità amministrativa debba farsi carico di esaminare anche i puntuali rilievi svolti dal Prof. Mo. nella propria relazione al fine di confermare o meno, motivatamente, le ragioni che l'hanno condotta a tale giudizio. 13.12. Il motivo, nei suesposti sensi e limiti, deve quindi essere accolto, non essendo possibile arrestarsi ad una mera constatazione della sua natura tecnico-discrezionale, come ha fatto il primo giudice, senza indagare puntualmente le ragioni che fanno ritenere tale scelta non manifestamente erronea, illogica o irragionevole, come invece assume l'appellante anche sulla scorta della perizia prodotta in atti. 14. Infine, con il decimo motivo di appello (pp. 27-29 del ricorso), la società interessata ha dedotto che con riferimento al nono ed al decimo ricorso per motivi aggiunti veniva anche contestato il fatto che l'amministrazione resistente avesse affermato e conteggiato asserite occupazioni abusive ovvero opere eseguite in assenza di autorizzazione. 14.1. Su questo punto l'appellante aveva contestato la fondatezza dei rilievi svolti dall'amministrazione quanto anche la violazione delle regole procedimentali e partecipative che regolano tali procedimenti, dal momento che la società concessionaria si è vista chiedere, unitamente ai canoni di concessione, importi indebiti asseritamente dovuti in ragione di occupazioni abusive, importi caratterizzati dalla natura indennitaria e risarcitoria e che proprio in ragione della natura che li caratterizza avrebbero dovuto seguire un procedimento autonomo e specifico. 14.2. A fronte di tali contestazioni il primo giudice ha ritenuto che risulterebbero non condivisibili le censure di illegittimità della richiesta di importi anche per l'uso e l'occupazione dell'area demaniale in difformità dal titolo concessorio verificati nel corso dell'attività ispettiva svolta con il sopralluogo del 10 dicembre 2015 effettuato presso lo stabilimento della ricorrente in presenza di personale appartenente alla Capitaneria di Porto, all'Agenzia del Demanio Direzione Regionale Lazio ed all'Ufficio Demanio Marittimo Municipale e del legale rappresentante di Ba. Vi. s.r.l. e quantificati in applicazione delle disposizioni normative vigente del d.l. n. 400 del 1993 aggiornato alla l. n. 296 del 2006 e delle indicazioni impartite dall'Agenzia del Demanio e dalla Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 22 del 25 maggio 2009. 14.3. In realtà, deduce ancora l'appellante, su tale punto sarebbe stata fornita una puntuale ricostruzione tanto delle carenze procedimentali, essendo mancata l'interlocuzione che pure dovrebbe caratterizzare tali accertamenti, ma sarebbe stata altresì fornita una documentata relazione da cui risultavano privi di fondamento gli addebiti relativi alle occupazioni asseritamente abusive. 14.4. Il Comune di Roma a partire dall'anno 2017 ha proceduto a sanzionare, con un coefficiente maggiorato del doppio, gli importi relativi agli ordini di introito contestando un utilizzo difforme della concessione evincibile a suo avviso dalla discrasia dei dati ricavati dalla planimetria asseverata dal tecnico della società - che peraltro riprendeva i dati contenuti nel titolo pluriennale - rispetto ai dati ottenuti dalla verifica eseguita in assenza di contraddittorio tecnico, dalle amministrazioni procedenti. (cfr ordini di introito 2017, 2018, 2019 fascicolo di primo grado). 14.5. Anche questa ultima censura, però, deve essere respinta. 14.6. Essa non spiega, con sufficiente grado di determinazione, in quali punti sarebbe erronea la valutazione di difformità del titolo concessorio, contestata nel corso dell'attività ispettiva, e non può trovare accoglimento, fermo rimanendo, comunque, il rilievo che, in sede di rivalutazione conseguente all'omesso contraddittorio procedimentale, l'amministrazione considererà attentamente anche l'esistenza di eventuali opere che non risultino essere invece conformi, e non difformi, rispetto al titolo concessorio. 15. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l'appello deve essere accolto, nei limiti sopra precisati, e - in riforma della sentenza impugnata - vanno annullati tutti gli atti impugnati con il ricorso e i motivi aggiunti, con l'obbligo, per l'amministrazione, di rideterminarsi tenendo conto, sul piano conformativo, delle ragioni sin qui esposte. 16. Le spese del doppio grado del giudizio, per la complessità tecnica del contenzioso e la solo parziale fondatezza delle censure proposte, possono essere interamente compensate tra le parti. 16.1. A carico di Roma Capitale, comunque, devono essere posti il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti, in primo grado, nonché dell'appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, proposto da Ba. Vi. s.r.l., lo accoglie in parte, ai sensi di cui in motivazione, e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti in prime cure gravati. Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio. Condanna Roma Capitale a rimborsare in favore di Ba. Vi. s.r.l. il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti in primo grado nonché per l'appello. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2023, con l'intervento dei magistrati: Roberto Giovagnoli - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Maurizio Antonio Pasquale Francola - Consigliere Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6134 del 2021, proposto da Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Ca. It. S.p.A. e Gs S.p.A., rappresentate e difese dagli avvocati Lu. Di Vi. e Ar. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Di Vi. in Roma, via (...); Di. S.r.l. ed altri, non costituite in giudizio; nei confronti Associazione It. Pa. AS. - Co. - Im. pe. L'I., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione I, n. 4010 del 2021. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ca. It. S.p.A. e di Gs S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2023 il Cons. Giovanni Gallone e uditi per le parti gli avvocati Nessuno è comparso per le parti costituite. Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in seguito anche "A.G.C.M.") ha avviato diversi procedimenti nei confronti di soggetti della grande distribuzione organizzata (in seguito anche "G.D.O."), diretti a verificare l'esistenza di violazioni all'art. 62, comma 1 e comma 2, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 recante "Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività ", nonché dell'art. 4, comma 1 e 2, del decreto n. 199/2012 del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ("Regolamento di attuazione dell'articolo 62 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1"). 1.1 Nello specifico, il procedimento oggetto di causa aveva ad oggetto le condotte consistenti nell'imporre, in particolare dal 2014, ai propri fornitori di pane fresco: i) il ritiro e lo smaltimento a proprie spese dell'intero quantitativo di prodotto invenduto a fine giornata, in percentuale rilevante rispetto al prodotto ordinato; ii) il ri-accredito alla catena distributiva del prezzo corrisposto per l'acquisto della merce restituita (c.d. obbligo di reso). In tal modo, la catena distributiva avrebbe sfruttato la propria posizione di forza commerciale a danno dei fornitori di pane fresco, soggetti deboli del rapporto negoziale, imponendo loro condizioni ingiustificatamente gravose. 1.2 Al termine dell'istruttoria, veniva adottato il provvedimento n. 27826 del 27 giugno 2019, con il quale l'A.G.C.M. ha ritenuto che le condotte commerciali poste in essere da Ca. It. S.p.A ed altri violavano l'art. 62, comma 2, lettere a) ed e) del d.l. n. 1/2012, così come interpretato anche ai sensi dell'art. 4, comma 1, del decreto di attuazione, conseguentemente irrogando una sanzione di euro 50.000 e formulando a porre immediatamente termine a tale violazione. In particolare, le condotte sanzionate consistevano "nell'aver imposto ai propri fornitori di pane fresco: i) il ritiro e lo smaltimento a proprie spese dell'intero quantitativo di prodotto invenduto a fine giornata; ii) il ri-accredito a Ca. del prezzo (intero o in una percentuale del 70%) corrisposto per l'acquisto della merce ordinata dalla catena distributiva e consegnata dai fornitori alla catena stessa, ma rimasta invenduta (cd. obbligo di reso)" e determinavano l'applicazione nei confronti delle ricorrenti in solido di una sanzione nella misura di 50.000 euro, pari al massimo edittale di legge. 2. Le predette società hanno impugnato avanti il T.A.R. per il Lazio, Roma, tale provvedimento, chiedendone l'annullamento e, in subordine, la riduzione della sanzione irrogata. 2.1 A sostegno del ricorso introduttivo di primo grado hanno lamentato che: - al presupposto della debolezza del fornitore sarebbe stato attribuito il ruolo di piena prova della condotta asseritamente sleale operando una presunzione iuris et de iure non prevista dalla norma (primo motivo); - l'inidoneità degli esiti del questionario, che avrebbero dovuto offrire un riscontro fattuale all'ipotesi accusatoria formulata dall'Autorità, a dimostrare la condotta, essendo gli stessi il frutto di mere presunzioni (terzo motivo); - la violazione del principio di efficienza dell'azione amministrativa, in ragione della circostanza che la condotta illecita, asseritamente in essere fin dal 2012, è stata accertata solo dopo quattro anni (quarto motivo); l'errata quantificazione della sanzione, per la mancata valutazione del beneficio che le ricorrenti avrebbero tratto dalla pratica e dell'opera svolta per eliminare o attenuare le conseguenze della violazione (quinto e ultimo motivo). 3. Con la sentenza indicata in epigrafe, il T.A.R. per il Lazio, Roma, adito ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento in ragione dell'inidoneità dei dati raccolti a dimostrare l'imposizione generalizzata ai fornitori dei ricorrenti dell'obbligo di reso del pane invenduto e disponendo l'assorbimento degli altri motivi di gravame. 4. Con ricorso notificato il 25 giugno 2021 e depositato il 2 luglio 2021 l'Autorità ha proposto appello avverso la suddetta sentenza. 4.1 A sostegno dell'impugnazione ha dedotto i motivi così rubricati: 1) violazione dell'art. 62 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. con mod. in L. 24 marzo 2012, n. 27, sotto il profilo della vessatorietà della prassi commerciale, con contestuale violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. nonché falsa applicazione dell'art. 34, comma 5, del Codice del consumo; 2) difetto di motivazione per travisamento dei fatti in merito all'istruttoria amministrativa in merito alla imposizione di una condizione ingiustificatamente gravosa e al trasferimento di un rischio sproporzionato in capo ai fornitori di pane fresco, con contestuale violazione dell'art. 62 d.l. n. 1 del 2012 e del d.m. del 19 ottobre 2012, n. 199, sotto diverso e ulteriore profilo. 5. In data 7 luglio 2021 si sono costituite in giudizio le appellate Ca. It. S.p.A. e Gs S.p.A. chiedendo la reiezione dell'appello. 6. All'udienza pubblica del 2 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. L'appello è infondato e deve essere respinto. 2. Con il primo motivo di appello si censura l'impugnata sentenza nella parte in cui, in violazione dell'art. 62 del d.l. n. 1 del 2012 ha sancito che la prova dell'illecito in contestazione non può essere fornita per presunzione da parte dell'Autorità e che l'istruttoria procedimentale sarebbe insufficiente, perché basata essenzialmente su questionari, il cui esito non è univoco. Osserva parte appellante che, nel caso di specie, sarebbe pacifico e incontestato che un numero significativo di fornitori di pane fosse obbligato al reso dell'invenduto e che, in una situazione di acclarato squilibrio negoziale, una siffatta condizione, vantaggiosa per il contraente più forte e dannosa per il contraente con minore potere negoziale, sarebbe un indizio del fatto che la stessa sia stata "subita" dalla parte debole e che sia stata apposta senza nessuna trattativa commerciale. In proposito, si evidenzia che il panificatore gravato dall'obbligo del reso sarebbe tenuto a sopportare interamente i costi vivi della produzione e del trasporto di consistenti quantità di prodotto, che gli vengono ordinate ma non pagate. Inoltre, una volta ritirato il pane invenduto, il panificatore sarebbe tenuto anche a farsi carico degli oneri del suo smaltimento, risultando assenti, o presenti in misura trascurabile, le possibilità di riutilizzo profittevole del prodotto. In ultimo, a questi non verrebbe fornita alcuna certezza in merito alla percentuale del prodotto consegnato che genererà un effettivo ricavo. Ad avviso della appellante erra, dunque, il giudice di prime cure a porre a carico dell'Autorità un onere della prova eccessivamente gravoso e contrario ai principi generali in tema di utilizzabilità della prova presuntiva. Sostiene, sul punto, l'appellante che, nella fattispecie in esame, a fronte di una pratica (quale l'obbligo di reso dell'invenduto) pacificamente attuata dal grande distributore, fosse onere di quest'ultimo dimostrare che essa era stata il frutto di una specifica negoziazione con il fornitore e che, trattandosi di fatto negativo, sarebbe, in ogni caso, ammessa la sua prova per presunzioni a mezzo degli indizi, plurimi, univoci e concordanti emersi nel corso dell'istruttoria procedimentale (tra cui l'insieme dei questionari somministrati ai panificatori). Si denuncia, in ultimo, l'erronea applicazione da parte del giudice di primo grado dell'art. 34, comma 5, del Codice del consumo atteso che l'inversione dell'onere della prova ivi prevista sarebbe applicabile anche ai rapporti "business to business" e non solo a quelli "business to consumer". Ciò in quanto la disciplina dell'art. 62 del d.l. n. 1 del 2012 sarebbe stata introdotta proprio per tutelare il contraente debole (fornitore/panificatore) in un rapporto contrattuale caratterizzato da uno squilibrio contrattuale a favore della grande distribuzione. 2.1 Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha accolto le doglianze relative al difetto di istruttoria in cui sarebbe incorsa l'Autorità nell'accertamento dell'effettiva imposizione a danno dei fornitori di una clausola contrattuale in contrasto con l'art. 62, comma 2, lett. a) ed e), del d.l. n. 1 del 2012. Tale conclusione muoverebbe, ad avviso dell'appellante, dell'errore di fondo che, nel caso in esame, l'accertamento della condotta sarebbe stato basato esclusivamente su elementi presuntivi e, in particolare, sul solo questionario inviato ai panificatori fornitori della grande distribuzione organizzata. Più segnatamente, il giudice di prime cure avrebbe tralasciato del tutto di considerare che l'accertamento degli elementi costitutivi dell'illecito sarebbe suffragato da un'analisi molto puntuale e documentata. In proposito si osserva che il provvedimento emesso dall'Autorità conterrebbe una puntuale e documentata analisi della fattispecie, da cui risulta comprovata non solo l'esistenza di un significativo squilibrio di potere negoziale tra le catene della grande distribuzione organizzata e i fornitori di pane fresco ma anche lo sfruttamento abusivo da parte delle società di distribuzione della propria posizione di forza commerciale, sostanziatasi nell'imposizione di una condizione ingiustificatamente gravosa in capo ai panificatori e nel trasferimento sugli stessi di un rischio sproporzionato, tipico dell'attività distributiva. Quanto, nel dettaglio, all'esistenza di un considerevole buyer power delle catene distributive nei confronti dei propri fornitori di pane fresco, detta condizione sarebbe emersa da una serie di elementi quali: - una forte asimmetria dimensionale, in termini di fatturato, numero di dipendenti e unità locali, tra società appellate e le imprese di panificazione (per lo più piccole imprese artigiane e a conduzione familiare, con un fatturato inferiore ai 10 milioni di euro e un esiguo numero di dipendenti); - la natura altamente deperibile del pane fresco che, dovendo essere necessariamente venduto in giornata, non può essere stoccato per modulare le quantità da immettere nel mercato; - il fatto che il pane fresco viene per lo più venduto senza marchio (quando è sfuso) o (quando è confezionato) con un marchio di scarsissima notorietà e forza commerciale, per cui la merce dei diversi fornitori confluisce in modo indistinto sugli scaffali dei punti vendita non consentendo al consumatore di associarne le caratteristiche qualitative al produttore. Il che rende particolarmente agevole la sostituzione dei fornitori, anche in vigenza del rapporto contrattuale; - la non sostituibilità da parte dei panificatori delle catene della G.D.O., che rappresentano uno dei principali canali di approvvigionamento di pane per il consumatore e, conseguentemente, un canale di sbocco essenziale e di difficile sostituzione per i panificatori, specie qualora essi non dispongano di una propria rivendita diretta; - la capacità della catena distributiva di soddisfare parte del proprio bisogno di pane tramite l'autoproduzione, che incrementa il potere negoziale della catena nei confronti dei panificatori consentendo flessibilità negli acquisti e maggiore facilità di sostituzione dei fornitori esterni. Quanto, poi, alla circostanza che le catene distributive avrebbero fatto leva su detto squilibrio per imporre l'obbligo del reso alla maggior parte dei propri fornitori, pur trattandosi di una condizione per essi non conveniente, essa sarebbe desumibile sulla base delle seguenti considerazioni: - quella in parola era una prassi stabilita dalle catene di distribuzione che non necessariamente risultava (e nella quasi totalità dei casi non lo era) formalizzata in una previsione contrattuale scritta (come invece imporrebbe l'art. 62, comma 1, del d.l. n. 1 del 2012); - la disomogeneità circa le modalità applicative dell'obbligo di reso che la sentenza impugnata ha ritenuto sintomatica di una carenza istruttoria e dell'insussistenza dell'illecito sarebbe, in realtà, diretta conseguenza dell'assenza nella maggioranza dei casi di una "cristallizzazione" contrattuale di tale obbligo; - nel descrivere le condotte della società di distribuzione in relazione all'obbligo di reso, l'Autorità avrebbe dato puntualmente conto delle risultanze derivanti dalle evidenze documentali disponibili, riservando ai dati emergenti dal questionario una funzione aggiuntiva di conferma/supporto ulteriore di tali evidenze; - il fatto che le risposte al questionario siano state "fornite da un numero limitato di panificatori" non sarebbe affatto sintomatico di un quadro istruttorio carente, nella misura in cui il provvedimento gravato ha dato conto dell'esistenza di timori da parte dei panificatori di esporsi al rischio di subire ritorsioni commerciali da parte delle catene della grande distribuzione organizzata; a tale riguardo, appare particolarmente indicativo il caso di un panificatore che - nonostante le ampie rassicurazioni ricevute in merito al mantenimento della più assoluta riservatezza sull'identità dei rispondenti - ha chiesto comunque la riservatezza integrale delle risposte fornite in quanto ritenute "sensibili per la sopravvivenza" dell'azienda stessa. 2.2 Nello specifico caso in scrutinio relativo alle società del gruppo Ca. l'istruttoria avrebbe messo in luce il ricorso ad un accordo-quadro standard da esse predisposto unilateralmente, costituito da un modulo prestampato utilizzato dalla catena distributiva per tutte le diverse categorie merceologiche trattate e integrato da taluni allegati (condizioni generali di acquisto, accordo integrativo, listino-prezzi - cfr. doc. 4, 5 e 6 del fascicolo di primo grado), che non contenevano un riferimento specifico all'obbligo di reso, limitandosi soltanto a disciplinare in termini generali la procedura applicabile nei casi in cui si rendeva necessario un generico "reso fisico di merce", ivi inclusi i casi di "non conformità " del prodotto (doc. 6 del fascicolo di primo grado). La presenza di tale obbligo si sarebbe ricavato unicamente da un "codice di reso" presente nel listino prezzi relativo alle forniture di pane a Ca. (doc. 4 del fascicolo di primo grado), che tuttavia non avrebbe chiarito le condizioni in base alle quali tale obbligo fosse applicato. L'obbligo di reso del pane invenduto a fine giornata, che il panificatore era tenuto a ritirare quotidianamente, riaccreditandone (in tutto o in parte) il costo di acquisto alla catena distributiva, non sarebbe stato presente né disciplinato nei contratti conclusi con i panificatori, come peraltro confermato anche da interlocuzioni interne alla stessa catena distributiva (cfr. doc. 7 nonché doc. 4 del fascicolo di primo grado). A ciò si aggiunge che la "formalizzazione" dell'obbligo di reso nei confronti del panificatore sarebbe stata da intendersi perfezionata al momento della firma da parte di quest'ultimo della bolla di reso del pane invenduto ricevuta dal punto vendita per effettuare il ritiro del prodotto (par. 53 del provvedimento impugnato) e che tale prassi è stata ampiamente applicata dalle appellate alla stragrande maggioranza dei propri fornitori di pane fresco atteso che i fornitori senza obbligo di reso avrebbero rappresentato meno del 5% degli acquisti di pane effettuati complessivamente da Ca., sia in quantità che in valore. Sarebbe inoltre emerso che, sulla base delle cc.dd. "regole di ingaggio" previste e definite dalla catena per gli acquisti di pane destinati agli ipermercati, Ca. applicava ai fornitori una condizione di reso "puntuale", che prevedeva il riaccredito dell'intero costo di acquisto del pane invenduto e che ogni unità invenduta diventasse un'unità resa (reso dell'invenduto totale). Per gli acquisti di pane destinati ai supermercati e ai negozi di prossimità della catena, il panificatore gravato dall'obbligo di reso era invece tenuto a riaccreditare a Ca., per ciascuna unità invenduta ritirata, un valore pari al 70% del prezzo medio unitario di acquisto del pane (doc. 7 del fascicolo di primo grado). In base alla policy del Gruppo Ca., le suddette regole avrebbero, peraltro, previsto, quantomeno in linea teorica, alcune limitazioni all'obbligo di reso, che tuttavia nei fatti non sarebbero state applicate. Infine, da un punto di vista operativo, il reso sarebbe stato realizzato mediante emissione da parte del punto vendita di una bolla di consegna che conteneva l'indicazione della quantità di prodotto invenduto da rendere, a cui faceva seguito il ritiro da parte del panificatore, che firmava la bolla e successivamente emetteva la nota di credito corrispondente alla bolla di consegna (così ai par. 55 e ss. del provvedimento impugnato). 3. Le suddette censure, che possono essere esaminate congiuntamente stante l'intima connessione tra loro esistente, sono infondate. Come noto, l'onere della prova del fatto costituente l'illecito grava, secondo le regole generali, a carico dell'Autorità garante procedente ma, in difetto di specifiche preclusioni di legge, può da questa essere assolto anche a mezzo di presunzioni semplici purché dotate dei crismi della gravità, precisione e concordanza di cui all'art. 2729 c.c.. Ebbene, nel caso di specie, A.G.C.M., partendo dal fatto noto costituito dalla diffusa applicazione da parte delle società appellate della clausola di reso nell'ambito dei propri rapporti di distribuzione commerciale, ha desunto sul piano logico l'esistenza di un fatto ignoto costituito dall'imposizione della medesima clausola ai panificatori. Siffatta presunzione è stata fatta riposare sul risultato dei questionari somministrati ai panificatori e sul rilievo che la clausola di reso sarebbe ictu oculi sfavorevole per gli stessi. Ciò lascerebbe, infatti, intendere che i panificatori, in quanto parte debole del rapporto, ne abbiano passivamente subito l'applicazione senza alcuna trattativa individuale. 3.1 Ritiene il Collegio che il ragionamento presuntivo in parola non risponda ai requisiti ex art. 2729 c.c., che non valga, pertanto a sostenere il provvedimento impugnato e che ciò si riverberi, come condivisibilmente affermato dal T.A.R., in un difetto di istruttoria dello stesso. A difettare è, anzitutto, l'attributo della gravità, con ciò intendendosi l'attitudine dimostrativa della presunzione anche in termini di solidità della deduzione inferenziale alla sua base. E, infatti, nonostante la clausola di reso in parola abbia trovato larga applicazione nei rapporti di distribuzione delle società appellate preme rilevare che, nel caso di specie, come correttamente osservato dal giudice di prime cure, secondo i dati risultanti dal questionario, solo 16 dei 106 fornitori delle società del gruppo Ca. hanno risposto al questionario e che, tra questi, solo 10 fornitori hanno dichiarato che la condizione di reso gli era stata "proposta/imposta". Né può obliterarsi che la stessa formulazione della domanda relativa al reso contenuta nel questionario sia in certa misura equivoca perché pone sul medesimo piano la "proposta" e l'"imposizione" con la conseguenza che non è in alcun modo dato sapere in quanti dei suddetti casi di risposta positiva vi sia stata effettiva imposizione (e non anche accettazione, a seguito di "proposta" e negoziazione). Inoltre, va, per contro, evidenziato che ben 2 fornitori hanno dichiarato di aver spontaneamente offerto il reso e che altri 4 hanno precisato detta condizione era stata concordata con la catena distributiva. Non vale, poi, a escludere che vi sia stato lo svolgimento di una trattativa individuale tra le parti la circostanza che, come risultante ex actis, vi siano state numerose discussioni interne sulle eventuali modifiche da apportare alle regole del reso tra panificatori e società del gruppo Ca.. Trattasi, infatti, di episodi che si inseriscono nella fase di esecuzione dei singoli rapporti contrattuali, che non paiono significativi delle modalità di raggiungimento, a monte, dell'accordo sul reso e che, soprattutto, lasciano intendere, a contrario, che i singoli panificatori fossero in condizione di (ri)negoziare con la G.D.O. i termini del patto sul reso (il che appare, invero, logicamente incompatibile con l'asserita imposizione in loro danno della clausola de qua). In ultimo, non può ragionevolmente sostenersi che il risultato non omogeneo del sondaggio sia legato, come sostiene la difesa erariale, al timore dei panificatori nel rispondere al questionario posto che quest'ultimo era sostanzialmente anonimo (vedi nota 1 di pag. 1 del modello di questionario ove si legge che "I questionari verranno trattati in forma anonima e le risposte utilizzate soltanto in forma aggregata, a fini statistici, in modo che nessuna risposta possa essere ricondotta alla società che l'ha fornita. Sarà altresì considerato riservato l'elenco dei soggetti rispondenti"). 3.2 L'istruttoria svolta in sede procedimentale dall'Autorità restituisce, pertanto, sulla base del risultato dei questionari, un quadro non univoco in cui la clausola di reso non ha trovato applicazione omogenea. Ciò indebolisce di molto, fino a quasi escludere del tutto, la capacità dimostrativa della presunzione semplice posta a base del provvedimento impugnato (che avrebbe avuto ben altra forza ove l'applicazione del reso non avesse conosciuto eccezioni ovvero declinazioni peculiari). Nel solco della giurisprudenza ormai costante di questa Sezione occorre, del resto, "tenere conto della complessiva regolazione del rapporto contrattuale", non potendosi escludere che il trasferimento del rischio connaturato alla clausola di reso "si declini in termini differenti in ciascun singolo rapporto, con l'effetto di rendere la clausola "non gravosa" e non espressione di un "abuso" da parte della catena di distribuzione" (così Cons. Stato, sez. VI, nn. 3293, 3294 e 3295, 3334, 3335, 3338, 3339 e 3340 del 27 aprile 2022). In questo senso merita conferma la sentenza impugnata che ha annullato il provvedimento proprio per l'assenza in esso di una completa analisi delle fattispecie contrattuali che di fatto intercorrevano tra fornitore e distributore, mettendo in luce come le stesse non rispondessero affatto ad un modello identico. Sotto altro profilo, la capacità dimostrativa della presunzione impiegata dall'Autorità pare incrinata dalla circostanza, messa in evidenza dalla difesa delle appellate, che, nel contesto delle singole negoziazioni, il patto reso fosse talvolta inserito per iniziativa dei medesimi panificatori in ragione della convenienza economica che ne sarebbe potuta derivare e di come questi ultimi rimanessero di fatto liberi di non avvalersene durante la fase esecutiva del contratto (semplicemente astenendosi dal sottoscrivere la bolla di accompagnamento del prodotto invenduto al momento della consegna). Sul punto la difesa delle appellate ha, infatti, dedotto (deduzione non avversata dall'appellante) che i fornitori erano in condizione di trarre specifico vantaggio dal riacquisto del pane invenduto, potendolo destinare ad altri sbocchi commerciali in virtù della disciplina regolamentare in materia (ciò, in netto contrasto con quanto accade per i distributori, ai quali - per specifica previsione normativa - è precluso l'accesso ad un mercato secondario del prodotto invenduto, essendo costretti a trattare quest'ultimo come rifiuto e, dunque, a smaltirlo). 3.3 Non sussiste neppure il requisito della concordanza ex art. 2729 c.c., con ciò intendendosi che il risultato del ragionamento presuntivo deve porsi in armonia con il complesso delle altre risultanze probatorie emerse in sede istruttoria. E, infatti, in disparte dalla circostanza che non risultano essere stati addotti dall'Autorità elementi fattuali diversi dal mero risultato del questionario in grado di confermare l'effettiva imposizione della clausola di reso, si riscontra, come già si è accennato, la presenza di emergenze documentali di segno opposto e, quindi, dissonanti rispetto al risultato del ragionamento presuntivo (tra tutti le risposte rese da alcuni panificatori da cui emerge lo svolgimento di trattative individuali). 3.4 Va da sé che, se il ragionamento presuntivo non presenta i crismi della gravità e concordanza e, quindi, non risulta raggiunta la prova per presunzione semplice del fatto ignoto, non si può predicare, come sostenuto dalla difesa erariale, alcuna inversione dell'onere della prova a carico del sanzionato circa l'avvenuta effettiva negoziazione della clausola di reso. 3.5 In ultimo, quanto al meccanismo di inversione dell'onere della prova disegnato dall'art. 34 comma 5 Codice del Consumo invocato dalla difesa di parte appellante, preme rilevare che, come correttamente ritenuto nella sentenza impugnata, esso può trovare applicazione solo a rapporti business to consumer e non anche, come nel caso di specie, business to business. La giurisprudenza è stata, infatti, molto chiara nell'affermare che nei "contratti del tipo "B2B" (business to business), ossia tra operatori commerciali (...) non vale la presunzione di vessatorietà della clausola inserita in uno schema di contratto, prevista dall'art. 34, comma 5, del Codice del Consumo per i soli contratti tra professionista e consumatore, vale a dire "B2C" (business to consumer). Dunque, la regola secondo cui incombe sul professionista l'onere di provare che la clausola predisposta unilateralmente sia stata oggetto di specifica trattativa riguarda solo l'ipotesi in cui la controparte contrattuale sia un "consumatore", non potendo trovare applicazione nei rapporti tra professionisti" (così Cons. Stato, nn. 8844, 8845, 8846,8847, 8848, 8850, 8852, 8853 del 29 luglio 2020; n. 4012 del 22 aprile 2021; nn. 4534, 4536, 4537, 4546 del 19 aprile 2021; n. 4014 del 2 aprile 2021). Né tale regola eccezionale può estendersi in via analogica al campo delle relazioni asimmetriche tra imprese (l'ambito del cd. "terzo contratto) a cui inerisce la disciplina di cui all'art. 62 D.L. n. 1 del 2012. Quest'ultima previsione disegna, del resto, una disciplina specifica che è autosufficiente, non abbisognevole di eterointegrazione e che non reca alcuna analoga specifica previsione in tema di onere della prova. Parimenti fuori fuoco è il richiamo operato dall'Autorità alla disciplina contenuta nella Direttiva (UE) 2019/633 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, in quanto sopravvenuta alla fattispecie in esame e ad essa pacificamente non applicabile (come pure ammesso dalla stessa difesa erariale). 4. Per le ragioni esposte, l'appello dell'Autorità non risulta idoneo a superare le valutazioni del giudice di prime cure secondo cui "tenuto conto dell'eterogeneità dei dati raccolti e del carattere presuntivo dell'indagine svolta, non è sufficientemente dimostrata l'affermazione dell'Autorità secondo cui le ricorrenti avrebbero imposto ai fornitori una clausola contrattuale contraria agli obblighi di cui all'art. 62, comma 2, del D.L. n. 1/2012". 5. Per le ragioni esposte, l'appello dell'Autorità va respinto con conferma della sentenza impugnata. 6. Le spese di lite, stante la novità delle questioni trattate, possono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Oreste Mario Caputo - Consigliere Stefano Toschei - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere, Estensore

  • Secondo la Corte d'Appello di Venezia, in tema di atti di concorrenza sleale, l'art. 2598 n. 3 c.c., costituisce una disposizione aperta che spetta al Giudice riempire di contenuti, avuto riguardo alla naturale atipicità del mercato ed alla rottura della regola della correttezza commerciale, sì che in tale previsione rientrano tutte quelle condotte che, coerentemente con la suddetta ratio, ancorché non tipizzate, abbiano come effetto l'appropriazione illecita del risultato di mercato dell'impresa concorrente. Con particolare riguardo allo sviamento di clientela, che venga posto in essere utilizzando notizie sui rapporti con i clienti di altro imprenditore, acquisite nel corso di pregressa attività lavorativa svolta alle sue dipendenze, la configurabilità della concorrenza sleale, ai sensi richiamata disposizione codicistica, deve essere riconosciuta ove quelle notizie, ancorché normalmente accessibili ai dipendenti, siano per loro natura riservate, in quanto non destinate ad essere divulgate al di fuori dell'azienda. Consiste quindi nello sfruttare informazioni riservate, contatti e rapporti creati durante l'appartenenza alla compagine societaria da parte di un ex dipendente per accaparrarsi i clienti del suo ex datore di lavoro, con evidenti danni procurato a quest'ultimo. E così l'illecito sviamento di clientela è concetto estremamente vago e non tipizzato, dovendosi precisare che il tentativo di sviare la clientela di per sé rientra nel gioco della concorrenza, sicché per ritenere illecito lo sviamento occorre che esso sia provocato, direttamente o indirettamente, con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale (intesa come il complesso di regole desunte dalla coscienza collettiva imprenditoriale di una certa epoca, socialmente condivise dalla categoria). È evidente, quindi, come non sia sufficiente il tentativo di accaparrarsi la clientela del concorrente sul mercato nelle sue componenti oggettive e soggettive, ma è imprescindibile il ricorso a un mezzo illecito secondo lo statuto deontologico degli imprenditori. (Gi.Ca.)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. CIANFROCCA Pierluigi - rel. Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere Dott. MONACO Marco Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto nell'interesse di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS) srl; (OMISSIS) spa; parti civili costituite nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); contro la sentenza della Corte di Appello di Torino del 24.2.2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Pierluigi Cianfrocca; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc. Gen. Pietro Molino, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'Avv. (OMISSIS), in difesa delle costituite parti civili, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso riportandosi alle conclusioni scritte con nota spese: udito l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Torino, respingendo l'appello del PM e quello delle costituite parti civili, ha confermato la sentenza con cui il Tribunale del capoluogo piemontese, con sentenza del 13.2.2018, aveva assolto (OMISSIS) dal delitto di appropriazione indebita contestatogli al capo a) della imputazione perche' il fatto non sussiste e, con la stessa formula, anche dai delitti di accesso abusivo a sistema informatico protetto di cui al capo b), di turbata liberta' dell'industria e del commercio di cui al capo c) e, infine, di tentata estorsione contestatagli al capo d); 2. ricorrono per cassazione le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) srl e (OMISSIS) spa lamentando: 2.1 sul capo a) dell'imputazione: 2.1.1 erronea applicazione della legge penale (articolo 646 c.p.) nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la condotta di restituzione di una scheda SIM diversa da quella aziendale non integrasse il delitto di appropriazione indebita per difetto dell'elemento soggettivo del reato: richiamate le considerazioni spese dalla Corte di Appello, rilevano l'errore in cui sono incorsi i giudici di merito poiche' il (OMISSIS), dopo aver rassegnato le proprie dimissioni, aveva deliberatamente omesso di restituire la scheda SIM di proprieta' del (OMISSIS) che, come gli altri beni aziendali, non aveva titolo a trattenere una volta risolto il rapporto di lavoro; aggiungono che il reato si era certamente perfezionato tanto che il (OMISSIS) aveva concluso, relativamente a quella scheda, un contratto con un gestore telefonico diverso disponendone percio' "uti dominus"; rilevano, altresi', l'erroneita' della ulteriore affermazione della Corte circa la assenza di una formale richiesta di restituzione atteso che il reato si perfeziona anche in difetto di una sollecitazione del titolare del diritto; 2.1.2 erronea applicazione della legge penale (articolo 646 c.p.) nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la condotta di restituzione di un P.C. differente da quello aziendale non integrasse il delitto di appropriazione indebita: richiamata la motivazione della sentenza impugnata, ne evidenziano la erroneita' dal momento che la restituzione di un bene diverso da quello non restituito e trattenuto senza alcun titolo integra senz'altro gli estremi del delitto di appropriazione indebita; 2.2 sul capo b) dell'imputazione: 2.2.1 inosservanza della legge penale (articolo 615ter c.p.) nella parte in cui la sentenza impugnata non ha ravvisato gli estremi del delitto in esame nella condotta di accesso al sistema protetto per fini diversi da quelli per i quali era autorizzato: premessa la correttezza, in punto di fatto, della ricostruzione operata dalla Corte di Appello, ne segnalano tuttavia la irrilevanza ai fini della responsabilita' del ricorrente atteso che e' stata la stessa Corte di Appello a precisare che la acquisizione di documentazione informatica da parte del (OMISSIS) era stata funzionale ad intraprendere una causa di lavoro non rilevando, pertanto, che l'accesso fosse avvenuto quando il rapporto era ancora in corso; richiamano, percio', la giurisprudenza di questa Corte che, anche recentemente, ha ribadito quali siano i presupposti del reato in esame, con particolare riguardo alle finalita' perseguite dall'agente che, nel caso di specie, erano evidentemente diverse da quelle per le quali era autorizzato ad accedere ai dati e ai documenti aziendali; osservano che la stessa Corte di Appello ha colto il problema cui tuttavia ha fornito una risposta errata in diritto; 2.3 sul capo c) dell'imputazione: 2.3.1 contraddittorieta' della motivazione nella parte in cui la sentenza, omettendo o travisando le dichiarazioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e dello stesso imputato, ha ritenuto le condotte ivi descritte quali meri progetti concorrenziali come tali non riconducibili alla ipotesi delittuosa di cui all'articolo 513 c.p.: rilevano, infatti, che la conclusione cui e' approdata la Corte di Appello non puo' che essere il frutto del travisamento e della distorsione dei risultati probatori acquisiti e, in particolare: delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) nonche' di quelle rese da (OMISSIS) circa il progetto di acquisizione della ABC Ascensori anche tramite una fiduciaria per tutelarlo da un passaggio giudiziario nei rapporti con la sua precedente societa' datrice di lavoro; richiamano, inoltre, il documento presentato al (OMISSIS) in sede di esame nonche' le dichiarazioni del teste (OMISSIS), amministratore di condominio, il quale aveva riferito di aver saputo soltanto dal Fantuzzi che il (OMISSIS) non era piu' dipendente della (OMISSIS) spa; evidenziano, in definitiva, l'errore in cui e' incorsa la Corte di Appello nel definire le iniziative del (OMISSIS) quali meri "progetti concorrenziali" laddove l'insieme delle condotte accertate integrava certamente una attivita' fraudolenta finalizzata a turbare e/o impedire l'esercizio della (OMISSIS) spa; richiama, a tal fine, la piu' recente giurisprudenza di questa Corte; 2.4 sul capo d) dell'imputazione: 2.4.1 erronea applicazione della legge penale conseguente alla carente e contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta e vizio di motivazione con riguardo al delitto di tentata estorsione: richiamano la sentenza impugnata laddove la Corte territoriale aveva fatto riferimento al colloquio intercorso tra il (OMISSIS) e l'avvocato (OMISSIS) e, poi, quello intercorso con il (OMISSIS) sottolineando, in particolare, la contraddittorieta', con i dati processuali acquisiti, della affermazione secondo cui la richiesta di dieci mensilita' poteva essere valutata disgiuntamente rispetto all'accenno fatto al collegio sindacale; ricorda, in primo luogo, come il (OMISSIS) fosse del tutto ignaro delle ragioni che avevano indotto il (OMISSIS) a rassegnare le proprie dimissioni richiamando, a tal proposito, le deposizioni dello stesso (OMISSIS) e quelle del (OMISSIS) e del (OMISSIS) e, inoltre, la comunicazione del (OMISSIS) del gennaio del 2015 evidenziando la inconsistenza della presunta "giusta causa" addotta dall'imputato dal momento che le sue mansioni non richiedevano affatto la condivisione dei dati di bilancio da presentare al collegio sindacale; evidenziando quindi l'errore in cui e' incorsa la Corte di Appello, richiamano la deposizione dell'Avv. (OMISSIS) in parte ignorata ed in parte travisata dai giudici di merito e dalla cui lettura avrebbe invece dovuto evincersi la natura estorsiva della richiesta di corresponsione di dieci mensilita' correlata alla minaccia di rendere il collegio sindacale partecipe delle motivazioni delle sue dimissioni; richiamano, ancora, la missiva inviata dalla (OMISSIS) spa al (OMISSIS) successivamente all'incontro di costui con il (OMISSIS) e ribadiscono che le dimissioni del (OMISSIS), stanti le sue mansioni, non erano fondate su alcuna "giusta causa" e che l'imputato, ben consapevole di cio' (tanto che il suo ricorso al giudice del lavoro e' stato respinto) aveva tentato di intraprendere una strada piu' semplice quale quella di estorcere del denaro alla (OMISSIS) spa; rilevano che la conseguenza della travisata lettura degli elementi acquisiti e' stata proprio la errata applicazione della legge penale nell'escludere la configurabilita' della ipotesi di reato contestata al capo d) della imputazione di cui sussistevano invece tutti gli elementi costitutivi a partire dalla minaccia, alla costrizione ed all'ingiusto profitto; 4. il PG aveva trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 cui si e' tuttavia riportato nel corso della discussione orale concludendo per il rigetto del ricorso: con riguardo al primo motivo, rileva, infatti, che dopo la richiesta dell'8.1.2015 nulla era stato piu' richiesto al (OMISSIS) il quale aveva sostituito la SIM evidentemente sostenendo il costo dell'utenza; rileva, quindi, la inconferenza della giurisprudenza richiamata nel ricorso; quanto al secondo motivo, ferma la integrazione del delitto di cui all'articolo 615ter c.p. in caso di accesso per ragioni diverse da quelle proprie dell'ufficio, rileva che entrambe le sentenze di merito hanno giudicato non dimostrato che cio' fosse avvenuto laddove certamente non integra il delitto in esame la utilizzazione, per ragioni personali, di dati e documenti di cui il dipendente fosse gia' entrato legittimamente in possesso; rileva, ancora, che il terzo motivo si risolve in una non consentita sollecitazione ad una diversa lettura del dato probatorio acquisito in sede di merito e che non ha consentito di ricondurre le condotte del Berini nel paradigma delineato dall'articolo 513 c.p.; analogamente quanto al quarto motivo. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono, complessivamente, infondati. 1. (OMISSIS) era stato tratto a giudizio e chiamato a rispondere, di fronte al Tribunale di Torino: a) del delitto di cui all'articolo 646 c.p. per essersi appropriato di un PC Acer e della scheda del cellulare aziendale di proprieta' della (OMISSIS) spa di cui aveva il possesso quale direttore generale sino al 19.12.2014 omettendo di restituirli all'atto della cessazione del rapporto; b) del delitto di cui all'articolo 615ter c.p. per aver eseguito accessi nel sistema informatico protetto della (OMISSIS) spa per ragioni diverse da quelle per cui era autorizzato e, in particolare, al fine di visionare ed acquisire dati ed informazioni commerciali utilizzando cosi' indebitamente la password aziendale; c) del delitto di cui all'articolo 513 c.p. per aver usato mezzi fraudolenti per impedire o turbare la attivita' della (OMISSIS) spa ponendo in essere attivita' in sostanziale concorrenza; d) del delitto di cui agli articoli 56-629 c.p. per avere, con minacce consistite nell'incontrare l'Avv. (OMISSIS) facendo presente a costui che le motivazioni delle sue dimissioni "le aveva nel cassetto" ed aggiungendo che "se le leggesse il collegio sindacale...", posto in essere atti in tal modo idonei e diretti in modo non equivoco a procurarsi l'ingiusto consistente in dieci mensilita' di retribuzione con corrispondente altrui danno non essendovi riuscito per cause indipendenti dalla sua volonta'. 2. Il Tribunale di Torino aveva assolto l'imputato da tutte le imputazioni per insussistenza del fatto. La sentenza era stata appellata dal PM limitatamente alla assoluzione per il capo b) ed a quella per il capo d): sul primo punto il rappresentante della pubblica accusa aveva invocato il principio affermato da SS.UU. 41210 del 2017 ed aveva segnalato che era emersa la disponibilita', sul computer portatile del (OMISSIS), di documenti aziendali formati in epoca prossima alle dimissioni e, in particolare, rinvenuti nella cartella del ricorso di lavoro che aveva incaricato l'Avv. (OMISSIS) di introdurre; sul secondo profilo aveva sottolineato che la riunione del 18.12.2014 non si era svolta secondo quanto riferito dal (OMISSIS) ma era stata l'occasione da lui colta per "cercare fortuna altrove" vista la situazione di profonda crisi della societa' che sarebbe stata stigmatizzata nel ricorso di lavoro proposto nel gennaio del 2016; egli dunque avrebbe tentato di costringere la societa' ad erogargli dieci mensilita' con la minaccia di rivelare al collegio sindacale circostanze potenzialmente compromettenti. Le parti civili, invece, avevano impugnato su tutte le assoluzioni ivi comprese, cioe', anche quelle per il delitto di appropriazione indebita e di turbata liberta' dell'industria e del commercio. 3. Ritiene il collegio che la Corte di Appello, nel confermare la sentenza di primo grado, abbia sorretto la sua decisione con argomentazioni insindacabili in punto di fatto e corrette in punto di diritto. 3.1 Quanto alla "appropriazione" della SIM, la Corte ha sostenuto che la vicenda si era in realta' risolta in un banale "scambio" tra quella personale, restituita, e quella aziendale, invece erroneamente trattenuta; ha spiegato che si era trattato di un errore non immediatamente percepito dalla stessa azienda laddove la matrice "dolosa" del fatto non era sostenibile se non altro perche' il (OMISSIS) era consapevole che lo "scambio" avrebbe potuto essere scoperto con estrema facilita' mentre, in ogni caso, l'appropriazione dei dati dei clienti e dei contatti aziendali avrebbe potuto facilmente essere perfezionata con il loro trasferimento su altro supporto elettronico. Quanto alla presunta appropriazione del PC, i giudici torinesi hanno rilevato come fosse pacifico che era stato restituito un P.C. di cui la stessa azienda non ha saputo indicare la marca; hanno aggiunto che sarebbe stato assolutamente "stravagante" che il (OMISSIS), che godeva di uno stipendio di tutto rispetto, avendo restituito una serie di benefit, si fosse invece trattenuto un P.C. usato tenendo cosi' una condotta nemmeno funzionale a trattenere i dati aziendali che poteva acquisire in qualsiasi modo. Si tratta, invero, di considerazioni che, per un verso, sono ancorate su dati fattuali sostanzialmente incontroversi e, in ogni caso, non suscettibili di una diversa lettura in questa sede rispetto a quella operata dalla Corte di Appello che risulta del tutto lineare e di cui le PP.CC. ricorrenti non hanno potuto evidenziare profili di manifesta illogicita' suscettibili di esser fatti valere ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e). 3.2 Per quanto concerne il delitto di cui al capo b), la Corte territoriale ha spiegato che, effettivamente, in data 19.1.2015 la Barbuto aveva inviato al (OMISSIS) le credenziali di accesso al sistema webmail di Omega; ha tuttavia fatto presente che dalla consulenza informatica era emerso che esse non erano mai state utilizzate per accedere al sistema; era stato invece accertato che tutti i documenti rinvenuti sul portatile dell'imputato erano stati "creati" prima delle dimissioni e, percio', quando il (OMISSIS) era legittimato ad accedere ai dati aziendali che, pure, aveva successivamente utilizzato per la sua vertenza di lavoro (cfr,. la affermazione dell'imputato secondo cui egli aveva dei documenti "... che mi servivano per la causa di lavoro"). Ed e' proprio su tale premessa fattuale, su cui tuttavia il ricorso sorvola, che la Corte di Appello ha evidenziato che la valutazione sulla riconducibilita' della condotta del (OMISSIS) al paradigma normativo evocato dall'articolo 615ter c.p. non era pertanto quella dell'avvenuto accesso "abusivo" in quanto effettuato per ragioni e finalita' diverse da quelle per le quali egli era autorizzato ma, semmai, quello della utilizzazione di documenti e dati aziendali gia' legittimamente in suo possesso in quanto frutto di accessi "autorizzati", per sostenere le proprie ragioni in una causa di lavoro. E' vero che, sulla scia del principio affermato dalle SS.UU. con la sentenza "Savani" (cfr., Sez. U, Sentenza n. 41210 del 18/05/2017, Savani, Rv. 271061 01) si e' ritenuto integrare il delitto previsto dall'articolo 615-ter c.p. la condotta del dipendente che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l'accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facolta' di accesso gli e' attribuita (cfr., ad esempio, Sez. 5 -, Sentenza n. 565 del 29/11/2018, Landi di Chiavenna libertino, Rv. 274392 - 01). Nel caso di specie, tuttavia, i giudici di merito hanno ricostruito il fatto nel senso che il (OMISSIS) non fosse entrato nel sistema al fine di acquisire dati o documenti da utilizzare per la sua controversia di lavoro ma che egli avesse utilizzato, a tal fine, dati e documenti di cui aveva gia' la disponibilita' sul suo computer portatile. La "risposta" al motivo di appello, percio', e' stata fondata su una diversa ricostruzione fattuale della vicenda su cui le parti civili ricorrenti non hanno potuto evidenziare profili di travisamento della prova suscettibili di essere "spesi" in questa sede e, di conseguenza, sulla difformita' della condotta accertata rispetto a quella evocata e descritta dalla norma incriminatrice. 3.3 Anche per quanto concerne la assoluzione per il delitto di cui al capo capo c), il collegio non puo' che prendere atto della correttezza delle conclusioni in diritto cui sono pervenuti i giudici di merito sulla scorta della incontroversa - ed anzi esplicitamente condivisa - ricostruzione dei fatti operata nelle sentenze di primo e di secondo grado che evoca condotte dirette a sviare la clientela della (OMISSIS) spa dirottandola in direzione di una attivita' sua propria in aperta concorrenza con la sua ex datrice di lavoro. Tanto premesso in fatto si tratta di verificare se la ricostruzione operata nella fase di merito risulti in armonia con i principi espressi da questa Corte relativamente alle caratteristiche dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo necessari per integrare la fattispecie astratta di reato. Si e' a tal proposito affermato che la condotta di chi altera la concorrenza ricorrendo a mezzi fraudolenti integra il delitto di cui all'articolo 513 c.p. soltanto se essa si ripercuote sull'ordine economico, ossia quando e' posta in essere al fine specifico di turbare o impedire il normale svolgimento dell'industria o del commercio e di attentare in tal modo alla liberta' di iniziativa economica. Il principio e' certamente riferibile al caso in esame, in quanto reso in una fattispecie in sostanza sovrapponibile alla presente, nella quale la Corte ha escluso la configurabilita' del reato in relazione ad atti di concorrenza sleale consistiti in una indebita acquisizione di dati ed informazioni, idonea ad incidere sulla efficacia finale della attivita' economica dell'impresa concorrente, ma non ad alterarne il normale funzionamento produttivo e commerciale (cfr., Sez. 3, Sentenza n. 12227 del 22/01/2015, Rv. 262861; conf., Sez. 2, Sentenza n. 20647 del 11/05/2010, Rv. 247272. Si e' infatti chiarito che il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice di cui all'articolo 513 c.p. e' il libero e normale svolgimento della industria e del commercio, il cui turbamento si riverbera sull'ordine economico (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 3445 del 02/02/1995, P.M., Carnovale e altri, Rv. 203401), di modo che se per un verso la condotta puo' essere penalmente rilevante anche laddove tenuta nei confronti di un singolo imprenditore occorre pero' che essa si concreti in comportamenti fraudolenti che mirino, appunto, al turbamento del normale svolgimento dell'industria e del commercio e che non sono stati ravvisati in quelli che si limitino a predisporre, come nella specie, atti di concorrenza sleale che, certamente, non possono incidere "a monte", alterandola, sulla funzionalita' dell'impresa asseritamente danneggiata ma, unicamente, "a valle", sulla destinazione dell'attivita' economica, ovvero sul target dell'attivita' produttiva e, cioe', sul raggiungimento del consumatore (cfr., Sez. 5, sent. n. 12839 del 20.1.2022, Sardella, non massimata). Ne e' riprova il fatto che la condotta di illecita concorrenza, come quella che, in definitiva, viene addebitata all'imputato, trova collocazione penale nell'ambito della diversa figura di reato di cui all'articolo 513 bis c.p. ove pero' risulta penalmente rilevante ove accompagnata da violenza o minaccia, diversamente risultando rilevante esclusivamente sul piano dell'inadempimento di carattere civilistico ex articolo 2958 c.c.. Per questa ragione, dunque, questa Corte ha affermato che, esclusa l'applicabilita' del delitto di cui all'articolo 513bis c.p., il quale punisce esclusivamente l'alterazione realizzata mediante minaccia o violenza, la condotta di chi altera la concorrenza ricorrendo a mezzi fraudolenti e' suscettibile di integrare la fattispecie di cui all'articolo 513 c.p. solo qualora l'azione sia posta in essere anche al fine specifico di turbare o impedire un'industria o un commercio e, cioe', di attentare alla liberta' di iniziativa economica (cfr. Sez. 2, n. 20647 del 11/05/2010, P.G. e p.c. in proc. Corniani, Rv. 247272) e che, nella specie, non risulta in alcun modo anche perche', evidentemente, contraddetto dalla circostanza, assolutamente pacifica, che l'attivita' della (OMISSIS) spa e' normalmente proseguita senza alcun turbamento. 3.4 Da ultimo, va rilevato come il ricorso sul capo c) sconti, ancora una volta, una ricostruzione della vicenda su cui la Corte di Appello non ha affatto convenuto e che, anzi, ha chiaramente ed esplicitamente messo in discussione dubitando della attendibilita' dell'Avv. (OMISSIS), ovvero del teste fondamentale su cui si e' invece fondata la critica delle PP.CC. che, pertanto, non e' possibile risolvere in termini "di diritto". In particolare, la Corte di Appello ha escluso di poter seguire la tesi delle PP.CC. sull'esistenza di una preordinata intenzione del (OMISSIS) di rassegnare le dimissioni predisponendosi una "via di uscita"; a tal fine, i giudici di secondo grado hanno richiamato il colloquio dell'imputato con l'Avv. (OMISSIS) il quale, sentito come teste, aveva riferito che il (OMISSIS) si era recato da lui il 23.12.2014 (ovvero in tempi che ha stimato non coerenti con una preordinata e risalente intenzione di risolvere il rapporto di lavoro) rappresentandogli le proprie preoccupazioni per le responsabilita' cui poteva andare incontro condividendo i dati di bilancio che riteneva essere non veritieri e di cui non aveva intenzione di assumersi la responsabilita' di fronte al collegio sindacale ove avrebbe dovuto riferirne il giorno 8.1.2015. La Corte ha fatto riferimento proprio alla deposizione dell'Avv. (OMISSIS) il quale aveva riferito della insofferenza mostrata dal (OMISSIS) durante la riunione del 18.12.2014 ("meno male che sono seduto") il cui oggetto era stato "allargato" dallo stesso (OMISSIS) sino a comprendere la discussione sui dati bilancio e che, percio', non era stata affatto, come preteso dal (OMISSIS), una riunione "di routine" (cfr., pag. 14 della sentenza impugnata). Secondo i giudici di secondo grado, fu proprio il (OMISSIS), su incarico di (OMISSIS), a contattare il (OMISSIS) e non viceversa, in vista dell'incontro che ebbe luogo il giorno successivo a quello in cui il (OMISSIS) avrebbe dovuto consegnare la relazione al collegio sindacale di cui, pure, si era parlato tra i due il che, a detta della Corte, spiegherebbe il riferimento all'organo di controllo contabile della societa'. In definitiva, la Corte ha operato una ricostruzione dei fatti - sintetizzata nella sua cronologia alle pagg. 15-16 della sentenza - da cui, con argomentazione immune da profili di manifesta illogicita', ha potuto desumere che ne' il (OMISSIS) ne' il (OMISSIS) potevano ignorare le ragioni che avevano indotto il (OMISSIS) a rassegnare le dimissioni rilevando, altresi', il carattere "eccentrico" e "bizzarro" (e, pertanto, non credibile) della condotta di chi (nella fattispecie il (OMISSIS)) si sarebbe preoccupato delle proprie responsabilita' in caso di condivisione di dati falsi qualora riportati nei bilanci ufficiali ma al contempo, abbia tentato di "estorcere" del denaro al (OMISSIS) (in maniera persino plateale parlandone esplicitamente con l'Avv. (OMISSIS)). Ha dunque concluso nel senso che la richiesta delle dieci mensilita' non doveva essere collegata al riferimento al collegio sindacale anche perche' il (OMISSIS) non aveva mai affermato di poter revocare le proprie dimissioni e percio' non aveva piu' alcun titolo per presentarsi di fronte al collegio sindacale e, di conseguenza, mettere in atto la sua minaccia. In definitiva, i giudici di merito, anche alla luce di quanto della difforme deposizione resa dal professionista in sede civile, hanno ritenuto la complessiva inattendibilita' della ricostruzione offerta dall'Avv. (OMISSIS) per cui le considerazioni svolte dalla difesa delle PP.CC. in punto di inquadramento del fatto nella fattispecie legale finiscono, in realta', per fondarsi su una diversa valutazione delle prove e, percio', per proporre in questa sede questioni che non possono trovare ingresso; non a caso la difesa delle PP.CC., anche in sede di discussione orale, e' stata costretta ad evocare la categoria del "travisamento" con riguardo non gia' al "significante" ma al "senso logico delle parole e della loro successione" (cfr., dal ricorso) ovvero, in definitiva, sulla loro "lettura". 4. I ricorsi vanno dunque respinti ed il rigetto comporta pertanto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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