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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9178 del 2023, proposto da Ma. Or. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba., Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Condominio Vi. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Ri. Mo., An. In., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. De Mu. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 703/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis), del Condominio Vi. Bo. e di Ro. De Mu. e altri come sopra individuati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti gli avvocati Ma. Al.; Ma. Si.; Ga. Gi.; In. An.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 77 in data 1 giugno 2022, assunta dal Segretario del Comune di (omissis), avente ad oggetto la sospensione dei lavori di ricostruzione di un muro di sostegno di area retrostante comprendente la linea ferroviaria (omissis) - (omissis) nonché un edificio residenziale. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. I ricorrenti sono proprietari di un compendio immobiliare nel Comune di (omissis), frazione (omissis), costituito da un antico edificio residenziale ("villa del Ve.") e un'area pertinenziale che si estende fino al litorale. Con provvedimento del 27 novembre 2019, il Comandante della Capitaneria di porto di Imperia autorizzava uno dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 55 cod. nav. e fatto salvo il necessario titolo edilizio, ad effettuare i lavori di ricostruzione di un muro di protezione dal mare; secondo le risultanze catastali, il manufatto da erigere rientrava nel perimetro della proprietà privata. Previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, gli interessati presentavano al Comune di (omissis), in data 18 febbraio 2020, una s.c.i.a. per la ricostruzione del muro in cemento armato, qualificando l'intervento come manutenzione straordinaria. Con nota del 11 maggio 2022, considerato che i lavori non erano stati ancora realizzati e che lo stato dei luoghi poteva aver subito mutamenti nel periodo trascorso dal rilascio dell'autorizzazione, il Comandante della Capitaneria di porto sospendeva l'efficacia del titolo medesimo, diffidando gli interessati a non realizzare l'intervento. Con successiva nota del 16 maggio 2022, la stessa Autorità comunicava che, alla luce delle risultanze emerse in apposita riunione cui avevano partecipato i rappresentanti del Provveditorato alle opere pubbliche e dell'Agenzia del demanio, la diffida era stata revocata. I lavori sono stati avviati nello stesso mese di maggio del 2022. Tuttavia, essendo emersi elementi di incertezza in ordine alla titolarità dell'area di intervento (che, secondo alcuni esposti pervenuti all'Ente locale, sarebbe appartenuta al demanio marittimo), il Comune di (omissis) disponeva l'immediata sospensione dei lavori con ordinanza del 1 giugno 2022. In pari data, il Comune presentava alla Capitaneria di porto un'istanza urgente per la rideterminazione della dividente demaniale ex art. 32 cod. nav. Il Comandante della Capitaneria di porto riscontrava l'istanza con nota del 14 giugno 2022, significando che la questione inerente alla persistente attualità dell'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. rilasciata ai ricorrenti era già stata affrontata e positivamente definita nella menzionata riunione cui il Comune non aveva ritenuto di partecipare. A questo punto, preso atto che i solleciti volti all'esercizio del potere di autotutela erano rimasti privi di riscontro, gli interessati hanno impugnato l'ordine di sospensione dei lavori con ricorso notificato e depositato in data 8 luglio 2022. In via preliminare il Tar ha fatto riferimento all'affermazione di parte ricorrente secondo cui, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, l'impugnata ordinanza di sospensione dei lavori sarebbe divenuta inefficace nel corso del giudizio e, in conseguenza, dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità del ricorso. È evidente che, in questa prospettiva, l'invocata declaratoria di improcedibilità risulterebbe sostanzialmente satisfattiva della pretesa azionata in giudizio, poiché implica l'accertamento della sopravvenuta inefficacia del provvedimento che impedisce la ripresa dei lavori avviati dai ricorrenti. Il Tar ha condiviso, a tale riguardo, la stigmatizzazione operata dai primi intervenienti, non essendo plausibile che il ricorso, cui accedeva la domanda di tutela cautelare anche monocratica, fosse stato proposto avverso un provvedimento la cui efficacia, in tesi, sarebbe venuta meno appena otto giorni dopo: l'atto introduttivo del presente giudizio, infatti, è stato notificato e depositato in data 8 luglio 2022, laddove il preteso termine di efficacia del provvedimento impugnato sarebbe scaduto il successivo 16 luglio. In ogni caso, anche volendo ammettere che i pochi giorni residui di "paralisi del cantiere" fossero forieri di gravi pregiudizi per i ricorrenti, la tardiva segnalazione di una circostanza potenzialmente idonea a consentire la sollecita definizione del giudizio già in sede cautelare configura un abuso dello strumento processuale. Il Tar ha poi evidenziato l'infondatezza della tesi inerente alla sopravvenuta inefficacia dell'impugnata ordinanza. Nel caso in esame, infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, può farsi questione della legittimità di un termine diverso da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della competenza del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato. Il Tar ha ricordato che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. 2. Si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello il Comune di (omissis), Ro. De Mu. ed altri e il Condominio "Vi. Bo.". 3. Parte appellante fa presente che nel corso del giudizio di primo grado i ricorrenti odierni appellanti hanno chiesto che il ricorso venisse dichiarato improcedibile per sopravvenuta inefficacia dell'ordine di sospensione lavori, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001. Contesta la tesi del Tar secondo cui, stante la perdurante efficacia del provvedimento impugnato di sospensione lavori, difetterebbero le condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Ritiene che: - la dichiarazione di improcedibilità del ricorso avverso l'ordine di sospensione non sia in alcun modo satisfattiva delle ragioni dei ricorrenti in quanto se è vero che ciò avrebbe consentito di riprendere i lavori è altrettanto vero che gli stessi sarebbero rimasti pur sempre esposti alla vigilanza del Comune e alla emissione di atti repressivi di eventuali illeciti; - la proposizione del ricorso in questione non sarebbe abuso del processo, ma invece normale esercizio del diritto di difesa al fine di ottenere l'annullamento nel merito dell'ordinanza di sospensione lavori o quantomeno la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta inefficacia dell'atto per decorso del termine stabilito dalla legge anche in funzione della proponenda azione risarcitoria dei danni causati dall'arbitraria sospensione lavori. Ritiene che il giudice di prime cure abbia ignorato che la stessa ordinanza ha esplicitamente riconosciuto la propria natura cautelare e ha richiamato le disposizioni del D.P.R. n. 380/2001. Sulla base di ciò non potrebbero sussistere dubbi sull'applicabilità nel caso di specie dell'art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 (il cui contenuto è trasfuso anche nella Legge Regionale sull'edilizia n. 16 del 2008 all'art. 40) ed in particolare del termine di efficacia di 45 giorni per la sospensione lavori. Il provvedimento del Comune di (omissis) non sarebbe semplicemente illegittimo per violazione delle norme che stabiliscono il termine di efficacia dell'ordinanza di sospensione, ma diverrebbe addirittura nullo per difetto assoluto di attribuzione. Parte appellante ribadisce pertanto l'improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta inefficacia del provvedimento di sospensione lavori atteso che nel termine perentorio di 45 giorni - ma neppure successivamente - non è stato adottato alcun provvedimento definitivo comunale. 3 - bis. L'appello è infondato e pertanto il collegio può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari. Le censure sono infondate. Infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, come affermato dal Tar, può farsi questione della legittimità di un termine diverso (ossia fino alla data di adozione del provvedimento di delimitazione) da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso o la cessata materia del contendere. 4. Parte appellante lamenta poi l'illegittimità dell'accertamento incidentale sulla proprietà contenuto nella sentenza appellata. Infatti la natura stessa dell'ordinanza di sospensione lavori non presuppone alcun accertamento definitivo sulla titolarità dell'area oggetto di intervento edilizio impedendo che si possa instaurare un rapporto di pregiudizialità tra esame del ricorso giurisdizionale attinente la legittimità del provvedimento e l'accertamento in via incidentale del diritto di proprietà sul terreno in questione. L'impossibilità di un accertamento incidentale sarebbe reso ancor più evidente dal fatto che parte ricorrente all'udienza del 24 maggio 2023 ha concentrato la subordinata azione di annullamento insistendo solo sulla violazione del termine finale della sospensione lavori legato nel suo termine finale ad un evento incertus an et quando. 4 - bis. Le censure sono infondate. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato e non questione principale. Infatti sul punto l'ordinanza impugnata in primo grado fa specifico riferimento alla descrizione dei luoghi e alla conseguente possibilità che le opere sono state previste ed eseguite sul demanio marittimo. Nel caso di specie oggetto principale della contestazione è proprio l'ordine di sospensione dei lavori e la connessa sopra richiamata motivazione. L'accertamento della proprietà demaniale costituisce questione incidentale scrutinabile dal giudice amministrativo ai sensi del primo comma dell'art. 8 del cod. del proc. amm. secondo cui il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (così Cons. di Stato, Sez. VII, 23 settembre 2022, n. 8225). 5. Parte appellante ritiene che la sentenza appellata sia illegittima perché il giudice di prime cure si sarebbe discostato dalle determinazioni in materia di confine demaniale delle Amministrazioni competenti. Fa riferimento alla circostanza che: - la Capitaneria di Porto, dopo aver esaminato la questione con nota del 16 maggio 2022 prot. n. 9424 aveva esplicitamente consentito la prosecuzione dei lavori; - l'Agenzia del Demanio ha avuto modo di chiarire che il muro in corso di realizzazione, una volta completato, avrebbe rappresentato "il confine demaniale aggiornato". Il giudice di prime cure, pur in presenza di queste valutazioni delle competenti Amministrazioni sul profilo della demanialità, se ne sarebbe inopinatamente discostato e avrebbe provveduto in autonomia ad individuare di fatto un nuovo confine tra proprietà privata e demanio marittimo, quando la legge assegna tale compito all'Amministrazione nella figura del Capitaneria di Porto competente o al giudice ordinario. Secondo parte appellante la controversia in esame riguarderebbe un'ordinanza di sospensione lavori che non comporta alcun accertamento sulla regolarità o meno dell'opera edilizia con conseguente impossibilità da parte del giudice di prime cure di esaminare la legittimità ovvero l'esistenza della SCIA edilizia che ha assentito il muro di protezione dagli eventi meteo-marini. 5 - bis. Le censure sono infondate. La sentenza appellata è congruamente motivata sul punto anche con riferimento agli esiti della verificazione espletata nel giudizio di primo grado. Infatti il Tar ha premesso che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, l'accertato difetto di legittimazione ad eseguire le opere comporta necessariamente la non regolarità delle opere edilizie di cui alla Scia. In conclusione l'appello deve essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza con liquidazione nella misura di: - Euro 2.000 a favore del Comune di (omissis); - Euro 2.000 per i seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu.ed altri; - Euro 2.000 a favore del Condominio "Vi. Bo.". P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di: Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis); Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore dei seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu. ed altri; Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Condominio "Vi. Bo.". Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE II SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e nella persona del dott.ssa Martina Fusco, in funzione di giudice unico, pronuncia ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 2926 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, vertente TRA (...), elett.te dom. presso lo studio dell'avv. (...), dal quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti ATTORE E (...), in persona del legale rapp.tep.t., elett.te dom.to presso lo studio dell'avv. (...), dalla quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti CONVENUTO Oggetto: impugnativa delibera assembleare RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente decisione è adottata ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. e, quindi, è possibile prescindere dalle indicazioni contenute nell'art. 132 c.p.c. Infatti, l'art. 281-sexies c.p.c., consente al giudice di pronunciare la sentenza in udienza al termine della discussione dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, senza dover premettere le indicazioni richieste dal secondo comma dell'art. 132 c.p.c., perché esse si ricavano dal verbale dell'udienza di discussione sottoscritto dal giudice stesso. Pertanto, non è affetta da nullità la sentenza, resa nella forma predetta, che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice e le parti, le eventuali conclusioni del P.M. e la concisa esposizione dei fatti e dei motivi della decisione (Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22409). Ancora, in tale sentenza è superflua l'esposizione dello svolgimento del processo e delle conclusioni delle parti, quando questi siano ricostruibili dal verbale dell'udienza di discussione e da quelli che lo precedono (Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7268; Cass. civ., Sez. III, 15 dicembre 2011, n. 27002). Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) impugnava la delibera assembleare del 13/02/2015 approvata dall'assemblea del (...), cui l'attore non aveva partecipato. A sostegno della propria domanda, in particolare, deduceva quale primo motivo di impugnazione, l'inadempimento dell'amministratore di condominio alla richiesta di consegna della documentazione richiesta; quale secondo motivo di impugnazione, allegava numerosi vizi della delibera impugnata - di approvazione del bilancio consuntivo. In particolare: - erronea applicazione dell'aliquota per la determinazione della rivalsa da addebitare, a titolo di contributo iscrizione Gestione Separata - Inps, per il compenso dell'amministratore; - erronea determinazione del compenso amministratore; - erronea rendicontazione della quota per la manutenzione ascensore Scala A; - erronea rendicontazione della quota per la pulizia Scala A e per la pulizia Piazzale; - erronea rendicontazione della quota dovuta per la verifica biennale dell'ascensore Scala A. Concludeva, quindi, chiedendo la declaratoria di nullità della delibera impugnata, con vittoria di spese. Si costituiva in giudizio il (...) convenuto, il quale, in persona del proprio amministratore e l.r.p.t, contestava tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, ed in particolare rimarcava la legittimità di tutto gli addebiti rendicontati in bilancio; specificava, inoltre, che tutta la documentazione richiesta era stata in effetti consegnata all'attore. Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Veniva espletata l'istruttoria ritenuta rilevante, ed in particolare veniva disposta CTU volta alla verifica della regolarità delle rendicontazioni effettuate in sede di bilancio approvato. Depositata la perizia, la causa veniva ritenuta matura per la decisione. L'udienza del 23/05/2024, disposta per la discussione ex art 281 sexies c.p.c., veniva sostituita dal deposito di note di trattazione scritta; nessuna delle parti costituite proponeva opposizione alla suddetta modalità di trattazione nel termine stabilito dalla legge e, anzi, entrambe depositavano note, in cui concludevano riportandosi a tutte le difese in atti. Il giudizio viene pertanto deciso con la presente pronuncia, allegata al provvedimento ex art 127 ter c.p.c.. Preliminarmente, non può dubitarsi della legittimazione attiva dell'attore; ed infatti, l'art. 63 co 4 delle disp. att. del codice civile stabilisce, nel caso di vendita di un immobile facente parte di condominio, la solidarietà dell'alienante e dell'acquirente rispetto ai debiti di natura condominiale relativi all'annualità in corso e a quella precedente alla data della vendita. Permane, pertanto, l'interesse dell'attore alla pronuncia in esame. Nel merito, la domanda va rigettata per le ragioni che qui si diranno. Quanto alla mancata consegna di documenti, va rilevato in primo luogo che per la costante giurisprudenza di legittimità "se ciascun comproprietario ha la facoltà di richiedere e di ottenere dall'amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo e senza avere neppure l'onere di specificare le ragioni della richiesta finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti, è altresì certo che l'esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all'attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza" (tra le altre, in questi termini, Cass. Civ. Sez. VI-2, 28/07/2020, n. 15996; Cass. Civ. Sez. 2, 21/09/2011 n. 19210; Cass. civ. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159). In sostanza, se è vero che in capo all'amministratore grava l'onere di esibizione dei documenti contabili, è anche vero che le richieste del singolo condomino non posso costituire violazione del principio di leale collaborazione tra le parti, rappresentando un ostacolo per lo svolgimento dell'attività dell'amministratore. Ebbene nel caso in esame, deve rilevarsi che l'amministratore, tenuto conto della puntuale richiesta da parte del (...) ha prontamente provveduto a rilasciare allo stesso copia della documentazione richiesta, necessaria alla verifica di quanto oggetto del bilancio consuntivo ad approvarsi. Irrilevanti, e contrarie al principio di buona fede, appaiono le ulteriori doglianze mosse dalla parte attrice, a fronte della consegna della documentazione. Quanto, infatti, al registro dell'anagrafe condominiale, l'amministratore ha prontamente provveduto alla consegna dell'elenco dei nominativi dei condomini e a fronte di ciò, l'attore non ha esplicitato le ragioni per cui la documentazione in effetti consegnata, non sarebbe stata idonea. Parimenti è a dirsi quanto al contratto di manutenzione ascensore: la documentazione consegnata, appare idonea, prima facie, alla verifica della rispondenza dei costi con la contabilizzazione operata in consuntivo, ragion per cui non si ravvisa l'incidenza della mancata consegna del contratto sulla validità della delibera assembleare. Ancora, infine, medesimo ragionamento è possibile operare in ordine alla mancata consegna della movimentazione del conto corrente condominiale in quanto dalla documentazione consegnata dall'amministratore è possibile rinvenire il complesso di rapporti dare-avere di cui il condominio era titolare all'epoca. Per altro, tutte le suddette conclusioni sono consolidate proprio dal comportamento dell'attore che, nell'avviare il presente procedimento, ha pedissequamente sottoposto a critica l'operato dell'amministratore proprio sulla base della documentazione dallo stesso pervenuta. Alla luce di ciò, deve senza dubbio ritenersi che la perduranza della richiesta da parte del (...), anche a seguito della consegna da parte dell'amministratore della documentazione, da cui emergono i dati necessari per una consapevole partecipazione all'assemblea di approvazione del consuntivo, rappresenti un ostacolo all'attività dell'amministratore, e una violazione del principio di correttezza, anche alla luce del rapporto di collaborazione verosimilmente richiesto nell'ambito dei rapporti condominiali. Venendo al merito, la questione è stata correttamente rimessa all'accertamento del consulente tecnico d'ufficio, cui è stato, in particolare, demandato, di verificare la rispondenza tra la documentazione contabile in atti e le risultanze del bilancio consuntivo approvato e oggetto di impugnativa. Quanto al primo punto contestato, è stato chiesto al consulente di accertare la regolarità della rivalsa esposta nel compenso amministratore rispetto alla deliberazione assembleare di conferimento dell'incarico. Il CTU sul punto ha in primo luogo premesso che "i professionisti che esercitano un'attività per la quale non è prevista un'apposita cassa di previdenza sono tenuti all'iscrizione alla gestione separata dell'Inps. La gestione separata è un regime contributivo che prevede il pagamento di un contributo annuo, calcolato in percentuale sul reddito imponibile del professionista (...) i soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata, hanno la facoltà di addebitare in fattura al proprio committente una maggiorazione del 4% del compenso concordato, fermo restando che resta a suo carico l'obbligo del pagamento dei contributi Inps. Addebitando la rivalsa il professionista, in pratica, fa concorrere alla propria contribuzione previdenziale il soggetto committente, chiamato a versare il 4% del compenso, a titolo di rivalsa del contributo previdenziale Inps." Venendo al caso in esame, la consulente ha chiarito che dal consuntivo comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014, risulta un compenso all'amministratore del (...) per complessivi Euro 2.017,39 calcolando la rivalsa al 6% (Euro114,19) e quindi in violazione dell'indicazione normativa del 4%, articolo 1, comma 212, della Legge n. 622/1996: ne discende che il compenso base, senza rivalsa, è pari ad Euro 1.903,20. Calcolando, al contrario, la rivalsa al 4%, la stessa sarebbe pari Euro 76,13: la differenza totale ammonta, quindi, ad Euro38,06, di cui, a credito del condominio (...), Euro 1,48 (Millesimi 34,70 su 997,739). In ordine a tale conclusione, deve in primo luogo anticiparsi, come più in avanti si avrà modo di argomentare approfonditamente, che trattasi dell'unico punto rispetto al quale la CTU ha, in effetti, rilevato una incongruenza. Può, però, ritenersi, che tale incongruenza, per la sua entità minima, non può in alcun modo incidere sulla validità della delibera assembleare impugnata. Sul punto vale specificare che secondo la maggioritaria giurisprudenza di legittimità, "il condomino che intenda impugnare una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale." Cass. civ. ordinanza n. 6128 del 09/03/2017. Per la scarsa entità della differenza sostanziale riscontrata (pari ad Euro 1.48), deve escludersi che il credito derivante possa comportare un apprezzabile mutamento della posizione patrimoniale dell'attore, con conseguente rigetto del relativo punto. Come anticipato, tutti gli altri punti della delibera impugnati, sono stati considerati validi dall'analisi del CTU. Quanto al secondo punto oggetto di contestazione, l'incongruenza degli importi fatturati nel registro di contabilità e nel consuntivo in ordine al compenso dell'amministratore, il CTU ha chiarito che "che il principio di competenza economica è una prassi amministrativa che consiste nel considerare, nel conto economico di un bilancio d'esercizio, solo i costi e i ricavi che si riferiscono e hanno effetto in quel periodo di tempo, a prescindere dalle manifestazioni finanziarie già avvenute o che devono ancora avvenire". Ciò posto, dal bilancio comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014 emerge un costo per compenso amministratore per Euro 2.017,39, che fa correttamente riferimento alle spese di competenza dell'esercizio: la somma non indicata nel registro di contabilità (in cui si fa riferimento solo alla somma di Euro 1.849,27) non è ivi annotata poiché nella compilazione del registro, si fa riferimento al principio di cassa, per cui mancano gli esborsi in effetti non ancora perfezionatisi. "Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale, invece, sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori. È corretto, pertanto, riportare tra i debiti verso fornitori l'importo di Euro 168,12 (ovvero Euro 2.017,39 - Euro 1.849,77). Gli importi sono stati correttamente ripartiti." Con riferimento al terzo punto oggetto di contestazione, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano tutti i giustificativi relativi alla voce "Manutenzione ordinaria Scala A" - per la cui indicazione specifica si rimanda al corpo della relazione peritale. Pertanto, l'importo di Euro 446,20 risulta correttamente giustificato e correttamente imputato. Parimenti, con riferimento al quarto punto oggetto di contestazione, inerente la spesa di pulizia della scala "A" e del piazzale, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano le seguenti fatture: - fattura n. 391 del 05/12/2014 relativa al servizio di pulizia per Euro 317,20; - fattura n. 25 del 02/01/2015 relativa al servizio di pulizia del mese di dicembre 2014 per Euro 317,20. Anche nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate in ragione dell'applicazione del principio di cassa, in quanto tali uscite non erano state ancora effettuate; le voci sono però presenti nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale. Pertanto, anche tale importo risulta correttamente ripartito tra i condomini. Infine, con riferimento al quinto punto oggetto di contestazione, con riferimento alle spese di verifica biennale ascensore scala "A", il consulente ha chiarito che nella documentazione in atti risulta la fattura n. 5221 del 07/10/2014 della (...) s.p.a. di complessivi Euro 294,91 e relativa alla verifica periodica dell'impianto ascensore Scala A e (...). Dal bilancio comparato risulta che l'amministratore ha imputato tale costo di competenza dell'anno 2014 per il 50% alla: tabella B "Scala e Ascensore Scala A per Euro 152,25 e alla tabella B "Scala e Ascensore Scala B per Euro 152,25. Anche in questo caso, l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità la voce di costo contestata in ragione dell'applicazione del principio di cassa. Pertanto, anche il suddetto importo, è stato correttamente ripartito. Delle conclusioni cui è giunto il CTU nella propria relazione peritale non si ha alcun motivo di dubitare. Ed infatti, ferma la coerenza tra le premesse metodologiche e le conclusioni stesse, non può non sottolinearsi il chiaro riferimento a tutta la documentazione depositata in atti e, soprattutto, ai principi generali in materia di tenuta della contabilità applicabili al caso in esame. In particolare, in risposta alle contestazioni sollevate da parte attrice in sede di osservazioni, la dott. (...) ha rilevato che "l'art. 1130 bis c.c. dispone anche che nel registro di contabilità devono essere annotate le voci di entrate e di uscita (principio di cassa), per cui se ne deduce che al rendiconto condominiale si applica il criterio misto di cassa (per la tenuta del registro di contabilità) e di competenza (per la redazione del riepilogo finanziario). In tal senso Trib. Roma sentenze nn. 246/2019 e 1918/2019. Nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate poiché per il principio di cassa tali uscite non sono state ancora effettuate. Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori." Proprio in applicazione dell'art. 1130 bis del Codice civile - a norma del quale "Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti" -, pertanto, si impone, nell'ambito dei rapporti condominiali, l'utilizzo del criterio di cassa per la compilazione del registro di contabilità, senza, però, che l'applicazione del suddetto principio, possa incidere sulla ripartizione di tutte le spese di competenza dell'annualità in corso, laddove di tali spese vi sia idoneo giustificativo, pur non essendo stato già operato l'esborso pecuniario relativo. La domanda va, per tutte le ragioni anzidette, integralmente rigettata. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ai sensi del DM 147/2022, secondo il valore della controversia, prendendo come riferimento i parametri minimi, stante l'assenza di questioni in fatto e in diritto di particolare complessità. Parimenti in capo all'attore soccombente vengono definitivamente poste le spese di CTU, come liquidate in separato decreto del 14/01/2021. P.Q.M. Il Tribunale di Nocera Inferiore, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: a) rigetta la domanda; b) condanna parte attrice al pagamento, in favore di parte convenuta delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.278,00 oltre Iva e Cpa, come per legge, e rimb. spese forf. (nella misura del 15% del compenso); c) pone definitivamente in capo a parte attrice le spese di CTU, come liquidate in separato decreto. Depositato telematicamente in data 31 maggio 2024.

  • IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, pronunzia la presente SENTENZA nel proc. n. 7663/2021 RG promosso da (...), residente a Padova, (...), residente a Padova, (...), rappresentati e difesi dagli avv.ti (...) con domicilio eletto presso il loro studio del primo in Dolo (VE), (...) e con domicilio digitale eletto ai sensi dell'art. 16 sexies D.L. 179/2012 agli indirizzi pec: (...) contro (...) (...), entrambi residenti in Padova (PD), (...), rappresentati e difesi, per procura in calce al presente atto, dagli avv.ti (...) del Foro di Padova, con domicilio digitale eletto presso gli indirizzi di posta elettronica certificata (...) nonché contro (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...), con domicilio eletto presso il di lui studio in Padova (...) con l'avv. (...) con la chiamata in causa di Condominio (...) contumace OGGETTO: risarcimento danni ai sensi dell'art. 2043 c.c. in edificio condominiale - responsabilità dell'amministratore MOTIVAZIONE 1. (...) comproprietari di un appartamento con annesso garage al piano terra sito in Padova, (...) facente parte del complesso di abitazioni denominato "Condominio (...)", amministrato da (...) espongono che il 19 dicembre 2019 si accorgevano dell'improvviso allagamento del loro garage. L'acqua scendeva abbondante a rivoli dal soffitto e si riversava all'interno del box, inzuppando i beni in esso contenuti, quali attrezzi dei figli, vestiti, scarpe ed effetti personali nonché una moto Harley Davidson. (...) cercava di porre al riparo i propri beni e avvertiva l'amministratore del Condominio (...), nonché i proprietari dell'appartamento sovrastante (...) e (...). Dopo alcuni giorni, gli attori scoprivano che le infiltrazioni d'acqua erano state generate dalla rottura di una tubazione idrica (lo scarico della vasca da bagno) dell'appartamento posto al piano superiore di proprietà dei predetti (...) e (...) riparata da una squadra di idraulici inviata dall'amministratore (...). Quest'ultimo li rassicurava, informandoli che avrebbe aperto un sinistro sulla polizza condominiale che presentava garanzia sottoscritta a tutela dei danni da acqua condotta al fabbricato e al contenuto delle singole unità abitative e che quindi nulla vi era da preoccuparsi per quanto concerneva il ristoro dei danni subiti. La Compagnia di assicurazione (...), a seguito della denuncia dell'amministratore del Condominio, apriva il sinistro n. (...) e veniva eseguito il sopralluogo esplorativo da parte del perito incaricato. Tuttavia, la stessa Compagnia, con raccomandata del 2.10.2020, comunicava il diniego dell'indennizzo in quanto la polizza decorreva solo dalle ore 24 del 20.12.2019. Gli attori venivano in tal modo a sapere che l'amministratore non aveva adempiuto a quanto deliberato dall'assemblea del 23.10.2019 di approvazione del bilancio preventivo di gestione ordinaria dall'1.07.2019 al 30.06.2020, ove era stata prevista la voce di spesa per la stipula (rectius rinnovo) dell'assicurazione polizza globale fabbricati. Ciò premesso, (...) e (...) hanno convenuto in giudizio sia (...) e (...) (...) sia (...), per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti, quantificati in complessivi euro 15.000,00. (...) e (...) resistono ed hanno chiesto di essere manlevati da (...) chiedendo anche la sua condanna al pagamento delle spese condominiali poste a loro carico nei bilanci 2019/2020 e 2020/2021 sempre per il ripristino delle parti comuni e private necessitato dalla predetta perdita d'acqua per la complessiva somma di euro 1.595,00, oltre ad euro 697,60 per spese di mediazione, chiedendo che l'accertamento fosse effettuato anche nei confronti del Condominio, che è stato così chiamato in causa, rimanendo contumace. Anche (...) resiste. La causa è stata istruita mediante l'assunzione delle deposizioni dei testi (...), (...) (v. udienza 28.02.2023), e con il deposito di ctu estimativa dei danni del p.i. (...). Precisate le conclusioni e scaduti i termini previsti dall'art. 190 c.p.c., la causa passa ora in decisione. 2. Dalle concordi deposizioni di (...) e di (...) risulta che la perdita d'acqua è stata causata dalla vasca del sovrastante appartamento dei convenuti (...) (...) e (...) Il danno è stato dal ctu quantificato in complessivi euro 5.266,40 (iva compresa). (...) e (...) vanno pertanto condannati in solido a pagare tale somma agli attori (...) e (...). 3. Sussiste anche la responsabilità dell'amministratore (...) poiché è pacifico che egli non ha provveduto a stipulare l'assicurazione deliberata dall'assemblea il 2223.10.2019. Non ha alcuna rilevanza che (...) e (...) fossero morosi nel pagamento delle spese condominiali, né che l'assicurazione fosse destinata a coprire anche parti private dei singoli condomini. Nessuna di tali circostanze esimeva l'amministratore dall'adempiere a quanto deciso dall'assemblea condominiale, come conferma il fatto che il giorno dopo il sinistro l'amministratore ha provveduto a stipulare la polizza richiesta. 4. Lo stesso amministratore (...) deve tenere indenne anche i predetti convenuti, in quanto anche nei loro confronti è inadempiente all'obbligo di stipulare la polizza nascente dalla cit. delibera condominiale. Egli deve anche restituire loro la somma di euro 1.595,00 dagli stessi pagata quali spese condominiali a loro addebitate sempre a causa della predetta perdita d'acqua, senza che rilevi la mancata attivazione della mediazione (v. Cass., sez. un., 7.02.2024, n. 3452), né il fatto che (...) e (...) con abbiano impugnato i bilanci 2019/2020 e 2020/2021 che tali spese hanno approvato, poiché si tratta di res inter alios. 5. Si impongono quindi le declaratorie di cui in dispositivo. Le spese di giudizio, comprese quelle di ctu, seguono la soccombenza. P Q M definitivamente pronunziando, condanna (...) e (...) nonché (...) tutti in solido, a pagare a (...) e (...) la complessiva somma di euro 5.266,40 con interessi legali dalla data odierna al saldo, oltre agli interessi legali sulla stessa somma, devalutata alla data del 19.12.2019 e quindi rivalutata anno per anno sulla base degli indici Istat. Condanna (...) tenere indenne (...) e (...) a quanto saranno costretti a pagare a (...) e (...) per capitale, interessi e spese. Condanna inoltre (...) a pagare a (...) e (...) la complessiva somma di euro 1.595,00 con interessi legali dalla prima messa in mora al saldo. Condanna (...) e (...) e (...) in solido, a rifondere a (...) e (...) le spese di giudizio, liquidate in euro 237,00 per spese ed euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge e spese generali. Condanna (...) a rifondere a (...) e (...) le spese di giudizio (comprensive della fase della mediazione), liquidate in euro 98,00 per spese ed euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge e spese generali. Pone infine le spese di ctu definitivamente a carico di (...). Padova, 30 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO TREDICESIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Sabrina Bocconcello ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 40905/2017 promossa da: (...) tutti con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in (...) MILANO presso il difensore avv. (...) ATTORE/I contro (...), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in(...) MILANO presso il difensore avv. (...) CONVENUTO/I CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza. SVOLGIMENTO IN FATTO DEL PROCESSO omissis ex art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. cpc Si premette che la presente sentenza verrà redatta con motivazione stesa in forma concisa e sintetica in conformità anche con i criteri espressi e di cui alla pronunzia della Suprema Corte di Cassazione alle SS.UU. n. 642 del 16/01/2015. La presente si limiterà pertanto ad una succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, specificando che tale esposizione potrà fondarsi su precedenti conformi. Per quanto riguarda domande, eccezioni e richieste conclusive delle parti, si rinvia agli atti processuali delle medesime ed ai verbali delle udienze, atteso il contenuto dell'art. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. Att. cpc, che esclude una lunga e particolareggiata esposizione di tutte le vicende processuali anteriori alla decisione. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il presente procedimento trae origine dalla impugnativa della delibera del 14.3.2017 punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg (per numerosi motivi sia procedurali che sostanziali) svolta dagli attori con atto di citazione ritualmente notificato con il quale convenivano in giudizio il (...), per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Voglia il Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, conclusione e deduzione, previa sospensione dell'efficacia esecutiva ex art. 1137 c.c., così giudicare: Nel merito: dichiarare nulla o, comunque, annullare l'impugnata delibera assembleare, relativamente ai punti n. 1, 2, 3, 4 e 5 dell'ordine del giorno dell'assemblea del 14/03/2017 del (...), per i motivi di cui al presente atto. Con vittoria di spese e competenze di legge." Alla prima udienza del 21.12.2017 si costituiva in giudizio il (...) convenuto contestando ogni deduzione avversaria e chiedendo: "Respingere le domande tutte avanzate dagli attori nell'atto di citazione nei confronti del (...), in persona dell'Amministratore pro tempore in quanto infondate in fatto e in diritto per i motivi esposti. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio e delle spese del procedimento di mediazione". Concessi i richiesti termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c., la causa veniva rinviata per la discussione sull'ammissione dei mezzi istruttori all'udienza del 7.5.2018 Alla fissata udienza il Giudice -su specifica richiesta congiunta delle parti anche al fine di valutare ipotesi conciliative- disponeva CTU contabile, nominando il dott. (...) e rinviando per il giuramento del CTU e la formulazione del quesito. All'udienza del 18.6.2018 il CTU Dott. (...) accettava l'incarico e prestava il giuramento di rito sul quesito posto ed il Giudice rinviava per verificare l'esito del deposito dell'elaborato. Nelle more, a seguito di istanza del CTU, con ordinanza del 15.11.20218 veniva fissata udienza al 21.1.2019 ove le parti concordavano di integrate il quesito posto al CTu nel seguente modo "verranno esaminati su accordo delle parti i punti emersi in corso di operazioni peritali sono ad ora effettuate estrapolando tra questi quelli che saranno oggetto di specifico esame sulla base dei criteri statistici individuati dal CTU" In data 20.5.2019 il CTU depositava elaborato finale ed all'udienza del 20.6.2019 il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione rinviava la stessa per la discussione all'udienza del 25.11.2019 concedendo termine per il deposito di note conclusive sino al 15/11/19. Nelle more con istanza congiunta del 13.11.2019 le parti chiedevano differimento dell'udienza in pendenza di trattative. La causa veniva rinviata all'udienza del 20/02/20, con termine per il deposito di note conclusive sino al 10/02/20. Con istanza congiunta del 03/02/20, le parti domandavano un ulteriore sempre in pendenza di trattative. Il Giudice, vista la suddetta istanza congiunta, a modifica dell'ordinanza del 25/11/19 rinviava l'udienza del 20/02/20 al 25/02/20, sospendendo i termini per il deposito di note conclusive. La causa veniva poi differita, per impedimento d'ufficio, all'udienza del 27/02/20. Le parti, sempre al fine di coltivare le trattative volte a trovare una soluzione conciliativa, domandavano una serie di rinvii. Il giudizio veniva dapprima rinviato all'udienza del 05/06/20 e poi a quella del 21/10/20, ove su richiesta delle parti il Giudice rinvia per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 15.12.2020. Alla fissata udienza le parti, ritenendo ancora possibile il raggiungimento di un accordo transattivo, domandavano un rinvio in pendenza di trattative ed il Giudice rinviava così la causa all'udienza del 13/04/21. All'udienza del 13/04/21, le parti davano atto del fallimento delle trattative e il Giudice, su richiesta delle parti rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 14/12/21. Le parti, in considerazione della nomina di un nuovo amministratore, sempre al fine di raggiungere una conciliazione, domandavano un ulteriore rinvio in pendenza di trattative: la causa veniva dapprima rinviata all'udienza del 03/03/22, poi all'11/07/22 e, infine, per impedimento d'ufficio del Giudice al 15/09/22. In data 12/09/22, le parti depositavano una nuova istanza di differimento udienza sempre in pendenza di trattative. La causa veniva rinviata al 28/11/22, poi al 20/03/23, 02/10/23 e, infine, al 26/02/24. All'udienza del 26/02/24 le parti chiedevano fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni ed il Giudice rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 13/03/24, all'esito della quale la stessa veniva rinviata per la discussione con temine alle parti per il deposito di note conclusive. All'udienza del 31.5.2024 in esito alla discussione viene data lettura della sentenza. Quale primo motivo di impugnazione della delibera del 14.3.2017 il condomino (...) in proprio e non quale legale rappresentante della (...) lamenta la mancata convocazione all'assemblea de quo. Il condominio convenuto eccepisce che il (...) proprietario di immobile nello stabile unitamente con la di lui madre Sig.ra (...) non poteva non sapere della convocazione in quanto destinatario di tre avvisi di convocazione uno inviato a (...) di cui è legale rappresentante (convocazione non ritirata); uno inviato alla madre (...) ed uno al fratello (...). Come noto, è ormai consolidato in giurisprudenza che: 1) l'assemblea deve esser convocata a mezzo di comunicazione scritta che deve pervenire ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per la riunione (art.66 disp.att.c.c.,ultimo comma) 2) la convocazione deve essere fatta a tutti gli aventi diritto 3) l'inosservanza di una di tali prescrizioni comporta la annullabilità della delibera, che può esser fatta valere entro 30 giorni, dalla delibera per i dissenzienti e dal ricevimento del verbale assembleare per gli assenti. (Cass. 26 settembre 2013 n. 22047 e cass. 8275/2019) A ciò si aggiunga che l'art. 66 disp. att. c.c. comma II così come novellato dalla riforma del 2012, e nel caso de quo pienamente applicabile posto che la delibera oggetto di impugnativa è del 14.3.2017 prevede che in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. Ne consegue che in caso di vizi della convocazione, la delibera può essere contestata (cioè il vizio relativo al difetto di convocazione) solo da coloro che hanno subito direttamente il pregiudizio e non da altri soggetti (Cass. civ. sez. II del 18 aprile 2014, n. 9082). Deve ritenersi che la novella del 2012 abbia inteso codificare il diritto soggettivo del condomino di partecipare all'assemblea in maniera informata (a tutela del quale è anche previsto un termine entro il quale l'avviso di convocazione deve pervenire a tutti i condomini), in mancanza del quale la delibera deve ritenersi invalida. Orbene, nel caso in esame il condominio conferma di non aver inviato al condomino (...) l'avviso di convocazione ma ne eccepisce la presunzione di conoscenza attesa la regolare convocazione della madre (...) comproprietaria e della (...) del quale il (...) è legale rappresentante Sul punto osserva questo Tribunale che la Suprema Corte (Cass. 26 settembre 2013 n. 22047 e cass. 8275/2019) qualifica l'avviso di convocazione atto eminentemente privato, e del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall'applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari - quale atto unilaterale recettizio- per cui esso rinviene la propria disciplina nell'art. 1335 c.c., al medesimo applicandosi la presunzione di conoscenza in tale norma prevista (superabile da una prova contraria da fornirsi dal convocato), in base alla quale la conoscenza dell'atto è parificata alla conoscibilità, in quanto riconducibile anche solamente al pervenimento della comunicazione all'indirizzo del destinatario e non alla sua materiale apprensione o effettiva conoscenza. Invero, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c., degli atti recettizi in forma scritta giunti all'indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo dell'atto nel luogo indicato dalla norma. Ed infatti giurisprudenza condivisa ha chiarito sul punto, che l'esigenza che tutti i comproprietari siano preventivamente informati della convocazione dell'assemblea condominiale può ritenersi soddisfatta quando risulti, secondo l'incensurabile accertamento del giudice di merito, che in qualunque modo i detti comproprietari ne abbiano avuto notizia" (Cass. Civ. Sez. II, 18 febbraio 2000, n. 1830) Pertanto, seppur vero che ai fini della validità delle delibere assembleari è necessario che tutti gli aventi diritto siano stati regolarmente convocati, in caso di comproprietari tale requisito può ritenersi soddisfatto qualora l'avviso sia inviato ad uno solo degli aventi diritto, purché si abbia ragionevole certezza di ritenere che anche il comproprietario sia stato reso edotto." La validità della convocazione per la riunione dell'assemblea condominiale di uno dei comproprietari pro indiviso di piano o di porzioni di piano di un condominio può evincersi anche dall'avviso dato all'altro comproprietario, qualora ricorrano circostanze presuntive tali da far ritenere che il secondo comproprietario abbia reso edotto il primo della convocazione stessa." (Cassazione civile, sez. II, 16/02/1996 , n. 1206) Ciò detto in punto di diritto, nei fatti per cui è causa risulta indiscusso il ricevimento della relativa convocazione e del successivo verbale di assemblea da parte di un solo dei comproprietari, ed esattamente di (...) (...). Dalle evidenze istruttorie non sono emersi elementi di conflittualità tra i comproprietari (...) tali da poter escludere una presunzione di conoscenza ed informazione circa la convocazione per l'assemblea del 14.3.2017, con la conseguenza che si deve ritenere che il sig. (...) sia stato reso edotto della convocazioni ricevute dalla madre e per l'effetto deve essere rigettata la domanda di annullabilità azionata per difetto di convocazione. Con il secondo motivo di impugnazione gli attori lamentano la nullità della delibera del 14.3.2017 per eccesso di potere dovuto alla mera reiterazione di 5 delibere impugnate ed in particolare le delibere del 11/03/14, punto n. 2; del 11/11/14, punti da 1 a 3; del 02/05/2016, punto n. 3; del 15/06/16 punti 1, 2 e 4; e del 13/12/16, punti da 1 a 6. Non è contestato che con la delibera del 14.3.2017 l'assemblea abbia reiterato quanto già deliberato in occasione delle assemblee sopra elencate senza nulla aggiungere né togliere. E' stato chiarito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità che affinché una delibera possa legittimamente sostituirsi a quella già impugnata, è necessario un riesame della precedente decisione, da effettuarsi attraverso un nuovo apprezzamento degli interessi da perseguire e comporre, eliminando eventuali vizi, finalizzato ad un concreto risultato gestorio a tutela della collettività condominiale; che se, invece, l'assemblea si limita semplicemente a confermare quanto già deciso in precedenza, la seconda deliberazione non può considerarsi "legittimo esercizio del potere discrezionale dell'organo deliberante assembleare", configurandosi, al contrario, un eccesso di potere che determina l'invalidità della seconda deliberazione (cfr. Cass.civ. 20.4.2001, n 5889); Infatti secondo la Suprema Corte, in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall'art. 2377, comma 8, c.c. dettato in tema di società di capitali, a condizione che la nuova deliberazione abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della deliberazione impugnata, ferma soltanto l'avvenuta rimozione dell'iniziale causa di invalidità. Orbene atteso che la delibera del 14.3.2017 nei punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg ha provveduto sui medesimi argomenti ratificando espressamente il contenuto della delibera le delibere del 11/03/14, punto n. 2; del 11/11/14, punti da 1 a 3; del 02/05/2016, punto n. 3; del 15/06/16 punti 1, 2 e 4; e del 13/12/16, punti da 1 a 6, va ritenuto sussistente l'eccesso di potere sotto il profilo della ravvisabilità in detta ultima assemblea del fine unico di eludere la definizione dei giudizi già pendenti. Ne consegue l'accoglimento della domanda attorea e la declaratoria di nullità della delibera de quo. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo, ponendo definitivamente a carico solidale delle parti le spese di CTU attesa la richiesta congiunta delle parti al solo scopo di verificare la possibilità di percorrere l'ipotesi transattiva. Sentenza esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, ogni altra istanza disattesa, rigettata o assorbita, così provvede: - dichiara nulla la delibera del 14.3.2017 punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg resa dal (...) convenuto, come in motivazione. - Condanna il (...) convenuto a pagare in favore degli attori, in solido tra di loro, le spese e competenze di lite e di mediazione, che liquida in Euro. 585,00 per spese e Euro.3.500,00 per compensi, oltre al 15% per spese generali, cpa e Iva di legge. - pone definitivamente a carico solidale delle parti le spese di CTU come in motivazione. Milano, 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NAPOLI Sesta Sezione Civile Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Roberta De Luca, lette le note di trattazione scritta depositate dalle parti; rilevato che ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note; ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 19005 del Ruolo Generale per gli Affari Contenziosi dell'anno 2023, avente ad oggetto: consegna elenco condomini morosi vertente TRA (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. Fr.La., presso il cui studio in Napoli alla (...) ha eletto domicilio; - RICORRENTE - CONTRO (...) in persona dell'amministratore e legale rappresentante pro tempore avv. Cl.D., C.F. P.IVA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Cl.D., che ne ha la facoltà ai sensi dell'art. 82 c.p.c., e dall'avv. Pa.Ca., con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Napoli alla (...) - RESISTENTE - RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 14.12.2023 (...) premesso di essere condomino dello stabile ubicato in Napoli alla (...), ha chiesto che fosse accertato il proprio diritto a ricevere la consegna della copia dell'estratto conto corrente del (...) relativamente ai seguenti periodi: 01.01.2017/31.12.2017 - 01.01.2018/31.12.2018 - 01.01.2020/31.12.2020 - 01.01.2021/31.12.2021, condannando il (...), nella persona dell'amministratore in carica, alla consegna della copia conforme dei suddetti documenti, fissando una sanzione ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'obbligo e con vittoria di spese di procedura. Fissata l'udienza di comparizione delle parti, si è costituito il CP1 resistente eccependo la continenza ovvero la litispendenza con altro procedimento avente n. 10033/2022 R.G.A.C., pendente dinanzi al Tribunale di Napoli ed avente ad oggetto la consegna di ulteriore documentazione condominiale, nonché l'improcedibilità della domanda per parcellizzazione delle richieste di consegna. Ha contestato, nel merito, la fondatezza della domanda. Instaurato il contraddittorio e rinviata la trattazione al fine di consentire la consegna della documentazione richiesta dal ricorrente, nel corso dell'udienza odierna, previa discussione orale, la causa è stata discussa e decisa. Deve, in primo luogo, essere disattesa l'eccezione di litispendenza in quanto nel giudizio iscritto al n. 10033/2022 R.G.A.C. è stata richiesta la consegna di documentazione diversa ed ulteriore rispetto a quella richiesta con il presente giudizio e, segnatamente, di copia dei registri di contabilità dal 2017 al 2021; dei verbali assembleari relativi al medesimo arco temporale; dell'ultimo bilancio consuntivo approvato; del regolamento e dell'anagrafe condominiale. Com'è noto, invece, ai fini dell'applicazione dell'art. 39 c.p.c. occorre che le domande abbiano identità di petitum e di causa petendi. Per quanto concerne l'eccezione di inammissibilità della domanda per violazione dell'obbligo di buona fede e per il frazionamento della domanda, va rimarcato che le sezioni unite della Cassazione hanno affermato che: "le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c." (Cass. civ., ord. n. 17893 del 06.07.2018; in senso conforme Cass. civ., sent. 6591 del 07.03.2019). Ne consegue che, essendovi interesse del ricorrente all'acquisizione della documentazione richiesta e potendo l'interesse a richiedere documentazione bancaria essere sorto dopo, se non in conseguenza, della richiesta di consegna della documentazione di cui al giudizio avente n. 1033/2022 R.G.A.C., indipendentemente dalla proposizione di due autonomi giudizi non si è incorsi in alcuna inammissibilità della domanda. Passando all'esame, nel merito, della domanda, deve, conformemente alle conclusioni rassegnate, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, in quanto la documentazione richiesta è stata consegnata in corso di causa. Secondo la giurisprudenza di legittimità la dichiarazione di cessazione della materia del contendere è, in sostanza, un rigetto per sopravvenuta infondatezza della domanda e/o per sopravvenuta carenza di interesse - che, essendo una condizione dell'azione, deve sussistere al momento di adozione della pronuncia -. Tale dichiarazione si adotta, quindi, quando viene a mancare ogni posizione di contrasto tra le parti per essere sopraggiunti nel corso del processo eventi estintivi della controversia (Cass. 3690/1988) oppure quando, pur sopravvivendo formalmente un contrasto o comunque una domanda di parte, sono intervenute situazioni sostanziali che abbiano privato la parte di un interesse giuridicamente rilevante alla pronuncia (Cass. 8219/1996; 2970/1993; 4792/1991; 46/1990), come nei casi in cui vi sia stata una transazione, il riconoscimento della pretesa, la rinuncia all'azione, la morte della parte in azioni intrasmissibili o - come nel caso in esame - la soddisfazione della pretesa. Passando all'esame della disciplina delle spese di lite secondo il principio della soccombenza virtuale, occorre premettere, in termini generali, che gli obblighi informativi e di rilascio di copie, gravanti sull'amministratore del condominio e normativamente sanciti, sono: quello, di cui all'art. 1129, II comma, c.c., di far prendere gratuitamente visione, previa richiesta all'amministratore, e di far ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata dall'amministratore del registro dell'anagrafe condominiale, del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell'amministratore e del registro di contabilità; quello, di cui all'art. 1130 n. 9) c.c., di "fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso"; quello, di cui all'art. 1130 bis c.c., di far prendere visione ai condomini "dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo e estrarne copia a proprie spese". Il diritto, normativamente sancito, ad ottenere copia integrale degli estratti di conto corrente condominiale non è perciò stabilito dalla legge ma, in ogni caso, rientra nel più ampio obbligo di rendicontazione proprio dell'amministratore di condominio, dovendo dare conto della propria gestione anche con riferimento alla movimentazione delle somme afferenti alla gestione condominiale sul conto corrente a ciò dedicato. Né, tantomeno, il (...) resistente in alcun modo ha contestato l'interesse del ricorrente ad ottenere la suddetta documentazione. Non può, peraltro, essere adottato alcun ordine di consegna a carico del (...) resistente, dovendo esserne rilevato, d'ufficio, il difetto di legittimazione passiva. Trattandosi di decisione fondata su di una questione processuale, in relazione alla quale le parti hanno la facoltà "ex ante" di esercitare ampiamente il contraddittorio, non occorreva sottoporre la questione al previo contraddittorio fra le parti in causa (cfr Cass. civ., sent. n. 24312 del 16.10.2017; in senso conforme Cass. civ., ord. n. 12978 del 30.06.2020), pur essendo le parti state espressamente invitate a tanto con ordinanza di fissazione dell'odierna udienza. Com'è noto la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la indicazione di fatti in astratto idonei fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'istante, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento. La titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, invece, si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata (cfr. Cass. civ., sent. n. 14468 del 30.05.2008; Cass. civ., sent. n. 355 del 10.01.2008; Cass. civ., sent. n. 11321 del 16.05.2007; Cass. civ., sent. n. 4796 del 06.03.2006). Di conseguenza, il difetto di titolarità deve formare oggetto di specifica e tempestiva deduzione in sede di merito, mentre il difetto di legittimazione ad causam deve essere oggetto di verifica, preliminare al merito, da parte del giudice, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (cfr. Cass. civ., sent. n. 20819 del 26.09.2006). La legittimazione ad agire costituisce, quindi, una condizione dell'azione, una condizione per ottenere cioè dal giudice una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa. Appartiene, invece, al merito della causa, concernendo la fondatezza della pretesa, l'accertamento in concreto se l'attore e il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio. Ciò premesso, la condanna alla consegna di documentazione è stata formulata non già nei confronti dell'amministratore in proprio, bensì nei confronti del (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore, con conseguente evocazione in giudizio dell'ente di gestione. Orbene, nell'ambito dei rapporti interni fra condomini mandanti ed amministratore, gli obblighi di consegna della documentazione condominiale sono assunti dall'amministratore in proprio, rispondendo costui contrattualmente nei confronti dei singoli condomini dell'inadempimento delle obbligazioni derivanti per legge dall'incarico professionale conferitogli (cfr Trib. Napoli, sez. VI, ord. 15.02.2019, in Condominioelocazione.it, 9 dicembre 2019). È solo nei rapporti esterni con i terzi creditori, invece, che l'obbligazione di consegna trova quale suo titolare passivo il condominio, in persona del suo amministratore, non già l'amministratore persona fisica (cfr Corte di Appello di Napoli, sent. n. 3015 del 28.06.2022, riferita all'obbligazione di consegna di cui all'art. 63 disp. att. c.c.). Nei confronti dei terzi, infatti, gli obblighi che gravano sull'amministratore sono l'espressione del suo potere di rappresentanza del (...) e, quindi, ove inadempiuti, non comportano una sua responsabilità diretta e personale verso i terzi creditori del (...), bensì una immediata responsabilità dell'ente di gestione che egli rappresenta. Nei rapporti interni all'ente di gestione, invece, l'amministratore risponde in proprio dell'inadempimento alle obbligazioni da lui contrattualmente assunte e, del resto, nel caso in cui l'inadempimento all'obbligazione di consegna sia posto a fondamento di una domanda di revoca giudiziale, legittimato passivo rispetto alla stessa è l'amministratore di condominio, in proprio, non già l'ente di gestione da costui rappresentato. Sarebbe, del resto, non equo riversare sull'intera compagine condominiale gli oneri ed i costi dell'inadempimento dell'amministratore alle obbligazioni di consegna di documentazione in favore di uno dei condomini. In conclusione, deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva del (...) resistente rispetto alla domanda azionata dalla ricorrente, con assorbimento della domanda di cui all'art. 614 bis c.p.c., evidenziandosi che è solo il soggetto "obbligato", ovvero il destinatario della domanda, non già un differente soggetto, che può essere condannato al pagamento di una somma di denaro in caso di violazione, inosservanza o ritardo nell'adempimento del provvedimento di condanna. Stanti i contrastanti orientamenti della giurisprudenza di merito in ordine al soggetto passivo della domanda di consegna di documentazione CP3 sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. Ai sensi dell'art. 12 bis del D.Lgs. 28/2010, infine, il (...) il quale non ha partecipato senza giustificato motivo all'incontro di mediazione del 18/09/2023, deve essere condannato al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. P.Q.M. Il giudice, definitivamente pronunciando, letti gli atti del procedimento iscritto al n. 19005/2023 R.G.A.C., ogni altra domanda, eccezione e difesa disattesa, così provvede: a) dichiara la cessazione della materia del contendere; b) compensa integralmente fra le parti le spese di lite; c) condanna il (...) sito in Napoli alla (...) al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Napoli, 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8671 del 2022, proposto dalla sig.ra Lu. Qu., rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ad., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via (...), nei confronti - della società Im. Sa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; - del Condominio Pa. Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, n. 6212/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta, della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania e del Condominio Pa. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso allibrato al numero 357/2020 del Registro Generale del T.A.R. per la Campania, il dott. St. Sa., quale amministratore unico della società Do. S.r.l. nonché in proprio quale residente nel Condominio Pa. Sa. sito in Caserta alla via (omissis), e la sig.ra Qu. Lu., quale residente nel medesimo Condominio, agivano per l'annullamento della "autorizzazione in deroga al progetto di autorimessa privata con superficie compresa tra 300 e 1.000 mq. ex art. 7 DPR 151/2011 rilasciato alla Im. Sa. s.r.l. il 13/09/2019 dal Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta prot. n. 0014751", nonché dei relativi atti presupposti. Veniva premesso in ricorso che la società Do. S.r.l. era proprietaria di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto-quinto e seminterrato del più ampio fabbricato condominiale denominato "Condominio Sa.", avendoli acquistati con atto del 4 luglio 2018, mentre le due persone fisiche ricorrenti erano stabili residenti nel medesimo Condominio. Esponeva quindi la parte ricorrente che, mediante gli atti impugnati, era stata illegittimamente concessa una deroga alla normativa antincendio, ai sensi dell'art. 7 d.P.R. n. 151 del 1° agosto 2011, con riferimento ad una autorimessa all'interno dell'edificio condominiale benché realizzato successivamente alla entrata in vigore del suddetto d.P.R.. Mediante gli articolati motivi di ricorso, veniva evidenziato che, in primo luogo, la ditta realizzatrice del complesso immobiliare, a seguito della costituzione del relativo Condominio, non aveva più titolo a richiedere ed ottenere la deroga, con la conseguenza che la relativa istanza, non provenendo da soggetto legittimato (da identificarsi appunto nel Condominio), non poteva che essere archiviata. Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente deduceva che la deroga prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 non poteva applicarsi ai nuovi fabbricati, come confermato dagli artt. 11, comma 4, e 4, comma 6, del medesimo d.P.R., con la conseguenza che il costruttore avrebbe dovuto dichiarare ab origine l'esistenza di un garage avente metratura superiore a 300 mq. e che le opere rientravano quindi nel campo di applicazione della normativa antincendio, con particolare riguardo alla sottoclasse 75/1/A: gli Uffici intimati, quindi, avrebbero rilasciato non una deroga, ma una sanatoria extra ordinem di un illecito, sulla scorta delle false dichiarazioni rese dalla controinteressata, la quale, in tutti gli elaborati progettuali e financo nella dichiarazione rilasciata ai sensi dell'art. 24, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 in data 20 aprile 2018 da parte del Direttore dei Lavori, aveva affermato che l'autorimessa non rientrava nel campo di applicazione della normativa antincendio e che il parcheggio era inferiore ai 300 mq.. Infine, la parte ricorrente deduceva l'illegittimità della deroga in quanto non preceduta dalla acquisizione del parere del C.T.R., previsto dall'art. 7, comma 3, d.P.R. cit.. Con i motivi aggiunti depositati in data 26 marzo 2020, scaturenti dal deposito documentale effettuato dall'Amministrazione intimata, la parte ricorrente deduceva la carenza della dichiarazione di conformità, ex art. 7 D.M. 22 gennaio 2008, n. 37, dell'impianto elettrico al servizio dell'autorimessa, costituente presupposto per ottenere l'agibilità ex art. 9 D.M. cit. e la deroga stessa. Essa lamentava quindi che il Comando dei VV.FF., invece di bloccare la S.C.I.A. del 12 dicembre, prot. n. 20842, aveva consentito alla controinteressata di produrre la predetta documentazione entro 45 gg.. Allegava altresì la ricorrente che risultava prodotta una nota asseverata a firma dell'Ing. Es. del 3 gennaio 2020 che, stravolgendo il Mod. PIN 2.1 approvato dal Ministero, sotto la sua responsabilità penale asseverava per lavori definitivi di "nuovo insediamento" quanto segue: "assevera la corrispondenza di quanto trasmesso con quanto dichiarato nella dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico richiesto". La ricorrente deduceva quindi la mancanza nella suddetta dichiarazione di ogni contenuto asseverativo, laddove il Mod. PIN 2.1. ministeriale era così diversamente formulato: "Assevera la conformità della/e attività sopraindicata/e ai requisiti di prevenzione incendi e di sicurezza antincendio". Aggiungeva la ricorrente che il medesimo Ing. Es. aveva allegato alla suddetta "asseverazione" una dichiarazione di conformità del 3 gennaio 2020 dell'impianto a regola d'arte della ditta Ed. che, però, concerneva la "manutenzione straordinaria" dell'impianto ed era priva di 3 allegati obbligatori, limitandosi la medesima ditta ad affermare di aver controllato e verificato l'impianto, senza indicare né allegare il progetto, non potendosi verificare la conformità ad un progetto non allegato. Deduceva ancora la ricorrente che la ditta Ed. aveva allegato la dichiarazione n. 10/2019 della Om. Im. S.r.l. del 9 dicembre 2019, priva degli allegati richiamati, concernente un nuovo impianto su impianto già esistente consistito nella "Installazione di lampade di emergenza, quadro elettrico per pulsante di sgancio autorimessa", senza dichiarare di aver "rispettato il progetto", che non era allegato al pari di altri due elaborati obbligatori (schema impianto e rifermento a dichiarazioni di conformità precedenti). A seguito dell'ulteriore deposito documentale effettuato dall'Amministrazione, la ricorrente depositava in data 8 aprile 2020 ulteriori motivi aggiunti, con i quali deduceva, in sintesi: che la dichiarazione della ditta Om. Im. del 9 dicembre 2019 era priva della carta di identità del dichiarante e quindi da considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 38, comma 3, d.P.R. n. 445/2000; che la dichiarazione della ditta Ed., a differenza di quella già depositata, non recava il numero di protocollo; che al punto I della relazione dell'Amministrazione del 2 aprile 2020 si affermava che la dichiarazione della ditta Om. del 9 dicembre 2019 era già allegata alla S.C.I.A. del 12 dicembre 2019, in contrasto sia con quanto precedentemente dedotto nella relazione del 24 marzo 2020, sia con il tenore della nota del 24 dicembre 2019, prot. n. 21559, sia con l'asseverazione del 3 gennaio 2020 a firma dell'Ing. Es. che allegava detta dichiarazione. 2. Il T.A.R., con la sentenza n. 6212 del 7 ottobre 2022, ha preliminarmente dichiarato l'inammissibilità dei motivi aggiunti, sia perché, "per loro tramite, è stato impugnato un atto (il "provvedimento del 05/02/2020 prot. n. 1908 di formalizzazione con esito positivo del verbale di visita tecnica di prevenzione incendi ai sensi dell'art. 4, c.2, del DPR 151/2011") non avente portata autonomamente lesiva, ma meramente accertativa ed endoprocedimentale e, come tale, da impugnare in uno al provvedimento principale", sia perché gli stessi "si innestano pur sempre su un ricorso introduttivo (al quale ineriscono) che, tuttavia, si appalesa irricevibile per tardività ". Per quanto concerne quest'ultimo profilo, il T.A.R., premesso che nella specie si contesta "l'illegittimità del titolo per il solo fatto del suo rilascio", ha osservato che "nella fattispecie in esame, considerato che le edificazioni realizzate successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011, dovevano nascere in maniera pienamente ossequiosa della normativa sulla sicurezza antisismica di cui al citato d.P.R., senza alcuna possibilità di rilascio di alcuna autorizzazione in deroga, già la notizia del mero fatto del rilascio in favore della controinteressata (che aveva costruito successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011) di un'autorizzazione in deroga, faceva sorgere nel ricorrente l'interesse ad impugnare la predetta autorizzazione e, con esso, l'onere di rispettare, nella proposizione della impugnativa, il termine iniziale decorrente dal momento in cui si è avuta detta conoscenza, senza alcuna necessità di avere piena conoscenza del preciso ed integrale contenuto del provvedimento autorizzatorio in deroga". Ciò premesso, ha evidenziato il T.A.R. che "risulta comprovato agli atti che in data 25 febbraio 2019, i ricorrenti - proprietari di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l. - depositavano dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere circostanziato ricorso per ATP (RG. 1832/2019) sulla scorta della presunta sussistenza di molteplici vizi che affliggevano i beni immobili in questione, in particolare, richiamando la perizia del proprio tecnico di fiducia redatta in data 14 gennaio 2019 (depositata agli atti del ricorso per ATP), nella quale si evidenziava che il piano interrato destinato ad autorimessa non era rispondente ai requisiti di sicurezza antincendio previsti dal Decreto Ministeriale 1 febbraio 1986" e che "nelle more dell'espletamento della ATP, l'Im. Sa. s.r.l. presentava - in data 31.7.2019 - al Comando dei Vigili del Fuoco di Caserta, documentata istanza tesa ad ottenere parere favorevole in deroga del certificato prevenzione incendi ed, all'esito dell'istruttoria il 3 settembre del 2019, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta rilasciava il parere favorevole in deroga (provvedimento prot. n. 0014751), approvando il relativo progetto presentato dalla società Sa. s.r.l.". Ha altresì rilevato il T.A.R. che "seguivano, poi, in data 6 settembre 2019, il provvedimento di concessione in deroga da parte della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile e, infine, in data 13 settembre 2019 la concessione della deroga ex art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 del Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta" e che "successivamente, il costituito Condominio "Sa.", portava al termine la procedura de quo come sopra precisato; in particolare, nell'immediatezza (in data 11 dicembre 2019) provvedeva a inoltrare dichiarazione per voltura per la pratica di autorizzazione in deroga presentata dalla società Sa. e, contestualmente, presentava scia dei necessari lavori per l'adeguamento dell'impianto di autorimessa ai fini della sicurezza antincendio, come da progetto approvato dall'amministrazione dell'interno. Invero, gli adempimenti sopra richiamati venivano deliberati all'Assemblea condominiale convocata per il giorno 8 novembre 2019, assemblea che vedeva la partecipazione anche del delegato della Do. s.r.l. (nella persona dell'avv. Do. St.)". Ha quindi rilevato il T.A.R. che "appare evidente che la ricorrente veniva a conoscenza dei suddetti provvedimenti, impugnati con l'odierno ricorso, già in data 4 ottobre 2019 (vedasi verbale di ATP) e/o comunque in data 8 novembre 2019 (vedasi verbale assemblea di condominio), potendo, a ben vedere, ove avesse ritenuto lesivo il contenuto dell'atto amministrativo, inoltrare all'Amministrazione competente un'apposita istanza di accesso agli atti, sin dal giorno successivo alla redazione dei richiamati verbali, al fine di prendere visione, tempestivamente, degli atti, dei documenti e di tutto quanto eventualmente allegato alla risposta favorevole rilasciata alla società resistente dall'amministrazione dell'Interno. Ciò posto, appare quanto mai evidente che era onere per la Do. s.r.l. l'impugnazione dell'atto sulla base sia di quanto conosciuto in sede di ATP in data 4 ottobre 2019 e in sede di assemblea condominiale in data 8 novembre 2019, nonché in virtù delle contestazioni tecniche recepite nelle censure sollevate, come si è sopra evidenziato, nel ricorso introduttivo per ATP". Ha ancora osservato il T.A.R. che "ad ogni modo la ricorrente in data 20 luglio 2018 ha formulato "Richiesta di accesso formale a documenti amministrativi per esame e/o estrazione di copie ai sensi della L. 241/90 integrata e modificata dalla L. 15/05 e D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184", pervenuta a destinazione, come da ricevuta di avvenuta consegna il giorno 31 ottobre 2019 alle ore 18:22:11. Va in proposito evidenziato che parte ricorrente, nel tentativo di eludere i termini di decadenza per proporre tempestivamente il ricorso giurisdizionale, dichiara di aver avuto conoscenza dei provvedimenti impugnati soltanto in data 20 gennaio 2020 (all'uopo ha depositato copia di una email non certificata) ma non menziona né deposita la propedeutica istanza di accesso agli atti, dalla cui data di deposito sarebbe stato univocamente evincibile il fatto del rilascio dell'autorizzazione in deroga". Il T.A.R. ha poi ribadito che "in buona sostanza la Do. s.r.l., già dalla data del 4 ottobre 2019, disponeva di ogni elemento utile per predisporre il ricorso avverso gli atti contestati, ma, ciononostante, ha promosso il ricorso soltanto in data 30 gennaio 2020. Ciò si rinviene, inequivocabilmente, dalla lettura del verbale n. 10 redatto a seguito del sopralluogo svolto, in sede di ATP, in data 4 ottobre 2019 (al quale partecipava anche la Do. s.r.l.). Invero, nel prefato atto, l'ing. Ma., CTP della società Sa., rendeva noto al C.T.U.: "che, relativamente al piano interrato destinato ad autorimessa la Società Sa. s.r.l. ha ottenuto il parere favorevole in deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi. Di seguito si provvederà ad eseguire i lavori necessari per la certificazione antincendio"", concludendo nel senso che "palese risulta essere la tardività del ricorso, ben potendo la Do. s.r.l., in virtù della chiara percezione dell'esistenza del parere favorevole di deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi - ottenuto dalla Im. Sa. s.r.l. - e degli aspetti che ne rendevano evidente l'immediata e la concreta lesività, promuovere un'impugnativa, già a partire dal giorno 4 ottobre 2019". 3. La sentenza suindicata costituisce oggetto della domanda di riforma proposta, con l'appello in esame, dalla (sola) originaria ricorrente sig.ra Qu. Lu.. Essa, dopo aver ripercorso il pregresso iter processuale - anche richiamando testualmente, ai fini della loro riproposizione in appello, le deduzioni articolate con il ricorso introduttivo del giudizio e la successiva duplice serie di motivi aggiunti, non esaminate dal giudice di primo grado in ragione della definizione in rito del giudizio di primo grado - deduce in primo luogo che il T.A.R. ha erroneamente pronunciato l'irricevibilità del ricorso nei suoi confronti, senza che la relativa questione fosse stata sollevata dalle parti resistenti, non avendo gli atti impugnati in primo grado mai costituito oggetto di pubblicazione, ai fini della decorrenza del relativo termine di impugnazione, né essendo la stessa contemplata da specifiche disposizioni, con la conseguente necessità di fissare il suddetto termine in coincidenza con la piena conoscenza del contenuto del provvedimento impugnato, nella specie non ricavabile né dall'A.T.P. del 25 febbraio 2019, di cui la ricorrente medesima non era parte, né dall'assemblea dell'8 novembre 2019, alla quale la ricorrente, in quanto non proprietaria, non ha partecipato. La appellante deduce altresì che, non essendo stata la tardività del ricorso eccepita dalla controparte nei suoi confronti, il T.A.R. avrebbe dovuto sottoporre la relativa questione al contraddittorio delle parti, ex art. 73 c.p.a., con la conseguente necessità di remissione della causa al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a.. Infine, la appellante contesta la statuizione di inammissibilità del gravame recata dalla sentenza appellata con riferimento all'atto del 5 febbraio 2020, sulla scorta del suo asserito carattere "endoprocedimentale", evidenziando in senso contrario che esso, certificando la legittimità della procedura di deroga e facoltizzando l'utilizzo dell'autorimessa, presenta contenuti autorizzatori che ne legittimavano l'impugnazione. Ripropone quindi, come accennato, le censure di merito sottoposte all'attenzione del T.A.R. e da questo non esaminate in ragione delle suindicate statuizioni su questioni in rito di carattere pregiudiziale. 4. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio, per la parte pubblica, il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, riproponendo le difese articolate in primo grado. Si è costituito altresì, per la parte privata, il Condominio Pa. Sa., al fine di resistere all'appello anche relativamente alla statuizione in rito recata dalla sentenza appellata, evidenziando che la tardività del ricorso introduttivo del giudizio non potrebbe che riguardare anche l'odierna appellante, la quale, abitando nel Condominio Sa. sin dalla edificazione del relativo fabbricato insieme al figlio ed al marito Dott. Sa. St., Amministratore Unico della Do. S.r.l., sarebbe a piena conoscenza di tutte le vicende condominiali. A supporto della suesposta conclusione, la parte resistente evidenzia altresì che la odierna appellante è stata indicata come teste, insieme al suocero Avv. Do. St., dalla Do. S.r.l. proprio nel giudizio civile dalla medesima promosso, innanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, per l'impugnazione della delibera condominiale dell'8 novembre 2019, di approvazione dei lavori di "Adeguamento locale autorimessa", e che a detti lavori di "Adeguamento" la suddetta ha assistito personalmente, abitando nel Condominio Sa. tanto da essere stata indicata come teste nel suddetto giudizio: lavori che sono iniziati in data 27 novembre 2019, come attesta la Segnalazione Certificata di Inizio Attività prot. n. 127757/2019 del Comune di Caserta, laddove il ricorso di controparte è stato notificato solo in data 30 gennaio 2020. Infine, il Condominio resistente evidenzia che l'odierna appellante, che dispone di tre box unificati tra loro, non sembra avvertire alcun pericolo dai locali garage di cui trattasi, utilizzandoli da sempre insieme al marito Dott. Sa. St.. Con successiva memoria, il Condominio resistente, nelle more costituitosi a mezzo di nuovo difensore a causa del decesso di quello originario, ha precisato l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, evidenziando che la appellante "vanterebbe, ragionevolmente, un legittimo diritto a che si realizzino tutti gli interventi strutturali e di messa in sicurezza dell'immobile". Alle suddette eccezioni ha replicato la parte appellante con successiva memoria finché, all'esito dell'odierna udienza di discussione, il ricorso è stato trattenuto dal Collegio per la decisione di merito. 5. Venendo alle valutazioni del Collegio, occorre preliminarmente esaminare - in quanto suscettibile di evidenziare una autonoma, rispetto alla irricevibilità rilevata dal T.A.R., ragione preclusiva dell'esame nel merito del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice di appello - l'eccezione di inammissibilità del ricorso, articolata già nel primo grado di giudizio ma non esaminata dal T.A.R. e riproposta nel presente giudizio di appello, con la quale il Condominio Pa. Sa. sostiene che l'odierna appellante non avrebbe interesse all'accoglimento dell'appello, traendo essa un beneficio dai provvedimenti impugnati, con i quali è stata assicurata la conformità dell'autorimessa, di cui essa stessa si avvale, alla normativa in tema di sicurezza antincendio. L'eccezione non può essere accolta. Deve invero osservarsi che in tanto il provvedimento che legittima l'utilizzazione di un bene in deroga alla normativa antincendio (o, più in generale, alla normativa posta a tutela della pubblica e privata incolumità ) può ritenersi vantaggioso per i soggetti che vantino un titolo (dominicale o di altra natura) di legittimo godimento del medesimo bene, in quanto esso offra ogni garanzia di fruizione di quel bene in condizioni di piena sicurezza, la quale a sua volta presuppone il rispetto dei limiti e dei presupposti, procedimentali e sostanziali, cui il rilascio della deroga è subordinata: in proposito, non può non osservarsi che le censure della ricorrente non si propongono solo di conseguire l'accertamento ope iudicis della inammissibilità della deroga (ciò che effettivamente si tradurrebbe nella preclusione tout court alla utilizzazione dell'autorimessa conformemente alla sua destinazione, senza che la appellante, non essendo proprietaria di immobili all'interno del condominio de quo ma mera residente presso lo stesso, possa far valere alcuna responsabilità contrattuale nei confronti della società venditrice, con la conseguente insorgenza di legittimi dubbi in ordine alla titolarità in capo alla stessa di un interesse concreto ed attuale al ricorso), ma anche la violazione delle disposizioni che presiedono al suo rilascio (basti pensare alle censure intese a lamentare la mancata acquisizione del parere del C.T.R. ovvero i vizi che affliggerebbero la dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico), funzionali a garantire l'utilizzo del bene in condizioni di totale sicurezza, anche in una prospettiva rinnovatoria del procedimento di deroga o di quello di S.C.I.A. in modo da conformarli alla disciplina di riferimento. 6. Deve adesso esaminarsi la censura con la quale la appellante sig.ra Qu. Lu., lamentando che il giudice di primo grado, nel porre a fondamento della decisione la suesposta questione di irricevibilità del ricorso, oltre che con riferimento alla società Do. S.r.l., anche relativamente alla sua posizione (nonché a quella del marito Dott. Sa. St., quale ricorrente in proprio), sebbene sollevata dalle parti private resistenti solo limitatamente alla predetta società, non ha osservato il disposto di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a. (a mente del quale "se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie"), chiede che sia annullata la sentenza appellata ai fini della remissione della causa al T.A.R. per la Campania, ex art. 105, comma 1, c.p.a.. La censura è meritevole di accoglimento. Deve invero osservarsi che, sebbene i resistenti Condominio Pa. Sa. e società Im. Sa. S.r.l. abbiano eccepito in primo grado la "irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio", senza ulteriori distinzioni (cfr., in particolare, la memoria della società Im. Sa. S.r.l. del 6 marzo 2020), gli stessi hanno posto a fondamento dell'eccezione circostanze esclusivamente riferibili alla società Do. S.r.l. e dimostrative, ad avviso degli stessi, della conoscenza da questa acquisita dei provvedimenti impugnati in una data (4 ottobre 2019) che evidenzierebbe la tardività dell'iniziativa impugnatoria da essa promossa. La suddetta eccezione, formulata nei termini esposti, era quindi inidonea a sollecitare il contraddittorio della parte ricorrente anche relativamente alla posizione dell'odierna appellante, tanto che l'originaria (complessa) parte ricorrente, facendo affidamento sul suo carattere soggettivamente circoscritto, si è limitata a replicare alle sole argomentazioni sviluppate a suo fondamento ed esclusivamente relative, come si è detto, alla società Do. S.r.l.. La declaratoria di irricevibilità con la quale il T.A.R. ha definito, in rito, il giudizio di primo grado è stata invece estesa a tutti i soggetti componenti l'originaria parte ricorrente, ovvero non solo al Dott. St. Sa. (ciò che, in qualche misura, sarebbe anche stato plausibile, identificandosi esso nell'amministratore unico della società Do. S.r.l., sebbene promotore del ricorso anche a titolo personale), ma anche alla sig.ra Qu. Lu., che con la società Do. S.r.l. non risulta intrattenere alcun rapporto diretto. Sebbene siffatta non preannunciata, nelle forme di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., estensione sia fondata dal T.A.R. sui medesimi argomenti posti dalle controinteressate a fondamento della suddetta eccezione di irricevibilità (e riferiti dal T.A.R. talvolta, in senso generico, ai "ricorrenti", cui viene anche indistintamente imputata la proprietà di "due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l.", che invece fa capo esclusivamente alla società Do. S.r.l., talaltra alla "ricorrente" società ), non vi è dubbio che essa abbia concretizzato una fattispecie di decisione "a sorpresa", che secondo la costante giurisprudenza anche di questa Sezione integra una violazione del diritto al contraddittorio ed impone l'annullamento della sentenza appellata, ai fini della remissione della causa al T.A.R. ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 3124: "costituisce violazione del diritto del contraddittorio processuale e del diritto di difesa, in relazione a quanto dispone l'art. 73, comma 3, c.p.a., porre a fondamento di una sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, senza la previa indicazione in udienza o l'assegnazione di un termine alle parti per controdedurre al riguardo. Da ciò consegue l'obbligo, per il giudice di appello, di annullare la sentenza stessa e di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., per evitare sentenze "a sorpresa""). 7. Deve solo aggiungersi che non vi è spazio per esaminare nella presente sede, in ragione del suindicato error in procedendo che preclude ogni ulteriore valutazione da parte del giudice di appello in ordine alla suindicata questione di irricevibilità, le deduzioni svolte dal Condominio Pa. Sa. al fine di dimostrare comunque la tardività del ricorso proposto dalla odierna appellante: ciò non senza osservare che la mera sussistenza di un rapporto di coniugio (e quindi di fisiologica condivisione di interessi) tra l'odierna appellante ed il Dott. St. Sa. - al quale invece, quale amministratore unico della Do. S.r.l., può essere senz'altro ascritta la conoscenza del provvedimento impugnato sulla scorta delle medesime ed incontestate circostanze sulle quali la pronuncia appellata ha fondato la tardività del ricorso relativamente alla posizione della suddetta società - non è idonea a radicare, con sufficiente ed uguale grado di certezza (quantomeno relativamente al quando), la conoscenza da parte della sig.ra Qu. Lu. del medesimo provvedimento, in modo da far decorrere anche nei suoi confronti il termine di impugnazione. 8. Infine, l'esame del giudice di appello deve necessariamente riguardare la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti avverso il verbale di visita tecnica prot. n. 1908 del 5 febbraio 2020, con il quale "si attesta, ai sensi dell'art, 4, comma 2, DPR n. 151/2011, il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio": statuizione che da un lato consegue, nell'economia motivazionale della sentenza appellata, alla già analizzata declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio (e che sotto tale profilo viene travolta dall'annullamento ex art. 105, comma 1, c.p.a. della sentenza appellata), dall'altro lato al ritenuto carattere endo-procedimentale dell'atto suindicato, che lo renderebbe insuscettibile di ledere gli interessi della ricorrente (profilo in ordine al quale, per la sua autonomia rispetto al primo, occorre pronunciarsi nella presente sede). Ebbene, premesso che anche l'impugnazione del verbale suindicato mira al soddisfacimento dell'interesse della appellante all'utilizzo dell'autorimessa in condizioni di sicurezza, il quale non può non ritenersi leso da un atto attestativo del rispetto delle relative prescrizioni tecniche per ipotesi illegittimamente adottato, occorre in senso contrario alla sentenza appellata evidenziare che esso conclude il procedimento che il responsabile dell'attività oggetto di controllo di sicurezza antincendio deve avviare ai fini dello svolgimento della stessa, anche laddove non sia necessario introdurre modifiche progettuali in vista dell'ottenimento della deroga a causa dell'impossibilità di osservare determinate prescrizioni di sicurezza. Siffatto procedimento è disciplinato dall'art. 4, comma 1, d.P.R. n. 151/2011, ai sensi del quale "per le attività di cui all'Allegato I del presente regolamento, l'istanza di cui al comma 2 dell'articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, è presentata al Comando, prima dell'esercizio dell'attività, mediante segnalazione certificata di inizio attività, corredata dalla documentazione prevista dal decreto di cui all'articolo 2, comma 7, del presente regolamento. Il Comando verifica la completezza formale dell'istanza, della documentazione e dei relativi allegati e, in caso di esito positivo, ne rilascia ricevuta". Dispone inoltre il comma 2 del medesimo articolo che "per le attività di cui all'Allegato I, categoria A e B, il Comando, entro sessanta giorni dal ricevimento dell'istanza di cui al comma 1, effettua controlli, attraverso visite tecniche, volti ad accertare il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione degli incendi, nonché la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio. I controlli sono disposti anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali, per categorie di attività o nelle situazioni di potenziale pericolo comunque segnalate o rilevate. Entro lo stesso termine, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per l'esercizio delle attività previsti dalla normativa di prevenzione incendi, il Comando adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi dalla stessa prodotti, ad eccezione che, ove sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa antincendio e ai criteri tecnici di prevenzione incendi detta attività entro un termine di quarantacinque giorni. Il Comando, a richiesta dell'interessato, in caso di esito positivo, rilascia copia del verbale della visita tecnica". Ebbene, non può non osservarsi che, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., l'atto conclusivo del procedimento di verifica tecnica ha natura provvedimentale, attestando l'esito positivo dei controlli di sicurezza antincendio posti in essere dall'Amministrazione a seguito della presentazione della S.C.I.A. da parte dell'interessato, nell'esercizio di una tipica attività di carattere tecnico-discrezionale, formalizzando la conclusione del procedimento in senso favorevole al suo promotore. 9. In conclusione, quindi, la sentenza appellata deve essere annullata e la causa rimessa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., restando impregiudicata ogni altra valutazione in rito - diversa da quelle compiute da questa Sezione - e nel merito. 10. Derivando l'esito di questo grado di giudizio da un error in procedendo del giudice di primo grado, sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8671/2022, lo accoglie, nei limiti precisati in motivazione, e per l'effetto annulla la sentenza appellata, rimettendo la causa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Cameli Renato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 999/2023 promossa da: (...) elettivamente domiciliato in Vigevano (...) presso lo studio degli avv.ti (...) che lo rappresentano e difendono unitamente e disgiuntamente, giusta delega allegata i quali hanno dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti PARTE ATTRICE contro (...) PARTE CONVENUTA CONCLUSIONI DELLE PARTI Parte attrice ha formulato le proprie conclusioni come da udienza del 19.3.2024 svoltasi in forma scritta, mediante deposito di note e, segnatamente, "Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così giudicare, Nel merito: previo ogni opportuno accertamento e declaratoria, - Accertare e dichiarare l'abuso dell'esercizio del diritto sul bene comune da parte del Sig. (...), in qualità di condomino del (...) (...), e l'occupazione illegittima del suolo antistante l'accesso al cortile/giardino privato della proprietà (...), per i motivi ampiamente esposti in atti, qui richiamati in toto. - Conseguentemente ordinare al Sig. (...), in qualità di condomino del (...), di lasciare libero di cose - con particolare riferimento all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...) il cortile comune condominiale, nel rispetto del regolamento di condominio e dell'uso delle parti comuni e, per l'effetto, condannare il Sig. (...) al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi (nessuno escluso) dall'attore (...), nella misura che sarà ritenuta di giustizia, occorrendo con determinazione in via equitativa. In ogni caso: con il favore delle spese e compensi professionali di causa ex D.M. 147/22 del presente giudizio e del procedimento di mediazione rubricato al n. 285/22 R.G" SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, il sig. (...) evocava in giudizio il sig. (...) al fine di ottenere, previo accertamento di abuso del diritto sulla cosa comune, condanna nei confronti del convenuto a lasciare libero da cose, con particolare riferimento all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...), il cortile comune condominiale, e, conseguentemente disporre condanna di risarcimento dei danni nei confronti del convenuto stesso. A supporto della propria domanda l'attore deduceva che: il sig. (...) era proprietario di un'unità immobiliare facente parte del condominio (...) sito in Vigevano (...); malgrado espressa previsione del regolamento condominiale, il sig. (...) era solito parcheggiare la propria autovettura nel cortile comune, ostacolando l'accesso all'attore e ai suoi famigliari; l'amministratore era stato avvisato della situazione e aveva provveduto a diffidare il (...) malgrado plurime diffide la condotta era proseguita; il (...), pur consapevole dell'uso improprio del cortile, aveva deciso di non intraprendere nessuna azione stante le plurime cause già in corso; pur ritualmente invitato il sig. (...) non aveva partecipato alla mediazione; il comportamento del (...) oltre che in contrasto con il regolamento condominiale, contrastava altresì anche con l'art. 1102 c.c. ; secondo la giurisprudenza costituiva abuso anche l'occupazione per pochi minuti del cortile comune; il sig. (...) doveva comunque lasciare la possibilità di accedere e retrocedere presso l'immobile. Pur ritualmente evocato in giudizio, il sig. (...) non si costituiva restando contumace. Assegnati i termini ex art. 183 sesto comma c.p.c. la causa era istruita mediante documentazione acquisita dalla parte attrice ed esame testimoniale. All'udienza del 19.3.2024, svoltasi in forma scritta, parte attrice precisava le conclusioni come da foglio depositato in via telematica CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1.La ricostruzione della fattispecie 2.La violazione degli obblighi gravanti sul CP_2 3.La domanda risarcitoria 4.Le spese del giudizio 1. La ricostruzione della fattispecie In punto di fatto l'attore, su cui incombeva l'onus probandi ex art. 2697 c.c., ha puntualmente dedotto e comprovato sia la qualifica di condomino del complesso condominiale sito in Vigevano (...), attraverso produzione di visura catastale (cfr doc. 1) nonché verbale di assemblea (doc.6), sia l'occupazione del cortile comune del citato condominio da parte di altro condomino, odierno convenuto, sig. (...) (...) mediante automobile all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...) sia la conseguente difficoltà, rectius quasi impossibilità nell'accesso o uscita dal cortile. In particolare, in ordine a quest'ultimo profilo, è stata prodotta rilevante e significativa documentazione, costituita dalle fotografie del cortile e da video attestanti univocamente il posizionamento del citato SUV, dedotto di proprietà del convenuto, parcheggiato in modo ostativo e comunque impeditivo il passaggio di altra vettura (cfr. doc. 3 e 3.1 nonché 9 e 10) A quest'ultimo proposito, segnatamente, in ossequio al maggioritario e preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, "le fotografie costituiscono prova precostituita della sua conformità alle cose e ai luoghi rappresentati, sì che la controparte che voglia inficiarne l'efficacia probatoria, non può limitarsi a contestare i fatti che la parte che l'ha prodotta intende con essa provare, ma ha l'onere di disconoscere tale conformità (in termini Cass. 9.4.2009 n.8682; Cass. 13.2.2004, n. 2780; Cass. 26.6.1998, n. 6322) Ad analoghe conclusioni è pervenuta la giurisprudenza in relazione ai video, desumendo tale principio direttamente dall'art. 2712 c.c. in relazione alla disciplina delle riproduzioni meccaniche (Cass. 28.01.2011, n.2117; Cass. 3.7.2001 n. 8998 e Cass. 22.4. 2010 n. 9526). Orbene nel presente giudizio, stante la contumacia del convenuto (su cui amplius infra), le fotografie e i video non sono stati disconosciuti né contestati specificatamente, risultando quindi idonei ad assumere valore probatorio in ordine alla specifica situazione di fatto sussistente nel cortile; dalle foto e dai video depositati si evince quindi l'ostacolo oggettivo alla possibilità di movimentazione dell'auto dell'attore in ragione della presenza del citato SUV di proprietà o comunque condotto dal convenuto (...) stabilmente posteggiato all'interno del cortile, in prossimità del garage dell'altro condomino; parimenti, stante la pluralità della documentazione acquisita in diverse fasi temporali si desume altresì una condizione di occupazione permanente e continuata. In secondo luogo, parimenti rilevante, a supporto della tesi attorea, il verbale di assemblea condominiale del 29.7.2022 in cui viene riportato come tutti i condomini si dichiaravano espressamente "consapevoli che il sig. (...) parcheggia in modo fisso e abituale la sua autovettura in parte comune" (doc.6): tale affermazione configura una dichiarazione di scienza, sebbene stragiudiziale, ma particolarmente qualificata sia in considerazione dei soggetti che la rendevano sia del contesto in cui avveniva. In terzo luogo, rilevano, sempre sul piano documentale, le plurime diffide depositate, inviate anche da soggetto qualificato e terzo rispetto alle parti, come l'amministratore condominiale (doc. 3 e 4). In quarto luogo, l'esito dell'istruttoria testimoniale ha ulteriormente confermato la tesi della parte attrice; anzitutto è risultato comprovato che il cortile condominiale del (...) sito in Vigevano (PV), (...), viene utilizzato dal condomino Sig. (...) quale parcheggio, sia nelle ore diurne che notturne, per il proprio Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targato (...), di colore nero utilizzando segnatamente, nello spazio prospiciente l'ingresso del cortile privato del condomino (...) ((...) " 2. Confermo che vedo parcheggiata l'auto citato e confermo le fotografie come mostrate. 3. Confermo il parcheggio nello spazio indicato; (...) "2. Confermo la circostanza e le foto; frequento il condominio una o due volte al mese da circa quattro anni e mezzo; quando mi reco in loco resto a lì dormire 3. Confermo lo spazio ove ho sempre visto la vettura" (...) "2. Confermo le foto e la circostanza; 3. Confermo" (...) "2. Confermo e riconosco le foto; io mi reco circa una volta la settimana; mi reco perché mi sono affezionata alla famiglia del sig. (...) in quanto ho cresciuto le sue bambine 3. Confermo; io vedo questa macchina). Parimenti confermato che lo spazio di cortile comune antistante la proprietà del condomino Sig. (...) è stato realizzato con la funzione di consentire le manovre di svolta in entrata/uscita dal cortile comune condominiale delle auto dei (...) (...) "4. Confermo la circostanza e il regolamento") Risulta altresì confermato che il condomino Sig. (...), parcheggiando il proprio Suv nel cortile comune del (...), nello spazio prospiciente l'ingresso del cortile privato del condomino (...), da un lato rende gravosa e/o difficoltosa l'entrata e l'uscita delle autovetture dei Condomini e dall'altro impedisce di fatto l'entrata e l'uscita dell'autovettura del condomino Sig. (...) dal cortile privato di proprietà (...) ((...) " 5. Confermo la difficoltà nel parcheggio; confermo i video e le foto 6. Non so se impedisce del tutto, comunque è un ostacolo e crea disagio" (...) " 5. Confermo 6. Confermo l'impedimento anche oggettivo " (...) " 5.Confermo il video e le foto 6.Confermo" (...)" 5. Confermo la circostanza e il video 6. Confermo") Conseguentemente i testi hanno affermato, in modo concorde ed univoco, che il Sig. (...) è stato costretto, in più di un'occasione, a parcheggiare la propria autovettura sulla pubblica via per tutta la notte e che il medesimo condomino Sig. (...). (...) e i suoi famigliari si sono trovati, in più di un'occasione, impossibilitati ad uscire con l'auto di famiglia dal cortile di proprietà (...) e, quindi ad utilizzarla, dovendo disdire impegni lavorativi e personali ((...)" 8. Confermo; due volte mi hanno chiamato il sig. (...) o la sua famiglia per contattarlo perché l'auto ostruiva l'uscita; a volte la parcheggia indietro e quindi si fa fatica a uscire " (...) "7. Tutt'ora, è capitato più di una volta che la macchina del sig. (...) sia stata parcheggiata sulla via perché non poteva entrare 8. Confermo; quando sono andato a casa loro è capitato più di una volta che non potessero uscire" (...) "8. Confermo; ho assistito personalmente agli episodi" (...) "8. Confermo; si sono trovati impossibilitati ad entrare e uscire; ho assistito personalmente alla situazione). Parimenti confermato che il condomino Sig. (...) denunciava all'Amministratore del Condominio "(...)", Sig.ra (...) la condotta del condomino (...) e che, nonostante le diffide il condomino Sig. (...) (...) ha continuato e continua tuttora a parcheggiare il proprio Suv, nel cortile comune condominiale ((...)" 9. Confermo 11. Confermo; ADR lui ha due proprietà e potrebbe entrare con la macchina nella sua proprietà senza ostacolare nessuno; lo fa "per dispetto" (...) "Confermo; ad oggi il sig. (...) continua a parcheggiare in quel modo ADR io mi reco in macchina ma non parcheggio mai all'interno" (...) "Confermo; io vedo la vettura tutte le mattine aprendo la finestra. ADR io sono inquilina e non proprietaria" (...) "Confermo"). Le dichiarazioni testimoniali sopra riportate sono univoche e coerenti in ordine al contenuto e, inoltre, sono state rese da soggetti qualificati (amministratrice di condominio sig.ra (...) ovvero comunque da persone terze rispetto alle parti e che hanno una assidua frequentazione dei luoghi risultando quindi attendibili. Pur ritualmente evocato in giudizio il sig. (...) non si è costituito nel presente giudizio restando contumace: la contumacia impedisce una ricostruzione alternativa delle circostanze alternativa a quella sopra esposta. In particolare, il preferibile orientamento, in giurisprudenza, pur escludendo effetti automatici, precisa come la contumacia "possa concorrere, insieme con altri elementi, a formare il convincimento del giudice (desumendo tale principio dall'art. 116 c.p.c., comma 2). (In termini Cass. 29.03.2007, n. 7739 Cass., 20.02.2006, n. 3601 secondo cui "la contumacia del convenuto se non equivale ad ammissione della esistenza dei fatti dedotti dall'attore a fondamento della propria domanda...tale condotta processuale costituisce tuttavia un elemento liberamente valutabile ex art. 116 c.p.c. (nel contesto di ogni altro acquisito) dallo stesso giudice ai fini della decisione (cfr. tra le altre: Cass. 7 marzo 1987 n. 2427; Cass. 20 luglio 1985 n. 4301)". Nello stesso senso Cass. 6 .2. 1998 n. 1293) In ragione di quanto esposto, coerentemente con la preferibile e recente giurisprudenza di merito, se è pur vero che la contumacia non può essere equiparata ad una generale non contestazione dei fatti costitutivi dedotti dalla controparte, purtuttavia la scelta processuale non collaborativa da parte della resistente, costituisce elemento idoneo a rafforzare le emergenze istruttorie ricavabili dall'esame dei documenti prodotti dalla stessa parte attrice, allorquando, in particolare, come nel caso di specie, l'atto di citazione già conteneva nel suo corpo un'analitica elencazione dei documenti offerti a corredo probatorio: in definitiva, la contumacia del convenuto è elemento rafforzativo delle circostanze dedotte dall'attore (Trib. Bari, 15.07.2015, n. 3275 Trib. Roma, 04.10.2017, n. 8040 Trib. Roma, 04.04.2017, n. 3223; Trib. Roma, 28.05.2016, n. 10898 Trib. Genova 20.1.2016 n. 209 Tribunale Napoli, 05.11.2012, n. 27275) In adesione a tale orientamento, la contumacia si configura quale ulteriore elemento, sia pure indiziario, a supporto della tesi del ricorrente, già comunque ampiamente supportata dalla documentazione sopra riportata e dall'istruttoria testimoniale espletata, a fortiori considerando le plurime comunicazioni intervenute in fase precedente al giudizio e diffide, nonché l'assenza in fase di mediazione. 2. La violazione degli obblighi gravanti condomino In via generale e in punto di diritto ai sensi dell'art. 1102 c.c. "ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto... Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso". Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, in relazione proprio all'utilizzo del cortile comune quale parcheggio, "l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell'art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Pertanto, deve ritenersi che la condotta del (...), consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all'utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà (Cass. Sez. 2, 24/02/2004, n. 3640).... l'art. 1102 c.c., sull'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante alla comunione, non pone alcun margine minimo di tempo e di spazio per l'operatività delle limitazioni del predetto uso, sicché può costituire abuso anche l'occupazione per pochi minuti di una porzione del cortile comune, ove comunque impedisca agli altri condomini di partecipare al godimento dello spazio oggetto di comproprietà (Cass. Sez. 2, 07/07/1978, n. 340" (in termini recentemente con giurisprudenza citata Cass. 18.03.2019, n.7618) La condotta del (...) come descritta nel precedente paragrafo si pone quindi in contrasto con il principio generale stabilito ex art. 1102 c.c. come interpretato dalla giurisprudenza sopra riportata. A fortiori, sul punto ai sensi dell'art. 7 del Regolamento del plesso condominiale è stabilito l'espresso divieto ai Condomini di "parcheggiare automobili o mezzi di qualsiasi genere nel cortile comune o negli spazi comuni non idonei a tale uso" (cfr. doc. 2, art. 7); pertanto la condotta del convenuto si pone altresì in contrasto con le disposizioni regolamentari pacificamente vigenti tra i condomini. Risulta quindi fondata la domanda di parte attrice, essendo dimostrati i presupposti, in fatto e in diritto alla base della stessa e, segnatamente, la condotta contra legem del (...) consistente nell'occupazione di spazio condominiale (cortile) determinante l'impossibilità o estrema difficoltà per il (...) al parcheggio; il sig. (...) è quindi obbligato a lasciare immediatamente libero da cose e, in particolare, dalla sua vettura, il cortile condominiale, a partire dalla comunicazione della presente sentenza: non si accorda alcun termine a beneficio del convenuto stante la concotta reiterata ormai da più anni e la possibilità per questi di parcheggiare altrove 3. La domanda risarcitoria Parte attrice ha formulato domanda risarcitoria in relazione a tutti i danni patiti in conseguenza della condotta illecita del sig. (...) Orbene, in linea generale e in punto di diritto, in ossequio al preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità a cui il Tribunale presta adesione, la compressione del diritto di proprietà determina un pregiudizio economico risarcibile a beneficio di chi ha subito la privazione; segnatamente; "nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta...nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato"; "nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell'occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato".(in termini Cass. sez. un., 15.11.2022, n.33645) Tanto premesso in punto di diritto, nel presente giudizio parte attrice ha puntualmente dedotto e comprovato la lesione del diritto di proprietà su immobile - garage, subita dall'attore, sig. (...) in conseguenza della condotta del convenuto, sig. (...) che, attraverso il proprio parcheggio ne impedisce o, comunque ostacola gravemente l'utilizzo; sul piano temporale, parimenti comprovato che la citata condotta risulta perpetrata, almeno, a far data dal giugno 2021 , considerando che il 23.7.2021 era trasmessa la prima pec rivolta al (...) e in cui si contestava il reiterato posteggio già da qualche tempo, fissando quindi nell'inizio del mese precedente (1.6.2021) il dies a quo dell'arco temporale della violazione (cfr. doc. 5). Circa il pregiudizio economico effettivo le allegazioni attoree risultano tuttavia generiche non essendo in alcun modo dedotto e comprovato il valore locativo medio del parcheggio, il cui utilizzo è risultato essere, se non impedito, quanto meno compromesso dalla (...) A riguardo, non risulta allegata la Tabella O.M.I. del Comune di riferimento, né indicato altrimenti (contratti di locazione, annunci immobiliari etc.) un valore locativo presuntivo di mercato del box: unico dato certo è costituito dalla rendita catastale individuata in Euro 52,06 mensili come desumibile da estratto in relazione a immobile c/6 (doc. 1 pag. 5) Orbene, assumendo tale parametro come base di calcolo per una stima in via equitativa, il valore locativo del parcheggio, risulta pari a Euro 1.874,16 (52,06x 36, considerando il mese di giugno 2021 fino a maggio 2024). Considerando, in via equitativa, un pregiudizio al godimento dell'immobile non assoluto ma comunque significativo e maggioritario e, quindi, assumendo una lesione al diritto di proprietà di cui è titolare l'attore nella misura del 70%, il danno concretamente subito in termini economici risulta pari a Euro 1311,91. Trattandosi di posta risarcitoria, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, la somma indicata deve essere preliminarmente devalutata al momento della risoluzione, in quanto a quel momento del fatto illecito (che convenzionalmente è assunto in data 1.6.2021); l'importo ottenuto all'esito della devalutazione (1141,78) deve essere oggetto di rivalutazione, unitamente a maturazione di interessi, fino al momento dell'attualità, in quanto oggetto di risarcimento e quindi costituente debito di valore: a quest'ultimo proposito, come rilevato da giurisprudenza di Cassazione è necessario reintegrare pienamente "il valore del bene perduto (danno emergente) da un lato, ed il corrispettivo del mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario del bene predetto" (cfr. Cass. n. 1712 del 17.02.1995 e, successivamente, Cass. 21.06.2012 n. 10300 secondo cui "in virtù del divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione, gli interessi legali devono essere riconosciuti sull'intera somma devalutata alla data dell'infortunio ed anno per anno rivalutata sino alla data della pronuncia impugnata" (Cass. n. 18445 del 19.09.2005). In ragione di quanto esposto, l'importo dovuto a titolo risarcitorio risulta pari a Euro 1404,23 oltre interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo; inoltre, a partire dal mese di giugno, è comunque dovuta la somma di Euro 36,44 (pari al 70% di 52,06) per ogni mese in cui si verificheranno le occupazioni. 4. Le spese di giudizio Le spese di giudizio sono addebitate su parte convenuta in quanto soccombente ex art. 91 c.p.c. I compensi sono liquidati ex Dm 55/2014 per cause di valore indeterminabile complessità bassa applicando il parametro medio per le fasi di studio, introduttiva e istruttoria, minimo per la decisionale, prevalentemente ripetitiva di questioni già affrontate e stante la contumacia della convenuta risultando quindi pari a Euro 6164,00 oltre spese generali al 15% iva e cpa. nonché spese di marca e contributo; parimenti sono dovuti a carico del convenuto nonché le spese della fase di mediazione, i cui compensi, limitati alla fase di attivazione, si liquidano nel minimo e sono pari a Euro 268,00, oltre spese generali al 15% iva e cpa ed Euro 48,8 per spese di avvio. P.Q.M. Il Tribunale, ogni diversa istanza o eccezione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così dispone: - I) accoglie, per le ragioni di cui in motivazione, la domanda di parte attrice (...) e, per l'effetto: a) ordina Sig. (...), di lasciare immediatamente libero di cose con particolare riferimento all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...), il cortile comune condominiale, del (...), in Vigevano; b) ordina al sig. (...) di pagare la somma di Euro 1404,23 nei confronti del sig. (...) oltre interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo; c) ordina al sig. v di pagare la somma di Euro 36,44 nei confronti del sig. (...) per ogni mese a partire da giugno 2024 in cui si protrae l'occupazione; - II) condanna altresì parte convenuta (...) a rimborsare alla parte attrice (...) le spese di lite, che si liquidano in Euro 545,00 per spese ed Euro 6164,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p.a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge; III) condanna altresì parte convenuta (...) a rimborsare alla parte attrice (...) le spese della fase di mediazione, che si liquidano in Euro 48,80 per spese ed Euro 268,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p.a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge. Pavia, 30 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7197 del 2017, proposto da Je. Du. e Do. Du., rappresentati e difesi dagli avvocati Ar. Po., Ug. Fr. e La. El. Pr., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ar. Po. in Roma, viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 283/2017. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giordano Lamberti e udito per le parti l'avvocato Ar. Po., anche per delega dell'avvocato Ug. Fr.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Gli appellanti sono proprietari di un appartamento presente all'interno del complesso residenziale e turistico denominato "Sa. Gi.", posto nel territorio comunale di (omissis). Il suddetto complesso è composto da diversi appartamenti terra-tetto, la metà dei quali con destinazione residenziale e l'altra metà turistico-ricettiva. L'appartamento di proprietà dei ricorrenti ricade nell'area turistico-ricettiva del complesso. 2 - Con comunicazione di avvio del procedimento n. 6022 del 20.11.2014, il Comune di (omissis) ha contestato di aver illegittimamente modificato la destinazione d'uso dell'unità abitativa di cui sono proprietari gli appellanti "da turistico alberghiera in residenziale, in violazione della disciplina urbanistica di zona e della convenzione urbanistica che ha regolato l'edificazione del comparto". In data 31.3.2015 il Comune ha concluso il procedimento, ritenendo sussistenti i presupposti per la violazione dell'art. 30 DPR 380/2001 e con provvedimento prot. n. 1560/2015 ha ordinato "di non utilizzare le unità immobiliari ad uso residenziale esclusivo, facendo obbligo agli stessi di garantirne l'uso turistico-alberghiero con affidamento a soggetto gestore e pertanto di garantire il rispetto della convenzione urbanistica 25 maggio 1993 e dello strumento regolatore vigente", avvertendo che "decorsi 90 giorni dalla notifica", "qualora non maturino le condizioni per la revoca del presente provvedimento, si procederà alla acquisizione al patrimonio disponibile del Comune". 3 - Gli appellanti hanno impugnato tale provvedimento avanti il Tar per la Lombardia, sezione di Brescia, che con la sentenza indicata in epigrafe ha respinto il ricorso. 4 - Gli originari ricorrenti hanno proposto appello avverso tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati. 4.1 - Con il primo motivo gli appellanti censurano la sentenza nella parte in cui ha rigettato il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso. Per l'appellante, il Tar avrebbe erroneamente negato che la Convenzione del 1993, posta a fondamento del provvedimento impugnato e l'ivi previsto vincolo alberghiero a RTA, siano ad oggi inefficaci e decaduti. Per gli appellanti il Tar, nel richiamare la disciplina del Piano di Governo del Territorio, oltre a contraddirsi in punto di motivazione, avrebbe integrato la motivazione dell'ordinanza di confisca, la quale si fonderebbe esclusivamente sul contenuto della Convenzione e non sulle norme del PGT. Gli appellanti sostengono che la Convenzione sarebbe decaduta, in quanto questa prevedeva un termine di validità di 5 anni decorrente dalla stipula dell'atto (cfr. art. 13 Convenzione) avvenuta nel 1993. Tale termine sarebbe spirato nel 25.05.1998. Da tale data sarebbe iniziato a decorrere il termine di 10 anni entro il quale l'Amministrazione avrebbe potuto esigere l'adempimento degli obblighi e delle prescrizioni contenute nella Convenzione. Tale termine sarebbe spirato il 25.05.2008. Inoltre, la Convenzione del 1993 non potrebbe più ritenersi valida anche perché con essa è stato costituito un vincolo di destinazione turistico-alberghiera ai sensi della L. 217/1983. La richiamata normativa è stata abrogata dalla successiva L. 135/2001 e non potrebbe essere presa a presupposto per procedimenti e atti adottati dopo la sua abrogazione. Gli appellanti invocano anche l'art. 23 ter del d.P.R. n. 380/2001, introdotto dal d.l. n. 133/2014, in forza del quale nessuna norma urbanistica potrebbe confermare la sub-destinazione a RTA, ma solo una macro destinazione turistico ricettiva. 5 - La censura è infondata. Nel 1993 veniva definitivamente approvato il piano attuativo relativo al comparto sito in (omissis) ed azzonato come D4, meglio individuato come P.L. n. 25, in località (omissis). Nella zona in esame era ammessa, previa approvazione di piano esecutivo, la realizzazione di strutture per complessivi 20.000 mc. a volumetria definita, dei quali il 65% con destinazione alberghiera, il 30% con destinazione residenziale ed il 5% con destinazione commerciale. In esecuzione dei provvedimenti approvativi del piano attuativo veniva stipulata Convenzione urbanistica 25 maggio 1993 n. 44363 (rep. notaio Pa.) tra il Comune di (omissis) ed i lottizzanti Soc. An. To. Li. Im. & Tu. s.r.l., Soc. Tu. del Ga. s.r.l., Gi. On. e Al. Pa.. L'art. 12/a della convenzione urbanistica contemplava un vincolo di destinazione sugli edifici con destinazione alberghiera ed in particolare statuiva che "i lottizzanti si impegnano a mantenere a destinazione turistico- alberghiera gli immobili edificandi nel comparto ed evidenziati con la simbologia "X" (contornata in rosso) nella planimetria 1-A allegata alla presente convenzione sub "F", debitamente controfirmata dalle parti" e statuiva altresì che "Una diversa utilizzazione degli immobili citati non può essere realizzata se non nei casi previsti dalla legge e sempre che lo consenta il P.R.G. Ciò in quanto la destinazione alberghiera deve intendersi strettamente correlata a quanto prescrive il Piano Regolatore Generale". In esecuzione della Convenzione urbanistica veniva rilasciata concessione edilizia, avente ad oggetto l'edificazione di "albergo residenziale", e veniva rilasciata la licenza di pubblico esercizio con classificazione "categoria 4 stelle" alla Immobiliare Sa. Gi. s.r.l., relativa ad "albergo residenziale di 97 unità abitative". Negli anni sono stati perfezionati svariati atti traslativi della proprietà con intestazione a vari soggetti di unità immobiliari all'interno delle strutture, aventi destinazione di residenza turistica alberghiera. Tutti gli atti traslativi hanno sempre contemplato il richiamo alla convenzione urbanistica di cui all'atto 25.05.93 n. 44363 rep. notaio Pa., rendendo pertanto edotti i singoli acquirenti della esistenza del vincolo di destinazione turistico-alberghiera. Anzi, gli atti traslativi richiamavano il "Regolamento del Villaggio Turistico", qualificando la struttura come "Albergo residenziale", con ogni onere connesso alla specifica destinazione della struttura. I predetti atti traslativi hanno dunque sistematicamente individuato le unità immobiliari oggetto di compravendita quali unità "facenti parte del complesso denominato Vi. Tu. Al. Re. Sa. Gi.", con contestuale indicazione anche dell'obbligo di rispettare l'annesso Regolamento del Vi. Tu. Al. Re. Sa. Gi., che ribadiva la natura dell'immobile quale residenza turistico-alberghiera. L'art. 27 del Regolamento precisava che "il condominio S. Gi. nasce come albergo residenziale e come tale è strutturato per la locazione degli appartamenti. I proprietari che volessero utilizzare tale servizio dovranno concordarne di volta in volta il costo con la società di gestione". 5.1 - Riassumendo, è stato pacificamente dimostrato che: a) l'edificazione del complesso Sa. Gi. venne autorizzato nel 1993 solo ed in quanto veniva edificata una struttura destinata come RTA (residenza turistica alberghiera) con un indice edificatorio assai superiore rispetto a quello previsto per l'edificazione ad uso residenziale; b) la convenzione urbanistica del 1993, collegata al piano di lottizzazione, richiamava la disciplina propria delle RTA, imponeva tale destinazione e faceva obbligo ai lottizzanti (e ai loro aventi causa) di destinare le strutture a quello scopo; c) la concessione edilizia rilasciata nel 1994 confermava tale destinazione funzionale; d) tutti gli atti di acquisto (originari o successivi delle unità immobiliari) confermavano la destinazione turistico ricettiva delle unità immobiliari e richiamavano il contenuto della convenzione urbanistica e della concessione edilizia. Ne deriva che la modifica della destinazione da alberghiera in residenziale deve ritenersi illegittima. 5.2 - Avuto riguardo alle censure svolte dall'appellante va infatti precisato che la destinazione turistica ricettiva è categoria funzionale del tutto diversa ed autonoma rispetto alla destinazione residenziale. La giurisprudenza ha precisato che "la possibilità di vincolare in tal modo la destinazione d'uso di un immobile emerge anche dall'art 23 ter n. 1-bis del D.P.R. 380/01, che prevede la destinazione la turistico-ricettiva distinguendola da quella residenziale, così disciplinandola quale destinazione urbanistica avente funzionalità differente da quella residenziale" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 agosto 2022, n. 6824). 6 - Il giudizio di illeceità della modifica di destinazione d'uso non risulta incrinato dalle doglianze degli appellanti. In primo luogo, deve precisarsi come sia del tutto inconferente l'argomento facente leva sull'abrogazione della legge n. 217/1983 in tema di vincolo alberghiero, essendo pacifico che la licenza edilizia era stata rilasciata per un determinato uso dell'immobile. Per altro, la destinazione dell'area a tale uso (turistico) risulta conforme agli strumenti urbanistici vigenti. È il loro utilizzo residenziale, piuttosto che turistico, a porsi in contrasto con il titolo autorizzatorio, in forza del quale è stato realizzato l'immobile, nonché con l'attuale disciplina dell'area. 6.1 - Non appare condivisibile neppure il rilievo facente leva sulla supposta scadenza della convenzione di lottizzazione in forza della quale sono stati realizzati gli immobili. Invero, nel caso in esame, non viene in rilievo alcun obbligo soggetto ad un termine di adempimento, bensì la destinazione impressa all'area, la quale resta attuale e vigente sino alla sua modifica da parte di un nuovo strumento urbanistico che la regoli diversamente. In giurisprudenza si afferma che "il piano particolareggiato (a voler ritenere ascrivibile a tale genus anche il Piano di lottizzazione) diventa sì inefficace decorso il termine di dieci anni, ma rimane fermo a tempo indeterminato l'obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso (art. 17 l. n. 1150 del 1942). La disposizione esprime il principio secondo cui la maglia pianificatoria delineata dal Piano...rimane comunque efficace sino all'adozione di un diverso strumento urbanistico attuativo, quand'anche il piano che la prevede non possa più trovare attuazione per decorso del tempo. In altra prospettiva, la scadenza decennale di un piano riguarda le sole previsioni vincolistiche, ferma restando l'efficacia delle previsioni propriamente pianificatorie" (Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 aprile 2021, n. 3257). In conformità ai principi innanzi ricordati, nello specifico, la convenzione urbanistica prevedeva che "Una diversa utilizzazione degli immobili citati non può essere realizzata se non nei casi previsti dalla legge e sempre che lo consenta il P.R.G. Ciò in quanto la destinazione alberghiera deve intendersi strettamente correlata a quanto prescrive il Piano Regolatore Generale" (art. 12/a). 6.2 - Alla luce della disamina delle vicende che hanno interessato l'immobile, appare del tutto condivisibile anche la considerazione del Tar per cui la presenza del vincolo di destinazione era conosciuta, o poteva essere conosciuta utilizzando l'ordinaria diligenza, anche dagli aventi causa dei costruttori, che risultano aver sempre rispettato l'obbligo di richiamare gli effetti della convenzione in ogni atto di vendita. 6.3 - Non rileva, poi, che il mutamento della destinazione d'uso sia stato realizzato con o senza l'esecuzione di opere. Sul punto, come più volte statuito in giurisprudenza, va ricordato che "il mutamento della destinazione d'uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria. (Consiglio di Stato sez. VI, 04/03/2021, n. 1857). La circostanza che la modifica non abbia comportato la realizzazione di opere edilizie è dunque irrilevante, in quanto l'art. 23 ter D.P.R. 380/01 definisce come mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale (Consiglio di Stato sez. VI, 04/03/2021, n. 1857). Ai sensi dell'art. 32 del D.P.R. n. 380 del 2001, inoltre, il mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, costituisce una variazione essenziale rispetto al titolo edilizio" (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2022, n. 6823). 7 - Con il secondo motivo gli appellanti censurano la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il primo motivo di ricorso con cui avevano lamentato la violazione dell'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001. Per gli appellanti la sentenza sarebbe viziata, poiché il Tar non avrebbe preso in considerazione che il provvedimento impugnato è stato notificato solo agli appellanti e non a tutti i condomini del complesso immobiliare. L'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 sanzionerebbe la trasformazione del territorio e non il singolo abuso edilizio, pertanto, la lottizzazione abusiva non potrebbe essere fatta valere solo per alcuni e non per tutti i condomini del complesso edilizio. I soggetti non sanzionati sarebbero quelli che avrebbero, dopo l'avvio del procedimento, "confermato la volontà di destinare le proprie unità immobiliari a destinazione turistico-alberghiera conferendone la gestione a soggetto qualificato". Sul punto, gli appellanti sostengono che se l'Amministrazione comunale ritiene che la legittima destinazione urbanistica del complesso Sa. Gi. sia quella di RTA, a gestione unitaria, non apparrebbe legittima la contestazione mossa nei confronti di alcuni soltanto dei proprietari delle unità comprese nel piano la lottizzazione abusiva. Sotto altro profilo, gli appellanti evidenziano che il Giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto della disciplina legislativa (regionale e statale) in punto di variazioni essenziali rilevanti ai fini della lottizzazione abusiva, per cui nel caso di specie il Comune avrebbe dovuto applicare la sanzione pecuniaria. Per gli appellanti, posto che, nel caso di specie, non sarebbe stata realizzata alcuna opera e l'abuso consisterebbe nel mutamento di destinazione d'uso, la sanzione non poteva consistere nella confisca degli immobili ma, al più, avrebbe dovuto essere irrogata una sanzione di natura pecuniaria. 7.1 - Con il terzo motivo gli appellanti lamentano l'erroneità della pronuncia gravata per omessa pronuncia sul secondo motivo di impugnazione del ricorso di primo grado con cui avevano lamentato la carenza di motivazione del provvedimento impugnato. Al riguardo, parte appellane deduce che il provvedimento impugnato sarebbe stato genericamente motivato sul solo rilievo che la destinazione del complesso immobiliare Sa. Gi. sarebbe stata abusivamente mutata da turistico-alberghiera a residenziale, senza svolgere alcun ulteriore approfondimento istruttorio. Per l'effetto, il Comune avrebbe sanzionato con la confisca anche soggetti che, vista l'impossibilità di utilizzare gli immobili come RTA, li avevano chiusi per anni. 8 - Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, devono trovare accoglimento nei termini di seguito esposti. L'art. 30 del D.P.R. n. 380/2001 prevede che: "si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio". La norma disciplina due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva. Ricorre la lottizzazione abusiva cd. "materiale" con la realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione. Si ha invece lottizzazione abusiva "formale" o "cartolare" quando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne sono già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita - o altri atti equiparati - del terreno in lotti che, per le specifiche caratteristiche, quali la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, l'ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, o per altri elementi, evidenzino in modo non equivoco la destinazione ad uso edificatorio. L'interesse protetto dalla norma è quello di garantire un ordinato sviluppo urbanistico del tessuto urbano, in coerenza con le scelte pianificatorie dell'amministrazione. Avuto riguardo al caso di specie, si osserva che la giurisprudenza ha ritenuto che configura il reato di lottizzazione abusiva anche la modifica di destinazione d'uso di immobili oggetto di un piano di lottizzazione attraverso il frazionamento di un complesso immobiliare, di modo che le singole unità perdano la originaria destinazione d'uso alberghiera per assumere quella residenziale, atteso che tale modificazione si pone in contrasto con lo strumento urbanistico costituito dal piano di lottizzazione (cfr. Corte Cass. n. 38799 del 16/9/2015). 8.1 - Tenuto conto della specificità del presente giudizio deve anche precisarsi che ciò che qualifica la lottizzazione abusiva è la trasformazione complessiva di un determinato lotto in violazione della destinazione a suo tempo impressa dall'amministrazione; invero, l'art. 30 cit. sanziona la trasformazione globale di un'area e non il singolo intervento edilizio, differenziandosi dagli artt. 31 e ss. che riguardano, invece, l'abuso relativo alla singola opera abusiva; ne deriva che la lottizzazione abusiva dovrebbe ragionevolmente essere contestata a tutti i proprietari dell'area interessata dall'illegittima trasformazione e non solo ad alcuni di essi, proprio perché ciò che viene in rilievo è l'illegittima destinazione impressa all'intera area - o, nel caso di specie, all'intera struttura originariamente destinata ad albergo residenziale - in spregio agli strumenti urbanistici. Alla luce di tale precisazione emerge una prima criticità del provvedimento impugnato nel momento in cui vi si prospetta, per la medesima struttura di cui si contesta la modifica dell'originaria destinazione d'uso, una violazione diretta solo a taluni proprietari e non ad altri, pur titolari di unità abitative facenti parte dell'originaria struttura turistica. Al riguardo, non appare convincente il rilievo del Comune volto a differenziare la posizione di coloro che avrebbero "confermato la volontà di destinare le proprie unità immobiliari a destinazione turistico-alberghiera conferendone la gestione a soggetto qualificato". Invero, tale discrimine, che tra l'altro non oblitera l'originaria violazione posta in essere da coloro che hanno fruito delle unità immobiliare a scopo abitativo in violazione della disciplina dell'area, non appare idoneo a giustificare l'evidenziata anomalia. La contestazione, diretta solo ad alcuni proprietari, si rivela invece contraddittoria, riflettendosi, per l'effetto, sulla tenuta dei presupposti del provvedimento, che avrebbe dovuto interessare - nel momento in cui si accerta la violazione di cui all'art. 30 cit., da ritenersi riferita alla struttura globalmente intesa, e non un singolo abuso relativo a ciascuna unità abitativa - tutti i soggetti proprietari delle unità immobiliari del complesso turistico nelle medesime condizioni degli appellanti. 8.2 - Oltre all'aspetto che precede, anche la considerazione globale dei fatti che caratterizzano la fattispecie in esame e di seguito illustrati portano ad incrinare in modo decisivo la prospettazione comunale facente leva sull'art. 30 cit, ferma l'eventuale integrazione di singole violazioni alla stregua degli art. 31 e ss. del TU Edilizia. In particolare, deve essere posto in evidenza che la stessa amministrazione negli anni 2000, 2005 e 2010 ha rilasciato ai soggetti gestori dell'albergo licenze alberghiere incompatibili con la gestione unitaria a RTA di tutto il complesso, segnatamente per otto camere doppie, sedici suites e diciotto appartamenti, a fronte di una pretesa destinazione alberghiera che avrebbe dovuto coinvolgere la totalità delle novantasette unità (vedasi al riguardo anche la relazione comunale da ultimo depositata in giudizio, che conferma tale circostanza e dove si dà atto del fatto che le licenze sono state "rimodulate" dalla medesima Amministrazione Comunale, con il rilascio di titoli per 8 camere doppie, 16 suite e 18 appartamenti). In definitiva, risulta confermato che, da anni, il complesso Sa. Gi. non è stato gestito come RTA unitaria. Non solo, risulta che il Comune di (omissis) ha percepito per anni ICI e IMU sul presupposto della natura di "appartamenti residenziali" delle unità abitative; ha applicato la tassa per lo smaltimento dei rifiuti come "residenze"; ha addirittura concesso la residenza a taluni proprietari negli appartamenti. Tali circostanze stridono in modo insuperabile con la successiva contestazione per cui l'utilizzo residenziale di talune unità immobiliare - ma, inspiegabilmente, non di tutte, come innanzi già sottolineato - integrerebbe un'ipotesi di lottizzazione abusiva. Non solo, in base alle circostanze innanzi riferite è possibile finanche ipotizzare che il mancato funzionamento della struttura turistica nella sua consistenza originaria sia stato, negli anni, indirettamente incoraggiato dalla stessa amministrazione. In tale prospettiva deve anche osservarsi che, a monte delle predette circostanze, non appare in sintonia con la destinazione recettiva del complesso, unitariamente considerato, l'avvenuto frazionamento in singole unità intestate a distinti proprietari, anche in tal caso avallato dal Comune, tenuto conto della giurisprudenza per cui "l'unitarietà della struttura e dell'attività gestionale delle residenze turistico-alberghiere appare del tutto incompatibile con qualsiasi ipotesi di frazionamento della proprietà del complesso immobiliare in cui esse operano (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29 maggio 2008, n. 2584)" (Cons. St. 998 del 7.2.2020). 8.3 - Le circostanze che precedono fanno emergere, sotto i diversi profili innanzi delineati, l'ambiguità dell'atteggiamento comunale in riferimento alla struttura per cui è causa, minando i presupposti della contestazione portata dal provvedimento impugnato. Come anticipato, questa appare invece contraddittoria e, in ogni caso, sorretta da una motivazione deficitaria, siccome non spiega, in concreto, le ragioni della contestazione mossa ai sensi dell'art. 30 cit., non potendosi a tal fine ritenere sufficiente il mero richiamo a precedenti giurisprudenziali, stanti le peculiarità del caso di specie innanzi evidenziate. 9 - L'accoglimento dell'appello sotto il profilo che precede rende superfluo l'esame delle ulteriori censure dedotte con l'appello. Per quanto si è sopra rilevato scrutinando il primo motivo, resta non di meno confermato il carattere abusivo, e quindi illecito, delle avvenute modifiche alla destinazione d'uso prevista, da ciò conseguendone la necessità che, all'indomani della presente decisione, il Comune ponga in essere un'attività amministrativa che valga a rimuovere l'illecito ovvero i suoi presupposti, in ogni caso ripristinando la legalità . Ad una valutazione complessiva della vicenda le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, annullando l'atto impugnato. Spese di lite compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da Dott. CALVANESE Ersilia - Presidente Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paola - Giudice Dott. SILVESTRI Pietro - Giudice Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Relatore Dott. DI GIOVINE Ombretta - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1. Mi.En., nato a R. (...); 2. Di.Pl., nato a P. (...); avverso la sentenza del 14 aprile 2023 emessa dalla Corte di appello di Roma; visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Simone Perelli, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità di entrambi i ricorsi; udite le richieste dell'avvocato Em.Ve., difensore delle parti civili Condominio (...) e Fe.At., dell'avvocato Er.Ma., difensore della parte civile Sc.Ma., dell'avvocato Fr.Ca., difensore delle parti civili Pr.Fe. e Pa.Ma., che hanno chiesto di dichiarare l'inammissibilità dei ricorsi e la condanna degli imputati alla refusione delle spese del grado; udite le richieste dell'avvocato Pi.Ri., difensore di Mi.En., e dell'avvocato Ca.Bo., che hanno insistito per l'accoglimenti dei propri ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Rieti ha disposto il rinvio a giudizio di Mi.En. e Di.Pl. per il delitto di cui all'art. 110, 373 cod. pen., commesso in concorso in R. il 15 maggio 2015, (capo a), e di Mi.En. per il delitto di cui agli artt. 48, 56, 110 e 640 cod. pen., commesso in R. il 16 luglio 2015 (capo 2). Secondo l'ipotesi di accusa, il Mi.En., in qualità di consulente tecnico di ufficio nominato nella causa civile n. 564/10 pendente innanzi al Tribunale di Rieti, sottoscrivendo la relazione di consulenza tecnica depositata, avrebbe affermato fatti non conformi al vero e, segnatamente, di averla personalmente redatta, in quanto l'autore materiale sarebbe stato il Di.Pl., convenuto nel predetto processo (capo 1); il Pubblico Ministero ha, inoltre, contestato al Mi.En. il delitto di tentata truffa (capo 2), in quanto, depositando la richiesta di liquidazione dell'onorario di consulente tecnico di ufficio, avrebbe posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre il giudice civile a liquidare il rimborso di spese e fatture per operazioni inesistenti, asseritamente sostenute per l'espletamento del proprio incarico. 2. Il Tribunale di Rieti, con sentenza emessa in data 9 aprile 2021, ha dichiarato gli imputati responsabili dei reati a loro rispettivamente ascritti e ha condannato Mi.En., ritenuta sussistente la continuazione tra i reati contestati, alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione, Di.Pl. alla pena di due anni e sei mesi di reclusione e gli imputati in solido al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili. 3. Con la pronuncia impugnata la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, appellata dagli imputati: - ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Mi.En. e Di.Pl. per il reato di cui al capo 1) perché estinto per intervenuta prescrizione, eliminando la relativa pena; - ha rideterminato la pena per il reato di cui al capo 2) in un anno di reclusione e 400 euro di multa, pena sospesa; ha revocato la pena accessoria inflitta; - ha confermato nel resto la sentenza impugnata, condannando gli imputati alla refusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili nel grado. 4. L'avvocato Pi.Ri., difensore del Mi.En., ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo due motivi di ricorso. 4.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'errata applicazione della legge penale, in quanto la condotta accertata sarebbe inidonea ad integrare il tentativo di truffa contestato. L'allegazione di documentazione non genuina alla richiesta di liquidazione dei compensi non potrebbe, infatti, integrare il tentativo di truffa, in quanto la richiesta di pagamento sarebbe stata presentata al giudice, che è soggetto "estraneo al reato". Deduce, inoltre, il ricorrente che il giudice non ha liquidato i compensi al consulente tecnico e che, comunque, le parti civili non erano stati i destinatari del provvedimento di liquidazione; il giudice, peraltro, avrebbe potuto porre il pagamento degli onorari anche a carico della controparte Mi.En.. 4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 157-161 cod. proc. pen., in quanto il reato sarebbe si sarebbe prescritto prima della pronuncia della sentenza di secondo grado. Rileva il ricorrente che la Corte di appello ha dichiarato prescritto il più grave reato di cui al capo 1), in quanto estinto in data 14 gennaio 2023; se il reato di falsa perizia era, tuttavia, stato contestato come commesso in data 15 maggio 2015, quello di tentata truffa sarebbe stato commesso in data 16 luglio 2015. Il ricorrente, dunque, eccepisce che il termine di prescrizione del reato di cui al capo 2) dovrebbe essere più lungo di quello della falsa perizia di due mesi e un giorno. All'atto della pronuncia della sentenza di appello (in data 14 aprile 2023), dunque, la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare anche la prescrizione del reato di tentata truffa (maturata in data 16 marzo 2023). La sospensione del corso della prescrizione per effetto della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, peraltro, non potrebbe essere applicata nel caso di specie, in quanto si sarebbe regolarmente tenuta l'udienza di febbraio 2020 e il giudizio dibattimentale di primo grado sarebbe stato rinviato direttamente a giugno del 2020. 5. L'avvocato Ca.Bo., nell'interesse del Di.Pl., propone cinque motivi di ricorso e, segnatamente: 1) la violazione dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all'art. 610 cod. proc. pen. e la nullità dell'ordinanza emessa dalla Corte di appello in data 14 aprile 2023, quanto all'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio in appello al codifensore. Rileva il difensore che all'udienza del 14 aprile 2023 ha eccepito l'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio di appello in favore del codifensore, avvocato Gi.Qu., non comparsa all'udienza; la Corte di appello, tuttavia, ha rigettato l'eccezione, ritenendola tardiva, "risultando la presenza del codifensore alla precedente udienza e conseguentemente l'onere di sollevare la relativa eccezione". Ad avviso della Corte, dunque, il difensore già all'udienza del 17 febbraio 2023 avrebbe dovuto eccepire l'omessa notifica del decreto di citazione in favore dell'avvocato Qu. (che, peraltro, non era comparsa neppure a tale udienza) e l'inerzia sul punto avrebbe determinato la sanatoria del vizio e la conseguente tardività dell'eccezione. Rileva, tuttavia, il difensore che all'udienza del 17 febbraio 2023 non si era validamente costituito il rapporto processuale con l'imputato, in quanto era stata disposta la rinnovazione della notifica nei confronti dello stesso; l'eccezione, dunque, era stata proposta nella prima udienza nella quale la Corte di appello aveva ritenuto validamente costituito il rapporto processuale con l'imputato. L'omessa notifica al codifensore della vocatio in ius configura, del resto, una nullità dì ordine generale a regime intermedio e, dunque, deve essere eccepita con la prima difesa successiva all'atto viziato dalla parte che ne aveva interesse (cita in proposito Sez. 3, n. 16564 del 2022 (dep. 2023). L'eccezione sarebbe, peraltro, stata proposta tempestivamente, in quanto è stata formulata nel primo momento in cui la parte che ne aveva interesse, ovvero l'imputato, era stato regolarmente citata. 2) l'errata applicazione dell'art. 373 cod. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi del delitto di falsa perizia; Il ricorrente premette che la Corte di appello ha ritenuto sussistente il delitto di falsa perizia, in quanto tra le "affermazioni di fatti non conformi al vero previste dall'art. 373 cod. pen., rientra anche la falsa attestazione sulla provenienza dell'atto. La dichiarazione del consulente tecnico di ufficio di aver redatto in prima persona la perizia, espressa mediante la sottoscrizione del documento, dunque, era stata ritenuta un'affermazione di un fatto storico non conforme al vero, in quanto l'elaborato peritale sarebbe stato redatto non già dal consulente tecnico di ufficio, ma da un terzo. La disposizione di cui all'art. 373 del codice penale, punisce il perito o il consulente che affermi "fatti non conformi al vero", ma, ad avviso del difensore, i "fatti", cui la disposizione si riferisce, non possono che essere quelli oggetto dell'attività peritale. Il fatto penalmente rilevante è, peraltro, quello che, attraverso una immutatio veri, lede il bene giuridico tutelato (ossia la corretta amministrazione della giustizia) ed è in grado di incidere negativamente sulla decisione del giudice. Il Di.Pl., peraltro, non potrebbe aver concorso nel delitto di falsa perizia del consulente tecnico di ufficio, in quanto si era limitato a ritenutene l'elaborato conforme al proprio convincimento. L'istruttoria dibattimentale, peraltro, non avrebbe confermato la presunta falsità dei fatti contenuti nell'elaborato peritale. Lo stesso giudice civile, pur avendo constatato numerose anomalie (la dilazione dei tempi di deposito, l'acquisizione dalle parti e dai consulenti tecnici di parte di note non autorizzate dal giudice, l'invio telematico di un file astrattamente proveniente da una delle parti), aveva ritenuto che le stesse non fossero di gravità tale da giustificare la rinnovazione delle operazioni peritali. La perizia sarebbe, peraltro, risultata irrilevante ai fini della definizione del giudizio civile, che era stato deciso sulla base dei rilievi dell'accertamento tecnico preventivo; la condotta dell'imputato, dunque, sarebbe penalmente rilevante. 3) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso del Di.Pl. nel delitto asseritamente commesso dal Mi.En.; Il ricorrente deduce che la Corte di appello ha ritenuto dimostrata l'esistenza di un accordo criminoso tra il Di.Pl. ed il Mi.En. solo sulla base della asserita riconducibilità dei files alla paternità del Di.Pl., ma tale circostanza nulla potrebbe rivelare circa l'esistenza di un accordo criminoso, nonché in ordine al contributo fornito dall'extraneus Di.Pl. alla commissione del reato. Mancherebbe del tutto la prova della conoscenza da parte del Di.Pl. della circostanza che il Mi.En. avrebbe recepito acriticamente la bozza redatta, senza apportare alcuna modifica alla stessa e, soprattutto, rivendicando come proprio l'elaborato. La mera predisposizione di una bozza, dunque, non costituirebbe prova dell'illecito, in assenza della dimostrazione di un accordo. L'istruttoria, peraltro, avrebbe dimostrato solo l'esistenza di una certa confidenza tra i due, ma non certo di un accordo illecito. 4) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'attribuzione della paternità del file denominato "Tribunale ordinario di Rieti CTU definitiva" al Di.Pl.; Premette il ricorrente che la Corte di appello ha motivato l'attribuzione della paternità della consulenza tecnica al Di.Pl., in quanto il file "madre" sarebbe stato elaborato dal computer in uso esclusivo al medesimo. Deduce, tuttavia, il ricorrente che questa motivazione non si sarebbe confrontata con le censure mosse nell'atto di appello, nel quale si era eccepito che il consulente tecnico di ufficio si era fatto inviare sistematicamente files dai consulenti di parte nello svolgimento delle operazioni peritali e, quindi, ha lavorato su files creati da altri. L'autore originario di un file, peraltro, rimane sempre quello che ha dato la prima impronta. La Corte di appello, peraltro, avrebbe travisato l'esito delle testimonianze di Co.Gh. e di Ma.Br. relativamente al fatto che il computer nella stanza del Di.Pl., nello studio professionale, fosse nella sua esclusiva disponibilità; questa stanza, infatti, poteva essere usata da tutti i collaboratori e tutti gli ingegneri che lavoravano nello studio Ma.Br., compreso il Di.Pl., usavano un server comune, accessibile a tutti. 5) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'assenza dei danni asseritamente causati alle parti civili e al difetto di legitimatio ad causam. Rileva il ricorrente che la Corte di appello ha statuito che "non può dubitarsi che le condotte poste in essere da Mi.En. e Di.Pl. di cui sopra si è detto, abbiano causato un danno alle costituite parti civili per avere alterato il regolare svolgimento dell'attività processuale, essendo stato di fatto l'accertamento tecnico svolto da una delle parti processuali". Il difensore deduce, tuttavia, che la Corte di appello avrebbe obliterato la censura relativa all'impossibilità di ritenere la parte processuale parte lesa o danneggiata del delitto di falsa perizia, in quanto l'unica persona offesa nei delitti contro l'amministrazione della giustizia è lo Stato. Nel caso di specie, peraltro, la presunta falsa perizia non avrebbe arrecato alcun danno alla controparte, in quanto il danno conseguirebbe esclusivamente alla soccombenza nel processo civile, determinata dall'adozione di un provvedimento giudiziale viziato, nella specie insussistente. Le parti civili, peraltro, sarebbero risultate soccombenti nel processo civile sulla base dell'accertamento tecnico preventivo svolto dall'architetto Gi. e non della consulenza dell'ingegnere Mi.En.; in sede penale, dunque, tali soggetti prospetterebbero non già di essere state pregiudicate da un accertamento giurisdizionale falso o ingiusto, ma solo da un giudizio che era risultato contrario alle loro aspettative. 6. Con memoria depositata un data 6 febbraio 2024 gli avvocati Em.Ve., difensore delle parti civili Condominio (...) e Fe.At., dell'avvocato Er.Ma., difensore di Sc.Ma., hanno chiesto di dichiarare l'inammissibilità dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati. 2. Con il primo motivo dedotto, l'avvocato Pi.Ri. nell'interesse di Mi.En., ha dedotto l'errata applicazione della legge penale, in quanto la condotta accertata sarebbe inidonea ad integrare il tentativo di truffa. 3. Il motivo è manifestamente infondato. La Corte di appello ha congruamente ritenuto comprovato che l'imputato, quale consulente di ufficio, nel presentare la domanda di liquidazione per lo svolgimento del proprio incarico di consulente tecnico di ufficio, ha richiesto il rimborso di spese da lui non effettivamente sostenute; tale condotta integra il reato di tentata truffa, in quanto "le fatture presentate dallo stesso a corredo della domanda di liquidazione costituiscono atti idonei ad indurre in errore il giudice istruttore del processo civile in ordine alle spese documentate, al fine di trarne un ingiusto profitto" (pag. 11 della sentenza impugnata). La qualificazione operata dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado è, inoltre, conforme alla legge penale. Non integra, infatti, il reato di truffa la condotta della parte processuale, che, mediante l'induzione in errore del giudice in un processo civile o amministrativo, ottenga una decisione a sé favorevole (c.d. truffa processuale), in quanto manca l'elemento costitutivo dell'atto di disposizione patrimoniale, posto che il provvedimento adottato non è equiparabile a un libero atto di gestione di interessi altrui, ma costituisce esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, né può assumere rilevanza la riserva contenuta nell'art. 374 cod. pen., che si riferisce ai casi in cui il fatto sia specificatamente preveduto dalla legge nei suoi elementi caratteristici (Sez. 2, n. 48541 del 21/10/2022, Castiglione, Rv. 284172 - 01). Secondo la giurisprudenza di legittimità, invece, integra il reato di truffa, e non quello di peculato mediante induzione in errore ex artt. 48 e 314 cod. pen., la condotta dell'extraneus che mediante artifizi e raggiri, induca in errore il giudice a disporre la liquidazione di somme non spettanti, così procurandosi un ingiusto profitto (Sez. 6, n. 34517 del 05/07/2023, Dell'Oca, Rv. 285176 - 01, nella fattispecie l'agente, mediante la dichiarazione di attualità dei crediti oggetto di pregressa domanda di insinuazione al passivo, benché nelle more soddisfatti in via transattiva, e il deposito dei relativi titoli in originale, conseguiva la liquidazione di poste a carico della massa solo simulate; conf. Sez. 6, n. 15641 del 19/10/2023 (dep. 2024), con riferimento alla truffa posta in essere da un amministratore giudiziario che ha chiesto (e ottenuto) la liquidazione di onorari e spese non spettanti). In tal caso, infatti, a differenza della c.d. truffa processuale, il giudice non decide una controversia civile, ma pone in essere un atto dispositivo a contenuto patrimoniale sulla base della legge. Nel presente processo i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto gli artifizi e i raggiri posti in essere dal ricorrente sono stati diretti ad ottenere dal giudice non già un provvedimento giurisdizionale favorevole, ma la liquidazione dell'onorario per l'espletamento dell'incarico di consulente tecnico di ufficio. Parimenti il deposito in cancelleria da parte del consulente tecnico di ufficio dell'istanza di liquidazione dei compensi, corredata da giustificativi di spese mendaci, costituisce atto idoneo e diretto in modo non equivoco a trarre in inganno il giudice, qualora l'istanza non sia stata liquidata. 4. Con il secondo motivo l'avvocato Ri. ha censurato la violazione degli artt. 157-161 cod. proc. pen., in quanto il reato di truffa accertato si sarebbe prescritto prima della pronuncia di secondo grado, intervenuta in data 14 aprile 2023. 5. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto nel corso del giudizio di primo grado sono intervenuti due periodi di sospensione del corso della prescrizione, per complessivi ottantotto giorni. La prima sospensione, di ventiquattro giorni, è, infatti, intervenuta all'udienza del 14 febbraio 2020, quando il processo è stato rinviato all'udienza del 13 marzo 2020 per impedimento, dovuto alle condizioni di salute dell'avvocato Ca.Bo., difensore di Di.Pl.. La seconda sospensione, di sessantaquattro giorni, dal 9 marzo all'11 maggio 2020, è stata disposta dall'art. 83, comma 4, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, in quanto l'udienza originariamente fissata per il 13 marzo 2020 non si è tenuta in ragione della sospensione delle attività processuali determinata dalla necessità di evitare il propagarsi della pandemia. Le Sezioni unite di questa Corte, del resto, hanno statuito che, in tema di disciplina della prescrizione a seguito dell'emergenza pandemica da Covid-19, la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall'art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, si applica ai procedimenti la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all'11 maggio 2020, nonché a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale (Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020 (dep. 10/02/2021), Sanna, Rv. 280432 - 02, in motivazione, la Corte ha escluso che la sospensione della prescrizione possa operare in maniera generalizzata, per tutti i procedimenti pendenti, in quanto la disciplina introdotta all'art. 83, comma 4, d.l. n.18 del 2020, presuppone che il procedimento abbia subito una effettiva stasi a causa delle misure adottate per arginare la pandemia). Pertanto, posto che il delitto di tentata truffa contestato al capo 2) si è consumato in data 16 luglio 2015, all'atto del deposito nella cancelleria dell'istanza di liquidazione dei compensi da parte del consulente tecnico di ufficio Mi.En., il termine di prescrizione di sette anni e sei mesi, aumentato di ottantotto giorni, sarebbe maturato allo scadere del 14 aprile 2023. La Corte di appello, dunque, ha legittimamente emesso la sentenza impugnata in data 14 aprile 2023, prima del perfezionarsi della causa estintiva del reato. Secondo il criterio di computo enunciato dall'art. 14 cod. pen., infatti, il termine finale della prescrizione coincide con l'ultimo momento del giorno (o del mese) calcolato secondo il calendario comune (Sez. 3, n. 312 del 05/01/1974 (dep. 1975), Rotunno, Rv. 129007-01). 6. L'avvocato Bo., nell'interesse del Di.Pl., con il primo motivo di ricorso, ha dedotto la violazione dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all'art. 610 cod. proc. pen. e la nullità dell'ordinanza emessa dalla Corte di appello in data 14 aprile 2023, quanto all'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio in appello al codifensore, avvocato Gi.Qu. 7. Il motivo è manifestamente infondato. Il difensore ha eccepito all'udienza del 14 aprile 2023 l'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio di appello in favore del difensore, avvocato Gi.Qu., non comparsa alla precedente udienza tenutasi innanzi alla Corte di appello. La Corte, tuttavia, ha rigettato l'eccezione, ritenendola tardiva, "risultando la presenza del codifensore alla precedente udienza e conseguentemente l'onere di sollevare la relativa eccezione". Ad avviso della Corte, infatti, l'avvocato Bo. già all'udienza del 17 febbraio 2023 avrebbe dovuto eccepire l'omessa notifica del decreto di citazione in favore dell'avvocato Qu. (che, peraltro, non era comparsa neppure a tale udienza) e l'inerzia sul punto ha determinato la sanatoria del vizio e la conseguente tardività dell'eccezione. La decisione è corretta. Le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che la nullità a regime intermedio, derivante dall'omesso avviso dell'udienza a uno dei difensori dell'imputato, è sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione a opera dell'altro difensore comparso, pur quando l'imputato non sia presente (Sez. U, n. 39060 del 16/07/2009, Aprea, Rv. 244187-01, in motivazione la Corte ha precisato che è onere del difensore presente, anche se nominato d'ufficio in sostituzione di quello di fiducia regolarmente avvisato e non comparso, verificare se sia stato avvisato anche l'altro difensore di giudice e il motivo della sua mancata comparizione, eventualmente interpellando il giudice). In caso di omesso avviso di fissazione udienza ad uno dei due difensori di fiducia dell'imputato, si configura, infatti, una nullità a regime intermedio che deve essere eccepita in udienza dal difensore presente, sicché la mancata proposizione dell'eccezione sana la nullità, a prescindere dal fatto che l'imputato, regolarmente citato, sia presente o meno (Sez. 5, n. 55800 del 3/10/2018, Intoppa, Rv. 274620-01). 8. Con il secondo motivo l'avvocato Bo. ha censurato l'errata applicazione dell'art. 373 cod. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi del delitto di falsa perizia e il vizio di motivazione sul punto. 9. Il motivo è inammissibile, sia sotto il profilo dell'inosservanza della legge penale, che sotto quello del vizio di motivazione. 9.1. Il motivo è inammissibile, in relazione alla violazione di legge dedotta, in quanto l'imputato, in seguito alla dichiarazione di estinzione del reato per effetto della prescrizione, non ha interesse a ottenere l'esclusione della qualificazione della condotta accertata ai sensi dell'art. 373 cod. pen. ai fini della pronuncia sulla responsabilità civile da reato. L'imputato ha, infatti, un interesse concreto a contestare, ai fini civili, la diversa qualificazione giuridica del fatto attribuita dalla sentenza di prescrizione solo quando quest'ultima si riverberi sulla quantificazione del danno morale o del danno biologico. Nel caso di specie, tuttavia, l'imputato non ha indicato specifici profili che possano dimostrare l'interesse concreto alla diversa qualificazione giuridica dei fatti, che possano riverberarsi nel successivo processo civile per la determinazione dell'entità del danno da reato. L'interesse a ricorrere, del resto, risulta escluso quando, alla stregua della stessa richiesta della parte legittimata all'impugnazione, la decisione del giudice dell'impugnazione non inciderebbe nella sfera sostanziale della parte proponente (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815 e Sez. 1, n. 47675 del 24/11/2011, Loffredo, Rv. 252183). L'impugnazione, per essere ammissibile, deve, infatti, tendere all'eliminazione della lesione di un diritto, in quanto non è prevista la possibilità di proporre un'impugnazione che miri unicamente all'esattezza giuridica della decisione, senza che ne consegua un vantaggio pratico per il ricorrente (ex plurimis: Sez. 1, n. 39215 del 03/07/2017, Morrone, Rv. 270957 - 01). Del resto, quand'anche si accedesse alla richiesta dell'imputato di escludere la qualificazione del fatto come falsa perizia, non ne conseguirebbe l'irrilevanza penale dello stesso, ma la sua qualificazione ai sensi dell'art. 479 cod. pen. quale falso ideologico del perito, in ragione del rapporto di specialità che intercorre tra le due fattispecie di reato (cfr, Sez. 6, n. 20314 del 26/02/2015, Morena, Rv. 263410 - 01). Il rilievo sotto il profilo risarcitorio del turbamento del regolare svolgimento del processo civile, determinato dalla produzione in giudizio di una falsa consulenza tecnica di ufficio, dunque, permane, indipendentemente dalla qualificazione in sede penale di tale condotta falsa perizia o falso ideologico del perito. 9.2. Il motivo è parimenti inammissibile in relazione al vizio di motivazione dedotto. Il difensore ha, infatti, argomentato l'insussistenza della falsità della consulenza tecnica di ufficio, in quanto ritenuta da Di.Pl. conforme al proprio convincimento; parimenti la falsità sarebbe stata esclusa dal giudice civile, pur a fronte del rilievo di numerose anomalie e, comunque, non avrebbe inciso sulla decisione del processo civile, fondata sull'accertamento tecnico preventivo eseguito in fase cautelare. Tali rilievi, essendo volti a contestare in fatto la sussistenza del delitto contestato, si confrontano con la prova e non con la motivazione della sentenza impugnata. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944). 10. Con il terzo motivo l'avvocato Bo. ha dedotto la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso di Di.Pl. nel delitto asseritamente commesso da Mi.En.. 11. Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata. La Corte di appello di Roma, del resto, ha non incongruamente ritenuto dimostrato l'accordo sulla base delle risultanze dei tabulati telefonici, che dimostrano contatti tra i soggetti intensificatisi a ridosso del deposito della consulenza tecnica di ufficio, e del rinvenimento nell'agenda personale del Di.Pl. della relazione, ma priva di sottoscrizione. 12. Con il quarto motivo il difensore ha censurato la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'attribuzione della paternità del file denominato "Tribunale ordinario di Rieti CTU definitiva" al Di.Pl.. 13. Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente si è limitato a sollecitare la Corte di legittimità a un rinnovato esame degli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio, mediante un confronto diretto con gli stessi. Sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). La Corte di appello, peraltro, quanto alla paternità del file, richiamando la sentenza di primo grado, ha congruamente rilevato che sul computer del Mi.En. non è stato rinvenuto alcun file corrispondente a quello depositato, ad eccezione del file rinvenuto nella casella di posta elettronica, utilizzato per il deposito della perizia. Nel computer del Di.Pl., per converso, è stato rinvenuto un file pdf integralmente corrispondente al file depositato da Mi.En. quale consulenza tecnica di ufficio. 14. Con il quinto motivo il difensore ha dedotto la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'assenza dei danni asseritamente causati alle parti civili e al difetto di legitimatio ad causam. 15. Il motivo è inammissibile, in quanto il Tribunale ha legittimamente ammesso la costituzione di parte civile dei condomini e dei condomini indicati in epigrafe quali soggetti danneggiati dal reato. La Corte di appello ha, inoltre, non irragionevolmente indicato la ragione di danno nel pregiudizio cagionato alle parti processuali, costituitesi parti civili, dalla turbativa del regolare ordine delle attività processuali determinato dall'introduzione nel materiale probatorio di una consulenza tecnica di ufficio redatta in violazione dei doveri di terzietà e imparzialità del perito. 16. Alla stregua di tali rilievi, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che ciascun ricorrente versi la somma, determinata invia equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende. Gli imputati devono, inoltre, essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano in favore di Condominio (...) e Fe.At. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, in favore di Pr.Fe. e Pa.Ma. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, e in favore di Sc.Ma. in complessivi euro 4971,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in favore di Condominio (...) e Fe.At. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, in favore di Pr.Fe. e Pa.Ma. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, e in favore di Sc.Ma. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge. Così deciso il 22 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Relatore Dott. MICCICHÈ Loredana - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: GJ.EJ. nato il (Omissis) avverso la sentenza del 05/07/2023 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO RANALDI; lette le conclusioni del PG. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 5.7.2023, la Corte di appello di Milano, per quanto qui interessa, in parziale riforma della sentenza di primo grado - emessa con rito abbreviato - ha assolto Gj.Ej. dai reati di cui ai capi H) e Q), riducendo la pena e confermando nel resto la condanna del medesimo per i restanti reati di cui all'art. 73, d.P.R. 309/90, meglio descritti in rubrica. Sulla base di quanto ricostruito nelle sentenze di merito, il procedimento in esame trae origine dalle indagini del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Legnano, avviate da una segnalazione concernente un soggetto di nazionalità albanese di nome (Omissis), identificato in Gj.Ej., indicato come coinvolto in considerevoli attività di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e marijuana nell'area di Legnano. A seguito di attività tecniche di intercettazioni telefoniche e ambientali, anche con l'installazione di telecamere per le riprese video e di rilevatori gps sui veicoli usati dal Gj.Ej. e dagli altri soggetti identificati nel corso delle indagini, tra i quali i coimputati Ma.Kl. (detto Omissis) e Ma.Ag. (detto Omissis), gli inquirenti ricostruivano i traffici di stupefacente gestiti dal Gj.Ej. con l'ausilio dei predetti coimputati, questi ultimi rei confessi, oltre che con l'aiuto di altro coimputato, Mo.Pa. Le indagini consentivano di individuare alcuni luoghi isolati (anche in aree boschive) e gli immobili utilizzati dagli imputati per occultare lo stupefacente, nonché di monitorare gli incontri con alcuni acquirenti e procedere a sequestri di cocaina, così riscontrando il contenuto delle conversazioni intercettate e attribuire univoco significato al linguaggio criptico talvolta utilizzato dai prevenuti. La Corte territoriale ha ritenuto incontestabile il ruolo svolto dal Gj.Ej. di "dominus" dell'attività di spaccio condotta per suo conto da Ma.Kl. e Ma.Ag. e, quindi, il suo ruolo di concorrente morale e materiale in tutti i reati contestati in concorso con i predetti soggetti. Ha ammesso che da alcune conversazioni intercettate parrebbe evincersi che Ma.Kl. e Ma.Ag., in alcune occasioni, spacciassero droga anche autonomamente, ma ha osservato che ciò non era incompatibile con l'assunto accusatorio, pienamente riscontrato dagli elementi emersi, convergenti nel senso che costoro lavoravano alle dipendenze del Gj.Ej., di cui eseguivano gli ordini, sia provvedendo all'occultamento o spostamento delle sostanze stupefacenti, sia retrocedendo al Gj.Ej. i profitti delle cessioni di droga da loro materialmente eseguite, venendo da costui retribuiti per l'attività illecita svolta per suo conto. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, sotto plurimi profili, di seguito sintetizzati. Nella ricostruzione del ricorrente quale "dominus" dell'attività di spaccio materialmente eseguita da Ma.Kl. e Ma.Ag., la Corte territoriale non ha tenuto conto del colloquio intercorso il 10.1.2021 tra Ma.Kl. e un uomo poi identificato per Sa.Eu., durante il quale Ma.Kl. rivendica il fatto di lavorare da solo, senza fare menzione del Gj.Ej. quale suo "capo". Dall'intercettazione progr. (Omissis) del 14.12.2020 (citata a pag. 39/40 della sentenza impugnata) Ma.Ag. parla degli utili che ricava dall'attività di spaccio, eccessivi per uno stipendiato. Anche dall'intercettazione di cui al progr. (Omissis) del 5.3.2021 Ma.Kl. calcola una spesa chiaramente incongrua per due presunti stipendiati ma non per soggetti che svolgono autonomamente attività illecita. Altra intercettazione rilevante è quella di cui al progr. (Omissis) del 13.12.2020, ove Ma.Ag. risponde che (Omissis) (appellativo del ricorrente) "non c'entra adesso niente". Secondo il ricorrente, la Corte territoriale ha effettuato una lettura parcellizzata delle emergenze processuali, evitando di analizzare e di spiegare, a risposta delle obiezioni difensive, quanto non convergente con il convincimento soggettivo in ordine al presunto ruolo svolto dal ricorrente nella vicenda in esame. Le richiamate dichiarazioni rese dagli acquirenti di sostanza stupefacente non hanno valore dimostrativo del ruolo del prevenuto, in quanto derivanti da vere e proprie "voci correnti tra il pubblico" di cui non si deve tenere conto. Il ruolo del Gj.Ej. è stato illogicamente ricavato anche da alcuni tentativi di chiamata e messaggi pervenuti sul cellulare da questi utilizzato, nonché da altri colloqui intercettati ma illogicamente interpretati, specificamente indicati nel ricorso. Le censure vengono poi sviluppate sui singoli capi di imputazione sub A), B), C), D), E), G), I), J), L), M), P), su cui ci si soffermerà nel "ritenuto in diritto". Infine, il ricorrente lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., per omessa valutazione del leale comportamento processuale del ricorrente, il quale, pur da latitante, ha scelto di difendersi nel processo. 3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato con riferimento ai reati di cui ai capi B), C), D), E) specificati nel capo di imputazione, mentre non può trovare accoglimento con riferimento ai restanti capi. 2. Si deve premettere, in linea generale, che qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell'art. 192, comma secondo, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate più ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell'imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio "al di là di ogni ragionevole dubbio", caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, con esclusione soltanto delle eventualità più remote (Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Rv. 270299 - 01). Inoltre, è stato condivisibilmente osservato come la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti possa essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate, qualora il loro tenore sia sintomatico dell'organizzazione di una attività illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun sequestro, l'identificazione degli acquirenti finali, l'accertamento di trasferimenti in denaro o altra indagine di riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine di affermare la responsabilità degli imputati, è gravato da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalità con le quali è risalito alle diverse qualità e tipologie della droga movimentata (Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, Rv. 279251 - 01). 3. Nella specie, il percorso motivazionale della sentenza impugnata, con specifico riferimento ai reati di cui ai capi dianzi indicati (B-C-D-E), presenta evidenti vizi logici e travisamenti che sono stati compiutamente e fondatamente segnalati dalla parte ricorrente. Sotto questo profilo, in linea generale si può già affermare come le relative argomentazioni offerte dalla Corte territoriale sui detti reati non siano rispettose del criterio di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", dettato dall'art. 533 cod. proc. pen., unico criterio valutativo che può legittimamente fondare una condanna penale nel nostro sistema processualpenalistico. 4. Quanto al capo B (illecita detenzione, presso l'appartamento sito a L in (Omissis), di un panetto di sostanza stupefacente "verosimilmente" del tipo cocaina, del peso lordo di Kg. 1, in data 12.12.2020), si osserva quanto segue. 4.1. L'affermazione di responsabilità si fonda sul rilievo che il Gj.Ej. venne visto giungere a Legnano, alla guida dell'autovettura Audi Al, in via (Omissis), ed ivi arrestare la marcia. Dal lato passeggero scendeva dal veicolo Ma.Kl., "il quale reggeva in mano una confezione che, per forma, dimensione, lunghezza e larghezza, risultava, ragionevolmente, essere un panetto di cocaina del peso di 1,00 Kg, opportunamente celato". Secondo i giudici, "sviluppi successivi" conseguenti alle intercettazioni disposte, avevano consentito di accertare che "gli imputati utilizzavano anche quell'appartamento (...) come luogo sicuro di deposito delle sostanze stupefacenti destinate ai futuri commerci. Le dimensioni del pacco - molto ridotte rispetto alle dimensioni delle scatole trovate dagli operatori nel box di (Omissis) e contenenti residui di marijuana inducono logicamente a ritenere che si trattasse di cocaina e non di droga leggera, essendo stato comunque accertato che gli imputati trafficavano soltanto questi due tipi di sostanza". 4.2. L'illogicità di tale motivazione emerge dalla considerazione che la consistenza e natura del contenuto del pacco in questione viene desunta soltanto da elementi estrinseci, riguardanti forma e dimensione della confezione, che non danno alcuna certezza non soltanto in ordine al peso e al tipo di droga (cocaina) di cui si ipotizza la detenzione, ma addirittura in ordine alla stessa esistenza della sostanza stupefacente in quel momento detenuta. In altri termini, dalla mera tipologia della confezione non appare lecito desumere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che in quel momento il pacco contenesse un chilo di cocaina, non essendo stati indicati ulteriori elementi specifici, al di là della generica attività delinquenziale di traffico di stupefacenti commessa dal prevenuto, per dare consistenza probatoria a tale affermazione. È evidente, infatti, che l'affermazione secondo cui gli imputati trafficavano cocaina e marijuana non può significare che ogni confezione da essi trasportata contenesse immancabilmente sostanza stupefacente, in assenza di riscontri oggettivi nel caso neanche indicati. 4.3. Si deve anche evidenziare la carenza motivazionale della decisione in disamina, laddove ha del tutto omesso di rispondere al motivo di appello proposto, sul punto, dalla difesa del ricorrente, nella parte in cui aveva segnalato che, visionando le immagini riportate a pag. 332 della Comunicazione notizia di reato, "occorre un vero e proprio atto di fede per ritenere provato che quello portato da Ma.Kl. sia un panetto, tanto più di cocaina, tenuto conto che si vede in primo piano un oggetto di colore marrone scuro (che sembra un borsello di cuoio) e poi un grande foglio bianco che non lascia trasparire affatto il suo contenuto". 4.4. Osserva, inoltre, fondatamente la difesa come nel caso non s1 possa nemmeno discorrere di "droga parlata", attesa la riscontrata assenza di intercettazioni di eventuali conversazioni dell'imputato o del Ma.Kl. in cui costoro facciano riferimento a stupefacente trasportato e depositato in quell'occasione nell'appartamento di (Omissis). 5. Quanto al cap C (illecita detenzione, presso l'appartamento sito a L in (Omissis), di sostanza stupefacente "verosimilmente" del tipo marijuana, del peso lordo di Kg. 20 circa, materialmente ceduta a Be.Fa. da Ma.Kl. in data 24.12.2020) e al capo D (illecita detenzione, presso l'appartamento sito a Legnano in (Omissis), di sostanza stupefacente "verosimilmente" del tipo marijuana, del peso lordo di Kg. 20 circa, materialmente ceduta a Be.Fa. da Ma.Kl. in data 30.12.2020), si osserva quanto segue. 5.1. L'affermazione di responsabilità per i due fatti criminosi in questione si fonda su quanto immortalato dalla telecamera installata nei locali seminterrati del condominio di (Omissis). Dalla visione delle immagini la Corte territoriale desume "la cessione di sostanza stupefacente verosimilmente del tipo marijuana, del peso loro di circa 20,00 Kg, avuto riguardo a dimensione e forma della busta consegnata, effettuata da Ma.Kl. in favore di Be.Fa." (capo C); stessa scena viene ripetuta qualche giorno dopo (capo D), quando il Be.Fa. si reca con la propria autovettura Fiat 500 in via (Omissis) ed entra per accedere ai box del condominio di L, (Omissis), con il Ma.Kl. presente come passeggero, il quale scende dalla vettura, dirigendosi verso la porta di accesso del condominio, per poi fare ritorno e consegnare al Be.Fa. "una borsa di colore blu, verosimilmente contenente sostanza stupefacente". Opina la Corte territoriale che "le modalità operative e le cautele adottate confermano, ancora una volta, che il box e l'appartamento di (Omissis) erano impiegati dalla compagine criminale quale deposito di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente, destinata ad essere commercializzata". Anche per l'episodio criminoso del 30.12.2020 la Corte di merito ritiene dimostrata "la detenzione di sostanza stupefacente verosimilmente del tipo marijuana, complessivamente pari a circa 20 kg o, in ogni caso, per un quantitativo palesemente consistente, avuto riguardo a dimensione e forma della busta consegnata da Ma.Kl. a Be.Fa.". 5.2. Oltre alla considerazione in ordine alla illogicità della suddetta motivazione, laddove fa discendere il contenuto illecito della busta consegnata da forma e dimensione della stessa (per cui si rimanda a quanto già argomentato nel precedente par. 4.2), nello specifico la difesa ha fondatamente segnalato un vero e proprio travisamento della prova da parte dei giudici milanesi, nella parte in cui è stato desunto che la busta contenesse marijuana, per come risultante - opinano i giudici - dall'esito della perquisizione domiciliare eseguita dalla polizia giudiziaria in data 16.3.2021, allorquando nello stesso box furono rinvenute "diverse scatole di cartone contenenti residui di quella tipologia di sostanza stupefacente". Ebbene, dal processo verbale di sequestro allegato in ricorso si evince che all'interno delle scatole di cartone vuote rinvenute nel box non furono affatto riscontrati "residui" di marijuana, bensì, in altra zona del locale, sotto n. 4 gomme per auto, alcuni involucri contenenti pochi grammi di marijuana. Né i giudicanti hanno dato conto in motivazione di specifici accertamenti volti a dimostrare che quei cartoni avessero contenuto in precedenza quella specifica tipologia di sostanza stupefacente. 5.3. Anche in questo caso va, inoltre, evidenziata la carenza motivazionale della sentenza impugnata, laddove non fornisce puntuali risposte ai motivi di impugnazione avanzati in sede di gravame di merito dalla difesa dell'imputato sugli episodi in questione; nonché l'assenza o, comunque, la mancata indicazione di ulteriori riscontri oggettivi (sequestro, intercettazioni in cui si parla di tali cessioni, verifiche sull'inserimento del Be.Fa. in ambienti dediti al traffico di stupefacenti) idonei a dare motivata contezza in ordine alla effettiva sussistenza dei fatti illeciti in riferimento. 6. Quanto al capo E (illecita detenzione, presso l'appartamento sito a L in (Omissis), di sostanza stupefacente "verosimilmente" del tipo marijuana, del peso lordo non inferiore a 250 kg circa, materialmente ceduta a tre uomini allo stato ignoti da Ma.Kl., occultata in n. 4 scatole di cartone, n. 1 busta gialla e n. 4 bidoni, in data 8.1.2021), si osserva quanto segue. 6.1. L'affermazione di responsabilità si ricava dalla rilevazione dei movimenti delle autovetture utilizzate dagli imputati e dalle videoriprese eseguite dalle telecamere installate all'esterno e all'interno dell'immobile di (Omissis). Viene così riportato che quel giorno il Gj.Ej. accompagnava, con la propria autovettura, Ma.Kl. nei pressi di via (Omissis). Quest'ultimo, quindi, accedeva nel condominio dall'ingresso pedonale e raggiungeva l'appartamento. Poco dopo la telecamera riprendeva il Ma.Kl. mentre trasferiva dal suddetto appartamento al box di pertinenza dello stesso almeno quattro scatole di cartone ed una busta gialla. Sopraggiungeva un furgone con cassone scoperto, a bordo del quale vi erano due uomini che raggiungevano il box. Ma.Kl. trasferiva le scatole e la busta sul cassone del furgone, aiutato da uno dei due sconosciuti. I due uomini, poi, prelevavano dal furgone quattro bidoni e li riponevano momentaneamente nel box, per poi riempirli di stupefacente e caricarli di nuovo a bordo del furgone. Secondo la Corte territoriale, "Dai movimenti effettuati dai predetti soggetti si evinceva che i bidoni trasportati dal box al furgone erano più pesanti rispetto a quando gli stessi erano stati scaricati dal furgone, sicché si riteneva, ragionevolmente, che detti bidoni fossero stati riempiti di sostanza stupefacente, verosimilmente del tipo marijuana". I giudici milanesi hanno ritenuto che si trattasse di almeno 250 kg. di marijuana, in considerazione dei "movimenti di Ma.Kl. e degli uomini non identificati, nonché dalla plausibile consistenza delle quattro scatole di cartone, della busta e dei quattro bidoni da costoro trasportati e caricati dal furgone". Ciò troverebbe conferma, a detta della Corte di merito, dalla successiva perquisizione domiciliare eseguita in quello stesso box il 16.3.2021, quando vennero rinvenute "scatole di grandi dimensioni contenenti residui di marijuana", per cui "quella che a gennaio era solo un'ipotesi investigativa ha acquisito, al termine dell'indagine, significativa concretezza". 6.2. Al riguardo, tuttavia, si è già avuto modo di rilevare (v. supra al par. 5.2) il grave travisamento della prova da cui è affetta la motivazione in disamina, laddove si dà per scontata la presenza di "residui" di marijuana all'interno degli scatoloni vuoti rinvenuti nel box, in realtà non riscontrati né segnalati nel verbale di perquisizione in data 16.3.2021 allegato dalla difesa. Un simile travisamento, desumibile dal testo del provvedimento impugnato rispetto al verbale di perquisizione specificamente allegato dal ricorrente, appare idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso (cfr. Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758 - 01); invero, nella specie il ragionamento dei giudici di merito trova un fondamentale appiglio di conferma (dell'ipotesi di cessione di marijuana) proprio dall'elemento di prova travisato (presenza di residui di marijuana all'interno degli scatoloni vuoti rinvenuti, nel box, diverse settimane dopo il fatto), il quale ha condotto ad un'inferenza erronea in ordine alla sussistenza del reato in contestazione sul piano della certezza processuale "al di là di ogni ragionevole dubbio". Sotto questo profilo, le stesse espressioni verbali utilizzate nell'iter argomentativo della decisione in disamina ("si riteneva, ragionevolmente, che detti bidoni fossero stati riempiti di sostanza stupefacente, verosimilmente del tipo marijuana") non sembrano esprimere affermazioni di certezza, bensì affermazioni per lo più ipotetiche o probabilistiche, come si evince dall'utilizzo di modalità verbali {il congiuntivo trapassato, nella forma passiva, del verbo riempire: "fossero stati riempiti") e di un avverbio ("verosimilmente") che non possono certo soddisfare le esigenze di certezza proprie del processo penale. 6.3. Ulteriore vizio logico si riscontra nella parte in cui la Corte territoriale trae dati di conferma dell'ipotesi accusatoria dalla circostanza che il Ma.Kl. "non ha contestato né che si trattasse di stupefacente del tipo marijuana né il peso stimato dagli inquirenti, con ciò avallando la fondatezza dell'ipotesi accusatoria". Ma il Ma.Kl., nel presente procedimento, ha solo concordato la pena. in appello ai sensi dell'art. 599-bis cod. proc. pen., scelta processuale "personalissima" e "neutra" rispetto all'accertamento di responsabilità nei confronti del coimputato, odierno ricorrente; ne discende che la stessa non può essere, di per sé, valorizzata quale ammissione di fatti in senso sfavorevole al ricorrente. 7. Di seguito saranno, invece, esaminati i motivi di censura reputati infondati, riguardanti i restanti reati oggetto di ricorso, come tali da rigettare. 8. Capo A), in cui si contesta a Gj.Ej., con il ruolo di promotore e organizzatore della cooperazione nel reato e direttore dell'attività, a Ma.Kl., con il ruolo di concorrente morale e materiale nell'attività di spaccio al dettaglio e a Ma.Ag., quale cedente materiale, il delitto di cessione a Fo.St. di una dose di sostanza stupefacente del tipo cocaina, del peso lordo di gr. 0,57, commesso in data 23.11.2020. I rilievi del ricorrente si appuntano sull'asserita mancanza di prova del concorso del ricorrente nella fattispecie criminosa in disamina, ma sul punto la Corte territoriale, conformemente al primo giudice, ha offerto un percorso argomentativo congruo e non manifestamente illogico, valorizzando il complesso dei dati probatori, da cui è emerso -in sintesi - che Ma.Kl. e Ma.Ag. in quel periodo spacciavano droga per conto del Gj.Ej., venendo da costui retribuiti mensilmente, consegnandoli il provento delle cessioni e utilizzando come base logistica per il confezionamento delle dosi di stupefacente l'appartamento di Via (Omissis), di cui Gj.Ej. pagava l'affitto e aveva la piena disponibilità, dopo avere intestato fittiziamente il contratto a Ca.St. 9. Capo G), in cui si contesta a Gj.Ej. (e ai coimputati Ma.Kl. e Ma.Ag.) di avere illecitamente detenuto n. 89 dosi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, del peso netto di gr. 35,595, con principio attivo pari all'82%, per complessivi gr. 29,190 di cocaina cloridrato pura; dosi occultate dal Ma.Kl. nell'area boschiva che insiste su via (Omissis) di L e successivamente sottoposte a sequestro penale. Le doglianze del ricorrente su tale capo si dilungano su non consentite censure di merito, a fronte di una motivazione che ha logicamente ricostruito la vicenda, sulla base delle conversazioni intercettate, e che vede coinvolto anche il ricorrente, non solo in virtù del suo insindacabile ruolo di soggetto sovraordinato rispetto a Ma.Kl. e Ma.Ag. (dato che non può essere rimesso in discussione nella presente sede di legittimità), ma - come ragionevolmente opinato dalla Corte territoriale - anche alla luce della condotta dei coimputati, quali immediatamente lo avevano informato della "sparizione" dello stupefacente (conseguente al sequestro eseguito dagli operanti) dal luogo dove era stato da loro in precedenza occultato. 10. Capo I), in cui si contesta a Gj.Ej. (e ai coimputati Ma.Ag. e Mo.Pa.) di avere illecitamente detenuto presso l'appartamento sito a L, (Omissis), un imprecisato quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina, trasportato all'interno di un borsone nero nell'imbosco di L, Via (Omissis), commesso in data 10.2.2021. Le censure del ricorrente su tale capo si articolano in non consentite doglianze di merito, a fronte di una motivazione che ha logicamente ricostruito la vicenda, alla luce del contenuto di conversazioni intercettate e di videoriprese eseguite negli immobili di (Omissis) e di Via (Omissis), da cui è emerso che Gj.Ej. aveva inviato Ma.Ag., previo avviso al Mo.Pa. (quale occupante dell'immobile di (Omissis) e di detentore delle chiavi dell'appartamento e del box di pertinenza) di ritirare lo stupefacente ivi custodito, che poi lo stesso Ma.Ag. aveva provveduto a trasportare all'interno dell'appartamento di Via (Omissis), luogo dove in altre occasioni costui e Ma.Kl. erano stati ripresi nell'atto di lavorare, tagliare e confezionare le dosi di cocaina. In questa sede non si può rimettere in discussione l'interpretazione delle frasi intercettate, con specifico riguardo al termine gergale "macchinari", parola che secondo giudici di merito faceva proprio riferimento alla sostanza stupefacente. I giudicanti hanno - non illogicamente - ritenuto che i conversanti fanno riferimento alla sostanza stupefacente quando Gj.Ej. dice che manderà il ragazzo a ritirare "quello piccolo" (riferito al macchinario), visto che né Ma.Ag. né Mo.Pa. hanno mai dichiarato che in quella casa erano presenti macchinari di alcun genere. In proposito, del resto, è bene rammentare il principio, costantemente affermato dalla Corte regolatrice, secondo cui, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (cfr. Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337 - 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389 - 01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258164 - 01). 11. Capo J), in cui si accusa Gj.Ej., in concorso con Ma.Ag., della cessione a Fa.Fa. di almeno 100 grammi di cocaina, fatto commesso a Legnano in data 11.2.2021. Le censure del ricorrente su tale capo reiterano non consentite doglianze di merito, a fronte di una motivazione che ha logicamente ricostruito la vicenda. Osserva la Corte territoriale che tale episodio criminoso è collegato al reato di cui al precedente capo I), atteso che, dopo l'incontro con Mo.Pa. e il prelievo dello stupefacente, Ma.Ag. si reca immediatamente da Gj.Ej., presso il ristorante (Omissis) di (Omissis). Nello stesso ristorante viene visto giungere da un operante Fa.Fa., conosciuto dallo stesso militare per averlo arrestato in flagranza per la detenzione illecita di 15 kg. di cocaina. Fa.Fa. viene visto intrattenersi con il ricorrente all'esterno del locale e poi entrare nel ristorante, dove nel frattempo è giunto Ma.Ag. Quest'ultimo e Gj.Ej. si recano quindi nello stabile di Via (Omissis), dove vengono visti portare all'interno dell'appartamento il borsone prelevato poco prima dall'appartamento di (Omissis). Fa.Fa. li raggiunge a bordo della sua autovettura Smart e si incontra con Ma.Ag. nel seminterrato del palazzo, dove riceve un involucro in cambio di denaro. La circostanza che tale scambio abbia ad oggetto cocaina è riscontrata dalle dichiarazioni confessorie rese da Ma.Ag. e da Fa.Fa., giudicato separatamente. Il coinvolgimento nella cessione in disamina del Gj.Ej. è stato ravvisato in forza della plausibile considerazione secondo cui, appurato che Ma.Ag. spacciava per conto del Gj.Ej., di cui eseguiva gli ordini, e che entrambi erano presenti nell'edificio di Via (Omissis), non era sostenibile che nell'occasione la cessione di cocaina fosse stata decisa autonomamente da Ma.Ag., all'insaputa del ricorrente. 12. Capo L), in cui si accusa il ricorrente, in concorso con Ma.Ag. e Ma.Kl., di illecita detenzione di 16, 7 kg. di cocaina, rinvenuti e sequestrati dalla polizia giudiziaria nell'appartamento di Via (Omissis) in data 13.3.2021. La doglianza articolata dalla difesa del ricorrente su tale capo di imputazione appare generica e in fatto, a fronte di ampia e logica motivazione in ordine al rinvenimento della droga e ai successivi movimenti degli imputati. Rileva la sentenza impugnata come su tale episodio i coimputati Ma.Kl. e Ma.Ag. siano rei confessi e come il coinvolgimento del Gj.Ej. ed il suo ruolo di organizzatore e direttore dell'attività illecita di narcotraffico sia univocamente dimostrato dal contenuto delle conversazioni intercettate, dall'esito dei servizi di osservazione e pedinamento predisposti dai Carabinieri, dalla reazione dei tre imputati all'intervento della polizia giudiziaria, per il timore di essere arrestati quali effettivi detentori dell'ingente quantitativo di stupefacente custodito nell'immobile di Via (Omissis), immobile nella chiara disponibilità del Gj.Ej., secondo quanto riferito dall'apparente locataria Ca.St. e come risultante dalle videoriprese che lo hanno immortalato al suo interno insieme ai coimputati. Non è questa la sede per ripercorrere nel dettaglio l'articolata vicenda che ha condotto al rinvenimento dell'ingente quantitativo di cocaina in questione all'interno dell'immobile di Via (Omissis). Basterà solo ricordare che ad un certo punto dell'indagine gli imputati si erano accorti di essere sottoposti alla discreta sorveglianza dei Carabinieri, tanto da sospendere l'attività di spaccio, su disposizione del Gj.Ej., come emerso dalle conversazioni intercettate. Nei giorni successivi, gli imputati avevano continuato, con le loro autovetture, ad effettuare numerosi passaggi nei pressi dell'abitazione di Via (Omissis), senza mai entrare nell'appartamento, temendo che lo stesso fosse controllato dai Carabinieri. A seguito di alcune problematiche tecniche riscontrate sui dispositivi video installati all'interno dell'appartamento, gli operanti entravano nello stesso e ivi rinvenivano, davanti alla porta di ingresso, il borsone nero che in data 11.2.2021 Gj.Ej. e Ma.Ag. avevano portato all'interno dell'immobile. In tale borsone vi erano involucri avvolti nel cellophane, analoghi a quelli che in data 10.3.2021 erano stati trovati nella disponibilità di Es.Sa. e Ol.Da. (arrestati in flagranza). In particolare, si trattava di 13 panetti di cocaina, per un peso complessivo di circa 13,800 Kg, avente principio attivo pari al 90,1 %. Il 13.3.2021 Ab.El. e Ma.Mo., inviati nell'appartamento di Via (Omissis) per recuperare la droga, erano tratti in arresto in flagranza del reato di detenzione di ulteriori 12 involucri di cocaina, pari complessivamente a circa 722,69 grammi lordi. Dalla conversazione captata in ambientale all'interno dell'appartamento, intercorsa tra i due arrestati, si evinceva che i due avevano ricevuto precise istruzioni sull'ubicazione dello stupefacente da recuperare. Infine, in data 13.3.2021, gli operanti procedevano ad una compiuta perquisizione locale dell'immobile di Via (Omissis), ivi rinvenendo materiale vario per il confezionamento di dosi e appunti manoscritti riportanti cifre afferenti alla vendita di sostanze stupefacenti ed alle somme di denaro già versate a Gj.Ej. o che ancora dovevano essere da questi incassate. È stato, inoltre, rimarcato che il ricorrente, una volta appresa la notizia dell'intervento dei Carabinieri e degli arresti operati, si era dato a precipitosa fuga, avvalendosi della sua autovettura Jaguar, successivamente abbandonata nel Comune di Invorio Superiore, rendendosi poi irreperibile. I coimputati Ma.Kl. e Ma.Ag. erano stati, invece, intercettati e bloccati dalla polizia giudiziaria, il primo presso l'aeroporto di Orio al Serio, poco prima di prendere un volo per Tirana; il secondo, localizzato tramite dispositivi in uso agli operanti sulla via (Omissis), veniva successivamente fermato a Legnano, in Via (Omissis), a bordo di una Alfa Romeo Giulietta, all'interno della quale veniva rinvenuta una busta di cellophane contenente, fra l'altro, il passaporto. 13. Capo M), in cui si accusa il ricorrente, in concorso con Ma.Kl. e Ma.Ag., di avere ceduto in più occasioni sostanza stupefacente del tipo cocaina e marijuana a una serie di tossicodipendenti, identificati dalla polizia giudiziaria, tra settembre 2020 e il 13 marzo 2021. Anche in questo caso la difesa del ricorrente deduce generiche censure di merito che non incidono sul percorso argomentativo della sentenza impugnata, che ha congruamente e logicamente spiegato il ruolo del ricorrente nell'illecita attività di cui trattasi, sulla scorta delle conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, dell'esito dei servizi di osservazione e pedinamento eseguiti dai Carabinieri, dell'analisi dei tabulati telefonici dai quali si è risaliti alla identità dei "clienti" e si è ricostruita l'intensità dei loro contatti con gli spacciatori, delle dichiarazioni rese dagli acquirenti, sentiti come persone informate sui fatti. In particolare, sono state riportate compiutamente le dichiarazioni di quegli acquirenti che hanno esplicitamente fatto riferimento anche al Gj.Ej. e al suo ruolo nei fatti contestati. Dalle conversazioni riportate, inoltre, è stato plausibilmente desunto che alcuni clienti sapevano che il ristorante (Omissis) di (Omissis) era la base logistica del ricorrente per la sua attività di spaccio e che il medesimo si avvaleva di altre persone - pacificamente identificate nei servizi di osservazione e dalle videoriprese in Ma.Kl. e Ma.Ag. per le consegne di sostanze stupefacenti ai clienti. Il tutto è stato, inoltre, riscontrato dagli appunti rinvenuti dalla polizia giudiziaria e sequestrati in occasione della perquisizione eseguita in data 13.3.2021 nell'appartamento di Via (Omissis), adibito a base logistica per lo stoccaggio e la lavorazione della cocaina, nonché per la pesatura e il confezionamento delle dosi. In definitiva, la motivazione della sentenza impugnata appare immune dai denunciati vizi di legittimità, avendo logicamente argomentato circa la responsabilità del ricorrente quale mandante di tutte le cessioni di sostanze stupefacenti contestate al capo M). 14. Quanto alla contestazione di autoriciclaggio di cui al capo P), la doglianza prospettata dal ricorrente non appare idonea a ravvisare vizi logico-giuridici rispetto alla ricostruzione argomentativa offerta dalla Corte di merito, che appare in linea con il citato insegnamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di autoriciclaggio, integra la condotta punita dall'art. 648-ter.1 cod. pen. il reinvestimento nel gioco d'azzardo e nelle scommesse dei proventi illeciti, così da mascherarne la provenienza delittuosa, poiché l'alea tipica di quei giochi è assimilabile a quella propria delle "attività speculative" contemplate dalla norma incriminatrice, implicando l'accettazione di un rischio correlato all'impiego delle risorse (Sez. 2, n. 11325 del 18/01/2023, Rv. 284290 - 01) In proposito, i giudicanti hanno desunto da alcune conversazioni intercettate che il ricorrente era solito frequentare, con una certa assiduità, le sale da gioco, e che la finalità da lui perseguita fosse proprio quella di "ripulire" i proventi dei suoi traffici illeciti, in modo da poter giustificare con le vincite eventualmente conseguite la disponibilità di denaro contante. Del resto, in tema di autoriciclaggio è pacifico che la lecita vestizione delle somme, dei beni e delle altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto, derivando dalla condotta di impiego, sostituzione o trasferimento, costituisce, per effetto dell'avvenuta trasformazione, il risultato dell'attività criminosa, sicché le risorse di origine illecita assumono un'autonoma individualità e integrano la provvista economica del nuovo delitto trasformativo (Sez. 2, n. 6024 del 09/01/2024, Rv. 285933 - 01); ciò è proprio quanto è stato insindacabilmente riscontrato dai giudici di merito, in coerenza con i dati probatori processualmente emersi. 15. In conclusione, dall'accoglimento dei motivi di ricorso proposti in relazione ai reati di cui ai capi B), C), D) ed E) - rimanendo in essi assorbito l'ultimo motivo attinente al trattamento sanzionatorio (mancata concessione delle attenuanti generiche), che dovrà comunque essere riesaminato in sede di merito - deriva l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente a tali capi, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Nel resto il ricorso va rigettato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi B) C) D) ed E) e rinvia per nuovo giudizio su detti capi ad altra sezione della corte d'appello di Milano. Rigetta il ricorso nel resto. Così deciso il 10 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

  • Tribunale di Palermo Verbale udienza ex art. 281 sexies c.p.c. Proc. n. 7227 /2023 a cui è riunito il procedimento n. 7255/2023 All'udienza del 29/05/2024 davanti al giudice Dr. Filippo Lo Presti sono comparsi per la discussione: l'Avv. (omissis) personalmente che si difende ex art. 86 c.p.c.; per l'Avv. (omissis) anche in sostituzione dell'Avv. (omissis). L'Avv. (omissis) ribadisce che l'interesse all'annullamento della delibera è essenziale in quanto la delibera stessa era tesa a concludere un procedimento di mediazione nell'ambito di un procedimento da lui stesso intentato come controparte, di modo che era suo interesse far emergere la invalida partecipazione del condominio alla mediazione. L'Avv. (omissis) si riporta al contenuto degli atti e alla memoria depositata Il Giudice, si ritira in camera di consiglio. Il giudice alle ore 17.20, all'esito della camera di consiglio del 29/05/2024, riaperto il verbale del procedimento n. 7227 del R.G. dell'anno 2023, al quale è riunito il procedimento n. 7255/2023 R.G., pronuncia la sentenza - dando lettura - assenti le parti - del dispositivo e delle ragioni della decisione, e ne fa deposito in Cancelleria. Repubblica Italiana In Nome del Popolo Italiano Il TRIBUNALE DI PALERMO Nella persona del Dott. Filippo Lo Presti, in funzione di Giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 7227 del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2023 TRA AVV. (omissis) (c.f.), difeso da se stesso ex art. 86 c.p.c., con studio in (omissis), CONTRO (omissis), (c.f.), in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. (omissis) in virtù di procura allegata telematicamente in atti. OGGETTO: AZIONE DI ANNULLAMENTO DI DELIBERA ASSEMBLEARE. DISPOSITIVO Il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione: respinge la domanda di annullamento della delibera approvata dall'assemblea del convenuto in data 15 maggio 2023. Condanna l'attore al pagamento delle spese di lite, liquidandole in favore del in euro 3.500,0 oltre IVA, CPA e rimborso forfettario del 15% come per legge. MOTIVI DELLA DECISIONE Con distinti atti di citazione tempestivamente e ritualmente notificati, l'Avv. (omissis), nella qualità di condomino del sito in (omissis), in (omissis), ha impugnato la delibera assembleare adottata, in seconda convocazione, il 15/05/2023, perché assunta con il voto deciso di un condomino deceduto e, al netto della quota a lui riferibile, approvata in assenza della maggioranza legale. In via istruttoria ha chiesto l'acquisizione dell'anagrafica dei proprietari del condominio. L'attore ha precisato che con la delibera veniva approvato, grazie al voto favorevole di sei (n. 6) condomini, per un totale di 416,480 millesimi, il punto all'ordine del giorno teso a conferire all'amministratore la "Autorizzazione a partecipare alla mediazione proposta dal condomino Avv. (omissis) per annullamento assemblea del 20/10/2022". Senonchè, secondo l'attore, la quota del condomino, espressa mediante delega conferita a (omissis), non doveva essere conteggiata; di conseguenza, sottratti i 57,65 millesimi di (omissis), i millesimi complessivi dei presenti erano 718,56 anziché 776,21 e pertanto la maggioranza deliberante corrispondeva a 358,83. Con comparsa del 13/07/2023 si è costituito il (omissis), per chiedere il rigetto della domanda. In particolare, il convenuto, dopo aver preliminarmente contestato la nullità della citazione per indeterminazione della causa petendi e del petitum, ha pure criticato la ricostruzione fatta dall'attore in ordine alla costituzione del quorum deliberativo, dal momento che il condomino (omissis) è erede del compianto e che, perciò, diversamene da quanto sostenuto dall'attore, la sua partecipazione all'assemblea condominiale era legittima. Chiarito ciò, il ha contestato l'interesse ad agire del condomino (omissis), osservando che l'assemblea condominiale era stata convocata per deliberare in ordine alla partecipazione al procedimento di mediazione proposto dallo stesso attore, avente a oggetto l'annullamento della precedente delibera assembleare del 20/10/2022 e che in esito alla votazione, la scelta della maggioranza era stata favorevole alla adesione al procedimento. In tale situazione, ha aggiunto il (omissis), l'attore, che non ha preso parte alla votazione, avrebbe dovuto quantomeno indicare quale diversa determinazione avrebbe voluto che fosse stata approvata dalla maggioranza; in assenza di tale chiarimento, la sua pretesa di annullare la delibera con cui la maggioranza ha assecondato l'istanza di mediazione, non risulta sostenuta da alcun interesse giuridico e perciò va dichiarata inammissibile. Nel corso dell'udienza dell'8 novembre 2023 si procedeva alla riunione dei due identici procedimenti avviati dall'attore; si ordinava al Condominio di esibire l'anagrafe condominiale richiesta dall'attore. Ordine al quale il convenuto dava corso, depositando il registro di anagrafe condominiale dell'anno 2022 e quello dell'anno 2023. Nel corso dell'udienza odierna, le Parti hanno discusso e concluso come da verbale. L'attore ha precisato che il suo interesse all'annullamento consiste nel mettere in evidenza l'invalida partecipazione del Condominio al procedimento di mediazione. All'esito della camera di consiglio, ritiene questo giudice che la domanda non vada accolta. Va preliminarmente rilevato, anche se il tema non è decisivo, che dai documenti depositati dal emerge l'inclusione di (omissis) nella compagine condominiale, essendo perciò smentita la ricostruzione dell'attore in ordine all'ingiusto conteggio della sua quota condominiale ai fini della deliberazione. Per affrontare la questione controversa è utile rammentare che, in base al regime vigente alla data della deliberazione condominiale impugnata - 15/05/2023 -, nel vigore dell'art. 71 quater, disp. att. c.c., la partecipazione del Condominio al procedimento di mediazione era scandita da due momenti: il primo rivolto alla sola partecipazione dell'amministratore al procedimento, previa deliberazione dell'assemblea adottata con la maggioranza dell'art. 1136, secondo comma c.c.; il secondo momento teso alla successiva approvazione della proposta di mediazione da parte della medesima maggioranza assembleare. Nel caso di specie, chiarito dal Condominio l'equivoco in cui è caduto l'attore in ordine all'esistenza del condomino (omissis), si deve osservare che, anche computando la quota condominiale a lui riferibile, la delibera di autorizzazione dell'amministratore condominiale a partecipare al procedimento di mediazione non risulta adottata con la maggioranza stabilita dall'art. 1136, secondo comma c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio). In virtù di quella delibera, perciò, la legittimazione dell'amministratore del (omissis) a partecipare al procedimento di mediazione era precaria, destinata a consolidarsi una volta esaurito il termine dell'art. 1137 c.c. o a perdere validità in seguito al vittorioso esperimento dell'impugnazione da parte dei condomini dissenzienti o assenti. Ciò posto, occorre però considerare che, nel caso di specie, siccome l'oggetto della delibera impugnata non era di contenuto avverso all'attore ma piuttosto coerente con la necessità di avviare il procedimento di mediazione da lui stesso instaurato, in assenza di contestazione da parte degli altri condomini legittimati a proporre impugnazione, la necessità manifestata dal (omissis) di chiarire l'interesse che sorregge la domanda, assume rilievo. Nel corso dell'udienza odierna, l'attore ha chiarito che il suo interesse concreto all'impugnazione riposa nell'esigenza di mettere in evidenza la responsabilità del Condominio per l'esito negativo della mediazione, che, infatti, non poteva svolgersi con un amministratore privo di valida autorizzazione. Si tratta di un argomento non condivisibile: nel corso dell'assemblea il condomino (omissis), astenendosi dal votare ha manifestato interesse contrario alla mediazione in totale contrasto con l'interesse proclamato in udienza; invero, se avesse voluto ottenere una autorizzazione inoppugnabile, non avrebbe dovuto fare altro che votare favorevolmente, blindando la decisione assembleare. Tali argomenti, secondo questo giudice, mettono in luce la natura meramente teorica e non concreta dell'interesse sotteso all'odierna impugnazione, essendo appena il caso di rammentare che, secondo un condivisibile orientamento, la domanda proposta ex art. 1137 c.c. non può essere sorretta sull'interesse - del tutto astratto - alla legalità e correttezza della gestione comune, in quanto non idoneo a rappresentare l'interesse ad agire richiesto dall'art. 100 c.p.c. Il potere di impugnare, infatti, è teso ad impedire che si realizzi il risultato della decisione contro la quale il ha votato o avrebbe votato qualora fosse stato presente. Ne consegue che il che impugna una delibera condominiale, deve essere portatore di un interesse concreto e rilevante alla sua caducazione, concernente la posizione di vantaggio effettivo che dalla pronunzia di merito può conseguire. Pertanto, spetta al condomino che impugna allegare e dimostrare di avervi interesse e che dalla delibera in questione ne consegua un apprezzabile suo personale pregiudizio (cfr. Cass. Sent. n. 6128/2017). Per tali ragioni l'azione va respinta e l'attore va condannato al pagamento delle spese di lite, che, tenuto conto dell'oggetto della questione controversa e del suo valore indeterminabile, si liquidano in euro 3.500,00 oltre IVA, CPA e rimborso forfettario del 15% come per legge. Così deciso a Palermo il 29 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO TREDICESIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Lorenza Adriana Zuffada ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5461/2022 promossa da: (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) presso il difensore avv. PA.EU. ATTORI contro CONDOMINIO (...) con il patrocinio dell'avv. (...) in via (...) e difeso dall'avv. (...) CONVENUTO RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE omissis ex art. 58 comma due legge 69/2009 e art. 132 C.p.c. novellato Con atto di citazione ritualmente notificato in data 10.2.2022, i signori (...) in qualità di proprietari di unità immobiliari facenti parte del Condominio (...) hanno convenuto lo stesso avanti il Tribunale di Milano chiedendo di dichiarare la nullità e/o annullabilità e/o invalidità e/o inefficacia della videoassemblea tenutasi in data 27 settembre 2021. Gli attori eccepiscono preliminarmente un vizio assorbente riguardante la valida costituzione dell'assemblea tenutasi in videoconferenza senza alcuna previa richiesta ai condomini di adesione a tale modalità di svolgimento della riunione assembleare, lamentano poi che nessun luogo fisico è stato indicato in convocazione per poter partecipare in presenza in c.d. "modalità mista", né l'esistenza di alcuna comunicazione relativa alle norme sulla privacy; assumono quindi l'esistenza di vizi inerenti il rispetto delle norme di regolamento in punto deposito verbale; irregolarità del rendiconto gestione ordinaria anno 2020/2021, incompletezza della nota sintetica esplicativa allegata al rendiconto; erroneità in punto duplicazione spese e riparto spese personali; mancata costituzione di un fondo e altre erroneità di imputazione di singole fatture. Si costituiva il Condominio convenuto prendendo posizione sui fatti di giudizio eccependo l'intervenuta decadenza dall'impugnazione rispetto ad alcuni dei vizi eccepiti e l'improcedibilità rispetto a quanto non oggetto di domanda di mediazione, chiedendo infine nel merito il rigetto dell'impugnazione. Assegnati i termini di cui all'art. 183 sesto comma c.p.c., la causa di natura documentale, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e discussione orale all'esito della quale viene ora in decisione. Vanno preliminarmente valutati, in quanto assorbenti i profili relativi alla corretta convocazione dell'assemblea con modalità da remoto. L'attuale testo dell'art. 66 disp. att. C.c. all'ultimo comma prevede che anche ove non espressamente previsto dal regolamento condominiale, previo consenso della maggioranza dei condomini, la partecipazione all'assemblea può avvenire in modalità di videoconferenza. Gli attori assumono il mancato adempimento al suddetto incombente, il cui onere della prova, al pari della corretto invio delle convocazioni, ricade sul Condominio convenuto, che allo stato degli atti non ha fornito alcun documento attestante la preventiva richiesta e conseguente adesione dei condomini allo svolgimento dell'assemblea da remoto. Per quanto sopra viene accertata la mancata valida costituzione dell'assemblea del condominio di (...) tenutasi in data 27.9.2021 con annullamento delle delibere ivi assunte e assorbimento di ogni ulteriore rilievo. Le spese di lite seguono quindi il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando nella causa fra le parti di cui in epigrafe, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così decide: 1) annulla tutte le delibere assunte in data 27.9.2021 dall'assemblea del Condominio (...); 2) condanna il Condominio di (...) alla rifusione in favore degli attori, delle spese di giudizio che vengono liquidate in Euro 5.431,00 per competenze, euro 545,00 per spese, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA; Sentenza esecutiva. Così deciso in Milano il 29 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8807 del 2021, proposto da Condominio Pa. Sc. in persona dell'amministratore pro tempore dott. Gi. Fu., rappresentato e difeso dall'avvocato Re. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro El. Ro., in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Re. Gr. e Fr. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; At. Br., non costituita in giudizio; Comune Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Li. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tar per la Campania, sez. VIII, n. 3555/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di El. Ro. e di Ru. Ce. s.r.l. e di Comune Caserta; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi. Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il Condominio Pa. Sc. con sede in Caserta alla via (omissis), propone appello contro la sentenza del Tar per la Campania n. 3555/2021 che ha accolto il ricorso proposto in primo grado dai signori El. Ro. (in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l.) e At. Br. con il quale era stato chiesto l'annullamento: - del permesso di costruire n. 101/2016, prot. n. 90528 del 18.10.2016, rilasciato dal dirigente del Servizio urbanistica - Area edilizia residenziale privata del Comune di Caserta, avente ad oggetto "sanatoria per difformità rispetto alla c.e. 162/92 per muri e sistemazioni esterne"; - degli atti ad esso preordinati, connessi e consequenziali, tra i quali il parere favorevole espresso dal dirigente Servizio urbanistica - Area edilizia residenziale privata del Comune di Caserta, prot. n. 72811 del 2.8.2016, e la relazione istruttoria del responsabile del procedimento (ove esistente). 2. Gli atti da ultimo citati e il ricorso che ne è scaturito costituiscono l'ultimo capitolo di una vicenda che vede da tempo contrapposti, nei diversi ruoli, il Condominio Pa. Sc., i signori Ro. e Br. e il Comune di Caserta, contrapposizione che ha dato vita, nel tempo, a numerose pronunce del giudice amministrativo. 2.1 Le fasi significative dell'intera vicenda possono essere così sintetizzate. Con concessione edilizia del 1991 e variante del 1992 venne realizzato il complesso Pa. Sc.. Il titolo prevedeva la realizzazione, nell'area esterna al fabbricato, di un parcheggio privato ad uso pubblico di mq. 3245, in applicazione dei parametri dettati dall'art. 41-quinquies della l. 1150/1942 (introdotto dall'art. 17 della l. 765/1967). Nella esecuzione dei lavori l'impresa costruttrice realizzava una recinzione in muratura con cancello che riduceva notevolmente la superficie destinata a parcheggio privato di uso pubblico. Il Comune, nel 2002, ordinò di demolire cancelli e muretti. Il Condominio propose ricorso avverso tale atto, ricorso respinto dal Tar per la Campania con sentenza n. 3556/2006. La sentenza del Tar venne confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1893/2008. I condomini Ro. e Br. (proprietari di locali commerciali siti nel Condominio Pa. Sc.) demolirono di propria iniziativa i manufatti. Il Condominio, nel 2011, deliberava di ripristinare muro di recinzione e cancello, e in data 13.9.2011 presentava una S.C.I.A. n. 70477 avente ad oggetto le dette opere. Il Comune restava inerte. I condomini Ro. e Br. proponevano ricorso in cui chiedevano al Comune di esercitare i poteri ex art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001. Il Tar per la Campania (con sentenza 2142/2012) accoglieva e dichiarava l'obbligo per il Comune di Caserta di esercitare il potere di controllo e vigilanza sulla conformità urbanistica ed edilizia delle opere di cui alla S.C.I.A. n. 70477 del 13 settembre 2011. Nella persistente inerzia del Comune di Caserta, i condomini Ro. e Br. chiedevano l'ottemperanza della sentenza 2142/2012. Il Tar, con sentenza 5014/2012, accoglieva la domanda di ottemperanza. Il Comune emetteva un provvedimento che non conteneva una esplicita statuizione in ordine alla S.C.I.A. Tale provvedimento veniva impugnato dal condomino Ro. e annullato con sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013. I condomini Ro. e Br. chiedevano nuovamente l'ottemperanza della sentenza 2142/2012 e il Tar per la Campania accoglieva la domanda (sentenza n. 5127/2014). A recinzione ormai realizzata, nel 2015, il Comune annullava la S.C.I.A. del 2011 aggiungendo di voler avviare il procedimento di demolizione (senza però compiere alcuna azione concreta). Nel 2016, in seguito ad istanza di accesso agli atti, i condomini Ro. e Br. apprendevano che il Comune di Caserta aveva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 101/2016, prot. n. 90528 del 18.10.2016. 3. Avverso il provvedimento da ultimo citato, i condomini Ro. e Br. hanno proposto ricorso al Tar. A sostegno dell'impugnativa venivano formulati i seguenti motivi di ricorso: I. Violazione degli artt. 7 e ss. della legge 7.8.1990, n. 241. II. - Violazione e falsa applicazione del d.p.r. 6.6.2001, n. 380. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione e di istruttoria, error in procedendo; sviamento. III. Violazione e falsa applicazione del d.p.r. 6.6.2001, n. 380. Violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione e di istruttoria, error in procedendo. Incompetenza. Sviamento. IV. Violazione degli artt. 41-quinquies e 41-sexies della l. 1150/1942, dell'art. 10 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. di Caserta, della lex specialis dell'intervento edilizio dettata dalla c.e. n. 162/92 rilasciata dal Comune di Caserta; violazione del giudicato formatosi sulle sentenze del Tar per la Campania nn. 3556/2006, 2142/2012, 5014/2012 e 5247/2013, e sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 1893/08; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, difetto dei presupposti di fatto e di diritto. omessa comparazione di interessi. Sviamento. V. Eccesso di potere per contrasto con precedenti atti della stessa Amministrazione, difetto di istruttoria e di motivazione. 4. Nel giudizio di primo grado si costituiva il Comune di Caserta chiedendo il rigetto del ricorso. 5. Con sentenza n. 3555/2021 il Tar per la Campania ha accolto il ricorso annullando gli atti impugnati. 5.1 In particolare il Tar: - ha ricostruito i principi in materia di efficacia del giudicato; - ha ritenuto di censurare in maniera assorbente l'operato del Comune di Caserta nella misura in cui, rilasciando da ultimo il contestato titolo in sanatoria, ha da un lato trascurato che non era consentito discostarsi dalle previsioni dell'originaria concessione edilizia del 1992, dall'altro ha legittimato che - a mezzo S.C.I.A. - fosse modificato il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico e, nello specifico, a fronte di un volume totale edificato di mc.35.764,64 oltre mq.3.245 di area di parcheggio ad uso pubblico (di cui mq.6.819,64 da destinare a parcheggio), solo mq.4.183 fossero utilizzati a tale fine, di cui mq.1.479 a parcheggi privati ad uso pubblico; - ha infine affermato che: "L'Amministrazione ha omesso di considerare, in definitiva, che il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio in base a norma imperativa non può subire deroghe mediante atti privati di disposizione degli stessi spazi, ma solo con concessione in variante resa su domanda di tutti i condomini interessati che lo trasferisca su altri spazi riconosciuti idonei; la normativa urbanistica di cui all'art. 41-sexies della Legge n. 1150/1942 prescrive, per i fabbricati di nuova costruzione, una misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio da destinare obbligatoriamente a parcheggi, pari a un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruito, e tale rapporto va effettivamente verificato a monte dalla P.A. nel rilascio della Concessione edilizia (Cass. civ., II, 9.10.2020, n. 21859). In particolare difettava il requisito della legittimità della richiesta di permesso in sanatoria da parte del Condominio, dal momento che tale istanza era stata deliberata l'11/12/2015 con la presenza di 41 condomini su 84 rappresentativi di millesimi 554,74 su1000,00; in ogni caso il Comune non avrebbe potuto attestare la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, quale richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. "sanatoria giurisprudenziale" o "impropria", che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica". 6. Avverso la sentenza del Tar per la Campania n. 3555/2021 ha proposto appello il Condominio Pa. Sc. per i motivi che saranno più avanti analizzati. 7. Si è costituito in giudizio il Comune di Caserta per chiedere il rigetto dell'appello. 7.1 Si è costituito il signor El. Ro. (in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l.) chiedendo il rigetto dell'appello. 8. All'udienza del 16 maggio 2016 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il primo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Motivazione erronea. Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Erronea applicazione dell'art. 18 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-sexies della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 9, comma 5, della l. 122/89. Omessa e/o carente istruttoria. 1.1 Sotto un primo profilo, l'appellante critica la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il Comune non poteva discostarsi dalle originarie concessioni edilizie e non poteva permettere che con S.C.I.A. si modificasse il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, sostenendo che: - sono errati i presupposti di fatto; - le concessioni edilizie interessate dal sopralluogo e dall'ordinanza, c.e. in variante n. 138/91 e n. 162/92, sono entrambe soggette alle prescrizioni dell'art. 18 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-sexies della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89, che prescriveva di dover riservare spazi a parcheggio spazi, pari a 1 mq per ogni 10 mc di volume costruito, cioè, il 10% del volume realizzato; - le citate concessioni sono entrambe soggette alle prescrizioni del D.P.P. di Caserta n. 5464/87, che aveva modificato l'art. 10 delle N.T.A. del R.E. del comune di Caserta, in applicazione della lett. D, dell'art. 3, del d.m. 1444/68, che regola quanto prescritto dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-quinquies della l. 1150/42, di dover riservare ad aree di parcheggio di proprietà privata di uso pubblico, spazi di 1 mq per ogni 20 mc di volume costruito, cioè, il 5% del volume realizzato; - in applicazione delle disposizioni citate, la quota destinata a parcheggi nella c.e. 162/92, dev'essere: area di parcheggio privato 3245 mq per una cubatura di 32.400 mc; area di parcheggio di uso pubblico di proprietà privata 1620 mq per una cubatura di 32.400 mc; - dal permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016 le aree di parcheggio, sono state aggiornate alla cubatura data dalla sanatoria dei 6 sottotetti, trasformati in civili abitazioni, non integrate nella c.e. in sanatoria 1933/99, variando la cubatura, dai precedenti 32.400 mc, della c.e. 162/92, ai 35.754 mc del permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016; - per l'aumento della cubatura, si sono dovute variare anche le superfici delle aree di parcheggio, le quali, nella c.e. in sanatoria 1933/99, dovevano essere uguali a quelle riportate nel permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016, essendo rimasta invariata la cubatura; - nella c.e. 162/92, interessata dal sopralluogo e dall'ordinanza, c'è una sola area di parcheggio di 3245 mq, ed un'autorimessa con box-auto e cantinole pari a 4.183 mq; - il Tar ha omesso di considerare che l'unica area di parcheggio del Condominio odierno appellante è del 10% del volume costruito, e pertanto è da considerare area di parcheggio privata, prescritta dall'art. 18 della l. 765/67, in quanto riservato 1 mq per ogni 10 mc di volume costruito; - sui grafici allegati alla c.e. 162/92, è stata riportata la dicitura parcheggio di uso pubblico di proprietà privata, come l'area di parcheggio ad uso pubblico del 5%, prescritto dal D.P.P. di Caserta n. 5464/87; - dalla c.e. 162/92, si evince che la recinzione era chiaramente individuata nei grafici approvati con un muro perimetrale che cingeva l'intera area di proprietà e l'accesso a tale area doveva avvenire da n. 2 varchi affiancati posti su via (omissis) i quali immettevano a due aree di parcheggio distinte a destra e a sinistra separate da marciapiede; - il Tar ha omesso di valutare che il Comune di Caserta, per le concessioni rilasciate alla I.S.CO., per realizzare il Pa. Sc. di Caserta, quindi anche per l'area di parcheggio, non ha mai chiesto la sottoscrizione né trascrizione di alcuna convenzione urbanistica o atto d'impegno, con cui sarebbero stati obbligati ad un facere, anche gli acquirenti in buona fede all. 35, con il quale sarebbe stato costituito il vincolo ad uso pubblico che si è affermato gravasse sull'area di parcheggio; - si fa menzione del vincolo ad uso pubblico, ma non viene indicato, perché non c'è, l'atto con cui è stato costituito; - il Comune di Caserta fa discendere la costituzione del vincolo dalla dicitura riportata sui grafici concessori della c.e. 162/92 "parcheggio di uso pubblico di proprietà privata", uguale alla dicitura coniata con il D.P.P. di Caserta n. 5464/87; - la giurisprudenza ha sancito che la semplice dicitura su di un grafico concessorio non è documento idoneo a costituire vincoli; - sull'area di parcheggio di 3245 mq, sono presenti 81 posti auto acquistati come proprietà esclusiva. 1.2 Sotto un secondo profilo l'appellante sostiene che la contraddizione tra quanto affermato dal Tar e quanto risulta dall'evidenza dei fatti e degli atti, è rafforzato dalle note del Comune di Caserta dove si legge chiaramente che il parcheggio di uso pubblico di proprietà privata può essere recintato ma non chiuso da cancelli, per cui, tutt'al più, si doveva ordinare di abbattere i cancelli e non anche i muretti; visto che si trattava di un muro di contenimento lungo l'alveo, che ha il precipuo scopo di proteggere i locali commerciali e quelli interrati da possibili allagamenti, e il cui abbattimento è pregiudizievole per il resto dell'edificio. 1.3 Sotto un terzo profilo l'appellante afferma che: - dalla documentazione versata in atti e per i requisiti incontestabili esistenti, si evince chiaramente che l'unica area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. di Caserta del 10% del volume costruito, è quella privata, prescritta dall'art. 18 della l. 765/67, della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89, unica che prescrive di destinare a spazi per parcheggi privati il 10% del volume costruito; - la conferma incontestabile che l'area è privata e ne erano al corrente tutti i condomini del Pa. Sc. emerge da sentenze emesse in giudizi civili in contenziosi che hanno visto come parti alcuni degli stessi condomini; - l'area di parcheggio è privata e ascritta all'art. 18 della l. 765/67, aggiornata alla l. 122/89, poiché, sulla stessa sono stati acquistati sia dai proprietari dei locali commerciali che dai proprietari di abitazioni, posti auto in proprietà esclusiva; - se l'unica area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. è interamente gravata da un vincolo di uso pubblico, occorre chiedersi come è possibile che non risulti da nessun atto opponibile ai terzi; - se si afferma che tutta l'area di parcheggio è ad uso pubblico, sulla stessa non potranno più esserci i posti auto acquistati in proprietà esclusiva, alterando così il vincolo di destinazione pubblicistico gravato dalla pertinenzialità fissata inderogabilmente dall'art. 18 della l. 765/67, aggiornata alla l. 122/89, nonché, il vincolo inscindibile di unione del posto auto all'abitazione, che venendo soppresso il posto auto, automaticamente inficia l'atto di compravendita di nullità, come disposto dal comma 5 dell'art. 9 della l. 122/89, a cui era soggetta la c.e. 162/92, rilasciata dal comune alla I.S.CO.; - il vincolo di destinazione permanente a parcheggio va inquadrato nella categoria delle "limitazioni legali della proprietà privata per scopo di pubblico interesse" e si conforma ope legis in un diritto reale di uso dell'area di parcheggio in favore del condominio; - l'inderogabilità comporta la nullità dei patti contrari e la loro sostituzione con le previsioni della legge; - la legge n. 47 del 1985, all'art. 26, non ha portata innovativa, ma confermativa del regime della legge n. 765 del 1967, proprio in forza del riferimento al vincolo pertinenziale; - il vincolo che grava sulle aree a parcheggio ha natura non solo oggettiva ma anche soggettiva, e si trasferisce, automaticamente, con il trasferimento della titolarità dell'abitazione: è un diritto reale d'uso, di natura pubblicistica, che la legge pone a favore dei condomini del fabbricato cui accede e limita il diritto di proprietà dell'area. 1.4 Sotto un quarto profilo l'appellante sostiene che: - il Comune, nel 2006, ha riscontrato la richiesta di un condomino, dichiarando che la I.S.CO., non ha mai sottoscritto nessun atto d'impegno o convenzione urbanistica con il Comune, per cui, non ha assunto alcun obbligo; - la I.S.CO. ha corrisposto al comune integralmente gli oneri concessori per realizzare le opere di urbanizzazione primaria, in cui ricadono anche le aree di parcheggio previste dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, esonerandosi dall'obbligo di dover realizzare opere di urbanizzazione; - l'art. 16, comma 2, del d.p.r. 380/01, in cui è stato trasfuso l'art. 11 della l. 10/77, prevede "2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune"; - tra le opere di urbanizzazione, elencate al comma 7 del medesimo articolo, ci sono anche "7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: (omissis) spazi di sosta o di parcheggio,". Avendo elencato tra le opere di urbanizzazione al comma 4, quelle prescritte dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-quinquies della l.u. 1150/42. 2. Il motivo è infondato. Parte appellante mira a rimettere in discussione la fonte dell'esistenza della servitù di uso pubblico (facendo leva anche sulle pronunce emesse in contenziosi civili) così da affermare che la stessa non è opponibile ai terzi che hanno acquistato in buona fede. Ma non è possibile aderire a siffatta prospettazione. L'abusività delle opere di recinzione per contrasto con i parametri edilizi ed urbanistici previsti dalla legge e recepiti dal Comune di Caserta nei propri atti di pianificazione territoriale, nonché per violazione delle prescrizioni di cui alla concessione edilizia n. 162/1992, è stata definitivamente accertata nel giudizio di impugnazione dell'ordinanza n. 49840 del 9.12.2002 di demolizione della recinzione dell'area di parcheggio già realizzata dal costruttore del Pa. Sc. conclusosi con sentenza del Tar per la Campania n. 3558/2006, confermata in appello dal Consiglio di Stato con decisione n. 1893/08. Nella sentenza del Tar per la Campania n. 3558/2006 si legge testualmente: "Passando alla fattispecie sottoposta all'esame del Collegio, si deve innanzi tutto rilevare che "la concessione edilizia n. 162/92 del 14 aprile 1992... prevede per la sistemazione esterna un'area di parcheggio pubblico di proprietà privata di mq 3245", come evidenziato nella relazione in data 21 luglio 2005 a firma del dirigente del Settore Pianificazione Urbanistica del Comune di Caserta (depositata in esecuzione dell'ordinanza istruttoria n. 631/2005). Inoltre, dalla successiva relazione in data 14 marzo 2006, a firma dello stesso dirigente, si desume chiaramente che tale prescrizione discende dalle previsioni introdotte nel P.R.G. del Comune di Caserta in applicazione del penultimo comma dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150/1942. Infatti in tale relazione è stato evidenziato che gli indici e parametri della Zona omogenea B2 previsti dall'art. 10 delle Norme Tecniche del PRG adottato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 11/1983 (che contiene solo un riferimento alla "quota di parcheggi fissata dall'art. 18 della legge n. 765/1967") sono stati modificati con il Decreto di approvazione del Presidente della Provincia di Caserta n. 5464/1987, con il quale è stato previsto il parametro del "parcheggio di uso pubblico di proprietà privata" (introdotto dall'art. 17 della legge n. 765/1967) in aggiunta al parametro del parcheggio privato di cui all'art. 18 della legge n. 765/1967. Ne consegue che il dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Caserta è legittimamente intervenuto con il provvedimento impugnato per ripristinare l'uso pubblico delle aree di proprietà del condominio ricorrente destinate parcheggio di uso pubblico. Né rileva l'ulteriore censura, secondo la quale l'Amministrazione comunale con l'adozione dell'avversato ordine di demolizione avrebbe posto in essere una procedura acquisitiva che esula dalle previsioni di legge, allo scopo di procurarsi parcheggi di uso pubblico senza corrispondere alcun indennizzo ai proprietari delle aree. Infatti il provvedimento impugnato mira soltanto a ripristinare la destinazione delle aree in questione prevista dalla concessione edilizia n. 162/92 del 14 aprile 1992 in attuazione dei parametri introdotti dagli strumenti urbanistici, sicché la censura in esame avrebbe dovuto essere ritualmente proposta avverso tali provvedimenti e quindi risulta inammissibile in questa sede". La sentenza del Tar per la Campania appena citata è stata confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1893/2008 che, a propria volta, ha testualmente affermato: "Invero, il fatto che all'atto del rilascio della concessione edilizia n. 162/92, nell'elaborato grafico ad essa allegato, sussistesse l'indicazione di un'area privata di parcheggio ad uso privato, non costituiva, come sostenuto dal condominio appellante, una mera annotazione ovvero una dichiarazione di intenti, priva di valore giuridico, ma rappresentava piuttosto la trasposizione o (quanto meno) l'evidenziazione grafica delle puntuali previsioni del vigente strumento urbanistico generale, così come approvato dall'amministrazione provinciale di Caserta, a cui era subordinato necessariamente il rilascio del titolo edilizio. L'ordinanza impugnata, con la quale il Comune di Caserta ha ordinato la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, lungi dall'atteggiarsi ad inammissibile provvedimento espropriativo, costituisce invece doverosa esplicazione del potere di controllo del territorio sub specie di verifica che il beneficiario del titolo edilizio si sia effettivamente attenuto a quanto in esso assentito, senza compiere abusi: del resto, la sua attenta lettura fuga al riguardo ogni dubbio, risultando espressamente che essa si fonda su di un verbale di sopralluogo della polizia municipale che ha accertato discordanze dello stato dei luoghi rispetto ai grafici della concessione edilizia n. 162 del 1992 (variante della precedente concessione n. 138/91). A ciò consegue che le censure rivolte avverso la predetta ingiunzione risultano essere infondate, attendendo in realtà non già al corretto uso da parte dell'amministrazione comunale del potere esercitato di controllo urbanistico del territorio, bensì alla asserita illegittimità della stessa previsione dello strumento urbanistico vigente (che prevedeva un parcheggio pubblico di uso anche privato, senza alcun indennizzo ovvero senza che fosse stato all'uopo previsto un apposito vincolo urbanistico sulla relativa area), doglianza che, però, doveva essere fatta valere o nei confronti del provvedimento di approvazione dello strumento urbanistico ovvero nei confronti della concessione edilizia, espressamente e comunque inevitabilmente subordinata al rispetto delle previsioni del predetto strumento urbanistico e che, in ogni caso, non poteva invece giammai essere avanzata per la prima volta nei confronti dell'ordinanza dell'amministrazione comunale finalizzata al ripristino dello stato dei luoghi, per rendere questi ultimi conformi nello stato di fatto alla previsione di diritto risultante dal titolo edilizio. Alla luce di tali osservazioni perdono ogni rilevanza le questioni dedotte dall'appellante circa il dubbio sulla natura di parcheggi aggiuntivi di quelli di cui si discute (dubbio peraltro privo di fondamento, essendo pacifica la natura di parcheggi aggiuntivi di cui all'articolo 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo il provvedimento della Provincia di Caserta di approvazione del piano regolatore del Comune di Caserta, ciò senza contare che dalla stessa documentazione esibita dall'appellante risulta respinta l'istanza di sanatoria più volte presentata proprio per questa ragione), circa la asserita natura di vincolo espropriativo che contraddistinguerebbe la predetta previsione di piano regolatore e circa la necessità della trascrizione del vincolo stesso ovvero della previsione contenuta nella concessione edilizia, ai fini della sua opponibilità al condominio". Il Tar per la Campania, nella citata sentenza n. 5247/2013 resa tra le parti dell'odierno giudizio e passata in giudicato, così ha ulteriormente ribadito: "Passando all'esame del merito, punto centrale di contestazione tra le parti è se la superficie da destinare a parcheggio pubblico, quindi da non recintare con muro e cancelli, fosse quella, maggiore, di mq. 3.245, riconducibile alla concessione edilizia n. 162 del 1992, o piuttosto quella di mq 1.650, risultante dal rapporto legale tra spazi da destinare a parcheggio e volumetria realizzata nella misura di 1mq/20mc. Rileva al riguardo il Collegio che gli elementi fondamentali che costituiscono un intervento edilizio devono tutti ricondursi al titolo edificatorio di riferimento; questo, se da un lato potrebbe essere inteso come una sostanziale applicazione vincolata a titolo particolare della disciplina urbanistica generale, nel senso che ne attualizza specifiche previsioni attraverso l'attivazione dello ius ad aedificandum, dall'altro contiene ulteriori aspetti che si colorano di profili di discrezionalità amministrativa (prescrizioni di limiti e modalità costruttive, termini di inizio e completamento delle opere, eventuali operazioni di asservimento, opere a scomputo) o di poteri pubblici di altra natura (fissazione degli oneri concessori e dei costi di costruzione). Il permesso di costruire, in questo modo, finisce per costituire la lex specialis dell'intervento edilizio, assumendo quella natura unilaterale ed autoritativa propria della funzione amministrativa esercitata che si risolve nel controllo del razionale ed ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che non è consentito al privato di discostarsi dalle previsioni e dai limiti del permesso di costruire, non a caso simili eventualità ricadendo nel regime sanzionatorio previsto dal d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380; pertanto, deve ritenersi che, ferma restando la disciplina dell'intervento edilizio come stabilita nella concessione n. 162 del 1992, non avrebbe potuto il condominio con la s.c.i.a. n. 70477 del 13 settembre 2011 modificare il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, riducendone la superficie, quand'anche tale minore misura fosse quella minima imposta per legge; d'altronde, si tratta di una misura minima, nel senso che non è detto che la superficie non possa essere di estensione maggiore, secondo la progettazione originaria dell'intervento edilizio. Non va dimenticato che l'istituto di cui all'art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241 in nessun modo può essere assimilato ad un provvedimento amministrativo, restando sul piano di una dichiarazione negoziale di intenti da parte di un privato. Nel caso di specie, oggetto della s.c.i.a. avrebbe potuto essere solo la realizzazione del muro di cinta e dei cancelli, ma giammai anche la modificazione della superficie delle aree da destinare a parcheggio pubblico, aspetto quest'ultimo rimesso alla esclusiva potestà autoritativa dell'amministrazione pubblica che avrebbe potuto avere luogo solo intervenendo previamente e direttamente sul regime dato dalla concessione edilizia n. 162/92". In assenza di interventi sulla concessione edilizia del 1992, il condominio resta vincolato alle condizioni di quest'ultimo provvedimento, anche in relazione alle superfici da destinare a parcheggio di proprietà privata ad uso pubblico. Correttamente il Tar ha accolto il ricorso proposto in primo grado sostenendo per un verso che il permesso di costruire in sanatoria era stato emesso dal Comune di Caserta in violazione delle previsioni dell'originaria concessione edilizia del 1992 e per altro verso che il Comune avesse illegittimamente consentito che - a mezzo S.C.I.A. - fosse modificato il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico. 3. Il secondo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando et in procedendo. Omessa istruttoria. Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Omessa e/o erronea applicazione degli artt. 825, 826 e 829 c.c. L'appellante ritiene che altro deficit motivazionale e di istruttoria nella sentenza gravata si ha per l'omessa e/o distorta applicazione degli articoli del codice civile n. 825 (Diritti demaniali su beni altrui) n. 826, comma 3 (Patrimonio dello Stato, delle provincie e dei comuni), n. 829 (Passaggio di beni dal demanio al patrimonio). In particolare si sostiene che i giudici di primo grado hanno completamente omesso di valutare che l'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc., non è stata mai acquisita al patrimonio indisponibile del Comune, e né tantomeno sono state applicate le forme di pubblicità stabilito dal regolamento comunale. Inoltre l'appellante, riportando per esteso un passaggio (punti da 10.2 a 11.1) della sentenza della Cassazione n. 12793/2005, sostiene che mentre il vincolo di destinazione per legge di un'area a parcheggio, essendo di natura inderogabile, non può essere modificato dalle parti, il vincolo di destinazione a parcheggio in virtù di atto d'obbligo, essendo di natura convenzionale, può essere modificato dalle parti e non richiede che tale area sia predeterminata nella sua estensione, stante il principio di autonomia. 4. Il motivo è infondato. Le questioni sollevate risultano coperte dal giudicato formatosi sulle sentenze richiamate al punto precedente. Mette conto notare, in ogni caso, che la sentenza della Cassazione citata da parte appellante si riferisce specificamente ai rapporti tra privato costruttore e condominio in ordine alla possibilità di alienare, separatamente dalle abitazioni di cui costituiscono pertinenza, le aree private vincolate a parcheggio ai sensi dell'art. 41-sexies della legge urbanistica (introdotto dall'art. 18 della legge n. 765/1967). Nel caso di specie, invece, rileva il regime delle aree a parcheggio di uso pubblico di proprietà privata, di cui all'art. 41-quinquies della legge urbanistica, introdotto dall'art. 17 della legge n. 765/1967. 5. Il terzo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Palese erroneità dei presupposti di fatto. Motivazione erronea. Carente istruttoria. Erronea applicazione dell'art. 137 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 come modificato e integrato dal decreto legislativo 27.12.2002, n. 301. L'appellante critica le statuizioni della sentenza impugnata relative alla rilevanza della S.C.I.A. affermando che: - tali statuizioni sono palesemente errate perché poggiano sull'erroneo presupposto che l'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. abbia un vincolo di destinazione ad uso pubblico, quando invece, per quanto sopra dimostrato, tale vincolo non sussiste, per le argomentazioni analiticamente svolte nei precedenti motivi; - un ultimo argomento proviene dal d.p.r.380/2001, n. 380, il cui art. 137 prevede che "all'articolo 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122, il comma 2 è sostituito del seguente: '2. L'esecuzione delle opere e degli interventi previsti dal comma 1 è soggetta a denuncia di inizio di attività '"; - il titolo abilitativo alla realizzazione del posto auto è oggi costituito non più dall'autorizzazione bensì dalla denuncia di inizio di attività ; - non si ha più un provvedimento, come quello dell'autorizzazione, con allegato atto d'obbligo da cui poter desumere i riferimenti inerenti al parcheggio; - secondo la Cassazione (sentenza prima citata) i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dalla legale (art. 18 legge 6.8.1967, n. 765), non sono soggetti a vincolo pertinenziale a favore delle unità immobiliari del fabbricato, conseguentemente l'originario proprietario-costruttore del fabbricato può legittimamente riservarsi, o cedere a terzi, la proprietà di tali parcheggi, nel rispetto del vincolo di destinazione nascente da atto d'obbligo; - quanto sancito dalla Cassazione è in perfetta linea con le disposizioni dell'art. 3 del d.m. 1444/68, applicato con il D.P.P. comune di Caserta n. 5464/87; - il massimo consentito nella destinazione a parcheggio di uso pubblico di proprietà privata del D.P.P. di Caserta 5464/87, è il 5% del volume costruito e non il 10% come è la superficie dell'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc.; - ne consegue che l'area di parcheggio in più è da considerare privata e a disposizione dei proprietari, tranne che il Comune non esibisca un atto d'impegno o una convenzione urbanistica. 6. Il motivo è infondato. L'assunto che parte appellante mira a revocare in dubbio è coperto dal giudicato formatosi sulla citata sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013 che ha stabilito che: (i) "Il permesso di costruire (i.e.: c.e. n. 162/92) in questo modo, finisce per costituire la lex specialis dell'intervento edilizio, assumendo quella natura unilaterale ed autoritativa propria della funzione amministrativa esercitata che si risolve nel controllo del razionale ed ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che non è consentito al privato di discostarsi dalle previsioni e dai limiti del permesso di costruire"; (ii) "il condominio con la S.C.I.A. n. 70477 del 13 settembre 2011 modificare il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, riducendone la superficie, quand'anche tale minore misura fosse quella minima imposta per legge; d'altronde, si tratta di una misura minima, nel senso che non è detto che la superficie non possa essere di estensione maggiore, secondo la progettazione originaria dell'intervento edilizio"; e (iii) "Nel caso di specie, oggetto della s.c.i.a. avrebbe potuto essere solo la realizzazione del muro di cinta e dei cancelli, ma giammai anche la modificazione della superficie delle aree da destinare a parcheggio pubblico, aspetto quest'ultimo rimesso alla esclusiva potestà autoritativa dell'amministrazione pubblica che avrebbe potuto avere luogo solo intervenendo previamente e direttamente sul regime dato dalla concessione edilizia n. 162/92". 7. L'appellante ha, infine, ha avanzato una richiesta istruttoria chiedendo al Collegio di invitare il Comune ad esibire (i) l'atto costitutivo del vincolo ad uso pubblico dell'area di parcheggio, (ii) gli oneri concessori e di urbanizzazione pagati dalla I.S.CO. o lo scomputo degli stessi e (iii) l'atto con cui la I.S.CO. si è obbligata a realizzare l'opera di urbanizzazione primaria, nel caso di che trattasi, area di parcheggio ad uso pubblico di proprietà privata prevista dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67 (art. 41-quinquies l. 1150/42). 8 La richiesta non può essere accolta perché l'acquisizione dei documenti richiesti sarebbe irrilevante, ovvero non necessaria, rispetto alle conclusioni raggiunte. 9. La sentenza impugnata ha censurato "in maniera assorbente l'operato del Comune di Caserta". Il Comune ha mantenuto, nel presente giudizio, un comportamento oscillante. In primo grado ha chiesto il rigetto del ricorso proposto dai condomini odierni appellati. In grado di appello ha chiesto il rigetto dell'impugnativa proposta dai condomini. Peraltro non si comprende perché, chiedendo il rigetto dell'appello, non abbia ritirato l'atto impugnato in primo grado. Tale atteggiamento giustifica la statuizione sulle spese di seguito espressa. 10. Per le ragioni esposte, l'appello deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza nei rapporti tra Condominio appellante e condomini appellati. Spese compensate nei rapporti con il Comune. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna il Condominio Pa. Sc. al pagamento, in favore del signor El. Ro., delle spese di lite che si liquidano in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila\00), oltre accessori dovuti per legge. Spese compensate nei rapporti con il Comune. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Giovanni Pascuzzi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10093 del 2019, proposto da Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ba. Ac. Ch. D'O., An. An., Fa. Ma. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Le. in Roma, via (...); contro Condominio dei Fabbricati in Napoli piazza (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ba. De. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta n. 2480/2019 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Condominio dei Fabbricati in Napoli piazza (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Sergio Zeuli Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza impugnata ha accolto il ricorso proposto dalla parte appellata avverso il provvedimento del Comune di Napoli n. 50 del 14 marzo del 2007 che l'aveva invitata a posizionare l'accesso al passo carraio entro i limiti di proprietà condominiale, rimuovendo sbarra e paletti dissuasori che erano stati posti in modo da occupare indebitamente parte della piazza (omissis) e ostacolare la libera circolazione di persone e veicoli. Avverso la decisione è dedotto un unico motivo d'appello: error in iudicando- Travisamento dei fatti. 2. Si è costituito in giudizio il Condominio dei Fabbricati in Napoli piazza (omissis), contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. 3. La vicenda controversa riguarda il complesso immobiliare IACP realizzato a Napoli, quartiere (omissis), intorno agli anni '30, oggi rappresentato da un condominio composto da cinque civici, nn. (omissis) di piazza (omissis), in proprietà di privati che hanno acquistato i singoli appartamenti dal predetto ente pubblico negli anni '60. Nel corso del tempo i suddetti proprietari hanno completamente chiuso i due varchi d'accesso al fabbricato, da un lato (quello sinistro di chi guarda il palazzo) chiudendo il viale in modo definitivo e dall'altro (quello destro), realizzando una sbarra elettronica che dal 2009, è anche protetta da un passo carraio ottenuto dal comune. Il provvedimento impugnato ha disposto la rimozione del ridetto passo carraio, ma la sentenza impugnata ha accolto il ricorso, per l'effetto annullando l'ordine di rimozione. Il giudice di prime cure, ritenendo che fosse stata provata la proprietà, in capo al condominio, dei viali d'accesso, e dopo aver preso atto che il provvedimento comunale si fondava sulla natura pubblica, in proprietà comunale, di detti viali, ha ritenuto che quest'ultimo fosse viziato per travisamento dei presupposti. 4. L'unico motivo d'appello contesta alla sentenza impugnata di aver basato la propria decisione sulla sentenza n. 9033/1999 del Tribunale civile di Napoli, che aveva accertato detta proprietà in capo al condominio e che, sebbene fosse stata pronunciata tra parti diverse da quelle del presente giudizio, ossia i condomì nii 5, 6, 8, e 9, da una parte, e il condominio 7 dall'altra, farebbe stato anche in esso, non avendo il comune proposto opposizione di terzo avverso il provvedimento. Più specificamente, la parte appellante si duole del fatto che il giudice di prime cure ha attribuito un ruolo dirimente a quel giudizio, nonostante avesse quale oggetto il riparto delle spese di manutenzione e gestione delle parti comuni dell'edificio e non avesse quale thema decidendum, né direttamente, né indirettamente, l'accertamento della proprietà dei suddetti viali. Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, ad esso non poteva riconoscersi alcuna efficacia, né diretta, e tanto meno indiretta, sulle questioni qui controverse, con conseguente non necessità di un'impugnazione da parte del comune, nelle forme dell'opposizione di terzo. 4.1. Il motivo è infondato. Invero, a prescindere da quale fosse lo specifico oggetto della controversia civile, sta di fatto che, con la predetta sentenza, la V Sezione Civile del Tribunale di Napoli ha accertato che, tra le parti comuni tra le cinque scale dei due condomini, rientrano " i viali sul fronte principale e sul viale postico...nonché le recinzioni in ferro all'ingresso del via postico e... le sbarre in ferro all'ingresso sulla piazza..." Si tratta di un accertamento che, ancorché incidentale, fa stato nel presente giudizio perché proviene dal giudice munito di giurisdizione in materia. Di conseguenza l'opposizione di terzo era pacificamente esperibile dal comune, che, ciò nonostante, non ha azionato il relativo procedimento di impugnazione, rendendo irrevocabile la predetta statuizione e perciò opponibile E poiché è incontestato che l'ordine di rimozione di cui si controverte si basa sul tacito presupposto della natura pubblica di detto viale, ne consegue che la relativa determinazione deve ritenersi affetta dai vizi di travisamento dei presupposti e difetto di istruttoria, come condivisibilmente ritenuto dal giudice di prime cure. 5. Il sub-motivo di gravame evidenza, sotto altro verso, che il giudice di prime cure non avrebbe considerato quanto emergeva dalla nota della Romeo gestioni n. 18648 del 21 settembre del 2010 e dalla nota n. 61788 del 24 ottobre del 2019 di Napoli Servizi, che attestano che l'area di cui si discute, ossia la striscia di suolo posta tra la piazza (omissis) e l'area di pertinenza dei suddetti edifici, ricade nell'ambito del foglio (omissis) del NCT di Napoli, ossia è inglobata nella Piazza (omissis), che è di proprietà del comune. Aggiunge la parte appellante che, a tutto concedere, si tratterebbe di area facente parte del demanio stradale, rientrante nelle strade cittadine di pertinenza comunale, che, come tale, non sarebbe usucapibile, né tanto meno potrebbe subì re un mutamento di destinazione, foss'anche quale effetto di una sentenza del giudice civile. Quanto infine alla relazione a firma dei tecnici dell'antiabusivismo del 31 agosto del 1998 - depositata nel giudizio di primo grado dalla stessa parte appellante - quest'ultima sostiene che le valutazioni ivi contenute erano strettamente connesse all'oggetto del giudizio civile, e dunque, anche nella parte in cui affermano che la proprietà dei viali è dei condominii, non avrebbero portata dirimente, trattandosi di precisazione incidentale, peraltro non corroborata da alcun elemento concreto. 5.1. Il motivo è infondato. In disparte la considerazione che l'autorizzazione al passo carraio, rilasciata dal comune al condominio, depone in senso esattamente contrario rispetto a quanto prospettato dal primo, si osserva che nella predetta relazione dell'AOSAE (Autorità Operativa Speciale Antiabusivismo Edilizio) del 31 agosto del 1998 - alla quale va attribuito un valore probatorio privilegiato provenendo dalla stessa parte appellante - si afferma espressamente che "l'area antistante il fabbricato A, costituito da rampe e suoli d'accesso con viale interno, risulta proprietà dei soli condomini dello stesso fabbricato "A " e che "... tale precisazione è parte integrante della documentazione inviata in data 11.6.98 dall'UOSAE con prot. 14961". Ossia, non solo detta precisazione non ha portata incidentale, ma, al contrario, viene proposta in forma assertiva e definitiva, ma risulta anche corroborata da ulteriore documentazione in possesso dell'antiabusivismo, come si desume dal rinvio ad essa operato da parte dell'estensore della nota. In definitiva, la suddetta annotazione: 1. esclude che l'area appartenga alla proprietà comunale e/o al demanio stradale, 2. precisa la natura privata di essa, come proprietà del condominio. Aggiungasi che detta statuizione risulta resa all'esito di un'istruttoria compendiata nel riferimento alla documentazione in possesso dell'ufficio ivi contenuto, che la rende ancor più credibile. 6. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto del gravame. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 3000,00 (eurotremila,oo). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio celebratasi da remoto del giorno 6 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Carmelina Addesso - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dai magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. PAPA Patrizia - Consigliere - Rel. Dott. VARRONE Luca - Consigliere Dott. TRAPUZZANO Cesare - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 9387 - 2018 proposto da: Cr.Gi., elettivamente domiciliato in Roma, (...), presso lo studio dell'avvocato Gi.Fi., rappresentato e difeso dall'avvocato Le.Sa., come da procura in calce al ricorso, con indicazione dell'indirizzo pec; - ricorrente - contro Condominio Pa. in A, via (Omissis); - intimato - e contro Am.Gi. - intimato - avverso la sentenza n. 2486/2017 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 28/12/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7/11/2023 dal consigliere PATRIZIA PAPA; sentite le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CARMELO CELENTANO che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. FATTI DI CAUSA 1. Con atto di citazione del 28/02/2007, il Condominio Pa. convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Trapani, la (...) Srl, in persona del liquidatore e legale rappresentante protempore Cr.Gi., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per gravi difetti di costruzione dello stabile condominiale realizzato dalla società convenuta, emersi nel marzo 2006 a seguito di abbondanti piogge. Il giudizio fu interrotto nel 2011 per l'avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della società liquidata e, quindi, riassunto nei confronti degli ex soci Cr.Gi. e Am.Gi. 1.2. Con sentenza n.56/2013, resa in data 25-27 febbraio 2013, il Tribunale di Trapani, sez. di Alcano accertò la sussistenza, la natura e l'imputabilità alla società appaltatrice dei vizi nella costruzione dell'edificio e condannò gli ex soci, in solido, al risarcimento dei danni in favore del Condominio per Euro 208.142,66, oltre interessi, in applicazione dell'art. 2495, II comma, cod. civ., nella formulazione operante ratione temporis, introdotta dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 e anteriore alla modifica disposta dall'art. 40, comma 12-ter, lett. b), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con modif. in L. 11 settembre 2020, n. 120; ritenne infatti, per quel che qui ancora rileva, che il limite della loro responsabilità per i debiti della società cancellata dovesse essere calcolato in Euro 100.667,50 perché considerò, oltre la quota di utili loro riconosciuta nel bilancio di liquidazione, pari a soli Euro 19.667,50 per ognuno, il valore degli immobili che erano risultati loro assegnati in proprietà, con atto pubblico del 28 dicembre 2010, a titolo di "anticipazione della liquidazione", secondo la specificazione contenuta nello stesso atto, per un valore dichiarato di Euro 81.000. 2. Avverso questa sentenza, i due soci Cr.Gi. e Am.Gi. proposero appello, rappresentando tra l'altro, in relazione alla questione qui controversa, che gli immobili che erano risultati loro assegnati in proprietà a titolo di "anticipazione della liquidazione" erano stati, invece, loro ceduti non a titolo gratuito ma a compensazione di loro crediti, come risultava da una nota di rettifica redatta dallo stesso notaio rogante - a seguito di una loro dichiarazione - il 28 marzo 2013 (in data successiva alla sentenza di primo grado). 3. Con sentenza non definitiva n. 2486/2017, depositata il 28/12/2017, la Corte di Appello di Palermo, in parziale accoglimento dell'appello, escluse il vincolo di solidarietà tra i due soci, ma confermò la condanna di ciascuno di loro per i debiti sociali nei limiti della somma di Euro 100.667,50 ciascuno, oltre interessi dalla data di liquidazione finale, come già determinato dal Tribunale; confermò, quindi, in Euro 74.056,18 la quantificazione dei danni causati nella esecuzione dell'appalto relativo ai "lavori di consolidamento e ripristino per Condominio Pa.", e dispose, invece, un supplemento di istruttoria per i danni conseguenti ai vizi lamentati in riferimento alle "opere di messa in sicurezza per complesso scolastico". 3.1. In particolare, sul punto dei limiti della responsabilità ex art. 2495 secondo comma cod. civ., la Corte d'appello valutò come non rilevante - seppure ammissibile ex art. 345 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis) - la documentazione prodotta dai soci appellanti con l'impugnazione: ritenne, infatti, non significativi né la rettifica dell'atto pubblico, comunque successiva alla sentenza, in quanto fondata su dichiarazioni provenienti dagli stessi ex soci, né, in quanto conseguenti al contenuto delle stesse dichiarazioni, i riportati esiti degli accertamenti della Guardia di finanza, secondo cui "tutte le movimentazioni patrimoniali contenute nel suddetto atto pubblico del 28/12/2010 erano state eseguite nel pieno rispetto della normativa vigente". 4. Avverso questa sentenza non definitiva Cr.Gi. ha proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo. Il Condominio Pa. non ha svolto difese. La causa, fissata per la discussione in camera di consiglio, è stata rimessa alla trattazione in pubblica udienza in quanto involgente l'interpretazione dell'art. 2495 cod. civ.; con la stessa ordinanza, è stata disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altro socio Am.Gi. che, ritualmente intimato, non ha svolto difese. Il Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con l'unico motivo, Cr.Gi. ha prospettato, in riferimento all'art. 360, comma I n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell'art. 2495, II comma cod. civ.: ha sostenuto che il limite della responsabilità di ciascun socio, dopo l'estinzione della Srl, è segnato soltanto dal bilancio finale di liquidazione, unico documento certo sull'ammontare degli utili distribuiti; conseguentemente, nella fattispecie, il valore dell'immobile acquistato con l'atto pubblico del 28 dicembre 2010 non avrebbe dovuto essere computato per determinare il limite della sua responsabilità, quale socio, per i debiti della società cancellata; ha rimarcato di aver rappresentato alla Corte d'appello che la specificazione, nell'atto pubblico, dell'essere il trasferimento dell'immobile avvenuto a titolo di "anticipazione della liquidazione" è stata causata da un "errore di stampa", che l'errore è stato rettificato dallo stesso notaio con successivo atto del marzo 2013 e che la Guardia di Finanza ha confermato la regolarità del trasferimento a titolo oneroso. 1.1. Il motivo è infondato. Al suo esame giova innanzitutto ribadire alcuni fatti, come risultanti dalla sentenza impugnata e dal ricorso. La società (...) Srl era stata posta in liquidazione dal 2005 ed è stata cancellata all'inizio dell'anno 2011; il 28 dicembre 2010 è stata stipulata, per atto pubblico, la cessione dei due immobili di proprietà della società al ricorrente Cr.Gi. e all'altro socio Am.Gi. e, in questo atto, alla data di stipulazione, è stato riportato, quale motivo del trasferimento, l'"anticipo della liquidazione"; dagli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza nel corso del procedimento penale instaurato nel 2011 a seguito di denuncia-querela del Condominio, è stato accertato che l'assegnazione degli immobili ai soci Cr.Gi. e Am.Gi. risulta fatturata dalla società, che l'operazione è avvenuta a titolo oneroso soggetta a IVA e tassazione; è stata, pure, prodotta in appello, in quanto formatasi dopo la sentenza di primo grado, una "nota" con cui il notaio rogante ha dichiarato che, "in rettifica di quanto erroneamente riportato in seno all'atto pubblico (...) l'assegnazione immobiliare a loro fatta da parte della società (...) Srl doveva e deve essere considerata effettuata a titolo di rimborso dei crediti all'epoca ancora vantati da essi signori soci Cr.Gi. e Am.Gi. (...) e quindi non a titolo di anticipo sulla liquidazione complessiva delle rispettive quote sociali". Ciò puntualizzato, deve considerarsi, in diritto, che il secondo comma dell'art. 2495 cod. civ., nella formulazione applicabile ratione temporis, introdotta dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 e anteriore alla modifica disposta dall'art. 40, comma 12-ter, lett. b), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con modif. in L. 11 settembre 2020, n. 120, prevedeva (e prevede, oggi, al terzo comma) che "ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi". 1.2. Innanzitutto, deve allora precisarsi che, nella fattispecie, l'avvenuta attribuzione, con il bilancio di liquidazione, della somma di Euro 19.667,50 a ciascuno dei due soci consente di ritenere che sussistessero certamente sia la legittimazione passiva di entrambi che l'interesse del creditore Condominio ad una pronuncia nei loro confronti. In conseguenza, può escludersi che, nel caso in esame, rilevi la questione - rimessa alle S.U. di questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 7425/2023 - se la condizione testualmente fissata dall'art. 2495 cod. civ., al fine di consentire ai creditori sociali di fare valere i loro crediti, dopo la cancellazione della società, nei confronti dei soci, si rifletta sul requisito dell'interesse ad agire in capo al creditore o sulla legittimazione passiva del socio medesimo ai fini della prosecuzione del processo originariamente instaurato contro la società e se la riconducibilità nell'ambito dell'una condizione dell'azione o dell'altra implichi conseguenze specifiche in tema di onere della prova. 1.3. Non risulta neppure più controverso, invero, che il trasferimento ai due soci dei beni immobili della società sia avvenuto in pendenza della liquidazione: pertanto, non ricorre più un problema di prova o, prima ancora, di ripartizione dell'onere probatorio sull'avvenuta attribuzione ai soci di beni sociali, non registrata nel bilancio di liquidazione. Quel che, invece, il ricorrente ha sottoposto allo scrutinio di questa Corte è se questa attribuzione di beni sociali possa o non essere considerata come "riscossione a seguito di liquidazione" sì da incorrere o non nella previsione dell'art. 2495 cod. civ. in quanto distribuzione di una quota dell'attivo sociale. In tal senso, il socio Cr.Gi. (e con lui l'altro socio Am.Gi. che non ha poi più inteso coltivare il giudizio) ha prodotto in appello una dichiarazione del notaio, successiva all'atto pubblico di trasferimento degli immobili, che, a suo dire, sarebbe significativa per escludere la natura di questo atto quale distribuzione di una quota dell'attivo sociale: con la nota di rettifica, il notaio ha affermato che la iniziale indicazione di un trasferimento a motivo di "anticipo liquidazione quota" deve intendersi sostituita con la dichiarazione di una "assegnazione immobiliare a loro fatta da parte della società (...) Srl (...) a titolo di rimborso dei crediti all'epoca ancora vantati da essi signori soci" (così testualmente nella nota); secondo il ricorrente, pertanto, "di fatto si è trattato di una cessione di beni immobili a titolo oneroso soggetta ad IVA e alla tassazione prevista dalla dichiarazione dei redditi". La Corte d'appello ha considerato questa rettifica del tutto ininfluente sul calcolo del limite della responsabilità dei due soci per i debiti sociali: ha rimarcato, infatti, che la rettifica si fonda su mere dichiarazioni dei soci stessi, inidonee per sé sole ad escludere la natura del disposto trasferimento immobiliare quale attribuzione di una quota di attivo, ancor più se si considera che l'indicazione dell'avvenuta "compensazione" con crediti da loro vantati "contraddice" l'affermazione di un trasferimento a titolo oneroso. Seppure stringata, la motivazione è corretta per le ragioni di seguito precisate. Affermare, infatti, che il trasferimento degli immobili ai soci sia avvenuto a titolo di "compensazione con un credito da loro vantato nei confronti della società" non è sufficiente, in difetto di ulteriori specificazioni, ad escludere la natura dell'atto quale attribuzione di una quota di attivo. 1.4. Innanzitutto, deve qui puntualizzarsi che oggetto del presente giudizio è soltanto l'accertamento del limite della responsabilità del socio ex art. 2495 II comma e, in stretta conseguenza, del limite della pronuncia di una condanna nei suoi confronti. Ciò posto, deve allora ribadirsi, come puntualizzato dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 6070 del 2013, che, dopo la riforma del diritto societario attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, quando all'estinzione della società, nella specie di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico, si determina un fenomeno di tipo successorio; in conseguenza, l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione. Come proprio rilevato nella sentenza n. 6070 del 2013, la responsabilità dei soci trova giustificazione nel "carattere strumentale del soggetto società": venuto meno questo, i soci sono gli effettivi titolari dei debiti sociali nei limiti della responsabilità che essi avevano secondo il tipo di rapporto sociale prescelto; in tal senso, limitare la responsabilità dei soci di società di capitali al valore dell'attivo loro distribuito con la liquidazione non implica alcun pregiudizio alle ragioni dei creditori, perché se la società è stata cancellata senza distribuzione di attivo, ciò evidentemente vuol dire che vi sarebbe stata comunque incapienza del patrimonio sociale rispetto ai crediti da soddisfare. D'altro canto, tuttavia, è necessario assicurare, ex art. 2740 cod. civ., alla garanzia dei crediti sociali - e, in conseguenza, al limite della responsabilità dei soci - qualunque bene distribuito, oltre il limite formale dell'appostazione in bilancio (Cass. Sez. 5, n. 9094 del 07/04/2017; Sez. 5, n. 9094 del 07/04/2017; Sez. 6 - 5, n. 14446 del 05/06/2018; Sez. 5, n. 22692 del 26/07/2023): l'art. 2492 cod. civ. non accorda, infatti, ai creditori la legittimazione a proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione della società debitrice, il cui deposito prelude alla cancellazione, sicché è a loro precluso poter recuperare in tal sede gli eventuali beni distratti dalla funzione di garanzia (S.U. n. 6070 del 2013 cit.). Ciò precisato, deve allora considerarsi, in riferimento al caso in esame, che il motivo dell'attribuzione degli immobili diviene certamente rilevante per l'individuazione dei limiti della responsabilità dei due soci: Cr.Gi., sul punto, ha sostenuto che il motivo di una accordata compensazione di precedente dazione di denaro è sufficiente ad escludere che gli immobili trasferiti dovessero invece destinati, in quanto attivo sociale, alla garanzia ex art. 2740 cod. civ. Come questa Corte ha già rilevato, (cfr., in ultimo, Cass. Sez. 1, n. 29325 del 22/12/2020, Sez. 1, n. 7471 del 23/03/2017), le erogazioni di denaro dei soci in favore della società possono essere effettuate per finalità tra loro molto diverse, a cui risponde una diversità di disciplina (conferimenti, finanziamenti, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale). In conseguenza, la qualificazione dipende dall'esame della volontà negoziale delle parti, dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi e, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, dalla qualificazione che le dazioni hanno ricevuto nel bilancio (Cass. Sez. 1, n. 12994 del 15/05/2019). Nella specie, invero, non è stato allegato dal ricorrente alcunché sull'appostazione in bilancio sia, in attivo, della asserita dazione di denaro che, in passivo, della cessione dei beni in conseguente restituzione, né sono stati offerti altri elementi (neppure la data) da cui desumere la natura dell'erogazione poi "compensata". La questione rileva nel caso in esame, perché - limitando l'esame alle due fattispecie più ricorrenti - il versamento di danaro fatto a società di capitali dal suo socio "in conto capitale" non comporta il diritto del socio al rimborso, è iscritto nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve e definitivamente acquisito al patrimonio della società, in quanto assimilabile al capitale di rischio a cui è equiparato agli effetti sostanziali; la riserva così formata, al pari delle riserve ordinarie o facoltative per la quota eccedente la riserva legale, ha dunque di regola carattere disponibile, ma la distribuzione non costituisce un diritto soggettivo del socio perché il diritto alla restituzione sussiste all'esito della liquidazione sociale soltanto ove vi sia un residuo da distribuire fra i soci, all'esito dell'adempimento di tutte le obbligazioni sociali, con una postergazione della restituzione al soddisfacimento di tutti i creditori sociali, esattamente come avviene per i conferimenti (Cass. Sez. 1, n. 14056 del 07/07/2015). I finanziamenti in senso proprio, invece, in quanto contratti di mutuo (art. 1813 cod. civ.), a forma libera, fra socio e società devono essere riportati al passivo dello stato patrimoniale fra i debiti verso i soci e devono essere effettivamente restituiti al socio; ai sensi dell'art. 2467 cod. civ., nella formulazione applicabile ratione temporis, tuttavia, il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, proprio allo scopo di contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in società "chiuse" (quale era quella in causa, costituita da due soci), determinati dalla convenienza a ridurre l'esposizione al rischio d'impresa: in tal senso, cioè, potrebbe accadere che i capitali siano posti a disposizione dell'ente collettivo nella forma del finanziamento anziché in quella del conferimento perché possano essere artificiosamente classificati fra i prestiti "liberamente rimborsabili", al solo fine di poter procedere a distribuzioni preferenziali del patrimonio aziendale, in danno dei creditori. Allo scopo di scongiurare questo pericolo, allora, nell'art. 2467 cod. civ. i finanziamenti dei soci a favore della società da postergare sono quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. In particolare, questa Corte ha precisato che si tratta di un'ipotesi di postergazione legale che, seppure non opera una "riqualificazione" del prestito, da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, incide comunque sull'ordine di soddisfazione dei crediti ed opera in tal senso già durante la vita della società e non soltanto quando si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, perché integra una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione; in caso di pretesa a tale titolo del socio, è il giudice del merito a dover verificare la sussistenza di questa condizione di inesigibilità; la questione è sindacabile dal giudice d'ufficio, perché fatto impeditivo del diritto alla restituzione del finanziamento. Della prova della natura dell'erogazione del denaro è onerato il socio attore in restituzione (Cass. Sez. 1, n. 12994/2019 cit.; Sez. 1, n. 7471 del 23/03/2017). Da questi principi si comprende, quindi, come fondatamente la Corte d'appello abbia ritenuto non rilevante in sé la rettifica dell'atto, in quanto non corredata da alcuna informazione sulla natura della dazione di denaro "compensata" con la cessione degli immobili: il contenuto non specifico della rettifica non ha consentito alla Corte territoriale di poter escludere che il trasferimento dei beni ai soci abbia costituito comunque una violazione della postergazione, atteso che questo trasferimento è stato disposto in pendenza della procedura di liquidazione, quando già nel giudizio risarcitorio instaurato dal Condominio, pendente sin dal 2007, era stata espletata l'istruttoria ed era stata fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni; in tal senso, permanendo ragioni di credito non soddisfatte, in assoluta mancanza di specificazioni in fatto sul credito oggetto di "compensazione" o di riferimenti alle appostazioni in bilancio, la Corte d'appello non ha potuto escludere che la cessione degli immobili non abbia integrato una attribuzione di attivo, rilevante ai fini della responsabilità ex art. 2495 cod. civ.. 3. Per queste considerazioni, il ricorso è respinto. Non vi è statuizione sulle spese perché nessuno degli intimati ha svolto difese. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell'art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 7 novembre 2023. Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2024.

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