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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIETI SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. GIANLUCA MORABITO, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di appello iscritta al n. r.g. 1221/2023 promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. Fa.Fe., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, come da delega rilasciata nel giudizio di prime cure APPELLANTE contro (...), con il patrocinio dell'avv. Ma.Fa., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Fara Sabina (RI), (...), come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello APPELLATO CONCLUSIONI I difensori delle parti concludevano come da note scritte ex art. 127ter c.p.c. depositate rispettivamente in data 02.05.2024 (parte appellante) e 16.04.2024 (parte appellata) e la causa veniva trattenuta in decisione con ordinanza del 30.05.2024, avendo le difese rinunciato ai termini per il deposito delle note conclusionali. FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) proponeva appello contro la sentenza del Giudice di Pace di Poggio Mirteto n. 2/2023 del 03.02.2023, con cui era stata respinta l'opposizione dallo stesso proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 157/21 reso dallo stesso Giudice di Pace e per effetto del quale gli era stato ingiunto di pagare al (...) la somma di Euro 1.681,68, oltre interessi e spese della procedura monitoria, a titolo di oneri condominiali risultanti dal relativo bilancio approvato dall'assemblea condominiale in data 13.02.2021. Con un primo motivo l'appellante lamentava la "nullità/annullabilità del decreto ingiuntivo sia in via di eccezione che in via di azione" deducendo, tra l'altro: che il decreto ingiuntivo era nullo per mancanza delle condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 633 ss. c.p.c.; che il Giudice di Pace nulla aveva rilevato nella sentenza impugnata in merito alle eccezioni sollevate dall'opponente, limitandosi a sostenere che la spesa per "Appalto lavori corpo fabbricato A" era stata approvata, come da bilancio, dall'assemblea condominiale in data 13.02.2021; che si trattava, tuttavia, di approvazione di spesa per "Appalto lavori corpo fabbricato A" deliberato nel corso dell'assemblea straordinaria tenutasi in seconda convocazione; che la ragione della nullità della richiamata delibera era da rinvenirsi nel fatto che l'attore, come già argomentato nell'atto di citazione in via riconvenzionale al punto 1, non aveva mai ricevuto alcun atto di convocazione all'assemblea del 13/02/2021 e nemmeno alcuna delibera assembleare, ovvero il computo metrico di ben 22 pagine; che, quindi, l'oggetto della delibera assembleare del (...) del 13/02/2021 non risultava in alcun modo né determinato, né determinabile; che parte convenuta, nell'atto monitorio, non aveva allegato le ricevute di convocazione assembleare per il 12/02/2021 in prima convocazione e del 13/02/2021 in seconda e nemmeno le ricevute di spedizione della delibera assembleare contenente il computo metrico; che, difatti, dalla delibera stessa allegata al ricorso monitorio non era rinvenibile alcun oggetto e, ai sensi del combinato disposto degli l'art. 1418 e 1346 cod. civ., la stessa era affetta da nullità c.d. strutturale; che, altresì, nessuna notifica dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, nessun verbale di assemblea e nessun atto di messa in mora gli erano pervenuti, così risultando carenti le condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 633 ss. c.p.c.; che il Giudice di Pace non aveva motivato circa la mancata convocazione dell'appellante all'assemblea straordinaria del 13/02/2021 per "Appalto lavori corpo fabbricato A" in quanto la convocazione era stata inviata con raccomandata AR postale del 02/02/2021 n. 15447154568-7 (doc. 10) presso la vecchia residenza dello (...) in Frasso Sabino (RI) (...) Ind, - allegata nella comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022 all'all. 4, pagg. 27 e 28 - non ritirato per compiuta giacenza poiché trasferitosi in (...) in Fara in Sabina in data precedente del 01/12/2020, come risultante da certificato storico del 02/12/2021 del Comune di Fara in Sabina (doc. 11); di non essere altresì venuto a conoscenza nemmeno del verbale di assemblea inviato dal (...) con plico spedito il 17/04/2021, raccomandata AR n. 15447154664-3 presso la medesima residenza in Frasso Sabino (...), - allegato 5 alla comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022, pagg. 11 e 12 - non ritirato per compiuta giacenza (doc. 12), plico con raccomandata AR 15447154675-6 presso (...) a Fara in Sabina (RI) (doc. 13) - allegato 6 alla comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022, pagg. 11 e 12 - anch'esso non ritirato per compiuta giacenza poiché notificato in residenza diversa dalla propria di (...) in Fara in Sabina (RI); che il Condominio aveva prodotto la ricevuta di ritorno della raccomandata n. 20138171029-5 del 19/05/2021 (pag. 13 comparsa costituzione e risposta del 10/03/2022) diretta al Sig. (...) alla precedente residenza di Frasso Sabino (RI) alla (...) (doc. 14) dichiarando che la stessa conteneva un sollecito di pagamento, senza però allegarlo, non ritirato anch'esso per compiuta giacenza poiché notificato in residenza diversa dalla propria di (...), in Fara in Sabina (RI); che nell'ipotesi di produzione della delibera nell'ambito della richiesta di un decreto ingiuntivo a carico del condomino, tale produzione o la notifica del decreto ingiuntivo non equivaleva a conoscenza della delibera stessa; che il termine per il condomino per l'impugnazione decorreva quindi dalla comunicazione della delibera all'indirizzo del condomino (cfr. Cass. 16081/2016); in merito alle eccezioni del (...) convenuto in prime cure sulla contestata mancata comunicazione del cambio della propria residenza, che la legge prevedeva l'obbligo per l'amministratore di eseguire delle indagini per reperire la nuova residenza del condomino, addebitando su quest'ultimo le relative spese; che "In subordine al mancato riconoscimento della sopra descritta nullità, in via di azione, (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021)..." l'appellante riproponeva "...l'annullamento del decreto ingiuntivo per lo stesso oggetto e motivazioni sopra esposte ai sensi dell'art. 1137, II comma da intendersi di seguito riportate e trascritte (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021 Con un secondo motivo il sig. (...) prospettava la "...annullabilità della delibera per approvazione dei lavori di manutenzione straordinaria in via di azione ai sensi dell'art. 1137 comma 2, per mancata costituzione dell'assemblea di tutti gli aventi diritto e senza l'approvazione della relativa maggioranza ex art. 1136 comma 2 e 4" evidenziando, tra l'altro, che considerato che ai sensi dell'art. 1137 comma 2 cod. civ. esso appellante non aveva ricevuto alcuna comunicazione per la partecipazione all'assemblea straordinaria del 12/13.02.2021 per l'approvazione di lavori straordinari al corpo del fabbricato "A" del (...) appellato e, quindi, non aveva potuto parteciparvi e considerato, inoltre, che non gli era stata data alcuna comunicazione delle deliberazioni assunte nella suddetta assemblea, si doveva ritenere che i termini di 30 giorni per adire l'autorità giudiziaria per chiedere l'annullamento della delibera condominiale in via di azione (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021) non fossero ancora decorsi e, comunque, non fossero decorsi dalla data della notifica del decreto ingiuntivo opposto, che, pertanto, il vizio denunciato determinava l'annullabilità della delibera assembleare per mancanza sia del quorum costitutivo pari alla totalità degli aventi diritto pari a 1.000,000 in luogo di 785,334, sia di quello deliberativo pari a 500,000 in luogo di 392,667 della maggioranza assoluta dell'assemblea condominiale; che la delibera in questione non era valida e quindi andava annullata poiché il quorum deliberativo era stato di 444,575, come tale inferiore ai 500 millesimi previsti per l'approvazione delle delibere per lavori straordinari anche per l'approvazione dei lavori per una sola parte del (...) Con un terzo motivo l'appellante lamentava, infine, la "annullabilità della delibera assembleare in via di azione per violazione ai sensi dell'art. 1137 comma 2 per violazione dell'art. 1136 VI comma cod. civ. e dell'art. 66 disp. att. cod civ." deducendo, tra l'altro: che la busta contenente la convocazione per l'assemblea del 12-13/02/2021 corredata dal computo metrico afferente i lavori straordinari del corpo di fabbrica "A" risultava essere stata spedita in data 02/02/2021 a mezzo raccomandata postale AR n. 15447154568-7 presso la vecchia residenza dello (...) in Frasso Sabino, (...) e non ritirata dopo la compiuta giacenza; che il Condominio aveva affermato che quella era la sua residenza conosciuta dall'amministratore e che, pertanto, la notifica era regolare; che, tuttavia, la notifica non si era perfezionata, essendo stata inviata nella vecchia residenza a Frasso Sabino in (...) (doc. 10); di non averne avuto conoscenza, non essendo più residente in quel luogo e non avendovi conservato la propria residenza effettiva ed abituale, ovvero alcuna dimora, come risultava anche dal certificato di residenza storico del 02/12/2021 della Città di Fara in Sabina allegato al doc. 3 dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo e dalla circostanza che l'agente notificatore non aveva provveduto a ricercare la residenza effettiva ed abituale, ovvero la dimora del destinatario della notificazione; che conseguentemente la notificazione era tamquam non esset, ovvero inesistente con accoglimento della richiesta di annullamento della delibera del 13/02/2021 del (...) convenuto; che anche a voler ritenere detta notifica regolare, doveva comunque "dichiararsi" l'annullamento ai sensi dell'articolo 1137 comma 2 del codice civile su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati ai sensi dell'art. 66 disp. att. cod. civ., come rinnovato nel 2012, secondo cui l'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione; che, difatti, come evincibile dalla documentazione postale allegata (doc. 18), la raccomandata postale dell'avviso di convocazione per le adunanze dell'assemblee del 1213/02/2021 risultava giunta all'ufficio postale di Frasso Sabino disponibile al ritiro il 09/02/2021, ovvero solo tre giorni prima non liberi dalla convocazione della prima adunanza per il giorno 12/02/2021 ore 06.00 (doc. 4 allegato memoria cost. del Condominio). Il sig. (...) rassegnava, all'esito, le seguenti conclusioni: "Voglia il Tribunale di Rieti adito, in funzione di giudice di Appello, per i motivi esposti, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, in riforma della sentenza n. 5 del 03/02/2023 del Giudice di Pace di Poggio Mirteto (doc. A) depositata in cancelleria il 27/02/2023, di cui al R.G.N. 21/2023, non notificata all'appellante: accertare e dichiarare che il decreto ingiuntivo n. 157/2021 - RG N 242/2021 emesso dal Giudice di Pace di Poggio Mirteto, notificato all'opponente il 18/11/2021, è affetto da nullità e/o annullabilità e per l'effetto revocarlo. Si chiede l'acquisizione del fascicolo d'ufficio contenente quello di parte presso la cancelleria del Giudice di Pace di Poggio Mirteto. Con vittoria di spese, competenze ed onorari dell'odierno giudizio e di quello in prime cure nonché della procedura di mediazione". Il (...) costituitosi in giudizio, contestava integralmente l'appello, concludendo come segue: "Nel merito - Accertare e dichiarare l'infondatezza in fatto e diritto delle domande formulate dal Sig. (...), per tutti i motivi di cui in premessa; E per l'effetto - Confermare integralmente la sentenza di primo grado n. 5 del 03.02.2023, resa tra le parti dal Giudice di Pace di Poggio Mirteto, Dott. (...) (Rg. n. 21/22); In ogni caso - Condannare il Sig. (...) al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio". La causa, di natura documentale, veniva trattenuta in decisione con ordinanza del 30.05.2024 sulle conclusioni rassegnate dalle parti in sede di note autorizzate ex art. 127ter c.p.c. depositate rispettivamente in data 02.05.2024 (parte appellante) e 16.04.2024 (parte appellata), previa rinuncia delle difese ai termini per il deposito di note conclusive. Tanto premesso, il primo motivo di appello è infondato e deve essere respinto. Costituisce, invero, principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui "l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che, sovrapponendosi allo speciale sommario procedimento monitorio (ex-art. 633, 644 e ss. c.p.c.), si svolge nel contraddittorio tra le parti secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 c.p.c.). Ne consegue che il giudice dell'opposizione ..(..).. è investito del potere-dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione (nonché sulle eccezioni e l'eventuale domanda riconvenzionale dell'opponente) ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all'esito dello stesso. Ne consegue altresì che non può avere alcuna rilevanza, per la validità della pronuncia, né che il giudice non ne dichiari la nullità e non lo revochi, né che non motivi sul punto" (Cass. civ. n. 1184/2007; Cass. civ. n. 13001/2006). Di conseguenza, qualora venga proposta rituale opposizione, ciò a cui in quella sede deve aversi riguardo è, sostanzialmente, la pretesa azionata dall'ingiungente, indipendentemente dai vizi che possano eventualmente avere inficiato il decreto ingiuntivo a suo tempo emesso. Stante quanto sopra, nel caso che ci occupa il lamentato vizio di "nullità" o "annullabilità" del decreto ingiuntivo emesso nei confronti del sig. (...) giammai sarebbe, in sé, suscettibile di determinare una riforma della gravata decisione di primo grado, dovendosi in ogni caso avere riguardo alla pretesa sostanziale fatta valere dal Condominio in sede monitoria. Ne discende l'inevitabile reiezione del primo motivo di appello. Il secondo motivo di appello è infondato e come tale deve essere respinto. Sostiene il sig. (...): che la delibera avente ad oggetto l'approvazione dei lavori di manutenzione straordinaria debba essere annullata "...per mancata costituzione dell'assemblea di tutti gli aventi diritto e senza l'approvazione della relativa maggioranza ex art. 1136 comma 2 e 4", non avendo egli ricevuto alcuna comunicazione - stante la "inesistenza" della stessa, in ragione della sua notifica ad indirizzo di residenza dell'appellante non più attuale - in ordine alla data di svolgimento dell'assemblea straordinaria e non avendo, quindi, egli potuto parteciparvi; che, non essendogli stata data - per identiche ragioni - alcuna comunicazione delle deliberazioni assunte nella suddetta assemblea, i termini di 30 giorni per adire l'autorità giudiziaria al fine di chiedere l'annullamento della delibera condominiale in via di azione non siano ancora decorsi e, comunque, non siano decorsi dalla data della notifica del decreto ingiuntivo opposto; che, pertanto, il vizio denunciato determini l'annullabilità della delibera assembleare "per mancanza sia del quorum costitutivo pari alla totalità degli aventi diritto pari a 1.000,000 in luogo di 785,334, sia di quello deliberativo pari a 500,000 in luogo di 392,667 della maggioranza assoluta dell'assemblea condominiale"; che essendo stato il quorum deliberativo di 444,575 millesimi, come tale inferiore ai 500 millesimi previsti per l'approvazione delle delibere per lavori straordinari anche per l'approvazione dei lavori per una sola parte del (...) la delibera in questione sia, per l'appunto, invalida e debba essere annullata. Sul tema, occorre premettere: che ai sensi dell'art 66, comma 3, disp. att. c.c., l'avviso di convocazione dell'assemblea, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione; che in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile, ai sensi dell'articolo 1137 del codice, su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. A ciò deve aggiungersi che per pacifico insegnamento della Suprema Corte (ex multis, Cassazione civile, sez. II, sentenza 25/03/2019 n. 8275) l'avviso di convocazione, trattandosi di atto unilaterale ricettizio, segue la comune regola fissata dall'art. 1335 c.c., secondo il quale la proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia. Nel caso che ci occupa il sig. (...) sostiene, peraltro, che tanto l'avviso di convocazione dell'assemblea, quanto il verbale della stessa assemblea non gli siano stati regolarmente comunicati, gli stessi essendo stati inviati ad indirizzo non corrispondente a quello di residenza anagrafica attuale. L'assunto non può essere condiviso, per le ragioni di seguito esposte. Ed invero, l'introduzione del registro dell'anagrafe condominiale ex art. 1130, n. 6, c.c. ha posto a carico dell'amministratore l'obbligo di annotare in esso le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e personali di godimento, comprensivi dei dati ad essi inerenti anche in caso di variazioni: è quindi compito dell'amministratore provvedervi direttamente, ovvero a spese del condomino qualora questi non provveda di sua spontanea volontà a comunicare i dati richiesti. Il legislatore ha previsto, altresì, come ogni variazione dei dati vada comunicata all'amministratore in forma scritta, entro sessanta giorni, prevedendosi, altresì, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, non solo la possibilità che l'amministratore richieda, con lettera raccomandata, le informazioni necessarie all'aggiornamento del registro di anagrafe, ma anche, nell'ipotesi di omessa o incompleta risposta nel termine di trenta giorni dalla richiesta, la facoltà, per costui, di acquisire personalmente le informazioni necessarie, addebitandone il relativo costo al condomino. In ogni caso, va tenuto presente che se l'amministratore del condominio ha il dovere di regolare tenuta ed aggiornamento costante del registro di anagrafe condominiale, il condomino ha a sua volta l'obbligo di comunicare tempestivamente all'amministratore il proprio eventuale trasferimento in altro e diverso domicilio: in caso contrario, la comunicazione all'indirizzo di residenza risultante dall'anagrafe condominiale, ancorché non più attuale, dovrà ritenersi regolarmente perfezionata e la mancata ricezione dell'avviso sarà necessariamente addebitabile al solo condomino negligente (in termini Trib. Palermo n. 4179/22), non essendo ragionevolmente esigibile in capo all'amministratore una continua e costante verifica in ordine all'esistenza o meno di trasferimenti di residenza di ciascun singolo condomino, specie alla luce dell'obbligo di cui sopra gravante sui condomini, che fa presumere la piena idoneità dell'indirizzo già comunicato alla ricezione delle comunicazioni, in assenza di successiva comunicazione di variazione del medesimo. Tornando al caso che ci occupa, i plichi contenenti la convocazione per l'assemblea e la successiva comunicazione del relativo verbale sono stati pacificamente inoltrati all'indirizzo del sig. (...) presente nel registro dell'anagrafe condominiale e cioè Frasso Sabino (RI), (...) (circostanza pacifica tra le parti), né dagli atti di causa risulta che l'appellante abbia provveduto a comunicare all'amministratore del condominio, precedentemente alla ricezione dell'avviso, la variazione della propria residenza anagrafica. Nello specifico, la raccomandata a/r contenente la convocazione dell'assemblea condominiale per il 13.02.2021 è stata recapitata dal postino presso l'indirizzo di residenza del sig. (...) presente nell'anagrafica condominiale, posto che, per giurisprudenza, con l'avviso di giacenza immesso nella cassetta postale (esito attestato nella specie dall'agente postale) l'atto di convocazione all'assemblea condominiale si presume conosciuto dal destinatario (v., tra le altre, Cass. civ. n. 20001/2020). Identiche considerazioni valgono con riferimento alla comunicazione del verbale di assemblea, inoltrato a identico indirizzo con esito di compiuta giacenza. Ne discende che dovendo entrambe le comunicazioni ritenersi - per le ragioni tutte di cui sopra - validamente effettuate (in entrambi i casi il plico non è stato ritirato per compiuta giacenza), risulta inesorabilmente spirato il termine perentorio di trenta giorni di cui all'art. 1137, II co., c.c. per proporre ricorso avverso la delibera assembleare avente ad oggetto l'approvazione dei lavori straordinari e della relativa spesa oggetto di ingiunzione. Le superiori considerazioni comportano l'inevitabile reiezione del secondo motivo di appello, non essendo consentito al (...) - stante la scadenza del termine di cui sopra, previsto a pena di decadenza - far valere alcun vizio di annullabilità della delibera assembleare de qua. Per le stesse ragioni deve essere, infine, respinto il terzo motivo di appello, con il quale il sig. (...) lamenta un ulteriore profilo di annullabilità della delibera (omessa ricezione dell'avviso di convocazione almeno cinque giorni prima della data dell'assemblea) il cui scrutinio è precluso in questa sede, stante la scadenza del termine perentorio per proporre ricorso avverso la delibera medesima. In definitiva, l'appello nel suo complesso dovrà essere respinto, siccome giuridicamente infondato. Le spese del presente giudizio di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto dell'assenza di fase istruttoria e di note conclusionali Dovrà, infine, condannarsi parte appellante al pagamento di un ulteriore importo pari all'ammontare del contributo unificato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 13, comma 1quater, D.P.R. n. 115/02, trattandosi di rigetto di impugnazione. P.Q.M. il Tribunale in composizione monocratica, ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così provvede: - respinge l'appello proposto da (...) avverso la sentenza del Giudice di Pace di Poggio Mirteto n. 2/2023 del 03.02.2023; - condanna l'appellante a rifondere al (...) le spese del presente giudizio di appello, che liquida nell'importo complessivo di Euro 1.276,00 a titolo di compensi professionali, oltre alle spese forfettarie ex art. 2 D.M. n. 55/14 e oltre a IVA e CPA come per legge; - condanna il sig. (...) al pagamento di un ulteriore importo pari all'ammontare del contributo unificato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/02. Così deciso in Rieti l'1 giugno 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9178 del 2023, proposto da Ma. Or. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba., Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Condominio Vi. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Ri. Mo., An. In., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. De Mu. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 703/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis), del Condominio Vi. Bo. e di Ro. De Mu. e altri come sopra individuati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti gli avvocati Ma. Al.; Ma. Si.; Ga. Gi.; In. An.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 77 in data 1 giugno 2022, assunta dal Segretario del Comune di (omissis), avente ad oggetto la sospensione dei lavori di ricostruzione di un muro di sostegno di area retrostante comprendente la linea ferroviaria (omissis) - (omissis) nonché un edificio residenziale. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. I ricorrenti sono proprietari di un compendio immobiliare nel Comune di (omissis), frazione (omissis), costituito da un antico edificio residenziale ("villa del Ve.") e un'area pertinenziale che si estende fino al litorale. Con provvedimento del 27 novembre 2019, il Comandante della Capitaneria di porto di Imperia autorizzava uno dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 55 cod. nav. e fatto salvo il necessario titolo edilizio, ad effettuare i lavori di ricostruzione di un muro di protezione dal mare; secondo le risultanze catastali, il manufatto da erigere rientrava nel perimetro della proprietà privata. Previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, gli interessati presentavano al Comune di (omissis), in data 18 febbraio 2020, una s.c.i.a. per la ricostruzione del muro in cemento armato, qualificando l'intervento come manutenzione straordinaria. Con nota del 11 maggio 2022, considerato che i lavori non erano stati ancora realizzati e che lo stato dei luoghi poteva aver subito mutamenti nel periodo trascorso dal rilascio dell'autorizzazione, il Comandante della Capitaneria di porto sospendeva l'efficacia del titolo medesimo, diffidando gli interessati a non realizzare l'intervento. Con successiva nota del 16 maggio 2022, la stessa Autorità comunicava che, alla luce delle risultanze emerse in apposita riunione cui avevano partecipato i rappresentanti del Provveditorato alle opere pubbliche e dell'Agenzia del demanio, la diffida era stata revocata. I lavori sono stati avviati nello stesso mese di maggio del 2022. Tuttavia, essendo emersi elementi di incertezza in ordine alla titolarità dell'area di intervento (che, secondo alcuni esposti pervenuti all'Ente locale, sarebbe appartenuta al demanio marittimo), il Comune di (omissis) disponeva l'immediata sospensione dei lavori con ordinanza del 1 giugno 2022. In pari data, il Comune presentava alla Capitaneria di porto un'istanza urgente per la rideterminazione della dividente demaniale ex art. 32 cod. nav. Il Comandante della Capitaneria di porto riscontrava l'istanza con nota del 14 giugno 2022, significando che la questione inerente alla persistente attualità dell'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. rilasciata ai ricorrenti era già stata affrontata e positivamente definita nella menzionata riunione cui il Comune non aveva ritenuto di partecipare. A questo punto, preso atto che i solleciti volti all'esercizio del potere di autotutela erano rimasti privi di riscontro, gli interessati hanno impugnato l'ordine di sospensione dei lavori con ricorso notificato e depositato in data 8 luglio 2022. In via preliminare il Tar ha fatto riferimento all'affermazione di parte ricorrente secondo cui, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, l'impugnata ordinanza di sospensione dei lavori sarebbe divenuta inefficace nel corso del giudizio e, in conseguenza, dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità del ricorso. È evidente che, in questa prospettiva, l'invocata declaratoria di improcedibilità risulterebbe sostanzialmente satisfattiva della pretesa azionata in giudizio, poiché implica l'accertamento della sopravvenuta inefficacia del provvedimento che impedisce la ripresa dei lavori avviati dai ricorrenti. Il Tar ha condiviso, a tale riguardo, la stigmatizzazione operata dai primi intervenienti, non essendo plausibile che il ricorso, cui accedeva la domanda di tutela cautelare anche monocratica, fosse stato proposto avverso un provvedimento la cui efficacia, in tesi, sarebbe venuta meno appena otto giorni dopo: l'atto introduttivo del presente giudizio, infatti, è stato notificato e depositato in data 8 luglio 2022, laddove il preteso termine di efficacia del provvedimento impugnato sarebbe scaduto il successivo 16 luglio. In ogni caso, anche volendo ammettere che i pochi giorni residui di "paralisi del cantiere" fossero forieri di gravi pregiudizi per i ricorrenti, la tardiva segnalazione di una circostanza potenzialmente idonea a consentire la sollecita definizione del giudizio già in sede cautelare configura un abuso dello strumento processuale. Il Tar ha poi evidenziato l'infondatezza della tesi inerente alla sopravvenuta inefficacia dell'impugnata ordinanza. Nel caso in esame, infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, può farsi questione della legittimità di un termine diverso da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della competenza del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato. Il Tar ha ricordato che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. 2. Si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello il Comune di (omissis), Ro. De Mu. ed altri e il Condominio "Vi. Bo.". 3. Parte appellante fa presente che nel corso del giudizio di primo grado i ricorrenti odierni appellanti hanno chiesto che il ricorso venisse dichiarato improcedibile per sopravvenuta inefficacia dell'ordine di sospensione lavori, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001. Contesta la tesi del Tar secondo cui, stante la perdurante efficacia del provvedimento impugnato di sospensione lavori, difetterebbero le condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Ritiene che: - la dichiarazione di improcedibilità del ricorso avverso l'ordine di sospensione non sia in alcun modo satisfattiva delle ragioni dei ricorrenti in quanto se è vero che ciò avrebbe consentito di riprendere i lavori è altrettanto vero che gli stessi sarebbero rimasti pur sempre esposti alla vigilanza del Comune e alla emissione di atti repressivi di eventuali illeciti; - la proposizione del ricorso in questione non sarebbe abuso del processo, ma invece normale esercizio del diritto di difesa al fine di ottenere l'annullamento nel merito dell'ordinanza di sospensione lavori o quantomeno la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta inefficacia dell'atto per decorso del termine stabilito dalla legge anche in funzione della proponenda azione risarcitoria dei danni causati dall'arbitraria sospensione lavori. Ritiene che il giudice di prime cure abbia ignorato che la stessa ordinanza ha esplicitamente riconosciuto la propria natura cautelare e ha richiamato le disposizioni del D.P.R. n. 380/2001. Sulla base di ciò non potrebbero sussistere dubbi sull'applicabilità nel caso di specie dell'art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 (il cui contenuto è trasfuso anche nella Legge Regionale sull'edilizia n. 16 del 2008 all'art. 40) ed in particolare del termine di efficacia di 45 giorni per la sospensione lavori. Il provvedimento del Comune di (omissis) non sarebbe semplicemente illegittimo per violazione delle norme che stabiliscono il termine di efficacia dell'ordinanza di sospensione, ma diverrebbe addirittura nullo per difetto assoluto di attribuzione. Parte appellante ribadisce pertanto l'improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta inefficacia del provvedimento di sospensione lavori atteso che nel termine perentorio di 45 giorni - ma neppure successivamente - non è stato adottato alcun provvedimento definitivo comunale. 3 - bis. L'appello è infondato e pertanto il collegio può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari. Le censure sono infondate. Infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, come affermato dal Tar, può farsi questione della legittimità di un termine diverso (ossia fino alla data di adozione del provvedimento di delimitazione) da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso o la cessata materia del contendere. 4. Parte appellante lamenta poi l'illegittimità dell'accertamento incidentale sulla proprietà contenuto nella sentenza appellata. Infatti la natura stessa dell'ordinanza di sospensione lavori non presuppone alcun accertamento definitivo sulla titolarità dell'area oggetto di intervento edilizio impedendo che si possa instaurare un rapporto di pregiudizialità tra esame del ricorso giurisdizionale attinente la legittimità del provvedimento e l'accertamento in via incidentale del diritto di proprietà sul terreno in questione. L'impossibilità di un accertamento incidentale sarebbe reso ancor più evidente dal fatto che parte ricorrente all'udienza del 24 maggio 2023 ha concentrato la subordinata azione di annullamento insistendo solo sulla violazione del termine finale della sospensione lavori legato nel suo termine finale ad un evento incertus an et quando. 4 - bis. Le censure sono infondate. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato e non questione principale. Infatti sul punto l'ordinanza impugnata in primo grado fa specifico riferimento alla descrizione dei luoghi e alla conseguente possibilità che le opere sono state previste ed eseguite sul demanio marittimo. Nel caso di specie oggetto principale della contestazione è proprio l'ordine di sospensione dei lavori e la connessa sopra richiamata motivazione. L'accertamento della proprietà demaniale costituisce questione incidentale scrutinabile dal giudice amministrativo ai sensi del primo comma dell'art. 8 del cod. del proc. amm. secondo cui il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (così Cons. di Stato, Sez. VII, 23 settembre 2022, n. 8225). 5. Parte appellante ritiene che la sentenza appellata sia illegittima perché il giudice di prime cure si sarebbe discostato dalle determinazioni in materia di confine demaniale delle Amministrazioni competenti. Fa riferimento alla circostanza che: - la Capitaneria di Porto, dopo aver esaminato la questione con nota del 16 maggio 2022 prot. n. 9424 aveva esplicitamente consentito la prosecuzione dei lavori; - l'Agenzia del Demanio ha avuto modo di chiarire che il muro in corso di realizzazione, una volta completato, avrebbe rappresentato "il confine demaniale aggiornato". Il giudice di prime cure, pur in presenza di queste valutazioni delle competenti Amministrazioni sul profilo della demanialità, se ne sarebbe inopinatamente discostato e avrebbe provveduto in autonomia ad individuare di fatto un nuovo confine tra proprietà privata e demanio marittimo, quando la legge assegna tale compito all'Amministrazione nella figura del Capitaneria di Porto competente o al giudice ordinario. Secondo parte appellante la controversia in esame riguarderebbe un'ordinanza di sospensione lavori che non comporta alcun accertamento sulla regolarità o meno dell'opera edilizia con conseguente impossibilità da parte del giudice di prime cure di esaminare la legittimità ovvero l'esistenza della SCIA edilizia che ha assentito il muro di protezione dagli eventi meteo-marini. 5 - bis. Le censure sono infondate. La sentenza appellata è congruamente motivata sul punto anche con riferimento agli esiti della verificazione espletata nel giudizio di primo grado. Infatti il Tar ha premesso che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, l'accertato difetto di legittimazione ad eseguire le opere comporta necessariamente la non regolarità delle opere edilizie di cui alla Scia. In conclusione l'appello deve essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza con liquidazione nella misura di: - Euro 2.000 a favore del Comune di (omissis); - Euro 2.000 per i seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu.ed altri; - Euro 2.000 a favore del Condominio "Vi. Bo.". P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di: Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis); Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore dei seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu. ed altri; Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Condominio "Vi. Bo.". Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE II SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e nella persona del dott.ssa Martina Fusco, in funzione di giudice unico, pronuncia ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 2926 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, vertente TRA (...), elett.te dom. presso lo studio dell'avv. (...), dal quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti ATTORE E (...), in persona del legale rapp.tep.t., elett.te dom.to presso lo studio dell'avv. (...), dalla quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti CONVENUTO Oggetto: impugnativa delibera assembleare RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente decisione è adottata ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. e, quindi, è possibile prescindere dalle indicazioni contenute nell'art. 132 c.p.c. Infatti, l'art. 281-sexies c.p.c., consente al giudice di pronunciare la sentenza in udienza al termine della discussione dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, senza dover premettere le indicazioni richieste dal secondo comma dell'art. 132 c.p.c., perché esse si ricavano dal verbale dell'udienza di discussione sottoscritto dal giudice stesso. Pertanto, non è affetta da nullità la sentenza, resa nella forma predetta, che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice e le parti, le eventuali conclusioni del P.M. e la concisa esposizione dei fatti e dei motivi della decisione (Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22409). Ancora, in tale sentenza è superflua l'esposizione dello svolgimento del processo e delle conclusioni delle parti, quando questi siano ricostruibili dal verbale dell'udienza di discussione e da quelli che lo precedono (Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7268; Cass. civ., Sez. III, 15 dicembre 2011, n. 27002). Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) impugnava la delibera assembleare del 13/02/2015 approvata dall'assemblea del (...), cui l'attore non aveva partecipato. A sostegno della propria domanda, in particolare, deduceva quale primo motivo di impugnazione, l'inadempimento dell'amministratore di condominio alla richiesta di consegna della documentazione richiesta; quale secondo motivo di impugnazione, allegava numerosi vizi della delibera impugnata - di approvazione del bilancio consuntivo. In particolare: - erronea applicazione dell'aliquota per la determinazione della rivalsa da addebitare, a titolo di contributo iscrizione Gestione Separata - Inps, per il compenso dell'amministratore; - erronea determinazione del compenso amministratore; - erronea rendicontazione della quota per la manutenzione ascensore Scala A; - erronea rendicontazione della quota per la pulizia Scala A e per la pulizia Piazzale; - erronea rendicontazione della quota dovuta per la verifica biennale dell'ascensore Scala A. Concludeva, quindi, chiedendo la declaratoria di nullità della delibera impugnata, con vittoria di spese. Si costituiva in giudizio il (...) convenuto, il quale, in persona del proprio amministratore e l.r.p.t, contestava tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, ed in particolare rimarcava la legittimità di tutto gli addebiti rendicontati in bilancio; specificava, inoltre, che tutta la documentazione richiesta era stata in effetti consegnata all'attore. Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Veniva espletata l'istruttoria ritenuta rilevante, ed in particolare veniva disposta CTU volta alla verifica della regolarità delle rendicontazioni effettuate in sede di bilancio approvato. Depositata la perizia, la causa veniva ritenuta matura per la decisione. L'udienza del 23/05/2024, disposta per la discussione ex art 281 sexies c.p.c., veniva sostituita dal deposito di note di trattazione scritta; nessuna delle parti costituite proponeva opposizione alla suddetta modalità di trattazione nel termine stabilito dalla legge e, anzi, entrambe depositavano note, in cui concludevano riportandosi a tutte le difese in atti. Il giudizio viene pertanto deciso con la presente pronuncia, allegata al provvedimento ex art 127 ter c.p.c.. Preliminarmente, non può dubitarsi della legittimazione attiva dell'attore; ed infatti, l'art. 63 co 4 delle disp. att. del codice civile stabilisce, nel caso di vendita di un immobile facente parte di condominio, la solidarietà dell'alienante e dell'acquirente rispetto ai debiti di natura condominiale relativi all'annualità in corso e a quella precedente alla data della vendita. Permane, pertanto, l'interesse dell'attore alla pronuncia in esame. Nel merito, la domanda va rigettata per le ragioni che qui si diranno. Quanto alla mancata consegna di documenti, va rilevato in primo luogo che per la costante giurisprudenza di legittimità "se ciascun comproprietario ha la facoltà di richiedere e di ottenere dall'amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo e senza avere neppure l'onere di specificare le ragioni della richiesta finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti, è altresì certo che l'esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all'attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza" (tra le altre, in questi termini, Cass. Civ. Sez. VI-2, 28/07/2020, n. 15996; Cass. Civ. Sez. 2, 21/09/2011 n. 19210; Cass. civ. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159). In sostanza, se è vero che in capo all'amministratore grava l'onere di esibizione dei documenti contabili, è anche vero che le richieste del singolo condomino non posso costituire violazione del principio di leale collaborazione tra le parti, rappresentando un ostacolo per lo svolgimento dell'attività dell'amministratore. Ebbene nel caso in esame, deve rilevarsi che l'amministratore, tenuto conto della puntuale richiesta da parte del (...) ha prontamente provveduto a rilasciare allo stesso copia della documentazione richiesta, necessaria alla verifica di quanto oggetto del bilancio consuntivo ad approvarsi. Irrilevanti, e contrarie al principio di buona fede, appaiono le ulteriori doglianze mosse dalla parte attrice, a fronte della consegna della documentazione. Quanto, infatti, al registro dell'anagrafe condominiale, l'amministratore ha prontamente provveduto alla consegna dell'elenco dei nominativi dei condomini e a fronte di ciò, l'attore non ha esplicitato le ragioni per cui la documentazione in effetti consegnata, non sarebbe stata idonea. Parimenti è a dirsi quanto al contratto di manutenzione ascensore: la documentazione consegnata, appare idonea, prima facie, alla verifica della rispondenza dei costi con la contabilizzazione operata in consuntivo, ragion per cui non si ravvisa l'incidenza della mancata consegna del contratto sulla validità della delibera assembleare. Ancora, infine, medesimo ragionamento è possibile operare in ordine alla mancata consegna della movimentazione del conto corrente condominiale in quanto dalla documentazione consegnata dall'amministratore è possibile rinvenire il complesso di rapporti dare-avere di cui il condominio era titolare all'epoca. Per altro, tutte le suddette conclusioni sono consolidate proprio dal comportamento dell'attore che, nell'avviare il presente procedimento, ha pedissequamente sottoposto a critica l'operato dell'amministratore proprio sulla base della documentazione dallo stesso pervenuta. Alla luce di ciò, deve senza dubbio ritenersi che la perduranza della richiesta da parte del (...), anche a seguito della consegna da parte dell'amministratore della documentazione, da cui emergono i dati necessari per una consapevole partecipazione all'assemblea di approvazione del consuntivo, rappresenti un ostacolo all'attività dell'amministratore, e una violazione del principio di correttezza, anche alla luce del rapporto di collaborazione verosimilmente richiesto nell'ambito dei rapporti condominiali. Venendo al merito, la questione è stata correttamente rimessa all'accertamento del consulente tecnico d'ufficio, cui è stato, in particolare, demandato, di verificare la rispondenza tra la documentazione contabile in atti e le risultanze del bilancio consuntivo approvato e oggetto di impugnativa. Quanto al primo punto contestato, è stato chiesto al consulente di accertare la regolarità della rivalsa esposta nel compenso amministratore rispetto alla deliberazione assembleare di conferimento dell'incarico. Il CTU sul punto ha in primo luogo premesso che "i professionisti che esercitano un'attività per la quale non è prevista un'apposita cassa di previdenza sono tenuti all'iscrizione alla gestione separata dell'Inps. La gestione separata è un regime contributivo che prevede il pagamento di un contributo annuo, calcolato in percentuale sul reddito imponibile del professionista (...) i soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata, hanno la facoltà di addebitare in fattura al proprio committente una maggiorazione del 4% del compenso concordato, fermo restando che resta a suo carico l'obbligo del pagamento dei contributi Inps. Addebitando la rivalsa il professionista, in pratica, fa concorrere alla propria contribuzione previdenziale il soggetto committente, chiamato a versare il 4% del compenso, a titolo di rivalsa del contributo previdenziale Inps." Venendo al caso in esame, la consulente ha chiarito che dal consuntivo comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014, risulta un compenso all'amministratore del (...) per complessivi Euro 2.017,39 calcolando la rivalsa al 6% (Euro114,19) e quindi in violazione dell'indicazione normativa del 4%, articolo 1, comma 212, della Legge n. 622/1996: ne discende che il compenso base, senza rivalsa, è pari ad Euro 1.903,20. Calcolando, al contrario, la rivalsa al 4%, la stessa sarebbe pari Euro 76,13: la differenza totale ammonta, quindi, ad Euro38,06, di cui, a credito del condominio (...), Euro 1,48 (Millesimi 34,70 su 997,739). In ordine a tale conclusione, deve in primo luogo anticiparsi, come più in avanti si avrà modo di argomentare approfonditamente, che trattasi dell'unico punto rispetto al quale la CTU ha, in effetti, rilevato una incongruenza. Può, però, ritenersi, che tale incongruenza, per la sua entità minima, non può in alcun modo incidere sulla validità della delibera assembleare impugnata. Sul punto vale specificare che secondo la maggioritaria giurisprudenza di legittimità, "il condomino che intenda impugnare una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale." Cass. civ. ordinanza n. 6128 del 09/03/2017. Per la scarsa entità della differenza sostanziale riscontrata (pari ad Euro 1.48), deve escludersi che il credito derivante possa comportare un apprezzabile mutamento della posizione patrimoniale dell'attore, con conseguente rigetto del relativo punto. Come anticipato, tutti gli altri punti della delibera impugnati, sono stati considerati validi dall'analisi del CTU. Quanto al secondo punto oggetto di contestazione, l'incongruenza degli importi fatturati nel registro di contabilità e nel consuntivo in ordine al compenso dell'amministratore, il CTU ha chiarito che "che il principio di competenza economica è una prassi amministrativa che consiste nel considerare, nel conto economico di un bilancio d'esercizio, solo i costi e i ricavi che si riferiscono e hanno effetto in quel periodo di tempo, a prescindere dalle manifestazioni finanziarie già avvenute o che devono ancora avvenire". Ciò posto, dal bilancio comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014 emerge un costo per compenso amministratore per Euro 2.017,39, che fa correttamente riferimento alle spese di competenza dell'esercizio: la somma non indicata nel registro di contabilità (in cui si fa riferimento solo alla somma di Euro 1.849,27) non è ivi annotata poiché nella compilazione del registro, si fa riferimento al principio di cassa, per cui mancano gli esborsi in effetti non ancora perfezionatisi. "Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale, invece, sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori. È corretto, pertanto, riportare tra i debiti verso fornitori l'importo di Euro 168,12 (ovvero Euro 2.017,39 - Euro 1.849,77). Gli importi sono stati correttamente ripartiti." Con riferimento al terzo punto oggetto di contestazione, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano tutti i giustificativi relativi alla voce "Manutenzione ordinaria Scala A" - per la cui indicazione specifica si rimanda al corpo della relazione peritale. Pertanto, l'importo di Euro 446,20 risulta correttamente giustificato e correttamente imputato. Parimenti, con riferimento al quarto punto oggetto di contestazione, inerente la spesa di pulizia della scala "A" e del piazzale, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano le seguenti fatture: - fattura n. 391 del 05/12/2014 relativa al servizio di pulizia per Euro 317,20; - fattura n. 25 del 02/01/2015 relativa al servizio di pulizia del mese di dicembre 2014 per Euro 317,20. Anche nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate in ragione dell'applicazione del principio di cassa, in quanto tali uscite non erano state ancora effettuate; le voci sono però presenti nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale. Pertanto, anche tale importo risulta correttamente ripartito tra i condomini. Infine, con riferimento al quinto punto oggetto di contestazione, con riferimento alle spese di verifica biennale ascensore scala "A", il consulente ha chiarito che nella documentazione in atti risulta la fattura n. 5221 del 07/10/2014 della (...) s.p.a. di complessivi Euro 294,91 e relativa alla verifica periodica dell'impianto ascensore Scala A e (...). Dal bilancio comparato risulta che l'amministratore ha imputato tale costo di competenza dell'anno 2014 per il 50% alla: tabella B "Scala e Ascensore Scala A per Euro 152,25 e alla tabella B "Scala e Ascensore Scala B per Euro 152,25. Anche in questo caso, l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità la voce di costo contestata in ragione dell'applicazione del principio di cassa. Pertanto, anche il suddetto importo, è stato correttamente ripartito. Delle conclusioni cui è giunto il CTU nella propria relazione peritale non si ha alcun motivo di dubitare. Ed infatti, ferma la coerenza tra le premesse metodologiche e le conclusioni stesse, non può non sottolinearsi il chiaro riferimento a tutta la documentazione depositata in atti e, soprattutto, ai principi generali in materia di tenuta della contabilità applicabili al caso in esame. In particolare, in risposta alle contestazioni sollevate da parte attrice in sede di osservazioni, la dott. (...) ha rilevato che "l'art. 1130 bis c.c. dispone anche che nel registro di contabilità devono essere annotate le voci di entrate e di uscita (principio di cassa), per cui se ne deduce che al rendiconto condominiale si applica il criterio misto di cassa (per la tenuta del registro di contabilità) e di competenza (per la redazione del riepilogo finanziario). In tal senso Trib. Roma sentenze nn. 246/2019 e 1918/2019. Nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate poiché per il principio di cassa tali uscite non sono state ancora effettuate. Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori." Proprio in applicazione dell'art. 1130 bis del Codice civile - a norma del quale "Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti" -, pertanto, si impone, nell'ambito dei rapporti condominiali, l'utilizzo del criterio di cassa per la compilazione del registro di contabilità, senza, però, che l'applicazione del suddetto principio, possa incidere sulla ripartizione di tutte le spese di competenza dell'annualità in corso, laddove di tali spese vi sia idoneo giustificativo, pur non essendo stato già operato l'esborso pecuniario relativo. La domanda va, per tutte le ragioni anzidette, integralmente rigettata. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ai sensi del DM 147/2022, secondo il valore della controversia, prendendo come riferimento i parametri minimi, stante l'assenza di questioni in fatto e in diritto di particolare complessità. Parimenti in capo all'attore soccombente vengono definitivamente poste le spese di CTU, come liquidate in separato decreto del 14/01/2021. P.Q.M. Il Tribunale di Nocera Inferiore, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: a) rigetta la domanda; b) condanna parte attrice al pagamento, in favore di parte convenuta delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.278,00 oltre Iva e Cpa, come per legge, e rimb. spese forf. (nella misura del 15% del compenso); c) pone definitivamente in capo a parte attrice le spese di CTU, come liquidate in separato decreto. Depositato telematicamente in data 31 maggio 2024.

  • IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, pronunzia la presente SENTENZA nel proc. n. 7663/2021 RG promosso da (...), residente a Padova, (...), residente a Padova, (...), rappresentati e difesi dagli avv.ti (...) con domicilio eletto presso il loro studio del primo in Dolo (VE), (...) e con domicilio digitale eletto ai sensi dell'art. 16 sexies D.L. 179/2012 agli indirizzi pec: (...) contro (...) (...), entrambi residenti in Padova (PD), (...), rappresentati e difesi, per procura in calce al presente atto, dagli avv.ti (...) del Foro di Padova, con domicilio digitale eletto presso gli indirizzi di posta elettronica certificata (...) nonché contro (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...), con domicilio eletto presso il di lui studio in Padova (...) con l'avv. (...) con la chiamata in causa di Condominio (...) contumace OGGETTO: risarcimento danni ai sensi dell'art. 2043 c.c. in edificio condominiale - responsabilità dell'amministratore MOTIVAZIONE 1. (...) comproprietari di un appartamento con annesso garage al piano terra sito in Padova, (...) facente parte del complesso di abitazioni denominato "Condominio (...)", amministrato da (...) espongono che il 19 dicembre 2019 si accorgevano dell'improvviso allagamento del loro garage. L'acqua scendeva abbondante a rivoli dal soffitto e si riversava all'interno del box, inzuppando i beni in esso contenuti, quali attrezzi dei figli, vestiti, scarpe ed effetti personali nonché una moto Harley Davidson. (...) cercava di porre al riparo i propri beni e avvertiva l'amministratore del Condominio (...), nonché i proprietari dell'appartamento sovrastante (...) e (...). Dopo alcuni giorni, gli attori scoprivano che le infiltrazioni d'acqua erano state generate dalla rottura di una tubazione idrica (lo scarico della vasca da bagno) dell'appartamento posto al piano superiore di proprietà dei predetti (...) e (...) riparata da una squadra di idraulici inviata dall'amministratore (...). Quest'ultimo li rassicurava, informandoli che avrebbe aperto un sinistro sulla polizza condominiale che presentava garanzia sottoscritta a tutela dei danni da acqua condotta al fabbricato e al contenuto delle singole unità abitative e che quindi nulla vi era da preoccuparsi per quanto concerneva il ristoro dei danni subiti. La Compagnia di assicurazione (...), a seguito della denuncia dell'amministratore del Condominio, apriva il sinistro n. (...) e veniva eseguito il sopralluogo esplorativo da parte del perito incaricato. Tuttavia, la stessa Compagnia, con raccomandata del 2.10.2020, comunicava il diniego dell'indennizzo in quanto la polizza decorreva solo dalle ore 24 del 20.12.2019. Gli attori venivano in tal modo a sapere che l'amministratore non aveva adempiuto a quanto deliberato dall'assemblea del 23.10.2019 di approvazione del bilancio preventivo di gestione ordinaria dall'1.07.2019 al 30.06.2020, ove era stata prevista la voce di spesa per la stipula (rectius rinnovo) dell'assicurazione polizza globale fabbricati. Ciò premesso, (...) e (...) hanno convenuto in giudizio sia (...) e (...) (...) sia (...), per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti, quantificati in complessivi euro 15.000,00. (...) e (...) resistono ed hanno chiesto di essere manlevati da (...) chiedendo anche la sua condanna al pagamento delle spese condominiali poste a loro carico nei bilanci 2019/2020 e 2020/2021 sempre per il ripristino delle parti comuni e private necessitato dalla predetta perdita d'acqua per la complessiva somma di euro 1.595,00, oltre ad euro 697,60 per spese di mediazione, chiedendo che l'accertamento fosse effettuato anche nei confronti del Condominio, che è stato così chiamato in causa, rimanendo contumace. Anche (...) resiste. La causa è stata istruita mediante l'assunzione delle deposizioni dei testi (...), (...) (v. udienza 28.02.2023), e con il deposito di ctu estimativa dei danni del p.i. (...). Precisate le conclusioni e scaduti i termini previsti dall'art. 190 c.p.c., la causa passa ora in decisione. 2. Dalle concordi deposizioni di (...) e di (...) risulta che la perdita d'acqua è stata causata dalla vasca del sovrastante appartamento dei convenuti (...) (...) e (...) Il danno è stato dal ctu quantificato in complessivi euro 5.266,40 (iva compresa). (...) e (...) vanno pertanto condannati in solido a pagare tale somma agli attori (...) e (...). 3. Sussiste anche la responsabilità dell'amministratore (...) poiché è pacifico che egli non ha provveduto a stipulare l'assicurazione deliberata dall'assemblea il 2223.10.2019. Non ha alcuna rilevanza che (...) e (...) fossero morosi nel pagamento delle spese condominiali, né che l'assicurazione fosse destinata a coprire anche parti private dei singoli condomini. Nessuna di tali circostanze esimeva l'amministratore dall'adempiere a quanto deciso dall'assemblea condominiale, come conferma il fatto che il giorno dopo il sinistro l'amministratore ha provveduto a stipulare la polizza richiesta. 4. Lo stesso amministratore (...) deve tenere indenne anche i predetti convenuti, in quanto anche nei loro confronti è inadempiente all'obbligo di stipulare la polizza nascente dalla cit. delibera condominiale. Egli deve anche restituire loro la somma di euro 1.595,00 dagli stessi pagata quali spese condominiali a loro addebitate sempre a causa della predetta perdita d'acqua, senza che rilevi la mancata attivazione della mediazione (v. Cass., sez. un., 7.02.2024, n. 3452), né il fatto che (...) e (...) con abbiano impugnato i bilanci 2019/2020 e 2020/2021 che tali spese hanno approvato, poiché si tratta di res inter alios. 5. Si impongono quindi le declaratorie di cui in dispositivo. Le spese di giudizio, comprese quelle di ctu, seguono la soccombenza. P Q M definitivamente pronunziando, condanna (...) e (...) nonché (...) tutti in solido, a pagare a (...) e (...) la complessiva somma di euro 5.266,40 con interessi legali dalla data odierna al saldo, oltre agli interessi legali sulla stessa somma, devalutata alla data del 19.12.2019 e quindi rivalutata anno per anno sulla base degli indici Istat. Condanna (...) tenere indenne (...) e (...) a quanto saranno costretti a pagare a (...) e (...) per capitale, interessi e spese. Condanna inoltre (...) a pagare a (...) e (...) la complessiva somma di euro 1.595,00 con interessi legali dalla prima messa in mora al saldo. Condanna (...) e (...) e (...) in solido, a rifondere a (...) e (...) le spese di giudizio, liquidate in euro 237,00 per spese ed euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge e spese generali. Condanna (...) a rifondere a (...) e (...) le spese di giudizio (comprensive della fase della mediazione), liquidate in euro 98,00 per spese ed euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge e spese generali. Pone infine le spese di ctu definitivamente a carico di (...). Padova, 30 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO TREDICESIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Sabrina Bocconcello ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 40905/2017 promossa da: (...) tutti con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in (...) MILANO presso il difensore avv. (...) ATTORE/I contro (...), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in(...) MILANO presso il difensore avv. (...) CONVENUTO/I CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza. SVOLGIMENTO IN FATTO DEL PROCESSO omissis ex art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. cpc Si premette che la presente sentenza verrà redatta con motivazione stesa in forma concisa e sintetica in conformità anche con i criteri espressi e di cui alla pronunzia della Suprema Corte di Cassazione alle SS.UU. n. 642 del 16/01/2015. La presente si limiterà pertanto ad una succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, specificando che tale esposizione potrà fondarsi su precedenti conformi. Per quanto riguarda domande, eccezioni e richieste conclusive delle parti, si rinvia agli atti processuali delle medesime ed ai verbali delle udienze, atteso il contenuto dell'art. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. Att. cpc, che esclude una lunga e particolareggiata esposizione di tutte le vicende processuali anteriori alla decisione. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il presente procedimento trae origine dalla impugnativa della delibera del 14.3.2017 punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg (per numerosi motivi sia procedurali che sostanziali) svolta dagli attori con atto di citazione ritualmente notificato con il quale convenivano in giudizio il (...), per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Voglia il Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, conclusione e deduzione, previa sospensione dell'efficacia esecutiva ex art. 1137 c.c., così giudicare: Nel merito: dichiarare nulla o, comunque, annullare l'impugnata delibera assembleare, relativamente ai punti n. 1, 2, 3, 4 e 5 dell'ordine del giorno dell'assemblea del 14/03/2017 del (...), per i motivi di cui al presente atto. Con vittoria di spese e competenze di legge." Alla prima udienza del 21.12.2017 si costituiva in giudizio il (...) convenuto contestando ogni deduzione avversaria e chiedendo: "Respingere le domande tutte avanzate dagli attori nell'atto di citazione nei confronti del (...), in persona dell'Amministratore pro tempore in quanto infondate in fatto e in diritto per i motivi esposti. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio e delle spese del procedimento di mediazione". Concessi i richiesti termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c., la causa veniva rinviata per la discussione sull'ammissione dei mezzi istruttori all'udienza del 7.5.2018 Alla fissata udienza il Giudice -su specifica richiesta congiunta delle parti anche al fine di valutare ipotesi conciliative- disponeva CTU contabile, nominando il dott. (...) e rinviando per il giuramento del CTU e la formulazione del quesito. All'udienza del 18.6.2018 il CTU Dott. (...) accettava l'incarico e prestava il giuramento di rito sul quesito posto ed il Giudice rinviava per verificare l'esito del deposito dell'elaborato. Nelle more, a seguito di istanza del CTU, con ordinanza del 15.11.20218 veniva fissata udienza al 21.1.2019 ove le parti concordavano di integrate il quesito posto al CTu nel seguente modo "verranno esaminati su accordo delle parti i punti emersi in corso di operazioni peritali sono ad ora effettuate estrapolando tra questi quelli che saranno oggetto di specifico esame sulla base dei criteri statistici individuati dal CTU" In data 20.5.2019 il CTU depositava elaborato finale ed all'udienza del 20.6.2019 il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione rinviava la stessa per la discussione all'udienza del 25.11.2019 concedendo termine per il deposito di note conclusive sino al 15/11/19. Nelle more con istanza congiunta del 13.11.2019 le parti chiedevano differimento dell'udienza in pendenza di trattative. La causa veniva rinviata all'udienza del 20/02/20, con termine per il deposito di note conclusive sino al 10/02/20. Con istanza congiunta del 03/02/20, le parti domandavano un ulteriore sempre in pendenza di trattative. Il Giudice, vista la suddetta istanza congiunta, a modifica dell'ordinanza del 25/11/19 rinviava l'udienza del 20/02/20 al 25/02/20, sospendendo i termini per il deposito di note conclusive. La causa veniva poi differita, per impedimento d'ufficio, all'udienza del 27/02/20. Le parti, sempre al fine di coltivare le trattative volte a trovare una soluzione conciliativa, domandavano una serie di rinvii. Il giudizio veniva dapprima rinviato all'udienza del 05/06/20 e poi a quella del 21/10/20, ove su richiesta delle parti il Giudice rinvia per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 15.12.2020. Alla fissata udienza le parti, ritenendo ancora possibile il raggiungimento di un accordo transattivo, domandavano un rinvio in pendenza di trattative ed il Giudice rinviava così la causa all'udienza del 13/04/21. All'udienza del 13/04/21, le parti davano atto del fallimento delle trattative e il Giudice, su richiesta delle parti rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 14/12/21. Le parti, in considerazione della nomina di un nuovo amministratore, sempre al fine di raggiungere una conciliazione, domandavano un ulteriore rinvio in pendenza di trattative: la causa veniva dapprima rinviata all'udienza del 03/03/22, poi all'11/07/22 e, infine, per impedimento d'ufficio del Giudice al 15/09/22. In data 12/09/22, le parti depositavano una nuova istanza di differimento udienza sempre in pendenza di trattative. La causa veniva rinviata al 28/11/22, poi al 20/03/23, 02/10/23 e, infine, al 26/02/24. All'udienza del 26/02/24 le parti chiedevano fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni ed il Giudice rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 13/03/24, all'esito della quale la stessa veniva rinviata per la discussione con temine alle parti per il deposito di note conclusive. All'udienza del 31.5.2024 in esito alla discussione viene data lettura della sentenza. Quale primo motivo di impugnazione della delibera del 14.3.2017 il condomino (...) in proprio e non quale legale rappresentante della (...) lamenta la mancata convocazione all'assemblea de quo. Il condominio convenuto eccepisce che il (...) proprietario di immobile nello stabile unitamente con la di lui madre Sig.ra (...) non poteva non sapere della convocazione in quanto destinatario di tre avvisi di convocazione uno inviato a (...) di cui è legale rappresentante (convocazione non ritirata); uno inviato alla madre (...) ed uno al fratello (...). Come noto, è ormai consolidato in giurisprudenza che: 1) l'assemblea deve esser convocata a mezzo di comunicazione scritta che deve pervenire ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per la riunione (art.66 disp.att.c.c.,ultimo comma) 2) la convocazione deve essere fatta a tutti gli aventi diritto 3) l'inosservanza di una di tali prescrizioni comporta la annullabilità della delibera, che può esser fatta valere entro 30 giorni, dalla delibera per i dissenzienti e dal ricevimento del verbale assembleare per gli assenti. (Cass. 26 settembre 2013 n. 22047 e cass. 8275/2019) A ciò si aggiunga che l'art. 66 disp. att. c.c. comma II così come novellato dalla riforma del 2012, e nel caso de quo pienamente applicabile posto che la delibera oggetto di impugnativa è del 14.3.2017 prevede che in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. Ne consegue che in caso di vizi della convocazione, la delibera può essere contestata (cioè il vizio relativo al difetto di convocazione) solo da coloro che hanno subito direttamente il pregiudizio e non da altri soggetti (Cass. civ. sez. II del 18 aprile 2014, n. 9082). Deve ritenersi che la novella del 2012 abbia inteso codificare il diritto soggettivo del condomino di partecipare all'assemblea in maniera informata (a tutela del quale è anche previsto un termine entro il quale l'avviso di convocazione deve pervenire a tutti i condomini), in mancanza del quale la delibera deve ritenersi invalida. Orbene, nel caso in esame il condominio conferma di non aver inviato al condomino (...) l'avviso di convocazione ma ne eccepisce la presunzione di conoscenza attesa la regolare convocazione della madre (...) comproprietaria e della (...) del quale il (...) è legale rappresentante Sul punto osserva questo Tribunale che la Suprema Corte (Cass. 26 settembre 2013 n. 22047 e cass. 8275/2019) qualifica l'avviso di convocazione atto eminentemente privato, e del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall'applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari - quale atto unilaterale recettizio- per cui esso rinviene la propria disciplina nell'art. 1335 c.c., al medesimo applicandosi la presunzione di conoscenza in tale norma prevista (superabile da una prova contraria da fornirsi dal convocato), in base alla quale la conoscenza dell'atto è parificata alla conoscibilità, in quanto riconducibile anche solamente al pervenimento della comunicazione all'indirizzo del destinatario e non alla sua materiale apprensione o effettiva conoscenza. Invero, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c., degli atti recettizi in forma scritta giunti all'indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo dell'atto nel luogo indicato dalla norma. Ed infatti giurisprudenza condivisa ha chiarito sul punto, che l'esigenza che tutti i comproprietari siano preventivamente informati della convocazione dell'assemblea condominiale può ritenersi soddisfatta quando risulti, secondo l'incensurabile accertamento del giudice di merito, che in qualunque modo i detti comproprietari ne abbiano avuto notizia" (Cass. Civ. Sez. II, 18 febbraio 2000, n. 1830) Pertanto, seppur vero che ai fini della validità delle delibere assembleari è necessario che tutti gli aventi diritto siano stati regolarmente convocati, in caso di comproprietari tale requisito può ritenersi soddisfatto qualora l'avviso sia inviato ad uno solo degli aventi diritto, purché si abbia ragionevole certezza di ritenere che anche il comproprietario sia stato reso edotto." La validità della convocazione per la riunione dell'assemblea condominiale di uno dei comproprietari pro indiviso di piano o di porzioni di piano di un condominio può evincersi anche dall'avviso dato all'altro comproprietario, qualora ricorrano circostanze presuntive tali da far ritenere che il secondo comproprietario abbia reso edotto il primo della convocazione stessa." (Cassazione civile, sez. II, 16/02/1996 , n. 1206) Ciò detto in punto di diritto, nei fatti per cui è causa risulta indiscusso il ricevimento della relativa convocazione e del successivo verbale di assemblea da parte di un solo dei comproprietari, ed esattamente di (...) (...). Dalle evidenze istruttorie non sono emersi elementi di conflittualità tra i comproprietari (...) tali da poter escludere una presunzione di conoscenza ed informazione circa la convocazione per l'assemblea del 14.3.2017, con la conseguenza che si deve ritenere che il sig. (...) sia stato reso edotto della convocazioni ricevute dalla madre e per l'effetto deve essere rigettata la domanda di annullabilità azionata per difetto di convocazione. Con il secondo motivo di impugnazione gli attori lamentano la nullità della delibera del 14.3.2017 per eccesso di potere dovuto alla mera reiterazione di 5 delibere impugnate ed in particolare le delibere del 11/03/14, punto n. 2; del 11/11/14, punti da 1 a 3; del 02/05/2016, punto n. 3; del 15/06/16 punti 1, 2 e 4; e del 13/12/16, punti da 1 a 6. Non è contestato che con la delibera del 14.3.2017 l'assemblea abbia reiterato quanto già deliberato in occasione delle assemblee sopra elencate senza nulla aggiungere né togliere. E' stato chiarito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità che affinché una delibera possa legittimamente sostituirsi a quella già impugnata, è necessario un riesame della precedente decisione, da effettuarsi attraverso un nuovo apprezzamento degli interessi da perseguire e comporre, eliminando eventuali vizi, finalizzato ad un concreto risultato gestorio a tutela della collettività condominiale; che se, invece, l'assemblea si limita semplicemente a confermare quanto già deciso in precedenza, la seconda deliberazione non può considerarsi "legittimo esercizio del potere discrezionale dell'organo deliberante assembleare", configurandosi, al contrario, un eccesso di potere che determina l'invalidità della seconda deliberazione (cfr. Cass.civ. 20.4.2001, n 5889); Infatti secondo la Suprema Corte, in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall'art. 2377, comma 8, c.c. dettato in tema di società di capitali, a condizione che la nuova deliberazione abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della deliberazione impugnata, ferma soltanto l'avvenuta rimozione dell'iniziale causa di invalidità. Orbene atteso che la delibera del 14.3.2017 nei punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg ha provveduto sui medesimi argomenti ratificando espressamente il contenuto della delibera le delibere del 11/03/14, punto n. 2; del 11/11/14, punti da 1 a 3; del 02/05/2016, punto n. 3; del 15/06/16 punti 1, 2 e 4; e del 13/12/16, punti da 1 a 6, va ritenuto sussistente l'eccesso di potere sotto il profilo della ravvisabilità in detta ultima assemblea del fine unico di eludere la definizione dei giudizi già pendenti. Ne consegue l'accoglimento della domanda attorea e la declaratoria di nullità della delibera de quo. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo, ponendo definitivamente a carico solidale delle parti le spese di CTU attesa la richiesta congiunta delle parti al solo scopo di verificare la possibilità di percorrere l'ipotesi transattiva. Sentenza esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, ogni altra istanza disattesa, rigettata o assorbita, così provvede: - dichiara nulla la delibera del 14.3.2017 punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg resa dal (...) convenuto, come in motivazione. - Condanna il (...) convenuto a pagare in favore degli attori, in solido tra di loro, le spese e competenze di lite e di mediazione, che liquida in Euro. 585,00 per spese e Euro.3.500,00 per compensi, oltre al 15% per spese generali, cpa e Iva di legge. - pone definitivamente a carico solidale delle parti le spese di CTU come in motivazione. Milano, 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8671 del 2022, proposto dalla sig.ra Lu. Qu., rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ad., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via (...), nei confronti - della società Im. Sa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; - del Condominio Pa. Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, n. 6212/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta, della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania e del Condominio Pa. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso allibrato al numero 357/2020 del Registro Generale del T.A.R. per la Campania, il dott. St. Sa., quale amministratore unico della società Do. S.r.l. nonché in proprio quale residente nel Condominio Pa. Sa. sito in Caserta alla via (omissis), e la sig.ra Qu. Lu., quale residente nel medesimo Condominio, agivano per l'annullamento della "autorizzazione in deroga al progetto di autorimessa privata con superficie compresa tra 300 e 1.000 mq. ex art. 7 DPR 151/2011 rilasciato alla Im. Sa. s.r.l. il 13/09/2019 dal Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta prot. n. 0014751", nonché dei relativi atti presupposti. Veniva premesso in ricorso che la società Do. S.r.l. era proprietaria di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto-quinto e seminterrato del più ampio fabbricato condominiale denominato "Condominio Sa.", avendoli acquistati con atto del 4 luglio 2018, mentre le due persone fisiche ricorrenti erano stabili residenti nel medesimo Condominio. Esponeva quindi la parte ricorrente che, mediante gli atti impugnati, era stata illegittimamente concessa una deroga alla normativa antincendio, ai sensi dell'art. 7 d.P.R. n. 151 del 1° agosto 2011, con riferimento ad una autorimessa all'interno dell'edificio condominiale benché realizzato successivamente alla entrata in vigore del suddetto d.P.R.. Mediante gli articolati motivi di ricorso, veniva evidenziato che, in primo luogo, la ditta realizzatrice del complesso immobiliare, a seguito della costituzione del relativo Condominio, non aveva più titolo a richiedere ed ottenere la deroga, con la conseguenza che la relativa istanza, non provenendo da soggetto legittimato (da identificarsi appunto nel Condominio), non poteva che essere archiviata. Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente deduceva che la deroga prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 non poteva applicarsi ai nuovi fabbricati, come confermato dagli artt. 11, comma 4, e 4, comma 6, del medesimo d.P.R., con la conseguenza che il costruttore avrebbe dovuto dichiarare ab origine l'esistenza di un garage avente metratura superiore a 300 mq. e che le opere rientravano quindi nel campo di applicazione della normativa antincendio, con particolare riguardo alla sottoclasse 75/1/A: gli Uffici intimati, quindi, avrebbero rilasciato non una deroga, ma una sanatoria extra ordinem di un illecito, sulla scorta delle false dichiarazioni rese dalla controinteressata, la quale, in tutti gli elaborati progettuali e financo nella dichiarazione rilasciata ai sensi dell'art. 24, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 in data 20 aprile 2018 da parte del Direttore dei Lavori, aveva affermato che l'autorimessa non rientrava nel campo di applicazione della normativa antincendio e che il parcheggio era inferiore ai 300 mq.. Infine, la parte ricorrente deduceva l'illegittimità della deroga in quanto non preceduta dalla acquisizione del parere del C.T.R., previsto dall'art. 7, comma 3, d.P.R. cit.. Con i motivi aggiunti depositati in data 26 marzo 2020, scaturenti dal deposito documentale effettuato dall'Amministrazione intimata, la parte ricorrente deduceva la carenza della dichiarazione di conformità, ex art. 7 D.M. 22 gennaio 2008, n. 37, dell'impianto elettrico al servizio dell'autorimessa, costituente presupposto per ottenere l'agibilità ex art. 9 D.M. cit. e la deroga stessa. Essa lamentava quindi che il Comando dei VV.FF., invece di bloccare la S.C.I.A. del 12 dicembre, prot. n. 20842, aveva consentito alla controinteressata di produrre la predetta documentazione entro 45 gg.. Allegava altresì la ricorrente che risultava prodotta una nota asseverata a firma dell'Ing. Es. del 3 gennaio 2020 che, stravolgendo il Mod. PIN 2.1 approvato dal Ministero, sotto la sua responsabilità penale asseverava per lavori definitivi di "nuovo insediamento" quanto segue: "assevera la corrispondenza di quanto trasmesso con quanto dichiarato nella dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico richiesto". La ricorrente deduceva quindi la mancanza nella suddetta dichiarazione di ogni contenuto asseverativo, laddove il Mod. PIN 2.1. ministeriale era così diversamente formulato: "Assevera la conformità della/e attività sopraindicata/e ai requisiti di prevenzione incendi e di sicurezza antincendio". Aggiungeva la ricorrente che il medesimo Ing. Es. aveva allegato alla suddetta "asseverazione" una dichiarazione di conformità del 3 gennaio 2020 dell'impianto a regola d'arte della ditta Ed. che, però, concerneva la "manutenzione straordinaria" dell'impianto ed era priva di 3 allegati obbligatori, limitandosi la medesima ditta ad affermare di aver controllato e verificato l'impianto, senza indicare né allegare il progetto, non potendosi verificare la conformità ad un progetto non allegato. Deduceva ancora la ricorrente che la ditta Ed. aveva allegato la dichiarazione n. 10/2019 della Om. Im. S.r.l. del 9 dicembre 2019, priva degli allegati richiamati, concernente un nuovo impianto su impianto già esistente consistito nella "Installazione di lampade di emergenza, quadro elettrico per pulsante di sgancio autorimessa", senza dichiarare di aver "rispettato il progetto", che non era allegato al pari di altri due elaborati obbligatori (schema impianto e rifermento a dichiarazioni di conformità precedenti). A seguito dell'ulteriore deposito documentale effettuato dall'Amministrazione, la ricorrente depositava in data 8 aprile 2020 ulteriori motivi aggiunti, con i quali deduceva, in sintesi: che la dichiarazione della ditta Om. Im. del 9 dicembre 2019 era priva della carta di identità del dichiarante e quindi da considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 38, comma 3, d.P.R. n. 445/2000; che la dichiarazione della ditta Ed., a differenza di quella già depositata, non recava il numero di protocollo; che al punto I della relazione dell'Amministrazione del 2 aprile 2020 si affermava che la dichiarazione della ditta Om. del 9 dicembre 2019 era già allegata alla S.C.I.A. del 12 dicembre 2019, in contrasto sia con quanto precedentemente dedotto nella relazione del 24 marzo 2020, sia con il tenore della nota del 24 dicembre 2019, prot. n. 21559, sia con l'asseverazione del 3 gennaio 2020 a firma dell'Ing. Es. che allegava detta dichiarazione. 2. Il T.A.R., con la sentenza n. 6212 del 7 ottobre 2022, ha preliminarmente dichiarato l'inammissibilità dei motivi aggiunti, sia perché, "per loro tramite, è stato impugnato un atto (il "provvedimento del 05/02/2020 prot. n. 1908 di formalizzazione con esito positivo del verbale di visita tecnica di prevenzione incendi ai sensi dell'art. 4, c.2, del DPR 151/2011") non avente portata autonomamente lesiva, ma meramente accertativa ed endoprocedimentale e, come tale, da impugnare in uno al provvedimento principale", sia perché gli stessi "si innestano pur sempre su un ricorso introduttivo (al quale ineriscono) che, tuttavia, si appalesa irricevibile per tardività ". Per quanto concerne quest'ultimo profilo, il T.A.R., premesso che nella specie si contesta "l'illegittimità del titolo per il solo fatto del suo rilascio", ha osservato che "nella fattispecie in esame, considerato che le edificazioni realizzate successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011, dovevano nascere in maniera pienamente ossequiosa della normativa sulla sicurezza antisismica di cui al citato d.P.R., senza alcuna possibilità di rilascio di alcuna autorizzazione in deroga, già la notizia del mero fatto del rilascio in favore della controinteressata (che aveva costruito successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011) di un'autorizzazione in deroga, faceva sorgere nel ricorrente l'interesse ad impugnare la predetta autorizzazione e, con esso, l'onere di rispettare, nella proposizione della impugnativa, il termine iniziale decorrente dal momento in cui si è avuta detta conoscenza, senza alcuna necessità di avere piena conoscenza del preciso ed integrale contenuto del provvedimento autorizzatorio in deroga". Ciò premesso, ha evidenziato il T.A.R. che "risulta comprovato agli atti che in data 25 febbraio 2019, i ricorrenti - proprietari di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l. - depositavano dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere circostanziato ricorso per ATP (RG. 1832/2019) sulla scorta della presunta sussistenza di molteplici vizi che affliggevano i beni immobili in questione, in particolare, richiamando la perizia del proprio tecnico di fiducia redatta in data 14 gennaio 2019 (depositata agli atti del ricorso per ATP), nella quale si evidenziava che il piano interrato destinato ad autorimessa non era rispondente ai requisiti di sicurezza antincendio previsti dal Decreto Ministeriale 1 febbraio 1986" e che "nelle more dell'espletamento della ATP, l'Im. Sa. s.r.l. presentava - in data 31.7.2019 - al Comando dei Vigili del Fuoco di Caserta, documentata istanza tesa ad ottenere parere favorevole in deroga del certificato prevenzione incendi ed, all'esito dell'istruttoria il 3 settembre del 2019, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta rilasciava il parere favorevole in deroga (provvedimento prot. n. 0014751), approvando il relativo progetto presentato dalla società Sa. s.r.l.". Ha altresì rilevato il T.A.R. che "seguivano, poi, in data 6 settembre 2019, il provvedimento di concessione in deroga da parte della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile e, infine, in data 13 settembre 2019 la concessione della deroga ex art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 del Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta" e che "successivamente, il costituito Condominio "Sa.", portava al termine la procedura de quo come sopra precisato; in particolare, nell'immediatezza (in data 11 dicembre 2019) provvedeva a inoltrare dichiarazione per voltura per la pratica di autorizzazione in deroga presentata dalla società Sa. e, contestualmente, presentava scia dei necessari lavori per l'adeguamento dell'impianto di autorimessa ai fini della sicurezza antincendio, come da progetto approvato dall'amministrazione dell'interno. Invero, gli adempimenti sopra richiamati venivano deliberati all'Assemblea condominiale convocata per il giorno 8 novembre 2019, assemblea che vedeva la partecipazione anche del delegato della Do. s.r.l. (nella persona dell'avv. Do. St.)". Ha quindi rilevato il T.A.R. che "appare evidente che la ricorrente veniva a conoscenza dei suddetti provvedimenti, impugnati con l'odierno ricorso, già in data 4 ottobre 2019 (vedasi verbale di ATP) e/o comunque in data 8 novembre 2019 (vedasi verbale assemblea di condominio), potendo, a ben vedere, ove avesse ritenuto lesivo il contenuto dell'atto amministrativo, inoltrare all'Amministrazione competente un'apposita istanza di accesso agli atti, sin dal giorno successivo alla redazione dei richiamati verbali, al fine di prendere visione, tempestivamente, degli atti, dei documenti e di tutto quanto eventualmente allegato alla risposta favorevole rilasciata alla società resistente dall'amministrazione dell'Interno. Ciò posto, appare quanto mai evidente che era onere per la Do. s.r.l. l'impugnazione dell'atto sulla base sia di quanto conosciuto in sede di ATP in data 4 ottobre 2019 e in sede di assemblea condominiale in data 8 novembre 2019, nonché in virtù delle contestazioni tecniche recepite nelle censure sollevate, come si è sopra evidenziato, nel ricorso introduttivo per ATP". Ha ancora osservato il T.A.R. che "ad ogni modo la ricorrente in data 20 luglio 2018 ha formulato "Richiesta di accesso formale a documenti amministrativi per esame e/o estrazione di copie ai sensi della L. 241/90 integrata e modificata dalla L. 15/05 e D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184", pervenuta a destinazione, come da ricevuta di avvenuta consegna il giorno 31 ottobre 2019 alle ore 18:22:11. Va in proposito evidenziato che parte ricorrente, nel tentativo di eludere i termini di decadenza per proporre tempestivamente il ricorso giurisdizionale, dichiara di aver avuto conoscenza dei provvedimenti impugnati soltanto in data 20 gennaio 2020 (all'uopo ha depositato copia di una email non certificata) ma non menziona né deposita la propedeutica istanza di accesso agli atti, dalla cui data di deposito sarebbe stato univocamente evincibile il fatto del rilascio dell'autorizzazione in deroga". Il T.A.R. ha poi ribadito che "in buona sostanza la Do. s.r.l., già dalla data del 4 ottobre 2019, disponeva di ogni elemento utile per predisporre il ricorso avverso gli atti contestati, ma, ciononostante, ha promosso il ricorso soltanto in data 30 gennaio 2020. Ciò si rinviene, inequivocabilmente, dalla lettura del verbale n. 10 redatto a seguito del sopralluogo svolto, in sede di ATP, in data 4 ottobre 2019 (al quale partecipava anche la Do. s.r.l.). Invero, nel prefato atto, l'ing. Ma., CTP della società Sa., rendeva noto al C.T.U.: "che, relativamente al piano interrato destinato ad autorimessa la Società Sa. s.r.l. ha ottenuto il parere favorevole in deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi. Di seguito si provvederà ad eseguire i lavori necessari per la certificazione antincendio"", concludendo nel senso che "palese risulta essere la tardività del ricorso, ben potendo la Do. s.r.l., in virtù della chiara percezione dell'esistenza del parere favorevole di deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi - ottenuto dalla Im. Sa. s.r.l. - e degli aspetti che ne rendevano evidente l'immediata e la concreta lesività, promuovere un'impugnativa, già a partire dal giorno 4 ottobre 2019". 3. La sentenza suindicata costituisce oggetto della domanda di riforma proposta, con l'appello in esame, dalla (sola) originaria ricorrente sig.ra Qu. Lu.. Essa, dopo aver ripercorso il pregresso iter processuale - anche richiamando testualmente, ai fini della loro riproposizione in appello, le deduzioni articolate con il ricorso introduttivo del giudizio e la successiva duplice serie di motivi aggiunti, non esaminate dal giudice di primo grado in ragione della definizione in rito del giudizio di primo grado - deduce in primo luogo che il T.A.R. ha erroneamente pronunciato l'irricevibilità del ricorso nei suoi confronti, senza che la relativa questione fosse stata sollevata dalle parti resistenti, non avendo gli atti impugnati in primo grado mai costituito oggetto di pubblicazione, ai fini della decorrenza del relativo termine di impugnazione, né essendo la stessa contemplata da specifiche disposizioni, con la conseguente necessità di fissare il suddetto termine in coincidenza con la piena conoscenza del contenuto del provvedimento impugnato, nella specie non ricavabile né dall'A.T.P. del 25 febbraio 2019, di cui la ricorrente medesima non era parte, né dall'assemblea dell'8 novembre 2019, alla quale la ricorrente, in quanto non proprietaria, non ha partecipato. La appellante deduce altresì che, non essendo stata la tardività del ricorso eccepita dalla controparte nei suoi confronti, il T.A.R. avrebbe dovuto sottoporre la relativa questione al contraddittorio delle parti, ex art. 73 c.p.a., con la conseguente necessità di remissione della causa al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a.. Infine, la appellante contesta la statuizione di inammissibilità del gravame recata dalla sentenza appellata con riferimento all'atto del 5 febbraio 2020, sulla scorta del suo asserito carattere "endoprocedimentale", evidenziando in senso contrario che esso, certificando la legittimità della procedura di deroga e facoltizzando l'utilizzo dell'autorimessa, presenta contenuti autorizzatori che ne legittimavano l'impugnazione. Ripropone quindi, come accennato, le censure di merito sottoposte all'attenzione del T.A.R. e da questo non esaminate in ragione delle suindicate statuizioni su questioni in rito di carattere pregiudiziale. 4. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio, per la parte pubblica, il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, riproponendo le difese articolate in primo grado. Si è costituito altresì, per la parte privata, il Condominio Pa. Sa., al fine di resistere all'appello anche relativamente alla statuizione in rito recata dalla sentenza appellata, evidenziando che la tardività del ricorso introduttivo del giudizio non potrebbe che riguardare anche l'odierna appellante, la quale, abitando nel Condominio Sa. sin dalla edificazione del relativo fabbricato insieme al figlio ed al marito Dott. Sa. St., Amministratore Unico della Do. S.r.l., sarebbe a piena conoscenza di tutte le vicende condominiali. A supporto della suesposta conclusione, la parte resistente evidenzia altresì che la odierna appellante è stata indicata come teste, insieme al suocero Avv. Do. St., dalla Do. S.r.l. proprio nel giudizio civile dalla medesima promosso, innanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, per l'impugnazione della delibera condominiale dell'8 novembre 2019, di approvazione dei lavori di "Adeguamento locale autorimessa", e che a detti lavori di "Adeguamento" la suddetta ha assistito personalmente, abitando nel Condominio Sa. tanto da essere stata indicata come teste nel suddetto giudizio: lavori che sono iniziati in data 27 novembre 2019, come attesta la Segnalazione Certificata di Inizio Attività prot. n. 127757/2019 del Comune di Caserta, laddove il ricorso di controparte è stato notificato solo in data 30 gennaio 2020. Infine, il Condominio resistente evidenzia che l'odierna appellante, che dispone di tre box unificati tra loro, non sembra avvertire alcun pericolo dai locali garage di cui trattasi, utilizzandoli da sempre insieme al marito Dott. Sa. St.. Con successiva memoria, il Condominio resistente, nelle more costituitosi a mezzo di nuovo difensore a causa del decesso di quello originario, ha precisato l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, evidenziando che la appellante "vanterebbe, ragionevolmente, un legittimo diritto a che si realizzino tutti gli interventi strutturali e di messa in sicurezza dell'immobile". Alle suddette eccezioni ha replicato la parte appellante con successiva memoria finché, all'esito dell'odierna udienza di discussione, il ricorso è stato trattenuto dal Collegio per la decisione di merito. 5. Venendo alle valutazioni del Collegio, occorre preliminarmente esaminare - in quanto suscettibile di evidenziare una autonoma, rispetto alla irricevibilità rilevata dal T.A.R., ragione preclusiva dell'esame nel merito del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice di appello - l'eccezione di inammissibilità del ricorso, articolata già nel primo grado di giudizio ma non esaminata dal T.A.R. e riproposta nel presente giudizio di appello, con la quale il Condominio Pa. Sa. sostiene che l'odierna appellante non avrebbe interesse all'accoglimento dell'appello, traendo essa un beneficio dai provvedimenti impugnati, con i quali è stata assicurata la conformità dell'autorimessa, di cui essa stessa si avvale, alla normativa in tema di sicurezza antincendio. L'eccezione non può essere accolta. Deve invero osservarsi che in tanto il provvedimento che legittima l'utilizzazione di un bene in deroga alla normativa antincendio (o, più in generale, alla normativa posta a tutela della pubblica e privata incolumità ) può ritenersi vantaggioso per i soggetti che vantino un titolo (dominicale o di altra natura) di legittimo godimento del medesimo bene, in quanto esso offra ogni garanzia di fruizione di quel bene in condizioni di piena sicurezza, la quale a sua volta presuppone il rispetto dei limiti e dei presupposti, procedimentali e sostanziali, cui il rilascio della deroga è subordinata: in proposito, non può non osservarsi che le censure della ricorrente non si propongono solo di conseguire l'accertamento ope iudicis della inammissibilità della deroga (ciò che effettivamente si tradurrebbe nella preclusione tout court alla utilizzazione dell'autorimessa conformemente alla sua destinazione, senza che la appellante, non essendo proprietaria di immobili all'interno del condominio de quo ma mera residente presso lo stesso, possa far valere alcuna responsabilità contrattuale nei confronti della società venditrice, con la conseguente insorgenza di legittimi dubbi in ordine alla titolarità in capo alla stessa di un interesse concreto ed attuale al ricorso), ma anche la violazione delle disposizioni che presiedono al suo rilascio (basti pensare alle censure intese a lamentare la mancata acquisizione del parere del C.T.R. ovvero i vizi che affliggerebbero la dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico), funzionali a garantire l'utilizzo del bene in condizioni di totale sicurezza, anche in una prospettiva rinnovatoria del procedimento di deroga o di quello di S.C.I.A. in modo da conformarli alla disciplina di riferimento. 6. Deve adesso esaminarsi la censura con la quale la appellante sig.ra Qu. Lu., lamentando che il giudice di primo grado, nel porre a fondamento della decisione la suesposta questione di irricevibilità del ricorso, oltre che con riferimento alla società Do. S.r.l., anche relativamente alla sua posizione (nonché a quella del marito Dott. Sa. St., quale ricorrente in proprio), sebbene sollevata dalle parti private resistenti solo limitatamente alla predetta società, non ha osservato il disposto di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a. (a mente del quale "se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie"), chiede che sia annullata la sentenza appellata ai fini della remissione della causa al T.A.R. per la Campania, ex art. 105, comma 1, c.p.a.. La censura è meritevole di accoglimento. Deve invero osservarsi che, sebbene i resistenti Condominio Pa. Sa. e società Im. Sa. S.r.l. abbiano eccepito in primo grado la "irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio", senza ulteriori distinzioni (cfr., in particolare, la memoria della società Im. Sa. S.r.l. del 6 marzo 2020), gli stessi hanno posto a fondamento dell'eccezione circostanze esclusivamente riferibili alla società Do. S.r.l. e dimostrative, ad avviso degli stessi, della conoscenza da questa acquisita dei provvedimenti impugnati in una data (4 ottobre 2019) che evidenzierebbe la tardività dell'iniziativa impugnatoria da essa promossa. La suddetta eccezione, formulata nei termini esposti, era quindi inidonea a sollecitare il contraddittorio della parte ricorrente anche relativamente alla posizione dell'odierna appellante, tanto che l'originaria (complessa) parte ricorrente, facendo affidamento sul suo carattere soggettivamente circoscritto, si è limitata a replicare alle sole argomentazioni sviluppate a suo fondamento ed esclusivamente relative, come si è detto, alla società Do. S.r.l.. La declaratoria di irricevibilità con la quale il T.A.R. ha definito, in rito, il giudizio di primo grado è stata invece estesa a tutti i soggetti componenti l'originaria parte ricorrente, ovvero non solo al Dott. St. Sa. (ciò che, in qualche misura, sarebbe anche stato plausibile, identificandosi esso nell'amministratore unico della società Do. S.r.l., sebbene promotore del ricorso anche a titolo personale), ma anche alla sig.ra Qu. Lu., che con la società Do. S.r.l. non risulta intrattenere alcun rapporto diretto. Sebbene siffatta non preannunciata, nelle forme di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., estensione sia fondata dal T.A.R. sui medesimi argomenti posti dalle controinteressate a fondamento della suddetta eccezione di irricevibilità (e riferiti dal T.A.R. talvolta, in senso generico, ai "ricorrenti", cui viene anche indistintamente imputata la proprietà di "due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l.", che invece fa capo esclusivamente alla società Do. S.r.l., talaltra alla "ricorrente" società ), non vi è dubbio che essa abbia concretizzato una fattispecie di decisione "a sorpresa", che secondo la costante giurisprudenza anche di questa Sezione integra una violazione del diritto al contraddittorio ed impone l'annullamento della sentenza appellata, ai fini della remissione della causa al T.A.R. ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 3124: "costituisce violazione del diritto del contraddittorio processuale e del diritto di difesa, in relazione a quanto dispone l'art. 73, comma 3, c.p.a., porre a fondamento di una sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, senza la previa indicazione in udienza o l'assegnazione di un termine alle parti per controdedurre al riguardo. Da ciò consegue l'obbligo, per il giudice di appello, di annullare la sentenza stessa e di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., per evitare sentenze "a sorpresa""). 7. Deve solo aggiungersi che non vi è spazio per esaminare nella presente sede, in ragione del suindicato error in procedendo che preclude ogni ulteriore valutazione da parte del giudice di appello in ordine alla suindicata questione di irricevibilità, le deduzioni svolte dal Condominio Pa. Sa. al fine di dimostrare comunque la tardività del ricorso proposto dalla odierna appellante: ciò non senza osservare che la mera sussistenza di un rapporto di coniugio (e quindi di fisiologica condivisione di interessi) tra l'odierna appellante ed il Dott. St. Sa. - al quale invece, quale amministratore unico della Do. S.r.l., può essere senz'altro ascritta la conoscenza del provvedimento impugnato sulla scorta delle medesime ed incontestate circostanze sulle quali la pronuncia appellata ha fondato la tardività del ricorso relativamente alla posizione della suddetta società - non è idonea a radicare, con sufficiente ed uguale grado di certezza (quantomeno relativamente al quando), la conoscenza da parte della sig.ra Qu. Lu. del medesimo provvedimento, in modo da far decorrere anche nei suoi confronti il termine di impugnazione. 8. Infine, l'esame del giudice di appello deve necessariamente riguardare la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti avverso il verbale di visita tecnica prot. n. 1908 del 5 febbraio 2020, con il quale "si attesta, ai sensi dell'art, 4, comma 2, DPR n. 151/2011, il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio": statuizione che da un lato consegue, nell'economia motivazionale della sentenza appellata, alla già analizzata declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio (e che sotto tale profilo viene travolta dall'annullamento ex art. 105, comma 1, c.p.a. della sentenza appellata), dall'altro lato al ritenuto carattere endo-procedimentale dell'atto suindicato, che lo renderebbe insuscettibile di ledere gli interessi della ricorrente (profilo in ordine al quale, per la sua autonomia rispetto al primo, occorre pronunciarsi nella presente sede). Ebbene, premesso che anche l'impugnazione del verbale suindicato mira al soddisfacimento dell'interesse della appellante all'utilizzo dell'autorimessa in condizioni di sicurezza, il quale non può non ritenersi leso da un atto attestativo del rispetto delle relative prescrizioni tecniche per ipotesi illegittimamente adottato, occorre in senso contrario alla sentenza appellata evidenziare che esso conclude il procedimento che il responsabile dell'attività oggetto di controllo di sicurezza antincendio deve avviare ai fini dello svolgimento della stessa, anche laddove non sia necessario introdurre modifiche progettuali in vista dell'ottenimento della deroga a causa dell'impossibilità di osservare determinate prescrizioni di sicurezza. Siffatto procedimento è disciplinato dall'art. 4, comma 1, d.P.R. n. 151/2011, ai sensi del quale "per le attività di cui all'Allegato I del presente regolamento, l'istanza di cui al comma 2 dell'articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, è presentata al Comando, prima dell'esercizio dell'attività, mediante segnalazione certificata di inizio attività, corredata dalla documentazione prevista dal decreto di cui all'articolo 2, comma 7, del presente regolamento. Il Comando verifica la completezza formale dell'istanza, della documentazione e dei relativi allegati e, in caso di esito positivo, ne rilascia ricevuta". Dispone inoltre il comma 2 del medesimo articolo che "per le attività di cui all'Allegato I, categoria A e B, il Comando, entro sessanta giorni dal ricevimento dell'istanza di cui al comma 1, effettua controlli, attraverso visite tecniche, volti ad accertare il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione degli incendi, nonché la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio. I controlli sono disposti anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali, per categorie di attività o nelle situazioni di potenziale pericolo comunque segnalate o rilevate. Entro lo stesso termine, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per l'esercizio delle attività previsti dalla normativa di prevenzione incendi, il Comando adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi dalla stessa prodotti, ad eccezione che, ove sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa antincendio e ai criteri tecnici di prevenzione incendi detta attività entro un termine di quarantacinque giorni. Il Comando, a richiesta dell'interessato, in caso di esito positivo, rilascia copia del verbale della visita tecnica". Ebbene, non può non osservarsi che, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., l'atto conclusivo del procedimento di verifica tecnica ha natura provvedimentale, attestando l'esito positivo dei controlli di sicurezza antincendio posti in essere dall'Amministrazione a seguito della presentazione della S.C.I.A. da parte dell'interessato, nell'esercizio di una tipica attività di carattere tecnico-discrezionale, formalizzando la conclusione del procedimento in senso favorevole al suo promotore. 9. In conclusione, quindi, la sentenza appellata deve essere annullata e la causa rimessa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., restando impregiudicata ogni altra valutazione in rito - diversa da quelle compiute da questa Sezione - e nel merito. 10. Derivando l'esito di questo grado di giudizio da un error in procedendo del giudice di primo grado, sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8671/2022, lo accoglie, nei limiti precisati in motivazione, e per l'effetto annulla la sentenza appellata, rimettendo la causa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NAPOLI Sesta Sezione Civile Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Roberta De Luca, lette le note di trattazione scritta depositate dalle parti; rilevato che ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note; ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 19005 del Ruolo Generale per gli Affari Contenziosi dell'anno 2023, avente ad oggetto: consegna elenco condomini morosi vertente TRA (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. Fr.La., presso il cui studio in Napoli alla (...) ha eletto domicilio; - RICORRENTE - CONTRO (...) in persona dell'amministratore e legale rappresentante pro tempore avv. Cl.D., C.F. P.IVA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Cl.D., che ne ha la facoltà ai sensi dell'art. 82 c.p.c., e dall'avv. Pa.Ca., con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Napoli alla (...) - RESISTENTE - RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 14.12.2023 (...) premesso di essere condomino dello stabile ubicato in Napoli alla (...), ha chiesto che fosse accertato il proprio diritto a ricevere la consegna della copia dell'estratto conto corrente del (...) relativamente ai seguenti periodi: 01.01.2017/31.12.2017 - 01.01.2018/31.12.2018 - 01.01.2020/31.12.2020 - 01.01.2021/31.12.2021, condannando il (...), nella persona dell'amministratore in carica, alla consegna della copia conforme dei suddetti documenti, fissando una sanzione ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'obbligo e con vittoria di spese di procedura. Fissata l'udienza di comparizione delle parti, si è costituito il CP1 resistente eccependo la continenza ovvero la litispendenza con altro procedimento avente n. 10033/2022 R.G.A.C., pendente dinanzi al Tribunale di Napoli ed avente ad oggetto la consegna di ulteriore documentazione condominiale, nonché l'improcedibilità della domanda per parcellizzazione delle richieste di consegna. Ha contestato, nel merito, la fondatezza della domanda. Instaurato il contraddittorio e rinviata la trattazione al fine di consentire la consegna della documentazione richiesta dal ricorrente, nel corso dell'udienza odierna, previa discussione orale, la causa è stata discussa e decisa. Deve, in primo luogo, essere disattesa l'eccezione di litispendenza in quanto nel giudizio iscritto al n. 10033/2022 R.G.A.C. è stata richiesta la consegna di documentazione diversa ed ulteriore rispetto a quella richiesta con il presente giudizio e, segnatamente, di copia dei registri di contabilità dal 2017 al 2021; dei verbali assembleari relativi al medesimo arco temporale; dell'ultimo bilancio consuntivo approvato; del regolamento e dell'anagrafe condominiale. Com'è noto, invece, ai fini dell'applicazione dell'art. 39 c.p.c. occorre che le domande abbiano identità di petitum e di causa petendi. Per quanto concerne l'eccezione di inammissibilità della domanda per violazione dell'obbligo di buona fede e per il frazionamento della domanda, va rimarcato che le sezioni unite della Cassazione hanno affermato che: "le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c." (Cass. civ., ord. n. 17893 del 06.07.2018; in senso conforme Cass. civ., sent. 6591 del 07.03.2019). Ne consegue che, essendovi interesse del ricorrente all'acquisizione della documentazione richiesta e potendo l'interesse a richiedere documentazione bancaria essere sorto dopo, se non in conseguenza, della richiesta di consegna della documentazione di cui al giudizio avente n. 1033/2022 R.G.A.C., indipendentemente dalla proposizione di due autonomi giudizi non si è incorsi in alcuna inammissibilità della domanda. Passando all'esame, nel merito, della domanda, deve, conformemente alle conclusioni rassegnate, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, in quanto la documentazione richiesta è stata consegnata in corso di causa. Secondo la giurisprudenza di legittimità la dichiarazione di cessazione della materia del contendere è, in sostanza, un rigetto per sopravvenuta infondatezza della domanda e/o per sopravvenuta carenza di interesse - che, essendo una condizione dell'azione, deve sussistere al momento di adozione della pronuncia -. Tale dichiarazione si adotta, quindi, quando viene a mancare ogni posizione di contrasto tra le parti per essere sopraggiunti nel corso del processo eventi estintivi della controversia (Cass. 3690/1988) oppure quando, pur sopravvivendo formalmente un contrasto o comunque una domanda di parte, sono intervenute situazioni sostanziali che abbiano privato la parte di un interesse giuridicamente rilevante alla pronuncia (Cass. 8219/1996; 2970/1993; 4792/1991; 46/1990), come nei casi in cui vi sia stata una transazione, il riconoscimento della pretesa, la rinuncia all'azione, la morte della parte in azioni intrasmissibili o - come nel caso in esame - la soddisfazione della pretesa. Passando all'esame della disciplina delle spese di lite secondo il principio della soccombenza virtuale, occorre premettere, in termini generali, che gli obblighi informativi e di rilascio di copie, gravanti sull'amministratore del condominio e normativamente sanciti, sono: quello, di cui all'art. 1129, II comma, c.c., di far prendere gratuitamente visione, previa richiesta all'amministratore, e di far ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata dall'amministratore del registro dell'anagrafe condominiale, del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell'amministratore e del registro di contabilità; quello, di cui all'art. 1130 n. 9) c.c., di "fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso"; quello, di cui all'art. 1130 bis c.c., di far prendere visione ai condomini "dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo e estrarne copia a proprie spese". Il diritto, normativamente sancito, ad ottenere copia integrale degli estratti di conto corrente condominiale non è perciò stabilito dalla legge ma, in ogni caso, rientra nel più ampio obbligo di rendicontazione proprio dell'amministratore di condominio, dovendo dare conto della propria gestione anche con riferimento alla movimentazione delle somme afferenti alla gestione condominiale sul conto corrente a ciò dedicato. Né, tantomeno, il (...) resistente in alcun modo ha contestato l'interesse del ricorrente ad ottenere la suddetta documentazione. Non può, peraltro, essere adottato alcun ordine di consegna a carico del (...) resistente, dovendo esserne rilevato, d'ufficio, il difetto di legittimazione passiva. Trattandosi di decisione fondata su di una questione processuale, in relazione alla quale le parti hanno la facoltà "ex ante" di esercitare ampiamente il contraddittorio, non occorreva sottoporre la questione al previo contraddittorio fra le parti in causa (cfr Cass. civ., sent. n. 24312 del 16.10.2017; in senso conforme Cass. civ., ord. n. 12978 del 30.06.2020), pur essendo le parti state espressamente invitate a tanto con ordinanza di fissazione dell'odierna udienza. Com'è noto la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la indicazione di fatti in astratto idonei fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'istante, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento. La titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, invece, si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata (cfr. Cass. civ., sent. n. 14468 del 30.05.2008; Cass. civ., sent. n. 355 del 10.01.2008; Cass. civ., sent. n. 11321 del 16.05.2007; Cass. civ., sent. n. 4796 del 06.03.2006). Di conseguenza, il difetto di titolarità deve formare oggetto di specifica e tempestiva deduzione in sede di merito, mentre il difetto di legittimazione ad causam deve essere oggetto di verifica, preliminare al merito, da parte del giudice, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (cfr. Cass. civ., sent. n. 20819 del 26.09.2006). La legittimazione ad agire costituisce, quindi, una condizione dell'azione, una condizione per ottenere cioè dal giudice una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa. Appartiene, invece, al merito della causa, concernendo la fondatezza della pretesa, l'accertamento in concreto se l'attore e il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio. Ciò premesso, la condanna alla consegna di documentazione è stata formulata non già nei confronti dell'amministratore in proprio, bensì nei confronti del (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore, con conseguente evocazione in giudizio dell'ente di gestione. Orbene, nell'ambito dei rapporti interni fra condomini mandanti ed amministratore, gli obblighi di consegna della documentazione condominiale sono assunti dall'amministratore in proprio, rispondendo costui contrattualmente nei confronti dei singoli condomini dell'inadempimento delle obbligazioni derivanti per legge dall'incarico professionale conferitogli (cfr Trib. Napoli, sez. VI, ord. 15.02.2019, in Condominioelocazione.it, 9 dicembre 2019). È solo nei rapporti esterni con i terzi creditori, invece, che l'obbligazione di consegna trova quale suo titolare passivo il condominio, in persona del suo amministratore, non già l'amministratore persona fisica (cfr Corte di Appello di Napoli, sent. n. 3015 del 28.06.2022, riferita all'obbligazione di consegna di cui all'art. 63 disp. att. c.c.). Nei confronti dei terzi, infatti, gli obblighi che gravano sull'amministratore sono l'espressione del suo potere di rappresentanza del (...) e, quindi, ove inadempiuti, non comportano una sua responsabilità diretta e personale verso i terzi creditori del (...), bensì una immediata responsabilità dell'ente di gestione che egli rappresenta. Nei rapporti interni all'ente di gestione, invece, l'amministratore risponde in proprio dell'inadempimento alle obbligazioni da lui contrattualmente assunte e, del resto, nel caso in cui l'inadempimento all'obbligazione di consegna sia posto a fondamento di una domanda di revoca giudiziale, legittimato passivo rispetto alla stessa è l'amministratore di condominio, in proprio, non già l'ente di gestione da costui rappresentato. Sarebbe, del resto, non equo riversare sull'intera compagine condominiale gli oneri ed i costi dell'inadempimento dell'amministratore alle obbligazioni di consegna di documentazione in favore di uno dei condomini. In conclusione, deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva del (...) resistente rispetto alla domanda azionata dalla ricorrente, con assorbimento della domanda di cui all'art. 614 bis c.p.c., evidenziandosi che è solo il soggetto "obbligato", ovvero il destinatario della domanda, non già un differente soggetto, che può essere condannato al pagamento di una somma di denaro in caso di violazione, inosservanza o ritardo nell'adempimento del provvedimento di condanna. Stanti i contrastanti orientamenti della giurisprudenza di merito in ordine al soggetto passivo della domanda di consegna di documentazione CP3 sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. Ai sensi dell'art. 12 bis del D.Lgs. 28/2010, infine, il (...) il quale non ha partecipato senza giustificato motivo all'incontro di mediazione del 18/09/2023, deve essere condannato al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. P.Q.M. Il giudice, definitivamente pronunciando, letti gli atti del procedimento iscritto al n. 19005/2023 R.G.A.C., ogni altra domanda, eccezione e difesa disattesa, così provvede: a) dichiara la cessazione della materia del contendere; b) compensa integralmente fra le parti le spese di lite; c) condanna il (...) sito in Napoli alla (...) al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Napoli, 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANCUSO Luigi F.A. - Presidente Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 23/05/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di SASSARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Carmine Russo; lette le conclusioni del PG, Pietro Gaeta, che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 11 settembre 2020 il Tribunale di Sassari, in rito abbreviato, ha condannato (OMISSIS) alla pena di 12 anni di reclusione per il reato dell'articolo 424 c.p. perche' aveva posizionato una bombola di gas da cucina di medie dimensioni davanti alla serranda di un garage posto all'interno di un condominio, tentando in un primo momento di collegare la valvola di apertura della bombola ad un tubo in gomma che aveva fatto passare sotto la serranda del garage, attraverso cui avrebbe dovuto introdurre il gas all'interno del garage determinando un'esplosione, e poi, una volta non riuscito in questo tentativo, aveva posizionato una lampada a gas da campeggio accesa che avrebbe dovuto fungere da innesco dell'esplosione non appena il gas fuoriuscito dalla bombola, miscelato con l'aria, avrebbe saturato l'ambiente del corridoio del garage del condominio. La consulenza effettuata nel corso del procedimento aveva stabilito che il comportamento avrebbe potuto determinare l'esplosione, un incendio e la compromissione delle parti rigide della struttura, rendendo instabile l'intero fabbricato. Con sentenza del 23 maggio 2022 la Corte di appello di Sassari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, applicata la diminuente del vizio parziale di mente, ha rideterminato la pena in 9 anni e 4 mesi di reclusione. 2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. Con il primo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di valutazione della responsabilita' dell'imputato, perche' la consulenza ingegneristica sulla dinamica sarebbe inficiata dalla circostanza che il consulente non si e' mai recato sui luoghi, inoltre non e' mai stata misurata la quantita' di gas contenuta nella bombola rinvenuta sul luogo, il tubo volto a canalizzare il gas all'interno del box e' rimasto una mera ipotesi, non e' stato considerato che la bomba e' stata rinvenuta ancora calda; e' piu' plausibile pensare che il surriscaldamento della bombola possa essere avvenuto a seguito del contatto con una fiamma importante, non quella di un accendino; e' difficile sostenere il congegno predisposto fosse idoneo a determinare l'evento. Con il secondo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di quantificazione della pena, perche' il giudice di appello ha riproposto il calcolo del giudice di primo grado, applicando solo la diminuente per la incapacita' parziale derivante dalla perizia effettuata in appello, ma l'incapacita' parziale avrebbe dovuto indurre anche a rivedere in melius la pena base. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale della Cassazione, Dott. Pietro Gaeta, ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. Con nota di conclusioni scritte il difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), ha chiesto l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. Il primo motivo, che censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui e' pervenuta al giudizio di responsabilita' dell'imputato, e' infondato. In esso si deduce che la consulenza ingegneristica sulla dinamica sarebbe inficiata dalla circostanza che il consulente non si e' mai recato sui luoghi. L'argomento e' infondato, in quanto la consulenza sulla dinamica ha avuto come oggetto la idoneita' o meno della condotta a cagionare l'evento distruttivo; la tesi del consulente, condivisa dalla sentenza, e' che "sarebbero bastati 1/3 o 1/2 della quantita' della bombola per saturare l'aria di un locale quale il garage e determinare l'esplosione" e che "l'onda d'urto avrebbe compromesso tutte le parti rigide dell'edificio variando le condizioni di staticita' e compromettendo gravemente pilastri e plinti di fondazione". In questo contesto l'argomento proposto in ricorso si rivela inidoneo a disarticolare il percorso logico della sentenza impugnata, perche' non e' illogico che i giudici del merito abbiano ritenuto di condividere le conclusioni della consulenza, che sono fondate su operazioni matematiche (in punto di quantita' di gas contenuto nella bombola e metratura del locale) ed apprezzamento tecnico di planimetrie e disegni (sul posizionamento del garage rispetto al fabbricato), e di ritenere non decisiva, a tali fini, la osservazione diretta dei luoghi. Nel motivo si sostiene ancora che non e' mai stata misurata la quantita' di gas contenuta nella bombola rinvenuta sul luogo, che in astratto avrebbe potuto essere vuota. L'argomento non e' fondato perche' in contrasto con i dati del processo quali risultano dalla sentenza impugnata, da cui emerge che l'odore di gas fu avvertito distintamente da tutti coloro che arrivarono sulla scena. Nel motivo si sostiene ancora che il tubo volto a canalizzare il gas all'interno del box e' rimasto una mera ipotesi, e che non e' stato considerato che la bombola e' stata rinvenuta ancora calda, e sarebbe piu' plausibile pensare che il surriscaldamento della bombola possa essere avvenuto a seguito del contatto con una fiamma piu' importante di quella di un accendino, talche' e' difficile sostenere il congegno predisposto fosse idoneo a determinare l'evento. Questa ulteriore doglianza mossa dal ricorrente si risolve in una ricostruzione alternativa delle evidenze probatorie, che di per se' non e' apprezzabile in sede di legittimita' (Sez. 2, Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 3, Sentenza n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, Rv. 270519). Nel giudizio di legittimita', infatti, il sindacato sulla correttezza della valutazione della prova e' molto ristretto, perche' non puo' consistere nella rivalutazione della gravita', della precisione e della concordanza degli indizi, dato che cio' comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve limitarsi al controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali ed alle regole della logica nell'interpretazione dei risultati probatori. Nel caso in esame, il ricorrente censura come profili di illogicita' della motivazione quelle che sono in realta' conclusioni cui e' pervenuto il giudice del merito sulla base della valutazione del materiale probatorio a sua disposizione. 2. Il secondo motivo e' dedicato alla parte della motivazione in cui e' stata quantificata la pena inflitta all'imputato. In esso si deduce che il giudice di appello, pur disponendo di un elemento in piu', non noto al giudice di primo grado, ovvero la valutazione di parziale incapacita' di intendere e di volere effettuata dal perito nominato nel giudizio di appello, ha confermato il calcolo della pena del giudice di primo grado, limitandosi ad applicare ad esso la diminuzione per la incapacita' parziale; in ricorso si sostiene, invece, che il giudizio di incapacita' parziale avrebbe dovuto indurre anche a rivedere in me/ius la pena base. Il motivo e' infondato. Il giudice di primo grado aveva indicato come pena base quella di anni 18 di reclusione ed aveva motivato in modo esplicito sulle ragioni per cui aveva ritenuto di discostarsi dal minimo edittale, evidenziando la "particolare gravita' della condotta", ovvero una motivazione che attiene al fatto ed al giudizio di pericolosita' dello stesso. Una motivazione di questo tipo, non afferendo alla personalita' del soggetto, non e' condizionata dal giudizio di incapacita' parziale che si e' aggiunto in appello, con cui la stessa non entra in contraddizione. Va anche considerato che un vecchio orientamento di legittimita', con considerazioni che possono essere ritenute ancora attuali, non essendo mutato il quadro normativo di riferimento, aveva evidenziato che "lo stato mentale dell'imputato, quando e' gia' stato valutato ai fini dell'applicazione della diminuente del vizio parziale di mente, non puo' essere di per se' di nuovo assunto come elemento di giudizio per una ulteriore riduzione della misura della pena da infliggere in concreto, perche' altrimenti verrebbe ad essere eluso il limite massimo di riduzione della pena per tale causa stabilito dalla legge (Sez. 1, Ordinanza n. 2355 del 03/12/1971, dep. 1972, Cretella, Rv. 121028). In definitiva, il ricorso e' infondato. 2. Ai sensi dell'articolo 616, comma 1, c.p.p., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere Dott. CIRESE Marina - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/02/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARINA CIRESE; lette le conclusioni del P.G.. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 15.2.2022 la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Monza all'esito di giudizio abbreviato, stralciata la posizione di (OMISSIS) giudicato separatamente, aveva dichiarato la responsabilita' di (OMISSIS) per il reato di furto in abitazione in concorso continuato e aggravato dalla violenza sulle cose a lei ascritto e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, ed operata la riduzione per il rito, la aveva condannata alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 300,00. Il procedimento trae origine da una richiesta di intervento pervenuta in data 10.2.2017 alla Centrale operativa dei Carabinieri di Cesano Maderno effettuata da una delle persone offese che lamentava di aver subito il furto di alimenti e attrezzatura da lavoro collocati nel proprio garage. Giunti sul posto, gli operanti estendevano i controlli nelle vie limitrofe e, giunti al civico n. (OMISSIS), notavano uscire dallo scivolo un furgone con al seguito un uomo a piedi che alla loro vista si dava alla fuga facendo perdere le sue tracce. Anche il conducente del furgone tentava di scappare senza riuscirvi e ad all'interno venivano individuate due persone, di cui una identificata in (OMISSIS), che dichiaravano di essere impegnati in un trasloco. All'interno del furgone venivano rinvenuti diversi oggetti tra c:ui anche quelli gia' segnalati dalla richiedente l'intervento; successivamente altri abitanti del condominio di Via (OMISSIS) segnalavano furti e riconoscevano gli oggetti loro sottratti. 2. Avverso la sentenza d'appello l'imputata, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Con il primo motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed il vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e) in relazione all'articolo 125 c.p.p., articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2 e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e) in riferimento al delitto di furto in abitazione. Si assume che la Corte territoriale ha fondato la responsabilita' dell'imputata sul semplice fatto che la stessa si trovasse sul furgone unitamente al (OMISSIS) senza accertare la sussistenza di un contributo nella realizzazione del furto. Con il secondo motivo deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., lettera b) in relazione all'articolo 81 cpv c.p.. Censura la sentenza impugnata laddove non ha riconosciuto la continuazione con la sentenza n. 163/17 emessa dal Tribunale di Monza (passata in giudicato in pendenza dell'appello) con la quale la stessa e' stata condannata per i medesimi fatti commessi lo stesso giorno. Con il terzo motivo deduce la manifesta illogicita' della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e) in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena. Si evidenzia che l'unico precedente riportato dalla (OMISSIS) (sentenza irrevocabile del 21.5.2008) risulta essere risalente nel tempo e sembra estinto ex articolo 167 c.p. sicche' il beneficio richiesto e' stato immeritatamente negato. 3. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. Il difensore dell'imputata ha depositato memoria di replica. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. A riguardo se e' vero che in virtu' del principio "nemo tenetur se detegere", l'imputato puo' non rispondere su fatti leggibili "contra se" e negare la propria responsabilita' anche contro l'evidenza tuttavia, al giudice non e' precluso valutare la condotta processuale del giudicando, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli, nella formazione del libero convincimento, puo' ben considerare, in concorso di altre circostanze, la portata significativa del silenzio mantenuto dall'imputato, su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo (nella specie la mancata giustificazione della propria presenza all'interno di una scuola elementare in cui era stato sorpreso insieme ad altri a smontare infissi) (Sez. 5, n. 12182 del 14/02/2006, Rv. 233903; in senso conforme anche se con riferimento al silenzio dell'imputato in sede di interrogatorio vedi Sez. 3, n. 43254 del 19/09/2019, Rv. 277259). Ebbene, in applicazione di tale principio, la Corte territoriale ha correttamente fondato il giudizio di colpevolezza dell'odierna imputata in ordine al reato a lei ascritto sulla circostanza che la stessa fosse stata fermata di notte a bordo del furgone condotto dal (OMISSIS) al cui interno vi erano oggetti trafugati senza fornire alcuna plausibile spiegazione circa la sua presenza, risultando implausibile la tesi della sua partecipazione meramente passiva e non complice sul mezzo, considerate le circostanze del caso. 2. Il secondo motivo e' inammissibile. Si tratta infatti di questione estranea ai motivi di appello. A riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha piu' volte affermato il principio che il riconoscimento del vincolo della continuazione fra reati da giudicare ed altri reati gia' giudicati con sentenza definitiva, puo' essere richiesto per la prima volta anche nel corso della discussione orale del giudizio di appello, a condizione che la sentenza relativa ai fatti gia' giudicati sia divenuta definitiva dopo la presentazione dei motivi di appello (da ultimo, Sez. 6, n. 35599 del 16/06/2015 n. m.; Sez. 1, n. 9997 del 05/12/1986, Calemme, Rv. 176698; conf. mass. RV. n. 167174; n. 156277; n. 147984). Nella specie la continuazione con il reato gia' giudicato non e' stata chiesta dall'imputata con l'atto d'appello e neppure in sede di discussione e pertanto la relativa questione non e' deducibile con il ricorso per cassazione, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimita' sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura "a priori" un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316). 3. Anche il terzo motivo e' manifestamente infondato. Ed invero la Corte territoriale ha correttamente motivato il diniego della sospensione condizionale della pena sul rilievo che l'imputata aveva gia' ottenuto il beneficio e che comunque non era possibile formulare una prognosi favorevole circa l'astensione della stessa dal commettere altri reati. 4. In conclusione il ricorso manifestamente infondato va dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' della soma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000). P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. CANANZI Frances - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/12/2021 della CORTE APPELLO di TRENTO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CANANZI; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale ODELLO LUCIA, che ha chiesto rigettarsi i ricorsi; udite le conclusioni dell'avvocato (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS), nella qualita' di difensore e procuratore delle parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) udito l'avvocato (OMISSIS) nell'interesse dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha illustrato i motivi dei ricorsi e ne ha chiesto l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Trento, con la sentenza emessa il:17 dicembre 2021, confermava la condanna di (OMISSIS), mentre riformava la sentenza mandando assolta (OMISSIS), entrambi condannati in primo grado dal Tribunale di Trento per il reato di violenza privata (capo a - articolo 610 c.p.), turbativa violenta del possesso di cose immobili (capo b - articolo 634 c.p.), nonche' per mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (capo c - articolo 388 c.p.), condotte tutte relative alla condotta di aver parcheggiato l'autovettura lungo la strada di accesso al condominio cosi' da "impedire il passaggio degli altri autoveicoli" e da costringere "i residenti a tollerare l'impossibilita' di raggiungere la loro abitazione con i veicoli di proprieta'", con la predetta violenza turbando il pacifico possesso del diritto di passo sulla predetta strada, nonche' sottraendosi all'esecuzione degli obblighi conseguenti al provvedimento inibitorio della autorita' giudiziaria civile del Tribunale di Trento del 5 febbraio 2019, proseguendo nella condotta di parcheggio predetta. 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di sette motivi, quello proposto nell'interesse di (OMISSIS) di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deduce violazione dell'articolo 610 c.p., avendo la Corte di merito ritenuto configurabile il delitto di violenza privata pur avendo affermato non l'impossibilita', bensi' la prova del disagevole o malagevole passaggio a seguito della riduzione della ampiezza della carreggiata conseguente al parcheggio dell'auto del ricorrente nella stradina di accesso al condominio, per un ampio arco di tempo. Lamenta il ricorrente che il delitto di violenza privata richieda un evento ulteriore, rispetto a quello in esame, da rinvenirsi nella limitazione della liberta' di movimento del soggetto passivo che deve condurre alla impossibilita' dell'accesso o del recesso e non solo alla natura disagevole degli stessi, con una difficolta' di manovra che la giurisprudenza di legittimita' escludeva integrasse il delitto contestato. Pertanto, tenendo in conto che cio' che era contestata nell'imputazione era l'impossibilita' di accesso, non rileverebbe la natura disagevole dello stesso ne' l'impossibilita' circoscritta ai soli "mezzi piu' grandi", come indicato nella impugnata sentenza. 4. Il secondo motivo deduce violazione dell'articolo 15 c.p.. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere configurabile il delitto di violenza privata a fronte della contestazione, al capo b), del reato di turbativa violenta di possesso, risultando dall'imputazione le due condotte assolutamente sovrapponibili, anche per il rinvio fattuale della seconda alla prima quanto alla violenza in concreto esercitata. Dovrebbe, pertanto, prevalere la specialita' del delitto previsto dall'articolo 634 c.p. in quanto, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale e secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimita', possono concorrere i reati solo se la violenza privata sia funzionale a una limitazione diversa da quella prevista dalla turbativa di possesso, il che nel caso in esame non e', cosicche', in forza dell'articolo 15 c.p., e' configurabile il solo delitto di turbativa violenta di possesso, sussistendo un caso di concorso apparente di norme. 5. Il terzo motivo deduce violazione dell'articolo 388 c.p., comma 2, in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto configurata la condotta che implica l'elusione del provvedimento del giudice civile, non la inosservanza dello stesso. In vero il Giudice civile del Tribunale di Trento aveva disposto l'immediata rimozione dell'autovettura, nonche' il divieto per il futuro del parcheggio. La norma incriminatrice richiederebbe la natura simulata o fraudolenta e non sarebbe sufficiente il mero inadempimento, tranne che nel caso in cui il provvedimento sia ineseguibile senza la collaborazione dell'obbligato. Nel caso in esame il ricorrente evidenzia come la Corte di appello abbia incentrato la sussistenza della condotta - ai sensi dell'articolo 388 c.p. - esclusivamente nell'omessa rimozione dell'autovettura, non anche per le condotte future, cosicche', essendo la condotta esclusivamente inerte e l'autovettura suscettibile di rimozione coattiva, senza la necessita' della collaborazione dell'obbligato, non risulterebbe configurabile il reato in esame. 6. Il quarto motivo deduce violazione dell'articolo 388 c.p., comma 2, per aver ritenuto sussistente il delitto prima della comunicazione formale all'obbligato del provvedimento del giudice civile e dell'intimazione a adempiere. Tanto il querelante (OMISSIS), quanto i Giudici di merito, hanno ritenuto la condotta sussistente per la sola violazione del provvedimento del giudice del 5 febbraio 2019, consumatasi lo stesso giorno e il giorno seguente, 6 febbraio 2019, come attestato dalle fotografie dell'autovettura parcheggiata ancora alle ore 7.23, mentre invece (OMISSIS) inoltrava a (OMISSIS) a mezzo whatsapp l'intimazione ad adempiere alle ore 10.00, dopo averlo avvisato dell'esito del giudizio possessorio il giorno precedente in via informale. Erra la Corte di appello allorche' ritiene non necessaria la comunicazione formale del provvedimento del giudice civile secondo le regole del relativo rito, per poter poi ritenere integrata la condotta (successiva) di cui all'articolo 388 c.p.. La Corte di merito non ha valutato che difetta la "messa in esecuzione" del provvedimento del giudice civile, non risultando sufficiente la comunicazione informale. 7. Il quinto motivo lamenta vizio di motivazione in ordine al reato dell'articolo 388 c.p. indicato al capo c), in quanto la Corte territoriale avrebbe in modo manifestamente illogico tratto la piena conoscenza del provvedimento del giudice civile da parte di (OMISSIS) gia' a seguito della comunicazione informale ricevuta dal difensore, limitata al solo esito del procedimento, mentre del contenuto specifico (OMISSIS) non ebbe contezza se non alle ore 10.00 del 6 febbraio 2019, con la trasmissione della ordinanza di rimozione dell'auto. In sostanza la Corte di appello incorrerebbe in un salto logico, oltre che in un travisamento per contraddizione con gli atti del processo, che negano la sicura e piena conoscenza del provvedimento del giudice civile se non all'atto della comunicazione formale della ordinanza. 8. Il sesto motivo lamenta la violazione dell'articolo 131-bis c.p. in quanto la Corte non avrebbe riconosciuto la tenuita' della condotta in ordine al capo c), pur avendo (OMISSIS) rimosso l'autovettura subito dopo la comunicazione formale del provvedimento. Errata sarebbe la motivazione impugnata in quanto la Corte avrebbe riconosciuto l'abitualita' della condotta riferendosi alla unica finalita', alla pluralita' di illeciti e dell'arco temporale degli stessi, confondendo la nozione di abitualita' con quella di continuazione, ben potendo coesistere il vincolo dell'articolo 81 c.p., comma 2, con l'applicazione dell'articolo 131-bis c.p., a fronte per altro di una condotta consumata in un solo giorno. 9. Il settimo motivo lamenta vizio di motivazione quanto all'an e al quantum della condanna al risarcimento dei danni. La Corte di appello aveva confermato la sentenza di primo grado che condannava l'imputato al risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile, oltre che al versamento di Euro 6000,00 (pari a Euro 2000,00 per ogni reato) a titolo di provvisionale per il danno morale, in favore di ciascuna delle quattro parti civili. Lamenta il ricorrente che non era stata offerta alcuna motivazione quanto alla ragione del risarcimento ne' alla quantificazione della provvisionale, non potendo bastare per il primo che il danno sia in re ipsa, risultando necessaria una motivazione adeguata da parte del giudice di merito secondo l'orientamento di legittimita'. 10. Quanto al ricorso nell'interesse di (OMISSIS), il primo motivo lamenta la violazione degli articoli 240, 388, 634 e 612 c.p. in quanto la ricorrente, assolta in secondo grado per non aver commesso il fatto, subiva la conferma della confisca dell'autovettura a lei intestata. Premette (OMISSIS) la propria legittimazione a ricorrere in quanto non estranea al processo, ma estranea al reato, sussistendo uno specifico interesse a ricorrere per ottenere la restituzione dell'autovettura, avendola affidata al compagno (OMISSIS) solo per il parcheggio. In sostanza, (OMISSIS) risulterebbe estranea al reato e titolare sostanziale e formale dell'autovettura, della quale avrebbe la piena disponibilita', dal che la violazione dell'articolo 240 c.p.. 11. Il secondo motivo di ricorso lamenta omessa motivazione in ordine alla confisca dell'autovettura, che e' stata confermata pur a fronte della assoluzione della (OMISSIS), senza aver ritenuto ne' la fittizieta' della intestazione dell'autovettura, ne' la mala fede della (OMISSIS), ne' valutando la occasionale strumentalita' del bene al reato, che invece si presta a un uso lecito, con improbabilita' del ripetersi della condotta illecita in caso di disponibilita' riacquistata. 12 L'avvocato (OMISSIS), nella qualita' di difensore e procuratore delle parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) 13. Il ricorso e' stato poi trattato con l'intervento delle parti, a seguito di tempestiva richiesta da parte dell'avvocato (OMISSIS), ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 2021, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 94 come modificato dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. 14. Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile, quello per (OMISSIS) parzialmente fondato. 2. Il primo e il secondo motivo del ricorso nell'interesse di (OMISSIS), strettamente connessi, vanno trattati unitariamente. 2.1 Quanto al primo motivo, deve rilevarsi come la sentenza impugnata per un verso accolga la censura della difesa, che aveva evidenziato come la condotta di violenza privata fosse stata indebitamente estesa, al di la' della contestazione, dal primo giudice anche alla rimozione del corrimano che impediva ai pedoni di poter muoversi lungo la strada in condizione di innevamento. D'altro canto, pero' la Corte di appello conferma la sentenza impugnata in ordine al delitto di violenza privata essendo stato accertato che la permanenza della vettura sulla stradina di accesso al condominio rendeva disagevole il passaggio veicolare per le autovetture utilitarie, impossibile per autovetture di dimensione maggiore, o anche per automezzi di piu' ampia dimensione di terzi che dovessero avere necessita' di accedere nell'interesse dei condomini. Nonche' altrettanto impossibile risultava la percorrenza per i mezzi spazzaneve, al verificarsi di precipitazioni nevose, cosi' come l'accumulo di neve ai lati della strada, con al presenza della autovettura parcheggiata da parte del (OMISSIS), rendeva ancora piu' ridotta la sede stradale percorribile, di fatto rendendo impossibile il passaggio. La Corte rilevava poi come la situazione descritta ebbe a permanere dal 2018 sino all'ordinanza emessa dal giudice civile all'esito del giudizio possessorio, cosicche' il disagio e l'impossibilita' di accesso, nei termini descritti, risultavano patiti dai residenti del condominio senza soluzione di continuita' con conseguente protrazione della limitazione della liberta' di movimento. 2.2 Le censure difensive si appuntano sul tema della necessita' che la condotta contestata implichi l'impossibilita' di accesso e non solo il disagio, ma non si confrontano con quella parte della motivazione che descrive appunto l'impossibilita' per l'accesso al condominio per ogni mezzo di dimensione superiore a quello di una utilitaria. A ben vedere il motivo, da questo punto di vista, risulta aspecifico. Difatti e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia' esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849), al piu' con l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtu' delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (Sez. 6 n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521). 2.3 Ad ogni buon conto, il richiamo del ricorrente alla circostanza che l'evento del delitto di violenza privata, nel caso in esame, sarebbe da identificarsi esclusivamente nella impossibilita' all'accesso e al recesso, risulta infondato. A ben vedere la giurisprudenza richiamata in ricorso ha a che fare con ipotesi di impossibilita' di accesso, il che non vuol dire che il delitto non sia integrato da ogni altra e piu' tenue limitazione della liberta' di autodeterminazione della persona offesa. Si e' infatti evidenziato come per la configurazione del reato di violenza privata debba essere influenzato in modo significativo il processo di libera determinazione della volonta' della persona offesa, tanto da indurla a un comportamento diverso da quello che altrimenti avrebbe tenuto in piena liberta': pertanto si e' affermato che integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura dinanzi a un fabbricato in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l'accesso alla parte lesa, o comunque il movimento, considerato che, ai fini della configurabilita' del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della liberta' di determinazione e di azione (cosi' Sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017, dep. 2018, Andriulo, Rv. 272322 - 01, che richiama: Sez. 5, n. 8425 del 20/11/2013 - dep. 2014, Iovino, Rv. 259052; Sez. 5, n. 21779 del 17/05/2006, P.G. in proc. Brugger, Rv. 234712; Sez. 5, n. 40983 del 18/10/2005, Siracusa, Rv. 232459; Sez. 5, n. 603 del 18/11/2011, dep. 2012, Lombardo, Rv. 252668). Orbene, non vi e' dubbio che l'accesso disagevole costituisca una limitazione alla liberta' del condomino che voglia percorrere la strada con la propria autovettura, che deve essere solo utilitaria, il che costituisce una ulteriore limitazione alla libera volonta', come anche che non puo' fare accedere mezzi di dimensione maggiore per ragioni di servizio per la propria abitazione. D'altro canto, la norma incriminatrice non richiede che vi sia, in conseguenza della violenza, l'impossibilita' assoluta da parte della persona offesa di esercitare la propria liberta' di autodeterminazione, tanto che e' stato ritenuto configurabile il reato di cui all'articolo 610 c.p. per la condotta di colui che, azionando a distanza il meccanismo di blocco di un cancello elettrico, impedisce alla persona offesa di uscire con la propria autovettura dalla zona garage del condominio, costringendola a scendere dal veicolo e a staccare la corrente elettrica per neutralizzare la chiusura a distanza del cancello al fine di varcare l'accesso carraio dello stabile (Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014, Borile, Rv. 261051 - 01); o anche per l'agente che con la violenza tipica delle manovre spericolate impedisca alla parte offesa di proseguire regolarmente la sua marcia (Sez. 5, n. 44016 del 17/11/2010, Gullo, Rv. 249146 - 01, in riferimento alla condotta di chi si affianchi ad altra vettura, sorpassandola e sterzando bruscamente, costringendo l'altro automobilista a cambiare direzione di marcia al fine di impedire una collisione, che certamente non impedisce il proseguire la marcia ma ne condiziona la liberta' di movimento; la predetta sentenza richiama Sez. 1, 26/09/2002, n. 32001; Sez. 5, 09/01/1985, n. 2545). Per altro, e' stato anche affermato come integri il delitto di violenza privata la condotta preordinata a rendere anche solo disagevole una lecita modalita' di esplicazione del diritto della persona offesa, quale e' nel caso in esame il diritto di passaggio verso il condominio (Sez. 5, n. 1053 del 06/10/2021, dep. 13/01/2022, Rv. 282467 - 01, nella fattispecie relativa alla sostituzione, da parte degli imputati, contro la volonta' del proprietario e dell'affittuario, della serratura di una delle due porte di accesso alle scuderie di un'azienda agricola). Se il bene tutelato dalla norma incriminatrice e' la liberta' morale, intesa come possibilita' di autodeterminarsi spontaneamente, senza essere costretti a "fare, tollerare o omettere qualche cosa", ne consegue che non solo la perdita ma anche la riduzione significativa della capacita' di determinarsi e agire secondo la propria volonta' integra il delitto di violenza privata. 2.4 Pertanto, il motivo e' infondato, integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura sulla strada di accesso a un fabbricato in modo da rendere non impossibile, ma anche solo significativamente disagevole l'accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilita' del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della liberta' di determinazione e di azione la persona offesa nell'esercizio del proprio diritto di passaggio. 2.5 Quanto al secondo motivo di ricorso, lo stesso e' precluso. Infatti, il sesto motivo di appello, unico dedicato al capo b), non ha posto previamente la censura ora in esame, in violazione di quanto e' prescritto a pena di inammissibilita' dall'articolo 606 c.p.p., comma 3, bensi' ha ritenuto che non fosse sussistente il delitto contestato in quanto difetterebbe la violenza alla persona. Si tratta di censura assolutamente diversa da quella ora proposta. Va, pertanto, rilevato come secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi sistematicamente non consentita la proponibilita' per la prima volta in sede di legittimita' oltre che per le violazioni di legge (per le quali cfr. espressamente articolo 606 c.p.p., comma 3) anche di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello, con riferimento ad un capo e ad un punto della decisione gia' oggetto di appello (cosi' Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021, De Matteis, Rv. 281813; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062, in motivazione; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869; Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368). 3. Quanto al terzo, quarto e quinto motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto relativi a violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al capo c), la Corte di appello ha ritenuto che (OMISSIS) avesse avuto contezza del contenuto dell'ordinanza il giorno 5 settembre 2019 tramite il proprio difensore (OMISSIS) e la prova fotografica allegata dalle parti civili comprovasse che il giorno successivo l'autovettura non fosse stata ancora rimossa. 3.1 A ben vedere i motivi terzo e quarto sono preclusi, per le ragioni indicate al par. 2.5 che precede, in quanto l'atto di appello censurava, con il motivo settimo, solo il difetto dell'elemento soggettivo, rispondente al tema posto dall'attuale quinto motivo. In particolare, va premesso che a fronte della contestazione nella quale si fa riferimento all'articolo 388 c.p. genericamente, senza indicare se si verta in tema di comma 1 o comma 2, i giudici del merito optano per la condotta di elusione del comma 2, in quanto nessun riferimento sussiste nella imputazione in ordine alle condotte fraudolente o simulate, trattandosi di provvedimento cautelare in tema di proprieta' e possesso, come previsto dal comma 2. D'altro canto, a fronte dell'attuale riferimento alle condotte elusive, i motivi di appello non censuravano sul punto l'opzione operata dal Giudice di primo grado, ne' tanto meno lamentavano, come fa oggi in modo precluso per le menzionate ragioni il ricorrente, l'assenza di prova quanto alla natura fraudolenta o simulata delle condotte, richiesta invece dal comma 1. 3.2 Il quinto motivo e' invece fondato. La Corte di appello non rende conto della circostanza che (OMISSIS) avesse saputo del provvedimento nella sua interezza, con piena conoscenza del correlato obbligo di rimozione immediata dell'autovettura e delle penali previste per ogni giorno di ritardo, riferendo solo che il ricorrente avesse avuto conoscenza - per averlo egli stesso riferito in sede di interrogatorio - dell'esito "negativo" del procedimento possessorio. La difesa ha allegato, in ossequio al principio di autosufficienza, il messaggio del 6 febbraio 2019 ore 9.25 inviato dall'avvocato (OMISSIS) al suo assistito (OMISSIS), nel quale il legale comunica a mezzo whatsapp che il difensore di controparte aveva mandato una intimazione ad adempiere al provvedimento possessorio "ovvero che tu non parcheggi piu' la vettura all'interno della linea gialla oltre naturalmente al pagamento delle spese legali", allegando poi il provvedimento del giudice civile. Pertanto, da tale documentazione emerge che solo in quel momento (OMISSIS) avrebbe avuto contezza degli obblighi conseguenti. 3.3 E bene, in relazione all'articolo 388 c.p., comma 2, accede questo Collegio all'orientamento per cui ai fini della configurabilita' del reato di mancata esecuzione dolosa di provvedimento cautelare del giudice civile non si presuppone, "come condizione di punibilita', la previa notifica del medesimo provvedimento alla persona che deve osservarlo, nel senso che non ne e' richiesta la conoscenza legale ma quella (...) di fatto piena" (Sez. 6, n. 36010 del 29/02/2012, Cimo', Rv. 253370 - 01; contra Sez. 6, n. 314 del 07/11/2003, dep. 2004, Borghi, Rv. 229940 - 01), dovendo ritenersi sufficiente che vi sia stata una richiesta di adempimento (o una messa in mora) anche informale, purche' si tratti di intimazione che sia precisa e non equivoca, rigorosamente provata e non semplicemente supposta (Sez. 6, n. 51218 del 01/07/2014, Carletti, Rv. 261665 - 01; Sez. 6, n. 5129 del 11/03/1999, Nossing, Rv. 213678 - 01; Sez. 6, sent. 2559 del 27.10.93, Masi; Sez. 6, sent. 6042 del 13.6.96, Sapienza; Cass. VI, sent. 9441 del 20.10.97, Perri). 3.4 Nel caso in esame la motivazione si palesa manifestamente illogica, perche' per un verso afferma la conoscenza del contenuto del provvedimento da parte di (OMISSIS) dal giorno 5 settembre, per altro verso riferisce che (OMISSIS) avesse avuto solo contezza "dell'esito" del procedimento possessorio, potendo cosi' intendersi solo che avesse avuto contezza che la propria tesi era stata disattesa, senza che cio' volesse significare che avesse avuto conoscenza completa del contenuto del provvedimento, consistente nell'obbligo di rimozione e del pagamento delle penali in caso di trasgressione. A ben vedere la valorizzazione operata dalla Corte di merito della falsita' delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) in ordine alla rimozione intervenuta il giorno 5 (e non il giorno 6, come ha accertato la Corte di appello), collide con il principio dello ius defendendi, a meno di comprovarsi che si verta in tema di alibi fallito, perche' maliziosamente preordinato e smentito. In vero (OMISSIS) riferisce di avere ricevuto notizia solo "dell'esito negativo del giudizio possessorio" e di essere rimasto in attesa dell'invio del provvedimento, che effettivamente risulta inviato il giorno seguente, come comprovato dalla difesa: in tal senso spettera' alla Corte di appello valutare con motivazione congrua se (OMISSIS) con la prima comunicazione del giorno 5 settembre avesse avuto contezza anche dell'obbligo di rimozione dell'auto e della penale prevista, perche' solo in tal caso poteva essere ritenuto obbligato a provvedere a un immediato adempimento. Pertanto, va disposto l'annullamento della sentenza sul punto in ordine al capo c) e la Corte di merito provvedera' in ossequio ai principi di diritto enunciati. 4. In ordine al sesto motivo, sempre relativo al capo c), risulta assorbito da quello che precede, riguardando comunque il reato previsto dall'articolo 388 c.p.. 5. In ordine al settimo motivo, la Corte di appello ha confermato la condanna generica al risarcimento del danno e quella al pagamento della provvisionale. Il motivo e' in parte precluso e per altro manifestamente infondato. Quanto alla condanna generica, nessuna doglianza in sede di appello era stata formulata in quanto il motivo n. 11 riguardava solo la provvisionale. Ne consegue la natura preclusa dell'odierno motivo sul punto, oltre che la sua manifesta infondatezza in quanto aderisce questo Collegio all'orientamento prevalente per cui per la condanna generica non e' necessaria la prova della concreta esistenza di danni risarcibili, essendo sufficiente l'accertamento della potenziale capacita' lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza di un nesso di causalita' tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo Rv. 281997 - 21; conf. N. 28216 del 2020 Rv. 279625 - 01, N. 4761 del 2020 Rv. 278306; contra N. 16765 del 2020 Rv. 279418 - 14). In merito alla condanna alla provvisionale, corretta e' la motivazione della Corte territoriale, al fol. 24 e s. della sentenza, in sintonia con il consolidato insegnamento di questa Corte per cui non e' impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (ex multis Sez. 2, Sentenza n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486). Ne consegue la natura preclusa e manifestamente infondata del motivo. 6. I due motivi del ricorso nell'interesse di (OMISSIS) vanno trattati congiuntamente. La ricorrente e' stata assolta in secondo grado, mentre dell'autovettura a lei intestata e' stata confermata la confisca. Il Giudice di primo grado aveva ritenuto confiscarsi l'autoveicolo, con la condanna anche della (OMISSIS). Cio' in sintonia con il principio per cui ai fini dell'applicazione della confisca facoltativa di cui all'articolo 240 c.p., comma 1, e' necessario l'accertamento di un nesso di strumentalita' in concreto tra la cosa ed il commesso reato, in ragione delle specifiche caratteristiche della prima e delle modalita' e circostanze di commissione del secondo, senza che siano richiesti requisiti di "indispensabilita'", volti a configurare un rapporto causale diretto ed immediato tra l'una e l'altro, tale per cui la prima debba apparire come indispensabile per l'esecuzione del secondo (Sez. 2, n. 10619 del 24/11/2020 dep. 18/03/2021, Fortuna, Rv. 280991 - 01). L'elemento di novita' e' l'assoluzione per non aver commesso il fatto della (OMISSIS), rispetto alla quale la Corte di appello fa conseguire solo la revoca delle statuizioni civili in suo danno, ma nulla argomenta in ordine alla conferma della confisca. Ebbene, va qui richiamato il principio per cui in tema di misure cautelari reali, il terzo rimasto estraneo al processo, formalmente proprietario del bene gia' in sequestro, di cui sia stata disposta con sentenza la confisca, puo' chiedere al giudice della cognizione, prima che la pronuncia sia divenuta irrevocabile, la restituzione del bene e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame (Sez. U, n. 48126 del 20/07/2017, Muscari, Rv. 270938 - 01: in motivazione la Corte ha affermato che, qualora venga erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione, questa va qualificata come appello e trasmessa al tribunale del riesame). In vero il sistema di controlli tassativamente previsto con i mezzi di impugnazione tipici per le misure cautelari, infatti, considerati i termini di impugnazione e le cadenze temporali ivi stabilite, e' teso a stabilire una tutela idonea, effettiva ed efficace, anche quanto a tempestivita', per la parte nei confronti il sequestro e' stato disposto ed a scongiurare il pericolo che la decisione divenga nel frattempo irrevocabile. Pertanto, deve rilevare questa Corte come, depositata la sentenza di secondo grado in data 9 febbraio 2022, i motivi di impugnazione proposti sul punto non possono ora essere convertiti, ai sensi dell'articolo 568 c.p.p., comma 5, in richieste di riesame, essendo il ricorso per cassazione depositato oltre il termine per la proposizione del riesame, ai sensi dell'articolo 324 c.p.p., comma 1. Ovviamente, nella qualita' di terzo, la (OMISSIS) potra' esperire i rimedi previsti in sede di esecuzione, a seguito della irrevocabilita' della confisca. 7. Nulla va disposto allo stato per le spese processuali richieste dalle parti civili, dovendo provvedersi al definitivo, non avendo le stesse concluso in relazione alla (OMISSIS) ma solo al (OMISSIS), per il quale vi e' stato parziale accoglimento del ricorso nei termini indicati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al capo c) dell'imputazione, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bolzano. Rigetta il ricorso del (OMISSIS) nel resto. Spese nei confronti delle parti civili al definitivo. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) Giovanna (OMISSIS)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere Dott. MASI Paola - rel. Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/01/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAOLA MASI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. COCOMELLO ASSUNTA, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi. uditi i difensori: L'avvocato (OMISSIS), del foro di ROMA, in qualita' di sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS), del foro di BOLOGNA come da nomina depositata all'odierna udienza, in difesa di (OMISSIS), anche per l'avvocato (OMISSIS), del foro di RAVENNA, come da nomina depositata all'udienza udienza, in difesa di (OMISSIS), e (OMISSIS), chiede il rigetto dei ricorsi e si riporta alle conclusioni scritte che deposita all'odierna udienza unitamente alla nota spesa. L'avvocato (OMISSIS), del foro di BOLOGNA, in difesa di (OMISSIS), conclude riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l'accoglimento. L'avvocato (OMISSIS), del foro di BOLOGNA, in difesa di (OMISSIS), conclude insistendo nell'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS), del foro di BOLOGNA, in difesa di (OMISSIS), conclude insistendo nell'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 21 gennaio 2022 la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa in data 20 luglio 2021 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, che ha condannato (OMISSIS) alla pena di quattro anni e sette mesi di reclusione per i reati di cui agli articoli 56, 605 c.p., 56, 575 c.p., articolo 612-bis c.p., commi 1 e 3 e L. n. 110 del 1975, articolo 4 commessi tra il (OMISSIS), con l'attenuante di cui all'articolo 89 c.p. prevalente sull'aggravante della premeditazione; (OMISSIS) e (OMISSIS) ciascuno alla pena di due anni e undici mesi di reclusione per i reati di cui agli articoli 56, 605 c.p., 56, 575 c.p. e L. n. 110 del 1975, articolo 4 commessi tra il (OMISSIS), per entrambi con l'attenuante di cui all'articolo 89 c.p. e con le attenuanti generiche, prevalenti sull'aggravante della premeditazione. Essi sono stati anche condannati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili (OMISSIS) e i suoi genitori (OMISSIS) e (OMISSIS). I tre imputati sono stati ritenuti responsabili di avere, in concorso tra loro, compiuto atti idonei a privare della liberta' personale (OMISSIS), ragazza con cui l'imputato (OMISSIS) aveva avuto una relazione affettiva; di avere compiuto atti idonei ad uccidere i genitori conviventi di lei; di avere portato fuori dall'abitazione, per commettere tali delitti, un coltello con lama appuntita, un paio di forbici e un bastone in metallo dotato di una punta. Il (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile anche di avere provocato alla giovane (OMISSIS), affetta da disabilita' certificata del 40%, uno stato di grave ansia e paura, molestandola per telefono e appostandosi presso la sua abitazione. 1.1. La Corte di appello ha richiamato la ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza di primo grado. Nella notte del (OMISSIS) i Carabinieri notarono un'auto Fiat Panda ferma all'ingresso di un condominio sito in (OMISSIS), col motore acceso, e ne identificarono i tre occupanti negli imputati indicati, i quali non giustificarono la loro presenza in quel luogo, dando il (OMISSIS) tre versioni discordanti. Perquisita l'auto, i Carabinieri rinvennero nel bagagliaio un borsone contenente un passamontagna, due paia di guanti, altri quattro guanti spaiati, un coltello da cucina con lama lunga cm. 13, un paio di forbici, un paio di manette, e, sul sedile occupato dal (OMISSIS), un bastone di metallo con punta in plastica. I tre imputati negarono il possesso del borsone, dicendo che era stato affidato al (OMISSIS) da un amico e che essi ne ignoravano il contenuto; il (OMISSIS), pero', decise di collaborare e confido' ai Carabinieri che il (OMISSIS), con l'aiuto del (OMISSIS), voleva rapire la giovane (OMISSIS) e uccidere i suoi genitori. La giovane venne contattata dai Carabinieri, e nella mattina del (OMISSIS) sporse denuncia-querela descrivendo il rapporto sentimentale che aveva avuto con il (OMISSIS) per circa tre anni, convivendo con lui per un anno, relazione che ella aveva interrotto nel (OMISSIS), tornando a vivere con i genitori, per le violenze abitualmente perpetrate dall'uomo in suo danno. Da quel momento il (OMISSIS) aveva iniziato a cercarla, riuscendo ad incontrarla nel (OMISSIS), e, nonostante il suo rifiuto di riprendere la relazione sentimentale con lui, aveva continuato a cercarla e a telefonarle, in particolare dopo che ella si era fidanzata con un altro ragazzo. Un suo conoscente, (OMISSIS), le aveva riferito che il (OMISSIS) si recava spesso a Imola nella speranza di incontrarla, essendo da lei ossessionato, e che circa venti giorni prima del fatto lo aveva sentito dire al (OMISSIS) che intendeva rapirla e convincerla a tornare a Bologna, dove egli abitava. Il (OMISSIS), in un manoscritto redatto spontaneamente presso i Carabinieri, ha descritto le modalita' del "colpo" organizzato dal (OMISSIS), precisando che questi aveva ricevuto un'arma appuntita con cui intendeva uccidere i genitori della ragazza, e ne ha confermato il contenuto nelle dichiarazioni rese all'udienza di convalida dell'arresto, con le quali ha negato, pero', di avere inteso partecipare all'azione criminosa, e ha sostenuto di avere accompagnato il (OMISSIS) solo per cercare di fermarlo. Il proposito di sequestrare la (OMISSIS) ed uccidere i suoi genitori e' emerso anche da varie comunicazioni intercorse tramite Whatsapp tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) e tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), relative ai dettagli delle azioni criminose e alla predisposizione dei mezzi necessari. Anche il (OMISSIS) ha confermato l'esistenza di tale progetto criminoso, ma ha attribuito al (OMISSIS) il proposito di uccidere i genitori della ragazza. Il (OMISSIS) ha negato invece ogni responsabilita', e ha detto di avere solo chiesto ai due amici un passaggio per casa e di essersi addormentato sull'auto, fino all'intervento dei Carabinieri. Apposita consulenza disposta dal pubblico ministero ha accertato le disabilita' intellettive di tutti e tre gli imputati, tali da comportare un loro vizio parziale di mente, ma ha accertato anche la loro pericolosita' sociale. 1.2. La Corte di appello, con motivazione che rinvia esplicitamente a quella del giudice di primo grado, ha respinto tutti i motivi di impugnazione proposti dagli imputati. In particolare ha ritenuto sussistente l'idoneita' degli atti per i reati di sequestro di persona e di tentato omicidio, negata dagli appellanti, perche' le modalita' dell'azione, benche' rudimentali, esaminate con valutazione ex ante non escludono la possibilita' di raggiungere lo scopo, essendosi i tre imputati dotati di attrezzi e strumenti adeguati ed avendo quindi concretizzato i progetti delittuosi in azioni logicamente coordinate, e dirette in modo univoco al risultato desiderato. Ha ritenuto dimostrato il reato di "stalking", per il quale e' stato condannato il solo (OMISSIS), dalle dichiarazioni della vittima (OMISSIS), ritenute attendibili perche' coerenti e circostanziate, e perche' riscontrate da alcuni referti ospedalieri quanto alle lamentate violenze fisiche, e dalla testimonianza del (OMISSIS) quanto ai continui viaggi del (OMISSIS) ad Imola per incontrare la ragazza. Ha ritenuto provata la responsabilita' del (OMISSIS), per i reati a lui ascritti, dalle comunicazioni intercorse tra lui e il (OMISSIS), in base alle quali addirittura egli stesso e il (OMISSIS) avrebbero dovuto uccidere i genitori della ragazza, e dalla presenza del bastone di metallo sul sedile da lui occupato. Infine ha respinto tutti i motivi relativi alla mancata concessione delle attenuanti generiche al (OMISSIS), all'entita' delle pene inflitte, alla sussistenza della pericolosita' sociale, contestata dal (OMISSIS), e quelli relativi alle statuizioni civili, appellate dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) per mezzo del proprio difensore Avv. (OMISSIS), (OMISSIS) per mezzo del proprio difensore Avv. (OMISSIS), e (OMISSIS) per mezzo del proprio difensore Avv. (OMISSIS). 2.1. Il ricorrente (OMISSIS) ha articolato tre motivi di ricorso. Con il primo motivo ha eccepito la violazione di legge penale, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) nella valutazione della idoneita' degli atti posti in essere per la commissione dei reati di tentato sequestro di persona e di tentato omicidio. Secondo i consolidati principi della Corte di cassazione, l'idoneita' degli atti deve essere valutata non in base ad un criterio probabilistico, bensi' in relazione alle concrete possibilita' che alla condotta consegua lo scopo perseguito. In questo caso, le armi ritrovate erano inidonee a raggiungere lo scopo, trattandosi di un coltello con lama poco affilata, delle manette, un bastone con una punta in plastica, e vi era l'impossibilita' materiale di accedere nella casa delle vittime, penetrando di notte in un condominio, in regime di restrizione per l'emergenza pandemica, superando una porta blindata, circostanze tutte note agli agenti, affetti pero' da un vizio di mente. Considerando quindi le concrete circostanze di tempo e luogo e i mezzi a disposizione, si evince come la realizzazione dei reati ipotizzati fosse non solo inverosimile ma, in concreto, oggettivamente impossibile. Quanto al reato di "stalking", invece, la Corte di appello ha errato nel non rilevare la mancanza dell'elemento costitutivo del reato. E' mancata la prova di una serie di condotte reiterate, minacciose e persecutorie, ed anche di violenze fisiche e morali, tali da indurre nella vittima un perdurante stato di ansia e la necessita' di cambiare le abitudini di vita. Le reali dinamiche della relazione tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS) sono state evidenziate dal teste (OMISSIS), non sono stati acquisiti i tabulati da cui accertare la qualita' o il tenore delle telefonate asseritamente moleste, e la prova del reato consiste solo nella denuncia che la (OMISSIS) ha sporto dopo i fatti contestati ai primi due capi di imputazione ma mai in precedenza, evidentemente perche' ella non aveva sentito la necessita' di avvisare le autorita'. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente (OMISSIS) ha eccepito la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, in violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per la "carenza di connessione logica tra le prove esaminate dal giudicante e le conclusioni a cui lo stesso e' addivenuto". Sempre in relazione alla idoneita' degli atti per la commissione dei reati di sequestro di persona e tentato omicidio, la sentenza, pur affermando che le conversazioni dei tre imputati avevano ad oggetto "progetti inverosimili" palesanti la loro patologia, ha ritenuto esistente la concreta possibilita' di realizzare il piano criminoso, che quindi sarebbe fallito solo per l'intervento dei Carabinieri. Invece tale piano, secondo le dichiarazioni rese negli interrogatori, prevedeva di entrare nell'abitazione, a notte fonda, durante le restrizioni per la pandemia, in un condominio abitato e superando una porta blindata, e di agire avendo come armi un solo coltello e un bastone con una punta di plastica: la sentenza non motiva ne' come tali rudimentali oggetti potessero essere idonei a produrre l'evento, ne' come gli imputati avrebbero potuto anche solo accedere nell'abitazione delle presunte vittime. Quanto poi al reato di "stalking", la sentenza ritiene irrilevante la testimonianza del (OMISSIS) laddove afferma che la (OMISSIS) era incerta se continuare o no la relazione con il (OMISSIS), mentre essa dimostra che tale relazione non era ancora cessata ed il (OMISSIS) cercava lecitamente di parlare con la sua ex-fidanzata, recandosi ad Imola e telefonandole, al fine di salvare il loro rapporto. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso il (OMISSIS) ha eccepito la violazione di legge penale e la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), con riferimento al trattamento sanzionatorio. Non sono stati adeguatamente motivati il discostarsi dal minimo edittale, ritenendolo congruo pur avendo definito "inverosimile" il piano criminoso, e il diniego delle attenuanti generiche, motivato attribuendo al (OMISSIS) il ruolo di "leader" nel piano criminoso stesso, senza avere mai affermato ne' motivato tale ruolo e trascurando il suo comportamento processuale, ammissivo gia' in sede di primo interrogatorio. Nessun rilievo si attribuisce, poi, alla personalita' dell'imputato, incensurato, e all'intervenuto soddisfacimento della parte civile dopo la sentenza di primo grado, mentre le attenuanti generiche sono state concesse ad un coimputato gravato da precedenti penali. 3. Il ricorrente (OMISSIS) ha articolato otto motivi di ricorso. 3.1. Con il primo motivo ha eccepito la violazione della legge penale e la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.c., comma 1, lettera b) ed e), nella valutazione della idoneita' degli atti posti in essere per la commissione del reato di tentato omicidio. La motivazione e' contraddittoria laddove, dopo avere affermato che le comunicazioni intercorse tra gli imputati comprendono progetti inverosimili e fantasiose ideazioni, ha ritenuto gli atti concretamente posti in essere idonei e univoci per raggiungere lo scopo, senza valutare l'insussistenza di una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto dalla norma, e la presumibile impossibilita' di realizzare il piano stesso per le modalita' dell'azione, essendo stati gli imputati fermati in una notte in cui vigeva il coprifuoco, mentre erano ben visibili e con un'arma a portata di mano, arma che peraltro era un semplice bastone appendiabiti a cui era stata apposta una piccola punta in plastica. La sentenza non affronta il problema di come gli imputati avrebbero potuto entrare nell'abitazione delle vittime designate, limitandosi a valorizzare l'appostamento sotto la loro casa ma senza considerare che, in questo caso, non solo l'ora notturna e l'inefficacia dei mezzi ma anche la conoscenza, da parte dei genitori della (OMISSIS), delle manie persecutorie del (OMISSIS), rendeva ragionevolmente impossibile tale accesso. Anche l'univocita' degli atti non e' stata adeguatamente motivata, non essendo emerso con certezza il fine perseguito dagli imputati: i messaggi telefonici tra (OMISSIS) e (OMISSIS) non forniscono la prova di un intento omicidiario, al di la' di mere farneticazioni, ed anche il viaggio ad Imola la notte dell'arresto era motivato non da una univoca volonta' omicida ma dall'ossessivita' tipica della patologia del (OMISSIS). 3.2. Con il secondo motivo il ricorrente (OMISSIS) ha eccepito la violazione della legge penale e la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) nella valutazione del necessario dolo nel reato di tentato omicidio. La motivazione e' del tutto priva di un accertamento circa l'animus necandi degli imputati e ne fa discendere la prova dai loro scambi telefonici, prova che viene inoltre travisata. In primo luogo il (OMISSIS) era consapevole solo della detenzione del bastone ma ignorava la presenza delle altre armi. La lettura delle chat intercorse tra (OMISSIS) e (OMISSIS), poi, evidenzia un quadro delirante, dove anche i soggetti da uccidere variano a seconda dello stato di salute mentale del (OMISSIS). Se la accertata deficienza psichica del (OMISSIS) non esclude di per se' il dolo, essa doveva essere valorizzata per valutare le sue intenzioni e la sua capacita' di comprendere le azioni dei coimputati: anche gli amici del (OMISSIS), tra cui il teste (OMISSIS), non avevano preso sul serio le sue esternazioni su omicidi e rapimenti. Inoltre, in un'unica chat il (OMISSIS) assegna al (OMISSIS) il compito di uccidere i genitori della ragazza, ma il (OMISSIS) non risponde e percio' non si dichiara disponibile a farlo: questa prova e' stata quindi travisata proprio in ordine alla sua accettazione dell'incarico. 3.3. Con il terzo motivo il (OMISSIS) ha eccepito la violazione della legge penale e la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), nella valutazione della univocita' e idoneita' degli atti posti in essere per la commissione del reato di tentato sequestro di persona. La motivazione e' contraddittoria perche', come gia' esposto nel primo motivo di ricorso, dopo avere descritto i progetti degli imputati come "inverosimili" e dimostrativi delle loro patologie psichiche, ha ritenuto idonei i comportamenti accertati, consistenti unicamente nell'appostamento sotto la casa della (OMISSIS) e nel possesso delle poche e rudimentali armi gia' descritte. I giudici non spiegano come gli imputati avrebbero potuto accedere all'interno dell'abitazione della ragazza e portarla via, di notte e in pieno coprifuoco, essendo ella a conoscenza del proposito di rapimento e quindi sicuramente non intenzionata a far entrare in casa il (OMISSIS). I mezzi predisposti erano quindi del tutto inidonei a compiere un sequestro di persona, e in ordine alla univocita' degli atti le chat scambiate tra gli imputati non contengono una seria predisposizione di un piano ma solo vaghe farneticazioni. 3.4. Con il quarto motivo il (OMISSIS) ha eccepito la violazione della legge penale e la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), anche in relazione alla sussistenza del dolo nel reato di tentato sequestro di persona. Come gia' esposto nel secondo motivo di ricorso, la motivazione e' manifestamente illogica e i messaggi scambiati con il (OMISSIS) sono inattendibili, per il loro contenuto palesemente delirante. La comprovata riduzione della capacita' di intendere e volere del (OMISSIS) doveva essere valorizzata per valutare la sua comprensione-circa le reali intenzioni dei coimputati, atteso che anche i vari amici del (OMISSIS), come detto, non avevano preso sul serio le sue esternazioni. La sentenza ha invece riconosciuto la sussistenza del dolo solo con espressioni tautologiche, senza procedere allo stringente vaglio necessario per una pronuncia di condanna. 3.5. Con il quinto motivo il (OMISSIS) ha eccepito la violazione della legge penale e la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti e all'ipotesi di non punibilita' ai sensi dell'articolo 115 c.p.. Gli atti preparatori di un reato possono integrare il tentativo punibile solo se inequivoci e potenzialmente idonei a realizzare l'evento, e se evolutisi in atti esecutivi, cioe' corrispondenti anche solo in minima parte alla descrizione legale di una fattispecie criminosa. Nel caso di specie il progetto criminoso era inverosimile e gli imputati non possedevano neppure tutti i mezzi necessari per commettere i reati, ed e' illogica e contraddittoria la motivazione laddove non qualifica gli atti compiuti come meramente preparatori e percio' non punibili ai sensi dell'articolo 115 c.p. Non sussistono infatti gli elementi tipici del delitto tentato, cioe' un piano particolareggiato e una predisposizione dei mezzi idonei, elementi da cui desumere il passaggio dalla fase ideativa a quella esecutiva, per cui poteva al massimo configurarsi l'ipotesi del tentativo di un accordo criminoso, non tradottosi pero' in un delitto tentato. 3.6. Con il sesto motivo il (OMISSIS) ha eccepito la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 4. La sentenza, con motivazione carente e contraddittoria, ha del tutto omesso di valutarne la sussistenza: non vi e' prova che il (OMISSIS) fosse a conoscenza delle armi riposte nel borsone, e quanto al bastone si trattava di un oggetto artigianale, reso inoffensivo dall'aggiunta di una punta in plastica. 3.7. Con il settimo motivo il (OMISSIS) ha eccepito la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, in violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione al trattamento sanzionatorio. La Corte di appello ha infatti giustificato lo scostamento dal minimo edittale con un'affermazione apodittica e tautologica, richiamando la gravita' del fatto e l'avvio della fase esecutiva, valutando quindi solo le ipotesi di reato e non i fatti compiuti, e menzionando un inizio di fase esecutiva che invece non vi era stata. La motivazione e' inoltre contraddittoria perche' ha descritto il contributo del (OMISSIS) come di minima importanza, senza poi valorizzare tale dato. 3.8. Con l'ottavo motivo il (OMISSIS) ha eccepito la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, in violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all'aumento stabilito per i vari reati uniti in continuazione. Anche in questo caso non e' stata motivata l'entita' dell'aumento, superiore al minimo, limitandosi ad ancorarlo al numero delle armi e al pericolo cagionato. Anche queste affermazioni sono apodittiche e tautologiche, e non tengono conto del fatto che al (OMISSIS) e' attribuibile la detenzione di una sola arma. La motivazione e' quindi apparente, e del tutto illogica. 4. Il ricorrente (OMISSIS) ha articolato tre motivi di ricorso, dopo un preambolo in cui descrive il caso come "di scuola" circa il classico soggetto agente sorpreso durante gli atti preparatori di un delitto ma che non ha ancora avviato la fase esecutiva. 4.1. Con il primo motivo ha sostenuto l'erroneita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), nella valutazione della idoneita' degli atti compiuti ad integrare i reati di cui agli articoli 56, 605 c.p. e 56, 575 c.p. Dopo un ampio richiamo alla definizione di idoneita' degli atti secondo la dottrina e la giurisprudenza, il ricorrente afferma che la verifica da effettuare e' la risposta alle domande su che cosa sarebbe successo senza l'intervento del fattore ostativo e quale fosse la probabilita' di realizzazione dell'obiettivo, mentre e' irrilevante valutare, come hanno fatto i giudici di merito, solo la astratta efficienza di mezzi e modalita' senza valutare anche, in concreto, la probabilita' di realizzazione dell'evento. Nel caso di specie le circostanze di tempo e luogo e la natura rudimentale dei mezzi a disposizione rendevano improbabile o addirittura impossibile la realizzazione dell'evento: mancava pertanto la "rilevante probabilita' di conseguire l'obiettivo programmato" che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, consente di ritenere idonei gli atti di cui si compone il tentativo. 4.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha eccepito che la motivazione della sentenza di appello e' carente in merito alla valutazione della idoneita' degli atti in relazione ai delitti tentati, limitandosi a rinviare alla sentenza di primo grado e fornendo quindi una motivazione solo apparente. Inoltre essa e' illogica e contraddittoria perche', dopo avere descritto come "inverosimili" i progetti esternati nei messaggi scambiatisi dagli imputati, ed espressione della loro patologia psichica, valuta come possibile il raggiungimento dello scopo. Omette la Corte di appello di valutare come i tre imputati avrebbero potuto entrare nell'abitazione delle presunte vittime, non possedendo gli strumenti adatti e non essendo plausibile che essi sfondassero la porta, secondo le modalita' previste dal piano riferito dallo stesso imputato (OMISSIS). Questo aspetto e' stato oggetto di una specifica censura nell'atto di appello, alla quale i giudici di secondo grado non hanno dato alcuna risposta; la carenza motivazionale non e' superata neppure dal rinvio alla sentenza di primo grado, trattandosi di un aspetto non valutato neppure da questa. 4.3 Con il terzo motivo ha eccepito la mancanza e contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione al trattamento sanzionatorio, non essendo stata data una adeguata motivazione allo scostamento dal minimo edittale. 5. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto di tutti i ricorsi. 6. Le parti civili si sono associate alle conclusioni del Procuratore generale, depositando le proprie conclusioni e chiedendo la liquidazione delle proprie spese processuali. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati. 1.1 Sono infondati tutti i motivi relativi alla asserita inidoneita' degli atti compiuti, con riferimento alla commissione dei delitti di tentato omicidio e di tentato sequestro di persona. La sentenza della Corte di appello, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo grado, escludendo che essa possa essere qualificata come apparente, ha infatti fornito adeguata risposta a tali censure, esposte gia' negli atti di appello, con una valutazione conforme a quella resa dal primo giudice e, come quella, non manifestamente illogica. La Corte di cassazione, in particolare nelle sentenze Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965, ha chiarito che "in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita', dalla sua contraddittorieta' (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicche' sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento". Nei ricorsi si sollecita, invece, la rivalutazione degli elementi di prova gia' esaminati, nelle due sentenze di merito, con motivazioni complete e non illogiche ne' apparenti in ordine alla idoneita' del progetto elaborato dagli imputati, e degli atti da loro compiuti, per raggiungere gli obiettivi criminosi che si erano prefigurati. 1.2. La Corte di appello ha infatti evidenziato che il progetto di sequestrare la giovane (OMISSIS) e di ucciderne i genitori, diversamente da altri progetti di azioni criminose contro varie persone contenuti nelle chat scambiate dal (OMISSIS) con i coimputati, quelli si' "inverosimili" ed espressivi della loro patologia ma rimasti generici e "confinati in fantasiose ideazioni", si e' tradotto in una serie di condotte concrete, logicamente coordinate tra loro, univocamente dirette e potenzialmente idonee, con valutazione ex ante, a raggiungere l'obiettivo programmato. In particolare la Corte di appello, alle pagine 9 e 10 della sentenza, ha sottolineato, sia pure in modo sommario, che i tre imputati nella notte del fatto, e dopo avere effettuato un sopralluogo nella notte precedente, si sono recati presso l'abitazione delle vittime portando con se' delle armi, tra cui un lungo coltello con lama seghettata, un bastone appuntito, delle manette, guanti e laccio emostatico, avendo elaborato un piano preciso ed avendo valutato piu' modalita' per contattare e colpire le vittime. La sentenza di primo grado, che i giudici di appello richiamano integralmente, ha valutato ancora piu' approfonditamente la sussistenza della "idoneita' e non equivoca direzione degli atti" compiuti dagli imputati, riportando per intero le dichiarazioni rese dal (OMISSIS), il quale ha descritto l'avvenuta predisposizione di un piano completo in ogni dettaglio, ed ha quindi ritenuto, con motivazione non illogica a cui i giudici di secondo grado si sono conformati, che essi "avevano la materiale possibilita'" di porlo in atto, trattandosi di "tre uomini adulti con capacita' di movimento e di non esile stazza, colti armati con coltello e bastone sotto casa delle vittime (presenti in casa)". Secondo il costante principio della Corte di cassazione, "In tema di delitto tentato, l'accertamento della idoneita' degli atti deve essere compiuto dal giudice di merito secondo il criterio di prognosi postuma, con riferimento alla situazione che si presentava all'imputato al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni prevedibili del caso" (Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, Rv. 277032), e "Ai fini della configurabilita' del reato impossibile, l'inidoneita' dell'azione deve essere assoluta per inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato cosi' da non consentire neppure in via eccezionale l'attuazione del proposito criminoso". (Sez. 5, n. 9254 del 15/10/2014, Rv. 263058). La Corte di appello ha applicato correttamente questo principio, affermando che le modalita' dell'azione preordinata dagli imputati, benche' "rudimentali", erano potenzialmente idonee a raggiungere lo scopo, non essendo i mezzi predisposti strutturalmente inefficaci o insufficienti, e non apparendo impossibile la loro introduzione con violenza nell'abitazione delle vittime; anche l'effettuazione di un sopralluogo, la notte precedente a quella nella quale era prevista l'operazione, dimostra la serieta' dell'intento criminoso e l'attenta programmazione del crimine. 1.3. Le obiezioni avanzate dai ricorrenti, circa la fattibilita' del piano criminoso, non presentano il carattere della decisivita', tale da superare la valutazione della sua idoneita' contenuta nella sentenza impugnata. Questa, richiamando anche la sentenza di primo grado, pur senza esaminare nel dettaglio tali obiezioni, ha sottolineato come il piano criminale nei confronti della famiglia (OMISSIS) fosse stato programmato accuratamente, fossero state predisposte delle armi astrattamente idonee a sopraffare le vittime e persino ad ucciderle, fossero stati suddivisi i compiti tra i tre complici, fosse stato compiuto anche un sopralluogo, nella notte precedente, al fine di verificare l'astratta eseguibilita' del piano. L'obiezione circa l'asserita impossibilita' di accedere all'appartamento delle vittime perche' ubicato in un condominio e munito di porta blindata e' un'affermazione apodittica e non fondata sulle prove raccolte, dal momento che nelle sentenze e negli atti allegati ai ricorsi non sono descritte le caratteristiche del palazzo e della porta di accesso all'abitazione, che anzi nell'atto di appello del (OMISSIS) viene definita come "una porta magari blindata", senza riferire quest'ultima circostanza come certa e dimostrata. Peraltro la Corte di appello ha risposto a detta obiezione affermando, alla pagina 10 della sentenza, che "gli imputati avevano valutato piu' modalita' per contattare ed attingere" le vittime, e concludendo, con valutazione non illogica, che non si puo' escludere che il (OMISSIS), modificando l'originario progetto, sarebbe riuscito a convincere la giovane (OMISSIS) ad uscire da casa, come gia' avvenuto in una precedente occasione, o che le vittime mettessero in atto delle "imprevedibili reazioni". E' corretta anche la valutazione dei giudici di merito, secondo cui la riconosciuta deficienza psichica dei tre imputati non esclude la loro capacita' di portare a termine il progetto: come riportato nella sentenza impugnata, il perito ha qualificato i tre soggetti come socialmente pericolosi proprio perche' capaci di programmare azioni molto violente e incapaci di autocontenersi, e quindi capaci di tenere comportamenti impulsivi e poco controllati, percio' particolarmente pericolosi. Devono pertanto essere respinti, perche' infondati, il primo e il secondo motivo del ricorso proposto dal (OMISSIS) nelle loro prime parti, il primo e il terzo motivo del ricorso proposto dal (OMISSIS), il primo e il secondo motivo del ricorso del (OMISSIS). 2. Sono infondati anche i motivi, contenuti nei ricorsi dei tre imputati, circa l'insussistenza dei due delitti di sequestro di persona e di omicidio volontario tentati, perche' gli atti compiuti sarebbero meramente preparatori e non avrebbero raggiunto il grado di esecutivita' necessario per qualificarli come condotte penalmente rilevanti, imponendo quindi l'applicazione dell'articolo 115 c.p.. 2.1. La questione e' stata ampiamente esaminata nella sentenza di primo grado, a cui la Corte di appello rinvia esplicitamente dichiarando, come gia' sottolineato, di redigere una motivazione "per relazione". E' corretta l'affermazione del giudice di primo grado, secondo cui "anche i c.d. atti preparatori possono integrare gli estremi del delitto tentato, purche' idonei e diretti in modo non equivoco alla consumazione di un reato". Deve infatti applicarsi il principio, piu' volte sostenuto dalla Corte di cassazione, secondo cui "In tema di delitto tentato, anche gli atti preparatori possono integrare gli estremi del tentativo punibile, purche' in se' univoci, ossia oggettivamente rivelatori, per il contesto nel quale si inseriscono e per la loro natura ed essenza, secondo le norme di esperienza e l'id quod plerumque accidit, del fine perseguito dall'agente" (Sez. 5, n. 18891 del 22/02/2017, Rv. 269932) e "Per la configurabilita' del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l'agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l'azione abbia la significativa probabilita' di conseguire l'obiettivo programmato e che il delitto sara' commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volonta' del reo." (Sez. 2, n. 24301 del 04/05/2017, Rv, 269963; conformi: Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, Rv. 269931, Sez. 2, n. 52189 del 14/09/2016, Rv.268644, ed altre). 2.2. Sulla base di questo principio le due sentenze hanno concluso, in modo logico e non contraddittorio, che gli atti concretamente compiuti dai tre imputati, consistenti, come detto, non solo nel programmare in modo dettagliato i due delitti, ma anche nel dotarsi degli strumenti ritenuti necessari per la loro consumazione, nel compiere un sopralluogo per verificarne la fattibilita', e infine nell'appostarsi presso la casa delle vittime in attesa del momento opportuno per entrare in azione, costituiscono degli atti idonei ed univocamente diretti alla commissione dei delitti stessi. In particolare e' corretta la valutazione circa la sussistenza, oltre alla idoneita' degli atti, anche della loro univocita', con il superamento della fase meramente preparatoria dei due delitti, il cui obiettivo era stato indicato con certezza dai tre imputati nei messaggi telefonici scambiati nei giorni precedenti, avendo essi dato inizio alla loro esecuzione nella notte del loro arresto. 2.3. E' infine logica e corretta l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, fondata sui medesimi elementi, della sussistenza in tutti gli imputati del dolo di entrambi i delitti, in quanto la volonta' di rapire la ragazza e quella di ucciderne i genitori era stata manifestata apertamente nei predetti messaggi telefonici. 3. Sono infondati i motivi proposti dal ricorrente (OMISSIS) relativamente alla sussistenza, in lui, del necessario dolo. Come sottolineato alle pagine 13 e 14 della sentenza impugnata, i messaggi telefonici rinvenuti sul suo telefono e su quello del (OMISSIS) dimostrano che egli era a conoscenza del progetto di commettere i delitti di sequestro di persona e di omicidio in danno della famiglia (OMISSIS), era a conoscenza del piano nei suoi particolari, compreso il fatto che il suo compito era quello di uccidere i genitori della ragazza, e non ha mai fatto venir meno la sua adesione, recandosi anzi sul luogo previsto sia nella notte del (OMISSIS) sia nella notte precedente. E' quindi corretta la conclusione dei giudici di appello, secondo cui egli ha partecipato all'azione con il grado di consapevolezza consentito dal suo vizio parziale di mente, che secondo il perito non ha eliminato la sua coscienza e la sua volonta'. Infatti le sue giustificazioni in merito alla presenza sull'auto, nella notte dell'arresto, sono risultate del tutto false, come sottolineato nella sentenza di primo grado, e quindi egli non ha fornito alcuna credibile versione alternativa che spiegasse per quale motivo si trovasse in compagnia dei due complici, di notte, in una citta' distante da quella di sua residenza. E' manifestamente infondata l'affermazione, contenuta nel secondo motivo del suo ricorso, secondo cui il piano elaborato dal (OMISSIS) era cosi' improbabile e fantasioso che potrebbe non essere stato preso sul serio dal (OMISSIS): l'imputato non ha mai fornito una simile tesi difensiva, come risulta dalle sue dichiarazioni riportate nella sentenza di primo grado, e peraltro gli amici del (OMISSIS) avevano creduto alla serieta' del suo proposito, dal momento che il (OMISSIS) avverti' la giovane (OMISSIS) dell'intenzione dell'imputato di rapirla, evidentemente perche' aveva ritenuto concreto tale pericolo. 4. Il sesto motivo del ricorso proposto dal (OMISSIS) e' inammissibile perche' manifestamente infondato. La sussistenza anche a suo carico dell'elemento soggettivo della contravvenzione di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 4 e' stata adeguatamente valutata nella sentenza impugnata, e ritenuta dimostrata dal rinvenimento del bastone con punta acuminata sul sedile da lui occupato. Tale circostanza dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che egli era consapevole di portare con se' quell'arma, la cui astratta idoneita' per cagionare la morte, ritenuta dai giudici di merito, e' stata gia' sopra confermata. La sentenza ha anche dedotto che egli, avendo aderito al piano criminoso del (OMISSIS), ed avendo da lui ricevuto il compito di uccidere i genitori della ragazza, aveva motivo di ritenere che questi avesse procurato tutti gli strumenti necessari per attuarlo: tale deduzione e' logica e corretta in quanto fondata su elementi oggettivi, che dimostrano sufficientemente la sussistenza della responsabilita' di questo imputato anche per il reato di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 4. 5. Il primo e il secondo motivo del ricorso dell'imputato (OMISSIS) sono infondati anche nella parte in cui egli ha negato la sussistenza del reato di cui all'articolo 612-bis c.p., nei suoi elementi oggettivo e soggettivo. La sentenza impugnata e' adeguatamente motivata in ordine ad entrambi gli elementi, avendo valutato credibile la denuncia della vittima, che ha descritto sia il proprio stato di timore nei confronti del (OMISSIS), per le sue persecuzioni e per le intenzioni criminose che gli erano state riferite dal (OMISSIS), sia il cambiamento delle proprie abitudini di vita, indotto dalla condotta dell'ex-fidanzato. Ha sottolineato che tale denuncia e' stata riscontrata dal teste (OMISSIS), sia in merito alle intenzioni delittuose manifestate dal (OMISSIS), sia in merito alla sua condotta ossessiva, finalizzata ad imporre alla ragazza la ripresa del rapporto affettivo, anche dopo che ella aveva iniziato una relazione con un altro ragazzo. La Corte di appello, alla pag. 11 della sentenza, ha risposto in maniera logica anche alla obiezione, formulata nell'atto di appello, circa l'apparente permanenza di una relazione affettiva tra l'imputato e la vittima, desunta da un'affermazione del predetto testimone. Il ricorrente ha riproposto la medesima obiezione nel presente ricorso, senza confrontarsi con tale motivazione laddove questa ha valutato vessatorie, e percio' illecite, le condotte del (OMISSIS), anche qualora egli "avesse dovuto confrontarsi con le indecisioni della ragazza". 6. Sono infine infondati tutti i motivi relativi al trattamento sanzionatorio. La Corte di appello ha adeguatamente e non illogicamente motivato le ragioni dell'applicazione di una pena-base di poco superiore al minimo edittale e degli aumenti per i reati uniti in continuazione: tutte le pene sono molto contenute e congrue alla luce della gravita' dei delitti progettati, della pluralita' delle vittime, del grado di inizio di esecuzione di tali reati, della pericolosita' degli imputati. E' adeguatamente motivata anche l'omessa concessione delle attenuanti generiche al (OMISSIS), il cui ruolo di leader del gruppo criminale viene correttamente dedotto, dai giudici di merito, dalle chat: infatti proviene da lui sia l'ideazione del complessivo progetto criminoso, sia il mantenimento dei contatti con i complici, sia l'assegnazione a costoro di distinti ruoli, sia la individuazione della data in cui agire. Questo ricorrente contesta l'affermazione della Corte di appello circa la insussistenza di elementi positivamente valutabili ai fini della concessione di tali attenuanti, ma nel ricorso prospetta elementi non provati o gia' esclusi dai giudici di merito: la sua condotta processuale non e' stata pienamente collaborativa, avendo egli cercato di sminuire la propria responsabilita' attribuendo al (OMISSIS) il progetto di uccidere i genitori; la sua incensuratezza non e' idonea per dimostrare una personalita' aliena da inclinazioni delinquenziali, alla luce della valutazione di pericolosita' sociale espressa dal perito; l'asserito soddisfacimento della parte civile e' del tutto indimostrato, ed appare smentito dalla permanenza di questa nel processo. Il diverso trattamento riservato, sul punto, ai due coimputati e' stato poi motivato in modo non illogico, indicando la ben maggiore collaborazione fornita dal (OMISSIS) e il ruolo "piu' defilato" del (OMISSIS). Quest'ultima affermazione, contenuta alla pag. 19 della sentenza di primo grado, dimostra anche la infondatezza del settimo motivo di ricorso di quest'ultimo imputato, laddove egli ha censurato l'omessa valorizzazione della minima importanza del suo contributo, essendo stata tale circostanza riconosciuta con la concessione delle predette attenuanti. 7. Sulla base delle considerazioni che precedono, tutti i ricorsi devono pertanto essere respinti. Al loro rigetto fa seguito la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle proprie spese processuali e al rimborso delle spese sostenute dalle parti civili, liquidate, per questa fase, come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), difesi dall'avvocato (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4.800,00, oltre accessori di legge, e dalla parte civile (OMISSIS), difesa dall'avvocato (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria T. - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 18/03/2022 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. udito il difensore, l'avvocato (OMISSIS), che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per quanto riguarda l'aggravante; l'annullamento con rinvio per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, riportandosi ai motivi di ricorso ed insistendo per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Torino, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione del GIP del Tribunale di Asti del 16.6.2020, resa all'esito di giudizio abbreviato, con cui (OMISSIS) e' stata condannata alla pena di mesi dieci di reclusione in relazione al delitto di atti persecutori commesso nei confronti del padre, del fratello e della sorella (oltre che del nipote), minacciati (anche gravemente di morte) e molestati quotidianamente una volta che l'imputata si era stabilita abusivamente nel condominio ove era ubicata l'abitazione dei familiari, bivaccando ed affrontandoli urlando e inveendo continuamente contro di loro, provocando stati d'ansia nei parenti e costringendoli anche a modificare la loro vita (in particolare, il fratello (OMISSIS) si e' stabilito dalla compagna; l'anziano padre per un periodo e' stato costretto ad abitare in un hotel). 2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso l'imputata, tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi distinti. 2.1. La prima ragione difensiva denuncia violazione di legge e vizio di motivazione carente in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di stalking. La tesi difensiva e' che la ricorrente non abbia "voluto" provocare gli eventi del reato di cui all'articolo 612-bis c.p. ma, con il suo comportamento, intendesse soltanto costringere i familiari a riammetterla in casa del padre, da dove si era allontanata volontariamente anni prima, poiche' priva di dimora e di mezzi di sostentamento; a tal proposito, si contesta la correttezza dell'orientamento giurisprudenziale dominante secondo cui il dolo abbraccerebbe, nel delitto in esame, non l'aspetto volitivo della condotta ma solo quello cognitivo (la volonta' sarebbe necessaria per la realizzazione delle condotte, con la consapevolezza della loro idoneita' alla produzione di uno degli eventi del reato, senza che occorra una rappresentazione anticipata del risultato finale). Ma il coefficiente soggettivo mancherebbe anche a voler seguire la giurisprudenza della Cassazione in tema di coefficiente soggettivo, poiche' la ricorrente non puo' dirsi che abbia avuto consapevolezza dell'idoneita' delle proprie azioni a provocare gli eventi del reato descritti in sentenza, considerate le sue condizioni psico-fisiche compromesse. 2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge penale in ordine alla mancata esclusione dell'aggravante di "aver agito in danno del padre e dei fratelli, persone con le quali vi era stata una relazione affettiva", relazione che non e' possibile desumere dal mero rapporto di parentela, come invece ha fatto la Corte d'Appello, occorrendo piuttosto "un legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione" (si cita la sentenza n. 11920 del 2018), ovvero una "stabile condivisione della vita comune": l'imputata aveva lasciato la casa dei genitori quando aveva 18 anni ed era ritornata dopo 30 anni per chiedere al padre di riprenderla in casa, ma aveva ottenuto solo temporanea ospitalita'; era stata, quindi, allontanata e si era sostanzialmente "accampata" sul pianerottolo dell'appartamento familiare. L'interruzione della relazione affettiva, anche a voler ammettere l'esistenza di tale relazione nel periodo in cui la ricorrente, minorenne, abitava nella casa di famiglia, e' troppo risalente per poter dire che sia in collegamento con il reato, magari per la genesi dovuta alla cessazione del rapporto. La Corte d'Appello ha basato erroneamente, pertanto, la sussistenza dell'aggravante nella sola esistenza del legame genitoriale e fraterno, idonei di per se' a ingenerare aspettative di tutela e protezione, nonche' a costituire fonte di solidarieta' sancita ex lege, determinando oneri e obbligazioni assistenziali, agganciando, peraltro, la sua concreta verifica alla temporanea ospitalita' ricevuta dalla ricorrente in casa del padre. La difesa evidenzia come anche (‘esegesi letterale della disposizione di cui all'articolo 612-bis c.p. contrasti con l'interpretazione adottata dai giudici di secondo grado: la norma stabilisce l'inasprimento di pena per l'aggravante al comma 2, sancendo che si ha aggravamento se il fatto e' commesso "dal coniuge anche se separato o divorziato, o da persona che e' stata legata da relazione affettiva alla persona offesa", sicche' e' evidente che solo per il coniuge, ancorche' separato o divorziato, il legislatore aggancia l'aggravante alla qualita', indipendentemente dalla prova dell'esistenza di una relazione affettiva attuale o passata tra l'autore del reato e la vittima, mentre in tutti gli altri casi (compresi i rapporti familiari padre-figlio e fratello-sorella) tale prova e' necessaria. La relazione affettiva e' basata sull'affetto, appunto, sulla natura del rapporto personale, e non sulla legge, che prevede obblighi derivanti da rapporti di parentela scollegati da qualsiasi relazione affettiva (si cita la sentenza n. 9406 del 2022, n. m.). Infine, anche la motivazione della sentenza impugnata che legge nel "ritorno a casa" della ricorrente un sintomo dell'esistenza della relazione affettiva evidenzia una manifesta illogicita', poiche' invece l'imputata, chiedendo ospitalita' al padre, intendeva solo richiamare i familiari ai doveri di solidarieta' ed assistenza imposti dal codice civile ai parenti piu' stretti, ma non certo invocare un inesistente rapporto affettivo. Si chiede, pertanto, l'annullamento, quantomeno con rinvio della sentenza impugnata, avuto riguardo alla sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 612-bis, comma 2, c.p., affinche' venga riesaminata la questione relativa alla sussistenza attuale o pregressa di un rapporto affettivo tra l'imputata e le persone offese. 2.3. La terza ragione di ricorso denuncia violazione di legge chiedendo una diversa interpretazione dell'espressione "relazione affettiva" utilizzata dall'aggravante descritta dal comma 2 dell'articolo 612-bis c.p.: non gia' qualsiasi rapporto affettivo ma solo quello derivante da una relazione sentimentale simile al coniugio, cui viene, non a caso, normativamente abbinato; data la radicale diversita' tra le relazioni sentimentali e l'affettivita' parentale (anche in caso di "rottura" dei rapporti, che pervade la ratio incriminatrice). 2.4. Un ultimo motivo la ricorrente lamenta l'eccessivo rigore della risposta sanzionatoria, rispetto alla minima gravita' dei fatti ed alle sue condizioni psicologiche, che soffrirebbe di complessi di inferiorita' e manie di persecuzione quantomeno. 3. Il Sostituto Procuratore Generale Pasquale Serrao d'Aquino ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato, limitatamente al profilo della sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 612-bis, comma 2, c.p.. 2. Il primo motivo e' inammissibile in quanto manifestamente infondato. Il ricorrente fa leva sul movente che ha ispirato la sua condotta, per escludere la sussistenza dell'elemento psicologico del delitto di atti persecutori in relazione a cui e' stato condannato, cosi' confondendo due elementi diversi del reato, dei quali solo il dolo configura una parte della tipicita' normativa. La tesi difensiva, infatti, come si e' anticipato, e' che la ricorrente non abbia "voluto" provocare gli eventi del reato di cui all'articolo 612-bis c.p. ma, con il suo comportamento, intendesse soltanto costringere i familiari a riammetterla in casa del padre, da dove si era allontanata volontariamente anni prima, ed a darle soccorso, poiche' priva di dimora e di mezzi di sostentamento. Evidente e' l'equivoco in cui incorre la prospettiva del ricorso e la contrarieta' della prospettazione difensiva all'orientamento ermeneutico dominante, che il Collegio intende ribadire, con un ulteriore, necessaria precisazione. La giurisprudenza di legittimita', infatti, ha da tempo evidenziato, in maniera assolutamente unanime (cfr., ex multis Sez. 5, n. 18999 del 19/2/2014, C., Rv. 260411; Sez. 5, n. 43085 del 24/9/2015, A., Rv. 265230; Sez. 1, n. 28682 del 25/9/2020, S., Rv. 279726; nonche' Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, dep. 2022, Rv. 282768), che l'elemento soggettivo del delitto di atti persecutori e' integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volonta' di porre in essere piu' condotte di minaccia e molestia (nelle quali si risolve l'oggettivita' tipica), nella consapevolezza della loro idoneita' a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualita' del proprio agire. Si e', altresi', precisato come, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, il dolo suddetto deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se puo' realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi nei quali si sostanza il reato abituale; detto altrimenti, il dolo generico del delitto di stalking non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicita' normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (cfr., tra le sentenze richiamate, in particolare Sez. 5, n. 43085 del 24/9/2015, A., Rv. 265230). Se la preordinazione delle condotte di reato progressive non e' prevista sul fronte della tipicita' normativa, ancor meno rientra nella tipicita' del delitto previsto dall'articolo 612-bis c.p. il movente che ha solo "spinto" l'autore del delitto abituale a realizzare la sequenza di azioni dal contenuto complessivamente persecutorio. La presenza di una finalita' o di un obiettivo che si prefigga l'autore del reato, piu' o meno percepibili, non modifica il fulcro della volonta' delittuosa, racchiuso unicamente nella determinazione (il dolo generico) a realizzare piu' condotte di minaccia e molestia, con la consapevolezza della loro capacita' di causare uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualita' del proprio agire. 2.1. Quanto all'obiezione relativa alla mancanza di consapevolezza, nella ricorrente, dell'idoneita' delle proprie azioni a provocare gli eventi del reato descritti in sentenza, in considerazione delle sue condizioni psico-fisiche compromesse, si tratta di un'affermazione apodittica da parte della difesa, sia con riguardo alla stessa consistenza di deficit psichico lamentato, sia se si considera l'immediata percepibilita' del disvalore di condotte del genere di quelle poste in essere dall'imputata (urla, aggressioni verbali, molestie plurime e quotidiane, praticamente all'uscio dell'abitazione delle vittime). Di qui l'inammissibilita' del motivo di censura, anche qualora volessero leggersi i denunciati vizi di violazione di legge e di motivazione nel senso coerente alla giurisprudenza di legittimita' consolidata sulla natura generica del dolo del reato. 3. Il secondo motivo di ricorso e', invece, fondato. La difesa denuncia che la Corte d'Appello abbia basato erroneamente la prova della sussistenza dell'aggravante nella sola esistenza del legame genitoriale e fraterno tra imputata e vittime, ritenendo che tale legame sarebbe idoneo, di per se', ad ingenerare aspettative di tutela e protezione, nonche' a costituire fonte di solidarieta' sancita ex lege, determinando oneri e obbligazioni assistenziali, agganciando, peraltro, la sua concreta verifica alla temporanea ospitalita' ricevuta dalla ricorrente in casa del padre. La tesi prospettata con l'eccezione in esame centra un punto di effettiva, manifesta illogicita' della sentenza impugnata, svelandone il vizio di motivazione, con riferimento alla prova della sussistenza di quella relazione affettiva che il comma 2 dell'articolo 612-bis c.p. individua come presupposto integrativo dell'aggravamento di pena, quando il fatto non sia commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, riguardo al quale - invece - il legislatore presume l'esistenza di quella relazione di fiducia che proviene dalla vissuta stabilita' di affetti, ancorche' il rapporto coniugale sia cessato ovvero interrotto dalla separazione. Evidentemente, la relazione affettiva che leghi autore del reato e vittima, richiamata dalla previsione aggravatrice, deve essere verificata in concreto, mediante la prova di elementi di fatto sintomatici della sua esistenza (che possono essere i piu' vari). Cosi' come pure deve ritenersi che, ai fini della configurabilita' della circostanza aggravante di cui all'articolo 612-bis, comma 2, c.p., sebbene il concetto di "relazione affettiva" tra autore del reato e vittima - che fonda la ragione di aggravamento del disvalore della condotta e, conseguentemente, della sanzione - non debba intendersi necessariamente soltanto come "stabile condivisione della vita comune", tuttavia detto concetto evoca, quantomeno, un legame connotato da un rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione (cfr. Sez. 3, n. 11920 del 9/1/2018, B., Rv. 272383), poiche' e' proprio l'abuso o l'approfittamento di tale legame di fiducia a costituire fondamento della ratio normativa. 3.1. Orbene, nel caso di specie, come ha correttamente sottolineato il ricorso, la Corte d'Appello, con una laconica motivazione, ha abbinato erroneamente - mediante un argomento logico astratto e frutto di presunzioni - la prova della sussistenza della necessaria "relazione affettiva" tra l'imputata ed i suoi parenti/vittime al rapporto di parentela ed al "diritto naturale", da cui scaturirebbe, inevitabilmente, la configurabilita' di quella relazione di fiducia, il cui abuso si pone alla radice della ratio di aggravamento della disposizione in esame. Si tratta di una prospettiva interpretativa erronea poiche', come si e' gia' evidenziato, si basa su presunzioni logiche dedotte dai legami parentali e abbandona l'asse di verifica concreta del presupposto dell'esistenza della relazione affettiva, che, invece, costituisce l'unico parametro idoneo a valutare la sussistenza o meno dell'aggravante, nelle ipotesi diverse da quelle nelle quali l'autore dello stalking sia il coniuge, sia pur divorziato o separato. Nel caso di specie, l'abbandono di ogni rapporto con la famiglia di origine, da parte della ricorrente, per un periodo lunghissimo di oltre trent'anni, depone, anzi, fortemente, nel senso di evidenziare una vera e propria cesura di qualsiasi relazione affettiva-familiare di sorta, ancorche' pregressa e su cui, comunque, la Corte d'Appello non spende un solo argomento. L'elemento sintomatico dell'esistenza di tale relazione affettiva, infatti, e' stato rintracciato, dalla sentenza impugnata, nell'intenzione dell'imputata di avvalersi di quel rapporto di fiducia insito nel legame parentale, chiedendo ospitalita' alla famiglia d'origine, da cui si era distaccata per decenni; ma e' evidente il vizio logico in cui incorre la motivazione dei giudici di secondo grado anche in tal caso, poiche' tale richiesta di ospitalita', non accolta se non per un brevissimo periodo, tanto che l'imputata "si e' accampata", successivamente, sul pianerottolo antistante l'appartamento del padre ed ha cominciato la sua campagna persecutoria, dimostra proprio che nessuna relazione affettiva poteva ritenersi instaurata tout court tra i protagonisti della vicenda e giammai puo' essere ritenuta un indicatore della sua sussistenza. 3.2. Dai riscontrati vizi interpretativi e motivazionali della sentenza impugnata, pertanto, emergono elementi che impongono l'annullamento senza rinvio del provvedimento d'appello, limitatamente alla sussistenza dell'aggravante della relazione affettiva tra autrice del reato di atti persecutori e vittime (articolo 612-bis, comma 2, c.p.), con conseguente necessita' di rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Torino per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio (cui non puo' procedere il Collegio, stante la mancanza di elementi motivazionali dai quali desumere la misura dell'aumento sanzionatorio dovuto all'operare dell'aggravante in esame). Non rileva che il giudizio di bilanciamento tra circostanze opposte sia stato giudicato prevalente in favore delle attenuanti generiche concesse all'imputata, poiche' il mutato disvalore complessivo del fatto, cui concorrono le circostanze aggravanti (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 24622 del 9/5/2022, Jerradi Noureddine, Rv, 283259, in motivazione, sebbene il Collegio non ignori che vi sia una tesi differente nella giurisprudenza di legittimita', in proposito, che propende per l'inammissibilita' del ricorso che punti a contestare un'aggravante dichiarata subvalente nel bilanciamento con circostanze attenuanti), puo' incidere sull'entita' della sanzione base che, nel caso della ricorrente, e' stata determinata complessivamente per il reato gia' aggravato. L'esclusione dell'interesse all'impugnazione statuito da Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202269 - secondo cui la facolta' di attivare i procedimenti di gravame non e' assoluta e indiscriminata, ma e' subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell'impugnante e l'eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso - si riconnette, invero, all'assenza di qualsiasi profilo di concretezza della pretesa sottesa all'impugnazione, ma le stesse Sezioni unite non mancano di riconoscere detto interesse in "presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell'impugnante"; una simile lesione e' ravvisabile nel riconoscimento di una circostanza aggravante che abbia modificato in peius il disvalore del fatto (cosi' come nel riconoscimento della recidiva, ancorche' subvalente rispetto alle attenuanti, come nel caso della richiamata sentenza n. 24622 del 2022). 3.3. Deve rilevarsi, infine, che, alla luce dell'insussistenza della prova della relazione affettiva prevista come aggravante dall'articolo 612-bis, comma 2, c.p., non e' necessario affrontare il terzo motivo di ricorso, afferente alla questione dell'astratta possibilita' di configurare la "relazione affettiva" prevista come aggravante dal comma 2 dell'articolo 612-bis c.p. in relazione a qualsiasi rapporto sentimentale, anche parentale del tipo "padre-figlio" o "sorella-fratello" (ma potrebbe estendersi il problema interpretativo anche alle relazioni affettive amicali), ovvero solo a quelli di ordine "paraconiugale", da "relazione sentimentale di coppia" e non derivanti da affettivita' parentale. 4. Deve essere disposto, altresi', che siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla ritenuta circostanza aggravante, che esclude. Annulla la medesima sentenza quanto al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Torino. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 del Decreto Legislativo n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - rel. Consigliere Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 05/04/2022 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FILIPPO CASA; letta la requisitoria, inviata in forma scritta ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, e succ. mod., con la quale il Sostituto Procuratore generale Dr. LOY MARIA FRANCESCA, ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rigetto, nel resto, del ricorso; lette conclusioni e nota spese dell'avv. (OMISSIS), difensore della parte civile (OMISSIS); letta la memoria dell'avv. (OMISSIS), difensore del ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza emessa il 20 ottobre 2017, il Tribunale di Aosta assolveva (OMISSIS) dal reato di cui all'articolo 612 c.p., comma 2 e articolo 339 c.p., in quanto, esclusa l'aggravante dell'uso di arma impropria, il reato doveva considerarsi estinto per condotta riparatoria ex articolo 162-ter c.p.. 2. In accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino, la Corte di cassazione (sez. 5, n. 10390/2019) annullava con rinvio la suddetta sentenza, affermando la corretta contestazione dell'aggravante, la cui sussistenza rendeva il reato procedibile d'ufficio, con conseguente inoperativita' articolo 162-ter c.p. La pronuncia rescindente, esclusa la natura predibattimentale della sentenza impugnata, individuava il giudice competente per il nuovo giudizio nella Corte di appello di Torino. 3. Con la sentenza in epigrafe, quest'ultima Corte territoriale, in sede di rinvio, dichiarava (OMISSIS) responsabile, anche ai fini civili, di due episodi di minaccia aggravata in danno del condomino (OMISSIS) e lo condannava alla pena di 600,00 Euro di multa. 3.1. L'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato si basava sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa e da quelle provenienti dai testimoni (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). In base alla ricostruzione dei fatti operata in sede di merito, in particolare, risultava che il (OMISSIS) (OMISSIS) avesse minacciato (OMISSIS), pronunciando la frase "l'hai finita con questo amministratore... che ti do' due coltellate...a te e all'amministratore" (la persona offesa, infatti, si era rivolta ripetutamente all'amministratore del condominio per segnalare che (OMISSIS) aveva danneggiato la porta d'accesso al piano terra senza provvedere a ripararla). In seguito, il (OMISSIS), nel piazzale al piano terra del condominio, (OMISSIS) aveva minacciato nuovamente di morte la persona offesa, brandendo un'asta di metallo, con la quale cerco' di colpirla; (OMISSIS), tuttavia, riusci' a scansare i colpi e sferro' un pugno al condomino, allo scopo di difendersi. 3.2.. In relazione al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale, considerato l'avvenuto risarcimento del danno da parte dell'imputato, concedeva le circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante di aver utilizzato un'arma impropria, riconosceva il vincolo della continuazione fra i due episodi delittuosi e, individuato il fatto piu' grave nell'episodio del (OMISSIS), fissava la pena base in 500,00 Euro di multa, aumentata ex articolo 81 cpv. c.p. a 600,00 Euro di multa. 4. Ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, a mezzo del difensore, sviluppando i seguenti tre motivi. 4.1. Vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), per violazione del principio della presunzione di innocenza e del diritto al doppio grado di merito, nonche' per inosservanza degli articoli 469 e 484 c.p.p., articolo 569 c.p.p., comma 4 e articolo 623 c.p.p. in ordine al giudice competente per il rinvio. Il ricorrente denuncia la violazione del suo diritto di difesa, in quanto la celebrazione del giudizio di merito innanzi alla Corte d'appello di Torino gli avrebbe impedito di scegliere un rito alternativo e di procedere ad un'eventuale impugnazione per ottenere un secondo esame nel merito della decisione. La difesa censura, in particolare, l'ordinanza del 29 giugno 2021, con la quale la Corte territoriale aveva rigettato l'eccezione di incompetenza dedotta, negando la natura predibattimentale della sentenza emessa dal Tribunale di Aosta e qualificando il ricorso immediato per cassazione come ricorso per saltum (con rinvio al giudice competente per l'appello in caso di accoglimento), anziche' riconoscere la natura predibattimentale di quella decisione, in quanto resa dopo la costituzione delle parti e prima dell'apertura del dibattimento, come tale inappellabile ai sensi dell'articolo 469 c.p.p. e suscettibile di essere impugnata con ricorso per cassazione "ordinario" (con la conseguenza che, in caso di accoglimento del ricorso, avrebbe dovuto essere disposto il rinvio al giudice di primo grado e non al giudice d'appello). Si chiede, pertanto, in conclusione, che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio e che gli atti siano trasmessi al Tribunale di Aosta per un nuovo giudizio. 4.2. Erronea applicazione dell'articolo 612 c.p., comma 2. Ad avviso della difesa, la condotta contestata a (OMISSIS) non avrebbe sortito alcun effetto intimidatorio, come dimostrato dalla pronta reazione palesata dalla persona offesa nell'episodio del (OMISSIS), quando colpi' l'imputato con un pugno al volto facendolo cadere a terra. Peraltro, a favore della mancata capacita' intimidatoria delle parole e dell'atteggiamento del ricorrente deponevano anche la diversita' delle caratteristiche fisiche e la differenza di eta' tra i due litiganti, atteso che (OMISSIS) e (OMISSIS), al momento dei fatti, avevano, rispettivamente, 68 e 41 anni. La persona offesa, inoltre, sarebbe stata pienamente in grado di compiere una scelta alternativa lecita, poiche', sempre nell'episodio occorso il (OMISSIS), una volta accortasi dell'asta di ferro in mano a (OMISSIS), avrebbe potuto allontanarsi dal posto invece di avvicinarsi consapevolmente all'imputato. Alla luce di tali elementi, i giudici del merito non avrebbero dovuto dichiarare il ricorrente responsabile del reato di minaccia aggravata e, pertanto, sul punto, la sentenza avrebbe dovuto essere annullata senza rinvio. 4.3. Erronea applicazione dell'articolo 62 c.p., comma 1, n. 6), e mancanza di motivazione in ordine al diniego della circostanza attenuante comune dell'avvenuto risarcimento del danno. La Corte territoriale aveva valorizzato l'avvenuto risarcimento del danno al solo fine di riconoscere le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto all'aggravante, omettendo di considerare che la persona offesa si era detta soddisfatta per la somma ricevuta e che, peraltro, il ricorrente aveva versato la somma complessiva di 1.000,00 Euro, nonostante la condotta contestatagli non avesse prodotto alcuna effettiva conseguenza dannosa nella vittima. Per tali ragioni, la difesa chiede l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata e la riduzione di un terzo della pena inflitta. 5. Nella sua requisitoria, fatta pervenire in forma scritta ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, e succ. mod., il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio. 6. L'avv. (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente, ha trasmesso memoria difensiva a mezzo PEC, inviata il 22 dicembre 2022. 7. L'avv. (OMISSIS), nell'interesse della parte civile (OMISSIS), in data 12 gennaio 2023 ha trasmesso, con la stessa modalita', conclusioni e nota spese. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso va rigettato, perche', nel complesso, infondato. 1.1. Quanto al primo motivo, va richiamata, in quanto pertinente al caso di specie, la decisione del Supremo Consesso, con la quale e' stato affermato il principio - che qui si ribadisce - secondo cui la sentenza di proscioglimento, pronunciata nella udienza pubblica dopo la costituzione delle parti, non e' riconducibile al modello di cui all'articolo 469 c.p.p. ed e' appellabile nei limiti indicati dalla legge (Sez. U, Ord. n. 3512 del 28/10/2021, dep. 31/1/2022, P.M. in proc. Lafleur, Rv. 282473: in motivazione, si e' precisato che la sentenza predibattimentale e' esclusivamente quella pronunciata fino al compimento delle formalita' previste dall'articolo 484 c.p.p. nell'ambito dell'udienza camerale appositamente fissata). La sentenza rescindente emessa, in relazione alla vicenda in esame, dalla Quinta Sezione di questa Corte (n. 10390/19), ha espresso una linea esegetica conforme a quella in seguito affermata dalle Sezioni Unite nel senso prima riportato, osservando che la decisione del Tribunale di Aosta era stata assunta ai sensi dell'articolo 531 c.p.p., in pubblica udienza, dopo la costituzione delle parti, sicche' non poteva che essere qualificata alla stregua di una sentenza "dibattimentale", soggetta, come tale, al relativo regime processuale. Soprattutto alla luce della definitiva e risolutiva parola pronunciata sulla questione dal Massimo organo nomofilattico, non vi e' piu' spazio per ulteriori controversie ad essa relative, sicche' non puo' che reputarsi infondato il primo motivo di ricorso, con il quale si insiste nel voler rimettere in discussione la natura (per il ricorrente predibattimentale) della citata sentenza del Tribunale di Aosta. 1.2. Il secondo motivo sviluppa censure non deducibili in sede di legittimita', in quanto prospetta una non consentita rivisitazione delle emergenze processuali in senso favorevole al ricorrente e in punto di fatto. 1.3. Venendo al terzo motivo, giova rammentare che il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare di ufficio i benefici di legge e una o piu' circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non puo' costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, se l'effettivo espletamento del medesimo potere-dovere non sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna la prima volta in appello, neppure con le conclusioni subordinate proposte dall'imputato nel giudizio di primo grado (Sez. 4, n. 29538 del 28/5/2019, Calcinoni, Rv. 276596). In applicazione del richiamato e condiviso principio al caso di specie, rileva il Collegio che, in sede di conclusioni rassegnate davanti alla Corte di appello di Torino, il difensore dell'imputato risulta aver chiesto l'assoluzione e, in subordine, il minimo della pena, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: non risultando richiesto (anche) il riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6), il giudice del gravame non era onerato della relativa motivazione, sicche' la dedotta omissione non puo' costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione. 2. Per le esposte considerazioni, il ricorso va rigettato, dal che consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile costituita (OMISSIS), che si liquidano in Euro 3.420,00, oltre agli accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile costituita (OMISSIS), che liquida in Euro 3.420,00, oltre agli accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. NOVIK Adet Toni - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nata in (OMISSIS); avverso la sentenza del 4/7/2022 del Tribunale di Vercelli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta dal consigliere Dr. Enrico Mengoni; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Costantini Francesca, che ha chiesto dichiarare inammissibili i ricorsi; lette le conclusioni dei difensori dei ricorrenti, Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 4/7/2022, il Tribunale di Vercelli dichiarava (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli delle contravvenzioni di cui all'articolo 110 c.p., Decreto Legislativo n. 3 aprile 2006, n. 152, articolo 256, comma 1, lettera a), articolo 674 c.p., e li condannava ciascuno alla pena di 2538 Euro di ammenda. 2. Propongono congiunto ricorso per cassazione i due imputati, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi: - erronea applicazione degli articoli 192 e 533 c.p.p., con riguardo al reato di cui al capo A). Il Tribunale avrebbe affermato la responsabilita' dei ricorrenti in presenza di meri indizi, peraltro privi dei caratteri di gravita', precisione e concordanza; la decisione, inoltre, non terrebbe conto di elementi oggettivi, e favorevoli, emersi nel corso del giudizio, come la sentenza del Tribunale civile di Vercelli che avrebbe attestato la mancanza di prova quanto all'utilizzo di olio - ad opera degli imputati - nelle annualita' dal 2014 al 2017. Ancora, il Giudice non avrebbe valorizzato la consegna al personale ARPA dei formulari di identificazione rifiuti, relativi allo smaltimento dei rifiuti oleari dal 28/2/2016 al 4/4/2019; cio', peraltro, escluderebbe anche il profilo soggettivo del reato, non emergendo alcun vantaggio dall'eventuale attivita' illecita, dato il contratto in corso. La sentenza, inoltre, non avrebbe esaminato la tesi alternativa proposta dai ricorrenti, ossia lo sversamento dell'olio esausto da parte di altri ed ignoti soggetti interni al condominio. Conclusivamente, nessun elemento testimoniale o documentale condurrebbe la massa solida rinvenuta all'attivita' degli imputati, che, dunque, avrebbero dovuto essere assolti, quantomeno ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., comma 2; - le stesse censure, insieme alla contraddittorieta' della motivazione, sono poi mosse quanto alla contravvenzione di cui al capo B). I Tribunale avrebbe riconosciuto il reato di cui all'articolo 674 c.p. soltanto sulla base di alcune prove testimoniali, peraltro rese da soggetti che la stessa sentenza riferisce essere in situazione di conflittualita' con i ricorrenti. Queste dichiarazioni, inoltre, non avrebbero ricevuto alcuna conferma, dato che nessun altro avrebbe sostenuto che le esalazioni si sarebbero propagate negli appartamenti delle parti civili, e non solo nell'androne o sotto il porticato. Nessun elemento, dunque, proverebbe la consumazione del reato, e la motivazione al riguardo sarebbe palesemente viziata; - erronea applicazione dell'articolo 110 c.p., omessa motivazione. La sentenza avrebbe addebitato i fatti indistintamente ad entrambi i ricorrenti, a titolo di concorso, senza alcun elemento di riscontro e a titolo di responsabilita' oggettiva; non avrebbe considerato, inoltre, i differenti ruoli che i coniugi avrebbero ricoperto nel ristorante. Alle stesse condotte, peraltro, potrebbe al piu' essere assegnata una connotazione colposa e, dunque, il vincolo tra i ricorrenti potrebbe essere riconosciuto soltanto a norma dell'articolo 113 c.p., con limitazione di responsabilita'; - inosservanza degli articoli 82 e 523 c.p.p. Il Giudice avrebbe accolto le conclusioni della parte civile sebbene "frettolose e defatigatorie", oltre che oggetto di "una mera ed estemporanea formulazione". Nelle stesse conclusioni, inoltre, non sarebbe stato indicato l'ammontare del risarcimento richiesto, a norma dell'articolo 523 c.p.p., comma 2, cosi' che la costituzione di parte civile avrebbe dovuto intendersi revocata ai sensi dell'articolo 82 c.p.p., comma 2, come affermato anche da questa Corte. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. I ricorsi risultano manifestamente infondati. 4. Con riguardo al primo motivo, che concerne la contravvenzione di cui al capo A), il Tribunale ha redatto una motivazione del tutto solida e adeguata, con la quale ha esaminato con rigore e precisione tutti gli elementi emersi dall'istruttoria, anche quelli sostenuti dai ricorrenti, e ne ha compiuto un'ampia e complessiva lettura, priva di illogicita' manifesta e, dunque, non censurabile in questa sede. 4.1. L'affermazione di responsabilita' - indicata dal Giudice quale unica soluzione logica all'istruttoria compiuta - e' stata infatti preceduta da plurime valutazioni in fatto, cosi' accertandosi che: a) il condominio (OMISSIS) - dal 2015 al 2019 - aveva dovuto ricorrere molte volte a servizi di spurgo delle proprie fognature, finanche con traboccamento delle acque nere nei box di pertinenza; b) era stata rivenuta dagli operanti una consistente quantita' di materiale occludente, solido e pastoso, con una significativa percentuale di olio e grasso; c) un tale effetto doveva ricondursi (pacificamente) ad un'ingente quantita' di olio immessa, nello stesso momento, nella rete fognaria; d) non era verosimile che un tale effetto fosse riconducibile a comportamenti di singoli condomini, dovendosi ipotizzare, altrimenti, che tutti avessero sversato contestualmente molti litri di olio esausto proveniente da uso domestico. Ben piu' verosimile, invece, era che una situazione del genere fosse addebitabile ad un'attivita' non domestica, come quella di ristorazione esercitata dai ricorrenti; unica attivita' imprenditoriale, peraltro, ad utilizzare quel tratto di rete fognaria. 4.2. La sentenza, di seguito, ha preso in esame anche la tesi difensiva dello sversamento da parte di terzi ignoti, ma l'ha respinta in quanto priva di qualunque sostegno istruttorio. Ancora esaminando gli argomenti difensivi, ed in particolare le dichiarazioni degli imputati, il Tribunale ha poi negato fondamento alla versione secondo cui questi avrebbero iniziato a cucinare prodotti ittici soltanto nel giugno 2018; l'istruttoria, infatti, aveva dimostrato che gia' nel 2014 i NAS avevano registrato la mancata attuazione della procedura di raccolta e smaltimento degli olii, pur prevista nel piano di autocontrollo aziendale. 4.3. In senso contrario, peraltro, non possono valere gli argomenti di puro merito che i ricorsi evidenziano, in questa sede neppure valutabili: il riferimento e', ad esempio, alla conclusione di un'apposita convenzione - tra i ricorrenti ed una societa' - finalizzata allo smaltimento degli olii esausti (successiva al tempo di contestazione); alla consegna - il (OMISSIS), ad opera dei ricorrenti - dei FIR relativi al smaltimento degli olii dal 28/6/2016 al 4/4/2019 (che, contrariamente a quanto si legge nei ricorsi, non si pone affatto in contraddizione con il giudizio di responsabilita', risultando evidente comunque il risparmio di spesa derivante da un illecito smaltimento di rifiuti); alla presenza - ancora al (OMISSIS) - di un fusto di 50 litri contenente gli stessi olii (che, nuovamente, non impedisce per logica l'affermazione di colpevolezza quanto al capo A). Il giudizio di responsabilita' sul primo capo, dunque, non merita censura. 5. Alle stesse conclusioni, poi, il Collegio giunge anche con riguardo alla contravvenzione di cui all'articolo 674 c.p.. 5.1 La motivazione del Tribunale, infatti, risulta ancora del tutto congrua e solida, ed i vizi che gli imputati sollevano si traducono in una indebita richiesta di nuova e differente valutazione degli stessi esiti istruttori gia' esaminati nella sentenza. Questa, in particolare, ha fondato il giudizio di colpevolezza sulle dichiarazioni rese da numerosi condomini, univoche nel riferire di odori particolarmente molesti - avvertiti in molti degli appartamenti - riferibili esclusivamente al ristorante gestito dai ricorrenti. 5.2. La sentenza, peraltro, ha dato atto del rapporto di estrema conflittualita' tra questi ultimi ed i condomini, ma - con argomento niente affatto contraddittorio, come invece denunciato - ha ritenuto le dichiarazioni dei secondi comunque sufficienti a fondare un giudizio di responsabilita', specie considerando che le ragioni di attrito originavano proprio dagli effetti negativi del ristorante sul condominio. Ancora, la sentenza ha richiamato ulteriori risultanze, provenienti da testimoni "neutri", i quali avevano riconosciuto la presenza di un forte odore di frittura sotto il porticato e nell'androne condominiale. Il Tribunale, di seguito, ha richiamato anche i verbali di accesso della Asl del 2013 e del 2017, precisando peraltro che, in quelle occasioni, come nelle successive, non era stato compiuto alcun ingresso presso gli appartamenti. Infine, il Giudice ha analiticamente descritto l'impianto di aspirazione e di abbattimento degli odori presente nel ristorante, riscontrando che i ricorrenti non avevano fatto eseguire le necessarie attivita' manutentive, tra le quali il controllo del generatore di ozono e la rigenerazione delle cartucce a carbone attivo. 5.3. In forza di questi obiettivi elementi, che il Collegio non puo' ulteriormente verificare, il Tribunale ha quindi affermato la responsabilita' degli imputati anche per la contravvenzione di quell'articolo 674 c.p., con argomento logico non piu' sindacabile. 6. I ricorsi, ancora, risultano manifestamente infondati anche sul terzo motivo, che - contestando il concorso di cui all'articolo 110 c.p. - evocano, al piu', la cooperazione colposa ex articolo 113 c.p.; la censura non puo' essere accolta. 6.1. La sentenza ha precisato che entrambi i ricorrenti gestivano l'attivita' di ristorazione e che entrambi erano titolari della "ALEN s.n.c. di (OMISSIS) ed (OMISSIS)"; muovendo da tale dato obiettivo, la responsabilita' e' stata dunque correttamente affermata nei confronti di tutti e due gli imputati. Non rileva, in questa sede, un'eventuale, differente attivita' svolta dai due all'interno del ristorante; la questione e' di puro merito, e non e' ammessa di fronte al Giudice di legittimita', ne', peraltro, spiega quali effetti potrebbe produrre con riguardo ai profili contestati con le due contravvenzioni. 6.2. Quanto, poi, al richiamo all'articolo 113 c.p., questo risulta del tutto generico: i ricorsi non indicano neppure un elemento, eventualmente offerto al Tribunale e non valutato, dal quale sia emerso il carattere colposo degli illeciti riscontrati. Carattere, peraltro, che la sentenza ha implicitamente escluso - con argomento adeguato - in forza della reiterazione delle condotte, dunque tenute con piena coscienza e volonta'. 7. Infine, in ordine alle conclusioni della parte civile, il Tribunale ha richiamato la costante giurisprudenza di questa Corte per la quale non si configura l'ipotesi di revoca tacita della costituzione di parte civile per mancata presentazione delle conclusioni, allorche' la parte si richiami alle conclusioni presentate all'atto della costituzione oppure siano verbalizzate le richieste orali relative al risarcimento del danno, alla concessione di provvisionale o alla rifusione delle spese (tra le altre, Sez. 5, n. 34922 del 29/4/2016, Borghi, Rv. 267769; Sez. 5, n. 29675 del 2/5/2016, Carbonelli, Rv. 267385). Questo principio di diritto, peraltro, risulta contestato nei ricorsi in termini del tutto vaghi, dunque inammissibili, sul solo presupposto che "un mero e generico richiamo alla costituzione di parte civile non puo' in alcun modo dirsi minimamente sufficiente a rispettare il dettato normativo." 8. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessan - rel. Consigliere Dott. MICCICHE' Loredana - Consigliere Dott. NOCERA Andrea - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 24/01/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO; udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO D'ANDREA; lette/sentite le conclusioni del PG. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 24 gennaio 2022 la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da (OMISSIS), in relazione alla sofferta restrizione in custodia cautelare in carcere, per complessivi 924 giorni, impostagli dal G.I.P. del Tribunale di Catanzaro con ordinanza del 21 dicembre 2006, poi revocatagli dal Tribunale della Liberta' di Catanzaro con provvedimento del 17 giugno 2009, in ordine ai reati di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso e di estorsione aggravata in concorso. Il (OMISSIS), era stato, poi, assolto dalle indicate imputazioni, per non aver commesso il fatto, con sentenza emessa dal Tribunale di Crotone in data 30 novembre 2011, poi confermata dalla Corte di appello di Catanzaro il 20 luglio 2016, con pronuncia divenuta irrevocabile il 7 gennaio 2017. 2. Per la Corte di appello di Catanzaro, quale giudice della riparazione, la sentenza di merito, pur avendo escluso la sussistenza delle contestate ipotesi delittuose, ha comunque accertato, in esito alle risultanze scaturite dalle cospicue captazioni telefoniche ed ambientali svolte, come vi fossero stati plurimi e perduranti rapporti del (OMISSIS) con appartenenti alla locale cosca di âEuroËœndrangheta facente capo alla famiglia (OMISSIS), svolgendo per essa funzioni esecutive, in particolar modo nel ricoperto ruolo di portiere del "Villaggio (OMISSIS)". Nello specifico, era risultato come il (OMISSIS), fosse stato solito prendere ordini dal (OMISSIS), anche intrattenendo rapporti di solidarieta' con altri affiliati condividendone interessi, assecondandone pretese economiche e ricevendone confidenze - altresi' partecipando alla decisione di estromettere (OMISSIS), dalla gestione del condominio del "Villaggio Praialonga", favorendo la nomina, in sua vece, di (OMISSIS). 3. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, vizio di motivazione e violazione di legge, per avere la Corte di appello negato il suo diritto alla riparazione in assenza di elementi integranti il requisito del dolo o della colpa grave, di rilievo ai sensi dell'articolo 314 c.p.p., non evincibili dalle emergenze presenti nelle sentenze di merito. Il ricorrente contesta la correttezza della motivazione con cui il giudice della riparazione ha escluso il riconoscimento dell'invocato beneficio, in particolar modo evidenziando come gli elementi da cui e' stata desunta la ricorrenza della colpa grave attenessero a dialoghi per lo piu' captati tra altri soggetti, senza valorizzare invece, in termini contrari, la circostanza - su cui il Tribunale del riesame in sede di appello ex articolo 310 c.p.p. aveva disposto la revoca della misura cautelare, e poi i giudici di merito avevano pronunciato l'assoluzione del prevenuto - per cui il (OMISSIS)m aveva escluso che il (OMISSIS), avesse perpetrato nei suoi confronti condotte violente o minatorie. D'altro canto, le conversazioni captate atterrebbero ad aspetti non riguardanti un vincolo solidaristico di tipo associativo, di cui il ricorrente non avrebbe mai avuto contezza, ma si risolverebbero in ordinarie interlocuzioni inerenti alla gestione amministrativa del "Villaggio Praialonga" (di cui il (OMISSIS), aveva anche la proprieta' di un immobile). Il ricorrente, inoltre, non avrebbe mai adottato un linguaggio espressivo della sua vicinanza ad ambienti criminali o comunque riguardante affari illeciti, peraltro relazionandosi a soggetti non sottoposti a condanna per partecipazione ad associazione mafiosa, ovvero aventi un rilevante spessore criminale. Ne', poi, il giudice della riparazione avrebbe valorizzato, nell'ordinanza impugnata, l'apporto collaborativo sin da subito offerto dal (OMISSIS), agli inquirenti, gia' in sede di celebrazione dell'interrogatorio di garanzia. 4. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere accolto, stante la fondatezza della doglianza dedotta. 2. In proposito, infatti, rileva il principio, reiteratamente ribadito da questa Corte di legittimita' (Sez. 4, n. 22103 del 21/03/2019, Longo, Rv. 276091-01; Sez. 4, n. 5452 del 11/01/2019, Raso, Rv. 275021-01; Sez. 4, n. 54042 del 09/11/2018, Longordo, Rv. 274765-01; Sez. 4, n. 22806 del 06/02/2018, Morante, Rv. 272993-01) - in applicazione dell'insegnamento espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, D'Ambrosio, Rv. 247663-01 - per cui, in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, l'aver dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave non opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto, qualora l'accertamento della insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilita' della misura avvenga sulla base di una diversa valutazione dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare; in tale ipotesi, il giudice della riparazione non puo' flemme valutare - nemmeno al diverso fine della eventu'ale riduzione dell'entita' dell'indennizzo - la condotta colposa lieve. Cio', all'evidenza, e' quanto verificatosi nel caso di specie, avendo la Corte di appello espressamente affermato che la revoca della misura custodiale per mancanza di gravita' indiziaria era stata disposta dal Tribunale del riesame in sede di appello ex articolo 310 c.p.p. sulla base dei medesimi elementi sottoposti al giudice della cautela. In simili ipotesi, non vi puo' essere spazio per alcun giudizio relativo al comportamento dell'istante, eventualmente anche lievemente colposo, in quanto viene negata in radice l'efficienza causale della condotta dell'indagato sull'adozione della misura cautelare, da ritenere incompatibile con la riconosciuta autoreferenzialita' dell'errore dell'Autorita' giudiziaria. 3. Ne consegue, pertanto, il necessario annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catanzaro. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Catanzaro per nuovo giudizio.

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