Sentenze recenti condono edilizio

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 864 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sezione VI, n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024, il Cons. Carmelina Addesso e udito per l'appellante l'avv. Gi. Re.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'odierno appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe indicata che ha respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza di demolizione n. 3/2017 avente ad oggetto un locale ad uso cucina delle dimensioni di m. 2,00 x 1,20 e altezza media di m. 2,40. 1.1 Il TAR adito respingeva il ricorso osservando che non poteva sostenersi, in carenza di prova sul punto, che l'opera contestata esistesse già dal 1979, come affermato dal ricorrente. Precisava, inoltre, che le due autorizzazioni edilizie (del 1994 e del 1998), richiamate dal ricorrente a sostegno della legittimità dell'opera, riguardano interventi di mera manutenzione straordinaria, non certo idonei ad assentire la realizzazione di nuovi volumi, e che dalle planimetrie allegate ai predetti titoli si desume solo che il piccolo vano sul terrazzino in questione ha subito nel tempo varie trasformazioni, ma non risulta che sia mai stato rilasciato un titolo edilizio atto a legittimarne l'esistenza. 2. L'appellante chiede la riforma della sentenza sulla base di un unico motivo di appello con cui deduce "Error in iudicando: erroneità della sentenza per illogicità della motivazione. Violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 27 e ss. del d.P.R. n. 380/2001- erronea valutazione e travisamento degli atti e dei fatti - difetto di motivazione e di istruttoria - violazione ed erronea applicazione dell'art. 64 c.p.a.". 3. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) che, con successiva memoria, ha riproposto, in via preliminare, l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, su cui il TAR non si è pronunciato, per la mancata impugnazione dell'ordinanza anche nella parte in cui ha sanzionato l'intervento ai sensi dell'art. 167 d.lgs. n. 42/2004, tenuto conto della natura plurimotivata della stessa. Nel merito, ha insistito per la reiezione del gravame. 4. Con memoria di replica del 7 maggio 2024 l'appellante ha eccepito, a sua volta, l'inammissibilità dell'eccezione formulata dal comune in quanto proposta oltre il termine di decadenza di cui all'art. 101, comma 2, c.p.a; ha eccepito, inoltre, l'infondatezza delle avverse difese con riguardo all'applicabilità della sanzione pecuniaria di cui all'art. 31, comma 4-bis, d.P.R. n. 380/2001; ha insistito, infine, per l'accoglimento dell'appello, eventualmente previa verificazione volta ad accertare l'epoca di realizzazione dell'abuso o, in subordine, l'applicabilità al manufatto per cui è causa del regime delle c.d. "tolleranze costruttive" di cui all'art. 34-bis del d.P.R. n. 380/2001. 5. All'udienza del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. L'appello è infondato, circostanza che consente di prescindere, in applicazione del principio della c.d. ragione più liquida, dall'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado riproposta in sede di appello dal Comune. 7. Con un unico e articolato motivo di appello il ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe dovuto assegnare la prevalenza alla prova certa costituita dalla piantina catastale del 1979, da cui già risultava il piccolo vano oggetto di contestazione, rispetto alle risultanze di Google street view, dalle quali il tecnico comunale ha tratto la presunzione di realizzazione dello stesso nell'anno 2011. 7.1 Ad avviso dell'appellante, la prova della realizzazione del volume contestato intorno agli anni ' 30 emergerebbe, oltre che dal dato catastale, anche dagli elaborati grafici allegati alle istanze di autorizzazione edilizia n. 66/1994 e n. 150/1998 che parimenti riportano il piccolo locale a uso WC poi trasformato in cucina. A fronte del principio di prova fornito, gravava sull'amministrazione l'onere di provare la realizzazione dell'abuso in epoca diversa e più recente. Sotto tale profilo, il giudice avrebbe omesso la benché minima motivazione sul punto. 7.2 La sentenza sarebbe viziata anche nella parte in cui ha respinto il motivo di ricorso relativo al mancato riscontro, nel provvedimento impugnato, delle osservazioni prodotte successivamente alla comunicazione di avvio del procedimento. Il TAR non avrebbe compreso la censura che non riguardava l'omessa comunicazione di avvio del procedimento, bensì la mancata considerazione delle osservazioni da parte dell'amministrazione che ha omesso una pur minima istruttoria in relazione al contenuto delle stesse. Di qui l'erroneità della sentenza anche nella parte in cui esclude l'obbligo di specifica motivazione dell'ordinanza impugnata che, invece, avrebbe dovuto recare un corredo motivazionale idoneo a confutare gli elementi di prova forniti dalla parte privata in ordine alla risalenza del manufatto. 7.3 Il TAR sarebbe, infine, incorso in errore anche per non aver preso in considerazione alcuna le deduzioni illustrate nella memoria di replica relative all'applicabilità al caso di specie dell'art. 34 bis del d.P.R. 380/2001 atteso che, essendo l'ampliamento contestato di soli mq. 2,4 a fronte di una superficie totale dell'appartamento di circa mq.100, esso rientra nel limite di tollerabilità previsto dalla citata disposizione. 8. Le censure sono infondate. 9. Per giurisprudenza costante, va posto in capo al proprietario (o al responsabile dell'abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione l'onere di provare il carattere risalente del manufatto, collocandone la realizzazione in epoca anteriore alla c.d. "legge ponte" n. 765 del 1967 che ha esteso l'obbligo di previa licenza edilizia alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano. Tale indirizzo giurisprudenziale si è consolidato non solo per l'ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche - in generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione, appunto, di opera risalente ad epoca anteriore all'introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi (Cons. Stato, sez. VI, 8 novembre 2023 n. 9612; id., 6 febbraio 2019 n. 903 e 19 settembre 2023, n. 8428). 9.1 Quanto alle modalità concrete attraverso cui l'onere in questione può essere assolto, si è precisato che la prova deve essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 2 gennaio 2020 n. 12; id., 12 aprile 2023, n. 3676; sez. VII, 30 marzo 2023, n. 3304 e 18 aprile 2023, n. 3900). 10. L'appellante sostiene di aver assolto all'onere probatorio sopra indicato mediante la produzione in giudizio di una planimetria catastale risalente al 1979 e degli elaborati grafici allegati alle autorizzazioni edilizie del 1994 e del 1998: tali documenti proverebbero, sempre secondo l'appellante, la realizzazione del locale negli anni Trenta e comunque in epoca antecedente al 1967, superando le contrarie evidenze dell'istruttoria comunale da cui risulta, invece, che la realizzazione si colloca tra aprile 2008 e gennaio 2011. 10.1 In disparte il rilievo che gli atti menzionati possono, al più, provare la presenza del manufatto alla data della loro redazione (rispettivamente nel 1979, nel 1994 e nel 1998), ma non certo collocarne l'epoca di realizzazione a più di cinquant'anni prima, è dirimente osservare che il volume in essi riportato non solo non risulta assentito da alcun titolo edilizio (mancando, peraltro, anche della prescritta autorizzazione paesaggistica), ma nemmeno coincide con quello oggetto dell'ordinanza di demolizione. 10.2 Sia la planimetria che gli elaborati grafici riportano infatti, come precisato dall'appellante, un piccolo volume a uso WC collocato sul terrazzino con tettoia. 10.3 Tale stato di fatto trova riscontro nelle relazioni tecniche allegate alle pratiche edilizie del 1994 e del 1998, atteso che: i) la relazione tecnica allegata all'autorizzazione n. 66/1994 (avente ad oggetto "demolizione e ricostruzione di solaietto di copertura; diversa distribuzione interna con rifacimento di bagno e cucina, revisione infissi esterni, pitturazione facciate") precisa che l'appartamento è composto, oltre che da ingresso, due camere e una piccola cucina, anche da "un piccolissimo WC su di un balconcino, quest'ultimo balconcino coperto da una tettoia ed un terrazzo" (cfr. doc. 3 allegato alla memoria di costituzione di primo grado del comune); ii) la relazione tecnica allegata all'autorizzazione n. 150/1998, afferente all'apertura di un vano finestra, evidenzia, a propria volta, che l'appartamento comprende, oltre a soggiorno- pranzo, cucina, corridoio, due stanze da letto e ripostiglio, anche bagno e terrazzo (doc. 5 allegato al ricorso di primo grado). 10.4 Per contro, l'ordinanza di demolizione contesta la realizzazione, in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica, di un locale ad uso cucina "in luogo del preesistente terrazzino con soprastante tettoia". Di tale contestato ampliamento, conseguente alla trasformazione del terrazzino in locale cucina, non vi è alcuna traccia nella documentazione versata in atti, peraltro coincidente con quella trasmessa dal ricorrente a seguito di comunicazione di avvio del procedimento (doc. 3 allegato al ricorso di primo grado) e puntualmente richiamata nella relazione istruttoria del tecnico comunale incaricato (pag. 1, terzo capoverso, della relazione prot. 22105 del 5 giugno 2016, allegata alla memoria di costituzione del comune del 1 giugno 2017). 10.5 Gli elementi forniti dal ricorrente non sono, pertanto, idonei a superare le evidenze documentali e fotografiche prodotte dall'amministrazione che collocano, invece, l'epoca di realizzazione dell'abuso in data ampiamente successiva al 1967, ossia tra il 2008 e il 2011. 11. Di qui l'infondatezza delle censure afferenti al mancato assolvimento da parte dell'amministrazione dell'onere della prova di realizzazione dell'abuso, alla carente istruttoria e alla mancata considerazione delle osservazioni procedimentali (che si risolvono nella mera trasmissione delle autorizzazioni edilizie e della comunicazione di fine lavori già agli atti dell'amministrazione). 12. Quanto alla mancata applicazione dell'art. 34-bis del d.P.R. 380/2001, in disparte l'inammissibilità del motivo in quanto formulato solo in memoria di replica, è sufficiente osservare che le tolleranze costruttive attengono alle sole divergenze occorse in fase esecutiva per minime imperfezioni, di regola impercettibili, emergenti dalle lavorazioni di cantiere e non riguardano opere realizzate in assenza di titolo edilizio e paesaggistico (Cons. Stato, sez. II, 15/03/2024 n. 2510; id. 3/11/2023, n. 9520; sez. VI, 8/08/2023, n. 7685), come nel caso di specie. 13. Occorre, in ultimo, rilevare l'inammissibilità della censura, articolata dall'appellante in memoria di replica del 7 maggio 2024, afferente al capo della sentenza con cui il TAR ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo all'applicazione della sanzione pecuniaria di cui all'art. 31, comma 4-bis del d.P.R. n. 380/2001 per la natura ipotetica ed eventuale della lesione. 14. La doglianza, infatti, non solo non reca alcuna critica specifica a quanto osservato dal giudice di primo grado, ma è stata formulata unicamente in memoria di replica e non con ricorso in appello, con conseguente inammissibilità della stessa. 15. In conclusione, l'appello deve essere respinto, circostanza che determina la reiezione anche dell'istanza di verificazione formulata dall'appellante. 16. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento a favore del Comune appellato delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Manzione - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Stefano Filippini - Consigliere Valerio Valenti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno  Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1180 del 2023, proposto da An.Cu., rappresentato e difeso dall'avvocato Ge.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Omissis, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Co.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliataria ex lege in Salerno, corso Vittorio Emanuele, 58; e con l'intervento di ad opponendum: Vin.Cu., rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Vuolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303: diniego di fiscalizzazione degli abusi contestati con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Omissis e del Ministero della Cultura; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 aprile 2024 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Col ricorso in epigrafe, Cu.An. (in appresso, C. A.) impugnava, chiedendone l’annullamento, il provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303, col quale il Responsabile dell’Area Sportello Unico per l’Edilizia, Demanio ed Urbanistica del Comune di Omissis aveva rigettato l’istanza di fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 prot. n. 18518 del 6 ottobre 2020 ed aveva disposto l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. Le opere abusive sottoposte a fiscalizzazione, ex ante contestate con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019, resistite alla relativa impugnazione, respinta dal Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza n. 3204 del 29 marzo 2023 (pronunciata in parziale riforma della sentenza di questa Sezione n. 1934 del 14 dicembre 2020) afferivano alle unità immobiliari in proprietà del ricorrente, ricomprese nell’edificio ubicato in Omissis, via (...), censito in catasto al foglio 24, particella 616, e distribuito su tre livelli fuori terra (piano terraneo, primo e secondo mansardato) ed un livello seminterrato. Si trattava, in particolare, delle seguenti opere, rimaste sine titulo per effetto dell’annullamento del permesso di costruire (PdC) in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e del PdC n. 4279 del 27 marzo 2015, che era stato pronunciato - in accoglimento del ricorso straordinario ex artt. 8 ss. del d.p.r. n. 1199/1971, proposto da Cuono Vincenzo (in appresso, C. V.) e in base al precipuo rilievo dell’illecita prosecuzione degli abusi sottoposti a condono ex artt. 31 ss. della l. n. 47/1985 con istanza del 29 marzo 1986, prot. n. 802 - con decreto del Presidente della Repubblica (d.p.r.) del 27 marzo 2017 (R.S. 2491/P), previo parere conforme del Consiglio di Stato, sez. I, n. 2459 del 29 ottobre 2018: - realizzazione (assentita con l’annullato PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015) ed ampliamento (assentito con l’annullato PdC n. 4279 del 27 marzo 2015) del piano secondo mansardato; - ampliamento (assentito con l’annullato PdC n. 4279 del 27 marzo 2015) del piano primo, mediante realizzazione sul terrazzo esistente di un corpo di fabbrica sormontato da lastrico solare. Il gravato diniego di fiscalizzazione era essenzialmente motivato in base al rilievo che la natura non già formale, bensì sostanziale dei vizi infirmanti i giurisdizionalmente annullati PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e PdC n. 4279 del 27 marzo 2015 impediva ogni ulteriore valutazione circa la rappresentata impossibilità di ripristino dello status quo ante. Nell’avversare siffatta determinazione, il ricorrente deduceva, in estrema sintesi, che il Comune di Omissis: a) in violazione del dictum giurisdizionale di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3204 del 29 marzo 2023, nonché in difetto di istruttoria e di motivazione, avrebbe omesso di valutare - così come richiestogli con l’istanza del 6 ottobre 2020, prot. n. 18518 - la condizione di fiscalizzazione costituita dall’impossibilità di riduzione in pristino, ai fini dell’applicabilità della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, senza tener conto delle analisi strutturali fornitegli dall’interessato dietro proprio apposito invito; b) in difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione, non avrebbe considerato che - come dimostrato dalla dettagliata documentazione tecnica elargita dall’interessato - la rimozione delle opere abusive avrebbe compromesso l’equilibrio statico delle porzioni legittime dell’intero edificio, anche in proprietà di terzi; c) avrebbe richiamato, in termini del tutto inconferenti, l’ordinanza di demolizione n. 2162 del 29 maggio 2023, inerente ad un manufatto (pergolato) a sé stante rispetto alle opere contestate con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019, nonché non sanzionabile in via repressivo-ripristinatoria; d) avrebbe obliterato la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del 6 ottobre 2020, prot. n. 18518. Costituitosi l’intimato Comune di Omissis eccepiva l’inammissibilità (per carenza di interesse ad agire) e l’infondatezza del gravame esperito ex adverso. Si costituiva, altresì, in giudizio il Ministero della Cultura. Interveniva, infine, ad opponendum C. V., in veste di proprietario confinante col compendio immobiliare in titolarità di C. A., eccependo l’inammissibilità (per omessa notifica nei suoi confronti) e l’infondatezza del ricorso. All’udienza pubblica del 30 aprile 2024, la causa era trattenuta in decisione. Venendo ora a scrutinare il ricorso, esso si rivela infondato per le ragioni illustrate in appresso. Tanto può esimere, quindi, il Collegio dallo scrutinio delle eccezioni in rito sollevate dalle parti resistenti. Innanzitutto, gli ordini di doglianze rubricati retro, sub n. 3.a-b, si infrangono contro il chiaro tenore sia della sentenza di primo grado n. 1934 del 14 dicembre 2020 sia della sentenza di appello n. 3204 del 29 marzo 2023, le quali hanno unanimemente escluso l’applicabilità della fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 alla fattispecie in esame. 8.1. In particolare, questa Sezione ha statuito che: «A ripudio delle proposizioni attoree, milita, innanzitutto, l’approccio ermeneutico restrittivo suggellato in subiecta materia dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 17 del 7 settembre 2020. “La disposizione in commento - recita la pronuncia richiamata - fa specifico riferimento ai vizi ‘delle proceduré, avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l’operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l’an e il quomodo dell’attività edificatoria. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all’amministrazione l’obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un’attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell’esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall’art. 21 nonies comma 2 della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un’illegittimità di natura ‘proceduralé, essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest’ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di ‘rimozione del viziò afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all’impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto sarebbe suscettibile di convalida, e che per le motivate valutazioni espressamente fatte dall’amministrazione, non risulta esserlo in concreto. Diversamente da quanto sostenuto dall’orientamento giurisprudenziale “estensivo” del quale si è dato sopra atto, in casi siffatti il sindacato del giudice chiamato a vagliare la legittimità della operata fiscalizzazione dell’abuso deve avere ad oggetto proprio la natura del vizio. La “motivata valutazione” dell’amministrazione infatti afferisce al preliminare vaglio amministrativo circa la rimovibilità (anche) in concreto del vizio, ex art. 21 nonies comma 2, e rileva non già rispetto al binomio fiscalizzazione/demolizione, quanto in relazione al diverso binomio convalida/applicazione dell’art. 38, costituente soglia di accesso per applicazione dell’intero impianto dell’art. 38 (e non solo dell’opzione della fiscalizzazione). La descritta esegesi è confermata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Quest’ultima, nella sentenza 209/2010 ha avuto modo di chiarire, giudicando della legittimità di una norma di interpretazione autentica di una disposizione provinciale di tenore identico a quella nazionale che qui si discute (interpretazione autentica tesa ad estendere la fiscalizzazione ai vizi sostanziali), che ‘l'espressione ‘vizi delle procedure amministrativé non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i ‘vizi sostanzialì, che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest'ultimo potenzialmente contenutò. Del resto depongono in tal senso anche considerazioni di carattere sistematico. La tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito. A ciò si aggiunge, nei casi in cui l’annullamento del titolo sia intervenuto in sede giurisdizionale su istanza di proprietario limitrofo o associazioni rappresentative di interessi diffusi (giova sottolineare che l’art. 38 non si sofferma sulla natura giurisdizionale o amministrativa dell’annullamento), che la tutela dell’affidamento del costruttore, attraverso la fiscalizzazione dell’abuso anche in relazione a vizi sostanziali, di fatto vanificherebbe la tutela del terzo ricorrente, il quale, all’esito di un costoso e defatigante giudizio, si troverebbe privato di qualsivoglia utilità, essendo la sanzione pecuniaria incamerata dall’erario. Il punto di equilibrio sin qui individuato nel delicato bilanciamento fra tutela dell’affidamento, tutela del territorio e tutela del terzo non è, ad avviso di questa Adunanza plenaria, depotenziato dalla giurisprudenza della Corte EDU sul carattere fondamentale del diritto di abitazione e sul necessario rispetto del principio di proporzionalità nell’inflizione della sanzione demolitoria (si veda, da ultimo, Corte EDU, 21/4/2016 Ivanova vs. Bulgaria). Nell’ordinamento interno, caduto il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi a seguito della nota sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 500/99, si è affermato, anche per via legislativa, che il’bene della vità cui il privato aspira è meritevole di protezione piena a prescindere dalla qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo della posizione giuridica al quale esso di correla. E’ quindi ben possibile che, a prescindere dalla qualificazione giuridica della posizione giuridica del costruttore che dinanzi all’annullamento in sede amministrativa o giurisdizionale del permesso di costruire reclami il ristoro dei danni conseguenti al legittimo affidamento dal medesimo riposto circa la legittimità dell’edificazione realizzata (sul punto le Sezioni unite sono ferme nel ritenere che trattasi di diritto soggettivo: SSUU, 24 settembre 2018, n. 22435; 22 giugno 2017, n. 15640; 4 settembre 2015, n. 17586; 23 marzo 2011, n. 6596), l’illecito commesso dall’amministrazione comporti il sorgere di un’obbligazione all’integrale risarcimento, per equivalente, del danno provocato. Obbligazione che interviene a ridare coerenza, ragionevolezza ed effettività al sistema delle tutele, ove la conservazione dell’immobile nella sua integrità si ponga in irrimediabile conflitto con i valori urbanistici e ambientali sopra ricordati. Al quesito posto dall’ordinanza di rimessione deve quindi rispondersi nel senso che ‘i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozioné”. Sulla base di tali premesse, va ribadito l’indirizzo rigoroso invalso anche presso la Sezione. In particolare, come osservato nella sentenza n. 1417 del 10 ottobre 2018 (confermata in appello da Cons. Stato, sez. VI, 8 ottobre 2019, n. 6852), “la regola immanente all’art. 38, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001 è rappresentata dall’operatività della sanzione reale, la quale, in quanto effetto primario e naturale derivante dall’annullamento del permesso di costruire (così come dalla sua mancanza ab origine: cfr. art. 31, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 cit.), non richiede all’amministrazione un particolare impegno motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua giustificazione in re ipsa. Nel caso di annullamento del titolo abilitativo edilizio, in disparte l'ipotesi di vizi di ordine meramente procedurale e formale, non ricorrente nella fattispecie in esame, il modello legale tipico di atto consequenziale è, infatti, proprio quello dell'ordine di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto unico atto idoneo ad arrecare una piena soddisfazione all'interesse pubblico alla rimozione delle opere in contrasto con la disciplina urbanistica; cosicché, ove lo sviluppo attuativo del pregresso annullamento del permesso di costruire si incanali nell’alveo naturale della riduzione in pristino, alcun onere di specifica motivazione ricade sull’amministrazione procedente, il cui operato è obbligatoriamente scandito dallo stesso legislatore; mentre, solo in presenza di circostanze peculiari ed eccezionali, idonee ad accreditare l’oggettiva impossibilità di attuare la misura ordinaria della riduzione in pristino, sarà possibile accedere alla misura residuale della sanzione pecuniaria, occorrendo, però, in siffatta evenienza giustificare la deroga alla soluzione di ‘tutela realé privilegiata dal legislatore mediante una congrua motivazione che dia adeguatamente conto delle valutazioni effettuate (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 21 marzo 2006, n. 3124; sez. VIII, 7 gennaio 2015, n. 34; 10 marzo 2016, n. 1397; 7 aprile 2016, n. 1746; 8 luglio 2016, n. 3490; sez. IV, 4 gennaio 2017, n. 68; TAR Veneto, Venezia, 21 aprile 2016, n. 417)”». 8.2. Nello stesso senso, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha statuito che: «La sentenza di prime cure ha fatto piana e corretta applicazione dell’orientamento consolidatosi a seguito della nota pronuncia dell’Adunanza plenaria, n. 17 del 2020, secondo cui l’art. 38 cit. fa specifico riferimento ai vizi "delle procedure", avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l'operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l'an e il quomodo dell'attività edificatoria. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all'amministrazione l'obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un'attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell'esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall'art. 21 nonies, comma 2, della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un'illegittimità di natura "procedurale", essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest'ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di "rimozione del vizio" afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all'impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto, sarebbe suscettibile di convalida e che, per le motivate valutazioni espressamente fatte dall'amministrazione, non risulta esserlo in concreto. Nel caso di specie, se per un verso (peraltro dirimente, a fini di inapplicabilità della norma evocata) i vizi che hanno portato all’annullamento delle sanatorie non hanno il predetto mero carattere procedurale, riguardando piuttosto la consistenza e la sostanza degli abusi, per un altro verso non appaiono oggetto di adeguata smentita le puntuali considerazioni svolte dalla sentenza appellata in merito alla insussistenza della presunta impossibilità tecnica della demolizione della porzione abusiva (piano secondo mansardato) dell’edificio. In proposito, rispetto alle relazioni tecniche di parte depositate in giudizio dall’odierno appellante, assumono rilievo preminente sia la nota del Responsabile dell’Area Governo del Territorio, Patrimonio e Demanio del Comune di Omissis prot. n. 24008 del 29 novembre 2019 (ove si rileva che “trattasi di opere di sopraelevazione, autonome ed indipendenti, la cui eliminazione anche in base alle progettazioni che versano agli atti non può ritenersi di pregiudizio né alla parte conforme dell’edificio né alle proprietà viciniori”), sia la relazione tecnica di parte prodotta dall’odierno appellato costituito, ove si illustra come il secondo piano mansardato del fabbricato in questione non sia collegato strutturalmente all’adiacente corpo di fabbrica in proprietà di V. C., cosicché la sua rimozione sarebbe insuscettibile di compromettere l’equilibrio statico di quest’ultimo». 8.3. Ciò posto, il Comune di Omissis, nel ripudiare la proposta fiscalizzazione, ha fatto buon governo delle regole applicative dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 declinate in via pretoria nelle pronunce citate sulla scorta dell’indirizzo nomofilattico sancito da Cons. Stato, ad. plen., 7 settembre 2020, n. 17, allorquando ha arrestato ogni valutazione circa la possibilità o meno del ripristino dello status quo ante al rilievo ostativo pregiudiziale della natura sostanziale - e, quindi, non emendabile in via pecuniaria - dei vizi infirmanti i giurisdizionalmente annullati PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e PdC n. 4279 del 27 marzo 2015. 8.4. Né vale a menomare il superiore approdo l’inciso, contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3204 del 29 marzo 2023, secondo cui «l’ordine di demolizione delle opere edilizie costituisce un atto dovuto, mentre la valutazione di non procedere alla rimozione delle parti abusive, nel caso in cui questa sia pregiudizievole per le parti legittime, è soltanto un'eventualità della fase esecutiva, successiva e autonoma rispetto all'ordine di demolizione». Tale inciso sta, infatti, a indicare soltanto che la monetizzazione dell’abuso esulava dalla fase di irrogazione della sanzione demolitoria - la quale aveva formato oggetto del giudizio definito con la suindicata pronuncia -, afferendo, invece, alla successiva fase della sua esecuzione. Sta, cioè, a rappresentare la carenza di interesse concreto e attuale a dolersi di una determinazione non ancora assunta né assumibile al momento dell’allora gravata ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. 8.5. Ad ulteriore ripudio delle proposizioni attoree, è appena il caso di rammentare che la Sezione, nella sentenza n. 1934 del 14 dicembre 2020, ha affermato anche che: «... l’invocata fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 neppure sarebbe configurabile, allorquando a formare oggetto dell’annullamento giurisdizionale sia non già un titolo edilizio rilasciato preventivamente alla realizzazione dell’intervento in progetto, bensì - come, appunto, nella specie - un titolo edilizio rilasciato in sanatoria, posteriormente alla realizzazione di opere abusive, rispetto al cui mantenimento in loco non è ragionevolmente predicabile la generazione di alcun legittimo affidamento in favore del relativo autore o proprietario. In questo senso, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 21 novembre 2016, n. 5364 ha statuito che: “L'art. 38 del d.p.r. n. 380/01, prevedendo una ipotesi di sanatoria mediante pagamento di una sanzione pecuniaria per le ipotesi di annullamento del permesso di costruire, è volto a tutelare l'affidamento del soggetto che abbia edificato in virtù di titolo edilizio solo successivamente annullato. Detto disposto normativo non può trovare applicazione nel caso in cui le opere siano state realizzate ab initio ‘sine titulò, rilasciato solo successivamente a sanatoria e annullato in sede giurisdizionale, in quanto difettano i presupposti per la tutela dell'affidamento dell'istante (Cons. Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2014, n. 5261)”». Stante la natura plurimotivata del provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303, l’acclarata legittimità del rilievo di inapplicabilità dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 ai titoli edilizi infirmati da vizi sostanziali induce a predicare l’inammissibilità del profilo di censura rubricato retro, sub n. 3.c, e rivolto avverso l’ulteriore rilievo di emissione dell’ordinanza di demolizione n. 2162 del 29 maggio 2023: ciò, in quanto, in presenza di un atto sorretto da autonome ragioni giuridico-fattuali, è bastevole l’intangibilità anche di una sola delle argomentazioni poste a suo fondamento, perché l’atto medesimo possa resistere al richiesto sindacato giurisdizionale su di esso, con conseguente assorbimento - per carenza di interesse e per finalità di economia processuale - delle censure dirette a contestare ogni ulteriore nucleo motivazionale del provvedimento gravato. Non riveste, infine, portata invalidante la denunciata obliterazione del preavviso ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 (cfr. retro, sub n. 3.d). Al riguardo, giova rammentare che l'ultimo periodo dell'art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241/1990, come modificato dall'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020, conv. in l. n. 120/2020, stabilisce che «la disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10 bis». Nei casi di violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, è, cioè, esclusa l'applicazione del solo secondo periodo dell'art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241/1990, a tenore del quale «il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». Rimane, invece, applicabile la disposizione contenuta nel primo periodo dell’art. 21 octies, comma 2, della l, n. 241/1990, in base alla quale «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». In questo senso, il Cons. Stato, sez. III, 29 luglio 2022, n. 6708 e 23 dicembre 2022, n. 11289 ha precisato che solo in caso di provvedimento discrezionale l'eventuale violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990 determina l'annullamento del provvedimento, così inquadrando la portata dell'art. 21 octies, nella versione successiva alla riforma di cui all'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020. Ed invero, seppure la centralità del contraddittorio procedimentale consente l'emersione di fatti e circostanze che, sottoposte alla valutazione dell'amministrazione, possono indurre ad una favorevole conclusione del procedimento, questo aspetto diviene recessivo quando, in presenza di specifici presupposti individuati dal legislatore, una sola può essere la scelta legittima dell'amministrazione in conformità con la legge (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 2 febbraio 2023, n. 752). Nello stesso senso, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 22 agosto 2023, n. 4838 ha affermato che: «Le previsioni di cui all'art. 10 bis l. n. 241/1990 devono essere coordinate con quelle di cui all'art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990. Il primo periodo del comma due del predetto art. 21 octies opera tuttora in relazione alla violazione procedimentale del menzionato art. 10 bis. Ciò anche dopo le modifiche introdotte dall'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 120/2020, le quali incidono propriamente sull'applicazione del secondo periodo del comma due dell'art. 21 octies L. n. 241/1990 in esame, secondo cui "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato [...]". La lettura coordinata dei menzionati artt. 10 bis e 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990, esclude che il provvedimento sia annullabile qualora, per la natura vincolata o comunque per la dimostrata non modificabilità del suo contenuto dispositivo, in sede di riedizione del potere non si potrebbe addivenire ad una decisione differente da quella in concreto adottata. In questi casi, l'attivazione del contraddittorio procedimentale - per il tramite della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza - risulterebbe non utile, in quanto non contribuirebbe in alcun modo a modificare il contenuto sostanziale della decisione. Ne consegue che l'annullamento del provvedimento negativo in relazione esclusivamente al vizio formale della mancata comunicazione del preavviso di rigetto ed una volta accertata l'infondatezza della pretesa sostanziale azionata dal privato, si tradurrebbe in un'antieconomica duplicazione di attività amministrativa, tenuto conto che, dopo la caducazione dell'atto impugnato, nella fase di riedizione del potere, la nuova decisione da assumere non potrebbe avere un contenuto ed un dispositivo diverso da quello proprio della decisione annullata (cfr. Cons. Stato, sez. II, 18 marzo 2020, n. 1925; 12 febbraio 2020, n. 1081; 17 settembre 2019, n. 6209; sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1156; sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 256 e 27 settembre 2018, n. 5562...)». Ebbene, nel caso in esame, alla luce delle considerazioni svolte, il diniego di fiscalizzazione dell'abuso, siccome fondato sul rilievo oggettivo e preclusivo della natura sostanziale dei vizi infirmanti i titoli edilizi giurisdizionalmente annullati, costituiva l'esito vincolato del procedimento, con la conseguenza che il provvedimento in questa sede impugnato non può essere annullato, pur in difetto del preavviso di rigetto (cfr., in termini, TAR Umbria, Perugia, 2 aprile 2024, n. 225). In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso in epigrafe va, nel complesso, respinto. Quanto alle spese di lite, appare equo compensarle interamente tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola Durante - Presidente Olindo Di Popolo - Consigliere, Estensore Laura Zoppo, Referendario L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Olindo Di Popolo Nicola Durante IL SEGRETARIO

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 14631 del 2018, proposto da Mi. Ca., rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Pa. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell'Avvocatura capitolina in Roma, Via (...); per l'annullamento - del diniego di condono edilizio prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 la dott.ssa Manuela Bucca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con istanza prot. n. 0/506832 sot. 0 del 18 marzo 2004, la sig.ra Fr. Pa. chiedeva il rilascio di concessione edilizia in sanatoria per l'opera abusiva realizzata in Roma, Via (omissis), consistente in "un manufatto di superficie pari a mq. 50,00 di s.u.r., immobile distinto al N.C.E.U. al Foglio (omissis), particella (omissis), sub (omissis)". Con nota prot. n. 6259 del 28 gennaio 2013, Roma Capitale comunicava ai sig.ri Mi. Ca. e Fr. De Si., quali nuovi comproprietari dell'immobile, i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di condono, ossia l'insistenza dell'opera abusiva in area sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idrice e P.T.P. (omissis)". Ritenendo di non poter accogliere le osservazioni formulate dagli interessati, con determinazione dirigenziale prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018, l'Amministrazione confermava la reiezione dell'istanza di condono. Avverso il suddetto provvedimento propone ricorso, ritualmente notificato e depositato, la sig.ra Mi. Ca., censurandolo per i seguenti motivi: I. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore e/o violazione di legge, in particolare della legge 326/2003 e legge reg. 12/2004. Col primo motivo, parte ricorrente sostiene l'illegittimità del provvedimento impugnato in quanto il manufatto oggetto di sanatoria sarebbe stato ultimato entro il 31 marzo 2003, in conformità a quanto previsto dall'art. 32, comma 25, della l. n. 326/03; II. Violazione di legge, in particolare dell'art. 134 d.lgs. 42/2004, delle norme PRG Falde idriche e P.T.P. (omissis), dell'art. 3 della legge reg. 12/2004, della legge 47/1985 - Eccesso di potere, carenza ed inadeguatezza dell'istruttoria condotta da Roma Capitale. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta che il diniego impugnato sia stato adottato nonostante l'abuso insista su area soggetta a vincoli non ostativi al rilascio della sanatoria in quanto: - si tratterebbe di vincoli imposti successivamente alla realizzazione dell'opera abusiva e che non comportano una inedificabilità assoluta; - il vincolo paesistico del Fosso di (omissis) sarebbe superabile con l'acquisizione del rilascio del parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso; - il vincolo per falde idriche - rectius, quello idrogeologico di Pratolungo - sarebbe superabile con la realizzazione di un'adeguata rete fognaria a continuità idraulica e pozzetto di ispezione. Resiste al ricorso Roma Capitale, deducendone l'infondatezza nel merito. Alla pubblica udienza straordinaria del 17 maggio 2024, svolta in modalità telematica ai sensi dell'art. 87, comma 4 bis c.p.a., la causa è stata posta in decisione. DIRITTO Il ricorso è infondato. Come chiarito da consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, in ordine ai presupposti per il cd. terzo condono, ai sensi della l. n. 326/2003 e, nella Regione Lazio, della l.r. n. 12/2004: - "Il d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge n. 326 del 24 novembre 2003, che ha previsto un condono edilizio per le opere ultimate entro il 31 marzo 2003, diversamente dalle discipline della legge n. 47 del 1985 e della legge n. 724 del 1994, ha...specificamente individuato le tipologie di opere condonabili ed ha limitato le possibilità di sanatoria in presenza di vincoli. L'art. 32, comma 26, lettera a) del detto decreto legge ha distinto le tipologie di illecito (individuate all'allegato 1), consentendo nelle aree sottoposte a vincolo la sanatoria solo per "le tipologie di illecito di cui all'allegato 1 numeri 4, 5 e 6" ovvero opere di restauro e risanamento conservativo (tipologia 4 e 5), opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (tipologia 6). Ha specificato al comma 27 che non sono suscettibili di sanatoria, tra le altre ipotesi, le opere che "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (lettera d). Il condono edilizio di cui al D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003, non è dunque consentito per "abusi maggiori" (cioè abusi riconducibili a quelli di cui alle tipologie 1, 2 e 3 della tabella allegata al D.L. n. 269 del 2003) commessi in zona sottoposta a vincolo posto in epoca anteriore alla realizzazione delle opere, ciò indipendentemente dal tipo di vincolo, se di inedificabilità assoluta o relativa (Consiglio di Stato Sez. VI 26 luglio 2023, n. 7318; Sez. II, 13 novembre 2020, n. 7014; Sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7103). In tali situazioni è stato altresì affermato che è inutile la richiesta del parere di compatibilità paesaggistica, posto che si versa in una situazione di divieto di condono stabilita dal legislatore. Da ciò discende che, in presenza di interventi qualificabili come nuova costruzione o ristrutturazione realizzati in area soggetta a vincoli paesaggistici, il diniego di sanatoria edilizia è atto dovuto ai sensi della L. n. 326 del 2003 (Consiglio di Stato Sez. VI, 24 agosto 2023, n. 7935; Sez. VI, 16 settembre 2022, n. 8043; Sezione VI, 10 gennaio 2023, n. 295). Inoltre, nelle aree sottoposte a vincolo preesistente all'opera neppure può essere concessa la sanatoria qualora l'intervento sia difforme dagli strumenti urbanistici"; - "La legge regionale n. 12 del 2004 ha ampliato le categorie delle opere non sanabili estendendola anche a quelle realizzate, "prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali", rendendo, quindi, più restrittiva la disciplina del condono nella Regione Lazio. Tale scelta restrittiva del legislatore regionale è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale in relazione alla eccezionalità delle norme statali sul condono e alla rilevanza della maggiore tutela dei beni ambientali e paesaggistici perseguita dalla Regione (sentenza n. 181 del 2021)" (da ultimo, Consiglio di Stato sez. II, 13 marzo 2024, n. 2482). Nel caso di specie, l'intervento oggetto della richiesta di sanatoria consiste in un ampliamento di superficie residenziale, realizzato in zona sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idriche e P.T.P. (omissis)". In conseguenza, ritiene il Collegio che l'Amministrazione abbia correttamente negato il chiesto condono, rientrando l'abuso commesso nelle tipologie di illecito per le quali l'art. 32 del d.l. n. 269/03, convertito dalla l. n. 326/03, e l'art. 3, comma 1, lettera b) della l.r. n. 12/04 escludono la sanatoria. Trattasi, invero, di un manufatto di mq. 50, cui è conseguito, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, un aumento di superficie e volumetria, senza che possa rilevarne l'entità . Quanto alla doglianza inerente all'applicabilità della l.r. n. 12/2004 rispetto ad abusi realizzati in data antecedente all'istituzione di vincoli paesaggistici nell'area interessata dall'intervento edilizio, è sufficiente osservare che "con la sentenza n. 181/2021, pubblicata il 4 agosto 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità sollevata con riferimento all'art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi). La Corte ha ritenuto che con la normativa censurata, introducendo un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, il legislatore regionale del Lazio non ha oltrepassato il limite costituito dal principio di ragionevolezza. Per un verso, infatti, la possibile sopravvenienza di vincoli ostativi alla concessione del condono risulta espressamente prevista dalla disposizione censurata, ciò che ne esclude la lamentata assoluta imprevedibilità . Per altro verso, il regime più restrittivo introdotto dalla legge regionale ha come obiettivo la tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, sicché non è irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l'ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 12 aprile 2023, n. 6319). Né rileva la natura relativa del vincolo di inedificabilità impresso all'area in cui insiste l'abuso, in quanto per gli abusi di carattere maggiore in area vincolata, come quello per cui è causa, "è ...preclusa l'assentibilità a prescindere dal carattere assoluto o relativo del vincolo di inedificabilità sulla stessa impressa. Sicché la sola presenza, nella fattispecie incontestata, del predetto vincolo rende le opere in questione non condonabili" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. IV, 24 gennaio 2024, n. 1428). In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore dell'Amministrazione resistente, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, oltre alle spese generali nella misura del 15%, nonché IVA e CPA come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Manuela Bucca - Referendario, Estensore Monica Gallo - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10519 del 2018, proposto da Sa. Ga. e Lu. Br., rappresentati e difesi dall'avvocato Cl. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suddetto avvocato, con studio in Roma, Via (...); contro Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Se. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell'avvocatura capitolina, sita in Roma, via (...); per l'annullamento dei provvedimenti n. QI/1736/2017, prot. QI/189665/2017, SC 752436/31401 e n. QI/1736/2017, prot. QI/189665/2017, SC 752428/31400 nonché di ogni altro atto prodromico, successivo o consequenziale a quelli impugnati, ancorché non conosciuti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del 17 maggio 2024 il dott. Luca Pavia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Il 7 dicembre 2004 il Signor Ga. presentò un'istanza di condono, ai sensi della legge 24 novembre 2003 n. 326 e della legge regionale 8 novembre 2004 n. 12, per sanare la realizzazione di un manufatto a uso abitativo di circa 28 mq sito nel proprio giardino, la quale venne però respinta il 28 dicembre 2017. 2. Il provvedimento de quo venne impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica successivamente trasposto in sede giurisdizionale, a seguito dell'opposizione della resistente. 3. Il 19 novembre 2018 si costituì l'amministrazione resistente con una comparsa di stile. 4. All'udienza camerale del 16 gennaio 2016 i ricorrenti rinunciarono all'istanza cautelare. 5. In prossimità dell'udienza di merito le parti hanno depositato documenti, memorie conclusionali e di replica nei termini di rito. 6. All'udienza straordinaria di smaltimento del 17 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio. 7. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la tardività del provvedimento impugnato e il conseguente accoglimento, per silentium, dell'istanza di condono. Il motivo è infondato. Ai sensi dell'articolo 32, comma 37, del d.l. 269/03 convertito dalla legge 326/03 "Il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione di cui al comma 35, della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell'imposta comunale degli immobili di cui al decreto legislativo. 30 dicembre 1992, n. 504, nonché, ove dovute, delle denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l'occupazione del suolo pubblico, entro il 31 ottobre 2005, nonché il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l'adozione di un provvedimento negativo del comune, equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Se nei termini previsti l'oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all'articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e all'articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380". La disposizione è stata ulteriormente precisata dall'articolo 6, comma 3, della legge regionale del Lazio n. 12 del 2004, a mente del quale "La presentazione della domanda e della relativa documentazione, il pagamento degli oneri concessori e dell'oblazione, la presentazione delle denunce di cui all'articolo 32, comma 37, del d.l. 269/2003 e successive modifiche, con le modalità e nei termini previsti dalla normativa vigente, nonché la mancata adozione di un provvedimento negativo del comune entro i trentasei mesi dalla data di scadenza del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori prevista dall'articolo 7, comma 2, lettera b), numero 2), equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. In tal caso l'avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia in sanatoria può essere attestata mediante il deposito al protocollo dell'ufficio comunale competente di una dichiarazione asseverata redatta da un tecnico abilitato che attesti, sotto la propria responsabilità, l'esistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, la regolarità della domanda e di tutti gli adempimenti conseguenti. Entro i successivi trenta giorni l'amministrazione competente, su richiesta dell'interessato, deve provvedere ad inviare il calcolo del conguaglio dell'oblazione e degli oneri concessori dovuti a saldo". Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che le disposizioni de quibus devono essere lette unitamente all'art. 32, comma 35, il quale indica espressamente i documenti che devono essere allegati all'istanza di sanatoria: per la formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono edilizio, è, infatti, necessario "non solo che sia stato completato il pagamento dell'oblazione dovuta e degli oneri concessori, ma anche che la domanda sia completa di tutta la documentazione, affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica da parte dell'amministrazione comunale sia in ordine alla ammissibilità del condono che alla corretta determinazione della misura dell'oblazione da versare, con la conseguenza che l'assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo" (ex multis Consiglio di Stato, sezione II, 10 maggio 2021, n. 3684, e giurisprudenza ivi richiamata). Ma ciò che qui più rileva è che, per giurisprudenza pacifica, non è comunque "configurabile la formazione del provvedimento tacito di assenso su domande di sanatoria edilizia relative ad interventi realizzati in aree sottoposte a vincoli paesaggistici" (ex multis T.A.R. Lazio, Roma sez. IV, 26 ottobre 2023, n. 15918). Ebbene, poiché nel caso di specie non è oggetto di contestazione che l'area su cui è stato realizzato l'abuso sia sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. a), del d.lgs. 42/04. Pertanto il mero decorso del tempo è inidoneo a configurare un legittimo affidamento in capo all'istante, ragione per cui il motivo è infondato e deve essere respinto. Deve solo aggiungersi che il vincolo sussisteva già quanto meno nel 2004, per stessa ammissione dei ricorrenti; tanto bastava per impedire il formarsi del silenzio assenso. Si evidenzia, infine e per ragioni di completezza, che neppure il richiamo effettuato dai ricorrenti alla decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 17 ottobre 2017, n. 8 è pertinente, in quanto la controversia allora esaminata aveva a oggetto l'annullamento di un titolo edilizio espresso mentre nel caso in esame non esiste alcun titolo abilitativo né è possibile rinvenire un legittimo affidamento in capo ai ricorrenti, atteso che, per giurisprudenza pacifica, "in tema di costruzioni abusive, la mera inerzia della pubblica amministrazione nella repressione degli abusi edilizi, non è idonea a legittimare un affidamento giuridicamente rilevante in ordine al mantenimento dell'abuso" (ex multis T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 1° agosto 2023, n. 1877). 8. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione dell'art. 32, commi 26 e 27, della l. 326/2003 nonché dell'art. 3, comma 1, lett. b, della l.r. Lazio 12/04: a loro dire, infatti, come accennato in precedenza, l'opera da condonare sarebbe stata realizzata prima dell'apposizione del vicolo (2004); senza contare che la regione non potrebbe neppure incidere negativamente sulla disciplina del condono qualora correlata ai vincoli previsti all'art. 136, lett. a) e b), in quanto essi sarebbero di esclusiva competenza statale. La censura è stata ulteriormente approfondita nel successivo motivo di ricorso in cui i ricorrenti sostengono che le opere de quibus sarebbero sanabili, ai sensi dell'articolo 32 legge 47 del 1985, anche se realizzate su aree vincolate, previo, ovviamente, parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Il motivo è infondato. L'art. 32, comma 26, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 sancisce che sono "suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all'allegato 1: a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4,5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47; b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio" Il successivo comma 27, lett d) del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 prevede, invece, che non siano sanabili le opere abusive "realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". Ciò posto, la recente giurisprudenza, anche di questo TAR, ha avuto modo di chiarire che "l'applicabilità del c.d. terzo condono in riferimento alle opere realizzate in zona vincolata è limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se ed in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 14 ottobre 2022, n. 8781; Cassazione penale sez. III, 24 giugno 2020, n. 26524 e T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 6 giugno 2022, n. 7282). Con la previsione generale di cui all'art. 32, comma 27, lett. d), d.l. n. 269/2003, il legislatore ha dunque disciplinato, "ai fini del condono edilizio, l'ipotesi di tutte le costruzioni effettuate in siti vincolati e come tali riflettenti la disciplina vincolistica della zona su cui insistono. La distinzione tra vincoli assoluti e relativi non rileva ai fini della condonabilità delle opere, stante il chiaro disposto legislativo che non ha fatto cenno alla stessa; la norma, infatti, richiama (in modo indifferenziato) opere che siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali" (ex multis T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 3 ottobre 2023, n. 5376). In base all'art. 32, comma 26, d.l. n. 269/2003, convertito in l. n. 326/2003, non sono, quindi, "suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell'allegato 1 alla citata legge (c.d. abusi maggiori), realizzati su immobili soggetti a vincoli, a prescindere al fatto che (e anche se) si tratti di interventi conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti al momento dell'edificazione e al fatto che il vincolo non comporti l'inedificabilità assoluta dell'area. Difatti, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, tra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni - e cioè che le opere siano realizzate prima dell'imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori, senza aumento di superficie e volume (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo, indipendentemente dal fatto che il vincolo non sia di carattere assoluto, non può essere sanato" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 5 ottobre 2023, n. 5412). Inoltre, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. b) della legge regionale del Lazio n. 12/04 non sono neppure sanabili le opere abusive "realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali". Con la disposizione de qua legislatore regionale ha dunque introdotto, nell'esercizio delle proprie prerogative, una disciplina di maggior rigore che non rende sanabili le opere che determinano un aumento di volume e di superficie realizzate anche prima dell'apposizione del vincolo. Ciò posto, occorre ribadire il costante indirizzo giurisprudenziale, più volte condiviso dal Collegio, secondo il quale "il condono previsto dall'art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003 è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti" (ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV-ter, 19 luglio 2023, n. 12153); in tali ipotesi, "è legittimo il diniego di condono disposto in assenza del parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, in quanto il decreto-legge n. 269 del 2003 esclude in via generale la sanabilità delle opere abusive oggetto del terzo condono nelle zone vincolate" (Consiglio di Stato, sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6827). Ne consegue che "soltanto se fossero state assenti le condizioni ostative indicate nel sopra riportato art. 32 del citato decreto-legge n. 269 del 2003, l'amministrazione comunale avrebbe dovuto necessariamente chiedere il parere dell'organo tenuto per valutare la possibilità di rilasciare all'interessato un provvedimento favorevole", ossia quello preposto alla tutela del vicolo (Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2022, n. 4685). Ebbene, come precedentemente evidenziato, non è oggetto di contestazione tra le parti che l'area su cui è stato realizzato l'abuso sia sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. b), del d.lgs. 42/04 A ciò si aggiunga che l'opera non può neppure essere sussunta nel novero degli interventi di minore importanza posto, che, per stessa ammissione dei ricorrenti, l'intervento ha comportato la realizzazione di un manufatto di 22,71 mq di s.u.r. e 8,85 mq. s.n. r.. Di conseguenza non avrebbe dovuto essere acquisito alcun parere in ordine alla compatibilità dell'opera in questione con il vincolo rilasciato dall'Amministrazione preposta alla sua tutela. 9. In conclusione, alla luce di quanto esposto, il ricorso è infondato e deve essere respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite che quantifica in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 maggio 2024 svoltasi da remoto ex art. 87 comma 4-bis cod. proc. amm., con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Silvio Giancaspro - Primo Referendario Luca Pavia - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8334 del 2023, proposto da: Ca. Eu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Pe. e Cr. Be., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Za., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Tu. Fu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Co. e Gi. Gi., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; Ni. Co., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 96/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Tu. Fu. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Nessuno presente per le parti nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società appellante ha impugnato la sentenza del 20 febbraio 2023, n. 96 con cui il Tar Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 25216 del 2 maggio 2019, di revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, e per la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti. Il Comune di (omissis) si è costituito con atto formale. La controinteressata, Tu. Fu. s.r.l. si è costituita depositando memoria difensiva e documentazione ed ha chiesto la reiezione dell'appello. In vista della trattazione, il comune e la controinteressata hanno depositato memorie conclusive, alle quali l'appellante ha replicato con memoria del 7 maggio 2024. Con separati atti tutte le parti costituite hanno chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante, gestore di un campeggio in (omissis), lungo la SS (omissis), ha impugnato in primo grado il suindicato provvedimento censurandolo per violazione del d.P.R. n. 380 del 2001, dell'art. 3 della legge n. 287 del 1991, della legge regionale n. 16 del 2003, dei principi di buon andamento, di imparzialità, di affidamento incolpevole, di proporzionalità e ragionevolezza nonché per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di presupposti, di istruttoria e di motivazione, dello sviamento. In particolare ha fatto presente che i procedimenti di condono non erano ancora definiti; che il primo riguardava n. 8 bungalows più il bar, il secondo n. 3 bungalows, la guardiola, la centrale idrica, la pista da ballo, la bocciofila, il terzo la superficie abusiva di mq. 270 di cui alla particella (omissis), il quarto la superficie abusiva di mq. 240 di cui alla particella (omissis); che in ogni caso i bungalows e la bocciofila erano stati rimossi; che i rimanenti abusi attenevano unicamente ai profili di ubicazione e sagoma di scarso rilievo; che vi era comunque stato l'accatastamento dei locali nello stato di fatto attuale; che si era ingenerato un affidamento incolpevole discendente dalla risalenza dei lavori a circa 44 anni prima, eseguiti poi dal precedente gestore. La società ha sostenuto inoltre che sarebbe improprio in ogni caso definire le opere abusive, in pendenza del procedimento di condono; che non sarebbero motivate nè la misura afflittiva né il rigetto della richiesta di proroga, tenuto conto poi che la struttura è dotata del titolo di agibilità ; che una ridotta porzione del campeggio era stata restituita alla proprietaria Tu. e Fu. s.r.l., tuttavia non rilevante e incidente sulla conformazione complessiva del campeggio medesimo; che in definitiva la misura assunta sarebbe sproporzionata. La società ha anche chiesto la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni: di quello economico, essendo già state raccolte le prenotazioni per la stagione estiva, e di quello non patrimoniale, per la campagna denigratoria della stampa. 3. Il Tar ha respinto il ricorso osservando in sintesi: che l'ordinanza impugnata risulta emessa a seguito di articolata, approfondita e dettagliata fase istruttoria e nel pieno rispetto del contraddittorio procedimentale; che numerosi risultano gli abusi realizzati, con occupazione di aree di soggetti terzi, private e pubbliche demaniali, sottoposte a vari vincoli di tutela (fasce di rispetto, vincoli ambientali); che un ridotto numero degli abusi era oggetto di domande di condono, in parte già respinte, in parte ancora non definite per la mancata produzione della documentazione necessaria per il loro riscontro, con altri abusi già oggetto di ordinanze di demolizione o di procedimenti avviati per l'assunzione di analoghe misure repressive; che, a fronte di ciò, non può assumere rilievo l'asserita rimozione di alcune opere; che gli abusi consistenti in differente ubicazione e sagoma non possono comunque essere considerati di minore impatto nel contesto surriportato; che l'accatastamento dei locali abusivi non può valere per ciò solo e in ogni caso a sanare i profili abusivi degli stessi, consistendo lo stesso in una mera registrazione e catalogazione degli immobili, a fini preminentemente fiscali; che nessun affidamento incolpevole poteva essere maturato in capo alla ricorrente, ben consapevole almeno di parte degli abusi, avendo presentato per gli stessi domanda di condono; che l'atto impugnato risulta corredato di congrua e adeguata motivazione; che non è irragionevole il mancato accoglimento della richiesta di proroga, proprio perché le domande di condono pendenti riguardavano una minima parte degli abusi; che, a fronte degli accertati abusi, non poteva rilevare un precedente titolo di agibilità ; che l'asserita restituzione di una ridotta parte del campeggio al legittimo terzo proprietario non poteva valere a rendere conforme alla disciplina vigente il complesso della struttura; che la misura assunta, alla luce delle plurime illegittimità riscontrate e di varia matrice, anche in tema di sicurezza, non appare all'evidenza sproporzionata. 4. L'appello è affidato ai seguenti motivi. 1) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della Legge 7.8.1990, n. 241". Diversamente da quanto affermato in sentenza, l'intero procedimento sarebbe affetto da difetto di istruttoria, infatti l'amministrazione si sarebbe espressa, in plurimi passaggi, in termini dubitativi circa le circostanze fattuali che hanno condotto a qualificare come "interamente abusivo" il campeggio in questione e, di conseguenza, revocare l'autorizzazione amministrativa rilasciata in favore della s.r.l. Ca. Eu.. Inoltre nella stessa ordinanza impugnata sarebbe rinvenibile l'incertezza degli accadimenti laddove, a proposito delle iniziative promosse da un proprietario di una parte dei terreni per ottenerne il rilascio, si rileva che la sua restituzione determinerebbe un mutamento dello stato di fatto del campeggio "tanto da porre dubbi circa il fatto che la sua conformazione - dopo la restituzione di una parte del terreno - attualmente rispetti la normativa regionale che regola tale comparto delle strutture ricettive", ciò senza che: sia indicata la specifica porzione immobiliare che dovrebbe essere rilasciata; siano indicate le norme violate; sia precisata la ragione per la quale l'eventuale restituzione dell'area al legittimo proprietario possa incidere sul rispetto dei parametri urbanistici. Inoltre l'amministrazione avrebbe ignorato un fatto, il rilascio di parte dell'area al legittimo proprietario, che era stato già introdotto in sede procedimentale, in tal modo vanificando l'apporto partecipativo della società : da ciò emergerebbe anche la violazione dell'obbligo motivazionale. 2) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e ss. del d.P.R. 6.6.2001, n. 380. Violazione e falsa applicazione dell'art. 21 della L.R. Abruzzo 23.10.2003, n. 16". L'appellante contesta il capo della sentenza in cui il campeggio viene definito interamente abusivo e osserva che, nel provvedimento impugnato, è lo stesso comune che, dopo aver qualificato il campeggio come "interamente abusivo", soggiunge: "fatta salva la presentazione di alcune istanze di condono ancora in fase di istruttoria", affermazioni contenute anche nella relazione del 19 novembre 2018, a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente, integralmente richiamata e recepita dall'ordinanza impugnata, nella quale ogni condono presentato dalla società appellante viene qualificato come "non definito in corso di istruttoria". Quindi lo stigma di "abusività ", che l'amministrazione ha assegnato all'intero insediamento, non sarebbe connotato da carattere di definitività . Osserva, inoltre, che laddove sia stata presentata un'istanza di concessione in sanatoria o di condono edilizio, in assenza di preventiva determinazione su quest'ultima e in pendenza del relativo procedimento, gli eventuali provvedimenti repressivi devono considerarsi sospesi e, se adottati in presenza di condono, sono da considerarsi illegittimi, quindi il comune non potrebbe revocare l'autorizzazione commerciale senza preventivamente pronunciarsi in senso negativo sull'istanza di sanatoria. Obietta che, se fosse vero che la società richiedente non abbia ottemperato alle richieste di integrazione documentale, sarebbe stato agevole per l'amministrazione definire negativamente i procedimenti in questione, ma così non è stato. In ogni caso, al netto delle opere interessate dalle richieste di condono, gli unici abusi che vengono in rilievo riguarderebbero le difformità dalla licenza edilizia del 1975 (4 bungalow, un fabbricato, il deposito servizi) e il bocciodromo costruito nella fascia demaniale. Si tratterebbe, tuttavia, di interventi di modesta rilevanza, considerato che i due bungalow sono successivamente stati rimossi, mentre le ulteriori difformità edilizie riguardano la diversa ubicazione e la diversità di sagoma, sicchè non vi sarebbero variazioni essenziali. Anche alla luce di tali considerazioni il sacrificio imposto alla società con il provvedimento impugnato sarebbe in contrasto con i principi di proporzionalità, buon andamento e ragionevolezza dell'azione amministrativa. 3) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione del principio di buona fede di cui all'art. 1, comma 2bis, della Legge 7.8.1990, n. 241 e di cui all'art. 1375 c.c.". L'appellante contesta la sentenza nella parte in cui ha escluso la sussistenza del legittimo affidamento osservando che le opere asseritamente abusive sarebbero state eseguite da parte di terzi, la realizzazione del campeggio risale al 1975 mentre l'appellante ne amministra l'attività a partire dal 1993 e deduce la sua ignoranza incolpevole in quanto sia le ordinanze di demolizione, sia i provvedimenti con cui sono state respinte le istanze di condono non sarebbero state prodotte nel giudizio di primo grado ovvero sarebbero state prodotte senza fornire la prova dell'avvenuta notificazione ai rispettivi destinatari. 5. Il Comune di (omissis) ha innanzitutto eccepito l'inammissibilità del primo motivo di appello, in quanto sostanzialmente "rimaneggiato" rispetto a quanto dedotto in primo grado e, perciò, formulato in violazione del divieto di nova in appello; in ogni caso ne ha dedotto l'infondatezza, al pari degli altri motivi. La controinteressata Tu. Fu. s.r.l. - proprietaria del complesso alberghiero denominato "Hotel Ex." confinante con il campeggio - ha ribadito l'eccezione, già sollevata in primo grado, di inammissibilità del ricorso introduttivo per omessa notifica alle altre amministrazioni interessate, coinvolte nell'accertamento che ha condotto all'emanazione dell'ordinanza impugnata nonché per altri profili; in ogni caso ha dedotto l'infondatezza dell'appello e del ricorso introduttivo osservando che le censure dell'appellante non sarebbero idonee a incidere sulla correttezza della 6. Si può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari, essendo l'appello infondato. I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente seguendo un unico ordine logico. Come rilevato dal Tar non è ravvisabile il dedotto difetto di istruttoria che l'appellante ascrive all'operato dell'amministrazione in conseguenza di una lettura "atomistica" degli atti che nell'insieme hanno condotto all'emanazione del provvedimento comunale impugnato. A ben vedere, nella vicenda per cui è causa le diverse amministrazioni coinvolte hanno rilevato una serie di abusi edilizi che non risultano sconfessati né dalle deduzioni dell'appellante né dalla pendenza di istanze di condono, tanto che in ordine alla reiezione di alcune di esse l'appellante si spinge a sostenere di averle ignorate incolpevolmente in quanto l'amministrazione non avrebbe accluso la prova della avvenuta notifica. Ciò posto, le censure riguardanti la presunta doverosità di sospendere il procedimento in attesa della definizione delle istanze di condono esulano dal perimetro del presente giudizio il quale ha ad oggetto non già l'ordinanza di demolizione bensì la revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, la quale si fonda sull'intervenuto accertamento di plurime violazioni, tra le quali quelle edilizie. Il procedimento è stato avviato a seguito di una serie di accertamenti in cui sono stati rilevati due profili di illegittimità : ossia una serie di irregolarità edilizie e l'occupazione di aree demaniali e private. Sono seguite, dunque, due attività provvedimentali: l'una diretta allo sgombero dell'area demaniale illegittimamente occupata e alla rimozione delle opere edilizie abusive ivi insistenti e una diretta alla revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio. Il presente giudizio riguarda la seconda delle indicate attività che, al pari della prima, risulta ben esplicata nella relazione tecnica a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente del comune in cui, dopo aver elencato i titoli rilasciati e le richieste di sanatoria, si conclude che "Dall'esame delle pratiche sopra richiamate si evince che, ad oggi, il Campeggio non dispone di alcun titolo autorizzatorio, ed è, pertanto interamente abusivo, fatta salva la definizione dei condoni richiesti". Nella relazione si dà atto che non è stato possibile effettuare un rilievo puntuale dei manufatti esistenti e non autorizzati, a causa dell'assenza dei titolari delle aree. All'esito di tali verifiche è emerso anche che "Alcune delle opere abusive (bocciodromo e suo ampliamento) insistono sulla proprietà Demanio dello Stato ramo Strade, mentre le stesse strutture abusive descritte al punto 3°, ricadono, in parte nella fascia di rispetto della Strada Statale SS 16 (30 metri)...". A ciò è conseguita da una parte la diffida alla demolizione delle opere abusive, inviata a tutti i soggetti proprietari del camping, e le successive ordinanze di demolizione e di ripristino (nn. 120, 121, 144, 145, 213, 214 del 21 maggio 2019) e, dall'altra, l'ordinanza di sgombero dell'area demaniale occupata, inviata al sig. Ma. Ni., quale legale rappresentante della ditta Ca. Eu., nonché l'ordinanza di revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, impugnata nel presente giudizio. Tale ultima ordinanza è stata adottata all'esito dell'unica complessa attività istruttoria, riguardante i due evidenziati profili di illegittimità . L'amministrazione ha segnalato nell'ordinanza che alcuni terreni sono in proprietà della società e altri condotti in locazione; che sono state realizzate opere abusive anche su area demaniale illegittimamente occupata; che è stato avviato il procedimento per la demolizione delle opere abusive con nota n. 67112 del 18 dicembre 2018; che risultavano presentate dal privato alcune domande di condono edilizio, ancora in fase istruttoria, non essendo stata prodotta tutta la documentazione a corredo, necessaria per un loro riscontro; che alcuni fabbricati insistono sulla fascia di rispetto stradale, altri sono localizzati su suolo demaniale, altri ancora sono stati oggetto di diniego di condono, perché in contrasto con la destinazione a parcheggio del PRG dell'epoca, ulteriori risultano difformi dai titoli autorizzatori per ubicazione e sagoma; che in data 22 marzo 2019 è stato avviato il procedimento di revoca dell'autorizzazione nei confronti sia di Ca. Eu. s.r.l. sia di Ne. Vi. Eu. s.a.s., palesatasi in un dato momento come gestore senza titolo; che in definitiva gli abusi sono tanti e tali da incidere sulla conformazione complessiva del campeggio, da considerarsi dunque in toto abusivo; che Ca. Eu. s.r.l., in sede di osservazioni controdeduttive, ha chiesto una proroga dei termini di revoca, in attesa della definizione delle domande di condono edilizio pendenti; che le domande di condono riguardano tuttavia una minima parte degli abusi e che per gli altri o sono già state emesse ordinanze di demolizione o comunque sono stati avviati i procedimenti per la loro rimozione; che inoltre è stata anche emessa ordinanza n. 150 del 18 aprile 2019 di sgombero di un'area di mq. 460 di demanio marittimo, occupata abusivamente, con obbligo di ripristino dello stato dei luoghi; che il 20 aprile 2019 si è proceduto a sopralluogo di verifica unitamente al personale del Commissariato di pubblica sicurezza di (omissis), con accertamento di plurime infrazioni in materia di disciplina sulla sicurezza; che Ne. Vi. Eu. s.a.s. si è dichiarata estranea alla gestione del campeggio, pur esercitando attività ricettiva di campeggio nella struttura. Dunque, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, l'ordinanza impugnata risulta emessa a seguito di articolata, approfondita e dettagliata fase istruttoria, come risulta dalle relazioni comunali n. 16906 del 21 marzo 2019 e n. 23629 del 23 aprile 2019, dalla relazione Commissariato di pubblica sicurezza del 24 aprile 2019. Quelle rilevate sono plurime irregolarità, riconducibili a diversi aspetti, illegittima occupazione di aree pubbliche e private, gravi mancanze in tema di sicurezza e svariati abusi edilizi, alcuni dei quali anche su area demaniale abusivamente occupata. Il profilo dei plurimi abusi edilizi rappresenta soltanto una delle motivazioni poste alla base dell'ordinanza impugnata, con la conseguenza che, per inciso, appare fondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controinteressata, laddove osserva che gli altri capi del provvedimento plurimotivato non sono stati censurati. Ciò posto, il Collegio rileva che le violazioni riscontrate sono talmente tante e di tale gravità da rendere pienamente legittimo l'atto di revoca dell'autorizzazione amministrativa allo svolgimento dell'attività di campeggio. Perde di rilievo, pertanto, la censura secondo cui la pendenza dei procedimenti di sanatoria non avrebbe potuto consentire al comune l'adozione del provvedimento impugnato dal momento che, come rilevato, il profilo degli abusi edilizi è soltanto uno dei motivi posti alla base dello stesso né può assumere rilievo l'asserita rimozione di alcune opere o la circostanza che alcuni abusi consistano in differente ubicazione e sagoma non possono comunque essere considerati di minore impatto nel contesto surriportato, né che i locali abusivi siano stati accatastati, dal momento che l'accatastamento, che è una mera dichiarazione di parte, non può sopperire alla mancanza del titolo edilizio. A fronte di una tale e composita situazione di illegittimità non è configurabile alcun affidamento del privato che possa qualificarsi come "legittimo", segnatamente con riferimento agli aspetti edilizi. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 17 ottobre 2017 n. 9, ha affermato il seguente principio di diritto "il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino". La sentenza inoltre conferma che la demolizione di opere edilizie abusive può essere disposta nei confronti del proprietario attuale dell'opera (o di chi ne abbia la disponibilità ), anche se non abbia avuto alcuna parte della commissione dell'abuso (orientamento già espresso da Cons. Stato, sez. VI, 26 luglio 2017, n. 3694). D'altra parte è stato condivisibilmente osservato che la mera presentazione dell'istanza di condono non può ritenersi inidonea e sufficiente a consentire l'esercizio dell'attività nei locali oggetto dell'istanza stessa. Infatti, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel rilascio dell'autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività commerciale si va a svolgere, con l'ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz'altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l'attività commerciale viene svolta (cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 8 maggio 2012, n. 5590; id. sez. IV, 14 ottobre 2011 n. 5537). Il legittimo esercizio dell'attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell'autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l'abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un'attività commerciale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2015, n. 4880). La regolarità urbanistico edilizia dell'opera, pertanto, condiziona l'esercizio dell'attività commerciale al suo interno anche perché ritenere il contrario comporterebbe elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi. La stretta connessione tra materie del commercio e dell'urbanistica ha indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale presupposto per l'esercizio di poteri propri sia della materia dell'urbanistica, sia di quella del commercio, con la conseguente inibizione, per l'autorità amministrativa, di assentire l'attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico - edilizia (cfr. Cons. Stato, V, 17 ottobre 2002, n. 5656 e 28 giugno 2000, n. 3639). E' stato così superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l'illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di ampliamento o di trasferimento dell'esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l'interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V, 21 aprile 1997, n. 380): il revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio costituzionale di buona amministrazione per cui non è tollerabile l'esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell'urbanistica e del commercio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2018, n. 3212). Conclusivamente, per quanto precede, esaminate tutte le censure pertinenti, che esauriscono il tema dedotto in giudizio, l'appello deve essere respinto. 7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, nella misura di Euro 2.000,00 (duemila) in favore di ciascuna parte costituita, oltre oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7748 del 2020, proposto da Ca. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. No., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Gi. in Roma, via (...); Or. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. No., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Gi. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Em. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Terza n. 00948/2020, resa tra le parti, Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti appellanti l'avvocato Ma. No.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in esame le odierne parti appellanti impugnavano la sentenza n. 948 del 2020 del Tar Campania, recante rigetto dell'originario gravame, proposto dalle stesse parti al fine di ottenere l'annullamento dell'ordinanza del Comune di (omissis) n. 6573 del 19 ottobre 2015, avente ad oggetto il rigetto della domanda di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi del D.L. 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge 326/2003 (c.d. terzo condono). 1.1 In particolare, il diniego si basava sui seguenti elementi: "1. ai sensi della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a, in combinato con il comma 27, lettera d) (vedasi Corte di Cassazione /Sezione III Penale, 21/12/2004, n. 48956), in quanto l'abuso risulta realizzato su immobile soggetto a vincoli dalla L. 1497/39, oggi D. Lgs. 42/04, a tutela di interessi ambientali, istituiti prima della esecuzione di dette opere e non è conforme alle norme urbanistiche e alle prescrizioni del P.R.G.; 2. ai sensi della L. 47/85 art. 33, comma 1, lettera a e della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a in combinato con comma 27, lettera d, in quanto le opere oggetto di condono sono state realizzate in ambito P.T.P. in zona R.U.A (art. 13 delle Norme di Attuazione del P.T.P.) sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta (L. 431/85) prima della realizzazione delle opere, entro la quale è "vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti."; 3. ai sensi della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a, in combinato con il comma 27, lettera d); in quanto le opere oggetto di condono non sono suscettibili di sanatoria quando sono in contrasto con i vincoli imposti dalla L.R. 07/12/1994 N. 8 a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere istituiti prima della esecuzione di dette opere e dalla L. 326/03 "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere,.in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (realizzati in zona soggetta a vincolo idrogeologico)". 2. All'esito del giudizio di prime cure il Tar condivideva i motivi di diniego, rigettando le censure dedotte. Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello sull'erroneità della sentenza: - violazione dell'art. 32 l. 47 del 1985, difetto di istruttoria; - violazione della l.r. 13 del 1993 e delle norme urbanistiche, diversi profili di eccesso di potere; - violazione della disciplina urbanistico edilizia e paesaggistica in relazione alla consistenza dei manufatti; - analoghi vizi per genericità dell'ingiunzione; - mancata applicazione del silenzio assenso; - omessa pronuncia e violazione dell'art. 112 c.p.c. Il Comune appellato si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello. 3. Alla pubblica udienza del 16 maggio 2024 la causa passava in decisione. 4. L'appello è infondato nel merito, con conseguente superamento dell'eccezione di inammissibilità in base al consolidato principio di economia processuale. 5. In linea di fatto, è pacifica la consistenza delle opere e il carattere vincolato della zona interessata. 5.1 Sul primo versante, nell'ambito del complesso immobiliare, sito in (omissis) alla via (omissis), venivano realizzate, in assenza di titolo autorizzativo, le seguenti opere, tutte al servizio del camping denominato "Sp.", gestito dagli stessi interessati: un manufatto terraneo ad uso ufficio e ricezione clienti; tre bungalows in legno; una tettoia in ferro destinata a stenditoio. 5.2 Sul secondo versante, trattasi di zona vincolata; infatti, il Comune di (omissis) è soggetto al vincolo di cui al D.M. per i BB.AA.AA. del 27.10.1961, che lo ha impresso su tutto il territorio comunale per le finalità di tutela paesaggistica di cui alla L. n. 1497/1939 sulle c.d. bellezze naturali nonché alla L. n. 431/1985. Tale vincolo è pertanto antecedente alla realizzazione delle opere abusive oggetto dell'istanza di condono rigettata. 6. Sulla scorta di tali presupposti, va fatta applicazione dei principi già espressi da questo Consiglio di Stato (anche con specifico riferimento al contenzioso in materia di terzo condono nel territorio del Comune di (omissis): v. Consiglio di Stato, sez. VI, 15/3/2024, n. 2559 e la giurisprudenza ivi richiamata). 6.1 In linea generale, in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dall'art. 32 d.l. n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 326 del 2003) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 14/10/2022, n. 8781). 6.2 Il ruolo del legislatore regionale, "specificativo - all'interno delle scelte riservate al legislatore nazionale - delle norme in tema di condono, contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio, che sono - per loro natura - i più esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi" (cfr. ad es. sentenze nn. 181 del 2021, 49 del 2006 e 208 del 2019). Dalla giurisprudenza costituzionale esaminata emerge: da un lato, il carattere sicuramente più restrittivo del terzo condono rispetto ai precedenti, in ragione dell'effetto ostativo alla sanatoria anche dei vincoli che comportano inedificabilità relativa; da un altro lato, il significativo ruolo riconosciuto al legislatore regionale, al quale - ferma restando la preclusione all'ampliamento degli spazi applicativi del condono - è assegnato il delicato compito di rafforzare la più attenta e specifica considerazione di interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio. 6.3 Le opere per cui è stato chiesto il condono rientrano nella tipologia n. 1, stante l'incremento di superficie e di ingombro, e, sulla base di quanto stabilito dall'art. 32, comma 27 L. 326/03 (alla luce del quale va intesa anche la normativa regionale attuativa), l'abuso non è in radice suscettibile di sanatoria, in quanto ricadente in area vincolata; ciò anche nel caso in cui fosse stata realizzata in epoca antecedente l'imposizione del vincolo. Ai fini della disciplina speciale dettata dall'art. 32 cit. risulta inoltre irrilevante la natura relativa o assoluta del vincolo. 6.4 Invero, premessa in generale la pacifica natura eccezionale e di stretta interpretazione della normativa sul condono tale da escluderne l'applicabilità in termini estensivi (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V 3 giugno 2013 n. 3034 e sez. VI 12 ottobre 2018 n. 5892), quanto sin qui evidenziato rende prima facie manifestamente infondata anche ogni altra censura dedotta. 7. In dettaglio, rispetto al primo motivo, va ribadito che, in virtù della specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione edilizia, considerando anche l'assenza di una specifica previsione in ordine alla necessità del parere della commissione edilizia, il parere della stessa in tale procedimento deve essere considerato facoltativo (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 21/02/2023, n. 1787). 8. Rispetto al secondo motivo, la disciplina evocata non attiene alla previa necessaria legittimazione urbanistico edilizia, specie in ambito soggetto a vincolo paesaggistico. 9. In ordine al terzo motivo, circa la qualificazione delle opere, va ribadito che in linea generale, al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto - specie in ambito soggetto a specifica tutela vincolistica - un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l'impatto effettivo complessivo, con la conseguenza che i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera "frazionata" (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 08/09/2021, n. 6235). 9.1 In definitiva, risulta corretta la qualificazione fatta propria dall'amministrazione e condivisa dal Giudice di prime cure; le opere abusive accertate, realizzate in zona vincolata nei termini predetti, hanno dato luogo ad un intervento di rilevante impatto, correttamente considerato in termini unitari anche a fronte della incisività su di un'area soggetta a specifica tutela, come desumibile dalla chiara ricostruzione posta a base della statuizione contestata, rientrante nelle categorie escluse dal c.d. terzo condono. 10. In relazione al quarto motivo, va ribadito che l'attività di repressione degli abusi edilizi tramite l'emissione dell'ordine di demolizione costituisce attività di natura vincolata, dove la stessa non è assistita da particolari garanzie partecipative, tanto da non ritenersi necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento agli interessati (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 05/04/2022, n. 2523). Il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino. 11. In relazione al quinto motivo, va ribadito che il silenzio che si forma per il decorso dei termini sull'istanza di condono edilizio, nell'ipotesi di manufatti su aree soggette a vincoli, non equivale mai ad assenso e nel caso in cui, scaduto il termine, sia sopravvenuto il parere negativo, lo stesso ha valore vincolante e preclude il condono edilizio (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 18/11/2022, n. 10189). 12. In relazione al sesto motivo, va condivisa la conclusione della sentenza impugnata, attesa la piena ostatività degli argomenti sottesi al rigetto dei motivi di diniego opposti. 13. Alla luce delle considerazioni che precedono l'appello è pertanto infondato e va respinto. 14. Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, o respinge. Condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori dovuti per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8886 del 2021, proposto da Ma. Del Pr., rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Ve., con domicilio eletto presso lo studio Fr. Pi. in Roma, corso (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fl. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Seconda n. 01443/2021, per l'annullamento del diniego della istanza di sanatoria straordinaria di illeciti amministrativi derivanti dalla realizzazione di abusi edilizi ex legge n. 326/03 e legge regionale Campania n. 10/04 del 18 novembre 2004, prot. 28736, pratica n. 87, ad istanza della sig.ra Ma. Del Pr. e relativa al fabbricato sito in (omissis) alla via (omissis), foglio n. (omissis), p.lla (omissis). Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è presente per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli Sezione Seconda, n. 01433/2021, di reiezione del ricorso proposto dalla sig.ra Ma. Del Pr. avverso il diniego (n. 30 del 18 marzo 2009, prot. n. 12233) opposto dal Comune di (omissis) all'istanza di condono, presentata ai sensi delle ex l. 326/03 e l.r. Campania 10/04, avente ad oggetto il manufatto per civile abitazione della superficie di circa mq 150 di dimensione max 11,70 mt x mt 12,80 mt, composto da piano seminterrato e piano rialzato. Intervento abusivo realizzato nell'area proprietà sita in (omissis) (NA), alla via (omissis), ricadente in zona C3 (edificabile) del vigente Piano Regolatore Generale comunale, riportata in Catasto Terreni al foglio (omissis), part. (omissis). 2. Con nota (prot. 3482 del 14/4/2006) il Comune ha comunicato, ai sensi dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, il motivo ostativo all'accoglimento dell'istanza di condono: come accertato dal verbale di sequestro preventivo da parte della A.G. del manufatto, la costruzione alla data del 7 novembre 2003, termine ultimo per fruire del condono, non era completa al rustico. Ricevute le controdeduzioni inviate dalla ricorrente, il Comune ha definitivamente respinto l'istanza di sanatoria, con la seguente motivazione: "entro il termine assegnato sono pervenute osservazioni con nota del 12.05.2006 prot. 13707, non meritevoli di accoglienza, in quanto non corredate di alcuna documentazione; l'atto di donazione del suolo è del 24.09.2003 e il fabbricato non risulta nel rilievo foto aereo del 26.02.2003; la domanda non è stata prodotta in forma legale e non sono state versate tutte le somme come dichiarate, nonché è carente di documentazione integrativa come prevista per legge". 3. La ricorrente ha impugnato il diniego, lamentando: violazione dell'art. 10-bis l. 241/1990; difetto di istruttoria e di motivazione, carenza dei presupposti di legge e erroneità di tutte le motivazioni ostative. 4. Il Tar ha respinto il ricorso. Alla data del 5 novembre 2003, giorno in cui è avvenuto il sequestro preventivo ad opera dei Carabinieri di (omissis), l'immobile, ha affermato il Tar, si presentava allo stato grezzo e con un primo piano costituito solo da pilastri, senza pareti in muratura, in stato di incondonabilità rispetto alle previsioni della legge regionale, essendo privo dell'elemento della utilizzabilità, perché ancora completamente. Il Tar osserva che a fronte della contestazione in sede di preavviso di rigetto ex art. 10 bis, la parte non ha prodotto alcuna documentazione atta a dimostrare il contrario, di cui all'affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, relativa alla assenza di documentazione allegata alle controdeduzioni. Rileva il Tar che è priva di pregio la tesi della parte sull'avvenuta realizzazione del manufatto in venti giorni. Trattasi di ipotesi di parte, non sorrette da alcun tipo di documentazione anche fotografica a sostegno dello stato di avanzamento dei lavori nell'intervallo tra il 26 febbraio 2003 e il 31 marzo 2003, da non escludere che l'immobile, come rinvenuto nel novembre 2003, sia stato costruito dopo il 31 marzo 2003. Inoltre il Giudice di prime cure afferma che non vi è contestazione sulla circostanza documentale che, alla data del 26 febbraio 2003, del fabbricato non vi fosse traccia sulle rilevazioni aeree. 5. Appella la sentenza la sig.ra Ma. Del Pr.. Resiste il Comune di (omissis). 6. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 7. Con il primo motivo l'appellante evidenzia che il Tar, a sostegno del provvedimento di rigetto, ha fatto richiamato elementi di fatto non contenuti nella motivazione del diniego impugnato, quali il fatto che alla data del 7 novembre 2003 la costruzione non era completa al rustico ai sensi dell'art. 3 della l. n. 10/2004; che il fabbricato non risulta nel rilievo fotoaereo del 26 febbraio 2003. In tal modo il Tar avrebbe surrettiziamente ampliato la motivazione del diniego comunale, che, viceversa, si fondava sulla (sola) considerazione che dal verbale di sequestro del 7/11/2003 il manufatto risulta "non completo al rustico". In senso paradigmatico, il diniego, deduce la ricorrente, opera rinvio ricettizio all'art. 3 l.r. 10/2004 nella sola parte in cui ha confermato le disposizioni della legge statale n. 326/2003, ovvero che: "non possono formare oggetto della sanatoria prevista dall'articolo 32 della legge 326/2003, le opere abusive rientranti nelle tipologie dell'allegato 1 della medesima legge, se le stesse (....) b) sono state ultimate dopo il 31 marzo 2003". Senza alcun riferimento, precisa l'appellante, all'art. 3, comma 2, lett. b) l.r. 10/2004 secondo cui "Si considerano ultimate le opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura e concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate ". In definitiva il Tar avrebbe omesso di considerare che il manufatto, come accertato nel verbale di sequestro del 7/11/2003, era già idoneo a delineare i volumi, pertanto doveva considerarsi "ultimato". Del pari, il volume occupato dalla struttura era, a quella data, esattamente definibile, sebbene non materialmente circoscritto dalla muratura raccordante i due piani costituiti dai solai. Quanto affermato risulterebbe anche dalla lettura del verbale di sequestro della Stazione dei Carabinieri redatto il 5/11/2003, laddove nel descrivere l'estensione dell'opera viene riportato: "la costruzione consiste nell'aver realizzato un fabbricato di forma quasi rettangolare di dimensioni max. 11.70 mt. x 12.80 mt.".. Nel provvedimento comunale non si farebbe riferimento al concetto di ultimazione quale "opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura e concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate", pertanto la sentenza sarebbe illegittima nella parte in cui si fonda sulle citate più restrittive disposizioni regionali, le quali sarebbero costituzionalmente illegittime in quanto in contrasto con le corrispondenti disposizioni di legge statale sul condono e sul concetto di "ultimazione" delle opere ivi previsto. 8.1 Il motivo è infondato. Il diniego impugnato, sintatticamente nella parte motiva, è sorretto da plurime motivazioni. Anzitutto il Comune richiama il contenuto del motivo ostativo all'accoglimento dell'istanza, tempestivamente comunicato alla ricorrente. In esso s'afferma che "la costruzione contrasta quanto disposto dalla L.R. 10/04 art. 3 lett. B e come ulteriormente precisato con circolare Ministeriale del 7/12/2005 prot. 2699/C in quanto alla data del 07-11-2003, come accertato dal verbale di sequestro preventivo da parte della A.G., la stessa non era completa al rustico". Prosegue ritenendo che "Considerato che entro il termine assegnato sono pervenute osservazioni con nota del 12.05.2006 prot. 13707, non meritevoli di accoglienza, in quanto non corredate da alcuna documentazione; che l'atto di donazione del suolo è del 24.09.2003 e il fabbricato non risulta nel rilievo fotoaereo del 26.02.2003; Che la domanda non è stata prodotta in forma legale e che non son state versate tutte le somme dichiarate, nonché è carente di documentazione integrativa come prevista per legge". I riferimenti grafici contenuti nell'atto impugnato, appena elencati, danno plasticamente conto che il Tar non ha operato alcuna integrazione del provvedimento di diniego oggetto di gravame. In secondo luogo, va osservato che l'art. 3, comma 2, lett. b) l. r.18 novembre 20004 n. 10 recita che "non possono formare oggetto della sanatoria prevista dall'articolo 32 della legge 326/2003, le opere abusive rientranti nelle tipologie dell'allegato 1 della medesima legge, se le stesse (....) b) sono state ultimate dopo il 31 marzo 2003. Si considerano ultimate le opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura e concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate". Tale disposizione, ai fini dell'applicazione del condono edilizio di cui al d.l. n. 269 del 2003 per le opere ultimate dopo la data del 31 marzo 2003, è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che "si considerano ultimate le opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura ed inoltre (a differenza della meno restrittiva legislazione nazionale) che siano concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate. Ciò comporta che il rilascio del provvedimento di condono richiede che il manufatto, ancorché incompleto, sia pur sempre riferibile, anche da un punto di vista funzionale, all'abuso per il quale è stata proposta domanda: la costruzione, anche se non completamente ultimata, deve essere idonea alle funzioni cui l'opera è destinata" (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. VI, 18 aprile 2017, n. 2129). 9. Con il secondo motivo l'appellante censura la pronuncia nella parte in cui ha respinto il terzo motivo del ricorso di primo grado incentrato sull'erroneità della motivazione dell'impugnato diniego fondata sulla ritenuta non ultimazione del manufatto alla data del 31/3/2003 poiché "non risulta nel rilievo fotoaereo del 26/2/2003". Il Tar avrebbe pretermesso l'efficacia probatoria della dichiarazione sostitutiva di notorietà dell'intervenuta ultimazione delle opere entro la data di scadenza potenzialmente idonea e sufficiente a dimostrare la data di ultimazione delle opere. Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza appellata., gli elementi di prova raccolti dall'amministrazione, avrebbero confermato la dichiarazione sostitutiva di notorietà sull'intervenuta ultimazione delle opere al 31/3/2003. 9.1 Il motivo non merita accoglimento. Per consolidata giurisprudenza, qui condivisa, "l'onere di provare l'ultimazione del manufatto alla data utile per beneficiare del condono spetta all'interessato, poiché il periodo di realizzazione delle opere costituisce elemento fattuale rientrante nella disponibilità della parte che invoca la sussistenza del presupposto temporale per usufruirne (ex multis, Cons. Stato, sez. II, 11 novembre 2019, n. 7678). Al riguardo, non è sufficiente la sola dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio, che deve essere supportata da ulteriori riscontri documentali, eventualmente indiziari, purché altamente probanti (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4075; Id., sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 254). Infatti "anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto notorio presentata dall'interessato, l'amministrazione può legittimamente respingere la domanda di condono ove non riscontri elementi dai quali risulti univocamente l'ultimazione dell'edificio entro la data prescritta dalla legge, atteso che la semplice produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non può in alcun modo assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull'epoca dell'abuso" (cfr., Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4168; Id., sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6548, e la giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie è incontestato il fatto che il manufatto in oggetto non risulta nel rilievo fotoaereo del 26/2/2003. Come correttamente rilevato dal Tar, la prospettazione della parte che ritiene che in venti giorni sia possibile edificare un manufatto delle dimensioni di quello oggetto del contenzioso è priva di pregio. Oltretutto, va sottolineato, non sorretta da alcun tipo di documentazione anche fotografica a sostegno dello stato di avanzamento dei lavori nell'intervallo tra il 26 febbraio 2003 e il 31 marzo 2003. Inoltre alla data del 5 novembre 2003, giorno in cui è avvenuto il sequestro preventivo ad opera dei Carabinieri di (omissis) il manufatto nel verbale viene descritto comunque allo stato grezzo. 10. Con il terzo motivo l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il primo motivo di ricorso con cui aveva dedotto che il Comune di (omissis) non avrebbe ritenuto meritevoli di accoglimento le osservazioni avanzate con nota prot. 13707 del 12/5/2006, rispetto al motivo ostativo comunicatole, non perché infondate o non pertinenti, ma perché "non corredate da alcuna documentazione". La motivazione del preavviso di diniego lascerebbe intendere che, se le controdeduzioni fossero state corredate da documentazione, l'amministrazione avrebbe accolto la domanda di condono.. Sul punto l'appellante precisa che le osservazioni offerte sono meramente tecniche e fanno riferimento a documenti già in possesso dello stesso ente. Sicché il Comune non avrebbe esaminato le note tecniche, o, se lo ha fatto, non avrebbe fornito le motivazioni per cui le ha disattese, inficiando in tal modo il procedimento. 11. Con il quarto motivo l'appellante lamenta l'illegittimità della pronuncia gravata per omesso esame e accoglimento del secondo motivo del ricorso di primo grado con cui aveva eccepito la violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, avendo il Comune omesso di fornire alcuna giustificazione circa il mancato accoglimento delle osservazioni procedimentali dell'appellante prot. 13707 del 12/5/2006. 11.1 Le censure possono essere esaminate congiuntamente e sono infondate. La finalità dell'istituto di cui all'art. 10 bis della l. n. 241/1990 è garantire la partecipazione del privato indicando quegli elementi fattuali o valutativi che potrebbero influire sul contenuto del provvedimento finale. Pertanto è opportuno che in tale sede il privato non si limiti a contestare gli eventuali motivi di rigetto eccepiti dall'amministrazione ma offra a sostegno delle sue osservazioni documenti ed elementi probatori certi che riescano a superare le conclusioni dell'Amministrazione. E' da escludere che l'art. 10 bis l. 241/1990 preveda la necessità di una puntale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dall'interessato, allorché la motivazione dell'atto sia già di per sé sufficiente a sorreggere la determinazione adottata (cfr., Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2018, n. 4523). Al contrario, per giustificare il provvedimento conclusivo adottato, è sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso, alla luce delle risultanze acquisite (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 agosto 2023, n. 8063; Cons Stato, Sez. V, 20 ottobre 2021, n. 7054; Cons. Stato, Sez. VI, 18 novembre 2022, n. 10189). 12. Con il quinto motivo l'appellante lamenta l'illegittimità della pronuncia gravata per omesso esame e accoglimento del quarto motivo del ricorso di primo grado rubricato "Eccesso di potere per carenza di motivazione" che in questa sede ripropone. Il Comune di (omissis) in violazione dei principi di imparzialità e trasparenza dell'azione amministrativa indicherebbe la data della donazione del suolo (l'atto è del 24.09.2003) quale motivo ostativo al rilascio del condono, senza specificare quali conseguenze tecnico-giuridiche trae da quella data. In tal modo l'appellante non sarebbe stata posta nella condizione di difendersi e replicare. 13. Con il quinto motivo l'appellante lamenta l'illegittimità della pronuncia gravata per omesso esame e accoglimento del quinto motivo del ricorso di primo grado rubricato "Violazione di legge. Difetto del presupposto" che in questa sede ripropone. Il Comune assume ad ulteriore motivo ostativo al condono il fatto che "la domanda non è stata prodotta in forma legale". Per l'appellante tale osservazione va censurata in quanto la normativa sul condono stabilirebbe che la domanda va proposta in carta semplice. Ulteriore motivo addotto dall'Ente ai fini del diniego del condono è che "non sono state versate tutte le somme come dichiarate". Sul punto l'appellante sostiene che il mancato versamento delle somme non determinerebbe la reiezione della domanda di condono. Ultimo motivo di diniego indicato dal Comune è che la domanda "è carente di documentazione integrativa come prevista dalla legge". Il Comune, lamenta l'appellante, avrebbe omesso d'esaminare la documentazione di cui all'art. 5 della l. r. n. 10 del 18 novembre 2004 allegata all'istanza di condono. 14. Le censure possono essere esaminate congiuntamente sono infondate. Il provvedimento di diniego di condono edilizio è un atto plurimotivato, per tali atti la sussistenza di una solo valida ragione ostativa a sostegno del diniego rende praticamente irrilevante la fondatezza di un ulteriore motivo. Il diniego si fonda sul plurimi di motivi, in termini tali da ritenere applicabile altresì il consolidato principio a mente del quale "in presenza di un atto plurimotivato è sufficiente riscontrare la legittimità di una delle autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa, al fine di rigettare l'intero ricorso, tenuto conto che, anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza, il provvedimento amministrativo non potrebbe comunque essere annullato, in quanto sorretto da un'autonoma ragione giustificatrice confermata in sede giudiziale" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 marzo 2024, n. 2085; Id., sez. VI, 24 marzo 2023, n. 3023; Id., sez. VI, 19 marzo 2024, n. 2682 e, da ultimo, Id., sez. VI, 5 marzo 2024, n. 2171). Nel caso di specie l'opera oggetto di contestazione non risulta "completa al rustico" in data antecedente al 31 marzo 2003. Il motivo consente di affermare la legittimità del provvedimento gravato. 15. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 16. Le spese del doppio grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la sig.ra Ma. Del Pr. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro oltre diritti ed accesso di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 664 del 2019, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati An. Si. Ed. Ba. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro Ente di Diritto Pubblico Parco Regionale della Valle del Lambro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Fe. ed En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. En. Ro. in Milano, Piazza (...); nei confronti del Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso di (...); sul ricorso numero di registro generale 1984 del 2019, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati An. Si. Ed. Ba. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso di (...); nei confronti del Parco Regionale della Valle del Lambro, non costituito in giudizio; per l'annullamento - quanto al ricorso n. 664 del 2019: del provvedimento (prot. -OMISSIS-) recante parere ai sensi dell'art. 32 del decreto legge n. 269/2003, reso dal Parco Regionale della Valle del Lambro in data 26.02.2010 sulla istanza presentata dal dante causa delle ricorrenti per la sanatoria di opere eseguite sul fabbricato di proprietà, sito in -OMISSIS- (MB), meglio descritto in atti, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale; - quanto al ricorso n. 1984 del 2019: del provvedimento ("Protocollo: -OMISSIS-") - avente ad oggetto "Domanda, ai sensi dell'art. 32 del D.L. 269/2003, di definizione degli illeciti edilizi N.-OMISSIS- per l'intervento in sanatoria di eliminazione locale caldaia, chiusura parziale porticato esistente per formazione taverna, realizzazione bagno di servizio in strada della -OMISSIS- n. -OMISSIS- fg. -OMISSIS- mapp. -OMISSIS-.. Diniego definitivo", emesso dal Comune di -OMISSIS- in data 25.07.2019 e notificato in pari data, sulla istanza presentata dal dante causa delle ricorrenti per la sanatoria di opere eseguite sul fabbricato di proprietà, sito in -OMISSIS- (MB), meglio descritto in atti, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale, ivi incluso il preavviso di diniego; nonché per la condanna del Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore e dei suoi Responsabili, anche in solido tra loro, al risarcimento del danno ingiusto cagionato alle ricorrenti. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS- e dell'Ente di Diritto Pubblico Parco Regionale della Valle del Lambro; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2024 la dott.ssa Silvia Torraca e uditi i difensori della parte ricorrente e del Comune, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con il ricorso iscritto al N. R.G. 664/2019 -OMISSIS- e -OMISSIS-, quali proprietarie - in forza di successione mortis causa di -OMISSIS- - del fabbricato sito in -OMISSIS-, Strada delle -OMISSIS-, meglio descritto in atti, hanno impugnato il parere negativo reso in data 26.02.2010 dall'Ente Parco Regionale della Valle del Lambro ai sensi dell'art. 32 D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326) sulla istanza presentata in data 09.01.2004 dal loro dante causa ai fini del condono di opere abusive realizzate nel predetto immobile. Hanno esposto che il Comune era rimasto inerte in relazione alla suddetta istanza e che, solo a seguito di accesso agli atti dalle stesse richiesto dopo il decesso del de cuius, avevano appreso del parere negativo espresso dall'Ente Parco sin dal 2010 e mai comunicato al richiedente. Con il primo motivo di gravame le ricorrenti hanno censurato il suddetto parere in ragione: dell'asserita contraddittorietà rispetto all'autorizzazione edilizia e paesaggistica rilasciata in favore del dante causa per le opere realizzate nel medesimo immobile nel 1997 (di cui quelle successive costituivano mero ampliamento/completamento); della violazione e falsa applicazione dell'art. 32 D.L. 269/2003, non potendo le opere oggetto dell'istanza di sanatoria essere qualificate come "nuova costruzione"; del difetto di istruttoria e del travisamento dei fatti. Con il secondo motivo di ricorso sono state dedotte violazioni di natura procedimentale in relazione all'art. 32, co. 43 D.L. 269/2003 e agli artt. 2, 2-bis e 10-bis l. 241/1990. Si sono costituiti in giudizio il Parco Regionale della Valle del Lambro e il Comune di -OMISSIS-, entrambi deducendo l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, appuntandosi lo stesso avverso un atto endoprocedimentale, e l'infondatezza nel merito delle censure ex adverso articolate. 2. Con autonomo gravame (iscritto al N. R.G. 1984/2019) le ricorrenti hanno impugnato il successivo diniego emesso dal Comune di -OMISSIS- sull'istanza di condono edilizio sopra richiamata, chiedendone l'annullamento per i medesimi motivi già articolati avverso il parere negativo del Parco Regionale, oltre alla condanna del Comune, in persona del Sindaco e dei suoi Responsabili, anche in solido tra loro, al risarcimento dei danni cagionati. Si è costituito il solo Comune di -OMISSIS-, richiamando le difese già svolte nel giudizio contraddistinto al N. R.G. 664/2019 e deducendo l'infondatezza della domanda risarcitoria. 3. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 73 c.p.a. All'udienza pubblica del 29 maggio 2024 entrambi i ricorsi sono stati trattenuti in decisione. DIRITTO 1. In via preliminare il Collegio dispone d'ufficio la riunione dei ricorsi ex art. 70 c.p.a., in quanto soggettivamente ed oggettivamente connessi, poiché pendenti tra le stesse parti e vertenti, rispettivamente, su un atto endoprocedimentale e sul provvedimento conclusivo del medesimo procedimento, dei quali è stato chiesto l'annullamento per identici motivi. 2. Ciò premesso, deve in primo luogo essere dichiarata l'inammissibilità per carenza di interesse del ricorso iscritto al N. R.G. 664/2019, avendo lo stesso ad oggetto un atto di natura endoprocedimentale, come tale privo di efficacia lesiva. Come ben evidenziato da Cons. Stato, Sez. V, Sent., 10/02/2004, n. 480, infatti, "la determinazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico trova comunque origine nell'avvio di un procedimento edilizio partitamene disciplinato, anche nelle sue diverse scansioni temporali. L'atto assume una valenza esterna nella parte in cui esprime la valutazione compiuta dell'amministrazione in ordine agli interessi affidati alla sua cura. Ma la concreta lesività del provvedimento si manifesta solo nel momento in cui esso è trasposto o richiamato nell'atto finale che definisce la domanda di sanatoria edilizia (Cons. Stato, V Sez. 20 marzo 2000, n. 1511; Cons. Stato, VI Sez., 28 gennaio 1998, n. 114). In tal senso si pone anche una generale esigenza di tutela dell'affidamento del privato, considerando che l'atto dell'autorità titolare del potere di tutela del vincolo è denominato parere e che l'assetto di interessi complessivo riguardante la richiesta di sanatoria è sintetizzato e delineato compiutamente solo dal provvedimento dell'autorità comunale". Nel caso di specie, parte ricorrente ha impugnato il parere negativo reso dall'Ente Parco in un momento in cui il Comune non aveva ancora concluso il procedimento relativo all'istanza di sanatoria; una volta che tale procedimento è stato definito mediante l'emanazione del provvedimento di diniego dell'istanza - adottato dal Comune in data 25.07.2019 - le odierne ricorrenti hanno tempestivamente proposto autonomo ricorso avverso quest'ultimo, il quale costituisce l'unico provvedimento lesivo della loro situazione giuridica. 3. Passando all'esame del ricorso contraddistinto al N. R.G. 1984/2019, va osservato quanto segue. 3.1. Con il primo motivo si contesta la qualificazione di "nuova costruzione" assegnata alle opere oggetto della richiesta di sanatoria, con conseguente violazione dell'art. 3 D.P.R. 380/2001, e si deduce il difetto motivazionale del provvedimento impugnato, atteso che "non solo il porticato esterno dell'immobile di Via della -OMISSIS- era già stato parzialmente chiuso per ricavare dei vani tecnici (e detto intervento assentito, pur in costanza del vincolo paesaggistico), ma detta circostanza era altresì già nota alla P.A., la quale disponeva della documentazione comprovante lo stato di fatto autorizzato ed assentito". 3.2. La censura è infondata. 3.3. È pacifico che le opere abusivamente realizzate consistessero nella eliminazione del locale caldaia, nella (ulteriore) chiusura parziale del porticato (da un lato con muratura, dall'altro con basculante) ai fini della formazione di una taverna e nella realizzazione di un bagno di servizio interno. Ciò posto, non può condividersi la tesi di parte ricorrente secondo cui le suddette opere non integrerebbero una nuova costruzione, esaurendosi in un mero "ampliamento/completamento" di quelle assentite nel 1997: e ciò, in primo luogo, perché l'autorizzazione alla realizzazione di determinate opere non ne legittima automaticamente il relativo ampliamento (tanto più ove si consideri la consistenza dell'intervento de quo, che ha comportato la creazione di nuova volumetria - 38 mq - e superficie utile, ossia una trasformazione urbanisticamente rilevante dell'assetto edilizio preesistente, necessitante del previo rilascio del permesso di costruire) e, in secondo luogo -e per quanto qui maggiormente interessa- perché tale conclusione risulta inficiata nei presupposti, posto che all'epoca del rilascio della autorizzazione relativa alle prime opere (1997) non sussisteva il vincolo del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco, approvato con deliberazione di Giunta Regionale n. 7/601 del 28 luglio 2000, rettificata con D.G.R. n. 7/6757 del 9 novembre 2001. Dirimente risulta, dunque, la circostanza che le opere di cui è controversia - essendo state ultimate in data 29 marzo 2003 - fossero assoggettate all'imposizione del predetto vincolo. Come è noto, infatti, l'art. 32, co. 27 D.L. 269/2003 cit. stabilisce che "...le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:... d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". 3.4. Ad avviso di parte ricorrente, "la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilità ex art. 33 legge n. 47 del 1985) e non anche nella diversa ipotesi di vincolo di inedificabilità relativa, ovvero di vincolo di tutela suscettibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilità delle opere da sanare da parte della competente autorità (ad es. cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 696 del 4.5.1995). Sul punto, si ribadisce che l'area in questione è edificata, ad esempio con l'immobile delle ricorrenti, dunque non può discutersi di inedificabilità assoluta". 3.5. Tale tesi non merita condivisione. Secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (v., da ultimo, Sez. VI, 12/12/2023, n. 10697), "ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni - e cioè che le opere siano realizzate prima dell'imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori senza aumento di superficie e volume (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo, indipendentemente dal fatto che il vincolo non sia di carattere assoluto, non può essere sanato (Cons. Stato, sez. VI, 15/11/2022, n. 9986)". Ne deriva che, a prescindere dalla natura relativa o assoluta del vincolo paesaggistico insistente sull'area, l'opera in concreto realizzata (come visto, tamponatura del porticato esistente e creazione di un bagno di servizio interno, con aumento di superficie di circa 38 mq) non era sanabile, non essendo riconducibile alle c.d. opere minori di cui ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 al D.L. 269/2003 (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). 3.6. Del pari privo di pregio è l'assunto di parte ricorrente secondo cui l'intervento di cui è causa non potrebbe qualificarsi in termini di "nuova costruzione" neppure ai sensi dell'art. 3, co. 1, lett. e.6) D.P.R. 380/2001 "atteso il modesto aumento volumetrico ricavato dalla parziale chiusura del porticato (38 mq) e quindi ben inferiore al limite del 20% condonabile". Nel caso di specie, l'intervento effettuato è consistito nella tamponatura di un originario portico, di fatto trasformandolo in un vano chiuso. Secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. da ultimo, sez. II, 1 settembre 2021, n. 6186) "l'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz'altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria" (v. ex multis Cons. Stato, sez. II, 27 giugno 2019, n. 4437; sez. V, 5 maggio 2016, n. 1822). L'intervento, cioè, va riguardato dall'ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria, sia che ciò consegua alla chiusura su tutti i lati, sia che ne implichi anche la copertura, pure con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili. La avvenuta realizzazione di un vano aggiuntivo mediante tamponatura di un portico non può neppure qualificarsi come pertinenza in senso urbanistico, in quanto integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie". 4. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente ha censurato la violazione delle garanzie procedimentali previste dalla l. 241/1990, attesa la tardiva conclusione del procedimento (avvenuta a distanza di quindici anni dalla presentazione dell'istanza di condono) nonché l'omessa tempestiva comunicazione, da parte del Comune, del parere negativo reso ai sensi dell'art. 32 D.L. 269/2003 dal Parco Regionale della Valle del Lambro (conosciuto dalle ricorrenti solo nove anni più tardi e a seguito di istanza di accesso agli atti dalle stesse avanzata), con conseguente lesione del legittimo affidamento ingenerato nel privato. 4.1. Il motivo non è suscettibile di favorevole apprezzamento. Soccorrono sul punto le conclusioni formulate da Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9, secondo cui "la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere "legittimo" in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata". Secondo la giurisprudenza consolidata, in particolare, i provvedimenti che sanzionano l'attività edilizia abusiva - ivi compresi i dinieghi di sanatoria - sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né ancora alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare, e non potendo l'interessato dolersi del fatto che l'amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi; "sicché è legittima e doverosa l'adozione del provvedimento di diniego del condono anche quando sia trascorso un lungo periodo di tempo dalla presentazione dell'istanza, senza necessità di una specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, ulteriori rispetto a quelle inerenti al ripristino della legittimità violata" (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 3 aprile 2023, n. 1103, richiamata da T.A.R. Sicilia, Catania, 30 ottobre 2023, n. 3222). Pertanto, la circostanza che il diniego del Comune sia stato emesso a distanza di ben quindici anni dalla presentazione dell'istanza di condono, non permette di radicare alcun affidamento tutelabile, né per quanto riguarda l'estensione delle categorie della sanatoria, né relativamente alla persistenza del potere di intimare la rimessione in pristino (in tal senso, T.A.R. Brescia, sez. II, 10 luglio 2023, n. 577). 5. Per tutte le ragioni sin qui esposte, il diniego di condono risulta quindi legittimamente adottato. 6. Dalla reiezione della domanda caducatoria discende, quale logico corollario, l'infondatezza della domanda risarcitoria proposta dalle ricorrenti. 7. In conclusione, il ricorso contraddistinto al N. R.G. 1984/2019 deve essere respinto. 8. Tenuto conto della risalenza della controversia nonché della peculiarità della vicenda sotto il profilo procedimentale, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i giudizi. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, previa riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, dichiara l'inammissibilità del ricorso N. R.G. 664/2019 e respinge il ricorso N. R.G. 1984/2019. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le ricorrenti. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente Silvia Cattaneo - Consigliere Silvia Torraca - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GALTERIO Donatella - Presidente Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - rel. Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 20/07/2022 del TRIBUNALE di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO; lette le conclusioni del PG LUIGI GIORDANO, che conclude per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza del 28 giugno 2022, il giudice dell'esecuzione del Tribunale di Napoli ha rigettato l'istanza di (OMISSIS) di declaratoria di inesistenza, di estinzione, di nullita' o inefficacia dell'ingiunzione a demolire n. 19/2007 emessa dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli in esecuzione della condanna inflitta dal Tribunale di Napoli con la sentenza del 7 marzo 2013, irrevocabile il 11 marzo 2005. 1.1. Ha rilevato il giudice dell'esecuzione che nei confronti di (OMISSIS) e del coniuge (OMISSIS) fu emessa la sentenza ex articolo 444 c.p.p. dal Pretore di Napoli il 30 dicembre 1997, irrevocabile il 9 giugno 1998, per l'edificazione, in zona paesaggisticamente vincolata, in carenza di permesso di costruire, di un manufatto di 3 livelli, in violazione dei sigilli, fino al 10 novembre 1993, tompagnato su tre lati ed intonacato, con piano di calpestio al rustico. Il Pretore emise l'ordine di demolizione delle opere abusivamente realizzate, posto in esecuzione dal Pubblico ministero con la procedura R.E.S.A. n. 134/1999. 1.2. Con la sentenza del 7 marzo 2013, irrevocabile il 11 marzo 2005, (OMISSIS) fu condannata per il completamento del manufatto, costituito da piano cantinato, piano rialzato e primo piano, di cui alla sentenza ex articolo 444 c.p.p. e per la realizzazione nel locale cantinato dell'immobile abusivamente realizzato di tramezzature, ricavando cosi' 5 ambienti. L'ordine di demolizione impartito con tale sentenza e' stato messo in esecuzione dal Pubblico ministero con il provvedimento n. 19/2007. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS). 2.1. Dopo aver ricostruito il fatto, con il primo motivo si deduce la contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione al motivo sub 2 dell'incidente di esecuzione (violazione articoli 6 e 8 Cedu), il travisamento del fatto e della prova, invocando l'applicazione dei principi della sentenza Ivanova e deducendo, altresi', la violazione del principio di proporzionalita' della sanzione e la contraddittorieta' della motivazione sulle opere oggetto della demolizione. 2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli articoli 6 e 8 della Cedu, l'omessa motivazione in ordine alla valutazione del criterio della proporzionalita' della demolizione con gli altri interessi in gioco. Dopo i richiami alla giurisprudenza, si assume che la ricorrente non sarebbe la proprietaria; che fra gli abitanti dell'immobile vi sarebbe (OMISSIS), allettata da tempo ed in gravi condizioni di salite; l'abitazione sarebbe la sede della vita familiare e dei propri affetti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' manifestamente infondato. 1.1. E' inammissibile il motivo laddove si deduce il travisamento del fatto. Va ribadito il principio espresso da Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 - 01, secondo il quale anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. 1.2. Va ricordato che secondo Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 01, alla cui motivazione si rimanda, non consentito il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduca la violazione di norme della Costituzione o della Convenzione EDU, poiche' la loro inosservanza non e' prevista tra i casi di ricorso dall'articolo 606 c.p.p. e puo' soltanto costituire fondamento di una questione di legittimita' costituzionale. 1.3. Il primo motivo e' manifestamente infondato perche' l'errore in cui sarebbe incorso il giudice dell'esecuzione e' del tutto irrilevante ai fini della decisione. Risulta dal provvedimento impugnato che nei confronti della ricorrente esistono due titoli esecutivi che hanno ad oggetto, nel loro complesso, l'intero fabbricato. Per altro, la seconda sentenza definitiva, messa in esecuzione con il provvedimento n. 19/2007, ha ad oggetto non solo le opere realizzate nel piano cantinato, trasformato secondo la ricorrente in un'unita' abitativa, ma anche il completamento delle opere gia' abusivamente realizzate, relative all'intero fabbricato. Dunque, e' indubbio che gli ordini di demolizione emessi dai giudici, ed anche da solo quello relativo alla sentenza del 7 marzo 2013, irrevocabile il 11 marzo 2005, riguardino l'intero fabbricato. 1.4. Orbene, il ricorrente invoca l'applicazione dei principi della sentenza Ivanova mentre dagli atti risulta che la stessa ricorrente ha depositato un'istanza di autodemolizione dell'intero fabbricato, a cui ha dato il nulla osta il Pubblico ministero, sicche' la stessa ricorrente ha dimostrato l'insussistenza dei presupposti di fatto invocati nel ricorso. 1.5. Vanno ribaditi i principi espressi da Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, D'Auria, Rv. 282950 - 01, secondo cui, in tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, e' tenuto a rispettare il principio di proporzionalita' enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilita', da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilita' di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonche' l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attivita' edificatoria. Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto corretta la decisione di rigetto dell'istanza di revoca dell'ingiunzione a demolire un immobile abusivo, rilevando che i ricorrenti avevano commesso numerose contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e piu' delitti di violazione dei sigilli, avevano potuto avvalersi di plurimi rimedi per la tutela in giudizio delle proprie ragioni, avevano beneficiato di un congruo tempo per individuare altre situazioni abitative e non avevano indicato specifiche esigenze che giustificassero il rinvio dell'esecuzione dell'ordine di demolizione onde evitare la compromissione di altri diritti fondamentali. 1.6. Orbene, dall'ordinanza impugnata risulta che i provvedimenti di esecuzione delle sentenze definitive sono stati emessi a distanza di prelt anni dal passaggio in giudicato della sentenza; plurime sono state le procedure di incidente di esecuzione relative alla demolizione dell'immobile. Nel motivo non si rappresentano in alcun modo quali sarebbero gli elementi di fatto che giustificherebbero l'applicazione dei principi della sentenza Ivanova, come invece richiesto dall'articolo 581 c.p.p., mentre risulta dall'ordinanza impugnata che nel tempo trascorso dalle condanne e dalla piena consapevolezza dell'ordine di demolizione non risulta la ricorrente abbia intrapreso iniziative per reperire una sistemazione alternativa. La ricorrente e' stata condannata per la prosecuzione delle opere gia' abusivamente realizzate e nei suoi confronti non hanno avuto alcuna efficacia deterrente i provvedimenti dell'autorita' giudiziaria. 1.7. Va, poi, rilevato che nessun affidamento sul mantenimento dell'opera puo' sorgere dalla tardiva esecuzione dell'ordine di demolizione, per altro noto da tempo all'indagata. Ed invero, il mantenimento dell'opera puo' aversi solo o con la sanatoria dell'abuso edilizio, secondo i casi tassativamente indicati dalla legge nei casi di cd. condono edilizio, o nel caso del rilascio del permesso di costruire in sanatoria. Non risulta, allo stato degli atti, essere avvenuta l'acquisizione dell'immobile al patrimonio del comune con diversa destinazione del bene, sicche' e' a far data del passaggio in giudicato della sentenza che la ricorrente e' a conoscenza di aver realizzato un immobile abusivo destinato alla demolizione. L'unica prospettiva individuabile e', dunque, quella della demolizione. 1.8. Quanto all'omessa risposta in ordine al principio di proporzionalita', deve rilevarsi che l'incidente di esecuzione si fondava solo sulle condizioni economiche dell'istante, mentre con il ricorso per cassazione sono stati indicati elementi di non dedotti al giudice dell'esecuzione, quali la circostanza che la ricorrente non sarebbe la proprietaria e che fra gli abitanti dell'immobile vi sarebbe (OMISSIS), allettata da tempo ed in gravi condizioni di salute. 2. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. si condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. SOCCI Angelo M. - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - rel. Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Pubblico ministero presso il Tribunale di Napoli; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza in data 25/07/2022 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MACRI' Ubalda; letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. DALL'OLIO Marco, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata; letta per l'imputata la memoria dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza in data 25 luglio 2022 il Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Napoli ha revocato l'ordine di demolizione emesso in data 10 gennaio 2011 dal Pubblico ministero presso il Tribunale di Napoli in esecuzione della sentenza n. 667/2007 pronunciata dal Tribunale di Napoli - sezione distaccata di Marano. 2. Il Pubblico ministero premette in fatto che (OMISSIS) era stata condannata perche', in qualita' di proprietaria e committente, aveva realizzato una mansarda di 200 metri quadrati in assenza di titoli abilitativi e con violazione dei sigilli; che in data 15 settembre 2014 il Comune di Melito di Napoli aveva emesso il condono sulla base delle sole autodichiarazioni e autocertificazioni della parte; che, successivamente, in data 11 aprile 2019, l'Amministrazione aveva verificato i documenti prodotti, aveva constatato l'insussistenza dei presupposti della sanatoria e aveva revocato il condono; che la (OMISSIS) aveva ottenuto dal TAR Campania l'annullamento della revoca del condono; che il Giudice dell'esecuzione penale aveva revocato l'ordine di demolizione impartito dalla Procura. Eccepisce in diritto che il Giudice dell'esecuzione aveva applicato pedissequamente il giudicato amministrativo senza effettuare i doverosi controlli sui presupposti del condono, in particolare sull'ultimazione dell'opera entro il 31 marzo 2003, sul limite di cubatura nel 30% della volumetria legittima preesistente, sul vincolo di inedificabilita' assoluta. Osserva ulteriormente che la parte aveva omesso di comunicare l'esistenza di un vincolo di inedificabilita' assoluta sorto prima della costruzione abusiva. Ricorda a tal proposito che la L. n. 47 del 1985, articolo 32 non consentiva di condonare le opere realizzate in violazione del Decreto Ministeriale 1 aprile 1968, n. 1404 relativo alle distanze da osservarsi dal nastro stradale. 3. Nella memoria difensiva l'imputata richiama in suo favore la pronuncia del TAR Campania e ritiene corretta la revoca dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito dalla Procura della Repubblica. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Il ricorso e' fondato. Per revocare l'ordine di demolizione di un immobile oggetto di condono edilizio, il giudice dell'esecuzione deve verificare la legittimita' del sopravvenuto atto concessorio, sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione, con riguardo alla disciplina applicabile, alla legittimazione di colui che abbia ottenuto il titolo in sanatoria, alla tempestivita' della domanda, al rispetto dei requisiti strutturali e temporali per la sanabilita' dell'opera e, ove l'immobile edificato ricada in zona vincolata, al tipo di vincolo esistente nonche' alla sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione assentibili (tra le piu' recenti, Sez. 3, n. 37470 del 22/05/2019, Impagliazzo, Rv. 277668 - 01). Come correttamente evidenziato dal Pubblico ministero ricorrente, il Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Napoli ha omesso qualsivoglia verifica sia in merito alle ragioni della sentenza amministrativa di annullamento sia in merito alla sussistenza dei presupposti del condono. L'ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Napoli per la verifica della sussistenza dei requisiti della sanatoria come indicati in ricorso dal Pubblico ministero. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli. Sentenza con motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26/01/2022 del TRIBUNALE di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO; lette le conclusioni del PG, PASQUALE FIMIANI, che ha chiesto l'annullamento con rinvio; letta la memoria del difensore, AVV. (OMISSIS), che ha replicato alle richieste del PG chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso o comunque il suo rigetto. RITENUTO IN FATTO 1.11 Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ricorre per l'annullamento dell'ordinanza del 26/01/2022 del medesimo Tribunale che, in parziale accoglimento dell'istanza della sig.ra (OMISSIS), ha sospeso l'esecuzione dell'ingiunzione emessa in attuazione dell'ordine di demolizione di un manufatto edilizio per la cui abusiva realizzazione la (OMISSIS) era stata irrevocabilmente condannata con sentenza pronunciata dal medesimo tribunale. 1.1.Con unico motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606, lettera b) ed e), c.p.p., violazione di legge e vizio di motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. Sostiene, al riguardo, che in assenza di elementi tali da giustificare la revoca dell'ordine (assenza di cui l'ordinanza stessa da' contraddittoriamente conto), il Giudice ne ha ordinato la sospensione, di fatto, "sine die". Il Tribunale, prosegue, non ha fatto corretta applicazione del principio di proporzionalita', cui deve essere informato il procedimento di demolizione in esecuzione di sentenze penali di condanna, cosi' come "codificato" da questa Corte di cassazione in ossequio alla giurisprudenza della Corte E.D.U. Sotto il profilo logico non e' credibile, infatti, la tesi del "disagio economico" in capo ad un soggetto che, sloggiato dalla precedente abitazione nel 1990: a) nel 1995 aveva realizzato, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e sismico, un immobile in cemento armato sviluppato su due livelli, estesi, rispettivamente, mq. 120,00 (piano terra, destinato a deposito garage) e mq. 190,00 (primo piano, destinato ad abitazione), di volumetria complessiva pari a mc. 948,00; b) tra il 2013 ed il 2014, aveva trasformato il piano terra da garage ad abitazione onde sistemarvi il figlio ed il suo nucleo famigliare; c) nel 2021 aveva realizzato altre opere quali: i) un muro di cemento armato lungo quindici metri ed alto cinque; ii) un muro di recinzione lungo otto metri e alto due; iii) una platea di cemento estesa sedici metri quadrati. Quanto al principio di proporzionalita', afferma, il GE non ha tenuto conto: - della consapevolezza della illiceita' dell'abuso da parte dell'esecutata che ha reiteratamente serbato un atteggiamento di sfida ai divieti normativi; - della natura e del grado della illegalita'; - della natura degli interessi protetti e tutelati dai numerosi vincoli gravanti sull'area; - del tempo che l'esecutata aveva avuto a disposizione dalla notificazione dell'ingiunzione senza aver trovato una sistemazione alternativa. 2.11 difensore di (OMISSIS) ha depositato memoria concludendo per l'inammissibilita' del ricorso siccome manifestamente infondato e privo di un reale confronto con la "ratio decidendi". CONSIDERATO IN DIRITTO 1.11 ricorso e' fondato. 2.Dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che: 2.1.l'ingiunzione a demolire era stata emessa dal PM il 24/03/2014 e notificata il 21/07/2014; 2.2.con istanza dell'11/05/2021, (OMISSIS) aveva chiesto la revoca o la sospensione dell'ingiunzione rappresentando le precarie condizioni economiche proprie e del suo nucleo familiare, nonche' la mancanza di una valida situazione alloggiativa; 2.3.dopo essere stati sloggiati dalla propria abitazione il 24/08/1990, la sig.ra (OMISSIS) ed il marito (che nel gennaio 1990 avevano chiesto l'assegnazione di un alloggio popolare, richiesta reiterata il 14/12/2021), nell'impossibilita' di reperirne un'altra e non avendo disponibilita' economiche, aveva provveduto a costruirne una âEuroËœex novo' nella quale risiedono anche il figlio ed il nucleo famigliare di questi composto da moglie e due bambine; 2.4.non era stata presentata alcuna istanza di condono (circostanza che aveva indotto il Giudice a non accogliere la domanda, formulata in via principale, di annullamento dell'ordine); 2.5.erano state prodotte le dichiarazioni ISEE e la nota dell'INPS di accoglimento del reddito di inclusione che dimostrano, a giudizio del Tribunale, il dedotto disagio socio-economico che legittima, in ossequio al principio di proporzionalita', la sospensione dell'ordine in attesa dell'assegnazione di un alloggio popolare. 6.Tanto premesso, osserva il Collegio: 6.1.correttamente il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui la sanzione della demolizione del manufatto abusivo, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 6 giugno 2001 n. 380, articolo 31, e' sottratta alla regola del giudicato ed e' riesaminabile in fase esecutiva, sicche' il giudice dell'esecuzione ha l'obbligo di revocare l'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna o di patteggiamento, ove sopravvengano atti amministrativi con esso del tutto incompatibili, ed ha, invece, la facolta' di disporne la sospensione quando sia concretamente prevedibile e probabile l'emissione, entro breve tempo, di atti amministrativi incompatibili (Sez. 3, n. 24273 del 24/03/2010, Petrone, Rv. 247791 - 01; Sez. 3, n. 23992 del 16/04/2004, Cena, Rv. 228691 - 01); 6.2. Occorre, a tal fine, che sussista un'incompatibilita' insanabile e non meramente futura o eventuale con i concorrenti provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato la abusivita' (Sez. 3, n. 37120 dell'11/05/2005, Morelli, Rv. 232173 - 01), fermo restando il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimita' e l'efficacia del titolo abilitativo, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, qualora trovino applicazione disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformita' delle stesse ai principi generali fissati dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 55028 del 09/11/2018, Rv. 274135 - 01; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972 - 01; Sez. 3, n. 42164 del 09/07/2013, Brasiello, Rv. 256679 - 01); 6.3.dato atto della inesistenza di provvedimenti amministrativi incompatibili con l'esecuzione dell'ordine di demolizione il GE ne ha comunque sospeso l'esecuzione in considerazione delle precarie condizioni economiche della ricorrente "in attesa dell'assegnazione di un alloggio popolare" chiesto con nuova istanza del dicembre 2021, a distanza, cioe', di sette anni dalla notifica dell'ingiunzione di demolizione e di ventuno dalla irrevocabilita' della sentenza di condanna (che tale ordine conteneva); 6.4.il GE ha richiamato, a giustificazione della propria decisione, la giurisprudenza di legittimita' che, nel fare applicazione del cd. principio di proporzionalita' di derivazione convenzionale (cosi' come elaborato dalla Corte EDU in materia di tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all'articolo 8, Conv. EDU), ha affermato che il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, e' tenuto a rispettare il principio di proporzionalita' enunciato nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilita', da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilita' di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonche' l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attivita' edificatoria (Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, D'Auria, Rv. 282950 - 01, che ha ritenuto corretta la decisione di rigetto dell'istanza di revoca dell'ingiunzione a demolire un immobile abusivo, rilevando che i ricorrenti avevano commesso numerose contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e piu' delitti di violazione dei sigilli, avevano potuto avvalersi di plurimi rimedi per la tutela in giudizio delle proprie ragioni, avevano beneficiato di un congruo tempo per individuare altre situazioni abitative e non avevano indicato specifiche esigenze che giustificassero il rinvio dell'esecuzione dell'ordine di demolizione onde evitare la compromissione di altri diritti fondamentali; nello stesso senso, Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270 - 01); 6.5.come spiegato in motivazione dalla citata Sez. 3, D'Auria, "(a)i fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalita', la Corte EDU ha (...) valorizzato essenzialmente: la possibilita' di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilita' di un tempo sufficiente per "legalizzare" la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un'altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante e' stato attribuito alla consapevolezza della illegalita' della costruzione da parte degli interessati al momento dell'edificazione ed alla natura ed al grado della illegalita' realizzata (...) La maggior parte delle decisioni di legittimita' ha ritenuto rispettato il principio di proporzionalita' valorizzando il tempo a disposizione del destinatario dell'ordine di demolizione per "cercare una soluzione alternativa" (cosi' Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994-01, e Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368-01, la quale ha escluso rilievo a situazioni di salute "solo "cagionevole"") o la gravita' delle violazioni (cfr. Sez. 3, n. 43608 del 08/10/2021, Giacchini, che ha valorizzato le dimensioni del fabbricato e la violazione di piu' disposizioni penali, anche in tema di paesaggio, conglomerato cementizio e disciplina antisismica), o entrambe le circostanze (Sez. 3, n. 35835 del 03/11/2020, Santoro ed altro, non massirnata)"; 6.6.orbene, come correttamente dedotto dal PM ricorrente, il Giudice dell'esecuzione ha fatto malgoverno tanto della logica quanto del cd. "principio di proporzionalita'"; 6.7.sul piano della logica, dopo aver escluso la possibilita' di revocare l'ordine di demolizione, il Tribunale ne ha sospeso l'efficacia in assenza di una qualsiasi ragionevole previsione sull'esito della domanda di assegnazione dell'alloggio popolare, senza contestualmente tener conto del lunghissimo lasso di tempo trascorso dalla data di irrevocabilita' della sentenza e dell'ingiunzione, e senza considerare le notevoli potenzialita' economiche sottese alla abusiva realizzazione del fabbricato e relative pertinenze; 6.8.sul piano del rispetto del principio di proporzionalita', il Tribunale non ha effettivamente considerato la reiterazione (e il consolidamento) dell'illecito nel tempo, la gravita' degli illeciti (per dimensione), la consapevolezza di tale gravita', la natura degli interessi gravanti sull'area, la ulteriore trasformazione dell'immobile per ospitarvi un ulteriore nucleo famigliare; 6.9.il Giudice dell'esecuzione ha considerato esclusivamente le condizioni economiche precarie della (OMISSIS) che, peraltro, non sono di per se sufficienti ai fini della revoca/sospensione dell'ordine di demolizione; 6.10.I'ordinanza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio al Tribunale di Napoli. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni F. - rel. Consigliere Dott. CORBO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26/04/2022 del Tribunale di Salerno; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa COSTANTINI Francesca, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con ordinanza del 26 aprile 2022, il Tribunale di Salerno, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha dichiarato l'inammissibilita' dell'istanza presentata da (OMISSIS) per ottenere la sospensione dell'ordine di demolizione di un manufatto abusivo impartito, Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, ex articolo 31, comma 9, all'esito del processo per abuso edilizio concluso con sentenza di applicazione pena emessa dal Tribunale di Salerno, Sez. dist. di Eboli, il 29 aprile 2010, divenuta definitiva. 2. Avverso detta ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario, l'istante ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con unico motivo, la violazione degli articoli 665, 666 c.p.p., articolo 678 c.p.p., comma 1, e il difetto di motivazione. Sotto il primo profilo si lamenta che l'ordinanza sia stata resa de plano, senza la celebrazione dell'udienza camerale. Sotto il secondo profilo ci si duole del fatto che il giudice non abbia svolto alcuna verifica sulla sussistenza e concretezza della procedura amministrativa di sanatoria dell'abuso pendente a seguito di istanza presentata in data 28 maggio 2020 presso il comune di Capaccio, avendo peraltro la ricorrente impugnato avanti al T.A.R. anche l'ordinanza comunale di ripristino dello stato dei luoghi emessa in data 2 maggio 2007, con giudizio ancora pendente e senza che sia stato reso alcun provvedimento. 3. Il ricorso e' inammissibile per genericita' e manifesta infondatezza. 3.1. Diversamente da quanto allega la ricorrente, l'ordinanza impugnata non e' stata resa de plano, bensi' all'esito dell'udienza camerale del 20 aprile 2022, come indicato nel provvedimento e come il Collegio ha potuto verificare accedendo doverosamente agli atti. 3.2. Quanto al contestato difetto di motivazione sul mancato accoglimento dell'istanza di sospensione dell'ordine di demolizione, giova rammentare che, secondo il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, l'ordine di demolizione impartito dal giudice penale e' suscettibile di revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorita', che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusivita', fermo restando il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimita' dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e a., Rv. 260972). Con particolare riguardo alla presentazione di una istanza di condono o sanatoria successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, la sospensione dell'esecuzione presuppone l'accertamento della sussistenza di elementi che facciano ritenere plausibilmente prossima la adozione da parte della autorita' amministrativa competente del provvedimento di accoglimento (Sez. 3, n. 9145 del 01/07/2015, Manna, Rv. 266763; Sez. 3, n. 47263 del 25/09/2014, Russo, Rv. 261212). L'ordinanza impugnata ha fatto buon governo dei richiamati principi e ha non illogicamente osservato che il ricorso amministrativo e la procedura di sanatoria sono risalenti e non hanno prodotto, allo stato, alcun apprezzabile esito, si' che non e' prevedibile, ne' prospettabile, l'emissione in tempi brevi di un provvedimento di sanatoria o di un atto amministrativo incompatibile con l'ordine di demolizione. Le doglianze svolte sul punto dalla ricorrente sono assolutamente generiche e non consentono al Collegio alcun tipo di valutazione. Va del resto considerato che, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36, comma 3, laddove il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale non si pronunci entro sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza di sanatoria, la stessa si intende rifiutata (cfr. sul punto, in motivazione, Sez. U, n. 15427 del 31/03/2016, Cavallo, Rv. 267042) e l'interessato che intenda contestare la decisione ha l'onere di ricorrere al giudice amministrativo anche laddove il procedimento debba intendersi concluso con il silenzio-rifiuto (cfr. Sez. 3, n. 36902 del 13/05/2015, Milito, Rv. 265085), cio' che la ricorrente non allega di aver fatto. 4. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Sentenza con motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GALTERIO Donatella - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - rel. Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere Dott. MAGRO Maria B. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 17/10/2022 del TRIBUNALE di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. SEMERARO LUCA; lette le conclusioni del PG Dr. COSTANTINI FRANCESCA, che conclude per l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni del difensore, avv. (OMISSIS); il difensore si riporta alle conclusioni gia' formulate. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza del 17 ottobre 2022 il giudice dell'esecuzione del Tribunale di Napoli ha rigettato l'incidente di esecuzione di (OMISSIS) avverso il provvedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli di esecuzione dell'ordine di demolizione disposto con la sentenza del Pretore di Napoli del 3 novembre 1997, relativo a piu' immobili abusivamente realizzati: un manufatto di 2 piani, un altro di 3 piani fuori terra, altro fabbricato di due piani di cui si continuo' la costruzione. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) deducendo il vizio di "mancanza contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione" nella parte in cui il giudice dell'esecuzione avrebbe affermato che il giudice di merito si sarebbe gia' pronunciato negativamente sulla non condonabilita' delle opere mentre si sarebbe limitato ad affermare l'inapplicabilita' della L. n. 47 del 1985, articolo 38, comma 2, "non essendo stata prodotta (allo stato) la certificazione di congruita' di tutte le istanze di condono". 2.1. Il giudice della cognizione avrebbe effettuato una valutazione di astratta condonabilita' allo stato del bene oggetto di imputazione e cio' implicherebbe quella astrattezza suscettibile di una verifica successiva di condonabilita', con la conseguenza che sarebbe possibile il rilascio del condono successivamente alla sentenza di condanna con conseguente estinzione anche dell'ordine di demolizione. Si dovrebbe procedere alla revoca dell'ordine di demolizione essendo sufficiente la valutazione di astratta condonabilita' dell'immobile. Il successivo rilascio della concessione edilizia da parte dell'amministrazione comunale dovrebbe necessariamente implicare gli effetti estintivi delle sanzioni amministrative: sussisterebbe un presupposto logico giuridico per il rilascio di valido condono. 2.2. Il difensore ha poi depositato una memoria di replica alle argomentazioni del Pubblico ministero con cui si sostiene che sarebbe stato rilasciato dopo la condanna il permesso di costruire in sanatoria ex L. n. 724 del 1994. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile per genericita': non indica neanche se la ricorrente sia la condannata o un soggetto terzo e quale rapporto abbia con gli immobili per i quali e' intervenuta la condanna; si invoca l'astratta applicabilita' del condono senza neanche indicare a quale regime giuridico ci si riferisce. Il ricorrente propone un motivo perplesso sul vizio della motivazione, per cio' solo inammissibile, fondato su un'interpretazione personale della sentenza di condanna, in violazione dell'articolo 581 c.p.p.. Del tutto erronea e', poi, la tesi che un'eventuale valutazione di astratta condonabilita' - per altro rappresentata senza alcun concreto elemento di valutazione in relazione agli immobili e senza specificare la relazione tra la ricorrente e gli immobili stessi - sarebbe sufficiente alla revoca dell'ordine di demolizione, posto che neanche un eventuale permesso in sanatoria sarebbe astrattamente sufficiente: per Sez. 3, n. 37470 del 22/05/2019, Impagliazzo, Rv. 277668, ai fini della revoca dell'ordine di demolizione di un immobile oggetto di condono edilizio, il giudice dell'esecuzione deve verificare la legittimita' del sopravvenuto atto concessorio, sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione, dovendo in particolare verificare la disciplina normativa applicabile, la legittimazione di colui che abbia ottenuto il titolo in sanatoria, la tempestivita' della domanda, il rispetto dei requisiti strutturali e temporali per la sanabilita' dell'opera e, ove l'immobile edificato ricada in zona vincolata, il tipo di vincolo esistente nonche' la sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione assentibili. Solo con la memoria di replica si inserisce un nuovo elemento di fatto, come tale non valutabile, il rilascio del condono, in termini ugualmente generici, posto che non e' indicata alcuna correlazione con l'immobile oggetto della condanna. 2. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. si condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 25-11-2021 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Fabio Zunica; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Cuomo Luigi, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di fiducia di (OMISSIS), i quali hanno insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 24 luglio 2020, il Tribunale di Firenze, per quanto in questa sede rileva, condannava (OMISSIS), con i doppi benefici di legge, alla pena di mesi 10 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera B (capo E), nonche' Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20, comma 13 e L. n. 241 del 1990, articoli 19 - 21 (capo F), reati contestati all'imputato perche', quale tecnico professionista asseveratore e direttore dei lavori svolti presso il (OMISSIS), nell'appartamento denominato "Cimabue" ubicato in (OMISSIS), faceva eseguire opere interne di demolizione, ricostruzione e modifica finalizzate alla destinazione residenziale privata dell'immobile, lavori da considerare abusivi, perche' gia' accertati come tali con pronuncia di questa Corte n. 6873 del 2017 nell'ambito del procedimento penale n. 21240/2010/21; l'imputato, inoltre, attestava il falso nell'accertamento di conformita' n. 4416/2017, asseverando sia la legittimita' urbanistica dello stato dei luoghi, sia la conformita' dei lavori di progetto agli strumenti urbanistici approvati, oltre che alle norme vigenti aventi incidenza sull'attivita' edilizia; fatti accertati in Firenze il 9 maggio 2017. Con sentenza del 25 novembre 2021, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, appellata sia dal P.M. che da (OMISSIS), dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo E, perche' estinto per prescrizione, e per l'effetto rideterminava la pena a carico dell'imputato, per il reato di cui al capo F, in mesi 8 di reclusione, confermando nel resto la decisione del Tribunale. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello toscana, (OMISSIS), tramite i suoi difensori, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando cinque motivi. Con il primo, la difesa deduce la violazione della L. n. 241 del 1990, articolo 19 e 21 osservando che l'arch. (OMISSIS) avrebbe dovuto essere assolto, in quanto egli ha solo predisposto una richiesta di sanatoria edilizia regolata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36, dovendosi escludere che le dichiarazioni del tecnico allegate a tale istanza abbiano efficacia fidefaciente, non applicandosi alla materia del permesso in sanatoria e dell'accertamento di conformita' la disciplina penale prevista per le false asseverazioni in materia di scia e di dia. Ed invero il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36 non attribuisce alcun effetto giuridico alla dichiarazione del tecnico e alla presentazione della domanda di sanatoria, se non l'obbligo del Comune di pronunciarsi entro 60 giorni, per cui l'atto del privato, pur contenente dichiarazioni in ipotesi non veritiere, non puo' dare luogo al reato di falso, in assenza di una specifica previsione normativa. Con il secondo motivo, sono state censurate la manifesta illogicita' della motivazione e la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36 e Legge Regionale Toscana n. 65 del 2014, articolo 209, rilevandosi che l'arch. (OMISSIS) si e' limitato ad attestare esclusivamente la conformita' dei modesti lavori abusivi realizzati dai suoi committenti, e non anche la conformita' dell'intero edificio: l'intervento di cui si e' occupato l'imputato, infatti, aveva un impatto minimo, risolvendosi nella rimozione di tamponature in cartongesso poste sopra il vano cucina, tale non da aumentare la superficie utile dell'appartamento, mentre il ricorrente nulla ha attestato circa la legittimita' urbanistica dell'intero edificio, non andando oltre un mero e acritico richiamo alla d.i.a. finale del 2009. La sua dichiarazione sarebbe quindi al piu' carente, ma non certamente falsa. Con il terzo motivo, oggetto di doglianza, oltre la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, e' la violazione sia delle N. T.A. del P.R.G. del Comune di Firenze e del relativo regolamento edilizio, sia del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 10, 22 e 23, Legge Regionale Toscana n. 52 del 1999, articolo 4 e Legge Regionale n. 1 del 2005, articolo 79: si osserva in proposito che la Corte di appello avrebbe mancato di confrontarsi con le obiezioni difensive, con cui era stato rimarcato che il regime urbanistico di "(OMISSIS)" consentiva sia gli interventi di conservazione, sia gli interventi di restauro previsto dal testo unico dei beni culturali, essendovi un pieno parallelismo tra gli interventi realizzabili in base al P.R.G. e quelli assentibili in base al codice dei beni culturali, per cui le opere realizzate erano legittime, avendo la Soprintendenza regolarmente autorizzato l'intervento, come ben spiegato in dibattimento dal suo Dirigente. A cio' si aggiunge che l'aumento della superficie utile e' stato smentito per tabulas dalla verifica effettuata dal Comune, mentre, quanto al frazionamento in piu' unita' del complesso immobiliare e al mutamento di destinazione d'uso, si evidenzia che si tratta di intervento che erano consentiti dal piano regolatore comunale vigente, precisandosi altresi' che il ricorso alla d.i.a. non era consentito dagli articolo 10, 22 e 23 del testo unico dell'edilizia, ma era addirittura imposto dalla Legge Regionale Toscana n. 52 del 1999, articolo 4 e Legge Regionale n. 1 del 2005, articolo 79. Con il quarto motivo, e' stata eccepita la violazione della Legge Regionale Toscana n. 1 del 2005, articolo 59, sottolineandosi al riguardo che la Corte di appello non aveva fornito risposta all'obiezione difensiva secondo cui la destinazione turistico-recettiva valorizzata dal Tribunale riguardava non i lavori eseguiti nel complesso immobiliare, ma l'uso che successivamente era stato fatto di 10 dei 38 appartamenti realizzati, ovvero degli appartamenti di proprieta' della "Associazione Tornabuoni", tra i quali pacificamente non e' compresa l'unita' immobiliare "Cimabue" per la quale e' stato condannato l'arch. (OMISSIS). Ma, piu' in generale, la difesa contesta la tesi della destinazione turistico-recettiva, osservando che l'intervento eseguito su "(OMISSIS)" non ha fatto altro, sotto l'attento controllo del Comune e della Soprintendenza, che recuperare l'immobile alla destinazione voluta dal P.R.G, ossia residenziale e non turistico-recettiva, destinazione questa che presuppone l'offerta al pubblico indifferenziato del bene, elemento questo carente nel caso di specie, atteso che lo scopo del "Club Tornabuoni" e' solo quello di assicurare l'uso ripartito e turnario degli appartamenti da parte dei soci, secondo una finalita' esclusivamente residenziale. Il quinto motivo e' infine dedicato al giudizio sulla configurabilita' dell'elemento soggettivo del reato, precisandosi in proposito che doveva essere escluso il dolo in capo all'arch. (OMISSIS), il quale, essendo rimasto estraneo agli interventi terminati nel 2009, si e' trovato ad occuparsi di una banale pratica di accertamento di conformita' di uno dei 38 appartamenti del complesso edilizio, avendo confidato, magari colposamente ma non certo dolosamente, nelle indicazioni provenienti dall'ente pubblico titolare dei poteri di vigilanza sull'attivita' edilizia, fermo restando il ristretto perimetro della sua dichiarazione. 3. Con memoria pervenuta il 28 dicembre 2022, i difensori di (OMISSIS), nel replicare alle conclusioni del Procuratore generale, hanno insistito nell'accoglimento del ricorso, sviluppandone le argomentazioni. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. Premesso che i motivi di ricorso, tra loro sostanzialmente sovrapponibili, sono suscettibili di trattazione unitaria, in quanto inerenti al tema della responsabilita' penale, occorre evidenziare che la conferma del giudizio di colpevolezza dell'imputato in ordine al delitto ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20, comma 13 (capo F, residuato dalla declaratoria di prescrizione che ha riguardato la contravvenzione di cui al capo E, per cui in primo grado vi era stata parimenti condanna) non presenta vizi di legittimita' rilevabili in questa sede. Prima di soffermarsi sul contenuto delle doglianze difensive, si ritiene utile una breve ricostruzione della vicenda che fa da sfondo alle odierne imputazioni. I fatti di causa ruotano, in particolare, intorno a taluni interventi edilizi che, in anni recenti, hanno interessato lo storico (OMISSIS), complesso di edifici realizzato dalla Consorteria (OMISSIS) (chiamata (OMISSIS) dal 1393) negli anni dal 1466 al 1469 su progetto dell'architetto (OMISSIS) e ampliatosi nei secoli successivi su iniziativa dei proprietari che vi si avvicendarono, anche mediante l'accorpamento degli edifici adiacenti su (OMISSIS), tra il (OMISSIS), per cui si e' in presenza di un complesso disomogeneo per strutture orizzontali e verticali e per caratteristiche esteriori e interne; gli edifici riuniti costituiscono oggi un isolato quadrilatero ubicato in zona A Centro Storico del P.R.G. di Firenze e inserito dal 1982 nella perimetrazione del patrimonio dell'Unesco, mentre nel 1918, anno in cui fu acquistato dalla Banca Commerciale italiana, il Palazzo fu interamente sottoposto a vincolo ai sensi della L. n. 364 del 1909, articoli 1-37, tanto all'esterno quanto all'interno, perche' "di importante interesse per l'arte e per la storia". Il complesso edilizio, negli anni, e' stato interessato da una serie di interventi di ristrutturazione: tra questi, nelle due sentenze di merito, sono stati ricordati quelli compiuti tra il 2004 e il 2010 e commissionati prima da (OMISSIS) s.r.l., braccio operativo del gruppo bancario che aveva incorporato la Banca commerciale, e poi dalla s.r.l. (OMISSIS), che acquisto' da (OMISSIS) gran parte degli immobili situati nelle particelle n. 173, 174, 175 e 176. La s.r.l. (OMISSIS), peraltro, figura tra i soci fondatori dell'ente privato senza fini di lucro "Associazione Pal. (OMISSIS)", creato il 26 giugno 2006 con il compito di gestire e manutenere il complesso residenziale nel quale sono collocati gli appartamenti cui gli associati possono avere accesso diretto. Ora, gli interventi realizzati sino al 2010 sono stati oggetto di un procedimento penale iniziato nel 2010 e definito in primo grado dalla sentenza del Tribunale di Firenze del 22 dicembre 2014 che assolveva tutti gli imputati dai reati a loro ascritti (lottizzazione abusiva, falso e abusi edilizi vari) perche' i fatti non sussistono. Tale pronuncia veniva impugnata per saltum dalla Procura della Repubblica di Firenze e questa Corte, con la sentenza n. 6873/2017 emessa da questa Sezione l'8 settembre 2016, depositata il 14 febbraio 2017, annullava con rinvio la decisione del Tribunale, richiamando i principi in tema di ristrutturazione edilizia e cambio della destinazione d'uso elaborati nella fase cautelare del procedimento con la sentenza n. 9845 del 20 ottobre 2011, depositata il 7 marzo 2012, e osservando tra l'altro che, come riconosciuto dallo stesso giudice monocratico, le varie d.i.a. che si erano succedute nel tempo (ben 18) avevano comportato la modifica della destinazione d'uso dell'imponente complesso immobiliare, occupante un intero isolato, da residenziale e direzionale a commerciale, direzionale e residenziale, il che avrebbe comportato la necessita' del rilascio del permesso di costruire o, in alternativa, della d.i.a. sostitutiva di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 22 comma 3 lettera a) (cd. "super d.i.a."), mentre del tutto insufficiente era l'azionato strumento della d.i.a. semplice. In sede di rinvio, la Corte di appello di Firenze, con sentenza del 16 novembre 2018, divenuta definitiva nel 2019, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati, per essere i reati estinti per prescrizione. Cio' posto, il procedimento in esame costituisce una sorta di prosecuzione dell'iniziale indagine giudiziaria del 2010 e ha visto coinvolti tre imputati, ovvero (OMISSIS), legale rappresentante dell'Associazione (OMISSIS), acquirente di vari appartamenti del Palazzo, (OMISSIS), titolare della omonima ditta esecutrice dei lavori, e appunto l'odierno ricorrente (OMISSIS), tecnico professionista asseveratore e direttore dei lavori. Questi, in primo grado, e' stato condannato per sole due imputazioni, ossia quelle oggetto dei capi E ed F: la prima ha ad oggetto il compimento di abusi edilizi nell'appartamento al primo piano denominato "(OMISSIS)" acquistato il (OMISSIS) dalla Associazione (OMISSIS), in cui furono eseguiti interventi di demolizione, ricostruzione e modifica, in assenza del permesso di costruire. Il capo F concerne invece il delitto di falso ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20, comma 13 e L. n. 241 del 1990, articoli 19 e 21, contestandosi a (OMISSIS) di aver attestato il falso nell'accertamento di conformita' n. 4416/2017 del 9 maggio 2017, asseverando sia la legittimita' urbanistica dello stato dei luoghi, sia la conformita' dei lavori di progetto agli strumenti urbanistici approvati, oltre che alle norme vigenti aventi incidenza sull'attivita' edilizia. Rispetto a tali imputazioni, il Tribunale (pag. 38 della sentenza di primo grado) ha innanzitutto premesso che il monolocale "(OMISSIS)" di (OMISSIS), posto al primo piano con affaccio su (OMISSIS) ( (OMISSIS)), fu acquistato il (OMISSIS) dai coniugi inglesi (OMISSIS) dalla s.r.l. (OMISSIS), che l'aveva realizzato con d.i.a. n. 5621/09 dal frazionamento della preesistente superficie di piano oggetto delle varianti d.i.a. n. 5547/07 e d.i.a. n. 6128/08. Nel corso di un sopralluogo eseguito il 28 maggio 2012, l'Ispettorato edilizio constatava la presenza, sopra il vano cucina, di un livello di piano intercluso tamponato con cartongesso non graficizzato nelle planimetrie allegate alle d.i.a. I nuovi proprietari fecero quindi realizzare la rimozione delle tamponature in cartongesso per ottenere un ampliamento della superficie utile senza avere ne' titolo edilizio ne' nulla osta della Soprintendenza e, con procura speciale datata 2 agosto 2016, incaricarono il tecnico arch. (OMISSIS) di regolarizzare le innovazioni con la sanatoria; pertanto l'imputato, qualificatosi "tecnico rilevatore e progettista", in data 9 maggio 2017 presentava la richiesta di sanatoria n. 4426 ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36, preceduta da nulla osta della Soprintendenza, asseverando la preesistente conformita' urbanistico-edilizia del monolocale derivante dalle d.i.a. presentate dalla s.r.l. (OMISSIS). 2. Tanto premesso, il Tribunale ha ritenuto illegittimi i lavori eseguiti nell'appartamento, evidenziando che gli stessi andavano valutati nel contesto complessivo degli interventi svolti sul (OMISSIS), contraddistinti da evidenti profili di illiceita', essendo stata operata una integrale ristrutturazione di tutti gli edifici facenti parte del complesso edilizio senza il titolo legittimamente (ovvero il permesso di costruire), ma solo attraverso molteplici d.i.a. artificiosamente frammentate; invero tali interventi edilizi, piuttosto che mirare alla conservazione dei fabbricati esistenti, hanno di fatto trasformato l'isolato variandone la distribuzione interna, incrementando la superficie utile lorda e cosi' creando una struttura turistica a gestione unitaria, in contrasto con il Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 29, l'articolo 17 NTA e gli articolo 170-171 del regolamento edilizio. La caratterizzazione turistico-recettiva del complesso edilizio e' stata ben descritta dal primo giudice (pag. 31 ss. della sentenza), il quale ha sottolineato, in modo pertinente e all'esito di un giudizio di fatto non suscettibile in essere messo in discussione in questa sede, che la gestione unitaria degli appartamenti da parte del Club (OMISSIS) serviva a coordinare i periodi di godimento degli appartamenti, non diversamente da un albergo che mette a disposizione camere singole, servendo il pagamento delle quote da parte degli associati a garantire la copertura dei costi di manutenzione e di esercizio degli impianti, oltre che del personale di servizio, risultando quindi confacente alla struttura realizzata attraverso le d.i.a. la definizione di residence ex Legge Regionale n. 40 del 2000, articolo 62 secondo cui sono residence le strutture recettive costituite da almeno sette unita' abitative aventi i requisiti igienico-edilizi, arredi cucina gestite unitariamente in forma imprenditoriale per fornire alloggio e servizi. In definitiva, non di restauro o di risanamento conservativo si trattava, ma di una ristrutturazione edilizia richiedente il permesso di costruire, in quanto gli interventi erano volti non a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalita' nel rispetto dei suoi elementi essenziali tipologici, formali e strutturali, ma a modificare la volumetria complessiva degli edifici e a mutare la destinazione d'uso degli stessi, incidendo su sagome e prospetti, fino a portare a un organismo edilizio in tutto o in parte differente da quello preesistente, il che, ai sensi del del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 10 comma 1 lettera c), avrebbe imposto non la presentazione di piu' d.i.a., ma il rilascio di un unico permesso di costruire. Tale impostazione e' stata correttamente condivisa dalla Corte territoriale che, pur dichiarando prescritti gli abusi edilizi, ha tuttavia rimarcato (pag. 6 della sentenza impugnata), in linea con la richiamata pronuncia di annullamento operata da questa Corte (sentenza n. 6873/2017) la necessita' di una visione non atomistica del singolo intervento realizzato nell'appartamento "(OMISSIS)", non potendosi prescindere da una valutazione unitaria della drastica trasformazione edilizia realizzata, nel senso che l'appartamento in esame, come tutti gli altri, non esisteva prima della ristrutturazione ed e' stato appunto uno dei risultati degli abusi edilizi che hanno surrettiziamente fatto diventare (OMISSIS), a lungo sede di una grande banca, una lussuosa struttura turistico-recettiva. I giudici di merito (al di la' della sopravvenuta declaratoria di estinzione del reto per prescrizione) hanno dunque legittimamente ritenuto configurabile il reato di cui all'articolo 44 del Decreto del Presidente della Repubblica cit., essendo stata operata in tal senso corretta applicazione del principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 29251 del 05/05/2017, Rv. 270432 e Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, Rv. 261330), secondo cui, in tema di edilizia, il regime di denuncia di inizio attivita', anche in relazione a tipologia di interventi sottoposti a tale disciplina dal Decreto Legge n. 133 del 2014, non e' applicabile a lavori da eseguirsi su manufatti originariamente abusivi che non risultano oggetto di condono edilizio o di sanatoria, atteso che gli interventi ulteriori su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimita' dall'opera principale cui ineriscono strutturalmente. La valutazione circa la sussistenza della fattispecie contestata al capo E appare dunque immune da censure, riproponendo il ricorso anche in questa sede osservazioni parcellizzate che perdono di vista il dato sostanziale del pieno inserimento dell'appartamento "(OMISSIS)" in un organismo edilizio che ha subito sine titulo una sostanziale e profonda trasformazione strutturale e funzionale, per cui i singoli interventi oggetto della domanda di sanatoria non possono che essere qualificati alla luce dell'illegittimita' preesistente dell'unita' immobiliare. 3. Le considerazioni appena esposte costituiscono la premessa per affrontare le doglianze riferite alla configurabilita' del reato di cui al capo F. Sul punto deve infatti osservarsi che le due conformi sentenze di merito hanno messo in evidenza la falsita' della dichiarazione del professionista (OMISSIS) contenuta nell'accertamento di conformita' n. 4426 del 9 maggio 2017, nella parte in cui l'imputato ha asseverato sia la legittimita' urbanistica dello stato dei luoghi sia la conformita' dei lavori di progetto agli strumenti urbanistici adottati e ai regolamenti edilizi vigenti, essendosi sottolineato in proposito che tale attestazione, contraria al vero in ragione della natura abusiva dei lavori eseguiti nell'appartamento "(OMISSIS)", e' stata resa dopo che aveva avuto ampio risalto a livello nazionale la notizia dell'annullamento da parte di questa Corte della sentenza assolutoria del Tribunale di Firenze, essendo stata depositata la motivazione della pronuncia di legittimita' il 14 febbraio 2017, ovvero circa tre mesi prima del momento in cui e' stata depositata la relazione di (OMISSIS). La decisione della Corte di cassazione aveva come detto messo ampiamente in discussione la legittimita' degli interventi edilizi realizzati fino al 2010 presso il (OMISSIS), lavori riferibili anche all'appartamento "(OMISSIS)", per cui la falsa attestazione del professionista e' stata non irragionevolmente ritenuta volontaria, tanto piu' ove si consideri che, al diNete: interlocuzioni informali, peraltro neanche adeguatamente provate (l'imputato ha riferito di essersi consultato preventivamente con il geom. (OMISSIS) dell'Edilizia privata e con l'arch. (OMISSIS) della Soprintendenza, testi di cui la difesa non ha chiesto l'escussione), non vi erano validi provvedimenti amministrativi su cui l'arch. (OMISSIS) potesse fare legittimo affidamento ai fini del giudizio di legittimita' degli interventi svolti. Le valutazioni di merito operate dal Tribunale e dalla Corte di appello circa la configurabilita' dell'elemento soggettivo, in quanto sorrette da argomentazioni non manifestamente illogiche, si sottraggono dunque alle obiezioni difensive. 4. Resta tuttavia da precisare un ultimo aspetto in ordine alla sussistenza della fattispecie dal punto di vista oggettivo, avendo la difesa contestato l'applicabilita' del reato contestato alla procedura finalizzata all'accertamento di conformita'. Tale deduzione e' fondata sul rilievo secondo cui l'articolo 20, contenente la sanzione penale, si riferisce alle sole dichiarazioni funzionali al rilascio del permesso di costruire, che presuppone l'emanazione di un provvedimento formale, mentre nel diverso procedimento ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36 vige la differente regola del silenzio-rifiuto, per cui dalla dichiarazione eventualmente falsa sulla conformita' urbanistica non scaturiscono effetti favorevoli al richiedente. Ora, la tesi difensiva, per quanto indubbiamente suggestiva, non appare tuttavia condivisibile: al riguardo deve premettersi che il reato per cui si procede e' stato introdotto nel testo unico dell'edilizia dal Decreto Legge n. 70 del 2011, articolo 5, n. 3, convertito dalla L. n. 106 del 2011, che, nel riscrivere il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20 (rubricato "procedimento per il rilascio del permesso di costruire"), ha previsto al comma 13 una nuova fattispecie incriminatrice, cosi' delineata: "ove il fatto non costituisca piu' grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni di cui al comma 1, dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al medesimo comma e' punito con la reclusione da uno a tre anni. In tali casi, il responsabile del procedimento informa il competente ordine professionale per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari"; a sua volta, il comma 1 del medesimo articolo 20 descrive le modalita' di presentazione della domanda finalizzata al rilascio del permesso di costruire, disponendo che la stessa sia accompagnata da una "dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformita' del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attivita' edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie nel caso in cui la verifica in ordine a tale non comporti valutazioni tecnico-discrezionali, alle norme relative all'efficienza energetica". Contestualmente (e parallelamente rispetto alla previsione dettata in tema di permesso di costruire), il Decreto Legge n. 70 del 2011, articolo 5 ha inciso anche sulla L. n. 241 del 1990, articolo 19, il cui comma 6 dispone che, ove il fatto non costituisca piu' grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attivita' (non solo in materia edilizia), dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 e' punito con la reclusione da uno a tre anni. Ora, prima della novella del 2011, la condotta del tecnico asseveratore che attestava dati non corrispondenti al vero era gia' ritenuta comunque penalmente rilevante, essendo costante nella giurisprudenza di legittimita' (cfr. Sez. 5, n. 35615 del 14/05/2010, Rv. 248878) l'affermazione secondo cui integra il reato di falsita' ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessita' (articolo 481 c.p.) la condotta del tecnico-professionista che, nell'espletamento del servizio di pubblica necessita' assegnatogli, indichi, in sede di dichiarazione di inizio di attivita', le opere da realizzare sulla base di una descrizione dello stato presente dei luoghi, non corrispondente al vero. All'indomani dell'introduzione della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20, comma 13, e' stato invece precisato (cfr. Sez. 3, n. 30168 del 24/05/2017, Rv. 270252), che la nuova previsione criminosa in vigore dal 2011 n. 106, che punisce le false dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni circa l'esistenza dei requisiti e presupposti per il rilascio del permesso di costruire, ha un ambito applicativo che si sovrappone interamente alla fattispecie di falso ideologico in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessita' (articolo 481 c.p.) e di falsita' ideologica commessa dal privato in atto pubblico (articolo 483 c.p.), di cui assorbe il disvalore, e si consuma quando oggetto di asseverazione siano non esclusivamente fatti che cadono sotto la percezione materiale dell'autore della dichiarazione, ma giudizi. In tal senso, e' evidente che la nuova figura di reato risulta riferite precipuamente alle false attestazioni destinate a confluire nel procedimento amministrativo finalizzato al conseguimento del permesso di costruire, per cui la fattispecie assume carattere speciale rispetto alla norma generale di cui all'articolo 481 c.p., che sarebbe altrimenti applicabile, come pure e' speciale rispetto alla norma codicistica il reato di cui alla L. n. 241 del 1990, articolo 19, che, come si e' anticipato, concerne il differente modulo procedimentale della scia. Tanto premesso e ribadito che nella vicenda in esame il titolo abilitativo necessario per il tipo di opere realizzate era il permesso di costruire in sanatoria e non la s.c.i.a. o la d.i.a.. e' ora possibile soffermarsi sull'obiezione difensiva secondo cui la nuova fattispecie penale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20, comma 13, si applica solo alle asseverazioni non veritiere volte al conseguimento del permesso in costruire e non anche all'accertamento di conformita' ex articolo 36 del medesimo decreto relativo al permesso in sanatoria. Ora, l'interpretazione difensiva appare legata a un'impostazione essenzialmente formale, che fa leva sull'inserimento della nuova previsione nell'ambito della norma che regola il procedimento amministrativo finalizzato all'ottenimento del permesso di costruire, ma a tale rilievo puo' replicarsi che, in realta', l'accertamento di conformita' e' a sua volta diretto a conseguire un permesso in sanatoria, che altro non e' che un permesso di costruire che differisce da quello ordinario per il fatto di essere postumo rispetto all'esecuzione dei lavori, ma cio' non toglie che al procedimento di cui all'articolo 36 possa applicarsi, senza che cio' comporti alcuna violazione del divieto di analogia in malam partem, il medesimo regime sanzionatorio previsto dall'articolo 20 del medesimo decreto, e cio' tanto piu' ove si consideri che la giurisprudenza di legittimita' (cfr. ex multis Sez. 3, n. 7405 del 15/01/2015, Rv. 262422 e, da ultimo, Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022, dep. 2023, Rv. 284058) e' costante nel richiedere, in caso di permesso in sanatoria, in coerenza con la previsione di cui all'articolo 36, comma 1, il requisito della cd. "doppia conformita'", ossia la conformita' delle opere sia alla disciplina urbanistica e edilizia vigente al momento della realizzazione che a quella vigente al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione, aspetto questo che corrobora il giudizio circa la sostanziale sovrapponibilita' del procedimento di sanatoria rispetto a quello ordinario finalizzato al conseguimento del permesso. Ne' puo' condividersi il rilievo difensivo secondo cui all'asseverazione del tecnico presentata nella procedura di accertamento di conformita' non puo' ricollegarsi alcun effetto giuridico, posto che, al di la' di talune differenze procedimentali tra schema ordinario e procedura di sanatoria, e' indubitabile che la relazione tecnica del professionista incaricato non e' un atto neutro, ma costituisce il presupposto valutativo piu' pregnante, contenendo i dati tecnici essenziali ai fini della verifica della doppia conformita', non potendosi in ogni caso sottacere che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36, u.c., pone a carico del dirigente del preposto ufficio comunale il dovere di pronunciarsi sulla domanda di sanatoria "con adeguata motivazione", dal che si desume che la relazione tecnica allegata all'istanza e' dotata di una efficacia giuridica, tale da comportare il rilievo penale delle attestazioni mendaci eventualmente rese dal professionista incaricato. Deve pertanto concludersi, in sintonia con le deduzioni del Procuratore generale, che la condotta illecita dell'arch. (OMISSIS) e' inquadrabile non nella norma generale di cui all'articolo 481 c.p., ma in quella speciale ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 20 comma 13, non potendo ritenersi escluso dall'ambito di operativita' di tale norma l'accertamento di conformita', anch'esso finalizzato al rilascio del permesso di costruire, sia pure in sanatoria e all'esito di un diverso iter formale, restando immutato il disvalore del fatto sanzionato dal legislatore. Di qui l'infondatezza delle doglianze difensive in punto di responsabilita'. 5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deve essere rigettato, con onere per il ricorrente, ex articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ACETO Aldo - Presidente Dott. GAI Emanuela - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza in data 13/12/2021 del Tribunale di Velletri; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere CORBO Antonio; letta la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale BALDI Fulvio, che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, in accoglimento del primo motivo di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza adottata in data 13 dicembre 2021, e depositata il 23 dicembre 2021, il Tribunale di Velletri, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato l'istanza con la quale (OMISSIS) aveva chiesto di sospendere l'ordine di demolizione di un immobile abusivamente realizzato, in ragione della pendenza di un procedimento amministrativo e di un ricorso giurisdizionale. A fondamento della sua decisione, il Tribunale, in particolare, ha rilevato che non e' intervenuto, allo stato, alcun provvedimento amministrativo di sanatoria, che non e' stato documentato l'esito del ricorso, pur pendente davanti al T.A.R. Lazio gia' dal 2011, e che a nulla rileva una eventuale prassi dell'ufficio giudiziario di disporre comunque la sospensione dell'ordine di demolizione, in caso di pendenza di ricorso in sede giurisdizionale. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe (OMISSIS), con atto sottoscritto dall'avvocato (OMISSIS), articolando tre motivi. 2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, avendo riguardo all'omesso esame della memoria e della documentazione prodotta, relativa alla sentenza di separazione coniugale. Si deduce che l'ordinanza impugnata ha omesso completamente di considerare che l'immobile da demolire e' stato assegnato interamente alla moglie quale casa coniugale, per effetto di sentenza di separazione, che il ricorrente ha cambiato residenza, come da documentazione allegata, e che nessuna notificazione della pendenza dell'incidente di esecuzione e' stata effettuata alla donna, la quale e' il titolare di una situazione giuridica dalla quale puo' derivare un pregiudizio o un vantaggio in seguito al consolidamento o alla rimozione della statuizione di abbattimento. Si osserva che, in questo modo, si e' verificata la nullita' prevista dall'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c). 2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, in riferimento agli articoli 3 e 111 Cost. e articolo 125 c.p.p., comma 3, avendo riguardo al mancato rispetto della prassi del Tribunale di Velletri. Si deduce che ingiustamente e' stato disatteso il criterio ampiamente seguito dal Tribunale di Velletri, e del quale si allegano precedenti, secondo cui la pendenza di un ricorso giurisdizionale al T.A.R. e' fatto idoneo a determinare la sospensione dell'ordine di demolizione. 2.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, avendo riguardo alla omessa valutazione della probabilita' di accoglimento del ricorso al T.A.R.. Si deduce che il Tribunale ha omesso di valutare il possibile esito positivo del ricorso giurisdizionale amministrativo, e la conseguente possibilita' di adozione da parte dell'Autorita' amministrativa, di un provvedimento in contrasto con l'ordine di demolizione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile per le ragioni di seguito precisate. 2. Non sorrette da interesse giuridicamente apprezzabile, e comunque manifestamente infondate, sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la legittimita' dell'ordinanza deducendo il difetto di costituzione del contraddittorio con la moglie dell'istante, siccome nella richiesta di sospensione dell'ordine di demolizione si era indicato che alla donna era stata assegnato in via esclusiva, per effetto di sentenza di separazione, l'immobile da abbattere. 2.1. Occorre innanzitutto rilevare che la decisione sulla richiesta di sospensione o revoca dell'ordine di demolizione, attenendo ad un incidente di esecuzione, non passa in giudicato, ed ha efficacia vincolante solo per le parti del procedimento, in modo inoltre limitato (cfr. articolo 666 c.p.p., comma 2), ma non anche per i soggetti rimasti estranei alla procedura, i quali, quindi, possono a loro volta presentare autonoma richiesta diretta allo stesso fine. In altri termini, i terzi divenuti titolari del bene non ricevono alcun diretto pregiudizio dalla decisione relativa alla richiesta di sospensione o revoca dell'ordine di demolizione. La decisione, infatti, se accoglie l'istanza, giova di fatto anche ai terzi, e, se la rigetta o la dichiara inammissibile, non li vincola. In effetti, il provvedimento che incide direttamente sul bene e che i titolari di quest'ultimo sono interessati a far eliminare e' l'ordine di demolizione. E, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza, e' l'ordine di demolizione che deve essere notificato ai terzi divenuti titolari del bene (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 18990 del 23/02/2022, Portello, Rv. 283135-01, e Sez. 3, n. 18576 del 04/12/2019, dep. 2020, Mattera, Rv. 279501-01). Ora, questo adempimento e' idoneo ad assicurare efficace tutela agli interessi dei terzi, perche' costoro, ricevuta comunicazione dell'ordine di demolizione, potranno poi decidere se farvi acquiescenza o se, invece, contestarlo. Sulla base di quanto precedentemente indicato, puo' allora concludersi che la presentazione dell'istanza di sospensione o di revoca dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non determina la necessita' di costituire il contraddittorio con i titolari di diritti sul bene diversi dall'istante, e che, quindi, legittimamente, il giudice dell'esecuzione puo' pronunciarsi su di essa previa notificazione dell'avviso di udienza esclusivamente all'istante e al suo difensore. 2.2. Puo' aggiungersi che l'assegnatario dell'immobile per effetto di separazione coniugale non e' neanche titolare di un diritto reale. Invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza civile di legittimita', il diritto riconosciuto al coniuge, non titolare di un diritto di proprieta' o di godimento, sulla casa coniugale, con il provvedimento giudiziale di assegnazione di detta casa in sede di separazione o divorzio, ha natura di diritto personale di godimento e non di diritto reale (cfr., tra le tante, Sez. 5 civ., n. 7395 del 15/03/2019, Rv. 653047-01, e Sez. 1 civ., n. 4719 del 03/03/02006, Rv. 590752-01). 3. Manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo e nel terzo motivo del ricorso, da esaminare congiuntamente, le quali contestano l'omessa valutazione della probabilita' dell'accoglimento del ricorso giurisdizionale amministrativo contro l'ingiunzione di demolizione e il mancato adeguamento alla prassi del Tribunale di Velletri di sospendere l'ordine di demolizione in caso di pendenza di impugnazione davanti al giudice amministrativo. 3.1. Per quanto attiene al profilo concernente l'omessa valutazione della probabilita' dell'accoglimento del ricorso giurisdizionale amministrativo contro l'ingiunzione di demolizione, la manifesta infondatezza discende dall'applicazione dei principi giurisprudenziali consolidati alla fattispecie concreta. Innanzitutto, infatti, secondo l'orientamento giurisprudenziale consolidato in materia, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito con sentenza irrevocabile, non puo' essere revocato o sospeso sulla base della mera pendenza di un ricorso in sede giurisdizionale avverso il rigetto della domanda di condono edilizio (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 35201 del 03/05/2016, Citarella, Rv. 268032-01, e Sez. 3, n. 1388 del 30/03/2000, Ciconte, Rv. 216071-01). Inoltre, la giurisprudenza ha ripetutamente precisato che non rileva la possibilita' dell'eventuale emanazione di atti favorevoli al condannato in tempi lontani o non prevedibili (cosi' anche Sez. 3, n. 16686 del 05/03/2009 Marano, Rv. 243463-01), e che inidonea a far ritenere ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, l'adozione in un breve lasso di tempo, da parte dell'autorita' amministrativa o giurisdizionale, di un provvedimento il quale si ponga in insanabile contrasto con l'ordine di demolizione, la semplice presentazione di un ricorso al TAR dopo oltre dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza che ebbe a disporre tale misura (Sez. 3, n. 42978 del 17/10/2007, Parisi, Rv. 238145-01). Nella specie, poi, in punto di fatto, l'ordinanza impugnata evidenzia che: -) il ricorso al T.A.R. era pendente gia' nel 2011 e non risulta fissata neanche la prima udienza; -) non e' stato allegato alcun provvedimento di sospensione; -) non risulta pendente alcuna domanda di sanatoria. 3.2. Per quanto concerne il profilo relativo al mancato adeguamento alla prassi del Tribunale di Velletri di sospendere l'ordine di demolizione in caso di pendenza di impugnazione davanti al giudice amministrativo, e' sufficiente rilevare che il giudice e' soggetto soltanto alla legge, a norma dell'articolo 101 Cost., comma 2, e che, quindi, non e' possibile contestare la validita' delle sue decisioni facendo riferimento a diverse "prassi" dell'Ufficio giudiziario di appartenenza. 4. Alla dichiarazione di inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' - al versamento a favore. della Cassa delle Ammende, della somma di Euro tremila, cosi' equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

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