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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1198 del 2024, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Gr. e Vl. Pe., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Mi. Gr. in Padova, Piazzale (...); contro El. Sa., rappresentata e difesa dall'avvocato An. Re. D'A., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti della Regione Veneto e dell'Ente Parco Regionale dei Colli Euganei, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza n. 1564 del 2023 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Seconda. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di El. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Eugenio Tagliasacchi e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in epigrafe il Comune di (omissis) ha impugnato la sentenza del T.a.r. Veneto n. 1564 del 2023 che ha accolto il ricorso proposto dalla signora El. Sa. avverso il silenzio serbato dall'anzidetto Comune in relazione all'istanza dalla medesima presentata in data 29 dicembre 2022 intesa a ottenere l'avvio del procedimento diretto all'approvazione della variante al Piano Ambientale del Parco dei Colli Euganei, necessaria per la prosecuzione dell'iter di approvazione dell'accordo di programma relativo al "progetto strategico turistico" ai sensi dell'art. 26 della l.r. Veneto n. 11 del 2004, proposto dalla ricorrente in primo grado e odierna appellata. 2. Più precisamente, l'originaria istanza della signora Sa. - presentata in data 28 dicembre 2015 prot. n. 19701 e poi successivamente integrata e specificata nel maggio 2016 - riguardava un "progetto strategico turistico" per la realizzazione di un'area adibita a servizi nell'ambito dell'anello ciclo-turistico dei Colli Euganei, con completamento della pista ciclabile lungo la S.P. n. 89 e lungo via (omissis). In estrema sintesi, tale istanza dapprima fu positivamente valutata dall'amministrazione comunale e il Sindaco del Comune di (omissis), nel maggio 2016, promosse un incontro con le associazioni di categoria al cui esito venne redatto un apposito verbale per la valutazione del progetto strategico turistico, come previsto dalla D.G.R.V. n. 450 del 2015. Successivamente, il Comune dispose la trasmissione degli atti alla Regione e, con Deliberazione n. 1770 del 2 novembre 2016, la Giunta Regionale riconobbe le caratteristiche di progetto strategico ai sensi dell'art. 15 della l.r. n. 32 del 2013, al fine avviare il procedimento relativo alla stipula di un Accordo di Programma. Poi, con decreto n. 11770/2016/1109 dell'1 febbraio 2017, l'Ente Parco dei Colli Euganei ha rilevato l'incompatibilità del progetto turistico rispetto alle previsioni del Piano ambientale, dichiarata anche nel successivo parere reso nella seduta del 3 marzo 2021 e con la successiva nota prot. 24141 del 14 dicembre 2021 l'Ente Parco dei Colli Euganei ha precisato che la procedura di variante del Piano ambientale avrebbe dovuto essere preceduta dall'adozione di una variante allo strumento urbanistico comunale. Infine con la nota prot. n. 21361 del 4 novembre 2022, il Sindaco del Comune di (omissis) ha segnalato alla signora Sa. la difformità del progetto rispetto alle previsioni del Piano di Assetto del Territorito (P.A.T.) e del Piano degli Interventi (P.I.) sostenendo di non poter "approvare una variante" al P.I. in difformità rispetto al P.A.T., che non prevede il Progetto Strategico Turistico in quanto in contrasto con il Piano ambientale; sotto diverso profilo ha rilevato che una eventuale variante al P.A.T. non solo sarebbe di competenza della Provincia, ma non sarebbe neppure attuabile poiché sarebbe, per l'appunto, in contrasto con il Piano Ambientale. 3. Dalle considerazioni che precedono risulta quindi che il procedimento relativo al progetto, in sostanza, non è stato proseguito a causa della divergenza emersa tra le amministrazioni con riferimento all'individuazione dell'iter da seguire per pervenire all'adozione delle modifiche al Piano Ambientale. 4. La signora Sa. - pertanto - ha presentato l'ulteriore e già menzionata diffida del 29 dicembre 2022 attraverso la quale ha chiesto che il Comune di (omissis) e l'Ente Parco dei Colli Euganei avviassero entro il termine di trenta giorni il procedimento volto all'adozione della variante al Piano Ambientale, necessaria per proseguire l'iter dell'accordo strategico turistico e, a fronte del silenzio del Comune, ha introdotto il presente giudizio avverso il silenzio. 5. Il T.a.r. Veneto, con la sentenza impugnata, ha accolto il ricorso rilevando che, nel caso di specie, l'obbligo di concludere il procedimento dipendeva dall'affidamento ingenerato in capo alla ricorrente. Ad avviso del giudice di prime cure, infatti, per la particolarità del caso di specie e per la specificità della posizione della ricorrente, sarebbe consentito discostarsi dal principio generale, secondo cui non è configurabile alcun obbligo di provvedere rispetto agli atti di pianificazione urbanistica, che risultano connotati da ampia discrezionalità nell'an e nel quomodo, con la conseguenza che sarebbe ravvisabile in capo all'amministrazione comunale uno specifico obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, eventualmente anche attraverso un rigetto nel merito della richiesta di avvio dell'iter di adozione delle varianti agli strumenti urbanistici comunali prodromiche alla variante generale al Piano Ambientale del Parco, dal momento che l'amministrazione comunale fino a quel momento non si era espressa nel merito limitandosi ad osservazioni definite "procedurali" (come quella di cui alla nota sindacale del 4 novembre 2022). 6. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di (omissis), prospettando anzitutto - nella parte in fatto - una diversa ricostruzione della vicenda procedimentale volta a porre in evidenza il difetto di competenza del Comune rispetto all'adozione degli atti propedeutici alla prosecuzione dell'iter, osservando, in proposito, che il Comune non sarebbe "l'Ente capofila" nel procedimento volto all'adozione dell'Accordo di Programma, né sarebbe titolare di un "autonomo onere di variante dello strumento urbanistico", né, ancora, sarebbe competente a variare il Piano Ambientale. In altri termini, il Comune appellante ritiene che l'arresto del procedimento debba essere imputato agli altri enti coinvolti e, sul punto, osserva, infatti, che: "gli Enti che avrebbero potuto/dovuto portare avanti il procedimento, in realtà, si arrestavano, sembrando pretendere che il Comune, seppur incompetente, facesse le loro veci". In questa prospettiva, pertanto, ad avviso dell'Ente locale, l'adozione della variante comunale integrava un adempimento non previsto dal procedimento di Accordo di Programma, che, al contrario, assorbirebbe di per sé la variante stessa rendendone così superflua l'adozione da parte del Comune e, inoltre, non si tratterebbe neppure di un adempimento richiesto per la Variante Generale al Piano Ambientale, che, secondo il Comune, l'Ente Parco avrebbe potuto avviare autonomamente. L'appellante sostiene, inoltre, di aver puntualmente rappresentato i predetti profili critici mediante la nota del 4 novembre 2022 nella quale il Sindaco di (omissis) ha indicato alla signora Sa. le ragioni per le quali il Comune non avrebbe potuto adottare la variante allo strumento urbanistico e, a fronte dell'ulteriore diffida del 29 dicembre 2022, l'amministrazione ha ritenuto di non dover dare ulteriori riscontri avendo, a suo dire, già indicato puntualmente le ragioni per le quali non sarebbe stato possibile dar seguito al procedimento, spettando la prosecuzione dell'iter alla Regione e all'Ente Parco. 6.1. Con il primo motivo di gravame, il Comune appellante sostiene che il ricorso di primo grado sia irricevibile o inammissibile in quanto proposto oltre il termine annuale previsto dall'art. 31, comma 2, c.p.a. dal momento che il procedimento ha avuto avvio nel dicembre 2015 con la presentazione dell'originaria istanza, mentre il ricorso è stato depositato solo nel 2023. Nella prospettazione del Comune, pertanto, la diffida del 29 dicembre 2022 non sarebbe una nuova istanza ma un mero sollecito per la prosecuzione del procedimento. Il Comune osserva inoltre che considerando l'anzidetta diffida alla stregua di un'istanza presentata ex novo nel 2022 non avrebbe potuto trovare applicazione l'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004, che era stato medio tempore abrogato; mentre qualificandola come mera richiesta di variante urbanistica non sarebbe stato possibile configurare alcun obbligo di provvedere in capo al Comune. 6.2. Con il secondo motivo di gravame, il Comune contesta la sentenza sostenendo che il primo giudice abbia omesso di rilevare un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, in quanto l'istanza del 29 dicembre 2022 era da ritenersi la mera reiterazione di una precedente richiesta formulata dalla stessa ricorrente alla quale il Comune - con il già richiamato provvedimento del Sindaco del 4 novembre 2022 - aveva dato riscontro, indicando le ragioni ostative alla prosecuzione del procedimento attraverso l'adozione, da parte del Comune medesimo, di una variante urbanistica. Tale provvedimento - che non è stato impugnato - aveva indicato le ragioni poste a fondamento dell'incompetenza del Comune di (omissis) e della conseguente impossibilità di adottare una variante. Conseguentemente, il giudice avrebbe errato a qualificare la nota sindacale del 4 novembre 2022 quale atto "meramente interlocutorio" nonché "proveniente da Organo non competente alla pianificazione". 6.3. Con il terzo motivo di gravame, insiste nel sostenere che in capo al Comune non sussista alcun obbligo di adottare la variante urbanistica in considerazione di quanto previsto dall'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004 e dalla D.G.R.V. n. 450/2015. 7. Si è costituita in giudizio El. Sa. eccependo l'inammissibilità dell'appello per difetto di interesse poiché a seguito della sentenza del T.a.r., con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 68 del 27 dicembre 2023, comunicata con nota del 28 febbraio 2024, il Comune ha rigettato l'istanza della Sa. ritenendo di non poter accogliere la proposta di accordo di programma. La delibera dispone testualmente di rigettare "l'istanza presentata in data 29.12.22 dalla ditta Sa. Elisa volta all'introduzione di una Variante al Piano di Assetto del Territorio (P.A.T.) e di una Variante al Piano degli Interventi e per l'effetto di rigettare anche l'istanza volta all'adozione delle determinazioni necessarie a dare impulso all'approvazione di una Variante al Piano Ambientale del Parco Colli Euganei". Ad avviso della signora Sa. si tratta, dunque, di un provvedimento espresso adottato successivamente alla pubblicazione della sentenza appellata e già impugnato, a sua volta, davanti al T.a.r., con la conseguenza che l'appello dovrebbe a suo dire essere dichiarato inammissibile. Ferma restando l'eccezione che precede, la parte appellata ha replicato nel merito alle censure del Comune. 8. Con la memoria di replica del 3 maggio 2024, il Comune di (omissis) insiste nel sostenere che la variante dello strumento urbanistico non è riconducibile alla sfera decisionale del Comune, trattandosi di una conseguenza diretta e immediata della procedura di approvazione dell'accordo di programma avente ad oggetto un intervento di interesse regionale. Con riferimento all'eccezione di inammissibilità dell'appello a seguito della delibera n. 68 del 27 dicembre 2023, il Comune di (omissis) eccepisce la tardività del deposito della delibera medesima e sostiene che l'eccezione sia comunque infondata dal momento che l'anzidetta delibera è stata adottata solo per ottemperare alla sentenza immediatamente esecutiva, sicché "l'Amministrazione comunale ha un interesse attuale e concreto ad ottenere una pronuncia della presente impugnazione, posto che l'accertamento dell'insussistenza, in capo alla medesima, di un obbligo di provvedere renderebbe inutiliter data la stessa Delibera consiliare n. 68/2023". 9. Tanto premesso, il Collegio - trattenuta la causa in decisione alla camera di consiglio del 16 maggio 2024 - reputa che l'appello non sia fondato. 10. Preliminarmente, va esaminate l'eccezione di inammissibilità dell'appello per difetto di interesse, in considerazione dell'adozione del provvedimento espresso mediante la delibera n. 68 del 27 dicembre 2023. Si deve, infatti, escludere che con l'anzidetta delibera il Comune abbia inteso fare acquiescenza alla sentenza, dal momento che nella delibera stessa si legge espressamente quanto segue: "il presente provvedimento viene assunto in forza di quanto disposto dalla sentenza T.A.R. Veneto n. 1564 del 6.11.2023, esecutiva, al fine di ottemperare a un obbligo giudiziale, senza che, però, il Comune intenda fare acquiescenza alla predetta pronuncia e, quindi, con riserva di proporre avverso la stessa impugnazione". Sul punto, il Collegio intende dare continuità al consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, secondo cui dall'esecuzione della sentenza di primo grado non si può desumere l'acquiescenza alla sentenza stessa, dal momento che l'esecuzione della pronuncia, in assenza di misure cautelari del giudice d'appello, è un dovere dell'amministrazione soccombente, salvo il caso in cui l'amministrazione abbia dichiarato espressamente di accettare la decisione o che comunque tale accettazione sia evincibile dal complessivo comportamento tenuto; in questo senso, ex multis, cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 novembre 2023, n. 9909; Cons. Stato, Sez. II, 2 ottobre 2023, n. 8614; Cons. Stato, Sez. V, 1 dicembre 2022, n. 10565. L'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità dell'appello consente di prescindere dall'esame dell'ulteriore eccezione, sollevata dal Comune, concernente la tardività del deposito della delibera n. 68 del 27 dicembre 2023, fermo restando comunque che il contenuto della delibera non è stato contestato dal Comune. 11. Passando all'esame dei motivi di gravame, il Collegio rileva che la prima censura, concernente l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio per decorso del termine annuale previsto dall'art. 117 c.p.a., è infondato poiché occorre avere riguardo non già, come sostenuto dal Comune appellante, al procedimento avviato con l'istanza presentata in data 28 dicembre 2015 prot. n. 19701, bensì al diverso procedimento di cui all'istanza del 29 dicembre 2022, concernente la variante urbanistica che, come già affermato dal T.a.r., di regola non fa sorgere alcun obbligo di provvedere in capo al Comune. Tuttavia, nel caso di specie, sussistono una pluralità di elementi che impongono all'amministrazione, per fondamentali esigenze di tutela dell'affidamento del privato, di riscontrare espressamente la predetta istanza. In primo luogo, assume rilievo la circostanza che, nella prospettiva della signora Sa. si trattasse di un adempimento da considerare non già in sé e per sé, bensì da inserire nel contesto della prosecuzione dell'iter procedimentale per la realizzazione del progetto strategico turistico dalla medesima proposto. In secondo luogo, assume rilievo anche la circostanza che la signora Sa. si sia trovata di fronte a una situazione del tutto peculiare connotata da una disciplina regionale senza dubbio di per sé caratterizzata da profili di una certa complessità e ulteriormente complicata dall'evidente contrapposizione venutasi a creare tra le amministrazioni coinvolte nel procedimento con riferimento ai successivi passaggi necessari per la prosecuzione dell'iter, come chiaramente si desume dai documenti versati in atti e, in particolare, dalla già menzionata nota del 4 novembre 2022 del Sindaco di (omissis) nonché dalla nota dell'Ente Parco dei Colli Euganei del 14 dicembre 2021 che aveva fatto presente la necessità della preventiva adozione della variante urbanistica da parte del Consiglio Comunale. Oltre a ciò, come già osservato dal T.a.r., non può essere ritenuta priva di rilevanza neppure la circostanza che il Comune medesimo aveva assunto un ruolo non secondario nell'ambito dell'iter per l'approvazione dell'accordo di programma, come dimostrato dal fatto che aveva dapprima promosso un incontro con le associazioni di categoria per la valutazione del progetto e aveva poi trasmesso alla Regione, in data 1 giugno 2016, l'istanza di attivazione del progetto stesso, chiedendo la prosecuzione dell'iter. Inoltre, già con la D.G.R. n. 1770 del 2015, la Regione aveva deliberato "di confermare che il progetto per la realizzazione di un'area adibita a servizio dell'anello ciclo - turistico dei Colli Euganei, con completamento della pista ciclabile lungo la SP n. 89 e via (omissis), e l'urbanizzazione e realizzazione di una nuova zona residenziale denominata "Al frutteto" in Comune di (omissis) (PD), riveste le caratteristiche di progetto strategico". Conseguentemente, il primo motivo di appello è infondato, non potendosi condividere la prospettazione di parte appellante né con riferimento all'eccezione di tardività del ricorso introduttivo, né avuto riguardo all'assenza di un obbligo di provvedere in capo al Comune, che, al contrario, è desumibile dalle caratteristiche del tutto peculiari del procedimento e dalla necessità di tutelare l'affidamento del privato a fronte di divergenti indicazioni delle amministrazioni coinvolte. 12. Anche il secondo motivo di appello, con cui il Comune ha sostenuto che il T.a.r. dovesse rilevare l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, avendo l'amministrazione già risposto con la nota del 4 novembre 2022, è infondato. Sul punto è dirimente la circostanza che l'anzidetta nota risulta essere meramente interlocutoria come è agevole desumere dalla precisazione con cui il Sindaco di (omissis) comunica letteralmente quanto segue: "sperando di aver contribuito ad un approfondimento dello stato dell'arte sul Progetto Strategico Turistico". Si tratta, infatti, di un contenuto di carattere non già provvedimentale, bensì solo interlocutorio, che per l'appunto offre un mero contributo di approfondimento con l'essenziale finalità di pervenire alla corretta interpretazione delle disposizioni, in conformità con il dovere di leale collaborazione. 13. Con riferimento, infine, al terzo motivo di gravame per il cui tramite il Comune sostiene che non sussista alcun suo obbligo di adottare la variante urbanistica in considerazione di quanto previsto dall'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004, si deve rilevare come tale osservazione sia sostanzialmente inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza del T.a.r., la quale, per le ragioni già illustrate, ha correttamente affermato la sussistenza dell'obbligo di provvedere in capo al Comune, precisando espressamente che l'amministrazione comunale ben avrebbe potuto respingere l'istanza (eventualmente anche alla luce delle ragioni indicate nell'ambito del terzo motivo di gravame). 14. Dalle considerazioni che precedono discende, dunque, il rigetto dell'appello. 15. Le spese processuali del presente grado sono integralmente compensate in ragione della complessità e della peculiarità della fattispecie. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere Eugenio Tagliasacchi - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7033 del 2023, proposto da Ii. Ca. in proprio e quale legale Rappresentante della ditta Individuale Ja. Vi. di Ii. Ca., rappresentate e difese dagli avvocati St. Zu., e Vi. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vi. Ce. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Sm. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via (...); Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura - Soprintendenza per Belle Arti e Paesaggio della Calabria, Agenzia del Demanio, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Meridionale, Ente Parco Nazionale dell'Aspromonte, Città Metropolitana di Reggio Calabria, Regione Calabria - Servizio Tecnico Regionale Vigilanza e Controllo Oo.Pp. Norme Sismiche, Sc. Fr., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 41/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Regione Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per la parte appellante l'Avv. Vi. Ce.; Viste le conclusioni delle parti appellate come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto avverso la determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) in data 19 maggio 2021, avente ad oggetto l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione di area demaniale marittima. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in fatto 1. Con determina del 27 gennaio 2020 il Comune di (omissis) approvata il bando di gara per la concessione dei lotti individuati nel Piano Comunale di Spiaggia approvato con determina dirigenziale n. 62 del 9 aprile 2019 della città Metropolitana di Reggio Calabria. La ricorrente partecipava alla procedura presentando la propria offerta per il lotto C1 (area attrezzata per la sostanza di camper e/o roulotte). Il progetto presentato prevedeva la realizzazione di un'area da adibire ad attività di pubblico interesse, ovvero: Area giochi per bambini, con l'installazione di giochi gonfiabili e giochi smontabili; Area piscina, con ombrelloni, realizzata in vetroresina già prefabbricata, facilmente amovibile; Punto attività collettive, mediante l'installazione di un chiosco/gazebo; Area barbecue, mediante l'installazione di un barbecue; Aree di parcheggio camper, con pavimentazione di tipo permeabile, ombreggiata, con pergolato in legno amovibile di dimensioni pari a circa m 6,00 x,8,00; Punto di bar/ritrovo, con il posizionamento di sedie e tavolini; Punto lavanderia; Punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzatura sanitaria; Servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. All'esito della valutazione delle proposte progettuali secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa la ditta risultava aggiudicataria. Con determinazione n. 28 del 17 aprile 2020 il responsabile dell'Area Tecnica e Territorio - Servizio II, approvava i verbali di gara nonché l'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dando atto che la procedura di rilascio delle concessioni demaniali si sarebbe perfezionata solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D. Lgs. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative col rilascio dei necessari titoli abilitativi. Così come previsto dall'art. 14 del bando di gara la ricorrente presentava apposita richiesta presso lo Sportello Unico Attività Produttive del Comune di (omissis) preordinata al rilascio delle necessarie autorizzazioni. Con nota prot. 14914 del 23 dicembre 2020 il Comune indiceva apposita conferenza di servizi ex art. 14 e ss. della legge n. 241/90 per l'acquisizione dei pareri, intese, nulla osta o altri atti d'assenso assegnando alle amministrazioni coinvolte i relativi termini per richiedere integrazioni (7 gennaio 2021), esprimere pareri, assensi o nulla osta (22 febbraio 2021), nonché per l'eventuale riunione di conferenza in modalità sincrona (5 marzo 2021). Con successiva nota prot. n. 1929 dell'11 febbraio 2021, resosi necessario reiterare l'invio della documentazione necessaria, veniva disposta la riapertura dei termini per la produzione dei pareri. Con nota prot. n. 4511 del 31 marzo 2021 veniva comunicato alla ricorrente l'avvio del procedimento di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione avendo il Comune preso atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi. Come rilevato, invero, dalla Regione Calabria, con nota del Dipartimento Tutela dell'Ambiente del 17 marzo 2021, l'art. 11 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte delle Norme Tecniche del Piano Comunale di Spiaggia stabilisce al punto 10 che: "11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia" - "i manufatti previsti nel progetto superano la superficie assentibile prevista dall'art. 11 punto 10 delle NTA del PCS che prevede esclusivamente la possibilità di realizzare un manufatto di dimensioni massime pari a mq. 30 come sopra specificato - L'art. 11 delle NTA non prevede la possibilità di realizzare manufatti da destinare a lavanderia, alloggio per il custode, bar e piscina. Il Comune prendeva, pertanto, atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi, in ragione della quale non possono essere inserite le strutture previste, che superano le dimensioni massime consentite in termini di superfici e possiedono destinazioni di utilizzo non contemplate nella norma del piano attuativo vigente, comunicando l'avvio del procedimento finalizzato all'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione del lotto C1 alla ditta Ii. Ca., alla quale veniva assegnato un termine di quindici giorni per presentare eventuali osservazioni. Entro i termini assegnati la ditta presentava le proprie osservazioni rilevando che il richiamato articolo 11 delle NTA prevede nei punti 7 e 4 la possibilità di realizzare manufatti da adibire a servizi in aggiunta alla possibilità di realizzare il manufatto di cui al successivo punto 10 con dimensioni massime di 30 mq. Rilevava, peraltro che, anche nell'ottica di una interpretazione più rigorosa dell'art. 11 delle NTA, l'annullamento in autotutela non si giustificherebbe dovendo, invece, attivarsi il soccorso istruttorio consentendo alla ditta di apportare le dovute modifiche al progetto. L'avvio del procedimento di annullamento si fonderebbe, inoltre, su un parere della Regione che nessuna competenza ha in materia. Tuttavia, con determinazione dell'Area Tecnica e Territorio, n. 30 del 19 maggio 2021, il Comune, viste le osservazioni presentate in data 12 aprile 2021, disponeva l'annullamento dell'aggiudicazione del lotto C1 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte (Art. 11 N.T.A.) di cui al Bando per il rilascio di concessione di aree demaniali marittime per finalità turistico-ricreative del 27.01.2020 e contestuale archiviazione della pratica SUAP n. 63 del 30/04/2020 presentata dalla ditta Ii. Ca., avente ad oggetto "richiesta concessione demaniale marittima annuale per attrezzature e sosta camper e/o roulotte - lotto C1" attesa l'illegittimità dell'aggiudicazione in violazione delle norme del piano comunale di spiaggia. La motivazione del sopra richiamato provvedimento di annullamento faceva tra l'altro riferimento alle seguenti circostanze: - la superficie complessivamente occupata dalle strutture (pur non indicata nelle osservazioni) è pari a mq 172,00 a fronte dei 30 previsti dall'art. 11 delle NTA, in evidente contrasto con tale disposizione che, invero, è chiara nel prevedere che tali sono le dimensioni massime delle strutture, comprensive di postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici. - l'avvio del procedimento non si fonda sul parere della Regione bensì sulla consapevolezza dell'illegittimità che viziava l'aggiudicazione; - non è poi invocabile il soccorso istruttorio non potendosi consentire alla ditta di apportare correzioni al progetto, trattandosi di progetto definitivo e, come tale, non suscettibile di rilevanti stravolgimenti in fase esecutiva. 3. Parte appellante lamenta: - erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respinge il ricorso sul presupposto che il parere della Regione non fosse tardivo e considerato atto proprio de Comune nel provvedimento di annullamento della concessione; - error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione, per cui il progetto presentato dalla Ditta contrasterebbe le norme tecniche del piano spiaggia; - errore sui presupposti; - violazione e/o falsa applicazione dell'artt. 1362 e ss. cod. civ in materia di interpretazione delle norme tecniche di attuazione del Piano spiaggia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6-bis del T.U. edilizia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Secondo parte appellante: - la Regione Calabria aveva reso un parere che aveva operato una sorta di "interpretazione autentica", non consentita, dell'art. 11 delle N.T.A del PSC; - il provvedimento del Comune sarebbe astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. I rilievi formulati dall'Amministrazione regionale sarebbero in parte affetti da un vizio di incompetenza, in ordine alla destinazione funzionale degli spazi, in parte da una lettura in malam partem ed estensiva delle N.T.A. L'art. 11 della norma tecnica applicata visto nel suo articolato consentirebbe al suo punto 7 e 4 la realizzazione di manufatti da adibire a servizi (non identificati con un numero chiuso) con caratteristiche costruttive tali da non nuocere al decoro dell'ambiente che non turbino l'estetica e non ostruiscano la visuale al mare, utilizzando materiali costruttivi aventi caratteristiche di precarietà e facile rimozione; Il suo successivo punto 10, secondo una interpretazione teologicamente orientata, coerente sia con l'oggetto sia con la vocazione turistica del territorio, oltre a contemplare i manufatti necessari per svolgere i servizi collegati alla concessione, prevederebbe la facoltà di realizzare un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove poter collocare la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap. I restanti manufatti sarebbero da intendersi come servizi primari per l'intero progetto, le norme nta non citerebbero in nessun punto altri manufatti. Per quanto concerne la piscina, la stessa sarebbe da ritenersi parte integrante delle aree di svago, essendo tra le altre cose una struttura di facile rimozione. Parte appellante fa altresì riferimento all'art. 6 - bis del T.U. edilizia considerata, per la modestia ed irrilevanza urbanistica ed edilizia degli interventi di cui si tratta. Parte appellante ritiene che le determinazioni adottate dal Comune di (omissis) sarebbero affette da un palese difetto di motivazione in quanto nelle stesse non viene specificato, nel disporre l'annullamento in autotutela, quali siano i giudizi valutativi espressi dall'Amministrazione in ordine all'impossibilità di procedere alla stipula del contratto di concessione di cui si tratta pur a fronte della pluralità dei pareri favorevoli espressi dagli enti effettivamente preposti alla tutela dei singoli vincoli individuati sull'area. 4. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui respinge il motivo relativo all'azione di annullamento in asserita autotutela del provvedimento di aggiudicazione del lotto C1. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per violazione dell'art. 14 del bando. Violazione dei principi dell'imparzialità e del buon andamento. Abuso del diritto. Error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione. Errore sui presupposti. Difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione o falsa applicazione dell'art. 14 e 14 bis della l.n. 241/1990. Il provvedimento del Comune, sarebbe in realtà astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Parte appellante fa riferimento ai pareri favorevoli espressi dalle amministrazioni interessate. La Regione Calabria, con decreto dirigenziale n. 4929 del 12 maggio 2021, relativamente alla procedura di incidenza ai sensi della DGR 749/2009 e s.m.i. - direttiva habitat 92 43 CEE Direttiva Uccelli 79 409 CEE DPR 357 97 - ha espresso parere favorevole di valutazione di incidenza con prescrizioni. Parte appellante fa poi riferimento al parere favorevole espresso dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria con nota prot. 3558 del 18 gennaio 2021 in ordine al vincolo paesaggistico insistente sull'area interessata dall'intervento. Parte appellante richiama il parere favorevole dell'Ufficio delle Dogane di Reggio Calabria, secondo cui "dall'esame degli elaborati forniti risulta la presenza di una strada pubblica tra il demanio marittimo e l'opera oggetto di richiesta di autorizzazione. Tale circostanza consente di poter annoverare l'opera di che trattasi al di fuori della zona di vigilanza doganale e perciò non soggetta al rilascio dell'autorizzazione ex art. 19 D.lgs. 374/90". Parte appellante richiama altresì il parere favorevole dell'ASL di Reggio Calabria con riferimento all'idoneità igienico-sanitaria del progetto. Secondo parte appellante la sentenza impugnata non affronterebbe il rapporto tra i suddetti pareri e le risultanze della conferenza di servizi. Anche in presenza di pareri negativi l'Amministrazione procedente potrebbe, sulla scorta di una valutazione discrezionale delle posizioni prevalenti, addivenire ad una determinazione conclusiva dell'iter autorizzativo di segno positivo, rimanendo la stessa libera di recepire o meno quanto espresso dalle Amministrazioni in sede di conferenza di servizi. In questo senso, pertanto, il parere negativo espresso dalla Regione non avrebbe potuto impedire l'adozione del provvedimento di autorizzazione, laddove la stessa amministrazione procedente abbia compiuto in sede urbanistica e preliminare del bando una valutazione discrezionale favorevole all'approvazione del progetto. L'amministrazione procedente, al fine di negare la richiesta autorizzazione non potrebbe limitarsi a richiamare acriticamente il contenuto del parere negativo espresso dalla Regione, dovendo invece comporre gli interessi in concorso e adottare un provvedimento finale che sia esito di una autonoma valutazione. Secondo parte appellante assume carattere assorbente la violazione del termine perentorio del 22.02.2021 indicato dall'A.C. per l'acquisizione dei pareri degli enti interessati. Il parere sfavorevole della Regione è giunto solo il 5 marzo del 2021 e quindi avrebbe dovuto essere ritenuto inutiliter dato o quantomeno valutato nel complesso dei pareri di opposto segno resi dagli enti interessati. Fa riferimento al difetto di istruttoria assieme a quello di motivazione atteso che nel provvedimento conclusivo del procedimento si afferma che l'area totale occupata è pari a 170,00 mq a fronte dei 30 mq massimi previsti dall'art. 11 delle N.T.A. Invero nel computo delle opere di cui all'art. 11 delle N.T.A. non potrebbero essere ricomprese, anche alla luce dei chiari pareri degli enti interessati (che anzi hanno condizionato l'espressione di un giudizio favorevole all'adeguata capacità ricettiva in sicurezza dell'area attrezzata), le strutture serventi, secondo un nesso di collegamento e di proporzionalità, il bene concesso tanto più che si tratta di opere relative all'igiene dei luoghi; alla sicurezza; al ristoro delle persone. Opere di tale ininfluente impatto da non rilevare e incidere su alcuno degli interessi oggetto di tutela nell'area interessata. 5. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha valutato il motivo inerente l'azione di risarcimento del danno derivante da annullamento (rectius revoca) dell'aggiudicazione conseguente all'impugnazione delle determinazioni amministrative di caducazione dell'aggiudicazione e di indizione di una nuova gara. Azione risarcitoria ex art. 30, co. III, del c.p.a. Violazione del principio di proporzionalità . Sproporzione. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Parte appellante chiede la restituzione (a titolo risarcitorio) delle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla procedura di gara e per la finalizzazione delle attività susseguenti l'aggiudicazione. In subordine chiede il risarcimento per via equitativa in misura non inferiore al 10% del valore della concessione perduta. 6. L'appello è infondato. Il provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione non è stato adottato, come ritiene parte appellante, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ma a causa della riscontrata illegittimità del provvedimento di aggiudicazione, ritenuto in contrasto con le vigenti NTA del piano comunale di spiaggia. Tale provvedimento è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e le osservazioni presentate da parte appellante sono state oggetto di specifico esame. Non sussiste il lamentato difetto di motivazione. Il provvedimento di annullamento, così come la precedente nota di comunicazione di avvio del procedimento, individua nella non conformità del progetto presentato dalla ricorrente con il punto 10 dell'art. 11 delle NTA del Piano Comunale di Spiaggia le ragioni di illegittimità dell'aggiudicazione. Il progetto, invero, in quanto non compatibile con le suddette norme tecniche non avrebbe potuto essere oggetto di valutazione né, conseguentemente, di aggiudicazione, anche considerando la necessaria tutela della par condicio tra i concorrenti. Con il provvedimento reso in autotutela il Comune ha specificamente motivato riguardo la sussistenza di un interesse pubblico rispetto al mero ripristino della legalità . Infatti trattasi dell'interesse alla tutela del territorio e dell'interesse della parità di trattamento dei concorrenti a che sia preso in considerazione un progetto conforme alla normativa vigente. Risulta adeguatamente comparato il sacrificio di parte appellante, considerando che l'intervento non è stato oggetto di rilascio dei permessi abilitativi e dunque non è stato realizzato. Parimenti la tutela della parità dei concorrenti non avrebbe consentito al Comune di richiedere a parte appellante la presentazione di un nuovo progetto, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte. Correttamente il Tar ha ritenuto infondata la censura secondo cui il provvedimento sarebbe stato adottato sulla base di un parere sfavorevole della Regione attinente ad aspetti (la compatibilità del progetto con le NTA) che non rientrano tra le competenze dell'amministrazione regionale. L'amministrazione comunale, infatti, non si è limitata a richiamare il parere del Settore 3 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria, ma ha dato atto nel provvedimento impugnato del contrasto del progetto presentato dalla ricorrente in sede di partecipazione alla procedura indetta per il rilascio di concessione di area/e demaniali marittime per finalità turistico-ricreative con l'art. 11, punto 10, delle Norme Tecniche del piano comunale di spiaggia. L'annullamento in autotutela è dunque espressione di autonoma valutazione dell'Amministrazione comunale. Correttamente il Tar ha ritenuto non rilevante la circostanza che le altre amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi abbiano espresso parere favorevole al rilascio della concessione riguardando i suddetti pareri aspetti del tutto diversi ed ulteriori rispetto a quelli afferenti alla incompatibilità del progetto con le norme tecniche di attuazione che ha portato all'annullamento. Ed infatti: - il parere della Città Metropolitana prot. n. 3558 del 18 gennaio 2021, concerne esclusivamente la compatibilità paesaggistica dell'intervento e non costituisce presunzione di legittimità del progetto sotto ogni altro profilo; - il parere dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria prot. n. 86 del 27 gennaio 2021 riguarda esclusivamente l'idoneità igienico sanitaria delle strutture da realizzare; - il decreto n. 4929 del 12 maggio 2021 del Settore 4 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria riguarda la Valutazione di Incidenza ai sensi del DPR 357/97 e DGR 749/2009 che tiene conto degli impatti potenziali sulla flora, sulla fauna ed avifauna selvatica e più in generale sul complessivo sistema ambientale del sito sensibile. È parimenti infondata la censura di parte appellante, secondo cui l'amministrazione comunale avrebbe erroneamente ritenuto superato il limite di mq 30 previsto dall'articolo 11 delle NTA non potendo ritenersi ricomprese in tale prescrizione le strutture serventi. Il punto 11.10 delle NTA del piano comunale di spiaggia consente, infatti, la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, che ricomprenda la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. Nel caso in esame il progetto presentato dall'appellante prevedeva, invece, la realizzazione di più manufatti con estensione complessiva ben superiore ai 30 metri quadrati previsti dalla disposizione richiamata (punto di bar/ritrovo di superficie pari a mq. 37,80; punto lavanderia di mq 44,00; punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzature sanitarie di complessivi mq 62; servizi igienici di mq 28,20). Essendo superato il limite di 30 metri quadrati previsto dalle n. t.a., è priva di fondamento la tesi di parte appellante, secondo cui si tratterebbe di interventi minori soggetti ad edificazione libera. Si tratta di intervento non consentito dalle n. t.a. e dunque il Comune non avrebbe in ogni caso potuto determinarsi diversamente. Sebbene - ciò va riconosciuto - di non piana lettura, la norma di riferimento ("11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia."), non si presta (cfr l'inciso "dove") alla lettura dell'appellante, secondo cui i 30 mq sarebbero implementabili con gli altri manufatti ivi citati, sino ad una possibile cubatura complessiva di mq 170. Correttamente il Tar ha osservato che nessun legittimo affidamento può dirsi ingenerato dall'aggiudicazione poi annullata atteso che il bando di gara subordinava espressamente il rilascio della concessione demaniale marittima all'acquisizione dei necessari pareri, autorizzazioni e nulla osta (art. 14) e che, coerentemente con tale previsione, la determina n. 28 del 17 aprile 2020, di approvazione dei verbali di gara e dell'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dava atto che la procedura di rilascio di concessioni demaniali... si perfezionerà solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative con rilascio dei necessari titoli abilitativi. Proprio per effetto dell'impugnato provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione (impugnato in primo grado) i titoli abilitativi non potevano essere rilasciati. Ne consegue l'infondatezza della censura di tardività proposta dall'appellante, anche considerando che sono stati rispettati i termini per l'esercizio dell'autotutela previsti dall'art. 21 - nonies della legge n° 241 del 1990. La responsabilità per avere presentato un progetto difforme dalla normativa vigente grava sul soggetto che ha partecipato alla procedura e dunque su parte appellante. Pertanto non può essere accolta la domanda di risarcitoria in relazione alla lesione dell'affidamento. Né può essere accolta la domanda risarcitoria connessa all'azione impugnatoria, essendo quest'ultima infondata per quanto sopra precisato. Essendo sufficiente il quadro probatorio ai fini della decisione, non può essere accolta l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio proposta dall'appellante L'appello deve pertanto essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis) e di Euro 2.000/00 (duemila/00) a favore della Regione Calabria. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 401 del 2020, proposto da Ab. Vi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Lu. Ma. e Gi. St., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Po. Fl. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Pa. e An. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero per i beni e le attività culturali, Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca, Università degli Studi Roma La Sapienza, Regione Autonoma della Sardegna, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. 00423/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), della Regione Sardegna, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, dell'Università degli Studi Roma La Sapienza; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in trattazione, la società Ab. Vi. S.r.l. chiede la riforma della sentenza del T.a.r. per la Sardegna 21 maggio 2019, n. 423, che ha respinto il ricorso proposto dall'odierna appellante per l'annullamento del provvedimento dirigenziale del 3 marzo 2017, del Comune di (omissis), nella parte in cui - pur autorizzando l'intervento di variante alle opere di urbanizzazione del campeggio Ab. Vi. - ha disposto che "(p)rima del rilascio dell'agibilità dovranno essere assolti, da parte della Società titolare del presente titolo, gli obblighi di cui all'atto unilaterale d'obbligo di cessione del 27/ 12/1988", di cui alla deliberazione di Giunta comunale n. 288/88; ossia, il trasferimento delle aree di cessione di cui all'atto di impegno unilaterale del 1988, con il quale il proprietario dell'area e del campeggio si impegnò a "cedere al Comune di (omissis), quando la struttura pararicettiva in oggetto sarà inserita nello studio di disciplina della zone turistiche, il terreno, della complessiva superficie di mq. 17.600, da stralciarsi dal mapp. 24 con apposito tipo di frazionamento, contrassegnato col numero 24/b e contornato in rosso nella allegata planimetria". 2. Con la sentenza, il giudice di prime cure ha ritenuto infondate le censure dedotte dalla ricorrente sull'assunto che la società non avesse provveduto all'adempimento degli obblighi convenzionali e che il diritto dell'amministrazione non fosse soggetto a prescrizione. 3. La società, rimasta soccombente, ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza sulla scorta dei seguenti motivi: I) erroneità della sentenza per avere respinto la censura basata sulla intervenuta prescrizione del diritto del Comune di (omissis) alla cessione dell'area; II) ingiustizia della sentenza per non aver rilevato che l'atto di impegno del 1988 era correlato all'approvazione del Piano di Disciplina delle zone F e del relativo piano di lottizzazione, che non è mai stato approvato; in tale situazione avrebbe operato, a favore della società, l'eccezione di inadempimento. In ogni caso, il presupposto per la cessione delle aree non si sarebbe verificato e, quindi, l'obbligo di provvedere alla cessione non sarebbe mai sorto. L'appellante, altresì, critica la sentenza per aver richiamato la normativa sulle cessioni nei piani di lottizzazione, inapplicabile nel caso di specie, poiché l'atto di impegno non era correlato a nessuna lottizzazione esistente, ma era stato formato "in vista" di una futura pianificazione, mai venuta ad esistenza. Attualmente la sopravvenuta normativa urbanistica regionale e comunale (il nuovo piano urbanistico comunale di (omissis)) avrebbe definitivamente impedito ogni possibilità di realizzare la lottizzazione dell'area; III) ripropone, infine, il motivo del ricorso di primo grado non esaminato dal primo giudice, con il quale ha dedotto la violazione del principio di proporzionalità in quanto si dovrebbe comunque ritenere che le aree di cessione da trasferire debbano essere proporzionali alle volumetrie effettivamente realizzate in forza della concessione in deroga rilasciata nel 1989, pari a circa 2000 mc; pertanto, la pretesa cessione di 17.600 mq (funzionale alla possibilità di realizzare 10.000 mc, ammessi dal programma di fabbricazione all'epoca vigente) dovrebbe ritenersi in violazione del principio di proporzionalità, oltre che illegittima per eccesso di potere sotto diversi profili (travisamento di fatti e carenza dei presupposti; ingiustizia grave e manifesta; difetto di istruttoria). 4. Si è costituito il Comune di (omissis), ribadendo anzitutto che la cessione non è soggetta a termine prescrizionale; in secondo luogo, l'amministrazione sottolinea di avere adempiuto agli obblighi assunti, approvando l'adeguamento del P.U.C. alle previsioni dei Piani Territoriali Paesistici nell'anno 2004 e poi nel 2015 (adeguamento al piano paesaggistico regionale), che ricomprende l'area oggetto di concessione in deroga all'interno del QN4 (quadro normativo) comparto A; e quindi riconosce pienamente la struttura esistente del campeggio Ab. (oggetto a suo tempo, nel 1989, di concessione in deroga, ossia senza previa lottizzazione). 5. Resistono in giudizio anche la Regione Sardegna, il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, e l'Università degli Studi di Roma La Sapienza. 6. All'udienza straordinaria del 6 marzo 2024, la causa è stata trattenuta in decisione. 7. I motivi sopra esposti si prestano a una trattazione congiunta data la stretta connessione degli argomenti dedotti dall'appellante. 7.1. Quanto alla censura con la quale l'appellante deduce l'intervenuta prescrizione del diritto dell'amministrazione comunale alla cessione delle aree di cui alla convenzione sopra richiamata, va rammentato, anzitutto, che il primo giudice ha ritenuto che la cessione di un'area al Comune in forza della convenzione stipulata inter partes (per destinarla a viabilità e a servizi pubblici), si concreta, sostanzialmente, in una condizione della concessione edilizia richiesta dall'interessato, ormai inoppugnabile e pacificamente attuata, per cui deve conseguentemente ritenersi che, a fronte dell'intrinseca connessione della cessione dell'area con la richiesta e rilasciata concessione edilizia, la correlativa obbligazione, di natura pubblicistica, sia insuscettibile di estinzione per prescrizione. 7.2. Tuttavia, anche se di dovesse seguire la prospettiva integralmente civilistica fatta propria dalla società appellante, e quindi ritenere applicabile agli atti unilaterali accessivi alle concessioni (in questo caso si trattava di una concessione in deroga) il regime civilistico della prescrizione (come afferma un orientamento giurisprudenziale richiamato e condiviso recentemente da Consiglio di Stato, sez. II, 1° dicembre 2021, n. 8006), va considerato che la prescrizione decennale inizia a decorrere dal momento in cui il Comune ha potuto far valere il diritto alla cessione dell'area, secondo la regola posta dall'art. 2935 del codice civile ("La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere"). Nel caso di specie, dal momento in cui l'amministrazione comunale ha adempiuto agli impegni assunti nell'atto accessivo alla concessione in deroga, vale a dire dalla approvazione definitiva del piano urbanistico comunale, il quale ha inserito nella pianificazione l'area oggetto della concessione in deroga (il che corrisponde all'inserimento del terreno in questione nello studio di disciplina delle zone turistiche F). Come risulta dalla documentazione in atti, ciò è avvenuto con la deliberazione del Consiglio comunale n. 4 del 15 gennaio 2015, data a partire dal quale il Comune poteva far valere il diritto a ottenere la cessione delle aree. Poiché il provvedimento impugnato in primo grado è stato adottato il 3 marzo 2017, ne deriva come conseguenza che la pretesa del Comune (fatta valere attraverso detto provvedimento) risulta tempestiva, in quanto esercitata nell'ordinario termine decennale. 7.3. Da quanto rilevato, emerge altresì che il Comune ha adempiuto agli obblighi posti a suo carico. 7.4. I primi due motivi di appello sono, pertanto, infondati. 8. Stessa sorte va riservata al motivo riproposto, considerato che la pretesa dell'amministrazione si fonda sugli impegni assunti reciprocamente dalle parti con la sottoscrizione della convenzione accessiva alla concessione in deroga rilasciata nel 1989. 8.1. Previsione peraltro conforme alla normativa regionale applicabile ratione temporis, come sottolineato dal primo giudice (a cui pertanto non può essere rimproverato di non avere esaminato la censura), nella parte in cui ha rilevato che, ai sensi dell'art. 7 del decreto del Presidente della Giunta regionale della Sardegna, 1 agosto 1977, n. 9743 - 271 (cd. decreto Soddu), per le zone F turistiche "(i)l 50 per cento della superficie territoriale deve essere destinata a spazi per attrezzature di interesse comune, per verde attrezzato a parco, gioco e sport, per parcheggi. Almeno il 60 per cento di tale aree devono essere pubbliche". 8.2. La convenzione va interpretata in conformità a detta normativa, con conseguente obbligo della società ricorrente di procedere alla cessione in favore del Comune del 30% delle aree in questione. Nell'atto di impegno del 27 dicembre 1988 è riconosciuto, inoltre, che "L'intervento riguarda, complessivamente, una superficie di mq. 58.700, censita in catasto al Foglio (omissis) Mappali (omissis)"; per cui non si può che condividere la conclusione del giudice di prime cure sulla correttezza del conteggio delle aree oggetto della cessione, pari a circa mq 17.600, come del resto precisato nel citato atto di impegno. 9. In conclusione, l'appello va integralmente respinto. 10. La disciplina delle spese giudiziali segue la regola della soccombenza nei rapporti tra l'appellante e il Comune di (omissis), nei termini di cui al dispositivo. Vanno compensate, sussistendo giuste ragioni, tra l'appellante e le altre amministrazioni appellate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la società appellante al pagamento delle spese giudiziali del grado di appello, in favore del Comune di (omissis), che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge. Compensa le spese tra la società appellante e le altre amministrazioni appellate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, tenuta da remoto, con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Giovanni Tulumello - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8923 del 2021, proposto da Te. Va. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Ve. e Ma. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00487/2021, resa tra le parti, per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 21 del 15.07.2019, successivamente notificata, con la quale il Responsabile dell'Ufficio Urbanistica del Comune di (omissis) ha disposto la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate presso l'area di proprietà sita alla Loc. (omissis); b - ove e per quanto occorra, della relazione prot. n. 8410 dell'08.07.2019 redatta dall'U.T.C. a seguito di sopralluogo, presupposta all'ordinanza sub a); c - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, collegati, connessi e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 2\1\2020: a - della determina n. 114 del 24.10.2019 Reg. Servizio e n. 603 del 24.10.2019 Reg. Generale, successivamente notificata, con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di (omissis) ha irrogato la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00 per "la non osservanza dell'ordinanza di rimessa in pristino per le opere eseguite in assenza del titolo abilitativo"; b - del provvedimento di cui alla nota prot. n. 13168 del 12.11.2019, con il quale la P.A. ha disposto il diniego definitivo dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria depositato ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001; c - ove e per quanto occorra, del verbale di sopralluogo redatto dal Comando di polizia Municipale in data 23.10.2019, assunto a presupposto del provvedimento sub a); non conosciuto; d - ove e per quanto occorra, della nota prot. n. 12772 del 31.10.2019, recante la comunicazione dei motivi ostativi; e - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 21\1\2020: avverso e per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 37 del 19.11.2019, con la quale il Responsabile dello Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di (omissis), in seguito al diniego dell'istanza di accertamento di conformità depositata dalla ricorrente ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, ha ordinato la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate nell'ambito di un'area sita alla Loc. (omissis); b - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da Comune di (omissis) il 24/11/2021: per la riforma della sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, pubblicata in data 24.02.2021 nella parte in cui ha accolto i motivi aggiunti proposti avverso la determina n. 114 del 24.10.2019 recante la comminatoria nei confronti Te. Va. S.r.l. (c.f. 05368130653) pecuniaria di Euro 20.000,00 ex art. 31 comma 4 bis del D.P.R. 380/2001 per la mancata riduzione in pristino delle opere abusive sanzionate dell'ordinanza di demolizione precedentemente comminata Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.E' appellata la sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, d'accoglimento in parte del ricorso e motivi aggiunti proposti da Te. Va. S.r.l. avverso (una prima) ordinanza di demolizione del Comune di (omissis) - sostituta in pendenza di giudizio da altra ingiunzione a demolire (n. 37 del 19.11.2019), impugnata con motivi aggiunti - nonché avverso la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00, comminata per l'inosservanza dell'ordine di rimessione in pristino. Con ulteriori motivi aggiunti, la società ha impugnato il diniego opposto all'istanza di accertamento di conformità presentata il 16.10.2019, per essere la pratica "carente della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi". 2. Interventi abusivi realizzati in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico sita alla località (omissis), consistenti: - nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40. Per la sopraelevazione del piano di campagna e` stato realizzato un muro di sostegno in calcestruzzo della lunghezza complessiva di m. 54,73 a forma di una "elle" con il lato minore di m. 6.97 e il lato maggiore di m. 47.76, spessore cm. 30 ed un'altezza media di m. 2; - in tre gazebo, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nonché deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; - in un ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3; - in area parcheggio di complessivi mq. 4.600. 3. Il Tar, dichiarato improcedibile il ricorso proposto avverso l'originaria ordinanza di demolizione, ha accolto i motivi aggiunti limitatamente all'irrogazione della sanzione pecuniaria per inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 37 del 19.11.2019, "stante l'emanazione dell'atto sanzionatorio allorquando il procedimento di sanatoria non si era ancora concluso":, respingendo nel resto il gravame. Il Tar ha respinto l'impugnazione sia del diniego opposto dal Comune all'istanza di accertamento di conformità presentata, motivato sulla carenza della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi, che della nuova ordinanza di demolizione, qualificata "come atto dovuto, vertendosi sulla realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 4. Appella la sentenza Te. Va. s.r.l.. Resiste il Comune di (omissis) che, a sua volta, ha proposto appello incidentale avverso il capo di sentenza d'annullamento della sanzione pecuniaria. 5. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. In limine va respinta la richiesta formulata dall'appellante di sospensione del giudizio, ex art 295 c.p.c., in attesa della definizione innanzi al Tribunale di Salerno della questione - qualificata come pregiudiziale - della natura demaniale o meno delle aree su cui ricadono parte delle opere abusive. In considerazione del fatto che si controverte sulla natura delle opere realizzate senza titolo edilizio in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico, l'accertamento della demanialità delle aree ove ricadono parte dagli abusi edilizi, nell'economia del decidere, non è ex dirimente, sì da non giustificare la sospensione del giudizio in corso. 7. Prima di affrontare i molteplici motivi d'appello principale, è bene richiamare la disciplina urbanistica ed ambientale che governa il territorio. L'area d'intervento ricade parte in zona agricola E5 "Zona Agricola Irrigua" e parte in zona E4 "Zona Agricola Semplice" del vigente Piano Regolatore Generale, in cui sono destinate prevalentemente attività dirette o connesse con l'agricoltura, per cui in esso sono consentite costruzioni a servizio diretto del fondo agricolo - residenza e attrezzature per l'agricoltura. L'area è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. 4/2004 perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Pi., nonché assoggettata alle norme di salvaguardia sancite dal Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico poiché "l'area risulta: parte area a pericolosità potenziale PUtr1 e parte PUtr3... parte area a rischio potenziale da frana RUtr2... parte RUtr3... parte RUtr4... (in) zone di attenzione". 8. Con il primo motivo, l'appellante denuncia l'errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nel respingere il gravame avverso il diniego di accertamento di conformità . Il Comune di (omissis), secondo la censura in esame, ha denegato l'accertamento di conformità sul presupposto della mancata allegazione di documentazione," omettendo di richiederla espressamente come era suo precipuo compito". 8.1 Il motivo è infondato. Il Comune resistente, prima di opporre il diniego impugnato, con nota (prot. n. 12023 del 16.10.2019), ha espressamente richiesto l'apporto partecipativo della società appellante che - va sottolineato - è rimasta senza esito. Sicché, la regolarizzazione documentale ex officio è stata richiesta dal Comune, assolvendo al precetto contenuto nell'10-bis l.241/90, 9. Con il secondo motivo d'appello, l'appellante denuncia l'erroneità della sentenza laddove si censura il comportamento della ricorrente per non avere chiesto la concessione del termine per effettuare il deposito della documentazione carente. 9.1 Il motivo è infondato. Contrariamente a quanto dedotto in fatto dall'appellante, il Comune, nell'istruire il procedimento, ha richiesto l'esibizione di documenti essenziali a comprovare la veridicità delle dichiarazioni rese ai sensi del d.P.R. 455/2000 quanto alla legittimazione ad intervenire anche all'interno dell'area demaniale e all'insussistenza di vincoli di natura paesaggistica e ambientale tali da rendere necessario il preventivo conseguimento dei prescritti nulla osta delle autorità preposte alla loro gestione. In risposta, la società ha lasciato scadere il termine, senza presentare alcuna osservazione. 10. Con il terzo motivo di appello, la ricorrente lamenta gli errori di giudizio nel respingere le censure proposte avverso l'ordinanza di demolizione. Le opere contestate, secondo la censura in esame, sarebbero in parte irrilevanti ai fini volumetrici e/o del carico urbanistico e, quindi, non sono assoggettate al regime del permesso di costruire né sanzionabili ex art. 31 d.P.R. n. 380/2001, e, per altra parte, sarebbero riconducibili al genus degli interventi pertinenziali "minimi", di cui agli artt. 3 e 6 d.P.R. n. 380/2001. 10.1 Il motivo è infondato. Le opere abusive realizzate in zona agricola gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico consistono: nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40, nella realizzazione 3 gazebi, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nel deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; nella edificazione di ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3 (...); nella realizzazione di un'area parcheggio di complessivi mq. 4.600. Va sottolineato che l'area occupata dalla piattaforma, "ricade per mq. 900 nella proprietà del demanio" (su una estensione di complessivi 1150 mq; mentre l'area occupata dal parcheggio, "risulta, ivi compreso l'ingresso al parcheggio, parzialmente di proprieta` del demanio per mq. 2.200" (su una estensione di complessivi 4600 mq). Il Comune ha accertato la realizzazione, senza alcun titolo autorizzativo, di area attrezzata per ricevimenti all'aperto, costituita da una piattaforma sopraelevata in cemento armato, con gazebi attrezzati a bar e servizi, impianto di illuminazione e piscina monumentale della complessiva estensione di 1150 mq e dell'annesso parcheggio per automezzi di ulteriori 4600 mq. Gli interventi complessivamente considerati incidono pesantemente sull'intero comprensorio, avente oltretutto valenza ambientale (cfr., Cons. Stato, n. 496/2022). In ragione della peculiare disciplina del territorio qui in esame, va ribadito che la valutazione di abusi edilizi e illeciti compiuti richiede una visione d'insieme, e non parcellizzata delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (cfr., Cons. Stato n. 2119/2023; Id., n. 8848/2022; Id., 7601/2019). Correttamente il Tar ha qualificato come "atto dovuto" l'ordinanza di demolizione stante l'avvenuta realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, "di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 11. Conseguentemente, anche il quarto motivo dell'appello principale, laddove si deduce che "le opere contestate sono riconducibili al regime sanzionatorio pecuniario di cui all'articolo 37 d.P.R 380/2001", è infondato. Le pluralità degli abusi commessi in zona agricola, gravata da vincoli ambientali, comporta l'applicazione del regime sanzionatorio rispristinatorio di cui agli artt. 31 d.P.R. 380/2001 e 167 d.lgs. 4/2004. 12. Conclusivamente, l'appello principale deve essere respinto. 13. Ad opposta conclusione deve giungersi con riguardo all'appello incidentale Il T.A.R. ha accolto l'impugnativa spiegata dalla società con esclusivo riferimento al provvedimento (n. 114 del 24.10.2019), con la quale il Comune di (omissis) le aveva comminato la sanzione prevista dall'art. 31, comma 4 bis, d.P.R. 380/2001 per non aver ottemperato all'ordinanza di demolizione n. 21 del 15.07.2019. Secondo i giudici di prime cure la sanzione pecuniaria, in pendenza del procedimento di sanatoria, non poteva essere adottata, poiché "il deposito dell'istanza comporta la sospensione dell'efficacia dell'ordinanza di demolizione fino alla definizione del procedimento".. Il Comune appellante deduce che il procedimento attivato dalla società per la sanatoria delle opere sanzionate non aveva alcuna valenza "sospensiva" e/o "interruttiva" del termine di novanta giorni ivi impartito per la riduzione in pristino degli abusi commessi in area demaniale. 13.1 Il motivo è fondato. La sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4° bis, d.P.R. 380/2001 consegue ex lege all'inottemperanza all'ingiunzione a demolire; la quantificazione nella misura massima di Euro 20.000,00 corrisponde al criterio normativo, stante la concorrente violazione della normativa paesaggistico-ambientale. La norma recita: "L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima...". Nessuna norma prevede che l'esecutività della sanzione è sospesa per effetto della presentazione dell'istanza d'accertamento di conformità . 14. Pertanto, l'appello incidentale proposto dal Comune deve essere accolto, e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, devono essere respinti i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata dal Comune. 15. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello principale, come in epigrafe proposto, lo respinge. Accoglie l'appello incidentale proposto dal Comune e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, respinge i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata. Condanna Te. Va. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8334 del 2023, proposto da: Ca. Eu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Pe. e Cr. Be., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Za., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Tu. Fu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Co. e Gi. Gi., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; Ni. Co., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 96/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Tu. Fu. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Nessuno presente per le parti nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società appellante ha impugnato la sentenza del 20 febbraio 2023, n. 96 con cui il Tar Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 25216 del 2 maggio 2019, di revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, e per la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti. Il Comune di (omissis) si è costituito con atto formale. La controinteressata, Tu. Fu. s.r.l. si è costituita depositando memoria difensiva e documentazione ed ha chiesto la reiezione dell'appello. In vista della trattazione, il comune e la controinteressata hanno depositato memorie conclusive, alle quali l'appellante ha replicato con memoria del 7 maggio 2024. Con separati atti tutte le parti costituite hanno chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante, gestore di un campeggio in (omissis), lungo la SS (omissis), ha impugnato in primo grado il suindicato provvedimento censurandolo per violazione del d.P.R. n. 380 del 2001, dell'art. 3 della legge n. 287 del 1991, della legge regionale n. 16 del 2003, dei principi di buon andamento, di imparzialità, di affidamento incolpevole, di proporzionalità e ragionevolezza nonché per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di presupposti, di istruttoria e di motivazione, dello sviamento. In particolare ha fatto presente che i procedimenti di condono non erano ancora definiti; che il primo riguardava n. 8 bungalows più il bar, il secondo n. 3 bungalows, la guardiola, la centrale idrica, la pista da ballo, la bocciofila, il terzo la superficie abusiva di mq. 270 di cui alla particella (omissis), il quarto la superficie abusiva di mq. 240 di cui alla particella (omissis); che in ogni caso i bungalows e la bocciofila erano stati rimossi; che i rimanenti abusi attenevano unicamente ai profili di ubicazione e sagoma di scarso rilievo; che vi era comunque stato l'accatastamento dei locali nello stato di fatto attuale; che si era ingenerato un affidamento incolpevole discendente dalla risalenza dei lavori a circa 44 anni prima, eseguiti poi dal precedente gestore. La società ha sostenuto inoltre che sarebbe improprio in ogni caso definire le opere abusive, in pendenza del procedimento di condono; che non sarebbero motivate nè la misura afflittiva né il rigetto della richiesta di proroga, tenuto conto poi che la struttura è dotata del titolo di agibilità ; che una ridotta porzione del campeggio era stata restituita alla proprietaria Tu. e Fu. s.r.l., tuttavia non rilevante e incidente sulla conformazione complessiva del campeggio medesimo; che in definitiva la misura assunta sarebbe sproporzionata. La società ha anche chiesto la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni: di quello economico, essendo già state raccolte le prenotazioni per la stagione estiva, e di quello non patrimoniale, per la campagna denigratoria della stampa. 3. Il Tar ha respinto il ricorso osservando in sintesi: che l'ordinanza impugnata risulta emessa a seguito di articolata, approfondita e dettagliata fase istruttoria e nel pieno rispetto del contraddittorio procedimentale; che numerosi risultano gli abusi realizzati, con occupazione di aree di soggetti terzi, private e pubbliche demaniali, sottoposte a vari vincoli di tutela (fasce di rispetto, vincoli ambientali); che un ridotto numero degli abusi era oggetto di domande di condono, in parte già respinte, in parte ancora non definite per la mancata produzione della documentazione necessaria per il loro riscontro, con altri abusi già oggetto di ordinanze di demolizione o di procedimenti avviati per l'assunzione di analoghe misure repressive; che, a fronte di ciò, non può assumere rilievo l'asserita rimozione di alcune opere; che gli abusi consistenti in differente ubicazione e sagoma non possono comunque essere considerati di minore impatto nel contesto surriportato; che l'accatastamento dei locali abusivi non può valere per ciò solo e in ogni caso a sanare i profili abusivi degli stessi, consistendo lo stesso in una mera registrazione e catalogazione degli immobili, a fini preminentemente fiscali; che nessun affidamento incolpevole poteva essere maturato in capo alla ricorrente, ben consapevole almeno di parte degli abusi, avendo presentato per gli stessi domanda di condono; che l'atto impugnato risulta corredato di congrua e adeguata motivazione; che non è irragionevole il mancato accoglimento della richiesta di proroga, proprio perché le domande di condono pendenti riguardavano una minima parte degli abusi; che, a fronte degli accertati abusi, non poteva rilevare un precedente titolo di agibilità ; che l'asserita restituzione di una ridotta parte del campeggio al legittimo terzo proprietario non poteva valere a rendere conforme alla disciplina vigente il complesso della struttura; che la misura assunta, alla luce delle plurime illegittimità riscontrate e di varia matrice, anche in tema di sicurezza, non appare all'evidenza sproporzionata. 4. L'appello è affidato ai seguenti motivi. 1) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della Legge 7.8.1990, n. 241". Diversamente da quanto affermato in sentenza, l'intero procedimento sarebbe affetto da difetto di istruttoria, infatti l'amministrazione si sarebbe espressa, in plurimi passaggi, in termini dubitativi circa le circostanze fattuali che hanno condotto a qualificare come "interamente abusivo" il campeggio in questione e, di conseguenza, revocare l'autorizzazione amministrativa rilasciata in favore della s.r.l. Ca. Eu.. Inoltre nella stessa ordinanza impugnata sarebbe rinvenibile l'incertezza degli accadimenti laddove, a proposito delle iniziative promosse da un proprietario di una parte dei terreni per ottenerne il rilascio, si rileva che la sua restituzione determinerebbe un mutamento dello stato di fatto del campeggio "tanto da porre dubbi circa il fatto che la sua conformazione - dopo la restituzione di una parte del terreno - attualmente rispetti la normativa regionale che regola tale comparto delle strutture ricettive", ciò senza che: sia indicata la specifica porzione immobiliare che dovrebbe essere rilasciata; siano indicate le norme violate; sia precisata la ragione per la quale l'eventuale restituzione dell'area al legittimo proprietario possa incidere sul rispetto dei parametri urbanistici. Inoltre l'amministrazione avrebbe ignorato un fatto, il rilascio di parte dell'area al legittimo proprietario, che era stato già introdotto in sede procedimentale, in tal modo vanificando l'apporto partecipativo della società : da ciò emergerebbe anche la violazione dell'obbligo motivazionale. 2) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e ss. del d.P.R. 6.6.2001, n. 380. Violazione e falsa applicazione dell'art. 21 della L.R. Abruzzo 23.10.2003, n. 16". L'appellante contesta il capo della sentenza in cui il campeggio viene definito interamente abusivo e osserva che, nel provvedimento impugnato, è lo stesso comune che, dopo aver qualificato il campeggio come "interamente abusivo", soggiunge: "fatta salva la presentazione di alcune istanze di condono ancora in fase di istruttoria", affermazioni contenute anche nella relazione del 19 novembre 2018, a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente, integralmente richiamata e recepita dall'ordinanza impugnata, nella quale ogni condono presentato dalla società appellante viene qualificato come "non definito in corso di istruttoria". Quindi lo stigma di "abusività ", che l'amministrazione ha assegnato all'intero insediamento, non sarebbe connotato da carattere di definitività . Osserva, inoltre, che laddove sia stata presentata un'istanza di concessione in sanatoria o di condono edilizio, in assenza di preventiva determinazione su quest'ultima e in pendenza del relativo procedimento, gli eventuali provvedimenti repressivi devono considerarsi sospesi e, se adottati in presenza di condono, sono da considerarsi illegittimi, quindi il comune non potrebbe revocare l'autorizzazione commerciale senza preventivamente pronunciarsi in senso negativo sull'istanza di sanatoria. Obietta che, se fosse vero che la società richiedente non abbia ottemperato alle richieste di integrazione documentale, sarebbe stato agevole per l'amministrazione definire negativamente i procedimenti in questione, ma così non è stato. In ogni caso, al netto delle opere interessate dalle richieste di condono, gli unici abusi che vengono in rilievo riguarderebbero le difformità dalla licenza edilizia del 1975 (4 bungalow, un fabbricato, il deposito servizi) e il bocciodromo costruito nella fascia demaniale. Si tratterebbe, tuttavia, di interventi di modesta rilevanza, considerato che i due bungalow sono successivamente stati rimossi, mentre le ulteriori difformità edilizie riguardano la diversa ubicazione e la diversità di sagoma, sicchè non vi sarebbero variazioni essenziali. Anche alla luce di tali considerazioni il sacrificio imposto alla società con il provvedimento impugnato sarebbe in contrasto con i principi di proporzionalità, buon andamento e ragionevolezza dell'azione amministrativa. 3) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione del principio di buona fede di cui all'art. 1, comma 2bis, della Legge 7.8.1990, n. 241 e di cui all'art. 1375 c.c.". L'appellante contesta la sentenza nella parte in cui ha escluso la sussistenza del legittimo affidamento osservando che le opere asseritamente abusive sarebbero state eseguite da parte di terzi, la realizzazione del campeggio risale al 1975 mentre l'appellante ne amministra l'attività a partire dal 1993 e deduce la sua ignoranza incolpevole in quanto sia le ordinanze di demolizione, sia i provvedimenti con cui sono state respinte le istanze di condono non sarebbero state prodotte nel giudizio di primo grado ovvero sarebbero state prodotte senza fornire la prova dell'avvenuta notificazione ai rispettivi destinatari. 5. Il Comune di (omissis) ha innanzitutto eccepito l'inammissibilità del primo motivo di appello, in quanto sostanzialmente "rimaneggiato" rispetto a quanto dedotto in primo grado e, perciò, formulato in violazione del divieto di nova in appello; in ogni caso ne ha dedotto l'infondatezza, al pari degli altri motivi. La controinteressata Tu. Fu. s.r.l. - proprietaria del complesso alberghiero denominato "Hotel Ex." confinante con il campeggio - ha ribadito l'eccezione, già sollevata in primo grado, di inammissibilità del ricorso introduttivo per omessa notifica alle altre amministrazioni interessate, coinvolte nell'accertamento che ha condotto all'emanazione dell'ordinanza impugnata nonché per altri profili; in ogni caso ha dedotto l'infondatezza dell'appello e del ricorso introduttivo osservando che le censure dell'appellante non sarebbero idonee a incidere sulla correttezza della 6. Si può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari, essendo l'appello infondato. I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente seguendo un unico ordine logico. Come rilevato dal Tar non è ravvisabile il dedotto difetto di istruttoria che l'appellante ascrive all'operato dell'amministrazione in conseguenza di una lettura "atomistica" degli atti che nell'insieme hanno condotto all'emanazione del provvedimento comunale impugnato. A ben vedere, nella vicenda per cui è causa le diverse amministrazioni coinvolte hanno rilevato una serie di abusi edilizi che non risultano sconfessati né dalle deduzioni dell'appellante né dalla pendenza di istanze di condono, tanto che in ordine alla reiezione di alcune di esse l'appellante si spinge a sostenere di averle ignorate incolpevolmente in quanto l'amministrazione non avrebbe accluso la prova della avvenuta notifica. Ciò posto, le censure riguardanti la presunta doverosità di sospendere il procedimento in attesa della definizione delle istanze di condono esulano dal perimetro del presente giudizio il quale ha ad oggetto non già l'ordinanza di demolizione bensì la revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, la quale si fonda sull'intervenuto accertamento di plurime violazioni, tra le quali quelle edilizie. Il procedimento è stato avviato a seguito di una serie di accertamenti in cui sono stati rilevati due profili di illegittimità : ossia una serie di irregolarità edilizie e l'occupazione di aree demaniali e private. Sono seguite, dunque, due attività provvedimentali: l'una diretta allo sgombero dell'area demaniale illegittimamente occupata e alla rimozione delle opere edilizie abusive ivi insistenti e una diretta alla revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio. Il presente giudizio riguarda la seconda delle indicate attività che, al pari della prima, risulta ben esplicata nella relazione tecnica a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente del comune in cui, dopo aver elencato i titoli rilasciati e le richieste di sanatoria, si conclude che "Dall'esame delle pratiche sopra richiamate si evince che, ad oggi, il Campeggio non dispone di alcun titolo autorizzatorio, ed è, pertanto interamente abusivo, fatta salva la definizione dei condoni richiesti". Nella relazione si dà atto che non è stato possibile effettuare un rilievo puntuale dei manufatti esistenti e non autorizzati, a causa dell'assenza dei titolari delle aree. All'esito di tali verifiche è emerso anche che "Alcune delle opere abusive (bocciodromo e suo ampliamento) insistono sulla proprietà Demanio dello Stato ramo Strade, mentre le stesse strutture abusive descritte al punto 3°, ricadono, in parte nella fascia di rispetto della Strada Statale SS 16 (30 metri)...". A ciò è conseguita da una parte la diffida alla demolizione delle opere abusive, inviata a tutti i soggetti proprietari del camping, e le successive ordinanze di demolizione e di ripristino (nn. 120, 121, 144, 145, 213, 214 del 21 maggio 2019) e, dall'altra, l'ordinanza di sgombero dell'area demaniale occupata, inviata al sig. Ma. Ni., quale legale rappresentante della ditta Ca. Eu., nonché l'ordinanza di revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, impugnata nel presente giudizio. Tale ultima ordinanza è stata adottata all'esito dell'unica complessa attività istruttoria, riguardante i due evidenziati profili di illegittimità . L'amministrazione ha segnalato nell'ordinanza che alcuni terreni sono in proprietà della società e altri condotti in locazione; che sono state realizzate opere abusive anche su area demaniale illegittimamente occupata; che è stato avviato il procedimento per la demolizione delle opere abusive con nota n. 67112 del 18 dicembre 2018; che risultavano presentate dal privato alcune domande di condono edilizio, ancora in fase istruttoria, non essendo stata prodotta tutta la documentazione a corredo, necessaria per un loro riscontro; che alcuni fabbricati insistono sulla fascia di rispetto stradale, altri sono localizzati su suolo demaniale, altri ancora sono stati oggetto di diniego di condono, perché in contrasto con la destinazione a parcheggio del PRG dell'epoca, ulteriori risultano difformi dai titoli autorizzatori per ubicazione e sagoma; che in data 22 marzo 2019 è stato avviato il procedimento di revoca dell'autorizzazione nei confronti sia di Ca. Eu. s.r.l. sia di Ne. Vi. Eu. s.a.s., palesatasi in un dato momento come gestore senza titolo; che in definitiva gli abusi sono tanti e tali da incidere sulla conformazione complessiva del campeggio, da considerarsi dunque in toto abusivo; che Ca. Eu. s.r.l., in sede di osservazioni controdeduttive, ha chiesto una proroga dei termini di revoca, in attesa della definizione delle domande di condono edilizio pendenti; che le domande di condono riguardano tuttavia una minima parte degli abusi e che per gli altri o sono già state emesse ordinanze di demolizione o comunque sono stati avviati i procedimenti per la loro rimozione; che inoltre è stata anche emessa ordinanza n. 150 del 18 aprile 2019 di sgombero di un'area di mq. 460 di demanio marittimo, occupata abusivamente, con obbligo di ripristino dello stato dei luoghi; che il 20 aprile 2019 si è proceduto a sopralluogo di verifica unitamente al personale del Commissariato di pubblica sicurezza di (omissis), con accertamento di plurime infrazioni in materia di disciplina sulla sicurezza; che Ne. Vi. Eu. s.a.s. si è dichiarata estranea alla gestione del campeggio, pur esercitando attività ricettiva di campeggio nella struttura. Dunque, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, l'ordinanza impugnata risulta emessa a seguito di articolata, approfondita e dettagliata fase istruttoria, come risulta dalle relazioni comunali n. 16906 del 21 marzo 2019 e n. 23629 del 23 aprile 2019, dalla relazione Commissariato di pubblica sicurezza del 24 aprile 2019. Quelle rilevate sono plurime irregolarità, riconducibili a diversi aspetti, illegittima occupazione di aree pubbliche e private, gravi mancanze in tema di sicurezza e svariati abusi edilizi, alcuni dei quali anche su area demaniale abusivamente occupata. Il profilo dei plurimi abusi edilizi rappresenta soltanto una delle motivazioni poste alla base dell'ordinanza impugnata, con la conseguenza che, per inciso, appare fondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controinteressata, laddove osserva che gli altri capi del provvedimento plurimotivato non sono stati censurati. Ciò posto, il Collegio rileva che le violazioni riscontrate sono talmente tante e di tale gravità da rendere pienamente legittimo l'atto di revoca dell'autorizzazione amministrativa allo svolgimento dell'attività di campeggio. Perde di rilievo, pertanto, la censura secondo cui la pendenza dei procedimenti di sanatoria non avrebbe potuto consentire al comune l'adozione del provvedimento impugnato dal momento che, come rilevato, il profilo degli abusi edilizi è soltanto uno dei motivi posti alla base dello stesso né può assumere rilievo l'asserita rimozione di alcune opere o la circostanza che alcuni abusi consistano in differente ubicazione e sagoma non possono comunque essere considerati di minore impatto nel contesto surriportato, né che i locali abusivi siano stati accatastati, dal momento che l'accatastamento, che è una mera dichiarazione di parte, non può sopperire alla mancanza del titolo edilizio. A fronte di una tale e composita situazione di illegittimità non è configurabile alcun affidamento del privato che possa qualificarsi come "legittimo", segnatamente con riferimento agli aspetti edilizi. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 17 ottobre 2017 n. 9, ha affermato il seguente principio di diritto "il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino". La sentenza inoltre conferma che la demolizione di opere edilizie abusive può essere disposta nei confronti del proprietario attuale dell'opera (o di chi ne abbia la disponibilità ), anche se non abbia avuto alcuna parte della commissione dell'abuso (orientamento già espresso da Cons. Stato, sez. VI, 26 luglio 2017, n. 3694). D'altra parte è stato condivisibilmente osservato che la mera presentazione dell'istanza di condono non può ritenersi inidonea e sufficiente a consentire l'esercizio dell'attività nei locali oggetto dell'istanza stessa. Infatti, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel rilascio dell'autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività commerciale si va a svolgere, con l'ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz'altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l'attività commerciale viene svolta (cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 8 maggio 2012, n. 5590; id. sez. IV, 14 ottobre 2011 n. 5537). Il legittimo esercizio dell'attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell'autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l'abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un'attività commerciale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2015, n. 4880). La regolarità urbanistico edilizia dell'opera, pertanto, condiziona l'esercizio dell'attività commerciale al suo interno anche perché ritenere il contrario comporterebbe elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi. La stretta connessione tra materie del commercio e dell'urbanistica ha indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale presupposto per l'esercizio di poteri propri sia della materia dell'urbanistica, sia di quella del commercio, con la conseguente inibizione, per l'autorità amministrativa, di assentire l'attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico - edilizia (cfr. Cons. Stato, V, 17 ottobre 2002, n. 5656 e 28 giugno 2000, n. 3639). E' stato così superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l'illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di ampliamento o di trasferimento dell'esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l'interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V, 21 aprile 1997, n. 380): il revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio costituzionale di buona amministrazione per cui non è tollerabile l'esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell'urbanistica e del commercio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2018, n. 3212). Conclusivamente, per quanto precede, esaminate tutte le censure pertinenti, che esauriscono il tema dedotto in giudizio, l'appello deve essere respinto. 7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, nella misura di Euro 2.000,00 (duemila) in favore di ciascuna parte costituita, oltre oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8922 del 2021, proposto da Te. Va. S.r.l., Fi. Ca., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati St. Ve., Ma. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00486/2021, resa tra le parti, per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: A) del provvedimento n. 36 del 15.11.2019, con il quale si è ingiunta la demolizione di pretese opere abusive sul complesso immobiliare della società ricorrente, alla Località (omissis); B) ove occorra, del provvedimento n. 8436 del 9.07.2019, di comunicazione d'avvio del procedimento di demolizione, ai sensi dell'art. 7 l. 241/1990; C) ove occorra, ancora, della relazione di sopralluogo, n. 11966 del 15.10.2019, non conosciuta; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da SOCIETÀ Te. Va. S.R.L. il 2\7\2020: D) del silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente in data 7.02.2020, per modeste opere sul complesso immobiliare alla Località (omissis), ai sensi dell'art. 36 d.p.r. 380/2001; per quanto riguarda i motivi aggiunti: E) del silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente in data 7.02.2020, per modeste opere sul complesso immobiliare alla Località (omissis), ai sensi dell'art. 36 d.p.r. 380/2001; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.E' appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00486/2021, di parziale accoglimento del ricorso e motivi aggiunti proposti da Te. Va. s.r.l. avverso, rispettivamente, l'ordinanza di demolizione (n. 36 del 15.11.2019), adottata dal Comune di (omissis), ed il silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata in data 07.02.2020. 2. Interventi abusivi realizzati in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico sita alla località (omissis), quali: a) manufatto con struttura portante in legno a forma di poligono dodecagono di superficie pari a mq. 384,46 con una altezza variabile tra m. 3 e m. 5.35 al colmo e una volumetria complessiva pari a mc. 1.408,57; b) la realizzazione, in difformità rispetto alla menzionata C.E. n. 34 del 22.09.1995: Al Piano terra: 1) ingresso di mq. 12,45, altezza m. 2,70 e volumetria di mc. 33,61 in struttura in alluminio e vetrate; 2) corpo di fabbrica destinato a cucina di mq. 62,17, altezza m. 3,25 e volumetria pari a mc. 202,05 in cemento armato... ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); 3) portico con pilastri in cemento armato di mq. 67,44; 4) ampliamento della sala ricevimenti di mq. 184,36, altezza media m. 3,40 e volumetria pari a mc. 626,82 in struttura amovibile ed infissa al suolo in legno e pareti perimetrali in vetro. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 1,70 dal torrente Pi.... posizionato su un canale Ir. interrato di proprieta` del Demanio o di Consorzio Ir.; 5) ampliamento della struttura di mq. 338,76, altezza media 2,82 e volumetria di mc. 955,30 in struttura mista cemento armato, legno e vetrate. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza, rispettivamente, di m. 4,40, m. 8,40, m. 4 e m. 4,35 dal torrente Pi.; 6) struttura metallica poggiata sulla parete del fabbricato e aperta su tre lati di mq. 35,88, infissa al suolo a mezzo di bulloni. La struttura e` stata realizzata ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); Al Piano primo: 7) ampliamento dell'unita` abitativa sul lato opposto all'ingresso principale della sala ricevimenti di mq. 100,09, altezza m. 3 e una volumetria di mc. 300,27, in cemento armato e destinano a soggiorno. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 4,05 dal torrente Pi.; 8) scala d'ingresso all'unita` abitativa di mq. 11,46 in cemento armato ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); Al Piano sottotetto: 9) ampliamento sul lato opposto all'ingresso principale della sala ricevimenti di mq. 45,12, altezza media m. 2,65 e una volumetria di mc. 119,56, con struttura in legno lamellare aperta su tre lati. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 9,40 dal torrente Pi.; 10) balcone di mq. 6,16 sul lato verso la strada comunale (omissis) o (omissis); la realizzazione di un corpo scala in legno che dal soggiorno del primo piano collega il sottotetto di mq. 21,37. 2.1 La ricorrente, oltre denunciare lo scarso rilievo edilizio delle opere, ha lamentato che parte delle opere oggetto dell'ordinanza di demolizione erano state oggetto della concessione edilizia in sanatoria n. 150 del 04.08.2004, rilasciata in accoglimento dell'istanza d'accertamento di conformità (prot. n. 2406 del 31.03.1987). 3. Il Tar ha accolto il ricorso limitatamente a quest'ultimo profilo, respingendo nel resto il ricorso principale ed i motivi aggiunti, rilevando la pluralità delle opere abusive realizzate senza titolo in area agricola eseguite, "al più, in un periodo compreso tra il 2011 ed il 2018", ossia in epoca successiva l'entrata in vigore del d.lgs. 157/2006 ha introdotto il divieto di sanatoria successivo alla realizzazione dei lavori nelle zone vincolate. 4. Appella la sentenza Te. Va. s.r.l. Resiste il Comune di (omissis). 5. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. In limine va respinta la richiesta formulata dall'appellante di sospensione del giudizio, ex art 295 c.p.c., in attesa della definizione innanzi al Tribunale di Salerno della questione - qualificata come pregiudiziale - della natura demaniale o meno delle aree su cui ricadono parte delle opere abusive. In considerazione del fatto che si controverte sulla natura delle opere realizzate senza titolo edilizio in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico, l'accertamento della demanialità delle aree ove ricadono parte dagli abusi edilizi, nell'economia del decidere, non è ex dirimente, sì da non giustificare la sospensione del giudizio in corso. 7. Prima di affrontare i molteplici motivi d'appello, è bene richiamare la disciplina urbanistica ed ambientale che governa il territorio. L'area d'intervento ricade parte in zona agricola E5 "Zona Agricola Irrigua" e parte in zona E4 "Zona Agricola Semplice" del vigente Piano Regolatore Generale, in cui sono destinate prevalentemente attività dirette o connesse con l'agricoltura, per cui in esso sono consentite costruzioni a servizio diretto del fondo agricolo - residenza e attrezzature per l'agricoltura. L'area è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. 4/2004 perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Pi., nonché assoggettata alle norme di salvaguardia sancite dal Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico poiché "l'area risulta: parte area a pericolosità potenziale PUtr1 e parte PUtr3... parte area a rischio potenziale da frana RUtr2... parte RUtr3... parte RUtr4... (in) zone di attenzione". Va altresì precisato, al fine di delimitare il campo d'indagine dello scrutinio di legittimità qui esperito, che in forza delle allegazioni contenute nella relazione tecnica di accertamento del Comune (prot. n. 11966 del 15.10.2019) risulta che tutte le opere oggetto della sanzione demolitoria sono state realizzate entro l'arco temporale compreso tra il 2011 e il 2018. Il dato di fatto, avallato dai giudici di prime cure, trova conferma nell'allegazione dei rilievi aereofotogrammetrici storici presenti sul portale istituzionale Geosit e dalle foto munite di datario comunemente reperibili sul servizio Go. Ma. / St. Vi.. Sicché il compendio immobiliare e le opere realizzate sono ricomprese nella disciplina di cui agli artt. 146, comma 1, lett. c) e 167, comma 4, d.lgs. 4/2004. Conseguentemente, va affermato che le opere abusive sono state realizzate in assenza dei prescritti nulla osta e/o pareri da parte dell'autorità preposta gestione del vincolo idrogeologico; e,che esse, qualora abbiano generato nuove superfici o nuovi volumi, non sono suscettibili di sanatoria ex post. A questo riguardo, sotto il profilo urbanistico-edilizio, non va passato sotto silenzio che le opere abusive, quanto all'impatto sul tessuto urbanistico, vanno considerate complessivamente, non già atomisticamente in modo parcellizzato, frazionando i singoli interventi. 8. A questa stregua, l'unica che assicura il corretto governo del territorio, deve essere respinto il primo motivo d'appello. L'appellante, nel motivo in esame, contesta il capo della sentenza ove si afferma che quelle sanzionate dall'ordinanza n. 36/2019 sono "opere di stabile trasformazione del suolo, implicanti nuovi volumi o superfici e realizzate senza alcun titolo, tanto da necessitare la presentazione di una richiesta di permesso di costruire in sanatoria". In realtà, secondo il motivo in esame, le opere avrebbero scarso o nullo impatto sul tessuto urbanistico e paesaggistico. 8.1 Il motivo è infondato. La censura, di fatto, scinde i singoli interventi, prescindendo dall'impatto complessivo prodotto sull'intero comprensorio, avente oltretutto rilievo ambientale (cfr., Cons. Stato, n. 496/2022). Viceversa, proprio in ragione della peculiare disciplina del territorio qui in esame, va ribadito che la valutazione di abusi edilizi e illeciti compiuti richiede una visione d'insieme, e non parcellizzata delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (cfr., Cons. Stato n. 2119/2023; Id., n. 8848/2022; Id., 7601/2019). 9. Con il secondo motivo di appello, l'appellante denuncia che erroneamente, ed in maniera tranciante, il TAR ha ritenuto che le immagini tratte da portali internet fossero attendibili circa l'epoca di realizzazione dei manufatti. L'attività istruttoria posta in essere dal Comune sarebbe stata smentita dalla "perizia (depositata) in data 21.01.2021...che ha puntualmente dato conto della realizzazione dei lavori in data precedente all'anno 2000". 9.1 Il motivo è infondato. A fronte delle precise allegazioni contenute nella relazione tecnica del Comune, la perizia di parte non assolve l'onere probatorio gravante sulla ricorrente quanto alla data d'ultimazione delle opere abusive. Va data continuità all'indirizzo giurisprudenziale, qui condiviso, a mente del quale - richiamando gli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c. p. a. - pone in capo al ricorrente l'onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità : quindi, l'onere di provare la data di realizzazione di un'opera spetta al ricorrente, perché solo questi può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione dell'intervento edilizio (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2019 n. 3696; Id., sez. VI,5 marzo 2018 n. 1391). In aggiunta, va sottolineato che le fotografie, richiamate dal Comune, tratte da google earth e da google street view costituiscono, prova precostituita della loro conformità alle cose ed ai luoghi rappresentati, sicché chi voglia inficiarne l'efficacia probatoria ha l'onere di disconoscere tale conformità (cfr. Cass. civ., Sez. trib., 10 gennaio 2020, n. 308; T.A.R. Campania, Sez. II, 24 aprile 2015, n. 2380). 10. Negli ulteriori motivi d'appello, si lamenta la violazione dell'art. 10 bis l. 241/1990 con riferimento silenzio-significativo serbato dal Comune di (omissis) sulla istanza di accertamento di conformità presentata in data 07.02.2020; nonché l'illegittimità della sanzione ripristinatoria "perché le modeste opere di ampliamento non possono essere demolite senza pregiudizio per la porzione di fabbricato lecito"; ed infine che il dirigente comunale non ha proceduto ad alcuna necessaria comunicazione alla Soprintendenza che, "in virtù della normativa vigente, può e deve intervenire nel relativo procedimento repressivo". 10.1 I motivi sono infondati. Nell'ordine. Ai sensi dell'art. 36, comma 3, d.P.R. 380/2001, "sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata". Poiché la norma disciplina (nel tempo) la formazione del silenzio-diniego sull'istanza d'accertamento di conformità, non trova applicazione l'art. 10 bis l. 241/90 che scandisce il contraddittorio sul presupposto dell'esercizio di valutazioni discrezionali sottese all'adozione del provvedimento espresso. Quanto alla denunciata impossibilità di demolire senza pregiudizio per la porzione di fabbricato lecito, va osservato che la circostanza di fatto non inficia la legittimità della sanzione ripristinatoria. L'eventuale emersione di pregiudizio alle opere legittime, laddove fosse eseguita la demolizione, rileva ed inerisce alla fase esecutiva, con la conseguente possibilità di dare eventualmente corso alla c.d. f(omissis)lizzazione dell'abuso, ex artt. 33 o 34 d.P.R.. 380/2001. In definitiva, il previo accertamento dell'impossibilità di rimuovere la parte abusiva senza pregiudizio della parte conforme non costituisce requisito di legittimità dell'ordine di demolizione. Analogamente, l'invocato onere procedimentale del dirigente a sollecitare la valutazione della Soprintendenza si colloca nella fase esecutiva della riduzione in pristino del manufatto abusivo in danno dell'autore dell'abuso e non in quella, logicamente e cronologicamente presupposta, della fase di emissione dell'ordinanza di demolizione. 11. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 12. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Te. Va. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 600 del 2020, proposto da Re. Br., rappresentato e difeso dall'avvocato Ca. Fr. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Va. Be. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti Azienda Agricola Be. An., Società Agricola Tr. Po., rappresentati e difesi dagli avvocati An. Le., Gi. Sa. e Gi. Go., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Ma. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto Sezione Seconda n. 00625/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), dell'Azienda Agricola Be. An. e di Società Agricola Tr. Po. di Be. An. & C; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in trattazione, il signor Re. Br. chiede la riforma della sentenza del T.a.r. per il Veneto che ha dichiarato inammissibile il suo ricorso proposto per l'annullamento del permesso di costruire e degli atti di proroga del termine per concludere i lavori, nonché per l'accertamento dell'intervenuta decadenza del permesso di costruire rilasciato dal Comune di (omissis) all'Azienda Agricola Be. An. per realizzare un allevamento per scrofe da riproduzione. 1.1. Secondo il primo giudice, l'inammissibilità del ricorso deriva dall'assunto che, in capo al ricorrente, difetta la legittimazione a ricorrere, sia sotto il profilo della vicinitas, sia per la assenza di un qualche pregiudizio per la posizione del ricorrente derivante dall'assetto edilizio scaturente dal provvedimento impugnato. Nel caso di specie, tra il fondo del ricorrente e quello del controinteressato intercorre una distanza di oltre 900 metri; in ogni caso l'allevamento che deve essere realizzato non ha carattere intensivo. Sottolinea, inoltre, che la normativa regionale per tale tipo di allevamenti prescrive una distanza di rispetto di 100 metri dalle residenze civili sparse e di 200 metri dalle residenze civili concentrate. 1.2. Il Tribunale amministrativo, peraltro, superando anche la questione di inammissibilità, ha respinto il ricorso anche nel merito. 2. Il ricorrente in primo grado, rimasto soccombente, ha proposto appello sostanzialmente reiterando i motivi del ricorso, in chiave critica della sentenza di cui chiede la riforma. 2.1. Con il primo motivo, censura la sentenza per aver affermato la insussistenza della legittimazione ad agire del ricorrente, che nel caso di impugnazione del titolo edilizio per ragioni di tutela dell'ambiente e della salute dovrebbe essere valutata in termini diversi, valutando caso per caso il pregiudizio lamentato. Non potrebbe quindi rilevare il fatto della distanza tra il fondo dell'appellante e il fondo su cui sorge l'allevamento, avendo tra l'altro dimostrato (con perizia depositata in giudizio) che gli effetti si produrrebbero ugualmente, né tantomeno potrebbero valere le distanze rispetto alle abitazioni civili dettate per ragioni sanitarie e non di tutela dell'ambiente. 2.2. Con ulteriori censure deduce l'erroneità della sentenza anche nella parte in cui ha respinto i singoli motivi di ricorso. 2.3. In particolare, ribadisce che la proroga ex lege dei termini di inizio e conclusione dei lavori di cui all'art. 30, commi 3 e 4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, è subordinata alla valutazione che "i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati"; e nel caso di specie questa condizione non sussisterebbe perché il permesso di costruire era stato rilasciato sulla base di una norma di deroga agli strumenti urbanistici. Questa difformità rispetto alla disciplina urbanistica risorgerebbe e assumerebbe nuovamente rilevanza ove si intenda sfruttare la proroga ex lege di cui sopra (la quale, come segnalato, impone la conformità del titolo alla disciplina urbanistica ed edilizia al momento della comunicazione dell'interessato). 2.4. Con il terzo motivo impugna la sentenza nella parte in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso relativo alla intervenuta decadenza del permesso di costruire rilasciato il 14 novembre 2012, sia per mancato inizio dei lavori nel termine annuale dal rilascio del titolo, sia che per la loro mancata ultimazione nel triennio di legge (sull'assunto della illegittimità delle proroghe concesse dall'amministrazione e contestate con il secondo motivo d'appello). Riprendendo il contenuto del motivo dedotto in primo grado, l'appellante ribadisce che il mero impianto del cantiere, in assenza di altri fattori (es. innalzamento di elementi portanti, elevazione di muri, esecuzione di scavi, gettito delle fondazioni) non è sufficiente a evitare la decadenza del permesso di costruire; e che l'allestimento del cantiere non può essere considerato strettamente funzionale alla realizzazione dell'opera oggetto del titolo edilizio. Come si evincerebbe dalla documentazione fotografica risalente al marzo 2018, solo molto di recente sarebbero stati realizzati i primi lavori funzionali alla realizzazione dell'insediamento zootecnico. Censura, infine, l'omessa pronuncia del primo giudice sulla richiesta formulata dal ricorrente affinché il Tribunale ordinasse alla resistente Azienda Be., ai sensi dell'art. 210 cod. proc. civ., di produrre in giudizio copia delle fatture emesse dalle ditte incaricate dei lavori al fine di verificare la descrizione del tipo di lavori riportata in tali documenti e associarla alla data degli stessi, così da poter ricostruire, sulla base di documentazione ufficiale - la cui esistenza è certa, come è pure certo che si trovi nella disponibilità dell'appellata Azienda Be. - fino a quando si è protratto il compimento di attività (solo) di approntamento del cantiere, di scavo e sbancamento, e a quale data sia invece collocabile l'effettivo inizio dei lavori. 3. Nella resistenza in giudizio del Comune di (omissis), dell'Azienda Agricola Be. An. e della Società Agricola Tr. Po. di Be. An. & C, all'udienza straordinaria del 6 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 4. Ciò posto, si può prescindere dalla questione di legittimazione a ricorrere (primo motivo d'appello), stante la infondatezza nel merito dell'appello. 5. Quanto al secondo motivo, l'interpretazione offerta dall'appellante del citato art. 30, commi 3 e 4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, non può essere condivisa. 5.1. La norma prevede la proroga ex lege dei termini di efficacia del permesso di costruire ove si accerti che "i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati". Il riferimento al contrasto con nuovi strumenti urbanistici non può che essere inteso ad atti sopravvenuti rispetto al momento del rilascio del permesso oggetto della richiesta di proroga. Nel caso di specie, tali atti non risultano siano stati adottati dal Comune. 5.2. Né rileva il fatto che il permesso di costruire sia stato rilasciato in base a una norma di deroga al piano urbanistico, posto che è di tutta evidenza che tale profilo non comporti l'illegittimità del rilascio dell'originario permesso di costruire. Il permesso rilasciato deve ritenersi quindi conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia del tempo. Per cui una interpretazione del citato art. 30, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 69 del 2013 quale quella proposta dall'appellante sarebbe contraria al principio di affidamento (per come maturato dall'azienda, che - come già osservato - ha ottenuto il titolo edilizio sulla base della disciplina urbanistica applicabile ratione temporis). 6. Anche il terzo motivo è infondato. 6.1. Precisato che la censura rileva unicamente per il profilo della dedotta decadenza dal titolo edilizio per il mancato inizio dei lavori entro il termine fissato (dal momento che, sulla base delle proroghe ottenute ai sensi del citato art. 30 del d.l. n. 69 del 2013, sono comunque infondate le ribadite censure circa il superamento del termine finale per i lavori), va anzitutto disattesa la doglianza con la quale si denuncia l'omessa pronuncia sull'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., come richiesto dal ricorrente in primo grado. 6.2. Come esattamente rilevato dal primo giudice, in atti risultano gli esiti del sopralluogo effettuato dal Comune (in data 23 marzo 2018), che attesta la realizzazione degli scavi e il riempimento con conglomerato cementizio delle fondazioni. Fatti che, in base alla natura probatoria privilegiata dell'atto, avrebbero dovuto essere contestati dal ricorrente con querela di falso. Per cui la stessa richiesta di un ordine di esibizione appare inammissibile o comunque irrilevante. 6.3. Va ribadito, pertanto, che - sulla base di quanto accertato dall'amministrazione e sulla scorta della costante giurisprudenza sul punto (per tutte, di recente, si veda Consiglio di Stato, sez. VI, 7 dicembre 2023, n. 10611) l'inizio lavori va inteso a fronte di concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto; pertanto, i lavori debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio. Elementi che ricorrono nel caso di specie. 7. In conclusione, l'appello va rigettato. 8. Le spese giudiziali del presente grado vanno compensate tra le parti, in ragione della parziale novità delle questioni. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa tra le parti le spese giudiziali del presente grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, tenuta da remoto, con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Giovanni Tulumello - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7197 del 2017, proposto da Je. Du. e Do. Du., rappresentati e difesi dagli avvocati Ar. Po., Ug. Fr. e La. El. Pr., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ar. Po. in Roma, viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 283/2017. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giordano Lamberti e udito per le parti l'avvocato Ar. Po., anche per delega dell'avvocato Ug. Fr.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Gli appellanti sono proprietari di un appartamento presente all'interno del complesso residenziale e turistico denominato "Sa. Gi.", posto nel territorio comunale di (omissis). Il suddetto complesso è composto da diversi appartamenti terra-tetto, la metà dei quali con destinazione residenziale e l'altra metà turistico-ricettiva. L'appartamento di proprietà dei ricorrenti ricade nell'area turistico-ricettiva del complesso. 2 - Con comunicazione di avvio del procedimento n. 6022 del 20.11.2014, il Comune di (omissis) ha contestato di aver illegittimamente modificato la destinazione d'uso dell'unità abitativa di cui sono proprietari gli appellanti "da turistico alberghiera in residenziale, in violazione della disciplina urbanistica di zona e della convenzione urbanistica che ha regolato l'edificazione del comparto". In data 31.3.2015 il Comune ha concluso il procedimento, ritenendo sussistenti i presupposti per la violazione dell'art. 30 DPR 380/2001 e con provvedimento prot. n. 1560/2015 ha ordinato "di non utilizzare le unità immobiliari ad uso residenziale esclusivo, facendo obbligo agli stessi di garantirne l'uso turistico-alberghiero con affidamento a soggetto gestore e pertanto di garantire il rispetto della convenzione urbanistica 25 maggio 1993 e dello strumento regolatore vigente", avvertendo che "decorsi 90 giorni dalla notifica", "qualora non maturino le condizioni per la revoca del presente provvedimento, si procederà alla acquisizione al patrimonio disponibile del Comune". 3 - Gli appellanti hanno impugnato tale provvedimento avanti il Tar per la Lombardia, sezione di Brescia, che con la sentenza indicata in epigrafe ha respinto il ricorso. 4 - Gli originari ricorrenti hanno proposto appello avverso tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati. 4.1 - Con il primo motivo gli appellanti censurano la sentenza nella parte in cui ha rigettato il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso. Per l'appellante, il Tar avrebbe erroneamente negato che la Convenzione del 1993, posta a fondamento del provvedimento impugnato e l'ivi previsto vincolo alberghiero a RTA, siano ad oggi inefficaci e decaduti. Per gli appellanti il Tar, nel richiamare la disciplina del Piano di Governo del Territorio, oltre a contraddirsi in punto di motivazione, avrebbe integrato la motivazione dell'ordinanza di confisca, la quale si fonderebbe esclusivamente sul contenuto della Convenzione e non sulle norme del PGT. Gli appellanti sostengono che la Convenzione sarebbe decaduta, in quanto questa prevedeva un termine di validità di 5 anni decorrente dalla stipula dell'atto (cfr. art. 13 Convenzione) avvenuta nel 1993. Tale termine sarebbe spirato nel 25.05.1998. Da tale data sarebbe iniziato a decorrere il termine di 10 anni entro il quale l'Amministrazione avrebbe potuto esigere l'adempimento degli obblighi e delle prescrizioni contenute nella Convenzione. Tale termine sarebbe spirato il 25.05.2008. Inoltre, la Convenzione del 1993 non potrebbe più ritenersi valida anche perché con essa è stato costituito un vincolo di destinazione turistico-alberghiera ai sensi della L. 217/1983. La richiamata normativa è stata abrogata dalla successiva L. 135/2001 e non potrebbe essere presa a presupposto per procedimenti e atti adottati dopo la sua abrogazione. Gli appellanti invocano anche l'art. 23 ter del d.P.R. n. 380/2001, introdotto dal d.l. n. 133/2014, in forza del quale nessuna norma urbanistica potrebbe confermare la sub-destinazione a RTA, ma solo una macro destinazione turistico ricettiva. 5 - La censura è infondata. Nel 1993 veniva definitivamente approvato il piano attuativo relativo al comparto sito in (omissis) ed azzonato come D4, meglio individuato come P.L. n. 25, in località (omissis). Nella zona in esame era ammessa, previa approvazione di piano esecutivo, la realizzazione di strutture per complessivi 20.000 mc. a volumetria definita, dei quali il 65% con destinazione alberghiera, il 30% con destinazione residenziale ed il 5% con destinazione commerciale. In esecuzione dei provvedimenti approvativi del piano attuativo veniva stipulata Convenzione urbanistica 25 maggio 1993 n. 44363 (rep. notaio Pa.) tra il Comune di (omissis) ed i lottizzanti Soc. An. To. Li. Im. & Tu. s.r.l., Soc. Tu. del Ga. s.r.l., Gi. On. e Al. Pa.. L'art. 12/a della convenzione urbanistica contemplava un vincolo di destinazione sugli edifici con destinazione alberghiera ed in particolare statuiva che "i lottizzanti si impegnano a mantenere a destinazione turistico- alberghiera gli immobili edificandi nel comparto ed evidenziati con la simbologia "X" (contornata in rosso) nella planimetria 1-A allegata alla presente convenzione sub "F", debitamente controfirmata dalle parti" e statuiva altresì che "Una diversa utilizzazione degli immobili citati non può essere realizzata se non nei casi previsti dalla legge e sempre che lo consenta il P.R.G. Ciò in quanto la destinazione alberghiera deve intendersi strettamente correlata a quanto prescrive il Piano Regolatore Generale". In esecuzione della Convenzione urbanistica veniva rilasciata concessione edilizia, avente ad oggetto l'edificazione di "albergo residenziale", e veniva rilasciata la licenza di pubblico esercizio con classificazione "categoria 4 stelle" alla Immobiliare Sa. Gi. s.r.l., relativa ad "albergo residenziale di 97 unità abitative". Negli anni sono stati perfezionati svariati atti traslativi della proprietà con intestazione a vari soggetti di unità immobiliari all'interno delle strutture, aventi destinazione di residenza turistica alberghiera. Tutti gli atti traslativi hanno sempre contemplato il richiamo alla convenzione urbanistica di cui all'atto 25.05.93 n. 44363 rep. notaio Pa., rendendo pertanto edotti i singoli acquirenti della esistenza del vincolo di destinazione turistico-alberghiera. Anzi, gli atti traslativi richiamavano il "Regolamento del Villaggio Turistico", qualificando la struttura come "Albergo residenziale", con ogni onere connesso alla specifica destinazione della struttura. I predetti atti traslativi hanno dunque sistematicamente individuato le unità immobiliari oggetto di compravendita quali unità "facenti parte del complesso denominato Vi. Tu. Al. Re. Sa. Gi.", con contestuale indicazione anche dell'obbligo di rispettare l'annesso Regolamento del Vi. Tu. Al. Re. Sa. Gi., che ribadiva la natura dell'immobile quale residenza turistico-alberghiera. L'art. 27 del Regolamento precisava che "il condominio S. Gi. nasce come albergo residenziale e come tale è strutturato per la locazione degli appartamenti. I proprietari che volessero utilizzare tale servizio dovranno concordarne di volta in volta il costo con la società di gestione". 5.1 - Riassumendo, è stato pacificamente dimostrato che: a) l'edificazione del complesso Sa. Gi. venne autorizzato nel 1993 solo ed in quanto veniva edificata una struttura destinata come RTA (residenza turistica alberghiera) con un indice edificatorio assai superiore rispetto a quello previsto per l'edificazione ad uso residenziale; b) la convenzione urbanistica del 1993, collegata al piano di lottizzazione, richiamava la disciplina propria delle RTA, imponeva tale destinazione e faceva obbligo ai lottizzanti (e ai loro aventi causa) di destinare le strutture a quello scopo; c) la concessione edilizia rilasciata nel 1994 confermava tale destinazione funzionale; d) tutti gli atti di acquisto (originari o successivi delle unità immobiliari) confermavano la destinazione turistico ricettiva delle unità immobiliari e richiamavano il contenuto della convenzione urbanistica e della concessione edilizia. Ne deriva che la modifica della destinazione da alberghiera in residenziale deve ritenersi illegittima. 5.2 - Avuto riguardo alle censure svolte dall'appellante va infatti precisato che la destinazione turistica ricettiva è categoria funzionale del tutto diversa ed autonoma rispetto alla destinazione residenziale. La giurisprudenza ha precisato che "la possibilità di vincolare in tal modo la destinazione d'uso di un immobile emerge anche dall'art 23 ter n. 1-bis del D.P.R. 380/01, che prevede la destinazione la turistico-ricettiva distinguendola da quella residenziale, così disciplinandola quale destinazione urbanistica avente funzionalità differente da quella residenziale" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 agosto 2022, n. 6824). 6 - Il giudizio di illeceità della modifica di destinazione d'uso non risulta incrinato dalle doglianze degli appellanti. In primo luogo, deve precisarsi come sia del tutto inconferente l'argomento facente leva sull'abrogazione della legge n. 217/1983 in tema di vincolo alberghiero, essendo pacifico che la licenza edilizia era stata rilasciata per un determinato uso dell'immobile. Per altro, la destinazione dell'area a tale uso (turistico) risulta conforme agli strumenti urbanistici vigenti. È il loro utilizzo residenziale, piuttosto che turistico, a porsi in contrasto con il titolo autorizzatorio, in forza del quale è stato realizzato l'immobile, nonché con l'attuale disciplina dell'area. 6.1 - Non appare condivisibile neppure il rilievo facente leva sulla supposta scadenza della convenzione di lottizzazione in forza della quale sono stati realizzati gli immobili. Invero, nel caso in esame, non viene in rilievo alcun obbligo soggetto ad un termine di adempimento, bensì la destinazione impressa all'area, la quale resta attuale e vigente sino alla sua modifica da parte di un nuovo strumento urbanistico che la regoli diversamente. In giurisprudenza si afferma che "il piano particolareggiato (a voler ritenere ascrivibile a tale genus anche il Piano di lottizzazione) diventa sì inefficace decorso il termine di dieci anni, ma rimane fermo a tempo indeterminato l'obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso (art. 17 l. n. 1150 del 1942). La disposizione esprime il principio secondo cui la maglia pianificatoria delineata dal Piano...rimane comunque efficace sino all'adozione di un diverso strumento urbanistico attuativo, quand'anche il piano che la prevede non possa più trovare attuazione per decorso del tempo. In altra prospettiva, la scadenza decennale di un piano riguarda le sole previsioni vincolistiche, ferma restando l'efficacia delle previsioni propriamente pianificatorie" (Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 aprile 2021, n. 3257). In conformità ai principi innanzi ricordati, nello specifico, la convenzione urbanistica prevedeva che "Una diversa utilizzazione degli immobili citati non può essere realizzata se non nei casi previsti dalla legge e sempre che lo consenta il P.R.G. Ciò in quanto la destinazione alberghiera deve intendersi strettamente correlata a quanto prescrive il Piano Regolatore Generale" (art. 12/a). 6.2 - Alla luce della disamina delle vicende che hanno interessato l'immobile, appare del tutto condivisibile anche la considerazione del Tar per cui la presenza del vincolo di destinazione era conosciuta, o poteva essere conosciuta utilizzando l'ordinaria diligenza, anche dagli aventi causa dei costruttori, che risultano aver sempre rispettato l'obbligo di richiamare gli effetti della convenzione in ogni atto di vendita. 6.3 - Non rileva, poi, che il mutamento della destinazione d'uso sia stato realizzato con o senza l'esecuzione di opere. Sul punto, come più volte statuito in giurisprudenza, va ricordato che "il mutamento della destinazione d'uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria. (Consiglio di Stato sez. VI, 04/03/2021, n. 1857). La circostanza che la modifica non abbia comportato la realizzazione di opere edilizie è dunque irrilevante, in quanto l'art. 23 ter D.P.R. 380/01 definisce come mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale (Consiglio di Stato sez. VI, 04/03/2021, n. 1857). Ai sensi dell'art. 32 del D.P.R. n. 380 del 2001, inoltre, il mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, costituisce una variazione essenziale rispetto al titolo edilizio" (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2022, n. 6823). 7 - Con il secondo motivo gli appellanti censurano la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il primo motivo di ricorso con cui avevano lamentato la violazione dell'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001. Per gli appellanti la sentenza sarebbe viziata, poiché il Tar non avrebbe preso in considerazione che il provvedimento impugnato è stato notificato solo agli appellanti e non a tutti i condomini del complesso immobiliare. L'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 sanzionerebbe la trasformazione del territorio e non il singolo abuso edilizio, pertanto, la lottizzazione abusiva non potrebbe essere fatta valere solo per alcuni e non per tutti i condomini del complesso edilizio. I soggetti non sanzionati sarebbero quelli che avrebbero, dopo l'avvio del procedimento, "confermato la volontà di destinare le proprie unità immobiliari a destinazione turistico-alberghiera conferendone la gestione a soggetto qualificato". Sul punto, gli appellanti sostengono che se l'Amministrazione comunale ritiene che la legittima destinazione urbanistica del complesso Sa. Gi. sia quella di RTA, a gestione unitaria, non apparrebbe legittima la contestazione mossa nei confronti di alcuni soltanto dei proprietari delle unità comprese nel piano la lottizzazione abusiva. Sotto altro profilo, gli appellanti evidenziano che il Giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto della disciplina legislativa (regionale e statale) in punto di variazioni essenziali rilevanti ai fini della lottizzazione abusiva, per cui nel caso di specie il Comune avrebbe dovuto applicare la sanzione pecuniaria. Per gli appellanti, posto che, nel caso di specie, non sarebbe stata realizzata alcuna opera e l'abuso consisterebbe nel mutamento di destinazione d'uso, la sanzione non poteva consistere nella confisca degli immobili ma, al più, avrebbe dovuto essere irrogata una sanzione di natura pecuniaria. 7.1 - Con il terzo motivo gli appellanti lamentano l'erroneità della pronuncia gravata per omessa pronuncia sul secondo motivo di impugnazione del ricorso di primo grado con cui avevano lamentato la carenza di motivazione del provvedimento impugnato. Al riguardo, parte appellane deduce che il provvedimento impugnato sarebbe stato genericamente motivato sul solo rilievo che la destinazione del complesso immobiliare Sa. Gi. sarebbe stata abusivamente mutata da turistico-alberghiera a residenziale, senza svolgere alcun ulteriore approfondimento istruttorio. Per l'effetto, il Comune avrebbe sanzionato con la confisca anche soggetti che, vista l'impossibilità di utilizzare gli immobili come RTA, li avevano chiusi per anni. 8 - Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, devono trovare accoglimento nei termini di seguito esposti. L'art. 30 del D.P.R. n. 380/2001 prevede che: "si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio". La norma disciplina due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva. Ricorre la lottizzazione abusiva cd. "materiale" con la realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione. Si ha invece lottizzazione abusiva "formale" o "cartolare" quando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne sono già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita - o altri atti equiparati - del terreno in lotti che, per le specifiche caratteristiche, quali la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, l'ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, o per altri elementi, evidenzino in modo non equivoco la destinazione ad uso edificatorio. L'interesse protetto dalla norma è quello di garantire un ordinato sviluppo urbanistico del tessuto urbano, in coerenza con le scelte pianificatorie dell'amministrazione. Avuto riguardo al caso di specie, si osserva che la giurisprudenza ha ritenuto che configura il reato di lottizzazione abusiva anche la modifica di destinazione d'uso di immobili oggetto di un piano di lottizzazione attraverso il frazionamento di un complesso immobiliare, di modo che le singole unità perdano la originaria destinazione d'uso alberghiera per assumere quella residenziale, atteso che tale modificazione si pone in contrasto con lo strumento urbanistico costituito dal piano di lottizzazione (cfr. Corte Cass. n. 38799 del 16/9/2015). 8.1 - Tenuto conto della specificità del presente giudizio deve anche precisarsi che ciò che qualifica la lottizzazione abusiva è la trasformazione complessiva di un determinato lotto in violazione della destinazione a suo tempo impressa dall'amministrazione; invero, l'art. 30 cit. sanziona la trasformazione globale di un'area e non il singolo intervento edilizio, differenziandosi dagli artt. 31 e ss. che riguardano, invece, l'abuso relativo alla singola opera abusiva; ne deriva che la lottizzazione abusiva dovrebbe ragionevolmente essere contestata a tutti i proprietari dell'area interessata dall'illegittima trasformazione e non solo ad alcuni di essi, proprio perché ciò che viene in rilievo è l'illegittima destinazione impressa all'intera area - o, nel caso di specie, all'intera struttura originariamente destinata ad albergo residenziale - in spregio agli strumenti urbanistici. Alla luce di tale precisazione emerge una prima criticità del provvedimento impugnato nel momento in cui vi si prospetta, per la medesima struttura di cui si contesta la modifica dell'originaria destinazione d'uso, una violazione diretta solo a taluni proprietari e non ad altri, pur titolari di unità abitative facenti parte dell'originaria struttura turistica. Al riguardo, non appare convincente il rilievo del Comune volto a differenziare la posizione di coloro che avrebbero "confermato la volontà di destinare le proprie unità immobiliari a destinazione turistico-alberghiera conferendone la gestione a soggetto qualificato". Invero, tale discrimine, che tra l'altro non oblitera l'originaria violazione posta in essere da coloro che hanno fruito delle unità immobiliare a scopo abitativo in violazione della disciplina dell'area, non appare idoneo a giustificare l'evidenziata anomalia. La contestazione, diretta solo ad alcuni proprietari, si rivela invece contraddittoria, riflettendosi, per l'effetto, sulla tenuta dei presupposti del provvedimento, che avrebbe dovuto interessare - nel momento in cui si accerta la violazione di cui all'art. 30 cit., da ritenersi riferita alla struttura globalmente intesa, e non un singolo abuso relativo a ciascuna unità abitativa - tutti i soggetti proprietari delle unità immobiliari del complesso turistico nelle medesime condizioni degli appellanti. 8.2 - Oltre all'aspetto che precede, anche la considerazione globale dei fatti che caratterizzano la fattispecie in esame e di seguito illustrati portano ad incrinare in modo decisivo la prospettazione comunale facente leva sull'art. 30 cit, ferma l'eventuale integrazione di singole violazioni alla stregua degli art. 31 e ss. del TU Edilizia. In particolare, deve essere posto in evidenza che la stessa amministrazione negli anni 2000, 2005 e 2010 ha rilasciato ai soggetti gestori dell'albergo licenze alberghiere incompatibili con la gestione unitaria a RTA di tutto il complesso, segnatamente per otto camere doppie, sedici suites e diciotto appartamenti, a fronte di una pretesa destinazione alberghiera che avrebbe dovuto coinvolgere la totalità delle novantasette unità (vedasi al riguardo anche la relazione comunale da ultimo depositata in giudizio, che conferma tale circostanza e dove si dà atto del fatto che le licenze sono state "rimodulate" dalla medesima Amministrazione Comunale, con il rilascio di titoli per 8 camere doppie, 16 suite e 18 appartamenti). In definitiva, risulta confermato che, da anni, il complesso Sa. Gi. non è stato gestito come RTA unitaria. Non solo, risulta che il Comune di (omissis) ha percepito per anni ICI e IMU sul presupposto della natura di "appartamenti residenziali" delle unità abitative; ha applicato la tassa per lo smaltimento dei rifiuti come "residenze"; ha addirittura concesso la residenza a taluni proprietari negli appartamenti. Tali circostanze stridono in modo insuperabile con la successiva contestazione per cui l'utilizzo residenziale di talune unità immobiliare - ma, inspiegabilmente, non di tutte, come innanzi già sottolineato - integrerebbe un'ipotesi di lottizzazione abusiva. Non solo, in base alle circostanze innanzi riferite è possibile finanche ipotizzare che il mancato funzionamento della struttura turistica nella sua consistenza originaria sia stato, negli anni, indirettamente incoraggiato dalla stessa amministrazione. In tale prospettiva deve anche osservarsi che, a monte delle predette circostanze, non appare in sintonia con la destinazione recettiva del complesso, unitariamente considerato, l'avvenuto frazionamento in singole unità intestate a distinti proprietari, anche in tal caso avallato dal Comune, tenuto conto della giurisprudenza per cui "l'unitarietà della struttura e dell'attività gestionale delle residenze turistico-alberghiere appare del tutto incompatibile con qualsiasi ipotesi di frazionamento della proprietà del complesso immobiliare in cui esse operano (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29 maggio 2008, n. 2584)" (Cons. St. 998 del 7.2.2020). 8.3 - Le circostanze che precedono fanno emergere, sotto i diversi profili innanzi delineati, l'ambiguità dell'atteggiamento comunale in riferimento alla struttura per cui è causa, minando i presupposti della contestazione portata dal provvedimento impugnato. Come anticipato, questa appare invece contraddittoria e, in ogni caso, sorretta da una motivazione deficitaria, siccome non spiega, in concreto, le ragioni della contestazione mossa ai sensi dell'art. 30 cit., non potendosi a tal fine ritenere sufficiente il mero richiamo a precedenti giurisprudenziali, stanti le peculiarità del caso di specie innanzi evidenziate. 9 - L'accoglimento dell'appello sotto il profilo che precede rende superfluo l'esame delle ulteriori censure dedotte con l'appello. Per quanto si è sopra rilevato scrutinando il primo motivo, resta non di meno confermato il carattere abusivo, e quindi illecito, delle avvenute modifiche alla destinazione d'uso prevista, da ciò conseguendone la necessità che, all'indomani della presente decisione, il Comune ponga in essere un'attività amministrativa che valga a rimuovere l'illecito ovvero i suoi presupposti, in ogni caso ripristinando la legalità . Ad una valutazione complessiva della vicenda le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, annullando l'atto impugnato. Spese di lite compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3324 del 2019, proposto da Ma. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Co. Or., Ma. El. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (...); contro Comune di Bologna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Tr., Na. Za., Ca. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ca. Si. in Bologna, piazza (...); nei confronti Es. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Ru., Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Seconda n. 953/2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Bologna e di Es. S.p.A.; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. Gianluca Rovelli e uditi per le parti gli avvocati Orienti, Siciliano, Russo e Corbyons; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Riferisce Ma. S.p.A. che la vicenda oggetto del presente appello attiene al rilascio da parte del Comune di Bologna in capo ad Es. S.p.A. dell'autorizzazione P.G. n. 120716 in data 18 maggio 2012 per l'esercizio dell'attività di vendita nella struttura sita in via Guelfa n. 13, per la superficie complessiva di 2.448 mq., di cui 1.470 mq. dedicati al settore alimentare, qualificabile come medio-grande struttura di vendita alimentare. 2. La suddetta autorizzazione è stata rilasciata in data 18 maggio 2012 su domanda presentata da Es. S.p.A. in data 26 aprile 2012, a seguito dell'intervenuto annullamento in sede giurisdizionale delle autorizzazioni commerciali in forza delle quali la medesima Es. s.p.a. aveva esercitato nella struttura di vendita in questione il commercio al minuto in sede fissa per complessivi mq. 2.835 (autorizzazioni n. 155309 e n. 155391 del 19 novembre 1997 annullate con sentenze del TAR Emilia Romagna, sede di Bologna, n. 407/1999 e n. 409/1999 del 17 settembre 1999, confermate in appello con sentenze n. 5655/2011 e n. 5656/2011 in data 21 ottobre 2011). 3. Ma. S.p.A. afferma di essere stata estromessa dal procedimento amministrativo, nonostante la stessa avesse più volte fatto presente la necessità della propria partecipazione a qualsivoglia procedimento riguardasse il rilascio della nuova autorizzazione commerciale, per i riflessi che tale rilascio avrebbe necessariamente avuto con riferimento alla corretta esecuzione del giudicato inerente i giudizi che l'avevano vista vittoriosa in entrambi i gradi. 4. Riferisce ancora che l'istruttoria della Conferenza dei Settori Economia e Promozione della Città, Urbanistica ed Edilizia, Mobilità Urbana in data 10 maggio 2012, convocata a seguito della presentazione della domanda da parte dell'interessata e che ha accertato la compatibilità urbanistico-edilizia dell'intervento, è stata svolta limitandosi all'esame della disciplina previgente (di cui al PRG 1985 efficace fino al 2008-2009 e al Piano Particolareggiato di iniziativa privata P.G. 73971/1993, efficace fino al 6 dicembre 2009, in forza del quale l'immobile era stato realizzato) omettendo qualsivoglia riferimento alla disciplina vigente (in particolare alle previsioni dell'art. 62 del RUE vigente a far tempo dal 20 maggio 2009), che all'epoca impediva l'insediamento di medio-grandi strutture di vendita alimentari. 5. In data 18 maggio 2012 il Comune di Bologna ha rilasciato in capo alla richiedente Es. S.p.A. l'autorizzazione P.G. n. 120716 per l'esercizio dell'attività di vendita nella medio-grande struttura situata in via Guelfa n. 13, avente superficie complessiva di 2.448 mq., di cui 1.470 mq. dedicati al settore alimentare e 978 mq. dedicati al settore non alimentare. 6. Avverso la suddetta autorizzazione Ma. S.p.A. ha promosso dinanzi al TAR di Bologna ricorso R.G. n. 809/2012, formulando altresì istanza per la sospensione degli effetti del provvedimento, rigettata con ordinanza n. 532/2012, confermata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 103/2013. 7. Con il ricorso Margherita ha denunciato il vizio di violazione del d.lgs. n. 114/1998 e della L.R. Emilia Romagna n. 14/1999, stante il contrasto del titolo autorizzatorio rilasciato ex novo con la disciplina urbanistica di cui all'art. 62 del RUE all'epoca vigente, nonché l'eccesso di potere per carenza di istruttoria ed erronea valutazione dei presupposti in fatto e diritto (I motivo di ricorso). 8. Ha inoltre lamentato che l'autorizzazione commerciale fosse stata rilasciata nonostante l'inidoneità delle previsioni progettuali a garantire l'effettiva riduzione a 2.448 mq. della consistenza della superficie di vendita esistente, in ossequio al giudicato amministrativo, recante annullamento delle precedenti autorizzazioni all'esercizio di vendita per complessivi 2.835 mq. (II motivo di ricorso). 9. Ha poi lamentato che il rilascio dell'autorizzazione fosse avvenuto in violazione delle norme e dei principi in tema di partecipazione al procedimento e buon andamento (III motivo di ricorso) e ha infine dedotto il vizio di sviamento di potere e di nullità del provvedimento per elusione del giudicato (IV motivo di ricorso). 10. Con sentenza n. 953 in data 11 dicembre 2018 il TAR ha dichiarato inammissibile e ha comunque respinto il ricorso promosso da Margherita. 11. Di tale sentenza Margherita ha chiesto la riforma con rituale e tempestivo atto di appello affidato alle seguenti censure: "A. Con riferimento alla pronuncia di inammissibilità del ricorso: errore nel giudizio per erronea valutazione in fatto e diritto; B. Con riferimento alla pronuncia di rigetto del ricorso: errore nel giudizio per erronea valutazione in fatto e diritto, carenza di motivazione, contraddittorietà, omessa valutazione, omessa pronuncia". 12. Hanno resistito al gravame il Comune di Bologna e Es. S.p.A. chiedendone il rigetto. 13. Alla udienza pubblica del 30 novembre 2023 il ricorso è stato trattenuto per la decisione. DIRITTO 14. Viene all'esame del Collegio il ricorso in appello proposto da Ma. S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna n. 953/2018 con la quale il medesimo TAR ha dichiarato inammissibile, e comunque respinto, il ricorso proposto avverso il provvedimento P.G. n. 120716 adottato dal Direttore del Settore attività produttive e Commercio del Comune di Bologna in data 18 maggio 2012 recante autorizzazione in capo ad Es. S.p.A. all'esercizio dell'attività di vendita in una medio - grande struttura. 15. L'appellante contesta le conclusioni cui è giunto il TAR sulla base dei seguenti argomenti: a) il rilascio del titolo di autorizzazione al commercio presuppone la conformità dell'attività commerciale da insediare sul territorio alle previsioni urbanistico-edilizie; a.1.) detta valutazione di conformità tuttavia non può farsi se non con riferimento alle previsioni urbanistico-edilizie vigenti al momento della domanda, tra cui quelle sulla destinazione insediabile in un determinato ambito, oltre che nel fabbricato specifico; a.2.) ciò varrebbe a maggior ragione nel caso in questione, dovendosi qualificare l'intervento come nuovo insediamento di attività commerciale, a seguito dell'intervenuto annullamento delle precedenti autorizzazioni commerciali; a.3.) sarebbe erronea la sentenza nella parte in cui è stata ritenuta fondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e acquiescenza a precedenti atti di natura urbanistico-edilizia, in forza dei quali l'immobile ospitante la struttura di vendita era stato realizzato; a.4.) con il ricorso in primo grado non si è contestata la consistenza del fabbricato, né la sua conformità ai titoli edilizi rilasciati in quanto, in relazione alla nuova struttura di vendita oggetto della domanda in data 26 aprile 2012 e alla relativa valutazione di conformità rispetto alle previsioni urbanistiche, le previsioni dei previgenti strumenti urbanistici risulterebbero prive di rilievo, così come la destinazione d'uso in precedenza impressa all'immobile e la conformità di detti titoli agli strumenti urbanistici a suo tempo approvati; a.5.) con il ricorso in primo grado si è invece contestato che si fosse consentito l'insediamento (l'attivazione) di una nuova struttura di vendita nonostante il contrasto con le previsioni di piano vigenti al momento della presentazione della domanda, lamentandosi altresì che gli atti presi in esame dalla Conferenza dei Settori attenessero esclusivamente alla disciplina urbanistica vigente fino al 2009; a.6.) il Giudice avrebbe dovuto qualificare l'intervento come nuovo insediamento di attività commerciale, non potendosi considerare come legittimamente in essere l'esercizio nell'immobile di via Guelfa dell'attività oggetto delle autorizzazioni n. 155309 e n. 155391 del 19 novembre 1997, in quanto definitivamente annullate dal Giudice Amministrativo con sentenze del TAR Bologna in data 17 settembre 1999, confermate in secondo grado in data 21 ottobre 2011, e avrebbe dovuto valutare la non conformità del nuovo insediamento commerciale rispetto alle previsioni urbanistiche vigenti al momento della domanda (26 aprile 2012) e del rilascio (18 maggio 2012); b) la pronuncia di rigetto si porrebbe in contraddizione rispetto alla necessità di dare applicazione proprio alle previsioni urbanistiche che hanno l'obiettivo di garantire un corretto insediamento delle strutture di vendita con riferimento anche agli aspetti connessi all'ambiente urbano, qual è la prescrizione (di cui nel ricorso si è lamentata la grave violazione) dettata dall'art. 62 del RUE, la quale, nel vietare l'insediamento di medio-grandi strutture di vendita alimentari, risponde ad interessi strettamente ambientali e urbanistici, dovendosi considerare che il carico urbanistico del settore alimentare risulta superiore a quello del non alimentare e a questa impostazione sono orientate le misure contenute nella disciplina regionale, tant'è che la relativa disciplina è stata ritenuta conforme all'impianto normativo sopravvenuto e non espunta (nei termini di cui all'art. 31, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011), poiché riferita al differente carico urbanistico generato; b.1.) un primo erroneo riferimento della sentenza si troverebbe al punto d) delle motivazioni di rigetto, laddove il Giudice di primo grado ha evidenziato che "come chiarito dal Comune, la PA ha attuato la verifica della compatibilità della richiesta con gli strumenti di pianificazione commerciale vigenti e ne ha riscontrato la regolarità "; b.2.) il TAR avrebbe errato nel non considerare che lo strumento di pianificazione urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda e del rilascio dell'autorizzazione commerciale prevedeva l'impossibilità di insediare medio-grandi strutture di vendita alimentari e che la conformità dell'intervento sarebbe stata valutata (erroneamente) solo rispetto agli strumenti di pianificazione previgenti da tempo privi di alcuna efficacia giuridica; b.3.) la reale motivazione della pronuncia sarebbe rinvenibile al punto e) dei motivi di rigetto, laddove il Giudice, pervenendo all'esame del contenuto delle previsioni urbanistiche vigenti, ha ritenuto, che "non appare applicabile l'art. 62 del RUE (che prevede il divieto di "nuovi insediamenti" di medio grandi strutture alimentari (uso 4b)", perché la norma, secondo quanto ritenuto dal TAR, non impedirebbe "che si utilizzi un immobile già esistente" e risulta "in atti che - per l'esercizio dell'attività commerciale di cui al provvedimento PG 120716/2012 -non è stato necessario realizzare alcun intervento edilizio (la Es. spa ha provveduto alla riorganizzazione della superficie di vendita attraverso dei divisori non aventi carattere di stabilità e dunque amovibili)"; b.4.) la sentenza sarebbe erronea in quanto, intervenuto l'annullamento, con efficacia ex tunc, delle autorizzazioni commerciali in precedenza rilasciate, l'attività in essere è divenuta priva di titolo legittimante ed abusivamente esercitata, con il che non si può considerare la domanda di autorizzazione successivamente presentata da Es. quale legittima richiesta di prosecuzione della medesima attività ; b.5.) la struttura di vendita, correttamente intesa (non come contenitore edilizio ma) quale attività insediabile ex novo, non potrebbe considerarsi giuridicamente "esistente", risultando abusivamente in essere a seguito delle pronunce del Giudice Amministrativo di annullamento delle relative autorizzazioni commerciali (sentenze del TAR Bologna n. 407/1999 e n. 409/1999 del 17 settembre 1999, confermate dal Consiglio di Stato con sentenze n. 5655/2011 e n. 5656/2011 in data 21 ottobre 2011); b.6.) non assumerebbe rilievo la circostanza che l'immobile (il contenitore edilizio) fosse stato legittimamente realizzato e fosse da considerarsi esistente: nel caso in questione rileverebbe solo la compatibilità urbanistica del nuovo insediamento dell'attività commerciale oggetto della domanda; b.7.) in primo grado si è dedotto che, se è vero che sugli edifici esistenti la disciplina urbanistica consente l'intervento di cambio di destinazione d'uso, quale deve considerarsi il passaggio dall'uso 4a (commercio in grandi strutture di vendita o centri commerciali con superficie di vendita oltre mq. 2.500) all'uso 4b (commercio in medio-grandi strutture di vendita con superficie di vendita superiore a 1.500 mq fino a 2.500 mq), è altrettanto vero che il cambio di destinazione d'uso deve essere comunque conforme alle previsioni urbanistiche vigenti e non può comportare l'insediamento di un uso non consentito; b.8.) Es. non ha richiesto l'autorizzazione per una grande struttura di vendita, quale era appunto l'attività oggetto delle autorizzazioni commerciali annullate dal Giudice Amministrativo ed (abusivamente) esercitata fino al rilascio del nuovo titolo, bensì una nuova e diversa autorizzazione: la decisione di primo grado sul punto di fatto attribuirebbe valenza legittimante all'esercizio abusivo dell'attività "esistente"; b.9.) al momento del rilascio dell'autorizzazione, l'insediamento ex novo dell'attività di vendita sarebbe stato in contrasto con lo strumento urbanistico vigente; c) il TAR avrebbe omesso di esaminare le censure di cui al II motivo ricorso, con il quale si è lamentato che l'autorizzazione commerciale è stata rilasciata nonostante l'inidoneità delle previsioni progettuali a garantire l'effettiva riduzione a 2.448 mq. della consistenza della superficie di vendita esistente, in ossequio al giudicato amministrativo (recante annullamento delle precedenti autorizzazioni all'esercizio di vendita per complessivi 2.835 mq.); c.1.) i requisiti stabiliti per il rilascio delle autorizzazioni commerciali (tipologia, ubicazione, superficie di vendita globale ed articolazione merceologica), oggetto dell'istruttoria degli Uffici e della Conferenza di Servizi, devono riguardare anche i profili strutturali dell'esercizio commerciale e devono trovare riscontro nel titolo edilizio; c.2.) nel caso in questione i titoli edilizi avevano riguardato l'insediamento, all'interno di un fabbricato di mq. 4.900, di una struttura di vendita qualificabile come "grande struttura di vendita" in base alla normativa statale e regionale, avente superficie di vendita superiore a 2.500 mq; la nuova autorizzazione richiesta e rilasciata invece ha ad oggetto una "medio grande struttura di vendita", avente superficie di vendita inferiore a 2.500 mq; sarebbe stata necessaria la presentazione di un progetto edilizio (e quindi della relativa domanda per il rilascio del titolo o comunicazione per la formazione dello stesso) al fine di realizzare sull'immobile le modifiche strutturali volte alla trasformazione della "grande struttura di vendita" in "media struttura di vendita", altrimenti venendo meno lo stretto legame tra legittimazione edilizia del fabbricato ed attività in esso esercitata, imposto dall'ordinamento; c.3.) il titolo autorizzatorio sarebbe illegittimo in quanto slegato dalla necessaria e presupposta dimostrazione della conformità edilizia; c.4.) nel ricorso in primo grado si è evidenziato che nel caso in questione l'autorizzazione commerciale è stata rilasciata nonostante l'inidoneità delle previsioni progettuali che avrebbero dovuto garantire l'effettiva consistenza della superficie di vendita, di fatto ridotta rispetto all'esistente mediante una mera riorganizzazione dell'area di vendita con l'utilizzo di "divisori fissi"; d) la sentenza sarebbe erronea anche laddove il TAR ha ritenuto non fondato il III motivo di ricorso, con il quale si era lamentata la violazione delle norme e dei principi in tema di partecipazione al procedimento e di buon andamento; d.1.) l'interesse qualificante la partecipazione andava riconosciuto non solo per essere Margherita impresa presente nel bacino di utenza nel quale chiedeva di insediarsi l'esercizio commerciale di Es., quanto piuttosto perché Margherita è parte vittoriosa nel giudizio che ha determinato l'annullamento dei provvedimenti di autorizzazione per il commercio al minuto in sede fissa, in forza dei quali Es. si era illegittimamente insediata a far tempo dal 1997; e) il rilascio della nuova autorizzazione avrebbe comportato la sostanziale elusione del giudicato, consentendosi ad Es. di continuare l'esercizio dell'attività di vendita oggetto dei titoli autorizzatori annullati dal Giudice Amministrativo e anzi sanandosi la precedente situazione di esercizio abusivo dell'attività commerciale. 16. La ricostruzione dell'appellante non merita condivisione e la sentenza impugnata deve essere integralmente confermata. 17. L'appellante argomenta la propria tesi con ampi svolgimenti, ribaditi nella memoria depositata il 9 novembre 2023, senza scalfire le motivazioni della sentenza impugnata che resiste saldamente alle critiche che le sono state rivolte. 18. In punto di fatto la situazione è molto più semplice di come è stata descritta. 18.1. L'autorizzazione rilasciata dal Comune a Es. riguarda un'attività commerciale di dimensione medio-grande, che si colloca in un insediamento pacificamente già esistente e dotato dei requisiti strutturali richiesti per l'esercizio di una grande struttura di vendita. L'edificio per il quale è stata rilasciata l'autorizzazione è stato realizzato prima dell'entrata in vigore del RUE approvato nel 2009 e già all'atto della sua costruzione quell'edificio aveva e ha una destinazione d'uso ad attività commerciale per grande struttura di vendita. Questa la situazione, nella semplicità, correttamente ricostruita dalla difesa di Es. a pagina 5 della memoria depositata il 30 ottobre 2023. 18.2. È stata sufficiente la riorganizzazione della superficie di vendita attraverso la collocazione di arredi e divisori. Che la struttura di vendita non possa essere qualificata come nuovo insediamento è circostanza talmente pacifica da non dover indugiare oltre sul punto. 18.3. La statuizione di inammissibilità del ricorso di primo grado è corretta tenuto conto che con delibera consiliare 89 del 20 marzo 2000 il Comune ha verificato l'idoneità delle aree già destinate dagli strumenti urbanistici all'insediamento commerciale. Il TAR ha giustamente osservato che in corrispondenza dell'edificio di Via Guelfa è stata confermata la presenza di una grande struttura di vendita localizzata in base al piano particolareggiato. Per la medesima area è prevista la destinazione ad uso commerciale. 18.4. Ancora, è da condividere quanto affermato dalla difesa di Es. laddove si legge (pagina 21 della memoria depositata il 30 ottobre 2023) che la conformità urbanistica dell'autorizzazione commerciale di cui si controverte risulta per tabulas e anche da provvedimenti non impugnati. 18.5. Il rilascio dell'autorizzazione era sostanzialmente ineludibile dato che l'amministrazione ha verificato la compatibilità della richiesta con gli strumenti di pianificazione commerciale e ne ha riscontrato la regolarità . Le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo, come noto, non possono essere applicate formalisticamente come vorrebbe l'appellante. Correttamente il TAR ha quindi fatto applicazione dell'art. 21 octies della L. 241 del 1990 in una vicenda che non poteva che vedere un esito favorevole del procedimento. 19. Per le ragioni sopra esposte l'appello va respinto e, per l'effetto, va confermata la sentenza impugnata. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna n. 953/2018. Condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, che liquida come di seguito: a) Euro 4.000/00 (quattromila) oltre accessori e spese di legge in favore del Comune di Bologna; b) Euro 4.000/00 (quattromila) oltre accessori e spese di legge in favore di Es. S.p.A. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Stefano Fantini - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere, Estensore Diana Caminiti - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8807 del 2021, proposto da Condominio Pa. Sc. in persona dell'amministratore pro tempore dott. Gi. Fu., rappresentato e difeso dall'avvocato Re. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro El. Ro., in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Re. Gr. e Fr. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; At. Br., non costituita in giudizio; Comune Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Li. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tar per la Campania, sez. VIII, n. 3555/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di El. Ro. e di Ru. Ce. s.r.l. e di Comune Caserta; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi. Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il Condominio Pa. Sc. con sede in Caserta alla via (omissis), propone appello contro la sentenza del Tar per la Campania n. 3555/2021 che ha accolto il ricorso proposto in primo grado dai signori El. Ro. (in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l.) e At. Br. con il quale era stato chiesto l'annullamento: - del permesso di costruire n. 101/2016, prot. n. 90528 del 18.10.2016, rilasciato dal dirigente del Servizio urbanistica - Area edilizia residenziale privata del Comune di Caserta, avente ad oggetto "sanatoria per difformità rispetto alla c.e. 162/92 per muri e sistemazioni esterne"; - degli atti ad esso preordinati, connessi e consequenziali, tra i quali il parere favorevole espresso dal dirigente Servizio urbanistica - Area edilizia residenziale privata del Comune di Caserta, prot. n. 72811 del 2.8.2016, e la relazione istruttoria del responsabile del procedimento (ove esistente). 2. Gli atti da ultimo citati e il ricorso che ne è scaturito costituiscono l'ultimo capitolo di una vicenda che vede da tempo contrapposti, nei diversi ruoli, il Condominio Pa. Sc., i signori Ro. e Br. e il Comune di Caserta, contrapposizione che ha dato vita, nel tempo, a numerose pronunce del giudice amministrativo. 2.1 Le fasi significative dell'intera vicenda possono essere così sintetizzate. Con concessione edilizia del 1991 e variante del 1992 venne realizzato il complesso Pa. Sc.. Il titolo prevedeva la realizzazione, nell'area esterna al fabbricato, di un parcheggio privato ad uso pubblico di mq. 3245, in applicazione dei parametri dettati dall'art. 41-quinquies della l. 1150/1942 (introdotto dall'art. 17 della l. 765/1967). Nella esecuzione dei lavori l'impresa costruttrice realizzava una recinzione in muratura con cancello che riduceva notevolmente la superficie destinata a parcheggio privato di uso pubblico. Il Comune, nel 2002, ordinò di demolire cancelli e muretti. Il Condominio propose ricorso avverso tale atto, ricorso respinto dal Tar per la Campania con sentenza n. 3556/2006. La sentenza del Tar venne confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1893/2008. I condomini Ro. e Br. (proprietari di locali commerciali siti nel Condominio Pa. Sc.) demolirono di propria iniziativa i manufatti. Il Condominio, nel 2011, deliberava di ripristinare muro di recinzione e cancello, e in data 13.9.2011 presentava una S.C.I.A. n. 70477 avente ad oggetto le dette opere. Il Comune restava inerte. I condomini Ro. e Br. proponevano ricorso in cui chiedevano al Comune di esercitare i poteri ex art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001. Il Tar per la Campania (con sentenza 2142/2012) accoglieva e dichiarava l'obbligo per il Comune di Caserta di esercitare il potere di controllo e vigilanza sulla conformità urbanistica ed edilizia delle opere di cui alla S.C.I.A. n. 70477 del 13 settembre 2011. Nella persistente inerzia del Comune di Caserta, i condomini Ro. e Br. chiedevano l'ottemperanza della sentenza 2142/2012. Il Tar, con sentenza 5014/2012, accoglieva la domanda di ottemperanza. Il Comune emetteva un provvedimento che non conteneva una esplicita statuizione in ordine alla S.C.I.A. Tale provvedimento veniva impugnato dal condomino Ro. e annullato con sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013. I condomini Ro. e Br. chiedevano nuovamente l'ottemperanza della sentenza 2142/2012 e il Tar per la Campania accoglieva la domanda (sentenza n. 5127/2014). A recinzione ormai realizzata, nel 2015, il Comune annullava la S.C.I.A. del 2011 aggiungendo di voler avviare il procedimento di demolizione (senza però compiere alcuna azione concreta). Nel 2016, in seguito ad istanza di accesso agli atti, i condomini Ro. e Br. apprendevano che il Comune di Caserta aveva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 101/2016, prot. n. 90528 del 18.10.2016. 3. Avverso il provvedimento da ultimo citato, i condomini Ro. e Br. hanno proposto ricorso al Tar. A sostegno dell'impugnativa venivano formulati i seguenti motivi di ricorso: I. Violazione degli artt. 7 e ss. della legge 7.8.1990, n. 241. II. - Violazione e falsa applicazione del d.p.r. 6.6.2001, n. 380. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione e di istruttoria, error in procedendo; sviamento. III. Violazione e falsa applicazione del d.p.r. 6.6.2001, n. 380. Violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione e di istruttoria, error in procedendo. Incompetenza. Sviamento. IV. Violazione degli artt. 41-quinquies e 41-sexies della l. 1150/1942, dell'art. 10 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. di Caserta, della lex specialis dell'intervento edilizio dettata dalla c.e. n. 162/92 rilasciata dal Comune di Caserta; violazione del giudicato formatosi sulle sentenze del Tar per la Campania nn. 3556/2006, 2142/2012, 5014/2012 e 5247/2013, e sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 1893/08; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, difetto dei presupposti di fatto e di diritto. omessa comparazione di interessi. Sviamento. V. Eccesso di potere per contrasto con precedenti atti della stessa Amministrazione, difetto di istruttoria e di motivazione. 4. Nel giudizio di primo grado si costituiva il Comune di Caserta chiedendo il rigetto del ricorso. 5. Con sentenza n. 3555/2021 il Tar per la Campania ha accolto il ricorso annullando gli atti impugnati. 5.1 In particolare il Tar: - ha ricostruito i principi in materia di efficacia del giudicato; - ha ritenuto di censurare in maniera assorbente l'operato del Comune di Caserta nella misura in cui, rilasciando da ultimo il contestato titolo in sanatoria, ha da un lato trascurato che non era consentito discostarsi dalle previsioni dell'originaria concessione edilizia del 1992, dall'altro ha legittimato che - a mezzo S.C.I.A. - fosse modificato il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico e, nello specifico, a fronte di un volume totale edificato di mc.35.764,64 oltre mq.3.245 di area di parcheggio ad uso pubblico (di cui mq.6.819,64 da destinare a parcheggio), solo mq.4.183 fossero utilizzati a tale fine, di cui mq.1.479 a parcheggi privati ad uso pubblico; - ha infine affermato che: "L'Amministrazione ha omesso di considerare, in definitiva, che il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio in base a norma imperativa non può subire deroghe mediante atti privati di disposizione degli stessi spazi, ma solo con concessione in variante resa su domanda di tutti i condomini interessati che lo trasferisca su altri spazi riconosciuti idonei; la normativa urbanistica di cui all'art. 41-sexies della Legge n. 1150/1942 prescrive, per i fabbricati di nuova costruzione, una misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio da destinare obbligatoriamente a parcheggi, pari a un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruito, e tale rapporto va effettivamente verificato a monte dalla P.A. nel rilascio della Concessione edilizia (Cass. civ., II, 9.10.2020, n. 21859). In particolare difettava il requisito della legittimità della richiesta di permesso in sanatoria da parte del Condominio, dal momento che tale istanza era stata deliberata l'11/12/2015 con la presenza di 41 condomini su 84 rappresentativi di millesimi 554,74 su1000,00; in ogni caso il Comune non avrebbe potuto attestare la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, quale richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. "sanatoria giurisprudenziale" o "impropria", che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica". 6. Avverso la sentenza del Tar per la Campania n. 3555/2021 ha proposto appello il Condominio Pa. Sc. per i motivi che saranno più avanti analizzati. 7. Si è costituito in giudizio il Comune di Caserta per chiedere il rigetto dell'appello. 7.1 Si è costituito il signor El. Ro. (in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l.) chiedendo il rigetto dell'appello. 8. All'udienza del 16 maggio 2016 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il primo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Motivazione erronea. Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Erronea applicazione dell'art. 18 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-sexies della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 9, comma 5, della l. 122/89. Omessa e/o carente istruttoria. 1.1 Sotto un primo profilo, l'appellante critica la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il Comune non poteva discostarsi dalle originarie concessioni edilizie e non poteva permettere che con S.C.I.A. si modificasse il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, sostenendo che: - sono errati i presupposti di fatto; - le concessioni edilizie interessate dal sopralluogo e dall'ordinanza, c.e. in variante n. 138/91 e n. 162/92, sono entrambe soggette alle prescrizioni dell'art. 18 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-sexies della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89, che prescriveva di dover riservare spazi a parcheggio spazi, pari a 1 mq per ogni 10 mc di volume costruito, cioè, il 10% del volume realizzato; - le citate concessioni sono entrambe soggette alle prescrizioni del D.P.P. di Caserta n. 5464/87, che aveva modificato l'art. 10 delle N.T.A. del R.E. del comune di Caserta, in applicazione della lett. D, dell'art. 3, del d.m. 1444/68, che regola quanto prescritto dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-quinquies della l. 1150/42, di dover riservare ad aree di parcheggio di proprietà privata di uso pubblico, spazi di 1 mq per ogni 20 mc di volume costruito, cioè, il 5% del volume realizzato; - in applicazione delle disposizioni citate, la quota destinata a parcheggi nella c.e. 162/92, dev'essere: area di parcheggio privato 3245 mq per una cubatura di 32.400 mc; area di parcheggio di uso pubblico di proprietà privata 1620 mq per una cubatura di 32.400 mc; - dal permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016 le aree di parcheggio, sono state aggiornate alla cubatura data dalla sanatoria dei 6 sottotetti, trasformati in civili abitazioni, non integrate nella c.e. in sanatoria 1933/99, variando la cubatura, dai precedenti 32.400 mc, della c.e. 162/92, ai 35.754 mc del permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016; - per l'aumento della cubatura, si sono dovute variare anche le superfici delle aree di parcheggio, le quali, nella c.e. in sanatoria 1933/99, dovevano essere uguali a quelle riportate nel permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016, essendo rimasta invariata la cubatura; - nella c.e. 162/92, interessata dal sopralluogo e dall'ordinanza, c'è una sola area di parcheggio di 3245 mq, ed un'autorimessa con box-auto e cantinole pari a 4.183 mq; - il Tar ha omesso di considerare che l'unica area di parcheggio del Condominio odierno appellante è del 10% del volume costruito, e pertanto è da considerare area di parcheggio privata, prescritta dall'art. 18 della l. 765/67, in quanto riservato 1 mq per ogni 10 mc di volume costruito; - sui grafici allegati alla c.e. 162/92, è stata riportata la dicitura parcheggio di uso pubblico di proprietà privata, come l'area di parcheggio ad uso pubblico del 5%, prescritto dal D.P.P. di Caserta n. 5464/87; - dalla c.e. 162/92, si evince che la recinzione era chiaramente individuata nei grafici approvati con un muro perimetrale che cingeva l'intera area di proprietà e l'accesso a tale area doveva avvenire da n. 2 varchi affiancati posti su via (omissis) i quali immettevano a due aree di parcheggio distinte a destra e a sinistra separate da marciapiede; - il Tar ha omesso di valutare che il Comune di Caserta, per le concessioni rilasciate alla I.S.CO., per realizzare il Pa. Sc. di Caserta, quindi anche per l'area di parcheggio, non ha mai chiesto la sottoscrizione né trascrizione di alcuna convenzione urbanistica o atto d'impegno, con cui sarebbero stati obbligati ad un facere, anche gli acquirenti in buona fede all. 35, con il quale sarebbe stato costituito il vincolo ad uso pubblico che si è affermato gravasse sull'area di parcheggio; - si fa menzione del vincolo ad uso pubblico, ma non viene indicato, perché non c'è, l'atto con cui è stato costituito; - il Comune di Caserta fa discendere la costituzione del vincolo dalla dicitura riportata sui grafici concessori della c.e. 162/92 "parcheggio di uso pubblico di proprietà privata", uguale alla dicitura coniata con il D.P.P. di Caserta n. 5464/87; - la giurisprudenza ha sancito che la semplice dicitura su di un grafico concessorio non è documento idoneo a costituire vincoli; - sull'area di parcheggio di 3245 mq, sono presenti 81 posti auto acquistati come proprietà esclusiva. 1.2 Sotto un secondo profilo l'appellante sostiene che la contraddizione tra quanto affermato dal Tar e quanto risulta dall'evidenza dei fatti e degli atti, è rafforzato dalle note del Comune di Caserta dove si legge chiaramente che il parcheggio di uso pubblico di proprietà privata può essere recintato ma non chiuso da cancelli, per cui, tutt'al più, si doveva ordinare di abbattere i cancelli e non anche i muretti; visto che si trattava di un muro di contenimento lungo l'alveo, che ha il precipuo scopo di proteggere i locali commerciali e quelli interrati da possibili allagamenti, e il cui abbattimento è pregiudizievole per il resto dell'edificio. 1.3 Sotto un terzo profilo l'appellante afferma che: - dalla documentazione versata in atti e per i requisiti incontestabili esistenti, si evince chiaramente che l'unica area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. di Caserta del 10% del volume costruito, è quella privata, prescritta dall'art. 18 della l. 765/67, della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89, unica che prescrive di destinare a spazi per parcheggi privati il 10% del volume costruito; - la conferma incontestabile che l'area è privata e ne erano al corrente tutti i condomini del Pa. Sc. emerge da sentenze emesse in giudizi civili in contenziosi che hanno visto come parti alcuni degli stessi condomini; - l'area di parcheggio è privata e ascritta all'art. 18 della l. 765/67, aggiornata alla l. 122/89, poiché, sulla stessa sono stati acquistati sia dai proprietari dei locali commerciali che dai proprietari di abitazioni, posti auto in proprietà esclusiva; - se l'unica area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. è interamente gravata da un vincolo di uso pubblico, occorre chiedersi come è possibile che non risulti da nessun atto opponibile ai terzi; - se si afferma che tutta l'area di parcheggio è ad uso pubblico, sulla stessa non potranno più esserci i posti auto acquistati in proprietà esclusiva, alterando così il vincolo di destinazione pubblicistico gravato dalla pertinenzialità fissata inderogabilmente dall'art. 18 della l. 765/67, aggiornata alla l. 122/89, nonché, il vincolo inscindibile di unione del posto auto all'abitazione, che venendo soppresso il posto auto, automaticamente inficia l'atto di compravendita di nullità, come disposto dal comma 5 dell'art. 9 della l. 122/89, a cui era soggetta la c.e. 162/92, rilasciata dal comune alla I.S.CO.; - il vincolo di destinazione permanente a parcheggio va inquadrato nella categoria delle "limitazioni legali della proprietà privata per scopo di pubblico interesse" e si conforma ope legis in un diritto reale di uso dell'area di parcheggio in favore del condominio; - l'inderogabilità comporta la nullità dei patti contrari e la loro sostituzione con le previsioni della legge; - la legge n. 47 del 1985, all'art. 26, non ha portata innovativa, ma confermativa del regime della legge n. 765 del 1967, proprio in forza del riferimento al vincolo pertinenziale; - il vincolo che grava sulle aree a parcheggio ha natura non solo oggettiva ma anche soggettiva, e si trasferisce, automaticamente, con il trasferimento della titolarità dell'abitazione: è un diritto reale d'uso, di natura pubblicistica, che la legge pone a favore dei condomini del fabbricato cui accede e limita il diritto di proprietà dell'area. 1.4 Sotto un quarto profilo l'appellante sostiene che: - il Comune, nel 2006, ha riscontrato la richiesta di un condomino, dichiarando che la I.S.CO., non ha mai sottoscritto nessun atto d'impegno o convenzione urbanistica con il Comune, per cui, non ha assunto alcun obbligo; - la I.S.CO. ha corrisposto al comune integralmente gli oneri concessori per realizzare le opere di urbanizzazione primaria, in cui ricadono anche le aree di parcheggio previste dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, esonerandosi dall'obbligo di dover realizzare opere di urbanizzazione; - l'art. 16, comma 2, del d.p.r. 380/01, in cui è stato trasfuso l'art. 11 della l. 10/77, prevede "2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune"; - tra le opere di urbanizzazione, elencate al comma 7 del medesimo articolo, ci sono anche "7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: (omissis) spazi di sosta o di parcheggio,". Avendo elencato tra le opere di urbanizzazione al comma 4, quelle prescritte dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-quinquies della l.u. 1150/42. 2. Il motivo è infondato. Parte appellante mira a rimettere in discussione la fonte dell'esistenza della servitù di uso pubblico (facendo leva anche sulle pronunce emesse in contenziosi civili) così da affermare che la stessa non è opponibile ai terzi che hanno acquistato in buona fede. Ma non è possibile aderire a siffatta prospettazione. L'abusività delle opere di recinzione per contrasto con i parametri edilizi ed urbanistici previsti dalla legge e recepiti dal Comune di Caserta nei propri atti di pianificazione territoriale, nonché per violazione delle prescrizioni di cui alla concessione edilizia n. 162/1992, è stata definitivamente accertata nel giudizio di impugnazione dell'ordinanza n. 49840 del 9.12.2002 di demolizione della recinzione dell'area di parcheggio già realizzata dal costruttore del Pa. Sc. conclusosi con sentenza del Tar per la Campania n. 3558/2006, confermata in appello dal Consiglio di Stato con decisione n. 1893/08. Nella sentenza del Tar per la Campania n. 3558/2006 si legge testualmente: "Passando alla fattispecie sottoposta all'esame del Collegio, si deve innanzi tutto rilevare che "la concessione edilizia n. 162/92 del 14 aprile 1992... prevede per la sistemazione esterna un'area di parcheggio pubblico di proprietà privata di mq 3245", come evidenziato nella relazione in data 21 luglio 2005 a firma del dirigente del Settore Pianificazione Urbanistica del Comune di Caserta (depositata in esecuzione dell'ordinanza istruttoria n. 631/2005). Inoltre, dalla successiva relazione in data 14 marzo 2006, a firma dello stesso dirigente, si desume chiaramente che tale prescrizione discende dalle previsioni introdotte nel P.R.G. del Comune di Caserta in applicazione del penultimo comma dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150/1942. Infatti in tale relazione è stato evidenziato che gli indici e parametri della Zona omogenea B2 previsti dall'art. 10 delle Norme Tecniche del PRG adottato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 11/1983 (che contiene solo un riferimento alla "quota di parcheggi fissata dall'art. 18 della legge n. 765/1967") sono stati modificati con il Decreto di approvazione del Presidente della Provincia di Caserta n. 5464/1987, con il quale è stato previsto il parametro del "parcheggio di uso pubblico di proprietà privata" (introdotto dall'art. 17 della legge n. 765/1967) in aggiunta al parametro del parcheggio privato di cui all'art. 18 della legge n. 765/1967. Ne consegue che il dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Caserta è legittimamente intervenuto con il provvedimento impugnato per ripristinare l'uso pubblico delle aree di proprietà del condominio ricorrente destinate parcheggio di uso pubblico. Né rileva l'ulteriore censura, secondo la quale l'Amministrazione comunale con l'adozione dell'avversato ordine di demolizione avrebbe posto in essere una procedura acquisitiva che esula dalle previsioni di legge, allo scopo di procurarsi parcheggi di uso pubblico senza corrispondere alcun indennizzo ai proprietari delle aree. Infatti il provvedimento impugnato mira soltanto a ripristinare la destinazione delle aree in questione prevista dalla concessione edilizia n. 162/92 del 14 aprile 1992 in attuazione dei parametri introdotti dagli strumenti urbanistici, sicché la censura in esame avrebbe dovuto essere ritualmente proposta avverso tali provvedimenti e quindi risulta inammissibile in questa sede". La sentenza del Tar per la Campania appena citata è stata confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1893/2008 che, a propria volta, ha testualmente affermato: "Invero, il fatto che all'atto del rilascio della concessione edilizia n. 162/92, nell'elaborato grafico ad essa allegato, sussistesse l'indicazione di un'area privata di parcheggio ad uso privato, non costituiva, come sostenuto dal condominio appellante, una mera annotazione ovvero una dichiarazione di intenti, priva di valore giuridico, ma rappresentava piuttosto la trasposizione o (quanto meno) l'evidenziazione grafica delle puntuali previsioni del vigente strumento urbanistico generale, così come approvato dall'amministrazione provinciale di Caserta, a cui era subordinato necessariamente il rilascio del titolo edilizio. L'ordinanza impugnata, con la quale il Comune di Caserta ha ordinato la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, lungi dall'atteggiarsi ad inammissibile provvedimento espropriativo, costituisce invece doverosa esplicazione del potere di controllo del territorio sub specie di verifica che il beneficiario del titolo edilizio si sia effettivamente attenuto a quanto in esso assentito, senza compiere abusi: del resto, la sua attenta lettura fuga al riguardo ogni dubbio, risultando espressamente che essa si fonda su di un verbale di sopralluogo della polizia municipale che ha accertato discordanze dello stato dei luoghi rispetto ai grafici della concessione edilizia n. 162 del 1992 (variante della precedente concessione n. 138/91). A ciò consegue che le censure rivolte avverso la predetta ingiunzione risultano essere infondate, attendendo in realtà non già al corretto uso da parte dell'amministrazione comunale del potere esercitato di controllo urbanistico del territorio, bensì alla asserita illegittimità della stessa previsione dello strumento urbanistico vigente (che prevedeva un parcheggio pubblico di uso anche privato, senza alcun indennizzo ovvero senza che fosse stato all'uopo previsto un apposito vincolo urbanistico sulla relativa area), doglianza che, però, doveva essere fatta valere o nei confronti del provvedimento di approvazione dello strumento urbanistico ovvero nei confronti della concessione edilizia, espressamente e comunque inevitabilmente subordinata al rispetto delle previsioni del predetto strumento urbanistico e che, in ogni caso, non poteva invece giammai essere avanzata per la prima volta nei confronti dell'ordinanza dell'amministrazione comunale finalizzata al ripristino dello stato dei luoghi, per rendere questi ultimi conformi nello stato di fatto alla previsione di diritto risultante dal titolo edilizio. Alla luce di tali osservazioni perdono ogni rilevanza le questioni dedotte dall'appellante circa il dubbio sulla natura di parcheggi aggiuntivi di quelli di cui si discute (dubbio peraltro privo di fondamento, essendo pacifica la natura di parcheggi aggiuntivi di cui all'articolo 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo il provvedimento della Provincia di Caserta di approvazione del piano regolatore del Comune di Caserta, ciò senza contare che dalla stessa documentazione esibita dall'appellante risulta respinta l'istanza di sanatoria più volte presentata proprio per questa ragione), circa la asserita natura di vincolo espropriativo che contraddistinguerebbe la predetta previsione di piano regolatore e circa la necessità della trascrizione del vincolo stesso ovvero della previsione contenuta nella concessione edilizia, ai fini della sua opponibilità al condominio". Il Tar per la Campania, nella citata sentenza n. 5247/2013 resa tra le parti dell'odierno giudizio e passata in giudicato, così ha ulteriormente ribadito: "Passando all'esame del merito, punto centrale di contestazione tra le parti è se la superficie da destinare a parcheggio pubblico, quindi da non recintare con muro e cancelli, fosse quella, maggiore, di mq. 3.245, riconducibile alla concessione edilizia n. 162 del 1992, o piuttosto quella di mq 1.650, risultante dal rapporto legale tra spazi da destinare a parcheggio e volumetria realizzata nella misura di 1mq/20mc. Rileva al riguardo il Collegio che gli elementi fondamentali che costituiscono un intervento edilizio devono tutti ricondursi al titolo edificatorio di riferimento; questo, se da un lato potrebbe essere inteso come una sostanziale applicazione vincolata a titolo particolare della disciplina urbanistica generale, nel senso che ne attualizza specifiche previsioni attraverso l'attivazione dello ius ad aedificandum, dall'altro contiene ulteriori aspetti che si colorano di profili di discrezionalità amministrativa (prescrizioni di limiti e modalità costruttive, termini di inizio e completamento delle opere, eventuali operazioni di asservimento, opere a scomputo) o di poteri pubblici di altra natura (fissazione degli oneri concessori e dei costi di costruzione). Il permesso di costruire, in questo modo, finisce per costituire la lex specialis dell'intervento edilizio, assumendo quella natura unilaterale ed autoritativa propria della funzione amministrativa esercitata che si risolve nel controllo del razionale ed ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che non è consentito al privato di discostarsi dalle previsioni e dai limiti del permesso di costruire, non a caso simili eventualità ricadendo nel regime sanzionatorio previsto dal d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380; pertanto, deve ritenersi che, ferma restando la disciplina dell'intervento edilizio come stabilita nella concessione n. 162 del 1992, non avrebbe potuto il condominio con la s.c.i.a. n. 70477 del 13 settembre 2011 modificare il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, riducendone la superficie, quand'anche tale minore misura fosse quella minima imposta per legge; d'altronde, si tratta di una misura minima, nel senso che non è detto che la superficie non possa essere di estensione maggiore, secondo la progettazione originaria dell'intervento edilizio. Non va dimenticato che l'istituto di cui all'art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241 in nessun modo può essere assimilato ad un provvedimento amministrativo, restando sul piano di una dichiarazione negoziale di intenti da parte di un privato. Nel caso di specie, oggetto della s.c.i.a. avrebbe potuto essere solo la realizzazione del muro di cinta e dei cancelli, ma giammai anche la modificazione della superficie delle aree da destinare a parcheggio pubblico, aspetto quest'ultimo rimesso alla esclusiva potestà autoritativa dell'amministrazione pubblica che avrebbe potuto avere luogo solo intervenendo previamente e direttamente sul regime dato dalla concessione edilizia n. 162/92". In assenza di interventi sulla concessione edilizia del 1992, il condominio resta vincolato alle condizioni di quest'ultimo provvedimento, anche in relazione alle superfici da destinare a parcheggio di proprietà privata ad uso pubblico. Correttamente il Tar ha accolto il ricorso proposto in primo grado sostenendo per un verso che il permesso di costruire in sanatoria era stato emesso dal Comune di Caserta in violazione delle previsioni dell'originaria concessione edilizia del 1992 e per altro verso che il Comune avesse illegittimamente consentito che - a mezzo S.C.I.A. - fosse modificato il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico. 3. Il secondo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando et in procedendo. Omessa istruttoria. Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Omessa e/o erronea applicazione degli artt. 825, 826 e 829 c.c. L'appellante ritiene che altro deficit motivazionale e di istruttoria nella sentenza gravata si ha per l'omessa e/o distorta applicazione degli articoli del codice civile n. 825 (Diritti demaniali su beni altrui) n. 826, comma 3 (Patrimonio dello Stato, delle provincie e dei comuni), n. 829 (Passaggio di beni dal demanio al patrimonio). In particolare si sostiene che i giudici di primo grado hanno completamente omesso di valutare che l'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc., non è stata mai acquisita al patrimonio indisponibile del Comune, e né tantomeno sono state applicate le forme di pubblicità stabilito dal regolamento comunale. Inoltre l'appellante, riportando per esteso un passaggio (punti da 10.2 a 11.1) della sentenza della Cassazione n. 12793/2005, sostiene che mentre il vincolo di destinazione per legge di un'area a parcheggio, essendo di natura inderogabile, non può essere modificato dalle parti, il vincolo di destinazione a parcheggio in virtù di atto d'obbligo, essendo di natura convenzionale, può essere modificato dalle parti e non richiede che tale area sia predeterminata nella sua estensione, stante il principio di autonomia. 4. Il motivo è infondato. Le questioni sollevate risultano coperte dal giudicato formatosi sulle sentenze richiamate al punto precedente. Mette conto notare, in ogni caso, che la sentenza della Cassazione citata da parte appellante si riferisce specificamente ai rapporti tra privato costruttore e condominio in ordine alla possibilità di alienare, separatamente dalle abitazioni di cui costituiscono pertinenza, le aree private vincolate a parcheggio ai sensi dell'art. 41-sexies della legge urbanistica (introdotto dall'art. 18 della legge n. 765/1967). Nel caso di specie, invece, rileva il regime delle aree a parcheggio di uso pubblico di proprietà privata, di cui all'art. 41-quinquies della legge urbanistica, introdotto dall'art. 17 della legge n. 765/1967. 5. Il terzo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Palese erroneità dei presupposti di fatto. Motivazione erronea. Carente istruttoria. Erronea applicazione dell'art. 137 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 come modificato e integrato dal decreto legislativo 27.12.2002, n. 301. L'appellante critica le statuizioni della sentenza impugnata relative alla rilevanza della S.C.I.A. affermando che: - tali statuizioni sono palesemente errate perché poggiano sull'erroneo presupposto che l'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. abbia un vincolo di destinazione ad uso pubblico, quando invece, per quanto sopra dimostrato, tale vincolo non sussiste, per le argomentazioni analiticamente svolte nei precedenti motivi; - un ultimo argomento proviene dal d.p.r.380/2001, n. 380, il cui art. 137 prevede che "all'articolo 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122, il comma 2 è sostituito del seguente: '2. L'esecuzione delle opere e degli interventi previsti dal comma 1 è soggetta a denuncia di inizio di attività '"; - il titolo abilitativo alla realizzazione del posto auto è oggi costituito non più dall'autorizzazione bensì dalla denuncia di inizio di attività ; - non si ha più un provvedimento, come quello dell'autorizzazione, con allegato atto d'obbligo da cui poter desumere i riferimenti inerenti al parcheggio; - secondo la Cassazione (sentenza prima citata) i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dalla legale (art. 18 legge 6.8.1967, n. 765), non sono soggetti a vincolo pertinenziale a favore delle unità immobiliari del fabbricato, conseguentemente l'originario proprietario-costruttore del fabbricato può legittimamente riservarsi, o cedere a terzi, la proprietà di tali parcheggi, nel rispetto del vincolo di destinazione nascente da atto d'obbligo; - quanto sancito dalla Cassazione è in perfetta linea con le disposizioni dell'art. 3 del d.m. 1444/68, applicato con il D.P.P. comune di Caserta n. 5464/87; - il massimo consentito nella destinazione a parcheggio di uso pubblico di proprietà privata del D.P.P. di Caserta 5464/87, è il 5% del volume costruito e non il 10% come è la superficie dell'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc.; - ne consegue che l'area di parcheggio in più è da considerare privata e a disposizione dei proprietari, tranne che il Comune non esibisca un atto d'impegno o una convenzione urbanistica. 6. Il motivo è infondato. L'assunto che parte appellante mira a revocare in dubbio è coperto dal giudicato formatosi sulla citata sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013 che ha stabilito che: (i) "Il permesso di costruire (i.e.: c.e. n. 162/92) in questo modo, finisce per costituire la lex specialis dell'intervento edilizio, assumendo quella natura unilaterale ed autoritativa propria della funzione amministrativa esercitata che si risolve nel controllo del razionale ed ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che non è consentito al privato di discostarsi dalle previsioni e dai limiti del permesso di costruire"; (ii) "il condominio con la S.C.I.A. n. 70477 del 13 settembre 2011 modificare il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, riducendone la superficie, quand'anche tale minore misura fosse quella minima imposta per legge; d'altronde, si tratta di una misura minima, nel senso che non è detto che la superficie non possa essere di estensione maggiore, secondo la progettazione originaria dell'intervento edilizio"; e (iii) "Nel caso di specie, oggetto della s.c.i.a. avrebbe potuto essere solo la realizzazione del muro di cinta e dei cancelli, ma giammai anche la modificazione della superficie delle aree da destinare a parcheggio pubblico, aspetto quest'ultimo rimesso alla esclusiva potestà autoritativa dell'amministrazione pubblica che avrebbe potuto avere luogo solo intervenendo previamente e direttamente sul regime dato dalla concessione edilizia n. 162/92". 7. L'appellante ha, infine, ha avanzato una richiesta istruttoria chiedendo al Collegio di invitare il Comune ad esibire (i) l'atto costitutivo del vincolo ad uso pubblico dell'area di parcheggio, (ii) gli oneri concessori e di urbanizzazione pagati dalla I.S.CO. o lo scomputo degli stessi e (iii) l'atto con cui la I.S.CO. si è obbligata a realizzare l'opera di urbanizzazione primaria, nel caso di che trattasi, area di parcheggio ad uso pubblico di proprietà privata prevista dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67 (art. 41-quinquies l. 1150/42). 8 La richiesta non può essere accolta perché l'acquisizione dei documenti richiesti sarebbe irrilevante, ovvero non necessaria, rispetto alle conclusioni raggiunte. 9. La sentenza impugnata ha censurato "in maniera assorbente l'operato del Comune di Caserta". Il Comune ha mantenuto, nel presente giudizio, un comportamento oscillante. In primo grado ha chiesto il rigetto del ricorso proposto dai condomini odierni appellati. In grado di appello ha chiesto il rigetto dell'impugnativa proposta dai condomini. Peraltro non si comprende perché, chiedendo il rigetto dell'appello, non abbia ritirato l'atto impugnato in primo grado. Tale atteggiamento giustifica la statuizione sulle spese di seguito espressa. 10. Per le ragioni esposte, l'appello deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza nei rapporti tra Condominio appellante e condomini appellati. Spese compensate nei rapporti con il Comune. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna il Condominio Pa. Sc. al pagamento, in favore del signor El. Ro., delle spese di lite che si liquidano in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila\00), oltre accessori dovuti per legge. Spese compensate nei rapporti con il Comune. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Giovanni Pascuzzi - Consigliere, Estensore
R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO L A C O R T E D I C A S S A Z I O N E SEZIONE TRIBUTARIA Composta da Federico Sorrentino - Presidente - Oggetto Angelo Matteo Socci - Consigliere - R.G.N. 25769/2020 Ugo Candia - Consigliere - Cron. Giuseppe Lo Sardo - Consigliere - UP – 14/05/2024 Andrea Penta - Consigliere Rel. - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 25769/2020 proposto da: BIOCASA S.r.l. (C.F. e P.IVA.: 05436540826), con sede legale in Palermo, alla Via Petrocelli n. 11, in persona del legale rappresentante pro tempore dott. Rosolino Lo Scrudato, nato a San Giovanni Gemini (AG) il 15.12.1960, e rappresentato e difeso, giusta procura rilasciata in data 10.09.2020 su documento separato da ritenersi parte integrante del ricorso ex art. 83, terzo comma, cod. proc. civ., dall'Avv. Marcella Alberghina (C.F.: LBRMCL80E46G273J; fax: 0916190011; pec: [email protected]), con elezione di domicilio digitale al sopraindicato indirizzo pec del difensore nominato ex d.l. n. 179/2012, art. 16 sexies (conv. dalla l. n. 221/2012). come modificato dal d.l. n. 90/2014 (conv, dalla l. n. 1 14/2014); Imposta di registro – Cessione terreno – Progetti di edilizia convenzionata e agevolata - ricorrente - contro Agenzia delle Entrate (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: 80224030587) e presso la stessa domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12; - controricorrente – -avverso la sentenza n. 1775/01/2020 emessa dalla CTR Sicilia in data 21/04/2020 e non notificata; udite le conclusioni orali rassegnate dal P.G. Dott. Carmelo Celentano, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore della ricorrente, Avv. Marcella Alberghina. Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dell’8.6.2018, la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo accoglieva il ricorso proposto dalla Biocasa S.r.l. avverso l'avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia delle Entrate di Palermo aveva chiesto il pagamento dell’imposta di registro e catastale per l’anno 2017. In particolare, i giudici di prime cure respingevano le argomentazioni dell'Ufficio, osservando che la cessione oggetto dell'imposizione si inseriva nell'ambito di interventi attuativi di programmi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge n. 865/71 realizzati su aree ricadenti nella categoria di quelle previste dal titolo III delia stessa legge e che, pertanto, andava assoggettata a tassazione in misura fissa. 2. Sull’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate e nella contumacia della società contribuente, la CTR della Sicilia accoglieva il gravame, evidenziando che "le agevolazioni consistenti nell'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa e dell'esenzione dalle imposte catastale e ipotecaria, previste dall'art. 32, comma 2, del d.P.R. n. 601 del 1973, si applicano solo agli atti e contratti relativi all'attuazione dei programmi di edilizia residenziale di cui al titolo IV della l. n. 865 del 1971, affidati a istituti autonomi, cooperative edilizie, società con prevalente partecipazione statale, con esclusione di qualsiasi altro programma, sia pure introdotto da altro ente pubblico, quale una Regione, e che le agevolazioni consistenti nell'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa e nell'esenzione dalle imposte catastale e ipotecaria, previste dall'art. 32, comma 2, del d.P.R. n. 601 del 1973, essendo di stretta interpretazione, operavano solo relativamente agli atti e contratti funzionali alla realizzazione di progetti di edilizia sovvenzionata, di cui al titolo IV della l. n. 865 del 1971, e non anche di edilizia convenzionata e agevolata di cui al titolo V della citata legge. 3. Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Biocasa s.r.l. sulla base di tre motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso. In prossimità dell’udienza pubblica, la ricorrente ha depositato memoria illustrativa. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio, per omesso invio della comunicazione d'udienza obbligatoria ex art. 52, comma 3, d.lgs. 546/92, nonché per violazione degli artt. 101 (principio del contraddittorio) e 111, secondo comma, cod. proc. civ. (principi del giusto processo) e 24, secondo comma, Cost., da leggersi in combinato disposto con l'art. 52, comma 5, d.lgs. 546/92 (diritto di difesa), ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., per non aver la CTR rilevato che non le era stara comunicata la fissazione dell’udienza di trattazione per la discussione in camera di consiglio dell'istanza di sospensione formulata dall’Agenzia delle Entrate in sede di gravame. 1.1. Il motivo è infondato. In base ai commi 2 e 3 dell’art. 52 del d.lgs. n. 546 del 1992, <<L'appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l'esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile.>> e <<Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.>> L'art. 61 del medesimo d.lgs. (norma di chiusura della predetta sezione) dispone che <<Nel procedimento d'appello si osservano in quanto applicabili le norme dettate per il procedimento di primo grado, se non sono incompatibili con le disposizioni della presente sezione.>> Alla luce del primo comma dell’art. 31 dello stesso d.lgs., <<La segreteria dà comunicazione alle parti costituite della data di trattazione almeno dieci giorni liberi prima.>> Da ultimo, in base all’art. 136 cod. proc. civ., le comunicazioni, in pendenza di giudizio, devono essere effettuate con biglietto di cancelleria inviato per piego raccomandato (recte, a mezzo pec) alle parti costituite o ai rispettivi difensori (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 7364 del 16/06/1992), oltre che, ovviamente, alle parti che stiano in giudizio personalmente. In quest’ottica, rappresenta principio consolidato quello per cui la comunicazione della data di udienza, ai sensi dell'art. 31 del d.lgs. n. 546 del 1992 (il cui primo comma prevede che "la segreteria dà comunicazione alle parti costituite della data di trattazione almeno trenta giorni liberi prima"), applicabile anche ai giudizi di appello in relazione al richiamo operato dall'art. 61 del medesimo decreto, adempie ad un'essenziale funzione di garanzia del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, sicché solo l'omessa comunicazione alle parti "costituite", almeno trenta giorni prima, dell'avviso di fissazione dell'udienza di discussione, determina la nullità della decisione comunque pronunciata (Cass. 11 luglio 2018, n. 18279; Cass. 20 dicembre 2012, n. 23607; Cass. n. 1786/2016; Cass. n. 13319/2017). Alla stregua delle considerazioni che precedono, la cancelleria del giudice d’appello non era tenuta a comunicare alla società appellata, incontestabilmente contumace (come, peraltro, desumibile dalla sentenza qui impugnata), il decreto con il quale il presidente aveva fissato la trattazione dell’istanza di sospensione. Questa Corte ha, peraltro, dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 31 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui non prevede che la comunicazione della data fissata per la trattazione del ricorso debba essere data anche alla parte non costituita (Cass. 21 novembre 2005, n. 24520; Cass. n. 11103/2017). 2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 32, comma 2, prima e seconda parte, del d.P.R. n. 601/1973, nonché dell'art. 20, commi 2 e 3, della l. n. 10/1977 che lo richiama, nel testo modificato dall'art. 1, comma 88, della l. n. 205/2017, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per non aver la CTR considerato che l'art. 1, comma 88, citato ha esteso il trattamento tributario agevolato, previsto dall'art. 20, comma 1, l. n. 10/1977, che, a sua volta, richiama la disciplina dettata dall'art. 32 dPR n. 601/1973, a tutti gli atti preordinati alla trasformazione del territorio, posti in essere mediante accordi o convenzioni tra privati e enti pubblici, nonché agli atti attuativi in esecuzione dei primi. 3. Con il terzo motivo la ricorrente solleva, in via subordinata rispetto al secondo motivo, in ipotesi di impossibilità di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 20, comma 3, cit. nell'interpretazione conforme indicata nel motivo n. 2, questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 3, della l. n. 10177, introdotto dall'art. 1, comma 88, della l. n. 205/2017, per disparità di trattamento e violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) nella parte in cui limita l'applicazione retroattiva del comma 2 del medesimo articolo alle convenzioni ed atti di cui alla Legge Provinciale di Bolzano n. 13/1997. 4. I due motivi, da trattarsi congiuntamente siccome strettamente connessi, sono infondati. La controversia ha ad oggetto l’imposizione di un atto del 31.1.2017 con il quale la contribuente vendeva ai signori Genova e Buzzanca un “terreno edificabile da destinare ad intervento di edilizia residenziale sociale". Le parti contraenti contestualmente stipulavano un "Contratto preliminare di compravendita stipulato anche ai sensi del d.lgs. n. 122 del 20 giugno 2005” concernente le unità immobiliari da costruire sul terreno. In sede di atto di compravendita e di preliminare di compravendita le parti invocavano il trattamento tributario di cui all'art. 32 del D.P.R. n. 601/1973 e redigevano un documento separato allegato ai contratti al fine di esplicitare le motivazioni che, secondo la loro impostazione, avrebbe consentito la fruizione delle agevolazioni in materia di imposta di registro. La Biocasa s.r.l., nell’impugnare l'avviso di liquidazione, ha contestato il recupero a tassazione ed ha invocato la spettanza delle agevolazioni richieste, poiché gli alloggi da realizzarsi sul terreno compravenduto erano, a suo dire, inseriti nell'ambito di interventi qualificabili quali programmi pubblici di edilizia residenziale in base al titolo IV della l. n. 865/1971, nonché altresì sussumibili nelle categorie del titolo III della l. n. 865/71 (come integrato dall'art. 18 l. n. 457/78) quali interventi di edilizia economica e popolare. Come è noto, l’edilizia residenziale pubblica (detta anche “popolare”) è stata istituita al fine di concedere beni immobili sotto forma di proprietà, locazione o sulla base di altri diritti di godimento, a favore di cittadini che si trovano in condizioni economiche disagiate. A seconda della procedura, gli enti della Pubblica Amministrazione operano a livello statale, regionale e/o locale, servendosi o meno di prestazioni erogate da privati o di consociati quali intermediari. L’edilizia residenziale pubblica “convenzionata” opera esclusivamente al fine di far acquisire la proprietà della casa mediante prezzi di favore. Qui non si tratta quindi di atti finalizzati alla locazione o al godimento, ma diretti solo all’acquisizione della proprietà dei beni immobili a favore di soggetti meno abbienti. Nell’edilizia convenzionata è l’amministrazione comunale a stipulare la convenzione con le imprese costruttrici o le cooperative, al fine di procedere con la realizzazione di nuovi immobili su terreni di proprietà pubblica oppure su proprietà private oggetto di espropriazione. Tali immobili poi saranno, chiaramente, messi in vendita a prezzi calmierati rispetto ai normali prezzi di mercato, e potranno essere acquistati dalle famiglie che rientrano nei parametri reddituali stabiliti dalla stessa convenzione. L’edilizia residenziale pubblica “agevolata” consiste anche questa nella realizzazione di nuovi immobili, da destinare però esclusivamente a prima abitazione, che vengono realizzati da privati sulla base di finanziamenti concessi a livello statale o regionale, anche sotto forma di contributi a fondo perduto. In sostanza, la PA mette a disposizione dei mutui agevolati, sempre a favore di determinate categorie reddituali, condonando il pagamento di parte degli interessi con la concessione di contributi a fondo perduto e finanziamenti in conto interesse con tassi inferiori al normale. L’edilizia agevolata può essere finalizzata a costituire tre tipologie di proprietà: a) l’acquisizione della piena proprietà assoluta; b) l’acquisto mediante la procedura dell’affitto con riscatto; c) l’acquisto con locazione permanente. L’edilizia residenziale pubblica “sovvenzionata” è, infine, quella che comunemente si riconosce nell’assegnazione delle “case popolari” a favore delle famiglie più bisognose. In questo caso è lo Stato, o gli enti territoriali, a farsi totalmente carico della costruzione (oppure recupero e riqualificazione) degli immobili. Questi vengono poi concessi mediante locazione, con canone calmierato che dipenderà dall’effettivo reddito del nucleo e dal numero di componenti da cui è composto. L’assegnazione delle case popolari mediante l’edilizia sovvenzionata prevede l’istituzione di bandi pubblici per il rilascio degli immobili, che vengono assegnati periodicamente sulla base delle graduatorie comunali. La materia delle agevolazioni tributarie ha trovato organica regolamentazione nel d.P.R. n. 601 del 1973, che ha realizzato un sistema fondato sulla regola del numerus clausus, con l'abrogazione, prevista dall'art. 42, di tutte le disposizioni concernenti esenzioni e agevolazioni tributarie diverse da quelle ivi considerate; in siffatto contesto, l'art. 32, comma 2, del d.P.R. citato, nell'estendere determinate agevolazioni agli atti e contratti relativi all'attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al titolo IV della l. n. 865 del 1971, non richiama affatto, e non mantiene quindi in vita, le agevolazioni in precedenza previste dall'art. 70 di tale legge, ma stabilisce quelle applicabili agli atti che rispondano ai requisiti espressamente previsti dalla disposizione medesima, e che, pertanto, risultino posti in essere da quei limitati soggetti ai quali la l. n. 865 del 1971 affida l'attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale (Cass., Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 25982 del 02/09/2022). L’art. 32 del dPR n. 601/1973 prevede che: <<1. Il reddito delle case economiche e popolari costruite ai sensi dell'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, è esente dall'imposta locale sui redditi per venticinque anni o per quindici anni secondo che le case stesse siano realizzate su aree date in concessione o cedute in proprietà. 2. Gli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della legge indicata nel comma precedente e gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse sono soggetti all'imposta di registro in misura fissa e sono esenti dalle imposte ipotecarie e catastali. Le stesse agevolazioni si applicano agli atti di cessione a titolo gratuito delle aree a favore dei comuni o loro consorzi nonché agli atti e contratti relativi all'attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al titolo IV della legge indicata nel primo comma.>> (la sottolineatura è dello scrivente) Orbene, l'art. 32, comma 2, del d.P.R. n. 601 del 1973 - il quale prevede agevolazioni fiscali per gli atti di trasferimento della proprietà o di concessione del diritto di superficie sulle aree espropriate ed utilizzate dai Comuni per la realizzazione di impianti produttivi, industriali, artigianali, commerciali e turistici - è disposizione di stretta interpretazione non suscettibile di interpretazione analogica; pertanto, i benefici da essa previsti spettano soltanto ai Comuni e non ad enti diversi, come le società di capitali di diritto privato, pur se di proprietà pubblica (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17010 del 16/06/2021). In particolare, le agevolazioni consistenti nell'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa e dell'esenzione dalle imposte catastale e ipotecaria, previste dall'art. 32, comma 2, del d.P.R. n. 601 del 1973, si applicano solo agli atti e contratti relativi all'attuazione dei programmi di edilizia residenziale di cui al titolo IV della l. n. 865 del 1971, affidati a istituti autonomi, cooperative edilizie, società con prevalente partecipazione statale, con esclusione di qualsiasi altro programma, sia pure introdotto da altro ente pubblico, quale una regione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 14800 del 15/07/2015; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 30180 del 15/12/2017; v. anche nello stesso senso Cass. n. 28903 del 2008 e, per la giurisprudenza più risalente, Cass. n. 7062 del 1994, la quale pone l'accento sul fatto che l'agevolazione è funzionale allo sviluppo della "costruzione di alloggi popolari"). In quest’ottica, le agevolazioni consistenti nell'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa e nell'esenzione dalle imposte catastale e ipotecaria, previste dall'art. 32, comma 2, del d.P.R. n. 601 del 1973, essendo di stretta interpretazione, operano solo relativamente agli atti e contratti funzionali alla realizzazione di progetti di edilizia sovvenzionata, di cui al titolo IV della l. n. 865 del 1971, e non anche di edilizia convenzionata e agevolata, di cui al titolo V della citata legge (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 2925 del 07/02/2013; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 23042 del 11/11/2016). Del resto, per poter beneficiare delle agevolazioni in parola, occorre la compresenza di un requisito soggettivo (l’essere una cooperativa o un suo consorzio) e di un requisito oggettivo (l’aver ricevuto un contributo dallo Stato, dalla Regione o da un altro ente pubblico territoriale). Nel caso di specie, è da escludere che le aree da costruire siano state acquisite dai Comuni per l'attuazione dei piani di edilizia economica e popolare. 4.1. Premesso che l’atto di compravendita oggetto della presente imposizione è stato stipulato in data 31.1.2017, l’art. 20, comma 1 (recte, unico comma), l. n. 10/1977, nella formulazione applicabile ratione temporis, prevedeva che: <<Ai provvedimenti, alle convenzioni e agli atti d'obbligo previsti dalla presente legge si applica il trattamento tributario di cui all'articolo 32, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601. […]>> (la sottolineatura è dello scrivente) Le convenzioni richiamate nella disposizione su riportata erano quelle disciplinate dal precedente art. 7, a mente del quale <<1. Per gli interventi di edilizia abitativa, ivi compresi quelli sugli edifici esistenti, il contributo di cui al precedente articolo 3 è ridotto alla sola quota di cui all'articolo 5 qualora il concessionario si impegni, a mezzo di una convenzione con il Comune, ad applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi della convenzione-tipo prevista dal successivo articolo 8. 2. Nella convenzione può essere prevista la diretta esecuzione da parte dell'interessato delle opere di urbanizzazione, in luogo del pagamento della quota di cui al comma precedente; in tal caso debbono essere descritte le opere da eseguire e precisati i termini e le garanzie per l'esecuzione delle opere medesime. 3. Fino all'approvazione da parte della regione della convenzione-tipo, le convenzioni previste dal presente articolo sono stipulate in conformità ad uno schema di convenzione-tipo, deliberato dal consiglio comunale, contenente gli elementi di cui al successivo articolo 8. 4. Può tener luogo della convenzione un atto unilaterale d'obbligo con il quale il concessionario si impegna ad osservare le condizioni stabilite nella convenzione-tipo ed a corrispondere nel termine stabilito la quota relativa alle opere di urbanizzazione ovvero ad eseguire direttamente le opere stesse. […]>> Ebbene, l’atto in esame non rientra incontestabilmente tra le convenzioni e gli atti d'obbligo previsti dalla legge 28 gennaio 1977 n. 10 (non potendo, a tal fine, considerarsi sufficiente il permesso di costruire convenzionato n. 10 rilasciato dal Comune di Palermo in data 21.12.2016, di cui, peraltro, la ricorrente ha omesso, in violazione del principio di autosufficienza, di trascrivere almeno i passaggi fondamentali), ai quali, per il richiamo fattone dall'art. 20 di tale ultima legge, si applica la agevolazione tributaria di cui al precitato art. 32, secondo comma, del D.P.R. n. 601 del 1973 (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10524 del 07/12/1994, con riferimento ad un atto con il quale, in conformità al piano regolatore, un'area era stata permanentemente vincolata ad una destinazione a parcheggio ai sensi dell'art. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765). 4.2. Solo il successivo art. 1, comma 88, l. n. 205/2017 (entrato in vigore in data 1.1.2018) ha aggiunto all'articolo 20 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, dopo il primo comma, due ulteriori commi, il primo dei quali è del seguente tenore: "Il trattamento tributario di cui al primo comma si applica anche a tutti gli atti preordinati alla trasformazione del territorio posti in essere mediante accordi o convenzioni tra privati ed enti pubblici, nonchè a tutti gli atti attuativi posti in essere in esecuzione dei primi”. […]>> Premesso che non si è in presenza di una norma meramente interpretativa, la sua irretroattività è desumibile, argomentando a contrario, dal successivo terzo comma, a tenore del quale <<La disposizione di cui al secondo comma si applica a tutte le convenzioni e atti di cui all'articolo 40-bis della legge provinciale di Bolzano 11 agosto 1997, n. 13, per i quali non siano ancora scaduti i termini di accertamento e di riscossione ai sensi della normativa vigente o rispetto ai quali non sia stata emessa sentenza passata in giudicato.>> In tema di efficacia nel tempo di norme tributarie, in base all'art. 3 della legge n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, va esclusa l'applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 4411 del 20/02/2020; cfr. altresì Cass., Sez. 5, Sentenza n. 17953 del 24/07/2013). Nella fattispecie in esame, non trova applicazione il principio di retroattività della legge successiva più favorevole, posto che, come ribadito dalla Corte costituzionale con sentenza del 20 luglio 2016 n. 193, nel quadro delle garanzie apprestato dalla CEDU non si rinviene l'affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata del menzionato principio, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, né è dato rinvenire un vincolo costituzionale nel senso dell'applicazione in ogni caso della legge successiva più favorevole (nel caso di specie, che estende le agevolazioni), rientrando nella discrezionalità del legislatore modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore in base alle materie oggetto di disciplina (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 9269 del 16/04/2018, in tema di sanzioni amministrative; v. altresì Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19729 del 02/10/2015). Senza tralasciare che la Biocasa s.r.l., come si è già anticipato, per sua stessa ammissione (v. pag. 3 del ricorso), ha impugnato l'avviso di liquidazione sostenendo che gli alloggi da realizzarsi sul terreno compravenduto erano inseriti nell'ambito di interventi qualificabili quali programmi pubblici di edilizia residenziale in base al titolo IV della L. 865/1971, nonché altresì sussumibili nelle categorie del titolo III della l. 865/71 (come integrato dall'art. 18 l. 457/78) quali interventi di edilizia economica e popolare. 4.3. Né si potrebbe invocare una disparità di trattamento, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost., per l’applicazione retroattiva della norma in oggetto con riferimento alla Provincia di Bolzano, atteso che il comma 3 dell'articolo 20 della legge n. 10 del 1977, inserito per effetto delle modifiche introdotte dal comma 88 dell'articolo 1 della legge n. 205 del 2017, nel prevedere che "la disposizione di cui al secondo comma si applica a tutte le convenzioni e atti di cui all'articolo 40-bis della legge provinciale di Bolzano 11 agosto 1997, n. 13", riconduce in tal caso la spettanza dei benefici fiscali di cui all'articolo 32, comma 2 del d.P.R. n. 601 del 1973, alla stipula di una specifica convenzione urbanistica, redatta ai sensi dell'articolo 40-bis della legge provinciale n. 13 del 1997. In proposito, va altresì evidenziato che il menzionato art. 40 bis prevede, in tema di convenzione urbanistica, una disciplina per più versi particolare, atteso che, dopo le enunciazioni generali contenute nei primi tre commi (1. Il comune può stipulare convenzioni urbanistiche con privati o enti pubblici al fine di facili tare, nel pubblico interesse, l'attuazione di interventi previsti nel piano urbanistico comunale oppure in un piano attuativo. Rimangono salvi gli obblighi di legge in capo alle parti contraenti. 2. Le convenzioni urbanistiche hanno lo scopo di coprire il fabbisogno abitativo della popolazione residente, di mettere a disposizione aree per insediamenti produttivi o di realizzare e gestire opere ed impianti pubblici. 3. Le convenzioni urbanistiche possono prevedere l'acquisto di immobili e di diritti reali oppure l'assunzione dei costi di realizzazione, gestione o costi successivi nonché l'esecuzione di misure compensative di risanamento o di compensazione di danni all'ambiente o al paesaggio da parte dei contraenti in cambio delle seguenti prestazioni), stabilisce, al comma 4, che il comune può acquisire immobili adatti alla permuta oppure alla destinazion e a terreni edificabili, al comma 5, che nelle zone edificabili previste oppure nei diritti edificatori costituiti allo sco po di attuare le convenzioni di cui al presente articolo si può derogare alle disposizioni di cui all’articolo 37 (dettato in tema di Piani di attuazione per le zone di espansione) e che, qualora sia prevista la realizzazione di abitazioni, il 100% della relativa cu batura è soggetta all'obbligo di convenzionamento ai sensi dell'articolo 79 (in tema di edilizia convenzionata), al comma 6, che le controprestazioni contrattuali del contraente devono avere un nesso di mediata causalità ed essere congrue (per accertare la congruità deve essere acquisito il parere dell'Ufficio Estimo provinciale, il quale tra l’altro conferma che le controprestazioni non compromettono l'interesse della pubblica amministrazione; la stima deve considerare l'incremento del valore conseguente all'atto di pianificazione ed il valore economico della deroga di cui al comma 5 e può essere anche effettuata da parte di liberi professionisti giurati sulla base di direttive vincolanti elaborate dall’Ufficio Estimo provinciale ed approvate dalla Giunta provinciale; il contraente deve essere proprietario maggioritario dell'immobile oggetto del contratto da almeno 5 anni, fatti salvi i casi di donazione o eredità), al comma 7, che le aree oggetto di una convenzione urbanistica ai sensi del comma 5 vengono contrassegnate nel piano urbanistico comunale, che la convenzione urbanistica e le relative varianti al piano urbanistico comunale sono approvate secondo il procedimento di cui all'articolo 19 (dettato per l’approvazione del piano urbanistico comunale) e che la valutazione della Commissione per la natura, il paesaggio e lo sviluppo del territorio comprende anche la verifica del rispetto dei presupposti di applicazione, degli obiettivi e dei principi di cui al presente articolo) e, al comma 8, che, per attuare interventi che ricadono nella competenza della Provincia, la Giunta provinciale può, sentito il comune territorialmente interessato, procedere a stipulare convenzioni urbanistiche con enti pubblici e con privati ed inserirle nel piano urbanistico comunale applicando il procedimento di cui all'articolo 21, comma 2 (previsto per il caso in cui la Giunta provinciale intenda di propria iniziativa apportare le varianti al piano urbanistico) e che, qualora siano interessate anche competenze di un comune, questo comune partecipi come parte contrattuale alla convenzione urbanistica. La questione di legittimità costituzionale prospettata dalla ricorrente in riferimento al citato comma 3, dell’art. 20, pertanto, appare manifestamente infondata, dal momento che, non solo le situazioni su cui è misurata la disparità di trattamento non sono uguali, appartenendo il territorio considerato dalla norma ad una provincia autonoma, tertium comparationis non assimilabile ad una Regione, per l’altro, neppure la questione potrebbe condurre ad un’estensione indiscriminata di quella disposizione, non essendo la ipotetica pronuncia invocata dalla parte costituzionalmente imposta nel senso della retroattività della norma tributaria di nuova formulazione. 5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 4.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione il 14.05.2024. Il Consigliere estensore Dott. Andrea Penta Il Presidente Dott. Federico Sorrentino
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6229 del 2020, proposto da Ec. Vi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fe., En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio En. Ro. in Milano, piazza (...); contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, viale (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza n. 02401/2019. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Ne. è comparso per le parti costituite. Viste le conclusioni delle parti come da verbale.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. È appellata la sentenza n. 2401/2019 del Tar Lombardia - Milano di reiezione del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo proposto da Ec. Vi. S.r.l. (d'ora in poi Ec.) e conseguentemente confermato il decreto ingiuntivo n. 904/2016 del 16 ottobre 2016. 2. La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso può essere riassunta nel modo che segue. La società ricorrente gestisce, nel Comune di (omissis) (LO) una centrale termoelettrica della potenza di 3,5 MW per la produzione di energia da fonte rinnovabile. Ec. avviava l'attività, apportando anche diverse migliorie all'impianto e diversificando le fonti di approvvigionamento, con l'aumento delle tipologie di rifiuti da utilizzarsi, sempre nei limiti del DM 5 febbraio 1998, con ricorso alle procedure semplificate di volta in volta necessarie ex artt. 31 e 33 del dlgs 22/1997. Da ultimo, in vigore il DM 5 aprile 206, n. 186, Ec. chiedeva di essere autorizzata a fare ricorso al CDR (combustibile da rifiuti) che la Provincia non respingeva, nulla opponendo alla relativa comunicazione, effettuata ai sensi degli artt. 214 e 216 d.lgs. 152/2006. Il Comune intimato si opponeva all'ampliamento, impugnando con ricorso straordinario l'autorizzazione provinciale e ponendo in essere una serie di iniziative culminate nell'approvazione dello strumento urbanistico PGT che attribuiva all'area della ricorrente la destinazione di "area strategica INC", così da rendere incompatibili le attività di produzione di energia elettrica e finanche la manutenzione dei fabbricati, salve le sole operazioni di trasformazione dell'intero comparto (art. 11 NTA). La ricorrente impugnava la deliberazione con ricorso nr. 785/2010. Nel frattempo, la Provincia di Lodi accoglieva l'istanza ex art. 12 d.lgs. 387/2003 ed art. 208 d.lgs. 152/2006, per la produzione di energia elettrica rinnovabile mediante biomasse (non rifiuti) e rifiuti, istanza (giusta DD del 7 ottobre 2011, n. 1399/2011, titolo successivamente adeguato con DD del 7 dicembre 2012, n. 1087/2012). Nel descritto contesto, la ricorrente ed il Comune stipulavano convenzione in data 18 febbraio 2013. Ec. s'impegnava a localizzare l'impianto in altro luogo al termine del periodo di incentivazione della centrale elettrica, con contestuale avvio, in aggiunta alle attività già svolte, della "pellettizzazione" di biomasse legnose, destinate in parte alla termovalorizzazione con recupero di calore ed in parte alla commercializzazione; a riconoscere al Comune un contributo pari ad euro 0,8 per ogni tonnellata di rifiuto e "cippato" autorizzato e conferito all'interno dell'impianto. Il Comune, con successivo atto di "interpretazione autentica" precisava che la valutazione della eventuale ricollocazione potrà essere affrontata dalle parti allo scadere del periodo di anni 15 di autorizzazione IAFR per certificati verdi e che "per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione". La ricorrente presentava istanza (d.9 maggio 2014) volta alla realizzazione d'intervento manutentivo, richiedendo alla Provincia l'autorizzazione a sostituire le torri di raffreddamento realizzate nel 1999, con altre di medesima funzionalità e potenza, da realizzare nello stesso sito delle precedenti, necessarie per mantenere l'efficienza ottimale di funzionamento, perseguendo altresì notevoli vantaggi ambientali quali la diminuzione del rumore e delle emissioni di vapore acqueo. La Provincia, nel procedimento apertosi sull'istanza ex art. 12 d.l.gs. 387/2003 e 208 d.lgs. 152/2006, chiedeva al Comune di valutare l'istanza quanto ai profili di competenza comunale (esame paesistico, matrice rumore, conformità urbanistica). Il Comune esprimeva parere negativo (nota 16 luglio 2014, n. 3358) qualificando l'operazione prospettata dalla ricorrente di "manutenzione straordinaria", di variante sostanziale ai sensi dell'art. 208 d.lgs. 152/2006, come tale necessitante di apposito elaborato tecnico di valutazione dell'impatto sulla matrice "rumore", derivante dall'attività di carattere straordinario oggetto dell'iniziativa, che non sarebbe stato adeguatamente esaminato ed approfondito; evidenziando altresì che l'intervento ricadeva in area di PGT non compatibile ("Area strategica INC"); che gli unici interventi autorizzabili senza limitazioni erano quelli di cui all'art. 11, comma 5, del Piano delle Regole del vigente PGT. La Provincia di Lodi richiedeva pertanto alla ricorrente di presentare apposito studio previsionale di impatto acustico, che quest'ultima redigeva e depositava il 7 agosto 2014, trasmettendolo anche al Comune che confermava il 12 settembre 2014 il proprio precedente parere negativo, sulla scorta di un riscontrato superamento dei limiti di zona e sottolineando l'opportunità di trattare la tematica all'interno della più ampia conferenza di servizi dell'istanza AIA. La Provincia con nota del 25 settembre 2014 rilasciava il titolo abilitativo alla sostituzione delle torri, condividendo il contenuto dello studio di impatto acustico prodotto dalla ricorrente, quindi superando il parere negativo reso dal Comune di (omissis). 3. Con ricorso n. 1601/2016 dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia il Comune di (omissis) invocava l'ingiunzione ex art. 641 c.p.c. alla società Ec. Vi. Srl della somma di 44.221,44 derivanti dall'inadempimento della Convenzione stipulata in data 18 febbraio 2013 che prevedeva, all'art. 6, la corresponsione da parte della società intimata di un contributo di euro 0,80 per tonnellata di rifiuti bruciata alle scadenze stabilite del 31 luglio e del 31 gennaio di ogni anno. 4. In accoglimento della domanda, veniva emesso il decreto ingiuntivo n. 904/2016 del 19 ottobre 2016. La società intimata opponeva il decreto ingiuntivo. 5. Con sentenza n. 2401 del 13 novembre 2019 il Tar ha respinto il ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo proposto da Ec. Vi. S.r.l. e conseguentemente confermato il decreto ingiuntivo n. 904/2016 del 16 ottobre 2016. 6. Appella la sentenza la Ec. Vi. S.r.l. 7. Resiste in giudizio il Comune di (omissis). 8. All'udienza da remoto dell'8 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 9. Con il primo motivo e secondo motivo d'appello, strettamente connessi per gli argomenti dedotti tanto da essere trattati congiuntamente, si deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il primo motivo di ricorso avente ad oggetto la nullità e/o inefficacia del decreto ingiuntivo n. 1183 del 28 dicembre 2017 per difetto di giurisdizione. Il Tar ha escluso che la pretesa avanzata dal Comune avesse natura tributaria, stante la natura della Convenzione "di accordo ex art. 11 l. 241/90, con conseguente giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che include anche le questioni esecutive, come quelle relative alla esecuzione delle obbligazioni assunte tra le parti". L'appellante ritiene invece che la Convenzione non possa essere ricondotta nel novero degli accordi ex art. 11 L. 241/1990 e quindi non sia in grado di radicare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La pretesa creditoria sarebbe nulla per invalidità della convenzione nel suo complesso, nonché per violazione dell'articolo 23 della Costituzione. L'appellante ribadisce la natura tributaria del contributo, così qualificata dalla stessa amministrazione comunale e, quindi, l'illegittimità della clausola, praeter legem, che lo ricomprende per contrasto con l'art. 23 Cost. In ogni caso l'atto di impegno unilaterale teso a prevedere questa obbligazione sarebbe nullo per mancanza di causa, non rientrando l'obbligazione, unilateralmente assunta, in uno schema sinallagmatico, né tantomeno in uno schema normativo che preveda una simile contribuzione, prescindendo dunque dalla predetta sinallagmaticità ed attraendo la stessa ad area tributaria. 10. I motivi d'appello sono infondati. La pretesa creditoria trova fonte nell'accordo pattizio stipulato fra il Comune di (omissis) e Ec. ex art. 11 l. 241/1990, devoluto alla cognizione del giudice amministrativo, nell'ambito della propria giurisdizione esclusiva, ex art. 11, comma 5, l. cit., trasfuso nell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, del c.p.a. (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2017, n. 2256). Sicché la disposizione cesurata, non avendo genesi nel rapporto tributario, ma in quello convenzionale, si sottrae alla denuncia di nullità per violazione dell'art. 23 cost. dedotta sul profilo che l'asserito tributo, a carico d'operatore che gestisca un impianto a fonte rinnovabile alimentato a rifiuti, non è previsto né disciplinato da norma di legge. Ad analoga conclusione deve giungersi con riguardo alla censura che la Convenzione del 18 febbraio 2013 sarebbe nulla per mancanza di causa, non avendo le parti dedotto nel suo ambito un preciso sinallagma, dal quale possano discendere obbligazioni giuridicamente vincolanti per le medesime. La Convenzione, lungi da essere priva di causa, si connota per la previsione di plurime obbligazioni assunte dalla società, analiticamente elencate agli artt. 2, 4 e 6 della Convenzione, a fronte dell'impegno assunto dal Comune. Il sinallagma descritto sostanzia la c.d. causa concreta che nei rapporti atipici governa il rapporto. 11. Con il terzo motivo d'appello è censurata la sentenza per erroneità nella parte in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso con cui l'appellante aveva invocato il disposto dell'art. 1460 c.c., stante la violazione da parte del Comune degli obblighi di cui alla convenzione del 18 febbraio 2013. Il Tar ha ritenuto che l'inadempimento del Comune non potesse sorreggere l'eccezione di inadempimento di Ec., posto che l'inadempimento eccepito dalla medesima non scaturirebbe dalla Convenzione, bensì da un atto esterno che regola la collaborazione tra le parti, il quale sarebbe pienamente autonomo dalla prima. L'appellante lamenta che l'atto sottoscritto dal sindaco del Comune di (omissis) laddove prevede che "per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione" è un atto successivo e quindi integrativo della Convenzione, specificamente sottoscritto dal legale rappresentante dell'ente e come tale certamente vincolante l'ente. 12. Il motivo è infondato. Sul punto va confermato il rilievo in fatto, contenuto nella sentenza appellata, che il denunciato inadempimento del Comune non scaturisce dalla Convenzione del 18.02.2013 ma da un atto esterno ad essa, a firma del Sindaco, privo di data, contenente precisazioni in ordine alla "stipulanda convenzione", le quali non sono state recepite in sede di stesura definitiva della Convenzione medesima. Sicché difetta in radice il presupposto giuridico - la pattuizione di prestazioni corrispettive scaturenti dal medesimo negozio sinallagmatico - che fonda l'eccezione d'inadempimento in esame. 13. Con il quarto e ultimo motivo l'appellante censura la sentenza nella parte in cui ha dichiarato infondata la richiesta di Ec. alla ripetizione delle somme già versate. 14. Il motivo è infondato. Dato conto che non si ravvisa il difetto di presupposti per nullità della clausola contrattuale, né l'inadempimento della convenzione imputabile al fatto del Comune dedotti nei motivi d'appello sopra scrutinati, è radicalmente infondata la pretesa di ripetizione delle somme già versate poiché non sussiste, ex artt. 2033 c.c. e ss, il presupposto oggettivo dell'actio indebiti, incentrato sulla nullità del rapporto giuridico, di fonte pattizia, che prescriveva il versamento dei contributi di cui si richiede la restituzione. 14. Conclusivamente l'appello è infondato e deve essere respinto. 15. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Ec. Vi. S.r.l. alla rifusione delle spese in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF, Estensore Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Sabbato - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6241 del 2020, proposto da Ec. Vi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fe. e En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio En. Ro. in Milano, piazza (...); contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, viale (...); nei confronti Provincia di Lodi, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza n. 02339/2019, resa tra le parti, per l'accertamento Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Ne. è comparso per le parti costituite. Viste le conclusioni delle parti come da verbale.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia di reiezione del ricorso (r.g. n. 199/205) della Ec. Vi. S.r.l. per l'accertamento: - dell'inadempimento del Comune di (omissis) agli obblighi nascenti dalla Convenzione Ambientale stipulata tra il Comune e la ricorrente in data 18 febbraio 2013, per la gestione e l'esercizio dell'impianto di produzione di energia elettrica da biomasse e da rifiuti di proprietà della Ec. Vi. srl; - dell'illegittimità del parere negativo del Comune di (omissis) del 16 luglio 2014, reso nel contesto del procedimento autorizzativo di variante non sostanziale all'impianto avviato dalla ricorrente innanzi la Provincia di Lodi in data 9 maggio 2014; nonché per la condanna, - dell'Amministrazione resistente al risarcimento del danno causato alla ricorrente a titolo di inadempimento contrattuale alla citata convenzione; - dell'Amministrazione resistente al risarcimento del danno causato alla ricorrente per aver adottato un atto amministrativo illegittimo, quale deve qualificarsi il parere negativo all'adeguamento dell'impianto reso dal Comune in data 16 luglio 2014, nel contesto del procedimento di variante autorizzativa non sostanziale, avviato dalla ricorrente innanzi alla Provincia di Lodi in data 9 maggio 2014. 2. La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso può essere riassunta nel modo che segue. 2.1. La società ricorrente gestisce, nel Comune di (omissis) (LO) una centrale termoelettrica della potenza di 3,5 MW per la produzione di energia da fonte rinnovabile. La EC. avviava l'attività, apportando anche diverse migliorie all'impianto e diversificando le fonti di approvvigionamento, con l'aumento delle tipologie di rifiuti da utilizzarsi, sempre nei limiti del DM 5 febbraio 1998, con ricorso alle procedure semplificate di volta in volta necessarie ex artt. 31 e 33 del dlgs 22/1997. Da ultimo, in vigore il DM 5 aprile 206, n. 186, la EC. chiedeva di essere autorizzata a fare ricorso al CDR (combustibile da rifiuti) che la Provincia non respingeva, nulla opponendo alla relativa comunicazione (effettuata ai sensi degli artt. 214 e 216 del Dlgs 152/2006). Ma il Comune intimato si opponeva a tale ampliamento, impugnando con ricorso straordinario l'autorizzazione provinciale e ponendo in essere una serie di iniziative culminate nell'approvazione dello strumento urbanistico PGT che attribuiva all'area della ricorrente la destinazione di "area strategica INC", così da rendere incompatibili le attività di produzione di energia elettrica e finanche la manutenzione dei fabbricati, salve le sole operazioni di trasformazione dell'intero comparto (art. 11 NTA). La ricorrente impugnava la deliberazione con ricorso nr. 785/2010. Nel frattempo, la Provincia di Lodi accoglieva l'istanza ex art. 12 dlgs 387/2003 ed art. 208 dlgs 152/2006, per la produzione di energia elettrica rinnovabile mediante biomasse (non rifiuti) e rifiuti, istanza (giusta DD del 7 ottobre 2011, n. 1399/2011, titolo successivamente adeguato con DD del 7 dicembre 2012, n. 1087/2012). Nel descritto contesto, la ricorrente ed il Comune pervenivano determinazione di regolare i loro rapporti, mediante una convenzione che veniva stipulata in data 18 febbraio 2013. La EC. si impegnava a localizzare l'impianto in altro luogo al termine del periodo di incentivazione della centrale elettrica, con contestuale avvio, in aggiunta alle attività già svolte, della "pellettizzazione" di biomasse legnose, destinate in parte alla termovalorizzazione con recupero di calore ed in parte alla commercializzazione; a riconoscere al Comune un contributo pari ad euro 0,8 per ogni tonnellata di rifiuto e "cippato" autorizzato e conferito all'interno dell'impianto. Il Comune, con successivo atto di "interpretazione autentica" precisava che la valutazione della eventuale ricollocazione potrà essere affrontata dalle parti allo scadere del periodo di anni 15 di autorizzazione IAFR per certificati verdi e che "per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione". La ricorrente presentava quindi una istanza (9 maggio 2014) volta alla realizzazione di un intervento manutentivo, richiedendo alla Provincia l'autorizzazione a sostituire le torri di raffreddamento realizzate nel 1999, con altre di medesima funzionalità e potenza, da realizzare nello stesso sito delle precedenti, necessarie per mantenere l'efficienza ottimale di funzionamento, perseguendo altresì notevoli vantaggi ambientali quali la diminuzione del rumore e delle emissioni di vapore acqueo. La Provincia, nel procedimento apertosi sull'istanza ex art. 12 dlgs 387/2003 e 208 dlgs 152/2006, chiedeva al Comune di valutare l'istanza quanto ai profili di competenza comunale (esame paesistico, matrice rumore, conformità urbanistica). Il Comune esprimeva parere negativo (nota 16 luglio 2014, n. 3358) ritenendo l'operazione prospettata dalla ricorrente come di "manutenzione straordinaria", di variante sostanziale ai sensi del dlgs 152/2006 art. 208, come tale necessitante di apposito elaborato tecnico di valutazione dell'impatto sulla matrice "rumore", derivante dall'attività di carattere straordinario oggetto dell'iniziativa, che non sarebbe stato adeguatamente esaminato ed approfondito; evidenziando altresì che l'intervento ricadeva in area di PGT non compatibile ("Area strategica INC"); che gli unici interventi autorizzabili senza limitazioni erano quelli di cui all'art. 11, comma 5, del Piano delle Regole del vigente PGT. La Provincia di Lodi richiedeva pertanto alla ricorrente di presentare apposito studio previsionale di impatto acustico, che quest'ultima redigeva e depositava il 7 agosto 2014, trasmettendolo anche al Comune che confermava il 12 settembre 2014 il proprio precedente parere negativo, sulla scorta di un riscontrato superamento dei limiti di zona e sottolineando l'opportunità di trattare la tematica all'interno della più ampia conferenza di servizi dell'istanza AIA. La Provincia con nota del 25 settembre 2014 rilasciava il titolo abilitativo alla sostituzione delle torri, condividendo il contenuto dello studio di impatto acustico prodotto dalla ricorrente, quindi superando il parere negativo reso dal Comune di (omissis). 2.2. Con ricorso dinnanzi al Tar Lombardia la società ha agito per l'accertamento dell'inadempimento del Comune agli obblighi nascenti dalla Convezione, con annessa domanda di risarcimento del danno. 3. Con sentenza n. 2339 dell'8 novembre 2019 il Tar ha respinto il ricorso. Il Giudice di primo grado ha dapprima riconosciuto alla Convenzione la natura di accordo ex art. 11 l. 241/90, in quanto rivolta, da un lato, ad integrare gli effetti di un provvedimento costitutivo di un contributo ambientale avente natura latamente indennitaria, dall'altro a disciplinare l'esercizio dei poteri (doverosi) dell'Ente in ordine al controllo del corretto funzionamento dell'impianto e del rispetto delle varie garanzie offerte dalla ricorrente. Il Giudice ha poi escluso che la nota del Sindaco del Comune di "interpretazione autentica" potesse in qualche modo avere valore ai fini dell'impegno dell'Ente. 4. Appella la sentenza la Ec. Vi. S.r.l.. 5. Resiste in giudizio il Comune di (omissis) per il rigetto del gravame. 6. In vista dell'udienza di smaltimento le parti hanno depositato memorie conclusionali e memorie di replica. All'udienza dell'8 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 7. Con il primo motivo d'appello e terzo motivo d'appello, strettamente connessi sì da essere trattati congiuntamente, si lamenta l'erroneità della sentenza nella parte in cui esclude ogni validità dell'atto integrativo della Convenzione negando che il Comune fosse tenuto ad osservarlo. La ricorrente ritiene che l'atto di interpretazione autentica sia parte integrante della Convenzione in quanto a) atto a specificare e precisare gli obblighi già oggetto di Convenzione e b) proveniente dal legale rappresentante dell'Ente comunale. Ed erroneamente, s'aggiunge, il giudice di prime cure ha escluso la natura emulativa ed illegittima del comportamento serbato dal Comune auto-vincolatosi con la sottoscrizione della clausola. 8. I motivi sono infondati. Preliminare ad ogni altra valutazione è l'esatta interpretazione delle clausole convenzionali la cui violazione viene invocata dalla parte ricorrente come titolo per il risarcimento. La nota del Sindaco del Comune, priva di data, che fonda il ricorso nonché l'azione di risarcimento danni, recita "viene precisato che....per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione". La nota è contenuta in un atto privo di protocollo e di data certa e, non essendo compresa nella convenzione sottoscritta dal Comune, non assume la qualifica di obbligazione integrativa della Convenzione. E, in considerazione della dicotomia competenze gestionali - prerogative degli organi elettivi che disciplina l'apparato amministrativo burocratico degli enti locali, non impegna giuridicamente l'amministrazione. Sicché difetta in radice il nesso sinallagmatico tra l'obbligazione di corrispondere un importo predeterminato per il trattamento dei rifiuti e l'impegno del Comune assunto nella nota sindacale di cui si tratta, Conseguentemente, esorbitando dall'ambito delle pattuizione previste nella convenzione l'obbligo a carico del Comune di sostenere incondizionatamente ogni iniziativa della ricorrente, non è dato rinvenire alcuna violazione della convenzione nei termini indicati dalla società ricorrente. 9. Con il secondo motivo l'appellante censura l'erroneità della sentenza nella parte in cui, riconosciuta l'invalidità dell'atto integrativo della Convenzione, non ha rilevato il proprio difetto di giurisdizione o quantomeno la nullità dell'intera Convenzione per difetto di causa. Sostiene la società appellante che, esclusa ogni efficacia dell'atto integrativo, difetterebbero i presupposti per ricondurre la Convezione nel genus degli accordi integrativi/ sostitutivi di provvedimento ex art. 11 L. 241/1990, posto che difetterebbe il provvedimento tipico da sostituire/integrare con gli obblighi convenzionali. Il caso di specie non rientrerebbe inoltre neppure nelle ipotesi di convenzione obbligatoria per legge dal momento che la produzione di energia da fonti rinnovabili costituirebbe attività libera, soggetta ad una procedura semplificata di autorizzazione unica, non subordinata al pagamento di alcun corrispettivo. Alla luce delle considerazioni anzi svolte, la Convezione sarebbe nulla per difetto di causa venendo meno qualsivoglia ragione giustificatrice dell'impegno unilaterale e delle formalità prescritte dalla legge ad substantiam e, in conseguenza di ciò, difetterebbe la giurisdizione del TAR adito, non potendo trovare applicazione l'ipotesi di giurisdizione esclusiva di cui all'art. 133 co. 1 lett. a, n. 2, c.p.a.. 10. Il motivo è infondato. Nella cognizione di precedenti appelli, strettamente connessi a quello qui in esame, s'è già precisato che la pretesa creditoria da obbligazione, avanzata dalla società, trova fonte nell'accordo pattizio stipulato fra il Comune di (omissis) e EC. ex art. 11 l. 241/1990, devoluto alla cognizione del giudice amministrativo, nell'ambito della propria giurisdizione esclusiva, ex art. 11, comma 5, l. cit., trasfuso nell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, del c.p.a. (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2017, n. 2256). Sicché la disposizione cesurata, non avendo genesi nel rapporto tributario, ma in quello convenzionale, si sottrae alla denuncia di nullità per violazione dell'art. 23 cost. dedotta sul profilo che l'asserito tributo, a carico d'operatore che gestisca un impianto a fonte rinnovabile alimentato a rifiuti, non è previsto né disciplinato da norma di legge. Ad analoga conclusione deve giungersi con riguardo alla censura che la Convenzione del 18 febbraio 2013 sarebbe nulla per mancanza di causa, non avendo le parti dedotto nel suo ambito un preciso sinallagma, dal quale possano discendere obbligazioni giuridicamente vincolanti per le medesime. La Convenzione, lungi da essere priva di causa, si connota per la previsione di plurime obbligazioni assunte dalla società, analiticamente elencate agli artt. 2, 4 e 6 della Convenzione, a fronte dell'impegno assunto dal Comune. Il sinallagma descritto sostanzia la c.d. causa concreta che nei rapporti atipici governa il rapporto. Statuizione che devono essere qui riconfermate. 11. Con il quarto motivo è censurata l'erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice di prime cure ha ritenuto assorbite le ragioni dedotte a sostegno dell'istanza risarcitoria escludendo l'efficacia causale dell'illegittimo parere reso dal Comune. L'appellante ripropone la domanda risarcitoria sostenendone i presupposti, tra cui: a) il nesso eziologico: se il Comune avesse rilasciato parere positivo la Provincia avrebbe immediatamente autorizzato l'intervento ed EC. non avrebbe patito alcun danno; b) l'elemento soggettivo: il Comune ha agito con grave negligenza e imperizia, violando principi generali posti dal codice in materia di obbligazioni e contratti (correttezza, buona fede...), nonché principi assolutamente generali in materia di azione amministrativa; c) il danno: sotto forma di lucro cessante (dato dall'impossibilità di cedere l'energia elettrica al gestore della rete a causa del fermo impianto nonché dall'impossibilità di alienare i certificati verdi riconosciuti dal GSE per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili) e danno emergente (maggiori costi sostenuti a causa dei fermi dell'impianto dovuti all'inefficienza delle torri evaporative esistenti, per un ammontare complessivo pari ad euro 328.350,17. 12. Il motivo è infondato. In forza delle le considerazioni sopra rassegnate, non sussiste alcun comportamento illecito imputabile al Comune che sostanzi il presupposto giuridico del comportamento contra ius o non iure fondante il presupposto oggettivo dell'azione di risarcimento proposta dalla società appellante. In altre termini non sussiste il danno contra ius che, ai sensi degli artt. 7, 30 c.pa. e 2043 c.c., costituisce presupposto per il ristoro del pregiudizio economico dedotto in giudizio dall'appellante. 13. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 14. Sussistono giustificati motivi, ravvisabili nella riedizione delle questioni già dedotte in precedenti ricorsi, per compensare le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF, Estensore Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Sabbato - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2842 del 2020, proposto da Ec. Vi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fe. e En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio En. Ro. in Milano, piazza (...); contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, viale (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza n. 01860/2019. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Ne. è comparso per le parti costituite. Viste le conclusioni delle parti come da verbale.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. È appellata la sentenza n. 1860/2019 del Tar Lombardia - Milano di reiezione del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo proposto da Ec. Vi. S.r.l. (d'ora in poi Ec.) e conseguentemente confermato il decreto ingiuntivo n. 1183/2017. 2.1. La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso può essere riassunta nel modo che segue. La società ricorrente gestisce nel Comune di (omissis) (LO) una centrale termoelettrica della potenza di 3,5 MW per la produzione di energia da fonte rinnovabile. Ec. avviava l'attività apportando diverse migliorie all'impianto e diversificando le fonti di approvvigionamento, con l'aumento delle tipologie di rifiuti da utilizzarsi nei limiti del DM 5 febbraio 1998, con ricorso alle procedure semplificate di volta in volta necessarie ex artt. 31 e 33 d.lgs. 22/1997. Da ultimo, in vigore il DM 5 aprile 206, n. 186, la Ec. chiedeva di essere autorizzata a fare ricorso al CDR (combustibile da rifiuti); la Provincia non s'opponeva alla comunicazione (effettuata ai sensi degli artt. 214 e 216 d.lgs. 152/2006). Viceversa, Comune intimato si opponeva a tale ampliamento, impugnando con ricorso straordinario l'autorizzazione provinciale e ponendo in essere una serie di iniziative culminate nell'approvazione dello strumento urbanistico PGT che attribuiva all'area della ricorrente la destinazione di "area strategica INC", così da rendere incompatibili le attività di produzione di energia elettrica e finanche la manutenzione dei fabbricati, salve le sole operazioni di trasformazione dell'intero comparto (art. 11 NTA). La ricorrente impugnava la deliberazione con ricorso nr. 785/2010. Nel frattempo, la Provincia di Lodi accoglieva l'istanza ex art. 12 d.lgs. 387/2003 ed art. 208 d.lgs. 152/2006, per la produzione di energia elettrica rinnovabile mediante biomasse (non rifiuti) e rifiuti, istanza (giusta DD del 7 ottobre 2011, n. 1399/2011, titolo successivamente adeguato con DD del 7 dicembre 2012, n. 1087/2012). Nel descritto contesto, la ricorrente ed il Comune pervenivano determinazione di regolare i loro rapporti, mediante la convenzione stipulata il 18 febbraio 2013. Ec. si impegnava a localizzare l'impianto in altro luogo al termine del periodo di incentivazione della centrale elettrica, con contestuale avvio, in aggiunta alle attività già svolte, della "pellettizzazione" di biomasse legnose, destinate in parte alla termovalorizzazione con recupero di calore ed in parte alla commercializzazione; a riconoscere al Comune un contributo pari ad euro 0,8 per ogni tonnellata di rifiuto e "cippato" autorizzato e conferito all'interno dell'impianto. Il Comune, con successivo atto di "interpretazione autentica" precisava che la valutazione della eventuale ricollocazione potrà essere affrontata dalle parti allo scadere del periodo di anni 15 di autorizzazione IAFR per certificati verdi e che "per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione". La ricorrente presentava stanza (9 maggio 2014) volta alla realizzazione d'intervento manutentivo, richiedendo alla Provincia l'autorizzazione a sostituire le torri di raffreddamento realizzate nel 1999, con altre di medesima funzionalità e potenza, da realizzare nello stesso sito delle precedenti, necessarie per mantenere l'efficienza ottimale di funzionamento, perseguendo altresì notevoli vantaggi ambientali quali la diminuzione del rumore e delle emissioni di vapore acqueo. La Provincia, nel procedimento apertosi sull'istanza ex art. 12 d.lgs. 387/2003 e 208 d.lgs. 152/2006, chiedeva al Comune di valutare l'istanza quanto ai profili di competenza comunale (esame paesistico, matrice rumore, conformità urbanistica). Il Comune esprimeva parere negativo (nota 16 luglio 2014, n. 3358) ritenendo l'operazione prospettata dalla ricorrente come di "manutenzione straordinaria", di variante sostanziale ai sensi dell'art. 208 d.lgs. 152/2006, come tale necessitante di apposito elaborato tecnico di valutazione dell'impatto sulla matrice "rumore", derivante dall'attività di carattere straordinario oggetto dell'iniziativa, che non sarebbe stato adeguatamente esaminato ed approfondito; evidenziando altresì che l'intervento ricadeva in area di PGT non compatibile ("Area strategica INC"); che gli unici interventi autorizzabili senza limitazioni erano quelli di cui all'art. 11, comma 5, del Piano delle Regole del vigente PGT. La Provincia di Lodi richiedeva alla ricorrente di presentare apposito studio previsionale di impatto acustico, che quest'ultima redigeva e depositava il 7 agosto 2014, trasmettendolo anche al Comune che confermava il 12 settembre 2014 il proprio precedente parere negativo, sulla scorta di un riscontrato superamento dei limiti di zona e sottolineando l'opportunità di trattare la tematica all'interno della più ampia conferenza di servizi dell'istanza AIA. La Provincia con nota del 25 settembre 2014 rilasciava il titolo abilitativo alla sostituzione delle torri, condividendo il contenuto dello studio di impatto acustico prodotto dalla ricorrente, quindi superando il parere negativo reso dal Comune di (omissis). 2.2. Con ricorso n. 2847/2017 dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia il Comune di (omissis) invocava l'ingiunzione ex art. 641 c.p.c. alla società Ec. Vidardo Srl della somma di Euro 22.320,50 derivanti dall'inadempimento della Convenzione stipulata in data 18 febbraio 2013 che prevedeva, all'art. 6, la corresponsione da parte della società intimata di un contributo di euro 0,80 per tonnellata di rifiuti bruciata alle scadenze stabilite del 31 luglio e del 31 gennaio di ogni anno. 2.3. In accoglimento della domanda, veniva emesso il decreto ingiuntivo n. 1183 del 28 dicembre 2017. La società intimata opponeva il decreto ingiuntivo. 3. Con sentenza n. 1860 del 7 agosto 2019 il Tar adito ha respinto il ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo proposto da Ec. Vi. S.r.l. e conseguentemente confermato il decreto ingiuntivo n. 1183/2017. 4. Appella la sentenza la Ec. Vi. S.r.l. 5. Resiste in giudizio il Comune di (omissis). 6. All'udienza da remoto dell'8 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 7. Con il primo motivo e secondo motivo d'appello, strettamente connessi per gli argomenti dedotti tanto da essere trattati congiuntamente, si deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il primo motivo di ricorso avente ad oggetto la nullità e/o inefficacia del decreto ingiuntivo n. 1183 del 28 dicembre 2017 per difetto di giurisdizione. Il Tar ha escluso che la pretesa avanzata dal Comune avesse natura tributaria, stante la natura della Convenzione "di accordo ex art. 11 l. 241/90, con conseguente giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che include anche le questioni esecutive, come quelle relative alla esecuzione delle obbligazioni assunte tra le parti". L'appellante ritiene invece che la Convenzione non possa essere ricondotta nel novero degli accordi ex art. 11 L. 241/1990 e quindi non sia in grado di radicare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La pretesa creditoria sarebbe nulla per invalidità della convenzione nel suo complesso, nonché per violazione dell'articolo 23 della Costituzione. L'appellante ribadisce la natura tributaria del contributo, così qualificata dalla stessa amministrazione comunale e, quindi, l'illegittimità della clausola, praeter legem, che lo ricomprende per contrasto con l'art. 23 Cost. In ogni caso l'atto di impegno unilaterale teso a prevedere questa obbligazione sarebbe nullo per mancanza di causa, non rientrando l'obbligazione, unilateralmente assunta, in uno schema sinallagmatico, né tantomeno in uno schema normativo che preveda una simile contribuzione, prescindendo dunque dalla predetta sinallagmaticità ed attraendo la stessa ad area tributaria. 8. I motivi d'appello sono infondati. La pretesa creditoria trova fonte nell'accordo pattizio stipulato fra il Comune di Castiraga e Ec. ex art. 11 l. 241/1990, devoluto alla cognizione del giudice amministrativo, nell'ambito della propria giurisdizione esclusiva, ex art. 11, comma 5, l. cit., trasfuso nell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, del c.p.a. (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2017, n. 2256). Sicché la disposizione cesurata, non avendo genesi nel rapporto tributario, ma in quello convenzionale, si sottrae alla denuncia di nullità per violazione dell'art. 23 cost. dedotta sul profilo che l'asserito tributo, a carico d'operatore che gestisca un impianto a fonte rinnovabile alimentato a rifiuti, non è previsto né disciplinato da norma di legge. Ad analoga conclusione deve giungersi con riguardo alla censura che la Convenzione del 18 febbraio 2013 sarebbe nulla per mancanza di causa, non avendo le parti dedotto nel suo ambito un preciso sinallagma, dal quale possano discendere obbligazioni giuridicamente vincolanti per le medesime. La Convenzione, lungi da essere priva di causa, si connota per la previsione di plurime obbligazioni assunte dalla società, analiticamente elencate agli artt. 2, 4 e 6 della Convenzione, a fronte dell'impegno assunto dal Comune. Il sinallagma descritto sostanzia la c.d. causa concreta che nei rapporti atipici governa il rapporto. 9. Con il terzo motivo d'appello è censurata la sentenza per erroneità nella parte in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso con cui l'appellante aveva invocato il disposto dell'art. 1460 c.c., stante la violazione da parte del Comune degli obblighi di cui alla convenzione del 18 febbraio 2013. Il Tar ha ritenuto che l'inadempimento del Comune non potesse sorreggere l'eccezione di inadempimento di Ec., posto che l'inadempimento eccepito dalla medesima non scaturirebbe dalla Convenzione, bensì da un atto esterno che regola la collaborazione tra le parti, il quale sarebbe pienamente autonomo dalla prima. L'appellante lamenta che l'atto sottoscritto dal sindaco del Comune di (omissis) laddove prevede che "per tutto il periodo di funzionamento dell'impianto le manutenzioni e le migliorie tecniche per l'ottimo funzionamento dell'impianto non soggiaceranno ad alcuna limitazione" è un atto successivo e quindi integrativo della Convenzione, specificamente sottoscritto dal legale rappresentante dell'ente e come tale certamente vincolante l'ente. 10. Il motivo è infondato. Sul punto va confermato il rilievo in fatto, contenuto nella sentenza appellata, che il denunciato inadempimento del Comune non scaturisce dalla Convenzione del 18.02.2013 ma da un atto esterno ad essa, a firma del Sindaco, privo di data, contenente precisazioni in ordine alla "stipulanda convenzione", le quali non sono state recepite in sede di stesura definitiva della Convenzione medesima. Sicché difetta in radice il presupposto giuridico - la pattuizione di prestazioni corrispettive scaturenti dal medesimo negozio sinallagmatico - che fonda l'eccezione d'inadempimento in esame. 11.Conclusivamente l'appello è infondato e deve essere respinto. 12. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Ec. Vi. S.r.l. alla rifusione delle spese in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF, Estensore Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Sabbato - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 824 del 2021, proposto da Ed. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore della società, Va. Lo., An. Ne., rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. Gi., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; contro Comune Bergamo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Gr., Ga. Pa., Si. Ma., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ga. Pa. in Roma, via (...); Regione Lombardia; Provincia di Bergamo; Tr. El. Be. s.p.a., non costituite in giudizio; nei confronti Ch. Li. s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Be., An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato An. Ma. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - sezione staccata di Brescia (sezione seconda) n. 856/2020. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune Bergamo e della società Ch. Li. s.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2024 il consigliere Paolo Marotta e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale; Viste le conclusioni delle parti. 1. Gli odierni appellanti hanno impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il T.A.R. Lombardia - sezione staccata di Brescia, sez. II, ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio, avente ad oggetto la domanda di annullamento del decreto del Presidente della Regione Lombardia dell'11 ottobre 2018 n. 139 di approvazione dell'Accordo di Programma per la riqualificazione urbanistica di un'ampia area degradata del Comune di Bergamo, sita alla via (omissis) (denominata, per brevità, ex OTE). 1.1. Gli appellanti evidenziano che l'Accordo di Programma in questione concerne la trasformazione urbanistica di un vecchio insediamento industriale dismesso, comportante variante al Piano regolatore del Comune di Bergamo; il compendio immobiliare si trova a ridosso della cinta muraria del Ci. mo. di Be.. 1.2. Il giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile il ricorso, per difetto di legittimazione ad agire, in quanto: a) la società Ed. s.r.l. è proprietaria di due immobili ubicati in zona (omissis) rispetto al Ci. mo. di Be. e sul lato diagonalmente opposto rispetto all'ambito di trasformazione dell'area oggetto dell'Accordo di Programma, con la conseguenza che tra la proprietà della società e l'ambito di trasformazione si frappone l'intero cimitero, oltre che altri immobili; b) con riguardo alle persone fisiche ricorrenti (odierne appellanti), il giudice di primo grado ha evidenziato: "Né può ravvisarsi una posizione giuridica soggettiva legittimante derivante dalla presenza delle tumulazioni dei congiunti dei ricorrenti nel cimitero stesso: circostanza, in primis, solo asserita e non dimostrata e comunque del tutto scollegata dalla lamentata perdita di valore degli immobili di proprietà che è alla base del ricorso stesso". 1.3. Il giudice di primo grado ha condannato le parti ricorrenti anche al pagamento delle spese di giudizio, liquidate complessivamente in Euro 5.000,00, oltre accessori. 2. Gli odierni appellanti contestano la sentenza impugnata in rito e ripropongono alcune delle censure di merito dedotte in primo grado (e non scrutinate dal giudice, in ragione della definizione in rito del giudizio, per difetto di legittimazione ad agire). 2.1. Sotto il profilo della inammissibilità del ricorso di primo grado, sostengono che sussista la legittimazione ad agire sia con riguardo alla tutela del fabbricato della società, asseritamente pregiudicato dalla realizzazione dell'intervento, sia con riguardo al rapporto affettivo di alcuni congiunti seppelliti nel cimitero di Bergamo. 2.2. Con riguardo alla tutela della proprietà privata, ritengono di trarre elementi a dimostrazione della loro legittimazione ad agire da quanto dichiarato nel giudizio di primo grado dalla società controinteressata (Gr., cui è subentrata Ch. Li. s.p.a.), secondo la quale le proprietà dei ricorrenti (odierni appellanti) trarrebbe giovamento dall'intervento di riqualificazione oggetto dell'Accordo di programma; evidenziano che l'affermazione secondo la quale la proprietà dei ricorrenti trarrebbe "giovamento" equivarrebbe ad affermare che la loro proprietà è incisa (favorevolmente/sfavorevolmente) dalla scelta urbanistica contestata. Sostengono che il criterio della vicinitas non deve essere inteso in senso meramente fisico, dovendosi verificare anche le modificazioni di carico urbanistico e le conseguenze sul diritto alla salute e sulle ordinarie esigenze di vita che l'intervento di riqualificazione dell'area potrà apportare ai soggetti che hanno uno stabile collegamento con la zona interessata. 2.3. Fanno rilevare che l'intervento edilizio previsto nell'Accordo di Programma prevede la realizzazione di importanti opere infrastrutturali e di potenziamento della viabilità esistente e la realizzazione di una nuova struttura polivalente (nuovo palazzetto dello sport), con la conseguenza che esso non potrebbe non incidere sulla proprietà privata degli appellanti. A giudizio delle appellanti, a riprova della loro legittimazione ad agire, in quanto titolari di una posizione giuridica soggettiva differenziata, basterebbe considerare quante volte la parola "traffico" è inserita negli elaborati dell'Accordo di Programma. 2.4. Ad ulteriore conferma della loro legittimazione ad agire, fanno rilevare che nella Valutazione ambientale strategica è stato espressamente previsto "il monitoraggio dei flussi di traffico a regime, nonché delle necessità di parcheggio in zona, entro sei mesi dall'avvio dell'esercizio dell'area e delle attività commerciali, e successivamente entro due anni dal primo monitoraggio, al fine di poter valutare la necessità di introdurre eventuali correttivi al sistema di accessibilità, viabilità comunale e intercomunale, parcheggio, trasporto pubblico locale" o ancora che nella Vas è stato prescritto di "effettuare il carico/scarico per il comparto commerciale in orari serali/notturni per evitare il congestionamento del traffico nelle ore di punta". Conseguentemente, gli odierni appellanti avrebbero ragione di preoccuparsi e di tutelarsi in sede giudiziaria rispetto all'impatto che la realizzazione del predetto progetto può avere sull'area ove insiste il fabbricato di proprietà della società . 2.5. Fanno rilevare che, ai fini della legittimazione processuale, è sufficiente la potenzialità di un pregiudizio, altra cosa essendo la rivendicazione di un risarcimento (che gli appellanti si riservano di richiedere in separato giudizio). 2.6. Con riguardo alla legittimazione ad agire dei signori Va. Lo. e An. Ne., fanno rilevare che nel cimitero di Bergamo sono tumulati due zii del signor Va. Lo. e una nipote della signora An. Ne.. Il giudice di primo grado avrebbe risolto "sbrigativamente" la questione, con l'affermazione che si tratterebbe di circostanza "solo asserita e non dimostrata". Gli appellanti richiamano il principio di non contestazione, in quanto la circostanza allegata in primo grado (ossia il dedotto rapporto di parentela) non sarebbe stato contestato dalle controparti. Evidenziano inoltre che nel processo amministrativo l'onere della prova è regolato dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, sicché ai fini dell'assolvimento dell'onere della prova basterebbe l'allegazione di un principio di prova. I signori Va. Lo. e An. Ne. sarebbero quindi legittimati ad agire in giudizio per tutelare la tranquillità e il decoro delle tombe dei loro congiunti. 2.6. Sarebbe inoltre priva di rilevanza l'affermazione del giudice di primo grado secondo la quale la situazione giuridica soggettiva dei predetti signori sarebbe "del tutto scollegata dalla perdita di valore degli immobili di proprietà che è alla base del ricorso stesso", non essendovi nessun impedimento a far valere nel medesimo giudizio situazioni giuridiche soggettive differenti, ugualmente lese dal provvedimento impugnato. 2.7. Gli odierni appellanti hanno quindi riproposto le censure di merito non esaminate dal giudice di primo grado, deducendo: I. Violazione dell'art. 338 r.d. n. 1265/1934, come novellato dall'art. 28 della legge n. 166/2002, secondo il quale: "È vietato costruire nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell'impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel Comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge". Nel caso di specie la maggior parte dell'area ricompresa nell'Accordo di Programma sarebbe posta all'interno di quella distanza minima, che segna il limite dell'edificabilità . Fanno rilevare che la relazione di variante urbanistica allegata al progetto dell'Accordo di Programma precisa che il Piano delle Regole del PGT sarà interessato dalla seguente variante: "viene ridotto a 50 metri il perimetro (della) zona di rispetto cimiteriale, individuato nell'elaborato "PR8-Vincoli e tutele", nella porzione interessata dalle previsioni insediative dell'ADP". L'amministrazione sarebbe incorsa in tre errori. a) Avrebbe introdotto una modifica della fascia di rispetto cimiteriale in violazione del procedimento che la legge a questo fine richiede, in quanto la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale avrebbe dovuto essere realizzata attraverso una modifica al vigente piano cimiteriale. b) Si sarebbe consentita la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale per il soddisfacimento di un interesse privato, in violazione dell'art. 338 del r.d. 27/7/1934 n. 1264 (come novellato dalla legge n. 166/2002), che consente la riduzione della zona di rispetto cimiteriale "per dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico". c) Si sarebbe misurata la fascia di rispetto cimiteriale dal muro di cinta dell'antico cimitero, anziché dall'impianto cimiteriale, come negli anni si è sviluppato sino a occupare tutta l'area inedificata posta a sud della Via (omissis). II. Violazione dell'art. 9 del d.m. n. 1444/1968. L'accordo di programma prevede l'edificazione di edifici più alti rispetto alla distanza che li separa dagli edifici esistenti all'esterno del piano attuativo. Nella Tavola F dell'Accordo di Programma "Planivolumetrico: capisaldi - allineamenti - distanze - sezioni tipo", l'edificio dell'arena, sul fronte della Via (omissis), ha un'altezza dichiarata di 18 metri/20,30 metri; sarebbe quindi stato violato l'art. 9 del d.m. 1444/1968, che, per i fabbricati tra i quali siano interposte strade aperte al pubblico transito (com'è la Via (omissis)), prescrive la distanza minima inderogabile pari all'altezza del fabbricato più alto. Ciò troverebbe conferma nel fatto che nella tavola CHL-P-L4-AR-DG-VS-603-a del permesso di costruire, rilasciato successivamente all'approvazione dell'accordo di programma, "ai fini della "Verifica distanze dai confini", si rappresenta l'arena con altezza massima di 22 metri, ma si riduce l'altezza dichiarata sul fronte della Via (omissis) a soli 16,20 metri", in modo da poter dichiarare che la distanza di 16,70 metri dagli edifici sul fronte opposto della Via (omissis) sia maggiore di quella assentita di 16.20 metri. A giudizio degli appellanti, il fatto che, al fine dell'ottenimento del permesso di costruire, il proprietario si sia momentaneamente autolimitato (richiedendo di edificare ad un'altezza inferiore) rispetto a quanto consentito dall'accordo di programma non sarebbe elemento idoneo a sanare la illegittimità dell'accordo di programma, che consente di realizzare un edificio di altezza superiore a quella ammissibile, in base all'art. 9 del d.m. 1444/1968. Con un altro ordine di censure gli appellanti lamentano anche che nella tavola CHL-P-L4-AR-DG-VS-603-a del permesso di costruire la Via (omissis) è rappresentata nella larghezza di metri 9,70 e nella tavola progettuale si dichiara un arretramento dell'edificio dell'arena dal sedime stradale di 7 metri. A giudizio degli appellanti, in conformità a quanto disposto dall'art. 9 del d.m. 1444/1968, la distanza tra gli edifici avrebbe piuttosto dovuto essere maggiore, ossia pari alla "larghezza della sede stradale maggiorata di... ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15". III. Violazione dell'art. 21, comma 4, d.lgs. n. 42/2004. Gli appellanti fanno rilevare che il cimitero monumentale è un bene culturale, agli effetti di quanto disposto dall'art. 10 d.lgs. n. 42/2004, con la conseguenza che tutti gli interventi all'interno della fascia di rispetto cimiteriale sarebbero assoggettati al previo ottenimento dell'autorizzazione della competente Sovrintendenza, ai sensi di quanto prescritto dall'art. 21, comma 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio. IV. Mala gestio del procedimento di VAS. Gli appellanti ripropongono la censura sull'illegittimità del parere motivato favorevole conclusivo del procedimento di VAS (provvedimento peraltro non specificamente impugnato, nemmeno quale atto presupposto rispetto all'approvazione dell'Accordo di programma), lamentando che non ci sarebbero i presupposti per autorizzare la diminuzione della fascia di rispetto cimiteriale sul lato della Via (omissis), avendo l'ARPA subordinato la propria valutazione positiva alla preventiva revisione del piano cimiteriale. 3. Si sono costituiti in giudizio per resistere all'atto di appello, il Comune di Bergamo e la società Ch. Li. s.p.a., contestando in rito e nel merito le deduzioni delle parti appellanti. 4. Nella memoria di replica, depositata in data 15 febbraio 2024, le parti appellanti, dopo aver richiamato la sentenza n. 382/2023 (avente ad oggetto sostanzialmente i permessi di costruire relativi alla realizzazione dei lavori previsti dall'Accordo di Programma), nella quale il giudice di primo grado ha ritenuto la sussistenza dei presupposti dell'azione (legittimazione attiva e interesse ad agire), gli appellanti sostengono essersi formato giudicato esterno, in quanto la predetta sentenza non è stata sul punto impugnata dalle parti resistenti. 5. All'udienza pubblica del 7 marzo 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 6. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza amministrativa il principio secondo il quale la vicinitas, quale criterio di individuazione della legittimazione ad agire, esprime lo stabile collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l'area sul quale sono destinati a prodursi gli effetti dell'atto contestato; lo stabile collegamento deve quindi essere valutato - nella prospettiva della legittimazione - in considerazione degli effetti che il provvedimento (o anche la mera inerzia dell'amministrazione) è suscettibile di produrre nella sfera giuridica del ricorrente. Per pacifica giurisprudenza, in materia di impugnazione di titoli edilizi, ai fini della legittimatio ad causam non è sufficiente il criterio della vicinitas, dovendo esso essere corroborato dalla prova del pregiudizio che la parte ricorrente assume derivi dagli atti impugnati. L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 9 dicembre 2021 n. 22), chiamata a pronunciarsi sulla sufficienza del criterio della vicinitas per l'impugnazione dei titoli edilizi, ha formulato i seguenti principi di diritto: a) Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione ad agire e l'interesse al ricorso quali condizioni dell'azione, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo e in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato; b) L'interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall'intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall'insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso; c) L'interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d'ufficio dal giudicante. 6.1. Orbene, alla base della legittimazione ad agire degli appellanti, vengono allegate due differenti e distinte posizioni giuridiche soggettive: a) La titolarità da parte della società di un immobile posto in altra parte della città ; b) Il rapporto di parentela degli appellanti - persone fisiche con alcuni congiunti tumulati nel cimitero di Bergamo. 6.2. Con riguardo alla prima posizione giuridica soggettiva, è bensì vero che la vicinitas non può essere calcolata in metri, ma non viene dedotta dalle parti appellanti (se non in maniera generica) la incidenza dell'intervento infrastrutturale previsto dall'Accordo di Programma rispetto alla proprietà di un fabbricato posto in altra area della città . Le parti appellanti richiamano genericamente possibili problematiche relative all'intensificarsi del traffico e alla conseguente necessità di monitorare l'andamento del traffico nei primi periodi di attuazione dell'intervento (necessità evidenziata espressamente nel provvedimento favorevole di VAS), ma tali elementi (indicati in maniera generica e non circostanziata) non sono sufficienti a fondare la legittimazione processuale alla proposizione della domanda di annullamento dell'Accordo di Programma impugnato. Oltre a ciò, non è evidenziato l'interesse diretto, concreto e attuale della società alla impugnativa del provvedimento contestato; certamente la trasformazione urbanistica di un vecchio insediamento industriale dismesso non può ex se (in assenza di puntuali allegazioni) un pregiudizio per la posizione giudica soggettiva della società . In conclusione, la società è priva di legittimazione ad agire e di interesse a ricorrere. 6.3. Anche con riguardo alla posizione giuridica soggettiva degli appellanti - persone fisiche, fondata sul dichiarato rapporto di parentela di questi ultimi con alcuni congiunti seppelliti nel cimitero di Bergamo, sono si ravvisa la sussistenza delle condizioni dell'azione (sotto il profilo dell'interesse a ricorrere). Non è concretamente rappresentato dagli appellanti, infatti, il pregiudizio che l'intervento di riqualificazione dell'area antistante il cimitero, previsto dall'Accordo di Programma, potrà determinare sulla possibilità di accedere al cimitero o più in generale sull'esercizio del culto dei defunti. Anche le censure di merito articolate nel ricorso di primo grado e riproposte in appello attengono a profili di carattere formale (inosservanza delle procedure previste per la modifica della fascia di rispetto cimiteriale; violazione delle distanze tra costruzioni; mancata acquisizione del parere della Soprintendenza) e non evidenziano la lesione sostanziale di un interesse diretto, concreto e attuale alla posizione giuridica soggettiva degli appellanti. 6.3. Non ha rilevanza giuridica dirimente il fatto che in un contenzioso successivo (avente ad oggetto principalmente i permessi di costruire relativi alla realizzazione dei lavori previsti dall'Accordo di Programma), il medesimo giudice di primo grado, nella sentenza n. 382/2023 (non appellata dalla amministrazione comunale), abbia ritenuto ammissibili alcune delle censure relative al rispetto della fascia cimiteriale e alla tutela del cimitero monumentale come bene culturale, atteso che, da un lato, essendo il petitum del giudizio differente, non può parlarsi di formazione di giudicato esterno, dall'altro, le censure sono state disattese nel merito. 7. In conclusione, il ricorso in appello è infondato e va respinto. 8. Le spese del presente di giudizio, liquidate nel dispositivo, sono poste a carico delle parti appellanti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna (in solido) le parti appellanti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio liquidate complessivamente in Euro 6.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, di cui Euro 3.000,00 (tremila/00) in favore del Comune di Bergamo ed Euro 3.000,00 (tremila/00) in favore della società Ch. Li. s.p.a. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere, Estensore
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