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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 882 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ma. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Um. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti della signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Sa. Co. e Sa. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ge. So. in Roma, via (...); del signor -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e della signora -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore all'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Carmelina Addesso e uditi per le parti l'avvocato Gi. Ma. Mi., l'avvocato Um. Ga. e l'avvocato Sa. Fa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'odierno appellante chiede la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. -OMISSIS-del 14 dicembre 2021 che ha respinto il ricorso proposto per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato da Roma Capitale in relazione all'istanza/diffida del 2 febbraio 2021, volta a sollecitare l'esercizio da parte dell'amministrazione dei poteri di vigilanza previsti dall'art. 27 del d.P.R. n. 380/01 sulle opere eseguite nella proprietà dei signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, confinante con la propria. 1.1 Il TAR adito respingeva il ricorso perché dalla documentazione depositata in giudizio dall'amministrazione, a seguito di richiesta istruttoria, emergeva che i poteri di vigilanza sulle opere dei confinanti erano stati effettivamente esercitati, così come sollecitato dal ricorrente. 2. Con l'appello in trattazione il signor -OMISSIS-chiede la riforma della sentenza per "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19 della legge n. 241/90, 27 del DPR n. 380/01 e 31 e 117 c.p.a.", deducendo che gli atti depositati in giudizio, alcuni dei quali di natura meramente istruttoria (sopralluoghi), non recavano alcuna verifica delle plurime illegittimità evidenziate nella diffida e non potevano costituire, di conseguenza, l'esito del procedimento di vigilanza. Ripropone, inoltre, ai sensi dell'art. 31, comma 3, c.p.a., le censure relative all'illegittimità dei lavori eseguiti non esaminate dal TAR. 3. Si sono costituiti in giudizio Roma Capitale e la signora -OMISSIS-che hanno insistito per la reiezione del gravame. 4. In vista dell'udienza di trattazione le pari hanno depositato memorie, insistendo nelle rispettive difese. La signora -OMISSIS-ha, inoltre, depositato in data 28 maggio 2024 l'atto notarile di trasferimento della proprietà dell'immobile per cui è causa in esecuzione degli accordi di negoziazione assistita in materia di separazione e di divorzio. 5. All'udienza del 28 maggio 2024, previa discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. In via preliminare, deve esse accolta l'eccezione di inammissibilità della documentazione tardivamente depositata dall'appellata in data 28 maggio 2024, formulata dal difensore dell'appellante in sede di discussione orale. 6.1 Il Collegio ne dispone, di conseguenza, lo stralcio dagli atti del giudizio. 7. Premesso quanto sopra, l'appello è infondato. 8. Con il primo motivo di appello il ricorrente deduce che il giudice di primo grado è incorso in errore nel ritenere che l'amministrazione avrebbe fornito riscontro alle plurime istanze/diffide dallo stesso presentate mediante il compimento degli atti depositati in giudizio nelle date del 3 settembre e 24 settembre 2021 e che tali atti avrebbero esaurito le verifiche richieste, volte unicamente all'esercizio dei poteri di vigilanza ex art. 27 e non a quelli di cui all'art. 19 della legge n. 241/90. 8.1 Espone che, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, con le istanze del 5/03/2018 e del 24/04/2018 ha diffidato l'amministrazione all'annullamento in autotutela della DIA presentata dai signori -OMISSIS-e che con l'istanza del 2/02/2021 ha sollecitato la risposta alle precedenti diffide, risultate sino ad allora inesitate. In ogni caso, gli atti depositati in data 3 settembre 2021 non costituiscono espressione del potere di vigilanza ex art. 27 d.p.r. 380/2001 poiché con essi Roma Capitale, lungi dal procedere ad una verifica puntuale dei plurimi profili di illegittimità evidenziati nelle diffide, si è limitata ad un'attività istruttoria interna, svolgendo alcuni sopralluoghi a cui è seguita l'irrogazione di sanzioni. Del pari inidonei a superare l'inerzia dell'amministrazione sono gli atti depositati in data 24 settembre 2021, mai comunicati all'interessato, atteso che: i) la nota prot. CF/113759 del 23.5.2019 redatta dal Responsabile dell'Ufficio Ispettorato Edilizio del Municipio V e diretta al Reparto Edilizia della Polizia Locale di Roma Capitale reca un mero "parere" di mancato contrasto con la normativa urbanistico-edilizia, senza chiarire il percorso logico-giuridico seguito per confutare tutte le argomentazioni esposte dal ricorrente; ii) la nota prot. n. 29329 del 25.2.2021, con cui il Municipio prende posizione sulla denuncia-querela proposta dall'odierno ricorrente, si limita ad affermare che i titoli edilizi presentati dai signori -OMISSIS-(la DIA del 2017 e la successiva variante del 2018) "sono stati oggetto di verifica da parte di questo ufficio e dichiarati conformi alla normativa urbanistico/edilizio vigente, con nota prot. CF 113750 del 23/05/2019"; iii) la nota prot. 30916 del 14 febbraio 2018 aveva inibito l'attività degli appellati per carenze documentali in attesa dell'integrazione che non è mai stata effettuata; iv) la nota prot. CF/113329 del 5.6.2018 è semplicemente il seguito della precedente e si limita a disporre la sospensione dei lavori in attesa del nulla osta della soprintendenza e della ASL, ma non affronta i plurimi vizi evidenziati dall'odierno appellante. Non v'è, dunque, alcun documento, tra quelli depositati in data 24 settembre 2021, che possa costituire - alla luce del contenuto concreto - il provvedimento conclusivo del procedimento avviato con l'istanza/diffida datata 02/02/2021 di esercizio dei poteri previsti dagli artt. 19 l. 241/90 e 27 d.p.r. 380/01. 9. Le censure sono infondate. 10. Si osserva, preliminarmente, che con le istanze/diffide del 5 marzo e del 19 aprile 2018, a cui fa rinvio la diffida da ultimo presentata in data 2 febbraio 2021, l'appellante, dopo aver richiamato l'art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, ha sollecitato l'amministrazione all'annullamento in autotutela della DIA, oltre che della CILA, per falsa rappresentazione dei presupposti nonché per i plurimi profili di illegittimità ivi evidenziati, sostanzialmente coincidenti con quelli oggetto del secondo motivo di appello. 10.1 Dal tenore letterale delle istanze sopra richiamate non emerge con chiarezza il tipo di potere che l'amministrazione è sollecitata ad attivare, se di repressione dell'abuso per opere realizzate sine titulo o di annullamento in autotutela dei titoli edilizi rilasciati (con riguardo alla DIA, esercizio dei poteri di cui all'art. 19 comma 4 l. 241/1990). 10.2 Trova conferma, nel caso di specie, la non agevole distinzione tra controllo del territorio e controllo sulla legittimità dei titoli, già messa in luce da questa Sezione, la quale ha rilevato come essa "chiara a livello teorico, finisce per debordare in molteplici ambiti chiaroscurali di non agevole collocazione dogmatica" (Cons. Stato, sez. II, n. 9415 del 2.11.2023). Si tratta, in ogni caso, di una distinzione che "il Comune è chiamato a fare, così da distinguere i profili di illegittimità, rilevabili ex post nei limiti dell'autotutela, da quelli di illiceità, stigmatizzabili in qualunque momento (...)" (sent. cit.). 11. Dalla documentazione versata in atti emerge che, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, l'amministrazione si è attivata in riscontro alle diffide presentate mediante verifiche sia sulle opere in corso di realizzazione, svolgendo sopralluoghi in cantiere culminati con l'adozione di provvedimenti sanzionatori e di sospensione dei lavori, sia sui titoli edilizi presentati di cui è stato escluso il contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia. 11.1 Sul punto, giova ripercorrere brevemente le circostanze di fatto, così come emergenti dagli atti di giudizio: -a seguito dell'avvio dei lavori da parte dei controinteressati in assenza della prescritta cartellonistica, con un primo esposto del 21/12/2017 il ricorrente sollecitava l'U.O. V Gruppo Prenestino a verificare la legittimità dei lavori edilizi. In data 04/01/2018, il personale di Polizia Municipale effettuava, quindi, un primo sopralluogo nell'unità immobiliare, accertando che erano in corso d'opera lavori di manutenzione straordinaria in forza della Cila prot. 230583/17 presentata presso la Direzione Tecnica del V Municipio; -a seguito di accesso agli atti, l'interessato presentava due ulteriori esposti in data 5 marzo e 19 aprile 2018 con cui, evidenziando plurimi profili di illegittimità dei titoli e delle opere (violazione della l.r. 21/2009 per l'acceso ai benefici del Piano Casa, mancanza del consenso dell'istante all'aggravamento della servitù di passaggio e di quello dei condomini per le opere che incidono sul decoro architettonico del fabbricato, falsa/omessa dichiarazione del progettista in ordine ai vincoli paesaggistici regionali e alla conformità degli interventi alla normativa sanitaria, violazione del d.lgs 42/2004 e della normativa sanitaria per gli interventi in corso di esecuzione sulla base della CILA) diffidava l'amministrazione a disporre: i) l'immediata sospensione delle opere in corso nella proprietà ; ii) l'annullamento della DIA del 5 marzo 2017 e della CILA del 13 dicembre 2017, ritenute illegittime sotto i plurimi profili indicati; iii) la segnalazione della violazione di legge alle competenti autorità ministeriali e regionali preste alla tutela dei vincoli; - l'amministrazione disponeva ulteriori sopralluoghi all'esito dei quali adottava: i) la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela della CILA con contestuale richiesta di integrazione documentale e dichiarazione di inefficacia, nelle more, della CILA medesima nonché il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria (doc. 12 e 13 deposito appellante); ii) il provvedimento di sospensione di tutte le opere sino all'ottenimento del nulla osta della Soprintendenza e della Asl competente (doc. 17); - ottenuto parere favorevole della Soprintendenza Archeologica dei Beni Culturali, i controinteressati presentavano, in data 24 luglio 2018, una variante alla DIA del 4 maggio 2017, corredata degli elaborati grafici e progettuali, del parere favorevole della Soprintendenza, del pagamento degli oneri concessori e della relazione tecnica asseverata, in cui veniva specificato che "la volumetria e le superfici, risultanti dagli elaborati e dalle tabelle allegate, rimanevano immutati rispetto a quelli presentati unitamente alla pregressa Dia prot. n. 74692 del 4.5.2017" e che "venivano ampliate due finestre dell'edificio esistente (...) modo da soddisfare la richiesta di nulla osta sanitario rispettando il rapporto aero-illuminante come da normativa di settore e regolamentare vigente". In data 17 gennaio 2019 il Dipartimento di programmazione ed attuazione urbanistica - Ufficio autorizzazioni paesaggistiche - rilasciava nulla osta all'esecuzione delle opere (doc. n. ri 15, 16 e 17 fascicolo primo grado controinteressato); - a seguito di un nuovo esposto del ricorrente del 9 maggio 2019, veniva eseguito un nuovo sopralluogo a cui seguiva il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria per la mancata esposizione del cartello, mentre la legittimità dei titoli edilizi veniva confermata dall'amministrazione con nota prot. n. CF/113759 del 23/5/2019 (doc. 24 e 25 deposito appellante); - infine, con nuova diffida del 2 febbraio 2021 l'interessato richiamava i plurimi profili di illegittimità già indicati nelle precedenti diffide, sollecitando nuovamente l'amministrazione all'adozione dei conseguenti provvedimenti di legge. Ad essa faceva seguito la nota del 25 febbraio 2021, diretta alla Legione Carabinieri Lazio, con cui l'amministrazione confermava che la DIA del 2017 e la successiva variante del 2018, agli atti dell'ufficio, erano stati oggetto di verifica e dichiarati conformi alla normativa urbanistico/edilizia con nota del 25 marzo 2019. 12. La documentazione sopra richiamata conferma come dagli esposti presentati dal ricorrente è scaturita un'attività di verifica la quale, lungi dal risolversi in meri atti istruttori e interlocutori, è sfociata in provvedimenti di irrogazione delle sanzioni per le illegittimità riscontrate in sede di sopralluogo, nell'avvio del procedimento di annullamento in autotutela della CILA e nel provvedimento si sospensione della DIA, questi ultimi poi superati dalla presentazione della DIA in variante. 12.1 Le disposte verifiche hanno condotto, inoltre, alla conferma della legittimità dei titoli edilizi con provvedimento del 25 marzo 2019, richiamato dal successivo provvedimento del 25 febbraio 2021: il primo atto, lungi dal risolversi in un mero "parere", come ritenuto dal ricorrente, costituisce, invece, il provvedimento conclusivo dell'attività di verifica dei titoli edilizi, mentre il secondo è meramente confermativo del primo. Come osservato dalla Corte costituzionale (sent. 153/2020), "il fatto che l'amministrazione, su sollecitazione dei controinteressati, abbia positivamente riscontrato la legittimità delle opere si traduce in un diniego che, secondo le regole generali, non poteva che essere impugnato con l'ordinaria azione di annullamento" (punto 6.1). 13. Non convince l'assunto difensivo secondo cui gli atti sopra indicati non sarebbero idonei a superare l'inerzia dell'amministrazione, atteso che nessuno di essi fornisce puntuale riscontro alle molteplici illegittimità analiticamente illustrate negli esposti: siffatti profili afferiscono, infatti, al contenuto dei provvedimenti, investendo le modalità concrete del potere di controllo e verifica che, in ogni caso, è stato effettivamente esercitato. 14. Per le medesime ragioni, l'omessa comunicazione degli atti in questione all'istante, certamente rilevante ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, non fa venir meno, sul piano naturalistico prima ancora che giuridico, l'attività di verifica svolta in concreto e sfociata nei provvedimenti sopra richiamati. 15. Non appare pertinente, al riguardo, il richiamo dell'appellante (memoria di replica del 7 maggio 2024) al precedente di questa Sezione n. 3597 del 22 aprile 2024 che riguarda la diversa questione della configurabilità o meno dell'interesse ad agire di alcuni condomini avverso il silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza/diffida presentata in relazione ad opere che incidono sulla cosa di proprietà comune, laddove, nel caso di specie, il TAR ha, comunque, riconosciuto l'interesse ad agire del ricorrente, respingendo la relativa eccezione formulata dalla controinteressata e dal comune (cfr. pag. 5 e pag. 6 della sentenza impugnata). 16. Meritano, quindi, condivisione le conclusioni a cui è pervenuto il giudice di primo grado, il quale ha osservato che il contenuto dell'istanza del 2 febbraio 2021, gli accertamenti svolti dall'ente ai fini della verifica di legittimità dei titoli edilizi e i relativi esiti, dimostrano che l'amministrazione non è rimasta inerte, ma ha esercitato i propri poteri di vigilanza, ritenendo che le opere edilizie, afferenti l'immobile dei controinteressati, siano in realtà pienamente conformi e rispondenti ai titoli in discussione. 17. Per le ragioni sopra indicate il primo motivo di appello deve essere respinto con conseguente inammissibilità del secondo motivo con cui il ricorrente ripropone le censure afferenti alla natura abusiva delle opere contestate, già formulate in primo grado ai sensi 31, co. 3, c.p.a e non esaminate dal TAR. 18. La soccombenza dell'appellante ne giustifica la condanna, a favore di Roma Capitale, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in dispositivo. Sussistono, invece, giustificati motivi per disporre la compensazione con l'appellata costituita, signora -OMISSIS-. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento a favore di Roma Capitale delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Spese compensate con l'appellata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Manzione - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Stefano Filippini - Consigliere Valerio Valenti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno  Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1180 del 2023, proposto da An.Cu., rappresentato e difeso dall'avvocato Ge.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Omissis, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Co.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliataria ex lege in Salerno, corso Vittorio Emanuele, 58; e con l'intervento di ad opponendum: Vin.Cu., rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Vuolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303: diniego di fiscalizzazione degli abusi contestati con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Omissis e del Ministero della Cultura; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 aprile 2024 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Col ricorso in epigrafe, Cu.An. (in appresso, C. A.) impugnava, chiedendone l’annullamento, il provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303, col quale il Responsabile dell’Area Sportello Unico per l’Edilizia, Demanio ed Urbanistica del Comune di Omissis aveva rigettato l’istanza di fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 prot. n. 18518 del 6 ottobre 2020 ed aveva disposto l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. Le opere abusive sottoposte a fiscalizzazione, ex ante contestate con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019, resistite alla relativa impugnazione, respinta dal Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza n. 3204 del 29 marzo 2023 (pronunciata in parziale riforma della sentenza di questa Sezione n. 1934 del 14 dicembre 2020) afferivano alle unità immobiliari in proprietà del ricorrente, ricomprese nell’edificio ubicato in Omissis, via (...), censito in catasto al foglio 24, particella 616, e distribuito su tre livelli fuori terra (piano terraneo, primo e secondo mansardato) ed un livello seminterrato. Si trattava, in particolare, delle seguenti opere, rimaste sine titulo per effetto dell’annullamento del permesso di costruire (PdC) in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e del PdC n. 4279 del 27 marzo 2015, che era stato pronunciato - in accoglimento del ricorso straordinario ex artt. 8 ss. del d.p.r. n. 1199/1971, proposto da Cuono Vincenzo (in appresso, C. V.) e in base al precipuo rilievo dell’illecita prosecuzione degli abusi sottoposti a condono ex artt. 31 ss. della l. n. 47/1985 con istanza del 29 marzo 1986, prot. n. 802 - con decreto del Presidente della Repubblica (d.p.r.) del 27 marzo 2017 (R.S. 2491/P), previo parere conforme del Consiglio di Stato, sez. I, n. 2459 del 29 ottobre 2018: - realizzazione (assentita con l’annullato PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015) ed ampliamento (assentito con l’annullato PdC n. 4279 del 27 marzo 2015) del piano secondo mansardato; - ampliamento (assentito con l’annullato PdC n. 4279 del 27 marzo 2015) del piano primo, mediante realizzazione sul terrazzo esistente di un corpo di fabbrica sormontato da lastrico solare. Il gravato diniego di fiscalizzazione era essenzialmente motivato in base al rilievo che la natura non già formale, bensì sostanziale dei vizi infirmanti i giurisdizionalmente annullati PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e PdC n. 4279 del 27 marzo 2015 impediva ogni ulteriore valutazione circa la rappresentata impossibilità di ripristino dello status quo ante. Nell’avversare siffatta determinazione, il ricorrente deduceva, in estrema sintesi, che il Comune di Omissis: a) in violazione del dictum giurisdizionale di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3204 del 29 marzo 2023, nonché in difetto di istruttoria e di motivazione, avrebbe omesso di valutare - così come richiestogli con l’istanza del 6 ottobre 2020, prot. n. 18518 - la condizione di fiscalizzazione costituita dall’impossibilità di riduzione in pristino, ai fini dell’applicabilità della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, senza tener conto delle analisi strutturali fornitegli dall’interessato dietro proprio apposito invito; b) in difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione, non avrebbe considerato che - come dimostrato dalla dettagliata documentazione tecnica elargita dall’interessato - la rimozione delle opere abusive avrebbe compromesso l’equilibrio statico delle porzioni legittime dell’intero edificio, anche in proprietà di terzi; c) avrebbe richiamato, in termini del tutto inconferenti, l’ordinanza di demolizione n. 2162 del 29 maggio 2023, inerente ad un manufatto (pergolato) a sé stante rispetto alle opere contestate con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019, nonché non sanzionabile in via repressivo-ripristinatoria; d) avrebbe obliterato la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del 6 ottobre 2020, prot. n. 18518. Costituitosi l’intimato Comune di Omissis eccepiva l’inammissibilità (per carenza di interesse ad agire) e l’infondatezza del gravame esperito ex adverso. Si costituiva, altresì, in giudizio il Ministero della Cultura. Interveniva, infine, ad opponendum C. V., in veste di proprietario confinante col compendio immobiliare in titolarità di C. A., eccependo l’inammissibilità (per omessa notifica nei suoi confronti) e l’infondatezza del ricorso. All’udienza pubblica del 30 aprile 2024, la causa era trattenuta in decisione. Venendo ora a scrutinare il ricorso, esso si rivela infondato per le ragioni illustrate in appresso. Tanto può esimere, quindi, il Collegio dallo scrutinio delle eccezioni in rito sollevate dalle parti resistenti. Innanzitutto, gli ordini di doglianze rubricati retro, sub n. 3.a-b, si infrangono contro il chiaro tenore sia della sentenza di primo grado n. 1934 del 14 dicembre 2020 sia della sentenza di appello n. 3204 del 29 marzo 2023, le quali hanno unanimemente escluso l’applicabilità della fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 alla fattispecie in esame. 8.1. In particolare, questa Sezione ha statuito che: «A ripudio delle proposizioni attoree, milita, innanzitutto, l’approccio ermeneutico restrittivo suggellato in subiecta materia dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 17 del 7 settembre 2020. “La disposizione in commento - recita la pronuncia richiamata - fa specifico riferimento ai vizi ‘delle proceduré, avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l’operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l’an e il quomodo dell’attività edificatoria. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all’amministrazione l’obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un’attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell’esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall’art. 21 nonies comma 2 della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un’illegittimità di natura ‘proceduralé, essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest’ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di ‘rimozione del viziò afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all’impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto sarebbe suscettibile di convalida, e che per le motivate valutazioni espressamente fatte dall’amministrazione, non risulta esserlo in concreto. Diversamente da quanto sostenuto dall’orientamento giurisprudenziale “estensivo” del quale si è dato sopra atto, in casi siffatti il sindacato del giudice chiamato a vagliare la legittimità della operata fiscalizzazione dell’abuso deve avere ad oggetto proprio la natura del vizio. La “motivata valutazione” dell’amministrazione infatti afferisce al preliminare vaglio amministrativo circa la rimovibilità (anche) in concreto del vizio, ex art. 21 nonies comma 2, e rileva non già rispetto al binomio fiscalizzazione/demolizione, quanto in relazione al diverso binomio convalida/applicazione dell’art. 38, costituente soglia di accesso per applicazione dell’intero impianto dell’art. 38 (e non solo dell’opzione della fiscalizzazione). La descritta esegesi è confermata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Quest’ultima, nella sentenza 209/2010 ha avuto modo di chiarire, giudicando della legittimità di una norma di interpretazione autentica di una disposizione provinciale di tenore identico a quella nazionale che qui si discute (interpretazione autentica tesa ad estendere la fiscalizzazione ai vizi sostanziali), che ‘l'espressione ‘vizi delle procedure amministrativé non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i ‘vizi sostanzialì, che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest'ultimo potenzialmente contenutò. Del resto depongono in tal senso anche considerazioni di carattere sistematico. La tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito. A ciò si aggiunge, nei casi in cui l’annullamento del titolo sia intervenuto in sede giurisdizionale su istanza di proprietario limitrofo o associazioni rappresentative di interessi diffusi (giova sottolineare che l’art. 38 non si sofferma sulla natura giurisdizionale o amministrativa dell’annullamento), che la tutela dell’affidamento del costruttore, attraverso la fiscalizzazione dell’abuso anche in relazione a vizi sostanziali, di fatto vanificherebbe la tutela del terzo ricorrente, il quale, all’esito di un costoso e defatigante giudizio, si troverebbe privato di qualsivoglia utilità, essendo la sanzione pecuniaria incamerata dall’erario. Il punto di equilibrio sin qui individuato nel delicato bilanciamento fra tutela dell’affidamento, tutela del territorio e tutela del terzo non è, ad avviso di questa Adunanza plenaria, depotenziato dalla giurisprudenza della Corte EDU sul carattere fondamentale del diritto di abitazione e sul necessario rispetto del principio di proporzionalità nell’inflizione della sanzione demolitoria (si veda, da ultimo, Corte EDU, 21/4/2016 Ivanova vs. Bulgaria). Nell’ordinamento interno, caduto il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi a seguito della nota sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 500/99, si è affermato, anche per via legislativa, che il’bene della vità cui il privato aspira è meritevole di protezione piena a prescindere dalla qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo della posizione giuridica al quale esso di correla. E’ quindi ben possibile che, a prescindere dalla qualificazione giuridica della posizione giuridica del costruttore che dinanzi all’annullamento in sede amministrativa o giurisdizionale del permesso di costruire reclami il ristoro dei danni conseguenti al legittimo affidamento dal medesimo riposto circa la legittimità dell’edificazione realizzata (sul punto le Sezioni unite sono ferme nel ritenere che trattasi di diritto soggettivo: SSUU, 24 settembre 2018, n. 22435; 22 giugno 2017, n. 15640; 4 settembre 2015, n. 17586; 23 marzo 2011, n. 6596), l’illecito commesso dall’amministrazione comporti il sorgere di un’obbligazione all’integrale risarcimento, per equivalente, del danno provocato. Obbligazione che interviene a ridare coerenza, ragionevolezza ed effettività al sistema delle tutele, ove la conservazione dell’immobile nella sua integrità si ponga in irrimediabile conflitto con i valori urbanistici e ambientali sopra ricordati. Al quesito posto dall’ordinanza di rimessione deve quindi rispondersi nel senso che ‘i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozioné”. Sulla base di tali premesse, va ribadito l’indirizzo rigoroso invalso anche presso la Sezione. In particolare, come osservato nella sentenza n. 1417 del 10 ottobre 2018 (confermata in appello da Cons. Stato, sez. VI, 8 ottobre 2019, n. 6852), “la regola immanente all’art. 38, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001 è rappresentata dall’operatività della sanzione reale, la quale, in quanto effetto primario e naturale derivante dall’annullamento del permesso di costruire (così come dalla sua mancanza ab origine: cfr. art. 31, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 cit.), non richiede all’amministrazione un particolare impegno motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua giustificazione in re ipsa. Nel caso di annullamento del titolo abilitativo edilizio, in disparte l'ipotesi di vizi di ordine meramente procedurale e formale, non ricorrente nella fattispecie in esame, il modello legale tipico di atto consequenziale è, infatti, proprio quello dell'ordine di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto unico atto idoneo ad arrecare una piena soddisfazione all'interesse pubblico alla rimozione delle opere in contrasto con la disciplina urbanistica; cosicché, ove lo sviluppo attuativo del pregresso annullamento del permesso di costruire si incanali nell’alveo naturale della riduzione in pristino, alcun onere di specifica motivazione ricade sull’amministrazione procedente, il cui operato è obbligatoriamente scandito dallo stesso legislatore; mentre, solo in presenza di circostanze peculiari ed eccezionali, idonee ad accreditare l’oggettiva impossibilità di attuare la misura ordinaria della riduzione in pristino, sarà possibile accedere alla misura residuale della sanzione pecuniaria, occorrendo, però, in siffatta evenienza giustificare la deroga alla soluzione di ‘tutela realé privilegiata dal legislatore mediante una congrua motivazione che dia adeguatamente conto delle valutazioni effettuate (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 21 marzo 2006, n. 3124; sez. VIII, 7 gennaio 2015, n. 34; 10 marzo 2016, n. 1397; 7 aprile 2016, n. 1746; 8 luglio 2016, n. 3490; sez. IV, 4 gennaio 2017, n. 68; TAR Veneto, Venezia, 21 aprile 2016, n. 417)”». 8.2. Nello stesso senso, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha statuito che: «La sentenza di prime cure ha fatto piana e corretta applicazione dell’orientamento consolidatosi a seguito della nota pronuncia dell’Adunanza plenaria, n. 17 del 2020, secondo cui l’art. 38 cit. fa specifico riferimento ai vizi "delle procedure", avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l'operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l'an e il quomodo dell'attività edificatoria. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all'amministrazione l'obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un'attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell'esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall'art. 21 nonies, comma 2, della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un'illegittimità di natura "procedurale", essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest'ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di "rimozione del vizio" afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all'impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto, sarebbe suscettibile di convalida e che, per le motivate valutazioni espressamente fatte dall'amministrazione, non risulta esserlo in concreto. Nel caso di specie, se per un verso (peraltro dirimente, a fini di inapplicabilità della norma evocata) i vizi che hanno portato all’annullamento delle sanatorie non hanno il predetto mero carattere procedurale, riguardando piuttosto la consistenza e la sostanza degli abusi, per un altro verso non appaiono oggetto di adeguata smentita le puntuali considerazioni svolte dalla sentenza appellata in merito alla insussistenza della presunta impossibilità tecnica della demolizione della porzione abusiva (piano secondo mansardato) dell’edificio. In proposito, rispetto alle relazioni tecniche di parte depositate in giudizio dall’odierno appellante, assumono rilievo preminente sia la nota del Responsabile dell’Area Governo del Territorio, Patrimonio e Demanio del Comune di Omissis prot. n. 24008 del 29 novembre 2019 (ove si rileva che “trattasi di opere di sopraelevazione, autonome ed indipendenti, la cui eliminazione anche in base alle progettazioni che versano agli atti non può ritenersi di pregiudizio né alla parte conforme dell’edificio né alle proprietà viciniori”), sia la relazione tecnica di parte prodotta dall’odierno appellato costituito, ove si illustra come il secondo piano mansardato del fabbricato in questione non sia collegato strutturalmente all’adiacente corpo di fabbrica in proprietà di V. C., cosicché la sua rimozione sarebbe insuscettibile di compromettere l’equilibrio statico di quest’ultimo». 8.3. Ciò posto, il Comune di Omissis, nel ripudiare la proposta fiscalizzazione, ha fatto buon governo delle regole applicative dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 declinate in via pretoria nelle pronunce citate sulla scorta dell’indirizzo nomofilattico sancito da Cons. Stato, ad. plen., 7 settembre 2020, n. 17, allorquando ha arrestato ogni valutazione circa la possibilità o meno del ripristino dello status quo ante al rilievo ostativo pregiudiziale della natura sostanziale - e, quindi, non emendabile in via pecuniaria - dei vizi infirmanti i giurisdizionalmente annullati PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e PdC n. 4279 del 27 marzo 2015. 8.4. Né vale a menomare il superiore approdo l’inciso, contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3204 del 29 marzo 2023, secondo cui «l’ordine di demolizione delle opere edilizie costituisce un atto dovuto, mentre la valutazione di non procedere alla rimozione delle parti abusive, nel caso in cui questa sia pregiudizievole per le parti legittime, è soltanto un'eventualità della fase esecutiva, successiva e autonoma rispetto all'ordine di demolizione». Tale inciso sta, infatti, a indicare soltanto che la monetizzazione dell’abuso esulava dalla fase di irrogazione della sanzione demolitoria - la quale aveva formato oggetto del giudizio definito con la suindicata pronuncia -, afferendo, invece, alla successiva fase della sua esecuzione. Sta, cioè, a rappresentare la carenza di interesse concreto e attuale a dolersi di una determinazione non ancora assunta né assumibile al momento dell’allora gravata ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. 8.5. Ad ulteriore ripudio delle proposizioni attoree, è appena il caso di rammentare che la Sezione, nella sentenza n. 1934 del 14 dicembre 2020, ha affermato anche che: «... l’invocata fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 neppure sarebbe configurabile, allorquando a formare oggetto dell’annullamento giurisdizionale sia non già un titolo edilizio rilasciato preventivamente alla realizzazione dell’intervento in progetto, bensì - come, appunto, nella specie - un titolo edilizio rilasciato in sanatoria, posteriormente alla realizzazione di opere abusive, rispetto al cui mantenimento in loco non è ragionevolmente predicabile la generazione di alcun legittimo affidamento in favore del relativo autore o proprietario. In questo senso, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 21 novembre 2016, n. 5364 ha statuito che: “L'art. 38 del d.p.r. n. 380/01, prevedendo una ipotesi di sanatoria mediante pagamento di una sanzione pecuniaria per le ipotesi di annullamento del permesso di costruire, è volto a tutelare l'affidamento del soggetto che abbia edificato in virtù di titolo edilizio solo successivamente annullato. Detto disposto normativo non può trovare applicazione nel caso in cui le opere siano state realizzate ab initio ‘sine titulò, rilasciato solo successivamente a sanatoria e annullato in sede giurisdizionale, in quanto difettano i presupposti per la tutela dell'affidamento dell'istante (Cons. Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2014, n. 5261)”». Stante la natura plurimotivata del provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303, l’acclarata legittimità del rilievo di inapplicabilità dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 ai titoli edilizi infirmati da vizi sostanziali induce a predicare l’inammissibilità del profilo di censura rubricato retro, sub n. 3.c, e rivolto avverso l’ulteriore rilievo di emissione dell’ordinanza di demolizione n. 2162 del 29 maggio 2023: ciò, in quanto, in presenza di un atto sorretto da autonome ragioni giuridico-fattuali, è bastevole l’intangibilità anche di una sola delle argomentazioni poste a suo fondamento, perché l’atto medesimo possa resistere al richiesto sindacato giurisdizionale su di esso, con conseguente assorbimento - per carenza di interesse e per finalità di economia processuale - delle censure dirette a contestare ogni ulteriore nucleo motivazionale del provvedimento gravato. Non riveste, infine, portata invalidante la denunciata obliterazione del preavviso ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 (cfr. retro, sub n. 3.d). Al riguardo, giova rammentare che l'ultimo periodo dell'art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241/1990, come modificato dall'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020, conv. in l. n. 120/2020, stabilisce che «la disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10 bis». Nei casi di violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, è, cioè, esclusa l'applicazione del solo secondo periodo dell'art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241/1990, a tenore del quale «il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». Rimane, invece, applicabile la disposizione contenuta nel primo periodo dell’art. 21 octies, comma 2, della l, n. 241/1990, in base alla quale «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». In questo senso, il Cons. Stato, sez. III, 29 luglio 2022, n. 6708 e 23 dicembre 2022, n. 11289 ha precisato che solo in caso di provvedimento discrezionale l'eventuale violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990 determina l'annullamento del provvedimento, così inquadrando la portata dell'art. 21 octies, nella versione successiva alla riforma di cui all'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020. Ed invero, seppure la centralità del contraddittorio procedimentale consente l'emersione di fatti e circostanze che, sottoposte alla valutazione dell'amministrazione, possono indurre ad una favorevole conclusione del procedimento, questo aspetto diviene recessivo quando, in presenza di specifici presupposti individuati dal legislatore, una sola può essere la scelta legittima dell'amministrazione in conformità con la legge (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 2 febbraio 2023, n. 752). Nello stesso senso, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 22 agosto 2023, n. 4838 ha affermato che: «Le previsioni di cui all'art. 10 bis l. n. 241/1990 devono essere coordinate con quelle di cui all'art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990. Il primo periodo del comma due del predetto art. 21 octies opera tuttora in relazione alla violazione procedimentale del menzionato art. 10 bis. Ciò anche dopo le modifiche introdotte dall'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 120/2020, le quali incidono propriamente sull'applicazione del secondo periodo del comma due dell'art. 21 octies L. n. 241/1990 in esame, secondo cui "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato [...]". La lettura coordinata dei menzionati artt. 10 bis e 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990, esclude che il provvedimento sia annullabile qualora, per la natura vincolata o comunque per la dimostrata non modificabilità del suo contenuto dispositivo, in sede di riedizione del potere non si potrebbe addivenire ad una decisione differente da quella in concreto adottata. In questi casi, l'attivazione del contraddittorio procedimentale - per il tramite della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza - risulterebbe non utile, in quanto non contribuirebbe in alcun modo a modificare il contenuto sostanziale della decisione. Ne consegue che l'annullamento del provvedimento negativo in relazione esclusivamente al vizio formale della mancata comunicazione del preavviso di rigetto ed una volta accertata l'infondatezza della pretesa sostanziale azionata dal privato, si tradurrebbe in un'antieconomica duplicazione di attività amministrativa, tenuto conto che, dopo la caducazione dell'atto impugnato, nella fase di riedizione del potere, la nuova decisione da assumere non potrebbe avere un contenuto ed un dispositivo diverso da quello proprio della decisione annullata (cfr. Cons. Stato, sez. II, 18 marzo 2020, n. 1925; 12 febbraio 2020, n. 1081; 17 settembre 2019, n. 6209; sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1156; sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 256 e 27 settembre 2018, n. 5562...)». Ebbene, nel caso in esame, alla luce delle considerazioni svolte, il diniego di fiscalizzazione dell'abuso, siccome fondato sul rilievo oggettivo e preclusivo della natura sostanziale dei vizi infirmanti i titoli edilizi giurisdizionalmente annullati, costituiva l'esito vincolato del procedimento, con la conseguenza che il provvedimento in questa sede impugnato non può essere annullato, pur in difetto del preavviso di rigetto (cfr., in termini, TAR Umbria, Perugia, 2 aprile 2024, n. 225). In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso in epigrafe va, nel complesso, respinto. Quanto alle spese di lite, appare equo compensarle interamente tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola Durante - Presidente Olindo Di Popolo - Consigliere, Estensore Laura Zoppo, Referendario L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Olindo Di Popolo Nicola Durante IL SEGRETARIO

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1198 del 2024, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Gr. e Vl. Pe., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Mi. Gr. in Padova, Piazzale (...); contro El. Sa., rappresentata e difesa dall'avvocato An. Re. D'A., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti della Regione Veneto e dell'Ente Parco Regionale dei Colli Euganei, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza n. 1564 del 2023 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Seconda. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di El. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Eugenio Tagliasacchi e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in epigrafe il Comune di (omissis) ha impugnato la sentenza del T.a.r. Veneto n. 1564 del 2023 che ha accolto il ricorso proposto dalla signora El. Sa. avverso il silenzio serbato dall'anzidetto Comune in relazione all'istanza dalla medesima presentata in data 29 dicembre 2022 intesa a ottenere l'avvio del procedimento diretto all'approvazione della variante al Piano Ambientale del Parco dei Colli Euganei, necessaria per la prosecuzione dell'iter di approvazione dell'accordo di programma relativo al "progetto strategico turistico" ai sensi dell'art. 26 della l.r. Veneto n. 11 del 2004, proposto dalla ricorrente in primo grado e odierna appellata. 2. Più precisamente, l'originaria istanza della signora Sa. - presentata in data 28 dicembre 2015 prot. n. 19701 e poi successivamente integrata e specificata nel maggio 2016 - riguardava un "progetto strategico turistico" per la realizzazione di un'area adibita a servizi nell'ambito dell'anello ciclo-turistico dei Colli Euganei, con completamento della pista ciclabile lungo la S.P. n. 89 e lungo via (omissis). In estrema sintesi, tale istanza dapprima fu positivamente valutata dall'amministrazione comunale e il Sindaco del Comune di (omissis), nel maggio 2016, promosse un incontro con le associazioni di categoria al cui esito venne redatto un apposito verbale per la valutazione del progetto strategico turistico, come previsto dalla D.G.R.V. n. 450 del 2015. Successivamente, il Comune dispose la trasmissione degli atti alla Regione e, con Deliberazione n. 1770 del 2 novembre 2016, la Giunta Regionale riconobbe le caratteristiche di progetto strategico ai sensi dell'art. 15 della l.r. n. 32 del 2013, al fine avviare il procedimento relativo alla stipula di un Accordo di Programma. Poi, con decreto n. 11770/2016/1109 dell'1 febbraio 2017, l'Ente Parco dei Colli Euganei ha rilevato l'incompatibilità del progetto turistico rispetto alle previsioni del Piano ambientale, dichiarata anche nel successivo parere reso nella seduta del 3 marzo 2021 e con la successiva nota prot. 24141 del 14 dicembre 2021 l'Ente Parco dei Colli Euganei ha precisato che la procedura di variante del Piano ambientale avrebbe dovuto essere preceduta dall'adozione di una variante allo strumento urbanistico comunale. Infine con la nota prot. n. 21361 del 4 novembre 2022, il Sindaco del Comune di (omissis) ha segnalato alla signora Sa. la difformità del progetto rispetto alle previsioni del Piano di Assetto del Territorito (P.A.T.) e del Piano degli Interventi (P.I.) sostenendo di non poter "approvare una variante" al P.I. in difformità rispetto al P.A.T., che non prevede il Progetto Strategico Turistico in quanto in contrasto con il Piano ambientale; sotto diverso profilo ha rilevato che una eventuale variante al P.A.T. non solo sarebbe di competenza della Provincia, ma non sarebbe neppure attuabile poiché sarebbe, per l'appunto, in contrasto con il Piano Ambientale. 3. Dalle considerazioni che precedono risulta quindi che il procedimento relativo al progetto, in sostanza, non è stato proseguito a causa della divergenza emersa tra le amministrazioni con riferimento all'individuazione dell'iter da seguire per pervenire all'adozione delle modifiche al Piano Ambientale. 4. La signora Sa. - pertanto - ha presentato l'ulteriore e già menzionata diffida del 29 dicembre 2022 attraverso la quale ha chiesto che il Comune di (omissis) e l'Ente Parco dei Colli Euganei avviassero entro il termine di trenta giorni il procedimento volto all'adozione della variante al Piano Ambientale, necessaria per proseguire l'iter dell'accordo strategico turistico e, a fronte del silenzio del Comune, ha introdotto il presente giudizio avverso il silenzio. 5. Il T.a.r. Veneto, con la sentenza impugnata, ha accolto il ricorso rilevando che, nel caso di specie, l'obbligo di concludere il procedimento dipendeva dall'affidamento ingenerato in capo alla ricorrente. Ad avviso del giudice di prime cure, infatti, per la particolarità del caso di specie e per la specificità della posizione della ricorrente, sarebbe consentito discostarsi dal principio generale, secondo cui non è configurabile alcun obbligo di provvedere rispetto agli atti di pianificazione urbanistica, che risultano connotati da ampia discrezionalità nell'an e nel quomodo, con la conseguenza che sarebbe ravvisabile in capo all'amministrazione comunale uno specifico obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, eventualmente anche attraverso un rigetto nel merito della richiesta di avvio dell'iter di adozione delle varianti agli strumenti urbanistici comunali prodromiche alla variante generale al Piano Ambientale del Parco, dal momento che l'amministrazione comunale fino a quel momento non si era espressa nel merito limitandosi ad osservazioni definite "procedurali" (come quella di cui alla nota sindacale del 4 novembre 2022). 6. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di (omissis), prospettando anzitutto - nella parte in fatto - una diversa ricostruzione della vicenda procedimentale volta a porre in evidenza il difetto di competenza del Comune rispetto all'adozione degli atti propedeutici alla prosecuzione dell'iter, osservando, in proposito, che il Comune non sarebbe "l'Ente capofila" nel procedimento volto all'adozione dell'Accordo di Programma, né sarebbe titolare di un "autonomo onere di variante dello strumento urbanistico", né, ancora, sarebbe competente a variare il Piano Ambientale. In altri termini, il Comune appellante ritiene che l'arresto del procedimento debba essere imputato agli altri enti coinvolti e, sul punto, osserva, infatti, che: "gli Enti che avrebbero potuto/dovuto portare avanti il procedimento, in realtà, si arrestavano, sembrando pretendere che il Comune, seppur incompetente, facesse le loro veci". In questa prospettiva, pertanto, ad avviso dell'Ente locale, l'adozione della variante comunale integrava un adempimento non previsto dal procedimento di Accordo di Programma, che, al contrario, assorbirebbe di per sé la variante stessa rendendone così superflua l'adozione da parte del Comune e, inoltre, non si tratterebbe neppure di un adempimento richiesto per la Variante Generale al Piano Ambientale, che, secondo il Comune, l'Ente Parco avrebbe potuto avviare autonomamente. L'appellante sostiene, inoltre, di aver puntualmente rappresentato i predetti profili critici mediante la nota del 4 novembre 2022 nella quale il Sindaco di (omissis) ha indicato alla signora Sa. le ragioni per le quali il Comune non avrebbe potuto adottare la variante allo strumento urbanistico e, a fronte dell'ulteriore diffida del 29 dicembre 2022, l'amministrazione ha ritenuto di non dover dare ulteriori riscontri avendo, a suo dire, già indicato puntualmente le ragioni per le quali non sarebbe stato possibile dar seguito al procedimento, spettando la prosecuzione dell'iter alla Regione e all'Ente Parco. 6.1. Con il primo motivo di gravame, il Comune appellante sostiene che il ricorso di primo grado sia irricevibile o inammissibile in quanto proposto oltre il termine annuale previsto dall'art. 31, comma 2, c.p.a. dal momento che il procedimento ha avuto avvio nel dicembre 2015 con la presentazione dell'originaria istanza, mentre il ricorso è stato depositato solo nel 2023. Nella prospettazione del Comune, pertanto, la diffida del 29 dicembre 2022 non sarebbe una nuova istanza ma un mero sollecito per la prosecuzione del procedimento. Il Comune osserva inoltre che considerando l'anzidetta diffida alla stregua di un'istanza presentata ex novo nel 2022 non avrebbe potuto trovare applicazione l'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004, che era stato medio tempore abrogato; mentre qualificandola come mera richiesta di variante urbanistica non sarebbe stato possibile configurare alcun obbligo di provvedere in capo al Comune. 6.2. Con il secondo motivo di gravame, il Comune contesta la sentenza sostenendo che il primo giudice abbia omesso di rilevare un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, in quanto l'istanza del 29 dicembre 2022 era da ritenersi la mera reiterazione di una precedente richiesta formulata dalla stessa ricorrente alla quale il Comune - con il già richiamato provvedimento del Sindaco del 4 novembre 2022 - aveva dato riscontro, indicando le ragioni ostative alla prosecuzione del procedimento attraverso l'adozione, da parte del Comune medesimo, di una variante urbanistica. Tale provvedimento - che non è stato impugnato - aveva indicato le ragioni poste a fondamento dell'incompetenza del Comune di (omissis) e della conseguente impossibilità di adottare una variante. Conseguentemente, il giudice avrebbe errato a qualificare la nota sindacale del 4 novembre 2022 quale atto "meramente interlocutorio" nonché "proveniente da Organo non competente alla pianificazione". 6.3. Con il terzo motivo di gravame, insiste nel sostenere che in capo al Comune non sussista alcun obbligo di adottare la variante urbanistica in considerazione di quanto previsto dall'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004 e dalla D.G.R.V. n. 450/2015. 7. Si è costituita in giudizio El. Sa. eccependo l'inammissibilità dell'appello per difetto di interesse poiché a seguito della sentenza del T.a.r., con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 68 del 27 dicembre 2023, comunicata con nota del 28 febbraio 2024, il Comune ha rigettato l'istanza della Sa. ritenendo di non poter accogliere la proposta di accordo di programma. La delibera dispone testualmente di rigettare "l'istanza presentata in data 29.12.22 dalla ditta Sa. Elisa volta all'introduzione di una Variante al Piano di Assetto del Territorio (P.A.T.) e di una Variante al Piano degli Interventi e per l'effetto di rigettare anche l'istanza volta all'adozione delle determinazioni necessarie a dare impulso all'approvazione di una Variante al Piano Ambientale del Parco Colli Euganei". Ad avviso della signora Sa. si tratta, dunque, di un provvedimento espresso adottato successivamente alla pubblicazione della sentenza appellata e già impugnato, a sua volta, davanti al T.a.r., con la conseguenza che l'appello dovrebbe a suo dire essere dichiarato inammissibile. Ferma restando l'eccezione che precede, la parte appellata ha replicato nel merito alle censure del Comune. 8. Con la memoria di replica del 3 maggio 2024, il Comune di (omissis) insiste nel sostenere che la variante dello strumento urbanistico non è riconducibile alla sfera decisionale del Comune, trattandosi di una conseguenza diretta e immediata della procedura di approvazione dell'accordo di programma avente ad oggetto un intervento di interesse regionale. Con riferimento all'eccezione di inammissibilità dell'appello a seguito della delibera n. 68 del 27 dicembre 2023, il Comune di (omissis) eccepisce la tardività del deposito della delibera medesima e sostiene che l'eccezione sia comunque infondata dal momento che l'anzidetta delibera è stata adottata solo per ottemperare alla sentenza immediatamente esecutiva, sicché "l'Amministrazione comunale ha un interesse attuale e concreto ad ottenere una pronuncia della presente impugnazione, posto che l'accertamento dell'insussistenza, in capo alla medesima, di un obbligo di provvedere renderebbe inutiliter data la stessa Delibera consiliare n. 68/2023". 9. Tanto premesso, il Collegio - trattenuta la causa in decisione alla camera di consiglio del 16 maggio 2024 - reputa che l'appello non sia fondato. 10. Preliminarmente, va esaminate l'eccezione di inammissibilità dell'appello per difetto di interesse, in considerazione dell'adozione del provvedimento espresso mediante la delibera n. 68 del 27 dicembre 2023. Si deve, infatti, escludere che con l'anzidetta delibera il Comune abbia inteso fare acquiescenza alla sentenza, dal momento che nella delibera stessa si legge espressamente quanto segue: "il presente provvedimento viene assunto in forza di quanto disposto dalla sentenza T.A.R. Veneto n. 1564 del 6.11.2023, esecutiva, al fine di ottemperare a un obbligo giudiziale, senza che, però, il Comune intenda fare acquiescenza alla predetta pronuncia e, quindi, con riserva di proporre avverso la stessa impugnazione". Sul punto, il Collegio intende dare continuità al consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, secondo cui dall'esecuzione della sentenza di primo grado non si può desumere l'acquiescenza alla sentenza stessa, dal momento che l'esecuzione della pronuncia, in assenza di misure cautelari del giudice d'appello, è un dovere dell'amministrazione soccombente, salvo il caso in cui l'amministrazione abbia dichiarato espressamente di accettare la decisione o che comunque tale accettazione sia evincibile dal complessivo comportamento tenuto; in questo senso, ex multis, cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 novembre 2023, n. 9909; Cons. Stato, Sez. II, 2 ottobre 2023, n. 8614; Cons. Stato, Sez. V, 1 dicembre 2022, n. 10565. L'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità dell'appello consente di prescindere dall'esame dell'ulteriore eccezione, sollevata dal Comune, concernente la tardività del deposito della delibera n. 68 del 27 dicembre 2023, fermo restando comunque che il contenuto della delibera non è stato contestato dal Comune. 11. Passando all'esame dei motivi di gravame, il Collegio rileva che la prima censura, concernente l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio per decorso del termine annuale previsto dall'art. 117 c.p.a., è infondato poiché occorre avere riguardo non già, come sostenuto dal Comune appellante, al procedimento avviato con l'istanza presentata in data 28 dicembre 2015 prot. n. 19701, bensì al diverso procedimento di cui all'istanza del 29 dicembre 2022, concernente la variante urbanistica che, come già affermato dal T.a.r., di regola non fa sorgere alcun obbligo di provvedere in capo al Comune. Tuttavia, nel caso di specie, sussistono una pluralità di elementi che impongono all'amministrazione, per fondamentali esigenze di tutela dell'affidamento del privato, di riscontrare espressamente la predetta istanza. In primo luogo, assume rilievo la circostanza che, nella prospettiva della signora Sa. si trattasse di un adempimento da considerare non già in sé e per sé, bensì da inserire nel contesto della prosecuzione dell'iter procedimentale per la realizzazione del progetto strategico turistico dalla medesima proposto. In secondo luogo, assume rilievo anche la circostanza che la signora Sa. si sia trovata di fronte a una situazione del tutto peculiare connotata da una disciplina regionale senza dubbio di per sé caratterizzata da profili di una certa complessità e ulteriormente complicata dall'evidente contrapposizione venutasi a creare tra le amministrazioni coinvolte nel procedimento con riferimento ai successivi passaggi necessari per la prosecuzione dell'iter, come chiaramente si desume dai documenti versati in atti e, in particolare, dalla già menzionata nota del 4 novembre 2022 del Sindaco di (omissis) nonché dalla nota dell'Ente Parco dei Colli Euganei del 14 dicembre 2021 che aveva fatto presente la necessità della preventiva adozione della variante urbanistica da parte del Consiglio Comunale. Oltre a ciò, come già osservato dal T.a.r., non può essere ritenuta priva di rilevanza neppure la circostanza che il Comune medesimo aveva assunto un ruolo non secondario nell'ambito dell'iter per l'approvazione dell'accordo di programma, come dimostrato dal fatto che aveva dapprima promosso un incontro con le associazioni di categoria per la valutazione del progetto e aveva poi trasmesso alla Regione, in data 1 giugno 2016, l'istanza di attivazione del progetto stesso, chiedendo la prosecuzione dell'iter. Inoltre, già con la D.G.R. n. 1770 del 2015, la Regione aveva deliberato "di confermare che il progetto per la realizzazione di un'area adibita a servizio dell'anello ciclo - turistico dei Colli Euganei, con completamento della pista ciclabile lungo la SP n. 89 e via (omissis), e l'urbanizzazione e realizzazione di una nuova zona residenziale denominata "Al frutteto" in Comune di (omissis) (PD), riveste le caratteristiche di progetto strategico". Conseguentemente, il primo motivo di appello è infondato, non potendosi condividere la prospettazione di parte appellante né con riferimento all'eccezione di tardività del ricorso introduttivo, né avuto riguardo all'assenza di un obbligo di provvedere in capo al Comune, che, al contrario, è desumibile dalle caratteristiche del tutto peculiari del procedimento e dalla necessità di tutelare l'affidamento del privato a fronte di divergenti indicazioni delle amministrazioni coinvolte. 12. Anche il secondo motivo di appello, con cui il Comune ha sostenuto che il T.a.r. dovesse rilevare l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, avendo l'amministrazione già risposto con la nota del 4 novembre 2022, è infondato. Sul punto è dirimente la circostanza che l'anzidetta nota risulta essere meramente interlocutoria come è agevole desumere dalla precisazione con cui il Sindaco di (omissis) comunica letteralmente quanto segue: "sperando di aver contribuito ad un approfondimento dello stato dell'arte sul Progetto Strategico Turistico". Si tratta, infatti, di un contenuto di carattere non già provvedimentale, bensì solo interlocutorio, che per l'appunto offre un mero contributo di approfondimento con l'essenziale finalità di pervenire alla corretta interpretazione delle disposizioni, in conformità con il dovere di leale collaborazione. 13. Con riferimento, infine, al terzo motivo di gravame per il cui tramite il Comune sostiene che non sussista alcun suo obbligo di adottare la variante urbanistica in considerazione di quanto previsto dall'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004, si deve rilevare come tale osservazione sia sostanzialmente inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza del T.a.r., la quale, per le ragioni già illustrate, ha correttamente affermato la sussistenza dell'obbligo di provvedere in capo al Comune, precisando espressamente che l'amministrazione comunale ben avrebbe potuto respingere l'istanza (eventualmente anche alla luce delle ragioni indicate nell'ambito del terzo motivo di gravame). 14. Dalle considerazioni che precedono discende, dunque, il rigetto dell'appello. 15. Le spese processuali del presente grado sono integralmente compensate in ragione della complessità e della peculiarità della fattispecie. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere Eugenio Tagliasacchi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7033 del 2023, proposto da Ii. Ca. in proprio e quale legale Rappresentante della ditta Individuale Ja. Vi. di Ii. Ca., rappresentate e difese dagli avvocati St. Zu., e Vi. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vi. Ce. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Sm. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via (...); Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura - Soprintendenza per Belle Arti e Paesaggio della Calabria, Agenzia del Demanio, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Meridionale, Ente Parco Nazionale dell'Aspromonte, Città Metropolitana di Reggio Calabria, Regione Calabria - Servizio Tecnico Regionale Vigilanza e Controllo Oo.Pp. Norme Sismiche, Sc. Fr., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 41/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Regione Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per la parte appellante l'Avv. Vi. Ce.; Viste le conclusioni delle parti appellate come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto avverso la determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) in data 19 maggio 2021, avente ad oggetto l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione di area demaniale marittima. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in fatto 1. Con determina del 27 gennaio 2020 il Comune di (omissis) approvata il bando di gara per la concessione dei lotti individuati nel Piano Comunale di Spiaggia approvato con determina dirigenziale n. 62 del 9 aprile 2019 della città Metropolitana di Reggio Calabria. La ricorrente partecipava alla procedura presentando la propria offerta per il lotto C1 (area attrezzata per la sostanza di camper e/o roulotte). Il progetto presentato prevedeva la realizzazione di un'area da adibire ad attività di pubblico interesse, ovvero: Area giochi per bambini, con l'installazione di giochi gonfiabili e giochi smontabili; Area piscina, con ombrelloni, realizzata in vetroresina già prefabbricata, facilmente amovibile; Punto attività collettive, mediante l'installazione di un chiosco/gazebo; Area barbecue, mediante l'installazione di un barbecue; Aree di parcheggio camper, con pavimentazione di tipo permeabile, ombreggiata, con pergolato in legno amovibile di dimensioni pari a circa m 6,00 x,8,00; Punto di bar/ritrovo, con il posizionamento di sedie e tavolini; Punto lavanderia; Punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzatura sanitaria; Servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. All'esito della valutazione delle proposte progettuali secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa la ditta risultava aggiudicataria. Con determinazione n. 28 del 17 aprile 2020 il responsabile dell'Area Tecnica e Territorio - Servizio II, approvava i verbali di gara nonché l'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dando atto che la procedura di rilascio delle concessioni demaniali si sarebbe perfezionata solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D. Lgs. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative col rilascio dei necessari titoli abilitativi. Così come previsto dall'art. 14 del bando di gara la ricorrente presentava apposita richiesta presso lo Sportello Unico Attività Produttive del Comune di (omissis) preordinata al rilascio delle necessarie autorizzazioni. Con nota prot. 14914 del 23 dicembre 2020 il Comune indiceva apposita conferenza di servizi ex art. 14 e ss. della legge n. 241/90 per l'acquisizione dei pareri, intese, nulla osta o altri atti d'assenso assegnando alle amministrazioni coinvolte i relativi termini per richiedere integrazioni (7 gennaio 2021), esprimere pareri, assensi o nulla osta (22 febbraio 2021), nonché per l'eventuale riunione di conferenza in modalità sincrona (5 marzo 2021). Con successiva nota prot. n. 1929 dell'11 febbraio 2021, resosi necessario reiterare l'invio della documentazione necessaria, veniva disposta la riapertura dei termini per la produzione dei pareri. Con nota prot. n. 4511 del 31 marzo 2021 veniva comunicato alla ricorrente l'avvio del procedimento di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione avendo il Comune preso atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi. Come rilevato, invero, dalla Regione Calabria, con nota del Dipartimento Tutela dell'Ambiente del 17 marzo 2021, l'art. 11 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte delle Norme Tecniche del Piano Comunale di Spiaggia stabilisce al punto 10 che: "11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia" - "i manufatti previsti nel progetto superano la superficie assentibile prevista dall'art. 11 punto 10 delle NTA del PCS che prevede esclusivamente la possibilità di realizzare un manufatto di dimensioni massime pari a mq. 30 come sopra specificato - L'art. 11 delle NTA non prevede la possibilità di realizzare manufatti da destinare a lavanderia, alloggio per il custode, bar e piscina. Il Comune prendeva, pertanto, atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi, in ragione della quale non possono essere inserite le strutture previste, che superano le dimensioni massime consentite in termini di superfici e possiedono destinazioni di utilizzo non contemplate nella norma del piano attuativo vigente, comunicando l'avvio del procedimento finalizzato all'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione del lotto C1 alla ditta Ii. Ca., alla quale veniva assegnato un termine di quindici giorni per presentare eventuali osservazioni. Entro i termini assegnati la ditta presentava le proprie osservazioni rilevando che il richiamato articolo 11 delle NTA prevede nei punti 7 e 4 la possibilità di realizzare manufatti da adibire a servizi in aggiunta alla possibilità di realizzare il manufatto di cui al successivo punto 10 con dimensioni massime di 30 mq. Rilevava, peraltro che, anche nell'ottica di una interpretazione più rigorosa dell'art. 11 delle NTA, l'annullamento in autotutela non si giustificherebbe dovendo, invece, attivarsi il soccorso istruttorio consentendo alla ditta di apportare le dovute modifiche al progetto. L'avvio del procedimento di annullamento si fonderebbe, inoltre, su un parere della Regione che nessuna competenza ha in materia. Tuttavia, con determinazione dell'Area Tecnica e Territorio, n. 30 del 19 maggio 2021, il Comune, viste le osservazioni presentate in data 12 aprile 2021, disponeva l'annullamento dell'aggiudicazione del lotto C1 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte (Art. 11 N.T.A.) di cui al Bando per il rilascio di concessione di aree demaniali marittime per finalità turistico-ricreative del 27.01.2020 e contestuale archiviazione della pratica SUAP n. 63 del 30/04/2020 presentata dalla ditta Ii. Ca., avente ad oggetto "richiesta concessione demaniale marittima annuale per attrezzature e sosta camper e/o roulotte - lotto C1" attesa l'illegittimità dell'aggiudicazione in violazione delle norme del piano comunale di spiaggia. La motivazione del sopra richiamato provvedimento di annullamento faceva tra l'altro riferimento alle seguenti circostanze: - la superficie complessivamente occupata dalle strutture (pur non indicata nelle osservazioni) è pari a mq 172,00 a fronte dei 30 previsti dall'art. 11 delle NTA, in evidente contrasto con tale disposizione che, invero, è chiara nel prevedere che tali sono le dimensioni massime delle strutture, comprensive di postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici. - l'avvio del procedimento non si fonda sul parere della Regione bensì sulla consapevolezza dell'illegittimità che viziava l'aggiudicazione; - non è poi invocabile il soccorso istruttorio non potendosi consentire alla ditta di apportare correzioni al progetto, trattandosi di progetto definitivo e, come tale, non suscettibile di rilevanti stravolgimenti in fase esecutiva. 3. Parte appellante lamenta: - erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respinge il ricorso sul presupposto che il parere della Regione non fosse tardivo e considerato atto proprio de Comune nel provvedimento di annullamento della concessione; - error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione, per cui il progetto presentato dalla Ditta contrasterebbe le norme tecniche del piano spiaggia; - errore sui presupposti; - violazione e/o falsa applicazione dell'artt. 1362 e ss. cod. civ in materia di interpretazione delle norme tecniche di attuazione del Piano spiaggia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6-bis del T.U. edilizia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Secondo parte appellante: - la Regione Calabria aveva reso un parere che aveva operato una sorta di "interpretazione autentica", non consentita, dell'art. 11 delle N.T.A del PSC; - il provvedimento del Comune sarebbe astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. I rilievi formulati dall'Amministrazione regionale sarebbero in parte affetti da un vizio di incompetenza, in ordine alla destinazione funzionale degli spazi, in parte da una lettura in malam partem ed estensiva delle N.T.A. L'art. 11 della norma tecnica applicata visto nel suo articolato consentirebbe al suo punto 7 e 4 la realizzazione di manufatti da adibire a servizi (non identificati con un numero chiuso) con caratteristiche costruttive tali da non nuocere al decoro dell'ambiente che non turbino l'estetica e non ostruiscano la visuale al mare, utilizzando materiali costruttivi aventi caratteristiche di precarietà e facile rimozione; Il suo successivo punto 10, secondo una interpretazione teologicamente orientata, coerente sia con l'oggetto sia con la vocazione turistica del territorio, oltre a contemplare i manufatti necessari per svolgere i servizi collegati alla concessione, prevederebbe la facoltà di realizzare un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove poter collocare la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap. I restanti manufatti sarebbero da intendersi come servizi primari per l'intero progetto, le norme nta non citerebbero in nessun punto altri manufatti. Per quanto concerne la piscina, la stessa sarebbe da ritenersi parte integrante delle aree di svago, essendo tra le altre cose una struttura di facile rimozione. Parte appellante fa altresì riferimento all'art. 6 - bis del T.U. edilizia considerata, per la modestia ed irrilevanza urbanistica ed edilizia degli interventi di cui si tratta. Parte appellante ritiene che le determinazioni adottate dal Comune di (omissis) sarebbero affette da un palese difetto di motivazione in quanto nelle stesse non viene specificato, nel disporre l'annullamento in autotutela, quali siano i giudizi valutativi espressi dall'Amministrazione in ordine all'impossibilità di procedere alla stipula del contratto di concessione di cui si tratta pur a fronte della pluralità dei pareri favorevoli espressi dagli enti effettivamente preposti alla tutela dei singoli vincoli individuati sull'area. 4. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui respinge il motivo relativo all'azione di annullamento in asserita autotutela del provvedimento di aggiudicazione del lotto C1. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per violazione dell'art. 14 del bando. Violazione dei principi dell'imparzialità e del buon andamento. Abuso del diritto. Error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione. Errore sui presupposti. Difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione o falsa applicazione dell'art. 14 e 14 bis della l.n. 241/1990. Il provvedimento del Comune, sarebbe in realtà astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Parte appellante fa riferimento ai pareri favorevoli espressi dalle amministrazioni interessate. La Regione Calabria, con decreto dirigenziale n. 4929 del 12 maggio 2021, relativamente alla procedura di incidenza ai sensi della DGR 749/2009 e s.m.i. - direttiva habitat 92 43 CEE Direttiva Uccelli 79 409 CEE DPR 357 97 - ha espresso parere favorevole di valutazione di incidenza con prescrizioni. Parte appellante fa poi riferimento al parere favorevole espresso dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria con nota prot. 3558 del 18 gennaio 2021 in ordine al vincolo paesaggistico insistente sull'area interessata dall'intervento. Parte appellante richiama il parere favorevole dell'Ufficio delle Dogane di Reggio Calabria, secondo cui "dall'esame degli elaborati forniti risulta la presenza di una strada pubblica tra il demanio marittimo e l'opera oggetto di richiesta di autorizzazione. Tale circostanza consente di poter annoverare l'opera di che trattasi al di fuori della zona di vigilanza doganale e perciò non soggetta al rilascio dell'autorizzazione ex art. 19 D.lgs. 374/90". Parte appellante richiama altresì il parere favorevole dell'ASL di Reggio Calabria con riferimento all'idoneità igienico-sanitaria del progetto. Secondo parte appellante la sentenza impugnata non affronterebbe il rapporto tra i suddetti pareri e le risultanze della conferenza di servizi. Anche in presenza di pareri negativi l'Amministrazione procedente potrebbe, sulla scorta di una valutazione discrezionale delle posizioni prevalenti, addivenire ad una determinazione conclusiva dell'iter autorizzativo di segno positivo, rimanendo la stessa libera di recepire o meno quanto espresso dalle Amministrazioni in sede di conferenza di servizi. In questo senso, pertanto, il parere negativo espresso dalla Regione non avrebbe potuto impedire l'adozione del provvedimento di autorizzazione, laddove la stessa amministrazione procedente abbia compiuto in sede urbanistica e preliminare del bando una valutazione discrezionale favorevole all'approvazione del progetto. L'amministrazione procedente, al fine di negare la richiesta autorizzazione non potrebbe limitarsi a richiamare acriticamente il contenuto del parere negativo espresso dalla Regione, dovendo invece comporre gli interessi in concorso e adottare un provvedimento finale che sia esito di una autonoma valutazione. Secondo parte appellante assume carattere assorbente la violazione del termine perentorio del 22.02.2021 indicato dall'A.C. per l'acquisizione dei pareri degli enti interessati. Il parere sfavorevole della Regione è giunto solo il 5 marzo del 2021 e quindi avrebbe dovuto essere ritenuto inutiliter dato o quantomeno valutato nel complesso dei pareri di opposto segno resi dagli enti interessati. Fa riferimento al difetto di istruttoria assieme a quello di motivazione atteso che nel provvedimento conclusivo del procedimento si afferma che l'area totale occupata è pari a 170,00 mq a fronte dei 30 mq massimi previsti dall'art. 11 delle N.T.A. Invero nel computo delle opere di cui all'art. 11 delle N.T.A. non potrebbero essere ricomprese, anche alla luce dei chiari pareri degli enti interessati (che anzi hanno condizionato l'espressione di un giudizio favorevole all'adeguata capacità ricettiva in sicurezza dell'area attrezzata), le strutture serventi, secondo un nesso di collegamento e di proporzionalità, il bene concesso tanto più che si tratta di opere relative all'igiene dei luoghi; alla sicurezza; al ristoro delle persone. Opere di tale ininfluente impatto da non rilevare e incidere su alcuno degli interessi oggetto di tutela nell'area interessata. 5. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha valutato il motivo inerente l'azione di risarcimento del danno derivante da annullamento (rectius revoca) dell'aggiudicazione conseguente all'impugnazione delle determinazioni amministrative di caducazione dell'aggiudicazione e di indizione di una nuova gara. Azione risarcitoria ex art. 30, co. III, del c.p.a. Violazione del principio di proporzionalità . Sproporzione. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Parte appellante chiede la restituzione (a titolo risarcitorio) delle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla procedura di gara e per la finalizzazione delle attività susseguenti l'aggiudicazione. In subordine chiede il risarcimento per via equitativa in misura non inferiore al 10% del valore della concessione perduta. 6. L'appello è infondato. Il provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione non è stato adottato, come ritiene parte appellante, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ma a causa della riscontrata illegittimità del provvedimento di aggiudicazione, ritenuto in contrasto con le vigenti NTA del piano comunale di spiaggia. Tale provvedimento è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e le osservazioni presentate da parte appellante sono state oggetto di specifico esame. Non sussiste il lamentato difetto di motivazione. Il provvedimento di annullamento, così come la precedente nota di comunicazione di avvio del procedimento, individua nella non conformità del progetto presentato dalla ricorrente con il punto 10 dell'art. 11 delle NTA del Piano Comunale di Spiaggia le ragioni di illegittimità dell'aggiudicazione. Il progetto, invero, in quanto non compatibile con le suddette norme tecniche non avrebbe potuto essere oggetto di valutazione né, conseguentemente, di aggiudicazione, anche considerando la necessaria tutela della par condicio tra i concorrenti. Con il provvedimento reso in autotutela il Comune ha specificamente motivato riguardo la sussistenza di un interesse pubblico rispetto al mero ripristino della legalità . Infatti trattasi dell'interesse alla tutela del territorio e dell'interesse della parità di trattamento dei concorrenti a che sia preso in considerazione un progetto conforme alla normativa vigente. Risulta adeguatamente comparato il sacrificio di parte appellante, considerando che l'intervento non è stato oggetto di rilascio dei permessi abilitativi e dunque non è stato realizzato. Parimenti la tutela della parità dei concorrenti non avrebbe consentito al Comune di richiedere a parte appellante la presentazione di un nuovo progetto, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte. Correttamente il Tar ha ritenuto infondata la censura secondo cui il provvedimento sarebbe stato adottato sulla base di un parere sfavorevole della Regione attinente ad aspetti (la compatibilità del progetto con le NTA) che non rientrano tra le competenze dell'amministrazione regionale. L'amministrazione comunale, infatti, non si è limitata a richiamare il parere del Settore 3 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria, ma ha dato atto nel provvedimento impugnato del contrasto del progetto presentato dalla ricorrente in sede di partecipazione alla procedura indetta per il rilascio di concessione di area/e demaniali marittime per finalità turistico-ricreative con l'art. 11, punto 10, delle Norme Tecniche del piano comunale di spiaggia. L'annullamento in autotutela è dunque espressione di autonoma valutazione dell'Amministrazione comunale. Correttamente il Tar ha ritenuto non rilevante la circostanza che le altre amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi abbiano espresso parere favorevole al rilascio della concessione riguardando i suddetti pareri aspetti del tutto diversi ed ulteriori rispetto a quelli afferenti alla incompatibilità del progetto con le norme tecniche di attuazione che ha portato all'annullamento. Ed infatti: - il parere della Città Metropolitana prot. n. 3558 del 18 gennaio 2021, concerne esclusivamente la compatibilità paesaggistica dell'intervento e non costituisce presunzione di legittimità del progetto sotto ogni altro profilo; - il parere dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria prot. n. 86 del 27 gennaio 2021 riguarda esclusivamente l'idoneità igienico sanitaria delle strutture da realizzare; - il decreto n. 4929 del 12 maggio 2021 del Settore 4 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria riguarda la Valutazione di Incidenza ai sensi del DPR 357/97 e DGR 749/2009 che tiene conto degli impatti potenziali sulla flora, sulla fauna ed avifauna selvatica e più in generale sul complessivo sistema ambientale del sito sensibile. È parimenti infondata la censura di parte appellante, secondo cui l'amministrazione comunale avrebbe erroneamente ritenuto superato il limite di mq 30 previsto dall'articolo 11 delle NTA non potendo ritenersi ricomprese in tale prescrizione le strutture serventi. Il punto 11.10 delle NTA del piano comunale di spiaggia consente, infatti, la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, che ricomprenda la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. Nel caso in esame il progetto presentato dall'appellante prevedeva, invece, la realizzazione di più manufatti con estensione complessiva ben superiore ai 30 metri quadrati previsti dalla disposizione richiamata (punto di bar/ritrovo di superficie pari a mq. 37,80; punto lavanderia di mq 44,00; punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzature sanitarie di complessivi mq 62; servizi igienici di mq 28,20). Essendo superato il limite di 30 metri quadrati previsto dalle n. t.a., è priva di fondamento la tesi di parte appellante, secondo cui si tratterebbe di interventi minori soggetti ad edificazione libera. Si tratta di intervento non consentito dalle n. t.a. e dunque il Comune non avrebbe in ogni caso potuto determinarsi diversamente. Sebbene - ciò va riconosciuto - di non piana lettura, la norma di riferimento ("11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia."), non si presta (cfr l'inciso "dove") alla lettura dell'appellante, secondo cui i 30 mq sarebbero implementabili con gli altri manufatti ivi citati, sino ad una possibile cubatura complessiva di mq 170. Correttamente il Tar ha osservato che nessun legittimo affidamento può dirsi ingenerato dall'aggiudicazione poi annullata atteso che il bando di gara subordinava espressamente il rilascio della concessione demaniale marittima all'acquisizione dei necessari pareri, autorizzazioni e nulla osta (art. 14) e che, coerentemente con tale previsione, la determina n. 28 del 17 aprile 2020, di approvazione dei verbali di gara e dell'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dava atto che la procedura di rilascio di concessioni demaniali... si perfezionerà solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative con rilascio dei necessari titoli abilitativi. Proprio per effetto dell'impugnato provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione (impugnato in primo grado) i titoli abilitativi non potevano essere rilasciati. Ne consegue l'infondatezza della censura di tardività proposta dall'appellante, anche considerando che sono stati rispettati i termini per l'esercizio dell'autotutela previsti dall'art. 21 - nonies della legge n° 241 del 1990. La responsabilità per avere presentato un progetto difforme dalla normativa vigente grava sul soggetto che ha partecipato alla procedura e dunque su parte appellante. Pertanto non può essere accolta la domanda di risarcitoria in relazione alla lesione dell'affidamento. Né può essere accolta la domanda risarcitoria connessa all'azione impugnatoria, essendo quest'ultima infondata per quanto sopra precisato. Essendo sufficiente il quadro probatorio ai fini della decisione, non può essere accolta l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio proposta dall'appellante L'appello deve pertanto essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis) e di Euro 2.000/00 (duemila/00) a favore della Regione Calabria. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 401 del 2020, proposto da Ab. Vi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Lu. Ma. e Gi. St., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Po. Fl. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Pa. e An. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero per i beni e le attività culturali, Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca, Università degli Studi Roma La Sapienza, Regione Autonoma della Sardegna, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. 00423/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), della Regione Sardegna, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, dell'Università degli Studi Roma La Sapienza; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in trattazione, la società Ab. Vi. S.r.l. chiede la riforma della sentenza del T.a.r. per la Sardegna 21 maggio 2019, n. 423, che ha respinto il ricorso proposto dall'odierna appellante per l'annullamento del provvedimento dirigenziale del 3 marzo 2017, del Comune di (omissis), nella parte in cui - pur autorizzando l'intervento di variante alle opere di urbanizzazione del campeggio Ab. Vi. - ha disposto che "(p)rima del rilascio dell'agibilità dovranno essere assolti, da parte della Società titolare del presente titolo, gli obblighi di cui all'atto unilaterale d'obbligo di cessione del 27/ 12/1988", di cui alla deliberazione di Giunta comunale n. 288/88; ossia, il trasferimento delle aree di cessione di cui all'atto di impegno unilaterale del 1988, con il quale il proprietario dell'area e del campeggio si impegnò a "cedere al Comune di (omissis), quando la struttura pararicettiva in oggetto sarà inserita nello studio di disciplina della zone turistiche, il terreno, della complessiva superficie di mq. 17.600, da stralciarsi dal mapp. 24 con apposito tipo di frazionamento, contrassegnato col numero 24/b e contornato in rosso nella allegata planimetria". 2. Con la sentenza, il giudice di prime cure ha ritenuto infondate le censure dedotte dalla ricorrente sull'assunto che la società non avesse provveduto all'adempimento degli obblighi convenzionali e che il diritto dell'amministrazione non fosse soggetto a prescrizione. 3. La società, rimasta soccombente, ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza sulla scorta dei seguenti motivi: I) erroneità della sentenza per avere respinto la censura basata sulla intervenuta prescrizione del diritto del Comune di (omissis) alla cessione dell'area; II) ingiustizia della sentenza per non aver rilevato che l'atto di impegno del 1988 era correlato all'approvazione del Piano di Disciplina delle zone F e del relativo piano di lottizzazione, che non è mai stato approvato; in tale situazione avrebbe operato, a favore della società, l'eccezione di inadempimento. In ogni caso, il presupposto per la cessione delle aree non si sarebbe verificato e, quindi, l'obbligo di provvedere alla cessione non sarebbe mai sorto. L'appellante, altresì, critica la sentenza per aver richiamato la normativa sulle cessioni nei piani di lottizzazione, inapplicabile nel caso di specie, poiché l'atto di impegno non era correlato a nessuna lottizzazione esistente, ma era stato formato "in vista" di una futura pianificazione, mai venuta ad esistenza. Attualmente la sopravvenuta normativa urbanistica regionale e comunale (il nuovo piano urbanistico comunale di (omissis)) avrebbe definitivamente impedito ogni possibilità di realizzare la lottizzazione dell'area; III) ripropone, infine, il motivo del ricorso di primo grado non esaminato dal primo giudice, con il quale ha dedotto la violazione del principio di proporzionalità in quanto si dovrebbe comunque ritenere che le aree di cessione da trasferire debbano essere proporzionali alle volumetrie effettivamente realizzate in forza della concessione in deroga rilasciata nel 1989, pari a circa 2000 mc; pertanto, la pretesa cessione di 17.600 mq (funzionale alla possibilità di realizzare 10.000 mc, ammessi dal programma di fabbricazione all'epoca vigente) dovrebbe ritenersi in violazione del principio di proporzionalità, oltre che illegittima per eccesso di potere sotto diversi profili (travisamento di fatti e carenza dei presupposti; ingiustizia grave e manifesta; difetto di istruttoria). 4. Si è costituito il Comune di (omissis), ribadendo anzitutto che la cessione non è soggetta a termine prescrizionale; in secondo luogo, l'amministrazione sottolinea di avere adempiuto agli obblighi assunti, approvando l'adeguamento del P.U.C. alle previsioni dei Piani Territoriali Paesistici nell'anno 2004 e poi nel 2015 (adeguamento al piano paesaggistico regionale), che ricomprende l'area oggetto di concessione in deroga all'interno del QN4 (quadro normativo) comparto A; e quindi riconosce pienamente la struttura esistente del campeggio Ab. (oggetto a suo tempo, nel 1989, di concessione in deroga, ossia senza previa lottizzazione). 5. Resistono in giudizio anche la Regione Sardegna, il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, e l'Università degli Studi di Roma La Sapienza. 6. All'udienza straordinaria del 6 marzo 2024, la causa è stata trattenuta in decisione. 7. I motivi sopra esposti si prestano a una trattazione congiunta data la stretta connessione degli argomenti dedotti dall'appellante. 7.1. Quanto alla censura con la quale l'appellante deduce l'intervenuta prescrizione del diritto dell'amministrazione comunale alla cessione delle aree di cui alla convenzione sopra richiamata, va rammentato, anzitutto, che il primo giudice ha ritenuto che la cessione di un'area al Comune in forza della convenzione stipulata inter partes (per destinarla a viabilità e a servizi pubblici), si concreta, sostanzialmente, in una condizione della concessione edilizia richiesta dall'interessato, ormai inoppugnabile e pacificamente attuata, per cui deve conseguentemente ritenersi che, a fronte dell'intrinseca connessione della cessione dell'area con la richiesta e rilasciata concessione edilizia, la correlativa obbligazione, di natura pubblicistica, sia insuscettibile di estinzione per prescrizione. 7.2. Tuttavia, anche se di dovesse seguire la prospettiva integralmente civilistica fatta propria dalla società appellante, e quindi ritenere applicabile agli atti unilaterali accessivi alle concessioni (in questo caso si trattava di una concessione in deroga) il regime civilistico della prescrizione (come afferma un orientamento giurisprudenziale richiamato e condiviso recentemente da Consiglio di Stato, sez. II, 1° dicembre 2021, n. 8006), va considerato che la prescrizione decennale inizia a decorrere dal momento in cui il Comune ha potuto far valere il diritto alla cessione dell'area, secondo la regola posta dall'art. 2935 del codice civile ("La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere"). Nel caso di specie, dal momento in cui l'amministrazione comunale ha adempiuto agli impegni assunti nell'atto accessivo alla concessione in deroga, vale a dire dalla approvazione definitiva del piano urbanistico comunale, il quale ha inserito nella pianificazione l'area oggetto della concessione in deroga (il che corrisponde all'inserimento del terreno in questione nello studio di disciplina delle zone turistiche F). Come risulta dalla documentazione in atti, ciò è avvenuto con la deliberazione del Consiglio comunale n. 4 del 15 gennaio 2015, data a partire dal quale il Comune poteva far valere il diritto a ottenere la cessione delle aree. Poiché il provvedimento impugnato in primo grado è stato adottato il 3 marzo 2017, ne deriva come conseguenza che la pretesa del Comune (fatta valere attraverso detto provvedimento) risulta tempestiva, in quanto esercitata nell'ordinario termine decennale. 7.3. Da quanto rilevato, emerge altresì che il Comune ha adempiuto agli obblighi posti a suo carico. 7.4. I primi due motivi di appello sono, pertanto, infondati. 8. Stessa sorte va riservata al motivo riproposto, considerato che la pretesa dell'amministrazione si fonda sugli impegni assunti reciprocamente dalle parti con la sottoscrizione della convenzione accessiva alla concessione in deroga rilasciata nel 1989. 8.1. Previsione peraltro conforme alla normativa regionale applicabile ratione temporis, come sottolineato dal primo giudice (a cui pertanto non può essere rimproverato di non avere esaminato la censura), nella parte in cui ha rilevato che, ai sensi dell'art. 7 del decreto del Presidente della Giunta regionale della Sardegna, 1 agosto 1977, n. 9743 - 271 (cd. decreto Soddu), per le zone F turistiche "(i)l 50 per cento della superficie territoriale deve essere destinata a spazi per attrezzature di interesse comune, per verde attrezzato a parco, gioco e sport, per parcheggi. Almeno il 60 per cento di tale aree devono essere pubbliche". 8.2. La convenzione va interpretata in conformità a detta normativa, con conseguente obbligo della società ricorrente di procedere alla cessione in favore del Comune del 30% delle aree in questione. Nell'atto di impegno del 27 dicembre 1988 è riconosciuto, inoltre, che "L'intervento riguarda, complessivamente, una superficie di mq. 58.700, censita in catasto al Foglio (omissis) Mappali (omissis)"; per cui non si può che condividere la conclusione del giudice di prime cure sulla correttezza del conteggio delle aree oggetto della cessione, pari a circa mq 17.600, come del resto precisato nel citato atto di impegno. 9. In conclusione, l'appello va integralmente respinto. 10. La disciplina delle spese giudiziali segue la regola della soccombenza nei rapporti tra l'appellante e il Comune di (omissis), nei termini di cui al dispositivo. Vanno compensate, sussistendo giuste ragioni, tra l'appellante e le altre amministrazioni appellate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la società appellante al pagamento delle spese giudiziali del grado di appello, in favore del Comune di (omissis), che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge. Compensa le spese tra la società appellante e le altre amministrazioni appellate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, tenuta da remoto, con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Giovanni Tulumello - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 600 del 2020, proposto da Re. Br., rappresentato e difeso dall'avvocato Ca. Fr. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Va. Be. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti Azienda Agricola Be. An., Società Agricola Tr. Po., rappresentati e difesi dagli avvocati An. Le., Gi. Sa. e Gi. Go., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Ma. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto Sezione Seconda n. 00625/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), dell'Azienda Agricola Be. An. e di Società Agricola Tr. Po. di Be. An. & C; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in trattazione, il signor Re. Br. chiede la riforma della sentenza del T.a.r. per il Veneto che ha dichiarato inammissibile il suo ricorso proposto per l'annullamento del permesso di costruire e degli atti di proroga del termine per concludere i lavori, nonché per l'accertamento dell'intervenuta decadenza del permesso di costruire rilasciato dal Comune di (omissis) all'Azienda Agricola Be. An. per realizzare un allevamento per scrofe da riproduzione. 1.1. Secondo il primo giudice, l'inammissibilità del ricorso deriva dall'assunto che, in capo al ricorrente, difetta la legittimazione a ricorrere, sia sotto il profilo della vicinitas, sia per la assenza di un qualche pregiudizio per la posizione del ricorrente derivante dall'assetto edilizio scaturente dal provvedimento impugnato. Nel caso di specie, tra il fondo del ricorrente e quello del controinteressato intercorre una distanza di oltre 900 metri; in ogni caso l'allevamento che deve essere realizzato non ha carattere intensivo. Sottolinea, inoltre, che la normativa regionale per tale tipo di allevamenti prescrive una distanza di rispetto di 100 metri dalle residenze civili sparse e di 200 metri dalle residenze civili concentrate. 1.2. Il Tribunale amministrativo, peraltro, superando anche la questione di inammissibilità, ha respinto il ricorso anche nel merito. 2. Il ricorrente in primo grado, rimasto soccombente, ha proposto appello sostanzialmente reiterando i motivi del ricorso, in chiave critica della sentenza di cui chiede la riforma. 2.1. Con il primo motivo, censura la sentenza per aver affermato la insussistenza della legittimazione ad agire del ricorrente, che nel caso di impugnazione del titolo edilizio per ragioni di tutela dell'ambiente e della salute dovrebbe essere valutata in termini diversi, valutando caso per caso il pregiudizio lamentato. Non potrebbe quindi rilevare il fatto della distanza tra il fondo dell'appellante e il fondo su cui sorge l'allevamento, avendo tra l'altro dimostrato (con perizia depositata in giudizio) che gli effetti si produrrebbero ugualmente, né tantomeno potrebbero valere le distanze rispetto alle abitazioni civili dettate per ragioni sanitarie e non di tutela dell'ambiente. 2.2. Con ulteriori censure deduce l'erroneità della sentenza anche nella parte in cui ha respinto i singoli motivi di ricorso. 2.3. In particolare, ribadisce che la proroga ex lege dei termini di inizio e conclusione dei lavori di cui all'art. 30, commi 3 e 4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, è subordinata alla valutazione che "i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati"; e nel caso di specie questa condizione non sussisterebbe perché il permesso di costruire era stato rilasciato sulla base di una norma di deroga agli strumenti urbanistici. Questa difformità rispetto alla disciplina urbanistica risorgerebbe e assumerebbe nuovamente rilevanza ove si intenda sfruttare la proroga ex lege di cui sopra (la quale, come segnalato, impone la conformità del titolo alla disciplina urbanistica ed edilizia al momento della comunicazione dell'interessato). 2.4. Con il terzo motivo impugna la sentenza nella parte in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso relativo alla intervenuta decadenza del permesso di costruire rilasciato il 14 novembre 2012, sia per mancato inizio dei lavori nel termine annuale dal rilascio del titolo, sia che per la loro mancata ultimazione nel triennio di legge (sull'assunto della illegittimità delle proroghe concesse dall'amministrazione e contestate con il secondo motivo d'appello). Riprendendo il contenuto del motivo dedotto in primo grado, l'appellante ribadisce che il mero impianto del cantiere, in assenza di altri fattori (es. innalzamento di elementi portanti, elevazione di muri, esecuzione di scavi, gettito delle fondazioni) non è sufficiente a evitare la decadenza del permesso di costruire; e che l'allestimento del cantiere non può essere considerato strettamente funzionale alla realizzazione dell'opera oggetto del titolo edilizio. Come si evincerebbe dalla documentazione fotografica risalente al marzo 2018, solo molto di recente sarebbero stati realizzati i primi lavori funzionali alla realizzazione dell'insediamento zootecnico. Censura, infine, l'omessa pronuncia del primo giudice sulla richiesta formulata dal ricorrente affinché il Tribunale ordinasse alla resistente Azienda Be., ai sensi dell'art. 210 cod. proc. civ., di produrre in giudizio copia delle fatture emesse dalle ditte incaricate dei lavori al fine di verificare la descrizione del tipo di lavori riportata in tali documenti e associarla alla data degli stessi, così da poter ricostruire, sulla base di documentazione ufficiale - la cui esistenza è certa, come è pure certo che si trovi nella disponibilità dell'appellata Azienda Be. - fino a quando si è protratto il compimento di attività (solo) di approntamento del cantiere, di scavo e sbancamento, e a quale data sia invece collocabile l'effettivo inizio dei lavori. 3. Nella resistenza in giudizio del Comune di (omissis), dell'Azienda Agricola Be. An. e della Società Agricola Tr. Po. di Be. An. & C, all'udienza straordinaria del 6 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 4. Ciò posto, si può prescindere dalla questione di legittimazione a ricorrere (primo motivo d'appello), stante la infondatezza nel merito dell'appello. 5. Quanto al secondo motivo, l'interpretazione offerta dall'appellante del citato art. 30, commi 3 e 4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, non può essere condivisa. 5.1. La norma prevede la proroga ex lege dei termini di efficacia del permesso di costruire ove si accerti che "i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati". Il riferimento al contrasto con nuovi strumenti urbanistici non può che essere inteso ad atti sopravvenuti rispetto al momento del rilascio del permesso oggetto della richiesta di proroga. Nel caso di specie, tali atti non risultano siano stati adottati dal Comune. 5.2. Né rileva il fatto che il permesso di costruire sia stato rilasciato in base a una norma di deroga al piano urbanistico, posto che è di tutta evidenza che tale profilo non comporti l'illegittimità del rilascio dell'originario permesso di costruire. Il permesso rilasciato deve ritenersi quindi conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia del tempo. Per cui una interpretazione del citato art. 30, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 69 del 2013 quale quella proposta dall'appellante sarebbe contraria al principio di affidamento (per come maturato dall'azienda, che - come già osservato - ha ottenuto il titolo edilizio sulla base della disciplina urbanistica applicabile ratione temporis). 6. Anche il terzo motivo è infondato. 6.1. Precisato che la censura rileva unicamente per il profilo della dedotta decadenza dal titolo edilizio per il mancato inizio dei lavori entro il termine fissato (dal momento che, sulla base delle proroghe ottenute ai sensi del citato art. 30 del d.l. n. 69 del 2013, sono comunque infondate le ribadite censure circa il superamento del termine finale per i lavori), va anzitutto disattesa la doglianza con la quale si denuncia l'omessa pronuncia sull'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., come richiesto dal ricorrente in primo grado. 6.2. Come esattamente rilevato dal primo giudice, in atti risultano gli esiti del sopralluogo effettuato dal Comune (in data 23 marzo 2018), che attesta la realizzazione degli scavi e il riempimento con conglomerato cementizio delle fondazioni. Fatti che, in base alla natura probatoria privilegiata dell'atto, avrebbero dovuto essere contestati dal ricorrente con querela di falso. Per cui la stessa richiesta di un ordine di esibizione appare inammissibile o comunque irrilevante. 6.3. Va ribadito, pertanto, che - sulla base di quanto accertato dall'amministrazione e sulla scorta della costante giurisprudenza sul punto (per tutte, di recente, si veda Consiglio di Stato, sez. VI, 7 dicembre 2023, n. 10611) l'inizio lavori va inteso a fronte di concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto; pertanto, i lavori debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio. Elementi che ricorrono nel caso di specie. 7. In conclusione, l'appello va rigettato. 8. Le spese giudiziali del presente grado vanno compensate tra le parti, in ragione della parziale novità delle questioni. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa tra le parti le spese giudiziali del presente grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, tenuta da remoto, con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Giovanni Tulumello - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8922 del 2021, proposto da Te. Va. S.r.l., Fi. Ca., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati St. Ve., Ma. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00486/2021, resa tra le parti, per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: A) del provvedimento n. 36 del 15.11.2019, con il quale si è ingiunta la demolizione di pretese opere abusive sul complesso immobiliare della società ricorrente, alla Località (omissis); B) ove occorra, del provvedimento n. 8436 del 9.07.2019, di comunicazione d'avvio del procedimento di demolizione, ai sensi dell'art. 7 l. 241/1990; C) ove occorra, ancora, della relazione di sopralluogo, n. 11966 del 15.10.2019, non conosciuta; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da SOCIETÀ Te. Va. S.R.L. il 2\7\2020: D) del silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente in data 7.02.2020, per modeste opere sul complesso immobiliare alla Località (omissis), ai sensi dell'art. 36 d.p.r. 380/2001; per quanto riguarda i motivi aggiunti: E) del silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente in data 7.02.2020, per modeste opere sul complesso immobiliare alla Località (omissis), ai sensi dell'art. 36 d.p.r. 380/2001; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.E' appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00486/2021, di parziale accoglimento del ricorso e motivi aggiunti proposti da Te. Va. s.r.l. avverso, rispettivamente, l'ordinanza di demolizione (n. 36 del 15.11.2019), adottata dal Comune di (omissis), ed il silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata in data 07.02.2020. 2. Interventi abusivi realizzati in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico sita alla località (omissis), quali: a) manufatto con struttura portante in legno a forma di poligono dodecagono di superficie pari a mq. 384,46 con una altezza variabile tra m. 3 e m. 5.35 al colmo e una volumetria complessiva pari a mc. 1.408,57; b) la realizzazione, in difformità rispetto alla menzionata C.E. n. 34 del 22.09.1995: Al Piano terra: 1) ingresso di mq. 12,45, altezza m. 2,70 e volumetria di mc. 33,61 in struttura in alluminio e vetrate; 2) corpo di fabbrica destinato a cucina di mq. 62,17, altezza m. 3,25 e volumetria pari a mc. 202,05 in cemento armato... ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); 3) portico con pilastri in cemento armato di mq. 67,44; 4) ampliamento della sala ricevimenti di mq. 184,36, altezza media m. 3,40 e volumetria pari a mc. 626,82 in struttura amovibile ed infissa al suolo in legno e pareti perimetrali in vetro. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 1,70 dal torrente Pi.... posizionato su un canale Ir. interrato di proprieta` del Demanio o di Consorzio Ir.; 5) ampliamento della struttura di mq. 338,76, altezza media 2,82 e volumetria di mc. 955,30 in struttura mista cemento armato, legno e vetrate. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza, rispettivamente, di m. 4,40, m. 8,40, m. 4 e m. 4,35 dal torrente Pi.; 6) struttura metallica poggiata sulla parete del fabbricato e aperta su tre lati di mq. 35,88, infissa al suolo a mezzo di bulloni. La struttura e` stata realizzata ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); Al Piano primo: 7) ampliamento dell'unita` abitativa sul lato opposto all'ingresso principale della sala ricevimenti di mq. 100,09, altezza m. 3 e una volumetria di mc. 300,27, in cemento armato e destinano a soggiorno. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 4,05 dal torrente Pi.; 8) scala d'ingresso all'unita` abitativa di mq. 11,46 in cemento armato ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); Al Piano sottotetto: 9) ampliamento sul lato opposto all'ingresso principale della sala ricevimenti di mq. 45,12, altezza media m. 2,65 e una volumetria di mc. 119,56, con struttura in legno lamellare aperta su tre lati. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 9,40 dal torrente Pi.; 10) balcone di mq. 6,16 sul lato verso la strada comunale (omissis) o (omissis); la realizzazione di un corpo scala in legno che dal soggiorno del primo piano collega il sottotetto di mq. 21,37. 2.1 La ricorrente, oltre denunciare lo scarso rilievo edilizio delle opere, ha lamentato che parte delle opere oggetto dell'ordinanza di demolizione erano state oggetto della concessione edilizia in sanatoria n. 150 del 04.08.2004, rilasciata in accoglimento dell'istanza d'accertamento di conformità (prot. n. 2406 del 31.03.1987). 3. Il Tar ha accolto il ricorso limitatamente a quest'ultimo profilo, respingendo nel resto il ricorso principale ed i motivi aggiunti, rilevando la pluralità delle opere abusive realizzate senza titolo in area agricola eseguite, "al più, in un periodo compreso tra il 2011 ed il 2018", ossia in epoca successiva l'entrata in vigore del d.lgs. 157/2006 ha introdotto il divieto di sanatoria successivo alla realizzazione dei lavori nelle zone vincolate. 4. Appella la sentenza Te. Va. s.r.l. Resiste il Comune di (omissis). 5. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. In limine va respinta la richiesta formulata dall'appellante di sospensione del giudizio, ex art 295 c.p.c., in attesa della definizione innanzi al Tribunale di Salerno della questione - qualificata come pregiudiziale - della natura demaniale o meno delle aree su cui ricadono parte delle opere abusive. In considerazione del fatto che si controverte sulla natura delle opere realizzate senza titolo edilizio in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico, l'accertamento della demanialità delle aree ove ricadono parte dagli abusi edilizi, nell'economia del decidere, non è ex dirimente, sì da non giustificare la sospensione del giudizio in corso. 7. Prima di affrontare i molteplici motivi d'appello, è bene richiamare la disciplina urbanistica ed ambientale che governa il territorio. L'area d'intervento ricade parte in zona agricola E5 "Zona Agricola Irrigua" e parte in zona E4 "Zona Agricola Semplice" del vigente Piano Regolatore Generale, in cui sono destinate prevalentemente attività dirette o connesse con l'agricoltura, per cui in esso sono consentite costruzioni a servizio diretto del fondo agricolo - residenza e attrezzature per l'agricoltura. L'area è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. 4/2004 perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Pi., nonché assoggettata alle norme di salvaguardia sancite dal Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico poiché "l'area risulta: parte area a pericolosità potenziale PUtr1 e parte PUtr3... parte area a rischio potenziale da frana RUtr2... parte RUtr3... parte RUtr4... (in) zone di attenzione". Va altresì precisato, al fine di delimitare il campo d'indagine dello scrutinio di legittimità qui esperito, che in forza delle allegazioni contenute nella relazione tecnica di accertamento del Comune (prot. n. 11966 del 15.10.2019) risulta che tutte le opere oggetto della sanzione demolitoria sono state realizzate entro l'arco temporale compreso tra il 2011 e il 2018. Il dato di fatto, avallato dai giudici di prime cure, trova conferma nell'allegazione dei rilievi aereofotogrammetrici storici presenti sul portale istituzionale Geosit e dalle foto munite di datario comunemente reperibili sul servizio Go. Ma. / St. Vi.. Sicché il compendio immobiliare e le opere realizzate sono ricomprese nella disciplina di cui agli artt. 146, comma 1, lett. c) e 167, comma 4, d.lgs. 4/2004. Conseguentemente, va affermato che le opere abusive sono state realizzate in assenza dei prescritti nulla osta e/o pareri da parte dell'autorità preposta gestione del vincolo idrogeologico; e,che esse, qualora abbiano generato nuove superfici o nuovi volumi, non sono suscettibili di sanatoria ex post. A questo riguardo, sotto il profilo urbanistico-edilizio, non va passato sotto silenzio che le opere abusive, quanto all'impatto sul tessuto urbanistico, vanno considerate complessivamente, non già atomisticamente in modo parcellizzato, frazionando i singoli interventi. 8. A questa stregua, l'unica che assicura il corretto governo del territorio, deve essere respinto il primo motivo d'appello. L'appellante, nel motivo in esame, contesta il capo della sentenza ove si afferma che quelle sanzionate dall'ordinanza n. 36/2019 sono "opere di stabile trasformazione del suolo, implicanti nuovi volumi o superfici e realizzate senza alcun titolo, tanto da necessitare la presentazione di una richiesta di permesso di costruire in sanatoria". In realtà, secondo il motivo in esame, le opere avrebbero scarso o nullo impatto sul tessuto urbanistico e paesaggistico. 8.1 Il motivo è infondato. La censura, di fatto, scinde i singoli interventi, prescindendo dall'impatto complessivo prodotto sull'intero comprensorio, avente oltretutto rilievo ambientale (cfr., Cons. Stato, n. 496/2022). Viceversa, proprio in ragione della peculiare disciplina del territorio qui in esame, va ribadito che la valutazione di abusi edilizi e illeciti compiuti richiede una visione d'insieme, e non parcellizzata delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (cfr., Cons. Stato n. 2119/2023; Id., n. 8848/2022; Id., 7601/2019). 9. Con il secondo motivo di appello, l'appellante denuncia che erroneamente, ed in maniera tranciante, il TAR ha ritenuto che le immagini tratte da portali internet fossero attendibili circa l'epoca di realizzazione dei manufatti. L'attività istruttoria posta in essere dal Comune sarebbe stata smentita dalla "perizia (depositata) in data 21.01.2021...che ha puntualmente dato conto della realizzazione dei lavori in data precedente all'anno 2000". 9.1 Il motivo è infondato. A fronte delle precise allegazioni contenute nella relazione tecnica del Comune, la perizia di parte non assolve l'onere probatorio gravante sulla ricorrente quanto alla data d'ultimazione delle opere abusive. Va data continuità all'indirizzo giurisprudenziale, qui condiviso, a mente del quale - richiamando gli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c. p. a. - pone in capo al ricorrente l'onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità : quindi, l'onere di provare la data di realizzazione di un'opera spetta al ricorrente, perché solo questi può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione dell'intervento edilizio (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2019 n. 3696; Id., sez. VI,5 marzo 2018 n. 1391). In aggiunta, va sottolineato che le fotografie, richiamate dal Comune, tratte da google earth e da google street view costituiscono, prova precostituita della loro conformità alle cose ed ai luoghi rappresentati, sicché chi voglia inficiarne l'efficacia probatoria ha l'onere di disconoscere tale conformità (cfr. Cass. civ., Sez. trib., 10 gennaio 2020, n. 308; T.A.R. Campania, Sez. II, 24 aprile 2015, n. 2380). 10. Negli ulteriori motivi d'appello, si lamenta la violazione dell'art. 10 bis l. 241/1990 con riferimento silenzio-significativo serbato dal Comune di (omissis) sulla istanza di accertamento di conformità presentata in data 07.02.2020; nonché l'illegittimità della sanzione ripristinatoria "perché le modeste opere di ampliamento non possono essere demolite senza pregiudizio per la porzione di fabbricato lecito"; ed infine che il dirigente comunale non ha proceduto ad alcuna necessaria comunicazione alla Soprintendenza che, "in virtù della normativa vigente, può e deve intervenire nel relativo procedimento repressivo". 10.1 I motivi sono infondati. Nell'ordine. Ai sensi dell'art. 36, comma 3, d.P.R. 380/2001, "sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata". Poiché la norma disciplina (nel tempo) la formazione del silenzio-diniego sull'istanza d'accertamento di conformità, non trova applicazione l'art. 10 bis l. 241/90 che scandisce il contraddittorio sul presupposto dell'esercizio di valutazioni discrezionali sottese all'adozione del provvedimento espresso. Quanto alla denunciata impossibilità di demolire senza pregiudizio per la porzione di fabbricato lecito, va osservato che la circostanza di fatto non inficia la legittimità della sanzione ripristinatoria. L'eventuale emersione di pregiudizio alle opere legittime, laddove fosse eseguita la demolizione, rileva ed inerisce alla fase esecutiva, con la conseguente possibilità di dare eventualmente corso alla c.d. f(omissis)lizzazione dell'abuso, ex artt. 33 o 34 d.P.R.. 380/2001. In definitiva, il previo accertamento dell'impossibilità di rimuovere la parte abusiva senza pregiudizio della parte conforme non costituisce requisito di legittimità dell'ordine di demolizione. Analogamente, l'invocato onere procedimentale del dirigente a sollecitare la valutazione della Soprintendenza si colloca nella fase esecutiva della riduzione in pristino del manufatto abusivo in danno dell'autore dell'abuso e non in quella, logicamente e cronologicamente presupposta, della fase di emissione dell'ordinanza di demolizione. 11. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 12. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Te. Va. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8923 del 2021, proposto da Te. Va. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Ve. e Ma. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00487/2021, resa tra le parti, per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 21 del 15.07.2019, successivamente notificata, con la quale il Responsabile dell'Ufficio Urbanistica del Comune di (omissis) ha disposto la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate presso l'area di proprietà sita alla Loc. (omissis); b - ove e per quanto occorra, della relazione prot. n. 8410 dell'08.07.2019 redatta dall'U.T.C. a seguito di sopralluogo, presupposta all'ordinanza sub a); c - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, collegati, connessi e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 2\1\2020: a - della determina n. 114 del 24.10.2019 Reg. Servizio e n. 603 del 24.10.2019 Reg. Generale, successivamente notificata, con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di (omissis) ha irrogato la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00 per "la non osservanza dell'ordinanza di rimessa in pristino per le opere eseguite in assenza del titolo abilitativo"; b - del provvedimento di cui alla nota prot. n. 13168 del 12.11.2019, con il quale la P.A. ha disposto il diniego definitivo dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria depositato ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001; c - ove e per quanto occorra, del verbale di sopralluogo redatto dal Comando di polizia Municipale in data 23.10.2019, assunto a presupposto del provvedimento sub a); non conosciuto; d - ove e per quanto occorra, della nota prot. n. 12772 del 31.10.2019, recante la comunicazione dei motivi ostativi; e - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 21\1\2020: avverso e per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 37 del 19.11.2019, con la quale il Responsabile dello Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di (omissis), in seguito al diniego dell'istanza di accertamento di conformità depositata dalla ricorrente ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, ha ordinato la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate nell'ambito di un'area sita alla Loc. (omissis); b - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da Comune di (omissis) il 24/11/2021: per la riforma della sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, pubblicata in data 24.02.2021 nella parte in cui ha accolto i motivi aggiunti proposti avverso la determina n. 114 del 24.10.2019 recante la comminatoria nei confronti Te. Va. S.r.l. (c.f. 05368130653) pecuniaria di Euro 20.000,00 ex art. 31 comma 4 bis del D.P.R. 380/2001 per la mancata riduzione in pristino delle opere abusive sanzionate dell'ordinanza di demolizione precedentemente comminata Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.E' appellata la sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, d'accoglimento in parte del ricorso e motivi aggiunti proposti da Te. Va. S.r.l. avverso (una prima) ordinanza di demolizione del Comune di (omissis) - sostituta in pendenza di giudizio da altra ingiunzione a demolire (n. 37 del 19.11.2019), impugnata con motivi aggiunti - nonché avverso la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00, comminata per l'inosservanza dell'ordine di rimessione in pristino. Con ulteriori motivi aggiunti, la società ha impugnato il diniego opposto all'istanza di accertamento di conformità presentata il 16.10.2019, per essere la pratica "carente della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi". 2. Interventi abusivi realizzati in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico sita alla località (omissis), consistenti: - nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40. Per la sopraelevazione del piano di campagna e` stato realizzato un muro di sostegno in calcestruzzo della lunghezza complessiva di m. 54,73 a forma di una "elle" con il lato minore di m. 6.97 e il lato maggiore di m. 47.76, spessore cm. 30 ed un'altezza media di m. 2; - in tre gazebo, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nonché deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; - in un ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3; - in area parcheggio di complessivi mq. 4.600. 3. Il Tar, dichiarato improcedibile il ricorso proposto avverso l'originaria ordinanza di demolizione, ha accolto i motivi aggiunti limitatamente all'irrogazione della sanzione pecuniaria per inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 37 del 19.11.2019, "stante l'emanazione dell'atto sanzionatorio allorquando il procedimento di sanatoria non si era ancora concluso":, respingendo nel resto il gravame. Il Tar ha respinto l'impugnazione sia del diniego opposto dal Comune all'istanza di accertamento di conformità presentata, motivato sulla carenza della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi, che della nuova ordinanza di demolizione, qualificata "come atto dovuto, vertendosi sulla realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 4. Appella la sentenza Te. Va. s.r.l.. Resiste il Comune di (omissis) che, a sua volta, ha proposto appello incidentale avverso il capo di sentenza d'annullamento della sanzione pecuniaria. 5. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. In limine va respinta la richiesta formulata dall'appellante di sospensione del giudizio, ex art 295 c.p.c., in attesa della definizione innanzi al Tribunale di Salerno della questione - qualificata come pregiudiziale - della natura demaniale o meno delle aree su cui ricadono parte delle opere abusive. In considerazione del fatto che si controverte sulla natura delle opere realizzate senza titolo edilizio in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico, l'accertamento della demanialità delle aree ove ricadono parte dagli abusi edilizi, nell'economia del decidere, non è ex dirimente, sì da non giustificare la sospensione del giudizio in corso. 7. Prima di affrontare i molteplici motivi d'appello principale, è bene richiamare la disciplina urbanistica ed ambientale che governa il territorio. L'area d'intervento ricade parte in zona agricola E5 "Zona Agricola Irrigua" e parte in zona E4 "Zona Agricola Semplice" del vigente Piano Regolatore Generale, in cui sono destinate prevalentemente attività dirette o connesse con l'agricoltura, per cui in esso sono consentite costruzioni a servizio diretto del fondo agricolo - residenza e attrezzature per l'agricoltura. L'area è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. 4/2004 perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Pi., nonché assoggettata alle norme di salvaguardia sancite dal Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico poiché "l'area risulta: parte area a pericolosità potenziale PUtr1 e parte PUtr3... parte area a rischio potenziale da frana RUtr2... parte RUtr3... parte RUtr4... (in) zone di attenzione". 8. Con il primo motivo, l'appellante denuncia l'errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nel respingere il gravame avverso il diniego di accertamento di conformità . Il Comune di (omissis), secondo la censura in esame, ha denegato l'accertamento di conformità sul presupposto della mancata allegazione di documentazione," omettendo di richiederla espressamente come era suo precipuo compito". 8.1 Il motivo è infondato. Il Comune resistente, prima di opporre il diniego impugnato, con nota (prot. n. 12023 del 16.10.2019), ha espressamente richiesto l'apporto partecipativo della società appellante che - va sottolineato - è rimasta senza esito. Sicché, la regolarizzazione documentale ex officio è stata richiesta dal Comune, assolvendo al precetto contenuto nell'10-bis l.241/90, 9. Con il secondo motivo d'appello, l'appellante denuncia l'erroneità della sentenza laddove si censura il comportamento della ricorrente per non avere chiesto la concessione del termine per effettuare il deposito della documentazione carente. 9.1 Il motivo è infondato. Contrariamente a quanto dedotto in fatto dall'appellante, il Comune, nell'istruire il procedimento, ha richiesto l'esibizione di documenti essenziali a comprovare la veridicità delle dichiarazioni rese ai sensi del d.P.R. 455/2000 quanto alla legittimazione ad intervenire anche all'interno dell'area demaniale e all'insussistenza di vincoli di natura paesaggistica e ambientale tali da rendere necessario il preventivo conseguimento dei prescritti nulla osta delle autorità preposte alla loro gestione. In risposta, la società ha lasciato scadere il termine, senza presentare alcuna osservazione. 10. Con il terzo motivo di appello, la ricorrente lamenta gli errori di giudizio nel respingere le censure proposte avverso l'ordinanza di demolizione. Le opere contestate, secondo la censura in esame, sarebbero in parte irrilevanti ai fini volumetrici e/o del carico urbanistico e, quindi, non sono assoggettate al regime del permesso di costruire né sanzionabili ex art. 31 d.P.R. n. 380/2001, e, per altra parte, sarebbero riconducibili al genus degli interventi pertinenziali "minimi", di cui agli artt. 3 e 6 d.P.R. n. 380/2001. 10.1 Il motivo è infondato. Le opere abusive realizzate in zona agricola gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico consistono: nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40, nella realizzazione 3 gazebi, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nel deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; nella edificazione di ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3 (...); nella realizzazione di un'area parcheggio di complessivi mq. 4.600. Va sottolineato che l'area occupata dalla piattaforma, "ricade per mq. 900 nella proprietà del demanio" (su una estensione di complessivi 1150 mq; mentre l'area occupata dal parcheggio, "risulta, ivi compreso l'ingresso al parcheggio, parzialmente di proprieta` del demanio per mq. 2.200" (su una estensione di complessivi 4600 mq). Il Comune ha accertato la realizzazione, senza alcun titolo autorizzativo, di area attrezzata per ricevimenti all'aperto, costituita da una piattaforma sopraelevata in cemento armato, con gazebi attrezzati a bar e servizi, impianto di illuminazione e piscina monumentale della complessiva estensione di 1150 mq e dell'annesso parcheggio per automezzi di ulteriori 4600 mq. Gli interventi complessivamente considerati incidono pesantemente sull'intero comprensorio, avente oltretutto valenza ambientale (cfr., Cons. Stato, n. 496/2022). In ragione della peculiare disciplina del territorio qui in esame, va ribadito che la valutazione di abusi edilizi e illeciti compiuti richiede una visione d'insieme, e non parcellizzata delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (cfr., Cons. Stato n. 2119/2023; Id., n. 8848/2022; Id., 7601/2019). Correttamente il Tar ha qualificato come "atto dovuto" l'ordinanza di demolizione stante l'avvenuta realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, "di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 11. Conseguentemente, anche il quarto motivo dell'appello principale, laddove si deduce che "le opere contestate sono riconducibili al regime sanzionatorio pecuniario di cui all'articolo 37 d.P.R 380/2001", è infondato. Le pluralità degli abusi commessi in zona agricola, gravata da vincoli ambientali, comporta l'applicazione del regime sanzionatorio rispristinatorio di cui agli artt. 31 d.P.R. 380/2001 e 167 d.lgs. 4/2004. 12. Conclusivamente, l'appello principale deve essere respinto. 13. Ad opposta conclusione deve giungersi con riguardo all'appello incidentale Il T.A.R. ha accolto l'impugnativa spiegata dalla società con esclusivo riferimento al provvedimento (n. 114 del 24.10.2019), con la quale il Comune di (omissis) le aveva comminato la sanzione prevista dall'art. 31, comma 4 bis, d.P.R. 380/2001 per non aver ottemperato all'ordinanza di demolizione n. 21 del 15.07.2019. Secondo i giudici di prime cure la sanzione pecuniaria, in pendenza del procedimento di sanatoria, non poteva essere adottata, poiché "il deposito dell'istanza comporta la sospensione dell'efficacia dell'ordinanza di demolizione fino alla definizione del procedimento".. Il Comune appellante deduce che il procedimento attivato dalla società per la sanatoria delle opere sanzionate non aveva alcuna valenza "sospensiva" e/o "interruttiva" del termine di novanta giorni ivi impartito per la riduzione in pristino degli abusi commessi in area demaniale. 13.1 Il motivo è fondato. La sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4° bis, d.P.R. 380/2001 consegue ex lege all'inottemperanza all'ingiunzione a demolire; la quantificazione nella misura massima di Euro 20.000,00 corrisponde al criterio normativo, stante la concorrente violazione della normativa paesaggistico-ambientale. La norma recita: "L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima...". Nessuna norma prevede che l'esecutività della sanzione è sospesa per effetto della presentazione dell'istanza d'accertamento di conformità . 14. Pertanto, l'appello incidentale proposto dal Comune deve essere accolto, e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, devono essere respinti i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata dal Comune. 15. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello principale, come in epigrafe proposto, lo respinge. Accoglie l'appello incidentale proposto dal Comune e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, respinge i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata. Condanna Te. Va. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8334 del 2023, proposto da: Ca. Eu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Pe. e Cr. Be., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Za., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Tu. Fu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Co. e Gi. Gi., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; Ni. Co., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 96/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Tu. Fu. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Nessuno presente per le parti nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società appellante ha impugnato la sentenza del 20 febbraio 2023, n. 96 con cui il Tar Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 25216 del 2 maggio 2019, di revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, e per la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti. Il Comune di (omissis) si è costituito con atto formale. La controinteressata, Tu. Fu. s.r.l. si è costituita depositando memoria difensiva e documentazione ed ha chiesto la reiezione dell'appello. In vista della trattazione, il comune e la controinteressata hanno depositato memorie conclusive, alle quali l'appellante ha replicato con memoria del 7 maggio 2024. Con separati atti tutte le parti costituite hanno chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante, gestore di un campeggio in (omissis), lungo la SS (omissis), ha impugnato in primo grado il suindicato provvedimento censurandolo per violazione del d.P.R. n. 380 del 2001, dell'art. 3 della legge n. 287 del 1991, della legge regionale n. 16 del 2003, dei principi di buon andamento, di imparzialità, di affidamento incolpevole, di proporzionalità e ragionevolezza nonché per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di presupposti, di istruttoria e di motivazione, dello sviamento. In particolare ha fatto presente che i procedimenti di condono non erano ancora definiti; che il primo riguardava n. 8 bungalows più il bar, il secondo n. 3 bungalows, la guardiola, la centrale idrica, la pista da ballo, la bocciofila, il terzo la superficie abusiva di mq. 270 di cui alla particella (omissis), il quarto la superficie abusiva di mq. 240 di cui alla particella (omissis); che in ogni caso i bungalows e la bocciofila erano stati rimossi; che i rimanenti abusi attenevano unicamente ai profili di ubicazione e sagoma di scarso rilievo; che vi era comunque stato l'accatastamento dei locali nello stato di fatto attuale; che si era ingenerato un affidamento incolpevole discendente dalla risalenza dei lavori a circa 44 anni prima, eseguiti poi dal precedente gestore. La società ha sostenuto inoltre che sarebbe improprio in ogni caso definire le opere abusive, in pendenza del procedimento di condono; che non sarebbero motivate nè la misura afflittiva né il rigetto della richiesta di proroga, tenuto conto poi che la struttura è dotata del titolo di agibilità ; che una ridotta porzione del campeggio era stata restituita alla proprietaria Tu. e Fu. s.r.l., tuttavia non rilevante e incidente sulla conformazione complessiva del campeggio medesimo; che in definitiva la misura assunta sarebbe sproporzionata. La società ha anche chiesto la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni: di quello economico, essendo già state raccolte le prenotazioni per la stagione estiva, e di quello non patrimoniale, per la campagna denigratoria della stampa. 3. Il Tar ha respinto il ricorso osservando in sintesi: che l'ordinanza impugnata risulta emessa a seguito di articolata, approfondita e dettagliata fase istruttoria e nel pieno rispetto del contraddittorio procedimentale; che numerosi risultano gli abusi realizzati, con occupazione di aree di soggetti terzi, private e pubbliche demaniali, sottoposte a vari vincoli di tutela (fasce di rispetto, vincoli ambientali); che un ridotto numero degli abusi era oggetto di domande di condono, in parte già respinte, in parte ancora non definite per la mancata produzione della documentazione necessaria per il loro riscontro, con altri abusi già oggetto di ordinanze di demolizione o di procedimenti avviati per l'assunzione di analoghe misure repressive; che, a fronte di ciò, non può assumere rilievo l'asserita rimozione di alcune opere; che gli abusi consistenti in differente ubicazione e sagoma non possono comunque essere considerati di minore impatto nel contesto surriportato; che l'accatastamento dei locali abusivi non può valere per ciò solo e in ogni caso a sanare i profili abusivi degli stessi, consistendo lo stesso in una mera registrazione e catalogazione degli immobili, a fini preminentemente fiscali; che nessun affidamento incolpevole poteva essere maturato in capo alla ricorrente, ben consapevole almeno di parte degli abusi, avendo presentato per gli stessi domanda di condono; che l'atto impugnato risulta corredato di congrua e adeguata motivazione; che non è irragionevole il mancato accoglimento della richiesta di proroga, proprio perché le domande di condono pendenti riguardavano una minima parte degli abusi; che, a fronte degli accertati abusi, non poteva rilevare un precedente titolo di agibilità ; che l'asserita restituzione di una ridotta parte del campeggio al legittimo terzo proprietario non poteva valere a rendere conforme alla disciplina vigente il complesso della struttura; che la misura assunta, alla luce delle plurime illegittimità riscontrate e di varia matrice, anche in tema di sicurezza, non appare all'evidenza sproporzionata. 4. L'appello è affidato ai seguenti motivi. 1) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della Legge 7.8.1990, n. 241". Diversamente da quanto affermato in sentenza, l'intero procedimento sarebbe affetto da difetto di istruttoria, infatti l'amministrazione si sarebbe espressa, in plurimi passaggi, in termini dubitativi circa le circostanze fattuali che hanno condotto a qualificare come "interamente abusivo" il campeggio in questione e, di conseguenza, revocare l'autorizzazione amministrativa rilasciata in favore della s.r.l. Ca. Eu.. Inoltre nella stessa ordinanza impugnata sarebbe rinvenibile l'incertezza degli accadimenti laddove, a proposito delle iniziative promosse da un proprietario di una parte dei terreni per ottenerne il rilascio, si rileva che la sua restituzione determinerebbe un mutamento dello stato di fatto del campeggio "tanto da porre dubbi circa il fatto che la sua conformazione - dopo la restituzione di una parte del terreno - attualmente rispetti la normativa regionale che regola tale comparto delle strutture ricettive", ciò senza che: sia indicata la specifica porzione immobiliare che dovrebbe essere rilasciata; siano indicate le norme violate; sia precisata la ragione per la quale l'eventuale restituzione dell'area al legittimo proprietario possa incidere sul rispetto dei parametri urbanistici. Inoltre l'amministrazione avrebbe ignorato un fatto, il rilascio di parte dell'area al legittimo proprietario, che era stato già introdotto in sede procedimentale, in tal modo vanificando l'apporto partecipativo della società : da ciò emergerebbe anche la violazione dell'obbligo motivazionale. 2) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e ss. del d.P.R. 6.6.2001, n. 380. Violazione e falsa applicazione dell'art. 21 della L.R. Abruzzo 23.10.2003, n. 16". L'appellante contesta il capo della sentenza in cui il campeggio viene definito interamente abusivo e osserva che, nel provvedimento impugnato, è lo stesso comune che, dopo aver qualificato il campeggio come "interamente abusivo", soggiunge: "fatta salva la presentazione di alcune istanze di condono ancora in fase di istruttoria", affermazioni contenute anche nella relazione del 19 novembre 2018, a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente, integralmente richiamata e recepita dall'ordinanza impugnata, nella quale ogni condono presentato dalla società appellante viene qualificato come "non definito in corso di istruttoria". Quindi lo stigma di "abusività ", che l'amministrazione ha assegnato all'intero insediamento, non sarebbe connotato da carattere di definitività . Osserva, inoltre, che laddove sia stata presentata un'istanza di concessione in sanatoria o di condono edilizio, in assenza di preventiva determinazione su quest'ultima e in pendenza del relativo procedimento, gli eventuali provvedimenti repressivi devono considerarsi sospesi e, se adottati in presenza di condono, sono da considerarsi illegittimi, quindi il comune non potrebbe revocare l'autorizzazione commerciale senza preventivamente pronunciarsi in senso negativo sull'istanza di sanatoria. Obietta che, se fosse vero che la società richiedente non abbia ottemperato alle richieste di integrazione documentale, sarebbe stato agevole per l'amministrazione definire negativamente i procedimenti in questione, ma così non è stato. In ogni caso, al netto delle opere interessate dalle richieste di condono, gli unici abusi che vengono in rilievo riguarderebbero le difformità dalla licenza edilizia del 1975 (4 bungalow, un fabbricato, il deposito servizi) e il bocciodromo costruito nella fascia demaniale. Si tratterebbe, tuttavia, di interventi di modesta rilevanza, considerato che i due bungalow sono successivamente stati rimossi, mentre le ulteriori difformità edilizie riguardano la diversa ubicazione e la diversità di sagoma, sicchè non vi sarebbero variazioni essenziali. Anche alla luce di tali considerazioni il sacrificio imposto alla società con il provvedimento impugnato sarebbe in contrasto con i principi di proporzionalità, buon andamento e ragionevolezza dell'azione amministrativa. 3) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione del principio di buona fede di cui all'art. 1, comma 2bis, della Legge 7.8.1990, n. 241 e di cui all'art. 1375 c.c.". L'appellante contesta la sentenza nella parte in cui ha escluso la sussistenza del legittimo affidamento osservando che le opere asseritamente abusive sarebbero state eseguite da parte di terzi, la realizzazione del campeggio risale al 1975 mentre l'appellante ne amministra l'attività a partire dal 1993 e deduce la sua ignoranza incolpevole in quanto sia le ordinanze di demolizione, sia i provvedimenti con cui sono state respinte le istanze di condono non sarebbero state prodotte nel giudizio di primo grado ovvero sarebbero state prodotte senza fornire la prova dell'avvenuta notificazione ai rispettivi destinatari. 5. Il Comune di (omissis) ha innanzitutto eccepito l'inammissibilità del primo motivo di appello, in quanto sostanzialmente "rimaneggiato" rispetto a quanto dedotto in primo grado e, perciò, formulato in violazione del divieto di nova in appello; in ogni caso ne ha dedotto l'infondatezza, al pari degli altri motivi. La controinteressata Tu. Fu. s.r.l. - proprietaria del complesso alberghiero denominato "Hotel Ex." confinante con il campeggio - ha ribadito l'eccezione, già sollevata in primo grado, di inammissibilità del ricorso introduttivo per omessa notifica alle altre amministrazioni interessate, coinvolte nell'accertamento che ha condotto all'emanazione dell'ordinanza impugnata nonché per altri profili; in ogni caso ha dedotto l'infondatezza dell'appello e del ricorso introduttivo osservando che le censure dell'appellante non sarebbero idonee a incidere sulla correttezza della 6. Si può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari, essendo l'appello infondato. I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente seguendo un unico ordine logico. Come rilevato dal Tar non è ravvisabile il dedotto difetto di istruttoria che l'appellante ascrive all'operato dell'amministrazione in conseguenza di una lettura "atomistica" degli atti che nell'insieme hanno condotto all'emanazione del provvedimento comunale impugnato. A ben vedere, nella vicenda per cui è causa le diverse amministrazioni coinvolte hanno rilevato una serie di abusi edilizi che non risultano sconfessati né dalle deduzioni dell'appellante né dalla pendenza di istanze di condono, tanto che in ordine alla reiezione di alcune di esse l'appellante si spinge a sostenere di averle ignorate incolpevolmente in quanto l'amministrazione non avrebbe accluso la prova della avvenuta notifica. Ciò posto, le censure riguardanti la presunta doverosità di sospendere il procedimento in attesa della definizione delle istanze di condono esulano dal perimetro del presente giudizio il quale ha ad oggetto non già l'ordinanza di demolizione bensì la revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, la quale si fonda sull'intervenuto accertamento di plurime violazioni, tra le quali quelle edilizie. Il procedimento è stato avviato a seguito di una serie di accertamenti in cui sono stati rilevati due profili di illegittimità : ossia una serie di irregolarità edilizie e l'occupazione di aree demaniali e private. Sono seguite, dunque, due attività provvedimentali: l'una diretta allo sgombero dell'area demaniale illegittimamente occupata e alla rimozione delle opere edilizie abusive ivi insistenti e una diretta alla revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio. Il presente giudizio riguarda la seconda delle indicate attività che, al pari della prima, risulta ben esplicata nella relazione tecnica a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente del comune in cui, dopo aver elencato i titoli rilasciati e le richieste di sanatoria, si conclude che "Dall'esame delle pratiche sopra richiamate si evince che, ad oggi, il Campeggio non dispone di alcun titolo autorizzatorio, ed è, pertanto interamente abusivo, fatta salva la definizione dei condoni richiesti". Nella relazione si dà atto che non è stato possibile effettuare un rilievo puntuale dei manufatti esistenti e non autorizzati, a causa dell'assenza dei titolari delle aree. All'esito di tali verifiche è emerso anche che "Alcune delle opere abusive (bocciodromo e suo ampliamento) insistono sulla proprietà Demanio dello Stato ramo Strade, mentre le stesse strutture abusive descritte al punto 3°, ricadono, in parte nella fascia di rispetto della Strada Statale SS 16 (30 metri)...". A ciò è conseguita da una parte la diffida alla demolizione delle opere abusive, inviata a tutti i soggetti proprietari del camping, e le successive ordinanze di demolizione e di ripristino (nn. 120, 121, 144, 145, 213, 214 del 21 maggio 2019) e, dall'altra, l'ordinanza di sgombero dell'area demaniale occupata, inviata al sig. Ma. Ni., quale legale rappresentante della ditta Ca. Eu., nonché l'ordinanza di revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, impugnata nel presente giudizio. Tale ultima ordinanza è stata adottata all'esito dell'unica complessa attività istruttoria, riguardante i due evidenziati profili di illegittimità . L'amministrazione ha segnalato nell'ordinanza che alcuni terreni sono in proprietà della società e altri condotti in locazione; che sono state realizzate opere abusive anche su area demaniale illegittimamente occupata; che è stato avviato il procedimento per la demolizione delle opere abusive con nota n. 67112 del 18 dicembre 2018; che risultavano presentate dal privato alcune domande di condono edilizio, ancora in fase istruttoria, non essendo stata prodotta tutta la documentazione a corredo, necessaria per un loro riscontro; che alcuni fabbricati insistono sulla fascia di rispetto stradale, altri sono localizzati su suolo demaniale, altri ancora sono stati oggetto di diniego di condono, perché in contrasto con la destinazione a parcheggio del PRG dell'epoca, ulteriori risultano difformi dai titoli autorizzatori per ubicazione e sagoma; che in data 22 marzo 2019 è stato avviato il procedimento di revoca dell'autorizzazione nei confronti sia di Ca. Eu. s.r.l. sia di Ne. Vi. Eu. s.a.s., palesatasi in un dato momento come gestore senza titolo; che in definitiva gli abusi sono tanti e tali da incidere sulla conformazione complessiva del campeggio, da considerarsi dunque in toto abusivo; che Ca. Eu. s.r.l., in sede di osservazioni controdeduttive, ha chiesto una proroga dei termini di revoca, in attesa della definizione delle domande di condono edilizio pendenti; che le domande di condono riguardano tuttavia una minima parte degli abusi e che per gli altri o sono già state emesse ordinanze di demolizione o comunque sono stati avviati i procedimenti per la loro rimozione; che inoltre è stata anche emessa ordinanza n. 150 del 18 aprile 2019 di sgombero di un'area di mq. 460 di demanio marittimo, occupata abusivamente, con obbligo di ripristino dello stato dei luoghi; che il 20 aprile 2019 si è proceduto a sopralluogo di verifica unitamente al personale del Commissariato di pubblica sicurezza di (omissis), con accertamento di plurime infrazioni in materia di disciplina sulla sicurezza; che Ne. Vi. Eu. s.a.s. si è dichiarata estranea alla gestione del campeggio, pur esercitando attività ricettiva di campeggio nella struttura. Dunque, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, l'ordinanza impugnata risulta emessa a seguito di articolata, approfondita e dettagliata fase istruttoria, come risulta dalle relazioni comunali n. 16906 del 21 marzo 2019 e n. 23629 del 23 aprile 2019, dalla relazione Commissariato di pubblica sicurezza del 24 aprile 2019. Quelle rilevate sono plurime irregolarità, riconducibili a diversi aspetti, illegittima occupazione di aree pubbliche e private, gravi mancanze in tema di sicurezza e svariati abusi edilizi, alcuni dei quali anche su area demaniale abusivamente occupata. Il profilo dei plurimi abusi edilizi rappresenta soltanto una delle motivazioni poste alla base dell'ordinanza impugnata, con la conseguenza che, per inciso, appare fondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controinteressata, laddove osserva che gli altri capi del provvedimento plurimotivato non sono stati censurati. Ciò posto, il Collegio rileva che le violazioni riscontrate sono talmente tante e di tale gravità da rendere pienamente legittimo l'atto di revoca dell'autorizzazione amministrativa allo svolgimento dell'attività di campeggio. Perde di rilievo, pertanto, la censura secondo cui la pendenza dei procedimenti di sanatoria non avrebbe potuto consentire al comune l'adozione del provvedimento impugnato dal momento che, come rilevato, il profilo degli abusi edilizi è soltanto uno dei motivi posti alla base dello stesso né può assumere rilievo l'asserita rimozione di alcune opere o la circostanza che alcuni abusi consistano in differente ubicazione e sagoma non possono comunque essere considerati di minore impatto nel contesto surriportato, né che i locali abusivi siano stati accatastati, dal momento che l'accatastamento, che è una mera dichiarazione di parte, non può sopperire alla mancanza del titolo edilizio. A fronte di una tale e composita situazione di illegittimità non è configurabile alcun affidamento del privato che possa qualificarsi come "legittimo", segnatamente con riferimento agli aspetti edilizi. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 17 ottobre 2017 n. 9, ha affermato il seguente principio di diritto "il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino". La sentenza inoltre conferma che la demolizione di opere edilizie abusive può essere disposta nei confronti del proprietario attuale dell'opera (o di chi ne abbia la disponibilità ), anche se non abbia avuto alcuna parte della commissione dell'abuso (orientamento già espresso da Cons. Stato, sez. VI, 26 luglio 2017, n. 3694). D'altra parte è stato condivisibilmente osservato che la mera presentazione dell'istanza di condono non può ritenersi inidonea e sufficiente a consentire l'esercizio dell'attività nei locali oggetto dell'istanza stessa. Infatti, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel rilascio dell'autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività commerciale si va a svolgere, con l'ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz'altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l'attività commerciale viene svolta (cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 8 maggio 2012, n. 5590; id. sez. IV, 14 ottobre 2011 n. 5537). Il legittimo esercizio dell'attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell'autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l'abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un'attività commerciale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2015, n. 4880). La regolarità urbanistico edilizia dell'opera, pertanto, condiziona l'esercizio dell'attività commerciale al suo interno anche perché ritenere il contrario comporterebbe elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi. La stretta connessione tra materie del commercio e dell'urbanistica ha indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale presupposto per l'esercizio di poteri propri sia della materia dell'urbanistica, sia di quella del commercio, con la conseguente inibizione, per l'autorità amministrativa, di assentire l'attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico - edilizia (cfr. Cons. Stato, V, 17 ottobre 2002, n. 5656 e 28 giugno 2000, n. 3639). E' stato così superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l'illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di ampliamento o di trasferimento dell'esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l'interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V, 21 aprile 1997, n. 380): il revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio costituzionale di buona amministrazione per cui non è tollerabile l'esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell'urbanistica e del commercio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2018, n. 3212). Conclusivamente, per quanto precede, esaminate tutte le censure pertinenti, che esauriscono il tema dedotto in giudizio, l'appello deve essere respinto. 7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, nella misura di Euro 2.000,00 (duemila) in favore di ciascuna parte costituita, oltre oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI La Corte, composta dai sigg. Magistrati Dott. Maria Teresa Spanu Presidente Dott. Cinzia Caleffi Consigliere Dott. Cristina Fois Consigliere - relatore ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile di 2° grado iscritta al n. 35 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2021, promossa da (...) s.a. (c.f. greco (...)), sedente in Kifisia di Attica (Grecia), Via (...), in persona dei legali rappresentanti (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) del Foro di Torino, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. (...), Sassari, come da procura in atti APPELLANTE CONTRO (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliato presso gli Avv.ti (...), come da procura in atti APPELLATO CONTUMACE oggetto: indennità di occupazione Conclusioni delle parti: Per l'appellante: "Voglia la Corte d'Appello adita, contrariis reiectis; in accoglimento del presente appello ed in riforma della appellata sentenza del Tribunale di Sassari, n. 549/2020 del 16 giugno 2020, resa inter partes (RG n. 854/2018) e non notificata, riformare la sentenza impugnata e, per l'effetto, dichiarare inammissibili o respingere le domande tutte avanzate in prime cure da (...), mandando assolta parte appellante da ogni avversaria pretesa; Col favore delle spese di entrambi i gradi di giudizio." MOTIVI IN FATTO E DIRITTO (...) citava in giudizio dinanzi al Tribunale di Sassari (...) S.A (d'ora in poi anche solo (...)) ed esponeva: di essere proprietario dei terreni in agro di Olmedo, località Grascioleddu (in catasto al f. (...), mapp.li (...) per l'intero e mappale (...) per ricompresi all'interno della concessione mineraria Olmedo, rilasciata con provvedimento n. 756 del 12.11.2008 dalla Regione Autonoma della Sardegna in favore della società convenuta; concessione alla quale (...) aveva rinunciato con atto in data 15/4/2015, che la RAS si era riservata di accettare soltanto all'esito delle operazioni di bonifica richieste con delibera dell'assessorato regionale all'ambiente in data 9.10.2008 n. 53/16 e relative prescrizioni dell'assessorato all'industria (prot. 90/46 del 29/4/2015); i terreni erano in parte boschivi, seminativi e pascolativi e in parte industriali minerari; terreni che il (...), imprenditore agricolo, non aveva potuto utilizzare in ragione della protrazione dell'occupazione. Tanto esposto in fatto, chiedeva il risarcimento del danno commisurato all'indennità di occupazione di cui agli artt. 49 e 50 d.p.r. 327/2001 per tutta la durata della stessa, riservandosi di agire in separato giudizio per l'accertamento del corretto ripristino della situazione di fatto. La società convenuta si costituiva in giudizio e contestava la domanda, ritenendo che il (...) non avesse diritto ad alcuna indennità per il periodo necessario al ripristino dello stato dei luoghi, procrastinato per volontà della Regione concedente. In ogni caso, contestava che il (...) avesse dato prova sia del danno subito che dell'entità del pregiudizio. Il Tribunale, istruita la causa con documenti, accoglieva la domanda del (...) sulla base delle seguenti argomentazioni. In caso di rinuncia alla concessione, secondo il chiaro disposto dell'art. 42 del Regio Decreto n. 1443 del 29 luglio 1927 il concessionario sarebbe esonerato dal pagamento del diritto proporzionale e dagli obblighi imposti dall'atto di concessione soltanto dalla data di pubblicazione del relativo decreto di accettazione dell'Autorità Mineraria. Dunque, non avendo la società concessionaria provato il verificarsi di tale condizione, rimaneva fermo il suo obbligo a pagare l'indennità di occupazione al proprietario dei terreni ricompresi nella concessione dal dicembre 2015 (momento in cui il (...) era divenuto proprietario) sino ad aprile 2016. Per la quantificazione dell'indennità il giudice di prime cure, ritenuto oneroso espletare ctu, utilizzava l'offerta fatta a fini transattivi da un'altra società subentrante per altri terreni occupati dalla miniera, di Euro 2.500 mensili che, moltiplicati per i cinque mesi di indebita occupazione, determinavano l'importo di Euro 10.000, dovuto al (...) dalla società attrice. La sentenza è stata appellata da (...) per lamentare: 1) la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99,112 e 183 c.p.c. per extrapetizione, nella parte in cui il tribunale, nonostante la diversità di petitum e causa petendi, aveva qualificato la domanda come richiesta di indennizzo mentre l'attore aveva domandato il risarcimento del danno per occupazione senza titolo; 2) per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19,31,42 R.D. 1443/1927, per aver riconosciuto ai proprietari dei terreni un'indennità per l'occupazione, circostanza diversa ed estranea all'occupazione derivante dall'esercizio dell'attività mineraria, che costituisce un vincolo conformativo, non indennizzabile in quanto non espropriativo, al quale i possessori dei fondo non possono sottrarsi; indennità non prevista nella determinazione della Regione, che condizionava l'accettazione della rinuncia alla bonifica dei fondi; 3) nella parte in cui individuava nel titolo concessorio la ragione della pretesa attorea; 4) nella quantificazione dell'indennità, liquidata mediante ricorso ad un criterio equitativo in violazione dell'art. 1226 c.c., non avendo il (...) offerto la prova dell'esistenza ontologica del danno risarcibile, avendo persino interesse al compimento delle operazioni di bonifica del sito, diversamente gravanti sul proprietario; peraltro ricorrendo ad un dato non comparabile, utilizzando a tali fini la transazione conclusa tra un diverso concessionario del sito di Olmedo ((...) S.A. e lo stesso (...)), omettendo di esplicitare il criterio di stima utilizzato in detta transazione. Nonostante la ritualità della notifica, il (...) non si è costituito nel giudizio d'appello. La causa, senza ulteriore attività istruttoria, all'udienza indicata è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni dell'appellante in epigrafe trascritte, previa assegnazione di termini per lo scambio di scritti conclusionali. L'appello è interamente destituito di fondamento per le ragioni di seguito indicate. Preliminarmente, in rito, osserva la Corte come nel primo grado del giudizio non vi sia stato alcun mutamento non consentito della domanda, con conseguente infondatezza della censura sub 1). A parte la considerazione che già nell'atto introduttivo il (...) aveva invocato la disciplina degli artt. 49 e 50 del d.p.r. 327/2001 (TUE) e del criterio ivi indicato per la quantificazione dell'indennità da occupazione temporanea legittima della P.A., in ogni caso l'art. 183 c.p.c., nella lettura pacificamente datane dalla Corte di Cassazione, consente all'attore di modificare la domanda già proposta con la prima memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c. in risposta alle difese del convenuto, purché rimanga nel perimetro della stessa vicenda sostanziale. Dove l'espressione modificare le domande già proposte non può che implicare un mutamento degli elementi identificativi del petitum e della causa petendi, diversamente si tratterebbe della medesima domanda. Ebbene, è in tale ambito che si è mosso il (...), il quale, a seguito delle difese della società convenuta incentrate sulla natura lecita dell'attività di bonifica all'origine della protrazione dell'occupazione del fondo, ha meglio precisato il titolo della domanda risarcitoria in termini di ristoro da occupazione da attività lecita, peraltro fondata sul medesimo nucleo di fatti storici, ossia l'impossibilità di sfruttare il proprio fondo a causa della protrazione dell'occupazione da parte della società concessionaria, fatti introdotti in giudizio già con l'atto di citazione. È principio ormai assodato che "la modificazione della domanda ammessa dall'art. 183, comma 6, c.p.c. può riguardare uno o entrambi gli elementi oggettivi della medesima ("petitum" e "causa petendi"), sempre che la domanda così modificata risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, per ciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, o l'allungamento dei tempi processuali. (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 4031 del 16/02/2021 e Sentenza n. 5631 del 23/02/2023). Con i successivi motivi sub 2) e 3), che per ragione di stretta connessione sono trattati congiuntamente, l'appellante contesta il diritto del (...), pacificamente proprietario di terreni ricompresi nella concessione mineraria, ad essere indennizzato per il danno da occupazione, invocando: ora il suo ruolo di custode per il tempo necessario alla bonifica dei terreni con accollo in capo all'Autorità Mineraria (dunque alla RAS) di qualsivoglia pretesa risarcitoria/indennitaria del (...), ora la non indennizzabilità dell'occupazione, stante la natura pubblica dei giacimenti minerari, con conseguente soggezione dei privati proprietari-possessori ad un vincolo conformativo non indennizzabile. Ebbene, nessuna delle argomentazioni spese dall'appellante è condivisibile. Con riferimento al primo profilo basti osservare che il rapporto concessorio cessa soltanto con l'accettazione della rinuncia del concessionario e la pubblicazione del relativo decreto, nel caso in oggetto intervenuta soltanto nell'aprile 2016, dopo la conclusione delle operazioni di bonifica del sito, in conformità a quanto previsto nella stessa delibera di concessione (art. 42 R.D. 1443/1927). Sino a quel momento (...) era innegabilmente il concessionario, come tale tenuto ad indennizzare gli eventuali danni arrecati ai privati dall'esercizio dell'attività mineraria ai sensi dell'art. 19 RD 29/7/1927 n. 1443. Danni, tra i quali non si vede per quale ragione non debba essere annoverato anche quello derivante dall'occupazione dei soprassuoli, laddove l'espressione "eventuali danni", utilizzata nella norma di legge, non può essere intesa come "ulteriori" rispetto all'occupazione dei suoli, come pretenderebbe (...), bensì semplicemente come danni effettivamente realizzatisi, ben potendo la coincidenza tra la figura del concessionario e quella del proprietario dei terreni elidere un possibile danno da occupazione di fondi altrui. Dunque, la norma contempla anche l'eventualità che la scissione tra concessionario e proprietario dei soprassuoli cagioni un danno al terzo proprietario/possessore. Ciò che è assistito da un vincolo conformativo della proprietà è infatti il solo giacimento minerario in sé stesso considerato, nel sottosuolo o in superficie, cui fa da corollario l'impossibilità per il possessore-proprietario del fondo di opporsi alle operazioni di ricerca e sfruttamento. Ma quando queste operazioni determinano un pregiudizio del soprassuolo, perché lo occupano con strutture e macchinari funzionali all'esercizio della miniera (piazzali, strutture di stoccaggio, ingresso alle gallerie ecc.) non è pensabile che un tale sacrificio del privato rimanga senza indennizzo. D'altronde gli artt. 49 e 50 del TUE contengono un principio generale di indennizzabilità della occupazione temporanea di aree per ragioni di pubblica utilità anche quando la vicenda espropriativa non si completa. Il diritto dei privati pregiudicati dall'esercizio dell'attività mineraria, oltre che nel citato art. 19, trova ulteriore conforto nell'art. 31 del R.D. 29 luglio 1927 n. 1443, che dispone che "il concessionario è tenuto a risarcire ogni danno derivante dall'esercizio della miniera". Non convincono gli argomenti spesi dalla società appellante sulla natura conformativa del vincolo minerario per escludere dall'operatività dell'art. 19 i danni da impossibilità di sfruttamento del soprassuolo. Che si tratti di un giacimento sotterraneo e non superficiale si ricava, poi, dalla stessa Deliberazione della Regione n. 53/16 del 9/10/2008, avente ad oggetto la procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi dell'art 31 della L.R. 18.1.1999 n. 1, nella parte in cui fa espresso riferimento alla "coltivazione in sotterraneo" per le aree Grazioleddu-Olmedo (dove si trovano i terreni del (...)) e a cielo aperto per "Montiju de Su Cossu". Così che non può invocarsi il criterio della soggezione senza indennizzo, valido solo per i giacimenti superficiali, dove non è possibile distinguere un soprassuolo rispetto al giacimento pacificamente di proprietà pubblica. Il diritto del proprietario del soprassuolo a ricevere un indennizzato per la temporanea indisponibilità del suo bene si ricava indirettamente anche da Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 3391 del 15/06/1979 (che per quanto datata non sembra sia stata mai superata) nella parte in cui afferma che "nell'ipotesi in cui lo stato abbia assegnato a un privato la concessione per lo sfruttamento di prodotti minerari (art 14 RD 29 luglio 1927 n 1443) o di giacimenti di idrocarburi liquidi o gassosi (legge 10 febbraio 1953 n 136), dei quali sia stata accertata la presenza nel sottosuolo, il proprietario del fondo, nel cui ambito si trovi la miniera o il giacimento, il quale abbia dato in locazione il fondo medesimo al concessionario, perde, in pendenza della concessione, la disponibilità del terreno, avuto riguardo alla finalità pubblica perseguita con lo sfruttamento del sottosuolo (art 19 legge 1443 del 1927, artt. 2, 23 legge n 136 del 1953 citato) e, pertanto, non può ottenere dal giudice il provvedimento di rilascio del fondo da parte del conduttore concessionario, ma può solo fare valere il diritto all'indennizzo per l'occupazione del suolo per ragioni di pubblica utilità, per l'intera durata della concessione." Anche la Cassazione penale, nella sentenza n. 4822/2005, dà per pacifico il diritto del proprietario/possessore ad essere indennizzato dall'occupazione delle aree all'interno del perimetro minerario. Occupandosi del reato di "invasione di terreni o edifici altrui pubblici o privati" perpetrato dal titolare di una concessione mineraria, che aveva realizzato sul terreno di proprietà comunale manufatti in cemento armato e tubi di calcestruzzo per il trasporto e l'elaborazione dei materiali provenienti dal giacimento coltivato senza richiedere alcun decreto di esproprio o di occupazione temporanea, afferma il diritto del possessore del fondo compreso nel perimetro della concessione mineraria ad ottenere il risarcimento del danno (da lavori di ricerca) e di un'indennità da perimetrazione e coltivazione della miniera ai sensi dell'art. 19 R.D. 1443/1927, mentre riconduce alla diversa disciplina dell'art 32 del medesimo decreto la realizzazione delle "opere necessarie per il deposito, il trasporto e la elaborazione dei materiali o per la coltivazione del giacimento e per la sicurezza della miniera". D'altronde la delimitazione della concessione equivale a dichiarazione di pubblica utilità, così come "sono considerate di pubblica utilità a tutti gli effetti della legge 25 giungo 1965, n. 2359" le opere eseguite a seguito di pubblica concessione (art. 32). Dunque, sussistevano tutte le condizioni di legge per il riconoscimento di un indennizzo al (...) ai sensi del citato art. 19 per il tempo in cui non ha potuto godere del suo fondo in attesa del completamento delle operazioni di bonifica del sito minerario, anch'esse riconducibili alla concessione e pertanto indennizzabili, qualora produttrici di un danno, come correttamente deciso dal Tribunale. Ma la sentenza è corretta anche in punto di quantificazione dell'indennità, con conseguente rigetto dell'ulteriore motivo d'appello. Al riguardo, non solo non è affatto censurabile il ricorso al criterio indicato dagli artt. 49 e 50 TUE per l'occupazione temporanea di aree per ragioni di pubblica utilità, anche se non soggette ad esproprio, in 1/12 del valore venale del bene per ciascun anno di occupazione legittima e in 1/12 di quella annua per ogni mese o frazione di mese. Già si è detto poi del fatto che la perimetrazione della miniera equivale a dichiarazione di pubblica utilità con tutte le relative conseguenze. Con riferimento alla concreta quantificazione di tale ristoro non sfugge alla Corte che il (...) aveva prodotto in giudizio una perizia di parte che, sulla base della destinazione urbanistica delle aree (seminativa, pascolativa, in parte boschiva e per 20 ettari industriale mineraria), stimava, peraltro al ribasso, la sua azienda in Euro 521.593, indicando l'importo mensile spettante all'attore per l'occupazione in Euro 3.622,17. Importo persino destinato ad aumentare considerando la natura industriale di circa 20 ettari di terreno (con valore di 3,5Euro/mq). Si tratta di valutazioni tecniche di parte che (...) non ha in alcun modo confutato con argomentazioni altrettanto tecniche, limitandosi ad una generica e astratta critica del metodo di stima utilizzato dal Tribunale, senza mai indicare, neppure nel presente giudizio, quale sarebbe invece il diverso valore a mq dei terreni di proprietà del (...), sul quale commisurare il dodicesimo previsto dai citati artt. 49 e 50 TUE. Tanto più che il tribunale, ancora una volta con metodo ineccepibile, ha ulteriormente ridotto l'entità dell'indennizzo calcolato dal perito di parte, utilizzando a tali fini il valore sul quale si era perfezionata una transazione tra lo stesso (...) e altra impresa che operava nella miniera, così facendo concretamente ricorso al metodo sintetico comparativo che, nella stima del più probabile valore di mercato di aree occupate per ragioni di pubblica utilità, guarda proprio alle vicende traslative di beni aventi analoghe caratteristiche. Ed è innegabile che l'atto di transazione realizzi uno scambio e dunque concorra a formare il particolare mercato di rifermento. Infine, l'errata indicazione contenuta in sentenza del numero dei mesi di occupazione (cinque in luogo di quattro) non si è tradotto in un errore di quantificazione dell'importo complessivamente dovuto da (...) a tale titolo, correttamente liquidato dal primo giudice in Euro 10.000 (Euro 2.500 x 4), con conseguente rigetto anche di tale censura e integrale conferma della sentenza impugnata. Poiché non vi è stata costituzione in giudizio, nulla è disposto sulle spese di lite, dandosi viceversa atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento da parte dell'appellante del doppio del contributo unificato ai sensi dell'art. 13 comma 1 bis e 1 quater DPR n. 115/2002. PQM la Corte definitivamente decidendo, ogni ulteriore domanda ed eccezione disattesa, 1) rigetta l'appello proposto da (...) s.a. avverso la sentenza n. 549/2020 del Tribunale di Sassari pubblicata il 16 giugno 2020; 2) nulla sulle spese. Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, a norma dell'art. 13 comma 1 bis e 1 quater DPR n. 115/2002. Così deciso in Sassari, nella camera di consiglio del 27 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA Sezione controversie lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie composta dai Sigg. Magistrati: DI SARIO dott.ssa Vittoria - Presidente rel. SELMI dott. Vincenzo - Consigliere CERVELLI dott. Vito Riccardo - Consigliere all'esito dell'udienza del 9.2.2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3386 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 vertente TRA COMUNE DI ARDEA elett.te dom.to in Casarano (Le), via (...), presso lo studio dell'avv.to Gi.De. che lo rappresenta e difende giusta procura depositata in telematico APPELLANTE E (...) elett.te dom.to in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv.to Ma.Pi. che unitamente all'avv. Gi.An. la rappresenta e difende giusta procura depositata in telematico APPELLATA Oggetto: appello avverso la sentenza n.1218/2020 del Tribunale di Velletri depositata il 10.11.2020 e notificata via PEC l'11.11.2020 RAGIONI DELLA DECISIONE 1. L'arch. (...), premesso di essere dipendente del Comune di Ardea dal 2007 come Istruttore tecnico qualifica (...) e di essere stata designata come responsabile unico del procedimento di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche per il predetto ente giusta Det.Dirig. n. 72 del 5 aprile 2013, ha agito in giudizio chiedendo al giudice di accertare che le mansioni svolte erano inquadrabili nella superiore categoria (...) e conseguentemente di condannare il Comune di Ardea al pagamento delle differenze retributive tra quanto percepito con riguardo alla categoria (...) e quanto dovuto in ragione della superiore categoria (...), con condanna anche alla restituzione delle somme corrisposte da essa ricorrente per l'iscrizione al proprio albo professionale. 1.1. Nella resistenza del Comune di Ardea, il Tribunale di Velletri ha così disposto: -Accerta e dichiara che le mansioni svolte dall'Arch. (...) a seguito della sua designazione quale responsabile unico del procedimento di rilascio delle Autorizzazioni paesaggistiche per il Comune di Ardea dal 2013 al 2019 in poi, erano proprie della Categoria (...) del CCNL di riferimento. - Per l'effetto condanna il Comune resistente, in persona del Sindaco pro tempore, a pagare in favore della medesima (...) le differenze retributive derivanti dal raffronto tra la retribuzione da lei effettivamente percepita, riferita alla Categoria (...) del CCNL e quanto le sarebbe spettato in virtù delle mansioni svolte corrispondenti alla Categoria (...) del medesimo CCNL, nei limiti della prescrizione quinquennale (a decorrere dal 9.10.2014). - Rigetta la domanda di rimborso delle spese per l'iscrizione all'Albo del Architetti. - Condanna il Comune resistente, in persona del Sindaco pro-tempore, a rimborsare alla ricorrente le spese processuali che vengono liquidate in complessivi Euro 2.000,00, oltre IVA e CPA e spese generali come per legge, con distrazione in favore del procuratore che se ne dichiara antistatario. 1.2. Il primo giudice: i) ha premesso che "Diversamente, nel pubblico impiego contrattualizzato, lo svolgimento di mansioni proprie di una qualifica superiore rispetto a quella di inquadramento formale non attribuisce al dipendente il diritto alla promozione automatica, ma, in ogni caso, comporta, in forza del disposto dell'art. 52, comma 5, D.Lgs. n. 165 del 2001, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore", richiamando precedenti di legittimità in materia anche in ordine al procedimento trifasico di accertamento dello svolgimento di mansioni superiori; ii) ha evidenziato che "il Comune resistente non contesta specificamente le mansioni svolte in via di fatto dall'Architetto (...) quale responsabile del procedimento amministrativo per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche sub-delegate dalla Regione Lazio al Comune di Ardea, per come dalla stessa analiticamente descritte nel ricorso introduttivo del presente giudizio. Dette mansioni, inoltre, sono state pienamente confermate dalle dichiarazioni rese dai testimoni esaminati nel corso dell'istruttoria ossia (...), dipendente della Soprintendenza delle Belle Arti del Lazio presso l'Ufficio Territoriale di Latina (che dal 2013 al 2015 era territorialmente competente per il Comune di Ardea), e da (...), dal 2016 al 2017 Responsabile dell'Area Tecnica del medesimo Comune in cui sono ricompresi i Settori Urbanistico-Paesaggistico"; iii) richiamata la disciplina collettiva, ha disatteso la tesi del Comune per cui le attività connesse all'incarico sopra indicato dovevano comunque ritenersi proprie della Categoria (...) in cui era inquadrata la ricorrente, implicando il solo diritto a vedersi riconosciuta l'indennità di cui all'art. 17 co. 2 lett. f) del CCNL di riferimento per la speciale responsabilità -pari a Euro 400,00 annue e non lorde come sostenuto dal Comune convenuto- a norma del quale, ritenendo di contro li compiti svolti dal 2013 al 2019 propri della superiore categoria (...); iv) ha, quindi condannato il Comune al pagamento "delle differenze retributive derivanti dal raffronto tra la retribuzione da lei effettivamente percepita, riferita alla Categoria (...) del CCNL, e quanto invece le sarebbe spettato in virtù delle mansioni svolte corrispondenti alla Categoria (...) del medesimo CCNL, nei limiti della prescrizione quinquennale (9.10.2014) posto che è pacifico che nei rapporti di pubblico Impego contrattualizzato la prescrizione dei crediti maturati dal lavoratore decorre in corso del rapporto"; iv) ha infine respinto "la domanda di rimborso delle spese sostenute dalla ricorrente per l'iscrizione all'Albo professionale degli Architetti difettando la prova che l'iscrizione sia avvenuta al solo scopo di poter essere destinataria dell'incarico di responsabile unico del procedimento di rilascio delle Autorizzazioni paesaggistiche". 2. Contro detta decisione ha proposto appello il Comune di Ardea lamentando: I) l'omessa pronuncia sulla preliminare eccezione di nullità e/o inammissibilità del ricorso introduttivo per omessa notifica dei conteggi; II) omessa pronuncia sulla richiesta subordinata di esso Comune di defalcare dal dovuto quanto percepito dalla (...) ex art. 17 comma 2 lett. f del ccnl di riferimento ovvero condannarla al rimborso; III) la nullità e inopponibilità della documentazione prodotta dalla (...) in corso di causa e in specie della determina 78/2020, dell'avviso pubblico prot (...) e della successiva produzione del 26.2.2020 della determina n. 107/2020; IV) l'errata valutazione delle risultanze probatorie; V) la violazione dell'art. 112 c.p.c. e quindi il vizio di ultrapetizione per avere emesso il Tribunale una condanna generica. 2.1. Si è costituita in giudizio l'arch. (...) resistendo al gravame e chiedendone il rigetto. 2.2. Previ gli incombenti di cui all'art. 437 c.p.c. la causa è stata discussa e decisa come da separato dispositivo. 3. L'appello è infondato e deve essere respinto. 4. Preliminarmente va osservato che è coperta da giudicato interno, per omessa impugnazione, la statuizione con cui è stata respinta la domanda dell'arch. (...) volta ad ottenere il rimborso delle quote versate per l'iscrizione al proprio Albo professionale. 4.1. Parimenti coperta da giudicato interno è la ritenuta parziale prescrizione dei crediti anteriori al 9.10.2014. 5. Con il primo motivo il Comune censura la gravata sentenza per avere asserita omessa pronuncia sulla preliminare eccezione da esso avanzata di nullità e/o inammissibilità del ricorso per mancanza di conteggi analitici a cui, a suo dire, conseguirebbe l'indeterminatezza della domanda e la compressione del diritto di difesa, atteso anche il mancato deposito di buste paga. 5.1. Il motivo è palesemente infondato. 5.2. Con il ricorso introduttivo l'attuale appellata ha avanzato domanda di condanna generica al pagamento delle differenze retributive conseguenti al riconoscimento dello svolgimento di mansioni superiori sicché l'assenza di un conteggio di tali differenze non rappresenta una lacuna, tantomeno suscettibile di determinare le conseguenze prospettate dall'appellante. 5.3. Il nostro ordinamento non vieta domande e conseguenti pronunce di accertamento dell'an, tenuto conto che "il nostro ordinamento costituzionale e processuale è imperniato sui principi di libertà del diritto di azione (art. 24 Cost.), e la libertà del diritto di azione si manifesta ovviamente con la facoltà dell'attore di stabilire, in totale libertà, cosa chiedere, quanto chiedere e quando chiedere, con l'unico limite del divieto di abuso del diritto" (Cass. SU n. 29862/2022, cui si rinvia anche in ordine ai riferimenti ai vari principi stabiliti dal diritto comunitario, ovvero da norme interposte ai sensi dell'art. 10 Cost., che escludono che possa qualificarsi inammissibile una domanda ab origine limitata all'an debeatur"). 5.4. La richiesta di ammissione di una ctu ovvero di determinazione del quantum in corso di causa, pure contenute nel ricorso introduttivo, si appalesa mero refuso o comunque risulta affatto idonea a negare natura generica alla domanda formulata. 6. Con il secondo motivo il Comune appellante censura la gravata sentenza per avere a suo dire omesso di pronunciare sulla richiesta subordinata da esso avanzata di detrazione dal dovuto di quanto percepito dall'appellata ai sensi dell'art. 17 comma 2 lett. f ccnl e quindi della somma di Euro 400,00 annue (come accertato in sentenza e non contestato). 6.1. Anche tale motivo è infondato. 6.2. Il Tribunale ha condannato il Comune al pagamento "delle differenze retributive derivanti dal raffronto tra la retribuzione ... effettivamente percepita, riferita alla Categoria (...) del CCNL, e quanto invece.. sarebbe spettato in virtù delle mansioni svolte corrispondenti alla Categoria (...) del medesimo CCNL" ed è lo stesso Tribunale ad avere accertato che l'appellata aveva percepito per l'attività dedotta in giudizio, nel periodo in contestazione, l'indennità di cui all'art. 17 comma 2 lett. f citato, ritenuta però insufficiente a compensare lo svolgimento di mansioni superiori. 6.3. Ne consegue che laddove nella sentenza viene fatto rinvio alla retribuzione "effettivamente percepita" come (...) la stessa si intende riferita anche all'indennità in questione, poiché appartenente ai trattamenti retributivi propri della categoria di inquadramento, quindi (...). 6.4. In ordine alla richiesta di rimborso di detta indennità, difetta in primo grado la proposizione di domanda riconvenzionale, sicché sul punto nulla doveva statuire il primo giudice 7. Con il terzo motivo l'appellante denuncia la nullità e inopponibilità della documentazione depositata in corso di causa dalla (...) (in specie la determina n. 78/2020, l'avviso pubblico parere paesaggistico, l'ordine di servizio prot (...) e la determina n. 107/2020). 7.1. Il motivo va disatteso sul semplice rilievo che si tratta di documentazione neppure citata nella gravata sentenza, che non ha affatto fondato la decisione su detti documenti, sicché la doglianza risulta irrilevante. 7.2. Tra l'altro, e ad abundantiam, va evidenziato che si tratta di documentazione di formazione successiva all'instaurazione della lite e attinente all'oggetto della controversia, la cui produzione, pertanto, non è colpita dalle preclusioni di cui all'art. 414 c.p.c. 8. Con il quarto motivo il Comune censura la gravata sentenza per avere a suo avviso errato nella valutazione delle prove, ma anche questo motivo è infondato in tutte le sue declinazioni. 8.1. Contrariamente a quanto sostenuto nel gravame, il Comune non ha affatto puntualmente contestato le mansioni dedotte dalla (...) nel ricorso introduttivo per come emerge dalla mera lettura degli atti. 8.1.1. Ed invero la (...) ha dedotto che con determina n. 72 del 5.4.2013 era stata designata responsabile del procedimento amministrativo per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, vedendo così incrementare le proprie mansioni, cumulandosi il nuovo incarico agli originari compiti consistenti nel supporto all'Ufficio patrimonio per l'acquisizione degli immobili abusivi e all'Ufficio antiabusivismo, con i conseguenti sopralluoghi per i controlli, nella redazione delle istruttorie per i procedimenti oggetto di contenzioso al TAR e ai relativi rapporti con l'Ufficio legale. Più nello specifico la predetta ha dedotto di essersi occupata da sola, e in piena autonomia, di istruire le pratiche inerenti il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche per il Comune di Ardea che ha firmato quale R.U.P. sulla proposta e come Tecnico/Istruttore RUP sulla determina finale di parere, nonché di firmare i dinieghi di autorizzazione proponendo alla Soprintendenza i pareri di non conformità dell'intervento richiesto, compiti puntualmente descritti al capitolo 10) del ricorso, cui per brevità si rinvia. 8.1.2. A fronte di tale puntuali allegazioni il Comune, per come emerge dallo stesso gravame, si è limitato ad una contestazione assolutamente generica e di stile, affatto rispondente all'onere imposto dall'art. 416 c.p.c., non potendosi qualificare diversamente affermazioni quali "E' premessa la conoscenza del ricorso introduttivo che si impugna e contesta in ogni sua parte e/o punto (alcuno dei quali debba intendersi non espressamente contestato) siccome infondato in fatto ed in diritto nonché palesemente fantasioso" ovvero "Sicchè l'arch. (...), lungi dall'espletare mansioni inquadrabili nella superiore categoria (...), si è occupata, e si occupa, di quanto ordinariamente e strettamente connesso al ruolo di responsabilità affidatole venendo gratificata con l'indennità normativamente prevista", mentre le pagine 6 e 7 della memoria di costituzione sono riservate all'indennità di cui all'art. 17 ccnl già sopra citata a deduzione dei presupposti dell'inde 8.1.3. Ne consegue che correttamente il Tribunale ha ritenuto che "il Comune resistente non contesta specificamente le mansioni svolte in via di fatto dall'Architetto (...) quale responsabile del procedimento amministrativo per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche sub-delegate dalla Regione Lazio al Comune di Ardea, per come dalla stessa analiticamente descritte nel ricorso introduttivo del presente giudizio". 8.2. Il gravame prosegue riproducendo acriticamente il contenuto della propria memoria difensiva di prime cure e contestando la valutazione delle prove testimoniali con argomenti che non inficiano affatto l'operato del primo giudice. 8.2.1. Il Comune, infatti, cerca di sminuire la portata delle risultanze testimoniali senza seriamente confrontarsi con il tenore delle stesse e con la qualificata posizione dei testi. 8.2.2 Il Tribunale ha ritenuto le mansioni dedotte in ricorso, . 8.2.3. La valutazione operata dal Tribunale trova pieno riscontro nei verbali delle deposizioni, in cui si legge: che il teste O. ha dichiarato "Per quanto a mia conoscenza la ricorrente era la responsabile della paesaggistica del Comune di Ardea ed era nostro unico interlocutore. E' vero che la ricorrente svolgeva le mansioni che mi si leggono di cui al capitolo 10 del ricorso. In particolare la ricorrente redigeva la cd relazione istruttoria che si conclude con un parere positivo o negativo che la Soprintendenza poteva accettare o non accettare. Poteva altresì accadere che la Soprintendenza desse il proprio parere favorevole che l'art. (...) poteva disattendere per il contrasto con gli altri strumenti urbanistici territoriali. Se la Soprintendenza non dava il parere nei termini di legge acquistava rilievo esterno il parere della ricorrente. Per quanto a mia conoscenza la ricorrente decideva autonomamente. La ricorrente firmava anche le autorizzazioni ai fini paesaggistici o i provvedimenti di diniego. Secondo la normativa in vigore presso la regione Lazio ogni comune per ottenere la sub-delega paesaggistica deve avere un ufficio paesaggistico con un proprio responsabile distinto dall'ufficio urbanistica"; il teste (...) ha dichiarato: "La ricorrente era una delle risorse assegnate alla mia Dirigenza e assolveva in base ad una Determinazione del 2013 le funzioni relative alle autorizzazioni paesaggistiche quale unica addetta. Si occupava anche di alcune attività proprie dell'Ufficio Urbanistico in particolare le procedure per la demolizione delle opere edilizie abusive. E' vero che la ricorrente si occupava di tutte le attività elencate al capitolo 10 del ricorso. Io come Dirigente dell'Area Tecnica controfirmavo tutti i provvedimenti decisori (dinieghi e autorizzazioni ai fini paesaggistici) ma non avevo potere decisionale in quanto l'atto mi veniva trasmesso dopo che la Soprintendenza aveva espresso il suo parere. E' vero che era l'unica persona ad interloquire con gli uffici della Soprintendenza era l'Architetto M.. Può essere capitato che per istruire le pratiche a lei assegnate sia dovuta relazionare con alti Dirigenti del Comune". 8.2.4 Si tratta di dichiarazioni puntuali e circostanziate, rese da soggetti particolarmente qualificati, che proprio in ragione della loro posizione hanno potuto riferire in ordine agli effettivi compiti svolti dall'appellata, la cui decisiva rilevanza non può certo essere negata sostenendo che la deposizione del teste O. sarebbe priva di qualsiasi riscontro e valenza probatoria perchè provenienti da soggetto del tutto estraneo alle dinamiche sia organizzative che organiche del comune di Ardea, laddove, di contro, il teste era un diretto interlocutore della (...) e ben a conoscenza delle attività di quest'ultima. 8.2.5. Irrilevante, poi, la circostanza che fosse il teste (...) a controfirmare quale dirigente gli atti della (...), tenuto conto della posizione dal primo rivestita non certo rivendicata dalla seconda. 8.3. Confermata la corretta ricostruzione in fatto operata dal primo giudice delle mansioni svolte dall'appellata nel periodo in contestazione, occorre rilevare come il gravame ometta di impugnare espressamente, formulando puntuali critiche, i successivi decisivi passaggi della decisione e più esattamente laddove si legge che "Residua, dunque, da stabilire se le attività connesse all'incarico di cui si controverte siano proprie della Categoria (...) ovvero se siano da inquadrarsi nella Categoria (...) in cui era inquadrata la ricorrente, implicando l solo diritto in capo alla stessa a vedersi riconosciuta l'indennità di cui all'art. 17 co. 2 lett. f) del CCNL di riferimento per la speciale responsabilità -pari a Euro 400,00 annue e non lorde come sostenuto dal Comune convenuto- a norma del quale: 1. Le risorse di cui all'art.15 sono finalizzate a promuovere effettivi e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza e di efficacia degli enti e delle amministrazioni e di qualità dei servizi istituzionali mediante la realizzazione di piani di attività anche pluriennali e di progetti strumentali e di risultato basati su sistemi di programmazione e di controllo quali-quantitativo dei risultati. 2. In relazione alle finalità di cui al comma 1, le risorse di cui all'art. 15 sono utilizzate per: f) compensare l'eventuale esercizio di compiti che comportano specifiche responsabilità da parte del personale delle categorie B e C quando non trovi applicazione la speciale disciplina di cui all'art. 11, comma 3, del CCNL del 31.3.1999; compensare altresì specifiche responsabilità affidate al personale della categoria (...), che non risulti incaricato di funzioni dell'area delle posizioni organizzative secondo la disciplina degli articoli da 8 a 11 del CCNL del 31.3.1999 in misura non superiore a £. 3.000.000 lordi annui per le Regioni e2.000.000 per gli altri Enti; sino alla stipulazione del contratto collettivo integrativo resta confermata la disciplina degli artt.35 e 36 del CCNL del 6.7.1995 nonché dell'art. 2, comma 3, secondo periodo, del CCNL del 16.7.1996. La contrattazione integrativa decentrata stabilisce le modalità di verifica del permanere delle condizioni che hanno determinato l'attribuzione dei compensi previsti dalla presente lettera". Ebbene, a giudizio della scrivente l'assunto difensivo del Comune di Ardea appare infondato. Ed infatti, dalla piana lettura dell'art. 17 citato, tralasciando la circostanza che nel caso in esame l'indennità è stata pari a soli 400,00 Euro annui, si evince che i compiti che comportano specifiche responsabilità non possono che essere compiti propri della relativa Categoria professionale di appartenenza e non già estendersi fino allo svolgimento di fatto, in modo pieno e continuativo, di mansioni superiori. Ebbene, a tal fine è sufficiente procedere ad un raffronto tra le declaratorie delle due Categoria professionali. In base al CCNL di riferimento appartengono alla Categoria C "i lavoratori che svolgono attività caratterizzate da: Approfondite conoscenze mono specialistiche (la base teorica di conoscenze è acquisibile con la scuola superiore) e un grado di esperienza pluriennale, con necessità di aggiornamento; Contenuto di concetto con responsabilità di risultati relativi a specifici processi produttivi/amministrativi; Media complessità dei problemi da affrontare basata su modelli esterni predefiniti e significativa ampiezza delle soluzioni possibili; (...) organizzative interne anche di natura negoziale ed anche con posizioni organizzative al di fuori delle unità organizzative di appartenenza, relazioni esterne (con altre istituzioni) anche di tipo diretto. (...) con gli utenti di natura diretta, anche complesse, e negoziale". Al fine esemplificativo, viene individuato in questa categoria il "lavoratore che, anche coordinando altri addetti, provvede alla gestione dei rapporti con tutte le tipologie di utenza relativamente alla unità di appartenenza, il lavoratore che svolge attività istruttoria nel campo amministrativo, tecnico e contabile, curando, nel rispetto delle procedure e degli adempimenti di legge ed avvalendosi delle conoscenze professionali tipiche del profilo, la raccolta, l'elaborazione e l'analisi dei dati. Appartengono, ad esempio, alla categoria i seguenti profili: esperto di attività socioculturali, agente di polizia municipale e locale, educatore asili nido e figure assimilate, geometra, ragioniere, maestra di scuola materna, istruttore amministrativo, assistente amministrativo del registro delle imprese". Diversamente appartengono alla Categoria (...) "i lavoratori che svolgono attività caratterizzate da: E. conoscenze plurispecialistiche(la base teorica di conoscenze è acquisibile con la laurea breve o il diploma di laurea) ed un grado di esperienza pluriennale, con frequente necessità di aggiornamento; Contenuto di tipo tecnico, gestionale o direttivo con responsabilità di risultati relativi ad importanti e diversi processi produttivi/amministrativi; Elevata complessità dei problemi da affrontare basata su modelli teorici non immediatamente utilizzabili ed elevata ampiezza delle soluzioni possibili; (...) organizzative interne di natura negoziale e complessa, gestite anchetra unità organizzative diverse da quella di appartenenza, relazioni esterne (con altre istituzioni) di tipo diretto anche con rappresentanza istituzionale. (...) con gli utenti di natura diretta, anche complesse, e negoziale". A fine esemplificativo viene individuato in questa categoria il "lavoratore che espleta attività di ricerca, studio ed elaborazione di dati in funzione della programmazione economico finanziaria e della predisposizione degli atti per l'elaborazione dei diversi documenti contabili e finanziari. Il lavoratore che espleta compiti di alto contenuto specialistico professionale in attività di ricerca, acquisizione, elaborazione e illustrazione di dati e norme tecniche al fine della predisposizione di progetti inerenti la realizzazione e/o manutenzione di edifici, impianti, sistemi di prevenzione, ecc. Il lavoratore che espleta attività progettazione e gestione del sistema informativo, delle reti informatiche e delle banche dati dell'ente, di assistenza e consulenza specialistica agli utenti di applicazioni informatiche. Il lavoratore che espleta attività di istruzione, predisposizione e redazione di atti e documenti riferiti all'attività amministrativa dell'ente, comportanti un significativo grado di complessità, nonché attività di analisi, studio e ricerca con riferimento al settore di competenza. Fanno parte di questa categoria, ad esempio, i profili identificabili nelle figure professionali di: farmacista, psicologo, ingegnere, architetto, geologo, avvocato, specialista di servizi scolastici, specialista in attività socio assistenziali, culturali e dell'area della vigilanza, giornalista pubblicista, specialista in attività amministrative e contabili, specialista in attività di arbitrato e conciliazione, ispettore metrico, assistente sociale, segretario economo delle istituzioni scolastiche delle Province". A ciò si aggiunga che lo stesso Comune resistente nella nota prot. n. (...) del 4.03.2019 a cui era allegato il curriculum dell'Arch. (...) riconosce implicitamente che la ricorrente fosse in possesso di esperienza pluriennale". 8.3.1. All'omessa specifica impugnazione consegue la definitività del giudizio valutativo espresso dal Tribunale e quindi la sussunzione delle mansioni accertata nella superiore categoria (...). 9. Con l'ultimo motivo di gravame il Comune addebita al Tribunale la violazione dell'art. 112 c.p.c. per avere emesso una pronuncia di condanna generica. 9.1. Il motivo è palesemente infondato atteso che lo stesso appellante deve riconoscere che la domanda formulata era di condanna generica, valendo per il resto quanto già esposto al 5. 10. Le spese del grado seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 147 del 2022 10.1. In considerazione del tipo di statuizione emessa deve darsi atto che sussistono le condizioni oggettive in capo all'appellante richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta l'appello; condanna l'appellante a rifondere all'appellata le spese di lite del grado, liquidate in Euro 3.473,00 oltre rimborso al 15%, iva e cpa, da distrarsi; in considerazione del tipo di statuizione emessa, si dà atto che sussistono le condizioni oggettive in capo all'appellante richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. Così deciso in Roma il 9 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE SECONDA CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Maria Caterina CHIULLI - Presidente dr. Carlo MADDALONI - Consigliere dr. Andrea Francesco PIROLA - Consigliere rel ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 899/2019 promossa in grado d'appello DA (...) (C.F. (...) ), elettivamente domiciliato in VIALE (...) 20129 MILANO presso lo studio dell'avv. RO.AM., che lo rappresenta e difende come da delega in atti APPELLANTE CONTRO (...) (C.F. (...) ), elettivamente domiciliato in VIA (...) 20122 MILANO presso lo studio dell'avv. MA.FA., che lo rappresenta e difende come da delega in atti APPELLANTE INCIDENTALE (...) (C.F. (...) ), elettivamente domiciliato in VIA (...), 34 20123 MILANO presso lo studio dell'avv. CH.AN., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all'avv. MA.CA. ((...)) VIA (...) 20123 MILANO; APPELLATA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. (...) domandava: a) la divisione dell'eredità della madre (...), deceduta in data 12.5.2007, devoluta per testamento in tre quote uguali alle tre figlie, secondo i criteri indicati dal testatore ai sensi dell'art. 733 c.c., previa collazione delle donazioni dirette e indirette con conseguente condanna di (...) a corrisponderle la somma occorrente per il soddisfacimento della propria quota ereditaria di un terzo; b) in via strettamente subordinata, la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni lesive della quota di legittima con attribuzione della quota di metà dell'immobile sito in (...) e la condanna di (...) al pagamento di quanto occorrente per la reintegra della stessa; c) nei confronti di (...), l'emissione dell'ordine di rendiconto dei conti correnti bancari e dei depositi titoli cointestati con la madre esistenti presso (...) e il (...), sin dall'origine della cointestazione, con condanna a corrisponderle un terzo delle somme spettanti alla de cuius dalla stessa utilizzate. In sede di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado, (...) chiedeva dichiararsi la nullità per difetto di atto pubblico -ai sensi della sentenza Corte Cassazione Sez. Un. n. 18725 del 27.7.2017, che aveva qualificato come donazione diretta e non indiretta ogni trasferimento di denaro dal conto corrente di un soggetto a quello cointestato con un altro soggetto- delle operazioni bancarie dedotte in atto di citazione così connotate previamente indicate come donazioni dirette, e, conseguentemente, dichiarare (...) debitrice verso la massa dei suddetti importi di cui aveva beneficiato. (...) chiedeva, anch'essa, la divisione della comunione ereditaria in tre quote uguali, ai sensi dell'art.733 c.c. secondo i criteri contenuti nelle disposizioni testamentarie, previa collazione delle donazioni in favore delle sorelle e la condanna delle stesse, in via congiunta o alternativa, alla corresponsione di quanto necessario per reintegrare la quota di un terzo spettantele; in subordine, domandava la riduzione delle disposizioni testamentarie e/o delle donazioni lesive della propria quota di legittima; infine chiedeva che le sorelle rendessero il conto della gestione dei conti cointestati con la madre presso (...) -già (...) e (...)- e (...) -già (...)- e fossero condannate a corrisponderle un terzo delle somme che fossero state da loro utilizzate. (...) chiedeva il rigetto di tutte le domande diverse dalla divisione dei beni in comunione ereditaria da dividersi comunque in tre quote diseguali, in quanto la volontà della de cuius, desumibile dai testamenti, era quella di assegnare i beni indicati nelle stesse come quota del patrimonio ai sensi dell'art. 588, secondo comma, c.c., con conseguente attribuzione a (...) anche dell'intera quota disponibile del patrimonio con conseguente assegnazione alle sorelle della sola quota di legittima. 2. Il Tribunale di Milano con sentenza n. 9299/18 pubblicata il 24.9.2018, rigettava le domande, in quanto riteneva: a) inammissibile, in quanto tardiva e priva di interesse ad agire, la domanda di nullità per difetto di atto pubblico delle attribuzioni patrimoniali in favore di (...); b) integrata la fattispecie di cui all'art. 734 c.c. -divisione del testatore- e, conseguentemente, riteneva: i) infondata la domanda di collazione, in quanto la divisione del testatore aveva impedito il sorgere della comunione ereditaria; ii) infondata la domanda di riduzione delle disposizioni lesive della quota di legittima - astrattamente inquadrabile nell'art. 735, secondo comma, c.c.-, in quanto generica, non avendo indicata (...) l'entità della lesione della propria quota di riserva; -iii) infondata la domanda di rendiconto di (...), stante l'assenza della comunione ereditaria e stante l'assenza di mandato ad amministrare il patrimonio ereditario conferito alla medesima da parte delle altri coeredi dopo l'apertura della successione, desumendosi, altresì, dall'assenza di contestazioni, che la de cuius avesse ratificato l'operato della figlia (...) nella gestione dei conti; iv) non proposta nei confronti di (...) una domanda di condanna alla restituzione di quanto prelevato oltre la metà spettantele dai conti cointestati. 3. (...) ha articolato tredici motivi di appello. 3.1 con il primo motivo censura la decisione del Tribunale che aveva ritenuto inammissibile la domanda di nullità per difetto di atto pubblico delle donazioni costituite dai trasferimenti di denaro dal conto della de cuius a quello della stessa cointestato con (...) e da questi al conto intestato solo alla medesima; 3.2 con il secondo motivo censura il rigetto della domanda di collazione sotto il profilo del vizio di ultrapetizione in cui è incorso il Tribunale nel ritenere la sussistenza della divisione del testatore ai sensi dell'art. 734 c.c. non prospettata da alcuna delle coeredi; 3.3 con il terzo motivo censura il rigetto della domanda di collazione sotto il profilo della ritenuta insussistenza di una comunione ereditaria, posto che dalla stessa denuncia di successione si evinceva la sussistenza di una comunione ereditaria parziale, quantomeno con riguardo alla liquidità ed ai titoli, che il tribunale aveva omesso di dividere, nonostante la richiesta di tutte le parti; 3.4 con il quarto motivo censura il rigetto della domanda di collazione sotto il profilo dell'erronea interpretazione della volontà della de cuius, che invece l'aveva espressamente voluta, in quanto nei testamenti aveva espressamente richiamato le donazioni fatte in vita alle figlie, unitamente all'espressa volontà di lasciare i propri beni alle stesse in parti uguali, con la sola espressa eccezione della quota di metà dell'appartamento sito in (...) donato a (...); 3.5 con il quinto motivo censura il rigetto della domanda di collazione in quanto la divisione in parti uguali espressamente voluta dalla de cuius è incompatibile con la divisione del testatore ai sensi dell'art. 734 c.c. che presuppone la divisione in parti differenti; 3.6 con il sesto motivo censura il rigetto della domanda di riduzione delle disposizioni lesive della quota di legittima, posto che l'appellante aveva indicato, sia la quota di spettanza lesa dalle disposizioni della de cuius, sia gli atti integranti donazione al fine di determinare la massa, sia gli atti su cui operare la riduzione per reintegrare la propria quota di riserva; 3.7 con il settimo motivo censura l'omessa divisione del patrimonio mobiliare in comunione ereditaria; 3.8 con l'ottavo motivo deduce l'omessa pronuncia del Tribunale in ordine alla domanda di restituzione degli importi prelevati da (...) sui conti cointestati con la madre oltre la quota di metà a lei spettante, laddove tale domanda era stata proposta sin dall'atto di citazione; 3.9 con il nono motivo deduce l'erroneo inquadramento della domanda di rendiconto nella fattispecie di cui all'art. 723 c.c., quando invece la stessa aveva per oggetto la gestione dei conti cointestati con la madre quando la stessa era ancora in vita, in relazione alla quale il primo giudice si era limitato ad affermare del tutto apoditticamente che (...) aveva ratificato l'operato della sorella (...), senza indicare alcun elemento concreto posto a base di tale conclusione; 3.10 con il decimo motivo censura l'erronea stima dei beni immobili operata dal ctu; 3.11 con l'undicesimo, il dodicesimo ed il tredicesimo motivo censura il diniego delle istanze istruttorie: ctu contabile; ordine di esibizione alle banche e prove orali dedotte. 4. (...) ha proposto appello incidentale deducendo quattro motivi. 4.1 con il primo motivo deduce l'insussistenza della ritenuta divisione del testatore, in quanto la volontà della de cuius era quella di indicare i beni che, ai sensi dell'art. 733 c.c., avrebbero dovuto integrare le quote paritarie dei coeredi, lasciando quindi sussistere una comunione ereditaria fra gli stessi; aderisce altresì all'eccezione di nullità delle donazioni dirette di somme di denaro in assenza di atto pubblico formulata da (...); in ordine alla domanda di collazione, dissente rispetto alle richieste di quest'ultima in merito: i) alla dispensa dalla collazione della quota di metà dell'appartamento sito a (...) in viale (...) G. trasferito a titolo gratuito a (...); ii) all'omissione dalla stessa dell'appartamento sito in (...) acquistato da (...) con denaro proveniente dalla madre e costituente quindi donazione indiretta; iii) alla collazione dei due immobili siti in (...) in via (...) acquistati dalla medesima non costituenti donazione indiretta, in difetto di indicazioni in tal senso dalle disposizioni testamentarie; 4.2 con il secondo motivo censura il rigetto della domanda di riduzione della lesione della quota di legittima; 4.3 con il terzo motivo censura il rigetto della domanda di rendiconto, difettando ogni ratifica della de cuius dell'operato di (...); 4.4 con il quarto motivo censura il rigetto delle istanze istruttorie: ctu estimativa dell'immobile in C.; prove orali dedotte; ctu contabile ed ordini di esibizione. 5. (...) chiedeva il rigetto dell'appello principale e dell'appello incidentale e, in ogni caso, ogni domanda diversa dalla sola divisione dei beni in comunione ereditaria con rigetto della domanda di collazione. 6. La Corte d'Appello con sentenza non definitiva n. 173/21 pubblicata il 20.1.2021, ha accertato che la volontà della de cuius era stata quella di "chiamare in parti uguali le tre figlie, sia con riguardo agli immobili che alla liquidità a sua disposizione, indicando singoli beni al solo fine di individuare il possibile contenuto delle quote paritarie da formarsi eventualmente secondo le sue indicazioni, ai sensi della previsione dell'art. 733 comma secondo c.c. -pag. 44-, "con necessità di disporre ladivisione della massa ereditaria della de cuius, diversamente da come ritenuto in sentenza, in partiuguali previa collazione di tutte le donazioni sia dirette che indirette da lei fatte in vita in favoredelle eredi -pag. 45-", e, conseguentemente ha così statuito: "DISPONE la divisione del compendio ereditario di (...) in tre parti uguali nella misura di un terzo ciascuna in favore delle eredi testamentarie (...), (...) e (...); DISPONE la rimessione della causa in trattazione come da separata ordinanza per la determinazione del compendio ereditario all'esito della collazione delle donazioni dirette e indirette nonché dei crediti accertandi". Inoltre, la Corte, in motivazione, ha: i) rigettato l'eccezione formulata da (...) di prescrizione del diritto alla collazione - pag.47-; ii) ritenuto che la quota di metà dell'immobile sito in (...) in viale (...) G., donato da (...) alla figlia (...), dovesse essere escluso dalla collazione, in quanto la de cuius ne aveva disposto a titolo di prelegato con dispensa dalla stessa -pag. 47-; iii) ritenuto il diritto di (...) e (...) di chiedere a (...) il rendiconto della gestione dei conti correnti e dei depositi titoli cointestati con la madre -rispettivamente nono e secondo motivo di appello; pag. 48-49-; iv) accertato che (...) -diversamente da quanto ritenuto dal tribunale- avesse chiesto "(capo g delle precisazioni delle conclusioni) la restituzione pro quota di quanto eventualmente movimentato in modo ingiustificato" -pag. 48-; -ottavo motivo di appello-. 7. La sentenza non definitiva della Corte veniva impugnata da (...) con ricorso per cassazione tuttora pendente. 8. La Corte, con separata ordinanza, accoglieva la richiesta di (...) e (...) e ordinava a (...) -anche quali aventi causa del (...) e del (...)-, tutta la documentazione bancaria relativa ai conti e ai depositi titoli cointestati a (...), nonché gli originali di quella depositata in copia da (...). (...), con lettera del 7.5.2021, rispondeva di non poter evadere la richiesta trattandosi di documentazione non più disponibile in quanto antecedente al decennio previsto per la tenuta delle scritture contabili. In ogni caso confermava il contenuto delle lettere del 10.7.2014 e del 17.12.2014 con le quali aveva espresso un giudizio di quasi integrale conformità della documentazione bancaria prodotta in copia da (...) nel presente giudizio. All'esito della suddetta comunicazione, (...) domandava il sequestro conservativo nei confronti di (...). Il sequestro veniva concesso con ordinanza in data 31.5.2021. All'udienza del 14.9.2021 il difensore di (...) formulava istanza di sospensione del processo in attesa dell'esito del ricorso in Cassazione proposto nei confronti della sentenza non definitiva. Con ordinanza in data 17.9.2021 veniva rigettata l'istanza di sospensione del giudizio e, al tempo stesso, veniva disposta una ctu contabile e una nuova ctu estimativa degli immobili. All'udienza del 4.10.2022, il difensore di (...) eccepiva la nullità della ctu estimativa degli immobili, chiedendo la convocazione del ctu a chiarimenti. Parimenti, il difensore di (...), in relazione alla ctu contabile, si riportava alle eccezioni formulate dal proprio consulente di parte e chiedeva la riconvocazione a chiarimenti del ctu. Precisate le conclusioni all'udienza del 18.10.2022, e scambiate le comparse conclusionali e le memorie di replica, su richiesta della difesa di (...), la causa veniva discussa oralmente all'udienza del 17.1.2023 e quindi assunta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. La sentenza non definitiva ha statuito, con disposizione in questa sede vincolante, che la successione di (...) è stata devoluta per testamento alle tre figlie in quote uguali con previsione di specifiche disposizioni, ai sensi dell'art. 733 c.c., per l'assegnazione dei beni immobili facenti parti del relictum. Quindi, oggetto del presente giudizio è la ricostruzione del patrimonio di (...) al momento dell'apertura della successione comprensivo sia del relictum che del donatum, ai fini della divisione in tre parti uguali. Oggetto del presente giudizio sono anche le ulteriori domande di: i) restituzione da parte di (...) di quanto indebitamente prelevato dai conti correnti cointestati -avendo la Corte, con sentenza parziale, accertato che la domanda era stata proposta e con ciò censurando la ragione del rigetto della stessa da parte del tribunale-; ii) rendiconto relativa alla gestione degli stessi -avendo affermato la Corte con la sentenza parziale la sussistenza del diritto a richiederlo-; iii) la domanda subordinata di riduzione degli atti lesivi della quota di legittima non esaminata nella sentenza parziale. 2. Occorre, in primo luogo, procedere alla ricostruzione della massa da dividere. 3. Il relictum. Lo stesso, è costituito dai seguenti beni immobili oggetto di disposizioni testamentarie. In relazione agli stessi si indicano i valori di stima all'apertura della successione in data 12.5.2007-il primo importo- e quello all'attualità -il secondo- come determinati dalla ctu del geom. V. disposta nel presente grado di giudizio-. Infatti, per le ragioni che si esporranno, vengono disattese le censure rivolte alla stessa dalla difesa di (...). Gli immobili caduti in successione sono i seguenti: 1) quota intera di un sottotetto in Milano, via Pasquale Sottocorno 27 censito al catasto urbano al fg. (...); part. (...); sub. (...): valore all'apertura della successione Euro 13.000; all'attualità Euro 13.000; 2) quota di 3/9 di un terreno in (...) in via P. della superficie complessiva censito al catasto terreni b.1 fg (...); part. (...): valore all'apertura della successione Euro 21.320; all'attualità Euro 31.980; 3) quota intera di un villino in L. via (...) n. 8 censito catasto urbano al fg (...); part. (...) sub (...) e sub (...): valore all'apertura della successione Euro 186.000; all'attualità Euro 170.500; 4) quota di 1/2 di un appartamento in villa sito a Rapallo n 4 alla via Aurelia Ponente censito al catasto fabbricati al fg. (...); part.(...); sub. (...): valore all'apertura della successione Euro 299.250; all'attualità Euro 256.500; In relazione alla stima dei suddetti immobili, la difesa di (...) ha formulato le specifiche contestazioni che si riportano. Le stesse riprendono quelle già formulate in sede di perizia dal proprio ct di parte, a cui aveva già risposto il ctu in modo esaustivo e convincente. Le medesime, quindi, si reputano infondate per le ragioni partitamente esposte. In relazione all'immobile sub (...)) -sottotetto in (...) via S.-. Osserva la difesa di (...) che il ctu indica la superficie in 13 mq desumendola dalla precedente ctu, mentre la scheda catastale riporta una superficie di 8 mq. Inoltre, risulta anche una difformità del criterio utilizzato per determinarne la superficie, in quanto per tutti gli altri immobili è stato usato il dato catastale. Infine, risulta poco comprensibile l'attribuzione di un valore di 1.000 Euro al mq nel 2007 per un immobile posto al quarto piano nel sottotetto, a fronte dell'attribuzione di un valore di 2.600 Euro al mq ai due immobili ubicati in via (...) in zona adiacente. In proposito, il ctu osservava che le superfici dei singoli lotti erano state concordate con i ctp. Inoltre, precisava - anche per quanto concerne le censure in ordine ai criteri di stima utilizzati- che tutti i beni con riferimento ai due periodi "hanno un valore che ipotizza la immediata commerciabilità degli stessi senza vincoli di natura amministrativa e urbanistica tenendo conto della sola oggettiva realtà edilizia ed applicando a tutti lo stesso metodo di valutazione" -pag.3-. Infine, il valore di 1000 Euro al mq era giustificato dalla appetibilità commerciale del solaio vista la rilevante necessità di spazi per il deposito di merci e suppellettili nei centri urbani. Giustificazione che pare congrua ed aderente alla carenza di spazi proprio di una metropoli. Inoltre, gli immobili di via (...) erano di una diversa tipologia. In ogni caso, si deve osservare che il ctu ha parzialmente accolto le osservazioni del ct di parte modificando i valori contenuti nella bozza. In relazione all'immobile sub 2) quota di 3/9 del terreno in (...) via P.. La difesa di (...) osserva che non si evince se sullo stesso vi siano vincoli edificatori o di altro tipo e, comunque, la rettifica parziale del valore di stima è stata operata dal ctu sulla base della destinazione di una parte del terreno a parcheggio che risulta una situazione di fatto ma non di diritto. In proposito, si osserva che il ctu ha rettificato la sola stima al 2007 recependo parzialmente le osservazioni del ctp e parametrandola -proprio come indicato da quest'ultimo- a quella prevista per le aree inedificabili destinate a parcheggio pubblico. Ciò, proprio in ragione del fatto che parte del sedime è destinato a parcheggio. I., il ctu non rettificava il valore di stima attuale proprio per il fatto che -come affermato dallo stesso ctp- il terreno si è rivalutato per l'allentamento dei vincoli di inedificabilità previsti con il nuovo PGT. In relazione alla quota di 1/2 dell'immobile in (...). La difesa di (...) rilevava che le osservazioni del proprio ctp erano state solo parzialmente accolte in ragione delle carenze impiantistiche dell'immobile che, tuttavia, non erano specificate. Inoltre, i valori di stima erano stati determinati senza possibilità di verificarne la congruità con un listino di riferimento. Al contrario, il ctu spiegava di non aver ritenuto di aderire totalmente alla stima proposta dal ctp per le condizioni intrinseche dell'immobile, non limitate alle sole carenze impiantistiche, ma anche all'impossibilità di sosta e parcheggio davanti allo stesso, alla sua difficoltosa raggiungibilità solo attraverso ripide scale e per il deprezzamento derivante dal fatto che si trattava solo della quota di metà dell'immobile. Peraltro, risulta dalla ctu che l'immobile veniva descritto in condizioni di conservazione e di manutenzione mediocri. I beni mobili costituenti parte del relictum sono i seguenti: i) i titoli, quote di fondi di investimento, esistenti sul deposito titoli cointestato (...) de cuius- e (...) collegato al conto corrente parimenti cointestato ad entrambe n.5270612 acceso 1.1.2001 presso (...) filiale (...) centro -doc.6 (...)-; ii) il denaro giacente sul conto corrente cointestato di cui sopra; iii) il denaro giacente sul conto corrente cointestato a (...) e (...) presso il (...); iv)il denaro esistente sul conto cointestato ad entrambe presso la filiale (...) di (...). L'importo dichiarato nella denuncia di successione pari alla metà era di Euro 260.923,59. Lo stesso deve computato nella misura dell'intero pari a Euro 521.847,18, in quanto come si esporrà nel paragrafo successivo entrambi i conti correnti cointestati -e i relativi depositi titoli ad essi collegati-sono stati alimentati esclusivamente con denaro della de cuius proveniente dall'eredità del marito. Il debitum Non risultano debiti ereditari. 4. Il donatum e i crediti verso la massa Innanzitutto, si osserva che mediante l'ordine di esibizione emesso dalla Corte non è stato possibile acquisire ulteriore documentazione bancaria rispetto a quella prodotta da (...). Quindi la ctu ha esaminato i documenti bancari prodotti dalla medesima. Essi sono: -) elenco movimenti del conto corrente cointestato a (...) e (...) n. (...), acceso presso il (...) -poi (...) - dal 2.12.1996 al 2.2.2001 -data di estinzione- - doc.5-; -) elenco movimenti/estratti conto del conto cointestato ad entrambe n. 5270612, presso la stessa agenzia, su cui è stato girato il saldo del conto di cui sopra dalla data di apertura 12.1.2001 fino al 30.11.2007 -data successiva al decesso del de cuius avvenuto il 12.5.2007-doc.6 e 6 bis-; -) elenco saldi e movimenti dei sotto depositi titoli nn. (...) (cointestato a (...) e (...)), (...) (intestato a (...)) e (...) (intestato a (...)), per il periodo da settembre 1997 a dicembre 2001 -doc.7-; -) elenco saldi e movimenti del deposito titoli n. (...) presso il (...) intestato in via congiunta a (...) e (...), per il periodo dal 17 dicembre 1997 al 31 ottobre 2002 -doc.16- -) elenco movimenti del conto corrente n. (...)presso (...), filiale di (...) V.le R.G. n.6, intestato in via congiunta a (...) e (...), relativo al periodo dal 1 gennaio 1998 al 31 gennaio 2002 -doc.17- -) al tabulato riassuntivo delle uscite mediante assegni, bancomat, carta sì e prelevamenti dal conto corrente di cui sopra per il periodo 12.1.1998-21.9.2007 -doc. 17 bis- (...) contestava la predetta ctu, in ordine ai seguenti profili. i) In primo luogo, la stessa sarebbe priva di valore probatorio, in quanto fondata unicamente su documenti ripetutamente contestati dalla difesa di (...) ai sensi degli artt. 2704 c.c., 2712 c.c. e 2719 c.c. e quindi, a loro volta, privi di valore probatorio in quanto non idonei a rappresentare la corrispondenza fra i movimenti bancari riportati dagli stessi e quelli registrati nella contabilità delle banche che avrebbero potuto essere accertati solo con un accesso diretto del ctu alla banca (...) -incorporante del (...) e del (...)- oppure, in alternativa, tramite i documenti originali richiesti con l'ordine di esibizione, ma mai trasmessi. Né, in proposito, assumerebbe valenza probatoria la lettera del 7.5.2021 di (...), in risposta all'ordine di esibizione, in quanto generica. In proposito, si osserva quanto segue. La lettera del 7.5.2021 di (...) non è generica. Infatti, con specifico riguardo ai documenti indicati nella lettera d) dell'ordine di esibizione che corrispondevano a quelli prodotti da (...) di cui si chiedeva la produzione degli originali, la banca rispondeva di non esserne più in possesso in quanto trascorso il periodo di tempo di dieci anni in cui viene conservata la documentazione contabile. In ogni caso, con la medesima lettera, confermava il contenuto della lettera del 17.5.2014 -doc.15 L.R.-. In quella lettera (...) confermava di aver consegnato a (...): i) in relazione al c/c n.(...) ora n. (...) intestato a (...) e (...), l'elenco movimenti dal 1997 all'anno 2000 e copia degli estratti conto dal 1.1.2001 al 31.12.2007; ii) in relazione al deposito titoli (...) poi (...) ora (...) intestato a (...) e (...) l'elenco movimenti dal 1.9.1997 al 30.6.2002 e copia degli estratti conto dal 1.7.2002 al 31.12.2007; in relazione al co/c n.(...) il duplicato dell' estratto conto dei mesi di novembre e dicembre 2005. Inoltre, dichiarava la conformità della suddetta documentazione. Quindi, tutta la documentazione bancaria prodotta da (...) è conforme all'originale. Conseguentemente, ha lo stesso valore probatorio degli originali. Ciò supera le contestazioni ai sensi degli artt. 2712 e 2719 c.c. -peraltro assolutamente generiche e già di per sé inidonee a inficiare la validità probatoria dei documenti prodotti-. Infine, la contestazione proposta ai sensi dell'art. 2704 c.c. è inconferente posto che (...) è parte del rapporto e non è terza rispetto ad esso. ii) Sotto un secondo profilo, sarebbero inammissibili i documenti prodotti sub A, B, C, D, E, F, G, H (-da H1 a H4- dal ctp di (...) nel corso della ctu con la memoria del 20.12.2021, in quanto prodotti dopo la scadenza dei termini preclusivi di cui all'art. 183 c.p.c.; La doglianza è infondata. I documenti prodotti dal ctp di (...) sub A, B, C, D, E, F, G, H con la memoria del 2012.2021, contengono solo l'inserimento, nello schema richiesto dal ctu, dei dati risultanti dai documenti bancari prodotti tempestivamente dalla medesima parte. Il ctu, infatti, dà atto di averne verificato la corrispondenza con i documenti bancari prodotti e di averne vagliato criticamente il contenuto come si evince dall'analitica e puntuale ricostruzione di ogni singola operazione. In proposito si riporta testualmente quanto affermato dal ctu: "Per quanto invece concerne i fogli (...) allegati alla memoria del 20.12.2021 del CTP dott. (...) e contestati dalla CTP sig.ra (...), lo scrivente CTU precisa che in sede di prima riunione di inizio delle operazioni peritali era stato convenuto con i CCTTPP "che le parti trasmettano al CTU, (...), entro il giorno 20 dicembre 2021, una memoria di parte con le determinazioni, mediante foglio elettronico E., di quanto richiesto nel quesito, ed entro il giorno 17 gennaio 2022, per una breve memoria di replica". I prospetti così compilati dalle parti (per parte (...), come allegati alla memoria di replica del 17.01.2022), sono in seguito stati oggetto di accertamento e verifica da parte del CTU con riferimento alla conformità ai documenti di causa da cui sono stati tratti"-pag.41 ctu iii) Ulteriormente, secondo (...), sarebbe mancata l'acquisizione della documentazione relativa alle operazioni di vendita e riacquisto di titoli al fine di calcolare il saldo esistente sui conti correnti all'esito delle stesse, al fine delle successive operazioni di reinvestimento. La doglianza è in sé generica, in quanto la ctp di (...) non ha evidenziato alcuna lacuna specifica nei calcoli operati dal ctu sulla base delle operazioni risultanti dalla documentazione bancaria agli atti. Infatti, la stessa si è limitata contestare tutte le operazioni riportate dal ctu con la medesima frase "si contesta perché documento non rinvenuto" -contestazione ai fogli excel allegati alle osservazioni del ctp (...) in data 17.1.2022-. Il ctu, se avesse rilevato l'impossibilità di ricostruire le operazioni compiute in funzione della risposta al quesito lo avrebbe evidenziato. Il ctu così replicava a tale osservazione: "Il CTU ritiene pertanto che gli importi esposti a pag. 36 della bozza di consulenza, così come quelli indicati a pag. 43 della presente consulenza tecnica, riflettano le movimentazioni risultanti dai documenti n. 5, 6, 7, 16 e 17 in atti, come dettagliatamente richiamati nel quesito posto allo scrivente" -pag. 41.. Peraltro, solo (...), in quanto cointestataria del rapporto e come tale destinataria delle comunicazioni della banca relative ai conti cointestate -anche in ragione del fatto che conviveva con la madre cointestataria- avrebbe potuto produrre la documentazione che non è stato possibile acquisire. iv) (...) afferma inoltre che non è stata provato che la provvista dei conti cointestati a (...) e (...) aperti presso il (...) e il (...) -poi Unicredit-provenisse esclusivamente dall'eredità paterna di (...) -marito della de cuius-, in quanto risultano provate solo le rimesse provenienti dalla medesima (...). In proposito il ctu afferma: "Con riguardo alla provenienza delle provviste, dall'esame della documentazione in atti non sono emersi elementi di segno contrario rispetto alla sostanziale provenienza dall'eredità dell'Arch. (...). Infatti, dalla documentazione prodotta in allegato alla propria memoria ex 183, co. 6, n. 2, c.p.c. (doc.63-70), a sua volta allegata alla memoria di replica alla conclusionale, la parte (...) ha prodotto unicamente buste paga e dichiarazioni fiscali che non possono giustificare la provvista iniziale" -pag.42-. Le conclusioni del ctu sono condivisibili in quanto supportate dalle seguenti presunzioni, plurime, gravi precise e concordanti. a) Risulta dal documento sub lett. D) prodotto da (...) -solo genericamente contestato e la cui contestazione è superata dai precisi riscontri estrinseci in ordine alla genuinità dello stesso che si espongono qui di seguito- che (...), marito di (...), aveva un conto corrente e un deposito titoli presso la filiale di piazza (...) B. di (...) del (...) in prossimità dell'ubicazione del proprio studio professionale. L'agenzia è la stessa -ora (...) - presso cui era acceso il conto corrente cointestato a (...) e (...) n.(...) ora n. (...) a cui era collegato il conto titoli (...), suddiviso nei tre sottoconti -doc. 5,6,7- esaminati dal ctu. Il documento D) è un promemoria relativo ai conti correnti bancari di (...) redatto dopo la sua morte da (...), marito di (...). Nello stesso si fa espresso riferimento al fatto che il saldo finale del conto corrente sarà trasferito su un nuovo conto corrente che sarebbe stato aperto nel mese di settembre -la morte di (...) era avvenuta nel mese di agosto- su un nuovo conto intestato a Olga. Così anche il denaro ricavato dai titoli esteri presenti nel deposito titoli collegato. b) In uno dei testamenti di (...) è contenuto un preciso riferimento a questo conto. Infatti, nel testamento in data 19.6.2002 la de cuius scriveva: "Mio capitale di (...) da dividere". Ciò è un preciso riferimento proveniente dalla stessa de cuius in ordine alla sua proprietà esclusiva della provvista del conto corrente poi risultato cointestato con la figlia (...) acceso presso la medesima agenzia. La stessa infatti faceva riferimento alla totalità del capitale. c) Congruente con questa conclusione è anche il fatto che (...) aveva nominato la moglie erede universale con un testamento -doc. A)- mai pubblicato, in quanto, con il consenso delle figlie a cui erano stati donati -nella misura di dieci appartamenti ciascuna- l'immobile di via (...), il suo intero patrimonio mobiliare era stato trasferito su conti a lei intestati. d) (...) era priva di redditi propri, non avendo mai svolto attività lavorativa. e) (...) aveva affermato -memoria art. 183 n.2 pag. 22-25- di aver alimentato il conto con i propri redditi da lavoro dipendente e da pensione documentati tramite i documenti dal n. 55 al n. 106 prodotti dalla stessa. Il reddito da lavoro dipendente di (...) -giornalista dipendente del gruppo RCS-, come rilevato dal ctu, non era tale da giustificare la provvista iniziale. Infatti, la stessa sulla base della documentazione prodotta, nel 1989 percepiva uno stipendio netto annuo di Lire 50.000.000 -doc.60-, mentre nel 1994, in prossimità della pensione, uno stipendio netto annuo di circa Lire 60.000.000 - doc.89-. Inoltre, per il periodo in cui è stata prodotta la documentazione dei conti cointestati i redditi personali di (...) non sono mai stati accreditati sugli stessi -né su quelli accesi presso il (...), né su quello aperto presso il (...)-. Le uniche eccezioni sono costituite dall'accredito di Lire 63.057.136 in data 7.10.98 del fondo integrativo della pensione dell'Inps sul conto cointestato presso il (...) - doc. 81 e 82- e un ulteriore modesto accredito di Euro 171 erogato dall'Inps nel gennaio 2006 sempre accreditato sul conto cointestato presso il (...) -doc.92 (...)-. Infatti, in relazione al conto cointestato aperto in origine presso il (...) -successivamente (...) - è disponibile ed è stata esaminata dal ctu tutta la documentazione dal 1996 fino al decesso di (...). Il conto da quel momento risulta alimentato solo dal sottodeposito titoli collegato n. 2 intestato solo a (...) che nel 1999 aveva una giacenza di oltre 2,6 miliardi di Lire e dal sottodeposito n. 0 cointestato che aveva una giacenza di oltre 500 milioni di Lire. Inoltre, (...) ha prodotto il contratto di apertura del conto corrente cointestato con la madre n. (...) -estinto poi nel gennaio 2001 con successiva apertura di quello cointestato n. (...) poi rimasto acceso fino alla morte della de cuius-. Il contratto era stato aperto in data 3.2.1978 -doc. 54-. Su quel conto cointestato (...) ha prodotto la prova di un unico accredito a lei imputabile: quello di Lire 47.852 in data 21.4.1978 proveniente dall'estinzione del suo conto personale n.(...) - doc.53- che aveva aperto in data 24.8.1967. Inoltre, (...), pur essendo destinataria delle comunicazioni della banca relative ai conti cointestati -avendo anche sempre convissuto con la madre-, non ha mai prodotto alcuna documentazione relativa a tali conti, se non il pur risalente contratto di apertura del primo dei due conti presso il (...). Peraltro, (...) ha ulteriormente dimostrato di essere in possesso di documentazione bancaria molto risalente nel tempo. Si fa riferimento ai doc. da 2 a 39 relativi ad un conto corrente cointestato a (...) e (...) presso la (...) dall'anno 1983 fino al 1994, nonché documentazione bancaria di un conto intestato a (...). Quindi, è lecito presumere che (...) fosse in possesso della documentazione bancaria mancante relativa ai conti cointestati oggetto di causa che avrebbe potuto -ma anche dovuto-produrre per il principio della vicinanza della prova al fine di dimostrare che la provvista di tali conti sia stata alimentata anche almeno in parte con proprio denaro. Conclusivamente si ritiene provato, in ragione delle plurime, gravi e concordanti presunzioni soprariportate che la provvista di entrambi i conti cointestati alla de cuius e a (...) fossero stata costituita con il denaro dell'eredità di (...). Peraltro, per quanto concerne le donazioni indirette non vi sono limiti di applicazione della prova presuntiva -ex plurimis Cass. n. 19400 del 18/07/2019 La donazione indiretta è un contratto con causa onerosa, posto in essere per raggiungere una finalità ulteriore e diversa consistente nell'arricchimento, per mero spirito di liberalità, del contraente che riceve la prestazione di maggior valore; differisce dal negozio simulato in cui il contratto apparente non corrisponde alla volontà delle parti, che intendono, invece, stipulare un contratto gratuito. Ne consegue che ad essa non si applicano i limiti alla prova testimoniale - in materia di contratti e simulazione - che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato allo scopo. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la sentenza gravata che aveva ritenuto l'esistenza di donazioni indirette sulla base di prove presuntive). v) Infine, secondo la difesa di (...), non è provato che la stessa abbia compiuto tutte le operazione documentate sui conti cointestati, ad eccezione dell'emissione dei 12 assegni prodotti a firma (...), essendo infondato e comunque non provato quanto affermato dal ctp di (...) a pag. 10 della memoria del 20.12.2021, secondo cui l'istituto bancario avrebbe comunicato ai legali della stessa che, nel periodo dal 1997 al suo decesso, le uniche operazioni compiute (...) sui conti correnti e sui depositi titoli sarebbero state l'emissione dei 13 assegni prodotti. In proposito si osserva che il contenuto della lettera di (...) del 3.5.2012 -doc. 15 (...)- è univoco: alla richiesta di trasmettere la documentazione relativa ai rapporti cointestati della madre deceduta, la banca trasmette esclusivamente solo la copia dei 12 assegni emessi da (...) sul conto cointestato in origine presso il (...), aggiungendo "Le ricordiamo altresì che le operazioni riferibili alla cointestataria del rapporto sig.ra (...) non possono essere da noi fornite", evincendosi quindi che tutte le altre operazioni erano riferibili a quest'ultima. Peraltro, tale conclusione è congruente con il numero e la tipologia delle operazioni compiute in modo continuativo per somme ingenti, non compatibili con il fatto che sono state poste in essere da una persona che aveva un'età compresa fra i 94 e i 104 anni. Infatti, lo stesso ctu giunge alle medesime conclusioni come evidenziato a pag. 37 della ctu. Inoltre, la sentenza non definitiva che si richiama sul punto -pagg. 48-49- aveva già escluso che potesse ravvisarsi una ratifica implicita di (...) delle operazioni compiute dalla figlia (...). Le stesse, infine, per entità, reiterazione, tipologia, devono ritenersi poste in essere nell'interesse della medesima. Inoltre, (...), pur avendo la disponibilità della documentazione bancaria, non ha prodotto alcun elemento diretto a superare tale presunzione, così ulteriormente avvalorando la conclusione di cui sopra. Donazioni indirette in favore di (...) e debiti della stessa in favore del defunto. Quindi, in ragione del fatto che risulta provato che la provvista dei conti cointestati alla de cuius e a (...) provenga esclusivamente dall'eredità di (...) in favore di (...) e, quindi, di proprietà esclusiva di quest'ultima, si devono ritenere donazioni indirette in favore di (...): 1) metà del denaro presente sul conto corrente cointestato del (...) al l2.12.1996; l'importo dei titoli presenti nel 1997 nel sottodeposito 3 intestato a (...); metà dell'importo dei titoli presenti nel sottodeposito 0 cointestato ad entrambe risultante al momento iniziale della documentazione attinente al deposito titoli collegato a siffatto conto cointestato; 2) i trasferimenti del denaro provento della vendita di titoli del sottodeposito 2 intestato solo alla de cuius a conti di (...) o i giroconti di titoli da deposito 2 a depositi di conti riconducibili a (...) -operazioni specificamente indicate nell'atto di citazione, qualificate in origine alternativamente come donazioni indirette se sussistente lo spirito di liberalità ovvero operazioni indebite realizzate da (...) con le conseguenti domande alternative di collazione o di restituzione dell'indebito alla massa-. In relazione alle suddette operazioni sub (...)) e sub (...)), in sede di pc di primo grado, la difesa di (...), sulla base della sentenza Cass. Sez Un. n. 18725 del 27.7.2017, che aveva qualificato tali operazioni come donazioni dirette, ne ha eccepito la nullità per difetto di forma pubblica. Il tribunale ha ritenuto inammissibile l'eccezione perché tardiva in difetto dell'allegazione delle donazioni ed in difetto di interesse ad ottenere una pronuncia in via autonoma della nullità. Ciò costituisce oggetto del primo motivo appello di (...), a cui aderisce anche (...) nel primo motivo. Entrambi non sono stati esaminati dalla sentenza non definitiva. In proposito, si reputa che la domanda sia ammissibile perché concerneva gli atti dispositivi puntualmente indicati nell'atto di citazione e ivi qualificati, alternativamente, quali donazioni indirette ovvero operazioni indebite. Quindi, i fatti costitutivi della pretesa erano stati dedotti. Oggetto della domanda formulata in sede di p.c. di primo grado era la sola qualificazione delle stesse. Inoltre, trattandosi di una nullità rilevabile anche d'ufficio, era rilevabile in ogni stato e grado del procedimento. Infine, sussisteva anche l'interesse a rilevarla, anche solo per il fatto che si ampliava l'alternativa e quindi la possibilità di ottenere il computo degli importi di tali operazioni ai fini della divisione, in quanto da ritenersi mai usciti dalla massa ereditaria e quindi crediti di (...) nei confronti della stessa ovvero da collazionare come donazioni indirette. Nel merito, a giudizio del Collegio, le operazioni sub 1) sono da qualificarsi come donazioni indirette. Ciò per la seguente ragione. La sentenza Cass. Sez. Un n.18725 del 27.7.2017 fa specifico riferimento ad un caso di giroconto di titoli. Tuttavia, in motivazione la Corte di legittimità specifica che invece la cointestazione del conto alimentato con i soldi solo di una parte costituisce donazione indiretta: "Né la fattispecie che qui viene in considerazione è assimilabile alla cointestazione del deposito bancario, suscettibile di integrare gli estremi di una donazione indiretta in favore del cointestatario con la messa a disposizione, senza obblighi di restituzione o di rendiconto, di somme di denaro in modo non corrispondente ai versamenti effettuati. Solo nella cointestazione, infatti, si realizza una deviazione in favore del terzo degli effetti attributivi del contratto bancario; laddove nel caso che ci occupa il contratto di deposito titoli in amministrazione conserva integra la causa sua propria, senza alcuna implementazione liberale, collocandosi l'ordine di bonifico dato alla banca dal beneficiante nella fase di esecuzione del contratto bancario di riferimento". Nel caso specifico, gli importi sub (...)) sono costituiti dal denaro giacente sul conto corrente cointestato presso il (...) nel 1997, dai titoli sul sottodeposito 3 intestato a (...) e dalla metà dei titoli sul sottodeposito 0 cointestato, che in applicazione del suddetto principio sono donazioni indirette. Lo spirito di liberalità si desume dall'assenza di altro scopo dell'operazione, se non quello di arricchire la figlia cointestataria del conto corrente o del deposito titoli. Inoltre, in relazione alle stesse, non può affermarsi che non siano state poste in essere dalla de cuius come le successive operazioni sub (...)). Infatti, la risposta della banca con la lettera del 3.5.2012 che implicitamente attribuisce a (...) il compimento di tutte le operazioni sui conti cointestati ad eccezione dell'emissione dei 12 assegni prodotti in copia, concerne il solo periodo temporale in cui sono state compiute le suddette operazioni sub (...)) e quelle sub (...)) di cui si dirà a breve. Quindi, a giudizio del Collegio, le operazioni sub (...)) devono ritenersi poste in essere da (...) e quindi costituiscono indebiti prelievi di beni del de cuius e, conseguentemente, debiti di (...) nei confronti del defunto che la stessa deve imputare alla sua quota ai sensi dell'art. 724, secondo comma, c.c. In ogni caso, anche se si ritenesse che tali atti dispositivi fossero stati compiuti dalla de cuius essi, a giudizio del Collegio, sarebbero da qualificarsi come donazioni indirette. Infatti, si tratta di operazioni compiute sul sottodeposito titoli 2) intestato solo alla de cuius che non consistono -tranne una di cui si dirà poco oltre- operazioni di giroconto titoli sul conto cointestato o su un conto di (...), ma operazioni di vendita dei titoli con accredito del denaro sul conto cointestato o reimpiego delle somme per altro scopo in favore di (...). L'unico trasferimento diretto di titoli è l'operazione del 17.10.1998 ma il titolo proviene dal sottodeposito 0 cointestato. Anche, in tal caso -qualora si volesse ritenere che tali operazioni fossero state poste in essere dalla de cuius- la reiterazione delle operazioni tutte destinate ad arricchire la figlia (...) provano che le stesse erano volute esclusivamente per spirito di liberalità nei confronti della figlia che se ne è avvantaggiata. Gli importi di cui ai punti 1) e 2) sono stati quantificati dal ctu in complessivi Euro 1.127.168,40. Gli stessi devono comunque essere imputati alla quota di (...) o come debiti della stessa nei confronti della de cuius, ai sensi dell'art. 724, secondo comma c.c., ovvero a titolo di collazione come donazioni indirette. 3) Gli importi indebitamente prelevati da (...) dai conti cointestati (...) e (...), mediante bancomat, assegni, contanti, bonifici. Per le ragioni già esposte si reputa che siano atti dispositivi compiuti dalla stessa. Sull'assenza di ratifica da parte della de cuius, si è già pronunciata la sentenza non definitiva. Quindi anche tali importi devono essere imputati alla quota di (...) come debiti verso il defunto ai sensi dell'art.724, secondo comma, c.c. L'importo complessivo è stato quantificato dal ctu in Euro 1.479.816,57 di cui Euro 895.376,19 relativamente ai conti presso il (...) ed in Euro 584.440,38 relativamente al conto presso il (...). 4) L'importo della polizza vita di Euro 134.279,00 stipulata dalla de cuius in favore di (...) dapprima per l'importo di Euro 77.468,53 e poi incrementata di Euro 56.810,26 per un totale di Euro 134.279,00 - vedi infra punto A) donazioni in favore di (...) -. L'immobile di (...) è stato acquistato da (...) stipulando un mutuo le cui rate sono state pagate con il denaro proveniente dalla vendita di titoli -specificamente indicati nella ctu- del sottodeposito intestato alla de cuius. Lo stesso è stato quindi acquistato con il denaro mutuato dalla banca. L'atto che ha arricchito (...) è consistito nel mancato pagamento con denaro proprio delle rate del mutuo -e dell'importo per l'estinzione anticipata dello stesso-. Conseguentemente, non deve essere imputato alla propria quota l'immobile, bensì il denaro utilizzato per pagare le rate del mutuo - Cass. n. 7507 del 30/03/2006 Poichè con la donazione indiretta le parti realizzano l'intento di liberalità utilizzando uno schema negoziale avente causa diversa, configura piuttosto una donazione diretta l'accollo interno con cui l'accollante,allo scopo di arricchire la figlia con proprio impoverimento, si sia impegnato nei confronti di quest'ultima a pagare all'Istituto di credito le rate del mutuo bancario dalla medesima contratto,atteso che la liberalità non è un effetto indiretto ma la causa dell'accollo, sicchè l'atto - non rivestendo i requisiti di forma prescritti dall'art. 782 cod. civ.- deve ritenersi inidoneo a produrre effetti diversi dalla "soluti retentio"di cui all'art. 2034 cod. civ.-. Tale importo è già stato computato dal ctu nell'importo complessivo sub (...)). Infine, deve essere esclusa dalla collazione la quota di 1/2 dell'immobile di (...), in quanto, come accertato dalla sentenza non definitiva, donato dalla de cuius a (...) con dispensa dalla collazione. Donazioni indirette in favore di (...) Devono ritenersi donazioni indirette in favore di (...): A) La polizza vita stipulata con denaro della de cuius. (...) ammette di dover conferire in collazione l'importo corrisposto dalla madre per l'acquisto della polizza vita a lei intestato pari a Euro 77.468,53. Tuttavia, questo era l'importo all'atto della sottoscrizione in data 30.4.1998. Successivamente, la polizza è stata incrementata in data 9.12.1999 di Euro 56.810,26 per un totale di Euro 134.279,00 -importo riscontrato anche dal ctu a pag. 36 ma non conteggiato perché non compreso nel quesito-. B) L'importo n. 4 assegni intestati a (...) 21.000 Euro. C) Gli immobili siti in (...) via S.. In particolare, la quota intera di un appartamento in (...) via (...) n. (...) Fg (...) Mapp. (...) sub (...) valore all'apertura della successione Euro 140.400; valore all'attualità Euro 172.800; la quota intera di un appartamento in (...) via (...) n. 2 sub (...) valore all'apertura della successione Euro 127.400; all'attualità Euro 156.800. Si premette che anche la stima degli stessi è stata oggetto di contestazioni da parte della difesa di (...) che, in proposito, ha riproposto le osservazioni già formulate dal proprio ctp. In particolare, la stessa lamenta l'omessa considerazione, come criterio comparativo, delle vendite di immobili analoghi registrate presso l'agenzia delle entrate nel secondo semestre 2021. In proposito, il ctu, con risposta da reputarsi convincente in quanto congrua e puntuale, affermava di avere tenuto in considerazione le produzioni del ctp in merito ai valori di mercato degli immobili nella zona, ma evidenziava che gli immobili presi a riferimento dal ctp era situati in una microzona con una posizione più favorevole a quella di via (...) e le condizioni di manutenzione degli edifici erano modeste e le finiture vetuste e poco curate. (...) afferma di averli acquistati con il denaro proveniente dagli affitti degli appartamenti di via P. donati dal padre quando la madre era ancora in vita. A sostegno della sua tesi, afferma che: -) non vi è una correlata dazione di denaro a questo scopo: infatti, in proposito, negli atti di acquisto degli appartamenti l'acquirente era (...) e il contratto preliminare di uno dei due immobili era sottoscritto da (...) "in nome e per conto di (...)"; -) la tesi di (...) secondo cui il denaro provento degli affitti degli appartamenti di via P. era destinato alla madre, è smentita dal fatto che lo stesso era gestito da (...) e veniva diviso in quattro parti, fra la madre e le tre sorelle -come si evince dalla lettera della de cuius del 1998 prodotta sub doc. 7 "lusofrutto di tutta la casa di via P. che io ho deciso di dividere in 4 parti uguali dopo la morte di Papa" e dalla lettera di (...) a (...) in data 16.11.2010 dopo la morte della madre "Inoltre io ho anticipato 25 milioni miei per l'acquisto del 2 bilocale tuo di Via (...) - che poi mi sono stati rimborsati da P. (di cui una parte erano miei), perché erano di tutti. Anche i soldi delle ristrutturazioni di B. e (...) sono stati pagati con i soldi di (...), cioè di tutte e tre"-doc.6-. -) quindi è provato che almeno in parte la casa è stata acquistata con soldi propri; -) il riferimento contenuto nel testamento del 19.6.2002 "M. ha avuto in più una palestra e appartamento v strigelli Milano" era frutto di confusione della de cuius. Tale prospettazione, a giudizio del Collegio, non è convincente per le seguenti ragioni: i) (...) ha sempre sostenuto che il denaro provento degli affitti degli appartamenti di via P. veniva suddiviso in quattro parti, ammettendo di averlo gestito personalmente, dapprima sul conto cointestato con la madre aperto presso la (...) e, successivamente, sul conto solo a lei intestato presso la (...) -vedi infra sotto punti 9, 9 a) e ) 9 b) conclusioni R.-; al contrario era stata (...) che aveva sostenuto che il denaro provento degli affitti di via P. era della madre per volontà del padre; ii) (...), in comparsa di risposta in primo grado, aveva sostenuto di avere acquistato i due appartamenti di via (...) con denaro del padre, così implicitamente ammettendo di averli acquistati con denaro della madre, posto che il denaro del padre era stato interamente devoluto alla madre; iii) con il contratto preliminare di acquisto di uno degli immobili sottoscritto da (...) per conto di (...) è stato versato a titolo di acconto e caparra l'importo di 25 milioni di L.. L'assegno di 10 milioni di L. con cui è stato pagato parte dell'importo è stato emesso dal conto cointestato (...) e (...) presso il (...); alla luce di ciò, il contenuto della lettera di (...) citata da (...) conferma che la stessa ha anticipato i soldi su mandato della madre, facendo riferimento, per la restante parte, a spese per la ristrutturazione; iv) i documenti prodotti da (...) dimostrano che gli affitti degli appartamenti di via P. erano di entità tale da non giustificare la costituzione di una provvista sufficiente per acquistare i due appartamenti di via (...) -doc.44-51 di R.-, in considerazione anche della difficoltà degli stessi a coprire i costi di gestione come si evince dalla corrispondenza con l'amministratore del condominio -doc.41, 42 e 43 di L.; v)il contenuto del testamento del 19.6.2002 è estremamente preciso: infatti, uno dei due appartamenti era stato trasformato in palestra da (...). Inoltre, il riferimento agli stessi è contenuto dopo il riferimento alla donazione a (...) di metà dell'immobile di viale (...) ripetuto in diverse schede testamentarie - "(...) ha auto in donazioni mezzo R.G. per la vita in comine compania la mamma (...) ha avuto in più una palestra e appartamento v (...) Milano". Inoltre, in proposito, occorre considerare che la Corte nella sentenza non definitiva ha affermato "..si deve osservare, come peraltro ritenuto da tutte le parti in lite, che le schede in esame non prevedono disposizioni tra loro incompatibili, quanto all'oggetto, e ai destinatari di esse, con conseguenti problemi di revoca esplicita o implicita di precedenti determinazioni della testatrice". Conclusivamente, in ragione di quanto esposto e del fatto che (...) non ha provato di aver acquistato gli appartamenti di via (...) con denaro proprio, si ritiene che gli stessi siano stati acquistati con il denaro della madre provento dell'eredità e intestati a (...) per spirito di liberalità e quindi debbano essere considerati donazioni indirette il favore della medesima e, conseguentemente, oggetto di collazione. (...), ai punti 9; 9a) e 9 b) delle proprie p.c., sollecita d'ufficio -"devono essere oggetto di collazione - anch'essa automatica da parte del Giudice e senza bisogno di domanda"- la collazione degli immobili intestati a (...) siti in Milano in via (...) delle Armi -nove appartamenti-, viale (...), viale (...) e viale (...) di cui aveva depositato parziale documentazione -doc. da 40 a 43-, in quanto acquistati con il denaro della madre presente sul conto cointestato a (...) e (...) presso la (...) alimentato esclusivamente con denaro dell'arch. (...) e quindi di proprietà della madre, di cui produce parziale documentazione come da doc. da 2 a 33. Inoltre, (...) affermava che quel conto era stato utilizzato per incassare gli affitti degli appartamenti di via P. che, a suo dire, avrebbero dovuto, secondo la volontà paterna, essere destinati alla madre. Quindi, il denaro utilizzato da (...) per acquistare i suddetti appartamenti era in ogni caso della madre. Infine, quel conto sarebbe stato estinto e il denaro versato su un nuovo conto (...) intestato solo a (...), sul quale la madre aveva solo la delega - conto di cui (...) produceva parziale documentazione sub docc. dal n. 34 al n. 39-. In proposito, il Collegio aderisce all'indirizzo della giurisprudenza di legittimità che ritiene che non si possa procedere alla collazione in assenza di domanda, nel caso specifico, mai stata formulata da (...), né in primo grado, né in appello prima della precisazione delle conclusioni dopo la sentenza non definitiva - Cass. n. 29372 del 28/12/2011 In tema di giudizio di divisione ereditaria, successivamente alla costituzione dei convenuti non può più essere chiesta una formazione delle quote diversa da quella cui il giudice debba attenersi in relazione al patrimonio del "de cuius" individuato dalle parti nei loro scritti difensivi iniziali. Ne consegue che la deduzione del fatto che un condividente sia tenuto alla collazione di un bene donato, costituendo eccezione in senso proprio, in quanto diretta a paralizzare la pretesa di tale condividente a partecipare alla divisione secondo quanto gli spetterebbe ove tale donazione non avesse avuto luogo, è soggetta alle preclusioni di cui all'art. 167, secondo comma, cod. proc. civ. -conforme sez. 2 -, Sentenza n. 28272 del 06/11/2018 Nel giudizio di riduzione per lesione della legittima, come anche in quello di divisione, è esclusa la possibilità di allegare ovvero provare, per la prima volta in appello, l'esistenza di altri beni idonei ad incidere sulla determinazione del "relictum" e, conseguentemente, dell'effettiva entità della lesione, dovendo il potere di specificazione della domanda manifestarsi nel rispetto delle preclusioni previste dal codice di rito. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha chiarito che, in appello, le richieste di ricostruzione del "relictum" e del "donatum" mediante l'inserimento di beni e liberalità o l'indicazione di pesi o debiti del "de cuius" sono ammissibili nei limiti consentiti dagli elementi tempestivamente acquisiti con l'osservanza delle summenzionate preclusioni, trattandosi di operazioni alle quali il giudice è tenuto d'ufficio). In ogni caso, anche laddove si volesse aderire al contrario indirizzo - Cass. n. 26741 del 13/11/2017-, difettano i presupposti per operare la collazione dei beni immobili indicati. In primo luogo, il denaro provento degli affitti degli immobili di via P. non era stato destinato dal padre alla de cuius. Infatti, come già esposto, il padre, ancora in vita, aveva donato alle tre sorelle i 30 appartamenti -10 a testa- del palazzo costruito in via P. e il denaro degli affitti veniva diviso in quattro parti -doc. 7 (...) e testamento olografo del 1990 della de cuius-. Questo già smentisce l'affermazione di (...) secondo cui uno degli appartamenti di via (...) delle A. -senza peraltro indicare quale- sarebbe stato acquistato con denaro della de cuius. In ogni caso, esaminando la documentazione prodotta da (...) a sostegno della sollecitazione rivolta alla Corte di procedere alla collazione, emerge che difetta in radice la prova che l'acquisto degli appartamenti indicati sia avvenuto con denaro proveniente dal conto cointestato a (...) e a (...) presso la (...). Infatti, dalla documentazione bancaria del suddetto conto -docc. da 2 a 33- non emerge alcun trasferimento di denaro in favore di L., ma solo due trasferimenti in favore di (...) -docc. 7 e 8- e due operazioni eseguite per conto della stessa -docc. 32 e 33-. Parimenti i documenti prodotti da (...) del conto (...) intestato a (...) su cui (...) aveva inizialmente la delega ad operare documentano esclusivamente, in modo del tutto parziale, la gestione su quel conto degli affitti di via (...), ammesso anche da (...), i cui introiti venivano divisi in quattro parti. Difetta, quindi, in radice ogni presupposto per operare la sollecitata collazione. 5. La determinazione delle quote Alla luce di quanto esposto, le quote devono così determinarsi: Relictum Valore immobili al 12.5.2007: Euro 519.570 13.000 + 21.320 + 186.000 + 299.250 Valore depositi bancari: Euro 521.847,18 Donatum C. premio polizza (...)-: Euro 134.279,00 Collazione donazioni indirette (...): Euro 1.127.168,40 debiti verso il defunto -prelievi indebiti dai conti cointestati- (...): - Euro 1.479.816,57 (...) -M.-: Euro 134.279,00 Collazione prelievo di 4 assegni intestati a (...) -pag.14 ctu-: Euro 21.000 Collazione valore appartamenti via (...) al 12.5.2007 - (...) -: Euro 267.800 140.400 + 127.400 Totale asse ereditario Euro 4.205.760,15 : 3 = Euro 1.401.920,05 quota spettante a ciascuna sorella. 6. La divisione Alla quota di ciascuna sorella devono essere imputati i beni immobili in comunione da dividersi secondo i criteri del testatore ex 733 c.c., nonché la quota di 1/3 del denaro e dei titoli in comunione, oltre alle donazioni ricevute e i prelievi dal conto corrente cointestato, quanto a (...). Così di seguito: (...): i) quota intera del sottotetto di via Sottocorno Euro 13.000,00 - all'attualità -; ii) quota di 3/9 del terreno in via P. Euro 31.980,00 - all'attualità -; iii) quota di 1/3 del denaro dei titoli in comunione Euro 173.949,06; Totale: Euro 218.929,06 (...): i) quota intera del villino in Laveno Euro 170.500,00 - all'attualità-; ii) quota di 1/3 dei beni mobili in comunione Euro 173.949,06; iii) due appartamenti in Milano via (...) Euro 172.800,00 + Euro 156.800,00 -all'attualità-; iv) premio polizza assicurativa Euro 134.279,00; v) valore dei quattro assegni Euro 21.000,00; Totale: Euro 829.328,06 (...): i) quota di metà dell'appartamento di (...) Euro 256.500,00 -all'attualità-; ii) quota di 1/3 dei beni mobili in comunione Euro 173.949,06; iii) premio polizza assicurativa Euro 134.279,00; iv) donazioni indirette e debiti verso il defunto Euro 1.127.168,40 + Euro 1.479.816,57; Totale Euro 3.171.713,03 All'esito del predetto calcolo risulta che (...) ha conseguito una somma eccedente rispetto alla quota di 1/3 dell'asse spettantele all'esito della collazione. (...), (...) e (...), in misura diversa, hanno conseguito una somma inferiore rispetto alla propria quota. In particolare: (...): Euro 1.401.920,05 - Euro 218.929,06 = - Euro 1.182.990,99 (...): Euro 1.401.920,05 - Euro 829.328,06 = - Euro 572.591,99 (...): Euro 1.401.920,05 -Euro 3.171.713,03 = + Euro 1.769.792,98 Quindi, (...) è debitrice nei confronti di (...) e (...) degli importi necessari a conguagliare le rispettive quote. Conseguentemente, (...) deve essere condannata a corrispondere a (...) l'importo di Euro 1.182.990,99 e a (...) l'importo di Euro 572.591,99. Trattandosi di importi diretti a reintegrare il valore delle quote, si ritiene che si tratti di un debito di valore con conseguente applicazione della rivalutazione e corresponsione di interessi -compensativi-nella misura degli interessi legali da calcolarsi sul capitale rivalutato anno per anno sulla base degli indici Istat di variazione del costo della vita dalla data della domanda fino alla decisione e interessi legali sulla somma così liquidata fino al saldo effettivo. La domanda di rendiconto è assorbita. Quella di riduzione di legittima è implicitamente assorbita dalla decisione della sentenza non definitiva che accertato che le tre figlie erano state istituite eredi in parti uguali. 7. Le spese seguono la soccombenza e devono essere liquidate secondo i valori medi del D.M. n. 147 del 2022, in quanto l'attività difensiva si è esaurita nella vigenza delle stesse, secondo lo scaglione di riferimento, in relazione alla massa da dividere -posto che la contestazione riguardava la stessa-, ex art. 5, primo comma, D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 137 del 2022, nei limiti delle richieste delle parti. Quindi (...) deve essere condannata a pagare le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio in favore di (...) e (...), così liquidate: in favore di (...): i) quanto al primo grado, in complessivi Euro 40.479,60 - di cui Euro 6.075 per studio; Euro 4.008,60 per la fase introduttiva; Euro 19.830 per la trattazione e la fase istruttoria; Euro 10.566 per la fase decisoria; oltre Euro 1.493,00 per esborsi -CU e marca-; ii), quanto al giudizio di appello in complessivi Euro 70.771,00 - per il giudizio di merito, Euro 11.127 per studio; Euro 6470 per la fase introduttiva; Euro 14.906 per la trattazione e la fase istruttoria; Euro 18.500 per la fase decisoria; quanto al giudizio cautelare in Euro 9.345 per studio; Euro 3.953 per la fase introduttiva; Euro 6.470 per la fase decisionale; oltre complessivi Euro 19.014,11 per esborsi documentati -di cui Euro 2.529 per CU, Euro 27 per marca -per il merito-, Euro 1264,50 per CU e Euro 27 per marca per il giudizio cautelare; oltre Euro 1921,50 per compenso ct di pare geom. (...), Euro 11.165,44 per compenso ct di parte dott. (...), oltre Euro 2.079,67 per spese e compensi trascrizione del sequestro conservativo come da documentazione allegata-; in favore di (...), quanto al primo grado, in complessivi Euro 49.336,00 - di cui Euro 7.786 per studio; Euro 5.136 per la fase introduttiva; Euro 22.872 per la trattazione e la fase istruttoria; Euro 13.542 per la fase decisoria- e, quanto al giudizio di appello in complessivi Euro 57.461,30 -di cui Euro 9.643 per studio; Euro 5.607 per la fase introduttiva; Euro 12.918 per la fase istruttoria; Euro 16.033 per la fase decisoria, oltre l'aumento del 30% ex art. 4, comma secondo, D.M. n. 55 del 2014 per la presenza di due controparti. (...) deve essere condannata a pagare anche le spese della ctu contabile, mentre le spese delle ctu di stima degli immobili dei due gradi di giudizio, in quanto funzionali alla divisione, devono essere poste a carico della massa da dividere. P.Q.M. La Corte d'Appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, domanda, eccezione disattesa, così decide: 1. dato atto che la Corte d'Appello, con sentenza non definitiva n. 173/21 pubblicata il 20.1.2021, ha disposto la divisione del compendio ereditario di (...) in tre parti uguali nella misura di un terzo ciascuna in favore delle eredi testamentarie (...), (...) e (...); 2. accoglie l'appello principale di (...) e l'appello incidentale di (...) e, per l'effetto, 3. in riforma della sentenza del Tribunale di Milano n. 9299/18 pubblicata il 24.9.2018; 4. accoglie la domanda di divisione previa collazione, da attuarsi secondo quanto statuito dalla sentenza non definitiva, nonché la domanda di restituzione dell'indebito e, per l'effetto, 5. assegna in proprietà esclusiva a (...): i) la quota intera di un sottotetto in Milano, via Pasquale Sottocorno 27 censito al catasto urbano al fg. (...); part. (...); sub. (...); ii) la quota di 3/9 di un terreno in (...) in via P. della superficie complessiva censito al catasto terreni (...) fg (...); part. (...); iii) la somma di Euro 173.949,06 pari alla quota di 1/3 dei beni mobili in comunione ereditaria; 6. assegna in proprietà esclusiva a (...): i) la quota intera di un villino in L. via (...) n. 8 censito catasto urbano al fg 7; part. (...) sub 1 e sub 2; ii) la somma di Euro 173.949,06 pari alla quota di 1/3 dei beni mobili in comunione ereditaria; 7. assegna in proprietà esclusiva a (...): i) la quota di 1/2 di un appartamento in villa sito a Rapallo n 4 alla via Aurelia Ponente censito al catasto fabbricati al fg. (...); part.(...); sub. (...); ii) la somma di Euro 173.949,06 pari alla quota di 1/3 dei beni mobili in comunione ereditaria; 8. condanna (...) a corrispondere a (...) la somma di Euro 1.182.990,99 oltre rivalutazione ed interessi come specificati in motivazione; 9. condanna (...) a corrispondere a (...) la somma di Euro 572.591,99 oltre rivalutazione ed interessi come specificati in motivazione; 10. condanna (...) a pagare a (...) le spese dei due gradi di giudizio che si liquidano, per il giudizio di primo grado, in complessivi Euro 40.479,60 e, per il presente grado, in complessive Euro 70.771,00, il tutto, oltre spese forfettarie del 15% ex art. 2, comma 2, D.M. n. 55 del 2014, ed oltre Iva e Cpa se dovuti, oltre complessivi Euro 20.507,11 per esborsi; 11. condanna (...) a pagare a (...) le spese dei due gradi di giudizio che si liquidano, per il giudizio di primo grado, in complessivi Euro 49.336,00 e, per il presente grado, in complessivi Euro 57.461,30, il tutto, oltre spese forfettarie del 15% ex art. 2, comma 2, D.M. n. 55 del 2014, ed oltre Iva e Cpa se dovuti; 12. condanna (...) a restituire a (...) quanto versato in esecuzione della sentenza di primo grado, 13. Pone le spese della ctu contabile a carico di (...); 14. Pone le spese delle due ctu immobiliari a carico della massa; Così deciso in Milano il 17 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE QUARTA CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Alberto Massimo Vigorelli - Presidente dr. Anna Mantovani - Consigliere dr. Francesca Maria Mammone - Consigliere rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 1984/2020 promossa in grado d'appello DA (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), rappresentati e difesi dall'avv. Al.Vi. (C.F. (...)), ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Milano, via (...); APPELLANTI CONTRO (...) (C.F. (...),) rappresentata e difesa dall'avv. Mo.Ro. (C.F. (...)), ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Pioltello (MI), via (...); APPELLATA E CONTRO (...), (...), (...) APPELLATE CONTUMACI Avente ad oggetto: Vendita di cose immobili MOTIVI DELLA DECISIONE Il giudizio di primo grado Con atto di citazione notificato in data 31.7.2018, (...) e (...), premesso di aver acquistato da (...), (...), (...) e (...) un compendio immobiliare composto da un magazzino, un ripostiglio ed un box, hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano la parte venditrice per chiedere di accertare la mancanza delle qualità promesse ed essenziali nei beni oggetto di compravendita ed ottenere la condanna delle convenute al pagamento, in via principale, della somma di Euro 21.233,55, pari alla differenza tra il prezzo pagato ed il valore dei beni, oltre alle le spese sostenute in dipendenza dell'inesatto adempimento delle controparti o, in subordine, della somma di Euro 14.830, pari al solo minor valore del compendio immobiliare. Ciò a seguito della scoperta dell'esistenza di un ordine di demolizione del box risalente al 1984, quando il permesso di sopraelevare un fabbricato ad uso abitativo era stato subordinato dall'autorità amministrativa alla demolizione del locale adibito a box/ripostiglio. Si è costituita in giudizio (...), che ha eccepito la decadenza e la prescrizione dell'azione ai sensi dell'art. 1495 c.c. ed ha chiesto il rigetto della domanda in quanto infondata; in via subordinata, ha domandato di tener conto, nella liquidazione del danno, della corresponsabilità degli attori ai sensi dell'art. 1227 c.c. e, in ogni caso, dell'importo di Euro 5.000 ricavato dalla vendita del box ad un terzo. Le convenute (...), (...) e (...) non si sono costituite in giudizio ed in data 20.2.2019 il Tribunale di Milano ne ha dichiarato la contumacia. Con sentenza n. 3933/2020 del 6.7.2020 il Tribunale di Milano ha rigettato le domande proposte da (...) e (...), condannandoli al rimborso, in via solidale tra loro, delle spese di lite in favore di (...), liquidate in Euro 3.545 ed ha dichiarato non ripetibili le spese nei confronti delle convenute contumaci. L'appello I. Il procedimento Con atto di appello notificato in data 7.9.2020 (...) e (...) hanno impugnato la predetta sentenza nella parte in cui il Tribunale ha: - ricondotto la fattispecie all'art. 1489 c.c., negando l'applicabilità degli artt. 1490 e 1497 c.c.; - ritenuto venuto meno il potere repressivo della pubblica amministrazione e dunque il rischio di abbattimento dell'immobile, essendo intervenuta concessione in sanatoria; - ritenuto indimostrato il pagamento di un prezzo superiore rispetto a quello indicato nell'atto di vendita, con conseguente impossibilità di operare la sollecitata riduzione sul prezzo e di liquidare il danno patito. Gli appellanti hanno insistito per la riforma integrale della sentenza impugnata e per l'accoglimento delle domande proposte. Si è costituita in giudizio (...), che ha domandato il rigetto dell'appello. In via subordinata, ha dichiarato di voler proporre appello incidentale condizionato, con il quale ha riproposto le eccezioni di decadenza e prescrizione. Inoltre, con riferimento all'intervenuta vendita da parte degli appellanti ad un terzo del box al prezzo, giudicato irrisorio, di Euro5.000, l'A. ha invocato l'applicazione dell'art. 1227, secondo comma, c.c., al tempo stesso sostenendo che la vendita era affetta da simulazione assoluta. All'udienza del 4.3.2021 la Corte ha dichiarato la contumacia di (...) e, rilevata l'inosservanza dei termini di comparizione per (...) e (...), ha rinviato la causa all'udienza del 16.9.2021, disponendo che gli appellanti provvedessero alla rinnovazione delle notificazioni nei confronti delle suddette (...) e (...). All'udienza del 16.9.2021, il collegio ha dichiarato la contumacia anche di (...) (evidente, il lapsus calami nella redazione del verbale d'udienza) e (...) e gli appellanti hanno rinunciato all'istanza di sospensiva proposta ai sensi dell'art. 283 c.p.c.. Quindi, questa Corte, disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell'art. 83 del D.L. n. 18 del 2020, il 6.10.2022 ha trattenuto la causa in decisione e la sentenza, scaduti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche, è stata deliberata nella camera di consiglio odierna. II. Il merito Giova sinteticamente ripercorrere i fatti che hanno preceduto l'instaurazione della lite, così come essi emergono dai documenti prodotti e dagli atti difensivi. Gli appellanti hanno acquistato dalle convenute, con contratto di compravendita in data 1 aprile 2010, immobili siti nel Comune di Pioltello, Via (...), e cioè un magazzino al piano seminterrato con annessa piccola area pertinenziale, un locale ripostiglio al piano terra, un box, pure al piano terra. Il prezzo indicato nel rogito ammonta ad Euro25.000 (doc. 1 del fascicolo degli appellanti in primo grado), anche se i compratori hanno riferito di aver versato l'ulteriore importo di Euro49.150 in contanti e mediante assegni bancari. Il 14.04.2015 il Comune di Pioltello attivava procedimento ai sensi degli artt. 7 e 8 della L. n. 241 del 1990 per la verifica dei titoli abilitativi dei manufatti ad uso autorimessa e magazzino. Si appurava così che (...), dante causa delle venditrici, nel 1984 aveva ottenuto il rilascio di una concessione edilizia per sopraelevare un fabbricato preesistente, subordinata alla demolizione del locale adibito a box e ripostiglio, senza avervi poi provveduto. Gli appellanti, al fine di regolarizzare i manufatti ed evitare la demolizione, ottenevano il rilascio del permesso di costruire in sanatoria a fronte del pagamento della somma di Euro 1.635,70 a titolo di oneri di urbanizzazione e di Euro 465,86 quale contributo sul costo di costruzione. A tal fine, essi si vedevano costretti a vendere il fabbricato, reperendo un acquirente tra coloro che, diversamente da loro, fosse già titolare di un immobile di proprietà nel complesso immobiliare, poiché l'unica possibilità di regolarizzare il manufatto, prevista dal Piano di Governo del Territorio, all'articolo 8 del Piano delle Regole, dipendeva dalla creazione di un vincolo pertinenziale che consentisse di qualificare il box come locale "tecnico" a servizio di un'unità residenziale (cfr. doc. nn. 7 e da 10 a 12 del fascicolo degli appellanti). La cessione avveniva al prezzo di Euro 5.000. Da ciò la pretesa degli odierni appellanti, di ottenere la riduzione del prezzo della vendita, scorporando dal prezzo pagato alle odierne parti appellate la quota ideale riferibile al box e di ottenere il ristoro dei costi a vario titolo sostenuti sia per la regolarizzazione dell'immobile che per la vendita a terzi. L'azione proposta veniva dagli stessi ricondotta all'ipotesi della mancanza di qualità promesse, "atteso che il box venduto unitamente al magazzino non poteva neppure esistere, atteso che sullo stesso pendeva un ordine di demolizione del Comune di Pioltello ben conosciuto a parte venditrice" (così in atto di citazione) e dunque non avrebbe potuto essere neppure venduto. Il Tribunale di Milano, invece, ha ritenuto applicabile alla fattispecie l'art. 1489 c.c., rilevando che "Diversamente da quanto sostengono gli attori, in ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità della licenza edilizia, non trovano applicazione gli artt. 1490 e 1497 c.c. che dettano la disciplina dei vizi e della mancanza di qualità essenziali della cosa venduta, ma l'art. 1489 c.c., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima. Per giurisprudenza costante i vizi di cui agli artt. 1490 ss. c.c. si configurano esclusivamente come difetti materiali attinenti al processo di fabbricazione e realizzazione dell'immobile, mentre la non conformità urbanistica dell'immobile compravenduto costituisce giuridicamente un onere e/o un vincolo che limita il godimento del bene da parte dell'acquirente, e che abilita il medesimo all'esperimento dei rimedi di cui all'art. 1489 c.c. ...". Proprio muovendo da tale impostazione, il primo giudice ha evidenziato che, secondo l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, la tutela prevista dalla disposizione citata postula la persistenza del potere repressivo della pubblica amministrazione, tanto da determinare il deprezzamento o la minore commerciabilità dell'immobile e che, nella fattispecie in esame, essendo venuta meno, a seguito della sanatoria, la presenza di oneri o diritti reali o personali gravanti sulla cosa venduta, l'azione di riduzione del prezzo non poteva più essere esercitata. Nessuna delle censure mosse alla decisione con l'atto di appello inficia tali persuasive conclusioni. Con il primo motivo di appello, gli appellanti insistono nel sostenere l'applicabilità alla fattispecie delle disposizioni in materia di garanzia per vizi, poiché l'esistenza dell'ordine di demolizione avrebbe determinato l'incommerciabilità del bene e l'impossibilità, per essi, di goderne. Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere l'applicabilità dell'art. 1489 c.c., muovendo dal falso presupposto di trovarsi in presenza di un manufatto realizzato in difformità dalla licenza edilizia. Tuttavia, si deve ribadire che i vizi redibitori, di cui agli artt. 1490 e 1492 c.c., attengono esclusivamente alla materialità del bene venduto, e cioè, come ha giustamente evidenziato il primo giudice, essi si consistono in anomalie strutturali dell'immobile (cfr. Cass. n. 27916/2017; Cass. n. 4786/2007), mentre la giurisprudenza di legittimità, dal cui persuasivo orientamento non vi è motivo per discostarsi, ha da tempo chiarito che la non conformità urbanistica dell'immobile compravenduto costituisce giuridicamente un onere o un vincolo che limita il godimento del bene da parte dell'acquirente, e che abilita il medesimo all'esperimento dei rimedi di cui all'art. 1489 c.c. (cfr. Cass. Cass., n. 10285/2010; Cass. 11218/1991; Cass. n. 6399/1984). Il fatto che, nel caso in esame, il box sia stato lecitamente costruito prima del 1967 e che la necessità della sua demolizione sia sorta nel 1984, quale "contropartita" del rilascio della concessione edificatoria che ha consentito la sopraelevazione del fabbricato di (...), sì che, a rigore, non si può definire l'immobile come realizzato "in difformità dalla licenza edilizia", non inficia le conclusioni del Tribunale, poiché si è comunque in presenza di un'irregolarità che determina l'assoggettamento del bene al potere sanzionatorio dell'amministrazione. Del pari infondato è il secondo motivo di appello, con il quale gli appellanti rimproverano al primo giudice di aver ritenuto che il rilascio della concessione in sanatoria abbia loro precluso l'esercizio dell'azione di riduzione del prezzo. Secondo l'(...) e la (...), il fatto di essersi adoperati per evitare la demolizione del box non avrebbe dovuto essere considerato come "eliminazione delle difformità di quanto acquistato" né avrebbe dovuto pregiudicarli. Si tratta di tesi sostenuta con fermezza, ma del tutto disancorata da considerazioni di carattere giuridico. È di solare evidenza, infatti, che il Tribunale di Milano ha fatto proprio il consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale secondo il quale la tutela assicurata dall'art. 1489 c.c. postula che "persista il potere repressivo della pubblica amministrazione (adozione di sanzione pecuniaria o di ordine di demolizione), tanto da determinare deprezzamento o minore commerciabilità dell'immobile. In mancanza di tali condizioni non è possibile riconoscere all'acquirente la facoltà di chiedere la riduzione del prezzo" (cfr. Cass. n. 4786/2007). Dunque, vi è poco da aggiungere alla perspicua motivazione della sentenza impugnata, che ha negato agli attori la tutela richiesta per un solo, ma insuperabile motivo, e cioè in quanto "l'attivazione della pratica di regolarizzazione del manufatto, con il conseguente rilascio del permesso di costruire in sanatoria (cfr. doc. 12 parte attrice) ha determinato, una volta per tutte, l'eliminazione di tale difformità con la conseguenza che non ricorre più la condizione posta dall'art. 1489 c.c., ossia la presenza di oneri o diritti reali o personali che gravano la cosa venduta in modo da diminuirne il libero godimento. Per tale ragione l'azione di riduzione del prezzo non può essere più esercitata, essendo questa spettante fino a quando la situazione di pericolo relativa all'intervento sanzionatorio dell'autorità amministrativa persista. È, infatti, con riferimento a tale momento e non con riguardo al momento della fissazione del prezzo del bene che si deve ritenere ammissibile l'actio quanti minoris". Si aggiunga, solo per completezza d'esposizione, giacché gli appellanti non hanno svolto, sul punto, alcuna specifica censura, lamentando del tutto genericamente di essere stati privati del diritto ad ottenere ristoro del danno patito e delle spese sostenute, che, quanto ai costi per la pratica di sanatoria, "L'art. 1489 cod. civ., sulla vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di terzi non trova applicazione con riferimento al pagamento di oneri derivanti da procedimenti di regolarizzazione urbanistico-edilizia, dei quali il venditore abbia fatto menzione nell'atto di compravendita, trattandosi di pesi che non limitano il libero godimento del bene venduto" (si veda Cass. n.3464/2012), mentre le spese notarili relative alla rivendita del box non sono causalmente addebitabili alle venditrici. Ai sensi dell'art. 1475 c.c., le spese della compravendita sono infatti a carico dell'acquirente e non risulta che il diverso e sconveniente accordo intervenuto tra gli appellanti ed il compratore Z. (cfr. doc. 15 del fascicolo di primo grado degli appellanti) vada ascritto alla necessità ed urgenza di vendere a qualsiasi costo per evitare la demolizione del box. Diviene dunque superfluo l'esame del terzo motivo d'appello, giacché l'accertamento del prezzo realmente pagato dagli odierni appellanti rileva solo nella prospettiva dell'accoglimento dell'actio quanti minoris. Anche l'appello incidentale non deve essere esaminato, perché proposto solo in via subordinata. Le spese del grado seguono la soccombenza nel rapporto con (...) e si determinano come in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia, della semplicità delle questioni trattate, che giustifica una liquidazione inferiore al medio tariffario e senza nulla riconoscere per la non svolta fase istruttoria. Va escluso il diritto alla ripetizione nei confronti delle appellate contumaci. P.Q.M. La Corte di appello di Milano, definitivamente decidendo, ogni diversa e contraria istanza disattesa: 1. rigetta l'appello proposto da (...) e (...) contro la sentenza n. 3933/2020 del Tribunale di Milano, pubblicata il 6 luglio 2020, che, per l'effetto, conferma; 2. condanna gli appellanti, tra loro in solido, a rifondere ad (...) le spese del presente grado di giudizio che determina in complessivi Euro2.200 per compensi, oltre 15% per rimborso spese generali, iva se dovuta e cpa come per legge; 3. dichiara non ripetibili le spese nei confronti delle appellate contumaci; 4. dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, da parte degli appellanti, a norma del comma 1 quater dell'art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2012, così come modificato dall'art. 1 comma 17 della L. n. 228 del 2012. Così deciso in Milano il 13 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'appello di Napoli, seconda sezione civile, riunita in camera di consiglio in persona dei magistrati: - dr.ssa Rosaria Papa - Presidente - - dr. Sergio Gallo - Consigliere - - dr.ssa Martorana Paola - Consigliere relatore - ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n.5767/2017 R.G, riservata in decisione, all'esito di trattazione scritta, all'udienza del 19 ottobre 2022, previa rinuncia delle parti ai termini per il deposito degli scritti conclusionali, e vertente TRA (...) CF (...), rapp.to e difeso dall'avv. Ra.Am. C.F. (...) presso il cui studio elettivamente domicilia in Napoli al Viale (...) giusta mandato in atti APPELLANTE CONTRO (...) (C.F.:(...)), (...) (C.F.: (...)), (...) (C.F.: (...)), (...) (C.F.: (...)), (...) (C.F.: (...)), (...) (C.F.:(...)) e (...), ((...)) tutti rappresentati e difesi dall'Avv. Pa.Ta. (C.F.:(...)), ed elettivamente domiciliati presso lo studio del medesimo in Marcianise (CE), alla via (...) giusta procura in atti APPELLATI nonché (...) APPELLATA CONTUMACE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con la sentenza n. 5988 del 2017, pubblicata in data 22 maggio 2017, il Tribunale di Napoli, statuendo sulle domande proposte da (...) nei confronti dei germani (...), (...), (...), (...), (...), (...) e (...) - volte ad ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria avente ad oggetto gli immobili indicati alla lett. f) dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado - le rigettava. Segnatamente, a fondamento della pronuncia in questa sede gravata, il Giudice di prime cure, dopo aver rilevato che (...) aveva ceduto, con atto per notar (...), a (...), figlia di (...), i suoi diritti di proprietà relativi all'immobile sito al piano terra di piazza (...), n.6, contraddistinto con il numero di interno 1, riteneva che non si potesse procedere alla divisione in quanto il lastrico solare, in ragione dei rilievi svolti dal c.t.u. in ordine alla sua illegittimità urbanistica, si presentava incommerciabile; inoltre i box garage erano stati fatti oggetto di divisione convenzionale mediante una scrittura privata di assegnazione sottoscritta da tutte le parti in causa, all'esito della quale si era provveduto a frazionamenti ed accatastamenti. Quanto all'appartamento al piano terra, interno n.1, il Giudice di prime cure rilevava che con riferimento a tale unità immobiliare (...) non avrebbe dovuto partecipare alla divisione, avendo dedotto fin dalla costituzione in giudizio di aver ceduto con atto per notar Panelli i suoi diritti di proprietà a (...), figlia di (...). Sulla scorta di tali premesse, ritenuta applicabile allo scioglimento della comunione oggetto di causa la disposizione di cui all'art. 17 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, rigettava integralmente la domanda di divisione, compensando le spese di lite. 2. Avverso tale pronuncia, con atto di citazione notificato a mezzo pec in data 13 ottobre 2017, ha spiegato impugnazione (...), deducendo a sostegno tre motivi. 3. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 29 gennaio 2018, si sono costituiti in giudizio (...), (...), (...), (...), (...), (...) e (...), che hanno preliminarmente eccepito l'inammissibilità del gravame per difetto di specificità, in violazione dell'art. 342 c.p.c.; nel merito, hanno domandato il rigetto dell'impugnazione e la conferma della sentenza impugnata, rimettendosi, in ogni caso, alla decisione della Corte "in via subordinata ed in ordine allo scioglimento della comunione ereditaria in essere tra i germani, limitatamente all'immobile sito al piano rialzato, ubicato in N., alla piazza (...), 6". 4. (...), sebbene ritualmente evocata in giudizio, è rimasta contumace. 5. E' stato acquisito il fascicolo relativo al giudizio di primo grado e non è stata svolta attività istruttoria. 6. La causa è stata riservata in decisione all'esito dell'udienza del 19 ottobre 2022, tenutasi in forma "cartolare", previo deposito ad opera delle parti di note di trattazione scritta. 7. Preliminarmente deve essere affermata, all'esito di verifica d'ufficio, la tempestività dell'impugnazione, proposta con atto di citazione notificato a mezzo pec in data 13 ottobre 2017. Infatti, risulta rispettato, considerata pure la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, il termine di decadenza semestrale, previsto dall'art. 327 c.p.c. nella formulazione applicabile ratione temporis - essendo stato il giudizio di primo grado introdotto nell'anno 2010, e dunque in epoca successiva all'entrata in vigore dell'innovazione normativa di cui all'art.46, comma 17, della L. n. 69 del 2009, in vigore dal 4 luglio 2009 - decorrente dalla pubblicazione della sentenza gravata intervenuta in data 22 maggio 2017. 8. Ancora in via preliminare, deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello per difetto di specificità. Al riguardo, mette conto rilevare che l'appello in esame è regolato dal nuovo regime delineato dagli artt. 342, 345, 348bis, 348ter, 383, 434, 436bis, 447bis e 702 c.p.c., come modificati, ovvero introdotti, sia dall'art. 54 D.L. n. 83 del 2012, sia dalla legge di conversione n. 134 del 2012. In particolare, il nuovo art. 342 c.p.c. prevede che "l'appello deve essere motivato. La motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata". In definitiva, per effetto della novella, bisogna indicare nell'atto di appello esattamente quali parti del provvedimento impugnato si intendono sottoporre a riesame e, per tali parti, indicare quali modifiche si richiedono rispetto a quanto ha formato oggetto della ricostruzione del fatto compiuta dal primo giudice. Va nondimeno chiarito, al fine di evitare di ricadere in pronunce di tipo esclusivamente formalistico, che occorre che il giudice verifichi in concreto il rispetto della norma. In particolare, secondo quanto di recente chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. SU n. 27199/2017) gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado. Sulla scorta dei rilievi che precedono, l'appello deve essere dichiarato ammissibile, risultando rispettato il disposto dell'art. 342 c.p.c., nella formulazione introdotta dalla L. n. 134 del 2012, dal momento che l'appellante ha sostanzialmente indicato le parti della sentenza che intendeva censurare e le ragioni per le quali riteneva di non condividere l'assunto del primo Giudice. 9. Volgendo all'esame del merito dell'impugnazione, la stessa merita accoglimento per quanto di ragione. 10. I primi due motivi di impugnazione - rispettivamente intitolati "palese contraddittorietà della premessa della sentenza con le sue conclusioni" e "omesso esame delle risultanze istruttorie ed omesso rinvio delle parti in causa ex art. 720 c.c. innanzi ad un notaio delegato alla vendita dell'immobile oggetto della divisione giudiziale" - che per evidenti ragioni di connessione è opportuno trattare congiuntamente, sono indubitabilmente fondati. Secondo quanto dedotto dalla parte impugnante, il Giudice di prime cure era incorso in evidente contraddizione, avendo dapprima affermato che la domanda attorea era "pienamente fondata in quanto alcuni dei beni caduti in successione ereditaria, dopo la morte della sign. (...), madre dell'attore e dei germani convenuti, rimanevano in comunione", per poi concludere testualmente, alla pag. 8 della sentenza impugnata, che "la domanda giudiziale di scioglimento della comunione è infondata e non merita accoglimento". Invero, in ragione della dichiarata fondatezza della domanda, il Tribunale avrebbe dovuto procedere allo scioglimento della comunione con la divisione dei beni ai sensi dell'art. 720 c.c.; invece, la conclusione a cui era giunto era completamente opposta alla premessa. Peraltro, secondo quanto dedotto con il secondo motivo, il primo Giudice - nel richiamare le valutazioni del c.t.u., che aveva escluso la commerciabilità del terrazzo di copertura o lastrico solare - aveva dimenticato di prendere in considerazione quale ulteriore bene oggetto della divisione giudiziale l'appartamento sito al piano terra interno 1, ubicato nello stabile di piazza (...), n.6, immobile che non potendo essere diviso comodamente tra i germani e non essendo frazionabile in più unità abitative suscettibili di autonomo e libero godimento, avrebbe dovuto, in difetto di istanze di attribuzione proposte dai coeredi, essere messo in vendita, con la conseguente nomina di un professionista delegato alla vendita dello stesso, ai fini della successiva ripartizione del ricavato tra i coeredi condividenti. In ordine a tale cespite, il Tribunale aveva omesso qualsiasi pronuncia, non assegnando l'immobile ad alcuno dei coeredi, né nominando un delegato alla vendita. Gli argomenti che precedono colgono in ampia parte nel segno. Non erra infatti l'impugnante nel protestare che il Giudice di prime cure - in modo del tutto contraddittorio, avendo dichiarato in premessa che la domanda di divisione era pienamente fondata- aveva integralmente disatteso la domanda di scioglimento della comunione, omettendo di provvedere anche riguardo all'appartamento sito nello stabile di piazza (...) n.6, al piano terra interno 1, identificato al catasto del Comune di N. al folio (...), p.lla (...), sub (...), in ordine al quale non ricorrevano impedimenti che ne ostacolassero la libera commerciabilità. Effettivamente, il Tribunale di Napoli, nel richiamare le risultanze dell'espletata consulenza d'ufficio, riteneva, con statuizioni non specificamente censurate dalla parte impugnante, che il lastrico solare di copertura dell'edificio, su cui insistono una veranda in alluminio preverniciato e vetri e due ripostigli in muratura, tutti realizzati in epoca successiva all'ultimazione dello stabile "in assenza di autorizzazioni amministrative e non oggetto di pratiche di richiesta di concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni e integrazioni" non potesse costituire oggetto di divisione, dovendo pertanto stralciarsi tale cespite dall'asse a dividersi; quanto alla divisione del locale garage sito al piano seminterrato, lo stesso, come pure incontestatamente ritenuto dal primo Giudice, aveva già formato oggetto di una divisione tra i germani mediante la stipula e la sottoscrizione di un contratto preliminare, per effetto del quale vi era un utilizzo dei locali divisi in box da parte dei germani, in virtù di un progetto frazionato ed accatastato. Per converso, quanto all'appartamento al piano terra, interno n.1, di cui al secondo motivo di impugnazione, il Giudice di prime cure si limitava ad affermare che con riferimento a tale unità immobiliare (...) non avrebbe dovuto partecipare alla divisione avendo dedotto fin dalla costituzione in giudizio di aver ceduto con atto per notar Panelli i suoi diritti di proprietà a (...), figlia di (...). Trattasi di argomentazione, in alcun modo contestata dalle parti, evidentemente inidonea a sorreggere la reiezione della domanda di divisione. Ciò, tanto più, ove si consideri che, proprio in ragione di tale allegazione, il Giudice di prime cure, con ordinanza del 14 aprile 2015, disponeva l'integrazione del contraddittorio nei confronti di (...), che, sebbene non sia indicata nell'intestazione della sentenza impugnata, si costituiva in giudizio con comparsa di costituzione depositata in data 20 novembre 2015. Con riferimento a tale immobile, il nominato c.t.u. - che ha precisato che lo stesso risulta individuato nel N.C.E.U. del Comune di N. alla partita (...), sezione Secondigliano, foglio (...), p.lla (...), sub.(...), e confina con l'appartamento contraddistinto dal numero di interno 2, con l'androne dell'edificio, con il pianerottolo del piano rialzato e con la piazza (...) - ne ha individuato la provenienza precisando che lo stesso fa parte del fabbricato sito in N., alla piazza P. (...), n.6, il quale era stato costruito da (...), vedova A., in forza di licenza edilizia n.(...) protocollo n.(...), su terreno acquistato da (...), giusta atto rogato per notar (...) addì 2 agosto 1962, registrato in Napoli, il 21 agosto 1962 al n. 3519 e trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Napoli il 25 agosto 1962 ai numeri 34797/24744. Deceduta (...) in data 20 ottobre 1998, tale immobile perveniva, in parti uguali, ai sensi dell'art. 581 c.c., agli otto figli (...), nata a N. il (...), (...), nata a N. l'(...), (...), nata a N. il (...), (...), nato a N. il (...), (...), nata a N. il (...), (...), nato a N. il (...), (...), nata a N. il (...), (...), nato a N. il (...). L'immobile oggetto di divisione, pertanto, in difetto di vocazione testamentaria, risultava in proprietà di ciascuno degli otto condividenti, titolari di quote uguali, in ragione di 1/8. Deve altresì darsi atto, sebbene la circostanza non sia stata rilevata dal nominato c.t.u., che con l'atto di divisione e vendita per notar Campanile del 30 marzo 1999 - ove sono analiticamente riportati i beni caduti nella successione legittima di (...) e devoluti ai suoi figli, tra cui al n. (...)), l'appartamento al piano terra, interno 1, riportato al N.C.E.U. del Comune di N. alla partita (...), sez. SEC., fol.(...), p.lla (...), sub.(...)- i condividenti, nel procedere in via convenzionale alla formazione di otto quote ed all'assegnazione di una di essa a ciascuno dei condividenti, pur lasciando in comunione l'immobile in questione, provvidero ad inserire in ciascuna quota una frazione ideale dell'appartamento interno 1), non sempre coincidente con la misura di un ottavo agli stessi pervenuta ex lege. Di tali quote, da cui è scaturita una comunione di tipo convenzionale, dovrà senz'altro tenersi conto nel procedere alla divisione. In particolare, nella prima quota, attribuita ad (...), risulta inserita la quota pari a 1/28 della piccola abitazione al piano terra, interno 1; nella seconda quota, attribuita ad (...), venne inserita una quota pari ad 1/8 della piccola abitazione al piano terra, interno 1; nella terza quota, attribuita ad (...), venne inserita una quota pari a 1/7 della piccola abitazione al piano terra, interno 1; nella quarta quota, attribuita ad (...), venne inserita una quota pari ad un settimo della piccola abitazione al piano terra, interno 1; nella quinta quota, attribuita ad (...), venne inserita una quota pari a un settimo della piccola abitazione al piano terra, interno 1; nella sesta quota, attribuita ad (...), venne inserita una quota pari ad un settimo della piccola abitazione al piano terra, interno 1; nella settima quota, attribuita all'odierno appellante (...) venne inserita una quota pari ad un ottavo della piccola abitazione al piano terra, interno 1; nell'ottava quota, attribuita ad (...), venne inserita una quota pari ad un settimo della piccola abitazione al piano terra, interno 1. Ragguagliate le quote risultanti dalla predetta divisione, trascritta in data 14.4.1999 al n.7745/4903, ad un denominatore comune, risulta la spettanza ad (...) di una quota pari a 2/56, ad (...) di una quota pari a 7/56, ad (...) di una quota pari a 7/56, ad (...) di una quota pari a 8/56, ad (...) di una quota pari a 8/56, ad (...) di una quota pari a 8/56, ad (...) di una quota pari a 8/56, ad (...) di una quota pari a 8/56. Risulta altresì incontestatamente accertato dal Giudice di prime cure che con riferimento a tale unità immobiliare (...) non deve partecipare alla divisione, per aver ceduto con atto per notar Panelli i suoi diritti di proprietà a (...), figlia di (...), che pertanto deve ritenersi subentrata nella sua quota pari ad 8/56. Gli accertamenti finora esposti, in ordine alla titolarità del cespite a dividersi, sono senz'altro idonei a fondare la pronunzia di divisione, dovendo escludersi che, come dedotto dagli appellati, al fine di fornire un diverso fondamento al rigetto della domanda di divisione contenuto nella sentenza gravata, sia indispensabile "l'allegazione alla domanda dei certificati storici catastali e della documentazione concernente le iscrizioni e le trascrizioni relativamente ai beni nell'ultimo ventennio, o quanto meno della relazione notarile in sostituzione, attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari". Invero, la Suprema Corte, dissentendo dall'orientamento espresso da parte della giurisprudenza di merito, ha avuto in tempi recenti modo di precisare che nei giudizi di scioglimento della comunione, la produzione dei certificati relativi alle trascrizioni e iscrizioni sull'immobile da dividere, imposta dall'art. 567 c.p.c. per la vendita del bene pignorato, non costituisce un adempimento previsto a pena di inammissibilità o improcedibilità della domanda, tenuto conto che, in tali giudizi, l'intervento dei creditori e degli aventi causa dei condividenti è consentito ai soli fini dell'opponibilità delle statuizioni adottate. Ciò vale anche nel caso in cui si debba procedere alla vendita dell'immobile comune, sebbene le informazioni richieste dal predetto articolo si debbano necessariamente acquisire a tutela del terzo acquirente, ma a tale esigenza sovraintende d'ufficio il giudice della divisione, il quale, nello svolgimento del potere di direzione delle operazioni, può ordinare alle parti la produzione della documentazione occorrente o avvalersi del professionista delegato alla vendita. ( Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 10067 del 28/05/2020; Cass. n. 21716/2020, in motivazione). Segnatamente, la Corte di Cassazione - pur ritenendo auspicabile che il giudice investito della domanda di scioglimento della comunione verifichi in limine litis l'effettiva titolarità del diritto di comproprietà in capo ai condividenti (e ciò preferibilmente mediante l'acquisizione dei titoli di provenienza, corredati anche dalla documentazione ipo-catastale, che consente di verificare se nelle more siano intervenute delle modifiche del regime proprietario rispetto alla data cui risale il titolo di provenienza) - ha precisato che ove però le parti convenute in giudizio non contestino l'effettiva appartenenza dei beni ai soggetti evocati in giudizio, ed ove dalle indagini svolte dal consulente tecnico d'ufficio non emergano dubbi o incertezze circa la titolarità dei beni comuni in capo alle stesse parti, la contestazione mossa in sede di gravame, in assenza di una puntuale allegazione di elementi probatori che denotino l'erroneità del convincimento del giudice circa la situazione di comproprietà, sia inammissibile, in quanto formulata, anche in relazione alla pretesa violazione del principio del litisconsorzio necessario, in via del tutto ipotetica, ed in contrasto, quanto a tale ultimo profilo, al principio secondo cui colui che eccepisce il difetto di integrità del contraddittorio, è tenuto puntualmente ad individuare le altre parti necessarie che siano state illegittimamente pretermesse dalla partecipazione al giudizio (Cass. n. 19400/2019). Né vale addurre la considerazione secondo cui, in assenza della produzione dei titoli e della certificazione ipo-catastale - la cui acquisizione a cura delle parti in sede di merito risponde a commendevoli esigenze di prudenza e di agevolazione dell'accertamento probatorio, onde prevenire il rischio che in prosieguo di giudizio possa essere riscontrata l'esistenza di altri soggetti parti necessarie del giudizio di divisione - vi sarebbe il rischio che la divisione intervenga tra parti non legittimate, con il sacrificio del diritto di comproprietà alieno, atteso che tale sacrificio trova adeguata tutela sul piano processuale tramite il rimedio dell'opposizione di terzo, alla quale possono ricorrere il terzo pregiudicato ovvero il litisconsorte pretermesso. Pertanto, ove il giudice di merito, sulla scorta dell'atteggiamento processuale di non contestazione delle parti evocate in giudizio ovvero sulla base di altri elementi di carattere probatorio, quali possono essere anche le verifiche condotte dall'ausiliario d'ufficio, si convinca della titolarità del diritto di comproprietà in capo alle parti effettivamente presenti nel giudizio di cui all'art. 784 c.p.c., al fine di far valere la violazione del principio del litisconsorzio necessario dettato dallo stesso art. 784 c.p.c., non basta limitarsi ad allegare la sola circostanza della mancata acquisizione dei titoli di proprietà ovvero della documentazione ipo-catastale, ma è invece necessario addurre, con la specifica individuazione della parte pretermessa, che la divisione si è svolta senza la partecipazione di tutte le parti necessarie. Ad opinare diversamente, "si verrebbe a trasformare tale acquisizione in una sorta di presupposto processuale di ammissibilità della domanda, in assenza di una espressa volontà del legislatore, e con il rischio, in mancanza come detto di una opzione normativa in tal senso, di legittimare la cassazione di pronunce emesse tra le parti effettivamente legittimate a prendere parte al processo, sol perché la prova della loro titolarità non sarebbe stata fornita con modalità documentali, che certamente offrono maggiori garanzie di certezza, ma che non esauriscono però gli strumenti dei quali può avvalersi il potere di autonomo accertamento del giudice di merito". Nel caso di specie, la provenienza dell'immobile riceve adeguato conforto, per quanto sopra esposto, oltre che dalla condotta di non contestazione assunta dalle parti in lite, anche dall'atto notarile di divisione e vendita del 30 marzo 1999, ove sono analiticamente riportati i beni caduti nella successione legittima di (...) e devoluti ai suoi figli; la parte appellante ha altresì versato in atti, oltre alla denuncia di successione, le visure catastali, che risultano altresì allegate alla relazione di consulenza tecnica d'ufficio. Tanto debitamente chiarito, all'esito degli accertamenti effettuati dal consulente tecnico d'ufficio, mediante l'esame dei luoghi e l'accesso ai pubblici registri, risulta che il fabbricato ove si trova l'appartamento in oggetto fu realizzato con struttura portante verticale costituita da travi e pilastri in cemento armato e si trova in buone condizioni di conservazione e manutenzione. L'unità immobiliare in questione, poi, contraddistinta dal numero di interno 1, presentava, all'atto dell'accesso dell'ausiliario, pavimentazioni in piastrelle di gres maiolicato di buona qualità; infissi esterni in alluminio preverniciato e vetri, provvisti di persiane esterne del tipo alla veneziana; infissi interni in legno tamburato; pareti attintate in colori chiari di buona qualità. La superficie utile netta di questa unità immobiliare risulta essere pari a mq 62,59, come emerge dal rilievo planimetrico allegato all'elaborato peritale al numero d'ordine "1". Quanto alla verifica della regolarità urbanistica dell'unità immobiliare in comproprietà, l'ausiliario giudiziale ha riscontrato che la stessa fu costruita in forza della licenza edilizia n.(...) protocollo n. (...) e, come emerge dai rilievi planimetrici allegati all'elaborato peritale, lo stato dei luoghi che la connotano è sostanzialmente coincidente con quanto emerge dalle risultanze catastali, a meno della demolizione di due modeste tramezzature interne. Tali modeste modifiche interne non incidono in maniera sostanziale sulla consistenza immobiliare, sulla categoria catastale, sulla classe e sulla determinazione della rendita catastale. Sulla scorta di tali verifiche, il nominato c.t.u. ha concluso affermando che per l'unità immobiliare in questione sussistono i requisiti che ne garantiscono la legittimità urbanistica e ne consentono la commerciabilità ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni. Appare poi evidente, in ragione delle ridotte dimensioni dell'immobile ed in ragione del numero dei condividenti, l'impossibilità di pervenire alla formazione di un comodo progetto di divisione in natura. Sul punto, con valutazione non contestata da alcuna delle parti, il nominato c.t.u. ha evidenziato, alla pag. 36 della relazione di consulenza tecnica, che, come emerge dal rilievo planimetrico allegato al n.1 della relazione di consulenza tecnica, l'unità immobiliare ubicata al piano rialzato, interno 1, dell'edificio in questione, non è frazionabile in più unità immobiliari suscettibili di autonomo e libero godimento e ciò non solo perché l'appartamento in questione è servito da una sola porta di ingresso, ma anche perché al suo servizio esiste un'unica cucina ed un unico servizio igienico, né esistono gli spazi per crearne eventuali altri. Mette conto infatti considerare, in conformità di un orientamento assolutamente consolidato del Giudice di legittimità, che, in tema di divisione ereditaria, la non comoda divisibilità di un immobile, che integra un'eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi legittimamente predicabile quando risulti effettivamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dall'irrealizzabilità del frazionamento dell'immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dall'impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, tenuto conto dell'usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso ( cfr. Cass. sez. 2, Sentenza n. 14577 del 21/08/2012). Il concetto di comoda divisibilità di un immobile a cui fa riferimento l'art. 720 cod. civ. postula, sotto l'aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l'aspetto economico - funzionale, che la divisione non incida sull'originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell'intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso. E' pacifico, infatti, che l'art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell'art. 720 c.c., non solo nel caso di mera "non divisibilità" dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi - secondo un accertamento riservato all'apprezzamento di fatto del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua, coerente e completa - non siano "comodamente" divisibili e, cioè, allorché sia elevata la misura dei conguagli dovuti tra le quote da attribuire ovvero quando, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l'aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l'aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell'intero. (conf. Cass. n. 3635/2007; Cass. n. 14577/2012; Cass. sez. 2, Sentenza n. 25888 del 15/12/2016; Cass. sez. 2, Ordinanza n. 21612 del 28/07/2021). Sulla scorta di tali criteri, appare allora evidente che l'immobile in questione, in virtù del principio dell'omogeneità delle quote, di cui all' art. 727 c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27405 del 06/12/2013, che valorizza l'esiguità dei conguagli quale elemento sintomatico di una situazione di omogeneità), deve essere dichiarato non comodamente divisibile ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 720 c.c. (in termini cfr. Cass., sez. II, 27 giugno 1996 n.5947; 13 luglio 1995 n.7667; 2 febbraio 1995 n.1260; 15 febbraio 1990 n.1104; 7 maggio 1987 n.4233 ed altre). Accertata la indivisibilità in natura, in difetto di istanze di attribuzione formulate dai condividenti, occorre procedere a delegare la vendita del bene immobile in questione. La vendita presuppone la stima dei beni, che ai sensi dell'art.726 comma 1 c.c. va fatta secondo il valore venale degli stessi quale esso è al momento della divisione (Cass. n. 1991/3380; 1982/6469 ed altre). A tal riguardo vanno integralmente condivise le valutazioni a cui è pervenuto l'ausiliario, che questa Corte distrettuale ritiene di far proprie in quanto corrispondenti ad una corretta determinazione del valore di mercato dei cespiti, che ben può essere recepita, sebbene la data di deposito della consulenza tecnica risalga al 17 settembre 2012, in difetto di deduzione ad opera delle parti di una sensibile variazione del valore di mercato del bene medio tempore intervenuta, in un periodo, invero, caratterizzato da una certa stagnazione del mercato immobiliare. In particolare, al fine di pervenire alla determinazione del valore dell'unità immobiliare, il nominato c.t.u. ha svolto indagini di mercato prendendo in considerazione le quotazioni OMI -Agenzia del Territorio di Napoli, le indicazioni fornite dalle pubblicazioni specializzate edite dalle agenzie di intermediazione immobiliare affiliate alla FIAIP e alla FIMAA, nonché le indicazioni fornite dal Listino Ufficiale dei Valori del Mercato Immobiliare della Città di Napoli e della Provincia di Napoli. Inoltre, il c.t.u. ha tenuto conto dei parametri caratteristici, tanto dell'appartamento che del fabbricato di cui fa parte, quali vetustà, stato di conservazione, caratteristiche costruttive e rifiniture, piano ed esposizione, nonché attitudine alla produzione di reddito. Ha pertanto correttamente ritenuto di applicare coefficienti correttivi determinati dalle caratteristiche posizionali intrinseche, trattandosi di un'unità immobiliare sita al piano rialzato, e pertanto caratterizzata da una scarsa illuminazione naturale, scarso soleggiamento e totale assenza di panoramicità, nonché dalle caratteristiche produttive di reddito, trattandosi di unità immobiliare concessa in locazione e, pertanto, meno appetita sul mercato immobiliare. Per l'effetto, debitamente ridotto il valore di mercato di un appartamento di "grado ottimo", ubicato nella zona ove è situata l'unità immobiliare in oggetto, pari ad Euro 2.200,00 al metro quadro, il ctu ha determinato il valore di stima dell'immobile a vendersi nell'importo di Euro 110.158,40 (pari all'importo al metro quadro di Euro 1.760,00 x mq 62,59). L'immobile di cui in premessa va quindi messo in vendita, a mezzo delegando professionista, in un unico lotto ed al prezzo sopra riportato di Euro 110.158,40. A tal fine la causa deve essere rimessa in istruttoria come da separata ordinanza. 11. Volgendo al governo delle spese di lite, corre mente rilevare che la più recente giurisprudenza di legittimità espressasi in argomento (Cass. sez. 2, sentenza n. 1665 del 23/01/2017) ha avuto modo di chiarire che, in tema di giudizio di scioglimento della comunione, il giudice, nel risolvere con sentenza gli incidenti cognitivi tipici (quali le contestazioni sul diritto alla divisione, le controversie sulla necessità della vendita e le contestazioni sul progetto di divisione), ben può regolarne anche le spese di lite, trattandosi di provvedimenti potenzialmente definitivi perché, diversamente da quanto accade nel processo dichiarativo, quello di scioglimento della comunione non è fisiologicamente destinato a chiudersi con una decisione di merito. In particolare, nel procedimento di scioglimento della comunione le ipotesi, tipiche ed eventuali, in cui per l'insorgere d'una controversia tra le parti può instaurarsi un incidente cognitivo da decidere con sentenza, sono tre: contestazioni sul diritto alla divisione (art. 785 c.p.c.); controversia sulla necessità della vendita (artt. 787, cpv. e 788, secondo comma c.p.c.); contestazioni sul progetto di divisione (art. 789, terzo comma, seconda ipotesi, c.p.c.). Pertanto, in ognuna delle predette ipotesi il giudice, nel provvedere con sentenza, ben può emettere i provvedimenti del caso sulle spese di lite, non essendovi certezza alcuna che vi sarà un momento processuale ulteriore in cui regolarle. In altri termini, ogni sentenza emessa nel procedimento di divisione è potenzialmente definitiva (salvo ipotesi particolari e diverse da quelle tipiche di cui sopra), perché a differenza di quanto accade nel processo dichiarativo, quello di scioglimento della comunione non è fisiologicamente destinato a chiudersi con una decisione di merito, che in quanto tale debba contenere la statuizione finale sulle spese (sul carattere definitivo della sentenza resa sul progetto di divisione, cfr. Cass. n. 15466/16). Con la citata pronuncia n. 1665 del 23/01/2017, la Suprema Corte ha altresì ribadito il consolidato principio secondo cui nel procedimento di divisione le spese di causa vanno poste a carico della massa per gli atti che servono a condurre, nel comune interesse, il giudizio alla sua conclusione, mentre valgono i principi generali della soccombenza per le controversie verificatesi tra i condividenti (cfr. Cass. n. 1111/86), in ogni caso di "eccessive pretese o di inutili resistenze" (cfr. ex multis Cass. nn. 7059/02, 3083/06 e 22903/13). In buona sostanza, essendo il giudizio di divisione svolto nell'interesse comune, le spese devono essere poste a carico di tutti i condividenti, in proporzione delle rispettive quote, per gli atti effettivamente rivolti alla concreta determinazione delle quote, mentre vale il principio della soccombenza per le vicende processuali occasionate da eventuali conflitti di interesse insorti nel corso del giudizio. (Sez. 2, Sentenza n. 22903 del 08/10/2013 Sez. 2, Sentenza n. 3083 del 13/02/2006 Sez. 2, Sentenza n. 7059 del 15/05/2002; Cass. 22/11/1999 n. 12949). Nel caso di specie, in ragione dell'accoglimento del gravame, occorre provvedere ad un nuovo regolamento delle spese alla stregua dell'esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all'art. 336 c.p.c, la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che - nel caso di specie compensandole integralmente - ha statuito sulle spese. (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 1775 del 24/01/2017; Cass. Sez. L, Sentenza n. 26985 del 22/12/2009). All'esito di tale complessiva rivalutazione, e sulla scorta del principio di diritto dianzi richiamato - mentre le spese di c.t.u. possono definitivamente restare a carico di ciascuno di ciascuno dei germani A. nella misura di un ottavo, essendo la chiamata in causa di (...) intervenuta in epoca successiva all'espletamento della consulenza tecnica- appare giustificata, in considerazione delle reciproche contestazioni insorte in ordine all'"an dividendum sit", un'integrale compensazione delle spese di lite. Ciò in particolare ove si consideri che, mentre nel primo grado di giudizio le contestazioni dei convenuti, essenzialmente recepite dal primo Giudice, involgevano il lastrico di copertura ed il locale garage al piano seminterrato, nel presente grado gli appellati si sono in via principale opposti anche ad una divisione parziale, limitatamente all'immobile di cui al secondo motivo di impugnazione, instando per il rigetto del gravame ed invocando l'infondatezza della domanda di divisione, in ragione dell'omessa produzione ad opera dell'appellante di una relazione notarile comprovante le risultanze dei registri catastali ed immobiliari. P.Q.M. la Corte di Appello di Napoli, II sezione civile, pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto e tra le parti ivi indicate, avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n.5988/2017, in riforma della sentenza impugnata, così provvede: 1) Dichiara non comodamente divisibile l'immobile indicato in parte motiva, costituito dall'appartamento sito in N. alla piazza (...) n.6, al piano terra, interno 1, identificato al catasto del Comune di N. alla partita (...), sezione Secondigliano, al folio (...), p.lla (...), sub (...), e ne dispone la vendita in un unico lotto al prezzo base di Euro 110.158,40; 2) Dispone per la vendita come da separata ordinanza; 3) Compensa integralmente tra le parti le spese di lite relative al doppio grado di giudizio, ponendo le spese di c.t.u. nella misura di un ottavo ciascuno, a carico di ciascuno dei germani A.. Così deciso in Napoli il 21 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2023.

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