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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 218 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Lo. e Gi. Li. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa (Brigata Alpina "Julia" - 8° Reggimento Alpini), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza (...); Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: per l'annullamento dell'ALLEGATO "B" - foglio prot.-OMISSIS- a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- notificato al ricorrente a mani in data 04/04/2022; per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del provvedimento sopra citato nonché dell'allegato "D" (a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- alla comunicazione -OMISSIS- dd. 21/12/2021; ivi compreso l'invito a produrre la documentazione relativa all'obbligo vaccinale; di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento, comunque denominati, relativamente al periodo di sospensione o, in via gradata, del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del Codice dell'Ordinamento Militare e per la relativa condanna dell'Amministrazione a corrispondere tali somme quale risarcimento del danno subito dal ricorrente in conseguenza dei provvedimenti sopra citati; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a vedersi riconosciuti, per il periodo di sospensione, la maturazione di classi e scatti economici, la maturazione della licenza ordinaria, gli effetti pensionistici, gli accantonamenti contributivi, i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari e l'accertamento della validità del periodo di sospensione ai fini dello svolgimento delle attribuzioni specifiche/periodi di comando richiesti per l'avanzamento; nonché per la condanna dell'Amministrazione, ex art. 30 c.p.a., al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto subito dal ricorrente derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; previa, ove necessario, disapplicazione dell'art. 2 del Decreto Legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in Legge n. 3 del 21.01.2022, recante "Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali"; previa, ove necessario, remissione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dal signor -OMISSIS- il 21/6/2023: per l'annullamento - del decreto di detrazione dell'anzianità di grado -OMISSIS-, notificato l'11/04/2023, emesso dal Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, a firma del Dirigente dott. -OMISSIS-; - di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per la condanna dell'Amministrazione al pagamento della perdita economica subita dal ricorrente a seguito della detrazione di anzianità decretata e degli effetti derivanti dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso introduttivo notificato il 19 aprile 2022 e depositato il successivo giorno 18 maggio 2022, il ricorrente, C.le Magg. C.a. dell'Esercito italiano effettivo alla Compagnia Comando Supporto Logistico - 8° Reggimento Alpini di Venzone (UD), ha impugnato l'atto in epigrafe compiutamente indicato, con cui è stata disposta nei suoi confronti la sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa per inosservanza dell'obbligo vaccinale e, conseguentemente, decurtata la sua retribuzione nel periodo di sospensione. Il ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) Violazione ed errata applicazione degli artt. 885 - 877 - 878 - 893 - 914 -915 - 916 - 917 - 920 - 922 - 936 e 1352 del Codice dell'Ordinamento militare, decreto legislativo n. 66 del 15.03.2010 - incompetenza - violazione ed errata applicazione dell'art. 4 della legge n. 17 del 25.01.1982 e dell'art. 4 della legge n. 97 del 27.03.2001 - violazione del decreto legge 127/2021 - violazione del decreto legge n. 44/2021 - violazione della legge n. 76/2021 - violazione della legge n. 106/2021 - violazione dei principi di imparzialità e proporzionalità - illogicità ed ingiustizia manifesta; 2) Illegittimità costituzionale del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022, per violazione degli artt. 2 - 3 - 4 - 13 - 32 - 35 - 36 - 117 della Costituzione - violazione degli artt. 3, 21 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione dell'art. 14 della Convenzione dei diritti dell'uomo - violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 12 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali - violazione dell'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione del regolamento UE 953/2021 - violazione della dichiarazione di Helsinki - violazione art. 500 del d.lgs. n. 297/1994 (T.U. della scuola) e dell'art. 82 del d.P.R. n. 3/1957. Ha indi chiesto: a) l'annullamento del provvedimento impugnato, previa eventuale rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale prospettate; b) l'accertamento del diritto a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento relativamente al periodo di sospensione; c) in via gradata, l'accertamento del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del d.lgs. n. 66/2010; d) in ogni caso, la condanna dell'Amministrazione al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto. 2. L'Amministrazione si è costituita in giudizio in resistenza al ricorso. 3. Con l'ordinanza -OMISSIS-del 23 marzo 2023 questo T.A.R. ha sospeso il giudizio nell'attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella causa C-765/2021 su questione pregiudiziale. 4. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 9 giugno 2023 e depositato il successivo 21 giugno 2023, il ricorrente ha gravato, chiedendone l'annullamento, il decreto di detrazione dell'anzianità di grado nel frattempo emesso dall'Amministrazione, denunciandone l'illegittimità per: 1) Violazione dell'art. 4 ter del decreto legge n. 44/2021 convertito in legge n. 76 del 28.05.2021 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa; 2) Violazione delle disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate - violazione degli articoli 2251 bis, 2251 ter, 2251 quater, 2251 sexies, 2252, 2252 bis, 2252 ter, 2253, 2253 bis, 2253 ter, 2253 quater, 2253 quinquies, 2253 sexsies, 2253 septies, 2254 bis, 2254 ter, 2254 quater, 2255, 2255 bis, 2255 ter, 2256 del d.lgs. n. 66/2010 - violazione del decreto legislativo n. 94 del 29.05.2017 - violazione del decreto legislativo n. 173 del 27.12.2019 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. 5. Il 5 settembre 2023 ha presentato apposita istanza di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio e, poi, con atto in data 18 marzo 2024 ha chiesto il passaggio della causa in decisione senza discussione. 6. All'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la causa è passata in decisione. 7. Il ricorso è fondato solo in minima parte. Per il resto è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato. 8. Le censure relative all'illegittimità della disposta sospensione dal servizio sono inammissibili. Dall'esame degli atti risulta infatti che con atto -OMISSIS- del 21 dicembre 2021, spedito per la notifica al ricorrente in data 23 dicembre 2021 e da questi ricevuto il successivo 30 dicembre 2021 (doc. 007 - fascicolo Ministero in data 31/05/2024), è stato accertato l'inadempimento dell'obbligo vaccinale ed è stata disposta a carico del medesimo la sospensione dall'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari, con i correlati effetti di legge. Come da preliminare rilievo formulato con l'ordinanza collegiale n. -OMISSIS- e ribadito all'odierna udienza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., l'effetto lesivo della sfera giuridica del ricorrente, in ragione della sospensione dal servizio, si era già manifestato il 21 dicembre 2021 (rectius il 30 dicembre 2021); sicché era quell'atto a dover essere immediatamente impugnato, cosa che invece non è avvenuta. Con l'atto del 31 marzo 2022, impugnato con il presente ricorso, l'Amministrazione ha solamente operato una ricognizione del periodo di sospensione, quantificando l'effettiva durata della sospensione dal servizio già in precedenza disposta. Per la parte in cui si ribadisce la già disposta sospensione ed i suoi effetti, l'atto ricognitorio impugnato non presenta alcuna novità ; ne consegue la natura meramente confermativa dell'atto in parte qua (cfr. T.A.R. Piemonte, n. 196/2024). Le censure che in questa sede contestano in sé l'istituto della sospensione sono quindi inammissibili per carenza d'interesse. 9. Quanto alle restanti questioni di merito, in buona parte infondate, questo Collegio condivide in toto le argomentazioni sviluppate dal T.A.R. Lombardia, Brescia, nella sentenza n. 940/2023 che devono qui intendersi richiamate. 9.1. Nello specifico del primo motivo di ricorso, quanto alla censura d'incompetenza del Comandante di Corpo ad adottare l'atto ricognitivo del periodo di sospensione, è sufficiente ribadire che l'art. 4-ter, comma 2, del d.l. 44/2021, prevede che il rispetto dell'obbligo vaccinale sia assicurato, per il personale del comparto difesa e sicurezza, da "i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale", nel senso chiarito dal T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023 ("La competenza di cui alla disposizione appena citata si riferisce ad " assicurare il rispetto dell'obbligo" di vaccinazione: questo significa, con tutta evidenza, non solo accertare i casi di inosservanza di tale obbligo, ma anche applicare la sospensione dal lavoro che la legge prevede come conseguenza di tale inosservanza, perché il rispetto di un qualsivoglia obbligo viene assicurato anche applicando le conseguenze sfavorevoli che l'ordinamento prevede per il caso di inosservanza. Peraltro la legge prevede che la sospensione sia automatica e contestuale all'accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale: il 3° comma dell'art. 4 ter cit. dispone infatti che " L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro" . Pertanto il titolare del potere di accertamento può senza dubbio dichiarare l'avvenuta sospensione dal lavoro del pubblico dipendente, con un atto che è meramente ricognitivo dell'effetto prodotto ex lege, e non costitutivo"). 9.2. L'ulteriore censura relativa alla violazione dell'art. 893, comma 2, del d.lgs. n. 66/2010 ("Il rapporto di impiego può essere interrotto, sospeso o cessare solo in base alle disposizioni del presente codice") è inammissibile, perché essa attiene, a ben vedere, ad un vizio che doveva essere dedotto con la tempestiva impugnativa del presupposto decreto di sospensione dal servizio. La censura è comunque manifestamente infondata "perché è nozione istituzionale che un atto avente forza di legge, quale il decreto legge che ha introdotto l'obbligo di vaccinazione anti-Covid per alcune categorie di lavoratori, ben può derogare a una fonte di pari rango, qual è il codice dell'ordinamento militare. Che poi la norma derogatoria, giustificata dall'emergenza pandemica, sia collocata all'interno del medesimo codice oppure in un corpus normativo distinto, non ha nessuna incidenza sulla legittimità e sull'efficacia della norma medesima. Peraltro la scelta di non collocare la norma all'interno del c.o.m. risulta del tutto ragionevole, considerando sia il carattere temporaneo della stessa, collegata alla durata della pandemia, sia il fatto che l'obbligo vaccinale è stato previsto con identica disciplina, in un corpus normativo unitario, anche per altre categorie di dipendenti pubblici estranei all'ordinamento militare" (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023). 9.3. La censura relativa alla violazione dell'art. 920 del d.lgs. n. 66/2010 ("Al militare durante la sospensione dall'impiego compete la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo. Agli effetti della pensione, il tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà ") è fuori fuoco atteso che essa non tiene conto né si confronta con quanto previsto dalla norma speciale derogatoria. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dall'art. 2 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, dettava precise disposizioni sulle modalità di accertamento della violazione dell'obbligo vaccinale e sulle sue esatte conseguenze, prevedendo al riguardo che "... L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". Si osserva, peraltro, che le ipotesi in cui è prevista la corresponsione di emolumenti al personale sospeso dall'impiego (art. 82 del d.P.R. 3/1957, art. 920 del d.lgs. 66/2010) si correlano a vicende (procedimenti penali o disciplinari pendenti) che "procedono in modo autonomo ed insensibile, rispetto alla volontà dell'incolpato o dell'imputato di poterne bloccare lo svolgimento (per l'effetto, dimostrandosi giustificata l'erogazione di alcune provvidenze, quali la corresponsione di parte degli assegni a carattere fisso e continuativo e dell'assegno alimentare); laddove la persistenza della sospensione dal diritto all'erogazione della prestazione lavorativa (e della percezione degli emolumenti a fronte di essa spettanti) consegue a fatto "proprio", volontariamente posto in essere dal dipendente (obbligato a vaccinarsi) e dal medesimo liberamente rimuovibile, in ogni momento, per effetto del mero assolvimento del comportamento doveroso di cui trattasi" (cfr. T.A.R. Lazio, n. 4914/2022). Come ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 14/2023 (al paragrafo 13.2) a proposito della norma analoga valevole per il personale sanitario, la sospensione dal lavoro prevista dall'art. 4 ter del d.l. 44/2021 non è una sanzione, ma è "una conseguenza calibrata, in termini di sacrificio dei diritti dell'operatore sanitario, che sia strettamente funzionale rispetto alla finalità perseguita di riduzione della circolazione del virus. E ciò tanto in termini di durata, posto che... il legislatore ha introdotto, sin dall'inizio, una durata predeterminata dell'obbligo vaccinale, modificandola, costantemente, in base all'andamento della situazione sanitaria, giungendo ad anticiparla appena la situazione epidemiologica lo ha consentito; quanto in termini di intensità, trattandosi di una sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione". Del tutto generica è poi la deduzione che "alle categorie di soggetti obbligati per legge alla somministrazione del vaccino in oggetto avrebbe dovuto essere rilasciata una apposita prescrizione medica che, invece, come noto, non viene rilasciata da alcun medico curante derivandone anche da tale circostanza l'illegittimità del provvedimento di sospensione oggi impugnato", atteso che l'obbligo di vaccinazione discendeva direttamente dalla legge, senza necessità di ulteriori intermediazioni. In ogni caso il vizio attiene all'originario provvedimento sospensivo. 10. Il secondo motivo è in buona parte inammissibile e precisamente nella parte in cui con esso la parte ricorrente ha dedotto l'illegittimità della disposta sospensione per la violazione di parametri costituzionali e internazionali; censure che, tuttavia, andavano rivolte al provvedimento col quale la sospensione era stata disposta. 10.1. Quanto alle conseguenze patrimoniali, connesse in effetti agli specifici provvedimenti qui gravati, si rileva quanto segue. 10.1.1. Quanto agli aspetti concernenti il riconoscimento di un assegno alimentare, sotto il profilo della legittimità costituzionale dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, la Corte Costituzionale ha già esaminato la questione, ritenendola infondata, anche sotto il profilo della proporzionalità e ragionevolezza (cfr. par. 14 della sentenza n. 15/2023). 10.1.2. Fatto salvo quanto si osserverà in seguito (pt. 10.1.4), anche la dedotta violazione dell'art. 36 Cost. risulta manifestamente infondata atteso che "la situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa in cui si viene a trovare il dipendente che non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale deriva pur sempre da una scelta individuale di quest'ultimo e non da un fatto oggettivo. Nondimeno il legislatore, proprio nel rispetto della eventuale scelta del lavoratore di non attenersi all'obbligo vaccinale, si è limitato a prevedere la sospensione del rapporto di lavoro, disciplinando la fattispecie alla stregua di una impossibilità temporanea non imputabile. Di conseguenza, poiché la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all'obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, è certamente giustificato il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro e lo stato di quiescenza in cui entra l'intero rapporto è semplicemente un mezzo per la conservazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto" (così la richiamata sentenza n. 15/2023). 10.1.3. Le altre censure proposte (violazione dell'obbligo vaccinale in oggetto rispetto all'art. 32 della Costituzione e le questioni relative al consenso libero e informato della persona interessata) erano da dedursi con l'impugnativa del provvedimento del dicembre 2021, ormai consolidatosi. Non giova alla ricorrente nemmeno il richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia C-765/2021 che ha giudicato irricevibile il rinvio pregiudiziale sottopostole dal Tribunale di Padova. La ricorrente, nella sua memoria depositata in giudizio il 16 febbraio 2024, enfatizza un unico passaggio motivazionale della pronuncia del giudice europeo ("il rilascio di dette autorizzazioni condizionate non comporta, in quanto tale, alcun obbligo, in capo ai destinatari potenziali di tali vaccini, di farsi somministrare questi ultimi, tanto più che il giudice del rinvio non ha esplicitamente posto l'interrogativo se le persone assoggettate all'obbligo vaccinale previsto all'articolo 4 del decreto-legge n. 44/2021 fossero obbligate ad assumere unicamente i vaccini oggetto delle suddette autorizzazioni condizionate" (punto 36) senza cogliere che l'argomento è stato speso per rilevare che non era stata adeguatamente chiarita dal giudice rimettente la rilevanza del parametro del diritto Ue invocato. D'altra parte la stessa pronuncia sul punto chiarisce senza equivoci che "Di conseguenza, in assenza di qualsiasi spiegazione da parte del giudice del rinvio circa i motivi per cui esso mette in discussione la validità delle autorizzazioni all'immissione in commercio condizionate nonché circa quelli relativi all'eventuale nesso tra, da un lato, la validità di tali autorizzazioni e, dall'altro, l'obbligo vaccinale contro la COVID-19 previsto all'articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, si deve giudicare che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa i requisiti ricordati al punto 31 della presente sentenza per quanto riguarda la prima questione" (punto 37). 10.1.4. L'impugnazione merita, invece, di essere accolta, laddove rivolta alle conseguenze pregiudizievoli ulteriori rispetto alla privazione della retribuzione o di altro compenso o emolumento, fatte derivare dal Ministero intimato e compendiate nel provvedimento del 31 marzo 2022 e, poi, in quello del 22 giugno 2022, gravato col ricorso per motivi aggiunti. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. 1 aprile 2021, n. 44 legittima, invero, durante la sospensione dal servizio, unicamente la privazione della retribuzione o compenso o emolumento (in termini T.A.R. Lombardia - Milano, sez. I, 2 gennaio 2023, n. 16; T.A.R. FVG, sez. I, 27 febbraio 2023, n. 74; T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. III, 6 giugno 2023, n. 1877; T.A.R. Lombardia - Milano, sez. V, 21 novembre 2023, n. 2750). Depone, invero, in tal senso, oltre al pacifico dato testuale, la circostanza, correttamente evidenziata dal ricorrente, che il legislatore, con riguardo ai casi di sospensione dal servizio per motivi penali e disciplinari, si è preoccupato di disciplinare specificamente le conseguenze che ne derivano sotto il profilo economico e giuridico, nel mentre, nel caso specifico, nulla ha disposto sul punto, essendosi limitato a stabilire che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". In parte qua, il ricorso va, pertanto, accolto e, per l'effetto, annullati i provvedimenti gravati laddove viziati. Ne deriva l'obbligo per l'Amministrazione intimata di conformarsi sul punto alla presente decisione e di disporre in merito, adottando ogni necessario atto e/o provvedimento. 11. Le domande di accertamento (i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari) e di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno sono del tutto generiche e, pur proposte, non sono state adeguatamente e analiticamente dedotte nel corpo del ricorso. 12. In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso e il ricorso per motivi aggiunti vanno accolti nei sensi e limiti dianzi evidenziati. Il ricorso introduttivo, per il resto, deve essere, in parte, dichiarato inammissibile e, in parte, rigettato. 13. Le spese di lite, per la novità di alcune delle questioni esaminate, possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie nei sensi e limiti evidenziati in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento prot.-OMISSIS- (in parte qua) e il provvedimento n. -OMISSIS- 22/06/2022. Per il resto, dichiara il ricorso introduttivo in parte inammissibile e in parte lo respinge. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Modica de Mohac - Presidente Manuela Sinigoi - Consigliere, Estensore Daniele Busico - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. MARI Attilio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI PALERMO; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); inoltre: PARTI CIVILI; avverso la sentenza del 14/01/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. Dott. LUCA TAMPIERI, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza. udito il Difensore: e' presente l'Avv. Giovanni CASTRONOVO, del Foro di PALERMO, in difesa delle PARTI CIVILI (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) Per (OMISSIS) sono presenti i Difensori, Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi del Foro di AGRIGENTO. L'Avv. (OMISSIS) chiede di confermare la sentenza impugnata o, in subordine, di annullare la stessa, per intervenuta prescrizione; l'Avv.ssa (OMISSIS) si associa. RITENUTO IN FATTO 1.La Corte di appello di Palermo il 14 gennaio 2022, in integrale riforma della sentenza, appellata dall'imputato, con la quale il Tribunale di Agrigento il 19 dicembre 2019, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto (OMISSIS) responsabile del reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina anti-infortunistica, fatto commesso il (OMISSIS) - decesso avvenuto il 24 ottobre 2010, in conseguenza condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni, in forma generic:a, alle parti civili, ed applicando sanzioni ai sensi della L. 8 giugno 2001, n. 231, alla s.r.l. "(OMISSIS)", ha invece assolto l'imputato per insussistenza del fatto e ha revocato sia le statuizioni civili sia le sanzioni irrogate all'ente. 2. I fatti, in estrema sintesi. Nel tardo pomeriggio del (OMISSIS) il meccanico (OMISSIS) e' stato trovato a terra sul pavimento dell'officina della "(OMISSIS)" scarl, con amplissima parte del corpo ustionata: trasportato di urgenza con eliambulanza in Ospedale specializzato, e' morto otto giorni dopo. Al momento dell'arrivo dei soccorritori, alle ore 19.42, nell'officina era in corso un incendio, localizzato nel veicolo sollevato sul ponte e nella parte alta dell'immobile, come riferito dai Vigili del fuoco intervenuti. 2.1. Ha ritenuto il Tribunale che il meccanico quel giorno si trovasse all'interno della cabina di guida di un furgone Fiat Ducato, collocato in alto su di un ponte sollevatore, intento ad effettuare riparazioni inerenti alla frizione del cambio, tramite una doppia saldatura: dal basso, cioe' stando in piedi a terra, attraverso la saldatrice a filo continuo, e dall'alto, cioe' agendo all'interno dell'abitacolo, in posizione accovacciata, con il cannello a gas. Trovandosi, appunto, dentro il veicolo, essendovi entrato da un finestrino abbassato, l'operaio ha acceso con fiamma libera un attrezzo per la saldatura munito di cartuccia contenente GPL, da cui in precedenza era uscito del gas, cosi' provocando un'esplosione e, quindi, un incendio che si e' subito propagato alle parti incendiabili del veicolo (plastiche, imbottiture, moquette ed alla zona alta della pareti dell'immobile: le fiamme hanno determinato lesioni gravissime (ustioni circa al 95% del corpo), che hanno causato, malgrado i tempestivi soccorsi, la morte dell'uomo, otto giorni dopo. 2.2. (OMISSIS) e' stato riconosciuto colpevole, in veste di legale rappresentante della s.r.l. "(OMISSIS)", essendosi ritenuta la vittima solo apparentemente socio-lavoratore della "(OMISSIS)" scarl, appaltatrice di servizi dalla "(OMISSIS)", ma priva di effettiva capacita' imprenditoriale e, in realta', alla luce di svariati indici fattuali, analiticamente indicati in sentenza (alle pp. 51-62), dipendente di fatto di tale societa', sotto plurimi profili, analiticamente sviluppati nella decisione di primo grado (pp. 64-70), per avere (OMISSIS) omesso ogni valutazione circa l'effettivo rischio di quell'impresa e per avere omesso o inadeguatamente effettuata la doverosa formazione ed informazione del lavoratore. 2.3. La Corte di appello, come accennato, ha integralmente riformato la sentenza ritenendo, in buona sostanza, esistenti plurime e serie lacune nella ricostruzione degli accadimenti (circa le modalita' di introduzione della vittima nell'abitacolo dell'auto e di uscita dallo stesso; circa l'assenza di lesioni da esplosione sul corpo del malcapitato; circa la idoneita' del "cannellino" ad effettuare l'attivita' che la persona offesa stava svolgendo; circa la ragione per cui la vittima non indossasse la maschera "da saldatore" di cui pure era munita rispetto alle operazioni da svolgersi, essendo stata la maschera rinvenuta su una sedia, ne' la tuta ignifuga), lacune tali da non potersi escludere che il lavoratore abbia posto in essere un comportamento abnorme: si legge, infatti, nella sentenza impugnata, alla p. 7, che "le predette criticita' impediscono di recepire come attendibile la ricostruzione della dinamica dell'evento descrita nella sentenza impugnata (...): il che (...) non consente di escludere la tesi dell'abnormita' dell'atto del lavoratore". Si e' ritenuto, inoltre (p. 8 della decisione), non superato nel caso di specie il canone dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" per la conferma della condanna. 3.Tanto premesso, ricorre per la cassazione della sentenza il Procuratore Generale della Corte di appello di Palermo, affidandosi ad un solo, complessivo, motivo con il quale denunzia violazione di legge, anche sotto il profilo della mancanza di motivazione, e vizio di motivazione, che sarebbe contraddittoria ed illogica. In particolare, il ricorrente lamenta la illegittimita' ed erroneita' del ribaltamento della decisione in difetto di una confutazione, specifica e completa, delle argomentazioni della sentenza di primo grado, senza disattendere in maniera argomentata le prove raccolte e peraltro in mancanza di elementi probatori sopravvenuti o nuovi. La Corte di appello, ad avviso del ricorrente, avrebbe trasc:urato il contenuto delle dichiarazioni dei colleghi di lavoro della vittima, tra cui (OMISSIS), secondo cui spesso (OMISSIS)entrava, sia pure con difficolta', dal finestrino dei furgoni sopraelevati sul ponte per effettuare riparazioni e quel giorno stava effettuando una lavorazione che richiedeva di agire sia dal basso che dall'alto. Inoltre, segnala criticamente il Requirente che la consulenza dell'ing. (OMISSIS) ha posto in luce reiterate e gravissime violazioni della disciplina in tema di sicurezza e gravi carenze informative nei confronti dei lavoratori. Sottolinea, infine, che le lesioni alle mani e alle zone genitali, secondo quanto ritenuto dalla consulente di parte (OMISSIS), sono compatibili con la posizione accovacciata che (OMISSIS) aveva all'interno del veicolo al momento del fatto e che il consulente tecnico (OMISSIS) ha spiegato perche', nonostante l'avvenuta esplosione, sul corpo della vittima non siano state trovate lesioni da esplosione. Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata. 4. Il P.G. della S.C. nella requisitoria scritta del 29 marzo 2023 ha domandato annullarsi con' rinvio la sentenza impugnata. 5. Con ampia memoria del 5 aprile 2023 (OMISSIS) e la soc. "(OMISSIS)" hanno chiesto dichiararsi inammissibile o, c:omunque, rigettarsi il ricorso del P.G., sviluppando due temi. In primo luogo, hanno sottolineato le ragioni di fatto per cui la vittima non poteva trovarsi dentro il veicolo al momento dell'incendio, la stranezza e, anzi, la inspiegabilita' dell'assenza di ferite da taglio o di graffi sul corpo dell'uomo, ove lo stesso sia uscito attraverso finestrini rotti pero' l'esplosione, l'assenza di segni di saldatura sul furgone, proponendo la tesi che si stata la vittima, che era in officina fuori da un giorno lavorativo (sabato pomeriggio) e senza tuta, a manomettere volontariamente la bomboletta del gas e cio' per auto-procurarsi un infortunio e cosi' ottenere del denaro, essendo probabile che la stessa abbia in precedenza perso soldi al video-poker, senza essere poi in grado di controllare le conseguenze distruttive del suo agire scellerato. In ogni caso - prosegue la memoria - ne' l'imputato persona fisica ne' la societa' "(OMISSIS)" sarebbero mai stati i datori di lavoro della vittima. E' stata tempestivamente domandata la discussione orale del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Premesso che il reato contestato si prescrivera' non prima del 24 ottobre 2025 (fatto del 24 ottobre 2010 + 15 anni, oltre ai periodi di sospensione di cui si da' atto alle pp. 1 e ss. della decisione di primo grado), il ricorso e' fondato e deve essere accolto, per le seguenti ragioni. 2. A fronte di una sentenza di primo grado ampia (77 pagine) e molto analitica, la decisione impugnata si limita a qualche stringata considerazione (pp. 5-8), in buona sostanza affermando che, non essendo certa, ad avviso della Corte di merito, la dinamica del sinistro, non potrebbe escludersi un comportamento abnorme del lavoratore. L'argomentare della Corte di merito si pone,o' pero', in netto contrasto con due consolidati principi di diritto cui occorre invece dare continuita': i'l primo, che sottolinea la speciale forza persuasiva che deve avere la sentenza di riforma (v., ex plurimis, Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, PC in proc Fu e altri, Rv. 261327, secondo cui "In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna pronunciata in primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, deve, sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del "decisum" impugnato, metterne in luce le carenze o le aporie, che ne giustificano l'integrale riforma"; Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016, dep. 2017, P.G. in proc. Decreto Legge n., Rv. 269523, secondo cui "li giudice di appello che, riformando integralmente la sentenza di condanna di primo grado, assolve l'imputato per contraddittorieta' del quadro probatorio, ha un dovere di motivazione "rafforzata", consistente nell'obbligo di offrire un autonomo ragionamento che non si limiti ad una valutazione soltanto numerica degli elementi di prova contrapposti, ma consideri anche il peso, inteso come capacita' dimostrativa, degli stessi"; e, soprattutto, Sez. U, n. 1480Euro) del 21/12/2017, dep. 2018, P.G. in proc. Troise, Rv. 272430, che ha puntualizzato che "Il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva"); ed il secondo, in tema di accertamento della abnormita' della condotta del lavoratore e delle lacune datoriali in tema di sicurezza: e' affermazione costante e condivisibile quella secondo cui "In tema di infortuni sul lavoro, perche' possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilita' del garante, e' necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, cosi' che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potra' essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante. (Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilita' del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato)" (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242; nello stesso senso, tra le numerose: Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321, secondo cui "In tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilita' del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. (Fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto confiqurabile la responsabilita' del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza)"; Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Battafarano, Rv. 254365, secondo cui "In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro" in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumita' fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicche' la sua responsabilita' puo' essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtu' di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalita', dell'abnormita' e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilita' in ordine al reato di cui all'articolo 590, comma 3, cod. peti. - dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale)"; e Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007, Masi e altro, Rv. 236109, secondo cui "In tema di infortuni sul lavoro, l'eventuale colpa concorrente dei lavoratori non puo' spiegare alcun effetto esimente per i soggetti aventi l'obbligo di garantire la sicurezza e che si siano resi responsabili di violazioni di prescrizioni in materia antinfortunistica. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto provata la responsabilita' del datore di lavoro che non aveva sufficientemente istruito il lavoratore sull'uso della macchina)"). 3. A cio' si aggiunga che il passaggio motivazionale che caratterizza p. 7 della sentenza impugnata, secondo cui "/e predette criticita' impediscono di recepire come attendibile la ricostruzione della dinamica dell'evento descritta nella sentenza impugnata (...) il che (...) non consente di escludere la tesi dell'abnormita' dell'atto del lavoratore", sottende il tema, di fondamentale importanza nel caso di specie, dei poteri/doveri del giudice nell'accertamento di fatti che esulino dalle conoscenze, per cosi' dire, "ordinarie" ma che richiedano specifiche competenze tecniche o scientifiche. 3.1. Al riguardo appare opportuno richiamare alcune considerazioni gia' svolte dalla S.C. nella parte motiva (sub nn. 2, 3 e 4 del "considerato in diritto", pp. 12-19) di Sez. 4, n. 36149 del 07/07/2021, Righi ed alto, non mass., ed inoltre, e specialmente, in quella (sub nn. 5.1, 5.2, 5.3 e 5.4 del "considerato in diritto", pp. 9-14) di Sez. 4, n. 2474 del 15/10/2021, dep. 2022, Masturzo, Rv. 282612, la cui massima ufficiale recita: "Il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado sulla base del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, e' tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata che dia razionale giustificazione della difforme decisione adottata, indicando in maniera approfondita e diffusa gli argomenti, specie se di carattere tecnico-scientifico, idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado". Occorre prendere le mosse dall'articolo 220, comma 1, c.p.p., che recita: "La perizia e' ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche". 3.2. Dal tenore testuale della norma si ricava agevolmente che, nella sistematica del codice di rito, il ricorso alla perizia e' rimesso alla valutazione discrezionale del giudice: ed infatti "La perizia e' un mezzo di prova essenzialmente discrezionale, essendo rimessa al giudice di merito, anche in presenza di pareri tecnici e documenti medici prodotti dalla difesa, la valutazione della necessita' di disporre indagini specifiche. Non e', pertanto, sindacabile in sede di legittimita', se sorretto da adeguata motivazione, il convincimento espresso da quel giudice circa l'esistenza di elementi tali da escludere la situazione che l'accertamento peritale richiesto dovrebbe dimostrare" (tradizionale insegnamento di Sez. 1, n. 7570 del 09/06/1993, Nastasi ed altro, Rv. 194776; esattamente in termini, Sez. 5, n. 1476 del 10/12/1997, dep. 1998, Illiano ed altri, Rv. 209805; Sez. 6, n. 34089 del 07/07/2003, Bombino, Rv. 226330; nello stesso senso, ossia che spetta al giudice del merito, fornendo naturalmente motivazione, che, se adeguata, risulta insindacabile in sede di legittimita', valutare le risultanze processuali e la necessita' o meno di una perizia, v., tra le altre, Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 2013, Cena e altri, Rv. 254226; Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012, Ritorto e altri, Rv. 253707; Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013, Sciarra, Rv. 255152; Sez. 2, n. 52517 del 03/11/2016, Russo, Rv. 268815; sino a Sez. U, n. 39476 del 23/03/2017, A ed altro, Rv. 270936). Valutazione discrezionale - si e' detto - che non e' sinonimo, pero', di valutazione capricciosa. Ed infatti la S.C. ha in piu' occasioni evidenziato che prudente apprezzamento e libero convincimento del giudice non equivalgono certo ad arbitrium merum (tra le numerose, v., assai autorevolmente, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, sub n. 9.5. del "considerato in diritto", p. 96). 3.3. La questione che viene in luce, quindi, e' quella dell'acquisizione al processo di informazioni scientifiche e tecniche attendibili, a proposito della quale si e' - assai condivisibilmente - precisato quanto segue (Se2:. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, Rv. 255105): "Questa Suprema Corte (Sez. IV, 17 settembre 2010, n. 43786, Cozzini, Rv. 248943) ha gia' avuto modo di porre in luce i pericoli che incombono in questo campo: la mancanza di cultura scientifica dei giudici, gli interessi che talvolta stanno dietro le opinioni degli esperti, le negoziazioni informali oppure occulte tra i membri di una comunita' scientifica; la provvisorieta' e mutabilita' delle opinioni scientifiche; addirittura, in qualche caso, la manipolazione dei dati; la presenza di pseudoscienza in realta' priva dei necessari connotati di rigore; gli interessi dei committenti delle ricerche. Tale situazione rende chiaro che il giudice non puo' certamente assumere un ruolo passivo di fronte allo scenario del sapere scientifico, ma deve svolgere un penetrante ruolo critico, divenendo (come e' stato suggestivamente affermato) custode del metodo scientifico. Si e' pure posto in luce che il primo e piu' indiscusso strumento per determinare il grado di affidabilita' delle informazioni scientifiche che vengono utilizzate nel processo e' costituto dall'apprezzamento in ordine alla qualificazione professionale ed all'indipendenza di giudizio dell'esperto. Tuttavia, cio' puo' non bastare. Infatti non si tratta tanto di comprendere quale sia il pur qualificato punto di vista del singolo studioso, quanto piuttosto di definire, ben piu' ampiamente, quale sia lo stato complessivo delle conoscenze accreditate. Pertanto, per valutare l'attendibilita' di una tesi occorre esaminare gli studi che la sorreggono; l'ampiezza, la rigorosita', l"oggettivita' delle ricerche; il grado di consenso che l'elaborazione teorica raccoglie nella comunita' scientifica. Inoltre, e' di preminente rilievo l'identita', l'autorita' indiscussa, l'indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, le finalita' per le quali si muove. Insomma, dopo aver valutato l'affidabilita' metodologica e l'integrita' delle intenzioni, occorre infine tirare le fila e valutare se esista una teoria sufficientemente affidabile ed in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l'argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. Naturalmente, il giudice di merito non dispone delle conoscenze e delle competenze per esperire un'indagine siffatta: le informazioni relative alle differenti teorie, alle diverse scuole di pensiero, dovranno essere veicolate nel processo dagli esperti. Costoro, come si e' accennato, non dovranno essere chiamati ad esprimere (solo) il loro personale seppur qualificato giudizio, quanto piuttosto a delineare lo scenario degli studi ed a fornire gli elementi di giudizio che consentano al giudice di comprendere se, ponderate le diverse rappresentazioni scientifiche del problema, vi sia conoscenza scientifica in grado di guidare affidabilmente l'indagine. Di tale indagine il giudice e' infine chiamato a dar conto in motivazione, esplicitando le informazioni scientifiche disponibili e fornendo razionale spiegazione, in modo completo e comprensibile a tutti, dell'apprezzamento compiuto. Si tratta di indagine afferente alla sfera del fatto e dunque rimessa alla valutazione del giudice di merito; mentre il controllo' di legittimita' attiene solo alla razionalita' ed alla rigorosita' dell'apprezzamento compiuto. Alla stregua di quanto precede risulta chiarito e nobilmente enfatizzato il ruolo di peritus peritorum tradizionalmente conferito al giudice. Nessuna rivendicazione di potere e di supremazia. Piuttosto, l'indicazione di un metodo. Il giudice, con l'aiuto degli esperti, individua il sapere accreditato che puo' orientare la decisione e ne fa uso oculato, metabolizzando la complessita' e pervenendo ad una spiegazione degli eventi che risulti comprensibile da chiunque, conforme a ragione ed umanamente plausibile: il piu' alto ed impegnativo compito conferitogli dalla professione di tecnico del giudizio. Il perito non e' piu' (non avrebbe mai dovuto esserlo) l'arbitro che decide il processo, ma l'esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell'ambito cui il giudizio si interessa, spiegando quale sia lo stato del dibattito nel caso in cui vi sia incertezza sull'affidabilita' degli enunciati della scienza o della tecnologia. Tutto cio' ha a che fare con I temi della legalita', della determinatezza e della colpevolezza. Si vuol dire che l'ontologica "terzieta'" del sapere scientifico accreditato e' lo strumento a disposizione del giudice e delle parti per conferire oggettivita' e concretezza al precetto ed al giudizio di rimprovero personale". Infatti gia' la sentenza (espressamente richiamata, come si e' visto, dal precedente di legittimita' appena citato) di Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini ed altri, aveva preso posizione, ancora con maggiore approfondimento argomentativo, sul tema della centralita' del sapere scientifico, sulle modalita' di introduzione dello stesso nel processo, sul significato da attribuire al tradizionale brocardo iudex peritus peritorum e sul ruolo del giudice, vero e proprio "custode e garante della scientificita' della conoscenza fattuale espressa dal processo" (cfr. punti nn. 14-17 dei "motivi della decisione", pp. 36-50): nell'occasione la Corte di legittimita', tra l'altro, aveva posto in luce che, in tema di utilizzazione del sapere scientifico nel processo penale, "occorre in primo luogo considerare che il problema della prova scientifica prende corpo quando l'inferenza probatoria che e' alla base dell'accertamento del fatto non puo' essere articolata sulla base di conoscenze ordinarie, del sapere diffuso" e che la valutazione delle emergenze istruttorie "attiene al fatto, e' al servizio dell'attendibilita' dell'argomentazione probatoria ed e' dunque rimessa al giudice di merito che di:Spone, soprattutto attraverso la perizia, degli strumenti per accedere al mondo della scienza. Al contrario, il controllo che la Corte Suprema e' chiamato ad esercitare attiene alla razionalita' delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito esprime"" (cosi' sub n. 14, pp. 36-37 di Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini ed altri, cit.). Si tratta di condivisibili affermazioni, peraltro recentemente ribadite (Sez. 4, n. 54795 del 13/07/2017, Grossi, Rv. 271668, sub nn. 2 e 3 del "considerato in diritto", pp. 4 e ss.): "(...) l'articolo 220 c.p.p. prevede l'espletamento della perizia ogniqualvolta sia necessario svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze di natura tecnica. La specificita' delle competenze va rapportata alle conoscenze ordinarie dell'uomo medio. La perizia va dunque disposta allorche' occorrano competenze che esulano dal patrimonio conoscitivo dell'uomo medio, in un dato momento storico e in un dato contesto sociale (Cass., Sez. 1, n. 11706 dell'11-11-1993, Rv. 196075). Lo svolgimento di indagini comprende la ricerca e l'estrapolazione di dati da una determinata realta' fenomenica nonche' la loro analisi e rielaborazione critica. L'acquisizione di dati implica la rilevazione, selezione e organizzazione di dati gia' esistenti, in modo funzionale rispetto alle richieste del giudice. L'acquisizione di valutazioni comprende l'individuazione ed enunciazione di nozioni e di regole tecniche, di leggi scientifiche, di massime di esperienza e di inferenze fondate su dati gia' acquisiti mediante altri mezzi di prova o direttamente ottenuti attraverso le operazioni peritali. E' vero pertanto che l'ammissione della perizia e' rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice (Cass., Sez. 6, n. 34089 del 7-7-2003; Sez. 5, n. 22770 del 15-4-2004). Tuttavia non si puo' prescindere dal rilievo che la perizia rappresenta un indispensabile strumento probatorio, allorche' si accerti il ricorrere del presupposto inerente alla specificita' delle competenze occorrenti per l'acquisizione e la valutazione di dati, perfino laddove il giudice possieda le specifiche conoscenze dell'esperto, perche' l'eventuale impiego, ad opera del giudicante, della sua scienza privata costituirebbe una violazione del principio del contraddittorio e del diritto delle parti sia di vedere applicato un metodo scientifico sia di interloquire sulla validita' dello stesso (Cass., Sez. 5, n. 9047 del 15-6-1999, Rv. 214295). L'ontologica terzieta' del sapere scientifico accreditato e' lo strumento a disposizione del giudice e delle parti per conferire oggettivita' e concretezza al precetto e al giudizio di rimprovero personale. E' ben vero infatti che al giudice e' attribuito il ruolo di peritus peritorum. Ma cio' non lo autorizza affatto ad intraprendere un percorso avulso dal sapere scientifico, avventurandosi in opinabili valutazioni personali, sostituendosi agli esperti e ignorando ogni contributo conoscitivo di matrice tecnico-scientifica. Il ruolo di peritus peritorum abilita invece il giudice a individuare, con l'aiuto dell'esperto, il sapere accreditato che puo' orientare la decisione e a farne un uso oculato, pervenendo a una spiegazione razionale dell'evento. Il perito non -e' l'arbitro che decide il processo ma l'esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell'ambito fenomenologico al quale attiene il giudizio, spiegando quale sia lo stato del dibattito, nel caso in cui vi sia incertezza sull'affidabilita' degli enunciati a cui e' possibile addivenire, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili in un dato momento storico. Tocchera' poi al giudice tirare le fila e valutare se si sia addivenuti a una spiegazione dell'eziologia dell'evento e delle dinamiche in esso sfociate sufficientemente affidabile e in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni, che possano supportare adeguatamente l'argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. Il sapere scientifico costituisce infatti un indispensabile strumento al servizio del giudice di merito, il quale dovra' pero' valutare l'autorita' scientifica dell'esperto nonche' comprendere se gli enunciati che vengono proposti trovino comune accettazione nell'ambito della comunita' scientifica (Cass., Sez. 4, n. 43796 del 17-9-2010, Rv. 248943). Il giudice deve dunque esaminare le basi fattuali sulle quali le argomentazioni del perito sono state condotte; l'ampiezza, la rigorosita' e l'oggettivita' della ricerca; l'attitudine esplicativa dell'elaborazione teorica nonche' il grado di consenso che le tesi sostenute dall'esperto raccolgono nell'ambito della comunita' scientifica (Cass., Sez. 4, n. 18678 del 14-3-2012, Rv. 252621), fermo rimanendo che, ai fini della ricostruzione del nesso causale, e' utilizzabile anche una legge scientifica che non sia unanimemente riconosciuta, essendo sufficiente il ricorso alle acquisizioni maggiormente accolte o generalmente condivise, attesa la diffusa consapevolezza della relativita' e mutabilita' delle conoscenze scientifiche (Sez. U., 25-1-2005, Rv. 230317; Cass., Sez. 4, n. 36280 del 21-6-2012, Rv. 253565). Di tale indagine il giudice e' chiamato a dar conto in motivazione, esplicitando le informazioni scientifiche disponibili e utilizzate e fornendo una razionale giustificazione, in modo completo e, il piu' possibile, comprensibile a tutti, dell'apprezzamento compiuto. Si tratta di accertamenti e valutazioni di fatto, insindacabili in cassazione, ove sorretti da congrua motivazione, poiche' il giudizio di legittimita' non puo' che incentrarsi esclusivamente sulla razionalita', completezza e rigore metodologico del predetto apprezzamento. Il giudice di legittimita', infatti, non e' giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate (Cass., Sez. 4, n. 1826 del 19-10-2017), di talche' esso non puo', ad esempio, essere chiAmato a decidere se una legge scientifica, di cui si postuli l'utilizzabilita' nell'inferenza probatoria, sia o meno fondata (Cass., Sez. 4, n. 43786 del 17-9-2010, cit.) La Corte di cassazione ha invece il compito di valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico scientifico, che riguarda la preliminare e indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilita' delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (Cass., Sez. 4, n. 42128 del 30-9-2008)". 4. Ebbene, nel caso in esame i giudici di merito non hanno fatto buon governo dei principi appena esposti. L'apparato logico posti a base della sentenza impugnate non e' esente da un grave vizio logico, quello di considerare, per cosi' dire, ex se "prevalente" il convincimento maturato dal Giudice del grado di impugnazione rispetto a quello del Tribunale, senza considerare che "il giudice di appello, che ripete tutti i poteri decisori da quello di primo grado, e non ha di per se', in base alla sua costituzione e all'ordinamento giudiziario, una "autorevolezza maggiore" di quello" (cosi' Sez. U, n. 27620 del 28/04/20:16, Dasgupta, Rv. 267487, sub n. 8.1. del "considerato in diritto", p. 12) e, peraltro, senza avvertire la necessita' di introdurre nel processo apporti probatori tecnico-scientifici indipendenti ma appoggiandosi soltanto sull'opinione di quelli, tra i vari consulenti che hanno contribuito all'istruttoria (per il P.M., i cc.tt. ing. (OMISSIS), esperto in sicurezza, e la Dott.ssa (OMISSIS), medico legale; per la Difesa, l'ing. (OMISSIS), esperto in sicurezza sul lavoro e prevenzione incendi, e i dottori (OMISSIS), medico legale, e (OMISSIS), specialista in medicina del lavoro), stimati - soggettivamente - piu' convincenti. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata affinche' la Corte di appello, eventualmente rinnovata l'istruttoria anche attraverso l'eventuale acquisizione di sapere tecnico-scientifico, ricostruisca la dinamica degli accadimenti, traendone, nella sua autonomia valutativa, le necessarie conseguenze. 5. Infine, un cenno alla memoria del 5 aprile 2023 nell'interesse dell'imputato e della societa' "(OMISSIS)": non solo e' costruita in fatto ma la lunghezza dell'intervento in questione, svolto ad adiuvandum rispetto alla sentenza impugnata, fa ulteriormente emergere, a contrario, la poverta' di argomenti che connota la decisione di appello. 6. Consegue l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Palermo, altra Sezione, per nuovo giudizio. Il Giudice del rinvio provvedera' alla regolamentazione delle spese tra le parti anche in relazione al presente giudizio di legittimita'. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia alia Corte d'appello di Palermo, altra Sezione, per nuovo giudizio, cui demanda altresi' la liquidazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. Scarl INI Enrico V.S. - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/06/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA BIFULCO; letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, Dott. Luigi Giordano, il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso. Ritenuto in fatto 1. In parziale riforma del provvedimento con cui il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile dei reati di cui agli articoli 81, 595, primo e comma 3, 660 c.p., per aver offeso la reputazione di (OMISSIS) (capo a), e dei reati di cui agli articoli 81, 595, comma 1, 660 c.p., per aver offeso la reputazione di (OMISSIS) (capo b), la Corte d'appello di Messina, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato non doversi procedere per il reato di cui all'articolo 660 c.p. perche' estinto per prescrizione, rideterminando la pena in mesi sette di reclusione, confermando nel resto la decisione di primo grado anche con riguardo alla condanna al risarcimento a favore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza, ha presentato ricorso l'imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), articolando le proprie censure nei motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1 Con il primo motivo, si deduce errata applicazione della legge penale, per avere la Corte territoriale ritenuto integrato il reato di diffamazione, anziche' quello di ingiuria, trascurando come, nel caso di specie, visto il mezzo di propalazione (social network WhatsApp, utilizzato con riferimento al gruppo denominato ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã‚ 'ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã‚¦ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¡ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¹ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEurošÃ‚¦"quelli del Cisl') dell'offesa, si fosse instaurato quel rapporto diretto tra offensore e offeso, che avrebbe consentito a quest'ultimo di interloquire in via immediata con l'offensore, a scopo difensivo. Pertanto, posto che il contestato reato di diffamazione doveva essere riqualificato ai sensi dell'articolo 594 c.p., e posto anche che il reato di ingiuria e' ormai depenalizzato, il ricorrente invoca l'assoluzione perche' il fatto non e' piu' previsto come reato. 2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 192 del codice di rito, per avere la Corte territoriale fondato il giudizio di responsabilita' penale dell'imputato sull'assunto, non provato, che i messaggi fossero stati inviati dal (OMISSIS). Nonostante la difesa avesse fatto presente al Giudice d'appello la necessita' di disporre il sequestro dello smartphone dell'imputato, al fine di verificare con certezza la provenienza effettiva dei messaggi offensivi da quel telefono cellulare, i Giudici d'appello hanno sorvolato su tale profilo, ritenendo provata la riconducibilita' dei messaggi all'imputato, dal momento che quest'ultimo mai ha negato di aver inviato i messaggi in questione. 2.3 Col terzo motivo, si eccepiscono le medesime censure in relazione al reato di cui al capo b) dell'imputazione. Piu' in particolare, si deduce violazione dell'articolo 120 c.p. per nullita' della querela sporta da (OMISSIS). Data la grave infermita' mentale da cui e' affetta quest'ultima, la querela avrebbe dovuto essere presentata dal genitore ovvero da un curatore speciale. Il Giudice del merito avrebbe errato nel ritenere applicabile l'articolo 122 c.p., poiche' il concorso formale di reato in danno di piu' persone, che connota il caso di specie, avrebbe reso la procedibilita' di ciascun reato condizionata alla querela di ognuna delle persone offese. 2.4 Col quarto motivo, si deduce violazione dell'articolo 124 c.p. per tardivita' della querela di (OMISSIS), presentata oltre un anno e due mesi dalla condotta contestata. Dalle deposizioni, in sede d'udienza, delle due p.o. e' impossibile individuare con precisione il momento a partire dal quale (OMISSIS) abbia avuto contezza del fatto. La difesa ritiene che la p.o. querelente non possa essere del tutto esonerata dall'onere di fissare, quantomeno con ragionevole precisione, il momento in cui si e' avuto cognizione del fatto. 3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'articolo 23, comma 8, Decreto Legge 28/10/2020, n. 137, conv. con L. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. Luigio'Giordano, il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso; si da' atto che la difesa delle parti civili, Avv. (OMISSIS), ha depositato conclusioni scritte e nota spese e che anche la difesa dell'imputato, Avv. Certo, ha depositato conclusioni scritte. Considerato in diritto 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato, perche' in palese contrasto con l'elaborazione giurisprudenziale di questa Corte relativa all'elemento distintivo tra il delitto d'ingiuria, depenalizzato ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera c), Decreto Legislativo n. 15 gennaio 2016, n. 7, e quello di diffamazione. Si e' chiarito, a tal proposito, che soltanto il requisito della contestualita' tra comunicazione dell'offesa e recepimento della stessa da parte dell'offeso vale a configurare l'ipotesi dell'ingiuria. In difetto di tale immediatezza, l'offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con piu' persone e non e' posto in condizione di interloquire con l'offensore (Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742 - 01); nel qual caso, si profila la diversa ipotesi della diffamazione. In base al medesimo requisito dell'immediatezza con cui l'offeso recepisca il messaggio - necessario affinche' possa profilarsi l'ipotesi dell'ingiuria anziche' quella della diffamazione - si e' ritenuto integrato "il delitto di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di piu' persone, nel caso di invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una "chat" condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell'immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito" (Sez. 5, n. 28675 del 10/06/2022, Ciancio, Rv. 283541-01). La giurisprudenza di questa Corte indicata dal ricorrente (Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, cit.: "integra il delitto di ingiuria aggravata dalla presenza di piu' persone, e non il delitto di diffamazione la condotta di chi pronunzi espressioni offensive mediante comunicazioni telematiche dirette alla persona offesa attraverso una video "chat", alla presenza di altre persone invitate nella "chat", in quanto l'elemento distintivo tra i due delitti e' costituito dal fatto che nell'ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, e' diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con piu' persone e non e' posto in condizione di interloquire con l'offensore": fattispecie in tema di "chat" vocale sulla piattaforma "Google Hangouts"") e' stata evocata in maniera del tutto inconferente, posto che, nel caso oggetto del presente ricorso, non gia' di comunicazione per mezzo di chat vocale si e' trattato, bensi' di comunicazione attraverso messaggi rivolti a un gruppo WhatsApp. In tale caso, viene a mancare il requisito dell'immediatezza della comunicazione, erroneamente invocato dal ricorrente. Per contro, la Corte territoriale ha operato buon governo dei suddetti orientamenti giurisprudenziali, evidenziando la modalita' temporalmente asincrona con cui i diversi componenti di un gruppo WhatsApp possono accedere alla lettura dei messaggi, a dispetto della definizione di tale forma di comunicazione come ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã‚ 'ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã‚¦ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¡ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¹ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEurošÃ‚¦"messaggistica istantanea': tale aggettivo attiene, infatti, all'ordinaria trasmissione immediata del messaggio ma non implica affatto la contestuale ricezione, che dipende da numerosi, variabili fattori (il telefono potrebbe essere spento, potrebbe non essere collegato alla rete etc.). 2. Il secondo motivo e' manifestamente infondato, in quanto integralmente reiterativo della medesima censura dedotta in appello e gia' disattesa, in vista della genericita' della stessa, dalla Corte territoriale con argomenti dotati di ferrea logica e coerenti col disposto di cui all'articolo 192 del codice di rito, perche' basati su inequivoche evidenze documentali, testimonianze dei partecipanti al gruppo WhatsApp e s.i.t. acquisite col consenso delle parti. Giovera' dunque ribadire che, secondo la ferma giurisprudenza di questa Corte, e' inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione (cosi', tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838- 01). 3. Il terzo motivo e' infondato, avendo la difesa eluso l'effettivo e critico confronto con la motivazione resa, sul punto, dai Giudici d'appello, i quali hanno illustrato come, dalla querela presentata dalla madre di (OMISSIS) e acquisita al fascicolo, era chiaramente desumibile l'istanza di punizione nei confronti dell'imputato anche per le gravissime offese rivolte direttamente a (OMISSIS). Invero, dalla querela sporta da (OMISSIS), risulta quanto segue: "la esponente e' madre di una figlia con handicap mentale.... le frasi offensive profferite nei suoi confronti e per la sua disabilita' integrano gli estremi della discriminazione in quanto, ai sensi dell'articolo 2, n. 4, L. 67/2006, il comportamento di (OMISSIS) e' stato posto in essere anche per motivi connessi alla disabilita' e trattasi di un comportamento che viola la dignita' e la liberta' della persona disabile creando a suo carico un clima di umiliazione nella consapevolezza dell'incapacita' di quest'ultima di difendersi. Dichiara di sporgere formale denuncia, chiedendo la punizione ai sensi di legge nei confronti di (OMISSIS)". Dati tali presupposti, ritiene il Collegio che correttamente la Corte d'appello abbia ritenuto applicabile, al caso di specie, l'articolo 122 c.p., secondo cui il reato commesso in danno di piu' persone e' punibile anche se la querela e' proposta da una soltanto di esse. Peraltro, con valutazione che si sottrae a censure di illegittimita' o illogicita', la Corte territoriale ha ritenuto plausibile -sulla base sia della querela presentata da (OMISSIS) sia da quanto ribadito in dibattimento-che la ragazza abbia avuto contezza dei fatti dalla madre, sebbene non in tempo reale rispetto alla propalazione dei messaggi, non risultando infatti iscritta al gruppo WhatsApp attraverso cui sono state esternate le offese nei suoi confronti. 4. In disparte quanto rilevato a proposito del terzo motivo, si osserva che la infondatezza del quarto motivo, con il quale si denuncia l'intempestivita' della querela proposta da (OMISSIS), ha carattere assorbente. Ed invero, va ribadito che, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di querela, e' onere della parte che ne deduca l'intempestivita' fornire la prova di tale circostanza, sicche' l'eventuale situazione di incertezza deve essere risolta a favore del querelante (Sez. 2, n. 48027 del 18/10/2022, Spano', Rv. 284168 - 01). Orbene, il ricorrente sostiene che non sarebbe stata raggiunta la prova del momento in cui la (OMISSIS) ha avuto contezza dei messaggi diffamatori, in tal modo riconoscendo in termini espliciti di non avere assolto all'onere sopra indicato. In aggiunta a tali rilievi, si osserva che la valutazione di credibilita' delle dichiarazioni della (OMISSIS), quanto al fatto di non avere informato la figlia per diverso tempo ("quasi un anno"), non e' intaccata in alcun modo dal ricorso. 5. Il Collegio, pertanto, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n.196/03 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n.196/03 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - rel. Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/09/2021 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MASTROBERARDINO PAOLA; Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso in favore di (OMISSIS); inammissibilita' del ricorso in favore di (OMISSIS); annullamento con rinvio della sentenza impugnata in accoglimento del terzo motivo di ricorso per (OMISSIS) e (OMISSIS), inammissibilita' dei ricorsi nel resto. udito il difensore. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso chiedendo l'annullamento della sentenza con tutte le conseguenze di legge. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi dei ricorsi e insiste per l'accoglimento degli stessi. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Busto Arsizio, in data 25.9.2020, aveva condannato, ciascuno alla pena ritenuta di giustizia, in relazione ai reati loro rispettivamente ascritti, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), riformando parzialmente le medesima sentenza in favore di (OMISSIS), che assolveva dal solo reato di cui al capo n. 2), per non aver commesso il fatto, con conseguente rideterminazione in suo favore dell'entita' del trattamento sanzionatorio. L'assunto accusatorio e' incentrato sull'affermazione dell'esistenza di un'associazione a delinquere di stampo âEuroËœndranghetistico (la locale attiva nel territorio lombardo di Legnano/Lonate Pozzolo), di cui avrebbe fatto parte (OMISSIS), considerato uomo di fiducia di uno dei capi del sodalizio, (OMISSIS). Il (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile non solo del reato associativo, di cui al capo n. 1) dell'imputazione, ma anche dei reati in materia di detenzione e porto di due pistole, aggravati, di cui al capo n. 13). In questo contesto storico si collocano, da un lato, la contestazione ex articoli 110 e 582 c.p., articolo 585 c.p., comma 1, articolo 416-bis 1 c.p., in ordine alla quale e' stata affermata la penale responsabilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS), che i giudici di merito hanno ritenuto avere partecipato, insieme con altri soggetti, a un vero e proprio raid punitivo in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS), vittime di un'aggressione all'interno del bar "(OMISSIS)" di Lonate Pozzolo; dall'altro, le contestazioni ex articolo 110 c.p., articolo 424 c.p., comma 2, articolo 416 bis. 1 c.p., di cui ai capi n. 3) e n. 4), e articoli 110, 56, 81 e 629, in relazione all'articolo 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, articolo 416 bis.1 c.p., di cui al capo 18), per le quali e' stato condannato (OMISSIS), ritenuto responsabile, in qualita' di esecutore materiale, dell'incendio di due autovetture e di avere partecipato al tentativo di estorsione posto in essere nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza della corte di appello di Milano, di cui chiedono l'annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione, con autonomi atti di impugnazione, i predetti imputati 2.1. In particolare, (OMISSIS) e (OMISSIS), nel ricorso a firma del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), lamentano: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta partecipazione del (OMISSIS) all'aggressione perpetrata in danno della (OMISSIS) e della (OMISSIS), posto che nessuno dei testimoni escussi ha riconosciuto l'imputato come uno degli aggressori delle persone offese; il (OMISSIS), come si evince dalla stessa ricostruzione dei fatti di cui alla sentenza impugnata, e' entrato nel locale quando l'aggressione era gia' stata consumata o comunque iniziata, senza fornire alcun contributo causalmente rilevante; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della utilizzazione del metodo mafioso, in presenza di elementi di fatto dai quali si evince la completa assenza della evocazione della forza intimidatrice dell'agire mafioso, posto che le persone offese chiesero immediatamente l'intervento delle Forze dell'ordine e sporsero querela, non avendo alcun timore a indicare tra gli aggressori il (OMISSIS), affiliato alla locale di Legnano; 3) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa, difettando la dimostrazione dell'esistenza in capo ai ricorrenti del dolo, vale a dire della volonta' di agevolare con la condotta criminosa in contestazione, il sodalizio mafioso di riferimento. 2.2. Il (OMISSIS), nel ricorso a firma del difensore avv. (OMISSIS), lamenta: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della utilizzazione del metodo mafioso, con riferimento al reato di cui al capo n. 18), posto che i fratelli (OMISSIS), vittime del preteso tentativo estorsivo, non solo non hanno percepito il metodo mafioso, ma nemmeno la minaccia estorsiva, non sentendosi mai minacciati dai fratelli (OMISSIS), come si evince sia dalle testimonianze, che dalle intercettazioni, senza tacere l'impossibilita' di porre a fondamento dell'assunto accusatorio al riguardo le dichiarazioni di (OMISSIS) e del (OMISSIS), in quanto non credibili; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del tentativo di estorsione per cui si procede, posto che la corte territoriale, con motivazione contraddittoria, ha ritenuto non credibile la deposizione dei fratelli (OMISSIS) nella parte in cui essi dichiaravano di non essersi sentiti minacciati dai (OMISSIS), giungendo, tuttavia, sulla base delle medesime dichiarazioni ad affermare la responsabilita' del ricorrente, senza tacere che il tentativo non appare configurabile anche perche', scrive il ricorrente, "i fratelli (OMISSIS) sono stati molto piu' minacciosi e molto piu' vicini o a disposizione della locale dei fratelli (OMISSIS), dunque come e' possibile minacciare chi e' piu' minaccioso del minacciante-"; infine la corte territoriale non spiega per quale ragione ha ritenuto che l'episodio del "(OMISSIS)" sia sufficiente a provare la sussistenza del metodo mafioso; 3) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di cui ai capi n. 3) e n. 4), che non possono desumersi dal contenuto delle conversazioni oggetto di captazione, alle quali il (OMISSIS) non prende parte; 4) vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilita' del ricorrente in ordine al reato di cui al capo n. 4), del tutto priva di motivazione, non potendosi ritenere utili al riguardo le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (OMISSIS), che riferisce de relato da (OMISSIS), in quanto la corte territoriale, assolvendo il (OMISSIS) dal reato di cui al capo n. 2), ha evidenziato che le dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS) potessero fondare tutt'al piu' un sospetto. 2.3. Il (OMISSIS), nel ricorso a firma dei difensori di fiducia, avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS), dopo un'articolata riflessione sulla distinzione tra la fattispecie di partecipazione all'associazione a delinquere di stampo mafioso e quella di concorso esterno in tale associazione, lamenta, con il primo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione dell'imputato alla locale di cui si discute, denunciando un'inadeguata valutazione delle risultanze processuali, non potendosi certo desumere la suddetta partecipazione da una serie di elementi che, a tutto voler concedere, dimostrano solo frequentazioni e rapporti personali tra il (OMISSIS) e soggetti, anche di vertice, della cosca di Lonate Pozzolo. Il ricorrente, in particolare, si sofferma su alcune vicende oggetto di valutazione da parte della corte territoriale, svolgendo una serie di rilievi critici. Con particolare riferimento ai rapporti tra il (OMISSIS) e (OMISSIS), ritenuto responsabile della cosca madre di Ciro' Marina, incaricato della risoluzione del contrasto sorto all'interno della locale di Lonate tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), il ricorrente non nega di conoscere lo (OMISSIS), in virtu' di un pregresso rapporto di amicizia, e di averlo incontrato quando quest'ultimo si era recato in Lonate, ma evidenzia come cio' sia avvenuto solo nel corso di tre occasioni, rispetto alle altre volte in cui lo (OMISSIS) era venuto nel comune lombardo senza incontrarsi con il (OMISSIS), e che tali sporadici incontri erano riconducibili al loro rapporto di amicizia, non certo alle vicende della locale, di cui il (OMISSIS) poteva anche essere informato, sia pure superficialmente, in virtu' del suo legame con lo (OMISSIS), senza che sia possibile desumere da cio' un'attiva partecipazione del ricorrente alle attivita' della cosca. Il ricorrente si sofferma, inoltre, sul contenuto di alcune conversazioni oggetto di captazione, in relazione alle quali denuncia un vero e proprio travisamento della prova, in quanto la corte territoriale ha omesso di considerarne l'integrale contenuto, che, in realta' dimostra come il (OMISSIS) fosse disinteressato alle vicende del sodalizio, senza tacere che il collaboratore (OMISSIS) ha riferito che il (OMISSIS) non svolgeva alcun ruolo di collegamento con lo (OMISSIS), come pure risulta del tutto indimostrato e frutto di un ennesimo travisamento per "invenzione" attribuire al (OMISSIS), sulla base della conversazione intercettata il 16.10.2017, l'intento di uccidere in un agguato il (OMISSIS). In ordine, poi, ai rapporti tra l'imputato e l'ex sindaco di Lonate, (OMISSIS), per l'elezione del quale il (OMISSIS) si era impegnato, salvo poi manifestare, nel corso di alcune conversazioni oggetto di captazione il suo disappunto per l'attivita' amministrativa svolta dal (OMISSIS) una volta eletto, rileva il ricorrente come le menzionate conversazioni non assumono un significato univoco nei sensi indicati dai giudici di merito, posto che il preteso interessamento del (OMISSIS) per le elezioni, come era stato rappresentato alla corte di appello, non era in alcun modo finalizzato al perseguimento degli interessi della cosca, ma, piuttosto, all'esclusivo tentativo di soddisfare interessi di natura personale ovvero professionale dello stesso (OMISSIS), senza tacere che anche l'ulteriore elemento, valorizzato dai giudici di merito, dei rapporti tra l'imputato e (OMISSIS), accusato di avere trasmesso al (OMISSIS) informazioni riservate in ordine alla collaborazione con gli inquirenti avviata dal (OMISSIS) dopo il suo arresto, risulta inconferente, posto che la notizia della collaborazione dei sindaco era gia' di pubblico dominio da prima delle conversazioni intercettate in cui si si fa riferimento a tale vicenda e lo stesso (OMISSIS) e' stato poi assolto con la formula perche' il fatto non sussiste nell'ambito del giudizio abbreviato originato dal medesimo procedimento che ha coinvolto il ricorrente. Del pari non rilevanti appaiono le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), in ordine al contributo fornito dalla cosca all'elezione del (OMISSIS), perche' contraddittorie e de relato. Il ricorrente procede, altresi', a una contestazione del contenuto delle dichiarazioni rese dal collaboratore (OMISSIS), denunciando: 1) un travisamento della prova per omissione nella parte in cui lo (OMISSIS), nel negare al (OMISSIS) l'autorizzazione a uccidere il (OMISSIS), evidenziava come quest'ultimo fosse semplicemente un soggetto che la cosca sfruttava per motivi economici, mentre un altro componente del sodalizio, il (OMISSIS), sempre nel dissuadere il (OMISSIS) a porre in essere ritorsioni nei confronti del (OMISSIS), lo aveva definito "uno stupido, un cretino"; 2) la circostanza che lo stesso (OMISSIS) aveva escluso una vicinanza del (OMISSIS) alla locale di Lonato Pozzolo, specificando come egli fosse, semmai, vicino a singoli soggetti e, in particolare, allo (OMISSIS) e, parzialmente, al (OMISSIS), tanto che egli aveva richiesto del denaro al ricorrente, ma quest'ultimo si era rifiutato di assecondare la sua richiesta; 3) l'affermazione secondo cui era diffuso nella cosca il sospetto che il (OMISSIS) fosse un informatore della polizia, sicche' di lui i consociati non si fidavano in tutto e per tutto. A conclusione del primo motivo di ricorso, l'imputato denuncia vizio di motivazione in quanto la corte territoriale non ha considerato la circostanza che il (OMISSIS), vittima di reati, anche violenti, subiti nel corso degli anni, ha sempre reagito facendo ricorso alle vie legali, senza attivare in suo favore le forze della cosca, a dimostrazione della sua estraneita' al sodalizio. Con il secondo motivo di ricorso l'imputato lamenta violazione di legge e vizio di motivazione sotto il profilo della mancata qualificazione della condotta in addebito quale concorso esterno in associazione mafiosa. Con il terzo motivo di ricorso l'imputato, in ordine ai delitti, ex capo n. 13), di detenzione di armi, in relazione al quale veniva riconosciuta solo la sussistenza della circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa, e di porto delle armi, in relazione alla quale nessuna circostanza aggravante veniva configurata, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, posto che le perquisizioni effettuate presso l'abitazione e il capannone industriale di pertinenza dell'imputato hanno avuto esito negativo, essendo stata rinvenuta solo una pistola a salve, il cui utilizzo produce un rumore assolutamente compatibile con quello dei tre presunti colpi di arma da fuoco uditi dagli inquirenti in una conversazione ambientale intercettata, senza tacere che risulta del tutto indimostrato sia il porto delle armi in un luogo pubblico, sia la destinazione delle armi alla finalita' di agevolazione della cosca di riferimento. Con il quarto motivo di ricorso, infine, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In data 19.1.2023, infine, i difensori di fiducia del (OMISSIS) facevano pervenire a mezzo di posta elettronica certificata un motivo nuovo, deducendo vizio di motivazione in ordine agli elementi sintomatici della partecipazione dell'imputato all'associazione a delinquere di stampo mafioso di cui si discute, con particolare riferimento al preteso ruolo del (OMISSIS) alle elezioni comunali di Lonato Pozzolo del 2014 e ai rapporti con il signor (OMISSIS). Con conclusioni scritte del 30.1.2023, da valere come memoria, essendo stata richiesta nelle more la trattazione in forma orale dei ricorsi, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione chiede che il ricorso del (OMISSIS) sia rigettato; che venga dichiarato inammissibile il ricorso del (OMISSIS); che i ricorsi del (OMISSIS) e della (OMISSIS) siano accolti limitatamente al punto relativo alla circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa e dichiarati inammissibili nel resto. 3. I ricorsi non possono essere accolti, dovendosi dichiarare inammissibili quelli proposti nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e rigettare quello proposto nell'interesse del (OMISSIS). 4. Invero i motivi di ricorso del (OMISSIS), della (OMISSIS), del (OMISSIS), nonche' il primo motivo di ricorso del (OMISSIS), sono affetti da diverse ragioni di inammissibilita'. A tale proposito va evidenziato che nella fattispecie in esame ricorre un caso di doppia conforme" posto che la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado, sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218). Ne consegue che resta preclusa la possibilita' di dedurre il vizio di motivazione per inidonea valutazione delle risultanze processuali, vale a dire per travisamento della prova, se non nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Rv. 280155). I ricorrenti, inoltre, non tengono nel dovuto conto che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Cass., Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482). Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimita', infatti, e' precluso il percorso argomentativo seguito dai ricorrenti negli indicati motivi, che si risolvono in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di un'operazione estranea al giudizio di legittimita', quale e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). In altri termini, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell'affermazione di responsabilita' dell'imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale, in realta' non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica, come si vedra' nel prosieguo della trattazione. Come precisato dalla giurisprudenza di legittimita' in un condivisibile arresto il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione per l'omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non puo' limitarsi, pena l'inammissibilita', ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece, a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonche' della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilita'" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (cfr. Cass. Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, Rv. 274816). Tale percorso argomentativo, con particolare riferimento all'individuazione dell'elemento fattuale o del dato probatorio emergente da un atto processuale, incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza, tale, come si e' detto, da inficiare e compromettere, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilita'" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato, non si rinviene nei ricorsi di cui si discute, con i quali, in definitiva, gli imputati si limitano a proporre una versione dei fatti alternativa. Anzi, a ben vedere, si tratta, nella maggior parte, di censure gia' prospettate in sede di appello e acriticamente riproposte in questa sede, circostanza che introduce un concorrente profilo di inammissibilita', in quanto le doglianze consistenti nella semplice reiterazione di quelle gia' dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito, riproposte senza confrontarsi con la relativa motivazione, devono considerarsi non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710). 4.1 Iniziando a esaminare la posizione del (OMISSIS) e della (OMISSIS), va rilevata l'assoluta completezza della motivazione resa dai giudici di merito sulla partecipazione in prima persona del (OMISSIS) (oltre alla (OMISSIS), che, sul punto, non ha proposto alcun rilievo critico) all'aggressione fisica consumata in danno di (OMISSIS) e di (OMISSIS) Dorata, contestata nel capo n. 9) dell'imputazione. L'impianto accusatorio, rispetto al quale il (OMISSIS) prospetta una diversa valutazione delle risultanze processuali, e' imperniato sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) Emanuele, il quale, dopo avere ammesso di avere partecipato al raid punitivo nei confronti delle indicate persone offese, ne ha spiegato l'origine (punire le donne per avere ferito (OMISSIS), nel corso di una lite, colpendolo al volto con un bicchiere, scoppiata nel bar "Edicole", dove entrambe lavoravano come cameriere), descrivendone con assoluta precisione le modalita' di esecuzione. Il (OMISSIS), dopo avere premesso che era stata proprio la (OMISSIS) a proporre la spedizione punitiva, "precisava che era entrato nel bar "(OMISSIS)" dopo che (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano gia' iniziato a picchiare le ragazze; aveva visto colpire le giovani con schiaffi, pugni e calci. A domanda della difesa, il collaboratore ricordava, inoltre, che (OMISSIS), quando era entrata nel bar, aveva subito picchiato la ragazza, senza dire nulla. Il pestaggio era avvenuto dapprima all'esterno e poi all'interno del bagno. (OMISSIS) teneva una delle ragazze per i capelli e la picchiava e (OMISSIS) colpiva con pugni in testa e calci". Il collaboratore, infine, dopo avere visionato i filmati registrati dalle telecamere del sistema di videosorveglianza del bar "(OMISSIS)", aveva riconosciuto, ritratti sia all'interno che all'esterno dell'esercizio commerciale, oltre se' stesso, anche le persone dei ricorrenti proprio nell'orario in cui venne consumata l'aggressione in danno della (OMISSIS) e della (OMISSIS). Le dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS), con cui il (OMISSIS) ha del tutto omesso di confrontarsi, hanno trovato puntuale conferma nelle dichiarazioni dei testimoni oculari (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno riferito di un'aggressione consumata all'interno del locale da una donna bionda, pacificamente identificata nella (OMISSIS), e da un numero di uomini oscillante tra i tre e i cinque; nelle dichiarazioni della stessa (OMISSIS), che ha affermato di essere stata colpita da un uomo e da una donna; nelle immagini dei sistemi di videosorveglianza installati, sia presso il bar "(OMISSIS)", da cui sono partiti gli aggressori, sia presso il bar "(OMISSIS)", che hanno immortalato il (OMISSIS) muoversi dal bar "(OMISSIS)" poco dopo la (OMISSIS), giungere al bar "(OMISSIS)" ed entrarvi alle ore 19.20.13, come indicato dal collaboratore di giustizia, al seguito della (OMISSIS), dunque nel momento in cui e' iniziato il pestaggio delle due donne; nelle dichiarazioni di (OMISSIS), che ha riferito di avere appreso dal padre (OMISSIS) che al pestaggio delle due donne aveva preso parte anche il (OMISSIS) (cfr. pp. 62-67 della sentenza di appello). 4.1.1. Acriticamente reiterativi e manifestamente infondati, oltre che versati in fatto, appaiono il secondo e il terzo motivo di ricorso. Al riguardo si rammenta che, secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimita', ricorre la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p., quando l'azione incriminata, posta in essere evocando la contiguita' ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune (cfr. Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, Rv. 281027; Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, Rv. 277222). Allo stesso tempo la giurisprudenza di legittimita' appare attestata, nelle sue pronunce piu' recenti, sul condivisibile principio, secondo cui, ai fini della configurabilita' dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa di cui all'articolo 416-bis.1, c.p., la finalita' perseguita dall'autore del delitto, onde evitare il rischio della diluizione della circostanza nella semplice contestualita' ambientale, dev'essere oggetto di una rigorosa verifica in sede di formazione della prova, sotto il duplice profilo della dimostrazione che il reato e' stato commesso al fine specifico di favorire l'attivita' dell'associazione mafiosa e della consapevolezza dell'ausilio prestato al sodalizio (cfr. Sez. 3 Sentenza n. 45536 del 15/09/2022, Rv. 284199). Punto di arrivo di un'elaborazione giurisprudenziale che, partendo dalla natura soggettiva della circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa, prevista dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, ha evidenziato come quest'ultima richieda la sussistenza del dolo specifico di agevolare l'organizzazione criminale di riferimento, finalita', tuttavia, che non presuppone necessariamente l'intento del consolidamento o rafforzamento del sodalizio criminoso, essendo sufficiente l'agevolazione di qualsiasi attivita' esterna dell'associazione, anche se non coinvolgente la conservazione ed il perseguimento delle finalita' ultime tipizzate dall'articolo 416-bis c.p. (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 53691 del 17/10/2018, Rv. 274615; Sez. 1, n. 52505 del 20/12/2017, Rv. 276150). Le stesse Sezioni Unite penali di questa Corte, del resto, hanno messo in luce con assoluta chiarezza come la circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni di tipo mafioso di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 ora prevista dall'articolo 416-bis.1 c.p., comma 1, abbia natura soggettiva, inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalita' agevolatrice perseguita dal compartecipe (cfr. Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, Rv. 278734). Orbene la motivazione della corte territoriale sul punto appare del tutto conforme a tali principi. Ancora una volta di particolare rilievo appare la diretta partecipazione all'aggressione di cui si discute del (OMISSIS), indiscutibile componente di rilievo dell'associazione a delinquere di stampo mafioso di cui al capo n. 1), dedita, tra le altre attivita' illecite, al traffico di sostanze stupefacenti, circostanze di fatto non contestate dai ricorrenti. Come si e' accennato nelle pagine precedenti, e' stato proprio il (OMISSIS) a rendere note le ragioni, che hanno consentito di qualificare l'azione dei ricorrenti in termini di partecipazione a una vera e propria "spedizione punitiva", secondo l'espressione utilizzata dal teste (OMISSIS). Si trattava, invero, di vendicare l'aggressione subita all'interno del bar "(OMISSIS)" da (OMISSIS), che presso tale bar, come ha riferito (OMISSIS), svolgeva stabilmente la sua attivita' di spacciatore di sostanze stupefacenti dal 2016 sino alla fine del 2017. Il (OMISSIS), infatti, definito dallo stesso (OMISSIS) come un uomo a lui vicino, dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti, che godeva della sua fiducia, dopo avere subito la lesione al volto dalla (OMISSIS), coadiuvata dalla (OMISSIS), mentre le due donne si erano rifugiate nel ristorante "(OMISSIS)", si era immediatamente recato presso il bar "(OMISSIS)", dove egli evidentemente era sicuro di trovare gli imputati e, soprattutto, il (OMISSIS), in quanto il locale era gestito dalla (OMISSIS) e dal (OMISSIS), dopo essere stato gestito in passato dallo stesso (OMISSIS), pretendendo che quest'ultimo intervenisse per punire chi lo aveva ferito, in quanto era stato offeso "nella sua rappresentazione". Ne' va trascurato che di tutta la vicenda il giorno successivo al verificarsi dei fatti che ci occupano venne informato un altro esponente della locale di Lonate Pozzolo, (OMISSIS), come emerge dal contenuto della conversazione del 29.11.2017, su cui si soffermano i giudici di merito, oggetto di captazione tra (OMISSIS), cognato del (OMISSIS), e lo stesso (OMISSIS), che non avrebbe avuto motivo di esserne informato se l'episodio non fosse stato ritenuto di interesse per la vita dell'associazione criminosa. Evidente, dunque, la correttezza del ragionamento giuridico seguito dalla corte territoriale nell'affermare la sussistenza della circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa, in quanto la motivazione della necessita' di punire le persone offese, vale a dire riparare l'affronto subito dal (OMISSIS) nel luogo in cui quest'ultimo svolgeva la sua attivita' di spacciatore di sostanze stupefacenti nell'interesse del sodalizio mafioso di riferimento, di cui andava riaffermata l'autorita', in generale, sul territorio, e, in particolare, su uno dei punti di spaccio della droga, incrinata dal gesto delle due donne, era stata esplicitata dal (OMISSIS) al (OMISSIS) all'interno del bar "(OMISSIS)" e subito condivisa, tra gli altri, oltre che dallo stesso (OMISSIS), anche dalla (OMISSIS) e dal (OMISSIS), che hanno orientato la loro azione criminosa a tale scopo o, quanto meno, erano perfettamente consapevoli della finalita' agevolatrice perseguita dal compartecipe (OMISSIS). Identiche considerazioni valgono per l'affermata sussistenza della circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, che i giudici di merito hanno correttamente desunto dal concreto atteggiarsi dell'azione criminosa, percepita, come gia' detto, da uno dei testimoni oculari, come una vera e propria spedizione punitiva, posta in essere con modalita' tali da far sorgere nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune. Tale valutazione trova logico fondamento, alla luce del percorso motivazionale seguito dalla corte territoriale, nell'assoluta spregiudicatezza con cui hanno agito gli aggressori, che non hanno esitato a colpire le persone offese nel bar "(OMISSIS)" a volto scoperto, pur in presenza di diversi avventori e del sistema di videosorveglianza, contando, in tutta evidenza, su di un senso di impunita', che puo' essere logicamente giustificato solo dalla capacita' di intimidazione esercitata dall'associazione mafiosa di riferimento, resa palese, ha evidenziato la corte di appello con motivazione affatto manifestamente illogica o contraddittoria, dalla circostanza che nessuno dei suddetti avventori ha osato intervenire in difesa delle due ragazze aggredite, nonche' dal comportamento successivo all'aggressione serbato dalle stesse persone offese, che hanno subito abbandonando il lavoro e, la (OMISSIS), anche rimettendo la querela originariamente sporta. 4.2. Passando ad esaminare la posizione del (OMISSIS), si gia' detto nelle pagine precedenti, affrontando l'impugnazione proposta dalla (OMISSIS) e dal (OMISSIS), alla cui lettura si rimanda, quali siano i tratti caratterizzanti la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, ex articolo 416-bis. 1 c.p.. Anche in questo caso la motivazione della sentenza impugnata, con particolare riferimento all'episodio del tentativo di estorsione aggravato, in danno di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), di cui il ricorrente e' chiamato a rispondere, insieme con il fratello (OMISSIS) (capo 18), e' del tutto immune dai denunciati vizi. La corte di appello ha correttamente desunto la sussistenza della circostanza aggravante di cui si discute dalle modalita' dell'azione criminosa, secondo un percorso argomentativo dotato di intrinseca coerenza logica e del tutto conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimita' nella materia che ci occupa. Scrive, in particolare, il giudice di appello "sebbene gli imputati non fossero appartenenti all'associazione mafiosa, e' evidente che questi ultimi abbiano agito con le modalita' tipiche delle associazioni mafiose: intimidendo le persone offese mediante colloquio nel retro di un locale ("(OMISSIS)"), alla presenza di una pluralita' di esponenti della locale di âEuroËœndrangheta ( (OMISSIS), (OMISSIS) e altri), ricorrendo anche a minacce di percosse dirette anche ai parenti delle persone offese (padre di (OMISSIS)); tentando di corroborare le loro illecite pretese economiche attraverso il supporto e la spendita del nome di uno dei principali esponenti della locale ( (OMISSIS)) presente al tentativo di estorsione al quale aveva dato il benestare" (cfr. p. 56). Tale conclusione appare la logica conseguenza della descrizione dell'intera vicenda, come rappresentata dai giudici di merito, che hanno fondato la propria decisione principalmente sul contenuto delle intercettazioni ambientali effettuate nell'autovettura di (OMISSIS), soggetto vicino al (OMISSIS), e in quella di (OMISSIS), nonche' sulle deposizioni testimoniali del maresciallo dei CC. (OMISSIS) che non hanno formato oggetto di specifiche censure da parte del ricorrente, e di (OMISSIS). Nella prospettiva seguita dai giudici di merito assumono una particolare rilevanza le figure del (OMISSIS) e del (OMISSIS), la cui appartenenza alla locale, il (OMISSIS) in posizione apicale, il (OMISSIS), in qualita' di semplice partecipe, non e' stata messa in discussione dall'imputato. Orbene non e' revocabile in dubbio la natura estorsiva della richiesta, formulata dal (OMISSIS) e dal fratello (OMISSIS), di ottenere il pagamento di una somma di denaro dai fratelli (OMISSIS), titolari della societa' " (OMISSIS) s.r.l.", e dal (OMISSIS), per "risarcirli" della mancata assunzione nella loro impresa del (OMISSIS), al quale era stato preferito il (OMISSIS), in quanto pretesa priva di fondamento, sostenuta dalla prospettazione di un male ingiusto, sotto forma di minacce esplicite di aggressioni fisiche da perpetrare in danno di (OMISSIS) (nella versione dei (OMISSIS), autore della "promessa tradita") e del padre del (OMISSIS), di cui riferisce in maniera dettagliata il (OMISSIS) nella conversazione con il (OMISSIS), n. 2366, intercettata il 5.24.2018. La suddetta conversazione, peraltro, e' da sola sufficiente a mettere in luce il contesto mafioso in cui si inserisce la vicenda, in quanto non e' certo casuale la scelta del (OMISSIS) di coinvolgere il (OMISSIS), rivelandogli il contenuto delle richieste estorsive ricevute dai fratelli (OMISSIS). Se il (OMISSIS) ha deciso di coinvolgere il (OMISSIS), infatti, e' perche' egli, consapevole dell'appartenenza di quest'ultimo alla locale di Lonate Pozzolo e intimidito dall'evocazione dell'associazione mafiosa egemone sul territorio, dunque dal metodo mafioso utilizzato, che ha colto nelle parole dei (OMISSIS), i quali, a sostegno delle propria richiesta estorsiva, gli avevano rivelato di conoscere il (OMISSIS), voleva essere sostenuto nella sua opposizione alla suddetta richiesta proprio dal (OMISSIS), il quale non si era tirato indietro, garantendo il suo appoggio ai (OMISSIS) anche nel caso in cui le richieste estorsive provenissero direttamente dal (OMISSIS), nonche' suggerendo al suo interlocutore di riferire ai (OMISSIS) di parlare con lui, convinto, che, una volta appreso della protezione assicurata ai (OMISSIS) dal (OMISSIS), in virtu' della forza di intimidazione che assicurava al sodalizio il controllo delle attivita' illecite sul territorio, nessuna pretesa estorsiva sarebbe stata piu' formulata nei loro confronti. Peraltro, a dimostrazione che il timore del (OMISSIS) non fosse infondato, e' sufficiente ricordare come nel corso della conversazione n. 403, intercettata l'11.4.2018, il (OMISSIS), informato dal (OMISSIS) del suo intervento in favore dei (OMISSIS), ma non del (OMISSIS), confermava di avere dato il via libera ai (OMISSIS) nella richiesta estorsiva di cui si discute, non conoscendo i (OMISSIS), anche se, nel corso della medesima conversazione, una volta appreso che (OMISSIS) era consigliere comunale di Ferno, il (OMISSIS), intravedendo un possibile vantaggio, aveva manifestato al (OMISSIS) la volonta' di incontrarsi di persona con l'imprenditore. Intento che il (OMISSIS) pochi giorni dopo aveva comunicato a un altro esponente del sodalizio, il (OMISSIS), nel corso della conversazione n. 5755 del 14.4.2018, riferendogli di avere imposto al (OMISSIS) di desistere dalle richieste estorsive in danno dei (OMISSIS), nella previsione di poterne ottenere un beneficio, che, come si ricava da ulteriori conversazioni intercettate, era stato individuato nell'aggiudicazione di un appalto per la gestione del campo sportivo di Fermo. In questo contesto assume un notevole valore anche l'episodio, riferito dal (OMISSIS), di un incontro avvenuto a Ferno, nel retro del bar "(OMISSIS)", dove era stato convocato dai fratelli (OMISSIS), che, in presenza di una serie di soggetti, ivi compreso il (OMISSIS), gli avevano imposto di corrispondere loro la somma di duecento Euro al mese, dicendogli "che se non avesse pagato sarebbe potuto accadere qualcosa al padre anziano". In questo frangente l'utilizzazione del metodo mafioso, nei sensi ormai noti, risulta integrata dalla stessa presenza fisica del (OMISSIS), la cui caratura criminale era nota al (OMISSIS), come dimostrato dalla circostanza, evidenziata dai giudici di merito, che quest'ultimo si rivolse proprio al (OMISSIS) per opporsi ai (OMISSIS), consapevole, in tutta evidenza, che solo il suo ruolo di esponente di vertice della cosca di âEuroËœndrangheta egemone sul territorio avrebbe potuto far recedere i (OMISSIS) dalla loro pretesa estorsiva, evocatrice del gruppo criminale mafioso di cui il (OMISSIS) era autorevole esponente, sostegno che, tuttavia, gli venne negato, disinteressandosi il (OMISSIS) della sua sorte (cfr. pp. 52-54). Non puo', pertanto, che ribadirsi la valutazione in punto di manifesta infondatezza e di acritica reiterazione dei motivi di ricorso proposti nel suo interesse, che appaiono anche versati in fatto. Risulta dimostrato, invero, che i fratelli (OMISSIS) e il (OMISSIS) sono stati sottoposti a una vera e propria richiesta estorsiva dal ricorrente (e dal fratello), formulata con metodo mafioso e come tale percepita dalle persone offese, apparendo, in particolare, del tutto generici i rilievi difensivi volti a contestare la credibilita' del teste (OMISSIS), le cui dichiarazioni non assumono valore decisivo, come si e' visto, ai fii della conferma dell'assunto accusatorio, e del (OMISSIS), la cui narrazione risulta confermata dal contenuto delle evidenziate intercettazioni. Cosi' come del tutto generiche appaiono le censure articolate con il terzo motivo di ricorso. Inammissibili, perche' generici e manifestamente infondati, oltre che acriticamente reiterativi, risultano, infine, i rilievi difensivi articolati nell'ultimo motivo di ricorso, relativo all'affermazione di responsabilita' del (OMISSIS), per gli episodi di incendio di due autovetture, contestati nei capi n. 3) e n. 4) dell'imputazione. Decisivi, nel percorso motivazionale seguito dalla corte territoriale, con particolare riferimento all'episodio dell'incendio dell'autovettura in uso a (OMISSIS), risultano gli esiti delle disposte intercettazioni e il contenuto delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (OMISSIS), dichiarazioni che non hanno formato oggetto di specifiche doglianze da parte del ricorrente. Il (OMISSIS) ha, infatti, affermato di avere deciso l'incendio dell'automobile del (OMISSIS), reo ai suoi occhi di avere perpetrato un'estorsione senza comunicarglielo, affidando il relativo incarico a (OMISSIS), che, a sua volta, aveva delegato l'esecuzione materiale dell'attentato al fratello (OMISSIS) e al (OMISSIS). Le dichiarazioni del (OMISSIS) hanno trovato oggettiva conferma nel contenuto di una serie di conversazioni oggetto di captazione, puntualmente esaminate dai giudici di merito, dal quale si evince come i vertici della locale di cui si discute avessero assoluta contezza che l'incendio dell'autovettura del (OMISSIS) fosse stato opera dei fratelli (OMISSIS) e del (OMISSIS) (indicato nelle conversazioni anche con il soprannome di "(OMISSIS)", che l'imputato ha riconosciuto come proprio in sede di interrogatorio di garanzia dell'8.7.2019: cfr. p. 57). Per tale ragione non solo il (OMISSIS), di cui si e' gia' detto, aveva picchiato il (OMISSIS) e il (OMISSIS), ma i vertici del sodalizio avevano anche deciso l'allontanamento dei fratelli (OMISSIS), che avrebbero dovuto provvedere anche al risarcimento dei danni arrecati (cfr. pp. 5860). Del pari e' assolutamente esaustiva la motivazione della sentenza impugnata in ordine all'episodio dell'incendio dell'autovettura di (OMISSIS). Anche in questo caso il ragionamento dei giudici di merito si fonda su di un solido percorso argomentativo, che, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, non si fonda solo sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che, peraltro, non vengono sottoposte a specifiche censure, ma si snoda attraverso una rigorosa valutazione, dotata di intrinseca coerenza logica, di una serie di risultanze processuali, costituite, in particolare: dalle dichiarazioni del (OMISSIS), il quale ha riferito di avere avallato, su richiesta di (OMISSIS), l'incendio dell'autovettura del (OMISSIS), eseguito da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), come aveva appreso dallo stesso (OMISSIS); dalle dichiarazioni dei testi (OMISSIS), fratello di (OMISSIS), e (OMISSIS), marito della zia di (OMISSIS) (non prese minimamente in considerazione dal ricorrente), i quali hanno dichiarato di avere appreso che a bruciare l'autovettura in questione era stato il (OMISSIS), su mandato dei fratelli (OMISSIS); dal contenuto di una serie di conversazioni oggetto di captazione, da cui si evince che i componenti del sodalizio e lo stesso (OMISSIS) erano consapevoli che l'incendio era stato appiccato dal (OMISSIS), su mandato dei (OMISSIS). Assolutamente convergenti, poi, risultano le menzionate risultanze processuali nell'individuare la causale dell'attentato nel risentimento provato dai (OMISSIS) nei confronti del (OMISSIS) per avere eseguito un lavoro edile nel comune di Ferno, senza rivolgersi a loro (cfr. pp. 60-61). Va solo aggiunto come risulti manifestamente infondata la censura difensiva sulla diversa valutazione operata dalla corte territoriale in ordine al valore da attribuire alle dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS), con riferimento all'episodio dell'incendio dell'autovettura di (OMISSIS), contestato al capo n. 2), dell'imputazione, da cui il (OMISSIS) e' stato assolto, in quanto la corte territoriale ha correttamente escluso di potere utilizzare, a conferma della tesi accusatoria, le dichiarazioni rese al riguardo dal collaboratore di giustizia, in ragione della loro genericita', avendo il (OMISSIS) formulato un semplice sospetto, frutto di una personale illazione, sul coinvolgimento del (OMISSIS) in tale episodio, a differenza di quanto affermato dallo stesso collaboratore con riferimento agli altri due episodi di cui si e' trattato, sicche' la motivazione della corte territoriale non puo' certo ritenersi manifestamente illogica o contraddittoria, apparendo, piuttosto del tutto conforme ai principi in tema di valutazione della chiamate di reita'. 4.3. Va, invece, rigettato il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), ritenuto partecipe della locale di Legnano/Lonate Pozzolo. 4.3.1. Non puo' non rilevarsi l'inammissibilita' del primo motivo di impugnazione, con cui vengono articolati motivi che si espongono ai rilievi in punto di inammissibilita' indicati nelle pagine precedenti al n. 4), alla cui lettura si rimanda. Il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito non presenta errori di diritto, omissioni, incongruenze logiche di sorta, laddove, piuttosto, e' il ricorso del (OMISSIS) a essere caratterizzato da una sorta di "travisamento per omissione" di rilevanti profili presi in considerazione dalla corte territoriale per affermare la responsabilita' dell'imputato. Premesso che il ricorrente non contesta l'esistenza della locale di âEuroËœndrangheta di cui si discute, dunque di un'associazione a delinquere di stampo mafioso operante nel territorio di Legnano/Lonate Pozzolo, sostenendo, piuttosto, come principale doglianza, la propria estraneita' rispetto a tale compagine associativa, non puo' non rilevarsi come le risultanze processuali, oggetto di approfondita valutazione da parte di entrambi i giudici di merito, abbiano evidenziato una totale compenetrazione del (OMISSIS) nel tessuto organico del sodalizio in questione, le cui vicende non rappresentano per quest'ultimo semplici immagini da collocare sullo sfondo, talvolta sfiorate e, comunque, osservate da lontano, in ragione, come sostiene la difesa, di semplici rapporti amicali intessuti con alcuni dei principali esponenti dell'associazione, costituendo, invece, esse una parte di fondamentale importanza del proprio agire, vissuta con diretta e consapevole partecipazione, avendo egli aderito con radicata convinzione alle finalita' illecite perseguite dalla locale. A tale conclusione i giudici di merito sono giunti, come si e' detto, attraverso una valutazione non atomistica, ma complessiva delle risultanze processuali, che non puo' certo definirsi manifestamente illogica o contraddittoria, essendo connotata da esaustivita' e da un argomentare logicamente coerente, a partire dall'esame della mole, invero, notevole del compendio probatorio rappresentato dagli esiti delle disposte intercettazioni. In relazione alle quali va ribadito i principi affermati da tempo dalla giurisprudenza di legittimita', secondo cui, da un lato, gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l'imputato, costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, previsto dall'articolo 192 c.p.p., comma 1, senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno (cfr. Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260842); dall'altro, le dichiarazioni, captate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria, soprattutto quando, come nel caso in esame, e' possibile coglierne in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto (cfr. Sez. 2, n. 37794 del 12/06/2019, Rv. 277707). Ne' va taciuto, essendo frequente nel ricorso del (OMISSIS) la doglianza della mancata considerazione dei rilievi difensivi, che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimita' con condivisibile orientamento, l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione (compreso il giudice di legittimita', dunque) non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicche', quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilita' del vizio di mancanza di motivazione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), (cfr., in questo senso, Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260841; Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Rv. 277593). Cio' posto, dagli esiti delle disposte intercettazioni i giudici di merito hanno desunto, innanzitutto, la stabile e non occasionale frequentazione da parte del (OMISSIS) di esponenti di primo piano della locale di cui si discute, come (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), nonche' di (OMISSIS), uomo di collegamento tra la potente locale calabrese di Ciro' Marina e la relativa articolazione di Legnano/Lonate Pozzalo, soggetti la cui affiliazione alla âEuroËœndrangheta il ricorrente non mette in discussione. Che non si tratti di semplici incontri tra amici o conoscenti, i giudici di merito lo deducono, con logico argomentare, innanzitutto dalla circostanza che in numerose occasioni, come emerge dal contenuto delle intercettazioni, il Casoppoli veniva informato di delicate vicende riguardanti le attivita' illecite del sodalizio (quali, tra le altre, gli attentati incendiari alle autovetture, di cui si e' parlato nelle pagine precedenti; la punizione da infliggere ad appartenenti alla locale; la "messa a disposizione" di (OMISSIS) in favore del (OMISSIS); la disponibilita' di armi da parte dell'associazione; le dinamiche conflittuali tra alcuni dei suoi componenti, che rappresentano uno dei principali problemi del sodalizio, tanto da richiedere il frequente intervento "pacificatore" dello (OMISSIS); l'episodio dell'aggressione consumata dalla (OMISSIS) e dal (OMISSIS) in danno della (OMISSIS) e della (OMISSIS), di cui si e' gia' detto; la decisione del (OMISSIS) di imporre ai fratelli (OMISSIS) di astenersi dal formulare richieste estorsive in danno dei fratelli (OMISSIS), del pari esaminata in precedenza). Sicche' non puo' certo ritenersi manifestamente illogica o contraddittoria, dovendosene, al contrario, condividere l'impianto logico, la considerazione svolta dalla corte territoriale che in tale flusso continuo di informazioni verso il (OMISSIS), provenienti dai componenti del sodalizio, anche in posizione apicale come il (OMISSIS), da personaggi di indubbia caratura criminale, come lo (OMISSIS), e da soggetti gravitanti nell'orbita della cosca mafiosa, individua un dato oggettivamente incompatibile con la pretesa estraneita' del ricorrente alla locale lombarda, apparendo, piuttosto, sintomatico, di una piena partecipazione dell'imputato alla compagine criminale, i cui membri mai avrebbero condiviso con lui un tale patrimonio informativo, se non avessero nutrito nei suoi confronti quella completa fiducia che solo una solida comunanza di interessi puo' assicurare. Siffatta conclusione viene ulteriormente rafforzata dalla circostanza che l'imputato commentava le vicende di cui veniva messo a conoscenza, ponendosi sempre nella prospettiva di valutarne le conseguenze che avrebbero potuto produrre sulla vita della locale, svolgendo talvolta un ruolo di mediatore allo scopo di dirimere contrasti pericolosi per la compattezza del sodalizio, con l'accortezza di avere comunque sempre come punto di riferimento lo (OMISSIS) e la locale di Ciro' Marina, che lo stesso (OMISSIS), in alcune occasioni, riteneva di dovere informare di quanto accadeva a Lonate Pozzolo (significativi al riguardo, oltre a quelli gia' menzionati, appaiono i casi delle estorsioni connesse all'apertura della "(OMISSIS)"; del pestaggio di (OMISSIS) e di (OMISSIS), episodio, quello del pestaggio dell'Abbrancati, in relazione al quale il (OMISSIS) criticava la condotta del (OMISSIS), evidenziando che "avrebbe potuto condurre a una perdita di consenso da parte dell'opinione pubblica e attirare l'attenzione delle Forze dell'ordine"; dell'intimidazione di (OMISSIS), riguardo alla quale il ricorrente censurava il comportamento del (OMISSIS); dell'incendio del quadro elettrico di un mezzo pesante utilizzato dalla societa' " (OMISSIS) s.r.l.", dal (OMISSIS) attribuito a un'iniziativa del (OMISSIS); del timore manifestato dal ricorrente al (OMISSIS) sulle possibili conseguenze negative che sarebbero potute derivare per il sodalizio dagli arresti effettuati a Ciro' Marina, nell'ambito della "(OMISSIS)", in cui si colloca il contributo collaborativo di (OMISSIS), timore talmente forte da indurre il (OMISSIS) a ipotizzare un suo viaggio a Ciro' Marina per comprendere meglio cosa stesse succedendo, non essendo prudente parlare per telefono di tali argomenti). Alla luce di tali osservazioni va, pertanto, ribadito, come non sia affatto manifestamente illogico o contraddittorio ritenere il (OMISSIS) un soggetto certamente non estraneo alla compagine mafiosa in argomento. Egli non era un osservatore disinteressato delle vicende del sodalizio, quasi si trattasse di un cronista della storia della locale di Legnano/Lonate Pozzolo, ma un soggetto organicamente inserito nella suddetta cosca mafiosa, non trovando altra spiegazione logica la sua dettagliata conoscenza delle dinamiche interne alla locale e delle attivita' illecite poste in essere dai suoi adepti; la preoccupazione che egli manifestava per la perdita di consenso del sodalizio sul territorio di riferimento e per l'attivita' di contrasto delle forze di polizia; il suo scrupolo, quasi ossessivo, nel porsi, non solo come mediatore, ma anche come "ufficiale di collegamento" tra la locale radicata in Lombardia e la potente cosca-madre di Ciro' Marina. In questa prospettiva assumono univoco significato i ripetuti incontri con lo (OMISSIS) nelle sue trasferte lombarde, registrati dagli organi investigativi, nel corso dei quali il (OMISSIS) si accompagnava all'emissario della cosca di Ciro' Marina, anche fungendogli da autista, ricevendo, almeno in due occasioni, dallo (OMISSIS) un aggiornamento sulle vicende della locale calabrese e la richiesta di un contributo "per definire problematiche sorte all'interno dell'associazione, come con riferimento alla questione relativa alla famiglia (OMISSIS)", che, come si ricordera', era il soprannome di (OMISSIS). Sul punto appare condivisibile la valorizzazione operata dalla corte territoriale della conversazione intercettata il 23.5.2017, n. 690, nel corso della quale il (OMISSIS) "parla con (OMISSIS) dei problemi che potrebbero insorgere all'interno della locale, facendo un esplicito riferimento: "Meglio le catene" (arresti) che le "campane morte"; si sottolinea l'aggressivita' del (OMISSIS) e si auspica che lo (OMISSIS) risolva i contrasti sorti all'interno dell'organizzazione, di cui i conversanti si sentono parte integrante, come plasticamente rappresentato dall'espressione utilizzata: "dobbiamo fare un'unica famiglia" (cfr. p. 44), tema, quello dell'appartenenza alla medesima realta' associativa, che ritorna in un'altra conversazione con il (OMISSIS) (la n. 373 del 9.5.2017), in occasione della quale il ricorrente, nel prospettare il rischio per il (OMISSIS) di essere ucciso, afferma testualmente: "se succede qualche omicidio lo paghiamo tutti quanti" (cfr. p. 43). Del pari particolare rilievo assume la progettazione di un omicidio da parte del (OMISSIS) (che, secondo l'assunto accusatorio, aveva come bersaglio il (OMISSIS)), come si evince dal tenore inequivoco di una conversazione del 16.10.2017, n. 1210, relativa a un sopralluogo effettuato dal ricorrente in compagnia del (OMISSIS), come si e' detto uno degli esponenti di vertice della locale lombarda, nel corso della quale, da un lato, il (OMISSIS) affermava testualmente "pure dal cancello stesso, gli diamo una schioppettata e vaffanculo a chi l'e' morto", dall'altro, come annota il giudice di primo grado, si sottolinea che il (OMISSIS) "esce pazzo la sera" per controllare i movimenti della vittima" (cfr. p. 37). Tale conversazione viene collegata dai giudici di merito ad altra conversazione del 1.6.2017, n. 953, nel corso della quale il (OMISSIS), preoccupato dei contrasti che attraversavano il locale, comunque non risolti definitivamente dall'intervento pacificatore dello (OMISSIS), si diceva convinto della necessita' di cogliere il momento opportuno per uccidere il (OMISSIS), senza farne cadere la responsabilita' su di lui e sui suoi complici (cfr. p. 37). Non e', pertanto, revocabile in dubbio, sul piano logico, che egli (qualunque fosse il suo obiettivo, il (OMISSIS) o altri) stesse progettando l'esecuzione di un omicidio riconducibile alle dinamiche interne ovvero agli scopi della locale, altrimenti non avrebbe avuto senso la presenza del (OMISSIS), utilizzando un'arma da fuoco di cui aveva la disponibilita', senza tacere che lo stesso (OMISSIS) era oggetto di propositi omicidiari manifestati nei suoi confronti nel corso di una conversazione intercettata tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), in cui si addebitava al ricorrente di "parlare troppo". Al riguardo si osserva che risulta del tutto conforme a logica affermare, come fatto dai giudici di merito, che siffatta preoccupazione e' un ulteriore elemento da considerare a favore dell'organico inserimento del (OMISSIS) nella locale lombarda, in quanto la conoscenza di fatti la cui diffusione da parte dell'imputato il (OMISSIS) e il Rivoli temevano, non poteva che dipendere da tale inserimento, condizione indispensabile per accedere a quelle notizie di cui i sodali paventavano la rivelazione. In questo contesto va, inoltre, considerato il contributo conoscitivo fornito da (OMISSIS), che si salda, quasi sovrapponendosi in alcune parti della sua narrazione, al contenuto delle conversazioni intercettate. Il collaboratore di giustizia, sottoposto a puntuale verifica dai giudici di merito in relazione ai necessari profili della credibilita' personale e della attendibilita', intrinseca ed estrinseca delle sue dichiarazioni, si e' intrattenuto diffusamente sul (OMISSIS), non negando la forte inimicizia provata nei suoi confronti (peraltro, come spiegato dallo stesso collaboratore, dovuta anche alla circostanza di avere appreso, leggendo un'ordinanza di custodia cautelare emessa nell'ambito di un diverso procedimento penale, della disponibilita' manifestata dal ricorrente di contribuire al progetto di uccidere (OMISSIS)). Le dichiarazioni del (OMISSIS) hanno delineato una partecipazione attiva del (OMISSIS) alla locale lombarda, in quanto, come riferito dal collaboratore, il (OMISSIS): 1) forniva liquidita' per sostenere le spese relative ai viaggi dello (OMISSIS), che accompagnava nelle sue trasferte a Lonate Pozzolo, venendo utilizzato dallo stesso (OMISSIS) per contattare lo (OMISSIS), il quale lo riteneva una pedina di non poco momento negli equilibri della locale, tanto da bloccare il piano del (OMISSIS) di ucciderlo, perche' il (OMISSIS) "serviva per i soldi"; 2) piu' in generale, da un lato prestava soldi agli associati, dall'altro, metteva a disposizione del sodalizio somme di denaro, ad avviso del collaboratore ricavate da una precedente attivita' di spaccio di cocaina, che venivano impiegate sia per nuove forme di investimento, che per l'acquisto di droga, occupandosi anche del sostegno dei latitanti; 3) non aveva preso posizione nello scontro che vedeva contrapposte le fazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS), ulteriore motivo del rancore provato dal collaboratore nei suoi confronti. Il (OMISSIS), inoltre, come rilevato dalla corte territoriale, si e' espresso anche in ordine alla natura del rapporto che legava il (OMISSIS) alla locale di Lonate Pozzolo, evidenziando come, pur non potendo quest'ultimo essere definito un uomo di âEuroËœndrangheta, perche' non affiliato, in quanto, a differenza dello stesso collaboratore, non era stato sottoposto alla cerimonia tipica dell'affiliazione, che implicava l'osservanza di un preciso cerimoniale, descritto dal (OMISSIS), egli era comunque "vicino a noi, era a disposizione di tutti noi della locale e anche di Ciro'" (cfr. pp. 35-48). Il che, sia detto per inciso, sgombra il campo alla tesi difensiva sulla pretesa convinzione dei componenti dell'associazione che il (OMISSIS) fosse un informatore delle forze dell'ordine, per tale ragione estraneo alla cosca mafiosa, in quanto, da un lato, tale assunto risulta efficacemente contrastato dalle risultanze processuali, di cui si e' detto; dall'altro, come rilevano i giudici di merito, pur avendo il (OMISSIS) riferito di avere appreso che all'interno del sodalizio circolava tale voce, essa, come riferito dal collaboratore, era rimasta priva di riscontro e, in ogni caso, risulta smentita dal ruolo mantenuto dal ricorrente, in primis nei suoi rapporti con lo (OMISSIS). I giudici di merito si sono soffermati anche sull'interesse manifestato dal (OMISSIS) per sostenere la campagna elettorale del sindaco di Lonate-Pozzolo, (OMISSIS), in cambio di vantaggi che poi non gli sarebbero stati assicurati, ovvero sull'ipotesi che il ricorrente potesse accedere a informazioni riservate relative alle attivita' di indagine, per il tramite di (OMISSIS) (OMISSIS), investigatore privato e consulente della Procura della Repubblica. Orbene, pur non dovendosi trascurare che il ricorrente, nel corso di una serie di conversazioni intercettate esprimeva preoccupazione per le conseguenze che avrebbe potuto produrre nei confronti suoi e del (OMISSIS) l'eventuale decisione del (OMISSIS) di collaborare con gli organi investigativi, dopo il suo arresto, tali profili, a differenza delle altre evidenze esaminate in precedenza, non assumono un significato univoco, circa la partecipazione del ricorrente alla locale di cui si discute. Se ne puo', dunque, fare tranquillamente a meno, senza che cio' infici in alcun modo il quadro accusatorio a carico del (OMISSIS). A fronte del limpido percorso argomentativo seguito dai giudici di merito, i rilievi difensivi, in conclusione, sollecitano un'inammissibile rivalutazione del compendio probatorio, di cui offrono una lettura atomizzata e parziale (come, ad esempio, quando si deduce il mancato ricorso alla forza di intimidazione della cosca da parte del (OMISSIS)), omettendo il ricorrente di confrontarsi con il complesso delle evidenziate risultanze processuali (conversazioni oggetto di captazione; dichiarazioni dei testimoni e dei collaboratori di giustizia; provvedimenti giudiziari), che i giudici di merito hanno, invece, analizzato con estremo rigore, valutando i singoli elementi di prova, prima nel significato a ciascuno di essi attribuibile, poi nel significato complessivo desumibile mettendoli a confronto (operazione che ha messo in luce come si integrassero gli uni con gli altri) e saggiandone la resistenza alle osservazioni della difesa. Le conclusioni cui sono giunti i giudici di merito in ordine alla ritenuta partecipazione del (OMISSIS) alla locale di âEuroËœndrangheta di cui si discute appaiono conformi ai principi elaborati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimita'. Come e' noto la sussistenza del reato associativo di stampo mafioso, nelle diverse forme in cui la fattispecie legale declina le modalita' di partecipazione del singolo al sodalizio in qualita' di semplice partecipe (articolo 416 bis c.p., comma 1) ovvero di organizzatore, dirigente o promotore (articolo 416 bis c.p., comma 2), prescinde, al pari dell'ipotesi non qualificata, dalla commissione dei reati-fine, essendo sufficiente alla sua consumazione, come affermato da tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, condivise da questo Collegio, la costituzione del vincolo tra i sodali con il programma di creare una forza di intimidazione al fine di utilizzarla per il perseguimento degli obiettivi associativi (cfr. Sez. I, 1/7/1987, n. 9859, Ingemi, rv. 176676; Sez. 21.10.1986, n. 6330, Musacco, rv. 176087), il che non esclude, ma, in un certo senso, limita al piano probatorio la rilevanza della accertata partecipazione di determinati soggetti ai reati-fine effettivamente realizzati, nel giudizio relativo all'esistenza del vincolo associativo (cfr. Sez.II, 13/7/1999, Amaro; Sez. V, 14/9/1991, Monaco; Cass., sez. VI, 23/11/2004, Tahiri). Non bisogna, tuttavia, trascurare il carattere speciale del reato di cui all'articolo 416 bis c.p., su cui concordano dottrina e giurisprudenza, evidenziando come esso si caratterizzi, sotto il profilo attivo, per l'utilizzazione da parte degli associati dell'intimidazione nascente dal vincolo associativo; sotto il profilo passivo, per la condizione di assoggettamento e di omerta' che ne deriva. La tipicita' della fattispecie di cui all'articolo 416 bis c.p., si coglie, dunque, non tanto negli scopi (pure essenziali per l'esistenza del reato) avuti di mira dai consociati che, come appare evidente dalla formulazione letterale dell'articolo 416 bis c.p., comma 3, possono essere rappresentati, a differenza di quanto previsto dall'articolo 416 c.p., comma 1 anche da eventi diversi dalla commissione di delitti ed, in ipotesi, anche leciti, inseriti, tuttavia, nell'orbita dell'illecito penale proprio in conseguenza delle modalita' "mafiose" con cui vengono realizzati, ma, per l'appunto, nelle modalita' attraverso cui l'associazione decide di manifestarsi e si manifesta concretamente: l'intimidazione ed il conseguente insorgere nei terzi di quella situazione di soggezione, che puo' derivare anche soltanto dalla conoscenza della pericolosita' del sodalizio di stampo mafioso (cfr. Sez. I, 10/2/1992, n. 3223, d'Alessandro, rv. 189665; Sez. I, 1/4/1992, n. 6784, Bruno, rv. 190539). Se, dunque, l'elemento tipizzante del delitto di cui all'articolo 416 bis c.p., si presenta nei termini ora indicati, puo' a ragione affermarsi, partendo dalla tradizionale nozione della partecipazione all'associazione a delinquere come condotta a forma libera, per cui qualunque azione, purche' dotata di efficacia causale rispetto all'evento tipico, e' costitutiva della materialita' del fatto (cfr. Sez. I, 27.1.1986, Scala), che la partecipazione ad un sodalizio criminoso di stampo mafioso puo' configurarsi attraverso una molteplicita' di contributi, costituenti, al tempo stesso, sul piano probatorio, altrettanti indici rivelatori dell'esistenza del vincolo associativo, tutti contrassegnati proprio dalla intervenuta "messa a disposizione" del singolo a favore dell'associazione a delinquere. La condotta di partecipazione ad un'associazione per delinquere, per essere punibile, non puo' esaurirsi in una manifestazione positiva di volonta' del singolo di aderire alla associazione che si sia gia' formata, occorrendo, invece la prestazione, da parte dello stesso, di un effettivo contributo, che puo' essere anche minimo e di qualsiasi forma e contenuto, purche' destinato a fornire efficacia al mantenimento in vita della struttura o al perseguimento degli scopi di essa (cfr. Sez. II, 21.12.2004, n. 2350, Papalia ed altri, rv. 230718). Puo', dunque affermarsi, conclusivamente, che, in tema di associazione di stampo mafioso, la permanente "disponibilita'" al servizio dell'organizzazione mafiosa, indipendentemente dalla prova di una formale iniziazione e, quindi, dell'acquisizione della qualifica di "uomo d'onore", rappresenta univoco sintomo di inserimento strutturale nella compagine associativa sodalizio e, quindi, di vera e propria partecipazione, ad un livello pur minimale, al sodalizio delinquenziale, mentre la "legalizzazione" con la qualifica di "uomo d'onore" costituisce uno stadio piu' evoluto nella progressione carrieristica del mafioso nell'organigramma piramidale del sodalizio (cfr. Sez. V, 21.11.2003, n. 6101, Bruno e altro, rv. 228058). Cio' appare assolutamente conforme ai principi affermati in materia dalla nota sentenza "Mannino" delle sezioni unite del Supremo Collegio, che, evidenziando la natura "dinamica" del contributo che il singolo sodale deve apportare alla compagine associativa perche' esso possa essere definito in termini di "partecipazione" ai sensi dell'articolo 416 bis c.p., ne individua l'essenza proprio nella "messa a disposizione" del singolo in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Rileva, infatti, il Supremo Collegio nella sua piu' autorevole espressione che in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione e' riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, piu' che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Precisa, inoltre, la Corte, nel corpo della motivazione, che la partecipazione puo' essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalita' di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purche' si tratti di indizi gravi e precisi - tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l'affiliazione rituale, l'investitura della qualifica di "uomo d'onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e pero' significativi "facta concludentia" - idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo (cfr. Sez. U., 12.7.2005, n. 33748, Mannino, rv. 231670, nonche', nello stesso senso, Sez. I, 11.12.2007, n. 1470, p.g. in proc. Addante e altri, rv. 238839). In questo solco interpretativo si inseriscono piu' recenti decisioni, in cui si e' evidenziato come, ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso, l'investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica ma unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all'interno dello stesso che emergono emergere anche da significativi "facta concludentia". Non e', pertanto, necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso ovvero di altre condotte idonee a rafforzarne la struttura operativa, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del gruppo criminale, precisandosi che, qualora manchi la dimostrazione dell'inserimento formale del singolo all'interno della cosca, la prova della partecipazione puo' essere ricavata anche dal compimento di una o piu' attivita' significative nell'interesse dell'associazione criminale (cfr. Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, Rv. 273571, Sez. 2, n. 18559 del 13/03/2019, Rv. 276122). Il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, invero, si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell'organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiche', trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l'offesa all'ordine pubblico e' sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. "messa a disposizione", che e' di per se' idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialita' operative e la capacita' di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale (cfr. Sez. 5, n. 27672 del 03/06/2019, Rv. 276897). Sino a giungere ad un nuovo arresto delle Sezioni unite, in cui si e' ribadito il principio, secondo cui la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua âEuroËœmessa a disposizione' in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (cfr. Sez. U. n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889). Alla luce di tali principi non appare, pertanto, irrazionale ne' giuridicamente estraneo al modello legale, desumere, come fatto dalla corte territoriale, la completa "messa a disposizione" del (OMISSIS) in favore della locale di Lonate Pozzolo, dunque, la sua partecipazione al suddetto sodalizio di stampo mafioso, dal pieno sostegno assicurato dal ricorrente alla suddetta cosca, a prescindere da una sua affiliazione formale (come si e' detto, non necessaria per integrare il reato in parola). Sostegno oggettivamente e soggettivamente funzionale ad assicurare l'operativita' dell'associazione a delinquere nel territorio di riferimento, avendo il ricorrente con la sua condotta, come in precedenza descritta, rafforzato il proposito criminoso degli altri associati e, di conseguenza, accresciuto le potenzialita' operative e la capacita' di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale. Proprio tale compenetrazione del (OMISSIS) nel tessuto organico della locale lombarda, non consente di qualificare la sua condotta in termini di concorso esterno nel reato associativo. Come evidenziato, infatti, dalla giurisprudenza di legittimita', con orientamento condiviso dal Collegio, la distinzione tra la condotta di partecipazione ad associazione mafiosa ed il concorso esterno non ha natura meramente quantitativa, ma e' collegata alla organicita' del rapporto tra il singolo e la consorteria, per cui deve essere qualificato come contributo di partecipazione quello del soggetto cui sia stato attribuito un ruolo nel sodalizio, anche se lo stesso non abbia mai avuto occasione di attivarsi, mentre, al contrario, va qualificato come contributo concorsuale "esterno" quello dell'"extraneus", sulla cui disponibilita' il sodalizio non puo' contare, che sia stato piu' volte contattato per tenere determinate condotte agevolative, concordate sulla base di autonome determinazioni. (cfr. Sez. 2, n. 35185 del 21/09/2020, Rv. 280458, Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Rv. 264625). Se ne deduce l'infondatezza del secondo motivo di ricorso. Inammissibile appare il terzo motivo di ricorso. Che il (OMISSIS) detenesse armi nell'interesse del sodalizio mafioso risulta adeguatamente dimostrato dal contenuto di una serie di conversazioni intercettate, a partire dalle due di cui si dira' tra breve, dal significato inequivocabile. Nella prima (la n. 871 del 30.5.2017) il ricorrente informa il suo interlocutore, il (OMISSIS), di avere sparato ad alcuni uccelli, trapassandoli da parte a parte, soffermandosi a descrivere la potenzialita' offensiva e la capacita' di tiro delle armi utilizzate, una (pistola) calibro 9 e una (pistola) calibro 22, riferendo al suo interlocutore di nascondere la calibro 22 in un luogo vicino al posto in cui ha sparato agli uccelli. Nella seconda (la n. 647 del 22.5.2017), sempre conversando con il (OMISSIS), il (OMISSIS) rivela al suo interlocutore di avere avuto nel tempo la disponibilita' di armi, che gli vengono custodite da una terza persona, che, all'epoca della intercettazione, ancora custodiva per suo conto due pistole. In considerazione del chiaro contenuto di tali intercettazioni non puo' che condividersi, in quanto dotato di intrinseca coerenza logica, il ragionamento operato dalla corte territoriale, che ha osservato come debba escludersi l'uso di pistole a salve, in quanto inidonee a produrre l'effetto, riferito dal (OMISSIS) al (OMISSIS), di avere "bucato da una parte all'altra", uno degli uccelli presi di mira. La stessa potenzialita' offensiva delle armi su cui, come si e' visto, si sofferma specificamente l'imputato nella sua conversazione con il (OMISSIS), nella ricostruzione fornita dai giudici di merito, rappresenta un ulteriore elemento da cui dedurre razionalmente che egli non faccia riferimento ad armi a salve, in uno con la circostanza, che rafforza, sul piano logico, la fondatezza della contestata detenzione illecita delle stesse da parte del ricorrente, che il (OMISSIS) non possa servirsene liberamente, ma sia costretto a nasconderle in un luogo imprecisato ovvero servendosi della collaborazione di un terzo soggetto, che le custodisce per suo conto. A cio' si aggiunga, a ulteriore dimostrazione della diretta disponibilita' di armi da parte dell'imputato, componente della locale di Lonate/Pozzolo, pronte per essere utilizzate nell'ambito del contesto mafioso di riferimento, la gia' menzionata conversazione in cui egli in compagnia del (OMISSIS) progetta di eseguire un omicidio, servendosi di un fucile. Orbene, come si e' gia' detto, le dichiarazioni, captate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria, soprattutto quando, come nel caso in esame, e' possibile coglierne in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto (cfr. Sez. 2, n. 37794 del 12/06/2019, Rv. 277707). D'altro canto, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite, nel caso in esame del tutto assenti nel percorso argomentativo seguito dai giudici di merito. Va solo aggiunto che anche il (OMISSIS) ha riferito di una disponibilita' di armi da parte del (OMISSIS) messe a disposizione del sodalizio e, al riguardo, non puo' non rilevarsi come l'affermazione trovi adeguato riscontro esterno nel contenuto delle menzionate intercettazioni, comunque da solo sufficiente a fondare l'affermazione di responsabilita' del ricorrente per il reato di cui si discute. Inammissibile appare il motivo riguardante il concorrente reato di porto di armi delle due pistole, che non solo appare versato in fatto, ma, soprattutto, risulta motivo inedito, non avendo formato oggetto di specifica deduzione in appello. Infondato e tale da sollecitare in parte una non consentita rivalutazione sul merito del trattamento sanzionatorio, deve considerarsi l'ultimo motivo di ricorso. La corte territoriale ha preso in considerazione gli elementi rappresentati dall'imputato a sostegno della sua tesi (l'eta' avanzata; lo svolgimento di attivita' lavorativa; il collaborativo comportamento processuale), ritenendoli, con motivazione implicita, ma non per questo lacunosa, manifestamente illogica o contraddittoria, di natura tale da non poter prevalere sulla gravita' dei fatti per cui si procede nei confronti dell'imputato, facendo in tal modo buon governo dei' principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita', con costante orientamento, che giustifica il diniego delle attenuanti generiche anche solo sulla base della gravita' della condotta (cfr., ex plurimis, Cass., sez. IV, 28/05/2013, n. 24172; Cass., sez. III, 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172). Quanto alla dosimetria della pena non puo' dirsi che la motivazione sia mancante, manifestamente illogica o contraddittoria, posto che la corte territoriale ha confermato la decisione sul punto del giudice di primo grado, anche con riferimento all'entita' degli aumenti operati sulla pena-base a titolo di continuazione, evidenziando, per un verso, come la pena sia stata determinata in misura prossima al minimo edittale, per altro verso come si tratti di aumenti contenuti, ragione per la quale appare evidente come la determinazione dell'entita' del trattamento sanzionatorio sia stata ancorata dal giudice di secondo grado a una valutazione complessiva sulla gravita' del fatto. 5. Alla dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi del (OMISSIS), della (OMISSIS) e del (OMISSIS), segue la condanna dei suddetti ricorrenti, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l'evidente inammissibilita' dei motivi di impugnazione non consente di ritenere questi ultimi immuni da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilita' (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). Il rigetto del ricorso del (OMISSIS), comporta, sempre ai sensi dell'articolo 616, c.p.p., la condanna di quest'ultimo al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GALTERIO Donatella - Presidente Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 30-03-2022 della Corte di appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Fabio Zunica; lette le conclusioni scritte rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Manuali Valentina, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni scritte rassegnate dall'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia del ricorrente, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 30 marzo 2022, la Corte di appello di Palermo confermava la decisione del 2 marzo 2021, con la quale il G.U.P. del Tribunale di Palermo aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni 8 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli articolo 609 bis, 609 ter c.p., comma 1 n. 5) e 5 ter), commesso in danno della minore (OMISSIS) in stato di gravidanza (capo A, fatto compiuto in (OMISSIS)), nonche' del reato ex articolo 81 e 600 c.p., comma 1 commesso in danno della medesima persona offesa (capo B, fatto compiuto in (OMISSIS) in epoca anteriore e prossima al (OMISSIS)). In particolare, secondo la prospettazione accusatoria recepita dai giudici di merito, l'imputato, dopo aver instaurato un intenso rapporto telefonico con la (OMISSIS), di cui carpiva la fiducia inducendola a ritenere di conoscere un ginecologo che la potesse aiutare in ragione del suo stato di gravidanza, costringeva la minore a subire atti sessuali consistiti sia in ripetute penetrazioni vaginali e anali servendosi delle dita della mano, sia nello stringerle con forza i seni e nel praticarle un rapporto orale, persistendo in tali condotte nonostante la persona offesa gli avesse chiesto di fermarsi anche alla luce del dolore provato. (OMISSIS), inoltre, nel contesto della relazione telefonica intrapresa con la (OMISSIS), utilizzava costei, fingendosi intermediario nelle comunicazioni tra lei e un presunto ginecologo, per realizzare materiale pedopornografico, ovvero una foto e due video raffiguranti la vagina della minore e l'atto di masturbazione praticato dalla stessa. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello siciliana, (OMISSIS), tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi. Con il primo, la difesa censura la valutazione di attendibilita' della persona offesa, essendo mancato in proposito il rigoroso vaglio che sarebbe stato necessario, soprattutto in ragione del fatto che dalle dichiarazioni della ragazzina sarebbe emerso "un animo ritorsivo e inquieto", che non avrebbe contribuito a una ricostruzione oggettiva dei fatti. Con il secondo motivo, e' stata eccepita la violazione dell'articolo 609 bis c.p. in relazione alla valutazione circa l'esistenza o meno del consenso della persona offesa: in particolare, la Corte di appello non avrebbe considerato come dall'istruttoria sia un emerso un rapporto pregresso tra l'imputato e la (OMISSIS), prima estrinsecatosi in un costante scambio di messaggi e di foto e poi sfociato in un incontro, avvenuto in un luogo completamente all'aperto, che non avrebbe consentito alcuna costrizione, per cui, avuto riguardo al contesto in cui e' maturato il legame tra (OMISSIS) e la persona offesa, doveva escludersi che il predetto incontro abbia avuto connotazioni violente. Con il terzo motivo, correlato al precedente, la difesa insiste nell'eccepire la violazione dell'articolo 609 bis c.p., sottolineando come la Corte di appello abbia sottovalutato la circostanza, non banale, della mancata reazione della persona offesa, la quale, pur trovandosi in un luogo aperto, non ha urlato, non ha pianto, ne' ha riferito sensazioni o condotte tipiche di abusi sessuali, parlando solo di un generico stato di momentaneo fastidio, per cui la sussistenza del dissenso appare oggettivamente incerta. Con il quarto motivo, si contesta la formulazione del giudizio di colpevolezza del ricorrente in relazione al reato di cui all'articolo 600 ter c.p., obiettandosi che, alla stregua degli insegnamenti della giurisprudenza di legittimita', l'imputato doveva essere assolto dal reato ascrittogli al capo B, in quanto egli si e' limitato a conservare i messaggi e le foto che si era reciprocamente e consensualmente scambiato con la (OMISSIS). Con il quinto motivo, e' stata dedotta l'erronea applicazione dell'articolo 609 ter c.p., n. 5 ter, osservandosi che l'aggravante prevista da tale norma non poteva essere applicata, posto che l'imputato non aveva la certezza dello stato di gravidanza in cui versava la persona offesa, essendo soltanto a conoscenza di un mero "ritardo mestruale". Con il sesto motivo, infine, oggetto di doglianza e' la mancata applicazione della circostanza attenuante della minore gravita' di cui all'articolo 609 bis c.p., comma 3, rilevandosi che, nel caso di specie, non e' emersa alcuna lesione dell'integrita' psico-fisica della persona offesa, la quale, in sede di incidente probatorio, ha dato prova di aver raggiunto una certa maturita', anche nell'utilizzo di un determinato linguaggio sessuale. Da ultimo, si evidenzia che la Corte di appello, nella determinazione della pena, avrebbe omesso di osservare quanto statuito dall'articolo 133 c.p., non tenendo conto dei precedenti penali e giudiziari dell'imputato, della condotta contemporanea e susseguente al reato, nonche' delle sue condizioni di vita, individuali, familiari e sociali. 2.1. Con memoria trasmessa il 23 febbraio 2023, il difensore dell'imputato, nel replicare alla requisitoria del Procuratore generale, insisteva nell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile perche' manifestamente infondato. 1. Premesso che i primi tre motivi di ricorso sono suscettibili di trattazione unitaria, perche' tra loro sostanzialmente sovrapponibili, occorre evidenziare che la valutazione sulla attendibilita' della persona offesa e la conseguente affermazione della penale responsabilita' dell'imputato non presentano vizi di legittimita' rilevabili in questa sede. Deve premettersi al riguardo che sia il Tribunale che la Corte di appello hanno operato un'attenta ricostruzione dei fatti di causa, richiamando in primo luogo le dichiarazioni rese il 13 luglio 2020 in sede di incidente probatorio da (OMISSIS), la quale, nel confermare le sommarie informazioni rese il 6 dicembre 2019 dopo alcune preliminari audizioni rivelatesi poco chiare, ha ripercorso le tappe del suo legame con (OMISSIS), persona presente nei suoi contatti, cui ella si era rivolta in un momento per lei particolare. La (OMISSIS), infatti, all'epoca quattordicenne, nel mese di ottobre 2019, aveva avuto un rapporto sessuale non protetto con un ragazzino di 16 anni, tale (OMISSIS), e avendo avuto un ritardo del ciclo mestruale, versava in un grave stato di ansia, che non riusciva a condividere con i genitori, per cui ella in quel periodo stabili' un rapporto stretto con il venticinquenne (OMISSIS), il quale anche grazie al coinvolgimento di un suo amico ginecologo, di nome " (OMISSIS)", avrebbe potuto risolvere il suo problema, come gia' aveva fatto in precedenza con una sua amica che si era trovata nella stessa situazione. La ragazzina prestava fiducia al suo interlocutore e di li' a poco veniva contattata, tramite Instagram, dal sedicente ginecologo " (OMISSIS)", il quale le diceva di essere stato informato del problema da (OMISSIS) e la informava che, per rimediare, ovvero per la ripresa del ciclo, sarebbero stati necessari un massaggio all'interno della vagina e l'assunzione di una pillola. Aggiungeva il "ginecologo" che, per capire meglio la situazione, occorreva che la (OMISSIS) inviasse a (OMISSIS) fotografie e video in cui mostrasse i seni, la vagina e l'ano, praticando anche la penetrazione della vagina con tre dita, cosa che la ragazzina fece. Inizialmente, il "ginecologo" le disse che sarebbe stato lui a praticargli il massaggio, ma, nel giorno stabilito, adducendo di essere contestualmente impegnato in un'operazione, affidava il compito a (OMISSIS), che era comunque perfettamente preparato a tal fine. E cosi', la mattina di un venerdi', la (OMISSIS) si incontrava con (OMISSIS) nei pressi della stazione di (OMISSIS): i due si incamminavano per una stradina che costeggia i binari per poi raggiungere un campo vicino dove era presente un grande albero. Qui l'imputato faceva togliere i pantaloni e le mutandine alla ragazzina e iniziava il massaggio introducendo delle dita nella vagina, chiedendole se gliela potesse leccare; nonostante lei le avesse detto di no, (OMISSIS), rimasto vestito, lo fece comunque, utilizzando anche i denti, stringendole e mordendole anche i seni, dicendo che questo serviva a lubrificare la vagina, che non era bagnata, rimproverandola anzi per questo. Nonostante le proteste della ragazzina, l'imputato proseguiva, introducendole anche le sue dita nell'ano e interrompendo la sua azione solo a seguito del pianto della (OMISSIS). Finito il "massaggio", invero piu' per la reazione della persona offesa che per l'iniziativa dell'imputato, questi diede alla ragazzina, per pulirsi, un fazzoletto imbevuto di limone. Ha infine dichiarato la (OMISSIS) che il sospetto circa le reali intenzioni di (OMISSIS) le era venuto gia' durante il primo dipanarsi dei fatti, ma, vista la disperazione in cui versava, aveva confidato nella possibilita' che le sue rassicurazioni potessero essere veritiere. 1.1. Orbene, all'esito di una disamina razionale dell'intero compendio probatorio, la narrazione di (OMISSIS) e' stata ritenuta credibile dai giudici di merito, i quali ne hanno rimarcato la precisione e la coerenza, sottolineando che la narrazione della minore, considerata peraltro pienamente capace di testimoniare dal consulente tecnico del P.M., e' risultata priva di manifestazioni di acrimonia nei confronti dell'imputato, essendo in tal senso significativo che la persona offesa non si' e' neanche costituita parte civile. Le dichiarazioni della (OMISSIS), in ogni caso, sono state corroborate da una pluralita' di riscontri: innanzitutto, la sera del (OMISSIS), dopo l'audizione della ragazzina, la P.G. eseguiva un sopralluogo nella zona della stazione ferroviaria di (OMISSIS) e i luoghi visionati dagli operanti sono risultati coerenti con la descrizione fornita dalla persona offesa, essendo stata peraltro rinvenuta, in prossimita' di un grosso albero di carrubo con i rami pendenti fino a terra, "una salviettina imbevuta al limone". Di ancor maggiore spessore probatorio si sono rivelati inoltre gli accertamenti tecnici sugli smartphone in uso all'imputato e alla persona offesa, essendo stati comprovati sia l'invio da parte della (OMISSIS) a (OMISSIS) di due video e di una foto dal chiaro contenuto pedopornografico, immagini non cancellate dall'imputato dal proprio telefonino, sia gli scambi di messaggi tra i due, avvenuti fino al (OMISSIS) e aventi ad oggetto le fasi principali della loro interlocuzione, ovvero i timori della minore per il ritardo del ciclo, il pronto interessamento del ricorrente per la situazione, l'intervento del sedicente ginecologo " (OMISSIS)" e le subdole richieste di questi, che in realta' era sempre (OMISSIS), di mandargli subito video e foto delle zone intime della ragazzina, la quale si presto' a tale sollecitazioni, nella sola speranza che le fossero di aiuto per affrontare la questione che le stava a cuore in quel momento, la fissazione dell'appuntamento presso la stazione di (OMISSIS) per la pratica del "massaggio", e la presa d'atto che il "trattamento" ricevuto si era rivelato del tutto infruttuoso, almeno nel senso auspicato dalla ragazzina. Il quadro probatorio e' stato poi completato dalle dichiarazioni sostanzialmente confessorie rese il 28 febbraio 2020 da (OMISSIS) nel corso dell'interrogatorio di garanzia, anche se poi, in sede di dichiarazioni spontanee rese il 18 febbraio 2021, nell'imminenza della decisione di primo grado, l'imputato ha di fatto rinnegato le sue ammissioni, sostenendo che i fatti riferiti dalla (OMISSIS) "non sono cose reali", ma tale affermazione e' stata ritenuta non veritiera dai giudici di merito, a fronte della linearita' della versione fornita dalla persona offesa e dai molteplici riscontri che ne avevano confermato la credibilita'. Pertanto, il G.U.P. e la Corte di appello hanno escluso che gli atti sessuali compiuti dall'imputato siano stati consensuali, osservando che la (OMISSIS), a seguito dell'attivita' decettiva dell'imputato, si era dichiarata disponibile solo al "massaggio" che, per quanto le era stato falsamente riferito, avrebbe dovuto sbloccarle il ciclo, mentre (OMISSIS) e' andato ben oltre, insistendo nella penetrazione vaginale e poi in quella anale, oltre che nel rapporto orale, e cio' anche dopo che la minore le aveva chiesto chiaramente di fermarsi. 1.2. In definitiva, in quanto ancorati a considerazioni coerenti con le acquisizioni probatorie e scevri da aspetti di irrazionalita', il giudizio di attendibilita' della persona offesa e la qualificazione giuridica dei fatti come violenza sessuale da parte dei giudici di merito non prestano il fianco alle censure difensive, che si articolano, peraltro in termini non adeguatamente specifici, nella proposta di una lettura alternativa e invero frammentaria del materiale istruttorio, operazione non consentita in questa sede, posto che (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalita', sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Di qui l'infondatezza delle doglianze in punto di responsabilita' riferite al capo A. 2. Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al quarto motivo, riguardante l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato per il reato di cui al capo B. Ed invero la Corte territoriale ha correttamente ritenuto sussistente la fattispecie di cui all'articolo 600 ter c.p., valorizzando il fatto che (OMISSIS), tramite l'identita' fittizia del "Dott. (OMISSIS)", ha chiesto e ottenuto che la (OMISSIS) realizzasse per lui materiale pornografico e glielo inoltrasse, il che e' sufficiente a integrare il reato contestato, a nulla rilevando la mancata diffusione da parte dell'imputato dei video e delle foto ricevute. In tal senso, i giudici di secondo grado, in modo pertinente, hanno richiamato il principio elaborato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. Un., n. 51815 del 31/05/2018, Rv. 274087), secondo cui, ai fini dell'integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all'articolo 600 ter c.p., comma 1, non e' richiesto l'accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale, essendo stato in tal modo superato il precedente indirizzo ermeneutico richiamato nel ricorso (Sez. Un. 13 del 31/05/2000, Rv. 216337), con cui era stata ancorata la rilevanza penale della condotta alla verifica della sussistenza di un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto. L'impostazione delle Sezioni Unite del 2018 e' stata peraltro condivisa e ulteriormente sviluppata nel 2021 con la sentenza n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, Rv. 282718, con cui le Sezioni Unite hanno ribadito che, ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 600 ter c.p., comma 1, si ha "utilizzazione" del minore allorquando, all'esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell'eta', maturita', esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volonta' del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale del fatto solo le condotte realmente prive di offensivita' rispetto all'integrita' psicofisica dello stesso, ipotesi questa non ravvisabile nella vicenda in esame, alla luce della dinamica prima illustrata della relazione instauratasi tra l'imputato e la persona offesa. 3. Venendo al quinto motivo, se ne deve parimenti rimarcare la manifesta infondatezza. Nel ritenere provata la contestata aggravante di cui all'articolo 609 ter c.p., comma 1, n. 5 ter, sia il G.U.P. che la Corte di appello hanno sottolineato, con argomentazioni con cui il ricorso non si confronta adeguatamente, che l'imputato, come risulta dalle chat acquisite, era ben al corrente che la (OMISSIS) aveva un ritardo del ciclo mestruale che preludeva a una gravidanza, essendo incentrata proprio su questo aspetto l'intera condotta di (OMISSIS), per cui, in forza del criterio delineato dall'articolo 59 c.p., comma 2, l'attribuzione di tale circostanza appare tutt'altro che illegittima, dovendosi ritenere che l'imputato fosse senz'altro a conoscenza dello stato interessante della vittima. 4. Il sesto motivo e' inammissibile sotto un duplice aspetto. In primo luogo, occorre evidenziare che l'attenuante di cui all'articolo 609 bis c.p., comma 3 non era stata invocata dalla difesa con i motivi di appello, per cui la relativa questione risulta proposta tardivamente per la prima volta in sede di legittimita'. A cio' deve aggiungersi che, in ogni caso, la censura difensiva e' manifestamente infondata nel merito, dovendosi escludere, alla stregua degli accertamenti fattuali cristallizzati nelle due conformi sentenze di merito, una valutazione della vicenda in termini di minore gravita', avuto riguardo all'oggettiva invasivita' degli atti sessuali subiti dalla (OMISSIS), che all'epoca dei fatti si trovava in una condizione di forte ansia, nota peraltro all'imputato. Al di la' della mancata prospettazione della richiesta, deve pertanto ritenersi che la stessa non sarebbe stata suscettibile di applicazione, avendo questa Corte piu' volte affermato (cfr. Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, Rv. 259196) che, in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilita' della circostanza per i casi di minore gravita', deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, in cui assumono rilievo i mezzi, le modalita' esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all'eta', cosi' da potere ritenere che la liberta' sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto, il che nel caso di specie deve essere escluso in ragioni delle evidenti condizioni di disagio della vittima, preesistenti, concomitanti e successive al compimento degli abusi sessuali subiti. Non sufficientemente specifiche, infine, sono le residue doglianze in punto di trattamento sanzionatorio, non confrontandosi il ricorso con le argomentazioni non manifestamente illogiche della sentenza impugnata, nella quale sono stati rimarcati "l'inusitato grado di spregiudicatezza" mostrato da (OMISSIS) e "l'estrema riprovevolezza" del suo agire, cio' per giustificare sia il discostamento della pena base (anni 6 e mesi 6 di reclusione) dal minimo edittale, sia l'applicazione delle due contestate aggravanti nella misura massima, sia ancora l'aumento per la continuazione con il reato di cui al capo B, aumento peraltro contenuto nella misura di 6 mesi di reclusione, pari cioe' a un nono della pena base. 5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Considerato infine che, ai sensi della sentenza della Consulta n. 186 del 13 giugno 2000, non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', si dispone che il ricorrente versi la somma, fissata in via equitativa, di tremila Euro in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. VERGA Giovanna - Consigliere Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - rel. Consigliere Dott. LEOPIZZI Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 27/5/2021 della Corte di appello di Palermo; processo nel quale e' costituito parte civile 5MELIA Salvatore; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Perrotti; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Giulio Romano, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la inammissibilita' del ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS); uditi i difensori dei ricorrenti: avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS); avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che hanno illustrato diffusamente i motivi di ricorso, dei quali hanno chiesto l'accoglimento, con il conseguente annullamento della sentenza impugnata. L'avvocato (OMISSIS) per (OMISSIS) ha inoltre chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato contestato estinto per intervenuta prescrizione. RITENUTO IN FATTO Si procede nei confronti dei ricorrenti: - (OMISSIS) e (OMISSIS), per concorso nel delitto di fraudolenta intestazione di beni e valori (articolo 512 bis c.p., capo B), in relazione alle quote sociali della (OMISSIS) s.r.l., delle quali il (OMISSIS) sarebbe titolare per un valore pari al conferimento di Euro centomila, attribuite fittiziamente al (OMISSIS) (titolare apparente), al fine di eludere i provvedimenti di confisca di prevenzione. Fatto commesso in (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS), per il concorso nei delitti di estorsione consumata posti in continuazione (p.o. (OMISSIS)), aggravati dall'uso del metodo mafioso (capo E); fatti commessi in (OMISSIS), fino al (OMISSIS). All'esito del giudizio di primo grado (OMISSIS) e (OMISSIS) erano dichiarati responsabili dei reati di cui agli articoli cui agli articoli 81 cpv., 110, 512-bis c.p., loro contestati ai capi A) e B) della rubrica, unificati sotto il vincolo della continuazione; erano quindi condannati: (OMISSIS) alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione, (OMISSIS) alla pena di anni cinque e mesi otto di reclusione; (OMISSIS) e (OMISSIS) erano dichiarati responsabili del reato di cui agli articoli 110, 81 cpv., 629, 416-bis.1. c.p., contestato al capo E) e ritenuta la continuazione interna, erano condannati alla pena di anni sette di reclusione ed Euro millesettecento di multa ciascuno, oltre le statuizioni accessorie e la condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile. Si disponeva la confisca delle quote societarie di "(OMISSIS)" s.r.l. e "(OMISSIS)" s.r.l. sequestrate con provvedimento del 28 settembre 2017. La Corte palermitana, rinnovata l'istruttoria dibattimentale, con la sentenza impugnata, assolveva (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato loro ascritto in concorso al capo A), perche' il fatto non sussiste e, per l'effetto, riduceva per il reato di cui al capo B la pena inflitta a (OMISSIS) ad anni cinque di reclusione, anni quattro e mesi otto a (OMISSIS); riconosciute le circostanze attenuanti generiche a (OMISSIS) e (OMISSIS), riduceva la pena ad anni quattro, mesi sei di reclusione ed Euro millecento di multa ciascuno. Riduceva inoltre l'importo del risarcimento del danno, liquidato in favore della parte civile (OMISSIS) in Euro 10.000,00 in proprio ed Euro 5.000,00, in qualita' di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l.. Alla riduzione della pena conseguiva l'eliminazione nei confronti del (OMISSIS), dello (OMISSIS) e del (OMISSIS) della pena accessoria della interdizione legale e la sostituzione della interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella dell'interdizione per anni cinque. Revocava la confisca delle quote societarie di (OMISSIS) s.r.l. e ne disponeva la restituzione agli aventi diritto. La sentenza impugnata era nel resto confermata. Avverso tale pronuncia propongono ricorso gli imputati in epigrafe indicati, con atti sottoscritti dai rispettivi difensori di fiducia, deducendo a sostegno della impugnazione i seguenti motivi: 1. (OMISSIS), capo B; 1.1. violazione della legge penale incriminatrice in riferimento alla riconosciuta responsabilita' dell'imputato (articolo 606, comma 1, lettera b, c.p.p., in riferimento al delitto di cui all'articolo 512 bis c.p.); con i motivi di gravame spesi nel merito era stata dedotta la assoluta carenza dimostrativa del "trasferimento" delle quote sociali e, prima ancora, dell'acquisto delle medesime quote (per un valore corrispondente a centomila Euro) da parte del (OMISSIS); 1.2. vizio di motivazione per mancanza, contraddittorieta' testuale e travisamento della prova (articolo 606, comma 1, lettera e, c.p.p.) in ordine al ruolo di dominus di fatto della societa' la (OMISSIS) a r.I., per la manifesta ed irrisolta contraddizione tra le fonti dichiarative assunte nel processo e per la aperta inconciliabilita' delle dichiarazioni rese da costoro e le conversazioni intercettate intra alios, ove non e' traccia o e' traccia quanto mai equivoca della immissione di liquidita' nella predetta compagine sociale da parte del (OMISSIS); 1.3. violazione della legge penale e vizi esiziali di motivazione, per mancanza del segno grafico (articolo 606, comma 1, lettera b ed e, c.p.p.), quanto all'immotivato cospicuo allontanamento della sanzione irrogata dal minimo edittale, oltre che per l'immotivato rigetto del richiesto riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 2. (OMISSIS), capo B, 2.1. omessa valutazione di prova decisiva e vizi esiziali di motivazione, per mancanza, manifesta illogicita' e travisamento delle prove del fatto (articolo 606, comma 1, lettera d ed e, c.p.p.), in relazione al ritenuto finanziamento del (OMISSIS) verso la societa' la (OMISSIS) a r.l.. La Corte territoriale ha sul puto ritenuto dimostrato (al di la' del ragionevole dubbio) il detto conferimento per contanti, sulla base della prova dichiarativa offerta in dibattimento da (OMISSIS) (ritenuto dalla difesa non costante nel dichiarato), senza motivare in ordine alla dedotta contraddizione e non continuita' della prova dichiarativa; travisando il contenuto della conversazione del 20 giugno 2016, intercettata tra (OMISSIS) e (OMISSIS); offrendo illogico accompagnamento argomentativo al rimborso spese ottenuto dal (OMISSIS) per l'acquisto (poche diecine di Euro) di pannelli per l'esercizio commerciale, equivocando sulle richieste di rimborso delle spese effettuate da (OMISSIS) per la societa', equivocando ancora sul ruolo del (OMISSIS), che operava su indicazioni del (OMISSIS) e non del (OMISSIS), la motivazione sui punti dedotti e' mancante e, quando appare, travisa apertamente il contenuto delle conversazioni; ignorando totalmente la relazione di consulenza tecnica " (OMISSIS)", che aveva minuziosamente ricostruito l'aspetto contabile e gli asseti societari della (OMISSIS) s.r.l.; confinando nell'oblio il contenuto della deposizione dibattimentale del 15Sammaritano, che aveva ricostruito le vicende negoziali poste a base dell'iniziativa commerciale; travisando totalmente e comunque non apprezzando il chiaro ed univoco contenuto della conversazione intercettata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) il 16 aprile 2016 "non siamo soci, ma amici", cui la Corte attribuisce apoditticamente un significato depistante; equivocando sul significato della cessione alla (OMISSIS) mai realizzatosi; 2.2. vizi esiziali di motivazione in ordine alla stimata attendibilita' del narrato ed affidabilita' soggettiva del narrante (OMISSIS) sui poteri gestori attribuiti al (OMISSIS); 2.3. falsa applicazione della norma penale incriminatrice, per aver ritenuto rilevanti atti di gestione di fatto dell'attivita' commerciale gestita dalla societa' la (OMISSIS), laddove la norma incrimina atti di "trasferimento" e non di gestione amministrativa; 2.4. vizio di motivazione per mancanza del tratto grafico e violazione di legge in ordine alla dimensione sanzionatoria misurata in termini assai distanti dal minimo edittali e prossimi al massimo; i medesimi vizi attingono anche la decisione di non riconoscere le circostanze attenuanti generiche; 2.5. ancora, i medesimi vizi sono denunziati quanto alla durata della pena accessoria inferta, dovendosi procedere ad una lettura costituzionalmente orientata dell'articolo 29 c.p.; 2.6. sempre gli stessi vizi sono denunziati quanto alla valutazione di confisca delle quote della (OMISSIS); 2.7.-8. Gli ultimi due motivi sono dedicati alla denunzia della inosservanza della legge processale, non avendo la Corte apprezzato le nullita' della notifica degli avvisi di fissazione della udienza preliminare e del giudizio di appello, non operate presso il domicilio dichiarato dall'imputato all'atto della dimissione carceraria; 3.-4. (OMISSIS), (OMISSIS) capo E (motivi sovrapponibili); 3-4.1. violazione della legge penale e vizi di motivazione, per mancanza e illogicita' manifesta (articolo 606, comma 1, lettera b ed e, c.p.p.), la Corte territoriale nulla argomenta in ordine ai motivi di gravame spesi nel merito dal ricorrente per contestare la sussistenza di un preciso quadro probatorio posto a sostegno della decisione, tanto in ordine alla natura delle dazioni in denaro da (OMISSIS) a (OMISSIS), quanto sulla prova della minaccia (esplicita o implicita che essa fosse), per di piu' proveniente da soggetti che non paiono affatto mafiosamente qualificati; nessuna argomentazione accompagna il significato da attribuire alla interruzione, assolutamente spontanea e potestativa, delle dazioni di denaro dal (OMISSIS) al ricorrente. 3-4.2. Il medesimo deserto argomentativo viene dedotto con riferimento alla -aggravante del metodo mafioso, riconosciuta in assenza di qualsivoglia indice epifanico tratto dalla condotta o dalle qualita' soggettive degli agenti. 5. All'udienza del 10 marzo 2023 -respinta, come da verbale di udienza, l'istanza di differimento proposta dal difensore di (OMISSIS), che aveva rappresentato l'opportunita' di attendere l'esito della decisione della Corte di appello di Caltanissetta (riservata all'udienza camerale del 10 febbraio 2023) sulla richiesta di revoca della misura di prevenzione patrimoniale (confisca della societa' che gestiva il centro commerciale ove operava l'azienda rientrante nel patrimonio della societa', il cui fraudolento trasferimento e' contestato al capo B) resasi definitiva il 12 novembre 2022, atteso che la norma indicata al capo B (articolo 512 bis c.p.) incrimina il trasferimento di valori ad opera del soggetto obiettivamente sottoponibile a misura di prevenzione patrimoniale, a prescindere dalla effettiva applicazione della misura- sulle conclusioni rassegnate dalle parti, la Corte riservava la decisione in camera di consiglio, all'esito della quale dava lettura del dispositivo. CONSIDERATO IN DIRITTO Deve preliminarmente rilevarsi la manifesta infondatezza degli ultimi due motivi di ricorso proposti in rito (errores in procedendo, inosservanza della legge processuale posta a pena di nullita') dalla difesa di (OMISSIS). Sia il decreto di fissazione dell'udienza preliminare che l'avviso di fissazione della udienza di appello non risultano notificati presso il domicilio eletto dall'imputato; tuttavia, lo stesso e' stato presente sia nel corso del giudizio di primo grado, che in quello di appello. La notificazione ha pertanto raggiunto lo scopo ed ha consentito all'imputato di conoscere del processo e presenziare in udienza (Sez. 2, n. 48610 del 23/10/2019, Rv. 277932). Fondati sono i motivi di ricorso svolti nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), tesi ad evidenziare deficit motivazionali esiziali della sentenza impugnata e falsa applicazione della legge penale nella identificazione degli elementi integranti il tipo oggetto di incriminazione; fondati sono, altresi', i motivi di ricorso svolti nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), con i quali e' stata denunziata mera apparenza della motivazione che sostiene il riconoscimento della aggravante ad effetto speciale di cui all'articolo 416 bis. 1 c.p.. 1. Il processo prende le mosse dal sequestro di prevenzione, del 20 luglio 2012, relativo a sette societa' e relativi patrimoni, diciassette immobili e numerose altre disponibilita' finanziarie riferibili a (OMISSIS) (rinviato a giudizio per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e poi assolto, con sentenza irrevocabile) e ai suoi familiari; tra i beni sottoposti a vincolo era anche il centro commerciale della " (OMISSIS) e C." s.n.c., sito sulla (OMISSIS), a (OMISSIS), che constava di un supermercato e di una galleria di negozi. (OMISSIS) (assolto gia' in primo grado dai reati descritti ai capi C e D, non oggetto di impugnazione) veniva contestualmente nominato amministratore giudiziario. Il 31 luglio 2012 (OMISSIS) - con una prima comunicazione riservata - segnalava al Tribunale la presenza del (OMISSIS) all'interno dei locali oggetto di sequestro, nonostante le ripetute ammonizioni. Era quindi adottato un provvedimento inibitorio nei confronti del (OMISSIS), datato 3 agosto 2012, con cui si invitava anche l'amministratore giudiziario ad adottare tutte le misure necessarie per allontanare il (OMISSIS) dalla struttura. Frattanto il (OMISSIS) proponeva in affitto il centro commerciale, ricevendo un'offerta dalla "(OMISSIS)" s.r.l. per il supermercato e, successivamente, da "(OMISSIS)" s.r.l. per la galleria del centro commerciale. La "(OMISSIS)"s.r.l. era stata costituita il (OMISSIS), con un capitale di 10.000,00 Euro, da (OMISSIS) (con il 10%) moglie del (OMISSIS) - e (OMISSIS) (con il 90%), legale del medesimo (OMISSIS); a seguito di alcuni avvicendamenti societari, il capitale era stato poi ripartito come segue: 5.100,00 Euro venivano conferiti dalla "(OMISSIS)" S.p.a. - societa' riferibile alla famiglia (OMISSIS), imprenditori messinesi operanti nell'ambito della grande distribuzione a marchio "(OMISSIS)" - mentre la restante parte da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e "(OMISSIS)" s.r.l.; al 20 aprile 2016 il capitale sociale risultava essere stato aumentato a 200.000,00 Euro, detenuti dalla sola "(OMISSIS)" S.p.a., di cui venivano versati solo 50.000,00 Euro. "(OMISSIS)" s.r.l. era stata costituita il 20 maggio 2008 dall'imputato (OMISSIS), il quale deteneva e versava la meta' del capitale sociale (pari a 100.000,00 Euro), mentre la parte residua veniva conferita dalla societa' "(OMISSIS)" s.r.l.; quest'ultima, il 7.11.2012 cedeva dette quote a (OMISSIS) (il 20%), (OMISSIS) (il 20%) e (OMISSIS) (10%). La composizione societaria permaneva invariata, almeno, sino al 20 dicembre 2016, sebbene nel frattempo (OMISSIS) fosse divenuto amministratore della societa'. Il 6 febbraio 2013 era stipulato un contratto di affitto di ramo d'azienda fra la " (OMISSIS)" e la "(OMISSIS)", che aveva ad oggetto il supermercato del centro; tale negozio interveniva previa autorizzazione del Tribunale di Palermo, emessa il 4 marzo 2013; al momento della stipula, il rappresentante legale della "(OMISSIS)." era (OMISSIS). La consegna dei locali dall'amministrazione giudiziaria all'affittuaria veniva realizzata il 12 giugno 2013, mentre il rapporto cessava l'8 aprile 2016, con risoluzione consensuale fra le parti, atteso che il volume d'affari era insufficiente per far fronte agli elevati costi di gestione. Il 6 giugno 2013 veniva sottoscritto un contratto tra "(OMISSIS)" - nella persona del legale rappresentante (OMISSIS) - e la " (OMISSIS)" per l'affitto della Galleria; anche in questo caso, la stipula era stata preceduta da una relazione del (OMISSIS) e dalla autorizzazione del Tribunale. In data 8 aprile 2016, contestualmente alla risoluzione del rapporto con la "(OMISSIS).", veniva stipulato - previa autorizzazione del Tribunale di Palermo, del 10 marzo 2016- un nuovo contratto di affitto avente a oggetto il solo supermercato, con la societa' "(OMISSIS)" s.r.l., rappresentata da (OMISSIS). La societa' "(OMISSIS)" s.r.l. era stata costituita il (OMISSIS), con un capitale sociale di 10.000,00 Euro, conferito da "(OMISSIS)" (per 3.400,00 Euro) e in eguale misura (2.200,00 Euro) da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); sede della societa' era il (OMISSIS) di (OMISSIS), a (OMISSIS), luogo dove prima vi era una delle sedi della " (OMISSIS)", quando non era ancora sottoposta a sequestro. (OMISSIS), a seguito delle cessioni delle quote degli altri soci, il 29 aprile 2016 diveniva unica proprietaria di "(OMISSIS)". Con l'ingresso della "(OMISSIS)", il supermercato del "centro (OMISSIS)" revocava l'insegna "(OMISSIS)" riferibile a (OMISSIS). Nella direzione del "(OMISSIS)", dopo le dimissioni di (OMISSIS), rassegnate nel giugno 2016, alla "(OMISSIS)" succedeva la societa' "(OMISSIS)" s.r.l., il cui amministratore unico era (OMISSIS). In ultimo, con decreto del 16 marzo 2017, del Tribunale di (OMISSIS), i beni del (OMISSIS) sottoposti a vincolo con provvedimento del 24 luglio 2012, divenivano oggetto di confisca (della cui revoca si discute, in questi mesi, a seguito della assoluzione irrevocabile del (OMISSIS) dalla imputazione di partecipazione ad associazione mafiosa). Il Tribunale esponeva quindi il contenuto delle dichiarazioni di (OMISSIS), dalla cui denuncia (25 marzo 2016) il procedimento aveva avuto origine. Il (OMISSIS), in forza del contratto stipulato il 6 febbraio 2014 era amministratore della societa' "(OMISSIS)", direttore della galleria "(OMISSIS)" di (OMISSIS) e amministratore del condominio che ricomprendeva anche il supermercato in gestione alla "(OMISSIS)" ed aveva poi concluso i seguenti contratti con "(OMISSIS)", dunque, con il (OMISSIS): 1) il primo, in data 1 gennaio 2013, atteneva al solo progetto di "ricommercializzazione" del centro commerciale ed era stato stipulato tra "(OMISSIS)", quale mandante, e il (OMISSIS), quale mandatario, in quanto titolare della omonima ditta individuale; per quest'attivita', ogni nuovo commerciante poteva accordarsi col (OMISSIS) per corrispondergli una cifra una tantum, mentre la societa' mandante avrebbe corrisposto al mandatario il 5% "sul montante netto dei canoni"; 2) il secondo - del 6 febbraio 2014, anticipato da una proposta unilaterale del (OMISSIS) del primo febbraio - riguardava l'affidamento della gestione diretta della galleria affittata ad "(OMISSIS)", a cui (OMISSIS) era deputato, unitamente all'amministrazione del condominio con il supermercato. In questa sede, egli operava quale rappresentante legale della "(OMISSIS)" s.r.l.; 3) il terzo afferiva al subaffitto - da parte del (OMISSIS), sempre per "(OMISSIS)" del bar della galleria. Veniva stipulato il 29 gennaio 2015 e registrato il 2 febbraio 2015, con un canone mensile pattuito pari a Euro 1.000,00 fino al 31 luglio 2015, di Euro 1.500,00 fino al 31 gennaio 2016 e di Euro 2.000,00 dal 2 febbraio 2016 in poi. Cionondimeno, il rapporto cessava consensualmente con atto del 24 settembre 2015, registrato il 29 settembre 2015. Nell'aprile 2016 era stipulato un nuovo contratto di affitto avente ad oggetto il solo supermercato, con la societa' "(OMISSIS)" s.r.l., rappresentata da (OMISSIS). Dal gennaio 2015, ossia quando le attivita' al (OMISSIS) erano divenute le uniche alle quali egli si dedicava, il (OMISSIS) denunciava di avere ivi constatato la presenza del (OMISSIS), limitata inizialmente a tre quattro volte a settimana, "per una mezz'oretta" a inizio mattina, e successivamente, nel 2016, quando alla (OMISSIS). nella gestione del supermercato era succeduta la "(OMISSIS)" s.r.l., la presenza di (OMISSIS) si era fatta costante, ed aveva appreso da (OMISSIS) - marito di una commerciante della galleria, conosciuto come uomo di fiducia del (OMISSIS)- che la societa' era stata costituita da tre soci: oltre a (OMISSIS), vi era tale (OMISSIS) ed il medesimo (OMISSIS); essi, all'uopo, avevano conferito un capitale di 100.000,00 Euro l'uno. Il (OMISSIS) ricordava che (OMISSIS) era amico del (OMISSIS), con il quale si incontrava tutti i giorni al supermercato, ove i due discutevano quotidianamente e "alla luce del sole", della gestione dell'attivita' (parlando, ad esempio, della sistemazione della merce, delle luci e del personale). Tanto il (OMISSIS) quanto il (OMISSIS) proseguiva il teste (OMISSIS) -sempre ben edotto circa ogni questione attinente alla gestione, nonche' informato sulle riunioni con il (OMISSIS), pur non partecipandovi- si recavano nel suo ufficio per affrontare le questioni organizzative relative al centro commerciale; soprattutto il primo, anche in presenza del secondo, era solito impartirgli indicazioni sui bilanci della "(OMISSIS)". Affermava, inoltre, che il (OMISSIS), suo malgrado, aveva altresi' libero accesso a tutta la documentazione relativa al centro commerciale, che consultava liberamente presso l'ufficio del (OMISSIS). A partire dall'aprile 2016 poi, l'ufficio del (OMISSIS), senza il suo previo consenso o concerto, era stato trasferito presso il "(OMISSIS)" di (OMISSIS), a circa due km dal "(OMISSIS)"; il (OMISSIS) - presente anche il (OMISSIS) - gli aveva, infatti, comunicato che da quel momento effettivo "responsabile della galleria facente funzioni di direttore sarebbe stato il signor (OMISSIS)", mentre lui avrebbe dovuto "fare solo, testuali parole, quattro spettacolini...". Cio', ad ogni modo, aveva determinato l'insorgenza di conflitti fra (OMISSIS) e (OMISSIS), il quale aveva persino cominciato a diffamarlo, affermando pubblicamente che avesse distolto delle somme di pertinenza della "(OMISSIS)" e minacciando di denunciarlo; dopodiche' il (OMISSIS) gli aveva "ridotto lo stipendio" di circa mille Euro al mese. (OMISSIS) affermava che di tutte queste vicende, ed in particolare della costante presenza del (OMISSIS) presso il centro commerciale, aveva sempre informato il (OMISSIS). Specificava che a seguito delle accuse rivolte al (OMISSIS), con cui rapporti si andavano via via incrinando anche per la manifestata insofferenza del (OMISSIS) alla costante presenza del (OMISSIS) presso il centro commerciale, si erano tenuti alcuni incontri presso lo studio dell'amministratore giudiziario, ove presenti anche i legali del (OMISSIS) - si era dimostrata l'assoluta infondatezza delle accuse di distrazione di somme; piuttosto, gli eventuali ammanchi nelle casse della "(OMISSIS)" erano conseguenti ai mancati pagamenti degli oneri da parte di alcuni operatori commerciali della galleria. Riferiva che frattanto (OMISSIS) veniva trattato come effettivo proprietario ("veniva osannato da tutti") del centro commerciale; questi si era anche occupato della selezione di alcuni fornitori, tanto da determinare l'allontanamento del "braccio destro" del (OMISSIS) dal "(OMISSIS)", tale (OMISSIS), il quale si era rifiutato di operare ancora all'interno del centro, proprio per la costante presenza ed ingerenza del (OMISSIS). Elencava poi il Tribunale gli esiti degli accertamenti di PG ed in particolare gli esiti dei servizi di osservazione, che rilevavano la effettiva presenza del (OMISSIS) in sei occasioni nel 2016 ed in cinque occasioni nel 2017. Riportava, ancora, il Tribunale gli esiti delle dichiarazioni dei testi escussi, ossia dei soggetti vicini al (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS)), al (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), degli esercenti del (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), e dei dipendenti del centro commerciale "(OMISSIS)" ( (OMISSIS), (OMISSIS)). Il Tribunale riteneva che alle prove dichiarative si saldassero le numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali, debitamente trascritte. Tra le numerose riportava quelle conversazioni nelle quali emergevano chiare le interlocuzioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS), il cui oggetto era la gestione del (OMISSIS), dalle quali risultava inequivoco il fattivo contributo alla gestione prestato da quest'ultimo nel periodo dall'aprile al mese di ottobre del 2016. Riportava, ancora, le conversazioni intercorse tra il (OMISSIS) ed altri soggetti legati al centro Commerciale e tra questi il (OMISSIS), il (OMISSIS), l' (OMISSIS), il (OMISSIS), con i quali il primo si intratteneva su aspetti organizzativi o comunque legati alle attivita' del Centro commerciale, o nei quali i predetti coinvolgevano, ai medesimi fini, il (OMISSIS). Cosi' riassunte le risultanze processuali, dopo aver esposto le ragioni a discolpa, espresse nei relativi esami (di (OMISSIS), che non si e' sottoposto ad esame, con il consenso delle parti e' stato acquisito l'interrogatorio), quanto ai capi A) e B), il Tribunale concludeva che nel corso dell'istruttoria fosse emersa in modo incontrovertibile la titolarita' sostanziale, quantomeno pro quota in capo a (OMISSIS) tanto della societa' "(OMISSIS)", quanto della "(OMISSIS)". Faceva discendere tale convincimento anzitutto dal narrato del (OMISSIS) il cui contenuto suggellava il rinnovato e conclamato dominio del proposto sul "(OMISSIS)", consolidatosi a cavallo fra il 2015 e il principio dell'anno 2016, per trovare piena realizzazione nell'aprile dello stesso anno, a partire dalla risoluzione del contratto di affitto fra l'amministrazione giudiziaria e la "(OMISSIS).". Riteneva elemento di certo rilievo il conferimento di denaro (100.000,00 Euro), da parte del proposto, nelle casse di "(OMISSIS)". Sottolineava che di cio' si avrebbe contezza anzitutto sulla scorta delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) de relato, la quale aveva a sua volta appreso dal (OMISSIS) la qualita' di socio occulto del (OMISSIS); circostanza che riteneva corroborata da una delle piu' significative conversazioni captate, (n. 3659 del 20/6/2016), quando (OMISSIS) affermava: "l'incasso se lo dividono tutte... i due fratelli (ovverosia i (OMISSIS), ndr.) e i due soci (...) ma (OMISSIS) ha messo 100 mila Euro contanti". In merito, sottolineava come il (OMISSIS) - e solo lui - affermasse di aver appreso tale circostanza dal (OMISSIS), mentre (OMISSIS) si mostrava consapevole della cosa a prescindere dalle affermazioni del direttore (OMISSIS). Riteneva, inoltre, in merito al conferimento in questione, che nulla provasse la consulenza tecnica di parte (a firma del Dott. (OMISSIS)) che aveva esaminato partitamente i flussi di cassa di "(OMISSIS)", mentre poi nulla aveva detto in merito a "(OMISSIS)" se non affermare apoditticamente che il capitale era stato conferito solo dai soci. In ultimo, riteneva indicativo di un modus agendi illecito, la riscontrata circostanza di una sistematica attivita' di interposizione di persone nelle attivita' societarie che coinvolgevano il (OMISSIS) e i suoi familiari, sebbene solo l'imputato, fra essi, fosse - per sua stessa ammissione e come, ad ogni modo, emergeva dalle prove esaminate - effettivamente impegnato nell'attivita' di gestione delle medesime. Dalle intercettazioni captate emergeva poi l'esercizio da parte di (OMISSIS) di poteri e prerogative tipici del dominus in relazione al "(OMISSIS)" che non potevano confondersi con il sostegno assicurato ad un amico di vecchia data, ovvero con - l'aspettativa di rientrare in possesso dei propri beni. In dieci punti il Tribunale (pagg. 88-91 della sentenza) enucleava poi gli elementi probatori sintomatici della comune gestione tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) con riferimento alle molteplici attivita' di gestione poste in essere da quest'ultimo. 1.2. La Corte palermitana, investita dalle impugnazioni delle parti, confermava l'accertamento della responsabilita' in ordine alla contestata fittizia intestazione a membri della famiglia (OMISSIS) della "(OMISSIS)" s.r.l., ritenendo non dirimenti gli argomenti di contrasto (alla ipotesi d'accusa) posti dalle difese con i motivi di gravame. In particolare, la Corte riteneva giuridicamente integrato il tipo, descritto dalla norma incriminatrice come "attribuzione fittizia della titolarita' o della disponibilita' di denaro, beni o altre utilita'", attesa la intervenuta dimostrazione processuale dell'affitto del ramo d'azienda (supermercato) alla "(OMISSIS)" s.r.l. (nel 2016), riconducibile per un terzo del capitale sociale a (OMISSIS), subentrata alla "Bi-.Mi." nella gestione dell'attivita' commerciale (pag. 32 sent. app. terzo cpv.). La Corte da', quindi, per assunto che la fattispecie incriminatrice resta integrata non solo dal perfezionamento di atti traslativi, ma anche dalla acquisizione della gestione di fatto di un bene-valore, ossia da un rapporto di mera signoria di fatto con esso, tale da ripristinare, attraverso la formale apparenza di terzieta' del bene, un rapporto diretto, ma non trasparente con il bene ablato. 2. Orbene, ritiene il Collegio che, per un verso, la sentenza impugnata non offra congrua risposta argomentativa ai travisamenti ed alle omissioni segnalati dalla difesa con i motivi di gravame, per altro verso la lettura del "tipo" offerta dalla Corte territoriale, in termini oppositivi a quelli proposti con gli argomenti di impugnazione, appare fuorviante e di fatto capovolge i termini della incriminazione: 2.1. Il primo punto critico della sentenza impugnata attiene alla stimata attendibilita' del narrato proveniente dal (OMISSIS) (direttore della struttura commerciale estromesso dalla gestione (OMISSIS)); aspetto questo meso pesantemente in discussione proprio in ordine alla sua fonte di conoscenza della circostanza che (OMISSIS) avrebbe conferito nella "(OMISSIS)" s.r.l. Euro 100.000 in moneta contante. Mentre nella denuncia presentata alla Guardia di Finanza (OMISSIS) dichiara che tale circostanza fosse oggetto di una sua supposizione, in dibattimento afferma che fonte di tale conoscenza era (OMISSIS). Chiamato a chiarire, (OMISSIS) afferma in dibattimento che la specifica circostanza, sebbene riferita oralmente, non era stata verbalizzata in sede di denunzia dall'uff.le di polizia giudiziaria. Costui, sentito in dibattimento, ha tuttavia chiarito che la denuncia fu presentata dal (OMISSIS) gia' scritta, mentre nei successivi incontri investigativi ogni affermazione del (OMISSIS) fu pedissequamente verbalizzata. La Corte di merito, investita con i motivi di gravame della non sanata discrasia in ordine alla fonte di conoscenza di quanto affermato da (OMISSIS), elude il tema. La motivazione e' dunque omessa su punto decisivo della valutazione di attendibilita' del narrato testimoniale. 2.2. Il secondo punto dolente riguarda la lettura offerta dalla Corte al segmento di dialogo intercettato il 20 giugno 2016 tra due addetti alla sicurezza del centro commerciale ( (OMISSIS) e (OMISSIS)). I due interloquiscono sulla voce corrente in ambito aziendale relativa al conferimento per contanti del (OMISSIS) nella "(OMISSIS)" s.r.l.; mentre (OMISSIS) certamente afferma di averlo appreso dal (OMISSIS) (dunque dalla stessa fonte incostante e contraddittoria di cui si e' detto al punto 2.1.), (OMISSIS) risponde "eh, lui dice cosi'", laddove per la Corte "lui" sarebbe lo stesso (OMISSIS), salvo poi precisare "ma non ne so niente". Orbene, al di la' della qualita' della informazione carpita attraverso lo strumento intercettivo (che non appare in se' idoneo a trasformare, come un moderno Re Mida, in "verbo rivelato" quella che sembra piu' una "voce corrente nel pubblico"), la Corte di merito non spiega affatto perche' quel "lui" sarebbe da individuare nello stesso (OMISSIS). La lettura che offre il giudice del merito del colloquio intercettato appare pertanto decisamente lontana dal senso comune della espressione fatto palese dal dialogo. Ricorre travisamento evidente della prova intercettiva (sul tema di recente v. Sez. 6, n. 7496 del 15/1/2021, ric. Padovano, in motiv. pag. 11-12), con la conseguente illogicita' manifesta della soluzione interpretativa eletta. 2.3. Ancora, manifestamente illogica e travisante appare la motivazione della Corte in ordine alle attivita' gestionali ed ai modestissimi acquisti anticipati per contanti dal (OMISSIS), per conto di (OMISSIS), dai quali la Corte argomenta (diversamente da quanto esprime la fonte intercettiva) un diretto ed intenso interessamento gestionale del (OMISSIS) nella (OMISSIS). 2.4. Del pari e' a dirsi per la assoluta svalutazione della consulenza (OMISSIS), svolta su incarico della difesa in primo grado. La relazione di c.t. riferiva della assoluta regolarita' contabile della documentazione esaminata e della assenza di indicazioni diverse da quelle trascritte in ordine al finanziamento delle quote sociali. La Corte ignora del tutto l'apporto consulenziale. Ne' da' conto di quanto riferito dal teste (OMISSIS), che aveva ricordato le circostanze del finanziamento (OMISSIS) ricevuto dalla societa' per intervenire nella amministrazione gestionale del supermercato. 2.5. Infine, la Corte svaluta il contenuto della conversazione intervenuta tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (16/4/2016) nel corso della quale entrambi convengono sul fatto che, a dispetto delle voci correnti nel pubblico, "non siamo soci, ma solo amici...". Tale affermazione, a parere della Corte, non sarebbe genuina, ma usata dai conversanti proprio al fine di depistare l'azione degli inquirenti. Il che e' ben possibile, ma la Corte avrebbe dovuto anche spiegare su quale elemento informativo fondava tale convincimento; in primo luogo -perche' i colloquianti dovevano essere edotti dell'attivita' di captazione in corso. In assenza di indizi in proposito la svalutazione del dato probatorio appare frutto di mera illazione. 3. Detto della evidenza di plurimi vizi esiziali di motivazione che affliggono il sostegno argomentativo della decisione qui impugnata, va pure sgombrato il campo dalla ravvisata rilevanza decisiva (ove dimostrata) di atti gestionali ai fini della integrazione della condotta tipica. 3.1. L'articolo 512 bis c.p. -che, in virtu' del principio della "riserva di codice" enfaticamente scolpito all'articolo 3 bis del codice penale, ha avvinto alla sistematica codicistica il delitto gia' previsto dall'articolo 12 quinquies L. n. 356 del 1992- sanziona, salvo che il fatto non costituisca piu' grave reato, la condotta di "chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarita' o disponibilita' di denaro, beni o altre utilita' al fine di eludere.....". Dunque, a prescindere dal dolo specifico (eludere la mannaia delle misure di prevenzione patrimoniali: Sez. 6, n. 49832 del 19/4/2018, Rv. 274286; Sez. 2, n. 45080 del 14/10/2021, Rv. 282437) evidente nella fattispecie concreta, ove mai la condotta materiale fosse dimostrata, la descrizione della fattispecie astratta evoca un concetto di azione genericamente traslativa "attribuisce ad altri", sostenuta da intenti paludanti o comunque simulatori "fittiziamente", avente ad oggetto non solo diritti reali, ma "denaro, beni o altre utilita'", quindi certamente anche diritti di credito o quote di partecipazione ad enti o persone giuridiche. La descrizione, per quanto volutamente generica, non sembra pero' poter avvincere alla penalita' (secondo l'accezione minimalista di extrema ratio che informa di se' anche il principio della riserva di codice) anche gli atti di mera gestione, che nessun effetto traslativo producono (sul punto v. Sez. 2, n. 29633 del 28/5/2019, Rv. 276733), con essi infatti non si "attribuisce", ma al piu' si delega, si nomina, si conferisce mandato, cioe' si permane pur sempre nella titolarita' (di fatto e di diritto) del bene-valore. Se ne deduce che, a tutto voler concedere in ordine alla prova del fatto, l'aver assunto su di se' compiti gestionali non pare poter integrare il "tipo" recentemente avvinto alla sistematica codicistica (si veda, in tema di societa' commerciali aventi scopo di lucro: Sez. 3, n. 23335, del 28/1/2021, Rv. 281589; Sez. 2, n. 20769/2014, n. m.; Sez. 6, n. 37375/2014, Rv. 261655). 4. Ma vi e' di piu': nel giudizio di merito si assume dimostrato (con i limiti di cui si e' ampiamente discettato poco sopra) che l'agente ( (OMISSIS)) avesse assunto o volesse assumere (prendendo il sopravvento su (OMISSIS) e gli altri soci) la gestione operativa della societa' "(OMISSIS)", cosi' rendendo palese la sua qualita' di dominus del ramo d'azienda condotto dalla societa' della quale e' socio occulto (il che, per inciso, e' esattamente l'inverso di quanto la norma vorrebbe reprimere); tuttavia, a ben vedere, non e' questa la condotta che il legislatore intende sanzionare; il fatto-reato deve infatti ritenersi integrato quando il titolare del diritto sul bene-valore "attribuisce ad altri la titolarita' o la disponibilita'... ", e tanto non e' quanto accaduto, giacche' (anche a voler dar credito alle voci correnti nel pubblico) la societa' e' stata costituita prevalentemente con capitali appartenenti a persone diverse da (OMISSIS) (per 2/3), dunque si tratta di conferimenti effettivi e non fittizi (anche in ipotesi d'accusa), che non hanno prodotto alcuna "attribuzione" ad altri, non essendo neppure ipotizzato che i conferimenti altrui (quelli testimoniati dalle voci correnti nel pubblico) traessero fonte dalle disponibilita' finanziarie del (OMISSIS). Lo schermo nella intestazione di quote e rappresentanza delle compagini di fatto in titolarita' del soggetto passibile di prevenzione patrimoniale (Sez. 2, n. 45080, del 14/10/2021, Rv. 282437) non poteva dunque realizzarsi, neppure in ipotesi, per effetto della condotta contestata. 5. Ebbene, sugli argomenti sviluppati gia' nel merito con i motivi di gravame, la Corte territoriale si e' limitata a ripetere le non esaustive ragioni opposte in sentenza dal Tribunale, cosi' concretamente eludendo i temi oggetto di ragionevole impugnazione. 5.1. La fondatezza dei motivi di ricorso (assorbiti gli atri motivi che afferiscono alla misura sanzionatoria, principale ed accessoria) impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, per nuovo giudizio, come per l'aggravante mafiosa contestata al capo E, ad altra sezione della Corte di appello di provenienza. 5.2. Deve respingersi la richiesta di annullamento tombale, avanzata dal difensore di (OMISSIS), in quanto il reato, contestato al capo B come consumato il (OMISSIS), si prescrivera' (in ragione delle due cause determinanti sospensione del corso della prescrizione, per 64 e 42 giorni) il 25 aprile del 2023, data successiva alla decisione. 6. Quanto alla fattispecie estorsiva descritta al capo E e contestata ad (OMISSIS) e (OMISSIS) in concorso, i motivi di ricorso spesi in tema di affermazione della responsabilita' per il fatto contestato attingono aspetti afferenti la valutazione della prova, attentamente scrutinati dalla Corte di merito nella conformita' verticale del giudizio di responsabilita'. E' rimasto nel merito accertato che la persona offesa (OMISSIS) ha, in diverse e cadenzate occasioni versato ai postulanti la somma mensile richiesta, che non poteva trovare altra lecita giustificazione. La ipotizzata regalia per la mediazione svolta nella individuazione del contraente (impresa di vigilanza) non risulta fondata che su mere ipotesi, non sostenute da alcuna decisiva persuasivita'. I motivi di ricorso spesi sul punto sono dunque inammissibili perche' con essi si prospetta alla Corte di legittimita' una differente ipotesi alternativa (Sez. 2, n. 3817 del 9/10/2019, dep. 2020, Rv. 278237). 6.1. Fondato e' viceversa il secondo motivo di ricorso proposto da entrambe le difese ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) in relazione alla aggravante del metodo mafioso contestata al capo E. La Corte ha riconosciuto nella modalita' della domanda estorsiva (avente cadenza mensile e richiesta quale corrispettivo per assicurare all'imprenditore commerciale protezione nel territorio caratterizzato da alta densita' mafiosa, ancorche' proveniente da soggetti non legati ad alcuna consorteria mafiosa) i tratti del metodo mafioso; ma sul punto sembra ricorrere equivoco. La domanda estorsiva non sembrerebbe sostenuta dalla paventata "assicurazione" da rischi territoriali, ne' i postulanti avrebbero mai evocato una retrospettiva lugubre, dichiarando di agire su mandato di entita' diverse. Sul punto occorrera' dunque spendere un piu' profondo sforzo argomentativo, dovendo il giudice del merito almeno indagare sulla misura della coercizione avvertita dalla vittima, come proveniente solo da soggetti individuati o, piuttosto, da persone che spendevano una "potesta' impositiva territoriale" aliunde formata. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di (OMISSIS). Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di (OMISSIS). Rigetta i ricorsi nel resto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Presidente Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 28/02/2022 della CORTE di APPELLO di TRIESTE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale ORSI LUIGI, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi. L'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e l'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) insistevano per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.La Corte di appello di Trieste confermava la condanna di (OMISSIS) e di (OMISSIS) per diverse condotte di circonvenzione ai danni di (OMISSIS), cl. (OMISSIS). Segnatamente si contestava: - a (OMISSIS) di avere indotto l'offesa a conferirgli una procura generale, che lo stesso utilizzava sia per chiedere sia la liquidazione di una polizza vita, che per ordinare due bonifici; - a (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS), di avere indotto la vittima (a) a redigere un primo testamento olografo - il 13 gennaio 2015 - che prevedeva il lascito a favore di (OMISSIS) della somma di Euro 350.000 e di una casa di abitazione, ed a favore di (OMISSIS) della somma di 250.000 Euro; (b) successivamente, di avere indotto l'offesa a disporre la variazione dei beneficiari della polizza vita che aveva ereditato dalla sorella (indicati negli eredi "testamentari" e non piu' "legittimi"), nonche' a redigere un secondo testamento il 27 ottobre 2016 - che aumentava le disposizioni a favore di (OMISSIS); - ad (OMISSIS) veniva contestato, inoltre, di avere accompagnato la vittima in banca, inducendola ad effettuare un bonifico di 80.000 Euro a proprio favore con la causale "prestito infruttifero per ampliamento casa"; bonifico che non andava a buon fine in quanto il funzionario di banca, percepite le condizioni dell'anziana, bloccava la procedura, allertando l'autorita' giudiziaria. Infine, la Corte di appello confermava la valutazione circa l'improcedibilita' per difetto di querela del delitto di tentata appropriazione indebita relativo all'ordine di effettuare due bonifici, non eseguito dai funzionari della banca. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 2.1. con il primo motivo si deduceva che il momento di consumazione della circonvenzione non avrebbe potuto essere identificato nella "redazione del testamento", dato che l'atto testamentario avrebbe prodotto effetti giuridici solo alla morte del testatore. 2.2. Con il secondo motivo si deduceva (a) che non sarebbe stato provato che i testamenti precedenti a quelli oggetto di presunta circonvenzione contenessero disposizioni di maggior favore per gli enti legatari, ovvero la Scuola elementare dove aveva lavorato la sorella della persona offesa ed Opera Pia (OMISSIS); (b) che la persona offesa avrebbe instaurato con (OMISSIS) un rapporto di consapevole collaborazione per la gestione del suo patrimonio e che non vi sarebbe alcuna prova che lo stesso avesse influito sul quantum da lasciare a ciascun legatario o erede; (c) che la variazione dei beneficiari della polizza vita sarebbe un'operazione "ordinaria", tenuto conto che, se non fosse stata effettuata la variazione, assenti gli eredi legittimi, le somme provento della liquidazione sarebbero andate allo Stato. 2.3. Con il terzo ed il quarto motivo si deduceva che (a) lo smobilizzo della polizza-vita, come si rilevava dalla deposizione del (OMISSIS), sarebbe stato richiesto ad ottobre del 2016, prima dell'apertura del conto corrente cointestato alla (OMISSIS) ed a (OMISSIS), sicche' il provento della liquidazione sarebbe confluito in un conto nella disponibilita' esclusiva della (OMISSIS); (b) che mancherebbe la prova del danno in quanto, tenuto conto dello smobilizzo della polizza, le percentuali dell'asse ereditario riservate agli enti legatari sarebbero aumentate. 2.4. Con il quinto motivo si deduceva l'illegittimita' del rigetto della richiesta di assumere la testimonianza del funzionario (OMISSIS); tale testimonianza sarebbe stata essenziale per accertare quale fosse il conto sul quale sarebbe dovuto confluire il denaro provento dello smobilizzo della polizza-vita. 2.5. Con il sesto motivo si deduceva che il rilascio della procura non sarebbe un atto in se' pregiudizievole, sicche' non sarebbe rinvenibile l'elemento oggettivo della circonvenzione. Inoltre, si contestava la sussistenza dello stato di circonvenibilita' allegando che alla vittima sarebbe stata diagnosticata solo una lieve psicosi compensata dai farmaci e che l'integrita' delle sue capacita' cognitive sarebbe attestata dal fatto che nel 2016 la stessa avrebbe trattato la vendita di un terreno, dal fatto che il medico curante non avrebbe rilevato decadimenti cognitivi ed, infine, dal fatto che, durante un ricovero, il personale sanitario aveva raccolto il consenso informato. 2.6. Con il settimo motivo si deduceva violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione: con riguardo alla circonvenzione funzionale al rilascio della procura mancherebbe la prova sia del dolo, che del pregiudizio, tenuto conto che la procura non sarebbe stata utilizzata per compiere atti dannosi, ma solo per aprire due conti correnti intestati alla presunta vittima e per trasferire il denaro tra conti intestati alla stessa offesa. 2.7. Infine, si deduceva l'omessa motivazione in ordine alla richiesta di assoluzione perche' "il fatto non sussiste" proposta con l'appello in ordine alla condotta contestata al capo 3), in relazione alla quale il Tribunale aveva disposto non doversi procedere per difetto di querela. 3. Ricorreva per cassazione anche il difensore di (OMISSIS), che deduceva: 3.1. violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilita': (a) non sarebbero state considerate le doglianze proposte con la prima impugnazione in ordine alla attendibilita' intrinseca dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che avrebbero avuto dei risentimenti nei confronti del ricorrente, ne' sarebbe stato considerato il contrasto tra le loro dichiarazioni e quanto emerso da quelle di altri testimoni privi di interesse (il dottor (OMISSIS) ed il notaio (OMISSIS)); (b) non sarebbe stato considerato che la vittima era anziana, affetta da un lieve disturbo mentale corretto con terapia farmacologica e che il medico curante ed il notaio, avevano confermato la sua capacita' di autodeterminarsi; (c) non sarebbe stato considerato che le disposizioni testamentarie a favore della ricorrente erano rimaste immutate nei due atti testamentari oggetto di ipotetica circonvenzione; 3.2. violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione in ordine allo stato di infermita' e deficienza psichica della vittima: la Corte di appello non avrebbe provato il concorso della (OMISSIS) nella redazione dei testamenti, ne' nella modifica dei beneficiari della polizza vita; inoltre non risulterebbe accertata alcuna condotta induttiva a lei specificamente riconducibile. Con riguardo al capo 4) di imputazione si deduceva, invece, che la ricorrente si sarebbe limitata a svolgere la sua funzione di badante, accompagnando la (OMISSIS) in banca per effettuare un atto da lei voluto. 3.3. Violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del concorso di persone nella condotta di circonvenzione diretta alla redazione dei testamenti olografi ed alla modifica dei beneficiari della polizza vita: si deduceva che (OMISSIS) e (OMISSIS) non si sarebbero mai frequentati per ragioni personali o di lavoro. 3.4. Violazione di legge (articolo 133 c.p.) e vizio di motivazione: il trattamento sanzionatorio sarebbe stato quantificato in misura eccessiva, tenuto conto dell'incensuratezza della ricorrente, della sua eta', della relazione di fiducia che aveva instaurato con la (OMISSIS) e del fatto che, comunque, le disposizioni a suo favore riguardavano solo una parte dell'ingente patrimonio dell'anziana donna. 3.Con motivi aggiunti - rinunciati in udienza - il ricorrente, in subordine invocava l'applicazione dell'articolo 545-bis c.p.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' infondato. 1.1.E' infondato il primo motivo, con il quale si contesta l'identificazione del momento di consumazione del reato di circonvenzione in quello della redazione del testamento, piuttosto che in quello del decesso del testatore (pag. 34 della sentenza impugnata). Il collegio, in via preliminare, ribadisce che il reato di circonvenzione di persone incapaci e' un "reato di pericolo" che sanziona ogni condotta di manipolazione della volonta' di persone che versano in un riconoscibile stato di vulnerabilita', che sia idonea a produrre "qualsiasi effetto giuridico" dannoso. Si ribadisce che, ai fini della configurabilita' del reato di circonvenzione di persone incapaci, sono necessarie le seguenti condizioni: a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilita' di manipolare la volonta' della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacita' critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilita' che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine e cioe' quello di procurare a se' o ad altri un profitto; d) la oggettiva riconoscibilita' della minorata capacita', in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti (tra le altre: Sez. 5, n. 29003 del 16/04/2012, Strino, Rv. 253311 - 01). Tale principio, messo in relazione con la condotta di chi induce il vulnerabile a redigere un testamento olografo a suo favore, conduce a ritenere che il reato di circonvenzione si "perfezioni" - e dunque debba ritenersi consumato - sin dal momento della redazione del testamento, dato che tale atto, contrariamente a quanto ritenuto da parte della giurisprudenza (Sez. 2, n. 10165 del 26/01/2021, C. Rv. 280771 - 01; Sez. 2, n. 20669 del 17/01/2017, M. Rv. 269883 - 01), e' dotato di effetti giuridici immediati, in quanto e' un atto imprescindibile per l'attivazione della successione su base volontaria, nulla rilevando, rispetto a tale immediata efficacia, che il percorso testamentario, al momento del decesso del testatore, trovi ulteriore - ed eventuale attuazione con la pubblicazione del testamento e la sua accettazione da parte degli eredi. Si ritiene cioe' che la successione governata da un testamento olografo sia un processo che origina dalla indispensabile redazione dell'atto testamentario, che e' la pre-condizione per avviare la successione, passa attraverso la eventuale pubblicazione delle volonta' del testatore al momento della morte ed infine, si conclude con l'accettazione delle volonta' del de cuius da parte degli eredi. La redazione del testamento olografo e', dunque, una condotta che condiziona la stessa sussistenza della successione su base volontaria, sicche' non si puo' negare che la stessa produca effetti giuridici, il che implica che la condotta di chi manipola la volonta' di un testatore vulnerabile a suo futuro vantaggio e' inquadrabile nella fattispecie prevista dall'articolo 643 c.p.: colui che soggioga un testatore vulnerabile, orientandone la volonta' per ottenerne un futuro vantaggio, compie una circonvenzione che si consuma gia' nel momento della redazione del testamento, il che rende penalmente rilevanti, contrariamente a quanto allegato dal ricorrente, anche le condotte di manipolazione della volonta' testamentaria di vulnerabili non deceduti. Deve essere tuttavia precisato che la condotta di circonvenzione, nel caso in cui si manifesti nella manipolazione della volonta' testamentaria, pur perfezionandosi gia' con la redazione testamento, puo' trovare ulteriore, eventuale, manifestazione con la pubblicazione dello stesso ed, infine, con la sua accettazione da parte degli eredi. La circonvenzione del testatore vulnerabile si atteggia, infatti, come un reato ad eventuale formazione progressiva ed a consumazione prolungata che, pur consumandosi con la prima condotta, ovvero la redazione del testamento, "puo'" avere una eventuale progressione, attraverso la perpetrazione di ulteriori condotte correlate alla manipolazione e funzionali ad ottenere il vantaggio testamentario, ovvero la pubblicazione e l'accettazione del testamento. Queste condotte non possono essere inquadrate come post-factum, ma si configurano come ulteriori momenti di perpetrazione di una condotta criminosa che, pur perfezionandosi con la redazione del testamento, si presta ad avere ulteriori, ingravescenti sviluppi. Diversamente opinando si eliminerebbe la rilevanza penale della condotta di chi induce persone vulnerabili a sottoscrivere testamenti olografi, azione imprescindibile per l'attivazione della successione su base volontaria. 1.2. I motivi descritti ai punti 2.2. e 2.3 del "ritenuto in fatto" non superano la soglia di ammissibilita', in quanto si risolvono nella richiesta di rivalutare la capacita' dimostrativa delle prove, attivita' esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimita'. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimita' della motivazione si riafferma che la Corte di legittimita' non puo' effettuare nessuna valutazione di "merito" in ordine alla capacita' dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito e' limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate, devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965). La responsabilita' di (OMISSIS) per le circonvenzioni contestate emerge, con inequivocabile chiarezza, dal compendio motivazionale integrato composto dalle due sentenze di merito e non risulta inciso dalle doglianze difensive che, invero, si profilano come reiterative rispetto a quelle gia' avanzate con la prima impugnazione. La Corte d'appello, con motivazione persuasiva, osservava che il ricorrente, nonostante l'invito alla prudenza ed a regolare il rapporto con la persona offesa con la nomina e la mediazione di un amministratore di sostegno, non solo non aveva dato seguito all'invito, ma si era adoperato per effettuare due distinti bonifici a favore di se' stesso e di (OMISSIS) che non eseguiti dai funzionari di banca che aveva rilevato l'anomalia. Quanto alla reiterata allegazione che il denaro proveniente dallo smobilizzo della polizza dovesse confluire sul conto intestato solo alla persona offesa, e dunque non fosse in alcun modo pregiudizievole per la stessa, deve essere osservato che la Corte di appello aveva rilevato senza che la affermazione risultasse smentita - che detto conto era stato aperto in epoca successiva alla richiesta di smobilizzo della polizza e che, comunque, pur essendo intestato all'offesa, (OMISSIS) ne aveva la disponibilita' "con firma disgiunta", il che gli consentiva di gestirlo da dominus (pag. 30 della sentenza impugnata). Non e' fondato neanche il motivo che allega che l'operazione compiuta da (OMISSIS) non avrebbe danneggiato gli enti destinatari dei legati riconducibili alla reale volonta' dell'offesa, ovvero quelli disposti a favore della Scuola elementare presso la quale aveva lavorato la sorella della (OMISSIS) e dell'Opera Pia (OMISSIS). Invero il computo effettuato dal difensore si configura suggestivo, ma fallace, in quanto non tiene conto del fatto che la manipolazione della volonta' testamentaria, come rilevato dalla Corte territoriale, si era - tra l'altro - manifestata nella modifica dei legati agli enti, che inizialmente prevedevano il lascito di "quattrocentomila Euro", mentre con il testamento del 2016 erano stati tramutati nel lascito "quote dei titoli rimanenti alla data della morte": tale mutamento unitamente alla richiesta di liquidazione della polizza, nella persuasiva valutazione dei giudici di merito si configurava come diretto a vanificare i legati (pag. 29 della sentenza impugnata). Quanto alla richiesta di liquidazione della polizza-vita posta in essere da (OMISSIS) in qualita' di procuratore speciale (pag. 31 della sentenza impugnata) la stessa, nella ineccepibile valutazione effettuata dalla Corte di appello, si configurava come un'azione diretta non solo a garantire l'attuazione dell'atto testamentario manipolato, ma anche a far confluire sul conto corrente della vittima una liquidita' che avrebbe potuto facilmente essere sottratta, come dimostrano i tentativi di bonifico contestati ai capi 3) e 4) (pagg. 29 e 30 della sentenza impugnata). 1.3. Nessuna censura puo' essere rilevata, inoltre, nei confronti del rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento attraverso l'audizione del funzionario (OMISSIS). Il collegio riafferma che la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, e' un istituto di carattere eccezionale al quale puo' farsi ricorso esclusivamente allorche' il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 - 01). A cio' si aggiunge che per "prova decisiva" e' da intendere unicamente quella che, non incidendo soltanto su aspetti secondari della motivazione (quali, ad esempio, quelli attinenti alla valutazione di testimonianze non costituenti fondamento della decisione) risulti determinante per un esito diverso del processo, nel senso che essa, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove fosse stata esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R. Rv. 278670 - OSez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323; Sez.2, n. 16354 del 28/04/2006, Maio, Rv. 234752). La prova richiesta deve comunque superare il vaglio della rilevanza in relazione al compendio probatorio disponibile: si tratta di una valutazione che rientra tra gli apprezzamenti tipici della giurisdizione di merito che, se espressi con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali, si presenta insindacabile in sede di legittimita'. Nel caso in esame, con motivazione ineccepibile, la Corte di appello rilevava che la esaustivita' e completezza delle prove raccolte, indicative della responsabilita' del ricorrente "al di la' di ogni ragionevole dubbio", ostavano all'accoglimento della richiesta di rinnovazione attraverso l'audizione del funzionario (OMISSIS). Emergeva infatti che la chiusura del conto cointestato era stata disposta su ordine dell'istituto di credito e che (OMISSIS) non solo non aveva raccolto l'invito alla prudenza dei colleghi, ma aveva aperto un nuovo conto intestato solo alla (OMISSIS), assegnandosi tuttavia il potere di disporne con firma disgiunta (pag. 32 della sentenza impugnata). 1.4. Il motivo di ricorso descritto al punto 2.5. del "ritenuto in fatto" e' infondato sia nella parte in cui ritiene che l'induzione al rilascio di una procura generale a gestire il patrimonio non sia un atto idoneo ad integrare il reato previsto dall'articolo 643 c.p., sia nella parte in cui contesta la legittimita' della motivazione in ordine allo stato di riconoscibile circonvenibilita' della vittima. 1.4.1. Quanto al primo profilo, il collegio, rileva che sebbene il conferimento di una procura generale non sia - in astratto - un atto univocamente diretto a produrre effetti dannosi nei confronti del delegante; lo stesso debba comunque essere valutato unitamente alle circostanze del caso concreto: sicche' se la procura si inserisce in un contesto di manipolazione e si profila come funzionale a porre in essere atti di disposizione patrimoniale contrari all'interesse del delegante, la stessa e' sicuramente idonea a produrre effetti giuridici dannosi (in tal senso: Sez. 2, n. 10587 del 27/02/2009, Rv. 243866). Si ritiene, cioe', che la procura generale conferita per gestire il patrimonio e' un atto sicuramente produttivo di effetti giuridici, in quanto trasferisce in capo al procuratore il potere di gestire il patrimonio del delegante; e che nonostante la procura generale sia, in se', un atto "neutro", in quanto, in astratto, funzionale anche a produrre effetti positivi nel patrimonio del delegante, puo' configurarsi, in concreto, dannoso - ovvero idoneo ad integrare una condotta di circonvenzione - quando, valutato unitamente agli altri elementi di contesto, emerga che la stessa sia stata ottenuta attraverso la manipolazione della volonta' del vulnerabile al fine di danneggiarlo. 1.4.2. Le contestazioni in ordine alla rilevazione dello stato di riconoscibile circonvenibilita' si profilano come reiterative rispetto a quelle gia' avanzate con la prima impugnazione e, comunque, come dirette ad invocare una nuova e diversa valutazione della capacita' dimostrativa delle prove in ordine ad un elemento essenziale per la sussistenza dei reati contestati. Contrariamente a quanto dedotto, la Corte di merito ha valorizzato una serie di prove indicative sia della sussistenza della fragilita' cognitiva della persona offesa, che della sua manipolabilita'; sul punto risulta assorbente la valorizzazione di un elemento incontestato, che definisce in modo certo la sussistenza sia della vulnerabilita', che della sua riconoscibilita', ovvero il fatto che i funzionari di banca, che hanno avuto contatto occasionale con la vittima, si sono immediatamente resi conto della sua condizione, non dando seguito agli atti di disposizione patrimoniale indotti dai ricorrenti. 1.5. Il motivo di ricorso descritto al punto 2.6. del "ritenuto in fatto" non supera la soglia di ammissibilita' in quanto invoca una diversa valutazione delle emergenze processuali, funzionale al riconoscimento della tesi alternativa proposta dalla difesa. Contrariamente a quanto dedotto, il compendio motivazionale integrato composto dalle due sentenze di merito si prospetta esaustivo e persuasivo ed indica con chiarezza che (OMISSIS) ha consapevolmente posto in essere un'azione persistente e reiterata di manipolazione della persona offesa, resistendo anche alle sollecitazioni alla prudenza provenienti dai colleghi. 1.6. Il motivo di ricorso descritto al punto 2.7. del "ritenuto in fatto" e' manifestamente infondato. Il difetto di querela, quando si procede per il reato di appropriazione indebita, osta all'apertura del rapporto processuale, sicche' non si rinviene alcun interesse dell'accusato a dolersi della decisione di improcedibilita'. Peraltro, nel caso in esame, ferma la improcedibilita' della condotte appropriative contestate al capo 3), la Corte di appello, al fine di evidenziare la persistente azione di circonvenzione e la sussistenza dell'elemento soggettivo, rilevava che il ricorrente, nella veste di procuratore della persona offesa, nel 2017 aveva effettuato - a soli nove mesi di distanza dalla richiesta di liquidazione della polizza - due distinti bonifici bancari in favore della (OMISSIS) e di se' stesso, che erano stati bloccati dai funzionari di banca (pag. 21 della sentenza impugnata). 1.7. I motivi aggiunti sono stati rinunciati dall'Avv. (OMISSIS) in udienza, sicche' gli stessi vanno considerati non ammissibili. 2. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 2.1.Il primo motivo di ricorso non supera la soglia di ammissibilita' in quanto si risolve nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove poste a sostegno della conferma della responsabilita', senza l'indicazione di travisamenti o fratture logiche capaci di disarticolare il percorso logico-argomentativo posto a sostegno della conferma di responsabilita'. Circa la sussistenza e la riconoscibilita' dello stato di circonvenibilita' si richiama quanto gia' osservato in relazione alla valutazione del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) (§ 1.4.2.). Quanto alla partecipazione della (OMISSIS) alle azioni delittuose contestate (ovvero alla induzione alla redazione di due testamenti olografi, oltre che alla modifica dei destinatari della polizza vita ed al fatto di aver accompagnato la vittima presso il suo istituto di credito per indurla ad effettuare un bonifico di 80.000 in suo favore) il collegio rileva che le valutazioni emergenti dalle due sentenze di merito non presentano alcuna illogicita'. Segnatamente: la condotta contestata al capo 4) - ovvero l'accompagnamento della vittima in banca per effettuare il bonifico - risulta provata dalle testimonianze dei dipendenti della banca e dal fatto che, proprio in quell'occasione, ebbero la possibilita' di verificare lo stato di vulnerabilita' dell'anziana persona offesa, al punto che bloccarono la procedura ed avviarono il procedimento penale. 2.2. Le censure dirette e contestare il difetto di motivazione in ordine alla dimostrazione del concorso di (OMISSIS) nelle condotte di circonvenzione contestate (proposte sia con il secondo che con il terzo motivo) sono infondate. Contrariamente a quanto dedotto, la Corte d'appello, confermando analoga valutazione del Tribunale, esplicava, in modo esaustivo e persuasivo, come la ricorrente avesse contribuito in modo consapevole alla consumazione delle condotte contestate. Veniva infatti ribadito che il fatto che le disposizioni testamentarie fossero in favore di entrambi gli imputati fosse una circostanza univocamente indicativa delle cointeressenze della ricorrente; tale dato veniva confortato dalla emersione dell'attivita' delittuosa contestata al capo 4): sul punto la Corte d'appello, confrontandosi con le deduzioni difensive, rilevava come fosse emerso in modo inequivoco che la ricorrente si era recata in banca insieme con la persona offesa e che, una volta giunta presso l'istituto di credito, aveva compilato la richiesta di bonifico, mentre la vittima si era limitata a firmarlo. I giudici di merito rilevavano come le prove raccolte indicassero con chiarezza che il funzionario di banca si fosse reso conto che l'anziana era assente e non consapevole del motivo per cui era nell'istituto di credito: tale rilevante emergenza processuale confermava in modo definitivo il coinvolgimento della (OMISSIS) nella persistente e reiterata manipolazione della persona offesa. Veniva rilevato, tra l'altro, che il funzionario di banca, che aveva visto per la prima volta la vittima, si era subito accorto che la stessa non era in grado di comprendere il significato dell'operazione che era stata sollecitata a compiere, sicche' non era ipotizzabile che (OMISSIS) non fosse consapevole delle condizioni dell'anziana, tenuto conto che la assisteva quotidianamente come badante (pag. 22 della sentenza impugnata). 1.4. Sono infondate anche le censure proposte con l'ultimo motivo di ricorso, che contesta la motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 - 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142, Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008 - dep. 26/03/2008, Gasparri e altri, Rv. 239754). La determinazione in concreto della pena costituisce, infatti, il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicche' l'obbligo della motivazione da parte del giudice dell'impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d'appello, quando egli, accertata l'irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Cio' dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell'articolo 133 c.p. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d'appello. La Corte di appello, con motivazione ineccepibile, riteneva ostativi al ridimensionamento del trattamento sanzionatorio il grado e l'intensita' del dolo dimostrata da entrambi gli imputati - e dunque anche dalla (OMISSIS) - come anche il fatto che la condotta manipolatoria fosse stata reiterata e perseverante (pag. 36 della sentenza impugnata). A cio' si aggiungeva il fatto che era emerso con chiarezza che la ricorrente aveva tradito la fiducia dell'ingenua e malata persona offesa. Tali circostanze, nella ineccepibile valutazione della Corte territoriale, rendevano equo e non ridimensionabile il trattamento sanzionatorio inflitto dal primo giudice: si tratta di una motivazione che non si presta ad alcuna censura, in quanto non presenta alcun vizio logico nel percorso argomentativo, si profila aderente alle emergenze processuali e coerente con i parametri di legge che limitano la discrezionalita' del giudice nella quantificazione della pena. 4.Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, le parti private che lo hanno proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. AGOSTINACCHIO Luig - rel. Consigliere Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 23/08/2022 del TRIBUNALE di ENNA Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LUIGI AGOSTINACCHIO; sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; sentito il difensore, avv. (OMISSIS), del foro di Enna, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso ed alla memoria aggiunta, insistendo per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 23/08/2022, il Tribunale di Enna rigettava l'appello proposto nell'interesse di (OMISSIS) avverso il provvedimento del Gip in sede del 01/08/2022 con il quale era stata rigettata l'istanza di autorizzazione alla sostituzione dei beni immobili sequestrati con il versamento dell'importo di Euro 138.133,31 a titolo di equivalente. 2. Premetteva il giudice di secondo grado che il Tribunale di Enna - Ufficio Gip, all'esito del riconoscimento ed esecuzione del certificato di congelamento del 20/01/2021 emanato dalla Procura della Cassazione della Romania, con provvedimento del 22/06/2021 aveva disposto nei confronti dello (OMISSIS) il sequestro per equivalente fino alla concorrenza della somma di Euro 152.192,36 ma che, essendo risultato incapiente l'importo rinvenuto su conto corrente, la Guardia di Finanza aveva sottoposto a vincolo reale anche gli immobili a costui intestati, ubicati nel comune di (OMISSIS); che lo (OMISSIS), avendo sottoscritto un contratto di compravendita avente ad oggetto anche alcuni dei terreni sequestrati, sospensivamente condizionato alla definitiva liberazione degli immobili, aveva richiesto la revoca del sequestro, previo versamento da parte della societa' acquirente dell'importo di Euro 138.133,31; che il Gip, con il provvedimento impugnato, aveva rigettato la richiesta, sulla base anche della nota trasmessa a riguardo dal Tribunale di Bucarest, a mezzo Eurojust. Tanto premesso, riteneva il Tribunale di Enna che correttamente il Gip aveva respinto l'istanza, in primo luogo perche' l'autorita' giurisdizionale che aveva emanato il provvedimento di congelamento, alla base del sequestro eseguito sul territorio italiano, non aveva acconsentito alla proposta; inoltre, che l'articolo 26 del Regolamento UE 2018/1805 si limitava a stabilire l'applicazione della normativa vigente nello Stato dell'autorita' che esegue il provvedimento di congelamento solo con riferimento alle modalita' attuative, con esclusione di ambiti di discrezionalita' in ordine alle statuizioni del giudice estero, che aveva altresi' precisato che il sequestro era volto a garantire il pagamento delle spese giudiziarie e a risarcire i danni cagionati dal reato, con la conseguenza che, finche' tali circostanze non si fossero verificate, la misura doveva conservare efficacia nella forma originariamente disposta. Quanto alla possibilita' di disporre la sostituzione di un bene immobile sequestrato con una somma di danaro, la soluzione era in linea con la normativa nazionale, cosi' come interpretata dal giudice di legittimita', che aveva escluso che le disposizioni sulla confisca potessero formare oggetto di pattuizioni, riconducibili all'autonomia privata. 3. Avverso l'ordinanza collegiale ha proposto ricorso per cassazione il difensore dello (OMISSIS), eccependo in primo luogo l'errata interpretazione ed applicazione delle norme del reg. Ue 2018/1805. Richiamata a tal fine la scansione procedimentale prevista dal testo del Regolamento, sottolineando, in particolare, che nel caso di specie all'autorita' italiana era stato richiesto di sequestrare, con propria scelta discrezionale e per equivalente, alcuni fra i beni rientranti nell'intero patrimonio dello Steccato, il ricorrente ha lamentato che il parere negativo alla sostituzione dei beni proveniente dall'autorita' rumena era privo di traduzione ufficiale in lingua italiana si' da comprimere il diritto di difesa; che non era stata presentata un'istanza di revoca della misura, cosi' come sostenuto dal PM italiano nel proprio parere; che il Gip aveva fatto acritico riferimento a tale parere. Doveva invece tenersi conto che ai sensi dell'articolo 28 del Regolamento, all'autorita' di emissione residuavano esclusivamente compiti di mera supervisione sull'esito dell'esecuzione del provvedimento di congelamento, mentre la scelta delle modalita' di attuazione e del suo contenuto sostanziale restavano di esclusiva competenza dell'autorita' interna, tenuta ad evitare soltanto la diminuzione del valore dei beni sequestrati. Inoltre, non era stato richiesto all'autorita' nazionale di svincolarsi dalle indicazioni fornite dal Giudice di emissione che, ai sensi degli articoli 7 e 23 del Regolamento, non doveva essere interpellato per fornire un parere vincolante sulle modalita' e sull'oggetto dell'esecuzione, in considerazione altresi' dell'orientamento prevalente della giurisprudenza interna, a tenore della quale nulla osterebbe alla sostituzione di un bene immobile con denaro contante, di pronta e piu' agevole liquidazione (ed in tal senso si era espressa l'autorita' di esecuzione italiana in fase di inoltro alla autorita' rumena, per l'esame, della richiesta di sostituzione). 3.1. Con un secondo motivo, il ricorrente ha eccepito l'erronea applicazione della disciplina dettata in materia di sequestro per equivalente e l'ingiustificato richiamo a riguardo dei precedenti giurisprudenziali sull'esecuzione della confisca, fase distinta da quella in esame; richiami peraltro in se' non pertinenti, posto che i beni non avevano alcun collegamento con i fatti di reato contestati e che le finalita' perseguite con il congelamento sarebbero rimaste immutate sotto il profilo della perdita quantitativa. 4. Con memoria difensiva del 04/03/2023, il difensore del ricorrente, ad integrazione delle argomentazioni articolate, ha richiamato una recente pronuncia di legittimita' (Sez. 3, n. 32744 del 6 settembre 2022), intervenuta successivamente alla presentazione del ricorso, ritenendo in essa cristallizzati i principi cardine in materia di sostituzione dei beni originariamente sottoposti a confisca per equivalente; principi a base della conclusione secondo cui l'ablazione di denaro in luogo di una quota di immobili, se da una parte riporta l'interessato nella piena disponibilita' del proprio immobile, con evidenti vantaggi, ed ulteriore tutela e garanzia della sua proprieta', dall'altra, assicura allo Stato l'apprensione immediata e integrale, e non mediata da alcuna procedura, del valore residuo da recuperare. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato perche' proposto per motivi che non interpretano correttamente le norme di riferimento, contenute nel Reg. UE 2018/1805. 2. Occorre richiamare, innanzitutto, il tenore letterale dell'articolo 23 del Regolamento nella parte in cui stabilisce che l'esecuzione del provvedimento di congelamento e' disciplinata dalla legge dello Stato di esecuzione, le cui sole autorita' sono competenti a decidere in merito alle modalita' della sua esecuzione e a determinare tutte le misure ad essa relative (comma 1); stabilisce altresi' il comma 3 che, fermo quanto previsto all'articolo 18, paragrafi 2 e 3, lo Stato di esecuzione non puo' imporre misure alternative al provvedimento di congelamento trasmesso a norma dell'articolo 4 senza il consenso dello Stato di emissione. Trattasi pertanto di stabilire se la richiesta di sostituzione in questione costituisca una misura alternativa al provvedimento di congelamento oppure rientri nella fase esecutiva del provvedimento stesso, giustificandosi solo in tal in tal caso i richiami alla normativa interna ed ai principi giurisprudenziali applicativi in tema di sequestro per equivalente, a base del ricorso. Tale impostazione, in realta', e' ben presente nella prospettazione difensiva, incentrata sulla discrezionalita' dell'autorita' giudiziaria italiana in relazione all'istanza in esame, senza ingerenze di quella di emissione, sul presupposto appunto - che la sostituzione del bene oggetto del certificato di congelamento attenga alla fase esecutiva, specie in considerazione del fatto che l'autorita' nazionale aveva scelto "motu proprio i singoli beni da sottoporre a vincolo reale, senza previamente ottenere un parere da parte dell'autorita' di emissione in ordine alla scelta specifica" (pag. 3 del ricorso). 2.1. L'assunto non e' condivisibile. Come riportato nel decreto del Gip del Tribunale di Enna del 22/06/2021 di riconoscimento del provvedimento di congelamento emesso dalla Procura dell'Alta Corte di Cassazione Giustizia Rumena in data 20 gennaio 2021, l'autorita' di emissione ha disposto "l'istituzione della misura cautelare di sequestro fino alla concorrenza dell'importo di 700.001,36 lei sui beni immobili, mobili, comprese le somme di danaro, i diritti di credito o altri titoli di valore, di proprieta' dell'imputato (OMISSIS)"; di conseguenza, con verbale del (OMISSIS), la Guardia di Finanza di Enna ha sottoposto a sequestro in primo luogo la somma di denaro rinvenuta su conto corrente e, verificata l'incapienza della stessa, i beni immobili siti nel Comune di (OMISSIS) (in catasto terrenti foglio n. (OMISSIS); foglio n. (OMISSIS)). L'individuazione dei beni, nell'ambito di quelli riportati nel certificato di congelamento, fino alla concorrenza dell'importo specificato, ha costituito esecuzione del provvedimento stesso, curata dal pubblico ministero ed effettuata dalla polizia giudiziaria. In virtu' del provvedimento emesso dall'autorita' giudiziaria rumena, quel denaro e quei terreni sono stati sottoposti quindi a vincolo reale. 2.2. La sostituzione di una parte degli immobili con una somma di denaro presuppone, come non ha mancato di evidenziare l'ordinanza impugnata, la revoca del sequestro e la conseguente costituzione di un diverso vincolo reale; diversita' relativa all'oggetto della misura. Deve ritenersi, infatti, che la modifica riguarda il contenuto dell'originario provvedimento di congelamento, non l'esecuzione, ed incide sulla sua efficacia, posto che, revocando il sequestro su alcuni terreni del ricorrente, il vincolo reale avrebbe un ambito piu' ristretto e sarebbe necessario un nuovo certificato dell'autorita' rumena che autorizzi il congelamento del denaro. Va esclusa, in particolare, una sorta di fungibilita' dei beni rientranti nel patrimonio del ricorrente (o, addirittura, acquisibili attraverso la disponibilita' di terreni sottratti, invece, alla sua autonomia negoziale), posto che l'individuazione effettuata dalla Guardia di Finanza ha integrato l'efficacia del provvedimento, cristallizzandone, per cosi' dire, l'oggetto. 2.3. Mutare il circoscritto perimetro di applicazione del sequestro significa, in definitiva, imporre una misura alternativa al provvedimento di congelamento, facolta' non consentita all'autorita' nazionale che cura la fase esecutiva, per cui correttamente il tribunale di Enna ha stabilito che il vincolo reale restera' in esecuzione nella forma originariamente disposta, salvo eventuale ritiro da parte dell'autorita' emanante, come stabilito dall'articolo 27 del citato Regolamento UE. In conformita' con tale previsione normativa e con la ratio stessa del Regolamento, volto a favorire la cooperazione giudiziaria in materia penale tra stati dell'Unione, l'autorita' italiana ha informato quella rumena sulla possibilita' di sostituzione degli immobili con il denaro; il riscontro ha escluso il ritiro del congelamento, cosi' come precisato dallo stato di emissione, nell'irrilevanza delle ragioni sottese al diniego, non senza rilevare, tuttavia, che le stesse, sebbene espresse in lingua rumena, come non ha mancato di evidenziare il ricorrente, possono intuitivamente ricollegarsi all'obiettivo di non diminuire la garanzia derivante dal sequestro o, quanto meno, di evitare una nuova procedura per il congelamento del denaro che, nel frattempo, rimarrebbe nella disponibilita' dell'indagato, in assenza di una misura che lo impedisca. Conclusivamente, la richiesta in esame e' stata correttamente valutata dai giudici di merito, escludendosi che trattasi di questione che rientri nell'ambito dell'articolo 28 Reg. che riserva la gestione dei beni sottoposti a congelamento alla disciplina della legge dello Stato di esecuzione. 3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Mari - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. CIRESE Marina - rel. Consigliere Dott. SESSA Gennaro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: parte civile (OMISSIS), nato a (OMISSIS); PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI MILANO; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 01/12/2021 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARINA CIRESE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DI NARDO MARILIA, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di MILANO in difesa di (OMISSIS), parte civile ricorrente che insiste per l'accoglimento del ricorso depositando conclusioni scritte e nota spese alle quali si riporta, allegando copia del decreto di ammissione al gratuito patrocinio rilasciato dal tribunale di Lodi il 09/05/12. L'avv. (OMISSIS) chiede il rilascio della certificazione di partecipazione all'udienza. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di BOLOGNA in difesa di (OMISSIS) che insiste per la conferma della sentenza impugnata unitamente all'avvocato (OMISSIS) del foro di BOLOGNA suo codifensore, chiedendo l'inammissibilita' dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 1.12.2021 la Corte d'appello di Milano, quale giudice del rinvio, a seguito della sentenza con cui la Corte di Cassazione, Sez. 3, n. 16467 del 27.2.2020, aveva annullato con rinvio la sentenza della Corte d'appello di Milano del 20.6.2019, dopo aver disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ha confermato la sentenza del Tribunale di Lodi che aveva assolto (OMISSIS) dal reato di cui agli articoli 609 bis c.p., comma 2, n. 1 e articolo 609 ter c.p., comma 1, n. 2. 2. I fatti, oggetto del presente procedimento, come ricostruiti dalle sentenze di merito, sono i seguenti: la sera del (OMISSIS) (OMISSIS), alla sua prima esperienza in un locale, si era recata con alcuni amici e compagni di scuola presso la discoteca "(OMISSIS)" di (OMISSIS) dove era entrata prima degli altri insieme all'amica (OMISSIS) in quanto veniva garantito l'ingresso prioritario alle ragazze. Dall'istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, attraverso le testimonianze rese dalla parte offesa, dall'amica, dal personale del locale e dagli amici dell'imputato, si ricava che quella sera la (OMISSIS) aveva subito consumato tre o quattro superalcolici, pur non essendo abituata ad assumerli, e subito dopo aveva conosciuto (OMISSIS), si era intrattenuta a ballare con lui e si era scambiata dei baci. Quando era gia' sotto l'effetto degli alcolici assunti, i due si erano recati all'esterno della discoteca, in una zona erbosa dietro una siepe. In tale circostanza dopo due richieste sessuali da parte di lui, cui la ragazza non aveva aderito (le aveva prima proposto di masturbarlo e poi un rapporto orale) l'aveva presa per i polsi bloccandola, le aveva abbassato i leggings che indossava e gli slip e la aveva penetrata in vagina, fatto questo riconosciuto da entrambi. Quindi i due, mentre lei si trovava ancora in stato confusionale, erano rientrati all'interno del locale. Qui l'amica (OMISSIS) si era accorta che la (OMISSIS) era in lacrime e, dopo averle chiesto cosa fosse avvenuto ed averne ricevuto la risposta "Mi ha fatto male", era andata a cercare il ragazzo aggredendolo. Lui le aveva risposto di "non avere fatto nulla" e di "averla trattata bene". Era stata quindi la (OMISSIS) a denunciare il fatto al personale del locale e (OMISSIS), nel frattempo allontanatosi, era stato riconosciuto nelle foto scattate dal fotografo della discoteca. Dopo cio' le due ragazze erano rientrate a casa della (OMISSIS). Il giorno successivo il cugino della (OMISSIS), informato dei fatti da un amico, aveva avvertito i genitori che la avevano accompagnata prima presso l'ospedale di (OMISSIS) per una visita e poi presso il centro antiviolenza della clinica (OMISSIS). Le prove scientifiche assunte non erano decisive, non essendo emersi dalla visita ginecologica segni univoci di violenza anche per le caratteristiche anatomiche/morfologiche della ragazza. Neppure decisivi risultavano le striature escoriative in area volare e l'ecchimosi al ginocchio. La sentenza di primo grado del Tribunale di Lodi dell'1.12.2015 ha ritenuto che nella situazione di profonda confusione con momenti di assenza in cui versava la (OMISSIS) non fosse dimostrato che la persona offesa avesse manifestato il proprio dissenso con riguardo al rapporto sessuale in maniera chiara e percepibile dall'imputato. La sorta di paralisi e di inerzia in cui la stessa si era trovata era di per se' antitetica alla manifestazione di un rifiuto e non era valsa a dimostrare che (OMISSIS) avesse agito nonostante un espresso e percepito dissenso. Da qui l'impossibilita' di affermare la penale responsabilita' dell'imputato. La Corte d'appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, ha invece ritenuto (OMISSIS) colpevole del reato a lui ascritto ed, esclusa l'aggravante contestata ex articolo 609 ter c.p., comma 1, n. 2, lo ha condannato alla pena di anni cinque di reclusione oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita ed al pagamento di una provvisionale di Euro 10.000. Proposto ricorso per cassazione, con sentenza emessa in data 27.2.2020 la Corte di Cassazione, Sez. 3, n. 16467 del 27.2.2020, ha annullato con rinvio detta sentenza per difetto di motivazione precisando che "ai fini della rinnovazione dell'istruttoria in appello ex articolo 603 c.p.p., comma 3 bis per "motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa" devono intendersi non solo quelli che concernono l'attendibilita' del dichiarante ma tutti quelli che implicano una "diversa interpretazione" delle risultanze delle prove dichiarative.." e che la stessa norma "..non impone la rinnovazione di tutte le prove dichiarative ma solo di quelle che sono state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e che sono decisive ai fini dello scioglimento dell'alternativa proscioglimento- condanna". Ha quindi censurato la sentenza impugnata per il fatto che la difforme valutazione della prova dichiarativa, con riguardo alle deposizioni rese in primo grado dagli amici dell'imputato, era stata formulata senza provvedere ad alcuna rinnovazione istruttoria, nel contempo attribuendo tutt'altra lettura alle dichiarazioni del teste (OMISSIS) del pari non risentito in appello. Con sentenza emessa in data 1.12.2021 la Corte d'appello di Milano, quale giudice del rinvio, dopo aver disposto la rinnovazione dell'istruttoria mediante l'escussione del teste (OMISSIS) e del gruppo di amici con cui l'imputato si accompagnava la sera dei fatti, ha confermato la sentenza assolutoria del Tribunale di Lodi. 2. Avverso detta sentenza il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Milano propone ricorso per cassazione articolato in due motivi. Con il primo motivo deduce ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) l'erronea applicazione della legge penale ed in particolare dell'articolo 609 bis c.p.. Con il secondo motivo deduce ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato e dalla sentenza n. 4906/19 del 20.6.2019. Assume che il convincimento della Corte territoriale e' incentrato sulla ritenuta inidoneita' dello stato di ebbrezza alcolica, al quale la (OMISSIS) era in preda, ad essere percepito dall'imputato ed ad incidere sulla manifestazione di volonta' della vittima indirizzata nel senso della disposizione da parte sua del bene della liberta' sessuale. A riguardo il giudice del rinvio non tiene conto del fatto che la (OMISSIS), dopo aver assunto bevande alcoliche, viene accompagnata fuori dal locale dall'odierno imputato che l'aveva vista barcollare e cadere aiutandola a rialzarsi e reggendola con la mano destra dietro la schiena. Ne' considera la deposizione dell'amica (OMISSIS) che ha riferito che la (OMISSIS) aveva bevuto almeno tre o quattro drinks e quando ballava con l'imputato era gia' "alticcia", ne' quella del vigilante del locale che aveva visto la ragazza dopo il fatto frastornata e piangente. Inoltre non vengono valutati i leggings strappati all'altezza della coscia, le dichiarazione della Dott.ssa (OMISSIS) del centro antiviolenza della clinica (OMISSIS) che, esaminata nel dibattimento di primo grado, aveva indicato l'escoriazione tondeggiante al ginocchio destro come compatibile con una caduta e le striature ai polsi in regione anteriore riferibili a graffi o altra imprecisata causa, elementi questi da cui il giudice di appello trae conclusioni illogiche e contraddittorie circa la causa della ecchimosi e dei graffi. Inoltre il giudice del rinvio nulla dice sul fatto che la (OMISSIS) non versava nelle condizioni per esprimere un valido consenso al rapporto sessuale ed anzi aveva manifestato il suo dissenso benche' sopraffatta dalla condotta dell'imputato che la aveva denudata e serrandole i polsi dopo che lei aveva rifiutato di masturbarlo e di praticare sesso orale, la aveva penetrata peraltro eiaculando all'interno e senza protezione. Rileva altresi' che la Corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi fissati dalla giurisprudenza di legittimita' in tema di reati contro la liberta' sessuale secondo cui il consenso agli atti sessuali deve perdurare per tutto il corso del rapporto senza soluzione di continuita' con la conseguenza che integra il reato di cui all'articolo 609 bis c.p. la prosecuzione nel caso in cui successivamente ad un eventuale consenso originariamente prestato intervenga in itinere una manifestazione di dissenso anche non esplicita ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volonta'. Nella specie integrati dal palese diniego della ragazza alle pratiche sessuali richieste e dalle sue suppliche di tornare dall'amica. Del pari e' stato pretermesso il principio secondo cui ai fini della configurabilita' del delitto di cui all'articolo 609 bis c.p. non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volonta' del soggetto passivo ma che tale volonta' sia coartata dalla condotta dell'agente ne' e' necessario che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza cui la vittima e' ridotta a causa dell'eta', dello stato di ubriachezza e della subalternita' psicologica rispetto all'agente. Osserva, infine, che a fronte della struttura del reato e' onere della parte che lo invoca, ovvero l'imputato, la prova del consenso mentre la scriminante putativa del consenso dell'avente diritto non e' neppure configurabile nel delitto de quo. 3. Avverso la sentenza d'appello propone altresi' ricorso per cassazione ai soli fini civili la parte civile costituita articolando due motivi di ricorso. Con il primo deduce la mancanza, la manifesta contraddittorieta' e l'illogicita' della motivazione della sentenza ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e). Assume la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza laddove la stessa da un lato da' atto dello stato di ebbrezza alcolica della persona offesa e dell'altro afferma che la vittima avrebbe avviato in quella sera "una sorta di iniziazione o liberazione" con cio' affermando che tale processo avrebbe avuto ad oggetto anche il rapporto sessuale con l'imputato. Inoltre nella sentenza gravata si coglie un ulteriore passaggio illogico laddove la Corte territoriale da' atto dei segni rivelatori dello stato di ubriachezza della persona offesa tra cui il barcollio che la faceva cadere in avanti tanto che l'imputato la aveva sorretta, asserendo altresi' che lo stesso poteva non aver colto tali segnali di anomalia della condotta della persona offesa non essendo possibile ricostruire una chiara manifestazione del dissenso da parte di quest'ultima. Con il secondo motivo deduce la mancanza della motivazione della sentenza e la violazione dell'articolo 192 c.p.p. ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e). Assume che la motivazione della sentenza e' del tutto carente in relazione al capo di imputazione afferente agli atti sessuali commessi con violenza. Non motiva in merito alle considerazioni medico-legali espresse dal consulente tecnico della difesa secondo cui lo stato della persona offesa era tale da viziare un valido consenso all'atto sessuale e secondo le quali le lesioni riscontrate erano compatibili con il racconto della vittima. La Corte territoriale ha erroneamente indicato che non sarebbe stato sentito il teste (OMISSIS) in realta' sentito all'udienza del 24 settembre 2021. Lo stesso aveva escluso lo stato di tensione tra i gruppi che aveva determinato l'uscita all'esterno prima dell'imputato e poi degli amici. Inoltre la Corte territoriale ha omesso di valutare le testimonianze rese in primo grado dagli addetti alla sicurezza e dal proprietario della discoteca i quali avevano riferito che l'imputato era fuggito dal locale e che per rintracciarlo era stato necessario visionare le immagini effettuate dal fotografo della serata mentre nessuno degli addetti alla sicurezza rappresentarono una situazione di pericolo nel corso della quale qualcuno aveva suggerito all'imputato di allontanarsi. 4. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d'appello di Milano nonche' quello proposto dalla parte civile, i cui motivi sono sostanzialmente sovrapponibili e che vanno quindi valutati congiuntamente, sono fondati. Va premesso che il fatto oggetto dell'editto accusatorio descrive sia un'ipotesi di violenza sessuale per induzione (articolo 609 bis c.p., comma 2) che una violenza sessuale per costrizione (articolo 609 bis c.p., comma 1) perpetrata ai danni di (OMISSIS) con l'aggravante dell'utilizzo di sostanze alcoliche. A riguardo giova ribadire che il reato di violenza sessuale puo' essere commesso sia allorche' l'individuo violi la sfera di liberta' sessuale della persona offesa attraverso condotte che siano realizzate tramite l'esercizio della violenza, della minaccia ovvero dell'abuso di autorita' in danno del soggetto passivo del reato, ipotesi nelle quali puo' dirsi che non vi sia una adesione volontaria da parte di quest'ultimo al compimento da parte dell'agente delle condotte abusanti (con la precisazione che debbono intendersi commesse con violenza non solo le condotte che siano realizzate in dichiarato contrasto con l'opposta volonta' del soggetto passivo, ma anche quelle realizzate in assenza di una dichiarazione di adesione ad esse da parte di quest'ultimo, vuoi perche' le stesse sono state poste in essere con modalita' improvvise e repentine atte a sorprendere l'altrui volonta' ed a non consentire, pertanto, una tempestiva reazione oppositiva da parte del soggetto passivo del reato (in tal senso cfr. Sez. 3, n. 46170 del 10 novembre 2014, Sez. 3, n. 27273 del 14 luglio 2010), vuoi perche' tale soggetto non sia, per causa naturali o indotte, in condizione di esprimere il proprio consenso alle pratiche sessuale ab alieno poste in essere), sia allorche' l'individuo induca il soggetto passivo del reato a formalmente accondiscendere alla proprie richieste avendo cagionato in quello il realizzarsi di un procedimento viziato di formazione della sua volonta' adesiva alle condotte poste in essere dall'agente. Cio' premesso, la Corte territoriale in sede di rinvio, all'esito della richiesta rinnovazione istruttoria, ha ricostruito in fatto la vicenda per cui e' processo in cui non e' mai stato contestato che il (OMISSIS) e la (OMISSIS) si conobbero nella discoteca "(OMISSIS)" di (OMISSIS) la sera del (OMISSIS) dove entrambi si erano recati in compagnia di amici. La (OMISSIS), in particolare, in compagnia di (OMISSIS) per la prima volta frequentava una discoteca sfuggendo al divieto dei genitori. Del pari e' incontestato che i due dopo aver ballato e "flirtato" in pista e dopo la (OMISSIS) aveva bevuto gia' tre o quattro drinks a base alcolica erano usciti all'esterno dove in un prato avevano consumato un rapporto sessuale completo. Il punto focale della vicenda, una volta esclusa l'aggravante contestata alla luce del fatto che la parte offesa assunse l'alcool in piena autonomia, verte proprio sulla natura coercitiva o meno di detto rapporto e sull'esistenza di un dissenso della ragazza, considerato che i ricordi della stessa, alterata dall'assunzione di bevande alcoliche risultano sfocati ed incerti sia nell'immediatezza dei fatti che nella rielaborazione successiva avvenuta a distanza di circa due mesi nelle pagine di un diario che le viene consigliato di redigere e tenuto altresi' conto che le prove scientifiche assunte non sono state dirimenti non essendo emersi dalla visita ginecologica segni univoci di violenza anche per le caratteristiche anatomiche/morfologiche della ragazza. Ebbene, la Corte territoriale, alla luce delle rinnovate risultanze istruttorie, ha confermato la sentenza assolutoria del Tribunale di Lodi fondandosi essenzialmente sul rilievo che non vi e' prova certa che l'imputato abbia percepito una condizione di inferiorita' psichica della (OMISSIS) prima di accompagnarla all'esterno della discoteca ove avrebbe poi consumato con lei un rapporto sessuale completo e neppure che, rendendosi conto dell'insorgere di una condizione di netta inferiorita' dovuta all'assunzione di alcool, abbia forzato il rapporto nei termini della contestata induzione. Ha, invero, ritenuto che lo stato di ebbrezza alcolica in cui la (OMISSIS) incontestabilmente versava fosse inidoneo ad incidere sulla manifestazione di volonta' della stessa in ordine alla propria liberta' sessuale ed anche ad essere percepito dall'imputato. La conclusione cui perviene la Corte territoriale va analizzata con riferimento all'iter logico argomentativo adottato, laddove si evince chiaramente che le condizioni della (OMISSIS), timida e non abituata ad assumere alcolici, erano gia' ad inizio serata palesemente alterate dall'assunzione massiccia di superalcolici, condizione oggettivamente riscontrata dalla testimonianza dell'amica (OMISSIS), secondo cui la (OMISSIS) quella sera aveva bevuto tre o quattro drinks e dal fatto che lo stesso imputato la aveva vista barcollare e cadere tanto che la aveva aiutata a rialzarsi reggendola con la mano dietro la schiena. Lo stato di alterazione psico fisica in cui versava la ragazza emerge anche dal fatto che la stessa non e' stata in grado di ricostruire con precisione la sequenza degli accadimenti svoltisi all'esterno della discoteca e che dal racconto dalla stessa reso e' evidente una condizione di atonia e passivita' mista ad una sorta di estraneita' rispetto a quanto stava avvenendo. Alla luce di tale quadro inequivoco circa le condizioni psico-fisiche della ragazza dopo l'assunzione degli alcolici, palesemente contraddittoria ed illogica appare la conclusione cui perviene il giudice del rinvio il quale afferma che " non vi sia prova certa che l'imputato abbia percepito una condizione di inferiorita' psichica di (OMISSIS).. ne' vi e' adeguata prova che subdolamente e consapevolmente leggendo l'insorgere di una condizione di netta inferiorita' psichica nonche' un dissenso oltre l'immobilismo e il silenzio della ragazza abbia forzato il rapporto nei termini della contestata induzione". La sentenza impugnata ha sostanzialmente ritenuto che lo stato di alterazione della ragazza non era tale da essere percepito dall'odierno imputato ne' tantomeno da incidere sulle capacita' di discernimento della medesima nonche' sulla liberta' di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso a disporre del bene della liberta' sessuale. Per di piu' la ricostruzione degli accadimenti della serata, nella narrazione del giudice del rinvio, sembra voler inquadrare la condotta tenuta dalla (OMISSIS) dal suo ingresso nel locale in una sorta di "iniziazione o liberazione" che, pur se riferita alla sola frequentazione della discoteca ed all'assunzione di alcolici in spregio ai divieti familiari, sembra quasi volere sottendere e connotare anche altre condotte. Ne' d'altra parte, secondo i principi consolidati della giurisprudenza di legittimita', anche ove vi fosse stata tale iniziale ideazione, cio' comunque non andrebbe ad incidere sulla configurabilita' stessa del consenso prestato all'atto sessuale da persona totalmente incosciente ed incapace di reagire ed, ove invece cosciente, sulla liberta' di non prestarlo anche poco prima dell'approccio sessuale. Oltre al profilo della contraddittorieta' e della manifesta illogicita' della motivazione con riguardi ai profili richiamati, la sentenza impugnata non fa peraltro buon governo del principio secondo cui in tema di violenza sessuale su persona che si trova in stato di inferiorita' fisica o psichica, nel caso di alterazione causata dall'assunzione di alcool, e' configurabile il reato di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1, quando l'agente, approfittando della condizione della vittima, la induce a compiere o subire atti sessuali ai quali la stessa non avrebbe, altrimenti, prestato il consenso (Sez. 3, n. 8981 del 5.12.2019, Rv. 278401). Oltre a tali aspetti, la sentenza non si confronta con la parte del capo di imputazione che descrive la violenza sessuale per costrizione con riguardo al rapporto sessuale completo cui il (OMISSIS) avrebbe costretto la persona offesa, dopo averle sfilato pantaloni e slip ed essersi posto sopra di lei di fatto bloccandola, stringendole i polsi e tenendole le mani sopra la testa e dopo che la stessa aveva gia' rifiutato di aderire ad altre richieste di pratiche sessuali. Come gia' prima sottolineato, la distinzione tra le due fattispecie di reato si gioca sul fatto che l'induzione penalmente rilevante ai sensi dell'articolo 609 bis cpv c.p., n. 1), genera un consenso "malato" mentre la mancanza totale del consenso, l'impossibilita' psico-fisica di esprimerlo colloca la condotta nella fattispecie di cui all'articolo 609 bis c.p., comma 1, (cosi', in motivazione, Sez. 3, n. 38011 del 17/05/2019). Pertanto, quando l'assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti e' tale da privare del tutto la persona della capacita' di intendere e di volere ponendola in un situazione di palese incapacita' di esprimere un consenso, si esclude la configurabilita' della fattispecie di cui all'articolo 609 bis c.p., comma 2, dovendosi piuttosto ritenere integrata la violenza di cui al comma 1 del medesimo articolo (Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022 Rv. 282834). La sentenza impugnata, invece, non si sofferma su tale ipotesi e non valuta una serie di elementi che atomisticamente analizzati vengono di fatto svalutati, ovvero i graffi ai polsi, l'ecchimosi al ginocchio ed i leggings strappati che, pur nella precarieta' della condizione in cui i due si trovavano sul prato, mal si conciliano con una modalita' concordata del rapporto, tenuto conto della circostanza che la ragazza avrebbe espresso verbalmente la sua volonta' di non avere detto rapporto, come gia' aveva fatto in relazione alle richieste di prestazioni sessuali precedenti. Inoltre si pone in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimita' secondo cui in tema di reati contro la liberta' sessuale, nei rapporti tra maggiorenni, il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuita', con la conseguenza che integra il reato di cui all'articolo 609 bis c.p. la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga "in itinere" una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volonta' (Sez. 3, n. 15010 del 11/12/2018 dep. 2019, Rv. 275393). Ed inoltre, in tema di violenza sessuale, non sussiste in capo alla vittima un onere di espressione del dissenso alla intromissione di soggetti terzi nella propria sfera sessuale, dovendosi al contrario ritenere, proprio in ragione dell'intimita' della dimensione personale attinta, che tale dissenso sia da presumersi e che pertanto sia necessaria, ai fini dell'esclusione dell'offensivita' della condotta, una manifestazione di consenso del soggetto passivo che quand'anche non espresso, presenti segni chiari ed univoci che consentano di ritenerlo esplicitato in forma tacita (Sez. 3, 17/06/2022, n. 32846). Peraltro, giova ricordare che ai fini della configurabilita' del delitto di violenza sessuale, non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volonta' del soggetto passivo, ma e' sufficiente che la volonta' risulti coartata. Neppure e' necessario che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall'inizio fino al congiungimento: e' sufficiente, invece, che il rapporto sessuale non voluto dalla parte offesa sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima e' ridotta. E il dissenso della vittima puo' essere desunto da una molteplicita' di fattori anche a prescindere dalla esistenza di riscontri fisici sul corpo della vittima, essendo sufficiente la costrizione ad un consenso viziato (Sez. 3, n. 19611 del 04/03/2021). In conclusione la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Milano cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita'. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Mari - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - rel. Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 09/12/2022 del TRIB. LIBERTA' di REGGIO CALABRIA; svolta la relazione dal Consigliere Dr. GABRIELLA CAPPELLO; sentito il Procuratore generale, in persona del sostituto Dr. CASELLA Giuseppina, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso; l'avv. (OMISSIS), del foro di Barcellona Pozzo di Gotto, per (OMISSIS), ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l'integrale accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza pronunciata a norma dell'articolo 309, il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato quella del GIP del Tribunale di applicazione a (OMISSIS) della misura della custodia cautelare in carcere in quanto gravemente indiziato del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 6 e articolo 80, e articolo 61 bis c.p., (capo 20 della incolpazione provvisoria). 2. Secondo quanto emerge dall'ordinanza impugnata, il compendio probatorio e' in prevalenza costituito dal contenuto di comunicazioni scambiate dagli indagati giovandosi di un sistema criptato. In premessa, il Tribunale ha rigettato la doglianza difensiva, riproposta in ricorso, inerente alla utilizzabilita' delle citate comunicazioni (che consistono in messaggistica su una piattaforma chiamata SKY-ECC, cioe' un'applicazione crittografata end-to-end, mediante uso di cripto-telefonini o smartphones, modificati in modo da garantirne la inviolabilita', consentendo, cioe', di disattivarne la geolocalizzazione, i servizi Google, il B/uetooth, la fotocamera e quant'altro possa generare rischi di captazione). Il Tribunale ha descritto tale sistema precisando, intanto, che il materiale probatorio rappresentato da quelle chat era stato acquisito in forza di specifici O.E.I. emessi dal pubblico ministero procedente. Ha, dunque, richiamato le origini dell'indagine che aveva consentito la violazione della piattaforma criptata da parte di law enforcement agencies (squadre composte dalle polizie francese, belga e olandese), fermandone l'utilizzo nel marzo 2021, allorquando cioe' si era diffusa la notizia dell'avvenuta violazione. La polizia giudiziaria operante, analizzando il traffico telefonico storico delle celle abitualmente abbinate alle utenze "ufficiali" in uso agli indagati, aveva individuato alcuni PIN collegati alla citata piattaforma criptata. Di qui l'iniziativa investigativa del pubblico ministero procedente di inviare a stretto giro appositi O.E.I. all'AG francese, aventi uno specifico oggetto, ben descritto nell'ordinanza impugnata: la trasmissione dei messaggi gia' decifrati riferibili alle comunicazioni che avevano riguardato i PIN d'interesse, conservate in un server che, a sua volta, la stessa autorita' richiesta (Tribuna judicial de Paris) aveva acquisito ai sensi dell'articolo 706-102-1 del codice di rito penale francese, vale a dire a seguito di richiesta di accesso a dati conservati in un sistema informatico (vedi nota 1 della pag. 7 della ordinanza impugnata). Pertanto, nella specie, secondo il Tribunale del riesame, i singoli O.E.I. non avevano avuto ad oggetto l'acquisizione dell'esito di intercettazioni disposte su ordine di quell'AG francese specificamente richiesta (cioe' il citato Tribunale di Parigi), bensi' l'acquisizione di dati informatici gia' decriptati, conservati in un server e riferibili a scambi di comunicazioni (messaggi, video, foto) gia' avvenuti e non, dunque, di un flusso di comunicazioni in atto al momento della acquisizione autorizzata dal Tribunale di Parigi. Il Tribunale del riesame, poi, ha ripercorso le fasi dell'acquisizione del materiale informatico, rinviando al contenuto degli ordini emessi, richiamando, ai fini della utilizzabilita' interna, il protocollo descritto nell'articolo 234 bis, c.p.p. e, stante la natura di dati non pubblici, ha ritenuto integrato il necessario consenso del titolare di essi, identificandolo nel soggetto che ne poteva disporre in maniera autonoma, vale a dire l'autorita' giudiziaria francese trasmittente che li deteneva legittimamente. Ribadito, poi, il principio per il quale le regole di acquisizione probatoria sono quelle del Paese membro dell'Unione Europea richiesto e non quelle del Paese richiedente, ha richiamato la giurisprudenza formatasi sulle attivita' d'indagine intraprese dallo Stato estero, rispetto alle quali ha ritenuto il limite invalicabile della non violazione di norme inderogabili e dei principi fondamentali del nostro ordinamento, precisando che essi non coincidono, tuttavia, con il complesso delle regole dettate dal nostro codice di rito, spettando a chi eccepisce una incompatibilita' l'onere di dimostrarla, essendo precluso all'autorita' richiedente un vaglio sulla legittimita' delle modalita' esecutive dell'atto, ove non sia indicata una specifica modalita' nella richiesta, a maggior ragione allorquando l'atto d'indagine sia stato gia' compiuto nel corso di autonome iniziative dell'autorita' straniera. Inoltre, per quel giudice, dalla mancata conoscenza di dati relativi alla decriptazione della messaggistica, non potrebbe ipso facto inferirsi l'alterazione del dato originale, poiche' il relativo algoritmo non muta in alcun modo il contenuto del dato, richiamando sul punto specifico una consulenza redatta in analogo procedimento e su incarico della Procura della Repubblica di Roma. Inoltre, ha ritenuto infondata anche la censura inerente all'utilizzo del supporto informatico utilizzato dall'autorita' trasmittente, ritenendo quel metodo del tutto corretto e tale da non pregiudicare la genuinita' del contenuto versato nello stesso. Inconferente, poi, e' stato ritenuto il rinvio della difesa a un precedente di questa stessa sezione (sez. 4, n. 32915/2022, Lori): secondo il ragionamento rinvenibile nell'ordinanza impugnata, infatti, in quel diverso caso (pur inerente a messaggistica scambiata sulla piattaforma SKY ECC), era stato censurato il provvedimento del PM di rigetto dell'ostensione alla difesa della documentazione riferibile alle comunicazioni criptate, consegnate tramite Europol e non direttamente dall'autorita' giudiziaria dello Stato estero, come nella specie, in cui il materiale informatico era stato trasmesso dal Tribunale di Parigi. Il Tribunale ha poi rilevato che in atti erano versati tutti i documenti inviati dall'autorita' francese in risposta ai singoli O.E.I. e depositati i provvedimenti genetici con i quali l'AG francese aveva disposto l'acquisizione della messaggistica, emergendo da essi il richiamo delle norme procedurali relative alla acquisizione di dati informatici (gia' presenti), riferibili alla piattaforma SKY-ECC, esaminate dal Tribunale di Reggio Calabria. Quella Autorita' giudiziaria, infatti, con provvedimento del 17/12/23030 e 24/2/2021, aveva disposto l'accesso, l'archiviazione e la trasmissione a se' di tutti i dati informatici presenti (giacenti/conservati) nei server di SKY ECC, utilizzando un mezzo di ricerca della prova avente regolamentazione distinta rispetto all'attivita' di intercettazione (nell'ordinanza richiamandosi la procedura avviata dagli investigatori olandesi per acquisire i dati memorizzati sui singoli telefonini che utilizzavano la piattaforma, mediante la installazione del c.d. "man in the middle", cioe' un vero e proprio server idoneo a ricevere il traffico dei telefoni, superando di fatto il sistema end-to-end). In ogni caso e risolutivamente, il Tribunale ha precisato che, anche a voler ritenere la natura di intercettazione del dato informatico acquisito, la sua utilizzabilita' non sarebbe comunque condizionata a un accertamento da parte del giudice italiano della regolarita' degli atti compiuti dall'autorita' richiesta, operando la presunzione di legittimita' dell'attivita' svolta, per la quale spetta al giudice straniero il relativo controllo e l'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarita' riscontrate, trattandosi, nella specie, di atti d'indagine assunti dall'AG straniera d'iniziativa che, una volta introdotti nel procedimento pendente in Italia, sono utilizzabili secondo le regole processuali e sostanziali proprie del nostro ordinamento, senza alcuna violazione delle prerogative difensive e del contraddittorio. Cio' premesso, quanto alla gravita' indiziaria in ordine al reato contestato, il Tribunale ha disatteso le doglianze difensive con le quali si era intanto contestata la compiuta identificazione del (OMISSIS), in premessa precisando che entrambi i PIN associati all'indagato avevano costituito oggetto di appositi O.E.I. In particolare, l'identificazione era avvenuta grazie alla valorizzazione dei riferimenti forniti dagli stessi indagati, soliti indicarsi ricorrendo a soprannomi e/o nomignoli, ma anche al nome e al cognome, oppure a particolari di vita o ad accadimenti storici univocamente attribuibili solo a determinati soggetti. Inoltre, alcuni indagati erano risultati utilizzatori di cripto-telefonini, con i quali scambiavano messaggi SKY ECC e ogni user era associato a un nickname. L'indagato era risultato utilizzatore di due PIN nella disponibilita' del fratello e co-indagato (OMISSIS), essendo emerso che, in alcune occasioni, quest'ultimo aveva ceduto temporaneamente il proprio dispositivo a un soggetto successivamente identificato proprio in (OMISSIS). Nelle pagg. da 9 a 10, il Tribunale ha elencato i riferimenti e i dati ritenuti pregnanti ai fini della identificazione (facendo specifico rinvio alle frasi utilizzate, ai luoghi frequentati, alla sua presenza in Piemonte ove e' domiciliata la moglie, ad alcuni riferimenti riguardanti parenti di quest'ultima, come nel caso di (OMISSIS), da tempo detenuto e del quale sono stati valorizzati i riferimenti alle sue vicende giudiziarie e alle due figlie in giovane eta', chiamate "(OMISSIS)"; ma anche le spiegazioni date da (OMISSIS) sulle cessioni del proprio dispositivo a persona fidata chiamata "(OMISSIS)", (OMISSIS) avendo un solo fratello, per l'appunto l'indagato e la indicazione del fratello "A" a (OMISSIS), alias "(OMISSIS)", come suo sostituto nel periodo in cui egli sarebbe stato via che, in ogni caso, avrebbe saputo cosa fare; indicazione data anche a (OMISSIS)). Il Tribunale ha poi ritenuto la gravita' indiziaria a carico dell'indagato per i fatti contestati al capo 20) della incolpazione provvisoria, segnatamente inerenti alla importazione di un ingente carico di cocaina proveniente dal Sudamerica. Le risultanze dell'analisi degli innumerevoli messaggi scambiati via SKY ECC avevano reso possibile accertare il pieno coinvolgimento del (OMISSIS) nell'affare illecito descritto minuziosamente, attraverso i vari passaggi, nelle pagg. da 14 a 19 dell'ordinanza impugnata, alle quali si rinvia. Egli aveva agito in concorso con altri soggetti, partecipi a un'organizzazione criminale dedita al narcotraffico, della quale il Tribunale ha descritto il normale modus operandi alle pagg. da 12 a 14 della ordinanza impugnata. In quel contesto criminale, si e' inserita la vicenda nella quale e' ritenuto coinvolto il (OMISSIS), relativa alla importazione di Kg. 2.226 di cocaina, suddivisa in 1920 panetti, occultati in un carico di banane all'interno del container avente codice identificativo (OMISSIS), giunto al porto di (OMISSIS) a bordo della nave "(OMISSIS)" proveniente da Panama, ove era giunto a bordo della nave "(OMISSIS)" partita da localita' (OMISSIS), in Colombia (di qui l'appellativo dato all'operazione, intesa "lavoro di (OMISSIS)"). In sintesi, gia' dal 17/11/2020, il gruppo degli "importatori" capeggiato da (OMISSIS) e (OMISSIS), attraverso il contatto di (OMISSIS) con un funzionario doganale colluso, aveva ottenuto informazioni per organizzare detta importazione, operazione che, pero', si era svolta in maniera diversa rispetto al normale modus operandi degli associati (non si era, infatti, proceduto alla "esfiltrazione" del carico dal porto di (OMISSIS), mediante la complicita' di portuali infedeli che provvedevano al trasferimento della droga dal container d'arrivo a quello d'uscita, ma si era deciso di seguire la strada dell'aggiramento dei controlli scanner, mediante la complicita' di un addetto agli stessi). Tuttavia, il piano non andava a buon fine per la segnalazione di "incoerenza" del carico, a seguito di una scansione radiogena del contenitore. La PG operante, poi, aveva disposto l'avvio di una consegna controllata ed era riuscita a recuperare il carico nella citta' di destinazione, cioe' Catania. Gli investigatori avevano cosi' ottenuto un validissimo riscontro alle emergenze probatorie ricavate dalle chat criptate, essendo stati documentati il quantitativo e le modalita' di occultamento della cocaina sequestrata in maniera del tutto coerente con quanto concordato tra i soggetti coinvolti (il riferimento e' ai 10 pallet, con 4 panetti di cocaina per ogni cartone di banane, per un totale di 1.920 panetti). Il Tribunale ha poi dato atto che la figura dell'indagato si era inserita nelle more della partenza del carico: (OMISSIS), infatti, aveva comunicato agli altri sodali che avrebbe dovuto recarsi in Africa per alcuni giorni e che, per questo motivo, avrebbe consegnato il proprio dispositivo utilizzato per comunicare al fratello (OMISSIS), persona di sua fiducia, che poteva essere dunque contattato per ogni evenienza. Come, in effetti, era avvenuto, secondo quanto ricostruito nell'ordinanza impugnata, allorquando (OMISSIS) aveva contattato quell'utenza ricevendo riposta da qualcuno che aveva affermato di non essere (OMISSIS), ma "l'altro". Lo stesso (OMISSIS), poi, aveva espressamente richiesto al fratello di procurarsi un altro dispositivo criptato (dotato di un diverso software, (OMISSIS)), richiesta alla quale l'interlocutore aveva acconsentito, comunicandogli a stretto giro le relative credenziali. Nell'occorso, l'indagato aveva fatto da tramite per una chiamata su quel diverso dispositivo e nello scambio di messaggio apparivano anche i riferimenti corrispondenti alla nave cargo sulla quale era stata trasportata la droga, (OMISSIS) tenendo costantemente informato il fratello (OMISSIS) sul contenuto della conversazione con il soggetto non identificato su (OMISSIS) e le relative informazioni venivano poi veicolate al gruppo "gioiese" dallo stesso (OMISSIS). Tuttavia, nonostante la consumazione dell'importazione, l'operazione criminale incontrava una serie di ostacoli, non ultima la violazione della piattaforma criptata SKY ECC, della quale si era diffusa la notizia. Il pieno coinvolgimento dell'indagato nell'operazione illecita condotta dal fratello e' stato ricollegato alla perfetta intesa tra i due che aveva loro consentito di utilizzare un linguaggio criptico che non aveva mai impedito al ricorrente di portare a termine i compiti affidatigli dal fratello, ma anche alla circostanza che, in una conversazione, (OMISSIS) aveva rappresentato al germano che l'indomani avrebbe incontrato una terza persona (soprannominata "(OMISSIS)", mandatagli da "(OMISSIS)", nickname con il quale si e' ritenuto di identificare il co-indagato (OMISSIS), per concordare una non meglio specificata vendita in un luogo isolato. Secondo il Tribunale, trattasi di condotta che non integra gli estremi del favoreggiamento personale, non essendosi l'indagato limitato a ostacolare le indagini a carico del fratello, avendo egli agito nella consapevolezza di contribuire personalmente all'affare in corso, per l'appunto seguendo le indicazioni del fratello. Infine, quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale le ha ravvisate in quella di cui all'articolo 274 c.p.p., lettera a), ricollegata alla necessita' di un migliore approfondimento dei fatti e di altri eventuali episodi connessi, obiettivo che potrebbe esser frustrato dall'inquinamento delle fonti di prova da parte degli indagati, ove liberi. A rafforzare tale giudizio, il Tribunale ha richiamato l'impiego di mezzi atti a eludere le investigazioni, come cripto-telefonini e radiotrasmittenti. Ha ritenuto, poi, concreto e attuale il pericolo di fuga, trattandosi di soggetto spesso in viaggio all'estero per motivi di lavoro, che mantiene contatti con trafficanti internazionali, al pari del co-indagato e fratello (OMISSIS), il quale si era reso peraltro irreperibile. Infine, ha ritenuto esistente anche il concreto e attuale pericolo reiterazione criminosa, rinviando alle modalita' della condotta e alla pericolosita' dell'agente. Quanto al primo profilo, ha rilevato che la condotta si inserisce nell'ambito di un affare illecito avente a oggetto il trasporto di un ingente quantitativo di cocaina effettuato da un'organizzazione criminale ben radicata nel territorio, nella quale e' inserito il fratello, soggetto cioe' con il quale e' emersa la stretta collaborazione dell'indagato, soggetto considerato dal primo di fiducia al punto da affidargli la gestione, in sua assenza, di una fase delicata dell'importazione. Il Tribunale ha ritenuto inidonea qualsiasi altra misura, anche quella gradata domiciliare, anche con presidio elettronico, potendo il (OMISSIS) proseguire l'attivita' illecita, perseverando in analoghe condotte criminose. 3. La difesa ha proposto ricorso, formulando sei motivi. Con il primo, ha dedotto violazione di legge e vizio motivazionale sotto il profilo del travisamento delle risultanze probatorie, quanto alla utilizzabilita' delle stesse. La difesa richiama ed espone le argomentazioni svolte nell'istanza di riesame, con le quali si erano censurate le modalita' di acquisizione del dato probatorio e rilevata la impossibilita' per la difesa di conoscere l'intero iter che aveva condotto alla raccolta della fonte di prova, difettando, nella specie, i verbali delle operazioni compiute dalle autorita' delegate a decifrare e trascrivere le chat in atti, procedura obbligatoria per verificare che, nella fase della estrapolazione e trascrizione dei dati, essi non fossero stati alterati. Sul punto, il deducente rinvia alla L. n. 48 del 2008, in virtu' della quale assume che una corretta catena di custodia imporrebbe l'impiego dei "codici hash", i cui risultati avrebbero dovuto essere allegati alle copie forensi. Nella specie, al contrario, mancherebbe la prova certa di una corretta acquisizione e duplicazione dei dati, ma anche la copia forense del DVD con i risultati del "codice hash". Richiama a sostegno un precedente di legittimita' (sez. 4, n. 32915/2022, Lori) che assume erroneamente valutato dal Tribunale, in esso essendo stato sottolineato che il principio del contraddittorio informa non soltanto la fase del vaglio del materiale acquisito, ma si estende anche alle modalita' di acquisizione di esso e che erroneamente i dati trasmessi sono stati valutati come documenti acquisiti ai sensi dell'articolo 234 c.p.p.. Inoltre, la stessa Corte Suprema francese avrebbe delegittimato l'attivita' investigativa svolta dagli investigatori francesi, avendo rilevato la mancanza del certificato di validazione dei risultati delle operazioni, annullando parzialmente le decisioni dei Tribunale di Nancy e Metz. Assume che tra gli organi inquirenti italiani e quelli francesi vi e' stata una lunga interlocuzione, cosicche' non puo' farsi rinvio al concetto di acquisizione documentale ex post, altresi' evidenziando che la stessa consulenza CIVINO menzionata dal Tribunale, nel descrivere la piattaforma SKY ECC, usa sempre e solo le diverse declinazioni del verbo "intercettare", trattandosi pur sempre di intercettazione, anche se non effettuata sui dispositivi mobili degli users, ma sul server di back up frapposto che e' sincrono al primo. Anche sulla garanzia della catena di custodia contesta le conclusioni della consulenza (OMISSIS), a mente delle quali i supporti DVD sarebbero immodificabili, atteso che la garanzia deve partire dal momento della creazione del dato e non da quello in cui viene inoltrato, dopo esser stato selezionato, cio' che potrebbe avvenire solo con l'impronta hash e con la trasmissione della copia forense. Sotto altro profilo, poi, contesta il ragionamento operato dal Tribunale, in virtu' del quale dall'analisi del traffico telefonico storico delle celle agganciate dalle utenze in uso agli indagati sarebbe stato possibile risalire ai PIN collegati alla piattaforma SKY ECC, poiche' da esso sarebbe possibile secondo la difesa ricavare solo il numero di SIM e la cella di aggancio del telefono chiamante e di quello chiamato, ma non il PIN collegato al cripto-telefonino. Quanto alla verifica di coerenza dei dati, rimessa all'autorita' richiesta, la difesa rileva che difetta ogni elemento per accertare la corrispondenza del dato acquisito con quello originale. Evidenzia, poi, la contraddizione nella quale sarebbe caduto il Tribunale, allorquando parla di intercettazioni, rinviando a un precedente giurisprudenziale in materia, dopo aver catalogato pero' i dati alla stregua di documenti, osservando che l'autorizzazione dell'autorita' straniera era stata data per un periodo di quattro mesi, a conferma della dinamicita' dell'acquisizione stessa e della natura dei dati acquisiti. Contesta la risposta del Tribunale alla osservazione difensiva con la quale si era rilevata, con riferimento al PIN (OMISSIS), la mancanza di uno specifico O.E.I., allegando quello richiamato dal Tribunale nell'ordinanza (n. 44 del 7/7/2021) che si riferisce a PIN del tutto diversi. Con un secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento al primo motivo dell'istanza di riesame, inerente alla omessa indicazione, con riferimento all'esigenza cautelare di cui all'articolo 274 c.p.p., lettera a) delle ulteriori indagini da compiere e della data di scadenza della misura, previsione posta a pena di nullita' dal codice di rito. Con un terzo motivo, ha dedotto violazione di norme processuali previste a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita' o decadenza e vizio motivazionale anche con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari, rilevando che l'ipotetica fattispecie si collocherebbe in un periodo storico lontano e che, in ogni caso, la motivazione si fonderebbe su stereotipi e clausole di stile, non essendo sufficiente, per ipotizzare un pericolo attuale e concreto di reiterazione, ipotizzare che l'indagato, avendone l'occasione, continuera' a delinquere, essendo invece necessario ipotizzare anche la certezza o, comunque, l'elevata probabilita' che l'occasione del delitto si verifichera'. Al contrario, il Tribunale non avrebbe spiegato le ragioni della formulata prognosi di recidiva, essendosi limitato a valorizzare la gravita' del fatto, pur riconoscendo l'estraneita' dell'indagato al contesto associativo. Infine, quanto al pericolo di fuga, la difesa contesta gli elementi valorizzati dal Tribunale, osservando che la presenza all'estero dell'indagato e' stata documentalmente giustificata. Con il quarto motivo, ha dedotto vizio della motivazione, ancora sulle esigenze cautelari, contestando la tecnica del rinvio all'ordinanza genetica, scelta che la difesa assume mortificante del diritto di difesa, anche con specifico riferimento alla richiesta di modifica del regime cautelare, corroborata dalla allegata marginalita' del ruolo dell'indagato nell'intera vicenda, essendo stato il quadro cautelare sostanzialmente calibrato sulla relazione di parentela con il co-indagato (OMISSIS), in forza di una sorta di "proprieta' transitiva", avendo il giudice omesso di valutare la circostanza che l'indagato avrebbe potuto effettivamente rendersi irreperibile, ma era invece tornato in Italia. Con il quinto motivo, deducendo violazione di legge e vizio della motivazione, la difesa censura la risposta data dal Tribunale alla richiesta di riqualificazione del fatto quale ipotesi di favoreggiamento, contestando la valutazione della effettiva dimensione dei fatti: in particolare, si assume l'assenza di elementi a conferma della consapevolezza dell'indagato in ordine all'oggetto delle interlocuzioni; in ogni caso, l'eventuale aiuto assicurato sarebbe stato posto in essere nell'esclusivo interesse del fratello; infine, l'eventuale intervento del (OMISSIS) e' stato successivo all'intervenuto perfezionamento della importazione. Infine, con il sesto motivo, deduce violazione di norme processuali stabilite a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita' o decadenza e vizio della motivazione, anche con riferimento al vaglio della adeguatezza e proporzionalita' della misura piu' afflittiva, giudizio che il deducente assume affidato a massime d'esperienza e a dati ultronei non direttamente riferibili al ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso va rigettato. 2. Il primo motivo inerisce al tema della valutazione della esistenza o meno della violazione delle regole del contraddittorio, prospettata dalla difesa in relazione alle modalita' di acquisizione della principale fonte di prova, costituita dalle chat scambiate sulla piattaforma criptata SKY ECC. Esso e' infondato. 2.1. Occorre, tuttavia, una premessa di tipo generale e di inquadramento normativo. Intanto, il PM ha agito nell'ambito dei poteri previsti nel Capo I del Titolo III (Procedura attiva) del Decreto Legislativo 21 giugno 2017, n. 108, contenente le norme di attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all'ordine Europeo d'indagine penale. Il pubblico ministero non ha richiesto all'autorita' giudiziaria dell'altro Stato membro UE di procedere a un atto d'indagine, ma ha agito ai sensi dell'articolo 45 del decreto citato (Richiesta di documentazione inerente alle telecomunicazioni), ai limitati fini di chiedere la trasmissione di documentazione acquisita, non gia' d'iniziativa dell'autorita' richiedente, bensi' in possesso di quella richiesta con I'O.E.I. che l'aveva ottenuta in forza di una propria autonoma iniziativa, nel corso di un diversi procedimento pendente in quel Paese. Occorre, inoltre, chiarire la natura dell'ordine di cui si discute. Si tratta, a ben vedere, di uno strumento inteso a implementare le gia' esistenti forme di cooperazione penale nell'ambito dell'Unione, in coerenza con le linee poste dalla direttiva recepita: esso rientra nella cooperazione giudiziaria in materia penale di cui all'articolo 82, paragrafo 1, TFUE, che si fonda sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie. Tale principio, che costituisce la "pietra angolare" della cooperazione giudiziaria in materia penale, e' a sua volta fondato sulla fiducia reciproca nonche' sulla presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali (CGUE, 11 novembre 2021, Gavanozov, in C-852/19, in cui al § 54, la Corte del Lussemburgo ha operato un richiamo alla sentenza 8 dicembre 2020, Staatsanwa/tschaft Wien (Ordini di bonifico falsificati), C-584/19, punto 40). Nell'ambito di un procedimento riguardante un ordine Europeo di indagine, la garanzia di tali diritti spetta cosi' in primo luogo allo Stato membro di emissione, che si deve presumere rispetti il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest'ultimo (v., per analogia, sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski, C-367/16, punto 50, richiamata al § 55). La direttiva 2014/41, inoltre, si basa sul principio dell'esecuzione dell'ordine Europeo di indagine. Il suo articolo 11, paragrafo 1, lettera f), consente alle autorita' di esecuzione di derogare a tale principio, in via eccezionale, a seguito di una valutazione caso per caso, qualora sussistano seri motivi per ritenere che l'esecuzione dell'ordine Europeo di indagine sarebbe incompatibile con i diritti fondamentali garantiti, in particolare, dalla Carta. Tuttavia, in assenza di qualsiasi mezzo di impugnazione nello Stato di emissione, l'applicazione di detta disposizione diventerebbe sistematica. Una tale conseguenza sarebbe contraria, nel contempo, all'impianto generale della direttiva 2014/41 e al principio di fiducia reciproca (CGUE C-852/19 cit. § 59). Possiamo, pertanto, affermare che la previsione di tale strumento si correla all'esigenza di assicurare un meccanismo efficace, di carattere generale, rispettoso del principio di proporzione (posto dall'undicesimo Considerando della direttiva), a sua volta collegato a quello del reciproco riconoscimento e della fiducia nel rispetto del diritto dell'Unione (di cui al sesto Considerando) da parte degli Stati membri e che, comunque, deve assicurare il rispetto dei diritti fondamentali (dodicesimo Considerando). In tale cornice, si inseriscono l'articolo 2 della direttiva, secondo cui "Gli Stati membri eseguono un OEI in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alla presente direttiva" e l'articolo 9, secondo cui "L'autorita' di esecuzione riconosce un OEI, trasmesso conformemente alle disposizioni della presente direttiva, senza imporre ulteriori formalita' e ne assicura l'esecuzione nello stesso modo e secondo le stesse modalita' con cui procederebbe se l'atto d'indagine in questione fosse stato disposto da un'autorita' dello Stato di esecuzione, a meno che non decida di addurre uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione ovvero uno dei motivi di rinvio previsti dalla presente direttiva". Pertanto, l'ordine Europeo di indagine deve aver ad oggetto una prova acquisibile nello Stato di emissione e deve essere eseguito in conformita' di quanto previsto nello Stato di esecuzione per il compimento di un analogo atto di acquisizione probatoria, potendosi peraltro presumere il rispetto di tale disciplina e dei diritti fondamentali, salvo concreta verifica di segno contrario (sez. 6, n. 48330 del 25/10/2022, Borrelli, Rv. 284027, in motivazione, in fattispecie analoga a quella all'esame). 2.2. Nel caso all'esame (come, del resto, in quello esaminato dal giudice di legittimita' nel precedente teste' richiamato), l'ordine Europeo di indagine deve solo dar conto dello specifico oggetto della prova, essendo rimessa allo Stato di esecuzione, con le modalita' previste in quell'ordinamento, la concreta acquisizione della prova da trasferire. E, nella specie, la richiesta ha riguardato la "Acquisizione di informazioni o di prove gia' in possesso dell'autorita' di esecuzione", con riferimento alle chat, ai files, agli audio e ai video inerenti ai PIN degli users del sistema SKY ECC d'interesse per la presente indagine. Tali prove e' indiscusso che siano state gia' acquisite dal Tribunal judiciaire de Paris autonomamente e non su richiesta dell'ufficio di Procura procedente nel nostro Paese. E' altrettanto certo, poi, per quanto efficacemente evidenziato nel provvedimento impugnato, che l'autorita' richiesta non ha ottenuto quei dati in forza di un'autorizzazione a procedere a intercettazioni di flussi in corso (il punto e' analiticamente e ampiamente spiegato nell'ordinanza censurata, nella quale si e' dato anche atto delle regole processuali interne, attivate dal Tribunale francese, nonche' spiegato il riferimento al periodo di "4 mesi" indicato nei provvedimenti giudiziari francesi, non indicativo di un'acquisizione di dato dinamico, ma della validita' dell'autorizzazione con riferimento ai singoli accessi per l'acquisizione dei dati conservati nel server). Si e' trattato, dunque, di acquisire una prova statica, gia' presente, non soggetta ad una procedura dinamica di acquisizione. L'Autorita' francese, dunque, in questo caso come in quello nella diversa sede esaminato, si e' resa garante, in assenza di specifiche deduzioni di segno diverso, del rispetto delle procedure dello Stato di esecuzione (la Francia), avendo il Tribunale del riesame dato atto che dalla documentazione trasmessa era dato verificare la modalita' di acquisizione e conservazione dei dati da parte dell'Autorita' giudiziaria francese. 2.3. A fronte di tale premessa, non puo' non rilevarsi come la censura difensiva si fondi sull'errato presupposto della esistenza di un potere di vaglio della legittimita' del procedimento di acquisizione della documentazione di che trattasi in capo all'autorita' decidente italiana, smentito dal contesto normativo di riferimento e dalla natura dello strumento investigativo utilizzato, errore alimentato dal riferimento costante a un momento investigativo antecedente l'iniziativa del Tribunale di Parigi. Cio' rende del tutto irrilevante il riferimento alla interazione tra le polizia Europee, compresa quella italiana, gli ordini di indagine essendo stati inviati all'AG francese. La critica difensiva, dunque, sconta l'omesso, effettivo confronto con quanto opportunamente precisato dal Tribunale che, in piu' passaggi della motivazione censurata, ha sottolineato il distinguo rispetto al precedente di questa sezione richiamato dalla difesa (sez. 4, n. 32915/2022, Lori), nel quale era stata scrutinata una questione processuale parzialmente diversa (avente sempre a oggetto la messaggistica acquisita attraverso l'accesso ai servers di SKY-ECC): in quella sede, infatti, la difesa aveva formulato espressa istanza di accesso al pubblico ministero per avere la disponibilita', tra l'altro, anche della "documentazione" (comprensiva dei files) consegnata da un organo di indagine, quale EUROPOL, a seguito dell'accesso ai server di SKY-ECC, con indicazione delle modalita' di acquisizione da parte di quella polizia. Situazione, dunque, non sovrapponibile a quella in esame, nella quale la Procura di Reggio Calabria ha chiesto la trasmissione di documenti che erano gia' stati autonomamente acquisiti dal giudice francese. Sempre con riferimento a tale aspetto, deve rilevarsi la correttezza giuridica del ragionamento svolto nell'ordinanza impugnata, laddove si e' richiamato il principio generale di presunzione di legittimita' delle prove acquisite dall'autorita' giudiziaria di un altro Stato membro dell'Unione Europea: l'utilizzazione degli atti trasmessi, infatti, non e' condizionata ad un accertamento da parte del giudice italiano concernente la regolarita' delle modalita' di acquisizione esperite dall'autorita' straniera, in quanto vige la presunzione di legittimita' dell'attivita' svolta e spetta al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarita' lamentate nella fase delle indagini preliminari (in tal senso, sez. 3, n. 1396 del 12/10/2021, dep. 2022, Torzi, in cui in motivazione si rinvia anche a sez. 5, n. 1405 del 16/11/2016, dep. 2017, Ruso, Rv. 269015 - 01; a sez. 2, n. 24776 del 18/5/2010, Mutari, Rv. 247750 - 01; e a sez. 1, n. 21673 del 22/1/2009, Pizzata, Rv. 243796 - 01; ma anche a sez. 5, n. 45002 del 13/7/2016, Crupi, Rv. 268457 - 01, in cui si e' ritenuta la utilizzabilita' della documentazione di atti compiuti autonomamente da autorita' straniere in un diverso procedimento penale all'estero - anche al di fuori dei limiti stabiliti dall'articolo 238 c.p.p. e articolo 78 disp. att. c.p.p., con il solo limite che tale attivita' non sia in contrasto con norme inderogabili e principi fondamentali, i quali, pero', non si identificano necessariamente con il complesso delle regole dettate dal nostro codice di rito, spettando inoltre a chi eccepisca tale incompatibilita' l'onere di dare la prova di essa, proprio in un caso in cui la richiesta aveva riguardato l'acquisizione di documentazione, come nella specie, e non l'esecuzione, da parte dell'autorita' straniera, di un atto di acquisizione probatoria). Pertanto, deve essere ribadito quanto gia' affermato da questa Corte di legittimita' e da questa stessa sezione, piu' in generale: il diritto straniero e' un fatto e spetta a chi eccepisce il difetto di compatibilita' delle norme di quell'ordinamento con quelle interne dimostrarne il contenuto, e cio' tanto piu' laddove si tratti, come nel caso di specie, del diritto di un Paese membro dell'Unione Europea (sez. 4, n. 19216 del 6/11/2019, dep. 2020, Ascone, Rv. 274296, principio affermato in materia di intercettazioni, ma ancor piu' valido valido nel caso di acquisizione di documentazione). 2.4. La misura, pertanto, e' stata emessa sulla scorta della documentazione posta nella disponibilita' della difesa, con pieno rispetto dunque delle regole del contraddittorio e delle prerogative difensive. Essa e' costituita da atti richiesti all'autorita' giudiziaria francese che li aveva autonomamente acquisiti secondo le regole processuali proprie di quello Stato membro. La verifica del rispetto delle norme inderogabili e dei principi fondamentali del nostro ordinamento e' stata operata dal Tribunale che, oltre ad avere richiamato in nota (vedi pag. 7 della ordinanza impugnata) le norme processuali francesi, ha precisato che l'apprensione di quei dati era stata disposta dall'autorita' giudiziaria e non da un organo di polizia, in maniera coerente con il principio fondamentale posto dall'articolo 15 Cost.. 2.5. La stessa infondatezza contraddistingue l'argomento difensivo che fa leva sulla mancata conoscenza dell'algoritmo utilizzato per la decriptazione della messaggistica acquisita, censura con la quale si e' sostanzialmente introdotto anche il tema, invero prospettato in termini meramente ipotetici, della corrispondenza del dato originale con quello trasmesso. La censura non coglie nel segno perche' confonde il tema della genuinita' del dato decrittato con quello della garanzia di integrita' della catena di custodia. Sotto il primo profilo, pare opportuno ribadire quanto gia' chiarito in altre decisioni di questa Corte di legittimita': l'attivita' di acquisizione di dati in giacenza (definiti freddi) o l'intercettazione di dati telematici in transito permette l'acquisizione, qualora il messaggio telematico sia criptato mediante un impiego di un algoritmo o di una chiave di cifratura e trasformato in un mero dato informatico, di una stringa informatica composta da un codice binario. In questo caso - come si e' gia' detto - l'intelligibilita' del messaggio e' subordinata all'attivita' di decriptazione che presuppone la disponibilita' dell'algoritmo che consente di trasformare il codice binario in un contenuto dimostrativo, ma ogni messaggio cifrato e' inscindibilmente accoppiato alla sua chiave di cifratura, sicche' la sola chiave esatta produrra' una decifratura corretta, dovendosi escludere che possa decifrarne una parte corretta e una non corretta; ne' vi sono possibilita' che una chiave errata possa decrittare il contenuto, anche parziale, del codice umano contenuto (sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, Calderon, Rv. 283998, in motivazione, ma anche sez. 1, n. 6363, Minichino, n. m., in pari data). Del tutto pertinente pare un rinvio ai principi gia' affermati da questa Corte di legittimita' con riferimento alle intercettazioni di flussi comunicativi, essendo gia' stato chiarito, sia pur con riferimento alla decriptazione della messaggistica con sistema Blackberry (quindi, "pin to pin" e non "end to end", come nella specie) che l'uso dell'algoritmo esclude la possibilita' di alterazioni o manipolazioni dei testi captati, in quanto, secondo la scienza informatica, ne consente la fedele riproduzione, salvo l'allegazione di specifici e concreti elementi di segno contrario (sez. 4, n. 30395 del 21/4/2022, Chianchiano, Rv. 283454; sez. 6, n. 14395 del 27/1172019, dep. 2020, Testa, Rv. 275534). Trattasi di principi che, senza alcuna contraddittorieta' del ragionamento giustificativo che su di essi si fondi, possono applicarsi al caso all'esame, restando indifferente la distinzione tra messaggistica gia' acquisita e captazione di flussi di comunicazione. Del resto, proprio in tema di messaggistica scambiata con sistema cifrato "SKY ECC" e "ENCROCHAT", si e' pure affermato che la decriptazione delle conversazioni e delle comunicazioni e' attivita' distinta dalla captazione, tali dati costituendo rappresentazioni comunicative incorporate in una base materiale con un metodo digitale, ovvero dati informatici che hanno consentito la intelligibilita' del contenuto di stringhe redatte secondo il sistema binario (sez. 6, n. 18907 del 20/4/2021, Civale, Rv. 281819, in motivazione; sez. 1, nn. 6363 e 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, cit.). 2.6. Deve, poi, aggiungersi, con riferimento alla rilevata contraddizione nel ragionamento esplicativo contenuto nella ordinanza impugnata quanto al protocollo di cui all'articolo 234 bis c.p.p., che la messaggistica di che trattasi non costituisce esito di captazione di conversazioni durante il flusso dinamico delle stesse, bensi' acquisizione di dati informatici direttamente utilizzabili a fini di prova (vedi, in motivazione, sez. 1, n. 34059 del 1/7/2022, Molisso) e che, in altre decisioni di questa Corte, si e' rinvenuta la norma interna di riferimento, alla stregua della quale verificare l'esistenza del potere di procedere con l'ordine Europeo di indagine, proprio nell'articolo 234 bis, cit. (introdotto dal dal Decreto Legge 18 febbraio 2015, n. 7, articolo 2, comma 1 bis, convertito, con modificazione, nella L. 17 aprile 2015, n. 43), a mente del quale "E' sempre consentita l'acquisizione di documenti e dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest'ultimo caso, del legittimo titolare". Il Tribunale, nell'ordinanza impugnata, ha affrontato tale questione sotto il profilo della esistenza di un valido consenso all'acquisizione, trattandosi di dati non pubblici, detenuti dal Tribunale di Parigi che ne poteva legittimamente disporre. In realta', come visto, l'infondatezza della doglianza si coglie gia' in relazione alla ritenuta natura dei dati acquisiti ed e' rispetto ad essa che va verificata, ai fini della successiva utilizzabilita' nel presente procedimento, la legittimita' della loro apprensione con lo strumento azionato (nella specie, l'ordine di indagine emesso dal pubblico ministero). Il dato acquisito e' pienamente utilizzabile anche sotto tale profilo. In plurime decisioni di questa Corte, ormai, si e' riconosciuta l'applicabilita', ai casi come quello all'esame, della disposizione di cui all'articolo 234 bis c.p.p., stante la natura del documento (come sopra chiarita), ritenuto il consenso all'acquisizione da parte del "legittimo titolare" di quei documenti o dati conservati all'estero, da intendersi come soggetto che di quei documenti o di quei dati poteva disporre: requisito in presenza del quale (in alternativa all'ipotesi di documento di pubblico dominio) e' pienamente legittimo il compimento di un'attivita' di acquisizione diretta di documentazione all'estero e che, invece, se assente, avrebbe reso necessaria l'attivazione di procedure di cooperazione giudiziaria internazionale (sez. 6, n. 18907/21, Civale, cit., in motivazione). Nella specie, i dati non sono stati richiesti a un detentore privato (per esempio, la SKY GLOBAL che gestiva, prima della sua violazione da parte di polizie straniere, la piattaforma della quale si discute), ma ad un'autorita' giudiziaria che, nell'ambito di un diverso e autonomo procedimento, li aveva acquisiti dal server ove i dati stessi erano stati immagazzinati nell'ambito di altra indagine avente ad oggetto proprio la violazione di quella piattaforma (resa pubblica nel marzo del 2021). Rispetto a tale ricostruzione, e' poi necessario verificare se, rispetto alla norma interna, chi ha trasmesso i dati ne potesse legittimamente disporne. E la risposta non puo' che essere positiva, sempre nei limiti del vaglio di coerenza con i principi fondamentali del nostro ordinamento, poiche' l'attivita' di acquisizione si e' addirittura svolta sotto la direzione di un giudice (il Tribunale di Parigi). In conclusione, deve affermarsi che non assume rilevanza, in questa sede, la questione (sulla quale la difesa si e' lungamente soffermata) se quei dati siano stati acquisiti dalla magistratura francese ex post o in tempo reale (quindi come "dati freddi" o come "flussi di comunicazioni"). Infatti, quando la magistratura italiana chiese di ottenere quei dati e (a maggior ragione) quando quei dati le furono trasmessi, i flussi di comunicazione non erano certamente piu' in corso. La situazione non era dissimile, dunque, da quella che si verifica quando viene acquisito ex post un flusso di comunicazioni, scritte o per immagini, memorizzato sulla memoria di un apparecchio telefonico. In questi casi, la giurisprudenza ha costantemente ritenuto che la disciplina dell'articolo 266 c.p.p. e ss. non possa trovare applicazione essendo destinata ad operare solo con riferimento a flussi di comunicazioni in atto (sez. 5, n. 1822 del 21/11/2017, Parodi, Rv. 272319; sez. 3, n. 29426 del 16/4/2019, Moliterno, Rv. 276358; sez. 6, n. 22417 del 16/3/2022, Sgromo, Rv. 283319). 2.7. Quanto, poi, alla doglianza che inerisce alla emissione di apposito O.E.I. n. 44 del 7/7/2021 con specifico riferimento al PIN (OMISSIS), deve rilevarsi la genericita' della censura: la difesa non ha indicato quali, tra le conversazioni valorizzate, siano riconducibili a quel PIN, ne' se le stesse siano idonee a scardinare il complessivo ragionamento sviluppato nell'ordinanza censurata, considerato peraltro che molte comunicazioni incriminanti hanno riguardato l'altro PIN, associato a (OMISSIS) e tenuto anche conto dei dati emersi con riferimento all'utilizzo del dispositivo (OMISSIS). In merito, deve in ogni caso ribadirsi il principio formulato in merito alla eccepita inutilizzabilita' di atti processuali, per il quale, in tema di ricorso per cassazione, e' onere della parte che la eccepisce indicare, pena l'inammissibilita' del ricorso per genericita' del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresi' l'incidenza sul complessivo compendio indiziario gia' valutato, si' da potersene inferire la decisivita' in riferimento al provvedimento impugnato (sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, Cocciadiferro, Rv. 278123, in fattispecie relativa all'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese da persona imputata del medesimo reato in mancanza del previo avvertimento di cui all'articolo 64 c.p.p., comma 3, ma non valorizzate dal giudice di merito ai fini dell'affermazione di responsabilita'; sez. 5, n. 25082 del 27/2/2019, Balano, Rv. 277608, con riferimento ai risultati delle intercettazioni; sez 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muia', Rv. 254108, in tema di corrispondenza epistolare; sez. 5, n. 19553 del 25/3/2014, Naso, Rv. 260404, in materia di informative della polizia giudiziaria). 3. Il secondo motivo e' manifestamente infondato. La difesa ha formulato la doglianza senza considerare che il Tribunale ha ritenuto sussistenti tutte e tre le esigenze cautelari di cui all'articolo 274 c.p.p., dato dirimente per valutare la dedotta nullita' alla luce dei principi piu' volte ribaditi, anche di recente, da questa Corte di legittimita'. In tema di misure cautelari personali, infatti, l'indicazione del termine di scadenza, prescritta dall'articolo 292, c. 2, lettera d), c.p.p., per il caso in cui le esigenze cautelari attengano al pericolo di inquinamento probatorio, non e' necessaria quando concorrono anche esigenze diverse (sez. 1, n. 9902 del 28/1/2021, Bucarla, Rv. 280678; sez. 6, n. 1094 del 18/12/2015, dep. 2016, De Gaetano, Rv. 265892; n. 10785 del 21/12/2010, dep. 2011, Paglino, Rv. 249586). 4. Il terzo, il quarto e il sesto motivo sono infondati. Il Tribunale ha operato una valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari, avuto riguardo alle concrete modalita' della condotta, ma anche alla personalita' dell'indagato, tenuto conto del rapporto di stretta vicinanza con il fratello e della assoluta fiducia da quegli riposta nell'indagato, al punto da indicarlo quale vero e proprio alter ego per le comunicazioni inerenti alla importazione di droga di cui al capo 20) della incolpazione provvisoria. La motivazione rinvenibile nell'ordinanza impugnata supera le generiche censure articolate con il motivo di ricorso, premettendosi, in linea generale, che le esigenze cautelari relative al pericolo di inquinamento delle prove, di fuga e di reiterazione del reato previste dall'articolo 274 c.p.p. non devono necessariamente concorrere, bastando anche l'esistenza di una sola di esse per giustificare o confermare, in sede di riesame, l'adozione del provvedimento (sez. 3, n. 15980 del 16/4/2020, Rafanelli, Rv. 278944; n. 35973 del 3/3/2015, Quinag, Rv. 264811). In ogni caso e risolutivamente, quanto alla esigenza probatoria, la difesa non si e' confrontata adeguatamente con il pertinente riferimento alla necessita' di identificare correi o individuare ulteriori attivita' criminose, minimamente scalfito dagli argomenti difensivi, invero limitatisi alla affermazione della natura presuntiva degli argomenti utilizzati. Quanto, poi, all'esigenza special-preventiva, la motivazione e' del tutto coerente con i parametri delineati dal diritto vivente: in tema di misure cautelari, si e' definitivamente chiarito, infatti, che l'articolo 274 c.p.p., lettera c), nel testo introdotto dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l'imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale; ne deriva che non e' piu' sufficiente ritenere altamente probabile che l'imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l'occasione, ma e' anche necessario prevedere che all'imputato si presenti effettivamente un'occasione prossima per compiere ulteriori delitti della stessa specie (sez. 3 n. 34154 del 24/4/2018, Ruggerini, Rv. 273674). Il principio e' stato successivamente calibrato, anche da questa stessa sezione, affermandosi che il requisito dell'attualita' deve essere inteso nel senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla continuita' del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalita' dell'accusato, desumibile anche dalle modalita' del fatto per cui si procede, sia sull'esame delle sue concrete condizioni di vita. Tale valutazione prognostica non richiede, tuttavia, la previsione di una "specifica occasione" per delinquere, che esula dalle facolta' del giudice (sez. 4 n. 47837 del 4/10/2018, Rv. 273994), richiedendo una valutazione prognostica sulla possibilita' di condotte reiterative, alla stregua di un'analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalita' realizzative della condotta, della personalita' del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto piu' approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidiva (sez. 5 n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio, Rv. 277242). Cio' si pone in linea di continuita' con i principi elaborati ancor prima della novella di cui alla L. 16 aprile 2015, n. 47 che ha introdotto nel testo dell'articolo 274 c.p.p., lettera c), il requisito dell'attualita', essendosi ritenuto, anche prima di tale modifica, che esso costituisse presupposto implicito per l'adozione della misura cautelare, in quanto necessariamente insito in quello della concretezza del pericolo, posto che l'attualita' deve essere intesa non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissioni di delitti analoghi, fondata su elementi concreti, rivelatori di una continuita' ed effettivita' del pericolo di reiterazione, attualizzata, al momento della adozione della misura, nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non meramente ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi (sez. 6 n. 24779 del 10/5/2016, Rando, Rv. 267830; sez. 2 n. 47891 del 7/9/2016, Vicini, Rv. 268366; n. 53645 del 8/9/2016, Luca', Rv. 268977; sez. 5 n. 33004 del 3/5/2017, Cimieri, Rv. 271216). Nella specie, il pericolo attuale e concreto di reiterazione criminosa e' stato direttamente collegato alle modalita' della condotta e alla personalita' dell'indagato. Il Tribunale non ha utilizzato clausole di stile, ma valorizzato al contrario la condotta in concreto tenuta, indicativa di una assoluta disponibilita' ad osservare le disposizioni del fratello, il cui ipotizzato inserimento nella associazione rende per cio' solo piu' pericolosa anche la condotta ritenuta in capo al ricorrente, senza che cio' si risolva in una inammissibile presunzione. Infine, quanto al pericolo di fuga, del tutto legittimo e' il rinvio ai collegamenti sui quali l'indagato puo' contare all'estero e ai relativi mezzi e contatti utilizzabili per recarsi fuori dal territorio italiano, oltre al rapporto con il fratello co-indagato, resosi peraltro irreperibile. Sul punto, va si' ribadito che il pericolo di fuga di cui all'articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera b) (nel testo modificato dalla L. 16 aprile 2015, n. 47), oltre che concreto, dev'essere anche attuale, ma anche che tale requisito non comporta necessariamente l'esistenza di condotte materiali che rivelino l'inizio dell'allontanamento o che siano comunque espressione di fatti ad esso prodromici, essendo sufficiente accertare, con giudizio prognostico verificabile, perche' ancorato alla concreta situazione di vita del soggetto, alle sue frequentazioni, ai precedenti penali, alle pendenze giudiziarie e, piu' in generale, a specifici elementi vicini nel tempo, l'esistenza di un effettivo e prevedibilmente prossimo pericolo di allontanamento, che richieda un tempestivo intervento cautelare (sez. 6, n. 48103 del 27/9/2018, Roncali, Rv. 274220; n. 16864 del 7/3/2018, Vescio, Rv. 273011; sez. 5, n. 7270 del 6/7/2015, dep. 2016, Giugliano, Rv. 267135). Anche la valutazione di adeguatezza e proporzionalita' della misura e' stata correttamente condotta dai giudici territoriali, con un incedere argomentativo complessivamente congruo: gia' nell'ordinanza genetica, il GIP aveva dato conto della circostanza che, nonostante la non contestata o riconosciuta appartenenza associativa dell'indagato, egli aveva manifestato una estrema dimestichezza nel settore illecito, concorrendo nella buona riuscita di una importazione dall'estero di un quantitativo ingente di cocaina. La gravita' di tale condotta ha giustificato l'applicazione della misura di maggior rigore, considerati anche gli stratagemmi approntati per eludere i controlli delle forze dell'ordine e le indagini, elementi ritenuti non rassicuranti di una capacita' di osservanza delle prescrizioni eventualmente imposte con una misura domiciliare, anche elettronicamente presidiata. Tale valutazione e' stata condivisa dal Tribunale che ha svalorizzato la condizione di incensuratezza dell'indagato, comunque ritenuto non estraneo ai circuiti criminali. 5. Il quinto motivo e' manifestamente infondato. Intanto, va ricordato che il reato di favoreggiamento non e' configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perche', nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve - salvo che non sia diversamente previsto - in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale (Sez. U, n. 36258 del 24/5/2012, Biondi, Rv. 253151) e che, in tema di favoreggiamento personale, la clausola di esclusione prevista dall'articolo 378 c.p. per il concorrente nel "medesimo reato" deve essere intesa come riferita al concorso nello specifico fatto storico commesso dal favorito. E' configurabile, pertanto, il reato di favoreggiamento nel caso in cui l'autore sia concorso con il soggetto ausiliato in un reato della stessa specie, ma diverso da quello per il quale ha prestato ausilio (sez. 6, n. 51709 del 24/10/2017, Flussi, Rv. 272193). Cio' premesso, il Tribunale ha correttamente valutato la piattaforma indiziaria, ricostruendo la vicenda che ha visto partecipe l'indagato odierno ricorrente in maniera analitica alle pagg. da 10 a 14 dell'ordinanza impugnata, non accedendo alla chiesta riqualificazione alla stregua del comportamento ritenuto in capo (OMISSIS), tradottosi in un vero e proprio concorso nel delitto programmato dal fratello nel contesto associativo nel quale i giudici di merito hanno ritenuto che quegli si muova. L'analisi condotta, oltre a non evidenziare vizi nel ragionamento esplicativo, avuto riguardo agli elementi dettagliatamente esposti nell'ordinanza censurata, e' del tutto coerente con i principi sopra richiamati, con i quali invece la difesa non si e' debitamente confrontata in ricorso, avendo opposto una valutazione parcellizzata degli elementi del tutto incoerente con i dati fattuali esposti nell'ordinanza. 6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e la trasmissione degli atti alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); avverso la sentenza del 04-02-2022 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Fabio Zunica; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Costantini Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia della parte civile (OMISSIS), che chiedeva il rigetto del ricorso e depositava conclusioni scritte e nota spese; udito l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia del ricorrente, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 23 aprile 2014, il G.U.P. del Tribunale di Viterbo assolveva (OMISSIS), unitamente ad altri quattro coimputati, perche' il fatto non sussiste, dall'accusa di aver commesso, con le modalita' specificamene descritte nell'imputazione, il reato di violenza sessuale di gruppo ai danni delle due minori straniere (OMISSIS) (di nazionalita' russa) e (OMISSIS) (di nazionalita' norvegese), entrambe del 1995, fatti asseritamente commessi in (OMISSIS), nella notte fra il (OMISSIS). 2. Con sentenza emessa in data 4 febbraio 2022, la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, appellata dal Procuratore della Repubblica di Viterbo, dichiarava (OMISSIS) colpevole del reato di cui all'articolo 609 bis c.p. e articolo 61 c.p., n. 5, limitatamente alla persona offesa (OMISSIS) e, riconosciute le attenuanti generiche prevalenti, lo condannava alla pena di 2 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione, oltre che al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidare in separata sede, confermando nel resto la pronuncia del G.U.P.. 3. Avverso la sentenza della Corte di appello capitolina, (OMISSIS), tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi. Con il primo, la difesa censura la valutazione di attendibilita' della persona offesa (OMISSIS), non avendo i giudici di secondo grado tenuto conto delle contraddizioni e delle dissonanze emerse, nonche' di una pluralita' di circostanze, oggettive e soggettive, che restituiscono un quadro diverso da quello descritto dalla dichiarante. La (OMISSIS), infatti, gia' prima della conversazione ambientale intercettata, ebbe a chiarire che la (OMISSIS) le era sembrata non solo consenziente, ma altresi' compiaciuta di quanto stava accadendo, salvo poi rendere dichiarazioni contrastanti, tanto che fu necessario disporre un confronto tra le due ragazze, nel corso del quale la (OMISSIS) ha di nuovo cambiato versione, negando la circostanza da lei riferita il 6 e il 13 ottobre 2012. Peraltro, la stessa (OMISSIS), dopo aver precisato di non aver mai sentito le urla della (OMISSIS), ha riferito che (OMISSIS), a un certo punto, sarebbe rientrato in auto per unirsi a lei, lasciando fuori dalla macchina la (OMISSIS), che invece ha dichiarato di essere stata sempre con (OMISSIS). Sarebbe rimasto inoltre ignorato, nella ricostruzione storica dei fatti, il mancato utilizzo del telefono cellulare che entrambe le ragazze avevano con se', per mandare eventuali richieste di aiuto alle famiglie affidatarie, o ad altre persone che potessero aiutarle, comprese le forze dell'ordine. Quanto poi al tema della tempestivita' della confessione, si osserva che non corrisponde al vero l'affermazione della Corte secondo cui la (OMISSIS) avrebbe riferito immediatamente quanto accaduto ai propri familiari, non essendosi tenuto conto del fatto che entrambe le ragazze, rientrate a casa, mentirono di comune accordo su quanto avvenuto, risalendo la rivelazione dei fatti solo alla serata successiva, non potendosi sottacere che i dubbi sulla credibilita' della persona offesa erano stati esposti gia' dal G.I.P. di Viterbo nell'ordinanza di rigetto della misura cautelare, ordinanza poi confermata anche dal Tribunale del Riesame. La Corte di appello, ancora, non avrebbe preso in considerazione le analisi effettuati sui 24 referti biologici rilevati nell'auto, nonche' sui referti in sequestro, analisi che lasciano presupporre che le ragazze ebbero rapporti sessuali con i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS). Con il secondo motivo, si deducono l'erronea applicazione dell'articolo 609 bis c.p. e il conseguente vizio di motivazione della sentenza impugnata per l'omessa valutazione, se non in modo contraddittorio e congetturale, delle circostanze rivelatrici di una chiara manifestazione di dissenso al compimento degli atti sessuali da parte della persona offesa" e, di conseguenza, della eventuale contezza, da parte dell'imputato, del diniego all'atto sessuale della ragazza, che pure poco prima si era prestata a ripetuti baci e abbracci, oltre che alla masturbazione di (OMISSIS). Si osserva al riguardo che tutti e cinque gli imputati, quattro dei quali assolti, hanno confermato che gli atti sessuali avvennero dietro espresso consenso delle ragazze e che, laddove il consenso, anche in corso d'opera, venne a mancare, vi fu sempre l'interruzione del rapporto. Del resto, nella sentenza di primo grado era stato ben evidenziato che per l'imputato sarebbe stato impossibile accorgersi del dissenso della ragazza, proprio in ragione dell'atteggiamento di costei, e che, quando il dissenso fu chiaro, non vi fu alcuna prosecuzione degli atti sessuali. Con il terzo motivo, infine, oggetto di doglianza e' il mancato riconoscimento della attenuante della minore gravita' di cui all'articolo 609 bis c.p., u.c., rilevandosi che la sentenza impugnata non avrebbe valutato la globalita' del fatto, che vedeva partecipi sei ragazzi giovanissimi, con difficolta' di comprensione, alla luce delle culture e delle lingue differenti, non essendosi considerato il reale impatto emotivo delle condotte sulle parti lese. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' fondato, nei limiti di seguito esposti. 1. In via preliminare, occorre richiamare i recenti interventi delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. le sentenze n. 11586 del 30/09/2021, dep. 2022, Rv. 282808, ricorrente D., la n. 22065 del 28/01/2021, Rv. 281228 - 02, ricorrente Cremonini, la n. 14426 del 28/01/2019, Rv. 275112, ricorrente Pavan, la n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Rv. 272430, ricorrente P.G. in proc. Troise, la n. 18620 del 19/01/2017, Rv. 269786, ricorrente Patalano e la n. 27620 del 28/04/2016, Rv. 267487, ricorrente Dasgupta, sentenza quest'ultima che, come e' noto, ha aperto la strada al nuovo approdo interpretativo), secondo cui la riforma in appello della pronuncia assolutoria di primo grado, nel postulare un giudizio di colpevolezza conforme al parametro dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", suscettibile di scardinare l'esito liberatorio, impone al giudice dell'impugnazione il rispetto di due regulae iuris: da un lato, quella del ricorso a una motivazione rinforzata, dall'altro quello della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, quando la differente decisione scaturisca da una diversa valutazione della prova dichiarativa. In ordine al primo aspetto, in particolare, e' stato precisato, anche dalla giurisprudenza successiva (cfr. Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Riv. 278056), che il giudice di appello che riformi l'assoluzione in primo grado (ma il principio e' stato affermato anche nel caso di ribaltamento in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, nel qual caso non e' pero' indispensabile la rinnovazione dell'istruttoria) deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata. In definitiva, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado a prescindere dall'eventuale rinnovazione dell'istruttoria, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonche' in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (cosi' Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056). Per la riforma in appello di una pronuncia assolutoria, dunque, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio gia' acquisito in primo grado, caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilita' rispetto a quella del primo giudice, ma occorre, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio (cfr. Sez. 5, n. 54300 del 14/09/2017, Rv. 272082). 2. Alla luce di tali premesse interpretative, deve ritenersi che la Corte di appello non abbia del tutto rispettato l'onere di motivazione rafforzata su di essa incombente. Preliminarmente, si impone una breve premessa ricostruttiva della vicenda. Risulta invero dalla sentenza di primo grado che la sera tra il (OMISSIS), le due studentesse straniere (OMISSIS) (di nazionalita' russa) e (OMISSIS) (di nazionalita' norvegese), entrambe del 1995 e in Italia da tre anni, ottenuto il permesso delle famiglie che le ospitavano, trascorrevano la serata in una discoteca di (OMISSIS). Dopo le quattro di notte, le due ragazze chiedevano e ottenevano un passaggio da cinque ragazzi che erano in procinto a recarsi ad Acquapendente: la (OMISSIS) saliva sul lato posteriore insieme a tre dei cinque giovani, mentre la (OMISSIS) si sedeva sulle gambe di un giovane che sedeva sul sedile anteriore, lato passeggero. Durante il tragitto in auto, le due studentesse avevano subito alcune avances dei passeggeri, che avevano cercato entrambe di contenere. A un certo punto, hanno riferito concordemente le due ragazze, il conducente arrestava l'auto in una zona isolata, mentre, rispetto a quanto sia avvenuto dopo questo momento, la (OMISSIS) riferiva di essere stata costretta a praticare un rapporto orale a uno dei ragazzi, mentre un altro la penetrava da dietro, eiaculando all'esterno; successivamente, dopo averla fatta uscire dalla macchina, un altro ragazzo cerco' di sodomizzarla, senza tuttavia riuscirci, salvo poi penetrarla in via vagina, eiaculando all'esterno. Quindi, mentre era distesa a terra, uno dei tre passeggeri dei sedili posteriori la costringeva a praticargli un rapporto orale: ella aveva cercato di difendersi, ma era stata bloccata dai tre e in particolare le era stata coperta la bocca. In tutto cio', la (OMISSIS) si trovava sul cofano dell'auto con il ragazzo su cui prima era seduta, ma non sapeva dire cosa stesse facendo, non avendo ella ha udito urla o rumori. Dal canto suo la (OMISSIS) dichiarava che il ragazzo su cui era seduta aveva tentato di avere rapporti sessuali con lei che, malgrado lo strappo dei collant, era riuscita a opporsi. Precisava inoltre di aver notato la (OMISSIS) fare sesso con alcuni ragazzi, senza gridare o chiedere aiuto, e cio' anche quando l'auto era ripartita" aggiungendo che, quando erano tornate a casa, la (OMISSIS) le aveva confermato di essere stata consenziente ai rapporti sessuali. Hanno poi dichiarato le ragazze che i cinque salirono in auto e ripresero la marcia, ma dopo un po' il conducente fermo' di nuovo l'auto nei pressi di un centro abitato, prima di Acquapendente e vi fu un cambio di posti, nel senso che la (OMISSIS) si sedette davanti e la (OMISSIS) dietro. A questo punto il nuovo conducente avrebbe costretto la (OMISSIS) a praticargli un rapporto orale, mente il giovane seduto al fianco della (OMISSIS) le avrebbe afferrato il braccio, costringendola a palpeggiarlo nelle parti intime, cosa che ella fece dopo aver cercando invano di sottrarsi. Vi fu poi, alle prime luci dell'alba, una terza sosta, stavolta alla periferia di (OMISSIS) e, in tale occasione, secondo la (OMISSIS), il ragazzo alla guida dell'auto abbassava i sedili anteriori e, dopo averla spogliata, la costrinse a un rapporto vaginale cui ella non riusci' a opporsi, e a cio' seguirono un rapporto orale con il medesimo e un rapporto vaginale con altro ragazzo. Dal canto suo, la (OMISSIS) riferiva che il ragazzo prima seduto accanto a lei sul sedile posteriore, dopo varie insistenze, l'aveva sollevata e sbattuta sul cofano dell'auto, per poi penetrarla. Le due ragazze furono quindi riaccompagnate a casa, dove non riferirono delle violenze, avendo la (OMISSIS) riferito che la (OMISSIS) non le era sembrata affatto turbata per quanto avvenuto. Dichiarava quindi la (OMISSIS) di aver informato dell'accaduto i propri familiari norvegesi, i quali, a loro volta, contattavano i responsabili del centro "(OMISSIS)" dove la ragazza era ospitata. A quel punto la responsabile del centro, (OMISSIS), si precipitava a chiedere lumi alla (OMISSIS), la quale, dopo un'iniziale reticenza, confermava di essere stata oggetto di violenza sessuale di gruppo, mentre, a suo dire, la (OMISSIS) era stata violentata da un solo uomo. Le due ragazze venivano quindi sentite a sommarie informazioni e, alla luce di talune discrepanze nella ricostruzione degli eventi (che sarebbero state loro segnalate anche dalle forze dell'ordine una volta avviate le indagini), venivano sottoposte a confronto; in attesa che avesse luogo il confronto, le due studentesse venivano intercettate e, nel corso del dialogo captato, la (OMISSIS) diceva alla (OMISSIS) di non averla sentita opporsi ai ragazzi, aggiungendo che, se lo avesse sentito, sarebbe fuggita con lei; riferendosi poi al tentativo di alcuni ragazzi di ottenere sesso orale, affermava: "quando li spingevo via hanno smesso con abbastanza facilita' e sono andati verso di te, ma tu cosa hai fatto per farli smettere-"; a cio' la (OMISSIS) replicava di essere stata sotto shock, invitando la sua amica a giustificare l'incomprensione con le difficolta' linguistiche e aggiungendo di non aver visto ne' sentito la (OMISSIS) allontanare (OMISSIS). Nel frattempo, venivano prontamente individuati i cinque giovani protagonisti della nottata ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ovvero il ragazzo sulle cui gambe era seduta la (OMISSIS)); costoro, per come riportato nella sentenza impugnata, nel confermare l'incontro con le due persone offese e l'accompagnamento in macchina, affermavano concordemente che le ragazze sarebbero state consenzienti rispetto al compimento dei rapporti sessuali, avendo anzi loro stesse assunto la relativa iniziativa. Orbene, ad avviso del G.U.P., la (OMISSIS) e la (OMISSIS) non potevano essere ritenute attendibili, alla luce delle contraddizioni delle rispettive narrazioni, risultate divergenti su aspetti non secondari della vicenda, in particolare sul comportamento dalle stesse tenute la notte dei fatti al cospetto dei ragazzi, avendo ciascuna di esse non percepito le presunte violenze subite dall'altra. Quanto alla (OMISSIS), e' stato evidenziato che costei ha inizialmente riferito (il (OMISSIS)) che, nella seconda sosta, dopo essere stata costretta da (OMISSIS) a un rapporto sessuale sul cofano dell'auto, era rientrata con lui in macchina, dove si trovavano la (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre, in un secondo momento (6 ottobre 2012), ha dichiarato che, dopo la violenza subita, solo (OMISSIS) era rientrato in macchina, mentre lei era rimasta fuori da sola. Inoltre, secondo il G.U.P., non si comprenderebbe il motivo per cui, in prossimita' del centro abitato di (OMISSIS), la (OMISSIS) non abbia tentato di fuggire per chiedere aiuto, come pure e' stato ritenuto poco verosimile che nella prima sosta gli indagati avevano rispettato la sua volonta' di non avere rapporti sessuali, mentre nella seconda sosta (OMISSIS), con cui si ella si era inizialmente baciata in macchina pur essendo stato tenuto a bada nonostante la sua insistenza nel volere andare oltre, avrebbe posto in essere l'improvvisa azione violenta. E' stato inoltre sottolineato nella prima sentenza che i rilievi tecnici svolti sull'auto in uso a (OMISSIS) non hanno evidenziato tracce ematiche, mentre le analisi effettuate sui 24 reperti biologici rilevati nell'auto e sugli altri reperti in sequestro hanno dato conto della presenza, nel perizoma della (OMISSIS), del suo profilo genetico misto a quello di (OMISSIS) e, sulla minigonna, del suo profilo genetico misto a quello di (OMISSIS), mentre sui frammenti della tappezzeria sono state rilevate tracce di sperma appartenenti sempre a (OMISSIS), avendo da cio' desunto il G.U.P. unicamente la prova del compimento di plurimi atti sessuali, di cui pero' non sarebbe stata dimostrata l'origine costrittiva e non consensuale, cio' rispetto a entrambe le studentesse, non potendosi desumere elementi contrari da talune lesioni riportate dalla (OMISSIS), e tanto anche in ragione del fatto che la sua amica non aveva percepito alcuna contrarieta' da parte sua. Piu' in generale, secondo il G.U.P., la denuncia dei fatti appariva ricollegabile alla preoccupazione delle due studentesse di evitare il rientro in patria per la violazione del programma di studio. Quanto alla (OMISSIS), infine, il G.U.P. ha rimarcato altre due circostanze idonee a incidere sulla relativa valutazione di attendibilita': in primo luogo, sono state richiamate le sue dichiarazioni da cui si evince che ella si determino' a masturbare (OMISSIS)" su insistenza di lui, ritenendo che fosse meglio farla, pur non essendo interessata, per evitare che succedesse qualcosa di peggio, il che ha indotto il primo giudice a chiedersi come l'imputato potesse rendersi conto della contraria volonta' della ragazza; in secondo luogo, il G.U.P. ha valorizzato, nell'ottica della ritenuta natura volontaria degli approcci sessuali, le dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), raccolte in sede di indagini difensive: costoro hanno infatti riferito che, verso le sette del mattino del (OMISSIS), mentre si recavano a una partita di caccia, avevano visto (OMISSIS), a loro noto perche' lavoravano vicino all'officina del padre (OMISSIS), abbracciare una ragazza bionda accanto a una Polo grigia, apparando la ragazza tranquilla e scambiandosi i due "affettuosita'". Alla stregua di tali considerazioni, i cinque imputati sono stati assolti perche' il fatto non sussiste. 2.1. A conclusioni parzialmente diverse e' invece pervenuta la Corte di appello. Occorre premettere che, nel giudizio di secondo grado, ha avuto luogo l'escussione di (OMISSIS), mentre l'esame di (OMISSIS) e' stato revocato, non essendo risultata possibile l'audizione di quest'ultima nonostante la richiesta di rogatoria internazionale proposta alla competente autorita' del Paese di origine; per effetto di cio', correttamente, i giudici di appello hanno escluso di poter affermare la penale responsabilita' degli imputati rispetto alla posizione della (OMISSIS), non potendo i relativi elementi probatori essere surrogati in altro modo, stante la pregnanza delle dichiarazioni rese dalla persona offesa rispetto ai fatti di causa. L'attenzione della Corte territoriale si e' quindi coerentemente spostata solo sulla disamina della posizione della (OMISSIS) e, al riguardo, i giudici di secondo grado hanno ritenuto configurabile il reato di violenza sessuale commesso individualmente in suo danno dal solo (OMISSIS), evidenziando che non poteva ravvisarsi il contestato delitto di violenza di gruppo, atteso che, come gia' osservato in sede cautelare dal G.I.P. (che aveva rigettato la richiesta di applicazione di misura detentiva avanzata nei confronti degli indagati), la mera presenza degli altri indagati nel medesimo contesto spazio-temporale non poteva equivalere a un concorso morale, in difetto di condotte apprezzabili di supporto, posto che la (OMISSIS) ebbe rapporti solo con (OMISSIS), mentre a tutto concedere una violenza sessuale di gruppo era prospettabile solo rispetto alla (OMISSIS). Cio' posto, nella sentenza impugnata e' stata sottolineata la credibilita' della (OMISSIS), osservandosi che le sue dichiarazioni sono state costanti, reiterate e coerenti: ella, infatti, e' stata la prima a denunciare l'accaduto e in tempi rapidi, atteso che ella si e' confidata, dopo neanche 24 ore dai fatti, con le persone di cui maggiormente si fidava (i familiari norvegesi), essendo rimasta sprovvista di riscontro probatorio la tesi della pretestuosita' della denuncia, che, peraltro, se fosse stata concordata con la (OMISSIS), non avrebbe presentato le rimarcate divergenze. La Corte di appello, peraltro, non ha affatto negato le discrasie nel racconto delle due ragazze, ma ha osservato che le stesse non valevano a smentire la credibilita' della (OMISSIS), la quale ha dichiarato sin da subito che la (OMISSIS) le era sembrata consenziente, tanto e' vero che ella non aveva tentato la fuga temendo di non essere spalleggiata dalle sue amiche, fermo restando che anche l'ipotesi di una fuga solitaria avrebbe dovuto fare i conti con lo stato emotivo della (OMISSIS), oltre che con l'orario notturno e con la totale ignoranza della lingua e dei luoghi. Non poteva in ogni caso prospettarsi alcuna rappresentazione del consenso della vittima in capo all'imputato, il quale non si trattenne, nonostante la pllateale opposizione della studentessa. 2.2. Cio' posto, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata, per quanto sorretta da un percorso argomentativo tutt'altro che illogico, non abbia tuttavia adempiuto in modo esauriente al proprio dovere di offrire una motivazione rafforzata, nel senso prima illustrato, rispetto alle differenti considerazioni che hanno portato il G.U.P. alla pronuncia assolutoria, dovendosi precisare al riguardo che, in questa sede, il compito di questa Corte e' quello non di stabilire quale tra le due differenti motivazioni sia la piu' plausibile e convincente, ma di verificare se la Corte territoriale, nel ribaltare il giudizio di primo grado, si sia confrontata in maniera completa e razionale con tutte le argomentazioni che hanno portato al verdetto del primo giudizio. Cio' nella vicenda in esame e' avvenuto solo in parte, perche', se e' vero che i giudici di appello hanno circoscritto correttamente la propria analisi al giudizio di attendibilita' dell'unica prova dichiarativa che e' stato possibile rinnovare, operando in proposito una valutazione positiva con argomenti come detto non illogici, tuttavia non vi e' stato un adeguato confronto con le considerazioni del primo giudice, peraltro su aspetti non proprio marginali della vicenda. Ad esempio, non e' stata fornita una compiuta risposta alle perplessita' del G.U.P. in merito al fatto che la (OMISSIS), come si desume dal raffronto tra l'intercettazione ambientale e le successive dichiarazioni investigative, pare aver assecondato la richiesta della (OMISSIS) di fornire una versione unitaria confermando il dissenso di quest'ultima rispetto al compimento degli atti sessuali, in particolare con il ragazzo che aveva detto di chiamarsi " (OMISSIS)", dissenso che la (OMISSIS), almeno nelle iniziali dichiarazioni del 1 ottobre 2012, aveva escluso di aver percepito. Non sufficientemente approfondita e' rimasta poi la contraddizione del racconto della (OMISSIS), nella parte in cui prima ha riferito, anche parlando con la (OMISSIS), che i ragazzi, se respinti, non avrebbero reiterato le proprie avances sessuali, il che sarebbe avvenuto in occasione della prima sosta, salvo poi precisare che, nella seconda sosta, la reazione oppositiva non e' stata sufficiente a fermare i loro istinti, in particolare quelli di (OMISSIS), che ella pure era riuscita a tenere a bada in un primo momento, respingendo i suoi palpeggiamenti dopo gli iniziali baci che si erano dati. Non e' stato ben chiarito, in definitiva, come mai l'atteggiamento dell'imputato, all'inizio a dir poco "audace" ma comunque rispettoso del contrario volere altrui, si sia poi rivelato all'improvviso violento, circostanza questa sicuramente possibile, ma meritevole di spiegazione rispetto a una narrazione che, almeno sul punto, non si rivelata del tutto chiara e lineare. In ordine poi al racconto dei testi della difesa, che avrebbero visto la mattina presto (OMISSIS) e la (OMISSIS) in teneri atteggiamenti, nonostante il perpetrarsi delle pesanti violenze descritte dalla persona offesa, la risposta fornita dalla Corte di appello alle forti perplessita' manifestate sul punto dal G.U.P. non pare sgombrare il campo da equivoci, non avendo la sentenza impugnata messo in discussione la credibilita' dei due cacciatori sentiti in sede di indagini difensive, ritenendo tuttavia irrilevante il loro racconto, in ragione delle condizioni di estrema fragilita' della vittima, che, desiderando tornare a casa, temeva che la disavventura potesse finire peggio, per cui non poteva escludersi che le effusioni siano state strumentali a evitare conseguenze negative, o che la stessa (OMISSIS) "vi abbia acceduto sempre nel quadro della tempesta emotiva sopra descritta" (cosi' pag. 6 della sentenza impugnata), non potendosi sottacere che, a fronte della pluralita' di spiegazioni fornite, tutte ipotetiche, sia necessario sul punto un adeguato approfondimento, e cio' anche in ragione del fatto che, sempre a voler ragionare in modo ipotetico, il sopraggiungere di due persone poteva rappresentare per la ragazza un'occasione per chiedere finalmente aiuto. Analogamente e non da ultimo, non risulta esplorato nella sentenza impugnata il tema della valenza dimostrativa degli accertamenti biologici compiuti sui reperti rinvenuti nell'autovettura e negli indumenti e sulla persona delle due denuncianti, non essendo chiaro al riguardo se l'affermazione del primo giudice circa la sostanziale irrilevanza degli esiti di tali accertamenti possa essere superata, o quantomeno neutralizzata, con argomenti di segno contrario. In definitiva, pur a fronte di considerazioni pertinenti su taluni aspetti concernenti la valutazione di attendibilita' dell'unica persona offesa risentita, deve tuttavia ribadirsi, per quanto in questa sede rileva, che la Corte territoriale omesso di confrontarsi con talune non lievi criticita' segnalate dal primo giudice, il che impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, al fine di colmare le ravvisate lacune motivazionali e di pervenire in tal modo, anche eventualmente mediante gli eventuali approfondimenti istruttori ritenuti indispensabili, a una verifica piu' completa circa la configurabilita' o meno del reato di cui il ricorrente e' stato ritenuto colpevole. 3. In conclusione, alla stregua ed entro i limiti delle considerazioni svolte, si impone pertanto l'annullamento della sentenza impugnata, con conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio. Resta assorbita dall'accoglimento dei motivi principali di ricorso l'ulteriore doglianza sul diniego dell'attenuante della minore gravita'. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENTILI Andrea - Presidente Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/10/2021 della CORTE APPELLO di BARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MANUALI Valentina, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi proposti dagli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e la declaratoria di inammissibilita' di tutti i restanti ricorsi; letta la memoria depositata nell'interesse del ricorrente (OMISSIS) dall'avv. (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento delle conclusioni del ricorso; uditi l'avv. (OMISSIS) per il ricorrente (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS) per il ricorrente (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS) per i ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e, in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), per il ricorrente (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS) per i ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni dei ricorsi; l'avv. (OMISSIS), con riguardo alla posizione di (OMISSIS), ha inoltre richiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in ordine al reato di cui al capo A6, per mancanza di querela, e, in subordine, lo stralcio della sua posizione onde verificare l'esistenza della condizione di procedibilita'. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 13 ottobre 2021, la Corte d'appello di Bari ha nel complesso parzialmente confermato la pronuncia emessa all'esito del giudizio abbreviato dal g.u.p. di Bari nei confronti, tra gli altri, degli imputati oggi ricorrenti, in primo grado ritenuti responsabili: alcuni, del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74 e di reati-fine; altri soltanto di reati in materia di stupefacenti; altri ancora (anche) per reati contro il patrimonio, in materia di armi e per tentato omicidio. Per quanto qui rileva, nei confronti degli odierni ricorrenti (alcuni dei quali avevano in appello in tutto od in parte rinunciato ai motivi) la Corte territoriale: ha applicato in taluni casi la pena concordata; ha talvolta parzialmente accolto i motivi di appello riducendo le pene inflitte, riconoscendo circostanze attenuanti ovvero escludendo aggravanti, riconoscendo il vincolo della continuazione con reati gia' giudicati, oppure riqualificando alcuni reati in materia di stupefacenti come violazione dell'articolo 73, comma 5, t.u. stup.; ha per altri imputati integralmente confermato le statuizioni della sentenza di primo grado. 2. Avverso la sentenza di appello hanno proposto personalmente ricorso (OMISSIS) (lamentando il difetto di motivazione della sentenza impugnata) e (OMISSIS) (lamentando il mancato contenimento della pena nei minimi edittali). A mezzo dei rispettivi difensori cassazionisti, altri 20 imputati hanno proposto i ricorsi per cassazione di seguito indicati. 3. Con unico motivo di ricorso, (OMISSIS) lamenta violazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio determinato a seguito del riconosciuto vincolo della continuazione tra i reati sub iudice ed il reato giudicato con altra sentenza divenuta definitiva. Nell'effettuare quell'operazione - si allega - la Corte territoriale non aveva indicato le ragioni per cui aveva ritenuto congruo stabilire la pena base di nove anni di reclusione per il piu' grave reato e determinare l'aumento a titolo di continuazione per i reati satelliti sub iudice nella misura indicata dal g.u.p. 4. Con il primo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS), si lamenta il vizio di motivazione per la mancata derubricazione del reato di cui al capo BC8 come violazione dell'articolo 73, comma 5, t.u.s., essendosi operata una valutazione in malam partem delle conversazioni intercettate, benche' non vi fosse prova della quantita' di stupefacente oggetto di accordo. 4.1. Con il secondo motivo, in relazione alla contestazione del capo C5, si deduce il vizio di motivazione, non essendovi prova del concorso del (OMISSIS) per molte delle cessioni contestate, potendo questo sussistere per un solo episodio, senza che peraltro potessero valorizzarsi, in quanto prive di riscontri, le dichiarazioni del correo (OMISSIS), la cui responsabilita' era stata peraltro affermata anche per fatti ai quali (OMISSIS) e' stato invece ritenuto estraneo. 4.2. Con il terzo motivo si lamenta che sia stata riconosciuta la partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo 13 valorizzandosi la ritenuta responsabilita' in un solo reato-fine peraltro neppure caratterizzato da elementi che di regola ricorrono negli stabili rapporti illeciti di compravendita di droga con sodalizi criminali - senza che fosse adeguatamente argomentata la affectio societatis e nonostante deponessero in senso contrario le dichiarazioni del correo (OMISSIS), che la Corte territoriale aveva ignorato. 5. Con quattro distinti motivi di ricorso - gli ultimi due subordinati - (OMISSIS) deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo ai seguenti profili. 5.1. Si lamenta innanzitutto - anche con la memoria contenente motivi aggiunti, datata 14 gennaio u.s. - la ritenuta partecipazione del ricorrente al reato associativo, illegittimamente ed illogicamente affermata in base a presunzioni e congetture fondate sul fatto che egli avrebbe interagito nello smercio di stupefacenti con alcune persone ritenute partecipi del sodalizio, che avrebbe operato alle dipendenze di un soggetto (chiamato "(OMISSIS)" che, pur indicato quale figlioccio del promotore (OMISSIS), non era imputato dell'associazione) e sulla considerazione che, occupandosi di furti per il clan (OMISSIS) (senza che, tuttavia, gli fosse mai stata contestata l'appartenenza a quell'associazione), e' impensabile che non si occupasse per il clan anche dell'attivita' di spaccio di stupefacenti cui era dedito. Si erano illogicamente svalutate le contrarie dichiarazioni rese da diversi collaboratori, ed in particolare da (OMISSIS) e (OMISSIS), attribuendosi invece fede a quelle di collaboratori estranei al sodalizio che parlavano soltanto "per sentito dire". 5.2. In secondo luogo, ci si duole della mancata riqualificazione nel delitto di cui all'articolo 73, comma 5, t.u.s. degli addebiti contestati ai capi da C4.1 a C4.4 e C4.e, sull'illegittimo ed illogico rilievo della pluralita' e sistematicita' delle condotte. 5.3. Con il terzo motivo ci si duole della mancata esclusione della circostanza aggravante dell'associazione armata in difetto di prova di effettiva conoscenza o concreta prevedibilita' della disponibilita' di armi. 5.4. Con il quarto motivo si contesta la ritenuta impossibilita' di concedere le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sull'erroneo rilievo che sarebbe ostativa la contestata recidiva reiterata, pur fondata su una condanna divenuta definitiva successivamente alla consumazione del reato associativo, e della mancata riduzione degli aumenti di pena per la continuazione. 6. Con il primo motivo di ricorso, (OMISSIS) lamenta l'assenza di motivazione sulle doglianze proposte con l'appello in relazione al reato di detenzione illegale di arma di cui al capo D14. Erroneamente - allega il ricorrente - la Corte territoriale aveva ritenuto che quel capo non fosse stato oggetto d'impugnazione, avendolo invece l'appellante trattato unitamente ai motivi svolti con riguardo al pressoche' identico capo D2. 6.1 Con il secondo motivo si deducono violazione della legge penale e vizio di motivazione per mancata riqualificazione del reato in materia di stupefacenti nell'ipotesi di cui all'articolo 73, comma 5, t.u.s., essendosi ritenuta ostativa la quantita' di stupefacente senza considerare che una parte era destinata al consumo personale. 6.2 Con l'ultimo motivo si lamenta il vizio di motivazione in ordine alla conferma degli aumenti di sei mesi di reclusione ciascuno per i due reati in materia di armi. 7. Con il primo motivo di ricorso, (OMISSIS) deduce la violazione dell'articolo 73, comma 4, t.u.s. per aver la Corte territoriale omesso di esaminare in modo piu' analitico il reato ascritto al ricorrente, limitandosi a rilevare che vi era stata rinuncia ai motivi di ricorso. 7.1 Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione con riguardo al giudizio di mera equivalenza effettuato tra le circostanze attenuanti generiche e la contestata recidiva. 8. Con unico motivo di ricorso, deducendo violazione della legge penale e vizio di motivazione, (OMISSIS) si duole della affermazione di sua responsabilita' per il reato di tentato omicidio quale mandante. Si osserva che, nonostante la parziale rinuncia ai motivi di appello, egli avrebbe dovuto essere assolto da quel reato, nei suoi confronti ritenuto soltanto in relazione all'ammissione degli addebiti da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS). 9. Con unico motivo di ricorso, (OMISSIS) deduce violazione della legge penale e vizio di motivazione per non aver la Corte territoriale indicato le ragioni della determinazione della pena inflitta in dieci anni di reclusione. 10. Con unico motivo di ricorso, (OMISSIS) lamenta la violazione della legge processuale ed il vizio di motivazione per esserne stata affermata la responsabilita' sulla base di mere conversazioni intercettate dal contenuto criptico, non solo non fornite di riscontri, ma smentite dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), contraddittoriamente non creduto sul punto pur essendo lo stesso stato ritenuto in linea generale attendibile dai giudici di merito. Incorrendo in ulteriore contraddizione, la Corte territoriale aveva poi utilizzato le dichiarazioni del predetto collaboratore per ridurre il trattamento sanzionatorio nei confronti del ricorrente. 11. Con due distinti motivi di ricorso (OMISSIS) lamenta violazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione, rispettivamente: - al diniego della richiesta riqualificazione del reato nel fatto di lieve entita' benche' il quantitativo di cocaina fosse decisamente modico, essendosi dato illegittimamente rilievo alle diverse qualita' di stupefacente detenuto; - al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non ancorato ad un vero giudizio di disvalore sulla personalita' del ricorrente, essendosi peraltro realizzata una evidente disparita' di trattamento rispetto al coimputato. 12. Con tre distinti motivi di ricorso, (OMISSIS) deduce violazione della legge penale e vizio di motivazione con riguardo ai seguenti profili. 12.1. Si lamenta innanzitutto la sua ritenuta partecipazione al reato associativo, illegittimamente ed illogicamente ricavata dal concorso in singoli episodi di spaccio, senza adeguata motivazione circa uno stabile e consapevole rapporto del ricorrente con il sodalizio. Non sarebbero sufficienti, in particolare, il richiamo alle generiche dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) ed il fatto che, per mero dovere morale e civile, (OMISSIS) avesse prestato occasionale soccorso a (OMISSIS) - ferito in uno scontro con esponenti di altro clan malavitoso - essendosi invece trascurate le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS). La stessa sentenza, inoltre, finirebbe con l'ammettere che il ricorrente puo' considerarsi partecipe ad un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro il patrimonio, ma non anche ad un'associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74. 12.2. In secondo luogo ci si duole della ritenuta responsabilita' per il reato di estorsione, essendo al piu' ravvisabile il delitto di cui all'articolo 393 c.p., posto che, secondo le stesse dichiarazioni della parte offesa, (OMISSIS) (tramite (OMISSIS)) aveva agito - peraltro con condotta non contraddistinta da minaccia per ottenere che il debitore saldasse la propria obbligazione nei confronti del creditore, portata da una cambiale non onorata, e non gia' per conseguire un proprio ingiusto profitto. 12.3. Con il terzo motivo si contesta l'eccessivo aumento praticato a titolo di continuazione. 13. Il ricorrente (OMISSIS) lamenta violazione della legge processuale e vizio di motivazione per aver la Corte territoriale omesso di esercitare il doveroso controllo sull'assenza di cause di non punibilita' ex articolo 129 c.p.p.. 14. Con unico motivo di ricorso (OMISSIS) deduce violazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla mancata riqualificazione dell'addebito nel reato di cui all'articolo 73, comma 5, t.u.s., avendo la Corte territoriale rinviato apoditticamente a conversazioni intercettate prive di riferimenti chiari e certi alla qualita' e quantita' dello stupefacente ed avendo omesso di considerare che dalle stesse emergeva come i sodali lamentassero la scarsa presenza ed efficacia organizzativa del ricorrente con riguardo alle diverse cessioni. 15. Con unico motivo di ricorso (OMISSIS) eccepisce il vizio di motivazione per aver la Corte territoriale apoditticamente negato la riqualificazione del reato nell'ipotesi di cupi all'articolo 73, comma 5, t.u.s. nei confronti del ricorrente, avendola invece riconosciuta nei riguardi del coimputato (OMISSIS). 16. Con due distinti motivi di ricorso (OMISSIS) lamenta vizio di motivazione con riguardo, rispettivamente: - all'affermazione di penale responsabilita', conseguente ad una ricostruzione implausibile ed inverosimile, fondata su indizi privi del requisito della certezza (come il luogo dell'incontro tra i due coimputati) e su mere ipotesi, peraltro desunte da conversazioni intercorse tra altre persone, non valutate con attenzione e rigore; - al diniego del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4, con motivazione apparente ed insufficiente. 17. Con unico motivo di ricorso, (OMISSIS) lamenta omessa ed apparente motivazione con riguardo all'esclusione della circostanza attenuante, di cui all'articolo 114 c.p., del contributo di minima importanza nell'attivita' di spaccio. 18. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto distinti ricorsi di pressoche' identico contenuto. 18.1. Con il primo motivo, riferito al reato di tentato omicidio loro ascritto, essi deducono vizio di motivazione con riguardo al ritenuto animus necandi, lamentando motivazione apparente sul punto (poggiante su elementi inconsistenti o neutri), travisamento della prova (in particolare, di una conversazione ambientale intercettata tra due donne) e omessa risposta alle doglianze difensive sulle importanti dichiarazioni rese dal collaboratore (OMISSIS) circa quanto la stessa vittima gli riferi'. 18.2. Con il secondo motivo si lamentano vizio di motivazione e violazione di legge con riguardo alla mancata riqualificazione del fatto nel reato di tentate lesioni. 18.3. Con il terzo motivo ci si duole della violazione degli articoli 132 e 133 c.p. quanto al mancato contenimento della pena nei limiti edittali senza che sia stata al proposito resa alcuna motivazione. 19. Con unico motivo di ricorso, (OMISSIS) deduce la violazione dell'articolo 133 c.p. con riguardo alla determinazione della pena base non contenuta nel minimo edittale. 20. Con unico motivo di ricorso (OMISSIS) lamenta la violazione della legge penale per aver la Corte territoriale, richiamando l'articolo 81 c.p., comma 6, in relazione alla ritenuta recidiva, valutato equo l'aumento di pena a titolo di continuazione di quattro mesi di reclusione per ciascuno dei sei reati satelliti rispetto al piu' grave reato di cui all'articolo 74 t.u.s., piuttosto che quello di mesi due (o, al piu', di mesi tre e giorni tre). 21. Con unico motivo di ricorso, (OMISSIS) deduce vizio di motivazione per aver la Corte territoriale omesso ogni genere di valutazione in ordine alla sussistenza di cause di non punibilita'. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi proposti personalmente da (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili ai sensi dell'articolo 613 c.p.p., comma 1, trattandosi di impugnazioni non sottoscritte da difensore iscritto all'albo speciale della Corte di cassazione. 2. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile per genericita' e manifesta infondatezza. 2.1. Giusta la preclusione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 3, ult. parte, va innanzitutto osservato che, nei termini delineati in ricorso, viene eccepita una violazione di legge - con connesso vizio di mancanza di motivazione - non dedotta nei motivi d'appello non fatti oggetto di rinuncia. Deve ribadirsi, al proposito, che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l'atto d'appello (e non rinunciato), occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066). Nella specie cio' non e' stato fatto e per cio' solo il ricorso e' inammissibile per genericita'. Ed invero, la sentenza - non specificamente contestata dal ricorso - da' atto che nel giudizio di appello (OMISSIS) aveva rinunciato a tutti i motivi diversi da quelli concernenti l'esclusione della circostanza aggravante di cui all'articolo 74, comma 4, t.u.s. e della recidiva ed il bilanciamento in termini di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ed aveva in particolare rinunciato al motivo di appello relativo agli aumenti per la continuazione (circostanza, quest'ultima, che trova conferma nel verbale dell'udienza del 25 maggio 2021), chiedendo poi il riconoscimento del vincolo della continuazione con un reato concernente l'illecito trasporto di hashish. Le doglianze fatte oggetto di ricorso - vale a dire, la determinazione della pena con riguardo al piu' grave reato associativo (peraltro determinata nel minimo edittale, con massima riduzione per le circostanze attenuanti generiche concesse in regime di prevalenza) e gli aumenti a titolo di continuazione stabiliti dal g.u.p. con riguardo ai reati satelliti oggetto di giudizio - non rientravano, pertanto, nel devoluto alla Corte territoriale, sicche', da un lato, la violazione di legge non e' deducibile in sede di legittimita' e, d'altro lato, non puo' sul punto prospettarsi il vizio di motivazione, ricavandosi dal disposto di cui al citato articolo 606 c.p.p., comma 3, il principio secondo cui e' precluso dedurre per la prima volta in sede di legittimita' questioni di cui il giudice dell'impugnazione sul merito non era stato investito (cfr. Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Palmas e aa., Rv. 258553). In questa sede l'imputato potrebbe dolersi unicamente della misura dell'aumento di pena stabilito per il reato satellite rispetto al quale e' stato in appello riconosciuto il vincolo della continuazione, ma al riguardo non e' stata proposta specifica doglianza e, in ogni caso, la sentenza reca sul punto congrua e non illogica motivazione, in questa quindi non ulteriormente sindacabile. 2.2. Il motivo e' peraltro erroneamente formulato (perche', ad es., indica una pena base per il reato piu' grave diversa da quella determinata dalla sentenza impugnata) e rivela la sua manifesta infondatezza - e contraddittorieta' - nella parte in cui, a pag. 4, diversamente da quanto indicato nel petitum finale, si chiede a questa Corte, ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., lettera l), di "rideterminare la pena nella misura finale di anni 10 di reclusione", laddove la pena finale inflitta al ricorrente e' quella di anni nove e mesi uno di reclusione, ridotta in forza della diminuente connessa al giudizio abbreviato, ad anni sei e giorni 20 di reclusione. 3. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile. 3.1. Il primo motivo e' proposto per ragioni non consentite e connotato da genericita' e mancanza d'interesse. Dal primo punto di vista deve osservarsi che la critica svolta involge l'interpretazione data dalla Corte territoriale alle conversazioni telefoniche intercettate, che e' questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), potendo l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni essere oggetto di scrutinio soltanto nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea e aa., Rv. 268389), profili, questi, non ravvisabili nel caso di specie. In ogni caso - e l'argomento e' comunque assorbente - la sentenza, con giudizio di fatto non illogicamente motivato e in ricorso non specificamente contestato, ha ritenuto che, quand'anche l'evocato dialogo tra il ricorrente e (OMISSIS) dovesse interpretarsi nel senso che la cessione di stupefacente fosse avvenuta soltanto per meta' del quantitativo inizialmente concordato (vale a dire, 50 gr. di cocaina, piuttosto che 100 gr.), trattandosi di droga di ottima qualita' e destinata al taglio (come del pari logicamente argomenta la Corte territoriale), non sarebbe in ogni caso ravvisabile un fatto di lieve entita'. Va richiamato, pertanto, il principio secondo cui e' affetto da difetto di specificita', con violazione dell'articolo 581 c.p.p., il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448; Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, Melis e Bimonte, non massimata); sotto altro angolo visuale, ricorre negli stessi casi il difetto di concreto interesse ad impugnare, in quanto l'eventuale apprezzamento favorevole della (prima) doglianza non condurrebbe comunque all'accoglimento, del ricorso (Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, Koci, Rv. 254506). 3.2. Il secondo motivo e' in parte generico e comunque manifestamente infondato. Quanto al primo aspetto, va rilevata l'assoluta genericita' della stringata - ed incomprensibile - riproposizione in ricorso di doglianze mosse in appello contro la motivazione della sentenza di primo grado con riguardo a taluni specifici episodi, ai quali sarebbe "estranea" la figura del (OMISSIS). Va qui ribadito, difatti, il principio secondo cui e' inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l'omessa valutazione, da parte del giudice dell'appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimita', dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014, dep. 2015, B. e a., Rv. 264879; Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853-02; Sez. 2, n. 13951 del 05/02/2014, Caruso, Rv. 259704; Sez. 2, n. 9029 del 05/11/2013, dep. 2014, Mirra, Rv. 258962). In ogni caso, va rilevato che, nel confermare la corresponsabilita' del ricorrente con (OMISSIS) nelle cessioni di stupefacente contestate al capo C5, la motivazione della sentenza impugnata non puo' dirsi manifestamente illogica, essendo fondata su plurime - convergenti ed indipendenti - chiamate di correita' (vale a dire quelle dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS)), che il ricorrente in alcun modo contesta, e non soltanto su quella, al proposito particolarmente qualificante, del correo (OMISSIS) (sulla sufficienza dell'utilizzo delle plurime chiamate quale reciproco elemento di riscontro v., ex multis, Sez. 6, n. 47108 del 08/10/2019, Bombardino, Rv. 277393; Sez. 2, n. 35923 dell'11/07/2019, Campo, Rv. 276744), nonche' su specifici riscontri ricavati dalle conversazioni intercettate con riguardo ad alcuni episodi. La conclusione non e' incrinata, sul piano logico, dal fatto che per taluni episodi di spaccio contestati al (OMISSIS) in altri capi d'imputazione non sia stata in primo grado riconosciuta anche la corresponsabilita' del (OMISSIS): non essendovi stata sul punto impugnazione del pubblico ministero, il tema non e' stato devoluto alla Corte territoriale e non puo' quindi ravvisarsi alcuna contraddittorieta' nella sentenza impugnata. 3.3. Il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato ed irrimediabilmente generico. In diritto, va premesso che l'elemento differenziale tra l'ipotesi associativa Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 e quella del concorso ai sensi dell'articolo 110 c.p. e articolo 73 del citato testo unico risiede principalmente nell'elemento organizzativo, in quanto la condotta punibile a titolo di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non puo' ridursi ad un semplice accordo delle volonta', ma deve consistere in un quid pluris, che si sostanzia nella predisposizione di una struttura organizzata stabile che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Avelino e a., Rv. 270396). L'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di cui all'articolo precedente va individuato nel carattere stabile dell'accordo criminoso, e, quindi, nella presenza di un reciproco impegno alla commissione di una pluralita' di reati (Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, Di Palma e aa., Rv. 270564). La prova del vincolo permanente, nascente dall'accordo associativo, puo' essere data anche per mezzo dell'accertamento di fatta concludentia, quali i contatti continui tra i complici, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalita' esecutive (Sez. 5, n. 8033/2013 del 15/11/2012, Barbetta; Sez. 6, n. 9061/2013 del 24/09/2012, Cecconi e aa., Rv. 255312). Per la configurabilita' della condotta di partecipazione, in questi casi, non e' richiesto un atto di investitura formale, ma e' necessario che il contributo dell'agente risulti funzionale per l'esistenza stessa dell'associazione in un dato momento storico (Sez. 3, n. 22124 del 29/04/2015, Borraccino, Rv. 263662; Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, Amodio e aa., Rv. 257905). La sentenza impugnata ha fatto buon governo di tali principi ed il ricorrente non si confronta in alcun modo con la non illogica motivazione spesa a dimostrazione della sua affectio societatis, fondata sulle convergenti, ed indipendenti, dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) (la cui ritenuta attendibilita' e pregnanza non viene criticata dal ricorrente, che sul punto non spende parola) e su una chiarissima conversazione tra gli affiliati (OMISSIS) e (OMISSIS), in cui (OMISSIS), ancora al marzo del 2014, viene indicato come uno dei sodali aventi diritto alla spartizione dei guadagni ricavati dal traffico di stupefacenti gestito dall'associazione. La riconosciuta corresponsabilita' per la significativa - cessione di stupefacenti al sodalizio descritta al capo BC8 (dal ricorrente non fatta oggetto di censura), dunque, e' soltanto uno dei convergenti elementi addotti a sostegno della conclusione. Che, in epoca successiva - come riferito nelle dichiarazioni di (OMISSIS) riportate in ricorso - (OMISSIS) si sia staccato dal clan (OMISSIS) e' stato peraltro dichiarato anche dal collaboratore (OMISSIS), ma cio' ovviamente non esclude la sua affiliazione al sodalizio nel periodo precedente e, appunto, ancora al marzo 2014, come ricavabile dalla citata conversazione, e per tale ragione le dichiarazioni del (OMISSIS), particolarmente valorizzate in ricorso, non incrinano la logicita' della conclusione raggiunta nella sentenza impugnata (quest'ultimo, il cui ruolo nelle attivita' di spaccio e' stato ricostruito come strettamente subordinato al (OMISSIS), nel processo non ha peraltro contestato la propria qualifica di affiliato). 4. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile perche' proposto per ragioni non consentite e per manifesta infondatezza. Ci si limita infatti a reiterare le doglianze gia' avanzate con l'appello, adeguatamente vagliate e decise dalla sentenza impugnata con una motivazione non manifestamente illogica che non puo' essere in questa sede ulteriormente sindacata, non potendo questa Corte - com'e' noto - rivalutare la ricostruzione del fatto e la valutazione delle prove, operata nel medesimo senso da entrambi i giudici di merito con doppia decisione conforme, senza che possa ovviamente al proposito richiamarsi la provvisoria ed iniziale delibazione di opposto segno operata in sede di giudizio cautelare. Ed invero, il sindacato demandato alla Corte di cassazione deve limitarsi, per espressa volonta' del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilita' di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia possibile dedurre nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217). Alla Corte di cassazione sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507), cosi' come non e' sindacabile in sede di legittimita', salvo il controllo sulla congruita' e logicita' della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilita' delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Va poi ricordato che, in sede di ricorso per cassazione" sono generiche le doglianze che difettano della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568), posto che i motivi dell'impugnazione - che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli gia' dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito - si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838). E' dunque inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, atteso che quest'ultimo non puo' ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). 4.1. In particolare, argomentando non illogicamente sull'attendibilita' dei dichiaranti - ed in particolare di (OMISSIS) - la sentenza fonda la ritenuta appartenenza del ricorrente al sodalizio destinato al traffico di stupefacenti facente capo al clan (OMISSIS) sulle convergenti, ed indipendenti, dichiarazioni dei gia' citati collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), che lo hanno indicato come affiliato e subordinato in tale attivita' a tale "(OMISSIS)" ( (OMISSIS)), indicato dai dichiaranti come pure lui appartenente al clan (OMISSIS). Il fatto che - almeno nel presente processo - (OMISSIS) non sia imputato di aver aderito all'associazione non vale a screditare la ricostruzione operata, che trova conferma anche negli indizi che comprovano i contatti tra (OMISSIS) e diversi altri affiliati. Ne' puo' in questa sede criticarsi la ritenuta inattendibilita', sul punto, delle dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS). Quanto al primo - il quale, riporta la sentenza, aveva riferito che (OMISSIS) non si occupava di sostanze stupefacenti - ne e' stata ritenuta l'inattendibilita' sul punto sul non illogico rilievo della comprovata responsabilita' del ricorrente nei numerosi reati di spaccio al medesimo ascritti, non contestati neppure in ricorso se non con riguardo alla qualificazione giuridica. Quanto a (OMISSIS) - secondo il quale per il clan (OMISSIS) (OMISSIS) si limitava a compiere furti - la sentenza non illogicamente rileva, non gia' in forza di congetture, ma in base alle dichiarazioni dei due collaboratori di cui si e' detto, il carattere anche inverosimile di quell'assunto posto che l'attivita' illecita piu' redditizia del clan (OMISSIS) era proprio quella relativa al traffico di droga e che (OMISSIS) quell'attivita' certamente svolgeva come acclarato in processo con riguardo ai numerosi episodi di spaccio accertati, alcuni dei quali commessi in concorso con altri sodali, come (OMISSIS). In base ai principi di diritto esposti, queste non illogiche argomentazioni attinenti alla ricostruzione del fatto non possono essere in questa sede censurate. 4.2. Sulla scorta dei principi di diritto affermati supra, sub p. 3.2., la doglianza sull'omessa riqualificazione giuridica dei reati di spaccio e' parimenti inammissibile per evidente genericita', posto che lo scarno ricorso non affronta in alcun modo la ricostruzione dei fatti relativi ai cinque diversi capi di imputazione oggetto di doglianza, non consentendo a questa Corte di comprendere per quali ragioni si critica la motivazione spesa in sentenza per affermare la differente posizione del ricorrente rispetto a quella di taluno dei correi la cui condotta era stata invece qualificata come di lieve entita'. Il ricorrente si limita a rimandare alle censure svolte nell'appello, adducendo che le stesse non avrebbero trovato congrua risposta, senza tuttavia specificare, con riguardo a ciascun addebito, quali esse fossero. 4.3. Parimenti inammissibile per genericita' e manifesta infondatezza e' il terzo motivo di ricorso, non essendo manifestamente illogica - ne' specificamente contestata - l'affermazione secondo cui l'appartenenza del (OMISSIS) al sodalizio nel periodo in cui avvenne il conflitto a fuoco tra clan nell'ambito del quale fu commesso anche il tentato omicidio di cui piu' oltre si dira' rendeva evidente la sua consapevolezza circa il fatto che gli associati disponessero di armi. 4.4. Inammissibili, da ultimo, anche le residue doglianze sul trattamento sanzionatorio. Quanto all'impossibilita' di operare un diverso giudizio di bilanciamento tra circostanze per la riconosciuta recidiva reiterata, la stessa allegazione contenuta in ricorso da' ragione della correttezza della decisione assunta, posto che se la condanna in cui era stata ritenuta la precedente recidiva e' divenuta definitiva il 20 novembre 2013 la prosecuzione del reato associativo permanente in epoca successiva (sino al dicembre 2014) certamente legittima il riconoscimento dell'ipotesi di cui all'articolo 99 c.p., comma 4. Ed invero, come anche di recente si e' ritenuto in analoga fattispecie, ai fini della configurabilita' della recidiva reiterata e' necessario che il nuovo reato sia commesso dopo che le precedenti condanne siano divenute irrevocabili, in quanto l'autore del nuovo crimine deve essere in condizione di conoscere tutte le conseguenze derivanti dal proprio "status" di recidivo reiterato, ma e' comunque sufficiente che, successivamente a detta irrevocabilita', sia posta in essere anche solo una minima parte della condotta afferente al nuovo reato, sicche', quanto ai reati associativi, al proposito rileva la cessazione della permanenza (Sez. 3, n. 10219 del 15/01/2021, Rossi, Rv. 281381). Quanto alla quantificazione degli aumenti di pena per i reati satelliti, con giudizio di fatto incensurabile e non specificamente contestato - ne' in sede di appello, come attesta la sentenza, ne' in questa sede con riguardo all'unico profilo possibile di assenza, manifesta illogicita' o contraddittorieta' della motivazione - la Corte territoriale ne ha espressamente ritenuto la congruita'. Trattandosi, dunque, di valutazione di merito non contraddittoria ne' manifestamente illogica, la stessa non e' sindacabile in questa sede, considerato anche che, nel caso in cui si tratti, come nella specie, di un aumento assai contenuto e ben lontano dall'aumento medici che si sarebbe potuto effettuare ai sensi dell'articolo 81 c.p., e' sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (cfr., quanto all'analoga questione della determinazione della pena, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283,; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). 5. I tre motivi del ricorso proposto da (OMISSIS) sono inammissibili per manifesta infondatezza e genericita'. 5.1. Quanto al primo, il Collegio osserva che il ricorrente non contesta di non aver svolto specifiche doglianze (diverse da quelle svolte con riguardo al reato di cui al capo D2) per il capo D14, sicche', avendo la Corte territoriale risposto alle critiche sviluppate nell'impugnazione senza che la risposta sia stata contestata, non si comprende di cosa il ricorrente abbia a dolersi. Diversamente da quanto si allega in ricorso, poi, e' da notare che la sentenza di primo grado (pagg. 449 ss.) aveva addotto a sostegno dell'affermata responsabilita' per il reato di cui al capo D14 fonti di prova ed argomenti ben diversi dalla conversazione ambientale tra (OMISSIS) e (OMISSIS) posta a base dell'affermazione di responsabilita' per il capo D2, l'unica fatta oggetto di specifiche doglianze con l'appello e, conseguentemente, di analisi da parte della sentenza impugnata. 5.2. Quanto al secondo motivo, trattandosi dell'acquisto di circa 1 Kg. di hashish destinato alla cessione, e' del tutto logica l'esclusione della fattispecie di lieve entita', senza che ne incrini la tenuta il riferimento - all'evidenza sarcastico - fatto nella conversazione intercettata all'eventuale consumo personale della sostanza in difetto di cessione. 5.3. Quanto al terzo motivo di doglianza, la ritenuta congruita' degli aumenti di pena a titolo di continuazione per i due reati satelliti in materia di armi - determinati in misura non elevata e comunque ben inferiori alla meta' dell'aumento massimo consentito, sicche' non rileva il, peraltro generico, richiamo alla decisione resa dalle Sezioni unite di questa Corte, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269-01 - costituisce incensurabile giudizio di fatto e il ricorso non evidenzia elementi di valutazione favorevoli sottoposti al giudice di appello e da questi trascurati si' da poter in questa sede dimostrare il lamentato vizio di motivazione. 6. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' manifestamente infondato in relazione ad entrambi i motivi dedotti. 6.1. A fronte dell'intervenuta rinuncia ai motivi di appello concernenti la penale responsabilita', sulla Corte territoriale non incombeva al riguardo alcun onere motivazionale. 6.2. Quanto al giudizio di bilanciamento delle circostanze eterogenee, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, per il carattere globale di detto giudizio, il giudice di merito non e' tenuto a specificare le ragioni che hanno indotto a dichiarare la equivalenza piuttosto che la prevalenza, a meno che non vi sia stata una specifica richiesta della parte, con indicazione di circostanze di fatto tali da legittimare la richiesta stessa (Sez. 7, ord. n. 11210 del 20/10/2017, dep. 2018, Z., Rv. 272460) e tantomeno incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell'articolo 133 c.p. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Manzari e aa., Rv. 260415; Sez. 2, n. 4969 del 12/01/2012, Doku, Rv. 251809). Nel caso di specie, la sentenza conferma il giudizio di equivalenza in relazione ai precedenti specifici ed alla rilevanza del fatto ed il generico ricorso non indica elementi favorevoli di valutazione che siano stati trascurati, tale non essendo la natura della sostanza stupefacente oggetto di contestazione, che fonda la qualificazione giuridica del reato contestato ed e' stata gia' considerata dal legislatore nel prevedere i limiti edittali di pena. 7. Il ricorso di (OMISSIS) e' manifestamente infondato. Anche qui, a fronte dell'intervenuta rinuncia ai motivi di appello concernenti la penale responsabilita', sulla Corte territoriale non incombeva al riguardo alcun onere motivazionale, ne' il ricorrente adduce la sussistenza di elementi che avrebbero dovuto condurre alla pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'articolo 129 c.p.p.. 8. Il ricorso di (OMISSIS) e' manifestamente infondato, posto che il ricorrente si duole dell'omessa motivazione sulla determinazione della pena base per il piu' grave reato associativo in dieci anni di reclusione, che costituisce il minimo assoluto di legge per il reato di cui all'articolo 74, comma 2, t.u.s.. 8.1. La conclusione circa l'inammissibilita' del ricorso impedisce di valutare la richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, avanzata dal difensore in sede di discussione, in ordine al reato di furto aggravato commesso con violenza sulle cose (articolo 625 c.p., n. 2) e su cosa esposta per necessita' o consuetudine alla pubblica fede (articolo 625 c.p., n. 7), di cui al capo A6, per essere il medesimo divenuto improcedibile per mancanza di querela (come pure la subordinata richiesta di stralcio della posizione per verificare l'eventuale sussistenza della condizione di procedibilita'). E' ben vero che, in base all'articolo 624 c.p., comma 3, come sostituito dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 2, - efficace a far tempo dal 30 dicembre 2022 - il reato di furto aggravato addebitato all'imputato, procedibile d'ufficio in base alla previgente disposizione, e' divenuto procedibile soltanto a querela della persona offesa, salvo che questa sia incapace per eta' od infermita'. Ed e' parimenti certo, in forza di consolidato orientamento, che il piu' favorevole regime di procedibilita' integra una lex mitior di natura anche sostanziale, applicabile, ai sensi dell'articolo 2 c.p., comma 4, laddove la nuova legge sopravvenga prima della formazione del giudicato (Sez. 5, n. 22143 del 17/04/2019, D., Rv. 275924; Sez. 2, n. 21700 del 17/04/2019, Sibio, Rv. 276651), mentre, non trattandosi di abolitio criminis, non e' idonea a determinare la revoca di una pronuncia di affermazione di responsabilita' gia' divenuta definitiva (Sez. 1, n. 1628 del 03/12/2019, dep. 2020, Cela, Rv. 277925). Nel caso di specie, tuttavia, il ricorrente non ha dimostrato - ne', per vero, specificamente allegato - l'insussistenza della proposizione della querela (che, quand'anche illo tempore presentata, trattandosi di reato in allora procedibile d'ufficio non si sarebbe potuta ovviamente inserire nel fascicolo per il dibattimento: cfr. articolo 431 c.p.p.). Occorre considerare, inoltre, che, in forza del Decreto Legislativo n. 150 del 2022, articolo 85, comma 1, "per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato". Alla data della presente sentenza, pertanto, il termine di tre mesi per proporre la querela eventualmente a suo tempo non proposta - decorrente, come si e' visto, dal 30 dicembre 2022 non e' ancora decorso. Cio' considerato, il Collegio rileva come, allo stato, non risulti la mancata proposizione della querela - peraltro, ancora possibile - tale da poter condurre ad affermare la sussistenza dell'improcedibilita' dell'azione penale a norma dell'articolo 129 c.p.p. e l'inammissibilita' del ricorso e le regole del giudizio di legittimita' non consentono a questa Corte di effettuare alcun tipo di accertamento sull'eventuale proposizione della stessa, ne' di sospendere il giudizio in attesa che maturi il tempo fissato dalla citata disposizione intertemporale per consentire alla persona offesa, che eventualmente gia' non l'avesse fatto, di manifestare la volonta' di procedere (cfr. Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551-01). Ed invero, il Collegio condivide i rilievi contenuti nella motivazione della sentenza da ultimo citata (p. 5), ove si osserva che nel giudizio di legittimita' la mancanza di una condizione di procedibilita' va trattata come una questione di fatto, soggetta alle regole della autosufficienza del ricorso (Sez. 6, n. 44774 del 08/10/2015, Raggi, Rv. 265343) ed ai limiti dei poteri di accertamento della Cassazione (Sez. 3, n. 39188 del 14/10/2010, S., Rv. 248568), sicche' non puo' dirsi che la declaratoria di inammissibilita' del ricorso sia destinata ad essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessita' di verifica dello stato della condizione di procedibilita' come richiesta dalla normativa subentrata. Del resto, com'e' noto, il Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-bis, introdotto in sede di conversione dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, nel sostituire il Decreto Legislativo n. 150 del 2022, articolo 85, comma 2, ha soppresso l'obbligo del giudice procedente, prima previsto, di informare la persona offesa dal reato gia' procedibile d'ufficio e per il quale sia stata esercitata l'azione penale della facolta' di esercitare il diritto di querela. 8.2. Le considerazioni che precedono valgono, ovviamente, anche per gli analoghi casi che riguardano diversi altri ricorrenti, parimenti imputati di reati che il Decreto Legislativo n. 150 del 2022 ha reso procedibili a querela, le cui impugnazioni siano inammissibili. 9. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile per manifesta infondatezza e genericita', posto che il ricorrente in alcun modo si confronta con le numerose fonti di prova esposte in sentenza a dimostrazione del suo concorso nell'attivita' di spaccio diretta da (OMISSIS). Queste fonti di prova, dunque, rivelano - attesta non illogicamente la sentenza - l'inattendibilita' di quest'ultimo allorquando tenta di ridimensionare l'apporto dato dal (OMISSIS) (da lui definito "un fratello") all'attivita' di spaccio. Ne' la sentenza puo' ovviamente dirsi contraddittoria nella parte in cui accogliendo lo specifico motivo d'appello proposto sul punto - ha ridotto il trattamento sanzionatorio, non essendo peraltro cio' stato posto in diretta correlazione con le dichiarazioni rese dal (OMISSIS). 10. Inammissibile e' anche il ricorso proposto da (OMISSIS). 10.1. Il primo motivo e' generico e manifestamente infondato poiche' ci si limita a reiterare la doglianza proposta con l'appello e gia' adeguatamente e correttamente vagliata dalla Corte territoriale, senza un reale confronto con le ragioni addotte a sostegno dell'impossibilita' di riqualificare come violazione dell'articolo 73, comma 5, t.u.s. il reato continuato ascritto all'imputato. La sentenza, di fatti, ha operato buon governo del risalente principio affermato sin da quando il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, configurava, con gli stessi presupposti contenuti nella norma oggi vigente, una circostanza attenuante - secondo cui la fattispecie del fatto di lieve entita' puo' essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensivita' penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalita', circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l'eventuale presenza degli altri (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera e aa., Rv. 216668; Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256610; Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco e aa., Rv. 264491). Questo consolidato orientamento ha trovato nuova conferma in una piu' recente decisione assunta dalle Sezioni Unite, ove si e' ulteriormente puntualizzato che la diversita' di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non e' di per se' ostativa alla configurabilita' del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in quanto l'accertamento della lieve entita' del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (Sez. U., n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076). Or bene, diversamente da quanto allega il ricorrente, la sentenza non ha negato l'invocata riqualificazione soltanto sulla base della diversita' delle sostanze cedute dall'imputato e dai suoi complici, ma ha doverosamente vagliato quell'elemento unitamente agli altri acquisiti, non illogicamente ricostruendo anche alla luce della rinuncia dell'imputato a coltivare i motivi di appello sull'affermata corresponsabilita' per il reato continuato ascrittogli - il concorso in una continuativa e particolarmente lucrosa attivita' di spaccio e di rifornimento di sostanze stupefacenti di natura diversa in favore di una vasta platea di assuntori, ritenuta, con valutazione di merito qui non altrimenti sindacabile, come incompatibile con il fatto di lieve entita'. 10.2. Il secondo motivo di ricorso e' manifestamente infondato, avendo la sentenza spiegato - senza che il ricorrente muova al proposito contestazioni che il giudizio di prevalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche era impedito, ex articolo 69 c.p., u.c. dall'essere stata riconosciuta la contestata recidiva reiterata. 11. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile in relazione a tutti i motivi proposti. 11.1. Quanto al primo motivo, giusta m principi di diritto piu' sopra riportati (p. 4), il ricorso e' irrimediabilmente generico, limitandosi a reiterare in questa sede le doglianze proposte con l'appello e dalla Corte territoriale decise con motivazione non illogica e corretta in diritto dalla Corte territoriale (v. supra, sub p. 3.3.), senza che il ricorrente si confronti seriamente con gli argomenti addotti. Ed invero: le due sentenze di merito attestano essere intervenuta ampia ammissione di responsabilita' da parte del ricorrente circa la condotta di partecipazione al sodalizio criminale (circostanza in alcun modo contestata); il ricorrente e' stato ritenuto responsabile (senza che la decisione sia stata sul punto censurata) per numerosi reati-fine commessi in concorso con diversi esponenti, anche di spicco, dell'associazione criminale, sicche' vale il consolidato principio, correttamente applicato dalla sentenza impugnata, giusta il quale, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la ripetuta commissione, in concorso con altri partecipi, di reati-fine dell'associazione, puo' integrare l'esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla partecipazione al reato associativo, suscettibili di essere superati solo con la prova contraria dell'assenza di un vincolo preesistente con i correi (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, Di Maggio, Rv. 279505-02; Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, Prota, Rv. 265346); il contesto in cui il ricorrente presto' soccorso al sodale (OMISSIS), allorquando quesito fu ferito in uno scontro con un esponente di un clan rivale, e, soprattutto, i dialoghi intercettati che lo hanno coinvolto quali ricostruiti nella sentenza impugnata, supportano la logicita' della ritenuta intraneita' del medesimo al sodalizio; in modo analogo convergono le intercettazioni concernenti i non contestati reati di detenzione di armi; gli elementi sopra indicati, dunque, riscontrano in modo inoppugnabile le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), del quale si contesta del tutto genericamente il mancato vaglio di attendibilita'; contrariamente a quanto indicato in ricorso, da ultimo, la sentenza non ha contraddittoriamente affermato che al ricorrente si sarebbe dovuta contestare la partecipazione ad un'associazione a delinquere semplice, piuttosto che ad un'associazione ex articolo 74 t.u.s., avendo la Corte territoriale precisato, invece, che la prima contestazione si sarebbe piuttosto dovuta aggiungere alla seconda, qui sub iudice e certamente provata anche con riguardo alla partecipazione di (OMISSIS). 11.2. Del tutto generico e' pure il secondo motivo di ricorso, nella cui esposizione parimenti non ci si confronta con l'articolata motivazione contenuta nella sentenza impugnata (pagg. 83-86) che - richiamando anche i dialoghi intercettati tra il ricorrente e il sodale (OMISSIS) - ha non illogicamente argomentato la consapevolezza del (OMISSIS) che il denaro preteso da (OMISSIS) con minaccia nei confronti del debitore (OMISSIS), obbligato nei confronti di tale (OMISSIS) in forza di canoni di locazione non pagati, denaro di cui il ricorrente fu in parte esattore, fosse frutto di un'estorsione. La conclusione e' stata correttamente argomentata sia per il metodo spiccatamente antigiuridico e mafioso con cui il debitore fu costretto a pagare (attentamente ricostruito in sentenza), sia perche' (OMISSIS) agiva al fine di conseguire un proprio illecito profitto, ben noto al suo complice (OMISSIS) al pari del metodo mafioso utilizzato, come ricavato dalla richiamata conversazione intercettata, cio' che in radice esclude la possibilita' di configurare il delitto di cui all'articolo 393 c.p. (cfr., da ultimo, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027..03). 11.3. Quanto alla quantificazione degli aumenti di pena per i reati satelliti, con giudizio di fatto incensurabile e non specificamente contestato, la Corte territoriale ha ritenuto congrua una parziale riduzione rispetto alla determinazione fattane in primo grado. Trattandosi, dunque, di valutazione di merito non manifestamente illogica, la stessa non e' sindacabile in questa sede, considerato anche che, nel caso in cui si tratti, come nella specie, di un aumento contenuto e ben lontano dall'aumento medio che si sarebbe potuto effettuare ai sensi dell'articolo 81 c.p., e' sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (cfr., quanto all'analoga questione della determinazione della pena, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). 12. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile per manifesta infondatezza e genericita'. A fronte dell'intervenuta rinuncia ai motivi di appello concernenti la penale responsabilita', sulla Corte territoriale non incombeva al riguardo alcun onere motivazionale, ne' il ricorrente adduce la sussistenza di elementi che avrebbero dovuto condurre alla pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'articolo 129 c.p.p.. 13. Il ricorso di (OMISSIS) e' - come gia' l'appello, secondo quanto si legge nella sentenza impugnata - assolutamente generico e pertanto parimenti inammissibile, poiche' il ricorrente non si confronta con le fonti di prove analizzate dai giudici di merito e dalle quali gli stessi, con valutazione globale aderente ai principi giurisprudenziali in materia (v. supra, sub p. 10.1), hanno tratto la prova di transazioni illecite riferite anche ad elevati quantitativi di droga, pure di cocaina, non illogicamente ritenute incompatibili con il fatto di lieve entita'. 14. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile, giusta la preclusione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 3, ult. parte, trattandosi vizio di motivazione connesso ad una violazione di legge non dedotta nei motivi d'appello quali ricostruiti in sentenza a pag. 44. Deve ribadirsi, al proposito, che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l'atto d'appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066). Nella specie il ricorso ha mosso sul punto una contestazione generica, limitandosi a rilevare che il ricorrente aveva invocato la riqualificazione giuridica del fatto ai sensi dell'articolo 73, comma 5, t.u.s. Il conseguente, doveroso, esame dell'atto d'appello da parte del Collegio ha tuttavia consentito di constatare come quella doglianza non fosse invece stata avanzata con l'atto di appello o con motivi aggiunti presentati nel termine di cui all'articolo 585 c.p.p., comma 4, essendo il relativo tema stato introdotto - non tempestivamente - soltanto con la memoria depositata all'udienza del giudizio di appello del 14 luglio 2021. 15. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile in relazione ad entrambi i motivi dedotti. 15.1. Quanto al primo motivo, le doglianze sono generiche, manifestamente infondate e sottendono una diversa ricostruzione del fatto inammissibile in sede di legittimita', non potendo la motivazione dirsi manifestamente illogica. Ed invero, il ricorrente trascura di considerare - ed in alcun modo si confronta con questa parte di motivazione - che il ruolo del ricorrente come complice e, anzi, "manovratore", di (OMISSIS) nell'attivita' di spaccio e' stato concordemente riferito da numerosi collaboratori, sicche' gli indizi tratti dalle conversazioni intercettate hanno semplicemente costituito un forte riscontro di quelle dichiarazioni e la prova della responsabilita' del ricorrente non puo' certo dirsi tratta da un unico indizio rappresentato dal "locus" in cui furono sorpresi i correi. Del pari generica e non consentita in sede di legittimita' e' la contestazione circa l'interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate, laddove, come nella specie, sorretta da motivazione non manifestamente illogica (v. supra, sub p. 3.1.), come manifestamente infondata e' la doglianza che le stesse siano state utilizzate benche' intercorse tra terze persone, non essendo cio' ostativo al loro impiego come fonte di prova (cfr. Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv. 268414). 15.2. Quanto al diniego della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4, pur essendo la stessa applicabile ad ogni tipo di delitto commesso per motivi di lucro, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, va ribadita la necessita' che la speciale tenuita' riguardi sia il lucro, perseguito o conseguito, sia l'evento dannoso o pericoloso (Sez. 5, n. 27874 del 27/01/2016, Rapicano, Rv. 267357). Nel caso di specie, con motivazione non manifestamente illogica e solo genericamente contestata, la Corte territoriale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti da ultimo indicati per il riconoscimento dell'attenuante, sul rilievo che condotta di spaccio era ripetuta e relativa anche a quantitativi non esigui di sostanza. Trattandosi di valutazione di merito non illogicamente argomentata, la stessa si sottrae a censura in questa sede di legittimita' (per l'esclusione dell'attenuante nel caso di condotta espressione di una consueta e costante modalita' di guadagno per l'imputato v. Sez. 6, n. 36868 del 23/06/2017, Taboui, Rv. 270671). 16. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile per genericita' e manifesta infondatezza, non confrontandosi il ricorrente con le logiche affermazioni con cui la sentenza impugnata (pag. 94), analizzando le fonti di prova, ha ricostruito il ruolo concorsuale del ricorrente nell'attivita' di spaccio posta in essere secondo le direttive del correo (OMISSIS) come tutt'altro che di minima importanza, ritenendolo, per contro, determinante nel prelevamento e nella consegna dello stupefacente oggetto di cessione. 17. I pressoche' identici ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) sono nel complesso infondati. 17.1. Quanto al primo motivo, in diritto occorre premettere che, in tema di omicidio tentato, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell'imputato, la prova del dolo ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialita' offensiva, siano i piu' idonei ad esprimere il fine perseguito dall'agente (Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, Polisi, Rv. 257208), sicche', ai fini dell'accertamento della sussistenza dell'animus necandi, assume valore determinante l'idoneita' dell'azione - che nella specie i ricorrenti non contestano sul piano causale - la quale va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata ex post ma con riferimento alla situazione che si presentava ex ante all'imputato, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso (Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Comelli, Rv. 275012). In mancanza di circostanze che evidenzino ictu oculi l'animus necandi, la valutazione dell'esistenza del dolo omicidiario puo' essere raggiunta attraverso un procedimento logico d'induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l'intensita' dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l'azione cruenta (Sez. 1, n. 28175 del 08/06/2007, Marin, Rv. 237177), nonche' il comportamento antecedente e susseguente al reato, la reiterazione dei colpi e tutti quegli elementi che, secondo quod plerumque accidit, abbiano un valore sintomatico (Sez. 1, n. 15023 del 14/02/2006, Piras e aa., Rv. 234129). Reputa pertanto il Collegio che, nell'affermare l'animus necandi sulla base della ricostruzione del fatto - in questa sede incensurabile - operata in base agli elementi di prova acquisiti, la sentenza impugnata abbia fatto buongoverno degli esposti principi e rechi una motivazione non manifestamente illogica a sostegno di una valutazione di merito che non puo' essere altrimenti sindacata nel giudizio di legittimita' (v. supra, sub p. 4). Ed invero, del tutto correttamente la sentenza ha valorizzato elementi che, diversamente da quanto allegano i ricorrenti, non sono "inconsistenti", ne' "neutri", vale a dire: l'antecedente all'agguato mafioso che i due ricorrenti, su mandato del capo (OMISSIS), effettuarono nei confronti dei fratelli (OMISSIS), esponenti di un clan rivale, vale a dire l'accoltellamento di (OMISSIS), genero del (OMISSIS) e pure lui affiliato al clan (OMISSIS), per mano di (OMISSIS), che determino' il ricovero in ospedale del (OMISSIS), in prognosi riservata, per le ferite inferte (alla gamba ed alla schiena: "due millimetri dal polmone", commentarono i sodali nelle conversazioni intercettate); la massima di comune esperienza in ambito mafioso giusta la quale la vendetta - che nella specie immediatamente segui' - non poteva limitarsi ad un "avvertimento", ma doveva essere proporzionata all'offesa arrecata (la conforme sentenza di primo grado, a pag. 21, riporta peraltro il ribadito e chiarissimo proposito omicidiario manifestato dalla vittima (OMISSIS), davanti ai suoi sodali, subito dopo il suo ferimento: "lo devo uccidere...Madonna se non lo uccidono a questo oggi"); l'immediata e cruenta reazione di vendetta che, appunto, (OMISSIS) ordino' ai suoi sottoposti, dicendo loro di armarsi con due pistole, e che questi prontamente eseguirono ponendosi poi alla ricerca di (OMISSIS); la sparatoria ai danni di quest'ultimo, quella stessa sera, per mano dei due ricorrenti ed in particolare di (OMISSIS), il quale, avvertito da (OMISSIS) che (OMISSIS) stava per aggredirlo da tergo, lo raggiunse dopo che questi si era nascosto dietro un'autovettura ed esplose al suo indirizzo un colpo, attingendolo di striscio, e provo' immediatamente a sparargli di nuovo, senza tuttavia riuscire nell'intento perche' la pistola si inceppo' (si tratta della dinamica riferita ad un'amica, in un colloquio intercettato il giorno successivo, da (OMISSIS), moglie dell'imputato (OMISSIS), che aveva appreso il fatto dall'interessato (OMISSIS), a cui subito dopo ella aveva dato ospitalita' a casa sua: v. anche sentenza di primo grado, pagg. 29 ss.; la dinamica di un primo sparo che attinse "di striscio" (OMISSIS) e del tentativo di esplosione di un altro colpo, impedito dall'inceppamento dell'arma, e' stata confermata da numerose altre attendibili fonti di prova dettagliatamente richiamate nelle sentenze di primo e secondo grado); il successivo ordine nuovamente impartito a poche ore di distanza dal fatto dal capo (OMISSIS), informato di quanto accaduto, di far riparare la pistola che si era inceppata, manifestando il suo proposito omicida ad un altro sodale (" (OMISSIS) deve sparire di qua": su questo elemento i ricorsi tacciono); la "resa" dei (OMISSIS), inizialmente rifiutata dal clan (OMISSIS), come emerge dalle dichiarazioni, intercettate, fatte da Domenico (OMISSIS) ad un altro sodale ("adesso stanno chiusi...non escono piu'...e' mandato a dire che vogliono fare la pace...che pace devi fare-...quello stava morendo il ragazzo...(n. d.v. riferito a (OMISSIS))). La ricostruzione e valutazione del fatto nei termini piu' sopra riassunti non e' inficiata dalle altre critiche che i ricorrenti muovono alla sentenza, posto che: avendo gli appellanti rinunciato al motivo con cui invocavano la legittima difesa, non rileva se (OMISSIS) disponesse o no, in quel frangente, di un'arma - comunque certamente non utilizzata, chiosa non illogicamente la sentenza - sicche' e' generica la doglianza al proposito svolta circa il travisamento della conversazione ambientale tra le due donne e delle dichiarazioni rese dal collaboratore (OMISSIS), come pure quella sulla risposta, comunque non manifestamente illogica, data dalla Corte territoriale a giustificazione del proprio convincimento circa il fatto che, non avendo (OMISSIS) esploso alcun colpo, deve invece ritenersi "altamente probabile" che la vittima non disponesse di un'arma da fuoco ma, semmai, soltanto di un coltello (lo stesso poco prima utilizzato per aggredire (OMISSIS)); quanto al fatto che il primo, ed unico, colo esploso prima dell'inceppamento della pistola attinse "di striscio" (OMISSIS), si tratta di circostanza che, con doppia decisione conforme, i giudici di primo e di secondo grado hanno concordemente ricostruito in base a plurime fonti di prova (v. pag. 99 sentenza impugnata) e la contestazione di travisamento probatorio mossa sul punto richiamando genericamente le dichiarazioni (de relato) del collaboratore (OMISSIS) non vale a screditare la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito e la conseguente, non illogica, conclusione ricavatane circa l'idoneita' omicidiaria dell'azione e la prova dell'animus necandi; del resto - e il rilievo e' comunque assorbente - non rileva indagare se quel colpo d'arma da fuoco "di striscio" (dunque, per pochissimo non andato a segno) abbia o meno provocato alla persona offesa una (piu' o meno profonda) ferita, poiche', secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte in tema di tentato omicidio, la scarsa entita' (o anche l'inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere di per se' l'intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volonta' dell'agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa (Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702); sul piano dell'elemento psicologico, va inoltre considerato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il dolo diretto, anche nella sua forma di dolo alternativo, che ricorre quando il soggetto agente prevede e vuole indifferentemente due eventi alternativi tra loro come conseguenza della sua condotta, e' compatibile con il tentativo (Sez. 1, n. 9663 del 03/10/2013, dep. 2014, Rv. 259465; Sez. 1, n. 43250 del 13/04/2018, Alfieri, Rv. 274402). 17.2. Per quanto appena osservato e' infondato anche il secondo motivo dei ricorsi in esame, essendo chiare - e non manifestamente illogiche - le ragioni che, a fronte della ritenuta idoneita' omicidiaria dell'azione di sparo e del ricostruito animus necandi, hanno indotto la Corte territoriale ad escludere, senza necessita' di svolgere ulteriori argomentazioni, l'alternativa qualificazione giuridica del fatto come tentate lesioni proposta dagli appellanti. 17.3. Il terzo motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) e' proposto per ragioni non consentite e manifestamente infondato, essendo noto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalita' del giudice di merito ed e' necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia superiore alla misura media di quella edittale (cfr. Sez. 2, del 27/04/2017, Mastro e a., Rv. 271243). Quando - come nella specie - venga determinata una pena base leggermente superiore al minimo edittale (vale a dire, otto anni di reclusione rispetto al minimo di sette anni, peraltro ridotta rispetto alla pena determinata in primo grado), non e' dunque necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). 18. Per le medesime ragioni appena esposte e' inammissibile anche il ricorso proposto da (OMISSIS). Al di la' del rilievo (ininfluente) circa il ritenuto errore in bonam partem in cui, secondo la sentenza impugnata, era incorso il primo giudice e del richiamo alla previsione contenuta nell'articolo 81 c.p., u.c., (giustamente ritenuta ostativa all'accoglimento della richiesta di applicazione di un aumento di mesi due di reclusione per ciascun reato), la sentenza attesta espressamente che l'aumento di mesi quattro di reclusione per ciascuno dei reati satelliti risulta "ampiamente congruo". Trattandosi di aumento ben lontano dalla meta' dell'aumento massimo praticabile (pari al triplo della pena determinata per il reato base), in forza dei principi piu' sopra richiamati (p. 11.3) la decisione di merito e' incensurabile in questa sede. 19. Certamente inammissibile - tanto che si sarebbe potuto procedere anche de plano, ai sensi dell'articolo 610 c.p.p., comma 5-bis, - e' il ricorso proposto da (OMISSIS), il quale, ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p., ha concordato la pena, non certo illegale, della cui misura in questa sede si duole. Di fatti, per consolidato orientamento di questa Corte, affermato sulla scia di indirizzo elaborato con riferimento all'articolo 599 c.p.p., comma 4, prima che lo stesso fosse abrogato, e che resta applicabile all'attuale concordato ex articolo 599-bis c.p.p., ove sostanzialmente si ripropone il precedente strumento deflattivo, l'accordo delle parti in ordine ai punti concordati implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimita' ogni diversa doglianza, fatta eccezione per i motivi relativi alla formazione della volonta' della parte di accedere al concordato nonche' al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono certamente inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p. ed, altresi', a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalita' della stessa (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, Rv. 278170; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Mariniello, Rv. 276102; Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, dep. 2019, Alessandria, Rv. 275234). 20. Del pari ictu oculi inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che, in modo assolutamente generico e senza indicazione alcuna dei motivi di fatto e/o di diritto che sostengono la laconica doglianza, lamenta incomprensibilmente la mancata valutazione circa la sussistenza di cause di non punibilita' ex articolo 129 c.p.p., a fronte di una motivazione - in alcun modo contestata - che del tutto logicamente ne conferma la penale responsabilita' per il reato ascritto. 21. In conclusione, per quanto sopra osservato, i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) debbono essere rigettati perche' complessivamente infondati, con condanna dei suddetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali. I restanti ricorsi debbono invece essere dichiarati inammissibili. Alla declaratoria di inammissibilita', tenuto conto della sentenza Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00 per ciascun ricorrente. P.Q.M. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i restanti ricorsi e condanna i relativi ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. MICCOLI Grazia - rel. Consigliere Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. MOROSINI Elisabetta - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI TORINO; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento a carico di questi ultimi; (OMISSIS), nato a (OMISSIS); inoltre: REGIONE AUTONOMA VALLE D'AOSTA; COMUNE DI AOSTA; COMUNE DI SAINT PIERRE; ASSOCIAZIONE "LIBERA ASSOCIAZIONI, NOMI E NUMERI CONTRO LE MAFIE APS"; avverso la sentenza del 19/07/2021 della CORTE di APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Grazia Rosa Anna Miccoli; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. Venegoni Andrea, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi; udito l'avvocato (OMISSIS), difensore della parte civile Associazione "LIBERA. ASSOCIAZIONI, NOMI E NUMERI CONTRO LE MAFIE APS", che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi proposti a difesa degli imputati e l'accoglimento del ricorso del Procuratore Generale territoriale; ha depositato nota - spese e conclusioni; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di (OMISSIS), che si sono associati alle conclusioni del Procuratore Generale e hanno chiesto la conferma della sentenza impugnata; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di (OMISSIS), che si sono riportati ai motivi del ricorso e hanno insistito per l'accoglimento dello stesso; hanno, altresi', richiesto il rigetto del ricorso del Procuratore Generale territoriale; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di (OMISSIS) e (OMISSIS), che si sono riportati ai motivi dei ricorsi e hanno insistito per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19 luglio 2021 la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la pronunzia di primo grado con la quale, per quanto qui di interesse, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati ritenuti responsabili del reato di cui all'articolo 416 bis c.p. ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), di concorso esterno nella stessa associazione ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) e di scambio elettorale politico - mafioso ( (OMISSIS)). 1.1. Il reato di associazione (contestato al capo 1) afferisce alla "struttura delocalizzata e territoriale della âEuroËœndrangheta, denominata "locale", operativa sul territorio di Aosta e zone limitrofe, caratterizzato dalla presenza di appartenenti alle âEuroËœndrine dei (OMISSIS), dei (OMISSIS), dei (OMISSIS) e dei (OMISSIS), con struttura organizzativa e ripartizione degli associati in ruoli di vertice (come quello di "capo locale"), ruoli subordinati ("picciotto", "camorrista" e "sgarrista"), con regole interne e riti di affiliazione, associazione che si avvaleva della forza d'intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta' che ne derivava, per commettere delitti e per acquisire, in modo diretto e indiretto, la gestione o comunque il controllo di attivita' economiche". Secondo l'ipotesi accusatoria: " (OMISSIS), aveva il ruolo di partecipe, in quanto si metteva a disposizione di chi svolgeva ruoli e compiti direttivi ed organizzativi, come (OMISSIS) e (OMISSIS), partecipava alle discussioni ed alle dinamiche relative ai momenti essenziali per la vita dell'associazione, discuteva con gli esponenti di vertice del sodalizio in merito alla commissione dei reati fine, interveniva per risolvere i problemi di soggetti contigui al sodalizio, si recava in Calabria a portare informazioni ed "ambasciate" necessarie per la vita del sodalizio, entrava a far parte di una loggia massonica per incrementare la rete di relazioni e contatti con esponenti della societa' civile e consolidare la presenza su territorio, si candidava alle elezioni per il Consiglio Comunale di Aosta del maggio 2015 ove veniva eletto anche con i voti del sodalizio"; " (OMISSIS), svolgeva ruoli di promozione, direzione ed organizzazione, in quanto interveniva a favore di soggetti contigui e vicini all'associazione che si trovavano in difficolta' con soggetti estranei alla compagine associativa, sovrintendeva e controllava il comportamento dei giovani calabresi residenti in (OMISSIS), decideva le strategie finalizzate a garantire l'appoggio elettorale ai candidati alle competizioni elettorali locali e regionali, controllava che i lavori nel settore dell'edilizia privata venissero assegnati alle ditte da loro indicate ed interveniva in prima persona per ottenere tale risultato, interveniva per condizionare l'azione di alcuni amministratori locali del Comune di Saint Pierre, entrava a far parte di una loggia massonica per incrementare la rete di relazioni e contatti con esponenti della societa' civile e consolidare la presenza su territorio, inviava ambasciate per conto di altri appartenenti al sodalizio, partecipava alla commissione di reati fine in materia elettorale"; " (OMISSIS), aveva il ruolo di partecipe, in quanto si metteva a disposizione di chi svolgeva ruoli e compiti direttivi ed organizzativi, in particolare di (OMISSIS), eseguendo le direttive impartite da questi per la definizione delle vicende che coinvolgevano gli interessi dell'associazione, partecipava alle discussioni ed alle dinamiche relative ai momenti essenziali per la vita dell'associazione, recapitava informazioni ed "ambasciate" per conto e su richiesta di (OMISSIS)". La contestazione e' stata cosi' formulata quanto al luogo e alla data di commissione del reato: "In Aosta, a partire quantomeno dal gennaio 2014 per tutti gli indagati e reato ancora in corso". 1.2. A (OMISSIS) e' stato ascritto il reato di cui al capo 2), "perche' concorreva nell'associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta contestata al capo 1)- in particolare, al "locale" di Aosta- consentendo alla predetta associazione - nei cui confronti manteneva una posizione di autonomia, agendo per tornaconto personale e tuttavia con la consapevolezza di contribuire cosi' alla permanenza ed al consolidamento del sodalizio criminoso- di conseguire le sue finalita' e di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di concessioni, appalti o attivita' economiche. In particolare, dopo aver ricevuto, in occasione delle elezioni per il Consiglio comunale di (OMISSIS), svoltesi il (OMISSIS), l'appoggio elettorale da parte di (OMISSIS) in qualita' di esponente di vertice dell'associazione di tipo mafioso descritta al capo 1), dopo essere stata eletta consigliere comunale ed essere stata nominata Assessore alla Programmazione Finanze e Patrimonio del predetto Comune: -Si rivolgeva a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), appartenenti all'associazione di cui al capo 1), chiedendo loro di intervenire con metodo intimidatorio per comporre le tensioni ed i contrasti che aveva con altri Assessori alla Giunta del Comune di Saint Pierre e, in particolare, con (OMISSIS); -Si rivolgeva a (OMISSIS) e (OMISSIS), appartenenti all'associazione di cui al capo 1), chiedendo loro di incontrare il Sindaco del Comune di (OMISSIS) per comporre le tensioni ed i contrasti che aveva con gli altri componenti della Giunta Comunale; -Comunicava a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che gli Assessori (OMISSIS) e (OMISSIS) erano intenzionati a non rinnovare il contratto di affidamento diretto per il servizio di trasporto scolastico alla ditta " (OMISSIS)" di (OMISSIS), cognato di (OMISSIS), la cui scadenza era prevista per il mese di giugno 2016, e li teneva costantemente informati sulle intenzioni degli altri componenti della Giunta Comunale, comunicando loro notizie in merito alle determinazioni che la Giunta Comunale stava discutendo. In Aosta, dal mese di maggio 2015, reato ancora in corso.". 1.3. A (OMISSIS) il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa e' stato ascritto (capo 4) "perche'.... dopo aver ricevuto, in occasione delle elezioni per il Consiglio comunale di Aosta svoltesi il (OMISSIS), l'appoggio elettorale di (OMISSIS) in qualita' di esponente di vertice dell'associazione di tipo mafioso descritta al capo 1), dopo essere stato eletto consigliere comunale ed essere stato nominato Assessore alle politiche sociali del predetto Comune: teneva costantemente informato (OMISSIS), esponente di vertice dell'associazione di cui al capo 1), di quanto accadeva all'interno della Giunta Comunale di Aosta, e, in particolare, delle delibere e delle decisioni oggetto di discussione, dando corso e seguito ai suggerimenti ed alle indicazioni che (OMISSIS) gli comunicava; - interveniva su richiesta di (OMISSIS), esponente di vertice dell'associazione di cui al capo 1), per risolvere problemi di varia natura (in materia di lavoro e di rapporti con l'azione amministrativa del Comune) che gli appartenenti alia comunita' calabrese residenti in (OMISSIS) prospettavano allo stesso (OMISSIS); - si rivolgeva a (OMISSIS), esponente di vertice dell'associazione di cui al capo 1), dando seguito ai suggerimenti ed ai consigli che (OMISSIS) gli dava per la soluzione del problema sorto per l'uso degli spazi espositivi tra gli artigiani calabresi interessati ad esporre i propri prodotti ad Aosta in occasione della (OMISSIS) del 2017 e gli enti locali valdostani; - si rivolgeva a (OMISSIS), esponente di vertice dell'associazione di cui al capo 1), per gestire le tensioni ed i conflitti sorti all'interno della Giunta Comunale e della maggioranza in Consiglio Comunale in occasione della donazione di alcuni mobili ed arredi donati dallo stesso (OMISSIS) al comune di (OMISSIS). In (OMISSIS), reato ancora in corso". Le imputazioni relative alle condotte di cui all'articolo 416 ter c.p., commi 1 e 2 ascritte al (OMISSIS) (capi 3, 28 e 29) sono attinenti proprio ai rapporti intercorsi tra questi, (OMISSIS) e (OMISSIS). 1.4. La Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l'appello del Procuratore della Repubblica di Torino; ha assolto (OMISSIS) dal reato di cui al capo 4) perche' il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili a carico dello stesso e ordinando la sua liberazione se non detenuto per altra causa; ha assolto (OMISSIS) dai reati di cui ai capi 3) e 29) perche' il fatto non sussiste e, riqualificato il delitto di cui al capo 1) in quello di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 2, rideterminando la pena in anni 10 di reclusione; ha riconosciuto le attenuanti generiche all'imputata (OMISSIS), rideterminando la pena inflitta in anni sette di reclusione; ha riconosciuto le attenuanti generiche agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), rideterminando la pena inflitta in anni otto di reclusione; ha revocato le liquidazioni dei danni riconosciute alle parti civili costituite Regione Autonoma (OMISSIS), Comune di Aosta, Comune di (OMISSIS) e Associazione Libera, rimettendo la relativa determinazione al competente giudice civile; ha riconosciuto in favore delle parti civili le provvisionali, ponendole, in solido tra loro, a carico degli imputati condannati e statuendo sulle conseguenti spese in favore delle stesse parti civili. 2. Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Torino. 2.1. Con il primo motivo denunzia vizi motivazionali in riferimento all'assoluzione di (OMISSIS). Sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata, pur avendo correttamente ribadito i principi di diritto, in relazione al contenuto fattuale della condotta di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, mettendo in rilievo la necessita' di un contributo causale, volto a mantenere o a rafforzare il ruolo dell'associazione sul territorio, non ha fatto buon governo di tali principi, cosi' come evidenziato dalla motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. La Corte territoriale, rivalutando i fatti, ha invertito il necessario ordine di valutazione: sulla prova degli accadimenti storici e sulla determinazione del loro esatto perimetro; sul giudizio di idoneita' degli stessi, per come ricostruiti, a far crescere o quantomeno a mantenere il consolidamento sul territorio del ruolo e della funzione svolta dalla locale di Aosta; nel caso di un responso positivo ai precedenti passaggi, sulla sussistenza dell'elemento soggettivo in capo al (OMISSIS). Nella sentenza impugnata i fatti sono descritti solo nella prima parte, senza tener conto di quanto accertato e ritenuto dal Tribunale, mentre, nella seconda parte, alle singole vicende si fa solo cenno al fine di valutarne la portata e la rilevanza. Il ricorrente contesta la rilevanza di due circostanze alle quali la Corte territoriale ha fatto riferimento: il fatto che tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) vi sarebbe stato un rapporto di amicizia, che offrirebbe una spiegazione all'assidua frequentazione tra i due imputati; l'esclusione della consapevolezza, in capo al (OMISSIS), dell'appartenenza di (OMISSIS) alla âEuroËœndrangheta. Quanto alle due vicende particolari, descritte nel capo di imputazione ed esaminate nella sentenza impugnata, il ricorrente censura l'affermazione della Corte territoriale secondo la quale le condotte di (OMISSIS), per essere penalmente rilevanti, devono dimostrarsi utili all'associazione, optando quindi per la loro irrilevanza e mettendo in rilievo come le condotte di (OMISSIS) non siano state affatto utili per (OMISSIS). I piani dunque vengono invertiti, ma la Corte territoriale ha trascurato che non e' (OMISSIS) a servizio di (OMISSIS), ma e' quest'ultimo ad essere, una volta eletto, a servizio di (OMISSIS), quale appartenente alla associazione di âEuroËœndrangheta. Ancora una volta il ricorrente indica le risultanze processuali in base alle quali tale ultima circostanza sarebbe provata. Anche l'affermazione secondo la quale (OMISSIS) avrebbe comunque iniziato l'attivita' politica da ben prima che prendesse forma il sodalizio criminoso di cui al capo 1) appare, secondo il ricorrente, la conseguenza di un travisamento del "fatto" e di un percorso logico viziato da gravi contraddizioni, come emergerebbe da una serie di risultanze processuali specificamente indicate nel ricorso. 2.2. Con il secondo e il terzo motivo di ricorso il Procuratore generale denunzia vizi di motivazione e violazione di legge in riferimento all'assoluzione di (OMISSIS) dal reato di cui all'articolo 416 ter c.p. ascrittogli al capo 28). Il ricorrente richiama tutte le argomentazioni svolte in riferimento alla posizione di (OMISSIS), assumendo che le risultanze processuali smentirebbero le valutazioni effettuate dalla Corte territoriale. Evidenzia, altresi', che la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dell'articolo 416 ter c.p., avendo, da un lato, riconosciuto che (OMISSIS) e' partecipe dell'associazione di âEuroËœndrangheta della locale di Aosta e, dall'altro, ritenendo necessario, per l'affermazione della sussistenza del fatto, che l'accordo e la sua successiva attuazione richiedessero l'esplicita programmazione di una campagna elettorale mediante intimidazioni. 3. Propone ricorso l'imputato (OMISSIS), con atto sottoscritto dai difensori e articolato nei sette motivi qui di seguito sintetizzati. 3.1. Erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), con riferimento all'articolo 416 bis c.p., in relazione alla ritenuta sussistenza di un'associazione a delinquere di tipo mafioso. Assume il ricorrente che la sentenza impugnata e' incorsa in errore e ha fatto confusione nella applicazione dei principi affermati da questa Corte in materia, utilizzando giurisprudenza che ha affrontato la questione delle c.d. "mafie delocalizzate", ossia delle associazioni che si sostiene si siano organizzate su un territorio "vergine" a partire da una "casa madre" il cui spessore criminale e' gia' noto, senza tuttavia tenere conto della copiosa elaborazione che proprio a partire da tale fenomeno - la giurisprudenza piu' recente ha formulato con riferimento all'eventuale natura "silente" di tali presunte organizzazioni (e ai piu' stringenti requisiti affinche', in tali casi, si possa ritenere che tale organizzazione si avvalga effettivamente della forza intimidatrice richiesta dalla fattispecie astratta). Altre volte la sentenza impugnata trae invece argomenti dalla giurisprudenza sulle c.d. "nuove mafie" e, in particolare, sulle organizzazioni di piccola dimensione che hanno ispirato uno specifico (ma particolare) filone giurisprudenziale, senza a sua volta trarre le dovute conseguenze da tale opzione ermeneutica. Aggiunge il ricorrente che la Corte territoriale non e' riuscita neppure a "concretizzare", sotto il profilo probatorio, le affermazioni di principio contenute in premessa, dimostrando di non aver pienamente compreso quali "paletti" la giurisprudenza di legittimita' ha fissato a tal proposito. Dopo aver indicato i passaggi argomentativi e le risultanze processuali in base ai quali la sentenza impugnata ha ritenuto provata l'esistenza del collegamento funzionale, il ricorrente evidenzia che la Corte di appello non riesce a comprendere che non basta affermare che gli imputati fossero in collegamento con (OMISSIS) o (OMISSIS) affinche' possa ritenersi automaticamente dimostrata la sussistenza della "forza evocativa" idonea a far ritenere "esteriorizzato" il metodo mafioso. Il ricorrente evidenzia ulteriori vizi della sentenza impugnata nella parte in cui non chiarisce se sta trattando l'associazione in oggetto come mera estrinsecazione locale della âEuroËœndrina di (OMISSIS) o come associazione autonoma, in grado di sprigionare ex se una sufficiente carica intimidatoria e di esteriorizzarla. Censura pure un altro argomento con cui la Corte di appello tenta di collegare la sussistenza del "metodo mafioso" alla pretesa, da parte del gruppo criminale, di "controllare il voto" dei calabresi residenti in Valle, e dunque di condizionare, complessivamente, le elezioni locali. Anche in questo caso, tuttavia, gli episodi che vengono indicati come "significativi" - secondo il ricorrente - non sono in alcun modo idonei ad assurgere a quella "esteriorizzazione del metodo" che viene richiesta dalla giurisprudenza. Sostiene il ricorrente che tutta la parte della sentenza dedicata al presunto attivismo del "clan" nelle questioni elettorali (pagg. 559-564) appare viziata da un incomprensibile salto probatorio, frutto di un inammissibile pregiudizio. 3.2. Con il secondo motivo si denunzia erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), con riferimento all'articolo 416 bis c.p., in relazione alla ritenuta partecipazione di (OMISSIS) a un'associazione a delinquere di âEuroËœndrangheta. La Corte di appello ha ritenuto di derubricare la posizione del ricorrente da promotore a semplice partecipe della ritenuta associazione, sicche' e' a tale posizione giuridica che deve guardarsi per verificare se la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 416 bis c.p., nella parte in cui esse puniscono la condotta descritta al comma 1. Dopo aver fatto riferimento ai principi affermati dalle Sezioni Unite Modaffari, il ricorrente sostiene che, se anche si volesse ammettere che la ricostruzione in fatto operata dalla Corte territoriale sia corretta, le circostanze addotte a presunta riprova della obiettiva estrinsecazione della condotta partecipativa non sarebbero comunque, neppure in astratto, idonee ad integrare la violazione della disposizione oggetto di contestazione, per come gli elementi costitutivi della condotta in oggetto sono stati ricostruiti dalla citata giurisprudenza di legittimita'. 3.3. Con il terzo motivo si denunzia inosservanza della legge processuale penale ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), con riferimento all'articolo 493 c.p.p., comma 3 in relazione all'utilizzabilita' di atti delle indagini preliminari, segnatamente verbali di sommarie informazioni, in difetto del consenso delle parti. Scrive, infatti, la Corte d'appello a pag. 543 che il padre di (OMISSIS) sarebbe stato amico di (OMISSIS) e da questi rispettato per la profonda conoscenza delle arti marziali. Il (OMISSIS), tuttavia, escusso a dibattimento, non ha mai riferito tale circostanza. Il dato, che alla luce dell'assurdita' di tale affermazione sembrerebbe irrilevante, ha tutt'altro peso, poiche' il teste effettivamente aveva reso tale dichiarazione quando era stato sottoposto ad interrogatorio in data 25 luglio 2016. 3.4. Con il quarto motivo si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alla dedotta nullita' del decreto presidenziale del 4 marzo 2020 e dell'ordinanza emessa in data 3 giugno 2020 dal tribunale relativi all'ammissione dei testi indicati dalla difesa nella propria lista. Assume il ricorrente che la sentenza impugnata ha trattato le questioni preliminari a partire da pag. 524 e che la motivazione sul punto e' carente, dal momento che pare mancare una pagina. La pagina 525, infatti, non e' raccordata con quella che la precede ed il contenuto dell'atto impugnato, quindi, e' sul punto inintelligibile. Da quanto scritto a pagina 525 sembrerebbe che la Corte si sia concentrata sul potere del Presidente di ridurre le liste sovrabbondanti, potere che, entro certi limiti, anche le difese riconoscono. Cio' che la Corte territoriale ha omesso di rilevare e' che il provvedimento del Presidente del Tribunale di Aosta non ha motivato sull'inammissibilita' dei testi per sovrabbondanza. Aggiunge il ricorrente che, anche a voler ritenere che il Presidente del Tribunale di Aosta con il decreto del 4 marzo 2020 sia incorso in un'amnesia linguistica in ragione della quale ha omesso di riferirsi alla sovrabbondanza, il provvedimento sarebbe comunque censurabile poiche' non sono stati ammessi testi che, all'evidenza, sovrabbondanti non erano per le ragioni indicate in seguito nel ricorso, cosi' violando il diritto di difendersi provando dell'imputato. 3.5. Con il quinto motivo il ricorrente denunzia vizi motivazionali e travisamento della prova con riferimento alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all'articolo 416 bis c.p.. Evidenzia che la Corte d'appello ha definito centrale (pag. 536 della sentenza) il tema del cd. "collegamento con la casa madre", in relazione al quale, peraltro, ha ritenuto di dover integrare la sentenza di primo grado del Tribunale di Aosta che presentava sul punto una (totale) carenza motivazionale. Ha quindi premesso che, alla luce dell'intervenuta integrazione, non ci si trova al cospetto di una doppia sentenza conforme, avendo la Corte d'appello introdotto un tema del tutto nuovo soprattutto in termini di prova. La Corte d'appello ha stabilito che la locale aostana fosse collegata con la nota ndrina dei (OMISSIS) di (OMISSIS), della quale quindi sarebbe stata diretta promanazione o gemmazione. A tale conclusione e' pervenuta analizzando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), i rapporti parentali tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' i precedenti penali dai quali gli stessi (OMISSIS), imputati nel procedimento connesso, sono gravati. Assume il ricorrente che si tratta di argomenti ed elementi del tutto irrilevanti e inconferenti rispetto al vero thema probandum, ossia il collegamento con la casa madre. Censura, quindi, il linguaggio volutamente suggestivo utilizzato dalla Corte d'appello, dal quale traspare l'errore di fondo che ha condizionato l'esame di questo punto centrale. E' noto, infatti, che con il termine ndrina si identificano le famiglie che compongono una locale di âEuroËœndrangheta. L'utilizzo di detto vocabolo nel caso di specie e' palesemente errato poiche' teso a ricondurre in maniera dogmatica i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) alla ndrina componente la locale di (OMISSIS), e cio' in assenza di qualsiasi cenno agli elementi a supporto dell'affermazione che pure costituisce (o meglio, avrebbe dovuto costituire) il necessario punto di partenza. Evidenzia, altresi', il ricorrente che preliminare ad un piu' compiuto esame del tema "collegamento con la casa madre" e' la contestazione di omessa motivazione circa l'esistenza della locale (o ndrina) di (OMISSIS), denominata (OMISSIS)- (OMISSIS). Anche per tale profilo la Corte ha fatto inopinatamente ricorso al concetto di notorieta'. Nel ricorso, poi, vengono singolarmente analizzati gli elementi di prova valorizzati dalla Corte territoriale, che - secondo il deducente - sarebbe incorsa in molteplici travisamenti (anche per omissione), specificamente indicati, con allegazione degli atti ai quali si riferiscono. Sotto altro profilo, il ricorrente evidenzia che la Corte d'appello, diffondendosi in un inconferente richiamo al dato strettamente normativo, ha omesso di confrontarsi con le rigide regole che, sotto il profilo strutturale, contraddistinguono la particolare associazione di stampo mafioso denominata âEuroËœndrangheta dalle altre, con particolare riferimento al modello "organizzatorio" di cui l'esistenza del collegamento con la casa madre e' parte integrante. In altre parole, il collegamento senza struttura non vale a provare alcunche' in tema di esistenza dell'associazione di âEuroËœndrangheta. Il ricorrente evidenzia un ulteriore vizio di illogicita' e di contraddittorieta' intrinseca della sentenza, sul punto specifico, in quanto la locale di Aosta, secondo la Corte d'appello, avrebbe un numero minimo di affiliati (da qui il richiamo alla microassociazione) e, essendo di recentissima formazione, non e' mai aumentato, pur a fronte di "un nucleo consistente di fiancheggiatori" (pag. 555 della sentenza). Altro elemento in relazione al quale la motivazione e' stata omessa e' quello dei riti di affiliazione, modalita' tipica e necessaria per l'adesione di un soggetto alla compagine di âEuroËœndrangheta. Ulteriori rilievi sono stati svolti in ordine all'individuazione del programma delittuoso dell'associazione. Censure vengono formulate in ordine alla parte della sentenza che ha trattato il profilo dell'esteriorizzazione del metodo mafioso. Dopo aver indicato una serie di passaggi argomentativi, censurati anche per travisamento della prova, il ricorrente osserva che, sotto il profilo dell'illogicita' manifesta, dai fatti analizzati non emerge in alcun modo l'esistenza di un metodo mafioso, percepito o almeno percepibile da un numero indeterminato di soggetti, ma solo, e al piu', una sorta di totalmente inefficace timore reverenziale tra soggetti che ben si conoscono, in ragione di rapporti di amicizia o di frequentazione. Infine, il ricorrente denunzia omessa motivazione in merito al motivo d'appello con il quale si deduceva la mancata predisposizione dei mezzi necessari al raggiungimento degli obiettivi illeciti, evidenziando che non fosse stato individuato alcun tipo di disponibilita' di luoghi e mezzi, pure contestata nel capo di imputazione, diversi dalle abitazioni personali e, nel caso di (OMISSIS), dal suo ristorante. 3.6. Con il sesto motivo si denunziano vizi motivazionali e travisamento della prova sulla valutazione dei comportamenti rilevanti ai fini della ritenuta partecipazione del (OMISSIS) alla associazione. Il ricorrente articola specifiche censure su una serie di passaggi motivazionali che fanno riferimento a circostanze sulla base delle quali la Corte territoriale ha risposto ai motivi di appello del (OMISSIS), peraltro parzialmente equivocandoli. Assume che la mancanza di rapporti con gli altri imputati da parte del (OMISSIS) e' un elemento dal quale, ancora una volta, emerge chiaramente la manifesta illogicita' della sentenza nella parte in cui e' stata affermata l'esistenza di un affectio societatis indimostrato e fondato su motivazione illogica. Indica, quindi, il ricorrente passaggi motivazionali caratterizzati da illogicita', evidenziando che sul punto la Corte d'appello ha modificato sostanzialmente la sentenza di primo grado, per cui non ci si trova di fronte ad una cd. doppia conforme. 3.7. Con il settimo ed ultimo motivo si deducono vizi motivazionali in ordine al diniego delle attenuanti generiche. 3.8. I difensori di (OMISSIS) hanno depositato memoria con motivi aggiunti, con i quali, oltre a sviluppare ulteriormente le censure gia' proposte con i motivi del ricorso principale in ordine all'affermazione di responsabilita', hanno evidenziato che, dopo la scadenza dei termini per l'impugnazione, e' stato depositato provvedimento di archiviazione dell'indagine denominata (OMISSIS), che aveva ad oggetto ipotesi di reato di cui all'articolo 416 ter c.p., secondo l'ipotesi accusatoria commessi in occasione delle elezioni regionali della (OMISSIS), tra i mesi di aprile e maggio 2018, da alcuni degli odierni imputati, tra i quali lo stesso (OMISSIS). Quantomeno questo era quello che pareva potersi dedurre dalla lettura dell'avviso di conclusione delle indagini (notificato in data 21.03.2021) e depositato nel corso del processo d'appello; si tratta di un documento piu' volte richiamato dalla Corte territoriale, come se si trattasse di una sentenza di condanna passata in giudicato. Evidenzia la difesa che, invece, ci si e' trovati al cospetto di un'indagine assai confusa, dalla quale non e' emerso nulla di penalmente rilevante, che si e' protratta per un lasso temporale del tutto inadeguato sia ai contenuti che agli esiti. Il procedimento (OMISSIS) e', infatti, rimasto pendente per un tempo che non puo' definirsi ragionevole (dal 2018 al 2022) soprattutto alla luce del fatto che, a partire dalla data successiva alle elezioni, non e' stato acquisito nessun elemento di indagine significativo. Sottolinea la difesa che l'unico dato che emerge con certezza dal provvedimento di archiviazione e' quello della sostanziale inesistenza di reati scopo e di inquinamento della competizione elettorale del 2018: non vi e' stato nessun tipo di accordo con i singoli candidati, non vi e' stata ricerca del voto e neppure vi sono state utilita'. 4. Propone ricorso (OMISSIS), con atto sottoscritto dal difensore ed articolato nei tre motivi qui di seguito sintetizzati. 4.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge in relazione al riconoscimento giuridico dell'esistenza di una locale di âEuroËœndrangheta in Aosta. Il Tribunale aveva ritenuto che, una volta raggiunta la prova dei connotati distintivi della âEuroËœndrangheta e del collegamento con la casa madre, la nuova formazione associativa fosse gia' in se' pericolosa per l'ordine pubblico, indipendentemente dalla manifestazione di forza intimidatrice nel contesto ambientale in cui era radicata. La motivazione espressa della sentenza di primo grado aveva un fine ben preciso, vale a dire superare la naturale difficolta' di dimostrare la sussistenza degli elementi fondanti del reato associativo e, in particolare, dell'attuale capacita' di predominio sul territorio. La Corte di Appello, con la sentenza impugnata, opera - secondo il ricorrente - una interpretazione del tutto singolare del concetto di forza d'intimidazione, cercando in tal modo di puntellare la motivazione espressa dal Tribunale ed affermando che non e' necessario che la forza di intimidazione sia esternata attraverso specifici atti di minaccia o violenza, potendosi essa ricondurre anche ad azioni, di per se' irrilevanti sotto il profilo penale se isolatamente considerate, che siano comunque evocative della fama criminale dell'associazione. Il ricorrente richiama i principi affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite Modaffari e sostiene che e' censurabile una motivazione che ritenga di superare il vaglio di prova richiesto, semplicemente dimostrando che alcuni soggetti intranei al "gruppo" riuscissero a coartare la volonta' di altri soggetti, anch'essi gravitanti nello stesso contesto relazionale. La Corte di appello ha provveduto ad integrare la sentenza di primo grado, procedendo ad un intervento additivo in relazione all'accertamento dei collegamenti tra la locale di Aosta e la "casa madre", ritenendo necessario rafforzare la sentenza emessa dal Tribunale. A giudizio della Corte territoriale, i collegamenti tra la locale di Aosta e la cosca madre sarebbero provati dal narrato dei due collaboratori di giustizia, (OMISSIS) e Paraninfo, oltre che dai legami familiari tra i (OMISSIS) e la nota cosca dei (OMISSIS) di (OMISSIS). Secondo il ricorrente la sentenza impugnata sul punto si e' avventurata in un percorso logico-argomentativo per nulla lineare; infatti, al fine di dimostrare che la locale di Aosta non e' altro che una costola della cosca (OMISSIS), e' partita dall'oggettivo legame familistico tra i (OMISSIS) ed i (OMISSIS) ma, elencando i precedenti penali dei due germani, si e' scontrata con la totale assenza di precedenti di natura associativa, per cui la Corte territoriale ha concluso affermando che la fama criminale va riferita al gruppo e non certo al singolo. In relazione alle dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) e Paraninfo il ricorrente sostiene che non puo' che richiamarsi quanto gia' censurato in sede di appello, con la premessa che la stessa Corte d'appello ha ritenuto non ammissibile il giudizio di attendibilita' estrinseca espresso dal Tribunale in relazione alla figura di Paraninfo, le cui dichiarazioni si sono caratterizzate per genericita'. Aggiunge il ricorrente che la Corte di appello di Torino, trattandosi di nuova formazione illecita associata, avrebbe dovuto produrre una motivazione rafforzata al fine di dichiarare sussistente il reato ex articolo 416 bis c.p., in quanto non basta ad integrare tale requisito di tipicita' dell'associazione mafiosa la mera riproduzione all'interno del sodalizio di regole, strutture e ripartizioni gerarchiche dei ruoli analoghe a quelle dei gruppi storici di `ndrangheta, essendo imprescindibile l'esteriorizzazione in concreto della capacita' di intimidazione all'esterno e la connessa produzione di un assoggettamento omertoso diffuso. 4.2. Con il secondo motivo si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'articolo 192 c.p.p., comma 1 e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), in riferimento alla partecipazione con ruolo di partecipe al sodalizio criminoso. Dopo aver ripercorso le argomentazioni della sentenza impugnata sul punto, il ricorrente evidenzia che la Corte territoriale "persevera nella stessa argomentazione illogica prospettata dal Tribunale", senza considerare una serie di circostanze pur allegate con l'atto di appello. 4.3. Con il terzo ed ultimo motivo si denunzia violazione di legge in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Deduce il ricorrente che la Corte di appello non fornisce spiegazione alcuna alla determinazione di non attestarsi ai minimi edittali del reato. 5. Propone ricorso (OMISSIS), con atto sottoscritto dai difensori ed articolato nei sei motivi di seguito sintetizzati. 5.1. Con il primo si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali in relazione al decreto del Presidente del Tribunale del 4 marzo 2020 e dell'ordinanza del 3 giugno 2020 emessa dal Tribunale, relativi all'ammissione dei testi indicati dalla difesa nella propria lista. Si rileva che la motivazione della Corte territoriale e' monca - risolvendosi quindi in un vizio di mancanza della motivazione - non essendovi alcun raccordo tra la pag. 524, ultimo rigo, e la pag. 525, primo rigo, onde il ragionamento addotto dalla sentenza impugnata per sostenere il rigetto delle doglianze dedotte nel relativo atto di appello non e' in alcun modo intellegibile. Assume il ricorrente che la prova richiesta era indispensabile e, sicuramente, non sovrabbondante, in quanto non eccedente il numero necessario di elementi di prova (testimoni) chiamati a dimostrare il thema probandum nell'ambito di un procedimento assai complesso, nel quale le indagini sono durate cinque anni. 5.2. Con il secondo motivo si denunziano violazione della legge processuale e correlati vizi motivazionali in riferimento alla nozione di indispensabilita' e rilevanza delle intercettazioni relative al procedimento penale c.d. (OMISSIS). 5.2.1. Nell'atto di appello la difesa dell'imputato aveva contestato la decisione contenuta nell'ordinanza 3 giugno 2020 emessa dal Tribunale di acquisire le intercettazioni del procedimento (OMISSIS) tra il materiale probatorio, trattandosi di procedimento ancora in fase di indagini preliminari, ravvisandosi violazione del diritto di difesa, con riferimento alla mancata discovery di detto materiale in occasione dell'avviso di cui all'articolo 415 bis c.p.p., ma soprattutto assumendo violato l'articolo 270 c.p.p. in relazione al dettato dell'articolo 266 c.p.p., che richiede che "l'utilizzazione delle intercettazioni sia condizionata dalla rilevanza ed indispensabilita' ai fini dell'accertamento di delitti per i quali e' obbligatorio l'arresto in flagranza". L'ordinanza del Tribunale forniva una lettura errata della nozione di indispensabilita', collegandola, come quella della rilevanza, alla utilizzabilita' anziche' all'accertamento del fatto di reato oggetto del procedimento nel quale le intercettazioni vengano eventualmente prodotte. E cio', non solo in difformita' alla lettura costituzionale della norma processuale richiamata (Corte Cost. 24 febbraio 1994, n. 63, in Giur. Cost. 1994, 363), ma anche all'interpretazione secondo cui tale utilizzabilita' e' possibile quando i risultati in questione siano "indispensabili" all'accertamento del fatto di reato, altrimenti non dimostrabili con diversa rilevante prova di accusa. Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata non dedica un solo rigo al tema essenziale della indispensabilita' e rilevanza, in cio' incorrendo in un vizio di violazione di legge che si traduce, al contempo, in carenza di motivazione derivante dal testo del provvedimento impugnato, non venendo l'argomento difensivo neppure succintamente richiamato anche solo per ritenerlo irrilevante o ininfluente. 5.2.2. Con i motivi aggiunti la difesa del (OMISSIS), in relazione al motivo secondo del ricorso principale, ha evidenziato di essere venuta in possesso di un ulteriore e rilevante documento in ordine a quel procedimento (OMISSIS) e, in particolare, della richiesta e del pedissequo decreto di archiviazione emessi, rispettivamente, in data 18 agosto (con deposito al Giudice per le indagini preliminari in data 26 settembre 2022) e 30 settembre 2022. Dopo aver richiamato la giurisprudenza in tema di ammissibilita' della produzione di un documento nuovo in sede di legittimita', la difesa evidenzia che la pertinenza della produzione documentale e' chiara, nell'ottica del secondo motivo di ricorso (ma anche di quelli successivi), in quanto finalizzata a dimostrare il vizio di diritto che si traduce, al contempo, in carenza di motivazione derivante dal testo del provvedimento impugnato, non avendo la Corte territoriale dedicato un solo rigo al tema essenziale dell'indispensabilita' e rilevanza della produzione di atti di altro procedimento penale - nella specie gli atti del procedimento (OMISSIS), oggetto di recente archiviazione - richiesti indefettibilmente dall'articolo 270 c.p.p.. 5.3. Prima di articolare gli ulteriori motivi nel merito, la difesa del ricorrente premette che, non condividendo in alcun modo l'impostazione del Tribunale, esplicitamente e in piu' passaggi criticata dalla sentenza impugnata, la Corte territoriale ha ritenuto, con cio' aderendo all'impostazione difensiva, la non acquisibilita' dei precedenti richiamati dalla sentenza di primo grado ai sensi dell'articolo 238 bis c.p.p. ed ha, quindi, definito il sodalizio criminoso contestato al capo 1) come "neoformazione". Modificata cosi' l'impostazione dell'intero impianto argomentativo sull'esistenza del sodalizio criminoso integrante la fattispecie di cui all'articolo 416 bis c.p., la Corte territoriale, oltre a dover integrare necessariamente la motivazione della sentenza di primo grado, ha dovuto altresi' valorizzare elementi di prova mai neppure considerati dal Tribunale. 5.3.1. Con il terzo motivo si denunzia violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso individuata come locale aostana. La Corte territoriale, completamente sovvertendo l'impostazione del Tribunale ritiene, diversamente dalla tesi accusatoria fatta propria dalla sentenza di primo grado, che la locale di âEuroËœndrangheta di cui al capo 1) di imputazione sia una formazione criminale del tutto nuova. 5.3.2. Dopo aver richiamato i principi affermati in materia da questa Corte, il ricorrente deduce che nella specie non si puo' affermare, come pretenderebbe la Corte di appello, che una locale di âEuroËœndrangheta possa ritenersi esistente anche in assenza degli indici di struttura tipici di questa particolare conformazione criminosa; la sentenza impugnata ha completamente obliterato l'insegnamento della Cassazione sul punto, sottraendosi, cosi' come aveva gia' fatto il Tribunale, all'obbligo di scandagliare la dinamica associativa, anzitutto, dal punto di vista strutturale. Ulteriore profilo di erroneita' giuridica e' denunziato dal ricorrente laddove la Corte territoriale, nel tentativo di integrare le carenze della motivazione del Tribunale evidenziate dagli appellanti, ritiene sussistente il centrale requisito del collegamento con la casa madre (pag. 536 della sentenza impugnata), asserendo che il collegamento e' "evidentemente costituito dalla nota ndrina dei (OMISSIS) di (OMISSIS)". Il ricorrente sottolinea la centralita' del tema anche con riferimento all'ulteriore requisito del metodo mafioso, giacche' nel caso in esame, a fronte di un sodalizio criminoso con le evanescenti caratteristiche evidenziate dalla Corte territoriale, non risulta integrata alcuna esteriorizzazione della forza di intimidazione. 5.4. Con il quarto motivo si denunziano vizi motivazionali e travisamento della prova con riferimento alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all'articolo 416 bis c.p.. Dopo aver ripercorso il ragionamento sviluppato dalla Corte territoriale per sostenere l'integrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di associazione per delinquere di stampo mafioso con riferimento alla locale aostana contestata al capo 1) di imputazione, il ricorrente lo censura come manifestamente illogico in quanto contrario ai principi della logica formale e intrinsecamente contraddittorio. Tale vizio, che si evince dal provvedimento impugnato e da specifici atti del presente processo (indicati analiticamente dal ricorrente), e' percepibile ictu oculi e riguarda rilievi di macroscopica evidenza, tali da disarticolare l'intero impianto logico-argomentativo della sentenza gravata in punto responsabilita'. Ulteriori rilievi vengono fatti con riferimento al programma criminoso dell'associazione di cui si assume l'esistenza: il ragionamento dell'impugnata sentenza e' manifestamente illogico, come emerge dallo stesso provvedimento impugnato. L'argomento non e' trattato in maniera organica e occorre scorrere l'intera motivazione relativa alla sussistenza del sodalizio criminoso per evidenziarne i tratti caratteristici. Nella nuova e diversa ottica accolta dalla Corte territoriale - una neoformazione, in progressiva via di espansione - anche il programma politico dell'associazione cambia volto rispetto a quanto si legge nella sentenza di primo grado: anzitutto, un'attivita' declinata come mero "tentativo", senza nessuna interferenza nell'attivita' elettorale, ne' con riferimento alle elezioni comunali del 2015 (rispetto alle quali si esclude qualunque interferenza sia per la (OMISSIS) sia per (OMISSIS)) ne' in quelle del 2018 di cui i capi, (OMISSIS) e (OMISSIS), non si occupano, non essendo neppure attinti dall'avviso di conclusione indagini ex articolo 415 bis c.p.p. nel procedimento (OMISSIS). Quanto al metodo mafioso, il ricorrente denunzia che ritenere mafiosa una locale work in progress, secondo la definizione della Corte territoriale, composta da quantomeno tre membri, privi di doti, di compiti predeterminati, di soldi e di armi, caratterizzata da un'attivita' "prudente" non estrinsecatasi nella commissione di reati fine, costituisce una vera e propria contraddizione in termini. 5.5. Con il quinto motivo si denunzia violazione di legge in relazione alla nozione di partecipe nel delitto di cui all'articolo 416 bis c.p.. Il ricorrente evidenzia che in quattro sole pagine la Corte territoriale ha liquidato il principale motivo di impugnazione contenuto nell'atto di appello, volto a dimostrare l'insussistenza della partecipazione dello stesso, sia sotto il profilo oggettivo sia soggettivo, al sodalizio. 5.6. Con il sesto motivo si denunziano vizi motivazionali e travisamento della prova in tema di partecipazione all'associazione per delinquere. Denunzia il ricorrente la carenza di motivazione in ordine alle argomentazioni difensive contenute nell'ampio e specifico motivo di appello. Lo sbrigativo riassunto delle condotte ritenute rilevanti non contiene alcuna motivazione, salvo cenni generici, alle doglianze difensive, ne' i temi dedotti risultavano affrontati nella sentenza di primo grado, sicche' il richiamo alla stessa da parte della Corte territoriale non vale a sanare il vizio di mancanza di motivazione. 6. Propone ricorso (OMISSIS), con atto sottoscritto dai difensori ed articolato nei quattro motivi qui di seguito sintetizzati. 6.1. I primi due motivi hanno ad oggetto argomentazioni che si sovrappongono a quelle oggetto dei primi due motivi proposti nell'interesse di (OMISSIS), sicche' si rinvia a quanto sopra esposto (parr. 5.1. e 5.2). Anche la difesa della (OMISSIS) ha depositato memoria con motivi aggiunti, allegando il documento nuovo costituito dalla richiesta e conseguenziale decreto di archiviazione nel procedimento c.d. (OMISSIS). 6.2. Nei motivi aggiunti si deduce che l'archiviazione disposta nel procedimento c.d. (OMISSIS) influisce sulla fondatezza del terzo motivo del ricorso principale, con il quale la ricorrente ha denunziato violazione di legge in relazione alla configurabilita' del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Richiamato il ragionamento fatto nella sentenza impugnata, la ricorrente evidenzia che la Corte territoriale, disarticolando l'impianto motivazionale dal punto di vista giuridico prima ancora che logico, ha eliminato anche quella parte di condotta residuale, rispetto alla contestazione del patto di scambio politico mafioso, gia' esclusa dal Tribunale, e consistente nell'appoggio elettorale. Accogliendo i rilievi critici contenuti nel motivo 3.3. dell'atto di appello, la Corte territoriale ha definitivamente demolito l'impostazione accusatoria a carico della ricorrente, ritenendo non provato anche l'appoggio elettorale all'imputata da parte di (OMISSIS) e di (OMISSIS) e, in generale, qualunque accordo sinallagmatico intervenuto tra i due appartenenti al sodalizio e la (OMISSIS), prima e durante le elezioni del maggio 2015. Deduce la ricorrente che tale conclusione, che fa venire meno il presupposto logico delle condotte di rafforzamento dell'associazione contestate all'imputata, per utilizzare l'espressione contenuta nella parte motiva relativa al concorrente esterno (OMISSIS), assolto con formula piena (pag. 622), non e' priva di conseguenze giuridiche atteso che l'imputazione, cosi' ridisegnata, non integra la fattispecie di concorso esterno, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte. Dopo aver richiamato i principi affermati da tale giurisprudenza e, in particolare, da Sezioni Unite Mannino, la ricorrente sostiene che nel caso in esame manca la prova della conclusione di un patto tra la (OMISSIS) e i due asseriti membri della locale aostana. 6.3. Con il quarto motivo di ricorso si denunziano vizi motivazionali e travisamento della prova in relazione all'affermazione di responsabilita'. La ricorrente riporta tutti i passaggi argomentativi della sentenza impugnata, evidenziando i profili di contraddittorieta' e illogicita' della motivazione, anche tenuto conto della valorizzazione e valutazione dei medesimi elementi con "pesi" diversi relativamente alla posizione del (OMISSIS), che e' stato assolto. Evidenzia, altresi', la difesa come dalle risultanze processuali (trascurate dalla Corte territoriale) sia emersa la prova che la (OMISSIS) frequentava la casa del (OMISSIS) in ragione della amicizia con la moglie di costui. In maniera analitica la difesa della ricorrente indica le ulteriori prove dichiarative trascurate o travisate dalla Corte territoriale e che smentirebbero tutti gli elementi valorizzati dai giudici di merito per l'affermazione della responsabilita'. 7. La difesa di (OMISSIS) ha depositato memoria contenente controdeduzioni all'atto di impugnazione proposto dal Procuratore Generale, in virtu' delle quali chiede dichiararsi inammissibile il ricorso. 8. Il Procuratore Generale, nella persona del Dott. Andrea Venegoni, ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibili tutti i ricorsi, richiesta ribadita nel corso della discussione orale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso del Procuratore Generale e' inammissibile, mentre gli altri ricorsi vanno accolti per le ragioni e nei limitati termini qui di seguito indicati. 2. In primo luogo vanno esaminate le questioni proposte dagli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione alla dedotta nullita' del decreto presidenziale del 4 marzo 2020 e dell'ordinanza emessa in data 3 giugno 2020 dal Tribunale, relative all'ammissione dei testi indicati dalla difesa nella propria lista. 2.1. Fondata e' la deduzione delle difese in ordine alla mancanza di una parte della motivazione sul punto, giacche', in effetti, la pagina 525 della sentenza impugnata non e' raccordata con l'ultimo rigo di quella che la precede. 2.2. Tuttavia, dal resto del testo leggibile si comprende che la decisione della Corte territoriale si e' incentrata sul potere dei giudici di primo grado e, in particolare, del presidente del collegio di ridurre le liste non solo manifestamente "sovrabbondanti" ma anche superflue. In proposito, va ribadito che, sebbene l'articolo 468 c.p.p., comma 2, preveda che il presidente del collegio giudicante possa escludere le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti, la norma va letta congiuntamente agli articoli 187 e 190 c.p.p., che indicano come parametro di ammissibilita' anche quello della pertinenza al thema probandum. Ne deriva che il diritto alla prova, riconosciuto alla parte, con il piu' ampio potere di richiesta, non puo' significare che solo in sede dibattimentale, ex articolo 495 c.p.p., il giudice possa esercitare legittimamente il potere di esclusione della testimonianza. La pertinenza, ossia l'inerenza al tema della prova, e' limite coessenziale all'ammissibilita' della prova stessa, sicche' l'esclusione, ove essa difetti, puo' avvenire anche nella fase degli atti preliminari e non solo in quella degli atti introduttivi al dibattimento (Sez. 5, n. 7721 del 26/06/1996, Rv. 205553). Nella specie, la Corte territoriale ha anche rilevato che "i testimoni di cui gli appellanti hanno sollecitato la reintroduzione attraverso i relativi motivi di gravame (ci si riferisce, in particolare, agli appelli (OMISSIS) e (OMISSIS)), sarebbero stati comunque chiamati a deporre su circostanze gia' oggetto di accertamento attraverso altre deposizioni a discarico, le quali essi, nella prospettiva di un auspicato inserimento nel contraddittorio, altro non avrebbero fatto che asseverare. Ne', peraltro, il gravame (OMISSIS) specifica anche solo minimamente le ragioni per cui l'esclusione del teste richiesto dal novero dei testimoni escussi costituirebbe un errore di gravita' tale da inficiare gli stessi esiti dell'istruttoria" (pag. 525 della sentenza). A fronte di tali argomentazioni le deduzioni dei ricorrenti risultano generiche e, comunque, anche le precisazioni fatte da alcuni difensori durante la discussione orale, oltre che tardive, appaiono finalizzate a sollecitare una rivalutazione in tema di prova non consentita in sede di legittimita'. 3. Manifestamente infondate sono le doglianze difensive con le quali si denunziano violazione della legge processuale e correlati vizi motivazionali in riferimento alla nozione di indispensabilita' e rilevanza delle intercettazioni relative al procedimento penale c.d. (OMISSIS). La Corte territoriale ha rigettato l'analogo motivo di appello (pagg. 527 e 528 della sentenza impugnata) applicando correttamente i principi affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite Cavallo, che ha chiarito che il divieto di cui all'articolo 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate - salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali e' obbligatorio l'arresto in flagranza - non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex articolo 12 c.p.p., a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata "ab origine" disposta, sempreche' rientrino nei limiti di ammissibilita' previsti dall'articolo 266 c.p.p. (Sez. U, Sentenza n. 51 del 28/11/2019, Rv. 277395). Va detto, peraltro, che nella specie sono state le stesse difese a richiamare nei motivi aggiunti e, poi, nella discussione gli esiti delle indagini relative al procedimento denominato (OMISSIS), nel quale e' intervenuto un provvedimento di archiviazione, che, in effetti, finisce per influire sulla decisione del presente processo, giacche' e' evidente che, secondo l'ipotesi accusatoria, i fatti oggetto del suddetto procedimento risultano connessi ex articolo 12 c.p.p. a quelli oggetto delle imputazioni contestate ai ricorrenti. 4. Fondati sono i motivi proposti dalle difese in ordine alla sussistenza del reato di cui all'articolo 416 bis c.p. e, in particolare, alla configurabilita' di una "locale" di âEuroËœndrangheta in territorio valdostano. 4.1. La sentenza impugnata, dopo avere correttamente richiamato i principi affermati in materia da questa Corte (pagg. 528 - 536), ha analizzato le risultanze nel presente processo (pagg. 536 - 565), premettendo che la pronunzia di primo grado presenta "delle carenze motivazionali sull'argomento centrale del "collegamento con la casa madre"" e procedendo, quindi, "ad integrazione, in parte qua, della motivazione della stessa" (pag. 536); in particolare, l'integrazione ha riguardato la "presunta carenza di evidente collegamento con la "casa madre"" (pag. 549). In effetti, la Corte territoriale ha ritenuto "indubbiamente frammentari gli elementi utili a sostenere l'esistenza, in passato, di una "locale" sul territorio della (OMISSIS)" (pag. 532 della sentenza in esame), cosi', in sostanza, modificando l'impostazione dell'intero impianto argomentativo della pronunzia di primo grado sull'esistenza del sodalizio criminoso integrante la fattispecie di cui all'articolo 416 bis c.p. e valorizzando anche elementi di prova non considerati dal Tribunale (pagg. 545 e ss.). Fondate, allora, sono le deduzioni difensive secondo le quali, alla luce dell'intervenuta integrazione della sentenza di primo grado nei termini sopra indicati, non ci si trova al cospetto di una doppia sentenza conforme di condanna, avendo la Corte d'appello introdotto un tema del tutto nuovo soprattutto in termini di prova, valorizzando altri e diversi elementi, con particolare riguardo alla figura di (OMISSIS) e alla sua "incipiente e costante presenza in (OMISSIS)", in relazione alla quale la Corte ha analizzato una serie di atti, "sfuggiti sia alle parti che al Primo Giudice" (pag. 546 sentenza). I passaggi argomentativi della sentenza sul punto del "collegamento con la casa madre", ritenuto centrale dalla Corte territoriale, risultano pero' carenti nella parte in cui finiscono per dare rilievo ad elementi che di per se' non dimostrano in concreto il "collegamento funzionale" della locale aostana con la "casa madre" calabrese, di cui, peraltro, non sono puntualizzati dati relativi alla sua coeva esistenza, strutturazione, organigramma ed operativita'. In proposito, va premesso che nel caso della âEuroËœndrangheta, oltre alla fama criminale conseguita nei territori di origine, in quanto "mafia storica" (menzionata anche dall'articolo 416 bis, comma 8, c.p.), ricorre altresi' un elemento organizzativo particolarmente pregnante, che caratterizza la criminalita' organizzata calabrese: invero, sul presupposto dell'unitarieta' a livello nazionale dell'organizzazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta (si vedano in materia, tra le tante, Sez. 6, n. 44667 del 12/05/2016, Camarda, Rv. 268677; Sez. 2, n. 15412 del 23/02/2015, (OMISSIS); Sez. 5, n. 31666 del 03/03/2015, Bandiera, Rv. 264471, non massimata sul punto), e dell'accertato modulo di diffusione mediante riproduzione sui territori dove opera delle proprie strutture organizzative denominate "locali", la struttura criminale "delocalizzata", cellula della mafia storica calabrese, deve risultare strettamente collegata alla cd. "casa madre" ovvero al c.d. "locale originario" insediato in Calabria (cui compete il mantenimento degli equilibri generali, il controllo delle nomine dei capi-locali e delle aperture di altri "locali", il nulla osta per il conferimento di cariche, la risoluzione di eventuali controversie, la sottoposizione a giudizio di eventuali comportamenti scorretti posti in essere da soggetti intranei alla âEuroËœndrangheta), mutuandone non soltanto moduli organizzativi (cariche âEuroËœsociali', organigramma, rispetto delle gerarchie, ecc.) e finalita' di realizzazione del programma delinquenziale, ma anche la forza di intimidazione conseguita nei territori di originario insediamento. Nella sentenza Sez. 2, n. 15412 del 23/02/2015, (OMISSIS), si e' precisato che: "all'interno dell'alternativa di fondo (metodo mafioso meramente potenziale o in atto), puo' obiettarsi che richiedere ancora oggi la prova di un'effettiva estrinsecazione del metodo mafioso potrebbe tradursi nel configurare la mafia solo all'interno di realta' territoriali storicamente o culturalmente permeabili dal metodo mafioso o ignorare la mutazione genetica delle associazioni mafiose che tendono a vivere e prosperare anche "sott'acqua', cioe' mimetizzandosi nel momento stesso in cui si infiltrano nei gangli dell'economia produttiva e finanziaria e negli appalti di opere e servizi pubblici. E' - questa - una preoccupazione che rivela un'opzione di fondo (in realta' non presupposta dall'articolo 416 bis c.p.) in virtu' della quale in tanto puo' parlarsi di associazione mafiosa in quanto essa sia penetrata in modo massiccio (quasi in maniera irreversibile) nel tessuto economico e sociale del territorio di elezione. Ma, a parte il rilievo che la verifica di tale penetrazione in zone diverse da quelle di insediamento storico richiederebbe indagini sociologiche incompatibili con gli strumenti dell'accertamento penale, deve osservarsi che poco importa che l'impiego della forza intimidatoria del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omerta' abbia avuto maggiore o minore successo, successo che e' in proporzione inversa alla capacita' di resistenza civile e culturale delle comunita' che della forza di intimidazione siano state destinatarie: in realta' tale impiego, munito della connotazione finalistica delineata dall'articolo 416 bis c.p., comma 3 e' gia' di per se' sufficiente ad integrare il delitto in discorso. Piuttosto, meglio sarebbe ridefinire la nozione di c.d. mafia silente non gia' come associazione criminale aliena dal c.d. metodo mafioso o solo potenzialmente disposta a farvi ricorso, bensi' come sodalizio che tale metodo adopera in modo silente, cioe' senza ricorrere a forme eclatanti (come omicidi e/o attentati di tipo stragistico), ma avvalendosi di quella forma di intimidazione - per certi aspetti ancora piu' temibile - che deriva dal non detto, dall'accennato, dal sussurrato, dall'evocazione di una potenza criminale cui si ritenga vano resistere". In senso analogo, si e' espressa Sez. 2, n. 24851 del 04/04/2017, Garcea, Rv. 270442: "Ai fini della configurabilita' del delitto previsto dall'articolo 416 bis c.p., in ipotesi di strutture delocalizzate e di mafie "atipiche", non e' necessaria la prova che l'impiego della forza intimidatoria del vincolo associativo sia penetrato in modo massiccio nel tessuto economico e sociale del territorio di elezione, essendo sufficiente la prova di tale impiego munito della connotazione finalistica richiesta dalla suddetta norma incriminatrice". A sostegno della tesi dell'osmosi tra la forza di intimidazione dei sodalizi storici operanti in Calabria e di quelli ubicati altrove, giova altresi' richiamare un passaggio della gia' citata sentenza âEuroËœBandiera' di questa sezione (Sez. 5, n. 31666 del 03/03/2015, Bandiera, Rv. 264471) che ha analizzato il fenomeno anche nei suoi presupposti sociologici: "La mafia, e piu' specificamente la âEuroËœndrangheta che di essa e', certamente, l'espressione di maggiore pericolosita', ha oramai travalicato i limiti dell'area geografica di origine, per diffondersi, con proprie articolazioni o ramificazioni, in contesti geografici un tempo ritenuti refrattari od insensibili al condizionamento mafioso. L'immediatezza e l'alta cifra di diffusione dei moderni mezzi di comunicazione, propri della globalita', hanno contribuito ad accrescere a dismisura la fama criminale di certe consorterie, di cui, oggi, sono a tutti note spietatezza dei metodi, ineluttabilita' delle reazioni sanzionatorie, anche trasversali, inequivocita' ed efficacia persuasiva dei codici di comunicazione. Sicche', non e' certo lontano dal vero opinare che il grado di diffusivita' sia talmente elevato che il messaggio - seppur adombrato - della violenza (di quella specifica violenza di cui sono capaci le organizzazioni mafiose) esprima un linguaggio universale da tutti percepibile, a qualsiasi latitudine (...) Ora, pretendere che, in presenza di simile caratterizzazione delinquenziale, con confondibile marchio di origine, sia necessaria la prova della capacita' intimidatrice o della condizione di assoggettamento od omerta' e', certamente, un fuor d'opera. Ed infatti, l'immagine di una âEuroËœndrangheta cui possa inerire un metodo "non mafioso" rappresenterebbe un ossimoro, proprio in quanto il sistema mafioso costituisce l'in se' della âEuroËœndrangheta, mentre l'impatto oppressivo sull'ambiente circostante e' assicurato dalla fama conseguita nel tempo da questa stessa consorteria. Il baricentro della prova deve, allora, spostarsi sui caratteri precipui della formazione associativa e, soprattutto, sul collegamento esistente - se esistente - con l'organizzazione di base. In questo senso, vanno dunque lette ed apprezzate le statuizioni di questa Corte regolatrice, che reputano sufficiente la mera potenzialita' del vincolo associativo, indipendentemente dal suo concreto esteriorizzarsi". 4.2. Nel caso di specie la Corte d'appello ha ritenuto che la locale aostana fosse collegata con la "nota"âEuroËœndrina dei (OMISSIS) di (OMISSIS), della quale quindi sarebbe stata diretta promanazione. A tale conclusione e' pervenuta analizzando (pagg. 536 e ss. della sentenza) le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), i rapporti parentali tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' i precedenti penali dai quali gli stessi sono gravati. La motivazione, tuttavia, e' carente sotto alcuni profili e manifestamente illogica sotto altri, giacche' e' basata su argomenti ed elementi che si dimostrano inconferenti rispetto al tema del collegamento con la cd. casa madre. Ne' e' individuato in sentenza alcun elemento da cui desumere quel necessario collegamento organico e funzionale, quantomeno sotto forma di dipendenza, della "neoformazione" con il sodalizio-fonte, limitandosi in effetti la Corte territoriale ad indicare che detto collegamento dovrebbe derivare da alcuni viaggi effettuati da un soggetto, (OMISSIS), avente lo stesso cognome della stirpe (OMISSIS), ad Aosta. La sentenza finisce, peraltro, per ricondurre in maniera dogmatica ed assertiva i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) alla âEuroËœndrina di (OMISSIS) in Calabria. Nel valorizzare, come si e' detto, la presenza in alcune occasioni nel territorio valdostano di (OMISSIS), la Corte d'appello ha apoditticamente affermato che e' "notoria la sua appartenenza alla stirpe dei (OMISSIS) di (OMISSIS), ed altrettanto noto il suo curriculum deviante, con condanne definitive per traffico internazionale di droga e violazione della sorveglianza speciale di P.S., nonche' condanna in appello nel procedimento "Minotauro", ancora sub judice al momento della sua uccisione" (pag. 548 della sentenza). In primo luogo, va detto che la Corte di appello in tale passaggio motivazionale fa riferimento al concetto di "stirpe" dei (OMISSIS) di (OMISSIS), concetto con evidenza diverso da quello di âEuroËœndrina. Il ricorso poi al fatto "notorio" riferito alla "appartenenza" di (OMISSIS) alla stirpe dei (OMISSIS) di (OMISSIS), con indicazione del suo curriculum criminale, non puo' affatto ritenersi dimostrativo del collegamento "funzionale" tra l'ipotizzata locale aostana e la "casa madre", locale (o ndrina) di (OMISSIS) denominata (OMISSIS)- (OMISSIS), in relazione alla cui esistenza e operativita' non v'e' in effetti alcuna motivazione. Fondati, in proposito, sono i rilievi difensivi secondo i quali la Corte d'appello ha omesso di confrontarsi con le rigide regole che, sotto il profilo strutturale, contraddistinguono la particolare associazione di stampo mafioso denominata âEuroËœndrangheta dalle altre (si veda in proposito quanto rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte richiamata sopra nel par. 4.1.), con riferimento al modello "organizzatorio", di cui l'esistenza del collegamento con la casa madre e' parte integrante. Come si e' gia' sopra (par. 4.1) sottolineato, la reale connotazione delle forme di "delocalizzazione" della âEuroËœndrangheta (in ragione proprio delle peculiarita' strutturali, organizzative ed operative), connotata da forme di vera e propria "colonizzazione" dei territori nei quali decide di estendere la propria forza egemonica, non puo' che risiedere nell'intrinseca forza di intimidazione derivante dal collegamento con le componenti centrali dell'associazione mafiosa, dalla riproduzione sui territori delle tipiche strutture organizzative della âEuroËœndrangheta, dall'avvalimento della fama criminale conseguita, nel corso di decenni, nei territori di storico ed originario insediamento. Insomma, l'esistenza di una locale di âEuroËœndrangheta in territorio diverso da quello "storico" presuppone l'individuazione di elementi strutturali, organizzativi, operativi riconducibili al paradigma normativo dell'articolo 416 bis c.p., in quanto deve essere capace di avvalersi di una forza di intimidazione intrinseca alla struttura dell'associazione mafiosa, nelle sue componenti centrali e delocalizzate, e pur in assenza di forme di esteriorizzazione (che non coincide con il diverso concetto di estrinsecazione) eclatante del metodo mafioso e della forza di intimidazione (si veda in tal senso la lucida e condivisibile analisi contenuta nella motivazione della sentenza Sez. F, Sentenza n. 56596 del 03/09/2018, Rv. 274753). 4.3. Indubbiamente le difficolta' nel caso di specie derivano, come riconosce la stessa Corte territoriale, dal fatto che "il problema, qui di estrema pregnanza, e' quello delle c.d. mafie delocalizzate", le cui modalita' operative, tra l'altro, implicano la "compatibilita' con il modello normativo disegnato (...) con l'introduzione dell'articolo 416 bis c.p.". Sarebbe stato dunque necessario che la sentenza in esame chiarisse come una locale di âEuroËœndrangheta possa ritenersi esistente anche in assenza di indici strutturali tipici di questa particolare conformazione criminosa, operando in un territorio diverso e lontano da quello calabrese. Questo Collegio condivide i principi secondo i quali, ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 416 bis c.p. in relazione ad una articolazione periferica (c.d. "locale") di âEuroËœndrangheta, attiva nel territorio della Calabria, non e' necessario dimostrarne in concreto la capacita' intimidatoria mafiosa, essendo sufficiente provare che la cosca appartenga ad una precisa "locale" della piu' generale struttura di âEuroËœndrangheta, da cui mutua il potere di egemonizzazione criminale sul territorio di pertinenza, riconosciuto "ex lege" in forza del disposto di cui all'ultimo comma del predetto articolo (Sez. 2, n. 12362 del 02/03/2021, Rv. 280997). Diversamente deve invece ritenersi nei casi di operativita' in territorio diverso da quello calabrese, anche laddove non sia replicato il peculiare modello di insediamento dell'associazione mafiosa di riferimento, purche': "emerga il collegamento della nuova struttura, pur dotata di autonomia organizzativa, con tale sodalizio; la nuova struttura svolga un'attivita' destinata ad "occupare" aree produttive e di mercato, inquinando il relativo tessuto sociale-economico e sia mossa dalle stesse logiche dell'associazione di riferimento; il suo modulo organizzativo replichi i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando presagire il pericolo per l'ordine pubblico; vi sia dotazione di mezzi idonei a sprigionare nel nuovo contesto una forza intimidatrice propria, dotata di effettivita' e obiettivamente riscontrabile; vi sia la spendita, anche nei confronti di altre organizzazioni criminali presenti sul territorio, della fama criminale conseguita nei territori di storico e originario insediamento" (cosi', Sez. 2, n. 47538 del 18/11/2022, Rv. 284182). Non va trascurato, d'altronde, che il nucleo della fattispecie incriminatrice si collochi nell'articolo 416 bis c.p., comma 3laddove si definiscono unitariamente metodo e finalita' dell'associazione mafiosa, in quanto tali finalita' si qualificano solo se c'e' uno specifico "metodo" che le alimenta. E' evidente, allora, che per le associazioni, come quella ipotizzata nella specie, che non hanno una connotazione criminale qualificata sotto il profilo "storico", deve essere esaminato in maniera puntuale il loro concreto atteggiarsi. E', altresi', evidente, che, nell'ambito dell'analisi giudiziaria, debbano emergere le peculiarita' di ciascuna specifica realta' delinquenziale, in quanto la norma pone un problema di "assimilazione" normativa alle mafie "storiche" che rende necessaria un'attivita' interpretativa particolarmente attenta a porre in risalto "simmetrie" fenomeniche tra realta' fattuali, sociali ed umane, diverse fra loro (cosi', in motivazione, Sez. 2, n. 47538 del 18/11/2022, cit.). Indubbiamente, vanno fatte considerazioni diverse nei casi delle locali di âEuroËœndrangheta per le quali si ritiene - come ha fatto la Corte territoriale nella specie - rilevante il collegamento della struttura territoriale con la casa madre. In tali casi, si ribadisce, e' necessario individuare l'adozione di un modulo organizzativo che riproduce i tratti distintivi della suddetta struttura, cosi' da caratterizzarne l'intrinseca essenza e lasciare presagire il pericolo per l'ordine pubblico. E, solo in tali casi, si e' condivisibilmente affermato che il reato di cui all'articolo 416 bis c.p. sia configurabile anche in difetto della commissione di reati fine e dell'esteriorizzazione della forza intimidatrice qualora il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne, sostegno ai sodali in carcere, ecc.) presenti i tratti distintivi del sodalizio, lasciando concretamente presagire una gia' attuale pericolosita' per l'ordine pubblico. In tal senso, si e' espressa la gia' citata sentenza Sez. 5, n. 31666 del 03/03/2015, Bandiera, Rv. 264471, in una fattispecie relativa ad una cellula "locale" della âEuroËœndrangheta operante in Piemonte, in cui, pero', e' stato, tra l'altro, valorizzato il fatto che una delegazione di appartenenti alla struttura periferica si era recata in Calabria per ottenere, da un esponente di spicco dell'organizzazione mafiosa, il "placet" per la costituzione di una nuova cellula in altro comune piemontese. Nella sentenza impugnata in questa sede manca il riferimento a un episodio cosi' significativo per ritenere sussistente il collegamento funzionale con la âEuroËœndrina operante in Calabria. In senso analogo, la sentenza Sez. 2, n. 24850 del 28/03/2017, Cataldo, Rv. 270290, ha osservato come diverso sia il caso di una neoformazione che si presenta quale struttura autonoma ed originale, ancorche' caratterizzata dal proposito di utilizzare la stessa metodica delinquenziale delle c.d. "mafie storiche", giacche', rispetto ad essa, e' imprescindibile la verifica, in concreto, dei presupposti costitutivi della fattispecie ex articolo 416 bis c.p., tra cui la manifestazione all'esterno del metodo mafioso, quale fattore di produzione della tipica condizione di assoggettamento ed omerta' nell'ambiente circostante. In un'altra pronunzia di questa Corte e con riferimento ad un'articolazione in una cittadina svizzera di un sodalizio della âEuroËœndrangheta radicato in Calabria, si e' evidenziato che i moderni mezzi di comunicazione propri della globalita' hanno reso noto il metodo mafioso proprio della âEuroËœndrangheta anche in contesti geografici un tempo ritenuti refrattari o insensibili al condizionamento mafioso, per cui non e' necessaria la prova della capacita' intimidatrice o della condizione di assoggettamento o di omerta', in quanto l'impatto oppressivo sull'ambiente circostante e' assicurato dalla fama conseguita nel tempo dalla consorteria (Sez. 5, n. 28722 del 24/5/2018, Demasi, Rv. 273093 - 01; si vedano anche Sez. 2, n. 24850 del 28/03/2017, Cataldo e altri, Rv. 270290 - 01; Sez. 2, n. 4305 del 11/01/2012, 2012, Caridi, non massimata; si veda anche Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, PG c/Alampi, Rv. 281811 - 01). Nello stesso senso si sono pronunziate: Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Agostino, Rv. 264623, in una fattispecie relativa alle "locali" de "La Lombardia" collegata con la âEuroËœndrangheta operante in Calabria, secondo cui, ai fini della configurabilita' della natura mafiosa della diramazione di un'associazione di cui all'articolo 416 bis c.p., costituita fuori dal territorio di origine di quest'ultima, e' necessario che l'articolazione del sodalizio sia in grado di sprigionare, per il solo fatto della sua esistenza, una capacita' di intimidazione non soltanto potenziale, ma attuale, effettiva ed obiettivamente riscontrabile, capace di piegare ai propri fini la volonta' di quanti vengano a contatto con i suoi componenti, la quale puo', in concreto, promanare dalla diffusa consapevolezza del collegamento con l'associazione principale, oppure dall'esteriorizzazione "in loco" di condotte integranti gli elementi previsti dall'articolo 416 bis c.p., comma 3. E, ancora, la gia' citata Sez. 6, n. 44667 del 12/05/2016, Camarda, Rv. 268676, secondo cui, in tema di associazione di tipo mafioso, nei casi di delocalizzazione di piu' articolazioni periferiche (c.d. locali) che, pur richiamandosi a consorterie mafiose comprese tra quelle specificamente tipizzate sulla base di una consolidata esperienza, costituiscano un unico centro autonomo di imputazione di scelte criminali in un diverso quadro territoriale, non occorre che ogni cellula abbia dato luogo alla manifestazione del metodo mafioso, essendo invece necessario verificare che ciascuna di esse sia effettivamente parte del sodalizio e che questo, nel suo complesso, si sia manifestato nel nuovo contesto territoriale attraverso modalita' concrete che, pur potendo non postulare azioni eclatanti, devono consistere nell'attuazione di un sistema incentrato sull'assoggettamento derivante dalla forza del vincolo associativo (fattispecie relativa alla costituzione di plurime "locali" di âEuroËœndrangheta operanti in Piemonte, in cui si e' ritenuta sussistente un'unica associazione mafiosa composta da piu' cellule tra loro federate, evidenziando da una parte, come le singole cellule, pur operanti in propri ambiti territoriali e mantenendo stabilmente i contatti con gli organismi di vertice della consorteria di riferimento, si riconoscessero "come parti di un tutto", e, dall'altra, come il sodalizio avesse, nel suo complesso, fatto effettivamente uso del metodo mafioso all'esterno ed al suo interno). Va, peraltro, dato atto che altro orientamento interpretativo richiede la necessita' dell'esteriorizzazione, nel territorio ove la realta' associativa opera, di "una forza intimidatrice che sia effettiva ed obiettivamente riscontrabile" e che si estrinsechi nei confronti di terzi o dei sodali stessi (Sez. 1, n. 55359 del 17/06/2016, Pesce, Rv. 269043; Sez. 6, n. 34874 del 15/07/2015, Paletta, Rv. 264647, relativa, tuttavia, ad una compagine che operava in totale autonomia rispetto alla âEuroËœndrangheta calabrese). 4.4. E' importante evidenziare che pure le pronunzie di questa Corte, nelle quali si e' ritenuta configurabile la fattispecie di cui all'articolo 416 bis c.p. - con riferimento ad una nuova articolazione periferica (c.d. "locale") di un sodalizio mafioso radicato nell'area tradizionale di competenza - anche in difetto della commissione di reati-fine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice, sono relative a casi nei quali comunque sono stati rilevati elementi riconducibili a finalita' e modalita' mafiose, nel senso che e' stato ritenuto il collegamento della nuova struttura territoriale con quella "madre" del sodalizio di riferimento e sussistente il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne, sostegno ai sodali in carcere, ecc.) del predetto sodalizio, lasciando cio' presagire il pericolo per l'ordine pubblico. Cosi', per esempio, nella citata sentenza Sez. 5, n. 28722 del 24/5/2018, Demasi, sono stati valorizzati gli indici di collegamento con la casa madre calabrese, come emergenti dall'ordinanza impugnata, che aveva "ampiamente dato conto che il locale di Frauenfeld, oltre ad essere composto da soggetti di origini calabresi, era strutturato secondo una divisione di ruoli ben precisa, con attribuzione di cariche interne plasmata su quelle tradizionali dell'associazione calabrese, con la presenza di rituali anch'essi tipici della "casa-madre" e chiaramente evincibili dalle intercettazioni, sia quelle riportate nell'ordinanza del Tribunale reggino, sia quelle trascritte nell'ordinanza genetica che non essa fa corpo". Di analoghi elementi funzionali e strutturali la sentenza in esame non da' specifico conto, in quanto la locale aostana, secondo la Corte d'appello, avrebbe un numero minimo di affiliati (da qui il richiamo - come si dira' meglio piu' avanti - alla "microassociazione"), che, essendo di recentissima formazione, non e' mai aumentato, pur a fronte di "un nucleo consistente di fiancheggiatori" (pag. 555 della sentenza). E', quindi, stata ritenuta la sussistenza di un sodalizio completamente destrutturato, formato da un gruppo di ridotte dimensioni, in relazione al quale si conterebbero piu' fiancheggiatori che affiliati: ".... esso e' dotato di un numero limitato di adepti ma si giova di un considerevole numero di soggetti che- visto l'esito delle indagini- possono comunque definirsi calamitati nella sua orbita" (pag. 558; si veda anche il riferimento al numero di "fiancheggiatori" a pag. 555). Peraltro, come sostenuto dalle difese, proprio l'attenta analisi degli elementi probatori valorizzati dai giudici di merito evidenzia l'insussistenza di una forza di intimidazione promanante verso l'esterno: le vicende di maggior risalto emerse nel presente processo (tra le altre, la vicenda Filice/Elia, la fideiussione di (OMISSIS) a favore della societa' FRA.NI.DO. e la lite tra Marchetta e Ielardi) dimostrano tutte la sussistenza di meri rapporti di forza diversi tra soggetti gravitanti nello stesso ambiente di sottocultura criminale, non certo la capacita' di promanare all'esterno la tipica forza d'intimidazione, che caratterizza un'organizzazione strutturata come la âEuroËœndrangheta. La stessa vicenda relativa alla vendita dell'orologio di marca (OMISSIS) di tale (OMISSIS) dimostra che soggetti esterni al gruppo calabrese non avevano alcun timore a rapportarsi in maniera dura e diretta nei confronti di un soggetto al quale l'accusa ha attribuito una funzione apicale nel sodalizio. Ne' puo' attribuirsi valenza dimostrativa al riferimento fatto dalla Corte territoriale alla "cuginanza" del (OMISSIS) con i (OMISSIS), nonche' ai suoi precedenti penali, non riguardanti il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, neppure sotto il profilo dell'aggravante, risalenti nel tempo e per i quali nell'anno 2016 lo stesso risulta aver scontato interamente la pena: "Quanto al problema del collegamento, evidentemente costituito dalla nota ndrina dei (OMISSIS) di (OMISSIS), le fonti di prova da scrutinare sono essenzialmente costituite, ovviamente nella parte di interesse, dalle dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) ed (OMISSIS), tenendo conto gia' delle acquisizioni fattuali-probatorie incontestabili (ed incontestate dalle parti) per cui: 1) i (OMISSIS), pur non essendo membri di una ndrina autonoma (ed omonima, come erroneamente riportato nel relativo capo di imputazione) sono strettamente imparentati con i (OMISSIS), il che, considerato la struttura familistica che caratterizza il vincolo di appartenenza al sodalizio ndranghetistico, assume rilievo dirimente, specialmente alla luce del ruolo-guida assunto dal (OMISSIS); 2) gli stessi (OMISSIS), soprattutto (OMISSIS), sono gravati da precedenti penali per fatti di reato afferenti al traffico-anche internazionale per (OMISSIS)- di stupefacenti, attivita' "storicamente" svolta dagli appartenenti alla ndrina dei (OMISSIS). Tutti i reati in questione per quanto riguarda (OMISSIS) sono stati consumati in territorio valdostano, dove egli, prima dei fatti che portarono alla condanna scontata anche in regime detentivo domiciliare nel biennio che 2015-2016 (che interessa i fatti di causa), e' stato perfino sottoposto alla sorveglianza speciale di PS per la durata di anni due" (pag. 536). Questo passaggio motivazionale evidenzia in maniera plastica la serie di salti logici che finisce per caratterizzare il ragionamento fatto dalla Corte territoriale. Fondate, in proposito, risultano le doglianze difensive secondo le quali l'assunto della Corte territoriale tradisce la sua manifesta illogicita' laddove individua il collegamento della locale aostana, rispetto ad una non meglio specificata âEuroËœndrina di (OMISSIS), per il cognome " (OMISSIS)", per il rapporto di parentela di (OMISSIS) con (OMISSIS), nonche' di questi con la "famiglia (OMISSIS)" in generale. Assertivo, poi, risulta il passaggio motivazionale nel quale, sempre a dimostrazione del collegamento, la Corte territoriale richiama le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che proverebbero, oltre all'esistenza della locale in Aosta, "anche il suo collegamento con la casa madre" (pagg. 542-545). Nel rispetto del principio di autosufficienza, le difese hanno riportato negli atti di ricorso testualmente il contenuto del verbale afferente alle dichiarazioni del suddetto collaboratore, in tal modo evidenziando il vizio di travisamento per la tenuta dell'impianto argomentativo sul tema del collegamento funzionale della locale aostana con la casa madre, giacche' il (OMISSIS), ritenuto assolutamente attendibile dalla Corte territoriale, ha dichiarato di non aver avuto rapporti con (OMISSIS), bensi' solo con il fratello (OMISSIS) (si veda sul punto pag. 544 della sentenza impugnata), sicche' in effetti perde di valenza dimostrativa dell'esistenza del sodalizio criminale la circostanza dei viaggi di (OMISSIS) ad Aosta nell'arco temporale indicato nella sentenza. Come si e' detto, la Corte territoriale ha valorizzato elementi trascurati sul punto dal Tribunale, evidenziando come una serie di "verbali attinenti diversi servizi di osservazione, controllo e pedinamento (convenzionalmente denominati "o.c.p.") documentano, per tutto l'anno 2014 (quello nel quale e' collocato, nella contestazione in esame, l'incipit dell'associazione), nonche' per l'anno seguente diverse "ascese" in territorio aostano di (OMISSIS), gia' imputato nel presente procedimento ed uscito di scena per uccisione nell'anno 2017" (si veda pag. 546 della sentenza impugnata). Tuttavia, dalla lettura dei passaggi argomentativi della sentenza, nei quali appunto e' stata ritenuta la valenza dimostrativa della presenza di (OMISSIS) in piu' occasioni nel territorio aostano (si vedano in particolare pagg. 546 e ss della sentenza), si evince che la Corte territoriale ha tratto in maniera apodittica, perche' basata su una serie di ipotesi e congetture, elementi significativi sulla operativita' del sodalizio. Fondati, poi, appaiono pure i rilievi difensivi secondo i quali dalla stessa sentenza in esame emerge un ulteriore profilo di illogicita' manifesta, laddove (OMISSIS), ritenuto dai giudici di merito capo incontrastato della locale di Aosta, avrebbe "la base dei suoi interessi illeciti in Piemonte e (...) stava maturando il proposito di trasferire la piazza di spaccio nel capoluogo lombardo" (pag. 549 della sentenza). Si tratta di argomentazione debole, soprattutto se riferita alla struttura della âEuroËœndrangheta, giacche' non si comprende come (OMISSIS) riservasse a se' o ad altri soggetti del tutto estranei al sodalizio aostano attivita' illecite, tra l'altro assai proficue, quali lo spaccio di sostanze stupefacenti, svolgendole in territori diversi dalla (OMISSIS), sede della locale dallo stesso diretta in funzione apicale. 5. Quanto poi al programma delittuoso dell'associazione, si rileva che la sentenza di primo grado, peraltro in contrapposizione al provvedimento cautelare, aveva stabilito che "il locale di Aosta non si avvale della propria forza intimidatrice per commettere delitti, ma tende ad insinuare la propria presenza all'interno della ristretta comunita' valdostana ed in particolare in quella fascia di popolazione di origine calabrese residente nel capoluogo regionale e nelle localita' vicine, allo scopo di acquisire vantaggi ingiusti per se' o per altri (in tutti i casi in cui committenti privati avrebbero dovuto scegliere artigiani graditi all'associazione) o, come verra' dimostrato nel presente paragrafo, per orientare le scelte elettorali della comunita' di origine calabrese residente in (OMISSIS), in tal modo condizionando gli esiti delle competizioni elettorali a livello locale, sia comunale che regionale. Peraltro, si deve aggiungere che, per il raggiungimento di questi scopi associativi, i singoli associati pongono, altresi', in essere dei veri e propri delitti-scopo, identificabili nelle condotte di scambio elettorale politico-mafioso di cui all'articolo 416 ter c.p.". Come ha rilevato la difesa di (OMISSIS), gia' questa modifica non risultava essere di poco conto, poiche', a fronte di una locale di âEuroËœndrangheta inizialmente descritta come tipica, sia sotto il profilo strutturale che sotto quello programmatico, all'esito del giudizio di primo grado e' stata delineata una compagine assai diversa, sia nel modulo organizzativo, sia sotto il profilo programmatico, giacche', secondo la pronunzia del Tribunale, la locale aostana era un'associazione mafiosa che "non commette reati" e che, in buona sostanza, si era posta solo come obiettivo primario quello di infiltrare i gangli della pubblica amministrazione, regionale e comunale, e solo residualmente quello di acquisire vantaggi ingiusti per se' o per altri. La sentenza di appello, tuttavia, ha apportato un ulteriore correttivo in merito al programma criminoso, ritenendo che il "nascente" sodalizio inizialmente si fosse rivolto alle attivita' (per lo piu') gestite da soggetti di origine calabrese ed ai settori che potessero consentire al gruppo, anche attraverso eventuali future adesioni, di estendere i suoi tentacoli nel tessuto socio economico-politico regionale (pag. 555 della sentenza in esame). Il sodalizio, quindi, si sarebbe innanzitutto interessato alle attivita' economiche di soggetti calabresi, progettando di espandersi nello stesso ramo grazie all'intervento di (OMISSIS); in seguito, senza un'apparente ragione, dopo aver sondato fugacemente il terreno, avrebbe optato per il settore politico-istituzionale (pag. 560 della sentenza), senza pero' mai perdere di vista gli altri settori di attivita' - da quello riservato ai vertici, del traffico di droga, ma anche dell'illecita infiltrazione nelle attivita' economiche locali (pag. 564 della sentenza). Tuttavia, tutta la parte della sentenza dedicata all'attivismo del "clan" nelle questioni elettorali (pagg. 559-564) appare viziata da molteplici salti probatori, peraltro non corroborati da ulteriori sviluppi della vita del sodalizio pur ipotizzati nel procedimento c.d. (OMISSIS), in relazione al quale e' intervenuto un provvedimento di archiviazione. D'altronde, nella nuova e diversa ottica seguita dalla Corte territoriale, avendo ritenuto il sodalizio una "neoformazione" in progressiva via di espansione, anche il programma politico dell'associazione cambia volto rispetto a quanto si legge nella sentenza di primo grado: anzitutto, un'attivita' declinata come mero "tentativo" (sul punto si dira' anche meglio piu' avanti), senza nessuna interferenza nell'attivita' elettorale, ne' con riferimento alle elezioni comunali del 2015 (rispetto alle quali si esclude qualunque interferenza sia per la (OMISSIS) sia per (OMISSIS)) ma neppure in quelle del 2018, di cui i capi, (OMISSIS) e (OMISSIS), non si occupano, non essendo neppure attinti dall'avviso di conclusione indagini ex articolo 415 bis c.p.p. nel citato procedimento (OMISSIS). Ne' puo' trascurarsi che la motivazione della sentenza sul programma criminoso appare viziata da un'iperbole logica, giacche' la Corte territoriale - come si e' gia' detto - ha imputato ai vertici della locale l'attivita' legata agli stupefacenti, contestata invece al solo (OMISSIS), peraltro quale componente di un'altra associazione, diversa da quella ascritta ai ricorrenti nel presente processo. In effetti, le argomentazioni della sentenza sul punto sono illogiche e carenti nella parte in cui fanno riferimento a un "programma" ma indicano solo fatti singoli, ritenuti collegati pur in assenza di evidenze in tal senso, giacche' risultano valorizzati elementi in maniera parcellizzata, per cui, ove si consideri che manca del tutto anche il riferimento alla predisposizione dei luoghi e mezzi necessari al raggiungimento degli obiettivi illeciti del sodalizio (pur ampiamente prospettata nel capo di imputazione, il cui testo e' stato sopra riportato), e' evidente la necessita' di un annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale, perche' si provveda a colmare le suindicate lacune motivazionali, tenendo conto, in via prioritaria, che in un caso come quello in esame, nel quale l'atteggiamento intimidatorio non ha mai assunto connotazioni esplicite, tantomeno spettacolari, non si e' mai estrinsecato nella commissione di reati tipicamente e tradizionalmente ricollegati al fenomeno mafioso (omicidi, estorsioni, minacce, danneggiamenti...), e neppure ha portato alla condanna degli imputati per "reati-scopo" di qualsivoglia natura, e' evidente che le azioni compiute dai componenti l'associazione in tanto possono essere considerate rilevanti sotto il profilo della loro capacita' di integrare l'elemento costitutivo del "metodo mafioso", in quanto possano essere ritenute di per se' evocative della fama criminale dell'associazione stessa. Ma, affinche' quella "fama criminale" possa essere fatta derivare dalla "spendita del nome" della âEuroËœndrangheta calabrese, occorre che si provi che il tessuto sociale di riferimento (lontano dalla Calabria), anche in assenza di specifici atti "intimidatori", sia automaticamente in grado di recepire il messaggio che quel collegamento evoca. 6. E' necessario pure dare atto della fondatezza dei rilievi difensivi secondo i quali nel ragionamento della Corte territoriale si annida un ulteriore errore nell'interpretazione dell'articolo 416 bis c.p. laddove, nell'esaminare la struttura dell'organizzazione criminosa di cui intende provata l'esistenza, sfugge al necessario vaglio, gia' obliterato dal Tribunale, della sussistenza dei necessari "indici" di carattere strutturale del sodalizio che, definito quale "neoformazione", viene valutato con i parametri della associazione non tradizionale o straniera e non, come invece, avrebbe dovuto, quale locale di âEuroËœndrangheta. Come si e' gia' rilevato, il riferimento alle piccole dimensioni della struttura farebbe, per cio' solo, venire meno anche la necessita' dell'organizzazione gerarchica, il conferimento delle "doti" e dei compiti predefiniti degli adepti (pag. 530) con un ragionamento ictu oculi illogico rispetto al richiamo, da parte della Corte territoriale, alla struttura associativa âEuroËœndranghetistica, pur nella forma di mafia delocalizzata che detti requisiti, invece, deve possedere per poterne ritenere l'esistenza. La sentenza impugnata, descrivendo la struttura della "locale", fa riferimento a diverse definizioni quali "microassociazione", "una piccola compagine criminale" (pag. 551), "un gruppo di ridotte dimensioni certamente gia' fornito da un nucleo consistente di fiancheggiatori ma certamente ancora di recente costituzione" (pag. 555), un sodalizio "di recente formazione dove la consumazione di reati comunemente indicati quali delitti "spia" dell'operativita' dell'associazione criminosa (estorsione, violazione del t. u. in materia di sostanze stupefacenti delitti contro l'amministrazione della giustizia) e' certamente episodica, e comunque "riservata" ai vertici (i due (OMISSIS); (OMISSIS)) salvo sporadici episodi di imputazioni elevati a carico di fiancheggiatori" (pag. 555); una locale "in uno stadio ancora pienamente evolutivo" (pag. 558), "un gruppo in "prudenziale" via di espansione" (pag. 560), "un nascente clan" (pag. 566), "un gruppo di giovane formazione" (pag. 586), "una neocostituita cellula" (pag. 586) e, nella parte motiva dedicata alla ritenuta inammissibilita' dell'appello del Pubblico Ministero, come "fenomeno palesemente costituente un work in progress" (pag. 574). Inoltre, la sentenza di appello definisce la "locale" valdostana un gruppo in "prudenziale" via di espansione che ha scelto di concentrarsi, come fine, sull'infiltrazione nel settore politico istituzionale (pag. 560); finalita' ritenuta rafforzamento della capacita' operativa dell'associazione (pag. 625). Cosi' delineate le definizioni attribuite dalla Corte territoriale ai fatti oggetto del processo, e' evidente la violazione di legge in cui e' incorsa la sentenza impugnata: nel trarre le conclusioni dalla valutazione delle risultanze processuali in ordine alla sussistenza della fattispecie di cui all'articolo 416 bis c.p. la sentenza finisce per fare riferimento a elementi riconducibili solo ad atti, meramente preparatori, diretti alla formazione di una associazione per delinquere di stampo âEuroËœndranghetistico. Va allora ricordato che anche l'associazione di cui all'articolo 416 bis c.p. e' un reato di pericolo e, quindi, si perfeziona non appena si e' creato il vincolo associativo e si e' concordato il piano organizzativo per l'attuazione del programma delinquenziale, del tutto indipendentemente dalla concreta esecuzione dei singoli delitti; ne consegue che detta fattispecie non consente l'ipotizzabilita' del tentativo, giacche' gli eventuali atti, diretti alla formazione di una associazione per delinquere, o sono meramente preparatori e non interessano la sfera giuridico-penale ovvero hanno il carattere della idoneita' ed inequivocita' e determinano la consumazione del delitto, perche', dal loro venire ad esistenza, e' gia' compromesso l'ordinato svolgimento della vita sociale e si e', quindi, attuata la minaccia all'ordine pubblico (si vedano in materia Sez. 6, n. 4294 del 09/10/2014, Rv. 262049; Sez. 1, n. 130 del 07/04/1989, Rv. 182993). Questa Corte ha sottolineato come la mera esistenza del sodalizio mafioso pone di per se' a rischio i beni giuridici protetti dalla norma incriminatrice, con particolare riguardo all'ordine pubblico, all'ordine economico ed alla libera partecipazione dei cittadini alla vita politica, ma cio' non consente di ritenere sufficiente ad integrare il reato la mera capacita' potenziale del gruppo criminale di esercitare la forza intimidatoria, occorrendo invece che il sodalizio faccia effettivo, concreto, attuale e percepibile uso - ancorche' non necessariamente con metodi violenti o minacciosi - della suddetta forza (Sez. 6, Sentenza n. 18125 del 22/10/2019, Rv. 279555, che, in motivazione, ha precisato che la capacita' intimidatoria deve appartenere all'associazione in quanto tale, non potendosi desumere la stessa dalla sola fama criminale del singolo associato; in senso conforme Sez. 6, Sentenza n. 50064 del 16/09/2015, Rv. 265656; Sez. 2, Sentenza n. 31512 del 24/04/2012, Rv. 254031). La gia' citata Sez. 5, n. 31666 del 03/03/2015, Bandiera, Rv. 264471, nel valorizzare la natura di reato di pericolo della fattispecie ex articolo 416 bis c.p., si' da rinvenirne gli estremi anche nel caso di "mafia silente", ha sottolineato che, comunque, e' necessario che l'organizzazione sul territorio, la distinzione di ruoli, i rituali di affiliazione, il livello organizzativo e programmatico raggiunto, lascino concretamente presagire la prossima realizzazione di reati-fine dell'associazione. Ricavando, a contrario, la diversita' delle strutture che abbiano si' mutuato l'organizzazione interna ed i rituali di quelle operanti in Calabria, ma che operino non solo in contesti territoriali "vergini" al fenomeno ma anche in totale autonomia, si' da non poter contare sulla forza intimidatrice insita nei sodalizi calabri, ne' sulle logiche economico delinquenziali di questi ultimi, rendendo cosi' necessario che la neoformazione si guadagni sul campo la sua fama criminale, prima di assurgere al rango di associazione mafiosa. I suddetti principi sono stati confermati dalla sentenza delle Sezioni Unite Modaffari che - facendo leva sulla locuzione "si avvalgono" - ha escluso una ricostruzione della fattispecie in termini di reato associativo c.d. puro, ossia legato alla mera verifica della costituzione di un gruppo organizzato dotato di un programma criminoso da attuarsi con la forza intimidatrice del vincolo associativo e con lo sfruttamento delle condizioni di assoggettamento e di omerta' che ne derivano pur quando alcun effetto di intimidazione sia in concreto prodotto. Evidenziano le Sezioni Unite Modaffari che "con l'articolo 416 c.p. il legislatore individua un reato associativo "puro", dal momento che per la sua configurazione e' necessaria esclusivamente una organizzazione funzionale alla realizzazione del programma criminoso; con l'articolo 416-bis c.p., invece, attraverso la caratterizzazione del metodo e delle finalita' dell'associazione, si finisce per costituire un reato a struttura "mista" o "complessa" del tutto peculiare e che richiede, per la sua configurabilita', la ricorrenza di un quid pluris rispetto alla sola organizzazione pluripersonale e al programma criminoso" (cosi' in motivazione -pag. 12-S.U. sentenza n. 36958/2021). Inoltre, la sentenza Modaffari "ritiene che, pur non potendosi mettere in dubbio la natura di reato di pericolo, atteso che le finalita' programmatiche del sodalizio costituiscono la fonte di un pericolo incombente per l'ordine pubblico, l'ordine economico e la collettivita' intera in se' considerata e nell'esercizio dei propri diritti, sia necessario prendere le mosse da una corretta ermeneusi della locuzione normativa "si avvalgono della forza d'intimidazione del vincolo associativo". Invero, premesso che la tipicita' del modello associativo delineato dall'articolo 416-bis c.p. risiede nelle modalita' (che si esprimono nel concetto di metodo mafioso) attraverso cui l'associazione si manifesta concretamente e non negli scopi che essa intende perseguire, quali delineati nell'articolo 416- bis c.p., comma 3 in modo alternativo, per l'integrazione del tipo occorre riscontrare empiricamente che il sodalizio abbia in termini effettivi dato prova di possedere tale "forza" e di essersene avvalso. Si supera cosi' l'interpretazione volta a conferire alla locuzione un rilievo solo sul piano soggettivo, ossia come mera intenzione di "avvalersi" e si attribuisce rilievo all'oggettivita' del metodo mafioso in ossequio ai gia' menzionati principi di oggettivita' ed offensivita'. Forza intimidatrice del vincolo associativo, condizione di assoggettamento e condizione di omerta' costituiscono altrettanti elementi necessari ed essenziali perche' possa configurarsi il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. associativo, come del resto si desume senza possibilita' di dubbio dall'uso della congiunzione "e" impiegata nel testo normativo. Cardine della fattispecie e' la forza di intimidazione: cio' che viene in rilievo non e', dunque, un qualunque atteggiamento, pur se sistematico, di sopraffazione o di prevaricazione, ma una vis che, promanante dal vincolo associativo, e' capace di generare una condizione di assoggettamento e di omerta'. Il profilo relativo alla necessita' che la capacita' intimidatrice sia formata, esternata ed obiettivamente percepita va tenuto distinto da quello relativo alle modalita' (del tutto "libere") con cui tale capacita' si esteriorizza, potendo prescindere da "contenuti" di violenza e minaccia. Si tratta, in altre parole, di una carica intimidatoria, spesso identificata come "fama criminale", che rappresenta una sorta di "avviamento" grazie al quale l'organizzazione mafiosa proietta le sue attivita' nel futuro. Geneticamente, quindi, la forza deve essere riferita all'associazione in quanto tale e deve connotare la struttura in se', diventandone una qualita' ineludibile, in grado di imporsi autonomamente (Sez. 6, n. 2402 del 23/06/1999, D'Alessandro, Rv. 214923-01). Ai fini della consumazione del reato, non e' necessario che i suddetti strumenti siano utilizzati in concreto dai singoli associati, ma si richiede tuttavia che costoro siano effettivamente nelle condizioni e nella consapevolezza di poterne disporre. La consorteria deve, infatti, potersi avvalere della pressione derivante dal vincolo associativo, nel senso che e' l'associazione e soltanto essa, indipendentemente dal compimento di specifici atti di intimidazione da parte dei singoli associati, ad esprimere il metodo mafioso e la sua capacita' di sopraffazione che rappresenta l'elemento strumentale tipico del quale gli associati si servono in vista degli scopi propri dell'associazione. Diviene cosi' necessario che l'associazione abbia conseguito, in concreto, nell'ambiente circostante nel quale essa opera, un'effettiva capacita' di intimidazione, sino a estendere intorno a se' un alone permanente di paura diffusa, oggettivamente percepibile, che si mantenga vivo anche a prescindere da singoli atti di intimidazione concreti posti in essere da questo o quell'associato; peraltro, qualora emergano prove di concreti atti di intimidazione e di violenza, esse possono utilmente riflettersi anche sulla prova della forza intimidatrice del vincolo associativo, ma vi si riflettono solo in via derivata, poiche' cio' che conta e' che, anche mancando la prova di tali atti, l'elemento della forza intimidatrice sia desunto da circostanze atte a dimostrare la capacita' di incutere timore propria dell'associazione, e ricollegabile ad una generale percezione della sua terribile efficienza nell'esercizio della coercizione fisica e/o morale (Sez. F, n. 44315 del 12/09/2013, Cicero, Rv. 258637-01)" (cosi' in motivazione S.U. sentenza n. 36958/2021, pagg. 15-16). 7. Le considerazioni sopra evidenziate sui vizi della sentenza impugnata, che afferiscono alla sussistenza del reato associativo, risultano assorbenti con riferimento agli altri profili oggetto delle deduzioni delle difese di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Esse, peraltro, si profilano assorbenti anche con riferimento alle imputazioni di concorso esterno e di cui all'articolo 416 ter c.p., che, ovviamente, presuppongono l'esistenza di un sodalizio di âEuroËœndrangheta. 7.1. Va qui solo detto, in relazione al ricorso del Procuratore Generale, che esso e' inammissibile perche' versato in fatto e richiede una rivalutazione delle risultanze processuali non consentita in sede di legittimita', a fronte di una sentenza che, in ordine alle assoluzioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), ha sviluppato una motivazione congrua ed esente da vizi di travisamento e manifesta illogicita'. 7.2. In ordine alla posizione della (OMISSIS) va aggiunto che la Corte territoriale, in sede di rinvio, dopo aver nuovamente esaminato i profili afferenti alla configurabilita' nella specie di una associazione di `ndrangheta attenendosi ai principi sopra enunciati, dovra' confrontarsi con le specifiche doglianze proposte con l'atto di appello dall'imputata in ordine alla sua responsabilita', giacche' la motivazione della sentenza impugnata sul punto (pagg. 589 e ss) appare carente (ove si consideri che una corposa parte di essa e' costituita dall'integrale riferimento al contenuto di intercettazioni) e viziata da manifesta illogicita', soprattutto tenuto conto delle diverse valutazioni fatte sulla posizione dell'imputato (OMISSIS). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. CAIRO Antonio - Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/02/2020 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FILOCAMO FULVIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa GUERRA MARIAEMANUELA che conclude chiedendo il rigetto dei ricorsi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); dichiararsi inammissibile il ricorso di (OMISSIS). Uditi i difensori: L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo il rigetto dei ricorsi e deposita conclusioni e nota spese; L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo il rigetto dei ricorsi e deposita conclusioni e nota spese; L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo il rigetto dei ricorsi e deposita conclusioni e nota spese; L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso; L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso; L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso; L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 4 febbraio 2020, depositata il 18 gennaio 2021, la Corte di appello di Reggio Calabria, decidendo sugli appelli proposti avverso la sentenza emessa a seguito di rito abbreviato dal Giudice per le indagini preliminari, in funzione di giudice dell'udienza preliminare, del Tribunale di Reggio Calabria in data 9 febbraio 2018: - confermava la condanna di (OMISSIS), ritenuto colpevole del reato, ascrittogli al capo 2) della rubrica, "di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, per aver fatto parte, con altre persone allo stato non ancora individuate, nell'ambito dell'associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta - operante sul territorio della provincia di (OMISSIS), del territorio nazionale ed estero, costituita da molte decine di locali, articolata in tre mandamenti ((OMISSIS) citta') e con organo di vertice denominato "provincia" - alla cosca (OMISSIS)- (OMISSIS), operante sul territorio del Comune di (OMISSIS), a sua volta inserita nel mandamento tirrenico (per come gia' giudiziariamente accertato nei processi conclusisi con sentenza n. 1/2003, emessa dalla Corte di assise di Palmi a carico di (OMISSIS) + 7, e con sentenza emessa nel proc. n. 4508/2006 DDA denominato "Cosa Mia"), avvalendosi della forza di intimidazione che scaturiva dal vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omerta' che si creavano in detto territorio, attuando un capillare controllo di ogni aspetto della vita, specie pubblica ed economica, affermatasi nel corso del tempo, avendo come scopo quello di conseguire vantaggi patrimoniali dalle attivita' economiche che si svolgevano nel territorio attraverso la partecipazione alle stesse, ovvero con la riscossione di somme di denaro a titolo di compendio estorsivo, di acquisire direttamente o indirettamente la gestione e/o il controllo di attivita' economiche in diversi settori, di affermare il controllo egemonico sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminali omologhe (cosca (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) di (OMISSIS)), sopprimendo i soggetti che a quel controllo si contrapponevano, di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita, l'incolumita' individuale e in materia di armi e, comunque, infine, di procurarsi ingiuste utilita'. In particolare: (...) (OMISSIS), in qualita' di partecipe della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) con il ruolo di mantenere, in nome e per conto del capo cosca (OMISSIS) - quale aggiudicatario con la ditta (OMISSIS) di (OMISSIS) o con altre ditte intestate a prestanome degli appalti dei servizi di pulizia in (OMISSIS) per le societa' (OMISSIS) e (OMISSIS) - diretti rapporti con la dirigenza della societa' committente e con il personale operante sui cantieri, nonche' di dare esecuzione agli ordini impartiti da (OMISSIS); piu' in generale viene considerato a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo". Per detto reato erano confermate la condanna alla pena di anni otto di reclusione, al pagamento in solido delle spese processuali e disgiuntamente a quelle relative al proprio mantenimento durante la custodia cautelare in carcere, nonche' al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, la dichiarazione di interdizione perpetua dai pubblici uffici e di interdizione legale durante l'esecuzione della pena, nonche' l'applicazione, a pena espiata, della misura di sicurezza della liberta' vigilata per la durata di anni uno e mesi sei; - confermava la condanna, rideterminando la pena in anni otto e mesi due di reclusione, nei confronti di (OMISSIS) ritenuto colpevole del reato, ascrittogli al capo 2) della rubrica "di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, per aver fatto parte, con altre persone allo stato non ancora individuate, nell'ambito dell'associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta - operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria, del territorio nazionale ed estero costituita da molte decine di locali, articolata in tre mandamenti ((OMISSIS) citta') e con organo di vertice denominato "provincia" - alla cosca (OMISSIS)- (OMISSIS), operante sul territorio del Comune di Palmi, a sua volta inserita nel mandamento tirrenico (per come gia' giudiziariamente accertato nei processi conclusisi con sentenza n. 1/2003, emessa dalla Corte di assise di Palmi a carico di (OMISSIS) + 7, e con sentenza emessa nel proc. n. 4508/2006 DDA denominato "Cosa Mia"), avvalendosi della forza di intimidazione che scaturiva dal vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omerta' che si creavano nel citato territorio, attuando un capillare controllo di ogni aspetto della vita, specie pubblica ed economica, affermatasi nel corso del tempo, avendo come scopo quello di conseguire vantaggi patrimoniali dalle attivita' economiche che si svolgevano nel territorio attraverso la partecipazione alle stesse ovvero con la riscossione di somme di denaro a titolo di compendio estorsivo, di acquisire direttamente o indirettamente la gestione e/o il controllo di attivita' economiche nei piu' svariati settori, di affermare il controllo egemonico sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminali omologhe (cosca (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) di (OMISSIS)), sopprimendo i soggetti che a quel controllo si contrapponevano, di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita, l'incolumita' individuale e in materia di armi e, comunque, di procurarsi ingiuste utilita'. In particolare: (...) (OMISSIS) in qualita' di partecipe della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) con il ruolo di - prestanome di diverse aziende ritenute nevralgiche per gli affari economici della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS), ovvero della (OMISSIS), con sede legale a (OMISSIS), e unita' operativa in (OMISSIS), nonche' della ditta individuale (OMISSIS), attraverso cui la cosca conseguiva numerose commesse - di dirigere i lavori edili riguardanti la struttura ricettiva tipo agriturismo che (OMISSIS) ha avviato, nel 2012, in contrada (OMISSIS), peraltro edificata in assenza di qualsivoglia licenza amministrativa; piu' in generale, e' a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo", nonche' del reato di cui al capo 30) "p. e p. dall'articolo 110 c.p., Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-quinquies, conv. nella L. 7 agosto 1992, n. 356 e Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 conv. nella L. n. 203 del 1991, perche' agendo in concorso con (OMISSIS), quest'ultimo gli intestava fittiziamente la titolarita' della ditta denominata (OMISSIS) S.r.l. con sede legale a (OMISSIS), e unita' operativa in (OMISSIS), al fine di eludere le disposizioni di legge che consentono il sequestro e la confisca dei beni in materia di misure di prevenzione. Con l'aggravante dell'aver commesso il fatto con la finalita' di agevolare l'attivita' della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) inserita nell'articolazione territoriale dell'associazione denominata âEuroËœndrangheta operante in (OMISSIS). In (OMISSIS)". Per gli indicati reati era condannato alla indicata pena, ridotta rispetto al primo grado, di anni otto e mesi due di reclusione, con conferma nel resto della sentenza impugnata e in particolare delle statuizioni civili, con la condanna alle ulteriori spese relative all'esercizio dell'azione civile nel grado di appello; - confermava la condanna alla pena di anni otto di reclusione, nei confronti di (OMISSIS), ritenuto colpevole del reato, ascrittogli al capo 2) della rubrica, "di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, per aver fatto parte, con altre persone allo stato non ancora individuate, nell'ambito dell'associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta - operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria, del territorio nazionale ed estero costituita da molte decine di locali, articolata in tre mandamenti ((OMISSIS) citta') e con organo di vertice denominato "provincia" - alla cosca (OMISSIS)- (OMISSIS), operante sul territorio del Comune di Palmi, a sua volta inserita nel mandamento tirrenico (per come gia' giudiziariamente accertato nei processi conclusisi con sentenza n. 1/2003, emessa dalla Corte di assise di Palmi a carico di (OMISSIS) + 7, e con sentenza emessa nel proc. n. 4508/2006 DDA denominato "Cosa Mia"), avvalendosi della forza di intimidazione che scaturiva dal vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omerta' che si creavano nel citato territorio, attuando un capillare controllo di ogni aspetto della vita, specie pubblica ed economica, affermatasi nel corso del tempo, avendo come scopo quello di conseguire vantaggi patrimoniali dalle attivita' economiche che si svolgevano nel territorio attraverso la partecipazione alle stesse ovvero con la riscossione di somme di denaro a titolo di compendio estorsivo, di acquisire direttamente o indirettamente la gestione e/o il controllo di attivita' economiche nei piu' svariati settori, di affermare il controllo egemonico sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminali omologhe (cosca (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) di (OMISSIS)), sopprimendo i soggetti che a quel controllo si contrapponevano, di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita, l'incolumita' individuale e in materia di armi; e, comunque, di procurarsi ingiuste utilita'. In particolare: (...) (OMISSIS), detto "(OMISSIS)", in qualita' di partecipe della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) con il ruolo di coadiuvare (OMISSIS) nella commercializzazione di materiale plastico, acquistato all'ingrosso presso la ditta (OMISSIS) con sede a (OMISSIS), e di staffetta in occasione della partecipazione alla gara di appalto per l'assegnazione dei lotti relativi all'Universita' della (OMISSIS) attraverso la compiacente ditta (OMISSIS) di (OMISSIS); piu' in generale, e' a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo". Per detto reato erano confermate la suddetta condanna alla pena di anni otto di reclusione, al pagamento in solido delle spese processuali e disgiuntamente a quelle relative al proprio mantenimento durante la custodia cautelare in carcere, nonche' al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, la dichiarazione di interdizione perpetua dai pubblici uffici e di interdizione legale durante l'esecuzione della pena, nonche' l'applicazione, a pena espiata, della misura di sicurezza della liberta' vigilata per la durata di anni uno e mesi sei; - confermava la condanna, rideterminando la pena in anni sei e mesi otto di reclusione e tremila Euro di multa, nei confronti di (OMISSIS) cl. (OMISSIS), ritenuto colpevole dei reati ascrittigli ai capi a) e b). In particolare, quanto al capo a, gli erano ascritti "i reati di cui agli articoli 110, 99, 81 cpv., 56 c.p. e articolo 629 c.p., commi 1 e 2, questi ultimi in relazione all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, nonche' (...) il reato di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 (convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203) perche', in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in tempi distinti, al fine di conseguire un ingiusto profitto per se' e per l'organizzazione di appartenenza egemone sul territorio (cosca (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS)), alludendo dapprima al fatto che il pagamento di una tangente fosse condizione necessaria per evitate la verificazione di danneggiamenti e furti nei fondi di proprieta' del Comune di (OMISSIS), dati in gestione ed utilizzati da (OMISSIS) per avviare un progetto imprenditoriale con la cooperativa denominata " (OMISSIS)" afferente la realizzazione di un agriturismo in localita' (OMISSIS); di poi con minacce implicite e velate, e anche con ricorso a messaggi intimidatori "silenti" (nel maggio 2015 si verificava il danneggiamento di una rete di recinzione con invasione di mandrie di bovini in un terreno nella disponibilita' di (OMISSIS); in data (OMISSIS) veniva fatto trovare un vitellino ammazzato in un fondo gestito dal (OMISSIS); in data (OMISSIS), gli veniva recapitata una missiva contenente minacce di morte e tre cartucce), compivano atti univocamente diretti a costringere l'amministratore di fatto della cooperativa agricola denominata " (OMISSIS)", (OMISSIS), a compiere atti di diposizione patrimoniale attraverso l'esercizio di una forte pressione ed ingenerando nella vittima il pericolo per la propria vita e per quella dei propri familiari. In particolare: a seguito della richiesta di "autorizzazione" ad esercitare l'attivita' di impresa da parte di (OMISSIS), avanzata tramite l'intermediazione di terze persone, (OMISSIS) e il figlio (OMISSIS) statuivano unilateralmente il quantum della tangente (Euro 50.000,00) che tentavano di riscuotere esercitando pressioni su (OMISSIS) affinche' operasse la consegna della somma successivamente, (OMISSIS) e (OMISSIS) con minacce implicite e velate, anche con ricorso a messaggi intimidatori "silenti" (nel maggio 2015 si verificava il danneggiamento di una rete di recinzione con invasione di mandrie di bovini in un terreno nella disponibilita' di (OMISSIS); in data (OMISSIS) veniva fatto trovare un vitellino ammazzato in un fondo gestito dal (OMISSIS); in data (OMISSIS), gli veniva recapitata una missiva contenente minacce di morte e tre cartucce), compivano atti univocamente diretti a costringere (OMISSIS) a compiere ulteriori atti di diposizione patrimoniale tra cui: corrispondere non meglio precisate somme di denaro, la cui quantificazione era rimessa per relationem alle necessita' di mantenere il pagamento degli avvocati di (OMISSIS) (in quel momento detenuto agli arresti domiciliari per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e recentemente condannato nell'ambito del procedimento denominato "Saggezza" e con precedente condanna, per identico titolo di reato, nell'ambito del procedimento denominato "il Crimine") a titolo di tangente; assumere alle sue dipendenze manodopera "indicata" dai due; affidare lavori e concludere contratti di compravendita con soggetti contigui alla cosca (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) non riuscendo tuttavia nel loro intento per il comportamento della vittima che cercava di prendere tempo, accampando pretesti per non accondiscendere alle richieste estorsive dei referenti dell'organizzazione criminale di stampo mafioso. Con l'aggravante dell'utilizzo del c.d. "metodo mafioso", consistito nell'ostentare, in maniera evidente, una condotta idonea a esercitare sul soggetto passivo quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione, proprie delle organizzazioni mafiose. Con l'aggravante dell'aver agito al fine di agevolare ed avvantaggiare l'attivita' dell'associazione mafiosa di appartenenza ovvero la cosca (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS). In (OMISSIS) certamente fino al gennaio 2016 con condotta perdurante". Al capo b) erano, invece, contestati il reato di cui agli articoli 110, 99, 81 cpv. c.p., articolo 629 c.p., commi 1 e 2, questo ultimo in relazione all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, e il reato di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 (convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203) perche', al fine di conseguire un ingiusto profitto per se' e per l'organizzazione di appartenenza, con minacce implicite costringendo l'amministratore di fatto della cooperativa agricola denominata " (OMISSIS)", (OMISSIS), a compiere atti di disposizione patrimoniale ovvero a cedergli senza corresponsione di corrispettivo la rete metallica di recinzione, si procurava un ingiusto profitto concretizzatosi nell'acquisizione della disponibilita' della suddetta rete con altrui danno. Con l'aggravante dell'utilizzo del c.d. "metodo mafioso", consistito nell'ostentare, in maniera evidente, una condotta idonea ad esercitare sul soggetto passivo quella particolare coartazione, e quella conseguente intimidazione, proprie delle organizzazioni mafiose. Con l'aggravante dell'aver agito al fine di agevolare ed avvantaggiare l'attivita' dell'associazione mafiosa di appartenenza ovvero la cosca (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS). In (OMISSIS), in epoca antecedente e prossima al maggio 2015". Per gli indicati reati era condannato alla pena come sopra indicata, ridotta rispetto al primo grado, di anni sei e mesi otto di reclusione e di Euro tremila di multa, con conferma nel resto della sentenza impugnata e in particolare delle statuizioni civili, con la condanna alle ulteriori spese relative all'esercizio dell'azione civile nel grado di appello. 2. La sentenza impugnata confermava l'affermata sussistenza della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) e il ruolo di vertice ricoperto al suo interno da (OMISSIS), valorizzando precedenti sentenze definitive che avevano riconosciuto l'esistenza di una cosca operante nel territorio di (OMISSIS) denominata (OMISSIS)- (OMISSIS), conosciuta anche con l'appellativo di "(OMISSIS)". In particolare, con la sentenza n. 1 del 2003, emessa dalla Corte di assise di Palmi a carico di (OMISSIS) + 7, erano stati condannati per partecipazione ad associazione di stampo mafioso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Detta sentenza, parzialmente riformata in data 18 aprile 2005 dalla Corte di assise di appello di Reggio Calabria per i primi due quanto alla pena e nel merito per gli altri due, aveva affermato l'esistenza in Palmi di due organizzazioni criminali di stampo mafioso che, tra la fine degli anni âEuroËœ70 ed i primi anni âEuroËœ90, erano entrate in contrasto tra loro per il controllo del territorio e delle relative attivita' economiche. Le cosche che si contrapponevano in quegli anni erano quella dei (OMISSIS), capeggiata da (OMISSIS), e quella dei (OMISSIS), diretta da (OMISSIS). I (OMISSIS), peraltro, erano alleati delle famiglie (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre i (OMISSIS) erano fiancheggiati dal gruppo dei (OMISSIS), capeggiati da (OMISSIS), detto "(OMISSIS)". La guerra di mafia era stata oggetto di accertamento nel procedimento definito con la sentenza n. 4 del 15 dicembre 1994, emessa dalla Corte di assise di Palmi, che aveva riconosciuto l'alleanza dei (OMISSIS) con i (OMISSIS), pur dando atto del mancato coinvolgimento dei primi nello scontro armato con i (OMISSIS). Era richiamata anche la sentenza emessa all'esito del procedimento denominato "Cosa Mia" (proc. n. 4508 del 2006 DDA), che aveva portato alla condanna di numerosi esponenti della cosca (OMISSIS) per i fatti delittuosi della c.d. "faida di Barritten", che aveva interessato gli anni 2004-2008. In questo processo, relativo alla storica cosca dei (OMISSIS), erano anche emersi numerosi riferimenti all'esistenza e operativita' della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS), indicata tra l'altro come una delle articolazioni territoriali della âEuroËœndrangheta deputata a riscuotere tangenti sui lavori di ammodernamento dell'autostrada (OMISSIS). 2.1. Ai fini della dimostrazione della correlazione di (OMISSIS) con la cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) la sentenza impugnata riportava gli esiti dell'ascolto dei colloqui carcerari dei componenti della famiglia mafiosa (OMISSIS), dai quali si erano desunti elementi per affermare l'esistenza e operativita' attuale di una cosca palmese denominata (OMISSIS)- (OMISSIS), contrapposta alla cosca (OMISSIS). Dal colloquio in carcere del 9 gennaio 2007, intercorso tra (OMISSIS) cl. (OMISSIS) - capo dell'omonima âEuroËœndrina - e la sorella (OMISSIS) cl. (OMISSIS), era emerso come il fratello (OMISSIS) cl. (OMISSIS) avesse avvicinato i componenti della famiglia (OMISSIS), invitandoli a non prendere posizione nella nuova faida. (OMISSIS) aveva affermato che (OMISSIS) aveva incontrato in due occasioni i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) (detti i (OMISSIS), cugini di (OMISSIS)), intimando loro di non schierarsi in difesa della famiglia (OMISSIS), storicamente contrapposta al clan (OMISSIS), e minacciandoli di atti ritorsivi nel caso in cui fosse accaduto qualcosa ai (OMISSIS) di cui sarebbero stati ritenuti responsabili. Aveva peraltro aggiunto che i fratelli (OMISSIS), dopo essersi consultati con i vertici (cioe' con i (OMISSIS)) avevano decretato la loro "neutralita'". Nel colloquio carcerario del 25 ottobre 2007, intercorso presso il carcere di Secondigliano tra (OMISSIS) cl. (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS), quest'ultima aveva riferito al padre (OMISSIS) che i (OMISSIS) erano diventati molto piu' potenti e ricchi di loro ("i (OMISSIS) abbiamo smantellato Ci hanno smantellato loro a noi se li vedi guarda che si sono fatti... un impero si sono fatti... bar... gioiellerie... palazzi... quello che non si sono fatti"), perche' possedevano bar, gioiellerie e concessionarie e si erano aggiudicati gran parte degli appalti pubblici banditi dal Comune di Palmi. (OMISSIS) aveva replicato che la ricchezza dei (OMISSIS) si fondava sul fatto che, a differenza dei (OMISSIS), avevano preferito investire nel settore degli stupefacenti ("altre cose"), piuttosto che dedicarsi alle estorsioni. La figlia aveva affermato anche che i (OMISSIS) erano immischiati a livello comunale ("... sono immischiati nel... a livello comunale che e' una cosa esagerata... ovunque sono immischiati loro... gare.. cose... "), aggiudicandosi degli appalti pubblici ("per appalti, per gare, cose... A me... tuo fratello (OMISSIS) me l'ha detto"). La giovane si era lamentata ancora del fatto che suo zio (OMISSIS) non le aveva permesso di partecipare a una gara d'appalto di servizi, mentre esponenti della cosca (OMISSIS), precisamente tale (OMISSIS), si erano aggiudicati appalti rilevanti ("l'appalto del Tribunale... l'appalto dell'(OMISSIS)"). Nel corso di altre intercettazioni eseguite a carico di (OMISSIS), madre di (OMISSIS), era citata una vicenda che aveva interessato (OMISSIS), cugina di (OMISSIS), e che consentiva di ritenere che i (OMISSIS) partecipassero alla distribuzione delle somme di denaro riconducibili alle estorsioni connesse ai lavori di ammodernamento della A3. Nel gennaio 2007, la (OMISSIS) era partita da una localita' segreta del Nord Italia - dove si era trasferita per motivi di sicurezza dopo alcuni omicidi compiuti nei confronti di membri del proprio clan - e si era recata a (OMISSIS) al fine di ritirare "una sciarpa" che "una persona" le aveva preparato. Anche se i colloquianti non pronunciavano il nome della persona che avrebbe dovuto consegnare la "sciarpa", venivano fornite precise indicazioni circa l'ubicazione della casa presso la quale (OMISSIS) si sarebbe dovuta recare, corrispondente a quella di (OMISSIS). Si era cosi' ritenuto che (OMISSIS) avesse percepito dai (OMISSIS) somme di denaro, provento delle ridette estorsioni. (OMISSIS) era figlia di (OMISSIS) e di (OMISSIS), sorella del defunto capo storico dell'omonima consorteria mafiosa (OMISSIS), alias "(OMISSIS)", nonche' zia di (OMISSIS) cl. (OMISSIS), tratto in arresto il 1 gennaio 2009, dopo un lungo periodo di latitanza. (OMISSIS) era poi sorella di (OMISSIS) cl. (OMISSIS), c.d. "(OMISSIS)", con cui (OMISSIS) aveva frequenti contatti. 2.2 Cio' premesso, la sentenza impugnata, nell'affermare l'esistenza della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS), esaminava la figura di (OMISSIS), individuandone prima i legami parentali con i vari esponenti criminali della omonima cosca e, poi, valutando il materiale probatorio emergente dalle indagini del procedimento Alkemia, riteneva la perdurante operativita' criminale della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) e, per quanto qui d'interesse, il ruolo di vertice svolto all'interno di essa da (OMISSIS). Questi, infatti, era figlio di (OMISSIS), scarcerato il 30 aprile 1995 per associazione di stampo mafioso e di (OMISSIS), sorella di (OMISSIS), scarcerato il 23 marzo 1977 pure per associazione di stampo mafioso, ritenuto capo del clan (OMISSIS) e conosciuto con lo pseudonimo di "(OMISSIS)", ucciso davanti al proprio albergo il (OMISSIS). (OMISSIS) era, quindi, il nipote del vecchio boss della famiglia mafiosa (OMISSIS). Il figlio di (OMISSIS), "(OMISSIS)", (OMISSIS) cl. (OMISSIS), era cugino di primo grado di (OMISSIS) ed era ritenuto il referente per i cartelli colombiani dei produttori di droga ed esponente di spicco della locale di Palmi. Il fratello, (OMISSIS) cl. (OMISSIS), aveva precedenti penali per omicidio e associazione di stampo mafioso. Anche l'altro zio (OMISSIS) cl. (OMISSIS) (fratello di (OMISSIS), detto "(OMISSIS)") era stato segnalato per omicidio e associazione di stampo mafioso, al pari dei di lui figli (OMISSIS) cl. (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS). Avevano segnalazioni e pregiudizi per mafia anche i suoi parenti da parte del padre, e anche i cognati erano stati indicati dalla polizia giudiziaria come soggetti vicini ad ambienti di criminalita' organizzata. 2.3. La Corte di appello aggiungeva che mancava una "continuita' soggettiva" tra la compagine criminale oggetto dei richiamati precedenti penali e l'associazione di stampo mafioso oggetto dell'attuale contestazione, nel senso che nessuno dei soggetti giudicati in precedenza risultava imputato nel presente giudizio, sia (ma in questo caso, si specificava, solo in parte), di una "continuita' oggettiva" tra le pregresse contestazioni e le attuali, in quanto nel presente giudizio la âEuroËœndrina (OMISSIS)- (OMISSIS) non era accusata di avere posto in essere estorsioni e/o traffici di stupefacenti, ne' di aver preso parte con alcun ruolo (neppure di neutralita') a guerre di mafia. Sul punto la Corte distrettuale rilevava, per un verso, che la continuita' soggettiva sarebbe risultata piuttosto difficile ove si considerasse che la sentenza n. 1 del 2003 della Corte di assise di Palmi si era riferita a una condotta associativa piuttosto risalente che non andava oltre i primi anni âEuroËœ90, mentre la condotta associativa oggetto di contestazione nel presente giudizio partiva dall'anno 2009 con condotta perdurante, e, per altro verso, che sotto il profilo oggettivo poteva, comunque, rinvenirsi una certa continuita' relativamente all'interesse imprenditoriale in materia di appalti, che aveva caratterizzato in passato l'attivita' della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) e aveva continuato a farlo anche in tempi recenti in relazione alla condotta associativa contestata nel presente giudizio. Tali circostanze erano desunte dalle affermazioni che (OMISSIS) cl. (OMISSIS), sopra citata, aveva fatto presso il carcere di (OMISSIS) nel corso dei colloqui con il padre (OMISSIS), laddove aveva parlato dei (OMISSIS) come di una famiglia che, arricchitasi grazie al traffico di stupefacenti, approfittando della condizione di detenzione di molti dei (OMISSIS), aveva costruito un impero economico. In particolare, (OMISSIS) aveva menzionato la vittoria di gare d'appalto e soprattutto, facendo espresso riferimento a tale (OMISSIS) cl. (OMISSIS) detto "(OMISSIS)", quella concernente i servizi di pulizia dei locali del palazzo di giustizia di Palmi. Pur ammettendosi come non vi fosse una prova specifica di contatti tra (OMISSIS) e il citato (OMISSIS) cl. (OMISSIS), si era ritenuto rilevante il fatto che dalle indagini era risultato come (OMISSIS), nella qualita' di titolare della ditta " (OMISSIS)", avesse operato nel campo delle pulizie anche presso il Tribunale penale di Palmi. Cio' era stato considerato coerente con le dichiarazioni di (OMISSIS), intercettate nell'ambito del procedimento n. 321 del 2011 R.G.N. R. D.D.A., circa le manifestazioni imprenditoriali della condotta associativa posta in essere dalla cosca (OMISSIS)- (OMISSIS). Richiamando, quindi, gli strettissimi legami di parentela di (OMISSIS) con esponenti di vertice delle organizzazioni criminali operanti nel territorio di (OMISSIS) e zone limitrofe, la sentenza impugnata si riferiva all'orientamento giurisprudenziale di legittimita' secondo cui, in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, seppure doveva escludersi che la semplice esistenza di relazioni di parentela con un esponente dell'associazione costituisse di per se' prova o solo indizio della appartenenza di un soggetto alla medesima, doveva, comunque, affermarsi che, una volta accertata l'esistenza di una organizzazione delinquenziale a base familiare e una non occasionale attivita' criminosa dei singoli esponenti della famiglia, nulla impediva al giudice di attribuire alla circostanza che vi fossero legami di parentela tra un soggetto e coloro che nella associazione occupavano posizioni di vertice o di rilievo, valore indiziante in ordine alla sua partecipazione al sodalizio criminoso (Sez. 5, n. 18491 del 24/4/2013, Rv. 255431). 2.4. Sul ruolo criminale di vertice ricoperto da (OMISSIS), la Corte di appello valorizzava alcune conversazioni intercettate nelle quali egli, in relazione a un incontro qualificato come summit di âEuroËœndrangheta, esclusone il carattere di mera convivialita', si era qualificato come personaggio di "serie A", a differenza del coimputato (OMISSIS). Nel dialogo (OMISSIS) aveva spiegato alla interlocutrice le ragioni dell'assenza di (OMISSIS) alla riunione, motivandola con la commissione di una pregressa "trascuranza" (conversazione n. 8234 dell'8 maggio 2012, rit. 1194/2011, tra (OMISSIS) e (OMISSIS)). La Corte distrettuale precisava che la sera prima di questa conversazione (OMISSIS) aveva incontrato (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione a un consorzio. In un'altra conversazione intercettata (OMISSIS), lamentandosi del fratello, aveva fatto riferimento a "trenta anni di storia bruciata" (conversazione n. 103 del 9 marzo 2012, rit 484/2012, tra (OMISSIS) e (OMISSIS)), che la Corte di appello ricollegava alla storia "mafiosa" della famiglia di appartenenza. Ancora, in altra conversazione intercettata (conversazione ambientale contrassegnata dal n. 159 del 15 giugno 2012, ore 12:14, rit 1160/2012, intercorsa tra (OMISSIS) e un soggetto non identificato all'interno dell'Audi A6 tg. (OMISSIS)), i due interlocutori avevano fatto riferimento a come (OMISSIS), chiamato "(OMISSIS)", fosse subentrato nella reggenza della cosca, dopo la morte dello zio (OMISSIS) e del padre (OMISSIS), con il compito di gestire gli affari della famiglia, e fosse l'unico ad avere potere decisionale, come confermato da altre intercettazioni ivi richiamate (conversazione telefonica n. 5492 del 9 settembre 2011, rit 1533/2011, e conversazione progr. n. 79, rit 1160/2012, del 14.6.2012, ore 14.20), nelli quali si affermava che era lui a comandare: "... ma a livello decisionale abbiamo la parola tutti, e' collettivo... e' un ragazzo che non e' neanche presuntuoso di dire... sono lo il bastone e decido io" e "quello che conta e' il pelato... gli altri abbiamo un contorno pero' la nostra parola vale tutto lo stesso allo stesso", ove il "pelato" era stato individuato in (OMISSIS). In sentenza, si faceva, inoltre, riferimento al suo interessamento nella politica locale e ai suoi rapporti con esponenti della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) con i quali aveva anche rapporti di affari e si sottolineava che aveva posto in essere una serie di accorgimenti per evitare di essere intercettato, tra i quali il "meccanismo di triangolazione" dei contatti telefonici attraverso (OMISSIS), mentre per la cosca (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) la figura omologa era rappresentata da (OMISSIS), ovvero l'utilizzo di utenze "segrete" intestate a terzi estranei, spesso stranieri, nonche' il ricorso a nomi fittizi ovvero declinati al femminile per indicare gli stessi interlocutori oppure il terzo cui volevano far riferimento. 2.5. Per confermare lo status di mafioso di vertice di (OMISSIS) la Corte distrettuale richiamava anche la vicenda " (OMISSIS)" ovvero (OMISSIS), detto (OMISSIS), ritenuto elemento di spicco della compagine âEuroËœndranghetista (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS). Questi, avendo ricevuto la proposta di dirigere una clinica da realizzarsi nel territorio di (OMISSIS) e avendo l'urgenza di dare una risposta immediata ai medici coinvolti nell'operazione, aveva chiamato con urgenza (OMISSIS) per ottenere, suo tramite, la rassicurazione di (OMISSIS) di poter intraprendere la sua iniziativa nel territorio di (OMISSIS) senza problemi. Cio' era ritenuta una conferma del fatto che (OMISSIS) era un elemento di vertice della cosca operante in detto territorio, e non un mero affiliato al clan (OMISSIS) di (OMISSIS), come invece affermato nella sentenza di primo grado. 3. La sentenza impugnata, rispetto alla posizione di (OMISSIS), richiamava alcune conversazioni intercettate a dimostrazione della sua appartenenza all'associazione, uno dei cui scopi era quello di inserirsi negli appalti dei servizi di pulizia attraverso societa' di servizi apparentemente "pulite" ma di fatto gestite con metodi intimidatori, utilizzando personale cui non veniva garantito il trattamento economico e contributivo dovuto. Allo stesso era attribuita un'importante funzione di portavoce o di mediatore da parte di (OMISSIS), essendo incaricato di mantenere rapporti diretti con la dirigenza della societa' committente e con il personale operante sui cantieri, oltre a essere ritenuto l'esecutore degli ordini di (OMISSIS) e di fatto il reale titolare della ditta (OMISSIS). La Corte di appello, nell'escludere la prospettazione difensiva secondo la quale l'imputato sarebbe stato chiamato in causa solo per problematiche lavorative per le quali si era rapportato con i referenti del Consorzio e, occasionalmente, con (OMISSIS), riteneva, invece, che egli avesse agito per gli interessi economici dell'associazione e i metodi utilizzati avessero consentito alla cosca di âEuroËœndrangheta, guidata da (OMISSIS), di mantenere una propria egemonia e rafforzare il proprio potere economico. 3.1. Secondo la Corte, non appariva incompatibile con l'ipotesi accusatoria il fatto che (OMISSIS), quale dipendente di una delle ditte consorziate, avesse tenuto necessariamente "formali" rapporti con (OMISSIS), massimo rappresentante del Consorzio, e con (OMISSIS), cui era affidata la gestione dell'appalto delle pulizie in Calabria nei locali di (OMISSIS), o che nel corso di questi contatti avesse ricevuto dai medesimi delle disposizioni circa il comportamento da tenere nella gestione dei lavoratori in coerenza con l'incarico ricevuto dalla ditta datrice di lavoro o ancora che avesse scambi di mali con il rappresentante di (OMISSIS). Sul punto si richiamavano alcune conversazioni intercettate ritenute dimostrative dell'attivita' svolta da (OMISSIS) nella sua qualita' di dipendente, con particolare riferimento alla fase di tensione generatasi tra i lavoratori a seguito delle mancate o insufficienti retribuzioni e per l'omesso versamento dei contributi INPS. (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle conversazioni relative alle vertenze sindacali in atto fra le organizzazioni, avevano ritenuto di poter risolvere il problema, non escludendo di poter ricorrere a soluzioni "di forza", quali il licenziamento di quel personale eventualmente "riottoso", richiamando il ruolo avuto da (OMISSIS) nella composizione della controversia coi sindacati e lavoratori (" (OMISSIS): ho firmato verbali con inizio pagamenti il venti aprile, rateizzando e tagliando di tutto di piu', li ho chiusi tutti, tra la CGIL e la CISL di (OMISSIS), con l'aiuto di (OMISSIS)", Prog. 780 - rit 2371/11, del 14.12.2011, ore 20.20). Le intercettazioni effettuate sulle utenze in uso a (OMISSIS) avevano dimostrato come egli, in effetti, si fosse proficuamente adoperato per avvicinare alcune lavoratrici, alle quali sottoporre soluzioni compromissorie, sulla linea tracciata da (OMISSIS). Secondo la Corte, in realta', nell'ambito della prospettazione accusatoria era rilevante sul piano probatorio il fatto che (OMISSIS) avesse al contempo svolto un'importante funzione di portavoce e mediatore di (OMISSIS), mantenendo rapporti diretti con la dirigenza della societa' committente e con il personale operante sui cantieri in totale adesione alle sue disposizioni e fornendogli puntuale resoconto delle problematiche insorte nei vari cantieri con riguardo sia alla qualita' dei servizi svolti che alla gestione del personale impiegato. Anche da cio' veniva desunta l'appartenenza di (OMISSIS) alla cosca mafiosa diretta da (OMISSIS). In particolare, i colloqui con (OMISSIS) avevano dimostrato che (OMISSIS) aveva operato in prima persona a tutela degli interessi economici della cosca nel settore degli appalti pubblici sotto la costante supervisione di (OMISSIS). 3.2. Lo stesso imputato si era ritenuto un mero "esecutore di ordini", rappresentando la necessita' che (OMISSIS) fosse informato di ogni questione per fornire l'assenso nelle decisioni importanti. Si era esclusa la prospettazione difensiva secondo la quale l'imputato sarebbe stato chiamato in causa solo per problematiche lavorative per le quali si era rapportato con i referenti del Consorzio e, occasionalmente, con (OMISSIS), perche' proprio gli interessi economici dell'associazione e i metodi utilizzati avevano consentito alla cosca di âEuroËœndrangheta, guidata da (OMISSIS), di mantenere una propria egemonia nei settori economici di influenza e di rafforzare il potere economico. A conferma di cio', si evidenziava, inoltre, nella sentenza impugnata che la "dipendenza" da (OMISSIS) aveva creato contrasti tra (OMISSIS) e i dirigenti del consorzio e della societa' consorziata che lo aveva assunto, i quali avevano ipotizzato un suo licenziamento qualora non si fosse adeguato alle loro richieste. In proposito, (OMISSIS), in data 22 dicembre 2011, dopo aver incontrato (OMISSIS) e aver trattato l'argomento " (OMISSIS)" (cfr. prog. 1628 - RIT 2371/11, utenza (OMISSIS) in uso a (OMISSIS), del 22.12.2011, ore 14.30), aveva riferito a (OMISSIS) le considerazioni intercorse con il collega napoletano su (OMISSIS) e su chi potesse "manovrarlo". 3.3 Secondo la Corte, inoltre, il fatto che all'imputato non fossero stati contestati specifici reati-fine non poteva costituire ostacolo al riconoscimento a suo carico della partecipazione all'associazione mafiosa, considerato che, per consolidata giurisprudenza di legittimita', detto reato si consumava nel momento in cui il soggetto entrava a far parte dell'organizzazione criminale, senza che fosse necessario il compimento, da parte dello stesso, di semplici di atti esecutivi della condotta illecita programmata. Trattandosi, invero, di reato di pericolo presunto, per integrare l'offesa all'ordine pubblico era sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. "messa a disposizione", di per se' idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialita' operative e la capacita' di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale (Sez. 5, n. 27672 del 20/6/2019; conf. Sez. 2, n. 27394 del 31/5/2017). Era rilevante era, per la Corte, sul piano probatorio soltanto la sua indiscutibile e stabile "messa a disposizione" quale collaboratore del capocosca per finalita' perseguite dal sodalizio. 3.4. Rispetto alla contestata aggravante di partecipazione a un'associazione armata di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 5, la sentenza impugnata richiamava la giurisprudenza ("ex-multis vedi Cass. Pen. Sez. 5 n. 1703 del 16.01.2014 Cass. pen. sez. 6 n. 42385 del 4.11.2009") sulla natura oggettiva dell'aggravante della disponibilita' di armi, per cui, ai fini della sua integrazione, occorreva guardare all'attivita' dell'associazione e non alla condotta del singolo partecipe. Non era dunque necessario che fosse il medesimo imputato a possedere armi, essendo, invece, sufficiente il possesso delle stesse da parte della consorteria criminale. Nel caso di specie, peraltro, la contestazione associativa riguardava una consorteria storica come la âEuroËœndrangheta, in relazione alla quale costituiva fatto notorio la stabile detenzione di armi, strumentale alla realizzazione del programma criminoso. 3.5. Con riguardo alla contestata aggravante di riciclaggio di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6, la sentenza impugnata richiamava la giurisprudenza di legittimita' secondo cui "ai fini della configurabilita' dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6, - che ricorre quando gli associati intendano assumere il controllo di attivita' economiche, finanziando l'iniziativa, in tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti e che ha natura oggettiva dovendo essere riferita all'attivita' dell'associazione e non alla condotta del singolo partecipe - occorre sia un intervento in strutture produttive dirette a prevalere, nel territorio di insediamento, sulle altre strutture che offrono gli stessi beni o servizi, sia che l'apporto di capitale corrisponda a un reinvestimento delle utilita' procurate dalle azioni criminose, essendo proprio il collegamento tra azioni delittuose e intenti antisociali a richiedere un piu' efficace intervento repressivo (...) (Cass., Sez. 5, n. 9108 del 6/3/20"). Secondo la Corte di appello, quindi, doveva essere valutata l'attivita' dell'intera associazione e non gia' quella del singolo partecipe, considerando che il sodalizio criminoso facente capo a (OMISSIS) disponeva non soltanto della (OMISSIS) S.r.l., attiva nel settore delle demolizioni di materiale ferroso e pulizie, pur intestata fittiziamente ad (OMISSIS), ma anche di altre ditte tra cui la (OMISSIS) operante nel settore delle pulizie civili e industriali, attraverso cui, grazie anche alla sinergia con la cosca (OMISSIS), era riuscita anche a condizionare l'operativita' di un consorzio operante a livello nazionale, quale quello facente capo a (OMISSIS) e (OMISSIS), costringendolo di fatto ad assicurare subappalti. Richiamava, con riguardo alla natura dei rapporti tra i due gruppi mafiosi e tra questi e il consorzio di (OMISSIS), la conversazione intervenuta alle ore 11:34 del 9 marzo 2012 (progr. 2330) tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in occasione di un incontro a Genova, cui avevano partecipato (OMISSIS) e (OMISSIS), sui contrasti circa il riconoscimento e il pagamento di un debito maturato dal Consorzio nei confronti di un'impresa di (OMISSIS). Giudicava "prova lampante" del condizionamento il fatto che (OMISSIS), di fronte alla minaccia di (OMISSIS) di rivolgersi ad altra societa' di (OMISSIS) per la gestione dei servizi di pulizia in (OMISSIS), invece di rivendicare la propria posizione di forza, si era limitato a chiedere al suo interlocutore la prosecuzione del rapporto ("assolutamente no... mandala via perche' le cose laggiu' le devo fare io") e (OMISSIS) aveva replicato che cio' sarebbe accaduto a condizione che (OMISSIS) si fosse comportato bene ("... se ti comporti bene gli ho detto... perche' cosi' non possiamo andare avanti"). 4. La sentenza impugnata procedeva, poi, a trattare la posizione di (OMISSIS), indicato come il prestanome di (OMISSIS) nella titolarita' e gestione di diverse aziende considerate nevralgiche per gli affari economici della cosca, quali la (OMISSIS) s.r.l. (per la quale si riteneva che (OMISSIS) adottasse tutte le decisioni rilevanti, poi eseguite da (OMISSIS)) e la ditta individuale (OMISSIS), oltre ad avere diretto i lavori edili di ristrutturazione della struttura ricettiva, tipo agriturismo, avviata da (OMISSIS) nell'anno 2012 in contrada (OMISSIS), peraltro, ritenuta gia' edificata in assenza di qualsivoglia licenza amministrativa, come desunto dal tenore della conversazione (progr. 2672 - RIT 1994/11, del il 2 gennaio 2012, ore 18.18), intervenuta tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Piu' in generale la sentenza impugnata riteneva che (OMISSIS) fosse a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo. Sul punto erano richiamate le intercettazioni pertinenti al coinvolgimento, quale lavoratrice fittizia in un appalto, della moglie del coimputato (OMISSIS) e alla vicenda, gia' citata, che lo aveva visto non invitato all'incontro ritenuto come summit criminale per una "trascuranza". La Corte distrettuale, richiamato il quadro probatorio, complessivamente valutato, affermava la piena e consapevole disponibilita' non occasionale dell'imputato (OMISSIS) a compiere, anche se con ruolo meramente esecutivo, attivita' funzionali al raggiungimento del programma criminoso dell'organizzazione criminale facente capo a (OMISSIS), diversificata in "un ampio spettro di opportunita' imprenditoriali ottenute e gestite con metodo mafioso anche in sinergia con altra organizzazione criminale facente capo a (OMISSIS)", e riteneva cosi' dimostrata la sua contestata partecipazione associativa, pur in assenza della prova di una sua formale iniziazione e di un "qualche titolo a partecipare ai piu' elevati consessi dell'organizzazione". 4.1. Rispetto alle contestate aggravanti di partecipazione a un'associazione armata, di cui ai commi 4 e 5, e di riciclaggio, di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6, la sentenza impugnata svolgeva le medesime considerazioni gia' riportate ai punti 3.4. e 3.5. 4.2. Sulla sussistenza del delitto di intestazione fittizia della societa' (OMISSIS) S.r.l., poi, la Corte evidenziava che per l'integrazione del reato non era necessario che il soggetto, che intestasse il bene ad altri, dovesse essere un pregiudicato o gia' destinatario di una misura di prevenzione, essendo, invece, sufficiente che, sulla base del suo attuale status criminale, potesse ragionevolmente ritenersi che sarebbe potuto essere in futuro destinatario di indagini e di misure di prevenzione patrimoniali. Citava allo scopo la giurisprudenza di legittimita' secondo la quale "ai fini dell'integrazione del delitto di trasferimento fraudolento di valori previsto dal Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-quinquies, convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356, lo "scopo elusivo" che connota il dolo specifico prescinde dalla concreta possibilita' dell'adozione di misure di prevenzione patrimoniali all'esito del relativo procedimento, essendo integrato anche soltanto dal fondato timore dell'inizio di esso, a prescindere da quello che potrebbe esserne l'esito... (Cass., Sez. 2, n. 2483 del 20/01/2015; conf. Cass., Sez. 3, n. 22954 del 10/5/2017)". Aggiungeva che gli accertamenti compiuti nel corso dell'indagine nei confronti di (OMISSIS) avevano dimostrato che lo stesso aveva validi motivi per temere un'aggressione patrimoniale da parte dello Stato e, pertanto, convenienza ad intestare fittiziamente ad altri le proprie ditte, oltre all'adozione di opportune cautele nei rapporti economici con altri imprenditori e con i rappresentanti di altre cosche mafiose, con esclusione di qualsiasi finalita' di natura fiscale. 4.3. Con riguardo alla pure contestata aggravante dell'agevolazione mafiosa richiamava preliminarmente il recente approdo delle Sezioni Unite, secondo cui "la circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalita' agevolatrice perseguita dal compartecipe" (Sez. U, n. 8545 del 03/03/2020). Sottolinea, poi, che (OMISSIS), in quanto partecipe dell'associazione, era perfettamente consapevole del fatto che l'intestazione fittizia nei suoi riguardi aveva la specifica finalita' di preservare da una possibile aggressione patrimoniale dello Stato un'azienda necessaria per il raggiungimento del programma criminoso e, in particolare, di quella parte del programma descritto nel c:apo d'imputazione come scopo "... di acquisire direttamente od indirettamente la gestione e/o il controllo economico nei piu' svariati settori...". In tal modo escludeva che la disponibilita' di (OMISSIS) a farsi intestare l'azienda fosse finalizzate' a favorire soltanto (OMISSIS) in quanto tale e non piuttosto il sodalizio criminoso da lui capeggiato. 5. La sentenza esaminava, quindi, la posizione di (OMISSIS), che rispondeva del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa (di cui al capo 2) per avere coadiuvato (OMISSIS) nella commercializzazione di materiale plastico acquistato all'ingrosso presso la ditta (OMISSIS) con sede a (OMISSIS), nonche' per avere svolto il ruolo di staffetta in occasione della partecipazione alla gara di appalto per l'assegnazione dei lotti relativi all'Universita' della (OMISSIS) attraverso la compiacente ditta (OMISSIS), e piu' in generale per essere stato a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso. Sul ruolo svolto da (OMISSIS) in relazione alla partecipazione a detto bando pubblico, la Corte di appello riteneva che, ai fini della sua partecipazione al sodalizio criminoso, fosse irrilevante la circostanza, dedotta dalla difesa, della mancata aggiudicazione dell'appalto alla ditta di (OMISSIS), poiche', per consolidata giurisprudenza di legittimita', "il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell'organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiche', trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l'offesa all'ordine pubblico e' sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. "messa a disposizione", che e' di per se' idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialita' operative e la capacita' di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale... (Cass., Sez. 5, n. 27672 del 20/6/19; conf. Cass., Sez. 2, n. 27394 del 31/5/17)". L'aggiudicazione dell'appalto da parte di altre ditte non era ritenuta rilevante rispetto alla partecipazione di (OMISSIS) al sodalizio criminoso, essendo sufficiente la sua "messa a disposizione" quale collaboratore del capocosca per le finalita' perseguite dal sodalizio, dimostrata dalla sua disponibilita' a recarsi a Firenze per il ritiro della necessaria documentazione presso la ditta (OMISSIS) che avrebbe dovuto partecipare alla gara di appalto, per conto e nell'interesse di (OMISSIS). Ne' erano rilevanti, al fine di escludere la partecipazione di (OMISSIS) all'associazione mafiosa, la circostanza che il bando avente a oggetto l'appalto presso l'Universita' di (OMISSIS) fosse di per se' lecito e il dato della liceita' della partecipazione alla gara o dell'eventuale collaborazione al compimento delle attivita' a essa prodromiche, "rientrando negli scopi dell'associazione anche quello di trarre vantaggi o profitti da attivita' economiche lecite per mezzo del metodo mafioso", come ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 25191 del 13 giugno 2014. 5.1. La messa a disposizione di (OMISSIS) rispetto alla cosca capeggiata da (OMISSIS) si era, inoltre, manifestata attraverso altre condotte, quali le cointeressenze tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nel commercio di materiale plastico, come dimostrato dalle intercettazioni di comunicazioni tra essi intercorse, nonche' la presenza di (OMISSIS) all'atto della consegna della sim-card segreta da (OMISSIS) a (OMISSIS), emersa dal materiale intercettivo, dimostrativo del ricorso a specifici accorgimenti solo per alcuni colloqui ritenuti piu' riservati, non facendosi invece abituale ricorso da parte dei vari protagonisti della vicenda a utenze segrete e linguaggi criptici e allusivi. 5.2. Rispetto alle contestate aggravanti di partecipazione a un'associazione armata, di cui ai commi 4 e 5, e di riciclaggio, di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6, la sentenza impugnata svolgeva le medesime considerazioni gia' riportate ai punti 3.4. e 3.5. 6. Relativamente alla posizione di (OMISSIS) classe (OMISSIS), la Corte di appello preliminarmente respingeva alcune eccezioni della difesa, riproposte in questa sede. 6.1. In particolare, quanto alla inutilizzabilita' delle registrazioni dei tre colloqui, eseguite da (OMISSIS) in data 19 agosto 2015, 16 ottobre 2015 e 29 gennaio 2016, la difesa aveva contestato il richiamo effettuato, anche dal giudice di primo grado, al principio giurisprudenziale di legittimita' secondo cui dette registrazioni "non necessitano dell'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell'articolo 267 c.p.p., in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma si risolvono in una particolare forma di documentazione, che non e' sottoposta alle limitazioni ed alle formalita' proprie delle intercettazioni" (Cass. n. 24288 del 2016), non ritenendolo applicabile nel caso in esame. Cio' perche' il principio evocato si sarebbe riferito a una fattispecie in cui la documentazione della conversazione tra presenti era stata effettuata su iniziativa autonoma di uno degli interlocutori, mentre, nel caso di specie, la registrazione era stata eseguita da una presunta vittima di estorsione che, dopo aver confidato tale sua condizione alla polizia, aveva registrato, su precisa indicazione degli investigatori, i colloqui con il suo estorsore. La registrazione, secondo la difesa dell'appellante (OMISSIS), doveva considerarsi, pertanto, a tutti gli effetti come un atto di indagine e non gia' come mero documento, con conseguente necessita', ai fini della sua valida acquisizione, della previa autorizzazione da parte dell'autorita' giudiziaria, indipendentemente dal fatto che la registrazione fosse stata effettuata con strumenti propri o con dispositivi forniti dalla polizia giudiziaria. Tale eccezione era ritenuta infondata dalla Corte di appello, che dava innanzitutto conto del sussistente contrasto giurisprudenziale tra un orientamento meno rigoroso, secondo cui "la registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d'iniziativa da uno dei partecipi al colloquio, costituisce prova documentale, come tale utilizzabile in dibattimento e non intercettazione "ambientale" soggetta alla disciplina dell'articolo 266 c.p.p., e s.s., anche quando essa avvenga su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti forniti da quest'ultima con la specifica finalita' di precostituire una prova da far valere in giudizio..." (Sez. 2, n. 3851 del 26/01/2017), e un altro orientamento piu' rigoroso, secondo cui "sono inutilizzabili, in assenza di un provvedimento motivato di autorizzazione del giudice o di decreto dispositivo del pubblico ministero, le registrazioni fonografiche di conversazioni occultamente effettuate da uno degli interlocutori (nella specie, la vittima del reato) d'intesa con la polizia giudiziaria e attraverso strumenti di captazione dalla stessa forniti..." (Sez. 4, n. 48084 del 18/10/2017). La Corte affermava di aderire al primo di tali orientamenti, osservando che, nel caso di registrazione di un colloquio a opera di una delle persone che vi avesse partecipato attivamente o che fosse comunque ammessa ad assistervi, non poteva lamentarsi alcuna compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, anche perche' il partecipe a una conversazione doveva ritenersi avere accettato il rischio che il suo interlocutore potesse registrarlo al fine di documentarne il contenuto. Rilevava che, anche seguendo il piu' rigoroso orientamento, doveva, comunque, escludersi, nel caso di specie, la dedotta inutilizzabilita' della registrazione dei colloqui per mancanza di autorizzazione da parte dell'autorita' giudiziaria, in quanto, diversamente dalle deduzioni difensive, non risultava dimostrato che la persona offesa avesse registrato la conversazione su indicazione della polizia giudiziaria e con gli strumenti da quest'ultima forniti. Era, invece, emerso dalle stesse dichiarazioni di (OMISSIS) che egli aveva effettuato le registrazioni con l'utilizzo del proprio cellulare. In conclusione, secondo la Corte, l'acquisizione al processo delle registrazioni degli indicati colloqui era avvenuta correttamente attraverso il meccanismo di cui all'articolo 234 c.p.p., comma 1. 6.2. Con riguardo alla eccepita inutilizzabilita' parziale delle sommarie informazioni testimoniali rese al Pubblico ministero da (OMISSIS), in dipendenza dell'incorsa violazione del disposto di cui dall'articolo 195 c.p.p., comma 7, la sentenza di primo grado, resa a seguito di giudizio abbreviato e appellata, secondo la difesa, ignorando la specifica eccezione, aveva posto a fondamento della condanna anche le dichiarazioni de relato con fonte non identificata rese dalla presunta persona offesa, le quali invece, in quanto acquisite in violazione del divieto stabilito dall'indicato articolo 195 c.p.p., comma 7, avrebbero dovuto essere dichiarate assolutamente inutilizzabili ai fini del giudizio. Secondo le emergenze del verbale delle dichiarazioni rese al Pubblico ministero in data 12 marzo 2016, (OMISSIS), infatti, sarebbe venuto a conoscenza delle pretese estorsive della cosca attraverso una confidenza ricevuta dal padre di uno dei soci della cooperativa, al quale i figli di (OMISSIS) avrebbero rappresentato "che occorrevano 50.000 Euro" perche' si potesse dare avvio all'attivita' economica ("... Rappresento che prima che (OMISSIS) mi ragguagliasse - falsamente - circa l'esito del colloquio con gli esponenti della cosca, non avendo ancora avuto autorizzazione - seppi solo dopo l'incontro con (OMISSIS) che l'ambasciata non fu recapitata -, di sua iniziativa, il papa' di un socio dell'azienda di cui pero' non voglio fare il nome ma solo perche' temo risentimenti nei miei confronti per un possibile coinvolgimento nella vicenda - e' andato a trovare i figli di (OMISSIS). L'intento di questa persona era quello di conoscere se la cosca avesse dato il "suo benestare", prima che noi potessimo procedere nei lavori. Da questa persona fui informato dei dettagli di quel dialogo con i figli di (OMISSIS). Non so dirle con chi dei figli lo stesso abbia potuto parlare. Ricordo solo che questa persona ebbe a dirmi che i figli di (OMISSIS) gli avevano detto che occorrevano 50.000 Euro per iniziare la nostra attivita' senza avere problemi visto che in quel momento avevamo avuto accesso ai finanziamenti pubblici..."). 6.3. La Corte di appello, pronunciandosi, quindi, sui limiti di utilizzabilita' della testimonianza indiretta posti dall'articolo 195 c.p.p., comma 7, rispetto all'origine indiretta dell'informazione riferita da (OMISSIS) al Pubblico ministero sull'importo della somma di denaro richiesta dalla cosca, riteneva infondata l'eccezione difensiva, rilevando che, per costante giurisprudenza di legittimita', "in tema di testimonianza indiretta, l'inutilizzabilita' della deposizione di chi si rifiuta o non e' in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame (articolo 195 c.p.p., comma 7) opera, in caso di giudizio abbreviato, solo nell'ipotesi in cui la parte abbia subordinato l'accesso al rito ad un'integrazione probatoria costituita dall'assunzione del teste indiretto e se, nonostante l'audizione, sia rimasta non individuata la fonte dell'informazione" (Sez. 3, n. 11100 del 12 marzo 2008). Nel caso in esame non poteva, quindi, ravvisarsi la dedotta inutilizzabilita' non risultando dagli atti che l'imputato avesse subordinato il rito abbreviato all'assunzione come teste della persona offesa (OMISSIS). In ogni caso, nel giudizio della Corte, le dichiarazioni de reato rese da (OMISSIS), pur riferendosi all'entita' della richiesta economica non risultante dai colloqui diretti tra lo stesso e gli estorsori, non erano decisive sul piano probatorio, essendo il restante quadro probatorio sufficiente per l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato appellante. Peraltro, l'omessa esatta quantificazione della richiesta economica avanzata direttamente dagli estorsori nei confronti del (OMISSIS), nonostante le insistenze di quest'ultimo, appariva giustificata dal fatto che gli autori del delitto prima di sbilanciarsi dovevano essere certi della reale redditivita' dell'impresa economica. Tale circostanza non era comunque incidente sulla integrazione del reato, posto che era stata dimostrata la perentoria intimazione alla persona offesa da parte degli appartenenti alla cosca mafiosa - dotati di rilevante efficacia intimidatrice - di pagare oppure di andarsene dalla cooperativa (OMISSIS), rinunciando all'iniziativa imprenditoriale. 6.4. Quanto al presunto contrasto, evidenziato dalla difesa, tra la ricostruzione dei fatti fornita da (OMISSIS) e quanto emerso dalla registrazione dei colloqui intervenuti tra il medesimo e (OMISSIS), la Corte rappresentava che l'esame del materiale probatorio poteva consentire di valutare le dichiarazioni della persona offesa come perfettamente coerenti con il tenore dei colloqui registrati. La valutazione complessiva di tali dati probatori dimostrava, in particolare, che (OMISSIS) era stato vittima di una richiesta estorsiva, e non di una proposta di creare una societa' che potesse gestire l'attivita' di agriturismo da lui intrapresa, come ipotizzato in via alternativa dalla difesa. Artefice principale di tale attivita' estorsiva era stato (OMISSIS), con il quale aveva certamente concorso l'imputato (OMISSIS), che in due occasioni si era presentato da (OMISSIS) con (OMISSIS) che gli aveva rivolto inequivoche richieste di denaro o di altre utilita' in cambio del permesso di poter portare avanti la propria iniziativa imprenditoriale senza problemi. 6.5. La Corte ricostruiva, poi, attraverso le dichiarazioni della persona offesa quanto accaduto in data antecedente al 19 agosto 2015, cui risaliva il primo dei colloqui registrati. (OMISSIS), consapevole del controllo capillare esercitato dalle cosche sul territorio dello (OMISSIS), aveva deciso, prima di iniziare la costruzione dell'agriturismo, di prendere contatti con tale (OMISSIS), detto "ombrellino", affinche' mandasse "un'ambasciata" ai figli di (OMISSIS) per essere autorizzato a portare avanti il progetto senza problemi. Egli, nell'attesa, era stato informato dal padre di un socio della cooperativa (di cui preferiva non riferire il nome per evitare risentimenti da parte del medesimo nei suoi confronti per averlo coinvolto nella vicenda) che aveva avuto un colloquio con i figli (non indicati per nome) di (OMISSIS), che pretendevano la somma di cinquantamila Euro affinche' l'attivita' dell'agriturismo potesse iniziare senza avere problemi. Dopo qualche mese (OMISSIS) aveva rassicurato (OMISSIS) che poteva continuare nella sua attivita' senza dover temere ripercussioni; in seguito, (OMISSIS), che non disponeva della somma richiesta e aveva notato che (OMISSIS) non lo salutava, lo aveva cercato e incontrato. (OMISSIS), quindi, aveva rimproverato (OMISSIS) di aver intrapreso l'attivita' allo (OMISSIS) senza chiedergli prima il permesso (cosi' mostrando di non aver ricevuto alcun messaggio tramite (OMISSIS)). Da parte sua, (OMISSIS) gli aveva domandato se avesse ricevuto l'ambasciata di (OMISSIS) "(OMISSIS)", informandolo anche di non avere la somma di cinquantamila Euro, riferitagli dal padre del suo dipendente. (OMISSIS), mostrando di capire la situazione, si era limitato a invitare (OMISSIS) a dargli del danaro una volta che avesse cominciato a guadagnare. Dopo questo primo incontro, in coincidenza dell'inizio dei lavori di costruzione dell'agriturismo, (OMISSIS) aveva ricevuto la visita dello stesso (OMISSIS) e di suo nipote, (OMISSIS), che gli avevano intimato di informarli dell'evoluzione della sua attivita' economica, con allusioni al fatto che, se avesse voluto fare acquisti, si sarebbe dovuto rivolgere a loro. (OMISSIS) aveva, a sua volta, simulato di accondiscendere a detta richiesta, cercando, tuttavia, di renderla difficoltosa ovvero impraticabile, avendo proposto loro acquisti di beni (quali rete metallica, pali e piantine di frutti di bosco) che dovevano essere fatturati e quindi pagati con strumenti tracciabili, come assegni o bonifici. Dopo qualche tempo, (OMISSIS) aveva avuto altro incontro con (OMISSIS) e con (OMISSIS), che gli avevano chiesto di fare alcune assunzioni e (OMISSIS), pur non opponendo un rifiuto, si era limitato a pretendere che le persone da assumere non fossero dei pregiudicati, ben sapendo che difficilmente questa precisa condizione avrebbe potuto essere soddisfatta. Successivamente, (OMISSIS) aveva acquistato pali e rete metallica da tale (OMISSIS) di (OMISSIS), provocando una reazione risentita di (OMISSIS), che in occasione di successivo incontro, registrato da (OMISSIS), lo aveva rimproverato di questo fatto. (OMISSIS), nel maggio del 2015, in occasione dell'inizio della costruzione del capannone, aveva trovato la rete di recinzione tagliata in piu' parti, che consentivano l'ingresso di una mandria di vacche, mentre un veicolo Mitsubishi Pajero, identico come colore e modello a quello posseduto dalla famiglia (OMISSIS), andava avanti e indietro sul posto. (OMISSIS) si era, quindi, recato ancora da (OMISSIS) per chiedere conto del gesto intimidatorio intervenuto, nonostante fosse stato autorizzato a iniziare i lavori. Nel corso dell'incontro svoltosi sotto la casa di (OMISSIS), questi gli aveva detto di essere estraneo al fatto, impegnandosi comunque a risolvere la questione. Vi era stato, comunque, altro successivo episodio intimidatorio consistito nell'apporre sulla recinzione dell'agriturismo in costruzione un vitellino ucciso con le orecchie mozzate. (OMISSIS) con le sue dichiarazioni aveva, quindi, accusato (OMISSIS) di avergli richiesto nel corso di un primo incontro il pagamento di una somma di denaro, una volta che avesse cominciato a guadagnare, nonche' lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS) di avere avanzato analoga richiesta nel corso di due incontri successivi, quando, presentatisi insieme, gli avevano intimato di informarli dell'evoluzione della sua attivita' economica, alludendo altresi' al fatto che lo stesso, se avesse voluto fare acquisti, avrebbe dovuto rivolgersi a loro e, poi nella seconda occasione, di fare delle assunzioni a loro gradite. 6.6. La Corte di appello riteneva sussistente la condotta estorsiva, operata in danno di (OMISSIS) sia da (OMISSIS) che da (OMISSIS), che si erano avvalsi a tale scopo della forza di intimidazione esercitata dal sodalizio mafioso di appartenenza e della conseguente condizione di assoggettamento riconosciuta dalla medesima persona offesa. Tale conclusione era stata riscontrata dal tenore delle conversazioni intervenute nel tempo tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che le aveva registrate di nascosto. 6.7. Nel corso di un primo colloquio svoltosi in montagna in data 19 agosto 2015, infatti, (OMISSIS) aveva rimproverato (OMISSIS), che sosteneva di avergli mandato prima "un'ambasciata" tramite il sopra citato "(OMISSIS)", ricordandogli che lui gli aveva dato il permesso di tornare allo (OMISSIS) per intraprendere un'attivita' imprenditoriale ed era, dunque, solo con lui o con il fratello carcerato, qualora fosse tornato in liberta', che doveva relazionarsi ("... ambasciata a chi-...chi ti ha dato il permesso di venire qui-... Allora con me devi parlare, o se si libera mio fratello..."). Questa prima frase pronunciata da (OMISSIS) era considerata dalla sentenza impugnata quale pieno riscontro delle dichiarazioni di (OMISSIS). Nel corso del colloquio (OMISSIS) si era lamentato del fatto che, se non riusciva a lavorare, non avrebbe avuto la disponibilita' economica necessaria per togliere le ipoteche ("... Se non lavoro come la pago, come la pago...") e per dare soldi a (OMISSIS) a titolo di tangente ("... Non so dove andare, non so dove prenderli, ho debiti pure in chiesa, ho fatto debiti pure nella chiesa...quando ce li ho (OMISSIS), ma se non li ho dove lo prendo- Se ho i soldi te li do ma se non li ho da dove li prendo-"). (OMISSIS) aveva replicato, intimandogli di fare in fretta e di valutare se fosse o meno in condizione di partire con l'iniziativa economica in modo tale da corrispondergli il denaro richiesto, perche', diversamente, se avesse ritenuto la cosa non conveniente, se ne sarebbe pure potuto andare. Gli aveva intimato, inoltre, di non pensare a fare denunce perche' il loro gruppo criminale avrebbe potuto contare almeno su duecento persone ("... non ti sto dicendo di entrare in questa cosa, basta che ti sbrighi, ti sbrighi, ti sbrighi.... Allora non ti sei "regolato" l'andazzo come va-... Dopo di che se ti conviene stare stai altrimenti da dove sei venuto te ne vai se vuoi passartela buona altrimenti regolati tu..."). (OMISSIS), consapevole della caratura criminale del suo interlocutore, aveva accettato le condizioni poste da (OMISSIS), escludendo di essere intenzionato a sporgere denunce ("... niente perche' dovrei "cantare", perche' dovrei "cantare" (OMISSIS)-... Mi pare che abbiamo avuto sempre un buon rapporto eccellente..."). (OMISSIS) aveva replicato che il rapporto era stato buono fino a quel momento, implicitamente alludendo al suo possibile cambiamento. Questo scambio di battute era ritenuto dalla Corte d'appello dimostrativo del fatto che la pretesa di (OMISSIS) riguardava, non l'entrata in societa' con (OMISSIS) come sostenuto dalla difesa - ma, il pagamento da parte di (OMISSIS) della somma oggetto di estorsione in cambio della possibilita' a lui concessa dalla cosca mafiosa di poter proseguire senza problemi nell'iniziativa economica intrapresa. Con un secondo colloquio, avvenuto il 16 ottobre 2015, (OMISSIS) aveva chiesto a (OMISSIS) di quantificargli il denaro voluto, in modo da poter valutare la convenienza ad andare avanti ovvero fermare tutto e andarsene ("... Dimmi quant'e' in modo che lo so tutto, mi regolo, se e' una cosa che penso posso andare avanti senno mi colgo i pezzi e me ne vado... ora se tu mi dici "amico voglio dieci mila Lire, cento mila Lire, un miliardo, io mi regolo e poi ti dico (OMISSIS) mi sta bene, non mi sta bene, mi faccio due conti..."). (OMISSIS) gli aveva risposto che poi gli avrebbe fatto sapere e gli aveva chiesto se avesse ricevuto i finanziamenti. (OMISSIS) aveva risposto che gli restava poco della somma ricevuta a titolo di finanziamento, dopo aver pagato IVA, interessi bancari e operai, e, a fronte della replica di (OMISSIS) circa la ribadita necessita' della valutazione della convenienza della prosecuzione dell'iniziativa imprenditoriale, ovvero di tornare a fare il lavoro che faceva prima, (OMISSIS) aveva insistito per sapere l'entita' della somma da versare, proponendo al suo interlocutore di verificare personalmente le perdite accumulate ("... per questo ti ho chiamato, voglio sapere di che morte devo morire punto. Se mi conviene bene altrimenti... a conti fatti, se vuoi te li faccio vedere..."). Nell'analitica ricostruzione della vicenda, la Corte di appello considerava piu' pregnante sul piano probatorio il passaggio successivo della conversazione, nella parte in cui (OMISSIS), all'affermazione di (OMISSIS) che si era lamentato di essere tartassato da tutti (legge, Polizia, Carabinieri, Finanza, famiglia mafiosa dei (OMISSIS)), invece di smentire sue finalita' estorsive, aveva risposto a (OMISSIS) che, dopo essersene andato, non avrebbe potuto pensare di essere accolto favorevolmente al suo ritorno "con la banda", ribadendo ancora piu' volte che era (OMISSIS), che opponeva il suo mancato guadagno allo stato, a dover valutare la convenienza se continuare o meno nella sua attivita' imprenditoriale ovvero andarsene lasciando pascolare le sue vacche come era avvenuto per secoli ("... e io ti sto dicendo che tu ti devi fare i conti... se c'e' l'utile... se non c'e' convenienza, anche per te, va e mangiano le vacche e buona notte..."), introducendo anche il discorso relativo alle quote societarie di cui avrebbero parlato in precedenza. Tale riferimento alle quote doveva essere interpretato, secondo la Corte, nel senso che (OMISSIS), dopo essersi sforzato durante tutto il lungo colloquio, cosi' come nel corso del precedente, a convincere (OMISSIS) che non poteva pretendere da lui il pagamento estorsivo in quanto non stava guadagnando ma anzi ci stava solo rimettendo denaro, aveva colto nel riferimento di (OMISSIS) alle quote l'occasione per proporgli di entrare in societa' con lui acquistando quote societarie, quantificandone il valore di ciascuna in un decimo di quanto aveva speso, con la conseguenza che entrambi avrebbero dovuto addossarsi il rischio imprenditoriale di guadagnare come anche di perdere, con l'unica accortezza a non farsi vedere insieme per evitare iniziative giudiziarie nei loro confronti ("... se tu mi dici (OMISSIS) voglio la quota... ci mettiamo ci sediamo ne discutiamo con i tuoi nipoti, con tuo fratello, per me non ci sono problemi... l'importante e' stare attenti che ci vedono, ci fanno fotografie..."). Ad avviso della Corte di appello, la correttezza di tale interpretazione e' da ritenersi confermata dal fatto che (OMISSIS) nulla aveva detto sulla proposta di acquisto delle quote, essendosi solo limitato a fare la battuta che "la matematica e' una scienza esatta", in risposta alla osservazione di (OMISSIS) che "la matematica non e' un'opinione", per poi ritornare sull'argomento delle prospettive dell'iniziativa imprenditoriale, chiedendo a (OMISSIS) una stima sui tempi che gli occorrevano per cominciare a vedere dei guadagni e, ricevuta la risposta di (OMISSIS) che sarebbe stato necessario aspettare ancora un anno e mezzo, aveva replicato con la reiterata intimazione di valutare la convenienza ovvero di andarsene. Il discorso sulle quote che (OMISSIS) avrebbe dovuto acquistare era apprezzato dalla Corte come una proposta incidentale di (OMISSIS), alternativa alla richiesta estorsiva di (OMISSIS), che, ignorandola, aveva preteso da (OMISSIS) una scelta rapida tra l'accettazione del pagamento del "pizzo" oppure il definitivo abbandono del progetto imprenditoriale, con la conseguenza che il terreno su cui voleva creare l'agriturismo sarebbe rimasto destinata al pascolo delle vacche della cosca mafiosa, si' che l'interesse manifestato da (OMISSIS) sull'entita' dei futuri guadagni dell'attivita' imprenditoriale intrapresa da (OMISSIS) era collegato a tale scelta e non alla determinazione del valore delle quote eventualmente da acquistare. Tale conclusione, secondo la Corte, era confermata dai contenuti del terzo colloquio svoltosi in data 29 gennaio 2016. In detta occasione (OMISSIS) aveva posto a (OMISSIS) la solita domanda sull'importo della "tangente" pretesa, evidenziando la propria esigenza di conoscerne l'entita' per potersi regolare, mentre (OMISSIS) non solo gli aveva contestato un "comportamento falso" tenuto nel proporgli, nel precedente incontro, l'acquisto di due quote prima per la somma di diecimila Euro e successivamente per la somma di cinquantamila Euro, ma gli aveva manifestato anche la propria preoccupazione per alcune sue esternazioni su internet circa indebite richieste economiche ricevute chiedendogli a chi avesse fatto riferimento. (OMISSIS), mentre aveva negato la veridicita' della contestazione mossagli, aveva anche cercato di rassicurare il preoccupato (OMISSIS), facendo riferimento prima al Comune e poi evocando uno dell'Agenzia delle Entrate che gli avrebbe chiesto dei soldi per fare la stima, che ancora non aveva fatto. La Corte puntualizzava, con riguardo a detto colloquio ampiamente ripercorso, che, non potendosi parlare ne' di una vera trattativa per il raggiungimento di un accordo societario, ne' di un reale equivoco circa il valore delle quote d'ingresso nella societa', l'unica spiegazione plausibile era che (OMISSIS) volesse mettere sotto pressione (OMISSIS) contestandogli comportamenti scorretti, anche sul piano delle operate esternazioni, per intimorirlo e indurlo a cedere alle richieste estorsive, rimaste non quantificate, pur a fronte di ribaditi solleciti. 6.8. Queste emergenze consentivano alla Corte di appello di concludere che (OMISSIS) poteva considerarsi effettivamente persona offesa, quale imprenditore-vittima che aveva soggiaciuto all'attivita' estorsiva della cosca, e non un imprenditore colluso che aveva instaurato un accordo societario con la criminalita' organizzata. Sul punto, la Corte affermava che si doveva distinguere" in linea generale, l'imprenditore "vittima" della mafia dall'imprenditore "colluso" con la mafia. Il primo era l'imprenditore costretto a subire passivamente la volonta' dei mafiosi, per cui era costretto a pagare la protezione mafiosa, senza ricevere in cambio alcun vantaggio, salvo che la promessa di poter continuare a svolgere la sua attivita' senza temere attentati alla persona e al patrimonio da parte degli stessi mafiosi con cui aveva raggiunto l'accordo. Diverso era il caso degli imprenditori "collusi", cioe' di quegli imprenditori che trovavano un accordo attivo con i mafiosi per gestire determinati affari con reciproco vantaggio. Tale distinzione era stata recepita anche dalla giurisprudenza di legittimita', che, in alcune richiamate sentenze (Sez. 1, n. 46552 del 1/10/2005, Iorio; Sez. 5, n. 39042 del 01/10/08, Sama'; Sez. 1, n. 30534 del 30/7/2010, Tallura; Sez. 6, n. 30346 del 15/7/13; Sez. 6, n. 25261 del 5/6/18), aveva affermato che "in materia di partecipazione ad associazione di stampo mafioso e' ragionevole considerare imprenditore "colluso" quello che e' entrato in rapporto sinallagmatico con la cosca tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti per l'imprenditore nell'imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell'ottenere risorse, servizi od utilita', mentre e' ragionevole ritenere imprenditore "vittima" quello che, soggiogato dall'intimidazione, non tenta di venire a patti con il sodalizio, ma cede all'imposizione e subisce il relativo danno ingiusto, limitandosi a perseguire un'intesa volta limitare tale danno. Ne consegue che il criterio distintivo tra le due figure sia nel fatto che l'imprenditore "colluso", a differenza di quello "vittima", ha consapevolmente rivolto a proprio profitto l'essere venuto in relazione con il sodalizio mafioso (...)"; e ancora che "la qualificazione di "imprenditore colluso" con associazioni di tipo mafioso comporta l'esistenza di un rapporto di reciproci vantaggi consistenti per l'imprenditore nell'imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell'ottenere risorse servizi o utilita' (...)". La Corte, alla luce dei ripercorsi orientamenti giurisprudenziali, riteneva che l'odierno ricorrente, rectius la persona offesa (OMISSIS), rientrasse nella categoria dei "c.d. imprenditori-vittime che, al solo fine di poter svolgere la propria attivita' imprenditoriale senza subire attentati e, dunque, senza la prospettiva di ottenere per se' vantaggi di qualunque tipo, e' costretto a piegarsi alla richiesta estorsiva della criminalita' organizzata, ben sapendo che in caso diverso non gli resta che l'alternativa di andarsene rinunciando ai propri progetti". (OMISSIS), invero, sottoposto alla richiesta estorsiva di (OMISSIS) e di (OMISSIS) nella loro qualita' di rappresentanti dell'omonima famiglia mafiosa e consapevole di non potersi sottrarre alla medesima, aveva cercato una via d'uscita meno dannosa per lui sul piano economico, proponendo o comunque rendendosi disponibile a un ingresso di (OMISSIS) nella sua societa' come socio di fatto, mentre quest'ultimo aveva un intento estorsivo del tutto incompatibile con un accordo societario. 6.9. La Corte, quanto alla credibilita' soggettiva di (OMISSIS) e all'attendibilita' delle sue dichiarazioni, non riteneva fondate le eccezioni difensive, basate sulla rilevata presenza di suoi precedenti penali, sulla sua costituzione di parte civile nel processo e sulla correlata ritenuta dimostrazione di essere lo stesso portatore di un proprio interesse economico, sulla sua reticenza nell'omettere di riferire il nome del padre del suo dipendente che avrebbe parlato con i figli di (OMISSIS), nonche' sul contrasto tra quanto dichiarato nel corso delle indagini e quanto riferito in occasione dell'intervista resa alla giornalista durante il programma "(OMISSIS)". Secondo la Corte, non era, innanzitutto, possibile sostenere che un imprenditore potesse sfidare apertamente esponenti della locale criminalita' organizzata e calunniarli accusandoli di tentata estorsione; ne' l'eventuale intento calunniatorio di (OMISSIS) era logicamente desumibile dai suoi precedenti penali ovvero dalla decisione, successiva alla denuncia dei suoi estorsori, di costituirsi parte civile; era, inoltre, pienamente plausibile e comprensibile la spiegazione fornita da (OMISSIS) circa l'omissione del nome del padre del suo dipendente, tesa a evitare d'incrinare i suoi rapporti con tale soggetto rimasto ignoto (e probabilmente anche con il figlio suo dipendente), provocando un possibile risentimento per la preoccupazione di dovere eventualmente testimoniare in un futuro processo contro soggetti appartenenti alla criminalita' organizzata. Neppure era ritenuta sussistente la pretesa incoerenza nel narrato di (OMISSIS), eccepita dalle difese, desumibile da un asserito contrasto tra quanto dichiarato prima nel corso dell'indagine rispetto all'ammontare della richiesta di cinquantamila Euro e poi nel corso dell'intervista resa alla giornalista della trasmissione televisiva "(OMISSIS)", laddove aveva riferito di avere mandato "un'ambasciata" agli estorsori tramite un loro parente, senza che l'entita' della richiesta fosse stata quantificata. Secondo la Corte, in realta' (OMISSIS), seppure in un tentativo di sintesi imposto dalla natura dell'intervista, non aveva detto nulla di sostanzialmente diverso, poiche', parlando dell'"ambasciata", si era all'evidenza riferito all'episodio, del quale aveva parlato nel corso delle indagini, in cui aveva deciso, ancor prima di iniziare la costruzione dell'agriturismo, di prendere contatti con tale (OMISSIS) detto "(OMISSIS)", sposato con (OMISSIS) nipote di (OMISSIS) detto (OMISSIS), capostipite ormai defunto della famiglia mafiosa omonima, affinche' mandasse "un'ambasciata" ai figli di (OMISSIS), fratello di (OMISSIS) e cugino di (OMISSIS), con l'intento di ottenere dai medesimi l'autorizzazione a portare avanti il progetto senza problemi. Ne' (OMISSIS), riferendo il fatto che l'entita' della mazzetta non era stata quantificata, era entrato in contraddizione con il suo racconto precedente, laddove aveva reiteratamente precisato di avere insistito inutilmente, per avere una quantificazione della richiesta, con (OMISSIS), che, invece, aveva preso tempo per accertare prima le reali prospettive di guadagno dell'iniziativa economica. La Corte rilevava che, per l'assoluta irritualita' con cui erano state rese, le dichiarazioni di (OMISSIS) nel corso dell'intervista non potevano comunque essere utilizzate quali prove se non per sollecitare un'eventuale sua nuova escussione, della quale non sarebbero stati ravvisati comunque i presupposti, se richiesta, per ammetterla, e aggiungeva che il dato della quantificazione della pretesa estorsiva era emerso solo da quanto riferito da (OMISSIS) per averlo appreso dal padre del suo dipendente, con conseguente ragionevolezza del suo silenzio sulla circostanza. L'attendibilita' di (OMISSIS), quindi, nel giudizio della Corte, non risultava smentita da elementi concreti, sussistendo al contrario, elementi idonei a corroborarla, tratti da alcune intercettazioni aventi a oggetto conversazioni di (OMISSIS) con vari soggetti, riportate per sintesi, e segnatamente: - conversazione progr. n. 1942 del 28 ottobre 2015, nel corso della quale (OMISSIS) aveva comunicato al Comandante della Stazione dei Carabinieri di Cittanova di aver subito un danneggiamento nei terreni della propria cooperativa, consistito nell'estirpazione di cento piantine, piantate il giorno precedente; - conversazione ambientale captata all'interno dell'autovettura di (OMISSIS) alle ore 15:31 del 12 novembre 2015, intercorsa con l'amico (OMISSIS), nel corso della quale (OMISSIS) aveva ricondotto la proprieta' dei bovini liberati sui terreni nella sua disponibilita' a "questi malandrini", lasciando intendere la riferibilita' a famiglie criminali, e il suo interlocutore aveva richiamato l'intervenuto sequestro di alcuni animali, riscontrato dal fatto che in data 17 giugno 2015 il Commissariato di P.S., nell'ambito di un servizio finalizzato a contrastare il fenomeno delle c.d. "vacche sacre", unitamente ad altre forze di polizia, all'interno del villaggio (OMISSIS), aveva proceduto al sequestro di alcuni bovini gestiti da (OMISSIS), ma di proprieta' dell'azienda agricola della madre (OMISSIS); - conversazione ambientale del 3 dicembre 2015 ore 15:02, pure captata all'interno del veicolo di (OMISSIS), nel corso della quale questi aveva confidato espressamente al medesimo interlocutore (OMISSIS) di essere vittima di richieste estorsive e, nel corso del colloquio, di avere gia' subito il taglio della rete, di essere stato destinatario di richieste di pagare il pizzo come condizione essenziale per la prosecuzione dei lavori, di avere opposto che non avrebbe ceduto neppure ove le sue condizioni patrimoniali glielo avessero consentito e di averli gia' denunciati, precisando che avrebbe rivelato i nomi dei denunciati solo quando la vicenda fosse divenuta ufficialmente nota ("... ora non te lo dico... ancora sono in corso... ancora non c'e' una cosa ufficiale... quando sara' ufficiale"); - conversazione (progr. n. 1110) intervenuta alle ore 15.49 del 3 dicembre 2015, nel corso della quale il predetto (OMISSIS) aveva chiesto a (OMISSIS), suo interlocutore, se "i mafiosi volessero conto", ricevendo la risposta che erano "tutti pazzi" e che avevano affermato il loro controllo sul territorio; - conversazione (progr. n. 3211) delle ore 11.56 del 19 gennaio 2016 (intercorsa con l'avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) (precedente presidente della cooperativa " (OMISSIS)"), nel corso della quale (OMISSIS) aveva riferito di un precedente dialogo con il Sindaco che gli avrebbe consigliato di lasciare perdere il territorio di interesse della cosca; - conversazione del 3 febbraio 2016, nel corso della quale (OMISSIS) aveva raccomandato alla figlia (OMISSIS) di impedire al fratello (OMISSIS) di recarsi da solo sulla montagna (OMISSIS); - conversazione ambientale (progr. n. 6227) delle ore 13 del 12 febbraio 2016, nel corso della quale (OMISSIS) aveva usato l'espressione "Mi hanno mandato una lettera con tre proiettili... ce ne andiamo che ammazzano me ed i miei figli", riscontrando anche la circostanza che la societa' (OMISSIS) aveva intercettato una lettera indirizzata ad (OMISSIS), contenente tre cartucce GLF 38 special e un foglio di carta A4 sul quale erano incollate alcune lettere ritagliate da giornali che riportavano la seguente frase "... sei morto nel mirino tutti i tuoi figli vattene di (OMISSIS) e di (OMISSIS)... stai rovinando il Comune"; - conversazione del 15 febbraio 2016, nel corso della quale (OMISSIS), parlando con la figlia (OMISSIS), aveva espresso sospetti circa il fatto che i mittenti della lettera minatoria potessero essere "i soggetti di la' sopra..." e non anche l'Amministrazione pubblica che aveva comunque tentato di ostacolare la propria attivita', come invece ipotizzato dalla figlia. La Corte, concludendo sul punto, considerava, in definitiva, credibili e utili per la decisione tutte queste intercettazioni, nel corso delle quali (OMISSIS) aveva parlato con vari soggetti senza sapere di essere ascoltato dagli inquirenti, escludendo che si potesse dubitare della loro genuinita'; valorizzava i ripetuti tentativi di costringerlo a pagare una "tangente" al fine di poter avviare la propria attivita' in localita' (OMISSIS) e le riferite specifiche modalita' violente e minatorie utilizzate nei suoi confronti (quali il taglio della recinzione di sua proprieta', il danneggiamento di terreni con l'estirpazione della vegetazione appena piantata, il recapito di una lettera di minaccia di morte con all'interno dei proiettili, la liberazione di animali selvaggi sul terreno nella sua disponibilita'); riteneva che fosse possibile ricondurre detti atti delittuosi a una specifica famiglia âEuroËœndranghetista, identificata nella cosca (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS), non solo per lo svolgersi dei fatti in un territorio notoriamente sottoposto al loro controllo per cui l'introduzione di mandrie di vacche libere era una delle solite manifestazioni di controllo del territorio, ma anche e soprattutto per l'esplicito riferimento di (OMISSIS), nel corso della conversazione avente ad oggetto il suo colloquio con il Sindaco di (OMISSIS), all'appellativo con cui la famiglia era conosciuta ("(OMISSIS)"). 6.10. Quanto, poi, alla deduzione difensiva circa l'assenza di elementi specifici sul concorso di (OMISSIS), la prova del coinvolgimento dello stesso nella contestata condotta estorsiva era costituita essenzialmente, secondo la Corte di appello, dalle dichiarazioni della persona offesa (OMISSIS), della cui attendibilita' non era possibile dubitare per quanto prima riportato, e dalla successione cronologica e dalla connessione logica dei fatti riferiti. (OMISSIS), come gia' riportato, aveva parlato di due incontri avuti con (OMISSIS), che si era e' presentato da lui insieme a (OMISSIS). Nel corso di tale incontro, avutosi in coincidenza con l'inizio dei lavori di costruzione dell'agriturismo, (OMISSIS) e (OMISSIS), preso atto dell'inizio dei lavori ("hai iniziato i lavori bene... noi dobbiamo vivere ora qualunque cosa fai ce lo devi fare sapere"), avevano intimato a (OMISSIS) di tenerli informati dell'evoluzione della sua attivita' economica, alludendo anche al fatto che, se egli avesse voluto fare acquisti, avrebbe dovuto rivolgersi a loro. (OMISSIS), apparentemente accondiscendente a tale richiesta, che aveva cercato di rendere difficoltosa se non impraticabile, aveva loro proposto acquisti di beni (quali rete metallica, pali e piantine di frutti di bosco) che dovevano essere fatturati e quindi pagati con assegni o bonifici. Dopo qualche tempo, (OMISSIS) aveva avuto altro incontro con (OMISSIS) e (OMISSIS), che gli "chiesero delle assunzioni", e, senza opporre un rifiuto, si era limitato soltanto a pretendere che le persone da assumere non fossero dei pregiudicati per avere "problemi con il finanziamento", nella consapevolezza che la condizione avrebbe potuto essere soddisfatta difficilmente. Questi due incontri, secondo la Corte di appello, avevano costituito la logica prosecuzione dell'incontro che (OMISSIS) aveva inizialmente avuto con il solo (OMISSIS) e avevano rappresentato fasi dello sviluppo dell'attivita' estorsiva, poi proseguito con gli altri tre incontri avvenuti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che li aveva registrati, raccordandosi con le dichiarazioni dello stesso. (OMISSIS) aveva, infatti, riferito che: - aveva preso contatti, ancor prima di iniziare la costruzione dell'agriturismo, con tale (OMISSIS) detto "(OMISSIS)" (sposato con (OMISSIS) nipote di (OMISSIS) detto (OMISSIS), capostipite ormai defunto della famiglia mafiosa omonima), e aveva inviato tramite il medesimo "un'ambasciata" ai figli di (OMISSIS), fratello di (OMISSIS) e cugino di (OMISSIS), con l'intento di ottenere dai medesimi l'autorizzazione a portare avanti il progetto senza problemi; - durante il periodo in cui attendeva la risposta di (OMISSIS), era stato informato dal padre di un socio della cooperativa (di cui aveva preferito non riferire il nome per evitare da parte del medesimo risentimenti nei suoi confronti per averlo coinvolto nella vicenda), che di sua iniziativa aveva avuto un colloquio con i figli (di cui non indicava il nome) di (OMISSIS), che avevano preteso la somma di cinquantamila Euro affinche' l'attivita' dell'agriturismo potesse iniziare senza avere problemi; - dopo qualche mese (OMISSIS) lo aveva rassicurato comunque circa il fatto che non avrebbe avuto problemi; - successivamente avendo notato che (OMISSIS) non lo salutava, mostrandosi risentito, aveva cercato con lui un contatto, incontrandolo presso il suo garage e apprendendo che (OMISSIS), evidentemente non credendo alla realizzazione del progetto, non gli aveva recapitato il messaggio, venendo anche rimproverato per avere intrapreso l'attivita' allo (OMISSIS) senza avere chiesto il permesso; - dopo che egli gli aveva domandato se avesse ricevuto "l'ambasciata" di (OMISSIS) "(OMISSIS)" e aveva precisando di non potere disporre della somma richiesta, (OMISSIS), mostrando di capire la situazione, si era limitato a invitarlo a dare il denaro dopo che avesse cominciato a guadagnare; - (OMISSIS), in coerenza con l'invito a lui fatto, si era ripresentato, in coincidenza dei lavori di costruzione dell'agriturismo, in compagnia del nipote (OMISSIS), intimandogli di tenerli informati circa lo svolgimento della sua attivita' economica e aggiungendo che, se egli avesse voluto fare acquisti, avrebbe dovuto rivolgersi a loro; - nel successivo incontro, (OMISSIS) e (OMISSIS) gli avevano avanzato anche la richiesta di assumere quali lavoratori per l'impresa alcune persone di loro gradimento; - successivamente, (OMISSIS) lo aveva incontrato altre volte ribadendogli che avrebbe dovuto corrispondere del denaro in favore della cosca, a meno che non avesse deciso, valutata la prospettiva economica priva di qualsiasi convenienza, di andarsene dallo (OMISSIS). 6.11. In relazione, inoltre, al rilievo difensivo secondo cui la partecipazione di (OMISSIS) agli incontri estorsivi con (OMISSIS) sarebbe rimasta del tutto indimostrata, non potendosi considerare quali riscontro le dichiarazioni che (OMISSIS) avrebbe appreso de relato, la Corte osservava che era erroneo e fuorviante attribuire a dette dichiarazioni un ruolo centrale e decisivo nell'ambito del quadro probatorio, essendo i fatti appresi direttamente e riferiti da (OMISSIS) gia' da soli sufficienti a dimostrare la commissione della condotta estorsiva seppure in forma tentata. Ne' sussisteva la necessita' di ricercare riscontri alle dichiarazioni rese de relato, costituendo le stesse un elemento probatorio secondario, idoneo solo a corroborare ulteriormente il nucleo fondamentale del quadro probatorio rappresentato, invece, dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS), che aveva ricostruito la vicenda sulla base di quanto da lui direttamente percepito e registrato con il proprio apparato cellulare. 6.12. La prova della responsabilita' dell'imputato (OMISSIS) per la condotta estorsiva, di cui al capo b), era tratta essenzialmente, nella operata diffusa analisi, dalle dichiarazioni della persona offesa che aveva riferito di avere subito la richiesta di (OMISSIS) di consegnargli una rete di recinzione del valore complessivo di Euro duemila e di avergliela data senza chiedere denaro "perche' con i personaggi della âEuroËœndrangheta non puoi metterti sempre in opposizione". La Corte di appello, in punto di responsabilita', riteneva di non poter condividere la tesi difensiva secondo cui le dichiarazioni della persona offesa di per se' non potessero essere considerate sufficienti a integrare un sufficiente quadro probatorio a carico dell'imputato, per essere generiche e per essere necessari riscontri specifici e dettagliati, mancanti, invece, nella specie. Rilevava, al riguardo, che era costante, nella giurisprudenza di legittimita', l'affermazione che "le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, anche se costituita parte civile - da valutare con opportuna cautela e da sottoporre a un'indagine accurata circa i profili di attendibilita' oggettivi e soggettivi - possono tuttavia essere assunte, anche da sole, come fonte di prova" (Sez. 4, n. 16860 del 13/11/2003, Verardi), e ancora che "le dichiarazioni della persona offesa nel corso dell'istruttoria dibattimentale vanno valutate alla stregua di una normale testimonianza, senza che sia necessario verificare l'esistenza di riscontri esterni richiesti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3" (Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, Palmisani). In linea con i rilievi svolti quanto all'imputazione di cui al capo a) circa la piena attendibilita' e credibilita' ad (OMISSIS), le cui dichiarazioni erano risultate precise e prive di contraddizioni, oltre che coerenti con il tenore dei colloqui registrati, intercorsi con (OMISSIS), andava fatta analoga valutazione in relazione al fatto riferito da (OMISSIS) e contestato al capo b), da considerare integrante il reato di estorsione consumata. Secondo la difesa, (OMISSIS) non aveva riferito di una richiesta di cessione gratuita della rete metallica; la gratuita' della cessione era stata solo frutto di una sua scelta, non risultando una sua condizione di sottomissione ad (OMISSIS) che non lo aveva effettivamente minacciato; era, infine, del tutto inverosimile che (OMISSIS), dopo aver resistito per almeno tre anni alle pressioni di (OMISSIS), si fosse sentito coartato dalla richiesta della rete da parte di (OMISSIS). La Corte giudicava infondati i rilievi difensivi, che trascuravano il corretto inserimento dell'episodio in contestazione in una serie di avvicinamenti attuati nei confronti della persona offesa (OMISSIS) dai rappresentanti della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS), gia' descritti e ulteriormente ripresi, e riteneva, in detta prospettiva, che fosse del tutto verosimile che la stessa, di fronte alla richiesta, di scarso valore economico avanzata da (OMISSIS), di consegna della rete metallica, avesse ceduto, piuttosto che opporsi con il rischio di una ritorsione. (OMISSIS) era, inoltre, secondo la Corte, in condizione di oggettiva soggezione rispetto ad (OMISSIS) perche' ben conosceva il predominio criminale in quel territorio della famiglia mafiosa a cui il (OMISSIS) apparteneva, confermato dalla sua presenza anche durante l'azione estorsiva posta in essere insieme a (OMISSIS) che poi avrebbe proseguito da solo negli incontri e nelle intimidazioni. Ne' aveva valenza il rilievo difensivo secondo cui (OMISSIS) non poteva avere timore della cosca per avere gia' invitato (OMISSIS) a entrare in societa' con lui nella costruzione e gestione dell'agriturismo, dovendo tale invito essere ricondotto al tentativo di (OMISSIS) di limitare i danni derivanti dalla richiesta estorsiva con la proposta di acquisire alcune quote sociali e di condividere cosi' il rischio d'impresa. 6.13. La Corte, sull'idoneita' a integrare la condotta estorsiva anche la minaccia silente e implicita in determinati contesti ambientali come quello in esame, richiamava gli orientamenti giurisprudenziali di legittimita', secondo cui "la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere esplicita, palese e determinata, puo' essere manifestata anche in maniera indiretta, ovvero implicita ed indeterminata, purche' sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volonta' del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalita' dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera" (Sez. 2, n. 11922 del 14/03/2013); e, con specifico riferimento ai territori controllati dalla criminalita' organizzata, "per estorsione "ambientale" si intende quella particolare forma di estorsione, che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che e' immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell'associazione di appartenenza del soggetto agente, quand'anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volonta' della vittima" (Sez. 2 n. 53652 del 23/12/2014). Rispetto alla condizione della persona offesa, sottolineava, poi, che (OMISSIS) ben conosceva questo clima di intimidazione diffusa da parte della cosca dominante, tanto che, ancor prima di iniziare la costruzione dell'agriturismo, aveva deciso di prendere contatti con (OMISSIS), detto "(OMISSIS)", affinche' mandasse "un'ambasciata" ai figli di (OMISSIS), fratello di (OMISSIS) e cugino di (OMISSIS), per ottenere dai medesimi l'autorizzazione a portare avanti il progetto senza avere problemi. 6.14. In relazione alla tentata estorsione di cui al capo a) e all'estorsione consumata di cui al capo b), era indiscutibile, secondo la Corte, l'integrazione dell'aggravante mafiosa sia nella forma del metodo mafioso sia in quella dell'agevolazione mafiosa, avuto riguardo alle modalita' delle condotte, poste in essere nell'interesse della cosca di appartenenza. 7. Avverso detta sentenza (OMISSIS) ricorre per cassazione, tramite il difensore di fiducia, chiedendone l'annullamento sulla base di cinque motivi. 7.1. Con il primo motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge in relazione all'articolo 416-bis c.p. e dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e difetto di motivazione sulla sussistenza dell'associazione. Deduce che la sentenza impugnata non e' riuscita a dimostrare la sussistenza dell'associazione di stampo mafioso, se non in modo meramente assertivo, perche' le sentenze passate in giudicato sulla cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) non riportano il coinvolgimento diretto di (OMISSIS), se non quale parente di soggetti condannati ex articolo 416-bis c.p., fatto di per se' non rilevante ai fini della sua appartenenza a una cosca mafiosa (si riporta Sez. 5, n. 18491 del 22/11/2012, dep. 2013, Rv. 255431). La decisione sarebbe affetta anche da motivazione omessa ovvero erronea e illogica, poiche', dopo aver riconosciuto la mancanza di continuita' soggettiva "nel senso che nessuno dei soggetti giudicati in precedenza risulta imputato nel presente giudizio", esclude parzialmente anche quella oggettiva "tra le pregresse contestazioni e le attuali, in quanto nel presente giudizio la âEuroËœndrina (OMISSIS)- (OMISSIS) non e' accusata d'aver posto in essere estorsioni ne' traffici di stupefacenti, ne' di aver preso parte con alcun ruolo (neppure di neutralita') a guerre di mafia", annotando che la sentenza n. 1 del 2003 della Corte di assise di Palmi si riferiva a una condotta associativa piuttosto risalente che non andava oltre i primi anni âEuroËœ90, mentre la condotta associativa oggetto di contestazione nel presente giudizio e' considerata dall'anno 2009 con condotta perdurante. La sentenza ritiene, invece, che possa rinvenirsi "una certa continuita' relativamente all'interesse imprenditoriale in materia di appalti che aveva caratterizzato in passato l'attivita' della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) e continuava a farlo anche in tempi recenti in relazione alla condotta associativa contestata nel presente giudizio". 7.2. Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge in relazione all'articolo 416-bis c.p. e articolo 192 c.p.p., comma 2, ed erronea motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato in ordine alla valutazione della condotta di partecipazione al contesto associativo contestato. Secondo la difesa, la condotta contestata avrebbe bisogno della dimostrazione della "stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio tale da far ritenere avvenuto il suo inserimento con carattere di stabilita' e di consapevolezza soggettiva". Sul punto si cita Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231670, aggiungendo che, per valutare la partecipazione associativa mafiosa, la giurisprudenza fa riferimento a due modelli concettuali, uno "causale" e l'altro "organizzatorio", e che, per il secondo, si richiede lo svolgimento da parte del soggetto di comportamenti concreti espressivi del ruolo assunto. La motivazione impugnata, basata sulle intercettazioni e sulla loro relativa interpretazione, non proverebbe il perseguimento degli scopi associativi, difettando una serie di indicatori esterni richiesti anche dalla giurisprudenza di legittimita'. Ne' gli indizi sarebbero gravi, precisi e concordanti, diversamente da quanto affermato in sentenza, rispetto all'esistenza di un collegamento consortile tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Analogamente difetterebbe il metodo mafioso non rinvenendosi alcuna intimidazione (si cita la vicenda dei lavoratori non pagati). Si aggiunge, infine, che (OMISSIS) e' stato solamente un dipendente del consorzio di imprese (dipendente della (OMISSIS) e pagato da loro) e, su questo punto, la motivazione e' illogica laddove non considera che egli ha agito quale dipendente della societa' nell'interesse della quale ha provveduto a operare rapporti esclusivamente di natura lavorativa lecita, citandosi il coimputato (OMISSIS), gia' assolto. 7.3. Con il terzo motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge in relazione all'articolo 416-bis c.p., nonche' all'articolo 192 c.p.p., comma 2, e l'erronea motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato in ordine alla mancata riqualificazione della condotta nell'ipotesi di concorso esterno. Richiamando la giurisprudenza in materia, la difesa ritiene che il ricorrente non faccia parte dell'associazione ma vi sia solo occasionalita' dei singoli contributi prestati, richiamando il contenuto di alcune intercettazioni che dimostrerebbero il fatto che lo stesso non riveste alcun ruolo all'interno dell'associazione e che, eventualmente, avrebbe tenuto singole condotte agevolative con prognosi ex post e in concreto. 7.4. Con il quarto motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), l'insussistenza delle aggravanti di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 6. La difesa contesta le ragioni della sentenza sui punti che fondano la sussistenza delle aggravanti riferendosi al loro carattere oggettivo, senza considerare i canoni dell'articolo 59 c.p., comma 2. Non vi sarebbe prova ne' della disponibilita' di armi, ne' della sua consapevolezza, ritenute sulla base del fatto notorio che le associazioni mafiose sono armate. Analogamente deve dirsi per il finanziamento delle attivita' economiche controllate attraverso il prezzo, il prodotto e il profitto dei delitti scopo dell'associazione. L'attivita' del ricorrente, limitata alle forniture e ai rapporti con i lavoratori, sarebbe estranea al reimpiego dei profitti delittuosi. 7.5. Con il quinto motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge in relazione all'articolo 62-bis c.p. e difetto di motivazione per la mancata concessione delle attenuanti generiche, richiamando il contenuto normativo e la giurisprudenza di legittimita' sul punto e lamentando la mancata considerazione degli altri elementi di giudizio anche ulteriori rispetto a quelli specificamente indicati all'articolo 133 c.p.. 8. Avverso la sentenza di appello (OMISSIS) ricorre per cassazione, tramite il difensore di fiducia, chiedendone l'annullamento sulla base di sei motivi. 8.1. Con il primo motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione di legge in relazione all'articolo 416-bis c.p., comma 1. La sentenza impugnata non si sarebbe confrontata con i motivi d'appello limitandosi a confermare la decisione di primo grado. Si contesta anche la sussistenza del cd. metodo mafioso, osservandosi, in particolare, che non sarebbe riscontrabile e percepibile all'esterno la "cappa intimidatoria" derivante dal vincolo associativo attribuibile a (OMISSIS). Si riporta uno stralcio della sentenza n. 484 del 2020, emessa dal Tribunale di Palmi, non definitiva, che ha giudicato i concorrenti con rito ordinario e allegata, riqualificando l'associazione di cui all'articolo 416-bis c.p. in associazione per delinquere semplice di cui all'articolo 416 c.p. finalizzata a "drenare fraudolentemente denaro in danno degli enti appaltanti", e si afferma che le societa' calabresi si sono inserite nel settore degli appalti, non con minacce o metodi mafiosi, "bensi' grazie ai rapporti amicali e lavorativi". La Corte di appello avrebbe valutato le condotte del ricorrente con il "pregiudizio" della mafiosita', senza tenere nel dovuto conto gli elementi costitutivi e i principi dettati sull'articolo 416-bis c.p., e considerare che non esisterebbe la cosca che si voleva infiltrare negli appalti e che il ricorrente non ha mai partecipato a un sistema di guadagno illecito, ne' ha mai ravvisato in (OMISSIS) una caratura mafiosa ovvero non ne e' mai stato consapevole. I giudici avrebbero travisato il materiale probatorio con motivazioni non corrispondenti a quanto acquisito al processo. La violazione di legge emergerebbe dall'utilizzo del concetto inedito di "mafiosita' de relato", in contrasto con il principio costituzionale della responsabilita' personale in materia penale, ricavando la partecipazione del ricorrente all'associazione mafiosa indirettamente dalla posizione di capomafia di (OMISSIS). L'errore incorso sarebbe rilevabile sotto un doppio profilo: l'essere mafioso di (OMISSIS) non e' dimostrato e non v'e' neanche la prova che detta qualita' sia stata assunta dal ricorrente. I rapporti tra i due sarebbero solamente lavorativi e non risulterebbe alcun elemento specifico che dimostri il loro collegamento associativo. La motivazione non e' ritenuta esaustiva e fondata su dati corretti in risposta ai motivi d'impugnazione, oltre a essere insufficiente per giustificare l'affermazione della responsabilita' penale del ricorrente. (OMISSIS) e' un soggetto incensurato immune da misure di prevenzione, dandosi pure atto che nel 2015 aveva ottenuto il dissequestro delle sue aziende da parte del Tribunale della liberta' di Reggio Calabria. Si afferma come manchi totalmente nel provvedimento impugnato l'esame della sussistenza dell'associazione mafiosa sotto il profilo dell'accertamento relativo all'elemento oggettivo del metodo mafioso. Si riporta che l'associazione mafiosa si caratterizza per l'organizzazione, la forza d'intimidazione del vincolo associativo, l'assoggettamento e l'omerta'. La sentenza non avrebbe risposto correttamente sulla sussistenza dell'associazione mafiosa e se le condotte attribuite al ricorrente possono essere considerate come espressione della messa a disposizione del gruppo criminale. Ancora, dalle sentenze citate nella motivazione della sentenza impugnata emergerebbe che (OMISSIS) non e' "l'erede" del capo cosca (OMISSIS)- (OMISSIS), (OMISSIS), perche': dopo l'uccisione di (OMISSIS) gli sono subentrati i figli; quando la cosca avversaria dei (OMISSIS) ha avuto necessita' di interfacciarsi con i (OMISSIS) non si e' rivolta a (OMISSIS). Non vi sarebbero, inoltre, elementi neanche indiziari, e anche solo frequentazioni con parenti mafiosi o pregiudicati in genere. Nell'atto di appello si era rilevato come non vi fosse alcuna prova che il gruppo riferibile a (OMISSIS) abbia mai imposto le proprie societa' ai consorzi con violenza o intimidazione, anzi, non vi e' traccia della concreta esplicazione del metodo intimidatorio mafioso - asseritamente utilizzato - nella sentenza impugnata e, al di la' dell'intestazione fittizia contestata, non ci sono altri reati fine attribuiti all'associazione. (OMISSIS) viene, anzi, descritto come un imprenditore circondato da fidati collaboratori in diverse attivita' commerciali. Si lamenta, inoltre, che non sia stata indicata, nonostante specifiche sollecitazioni in tal senso, quale sia stata la commessa dalla quale la (OMISSIS) S.r.l. avrebbe ottenuto un vantaggio e quale sia stato l'appalto ottenuto da detta societa' con metodi illeciti, considerato che l'unica gara citata non e' stata oggetto di partecipazione (anche nel caso dell'inadempimento contrattuale trattato in sentenza non vi sarebbe stata alcuna intimidazione). Le condotte contestate riportate nei capi d'imputazione, si aggiunge, non sono accompagnate da elementi illeciti di tipo mafioso, mentre le conversazioni intercettate sarebbero normali discorsi di lavoro o di affari. La sentenza e' giunta, ad avviso del ricorrente, a conclusioni errate rispetto alla giurisprudenza in materia, non essendosi rilevato alcun elemento concreto a sostegno delle ipotesi accusatorie. Non sarebbe stato neppure trattato il meccanismo dei consorzi, vero protagonista della vicenda processuale, che, a differenza di quanto prospettato nel provvedimento impugnato, non sarebbe stato permeato da alcun elemento mafioso. La contestazione mossagli, puntualizza il ricorrente, di partecipazione all'associazione mafiosa con compiti esecutivi non poggia su condotte che abbiano espresso tale partecipazione. Anche l'attribuzione, a lui ascritta, di avere avuto un ruolo di serie "B", di avere assunto una condotta agevolatrice e di essere stato disponibile consapevolmente e non occasionalmente, non e' accompagnata dalla specificazione di chi fosse di serie "A" e di quale sia stato il suo effettivo contributo all'associazione. 8.2. Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione di legge in relazione all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 5, e deduce che in sentenza sarebbe mancato l'accertamento della sua consapevolezza in violazione della normativa di riferimento e della pertinente giurisprudenza. 8.3. Con il terzo motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione di legge in relazione all'articolo 416-bis c.p., comma 6. Deduce che (OMISSIS) avrebbe operato con la propria societa' (OMISSIS) aggiudicandosi gli appalti in modo lecito, operando senza imposizioni o accordi di carattere mafioso, anche nel caso del recupero dei crediti derivanti dall'inadempimento contrattuale trattato in sentenza. Non si spiega peraltro se vi sia stato un reinvestimento delle utilita' derivanti dal delitto associativo con le caratteristiche richieste dalla giurisprudenza in materia. 8.4. Con il quarto motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione di legge in relazione al Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-quinquies. Contesta, in particolare, la ricostruzione secondo cui (OMISSIS), soggetto incensurato, gli avrebbe intestato fittiziamente la (OMISSIS), di cui egli risultava essere amministratore unico, poiche' non ce ne sarebbe stata alcuna necessita', diversamente da quanto affermato nel provvedimento impugnato. Non vi era, invero, alcun interesse in tal senso e non vi e' prova alcuna che detta societa' sia stata creata con disponibilita' di (OMISSIS), difettando peraltro anche il dolo specifico richiesto, citandosi giurisprudenza a supporto. Sottolinea la contraddittorieta' del rilievo che (OMISSIS) abbia operato sia in prima persona sia con ditte "schermate". Agli interrogativi posti al riguardo non sarebbe stata data specifica risposta nella sentenza di appello, e gia' il Tribunale del riesame - annullando un precedente sequestro preventivo - aveva dato atto che non vi erano elementi da cui desumere che (OMISSIS) temesse un provvedimento simile, ritenendo insufficienti i rapporti di parentela con la cosca (OMISSIS). Si rimarca che (OMISSIS), in realta', operava liberamente come imprenditore in modo lecito attraverso il sistema dei consorzi. 8.5. Con il quinto motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione di legge in relazione alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, oggi articolo 416-bis.1 c.p.. L'impugnata sentenza avrebbe errato nel considerare sussistente detta aggravante basandosi sul rilievo della sussistenza del vantaggio derivante dall'intestazione fittizia per la sua astratta idoneita' a difendere l'impresa da una possibile confisca giudiziaria. Si sarebbe, inoltre, richiamata la finalita' agevolativa dell'aggravante di tipo soggettivo riconducendola al ricorrente senza specificare la funzionalita' rispetto alla cosca e senza neanche considerare la necessita' di un dolo specifico rimasto indimostrato, in contrasto con la giurisprudenza citata. 8.6. Con il sesto motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione di legge in relazione all'articolo 62-bis c.p.. La sentenza farebbe riferimento a un diverso gruppo criminale ( (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS)) rispetto a quello contestato e non considera che, per il suo ruolo marginale, avrebbe meritato la concessione delle attenuanti generiche prevalenti e non equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, senza che il giudice abbia indicato gli elementi ostativi considerati. 8.7. Con i motivi nuovi, presentati ai sensi dell'articolo 585 c.p.p., comma 4, il ricorrente deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione di legge in relazione all'articolo 416-bis c.p., ripetendo, approfondendole, le considerazioni di cui al primo motivo. 9. Avverso detta sentenza (OMISSIS) ricorre per cassazione, tramite il difensore di fiducia, chiedendone l'annullamento sulla base di tre motivi. 9.1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), ed e), violazione, inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 416-bis c.p. in relazione all'articolo 42 c.p., agli articoli 125, 192 e 238-bis c.p.p. e agli articoli 27 e 111 Cost., nonche' il travisamento delle prove e la contraddittorieta' e illogicita' della motivazione. Si lamenta la mancanza dell'accertamento degli elementi costitutivi dell'associazione per delinquere di stampo mafioso di cui si esclude la sussistenza. Preliminarmente si ricorda che, a norma dell'articolo 238-bis c.p.p., le sentenze irrevocabili possono essere utilizzate come prova dei fatti cosi' accertati e sono valutate ai sensi dell'articolo 187 c.p.p. e articolo 192 c.p.p., comma 3, citando Sez. F, n. 56596 del 03/09/2018, Rv. 274753 - 01 secondo cui "In tema di valutazione della prova, nel giudizio dibattimentale e' utilizzabile come "fatto notorio", ai sensi dell'articolo 238-bis c.p.p., l'accertamento dell'esistenza e del radicamento territoriale di un'associazione mafiosa, contenuto in una decisione irrevocabile, emessa all'esito di giudizio abbreviato, nel caso in cui il sodalizio criminale oggetto di prova coincide, nei profili strutturali, temporali e finalistici, con quello ritenuto esistente e il patrimonio probatorio e valutativo, fatte salve le peculiarita' delle regole di acquisizione dibattimentale, e' pressoche' identico in entrambi i procedimenti". Alla stregua di detto principio, espresso anche nel 2016 nel processo "Crimine", secondo il quale va dimostrata la continuita' tra la sentenza definitiva e il processo pendente in cui viene richiamata per l'identita' (anche parziale) dei soggetti, del territorio, dell'utilizzo dello stesso metodo e il perseguimento delle medesime finalita', qualora nel giudizio non si rinvenga la forza intimidatrice derivante dall'associazione questa potrebbe essere desunta dal precedente accertamento che l'abbia verificata come effettiva e quindi persistente e diffusa, e come tale percepibile all'esterno. Nel provvedimento impugnato si contesta che, su questo argomento, non si sia dato riscontro alla contestata sussistenza del collegamento soggettivo e oggettivo con la citata sentenza n. 1 del 2003, emessa dal Tribunale di Palmi, "Cosa mia" relativamente all'esistenza della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS), nonche' con riferimento alle intercettazioni disposte in ambito carcerario tra familiari della cosca contrapposta dei (OMISSIS). Si specifica, quindi, che (OMISSIS), ritenuto in questo giudizio a capo del clan (OMISSIS), e' il nipote di (OMISSIS) detto "(OMISSIS)", ritenuto nella sentenza del procedimento "Cosa mia" a capo dell'omonima cosca, e che il padre e un suo zio ( (OMISSIS) cl. (OMISSIS) detto "(OMISSIS)" e (OMISSIS) cl. (OMISSIS)) sarebbero stati assolti in appello, mentre (OMISSIS) cl. (OMISSIS), detto "(OMISSIS)" (citato nelle intercettazioni sopra indicate) non sarebbe neanche stato imputato in detto processo, riferibile a fatti dei primi anni âEuroËœ90, laddove i fatti contestati sono di dieci anni dopo. Da detta sentenza definitiva sarebbe emerso come siano stati i figli di (OMISSIS), detto "(OMISSIS)", ad assumere la guida del gruppo criminale dopo la morte del padre. Non risulterebbero neanche segnalazioni a carico di (OMISSIS) per frequentazioni con soggetti pregiudicati, ne' tantomeno con i (OMISSIS). La sentenza sarebbe contraddittoria nell'attribuire a (OMISSIS) la continuita' oggettiva con (OMISSIS) detto "(OMISSIS)" sulla base del contenuto intercettivo che attribuisce a quest'ultimo la titolarita' degli appalti di pulizia (poi assunti da (OMISSIS)), mentre nella nota n. 2 della pagina 53 si da' atto che era stato arrestato per associazione di stampo mafioso, ma non aveva mai gestito attivita' di impresa, a differenza dei figli. Considerato che i risultati delle intercettazioni provengono da diverso processo non sono stati effettuati i riscontri ritenuti necessari ai sensi dell'articolo 238-bis c.p.p., con conseguente mancanza di elementi che consentano di ritenere la continuita' tra (OMISSIS) e la cosca (OMISSIS)- (OMISSIS). Si sostiene, inoltre, che la contestata associazione per delinquere di stampo mafioso non sussisterebbe poiche' non sarebbe dimostrata l'esistenza ovvero la manifestazione della necessaria forza d'intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta' ovvero la sussistenza in concreto del cd. "metodo mafioso" come riconosciuto in numerose pronunce giurisprudenziali citate. Si aggiunge, poi, che non risulta contestato alcun reato fine, se non solo l'interposizione fittizia in assenza di metodiche mafiose, neanche nel caso del rilevato inadempimento contrattuale. Il presunto capo dell'associazione avrebbe operato direttamente con una propria societa' ( (OMISSIS)) aggiudicandosi legalmente gli appalti senza utilizzare metodi mafiosi, neanche nei confronti degli operai assunti che protestavano per il mancato versamento degli stipendi dovuti (si cita la vicenda di (OMISSIS) che avrebbe ottenuto una sentenza parzialmente positiva rivolgendosi al giudice del lavoro, agli atti del dibattimento di Palmi). Ne', si aggiunge, le imprese coinvolte nel presente processo possono essere considerate "mafiose" non avendo ricevuto proventi illeciti ed essendosi avvantaggiate del metodo mafioso. Si riporta, nel ricorso, uno stralcio della sentenza n. 484 del 2020, emessa dal Tribunale di Palmi e non prodotta, dalla quale emergerebbe la riqualificazione dell'associazione di cui all'articolo 416-bis c.p. in associazione per delinquere semplice di cui all'articolo 416 c.p. finalizzata a "drenare fraudolentemente denaro in danno degli enti appaltanti", e si affermerebbe che le societa' calabresi si siano inserite nel settore degli appalti, non con minacce o metodi mafiosi, "bensi' grazie ai rapporti amicali e lavorativi che legavano il (OMISSIS) al (OMISSIS)... con offerte fuori mercato" e "come anche i contrasti economici insorti tra i tre, per quanto generatori di conflitti anche accesi e verbalmente violenti, siano alfine rientrati non gia' per effetto di pressioni mafiose esercitate dai calabresi, bensi' grazie ad una piu' prosaica e ragionevole (nonche' reciprocamente conveniente) transazione di tipo economico". In relazione alla posizione del ricorrente, la difesa afferma come egli abbia chiarito, rispondendo alle domande del Pubblico ministero, la propria posizione e i rapporti con i coimputati, puntualizzando che la consegna dei documenti per conto di (OMISSIS) sarebbe stata effettuata a titolo di cortesia a un conoscente. Dalla sentenza impugnata non si rileverebbe alcuna conoscenza della qualita' mafiosa di (OMISSIS), ne' tantomeno la prova dell'esistenza di un metodo mafioso, necessario per la sussistenza dell'associazione contestata, anche al fine di poter considerare penalmente rilevante una condotta di per se' lecita. Sulle cointeressenze tra il ricorrente e (OMISSIS) nel commercio di materiale plastico, si rileva - come si desumerebbe da una corretta lettura delle intercettazioni - che (OMISSIS) esercitava detto commercio in maniera autonoma. Sulla circostanza, inoltre, che (OMISSIS) abbia assistito alla consegna da parte di (OMISSIS) di una sim-card "segreta" a (OMISSIS), circostanza asseritamente negata in sede di interrogatorio, si oppone la mancanza di qualsiasi riscontro oggettivo. Si contestano anche le conclusioni a cui giunge il provvedimento impugnato, sulla base dell'esposto quadro probatorio complessivamente valutato, in ordine alla ritenuta piena e consapevole disponibilita' non occasionale del ricorrente - sia pure in assenza di iniziazione e di partecipazione ai livelli piu' elevati - a compiere, con ruolo meramente esecutivo, una serie di attivita' funzionali al raggiungimento del programma criminoso associativo relativo a piu' opportunita' imprenditoriali ottenute e gestite con metodo mafioso unitamente all'altra cosca facente capo a (OMISSIS). Sul punto, si afferma che non vi sarebbe alcun elemento oggettivo sulla consapevolezza del ricorrente di partecipare a un'associazione mafiosa e, richiamata la giurisprudenza sulla condotta di partecipazione ritenuta diversa dalla mera compiacenza, vicinanza o disponibilita' con le cosche, la condotta ascritta al ricorrente non avrebbe alcun requisito afferente alla contestata partecipazione, e neppure rispetto all'elemento soggettivo richiesto a titolo di dolo specifico. La motivazione, ritenuta illogica e immotivata, della sentenza impugnata sarebbe frutto del travisamento delle prove, e segnatamente delle intercettazioni, interpretate male sull'errato presupposto dell'esistenza dell'associazione mafiosa contestata. 9.2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione, inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 416-bis c.p., commi 1, 3, 4, 5 e 6, in relazione all'articolo 42 c.p., agli articoli 125, 198 e 238-bis c.p.p. e agli articoli 27 e 111 Cost.. Si sostiene l'insussistenza delle aggravanti contestate, non essendo emerso alcun elemento probante al riguardo. Le armi della precedente compagine mafiosa della cui attivita' quella ascritta a (OMISSIS) sarebbe la prosecuzione si riferisce a fatti di quarant'anni prima e non vi e' prova di proventi illeciti reinvestiti, ne' tantomeno dell'uso del metodo mafioso nell'attivita' imprenditoriale. 9.3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge in relazione all'articolo 62-bis c.p., per la mancata concessione delle attenuanti generiche, articolo 132 c.p., sulla determinazione della pena, nonche' L. n. 152 del 1991, articolo 7 sulla sussistenza dell'aggravate del cd. metodo mafioso. La sentenza impugnata nega le attenuanti richieste per la mancata collaborazione del ricorrente che, pero', ha spiegato cio' che poteva, non essendosi accorto della presunta associazione di cui avrebbe fatto parte. Non sarebbero stati indicati gli elementi specifici per negarle, assumendo che si sia fatto ricorso a una sorta di formula di stile senza motivare adeguatamente sul punto. Non si condivide l'entita' della pena, ritenuta eccessiva e, infine, si contesta la sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso, non emergendo in alcun modo che lo stesso sia riferibile ad alcuna azione riconducibile al ricorrente. 9.4. Con i motivi aggiunti, presentati ai sensi dell'articolo 585 c.p.p., comma 4, il ricorrente deduce, a integrazione del primo motivo relativo alla violazione di legge di cui all'articolo 416-bis c.p. in relazione all'articolo 42 c.p., articoli 125, 192 e 238-bis c.p.p. nonche' articoli 27 e 111 Cost., e al difetto di motivazione per contraddittorieta' e illogicita', il travisamento del contenuto di alcune intercettazioni di cui riporta le trascrizioni. In particolare, critica la motivazione della sentenza di condanna nella parte in cui, relativamente alla sua partecipazione all'associazione di cui all'articolo 416-bis c.p., si e' data rilevanza alla circostanza che anche le attivita' lecite possono essere ritenute rilevanti quando traggono vantaggi dall'utilizzo del cd. metodo mafioso, senza che siano state dimostrate l'esistenza di detta associazione criminale, ne' la consapevolezza della sua esistenza ovvero del relativo "metodo mafioso" da parte dell'imputato. Su detto punto, e a riprova dell'assenza di azioni intimidatorie, si allega la sentenza del giudice del lavoro a cui si era rivolto uno dei dipendenti di (OMISSIS) per ottenere il pagamento degli stipendi non percepiti. Deduce, inoltre, con il secondo motivo aggiunto analoga violazione della legge penale con riferimento alle contestate aggravanti di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 4, 5 e 6. In particolare, rileva che non risulta essere stata dimostrata la disponibilita' di armi da parte della contestata associazione, neanche come "cosca storica" ovvero che egli sia stato a conoscenza del possibile utilizzo o della stessa disponibilita' di dette armi. Contesta, infine, la motivazione della sentenza nella parte in cui si afferma che gli eventuali proventi della contestata associazione sarebbero stati investiti nelle aziende ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) riconducibili a (OMISSIS) senza l'indicazione di alcun elemento di prova a supporto. 10. Avverso detta sentenza (OMISSIS) cl. (OMISSIS) ricorre per cassazione, tramite il difensore di fiducia, chiedendone l'annullamento sulla base di tre motivi. 10.1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), violazione della legge processuale con conseguente inutilizzabilita' delle registrazioni dei colloqui eseguite da (OMISSIS) su incarico della polizia giudiziaria che sarebbero dovute essere autorizzate dall'autorita' giudiziaria. 10.2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), violazione della legge processuale con conseguente inutilizzabilita' parziale delle sommarie informazioni testimoniali rese al Pubblico ministero da (OMISSIS) per la incorsa violazione del disposto di cui all'articolo 195 c.p.p., comma 7, essendosi omessa la individuazione della fonte de relato con conseguente inutilizzabilita' della testimonianza. 10.3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), violazione di legge in relazione all'articolo 194 c.p.p., comma 2, e articoli 110 e 629 c.p., in dipendenza dell'erroneo inquadramento della figura di (OMISSIS) quale imprenditore vittima piuttosto che imprenditore colluso, della contestata credibilita' della persona offesa, costituita parte civile, con conseguente insussistenza delle plurime estorsioni di cui al capo a) e del concorso nelle tentate estorsioni di cui al capo a), nonche' dell'estorsione di cui al capo b). 11. All'udienza odierna, il Procuratore generale, nel corso della discussione orale, ha concluso per il rigetto dei ricorsi. I difensori hanno concluso nei termini riportati in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Sono fondati e meritevoli di accoglimento, nel senso in cui si dira' in seguito, il primo e il quarto motivo del ricorso proposto da (OMISSIS), il primo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS), nonche' il primo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS), rimanendo assorbiti tutti gli altri, diversamente sono da rigettare, perche' infondati, i motivi proposti nel ricorso di (OMISSIS) cl. (OMISSIS). 2. Appare opportuno sul piano sistematico, al fine di una piu' chiara Illustrazione delle argomentazioni e delle decisioni di questa Corte, considerare unitariamente i profili di doglianza, proposti con il primo motivo dei rispettivi ricorsi dagli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), relativi alla partecipazione all'associazione di tipo mafioso nell'articolazione (OMISSIS)- (OMISSIS), il cui capo e' stato individuato in (OMISSIS), come contestato nelle relative imputazioni sopra specificamente riportate. Il giudizio rimesso a questa Corte, pur sollecitando in parte i ricorsi una non consentita rivalutazione del merito - che non verra' dunque considerata ai fini del sindacato di legittimita' -, coinvolge i profili, spesso connessi, del contributo minimo necessario a integrare la condotta partecipativa e del relativo standard probatorio e della sussistenza della cosca mafiosa il cui ruolo apicale e' stato attribuito a (OMISSIS). 2.1. Sul primo punto, relativo alla condotta partecipativa mafiosa, occorre muovere dal fondamentale principio, affermato dalle Sezioni Unite Mannino nel 2005, secondo il quale, in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione e' riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, piu' che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Cass. Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670). Le Sezioni Unite, in motivazione, hanno, in particolare, osservato come la partecipazione possa essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalita' di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi l'appartenenza nel senso indicato, purche' si tratti di indizi gravi e precisi - tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di osservazione e prova, l'affiliazione rituale, l'investitura della qualifica di "uomo d'onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e percio' significativi "facta concludentia" - idonei, senza alcun automatismo probatorio, alla certa dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall'imputazione (Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M., Rv. 274180). 2.2. Ancora piu' recentemente le Sezioni Unite Modaffari hanno ribadito che la condotta di partecipazione a un'associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua messa a disposizione in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889), e che l'affiliazione rituale puo' costituire grave indizio della condotta partecipativa, ove la stessa risulti, sulla base di consolidate e comprovate massime d'esperienza e degli elementi di contesto che ne evidenzino serieta' ed effettivita', espressione di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889). In particolare, va rilevato - per quanto qui di interesse - che le Sezioni Unite Modaffari hanno sottolineato che la partecipazione non si esaurisce ne' in una mera manifestazione di volonta' unilaterale, ne' in una affermazione di status; essa, al contrario, implica un'attivazione fattiva a favore della consorteria che attribuisca dinamicita', concretezza e riconoscibilita' alla condotta che si sostanzia nel prendervi parte. L'opera di concretizzazione giurisprudenziale del significato della locuzione normativa "far parte" di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 1, non puo' pertanto lasciare spazio a ipotesi di identificazione della condotta punibile che risultino del tutto svincolate dalla verifica di un contributo, anche in forme atipiche, ma effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vita dell'organizzazione criminosa (p. 11.2). Ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione a un'associazione mafiosa, pertanto, l'affiliazione rituale puo' non essere sufficiente qualora alla stessa non si correlino concreti indici fattuali, rivelatori dello stabile inserimento del soggetto con ruolo attivo nel sodalizio (Sez. 5, n. 38786 del 23/05/2017, De Caro, Rv. 271205). 2.3. Premesso che, in tema di reati associativi, la commissione del reati-scopo, di qualunque tipo essa sia, non e' necessaria ne' ai fini della configurabilita' dell'associazione ne' ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Scarcello, Rv. 280703), il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell'organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiche', trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l'offesa all'ordine pubblico e' sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. "messa a disposizione", che e' di per se' idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialita' operative e la capacita' di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale (Sez. 5, n. 27672 del 03/06/2019, Geraci, Rv. 276897; Sez. 2, n. 27394 del 10/05/2017, Pontari, Rv. 271169); ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, non e' necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del sodalizio e aderisca consapevolmente al programma criminoso, accrescendo, per cio' solo, la potenziale capacita' operativa e la temibilita' dell'associazione (Sez. 2, n. 56088 del 12/10/2017, Agostino, Rv. 271698, che, in motivazione, ha aggiunto, che qualora non sia stata acquisita la dimostrazione dell'inserimento formale del singolo all'interno della cosca, la prova della partecipazione puo' essere ricavata dal compimento dl una o piu' attivita' significative nell'interesse dell'associazione mafiosa). Detta ricostruzione si fonda sul rilievo per cui la condotta di partecipazione all'associazione per delinquere di cui all'articolo 416-bis c.p. e' a forma libera e puo' realizzarsi con modalita' e contenuti diversi, indipendenti dall'esistenza di un formale atto di inserimento nel sodalizio e da uno stretto contatto con gli altri sodali, sicche' il partecipe puo' anche non avere la conoscenza dei capi o degli altri affiliati, essendo sufficiente che, anche in modo non rituale, di fatto si inserisca nel gruppo per realizzarne gli scopi, con la consapevolezza che il risultato viene perseguito con l'utilizzazione di metodi mafiosi (Sez. 2, n. 55141 del 16/07/2018, Galati, Rv. 274250). 2.4. Da questa breve rassegna dei piu' recenti approdi giurisprudenziali di questa Corte, dunque, emerge che la condotta partecipativa deve consistere nell'assunzione, stabile, di un ruolo dinamico nella vita del sodalizio, essendo insufficiente il mero status di affiliato, che puo' costituirne solo un indice, laddove allo stesso non si correli la realizzazione di un qualsivoglia "apporto" alla vita dell'associazione, idoneo a far ritenere che il soggetto si sia inserito nel sodalizio in modo stabile e pienamente consapevole (Sez. 6, n. 46070 del 21/07/2015 Alcaro, Rv. 265536). E' stato pure affermato che il possesso della c.d. "dote di âEuroËœndrangheta", pur implicante una posizione di rango elevato nel sodalizio, non e' sufficiente a provare l'effettiva operativita' dell'associazione e il ruolo ricoperto dal possessore al suo interno, definendone epoca e concreta durata della sua partecipazione (Sez. 6, n. 16543 del 19/01/2021, Barbaro, Rv. 281054). Nel quadro cosi' delineato, s'impone la delimitazione della tipicita' della condotta di partecipazione "verso il basso", ovvero verso le forme di mera vicinanza o di contiguita' compiacente, penalmente irrilevante, anche sulla base, naturalmente, della prova della condotta processualmente raggiunta, alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria, degli elementi rivelatori di un ruolo dell'agente dinamico all'interno dello stesso (Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, Di Marco, Rv. 269207, nella cui fattispecie, la Corte ha ritenuto che detto ruolo potesse evincersi, sulla base di una valutazione complessiva delle risultanze fattuali, in relazione ad un indagato che, pur non raggiunto da indizi circa la sottoposizione a rituale affiliazione e la commissione di specifici reati-fine, godeva della possibilita' di confrontarsi direttamente con soggetti di comprovata "mafiosita'", frequentava il "luogo di appuntamenti" dei sodali e intratteneva, con i medesimi, movimentazioni di denaro). Nella stessa prospettiva, e' stato precisato (Sez. 5, n. 40274 del 05/10/2021, Catalano, Rv. 282090) come la sola appartenenza all'organismo centrale di un'organizzazione criminale di stampo mafioso (nella specie (OMISSIS)), investita del potere di deliberare in ordine alla commissione dei cosiddetti "omicidi eccellenti", pur costituendo un indizio rilevante, non ha, tuttavia, valenza dimostrativa univoca del contributo dl ciascuno dei componenti alla realizzazione del reato-fine, essendo necessario che ciascuno di questi, informato in ordine alla delibera da assumere, presti il proprio consenso, anche tacito, alla pianificazione dello specifico reato (fattispecie relativa alla strage di via (OMISSIS), in cui la partecipazione morale all'attentato stragista dell'appartenente all'organismo di vertice dell'associazione criminale era stata desunta dall'adesione silente prestata al momento deliberativo della strage da parte della "commissione di fine anno"). 2.5. Nel solco di una interpretazione costituzionalmente orientata verso un "diritto penale del fatto", e non dell'"autore", va ribadito il principio secondo cui, in tema di associazione di tipo mafioso, la mera "contiguita' compiacente", cosi' come la "vicinanza" o "disponibilita'" nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio, non costituiscono comportamenti sufficienti a integrare la condotta di partecipazione all'organizzazione, ove non sia dimostrato che l'asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria (Sez. 6, n. 40746 del 24/06/2016, Panicola, Rv. 268325; Sez. 1, n. 25799 del 08/01/2015, Di Maio, Rv. 263953). 2.6. Alcune recenti sentenze affrontano il tema degli elementi di struttura dell'associazione di tipo mafioso, ribadendo, in particolare, come essa, a differenza della comune associazione per delinquere e di altre forme associative, non sia necessariamente finalizzata alla commissione di delitti, ma possa "anche essere diretta a realizzare, avvalendosi della particolare forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta' che ne deriva, taluno degli altri obiettivi indicati dall'articolo 416-bis c.p., fra i quali quello della realizzazione di profitti ingiusti per se' o per altri" (Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, Alampi, Rv. 281811, in relazione a una fattispecie in cui l'associazione era diretta a controllare una serie di societa' coinvolte nella gestione dei rifiuti, che rappresentavano lo strumento per acquisire appalti pubblici e privati con modalita' illecite). Gli "altri obiettivi" dell'associazione di tipo mafioso possono essere in se' anche leciti, divenendo tuttavia illeciti per il fatto di essere inseriti nel programma criminoso della medesima, il cui elemento caratterizzante, in definitiva, e' l'esercizio del metodo mafioso, comportante l'avvalimento della forza di intimidazione e dei conseguenti assoggettamento e omerta'. Dal punto di vista sistematico, anche l'associazione di tipo mafioso, come la comune associazione per delinquere, e' un reato di pericolo, mediante il quale il legislatore realizza l'obiettivo di anticipare la soglia della tutela penale a uno stadio antecedente all'effettiva realizzazione del programma criminoso, per cui la commissione dei cd. reati-fine non e' necessaria, come prima anticipato, su un duplice piano: ne', a livello collettivo, ai fini della configurabilita' della fattispecie associativa di per se' stessa considerata ne', a livello individuale, ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Scarcello, Rv. 280703). E' necessario, tuttavia, osservare che - secondo un'impostazione emergente in giurisprudenza - nel programma criminoso vi sarebbe da inserire anche il profilo (non solo dell'esercizio, ma) dell'inizio dell'esercizio del metodo mafioso. Cio' comporta riflessi in punto di ritenuta specialita' dell'associazione di tipo mafioso rispetto alla comune associazione per delinquere. Cosi', nella motivazione della sentenza relativa a "Mafia capitale" (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla Claudio, par. 2, intitolato "L'associazione mafiosa come reato associativo", pp. 282 s.), per sostenere che il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. e' un reato di pericolo, perche' l'esistenza dell'associazione pone in pericolo l'ordine pubblico, l'ordine economico, la libera partecipazione dei cittadini alla vita politica e altri interessi, e che gli elementi costitutivi della fattispecie possano anche eventualmente manifestarsi in futuro, si specifica che: - in primo luogo, l'associazione mafiosa non e' un reato associativo "puro", ma si perfeziona sin dal momento della costituzione di una organizzazione illecita che si limiti a programmare di utilizzare la propria forza di intimidazione e di sfruttare le conseguenti condizioni di assoggettamento e omerta' per la realizzazione degli obiettivi indicati dalla norma; - in secondo luogo, diversamente dall'associazione per delinquere semplice, l'associazione mafiosa non e' strutturata sulle "intenzioni", ma su una rete di effettive derivazioni causali. Dunque, non sarebbe un'associazione per delinquere, ma un'associazione che delinque. Alla stregua di tale impostazione, l'associazione di tipo mafioso non e' un'associazione per delinquere cui si aggiunge la qualifica di mafiosita', ma un'associazione altra e diversa: in particolare, non condivide con essa l'attitudine ad anticipare la soglia della rilevanza penale delle condotte degli aderenti sino al livello della mera programmazione di un generico catalogo delittuoso, esigendo invece il materiale e tangibile impiego del metodo mafioso quale effetto del conseguimento, nell'ambiente di riferimento, di un'effettiva e palese capacita' di intimidazione. Secondo l'impostazione in disamina, ai fini della sussistenza di un'associazione di tipo mafioso, non e' necessario che abbia cominciato ad avere esecuzione il programma criminoso nella parte relativa ai reati-fine in senso stretto, i quali, tra l'altro, costituiscono normale estrinsecazione del "modus essendi" dell'associazione, ma non requisito normativo indefettibile per la sua configurabilita'. 2.7. Una delle caratteristiche principali dell'associazione mafiosa di cui all'articolo 416-bis c.p., quindi, e' l'efficacia intimidatoria del vincolo associativo con le conseguenze di assoggettamento e omerta'. La giurisprudenza lo ha affermato sin dalle prime pronunce in tema, e gia' nella risalente Sez. 5, n. 4307 del 19/12/1997, Magnelli, Rv. 211071 si specifica come "ai fini della sussistenza del reato di associazione di tipo mafioso l'intimidazione interna al sodalizio, pur se rilevante sotto il profilo dell'estrinsecazione del metodo mafioso, non puo' prescindere dall'intimidazione esterna, poiche' elemento caratteristico dell'associazione in questione e' il riverbero, la proiezione esterna, il radicamento nel territorio in cui essa vive; assoggettamento ed omerta' devono pertanto riferirsi... ai soggetti nei cui confronti si dirige l'azione delittuosa, essendo i terzi a trovarsi, per effetto della diffusa convinzione della loro esposizione a pericolo, in stato di soggezione di fronte alla forza dei prevaricanti". Va, quindi, ritenuta valida per tutte le associazioni di tipo mafioso la necessaria sussistenza di un'effettiva capacita' intimidatrice quale precondizione necessaria per la configurabilita' del reato, anche in riferimento ai sodalizi attivi nei territori di radicamento storico. 2.8. Nella definizione dei ruoli, infine, si e' affermato che, nel reato di associazione per delinquere, "capo" e' non solo il vertice dell'organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati (Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Serio, Rv. 280890; n. 29628 del 2016, Rv. 267494; n. 19917 del 2013, Rv. 255915). 2.9. Sulla continuita' delle compagini mafiose, pur potendosi prescindere da specifiche dimostrazioni di esteriorizzazione del metodo mafioso, essendo da ritenersi implicite in una cosca "storica", si deve, tuttavia, adeguatamente rilevare la presenza di univoci elementi atti ad attestare l'assenza di una reale novita' (quanto a programmi, territori oggetto di azione, coincidenza dei soggetti coinvolti) della nuova formazione, cosi' da poter concludere che essa prosegua a insistere su un determinato territorio replicando o, comunque, sfruttando, un contesto gia' riconducibile alla pregressa permeazione mafiosa. Cio' rileva sul piano probatorio, nel senso che tanto piu' e' sfumata l'indagine sull'effettivo ricorso ad attivita' o metodi improntati all'intimidazione e conseguente assoggettamento ed omerta', tanto piu' rigorosa e solida deve risultare l'acquisizione probatoria dimostrativa delle caratteristiche strutturali del sodalizio, ovvero tanto meno e' solido il quadro dell'evoluzione strutturale del sodalizio, tanto piu' approfondita deve essere l'indagine sull'effettivo ricorso ad attivita' o metodi improntati all'intimidazione. Al riguardo Sez. 2, n. 38831 del 17/09/2021, Cicciu', Rv. 282199, che, a proposito di una cosca di âEuroËœndrangheta seguitante a essere attiva a Pellaro e territori limitrofi, ha annullato con rinvio la sentenza di appello per non avere evidenziato gli elementi di supposta continuita' del gruppo criminale originario in un'ottica di mero parziale "ringiovanimento", ha bene evidenziato che, "con un indiscriminato ampliamento della portata applicativa del concetto di mera prosecuzione di una cosca preesistente, si finirebbe per svuotare di effettivo contenuto la disposizione di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 3" (par. 6, p. 26). Su questo punto, gia' Sez. 2, n. 28950 del 18/05/2017, Barranca, richiamata dalla citata Sez. 2, n. 38831 del 2021, aveva approfondito il tema della continuita' tra associazioni di tipo mafioso, rilevando la necessita' di verificare che si trattasse effettivamente dello stesso gruppo in evoluzione, ma nel contempo di non irrigidire eccessivamente i criteri da applicare, giacche' "parlare di continuita' dell'agire associativo - nei territori oggetto di penetrazione storica - non significa predicare l'immobilismo e la riproduzione dei medesimi schemi operativi (nel caso della âEuroËœndrangheta, la frammentazione dei gruppi e la tendenza a non realizzare un organismo verticistico condizionante, secondo lo storico modello della cupola siciliana), ma significa rapportare le nuove fonti di conoscenza - che ben possono comportare l'emersione di variazioni all'originario modello - al medesimo contesto storico gia' in precedenza accertato, attraverso l'identita' (almeno parziale) dei soggetti raggiunti dai diversi accertamenti, la comunanza dei territori oggetto di azione, l'analisi delle finalita' complessive del sodalizio" (par. 1.2.2, pp. 34 s.). 3. Sulla base delle coordinate ermeneutiche appena richiamate, e condivise, va ora operato il sindacato di legittimita' delle singole posizioni processuali in ordine alle quali e' stato proposto ricorso con riferimento ai requisiti e alla prova della condotta partecipativa. 3.1. Si deve opportunamente procedere dalla posizione del coimputato, qui non ricorrente, (OMISSIS), da cui dipendono le posizioni dei ricorrenti ritenuti appartenenti all'associazione per delinquere di stampo mafioso dallo stesso capeggiata. 3.2. La sentenza impugnata, infatti, ritiene che quest'ultimo sia il successore nella guida della cosca mafiosa (OMISSIS)- (OMISSIS), oggetto della sentenza n. 1 del 2003 emessa dalla Corte di assise di Palmi che ne ha sancito l'esistenza (anche se le difese sostengono che ivi viene affermato che la gestione passo' ai figli del cd. "(OMISSIS)"), basandosi sul fatto che egli e' il nipote di (OMISSIS), detto "(OMISSIS)", e ha rapporti di parentela con altri soggetti ritenuti appartenenti a detta consorteria mafiosa. Nel premettere in diritto che questa Corte ha affermato che "in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, deve escludersi che la semplice esistenza di relazioni di parentela con un esponente dell'associazione costituisca di per se' prova o solo indizio dell'appartenenza di un soggetto alla medesima" (Sez. 5, n. 18491 del 2012, dep. 2013, Rv. 255431), e che "in presenza di rapporti di parentela tra i presunti partecipanti ad una associazione per delinquere di tipo mafioso, deve escludersi l'idoneita' di semplici relazioni di parentela o di affinita' a costituire, di per se', prova od anche soltanto indizio dell'appartenenza di taluno all'associazione" (Sez. 2, n. 19177 del 2013, Rv. 255828), va detto che tali principi di diritto, pur richiamati nell'impugnata sentenza, non sono stati correttamente applicati. La sentenza impugnata, infatti, non chiarisce in che modo possa ritenersi sussistente il gruppo criminale capeggiato da (OMISSIS) come discendente dalla cosca oggetto della sentenza n. 1 del 2003, sopra richiamata. Come rilevato dalle difese, detta sentenza si riferisce a una condotta associativa ritenuta sussistente sino ai primi anni âEuroËœ90, mentre la contestazione associativa nel presente giudizio inizia dall'anno 2009 con condotta perdurante. La stessa Corte di appello, inoltre, evidenzia che e' mancante una "continuita' soggettiva" tra l'associazione di stampo mafioso oggetto della pregressa sentenza e l'attuale contestazione, nel senso che nessuno dei soggetti giudicati in precedenza risulta imputato nel presente giudizio. Aggiungono i giudici d'appello come difetti anche una "continuita' oggettiva" tra le pregresse contestazioni e le attuali, in quanto nel presente giudizio la âEuroËœndrina (OMISSIS)- (OMISSIS) non e' accusata di avere posto in essere estorsioni ne' traffici di stupefacenti, ne' di aver preso parte con alcun ruolo (neppure di neutralita') a guerre di mafia. E', invece, evidenziata una parziale continuita' in relazione all'interesse imprenditoriale in materia di appalti che aveva caratterizzato in passato l'attivita' della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) sulla base delle affermazioni intercettate, durante un colloquio carcerario con il padre, di (OMISSIS) cl. (OMISSIS), con cui riferiva, tra l'altro, di alcune gare di appalto e soprattutto, facendo espresso riferimento a tale (OMISSIS) cl. (OMISSIS) detto "(OMISSIS)", di quella gara concernente i servizi di pulizia dei locali del palazzo di giustizia di Palmi. Sul punto la Corte distrettuale afferma che non vi e' una prova specifica di contatti tra (OMISSIS) e il citato (OMISSIS) cl. (OMISSIS), ma ritiene rilevante il fatto che dalle indagini e' risultato che (OMISSIS), nella qualita' di titolare della ditta " (OMISSIS)", ha operato nel campo delle pulizie, anche presso il Tribunale penale di Palmi. Detto riferimento appare, pero', assolutamente generico e non riscontrato da alcun elemento, ne' la sentenza riporta da dove emerga tale circostanza, peraltro neanche contestata nelle imputazioni che sono, invece, riferite agli appalti con (OMISSIS) e (OMISSIS). 3.3. La sentenza impugnata, su questa ritenuta successione di (OMISSIS), quale elemento di vertice, rispetto alla, certamente preesistente, cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) non motiva adeguatamente, non rappresentando con argomentazioni congruenti ed esaustive come sia avvenuta, ne' in che modo si possa considerare come effettivamente sussistente non essendo stato valorizzato alcuno degli elementi richiesti dalla giurisprudenza di legittimita' in materia sopra riportati. 4. Passando all'esame delle singole posizioni dei ricorrenti, va innanzitutto rilevato, in generale, come difetti completamente nella sentenza impugnata l'evidenziazione di specifici elementi da cui desumere l'esistenza di un metodo mafioso nelle condotte singolarmente contestate, non essendo stati evidenziati dati fattuali con tratti di violenza, minaccia o comunque di intimidazione. 4.1. Quanto alla posizione di (OMISSIS), si rileva che egli e' imputato del "delitto di partecipazione ad associazione mafiosa (capo 2) per avere mantenuto, in nome e per conto del capo cosca (OMISSIS) - aggiudicatario con la ditta (OMISSIS) di (OMISSIS) o con altre ditte intestate a prestanomi degli appalti dei servizi di pulizia in (OMISSIS) delle societa' (OMISSIS) e di (OMISSIS) - diretti rapporti con la dirigenza della societa' committente, da una parte, e con il personale operante sui cantieri, dall'altra, nonche' di dare esecuzione agli ordini impartiti dal (OMISSIS)". Nella sentenza non si da' atto di una formale iniziazione o adesione alla, ritenuta sussistente, cosca di (OMISSIS), mentre non e' contestato che egli sia il dipendente di una delle ditte del consorzio che partecipava agli appalti. Non e' chiarito neppure in che modo abbia agevolato detta associazione mafiosa, ne' in che modo si sia avvalso del cd. metodo mafioso ovvero questo si sia manifestato. Il ricorso correttamente rimarca che egli ha tenuto una serie di condotte che appaiono essere lecite e coincidenti con gli altrettanti leciti fini aziendali, e, in particolare, ricorda la condotta tenuta per trovare una soluzione bonaria con i lavoratori che si lamentavano del mancato versamento di quanto dovuto sia come salario che come previdenza sociale. La stessa sentenza riporta un'intercettazione da cui emerge che uno dei lavoratori si era rivolto al giudice per ottenere quanto riteneva spettargli. Ne', soprattutto, v'e' traccia di intimidazioni o violenze nei confronti dei lavoratori per risolvere dette controversie. Da queste considerazioni, alla luce delle coordinate interpretative sopra riportate, deriva l'accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso di (OMISSIS). 4.2. Rispetto alla posizione di (OMISSIS), si rileva che egli e' imputato del "delitto di partecipazione ad associazione mafiosa (capo 2): - per avere svolto il ruolo di prestanome di diverse aziende ritenute nevralgiche per gli affari economici della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS), ovvero della (OMISSIS) S.r.l. con sede legale a (OMISSIS) ed unita' operativa in (OMISSIS), nonche' della ditta individuale (OMISSIS), attraverso cui la cosca conseguiva numerose commesse; - nonche' per avere diretto i lavori edili riguardanti la struttura recettiva tipo agriturismo che (OMISSIS) ha avviato nell'anno 2012 in contrada (OMISSIS), peraltro edificata in assenza di qualsivoglia licenza amministrativa, e piu' in generale per essere stato a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo". Anche per detto ricorrente non e' stato possibile rinvenire nella sentenza impugnata la prova della sua adesione alla compagine mafiosa come ipotizzato. Allo scopo non puo' ritenersi sufficiente il mancato invito al presunto summit di âEuroËœndrangheta di cui alla conversazione intercettata (progr. 8234 del 8 maggio 2012, ore 10.56) non chiarendosi affatto l'asserita natura mafiosa dell'incontro. Nella sentenza non si da' atto ne' di una formale iniziazione o adesione alla ritenuta sussistente cosca di (OMISSIS), ne', tantomeno, di come abbia agevolato il raggiungimento dei presupposti scopi delinquenziali dell'associazione ovvero dello sfruttamento del cd. metodo mafioso nelle condotte a lui ascritte. La sentenza impugnata, rispetto a quanto contestato nel capo d'imputazione, non spiega quali siano, salvo quanto si dira' nel paragrafo successivo, le aziende di cui l'imputato sarebbe il prestanome e in che modo la ditta individuale dello stesso imputato abbia agevolato la presunta associazione di stampo mafioso. Analogamente, non si comprende l'apporto causale che avrebbe dato la direzione dei lavori relativi alla struttura ricettiva di (OMISSIS), rispetto alla quale si riporta un'intercettazione il cui contenuto non appare significante. 4..1" Vanno anche accolte le doglianze prospettate nel ricorso sull'ulteriore contestazione relativa al "reato p. e p. dall'articolo 110 c.p., del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 quinquies conv. nella L. 7 agosto 1992, n. 356 e Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 conv. nella L. n. 203 del 1991, perche', agendo in concorso con (OMISSIS), quest'ultimo gli intestava fittiziamente la titolarita' della ditta denominata (OMISSIS) s.r.l. con sede legale a (OMISSIS) ed unita' operativa in (OMISSIS), al fine di eludere le disposizioni di legge che consentono il sequestro e la confisca dei beni in materia di misure di prevenzione. Con l'aggravante dell'aver commesso il fatto con la finalita' di agevolare l'attivita' della cosca (OMISSIS)- (OMISSIS) inserita nell'articolazione territoriale dell'associazione denominata âEuroËœndrangheta operante in (OMISSIS)". In sentenza, invero, non e' spiegato come e perche' (OMISSIS) avrebbe dovuto intestare fittiziamente l'attivita' imprenditoriale indicata ad (OMISSIS) - di cui peraltro era l'amministratore - per eludere le misure di prevenzione personali dato che, sino al momento dell'arresto avvenuto nel luglio 2016, (OMISSIS) era incensurato ed estraneo a contestazioni di associazione per delinquere di stampo mafioso, senza che risultassero gia' applicate o in corso altre misure di prevenzione (in ricorso e', peraltro, documentato come il precedente decreto di sequestro preventivo, emesso in data 25 maggio 2015 dal Gip del Tribunale di Palmi nell'ambito del proc. n. 1917 del 2013 sia stato annullato dal tribunale del riesame di Reggio Calabria, con ordinanza emessa il 9 luglio 2015, il quale escludeva "la sussistenza di elementi significativi e univoci da cui desumere... il ragionevole motivo di temere l'applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale"). L'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui (OMISSIS) avrebbe avuto "validi motivi per temere un'aggressione patrimoniale da parte dello Stato e, dunque, convenienza ad intestare fittiziamente ad altri le proprie ditte" (pag. 114 e 115), appare meramente assertiva non potendosi ritenere fondata, per come gia' detto, la "discendenza mafiosa" di cui si e' gia' trattato prima. E' stato giustamente valorizzato in ricorso anche il fatto che non sia stata effettuata alcuna verifica sulla provenienza delle risorse utilizzate per la formazione e gestione della societa' asseritamente fittiziamente intestata al ricorrente. Sul punto va, quindi, ribadito il seguente principio di diritto secondo cui "ai fini della configurabilita' del reato di intestazione fittizia di beni, di cui al Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-quinquies, convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356, in caso di assunzione della qualita' di socio occulto o di titolare di fatto di un'attivita' economica preesistente, non e' sufficiente l'accertamento della mera disponibilita' del bene da parte di chi non ne risulti essere formalmente titolare, in quanto occorre verificare la provenienza dal predetto delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto e la finalita' di eludere l'applicazione di misure di prevenzione" (Sez. 1, n. 42530 del 13/06/2018, Rv. 274024). 4.4. Quanto alla posizione di (OMISSIS), si rileva che egli e' imputato del "delitto di partecipazione ad associazione mafiosa (capo 2): - per avere coadiuvato (OMISSIS) nella commercializzazione di materiale plastico acquistato all'ingrosso presso la ditta (OMISSIS) con sede a (OMISSIS), - nonche' per avere svolto il ruolo di staffetta in occasione della partecipazione alla gara di appalto per l'assegnazione dei lotti relativi all'Universita' della (OMISSIS) attraverso la compiacente ditta (OMISSIS) di (OMISSIS), e piu' in generale per essere stato a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo". Anche per detto imputato valgono le considerazioni, espresse in precedenza rispetto ai coimputati, sull'insussistenza del ruolo di capo mafia di (OMISSIS) e dell'assenza di dimostrazione dell'utilizzo del metodo mafioso nelle condotte allo stesso contestate. Con riguardo alle condotte specificamente contestate, pertinenti alla commercializzazione di materiale plastico, va premesso che si ribadisce il principio di diritto secondo cui "in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite" (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337). Come evidenziato dalla difesa, l'intercettazione (da pag. 131 a 135 della sentenza impugnata) appare essere stata interpretata, nella specie, in senso difforme da quello reale, laddove (OMISSIS) viene a sapere da (OMISSIS) rappresentante della (OMISSIS) che (OMISSIS) avrebbe effettuato degli acquisti in proprio arrivando addirittura a sconsigliargli di proseguire con la fornitura prima di aver verificato il pagamento di quanto acquistato. Anche per il ruolo di "staffetta in occasione della partecipazione alla gara di appalto per l'assegnazione dei lotti relativi all'Universita' della (OMISSIS) attraverso la compiacente ditta Cis di (OMISSIS)", non emergono dallo sviluppo argomentativo della decisione elementi idonei a comprovare la sussistenza dell'esistenza del metodo mafioso, piuttosto che la liceita' della condotta tenuta. 5. Il ricorso di (OMISSIS) cl. (OMISSIS) e', invece, complessivamente infondato e, come tale, va rigettato. 5.1. Il primo motivo, attinente alla eccepita inutilizzabilita' delle registrazioni dei colloqui eseguite da (OMISSIS) su incarico della Polizia giudiziaria, non tiene conto del fatto che la registrazione dei colloqui e' stata realizzata direttamente dalla persona offesa (OMISSIS) con il proprio apparato cellulare. La persona offesa puo' legittimamente registrare con propri mezzi, anche su impulso della polizia giudiziaria, le proprie conversazioni con uno o piu' soggetti indagati e tale documentazione e' pienamente utilizzabile ai fini del giudizio, in adesione alla giurisprudenza ampiamente maggioritaria di questa Corte, che ha rigettato anche un'eccezione di legittimita' costituzionale sul punto evidenziato nel ricorso (Sez. 6, n. 49511 del 01/12/2009, Rv. 245774). In particolare, ad eccezione dell'unico precedente contrario citato in ricorso (Sez. 2, n. 19158 del 20/03/2015, Rv. 263526), vanno qui richiamate le condivisibili pronunce di questa Corte in materia, che rappresentano l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimita'. Sez. 5, n. 4287 del 29/9/2015, Pepi, Rv. 265624, ha, infatti, affermato il principio di diritto cosi' massimato: "la registrazione fonografica di una conversazione telefonica effettuata da uno dei partecipi al colloquio costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile in dibattimento quale prova documentale, rispetto alla quale la trascrizione rappresenta una mera trasposizione del contenuto del supporto magnetico contenente la registrazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che la registrazione della conversazione tra presenti e' qualificabile quale prova documentale anche nell'ipotesi in cui sia stata effettuata su suggerimento o incarico della polizia giudiziaria)". Detta sentenza aderisce chiaramente all'orientamento maggioritario che qualifica le registrazioni tra presenti quali prove documentali, sottraendole al regime previsto per le intercettazioni telefoniche e ambientali di cui all'articolo 266 c.p.p.. L'orientamento, cui la sentenza aderisce, trae origine dalla pronuncia delle Sez. U, n. 36747 del 28/5/2003, Torcasio, Rv. 225466, che ha escluso la riconducibilita' al concetto d'intercettazione della registrazione di un colloquio, svoltosi a viva voce o per mezzo di uno strumento di trasmissione, ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi. Difettano, in questa ipotesi, la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, e la "terzieta'" del captante. La comunicazione, una volta che si e' liberamente e legittimamente esaurita, senza alcuna intrusione da parte di soggetti a essa estranei, entra a fare parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori e di chi vi ha assistito, con l'effetto che ognuno di essi ne puo' disporre, a meno che, per la particolare qualita' rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (come nel caso di segreto d'ufficio). L'impostazione avallata dalle Sezioni Unite e' stata ripresa dalla giurisprudenza successiva che, anche recentemente, ha ribadito il principio secondo cui la registrazione fonografica di un colloquio ad opera di uno dei partecipi al colloquio medesimo e' prova documentale rappresentativa di un fatto storicamente avvenuto, pienamente utilizzabile nel procedimento a carico dell'altro soggetto che ha preso parte alla conversazione, sia essa intercorsa tra presenti o telefonicamente (Sez. 6, n. 31342 del 16/03/2011, Renzi, Rv. 250534). E' rilevante segnalare che, nelle pronunce in questione, si e' costantemente ribadito il principio della piena utilizzabilita' delle registrazioni anche qualora queste siano state effettuate su indicazione della polizia giudiziaria e con mezzi messi a disposizione dagli inquirenti (Sez. 1, n. 6339 del 22 gennaio 2013, Pagliaro, Rv. 254814; Sez. 6, n. 16986 del 24 febbraio 2009, Abis, Rv. 243256). In linea con detto orientamento, si e' affermata l'utilizzabilita' della registrazione di colloqui tra presenti eseguita d'iniziativa da uno dei partecipanti e al di fuori dell'ambito investigativo. Ad analoga conclusione si perviene anche in relazione alle ipotesi - maggiormente frequenti nella casistica esaminata dalla giurisprudenza - in cui la registrazione avviene su impulso degli organi inquirenti e, comunque, nel corso del procedimento penale con la specifica finalita' di precostituire una prova da far valere in giudizio. Ne consegue che, pur se la registrazione tra presenti viene sollecitata dagli inquirenti ed eseguita, eventualmente, con mezzi messi a disposizione dalla polizia giudiziaria, la natura dell'atto non muta, in particolare escludendosi che per l'utilizzabilita' della prova documentale (registrazione fonica) cosi' acquisita sia necessaria una qualche autorizzazione preventiva da parte dell'autorita' giudiziaria. 5.2. E' infondato anche il secondo motivo che attiene alla dedotta inutilizzabilita' parziale delle sommarie informazioni testimoniali rese al Pubblico ministero da (OMISSIS) per violazione del disposto di cui all'articolo 195 c.p.p., comma 7. Va qui richiamato, infatti, il principio di diritto secondo il quale, in tema di testimonianza indiretta, l'inutilizzabilita' della deposizione di chi si rifiuta o non e' in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame opera, in caso di giudizio abbreviato, solo nell'ipotesi in cui la parte abbia subordinato l'accesso al rito a un'integrazione probatoria costituita dall'assunzione del teste indiretto e se, nonostante l'audizione, sia rimasta non individuata la fonte dell'informazione (Sez. 3, n. 11100 del 29/01/2008, G., Rv. 239080). Non risulta, ne' e' contestato, che il rito abbreviato richiesto dall'imputato fosse stato subordinato a detta integrazione probatoria, con conseguente infondatezza del motivo cosi' proposto. 5.3. Sul terzo motivo di ricorso, afferente all'erroneo inquadramento della persona offesa quale imprenditore vittima invece che imprenditore colluso e alla sua credibilita' essendosi costituita parte civile, la sentenza impugnata e' logicamente e congruamente motivata. Come affermato da consolidata giurisprudenza, il vaglio della testimonianza della persona offesa deve essere sorretto da adeguata motivazione sia in ordine alla credibilita' soggettiva del dichiarante che all'attendibilita' intrinseca del suo racconto. Detto vaglio, per essere considerato positivamente, deve essere piu' penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. Tale deposizione, quindi, puo' essere assunta da sola come prova dopo che e' superato detto riscontro di credibilita' oggettiva e soggettiva anche con altri elementi, come nel caso in esame, quando vi sia stata la costituzione di parte civile (Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell'Arte, Rv. 253214; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070). Ebbene, la Corte di appello ha fatto buon uso di detto principio, controllando la credibilita' della persona offesa e l'attendibilita' delle sue dichiarazioni, e individuando, principalmente, nelle registrazioni dei colloqui avuti con (OMISSIS), anche alla presenza dell'imputato (OMISSIS), la fonte principale dei necessari riscontri, nonche' le intimidazioni rappresentate dai danneggiamenti di cui la persona offesa si era lamentata con lo stesso (OMISSIS), che aveva affermato che se ne sarebbe occupato lui. Non coglie nel segno, poi, la doglianza relativa al tentativo di collusione della persona offesa con (OMISSIS), avendo i giudici di appello logicamente motivato sul fatto che l'offerta di entrare in societa' era da considerarsi quale stratagemma per eludere le pressioni estorsive ovvero per far esplicitare la somma richiesta dalla cosca mafiosa a cui la persona offesa e' stata reiteratamente sottoposta. L'estorsione consumata, indicata al capo b) e relativa alla cessione gratuita della rete metallica, va analogamente ritenuta sussistente sulla base di tutti gli elementi indicati in sentenza, e, in particolare, sulla scorta della riscontrata credibilita' della persona offesa, la quale ha ritenuto di dover cedere a detta pretesa, senza alcun corrispettivo, al fine di non "sfidare" ulteriormente la pazienza di coloro che avevano reiteratamente cercato di trarre vantaggi dalla sua iniziativa imprenditoriale, anche con le richieste di acquisti di materiale e di assunzione di personale, rimaste inevase. Va, invero, ricordato che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere esplicita, palese e determinata, puo' essere manifestata anche in maniera indiretta, ovvero implicita e indeterminata, purche' sia idonea a incutere timore e a coartare la volonta' del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalita' dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui opera (Sez. 2, n. 11922 del 12/12/2012, dep. 2013, Lavitola, Rv. 254797), e che per estorsione "ambientale" si intende quella particolare forma di estorsione che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali, che spadroneggiano in un determinato territorio, e che e' immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell'associazione di appartenenza del soggetto agente, quand'anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei a incutere timore e a coartare la volonta' della vittima (Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014, Bonasorta, Rv. 261632), come avvenuto nel caso qui in esame. 6. Dalle considerazioni esposte deriva l'accoglimento dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per i quali la sentenza impugnata va annullata con rinvio, mentre deve essere rigettato il ricorso di (OMISSIS) cl. (OMISSIS) in quanto infondato. Al rigetto del ricorso di (OMISSIS) segue la sua condanna al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili costituite, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero dell'interno, Agenzia delle dogane e dei monopoli, Comune di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) societa' cooperativa agricola, (OMISSIS) e (OMISSIS). Dette spese sono da liquidarsi nell'opportuna misura, relativa ai compensi professionali, indicata nel dispositivo, equamente determinata Decreto Ministeriale 10 marzo 204, n. 55, ex articoli 12 e 16, come modificati dal Decreto Ministeriale 8 marzo 2018, n. 37, tenuto conto della richiesta ovvero dell'attivita' svolta e delle questioni trattate, nonche' della unicita' o meno dell'attivita' difensiva. La regolamentazione delle spese del grado sostenute dalle indicate parti civili nei confronti dei ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deve essere rimessa al giudice di rinvio che vi provvedera', ai sensi dell'articolo 541 c.p.p., ove pervenga a una decisione di condanna degli imputati e di accoglimento della domanda risarcitoria. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria. Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili nel presente giudizio, che liquida in favore del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero dell'interno e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, come da richiesta, in complessivi Euro 3.000, oltre accessori di legge; del Comune di (OMISSIS) in complessivi Euro 3.500, oltre accessori di legge; di (OMISSIS), dell' (OMISSIS), della (OMISSIS) societa' cooperativa agricola e della (OMISSIS) in complessivi Euro 6.650, oltre accessori di legge, e della (OMISSIS) in complessivi Euro 3.500, oltre accessori di legge. Rimette alla Corte di appello di Reggio Calabria la regolamentazione delle spese delle parti civili sopra indicate nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente Dott. TALERICO Palma - Consigliere Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/04/2021 della CORTE APPELLO di PERUGIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere TOSCANI EVA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, PICARDI ANTONIETTA, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. udito il difensore: L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'inammissibilita' o il rigetto del ricorso e deposita le conclusioni e la nota spese. L'avvocato (OMISSIS) conclude riportandosi ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in preambolo, la Corte di appello di Perugia - giudicando in sede di rinvio su annullamento di questa Corte con sentenza del 22 marzo 2019 - ha confermato la decisione del Tribunale di Fermo che, con sentenza in data 24 gennaio 2017, aveva condannato (OMISSIS) per diffamazione ai danni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), commessa dalla giornalista in un comunicato di accompagnamento alla replica formulata da (OMISSIS) a un'intervista rilasciata da (OMISSIS), entrambi pubblicati sul sito internet (OMISSIS). I fatti s'inseriscono nell'ambito delle vicende del procedimento relativo all'indagine "Why not-", svolta dall'allora Pubblico ministero presso il Tribunale di Catanzaro, (OMISSIS), e che aveva visto (OMISSIS), magistrato in servizio presso quel Tribunale, svolgere le funzioni di Giudice dell'udienza preliminare per la celebrazione del giudizio abbreviato. La contestazione di diffamazione oggetto di giudizio riguarda due specifici segmenti di condotta: i) il primo, riguardante le affermazioni svolte dalla ricorrente - nonostante l'avvenuta segnalazione nella replica di (OMISSIS) della non veridicita' della notizia - in relazione al fatto che la (OMISSIS), Giudice del Tribunale di Catanzaro, nel momento in cui l'allora pubblico ministero (OMISSIS) avanzo' richiesta di misura cautelare nei confronti del marito (OMISSIS), prestasse servizio nello stesso ufficio di (OMISSIS), il Giudice per le indagini preliminari che esamino' e rigetto' l'istanza, e che fosse con quest'ultima in "ottimi rapporti"; ii) il secondo riguardante la notizia della condanna del padre di (OMISSIS) per un reato (non precisato nel capo di imputazione, ma pacificamente riguardante quello di violenza sessuale) aggravato dall'avere approfittato delle condizioni di inferiorita' fisica e psichica della persona offesa, mentre tale approfittamento non era oggetto di contestazione e la condotta riguardava fatti del tutto distinti e non collegati a quelli oggetto del processo "Why not-". 2. La sentenza rescindente - dopo avere sunteggiato i principi che la giurisprudenza di legittimita' ha enucleato in punto di requisiti che consentono di ritenere scriminata ex articolo 51 c.p., la diffusione di notizie oggettivamente lesive dell'altrui reputazione per essere tale diffusione esercizio di diritto di cronaca e, in particolare, di quella giudiziaria, e circoscritto l'ambito del presente procedimento le informazioni reputate diffamatorie, infatti, concernono le implicazioni di vicende giudiziarie a loro volta desunte da un provvedimento giudiziario emesso in altro procedimento (il decreto di perquisizione dei pubblici ministeri salernitani) e delle loro ricadute rispetto alla reputazione dei soggetti a cui esse, in via diretta o mediata, si riferiscono - ha evidenziato carenze del compendio argomentativo della decisione quanto al parametro dell'interesse pubblico alla conoscenza delle notizie e a quello della veridicita' delle notizie riportate, ritenendo che non fosse in discussione l'ulteriore requisito dell'esimente del diritto di cronaca giudiziaria, ovverosia quello della continenza espressiva dello scritto. Per tale via, sulla scorta delle indicazioni e tenendo conto della giurisprudenza dalla stessa rievocata, la Corte invitava il giudice di rinvio a riesaminare entrambi i segmenti di condotta, sia quanto al profilo dell'interesse pubblico alla conoscenza delle notizie, sia a quello della verita' dei fatti rappresentati nel comunicato a firma della (OMISSIS) e a fornire nuova motivazione sul punto. 3. La Corte di appello di Perugia, giudicando in sede di rinvio, ha confermato l'affermazione di responsabilita' nei confronti di (OMISSIS), limitandosi a ridurre, per ciascuna parte civile, l'entita' della somma a titolo di riparazione pecuniaria la L. n. 47 del 1948, ex articolo 12. A ragione della decisione - dopo aver evidenziato che non vi fosse questione sull'esistenza storica delle condotte contestate e sulla loro riconducibilita' all'imputata divenute cosa giudicata - ha escluso la possibilita' di configurare in capo a quest'ultima la scriminante di cui all'articolo 51 c.p. con riferimento a nessuno dei due indicati segmenti di condotta, muovendo dalla premessa che, nella fattispecie in esame, con la pubblicazione della "contro-replica" sulla rivista on-line, non era stata puramente e semplicemente portata a conoscenza del pubblico una notizia di attualita', quanto piuttosto si era trattato di una "vera e propria rielaborazione di alcuni dati informativi disponibili, ricostruiti e offerti al lettore in combinazione tra loro in termini tali da configurare un'ipotesi giornalistica, come tale da ritenersi lecitamente divulgabili solo in quanto preventivamente rigorosamente verificata da parte del redattore sia sotto il profilo della veridicita' delle notizie, sia sotto quello della pubblica rilevanza" (p. 8 della sentenza impugnata). Rilevava la Corte territoriale che tale rielaborazione era, in particolare, consistita nella citazione e nell'accostamento, all'interno di un unico contesto epistolare (tale e' lo stile che si coglie nella "contro-replica" rispetto a quella inviata al periodico da (OMISSIS)) fatti e situazioni che erano appartenute a "realta' diverse e autonome, sotto il profilo storico e giudiziario, per giungere a tracciare attraverso il richiamo a tali vicende, riconducibili ai rapporti famigliari amicali di (OMISSIS), il contesto di una cosi' "peculiare" situazione, personale e professionale, tale da indurre il lettore a dubitare quantomeno della ricorrenza in capo quel giudice di adeguate garanzie di terzieta' e imparzialita' in rapporto lo specifico contesto giudiziario di appartenenza" (p. 8 sentenza). Cio' premesso, il giudice del rinvio escludeva in primo luogo la ricorrenza del requisito dell'interesse pubblico alla conoscenza delle notizie divulgate mediante la "controreplica", ritenendo la stessa controreplica non dovuta ne' tantomeno urgente e, soprattutto, frutto di un'iniziativa del tutto discrezionale e volontaria di chi l'aveva redatta (la legge sulla stampa, invero, prevede il solo obbligo di pubblicare la rettifica, non anche quello della pubblicazione di una replica alla rettifica). Evidenziava che le informazioni riferite, al momento in cui venivano divulgate (febbraio 2011), riguardavano vicende "datate", risalenti a diversi anni prima, senza che risultasse alcuna attualizzazione dell'interesse alla conoscenza di quelle notizie. In secondo luogo, riteneva omesso da parte dell'imputata, che pure aveva avuto tutto il tempo necessario per svolgerlo, il doveroso accertamento della veridicita' delle notizie veicolate con la "contro-replica". Sotto tale profilo la Corte di appello osservava, quanto ai rapporti tra (OMISSIS) e la collega (OMISSIS), che - considerate le dimensioni dell'ufficio giudiziario (Tribunale di Catanzaro) in cui entrambe operavano - sarebbe stato agevole verificare quale fosse, all'epoca dei fatti riguardanti il coniuge della prima, l'Ufficio cui risultava addetta la seconda e, cioe', l'ufficio dibattimento, ben diverso da quello del Gip in cui all'epoca operava la (OMISSIS) e presso il quale sarebbe stata trasferita soltanto successivamente, nell'ottobre 2004; cio' - si osservava - a fortiori a fronte del chiaro tenore della replica di (OMISSIS) che la sollecitava a una verifica puntuale dei fatti e delle vicende che scaturivano dall'intervista e che avevano costituito il presupposto di tale replica. Analoghe considerazioni il giudice di rinvio svolgeva quanto alle notizie riguardanti l'intervenuta condanna con sentenza di primo grado del padre di (OMISSIS), sottolineando l'agevole verifica sia del tenore dell'accusa mossa nei confronti dell'imputato (e, dunque, l'inesistenza dell'evocata aggravante), sia della pendenza del giudizio di appello avverso quella sentenza di condanna, giudizio che di li' a poco (segnatamente con sentenza della Corte d'appello del 24 febbraio 2011) si sarebbe concluso con l'assoluzione dell'imputato. Conclusivamente riteneva che la mancata, preventiva rigorosa verifica dei dati storico-giudiziari immediatamente disponibili o comunque agevolmente rintracciabili si era tradotta nella divulgazione di notizie a tal punto macroscopicamente inesatte, riguardo a specifici e rilevanti passaggi delle vicende riferite nell'intervista, che doveva escludersi qualsiasi dubbio circa l'eventuale configurarsi nella fattispecie di un errore dell'imputata eventualmente dovuto a colpa lieve lievissima e, dunque in definitiva della scriminante della verita' putativa (p. 13 della sentenza impugnata). 4. Ricorre (OMISSIS) per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, e articola tre motivi di ricorso. 4.1. Con il primo motivo deduce violazione dell'articolo 627, comma 3, in relazione agli articoli 521 e 522 c.p.p. per difetto di correlazione tra l'imputazione e la sentenza. Rileva la difesa che - muovendo dal fatto che oggetto della pubblicazione incriminata erano le contestazioni mosse da (OMISSIS) alla Dott.ssa (OMISSIS) in punto di compatibilita' ambientale (del tutto insussistente ovvero scarsa) in relazione alla sentenza da quel giudice emessa nel processo "Why not", oggetto delle cronache in quel periodo - la sentenza rescindente, con particolare riferimento all'interesse pubblico della notizia, aveva ammonito sulla necessita' di esplorare il tema della "serenita'" della dottoressa (OMISSIS) nel contesto ambientale e nello svolgimento delle funzioni giudiziarie in quello "stesso ufficio", trattandosi di vicende giudiziarie "astrattamente idonee a incidere negativamente sull'immagine di serenita' della medesima nello svolgimento delle funzioni giudiziarie in quello stesso ufficio", anche avuto riguardo alle sue piccole dimensioni. Il giudice del rinvio - lamenta la difesa - ha replicato il medesimo vizio di motivazione della sentenza precedentemente annullata, omettendo di confrontarsi con tale questione, anzi incredibilmente relegando la stessa al rango di mera vicenda relativa alla vita privata di (OMISSIS). Il giudice del rinvio ha, sul punto, trascurato di prendere il decreto di perquisizione emesso il 26 novembre 2008 dalla procura della Repubblica di Salerno, indicato come fonte dall'imputata, relativo a tutte le vicende concernenti la dottoressa (OMISSIS) oggetto del presente processo, che era stato indicato, gia' nella sentenza di primo grado, come afferente a vicende "ampiamente note a livello nazionale". La sentenza, dunque, non si e' uniformata alla sentenza rescindente come prescritto dall'articolo 627 c.p.p., comma 3. 4.2. Con il secondo motivo deduce violazione dell'articolo 21 Cost. e articolo 10 Cedu, articoli 51 e 595 c.p. e vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento della scriminante del diritto di cronaca e di critica, nonche' travisamento della prova. Trascorrendo all'ulteriore tema oggetto della sentenza di annullamento e, cioe', quello della verita' della notizia, la difesa evidenzia che la nota di replica della ricorrente, oggetto d'imputazione, conteneva notizie corrispondenti a dati della realta' effettuale. In essa, infatti, l'imputata - che pur riconosceva alcune inesattezze dell'intervistato - segnalava che l'affermazione relativa alla situazione d'imbarazzo ambientale della d.ssa (OMISSIS) (il cui marito era destinatario di richieste di misura cautelare, di provvedimenti di perquisizione domiciliare e poi assolto da un giudice indicato in un atto giurisdizionale come "amica" della stessa (OMISSIS); e il cui padre - imputato e condannato in primo grado per violenza sessuale nella stessa sede giudiziaria - era assistito dall'avvocato (OMISSIS), coinvolto quale indagato nella vicenda giudiziaria salernitana riguardante il procedimento Why not-) era tratta da dati di fatto evincibili dal decreto di perquisizione e sequestro emesso dalla Procura della Repubblica di Salerno il 26 novembre 2008. La corrispondenza dei dati alla realta' effettuale - aggiungono le difese - era perfino comprovata dal tenore della denuncia-querela sporta dalla stessa dottoressa (OMISSIS) in data 1 marzo 2011, acquisita tra gli atti utilizzabili per la decisione con il consenso delle parti e allegata al ricorso ai fini dell'autosufficienza. Sotto altro profilo, la difesa deduce l'illogicita' della motivazione e il travisamento di prova nella parte del ragionamento motivazionale in cui e' escluso l'interesse attuale a conoscere dette informazioni. Si evidenzia come le stesse - divulgate nel febbraio 2011 - riguardassero vicende risalenti a diversi anni prima e, segnatamente, agli anni 2004-2005 quelle riguardanti le vicende giudiziarie del marito della Dott. ssa (OMISSIS) riguardanti la perquisizione e la richiesta di misura cautelare e a "epoca ancora precedente" la sentenza del Tribunale riguardante il padre di quest'ultima, la cui sentenza di primo grado e' del 2008, ma l'episodio contestato rle al 2002. L'illogicita' della motivazione e' del tutto evidente, sol che si consideri che le due vicende giudiziarie non furono oggetto di narrazione in se', bensi' costituirono i presupposti di fatto per argomentare la difficile condizione ambientale della d.ssa (OMISSIS), venuta in considerazione proprio all'epoca dello scritto incriminato, in relazione al procedimento penale salernitano e al clamore della sentenza emessa dalla stessa (OMISSIS) nel processo "Why not-". Di tanto - ad avviso della difesa ricorrente - e' prova la circostanza che esse erano state richiamate nell'intervista di (OMISSIS) che riferiva della scarsa serenita' di (OMISSIS) rispetto all'ambiente e rispetto allo stesso pubblico ministero. Analoghe considerazioni valgono con riferimento al tema dei rapporti tra la (OMISSIS) e (OMISSIS) (coinvolto nell'indagine "Why not-") e della lontananza della stessa dall'ufficio Gip e dalla collega (OMISSIS) al momento in cui quest'ultima aveva rigettato la richiesta di misura cautelare avanzata dal Pubblico ministero (OMISSIS) nei confronti del marito della (OMISSIS). La sentenza rescindente aveva espressamente fatto riferimento alle "implicazioni desunte da un provvedimento giudiziario emesso in altro procedimento (il decreto di perquisizione dei pubblici ministeri salernitan, sicche' la verifica sull'operato della ricorrente avrebbe dovuto essere svolta dal giudice del rinvio muovendo proprio da detta fonte, indicata dalla stessa imputata, il cui vaglio, invece, e' stato completamente negletto. Quel documento - di cui la difesa allega le pagine piu' rilevanti, ai fini dell'autosufficienza - forniva la prova della diligenza dell'imputata nel ricercare, riportare indicare le fonti delle notizie. A riprova di tanto il fatto che, sulla circostanza del rapporti con (OMISSIS), (OMISSIS) aveva querelato anche il Tenente Pisapia che, pero', non e' mai stato tratto a giudizio per quell'accusa/,con la paradossale conseguenza che la fonte citata dalla giornalista e' stata archiviata, mentre la giornalista e' stata condannata. 4.3. Con il terzo motivo deduce violazione dell'articolo 627, comma 3, in relazione agli articoli 521 e 522 c.p.p. in punto di mancato riconoscimento della scriminante putativa. Evidenzia la difesa che le argomentazioni svolte con riferimento al precedente motivo di ricorso, valgono anche relazione alla sussistenza della scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca, richiesta gia' svolta nell'atto di appello, sulla quale la stessa sentenza di annullamento onerava i giudici di rinvio a effettuare doverosa verifica. 5. Il Sostituto Procuratore generale, anche richiamando la requisitoria scritta e depositata in data 7 novembre 2022, ha concluso per la declaratoria d'inammissibilita' del ricorso. 6. Il difensore delle parti civili ha depositato conclusioni scritte. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato limitatamente al secondo segmento della condotta di diffamazione contestata, dovendosi riconoscere la sussistenza della causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto prevista dall'articolo 51 c.p., sulla scorta delle motivazioni che si indicano di seguito. 2. E' utile qui ribadire come la diffamazione ai danni di (OMISSIS), magistrato all'epoca dei fatti in servizio presso il Tribunale di Catanzaro e del di lei coniuge, (OMISSIS), sarebbe consistita nell'indicare circostanze contrarie a verita' e prive di attuale interesse per il pubblico, essendosi accusato la prima di trovarsi in una posizione di "conflitto d'interesse" rispetto alla celebrazione del giudizio abbreviato riguardante l'indagine "Why not-", originariamente condotta dal Pubblico ministero (OMISSIS), a causa di vicende giudiziarie che avevano visto coinvolti componenti del proprio nucleo familiare, una delle quali proprio su impulso di quel Pubblico ministero. La cifra diffamatoria dei fatti richiamati nella "contro-replica" sarebbe, in particolare, riferita: i) agli affermati "ottimi rapporti" e alla compresenza nell'Ufficio Gip-Gup di (OMISSIS), giudice del Tribunale di Catanzaro, nel momento in cui l'allora pubblico ministero (OMISSIS) avanzo' richiesta di misura cautelare nei confronti del marito (OMISSIS) (febbraio 2004), e la dottoressa (OMISSIS), giudice per le indagini preliminari che esamino' e rigetto' l'istanza; fatto non rispondente a vero poiche' (OMISSIS) all'epoca non prestava servizio nell'Ufficio Gip-Gup del Tribunale di Catanzaro, dove veniva trasferita solo nell'ottobre del 2004; ii) alla intervenuta condanna, nell'anno 2008, di (OMISSIS), padre di (OMISSIS), per il reato di violenza sessuale aggravato dall'avere approfittato delle condizioni di inferiorita' fisica e psichica della persona offesa, mentre tale aggravante non era oggetto di contestazione e, comunque, la condotta - per la quale costui era stato assolto nel giudizio di secondo grado - riguardava fatti del tutto distinti e non collegati a quelli oggetto del processo "Why not-". Non e' superfluo richiamare il contesto nel quale s'inserisce la pubblicazione oggetto di imputazione e, segnatamente, il processo relativo all'indagine "Why not-", svolta dall'allora Pubblico ministero presso il Tribunale di Catanzaro, (OMISSIS), che aveva visto (OMISSIS), magistrato in servizio presso quel Tribunale, svolgere le funzioni di Giudice dell'udienza preliminare per la celebrazione del relativo giudizio abbreviato. In particolare, all'indomani del deposito delle motivazioni della sentenza (nell'ottobre del 2010) redatta dal giudice (OMISSIS), (OMISSIS) - a quel tempo Europarlamentare - rilascio' un'intervista alla giornalista (OMISSIS), pubblicata sulla rivista on.line (OMISSIS), nella quale esprimeva il proprio giudizio in merito alla "prevenzione" nei suoi riguardi di quel giudice (che, difatti, si era espresso in modo fortemente critico riguardo al suo operato) per vicende inerenti il marito, (OMISSIS), destinatario di perquisizioni e richiesta di misura cautelare a sua firma, e il padre (OMISSIS), assistito nell'ambito della inchiesta "Why not-" dall'avv. (OMISSIS), imputato presso il Tribunale di Salerno per il reato di corruzione in atti giudiziari che vedeva persona offesa lo stesso (OMISSIS) (cosi' nell'intervista di (OMISSIS)). Come risulta pacificamente dagli atti e non e' contestato, il marito di (OMISSIS), "riscontrando, in data 9 febbraio, la pubblicazione sul sito dell'intervista rilasciata alla giornalista (OMISSIS) da (OMISSIS)", replicava all'intervista con un proprio scritto datato 10 febbraio 2011 con il quale chiariva - per quanto qui interessa - che, all'epoca delle richieste di perquisizione e misura cautelare da parte di (OMISSIS) nei suoi confronti, la moglie non apparteneva allo stesso Ufficio del giudice (OMISSIS) che quelle richieste aveva rigettato e che, comunque, egli era stato definitivamente assolto da tali accuse sin dal 2005. E', dunque, in occasione della pubblicazione, avvenuta il 16 febbraio 2011, della replica di (OMISSIS), che la ricorrente (OMISSIS) pubblicava contestualmente un proprio scritto, nella forma epistolare e dai contenuti di cui si e' gia' detto. Dall'analisi del testo della "contro-replica" diffamatoria - consentita a questa Corte di legittimita' che, in materia di diffamazione, puo' autonomamente e direttamente conoscere e valutare l'offensivita' della frase che si assume lesiva della altrui reputazione (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi Miriam, Rv. 278145; Sez. 5, n. 48698 del 19/9/2014, Demofonti, Rv. 261284; Sez. 5, n. 41869 del 14/2/2013, Fabrizio, Rv. 256706; Sez. 5, n. 832 del 21/6/2005, dep. 2006, Travaglio, Rv. 233749) - si comprende, dunque, che si tratta non di un vero e proprio articolo, bensi' di una sorta di lettera di risposta alla replica di (OMISSIS), nella quale, da un canto si richiamano alcune dichiarazioni dell'intervistato (OMISSIS), intervallate da annotazioni esplicative della giornalista (in parte per ribadirne l'esattezza, in parte per correggere talune imprecisioni), nonche' dall'indicazione di ulteriori informazioni scaturite dalla replica di (OMISSIS), sicche' lo scritto forma un unico percorso concettuale e il senso complessivo si' desume solo dall'analisi unitaria dell'intervista rilasciata da (OMISSIS), dalla replica di (OMISSIS) e della "contro-replica" di (OMISSIS). 3. Tanto premesso in fatto, le questioni poste con i motivi di ricorso impongono lo svolgimento di alcune brevi considerazioni preliminari, attinenti, principalmente, anche se non unicamente, al ruolo del giornalista, che sia anche intervistatore, in tutto o parzialmente, nell'articolo che s'ipotizza avere natura diffamatoria, che si affidi, nella confezione dello stesso, a fonti dichiarative compulsate direttamente e/o a fonti documentali preesistenti, infine piu' in generale ai limiti entro i quali possono estrinsecarsi il diritto alla libera manifestazione del pensiero (anche critico) da parte dell'intervistato, il diritto di critica e il diritto di cronaca giornalistica da parte dell'articolista. Sono generalmente noti i principi affermati in plurime sentenze di questa Corte che sopraintendono all'operativita' della scriminante del diritto di cronaca e di critica allorche' l'informazione sia pregiudizievole per l'altrui reputazione (verita', continenza e rilevanza pubblica: ex multis, Sez. U. n. 4950 del 26/3/1983, Narducci, Rv. 159139) e il conclamato favore dell'ordinamento - e della giurisprudenza nazionale e sovranazionale - per il libero esercizio dell'attivita' giornalistica, fondamentale per lo sviluppo della dialettica democratica e per la formazione delle opinioni sui temi di interesse sociale (Corte Cost. n. 11 del 1968; nn. 81 ed 84 del 1969; n. 126 del 1985; n. 206 del 2019 e n. 132 del 2020; Sez. U, n. 37140 del 30/5/2001, Galiero, Rv. 219651; Corte EDU, 27/3/1996, Goodwin contro Regno Unito). In questa sede meritano particolare considerazione le linee ermeneutiche tracciate con riferimento alla posizione del giornalista che riporti - nel corpo di un articolo di stampa - dichiarazioni altrui, pregiudizievoli per la reputazione di terzi e che, tuttavia, non si limiti a tanto, ma rielabori tali dichiarazioni con commenti suoi propri. Sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte, intervenute sul tema con la sentenza Sez. U, n. 37140 del 30/5/2001, Galiero, Rv. 219651 - pur riaffermando che la condotta del giornalista il quale, pubblicando il testo di un'intervista, vi riporti pedissequamente le dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell'altrui reputazione, non e' scriminata dall'esercizio del diritto di cronaca, in quanto il giornalista stesso ha comunque il dovere di controllare la veridicita' delle circostanze e la continenza delle espressioni riferite - hanno tuttavia precisato che la stessa condotta deve ritenersi scriminata qualora il fatto in se' dell'intervista, in relazione alla qualita' dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al piu' generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili di interesse pubblico all'informazione tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l'esercizio del diritto di cronaca. Le Sezioni Unite, dunque, hanno selezionato il criterio dell'interesse del pubblico a essere informato delle opinioni espresse da un personaggio noto e quindi qualificato, indipendentemente dalla verita' oggettiva dei fatti da questo narrati e dalla correttezza delle espressioni usate, precisando ancora che la verifica sulle qualita' dell'intervistato deve essere condotta in concreto, e non sulla base di astratte formule giuridiche, poiche' alla scriminante del diritto di cronaca non puo' attribuirsi una natura statica e immutabile, bensi' una struttura dinamica e flessibile, adattabile di volta in volta a realta' diverse. La notorieta', si e' precisato, puo' riguardare ambiti di valenza piu' ristretti di quello primario nazionale e la giurisprudenza successiva ha ampliato l'operativita' dell'esimente sino a far derivare l'interesse pubblico a rendere noto il pensiero dell'intervistato non soltanto dalla fama o dall'autorevolezza di questi, ma anche dalla notorieta' della persona offesa dall'intervista (Sez. 5, n. 28502 del 11/04/2013, Fregni, Rv. 256935). La giurisprudenza citata ha efficacemente, pertanto, sottolineato, come, se di norma, perche' possa ritenersi il suo comportamento scriminato ai sensi dell'articolo 51 c.p., il giornalista, nel riportare in un articolo di stampa anche solo testualmente le dichiarazioni raccolte nel corso di un'intervista, e' tenuto prima della loro pubblicazione a verificare, nei limiti in cui cio' sia esigibile nei suoi confronti, la veridicita' dei fatti riferitigli dall'intervistato, "puo' oramai ritenersi consolidato nella giurisprudenza di legittimita' il principio per cui la tutela della reputazione della persona offesa nei confronti della stampa appare recessiva laddove l'interesse del pubblico ad essere informato e' costituito proprio dal fatto che un particolare soggetto abbia reso quelle dichiarazioni" (cosi', piu' specificamente, Sez. 5, n. 29128 del 2020, cit.). In tali casi, e' l'intervista che deve risultare vera e la verifica di "continenza" va approntata rispetto alla forma in cui viene proposta al pubblico e non avuto riguardo al suo contenuto, sicche' il giornalista rispondera' solo degli eventuali commenti o precisazioni apportate a quanto riferito dall'intervistato ovvero, qualora cio' non venga riportato testualmente, della sintesi o parafrasi autonomamente compiuta o, ancora, nel caso in cui dalla suggestivita' delle domande o da altri indici e dal contesto possa ritenersi che l'autore dell'articolo non si sia limitato a ricevere le dichiarazioni dell'intervistato, "ma ne sia in qualche modo l'occulto coautore". Si tratta di evoluzione perfettamente in linea con la giurisprudenza della Corte EDU che, operando in sede interpretativa dell'articolo 10 della Convenzione, ha rammentato che "quando i giornalisti riprendono delle dichiarazioni fatte da una terza persona, il criterio da applicare consiste nel chiedersi non se tali giornalisti possano dimostrare la veridicita' delle dichiarazioni in questione, ma se abbiano agito in buona fede e si siano conformati all'obbligo che normalmente hanno di verificare una dichiarazione fattuale fondandosi su una base reale sufficientemente precisa e affidabile che possa essere considerata proporzionata alla natura e alla forza di quanto affermano, sapendo che piu' l'affermazione e' seria, piu' la base fattuale deve essere solida" (Corte EDU, Magosso e Brindani c. Italia del 16/1/2020). Conclusivamente sul punto, il giornalista puo' beneficiare dell'esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie a lui rilasciate, se riportate fedelmente e in modo imparziale, senza commenti e chiose capziose a margine - tali da renderlo dissimulato coautore - e sempre che l'intervista presenti profili di interesse pubblico all'informazione, in relazione alla qualita' dei soggetti coinvolti (dunque dell'intervistato, ma anche della persona offesa dalla diffamazione), al suo oggetto e al contesto delle dichiarazioni rilasciate (Sez. 5, n. 16959 del 21/11/2019, dep. 2020, Tiengo, Rv. 279203) e che risponde secondo gli ordinari parametri di valutazione per i commenti e le espressioni, poste a latere o a margine dell'intervista, che non si limitino a riassumerne il contenuto o a commentarlo, ma che riportino fatti o opinioni diversi o anche antagonisti rispetto al contenuto delle dichiarazioni rilasciate" (Sez. 5, n. 51235 del 9/10/2019, Marincola, Rv. 278299). Questo perche', se il compito del giornalista e' quello di riportare fedelmente - in funzione di una completa informazione - il pensiero e il giudizio del soggetto "autorevole", pur se lesivo dell'altrui reputazione, l'intervistatore non deve amplificare, in assenza di un rigoroso accertamento della verita' del narrato, il contenuto lesivo dell'informazione, aggiungendo la propria voce a quella dell'intervistato e trasformandosi, cosi', in simulato diffamatore. 4. Alla luce di tali criteri la condotta della ricorrente possono ora valutarsi i motivi di ricorso. 4.1. Manifestamente infondato e' il primo motivo di ricorso. L'assunto secondo cui la Corte di Perugia non avrebbe rispettato l'obbligo di uniformarsi al principio di diritto espresso dalla sentenza rescindente si rivela privo di giuridica consistenza. Deve qui ribadirsi, in linea generale, che, in tema di sindacato sul vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilita' delle fonti di prova, bensi' di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano tornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Ne consegue che il giudice di rinvio, avuto riguardo ai limiti propri del giudice di legittimita', conserva nel merito piena autonomia di giudizio nella ricostruzione dei dati di fatto e nella valutazione di essi, ed e' vincolato solo dall'obbligo di motivare logicamente seguendo i principi di diritto enunciati dalla Corte suprema, colmando i vuoti motivazionali additati ed evitando le incongruenze logiche rilevate nella sentenza annullata, senza essere vincolato da valutazioni di merito eventualmente sfuggite al giudice di legittimita' nelle proprie argomentazioni (Cass., Sez. I, 10 febbraio 1998, Scuotto e altri, m.210016; Cass., Sez. un., 13 dicembre 1995, Clarke, m.203428). Accanto a cio', se e' vero che il giudice di rinvio ha un obbligo assoluto e inderogabile di uniformarsi al principio di diritto affermato nella sentenza della Corte di cassazione, giacche' quel principio, in quanto immodificabile da parte del giudice e sottratto ad ulteriori mezzi di impugnazione, acquista autorita' di giudicato interno per il caso di specie (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. III, 29 ottobre 1998, Schiavone, m.212423), e' altrettanto vero che un simile effetto vincolante potra' scaturire soltanto dal "principio di diritto" che, non a caso, a norma dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 2, deve essere specificamente enunciato nella sentenza di annullamento con rinvio, e non da qualsiasi affermazione esplicativa della ratio decidendi o, meno ancora, da singoli sviluppi argomentativi che si limitino a scandagliare i vizi del provvedimento annullato ma non forniscano, in se', le indicazioni riparatorie in punto di legittimita' (Sez. 1, n. 42990 del 18/09/2008, Montalto, Rv. 241823). Nel caso che occupa la Corte di appello di Perugia, a tanto sollecitata dalla sentenza rescindente, ha valutato tanto il parametro dell'interesse pubblico delle notizie pubblicate, che quello della loro veridicita', sebbene - come si vedra' appresso - con un ragionamento in parte illogico e non rispettoso delle coordinate interpretative espresse dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di diffamazione a mezzo stampa. Sicche' il problema, che la difesa pone come violazione dell'articolo 7-26 c.p.p., comma 3, in realta' e' un problema di congruita' della motivazione. 4.2. Quanto ai residui motivi, che possono essere trattati congiuntamente, stante la connessione logica delle questione trattate, il Collegio ritiene che la condotta contestata alla ricorrente possa dirsi scriminata dall'esercizio del diritto di cronaca limitatamente al segmento di condotta riguardante la notizia della condanna del padre di (OMISSIS) per il reato violenza sessuale e non anche per quello riguardante le affermazioni svolte in relazione agli asseriti "ottimi rapporti" tra (OMISSIS) e di (OMISSIS) all'appartenenza nello stesso Ufficio al momento in cui quest'ultima esamino', rigettandola, la richiesta di misura cautelare nei riguardi di (OMISSIS). 4.2.1. In primo luogo, con riferimento a entrambe le condotte indicate in imputazione, va corretta la motivazione del giudice del rinvio che ha ritenuto le notizie riferite nella "contro-replica" oggetto d'imputazione prive di un interesse pubblico attuale all'epoca (2011), siccome risalenti (quelle riguardanti (OMISSIS) agli anni 2004-2005, quelle relative alla condanna di (OMISSIS) al 2008, per un reato commesso nel 2002) e con riferimento alle quali "non era stato dimostrato che l'importanza e la risonanza locale di tali fatti era stata cosi' eclatante e di primo piano da giustificare, ancora anni dopo, il persistere ovvero il riattualizzarsi di un effettivo interesse pubblico alla relativa propalazione e conoscenza" (p. 10 della sentenza impugnata). Il Giudice del rinvio non si avvede, invero, della circostanza che - come obiettato dalla difesa ricorrente - le due vicende non avevano costituito oggetto di narrazione ex se, ma erano state indicate - sin dall'intervista rilasciata da (OMISSIS), poi ribadite nella "contro-replica" - quali elementi sintomatici della scarsa "serenita'" del giudice (OMISSIS) nei riguardi del Pubblico ministero, venuta in considerazione proprio all'epoca dello scritto incriminato, in relazione al clamore della sentenza emessa da quest'ultima nel processo "Why not-". Si vuole cioe' dire che il deposito delle motivazioni della sentenza, cui era seguita l'intervista di (OMISSIS) e la richiesta di pubblicazione della replica da parte di (OMISSIS), avevano certamente attualizzato l'interesse del pubblico all'intera vicenda legata all'indagine "Why not-", ivi comprese quelle vicende giudiziarie riguardanti persone appartenenti al nucleo familiare del giudice (OMISSIS) della cui imparzialita' l'intervistato dubitava. 4.2.2. Tanto chiarito in punto d'interesse pubblico alla notizia, trascorrendo a verificare l'ulteriore requisito della veridicita', effettiva o putativa, della notizia, il Collegio ritiene che la scriminante di cui all'articolo 51 c.p. ricorra con esclusivo riferimento alle informazioni riguardanti (OMISSIS), com'e' dimostrato dallo stesso tenore della "contro-replica". La giornalista, invero, nello scusarsi per l'errore contenuto nelle parole dell'intervistato (che aveva erroneamente collegato l'attivita' difensiva dell'avvocato (OMISSIS) in favore di (OMISSIS) all'indagine "Why not-", nella quale questi non era mai stato coinvolto), ne ha corretto il tenore con dati veritieri e comunque tratti da un provvedimento giudiziario, ossia il decreto di perquisizione della Procura di Salerno del 26 novembre 2008, nel quale si richiama espressamente in primo luogo la qualita' di indagato nell'indagine "Why not-" dell'avv. (OMISSIS) e, alle p. 930 e 931, la circostanza che questi avesse difeso il padre del giudice (OMISSIS) in un processo penale per il reato di violenza sessuale (sebbene con l'imprecisa contestazione di una aggravante), per il quale era intervenuta condanna in primo grado, con sentenza del 25 gennaio 2008. Cio' la ricorrente ha fatto senz'alcuna amplificazione del dato che, come detto, era rispondente a realta', sebbene impreciso, all'esclusivo fine di chiarire il senso delle parole dell'intervistato in riferimento ai rapporti, certamente esistenti, tra l'avv. (OMISSIS) (indagato nell'inchiesta "Why not-" e il padre del giudice che di tale processo si occupava), sicche' il sacrificio dell'accuratezza della verifica della complessiva verita' del fatto narrato e della bonta' della fonte e' controbilanciata dall'esigenza della tempestivita' dell'informazione che, in tanto aveva un senso, ove accompagnata alla pubblicazione della replica. In tema di diffamazione a mezzo stampa, invero, qualora sia pubblicato il contenuto di una denuncia-querela, e' configurabile l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria nel caso in cui il giornalista, nel rispetto della verita' e della continenza, si limiti a riferire, sia pure nel loro minimum storico, senza arbitrarie aggiunte o indebite insinuazioni, i fatti tratti da atti giudiziari, ponendosi, rispetto a essi, quale semplice testimone, animato da dolus bonus e da ius narrandi (ex multis Sez. 5 n. 15086 del 29/11/2019, dep. 2020, Pierantozzi, Rv. 279083). Ne', in senso contrario all'applicazione della scriminante, puo' assumere rilievo la circostanza che questi, successivamente alla pubblicazione della "contro-replica", sia stato assolto in grado di appello dall'imputazione in parola, poiche' si tratta di evenienza successiva e ininfluente sulla verita' della notizia, da valutarsi al momento della pubblicazione. 4.2.3. A conclusione affatto diversa deve pervenirsi quanto alle informazioni riferite dalla (OMISSIS) nella "contro-replica" riguardanti i rapporti tra il giudice (OMISSIS) e la collega (OMISSIS). L'intervistato (OMISSIS) aveva indicato le ragioni di pregiudizio del giudice (OMISSIS) nei suoi confronti, rinvenibili negli atti d'indagine da lui svolti nei riguardi del marito (OMISSIS), senza fare riferimento alcuno all'esito della richiesta misura cautelare, ne' tantomeno alla colleganza tra (OMISSIS) e il giudice che tale misura aveva valutato. (OMISSIS), nella replica, aveva lamentato come fosse stata omessa l'informazione che, da tali fatti, egli fosse stato assolto con sentenza irrevocabile sin dall'anno 2005. Ebbene, ritiene il Collegio che, in tale cornice, l'inserimento nella "contro-replica" dalla (OMISSIS) dell'informazione circa l'appartenenza dei giudici (OMISSIS) e (OMISSIS) allo stesso Ufficio giudiziario e, soprattutto, agli "ottimi rapporti" tra le due - sebbene tratta dal medesimo provvedimento giudiziario di sequestro della Procura di Salerno di cui si e' detto - in assenza di alcun riferimento in proposito contenuto nell'intervista di (OMISSIS) e nella replica di (OMISSIS), - per com'e' formulato, appare chiaramente volto a "sterilizzare" un dato obiettivo (ovverosia l'intervenuta assoluzione di (OMISSIS) sin dal 2005) e, piu' in generale, a sminuire la replica con un dato, quello della richiesta di emissione della misura cautelare, questo si' obiettivamente datato e certamente superato dall'intervenuta remota assoluzione. In detto passaggio, invero, la giornalista non solo non ha riprodotto le dichiarazioni dell'intervistato, ma ha introdotto elementi che ha utilizzato per amplificare il contenuto lesivo delle "informazioni" ricevute, funzionali a una rappresentazione parziale e distorta della realta'; cio' che esclude in radice la configurabilita' della pur invocata scriminante putativa, poiche' qui non viene in rilevo una notizia falsa, ma la pervicace riproduzione di una notizia vera, ma superata. 5. Per le ragioni sin qui esposte la sentenza impugnata dev'essere annullata senza rinvio limitatamente al secondo segmento di condotta oggetto di diffamazione perche' il fatto non costituisce reato e il resto del ricorso dev'essere rigettato. La soccombenza meramente parziale giustificala compensazione delle spese di giudizio relative all'azione civile tra imputata e parti civili e la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili nella misura di cui al dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al secondo segmento di diffamazione indicato nel capo di imputazione perche' il fatto non costituisce reato. Rigetto il ricorso nel resto. Compensa per meta' le spese di giudizio relative all'azione civile tra imputata e parti civili. Condanna l'imputata alla rifusione di meta' delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori di legge.

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