Sentenze recenti consorzio di bonifica

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8090 del 2023, proposto da Wi. Sa. Mi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Bu. e Si. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro la Provincia di Foggia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; il Ministero della cultura, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero della difesa e il Ministero dell'interno, ciascuno in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, via (...); nei confronti del Ministero delle imprese e del made in Italy, della Regione Puglia, del Comune di (omissis), del Comune di (omissis), dell'Agenzia del demanio, dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, di ANAS s.p.a.,di Au. per l'I. s.p.a., dell'A. Pu. s.p.a., ARPA Puglia, dell'Autorità di bacino dell'Appennino Meridionale, della ASL di Foggia, del Consorzio di bonifica della Ca., di ENAC - Ente Nazionale Aviazione Civile, di ENAV s.p.a., del'Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia - in Liquidazione, di Fe. del Ga. s.p.a., di RF. Re. Fe. It. s.p.a., di Sn. Re. Ga. s.p.a., di Te. It. s.p.a., di En. Di. s.p.a., di Te. s.p.a., tutti in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, non costituiti in giudizio. per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia Sezione seconda, sede di Bari, n. 814 del 26 maggio 2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Foggia e del Ministero della cultura, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero della difesa e del Ministero dell'interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2024 il consigliere Ofelia Fratamico; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente giudizio è costituito: - dal diniego di autorizzazione paesaggistica n. 1433 emesso dalla Provincia di Foggia in data 27 ottobre 2022 in relazione al progetto di costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica e opere di connessione da realizzarsi in (omissis) (FG), località (omissis) da parte della Wi. Sa. Mi. s.r.l.; - dal parere negativo della Soprintendenza archeologia belle arti paesaggio per le Province di Barletta-Andria-Trani e Foggia del 4 ottobre 2022, n. 10796-P e dagli atti presupposti ivi richiamati, costituiti dal preavviso di rigetto della medesima Soprintendenza n. 9919 del 12 settembre 2022 e dalla nota della Provincia di Foggia n. 55338 dell'8 novembre 2021; - dalla nota della Provincia di Foggia Prot. 2022/0041838 dell'11 agosto 2022; - dal parere del Comitato per il paesaggio della Provincia di Foggia del 17 ottobre 2022; - dall'autorizzazione unica rilasciata dalla Regione Puglia, Servizio energia, fonti alternative e rinnovabili, con determina dirigenziale n. 137 del 19 giugno 2022 - dalla determinazione del Responsabile Settore assetto del territorio e ambiente della Provincia di Foggia n. 1957 del 27 dicembre 2022, recante diniego del PAUR per il progetto eolico suddetto; - dal parere del Comune di (omissis) n. 21933 del 29 dicembre 2021 e dal parere della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le Province di Barletta-Andria-Trani e Foggia del 3 giugno 2021; - da ogni altro atto o provvedimento presupposto, consequenziale o comunque connesso. 2. Tali provvedimenti sono stati impugnati con ricorso e motivi aggiunti dinanzi al Tar per la Puglia, sede di Bari, dalla Wi. Sa. Mi. s.r.l. sulla base delle seguenti censure: a) assenza di un'istanza di autorizzazione paesaggistica, nullità per difetto assoluto di attribuzione, violazione e/o falsa applicazione dell'art. 146 del d.lgs. 42/2004, carenza di potere, eccesso di potere per travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità grave e manifesta; b) impossibilità di rilasciare un'autorizzazione paesaggistica autonoma, violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12 del d.lgs. 387/2003; dell'art. 27 bis del d.lgs. 152/2006; del d.m. 10 settembre 2010 e in particolare dei paragrafi 13.2 e 15.1 dell'allegato e dell'allegato 1; dell'art. 14 della l.r. 11/2001, eccesso di potere per errore sui presupposti e illogicità manifesta. c) sovrapposizione delle valutazioni già svolte nel procedimento di PAUR, violazione e/o falsa applicazione dell'art. 27 bis del d.lgs 152/2006 e dell'art. 14 ter della l. 241/1990, eccesso di potere per errore di istruttoria, contrasto fra provvedimenti, sviamento; d) erronea interpretazione dell'autorizzazione unica rilasciata dalla Regione Puglia, violazione e/o falsa applicazione dell'art. 27 bis del d.lgs 152/2006 e dell'art. 14 ter della l.n. 241/1990, eccesso di potere per errore di istruttoria, contrasto fra provvedimenti, sviamento, difetto di motivazione. e) non necessarietà dell'autorizzazione paesaggistica e natura non vincolante dei pareri della Soprintendenza, violazione e falsa applicazione degli articoli 134, 142, 143 e 146 del d.lgs. 42/2004, del d.P.R. 31/2017 e in particolare dell'Allegato A; degli articoli 43, 46, 53, 62, 63, 66, 82 89, 91, 92 delle NTA al PPTR; dell'art. 30 del D.L. 77/2021, eccesso di potere per contraddittorietà, difetto di istruttoria, incompetenza, errore sui presupposti, illogicità manifesta, disparità di trattamento; f) erroneità e illogicità delle valutazioni contenute nel parere della Soprintendenza (a valere in via derivata sul diniego di autorizzazione paesaggistica) violazione e falsa applicazione degli articoli 142 e 146 del d.lgs. 42/2004, dell'art. 25 del d.lgs. 50/2016. Eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, errore sui presupposti, illogicità manifesta. 3. Con la sentenza n. 814 del 26 maggio 2023 il Ta.r. per la Puglia ha rigettato il ricorso ed i motivi aggiunti, compensando tra le parti le spese di lite. 4. La Wi. Sa. Mi. ha chiesto al Consiglio di Stato di riformare la suddetta pronuncia, affidando il proprio appello a sei motivi così rubricati: I - erroneità della sentenza nella parte in cui attribuisce all'AU l'imposizione di una verifica paesaggistica: violazione e o falsa applicazione degli artt. 27 bis, d.lgs. 152/2006; 12, d.lgs. 387/2003; 14, l.r. 11/2001; 7 e 10, l.r. 20/2009; 14 ter, l. 241/1990; della d.g.r. 2766/2010; del d.m. 10/9/2010 e in particolare dei par. 13.2 e 15.1 dell'allegato 1, eccesso di potere per errore sui presupposti e illogicità manifesta, contrasto fra provvedimenti, sviamento, contraddittorietà ; II - erroneità della sentenza nella parte in cui ritiene che la Provincia di Foggia fosse tenuta a eseguire le indicazioni dell'AU: violazione e o falsa applicazione degli artt. 2, c. 2 bis, l.r. 17/2007; 27 bis, d.lgs. 152/2006; 12, d.lgs. 387/2003; 14, l.r. 11/2001; 7 e 10, l.r. 20/2009; della d.g.r. 2766/2010; del d.m. 10/9/2010 e in particolare dei par. 13.2 e 15.1 dell'allegato 1, eccesso di potere per errore sui presupposti e illogicità manifesta; III - erroneità della sentenza nella parte in cui ammette il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica al di fuori del procedimento di PAUR e lo svincola dalle risultanze della sua conferenza di servizi: violazione e o falsa applicazione degli artt. 2, c. 2 bis, l.r. 17/2007; 27 bis, d.lgs. 152/2006; 12, d.lgs. 387/2003; 2 e 14 ss., l. 241/1990; 14, l.r. 11/2001; 7 e 10, l.r. 20/2009; della d.g.r. 2766/2010; del d.m. 10/9/2010 e in particolare dei par. 13.2 e 15.1 dell'allegato 1, eccesso di potere per errore sui presupposti e illogicità manifesta, contraddittorietà, sviamento, contrasto fra provvedimenti; IV - erroneità della sentenza nella parte in cui dichiara tardiva l'impugnazione dell'AU: violazione e o falsa applicazione degli artt. 27 bis, d.lgs. 152/2006; 12, d.lgs. 387/2003; 2 e 14 e ss., l. 241/1990; 14, l.r. 11/2001; 7 e 10, l.r. 20/2009; della d.g.r. 2766/2010; del d.m. 10/9/2010 e in particolare dei par. 13.2 e 15.1 dell'allegato 1, violazione e o falsa applicazione dell'art. 29 e 41 c.p.a., eccesso di potere per errore sui presupposti e illogicità manifesta, contrasto fra provvedimenti, sviamento, contraddittorietà ; V - erroneità della sentenza nella parte in cui ritiene che il diniego di autorizzazione paesaggistica sia stato emesso su istanza di parte e illegittimità della stessa nella parte in cui ha omesso di esaminare la censura relativa all'inesistenza di uno spazio per un'autonoma autorizzazione paesaggistica, nonché quella relativa alla natura non vincolante del parere della Soprintendenza: nullità per difetto assoluto di attribuzione; violazione e o falsa applicazione degli artt. 134, 142, 143 e 146, d.lgs. 42/2004; del d.P.R. 31/2017; degli art. 43, 46, 53, 62, 63, 66, 82, 89, 91 e 92 delle NTA al PPTR; dell'art. 30, d.l. 77/2021; dell'art. 64 c.p.a., carenza di potere, eccesso di potere per travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità grave e manifesta, incompetenza, violazione degli artt. 39 c.p.a. e 112 c.p.c.; VI - erroneità della sentenza laddove dichiara estraneo al suo sindacato il giudizio di compatibilità espresso nell'autonomo procedimento di autorizzazione paesaggistica e inoltre ha mancato di esaminare la censura relativa all'illogicità, erroneità e irragionevolezza delle argomentazioni esposte dalla Soprintendenza e fatte proprie dal diniego di PAUR: violazione e falsa applicazione degli articoli 142 e 146 del d.lgs. 42/2004; dell'art. 25 del d.lgs. 50/2016, difetto di motivazione, eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore sui presupposti, illogicità manifesta, violazione degli artt. 39 c.p.a. e 112 c.p.c. 5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero della cultura, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero della difesa, il Ministero dell'interno e la Provincia di Foggia, eccependo l'inammissibilità e, in ogni caso l'infondatezza nel merito dell'appello. 6. Con ordinanza n. 4402 del 27 ottobre 2023 l'istanza cautelare è stata accolta ai sensi dell'art. 55 comma 10 c.p.a. 7. Con memorie del 5 febbraio 2024 e repliche del 15 febbraio 2024 le parti hanno ulteriormente articolato le loro difese, insistendo nelle rispettive conclusioni. 8. All'udienza pubblica del 7 marzo 2024 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione. 9. La società appellante, che in data 29 giugno 2020 aveva presentato alla Provincia di Foggia un'istanza per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) per la costruzione e l'esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica nel Comune di (omissis) (FG), in località (omissis), e delle relative opere di connessione (destinate a svilupparsi in parte anche sul territorio del Comune di (omissis)), ha dedotto: - di aver ottenuto, a seguito dell'attivazione del procedimento PAUR - svolto dalla Provincia di Foggia come ente delegato dalla Regione Puglia e articolatosi in due sessioni del Comitato VIA, due riunioni della Commissione Paesaggio e quattro sedute della conferenza di servizi - in data 4 aprile 2022, la dichiarazione del RUP circa l'avvenuta conclusione dei lavori della conferenza con la "pronuncia ambientale favorevole della Provincia", essendosi anche il Comitato VIA pronunciato positivamente; - di aver ricevuto l'assenso alla realizzazione del suo progetto da tutte le Amministrazione coinvolte nel procedimento, ad eccezione della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le Province di Barletta - Andria - Trani e Foggia, il cui parere del 3 giugno 2021, obbligatorio ma non vincolante per impianti destinati ad essere realizzati su aree non soggette a particolari vincoli, era stato considerato dal RUP superabile "sulla base dei contributi istruttori ricevuti dalla Commissione Paesaggio e dal Comitato VIA"; - di aver acquisito dalla Regione Puglia, proprio grazie all'esito favorevole della conferenza di servizi, con determinazione dirigenziale n. 137 del 19 giugno 2022, anche l'autorizzazione unica (A.U.) ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 con la dichiarazione del suo progetto di impianto eolico quale opera di pubblica utilità indifferibile ed urgente; - di aver invano richiesto, anche attraverso l'invio di tutta la documentazione relativa agli aspetti paesaggistici dell'impianto, la conclusione del procedimento PAUR alla Provincia di Foggia che, invece di prendere atto dei risultati positivi della conferenza, aveva finito per attivare un distinto procedimento di autorizzazione paesaggistica, conclusosi negativamente con la determinazione n. 1433 del 27 ottobre 2022, adottata anche alla luce del nuovo parere sfavorevole della Soprintendenza del 4 ottobre 2022 n. 10796 - P condiviso dalla Commissione Paesaggio espressasi nella riunione del 17 ottobre 2022, - di avere, infine, assistito all'emissione da parte della Provincia del provvedimento di diniego di PAUR del 27 dicembre 2022; - di aver impugnato dinanzi al T.a.r. per la Puglia, con ricorso e con motivi aggiunti, i provvedimenti direttamente pregiudizievoli dei suoi interessi e di essere stata costretta dal rigetto delle sue doglianze da parte del T.a.r. ad adire il giudice d'appello. 10. Con i primi tre motivi di appello la Wi. Sa. Mi. ha escluso di aver mai richiesto, come ritenuto, invece, dal T.a.r., un'autorizzazione paesaggistica alla Provincia di Foggia o che una nuova determinazione di tale ente al riguardo fosse stata resa necessaria dalla A.U. della Regione, che avrebbe dovuto "essere recepita, ai fini della sua efficacia, all'interno del PAUR a cura della Provincia di Foggia con la contestuale definizione del pronunciamento dirigenziale delle riferite compatibilità ambientale e paesaggistica" e la cui adozione era stata effettuata "sotto riserva espressa di revoca ove, all'atto delle eventuali verifiche, venissero a mancare uno o più presupposti di cui ai punti precedenti o alle dichiarazioni rese in atti, allorquando non veritiere". 11. I suddetti riferimenti contenuti nel'A.U., lungi dal subordinare il titolo rilasciato per la realizzazione dell'impianto ad un ulteriore provvedimento della Provincia sulla compatibilità paesaggistica del progetto, sarebbero stati per l'appellante semplici "clausole generali e di chiusura destinate ad indirizzare il completamento dell'iter burocratico dopo la formazione e l'esternazione della volontà amministrativa" e non avrebbero in alcun modo potuto rimettere in discussione gli esiti già raggiunti in conferenza di servizi, "oltretutto modificando il riparto di competenze stabilito per legge". 12. La regola della concentrazione in un unico procedimento di tutte le autorizzazioni, degli assensi e dei titoli di abilitazione settoriali avrebbe, infatti, impedito, a dire della originaria ricorrente, che la compatibilità paesaggistica dell'impianto fosse oggetto di una separata valutazione dopo che anche tale profilo era stato vagliato in modo approfondito nel corso del iter del PAUR, attraverso il modulo della conferenza di servizi, all'interno della quale tutti i vari interessi pubblici dovevano essere acquisiti e ponderati, senza alcuna possibilità per ciascuna Amministrazione partecipante di porre il proprio veto, neppure ai fini della tutela del paesaggio, da bilanciare necessariamente con la salvaguardia dell'ambiente e con le altre esigenze fondamentali della collettività . 13. In sostanza, secondo l'appellante, "l'anomalo diniego di autorizzazione paesaggistica del 27 ottobre 2022 non (avrebbe costituito)... il dovuto adeguamento della Provincia alle richieste di un superiore e più titolato livello di governo, bensì lo strumento incaricato di bloccare il rilascio del PAUR da parte di un'Amministrazione (la Soprintendenza), la cui posizione contraria era stata messa in minoranza dalla conferenza di servizi". 14. Con il quarto ed il quinto motivo la Wi. Sa. Mi. ha, poi, contestato la sentenza appellata nella parte relativa alla tardività dell'impugnazione dell'A.U., che non avrebbe rappresentato, a suo dire, un atto immediatamente lesivo nei suoi confronti, visto il suo contenuto favorevole e la positiva conclusione della conferenza di servizi, e non avrebbe mai potuto alterare, come anticipato, il riparto delle competenze previsto dal legislatore. 15. La produzione da parte della società ricorrente, in data 3 agosto 2021, di tutti i documenti afferenti agli aspetti paesaggistici dell'intervento sarebbe stata, inoltre, effettuata non per chiedere alla Provincia il rilascio di un ulteriore parere, ma "al solo fine di evitare ritardi e nella speranza che l'adempimento sollecitatorio... potesse consentire l'immediato rilascio del PAUR". 16. Neppure le specifiche caratteristiche delle strutture da realizzare sul territorio dei Comuni interessati (localizzazione delle turbine e delle opere di connessione) avrebbero richiesto una distinta autorizzazione paesaggistica, essendo la compatibilità delle opere alle prescrizioni del PPTR stata accertata in origine nel corso della conferenza di servizi anche dalla Commissione per il paesaggio, salvo il mutamento di avviso di tale organismo nel corso della riunione del 17 ottobre 2022. in adesione alla posizione sfavorevole nuovamente assunta dalla Soprintendenza. 17. Con l'ultimo motivo - che, però, può essere solo parzialmente esaminato, avendo la Wi. Sa. Mi. superato con il suo appello i limiti dimensionali di cui al decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016, nonostante il rigetto della sua istanza di autorizzazione del 20 settembre 2023 - l'appellante ha, infine, sostenuto la manifesta erroneità e la palese incoerenza della valutazione negativa del suo progetto da parte della Soprintendenza che, per enucleare le ragioni di incompatibilità paesaggistica dell'intervento, si sarebbe limitata a richiamare l'esistenza nelle vicinanze del sito prescelto di "aree boscate, situate a 600 metri, (di)... un corso d'acqua a 1 km,...(di) un reticolo idrografico a oltre 2 km di distanza, (dell')...ex tratturo Foggia Camporeale a 3,5 km...senza un apprezzamento in concreto del valore paesaggistico di beni mai oggetto di un vincolo puntuale e senza, soprattutto, considerare che le opere (erano)... collocate già a distanza delle fasce di rispetto previste dal d.lgs. 42/2004 e dal PPTR" e, quanto agli impatti cumulativi, "a porre l'accento sul numero di torri eoliche realizzate, in corso di realizzazione o in attesa di ottenere l'autorizzazione, all'interno di una vasta area che ricomprende(va) anche il sedime del futuro parco eolico di Winderg" 18. Le suddette censure sono in parte fondate e devono essere accolte nei termini di seguito illustrati. 19. Successivamente alla favorevole conclusione della conferenza di servizi come risultante dal verbale del 4 aprile 2022, né la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio, né la Commissione per il paesaggio, né tantomeno la Provincia di Foggia avrebbero potuto validamente esprimere un nuovo parere circa la compatibilità paesaggistica del progetto della società appellante, reiterando il contrario avviso già reso, come nel caso della Soprintendenza, o mutando radicalmente la propria posizione (come avvenuto per la provincia di Foggia e la Commissione per il paesaggio). 20. Nel procedimento scandito dall'art. 27 bis del d.lgs. n. 152 del 2006, come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa "tutte le Amministrazioni interessate dal progetto, e dunque con competenza propria in materia, sono tenute a partecipare alla conferenza e ad esprimere in tale sede anche i pareri di cui sono investite per legge, secondo le dinamiche collaborative proprie dello strumento di semplificazione procedimentale previsto dalla legge", cosicché "il parere negativo espresso al di fuori della conferenza è illegittimo per incompetenza alla stregua di un atto adottato da un'Autorità priva di potere in materia" (cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 novembre 2018 n. 6273). 21. Né può reputarsi, alla luce del reale sviluppo della vicenda procedimentale e dell'effettivo contenuto dell'A.U. del 19 giugno 2022, che tale atto dovesse essere immediatamente impugnato dalla originaria ricorrente nel termine di 60 giorni dalla sua adozione da parte della Regione: le previsioni in esso contenute in ordine alla ritenuta possibilità "di adottare la determinazione di autorizzazione unica", che avrebbe dovuto "essere recepita ai fini della sua efficacia all'interno del PAUR a cura della Provincia di Foggia con la contestuale definizione del pronunciamento dirigenziale delle riferite compatibilità ambientale e paesaggistica" e alla adozione del provvedimento "sotto riserva espressa di revoca ove, all'atto delle eventuali verifiche (fossero venuti) a mancare uno o più presupposti di cui ai punti precedenti o alle dichiarazioni in atti, allorquando non veritiere", non appaiono, in verità, direttamente e concretamente lesive di alcun interesse della società richiedente, non essendo in grado, come sottolineato dalla originaria ricorrente sia in primo grado che nelle doglianze riproposte in appello, di alterare l'assetto delle competenze così come attribuite dal legislatore e come regolarmente esplicatesi nel modulo procedimentale e provvedimentale della conferenza di servizi. 22. Un simile effetto di modifica del complesso delle attribuzioni delle varie Autorità coinvolte nel procedimento e di messa in discussione degli esiti già raggiunti nella conferenza di servizi non potrebbe, poi, giammai essere ricollegato alla pretesa domanda di valutazione della compatibilità paesaggistica che, inoltrata dalla Wi. Sa. Mi. in data 3 agosto 2021 alla Provincia di Foggia avrebbe secondo l'Amministrazione ed il giudice di prime cure irrimediabilmente avviato il relativo procedimento, esigendo una nuova ed autonoma pronuncia del suddetto ente sugli aspetti paesaggistici del progetto di parco eolico. 23. Da un lato, infatti, la missiva della società richiedente di allegazione dei documenti concernenti gli aspetti paesaggistici dell'impianto, rispondendo ad esigenze istruttorie manifestate, secondo la ricostruzione dell'appellante, dall'Amministrazione nel corso del procedimento, ribadite in verità anche nella successiva A.U. del 19 giugno 2022, non può essere considerata un'autonoma domanda dell'interessata, idonea, come detto a riaprire fasi procedimentali ormai del tutto superate e a rimettere in discussione valutazioni favorevoli già conseguite (puntualmente attestate dal verbale dell'ultima riunione della conferenza di servizi del 4 aprile 2022); dall'altro, occorre evidenziare che, come di recente ribadito anche dalla Sezione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 ottobre 2023 n. 8610) il parere di un'Amministrazione chiamata a partecipare a una conferenza di servizi in quanto titolare di uno degli interessi pubblici coinvolti nelle determinazioni da assumere deve necessariamente intervenire entro il termine della conferenza stessa, divenendo altrimenti irrilevante, rectius inefficace. 24. Alla luce delle suddette argomentazioni non può, dunque, condividersi quanto affermato dal T.a.r. circa la possibilità di prendere in considerazione anche semplicemente "come fatto storico" il diniego di autorizzazione paesaggistica tardivamente emesso dalla Provincia di Foggia, risultando tale atto, in realtà, insuscettibile di entrare nel quadro procedimentale non (più ) in corso di svolgimento e perciò di produrre qualsiasi effetto e non solo quello suo tipico, come ritenuto dal giudice di primo grado. 25. L'interpretazione suesposta, frutto della attuale riflessione giurisprudenziale sulla trasformazione del ruolo della semplificazione, da valore strumentale (ossia come principio generale da collegare all'esigenza di migliorare l'efficienza amministrativa nel valutare tutti gli interessi che si confrontano nel procedimento e di aumentare l'efficacia nella cura degli interessi pubblici al contempo garantendo una più agevole tutela delle pretese del cittadino) a bene o valore di natura finale, autonomo rispetto agli interessi curati dalle amministrazioni competenti al rilascio di assensi comunque denominati e sulla attenuazione della valenza forte e assolutizzante dell'attributo di primarietà associato agli interessi sensibili come quello del paesaggio, nella misura in cui viene ammesso un loro bilanciamento in concreto con altri valori e principi, quale quello della salvaguardia dell'ambiente - nella consapevolezza dell'importanza centrale del fattore tempo nella programmazione finanziaria del privato e per il raggiungimento dell'obiettivo della competitività del sistema Paese (cfr. Cons. Stato, sez. IV. n. 8610/2023 cit.) - conduce, quindi, a giudicare illegittimi, a differenza di quanto reputato dal T.a.r., gli atti impugnati in primo grado, poiché l'Amministrazione per mutare il proprio avviso sui temi in questione avrebbe dovuto utilizzare, se del caso, il suo potere di autotutela nelle forme consentite dalla legge e non limitarsi ad esprimere al di fuori dalla conferenza di servizi e successivamente alla conclusione di essa il suo parere contrario alla realizzazione dell'intervento de quo. 26. In conclusione, l'appello deve essere, dunque, come anticipato, accolto con annullamento dei provvedimenti impugnati con l'originario ricorso e con i motivi aggiunti ed assorbimento di ogni altra doglianza. 27. Per la particolarità e la novità delle questioni trattate sussistono, infine, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso ed i motivi aggiunti proposti in primo grado e, per l'effetto, annulla i provvedimenti ivi impugnati. Compensa le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Rotondo - Presidente FF Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere, Estensore Paolo Marotta - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8693 del 2022, proposto da Co. Or., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Consorzio di Bonifica dell'O., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fl. Ia., Be. Gi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Federazione Provinciale Co. Or., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Di Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - Inps, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. 00584/2022, resa tra le parti, Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consorzio di Bonifica dell'O. e della Federazione Provinciale Co. Or.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2023 il Cons. Roberta Ravasio e uditi per le parti gli avvocati Lu. Ca. e Gi. Di Da.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il Consorzio di Bonifica Or. (in prosieguo solo "il Consorzio") è un ente di diritto pubblico ai sensi dell'art. 59 del R.D. 13.2.1933, n. 215, dell'art. 862 del C.C. e della L.R. 23.5.2008 n. 6, ed è stato riconosciuto con Decreto del Presidente della Regione Sardegna n. 239 del 4 dicembre 1996. Il Consorzio riunisce i proprietari dei fondi compresi nel comprensorio ed ha come finalità lo svolgimento delle funzioni di cui all'art. 2 e art. 3, comma 6, della L.R. Sardegna n. 6/2008. 2. Con gli atti in epigrafe indicati esso Consorzio ha deliberato di aderire alla Federazione Pr. Co. di Or., alla quale ha anche conferito la delega, ai sensi dell'art. 11 della legge 12.03.1968, n. 334, autorizzando il Presidente alla sottoscrizione della predetta delega: a motivo di tale decisione il Consiglio di Amministrazione ha evidenziato che: (i) l'adesione del Consorzio a un ente a base associativa costituisce legittimo esercizio delle facoltà degli organi del Consorzio, (ii) l'azione di sensibilizzazione - per le esigenze dei Consorziati e degli agricoltori - svolta da un consorzio sconta la limitatezza dei mezzi e delle capacità, mentre l'azione svolta da Co. presso i decisori politici nazionali e comunitari, per la politica del Made in Italy e del territorio, costituisce una opportunità con la quale anche i consorzi di bonifica debbono confrontarsi, (iii) Co. risulta essere l'associazione agricola più rappresentativa sia a livello nazionale che locale, (iv) l'esercizio del diritto di libertà associativa da parte del Consorzio di bonifica è scelta libera e discrezionale, che si fonda su principi costituzionali applicabili anche agli enti pubblici economici; (v) con specifico riferimento alle spese gravanti sul datore di lavoro in conseguenza del rilascio della delega, il Presidente del Consorzio ne ha assunto il carico, autorizzando gli uffici a decurtare tali costi dalle di lui spettanze; il Consiglio di Amministrazione ha inoltre rilevato che l'adesione del Consorzio alla Co. veniva esercitata dal Consorzio in quanto ente pubblico economico nonché datore di lavoro, e non incideva né condizionava in alcun modo l'autonomo ana diritto dei proprietari consorziati nella loro qualità di datori di lavoro. 3. Avverso l'indicata decisione del Consiglio di Amministrazione ha proposto ricorso la Confagricoltura di Oristano (in prosieguo solo "Confragricoltura"), associazione professionale agricola aderente alla Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana, che asserisce essere la principale organizzazione datoriale agricola nazionale. 3.1. Ha dedotto, con un primo motivo, che la deliberazione sarebbe in contrasto con i principi e le norme che disciplinano la costituzione, i poteri, il funzionamento, l'organizzazione di un ente pubblico: sostiene, in particolare, Confagricoltura che "Per effetto dell'adesione, il Consorzio resistente viene a trovarsi, rispetto alla Federazione della Co., alla stregua di qualsivoglia coltivatore diretto e/o imprenditore agricolo che svolga la sua attività nella Provincia di Oristano, ed in particolare, finisce per porsi -rispetto alla Co.- sullo stesso piano dei consorziati che, per finalità istituzionale, deve, invece, amministrare", che l'adesione a una associazione non rientrerebbe tra le finalità istituzionali del Consorzio e, più in generale, che il Consorzio non sarebbe titolare del diritto di libertà associativa riconosciuto dai principi costituzionali a qualsivoglia cittadino: "Infatti, la possibilità per gli enti pubblici di aderire ad associazioni è disciplinato per legge ed incontra i tipici limiti sottesi alla natura, finalità, costituzione e funzionamento degli stessi, a tutela anche della funzione pubblica autoritativa demandata.". 3.2. Sotto diverso profilo la ricorrente ha dedotto violazione dell'art. 11 della L. n. 334/68 nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, in quanto (i) sarebbe errata in fatto l'affermazione secondo cui Co. é l'associazione agricola più rappresentativa sia a livello nazionale che locale, (ii) la deliberazione impugnata avrebbe lo scopo, e comunque l'effetto, di rafforzare la rappresentatività e la posizione di Co., quale associazione cui appartengono tutti gli aderenti al Consorzio, e (iii) per concedere la delega di cui all'art. 11 della L. n. 334/68 il Consorzio avrebbe dovuto esperire una procedura ad evidenza pubblica. 4. Con la sentenza in epigrafe indicata il TAR per la Sardegna, prescindendo da alcune eccezioni preliminari di rito, ha respinto il ricorso nel merito. 4.1. Il TAR, ritenuto incontroverso il diritto degli enti pubblici alla libertà di associazione, ha affermato che non può essere negato il diritto del Consorzio di Bonifica di aderire ad una associazione di categoria, trattandosi di un ente pubblico economico, qualificabile in termini di datore di lavoro agricolo; da tale qualificazione consegue, inoltre, la possibilità per il Consorzio di rilasciare la delega ex art. 11 della l. n. 334/68 in favore di una associazione di categoria, atteso che come datore di lavoro agricolo il Consorzio è anche tenuto all'obbligo contributivo; infine, la decisione di aderire a una associazione di categoria è discrezionale, non soggetta a procedura di evidenzia pubblica, e, nella specie, congruamente motivata. 5. Ha proposto appello la Confagricoltura. 6. Si sono costituiti in giudizio, insistendo per la reiezione del gravame, sia il Consorzio che la Federazione Pr. Co. di Or., quest'ultima anche riproponendo le eccezioni di rito non esaminate in primo grado, connesse alla tardività del ricorso e al difetto di legittimazione attiva e al difetto di interesse di Confagricoltura. 7. La causa è stata chiamata all'udienza pubblica del 21 dicembre 2023, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 8. Il Collegio procede, preliminarmente, all'esame delle eccezioni processuali di rito. 8.1. E' infondata l'eccezione di tardività : è incontroverso tra le parti che la delibera impugnata è soggetta a pubblicazione per legge e che tale pubblicazione, sull'albo pretorio del Consorzio, ha avuto luogo tra il 7 e il 22 giugno giugno 2021: tenuto conto della sospensione processuale dei termini dal 1° al 31 agosto, il termine per l'impugnazione veniva a scadere il 21 settembre 2021, ed il ricorso introduttivo del giudizio è stato passato all'ufficiale giudiziario per la notifica in data 20 settembre 2021. La notifica del ricorso di primo grado è, pertanto, tempestiva. 8.2. Viceversa è fondata l'eccezione di carenza di legittimazione ad agire e di interesse in capo a Confagricoltura. 8.2.1. Secondo la Federazione Pr. Co. di Or., Confagricoltura non sarebbe titolare di un interesse meritevole di tutela, tale da consentire ad essa di agire per l'impugnazione degli atti in concreto gravati: l'annullamento degli atti impugnati, infatti, non procurerebbe alcun giovamento alla appellante, né in termini economici, né in qualità di titolare di interessi esponenziali, e tampoco in qualità di soggetto in competizione con Co.. Il difetto di interesse ridonderebbe anche sulla legittimazione attiva di Co., secondo l'insegnamento di cui alla sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6/2020. 8.2.2. Il Collegio ritiene la censura fondata, essendo evidente che l'interesse che sorregge l'impugnativa svolta da Confagricoltura è solo quello di evitare che Co. possa rafforzare la propria rappresentatività, e tale interesse, seppure di fatto indubbiamente ravvisabile, non assurge a interesse qualificato, cioè di interesse meritevole di tutela: ciò per la ragione che lo scopo di una associazione di categoria di natura sindacale, che sia essa rappresentativa di datori di lavoro o di lavoratori, non consiste nell'ostacolare l'azione delle altre associazioni di categoria, essendo invece da individuare nel perseguimento degli interessi dei propri associati. 8.2.3. Confagricoltura, infatti, dall'annullamento degli atti impugnati nel presente giudizio non conseguirebbe alcun beneficio diretto: non quello di ottenere, in luogo di Co., l'adesione del Consorzio, posto l'adesione di un consorzio di bonifica ad una associazione di categoria non è prevista dalla legge come obbligatoria e, secondo la prospettazione della stessa Confagricoltura sarebbe addirittura preclusa dalla natura pubblica del Consorzio; non potrebbe poi conseguire un beneficio economico. L'unico beneficio che Confagricoltura potrebbe ottenere sarebbe, appunto, quello di limitare l'aumento di rappresentatività della Co., che però non è meritevole di tutela per le ragioni già precisate. 8.2.4. La sentenza appellata dovrebbe, dunque, essere riformata non avendo rilevato il difetto di legittimazione attiva di Confagricoltura, nella misura in cui la stessa ha azionato un interesse non qualificato e non meritevole di tutela. 9. L'appello, peraltro, é infondato anche nel merito, per le ragioni che si vanno ad esporre. 9.1. Sostiene Confagricoltura con il primo motivo, che il Consorzio non potrebbe essere qualificato quale datore di lavoro agricolo, pur essendo lo stesso tenuto ad inquadrare i propri dipendenti quali lavoratori agricoli ai sensi di quanto previsto dall'art. 6 della L. n. 92/79: la nozione di datore di lavoratore agricolo, per l'appellante, sarebbe solo quella desumibile dall'art. 2135 c.c. - secondo cui "è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività : coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse."; - oppure dall'art. 206 del D.P.R. n. 1124/1965, come sostituito dall'art. 1 della L. n. 778/86 - secondo cui "Sono considerate aziende agricole o forestali, ai fini del presente titolo, quelle esercenti una attività diretta alla coltivazione dei fondi, alla silvicoltura, all'allevamento degli animali ed attività connesse, ai sensi dell'art. 2135 del codice civile. Si reputano in ogni caso agricole, a norma del primo comma del medesimo articolo, le attività di allevamento delle specie suinicole, avicole, cunicole, itticole, dei selvatici a scopo alimentare e quelle attinenti all'apicoltura, alla bachicoltura e simili" -. 9.2. La censura non coglie nel segno. Si deve osservare che le funzioni istituzionali del Consorzio, come definite dallo Statuto, sono quelle individuate all'art. 2 e all'art. 6, comma 3, della L.R. Sardegna n. 6/2008; l'art. 2, in particolare, menziona le attività di gestione del servizio idrico settoriale agricolo; di sollevamento e derivazione delle acque a uso agricolo; le attività di gestione, la sistemazione, l'adeguamento funzionale, l'ammodernamento, la manutenzione e la realizzazione degli impianti irrigui e della rete scolante al diretto servizio della produzione agricola, delle opere di adduzione della rete di distribuzione dell'acqua a uso agricolo e degli impianti di sollevamento, nonché delle opere di viabilità strettamente funzionali alla gestione e alla manutenzione della rete di distribuzione e della rete scolante; la realizzazione e la gestione delle opere di bonifica idraulica; e) la realizzazione e la gestione degli impianti per l'utilizzazione delle acque reflue in agricoltura ai sensi dell'articolo 167 del decreto legislativo n. 152 del 2006; f) il servizio di accorpamento e di riordino fondiario; g) le opere di competenza privata, in quanto di interesse particolare dei fondi, individuate e rese obbligatorie dai consorzi di bonifica, di cui al titolo II, capo V, del regio decreto 13 febbraio 1933 n. 215 (Nuove norme per la bonifica integrale). L'art. 2, comma 3, della L.R. n. 6/2008, inoltre, afferma che "I consorzi di bonifica favoriscono e promuovono l'utilizzo di tecniche irrigue finalizzate al risparmio idrico". 9.3. Le attività sopra richiamate possono indubbiamente considerarsi "attività connesse" a quelle indicate all'art. 2135, ed è bene ricordare che il Consorzio svolge tali attività nell'interesse dei propri consorziati (come ricorda anche l'appellante, l'art. 14 della L.r. 6/2008 stabilisce che "i consorzi di bonifica sono enti pubblici al servizio dei consorziati, per la valorizzazione del territorio, in un rapporto di collaborazione operativa con gli enti locali del relativo comprensorio"), i quali sono proprietari, titolari a loro volta di imprese agricole: le attività che fanno carico al Consorzio, in particolare, sono imprescindibili per il successo delle attività agricole dei singoli consorziati. 9.4. L'assimilazione di tali attività a quelle proprie dell'imprenditore agricolo è corretta anche in considerazione del fatto che il Consorzio, agendo nell'interesse e su mandato dei singoli consorziati (il consorzio, infatti, realizza una figura di mandato) in pratica rappresenta degli interessi imprenditoriali, e non a caso esso, come tutti i consorzi di bonifica, ha la natura di ente pubblico economico, ovvero di soggetto che - come ricordato dal primo giudice - ha natura ibrida: essi partecipano del carattere pubblico negli aspetti relativi alla loro costituzione e organizzazione e perché perseguono fini di interesse generale, ma comunque svolgono una attività di tipo imprenditoriale, operando con gli strumenti del diritto privato, con la conseguenza che tutte le attività che vengono poste in essere in ottica imprenditoriale sono regolate dal diritto civile (cfr. Cass. Civ., S.U., 15 luglio 1993, n. 7841). 9.5. A conferma del fatto che le attività dei consorzi di bonifica vanno considerate attività agricole, depone sicuramente anche il fatto che l'attività dei dipendenti dai consorzi di bonifica é stata ritenuta, dall'art. 6 lett. b) della L. n. 92/79, idonea a considerare tali lavoratori quali "lavoratori agricoli" agli effetti delle norme di previdenza ed assistenza sociale: in tal senso si è pronunciata la Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 3139 del 23 maggio 1985: "Secondo la disciplina dettata dal d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, perché attività diverse dalla coltivazione del fondo possano considerarsi di natura agricola, ai fini dell'Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura, è necessario, sotto il profilo soggettivo, che esse siano svolte da un imprenditore agricolo e, sotto il profilo oggettivo, che le attività stesse siano svolte nell'interesse e per conto di un'azienda agricola, in quanto collegate all'attività principale da un rapporto economico-funzionale di connessione, complementarietà o accessorietà . La disciplina dell'art. 6, lett. B), della legge 31 marzo 1979 n. 92 - che, in difformità dai criteri stabiliti dalla disciplina predetta, considera lavoratori agricoli, agli effetti delle norme di previdenza ed assistenza sociale, ivi comprese quelle relative all'Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, anche i dipendenti dei consorzi di bonifica (sia volontari che obbligatori) impegnati in attività di manutenzione degli impianti irrigui, di scolo e di somministrazione delle acque ad uso irriguo - ha carattere non interpretativo ma innovativo, in quanto assegna natura agricola anche ad attività gestite fuori di un'azienda agricola e non riferibili ad un imprenditore agricolo, e, pertanto, non può avere efficacia retroattiva. (V 5451/83, mass n 430380; (V 2653/83, mass n 427538; (V 1895/80, mass n 405509).". 9.5. Dunque, contrariamente a quanto assume Confagricoltura nel primo motivo d'appello, il Consorzio riveste la qualifica di datore di lavoro agricolo, potendo esso considerarsi, nella sostanza, un imprenditore agricolo, con l'unica precisazione che gli introiti del Consorzio vengono gestiti a beneficio di tutti Consorziati e, indirettamente, di tutto il comprensorio territoriale gestito dal Consorzio. La censura in esame va quindi respinta. 10. Con il secondo motivo d'appello Confagricoltura contesta l'affermazione del TAR secondo cui non vi sarebbe incompatibilità tra la natura pubblica del Consorzio e la adesione dello stesso ad una associazione di categoria. 10.1. Deduce l'appellante che il TAR sarebbe incorso in sostanziale omissione di pronuncia su un elemento decisivo della controversia, essendosi limitato ad una affermazione frettolosa. L'appellante, quindi, ripropone l'originario primo motivo di ricorso, evidenziando che dalla sola attribuzione della qualifica di ente pubblico discendono gli stessi poteri dell'ente, in particolare in materia di autorganizzazione, disciplina del rapporto di lavoro, assoggettamento alle regole sul procedimento amministrativo, funzionalizzazione dell'attività dell'ente al perseguimento dell'interesse pubblico cui è preposto, con conseguente assoggettamento a controlli di legittimità e/o di merito; assoggettamento alle regole sull'evidenza pubblica nell'attività negoziale; regime dominicale dei beni strumentali; poteri di supremazia quali quelli di autotutela. In particolare, la delibera impugnata, sarebbe in contrasto con i principi di cui all'art. 97 della Costituzione e, in particolare, con i canoni di buon andamento e di imparzialità, che impongono una netta separazione tra l'attività politica e l'attività amministrativa. Vi sarebbe anche violazione delle norme dello Statuto Regionale che disciplinano la costituzione degli enti regionali e prevedono il rispetto delle norme generali e speciali dell'ordinamento nazionale che regolano il funzionamento degli enti pubblici. E, ancora, si configurerebbe violazione dell'art. 2 della L.R. n. 6/2008, poiché tra i fini istituzionali del Consorzio non sarebbe dato ravvisare quello di aderire ad una associazione di categoria: sul punto, Confagricoltori sostanzialmente assume che le finalità che il Consorzio ha inteso demandare a Co., sarebbero devolute ad un'Associazione istituzionale, cioè l'Associazione Nazionale delle Bonifiche, delle Irrigazioni e dei miglioramenti fondiari, cui aderisce anche il Consorzio appellato, nel rispetto della normativa vigente che rappresenta e tutela sindacalmente in modo diretto, i bisogni e le esigenze del mondo consortile, con le azioni di sensibilizzazione del mondo politico, sociale, economico ed in particolare l'opinione pubblica sul ruolo dei consorzi di bonifica nella gestione del territorio, soprattutto nella sua sistemazione attraverso le opere di bonifica e di manutenzione. Confagricoltori evidenzia che il Consorzio appellato aderisce anche al sindacato SNEBI - Sindacato Nazionale degli Enti di Bonifica, di irrigazione e di miglioramento Fondiario, concludendo che "il diritto del Consorzio ad associarsi sindacalmente, risulta pienamente soddisfatto con l'adesione all'associazione SNEBI, che in modo specifico e mirato tutela da vicino le esigenze e le politiche del Consorzio, soprattutto in materia di assistenza nel lavoro. Conseguentemente, i Consorzi di bonifica, sono già aderenti ad una associazione di categoria (datori di lavoro), per cui non è giustificata l'adesione ad una ulteriore associazione di categoria come quella di Co., che, peraltro, rappresenta in misura prevalente le imprese agricole non datoriali ma autonome, i cui interessi e le aspettative non sono assimilabili a quelli consorziali, che, per questo, si sono organizzati in modo autonomo.", soggiungendo che "Perfino lo Statuto di Co. non prevede l'adesione di un soggetto quale il Consorzio di Bonifica. L'art. 1 afferma infatti: "E' costituita, con sede in Roma, la Confederazione Nazionale Co., in forma abbreviata Co., organizzazione sindacale di rappresentanza delle persone e delle imprese che operano in agricoltura, nel settore ittico, nelle attività connesse e nell'agroalimentare". 10.2. Osserva il Collegio, in primo luogo, che il fatto stesso che siano stati costituiti dei sindacati dei consorzi di bonifica dimostra che v'è compatibilità tra la natura di detti consorzi e l'adesione di essi ad associazioni di categoria. 10.3. Ciò precisato, e rammentato che l'ordinamento italiano è ispirato al principio della libertà sindacale, al pluralismo sindacale e alla libertà di associazione, si deve ammettere che qualsiasi soggetto debba ritenersi libero di aderire anche a più di una associazione sindacale. Il pluralismo sindacale, infatti, ammette che in un certo settore produttivo possano esistere più sigle sindacali, che si differenziano in base a diverse ragioni, di carattere ideologico, culturale, professionale; pertanto è ben possibile che diversi sindacati, pur rappresentativi della medesima categoria, tutelino in modo differente gli interessi dei datori di lavoro o dei lavoratori di quella categoria, e questo spiega il motivo per cui un soggetto può sentire la necessità di aderire a più sigle sindacali: tale fenomeno deve considerarsi lecito nell'ordinamento italiano, ispirato, come già precisato, al pluralismo sindacale nonché alla libertà di associazione. 10.4. Non è quindi dato ravvisare un ostacolo giuridico a che il Consorzio appellato potesse aderire alla Federazione Pr. Co. di Or., pur essendo già iscritta all'ANBI e allo SNEBI: in particolare, il fatto che lo Statuto di tale Federazione non menzioni espressamente i Consorzi, tra i possibili associati, non pare in sé ostativo alla adesione del Consorzio appellato. 10.5. Ad ogni buon conto, si tratterebbe di preclusione che dovrebbe essere fatta valere dalla Federazione Co., in quanto l'adesione di un soggetto ad una associazione sindacale, come anche l'accettazione di tale adesione da parte della associazione prescelta, integrano atti di natura negoziale, neppure soggetti al sindacato giurisdizionale di legittimità del giudice amministrativo. Tale aspetto non è stato eccepito in primo grado, ragione per cui si è formato un giudicato interno sulla giurisdizione del giudice amministrativo e sulla qualificazione degli atti impugnati quali atti amministrativi; ciò non toglie che l'atto in questione, essendo manifestazione della natura imprenditoriale propria dei consorzi di bonifica - di cui sopra si è già detto - non può essere sindacato alla stregua di un atto amministrativo discrezionale, e quindi non si presta ad essere impugnato da terzi estranei al rapporto negoziale, per supposti motivi di violazione di legge o per eccesso di potere, sub specie di sviamento di potere. 10.6. Confagricoltura, pertanto, non è legittimata e non può far valere la presunta invalidità dell'adesione del Consorzio appellato alla Federazione Pr. Co. di Or., né può sindacare le ragioni che hanno spinto il Consorzio a tale risoluzione (ciò che l'appellante fa, ad esempio, quando assumere che il Consorzio non avrebbe avuto alcuna necessità di aderire a Co., o quando assume che la stessa "rispetto al Consorzio di Bonifica, la Federazione della Co. è notoriamente portatrice di interessi oppositivi, in una dinamica evidentemente di contrapposizione, in particolare per quanto attiene la modalità di erogazione del servizio irriguo, la determinazione dei costi di detto servizio e di quelli della bonifica, che vanno a gravare sui consorziati iscritti all'associazione. Pertanto, le motivazioni addotte a giustificazione dell'impugnata adesione sono prive di giuridico fondamento e ciò in ragione della natura pubblico-economica del Consorzio, della sua finalità istituzionale, delle funzioni di governo del territorio e della gestione delle risorse.."). 10.7. Anche il secondo motivo d'appello va, conclusivamente, respinto. 11. Con il terzo motivo Confagricoltura contesta la statuizione con cui il TAR ha ritenuto che il Consorzio appellato può operare la delega ai sensi dell'art. 11 della l. n. 334/68: la contestazione si fonda, ancorquì, sul presupposto che il Consorzio non è qualificabile quale datore di lavoro agricolo. Soggiunge l'appellante che le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice non sono condivisibili in quanto le motivazioni addotte nell'atto impugnato, circa la decisione di aderire a Co., non sono state dimostrate o supportate da alcun documento, in particolare circa la rappresentatività di Co., che non sarebbe affatto l'associazione maggiormente rappresentativa a livello nazionale. Avrebbe quindi errato il TAR nel ritenere che la decisione del Consorzio si sia basata, sul punto, su un dato attendibile; ne consegue che l'atto impugnato sarebbe affetto da eccesso di potere per sviamento, perché ai consiglieri di amministrazione sarebbe stato rappresentato un dato di fatto non corretto (appunto quello relativo alla rappresentatività di Co.). E ancora, l'appellante insiste sul fatto che il Consorzio avrebbe dovuto esperire una procedura ad evidenza pubblica per scegliere a quale organizzazione affidare la delega in questione. 11.1. La censura è manifestamente destituita di fondamento, sulla base di quanto già osservato nei paragrafi che precedono: la natura pubblica dei consorzi di bonifica non implica che tutti gli atti da essi adottati abbiano natura di atti amministrativi, proprio per la ragione che essi hanno anche natura imprenditoriale, e la scelta di aderire ad una associazione di categoria è tipica espressione di autonomia negoziale, del datore di lavoratore o del lavoratore, da una parte, e dell'associazione, dall'altra parte. 11.2. Per tale ragione la decisione del Consorzio di aderire a Co. avrebbe semmai potuto essere impugnata, per una delle patologie proprie degli atti negoziali, dai soggetti legittimati in base alle norme civilistiche, e non da un terzo estraneo al rapporto. Non venendo in considerazione un atto amministrativo non rilevano possibili errori di fatto che siano stati posti a fondamento della decisione del Consiglio di Amministrazione del Consorzio, e tanto meno si imponeva al Consorzio l'obbligo di indire una procedura ad evidenza pubblica per individuare il sindacato cui aderire. Quanto al fatto che il Consorzio non avrebbe potuto rilasciare la delega ex art. 11 della l. n. 334/68, si richiama quanto sopra detto circa il fatto che il Consorzio riveste la qualifica di "datore di lavoro agricolo". 12. In conclusione, la sentenza appellata va confermata, con motivazione integrata, dovendosi ritenere il ricorso di primo grado inammissibile per difetto di interesse e infondato nel merito. 13. La particolarità e novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Stefano Toschei - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2273 del 2022, proposto da Co. Ce. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Na. Ma., An. Ma. e Di. Sc., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato An. Ma. in Roma, Via. (...); contro Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Ro., Ju. Se., Lu. Pl. e Lu. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Me. e Bi. Ma. Gi., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Bi. Ma. Gi. in Bolzano, vicolo (...); per la riforma della sentenza del T.R.G.A. - Sezione autonoma della Provincia di Bolzano n. 1/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Bolzano e del Comune di Bolzano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi e uditi per le parti gli avvocati An. Ma. e Lu. Gr. Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La società Co. Ce. s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale di giustizia amministrativa di Bolzano n. 1/2022 con la quale è stato respinto l'originario ricorso della stessa parte appellante tendente all'annullamento dei seguenti atti amministrativi: - delibera della Giunta Provinciale di Bolzano n. 178 dd. 24.02.2021 avente ad oggetto: "Comune di Bolzano: rigetto di una modifica del piano urbanistico"; nonché di ogni ulteriore atto richiamato, presupposto, infraprocedimentale, conseguente ed esecutivo, tra cui, in particolare: - "parere" negativo del Comune di Bolzano dd. 21.10.2020; - parere negativo del Comune di (omissis) dd. 27.10.2020; - parere negativo dell'Ufficio Commercio e servizi - Ripartizione Economia dd. 16.12.2020; - parere negativo della Commissione provinciale per il territorio e il paesaggio dd. 14.01.2021; - parere negativo del Consiglio dei Comuni dd. 08.02.2021. 2. Di seguito le circostanze rilevanti in punto di fatto: - la presente vicenda si inserisce nell'ambito della più ampia controversia riferita al centro commerciale CENTRUM di Bolzano (esistono già dei negozi che operano sulla base di una sospensiva del Trga: ora si chiede la variante per ampliare la superficie di vendita); - l'appellante ha presentato alla Giunta Provinciale di Bolzano la richiesta di poter individuare e prevedere nel PRG di Bolzano, come dal combinato disposto degli art. 44.1, comma 6, e art. 19, commi 11, 12, 13 e 14, LUP (L.P. 13/1997 allora in vigore), che l'areale (omissis) e l'immobile vengano destinati all'esercizio del commercio al dettaglio inseriti nella zona produttiva; - acquisite le necessarie integrazioni documentali e vari pareri, la Giunta Provinciale, con l'atto impugnato ha deliberato di "rigettare la proposta di modifica d'ufficio del piano urbanistico del Comune di Bolzano per la previsione di aree destinate all'esercizio del commercio al dettaglio nelle zone produttive, come specificato nelle premesse e tenuto conto della prima osservazione contenuta nel parere del Comune di Bolzano". 3. Avverso la citata delibera la società Co. Ce. s.r.l. ha proposto ricorso dinanzi al Trga di Bolzano. A sostegno dell'impugnativa venivano formulati i seguenti motivi di ricorso: I. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 53, comma 11, L.P. 9/2018. Eccesso di potere per avere richiamato, nella motivazione, un parere non previsto e comunque viziato per incompetenza. Vizio di incompetenza e violazione e/o falsa ovvero omessa applicazione dell'art. 26, comma 3, lett. b) del Testo Unico delle leggi regionali sull'ordinamento dei comuni della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige (approvato con Decreto del Presidente della Reg. Trentino-Alto Adige del 01/02/2005 - N. 3/L). II. Eccesso di potere per avere richiamato, nella motivazione, un parere viziato per incompetenza. Vizio di incompetenza e violazione e/o falsa ovvero omessa applicazione dell'art. 26, comma 3, lett. b) del Testo Unico delle leggi regionali sull'ordinamento dei comuni della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige (approvato con Decreto del Presidente della Reg. Trentino-Alto Adige del 01/02/2005 - N. 3/L). Motivazione insufficiente sull'inesistenza dell'impatto economico e viabilistico sul Comune di (omissis). III. Eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erroneità dei fatti presupposti. Erroneità, illogicità, arbitrarietà e non pertinenza della motivazione. Eccesso di potere per sviamento. Violazione delle disposizioni normative provinciali relative all'individuazione del commercio al dettaglio nelle zone produttive (richiamate all'inizio del ricorso). IV. Eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erroneità dei fatti presupposti. Erroneità, illogicità, arbitrarietà e non pertinenza della motivazione sotto altri profili. Contraddittorietà interna. Eccesso di potere per sviamento. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 33 comma 8 L.P. 9/2018. V. Eccesso di potere per grave difetto di istruttoria ed erroneità dei fatti presupposti. Erroneità, illogicità, arbitrarietà e non pertinenza della motivazione sotto altri profili. Contraddittorietà interna. Palese eccesso di potere per sviamento. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 53, comma 12, L.P. 9/2018. VI. Eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erroneità dei fatti presupposti. Erroneità, illogicità, arbitrarietà e non pertinenza della motivazione sotto altri profili. Contraddittorietà interna. Eccesso di potere per sviamento. VII. Eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erroneità dei fatti presupposti. Erroneità, illogicità, arbitrarietà e non pertinenza della motivazione sotto altri profili. Contraddittorietà interna. Eccesso di potere per sviamento. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12, comma 1, lett. a) L.P. 17/1993. VIII. Eccesso di potere motivazione insufficiente, errata ed arbitraria con riferimento al procedimento considerato in toto. Eccesso di potere per sviamento. 4. Nel giudizio di primo grado si è costituita la Provincia autonoma di Bolzano chiedendo il rigetto del ricorso. Il Comune di Bolzano è intervenuto ad opponendum. 5. Con sentenza n. 1/2022 il Trga di Bolzano ha rigettato il ricorso. 6. Avverso la sentenza n. 1/2022 del Trga di Bolzano ha proposto appello la società Co. Ce. s.r.l. per i motivi che saranno più avanti esaminati. 7. Si sono costituiti la Provincia autonoma di Bolzano e il Comune di Bolzano chiedendo il rigetto dell'appello. 8. All'udienza del 18 aprile 2024 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il primo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 41, comma 2, c.p.a. Error in iudicando. Violazione e/o omessa applicazione dell'art. 53, comma 11, L.P. 9/2018; omessa motivazione sul punto. Error in iudicando. Violazione e/o falsa ovvero omessa applicazione dell'art. 26, comma 3, lett. b) del Testo Unico delle leggi regionali sull'ordinamento dei comuni della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige, nonché dell'art. 21-octies, comma 2, l. 241/1990. Vizio di incompetenza. Omessa e/o insufficiente motivazione sotto diversi profili. L'appellante censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha rigettato i primi due motivi di ricorso in primo grado con i quali si sosteneva che la delibera impugnata è illegittima perché si basava anche sul parere negativo del Comune di Bolzano (non richiesto dalla relativa procedura e viziato per incompetenza) e sul parere negativo del Comune di (omissis) (parimenti viziato di incompetenza). 1.1 Sotto un primo profilo si sostiene che: - la sentenza del Trga è errata laddove ritiene applicabile alla fattispecie l'art. 41, comma 2, c.p.a. (secondo cui il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla Pubblica Amministrazione che ha emesso l'atto impugnato); - i pareri dei due suddetti Comuni sono stati impugnati come "atti infraprocedimentali" della delibera giuntale n. 178/2021; - i vizi denunciati con il primo e il secondo motivo si riferiscono alla delibera n. 178/2021, che (sul punto) deve ritenersi viziata in quanto richiama e pone alla base della propria motivazione anche due pareri comunali di cui uno non previsto dalla procedura e entrambi emessi da enti non competenti; - per far valere tali doglianze non era necessario notificare il ricorso anche ai due Comuni, in quanto la Pubblica Amministrazione che ha emesso l'atto impugnato è la Provincia Autonoma di Bolzano. 1.2 Sotto un secondo profilo si sostiene che: - l'art. 53, comma 11, L.P. 9/2018, prevede che all'individuazione e alla previsione nel piano urbanistico delle aree destinate all'esercizio del commercio al dettaglio da inserire nelle zone produttive provvede la Giunta provinciale, di concerto con il Consiglio dei Comuni e previo parere dei Comuni circostanti; - nella fattispecie ha fornito un "parere" anche il Comune di Bolzano, parere che è stato richiamato nella motivazione della delibera giuntale n. 178/2021 impugnata; - essendo Bolzano il Comune interessato, e non un Comune circostante, il parere non era richiesto dalla procedura e di tale parere la delibera non avrebbe dovuto tenere conto; - la delibera della Giunta provinciale n. 178/2021, in parte qua, deve comunque ritenersi viziata per eccesso di potere per avere richiamato, nella motivazione, un parere non previsto; - la sentenza impugnata ha inoltre omesso qualsiasi motivazione sul punto. 1.3 Sotto un terzo profilo si sostiene che: - i pareri forniti dal Comune di Bolzano siano viziati per incompetenza, nonché per violazione del Testo Unico sull'ordinamento dei Comuni della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige che, all'art. 26, comma 3, lett. b), attribuisce la competenza per i pareri da rendere in materia (tra l'altro) urbanistica al Consiglio comunale, mentre il parere del Comune di Bolzano è firmato dal Direttore dell'Ufficio Pianificazione territoriale, dal Direttore della Ripartizione Pianificazione e Sviluppo del Territorio, e dal Sindaco, e il parere del Comune di (omissis), è firmato dal solo Vice Sindaco; - la sentenza impugnata ha ritenuto non sussistente l'interesse ad impugnare sul punto, in quanto (in applicazione dell'art. 21-octies, comma 2, l. 241/1990) il vizio di incompetenza intersoggettiva non potrebbe portare ad una pronuncia di annullamento se, come nella fattispecie, la P.A. non avrebbe potuto adottare un provvedimento diverso; - il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 4983/2021 ha escluso che tale disposizione normativa possa essere applicata per sanare vizi di incompetenza. 2. Il secondo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 33 e 53 L.P. di Bolzano n. 9/2018 "Territorio e paesaggio" sotto diversi profili. Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 33, comma 8, L.P. 9/2018. Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 53, comma 12, L.P. 9/2018. Travisamento dei fatti presupposti. Erroneità, illogicità, arbitrarietà, contraddittorietà e non pertinenza della motivazione sotto vari profili. La sentenza viene criticata nella parte in cui ha rigettato il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso in primo grado. Con tali motivi la parte ricorrente/appellante aveva rivolto varie censure contro il parere negativo espresso dall'Ufficio provinciale Commercio - Ripartizione Economia in data 16.10.2020, sul quale in sostanza la delibera giuntale impugnata n. 178/2021 si basa. 2.1 Sotto un primo profilo parte appellante sostiene che il suddetto parere, e quindi la delibera nelle parti in cui riporta il parere, è viziata di eccesso di potere sotto numerosi aspetti. 2.1.1 Con il terzo motivo la ricorrente contestava l'ammissibilità, nel parere della Ripartizione Economia dd. 16.12.2020, delle valutazioni astratte ivi contenute sull'asserito fabbisogno commerciale e sull'asserito impatto sociale che avrebbero i 3.694 mq di superficie per il commercio al dettaglio nel Comune di Bolzano. Inoltre, il parere, in modo contraddittorio, riteneva i 3.694 mq non impattanti sulla rete commerciale del Comune di Bolzano, e perveniva alla decisione negativa al solo fine di scoraggiare simili iniziative "che si prevede saranno richieste anche in futuro". Infine, la legislazione provinciale stessa (L.P. 9/2018 e, prima, in modo ana, L.P. 137/1997) prevedeva la procedura per l'individuazione, nel PUC, di aree destinate al commercio al dettaglio nelle zone produttive, per cui tali progetti certo non potevano dirsi contrari agli obiettivi di politica commerciale della Provincia. 2.1.2 Nel quarto motivo la ricorrente denunciava ancora, anche con riferimento ai dati ASTAT forniti nel parere (peraltro non riferiti alla capacità di acquisto), l'inammissibilità di tutte le valutazioni sul presunto "fabbisogno commerciale" della popolazione, criterio non previsto dalla normativa in questione. La delibera impugnata/ il parere perveniva alla conclusione negativa in base alle considerazioni che seguono: (i) Nel caso di specie non sarebbe stata eseguita la (necessaria e propedeutica) verifica della indisponibilità di locali idonei nelle zone residenziali, in quanto apparrebbe "poco credibile" che non si riesca a reperire adeguati locali in tali zone per i 14 esercizi (che sarebbero quasi tutti di vicinato) previsti sui 3.694 mq. Parte ricorrente ribadiva che la verifica richiesta nella fattispecie era stata eseguita dall'odierna ricorrente e l'informazione tempestivamente fornita alla Provincia addirittura due volte: a) una prima volta con parere tecnico del geom. Ni. dd. 06.06.2020 e b) una seconda volta con dichiarazione della parte istante stessa datata 09.11.2020 - autocertificazione peraltro espressamente richiesta dall'art. 19 coma 11 lett. m) L.P. 13/1997 allora in vigore. La ricorrente evidenziava che il progetto de quo non poteva realizzarsi su 14 spazi di dimensione ridotte sparsi nelle zone residenziali, ma presupponeva uno spazio unico, o perlomeno nello stesso edificio, nel quale realizzare (o meglio ampliare) appunto un centro commerciale. 2.1.3 Con il quinto motivo la ricorrente censurava la delibera nella parte in cui la delibera era motivata come segue: (ii) Per la valutazione del progetto e in particolare per la rilevazione dei locali inutilizzati nelle zone residenziali e delle frequenze ci si sarebbe avvalsi del GEOANALYSE che sarebbe uno strumento digitale sviluppato da una impresa di consulenza incaricata dall'Unione Commercio e che permetterebbe di valutare mediante algoritmi gli impatti che conseguono all'insediamento di nuovi esercizi. Con il GEOANALYSE sarebbero stati rilevati nella città di Bolzano numerosi locali inutilizzati anche nelle zone residenziali, adeguati a potervi insediare le attività di commercio al dettaglio richieste dalla ricorrente. La ricorrente contestava i dati in questione, i quali erano in realtà del tutto scarni, non era dato intendere su quali parametri e metodi scientifici poggiassero, e non erano per nulla significativi ai fini della "prova" che intendevano fornire. 2.1.4 Nel sesto motivo la delibera veniva attaccata per il seguente contenuto: (iii) Lo sviluppo del commercio al dettaglio nel Comune di Bolzano e nell'intera Provincia sarebbe positivamente supportato da due grandi progetti di rivalutazione urbana (WaltherPark e areale ferroviario), in corso di realizzazione a Bolzano, mentre "altri ed ulteriori insediamenti..., come la richiesta in oggetto, sarebbero palesemente in contrasto con gli obiettivi perseguiti dalla politica commerciale provinciale". La ricorrente sul punto eccepiva eccesso di potere e grave deviazione. Se tale motivazione - che i progetti WaltherPark e areale ferroviario completerebbero una volta per tutte lo sviluppo del commercio al dettaglio nel Comune di Bolzano e nell'intera Provincia - fosse ritenuta idonea per la valutazione negativa del progetto della ricorrente, ciò significherebbe per ogni altra istanza di previsione di commercio al dettaglio nelle zone produttive (ai sensi della normativa provinciale citata) la sicura ed aprioristica valutazione negativa, in violazione della stessa normativa provinciale. 2.2 Sotto un secondo profilo parte appellante sostiene che: - l'impugnata sentenza esamina le sopra riportate doglianze congiuntamente e le ritiene tutte infondate; - la sentenza ritiene che la Giunta provinciale abbia fondato la propria decisione di rigetto della domanda della ricorrente principalmente sull'articolato parere negativo espresso dalla Commissione provinciale per il territorio e il paesaggio, che la Giunta espressamente ha fatto proprio; - detto parere tecnico negativo sarebbe motivato dal fatto dirimente che le prove e dichiarazioni fornite della richiedente sulla mancanza di disponibilità di superfici idonee in altre zone del Comune di Bolzano sarebbero da considerarsi insufficienti; - la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare, in primis, l'assenza, nelle zone residenziali, di una disponibilità fisica di superfici destinabili all'insediamento di attività commerciali; - in un secondo momento, avrebbe dovuto dimostrare anche l'impossibilità giuridica, per la non volontà dei terzi di negoziare la messa a disposizione degli (eventualmente idonei) locali necessari; - anche il parere della Ripartizione provinciale Economia si incentrerebbe principalmente sulla mancanza del suddetto presupposto, previsto dall'art. 33, comma 8, L.P. 9/2018; - l'argomento dovrebbe considerarsi il nucleo centrale della motivazione della delibera impugnata; - secondo la sentenza le conclusioni del citato parere, e quindi della delibera impugnata, sarebbero perfettamente in linea con il dettato della L.P. 9/2018, laddove ritiene che la previsione di aree per il commercio al dettaglio nelle zone produttive sia da considerarsi come "ultima ed ulteriore" attività e solo dopo che la parte richiedente abbia fornito la prova dell'inesistenza di locali idonei e disponibili nelle zone residenziali; - lo strumento GEOANALYSE avrebbe rilevato nella città di Bolzano, anche nelle zone residenziali, numerosi e diversi locali inutilizzati e asseritamente idonei per il progetto in questione; - inoltre sarebbe pertinente ed idonea anche la motivazione sulla prossima realizzazione dei progetti WaltherPark e areale ferroviario; - il legislatore provinciale avrebbe previsto che nelle zone produttive (destinate principalmente all'attività industriale ed artigianale e al commercio all'ingrosso) il commercio al dettaglio fosse ammesso in via residuale ed eccezionale, nel rispetto delle rigorose limitazioni dettate dalla normativa stessa; - pertanto l'asserita mancanza del requisito dell'assenza di superfici idonee in altre zone cittadine sarebbe di per sé sufficiente per il rigetto dell'istanza; - l'interesse pubblico perseguito sarebbe quello di mantenere/ preservare il commercio al dettaglio nelle zone del centro storico, residenziali e di riqualificazione urbanistica; - con riferimento alle dichiarazioni (sull'assenza di superfici disponibili in altre zone) presentate dalla parte istante/ ricorrente la sentenza - senza peraltro citare la disposizione normativa di riferimento, infatti inesistente - afferma: (i) che la società Co. Ce. s.r.l. "non è un consorzio di imprese commerciali che ha fatto domanda per ottenere spazi urbani per esercitare un centro commerciale in una determinata zona della città "; (ii) che la domanda volta ad ottenere una modifica del PUC in questione "non può prescindere dalla chiara individuazione del soggetto direttamente interessato, in forma singola, associata o sinergica che sia, all'esercizio dell'attività commerciale", mentre la domanda proposta da un'impresa "immobiliare", senza la prova dell'effettiva volontà di operatori commerciali al dettaglio di volersi insediare nell'immobile (omissis) a Bolzano, e senza la dimostrazione di un interesse e bisogno concreto ed attuale all'esercizio del commercio al dettaglio in quella zona, andrebbe rigettata per mancanza dei presupposti necessari "implicati" dalla normativa in esame; (iii) la stessa legge avrebbe subordinato la trasformabilità per fini di commercio al dettaglio di parte delle zone produttive alla mancanza di progetti di riqualificazione urbanistica (art. 33, comma 8, L.P. 9/2018); - la società ricorrente/appellante, non solo non eserciterebbe l'attività giusta, ma non avrebbe fornito nemmeno un principio di prova sui suddetti asseriti presupposti necessari, mentre sarebbe provata la realizzazione di altri progetti in città (WaltherPark e areale ferroviario); - la possibilità per i Comuni di introdurre limiti territoriali all'esercizio del commercio al dettaglio nelle zone produttive non si porrebbe in contrasto né con la disciplina statale, né con l'assetto di competenze disciplinante il rapporto tra Stato e Province autonome, come definito dall'art. 1 del d.lgs. 7 luglio 2016, n. 146 (Norma di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino - Alto Adige); - così argomentando, la sentenza non solo travisa i fatti presupposti (sia le prove fornite dalla ricorrente sulla mancanza di superfici idonee nelle zone residenziali, che l'insufficienza delle controprove fornite dalla P.A.), ma viola altresì il dettato normativo ed incorre in vizio di motivazione per arbitrarietà ed illogicità sotto diversi aspetti. 2.3 Sotto un terzo profilo parte appellante sostiene che: - l'art. 33, comma 8, L.P. 9/2018 recita: "(8) Per l'esercizio del commercio al dettaglio, anche nella forma del centro commerciale, di merci diverse da quelle di cui ai commi 3, 4, 5 e 7, nelle zone produttive, sono individuate apposite aree nel piano comunale per il territorio e il paesaggio secondo la procedura di cui all'articolo 53, commi 11, 12, 13 e 14, purché non esistano aree disponibili e di adeguate dimensioni all'interno del centro storico, delle zone residenziali e delle zone di riqualificazione urbanistica del Comune o dei Comuni interessati dai relativi impatti"; - al contrario da quanto afferma l'impugnata sentenza, la verifica richiesta nella fattispecie era stata eseguita dalla parte istante /ricorrente/appellante e l'informazione tempestivamente fornita alla Provincia due volte: (i) una prima volta con parere tecnico del geom. Ni. dd. 06.06.2020 il quale attestava, in fede, che "attualmente non sussistono superfici adeguate nel centro storico di Bolzano, nei centri abitati ma anche nelle zone di riformazione urbanistica o in vecchi edifici non usati"; (ii) una seconda volta, con dichiarazione della parte istante stessa datata 09.11.2020 in cui specificava che le uniche aree disponibili e di adeguate dimensioni, di proprietà e nel Comune di Bolzano sono le p.edd. (omissis) in C.C. (omissis), costituenti l'areale denominato (omissis) in Via (omissis) a Bolzano - autocertificazione peraltro espressamente richiesta dall'art. 19, comma 11, lett. m) L.P. 13/1997; - il progetto de quo non potrebbe realizzarsi su 14 spazi di dimensione ridotte sparsi nelle zone residenziali, ma presuppone uno spazio unico, o perlomeno nello stesso edificio, nel quale realizzare (o meglio ampliare) appunto un centro commerciale, modello di commercio al dettaglio che si basa su tutt'altri presupposti, sinergie e finalità di singoli negozi sparsi; - la fattispecie del centro commerciale è espressamente prevista anche dalla normativa provinciale che regola la destinazione di commercio al dettaglio nelle zone produttive (art. 44.1, comma 6, L.P. 13/1997 allora in vigore); - la sentenza ha travisato i fatti presupposti e le prove offerte, ed è pertanto incorsa nella violazione delle citate disposizioni normative. 2.4 Sotto un quarto profilo parte appellante sostiene che: - la controprova offerta dalla Provincia sull'assenza di aree disponibili e di adeguate dimensioni in altre zone è del tutto inidonea per motivare il rigetto dell'istanza; - i dati dello strumento GEOANALYSE riportati dalla P.A. sono del tutto scarni, non è dato intendere su quali parametri e metodi scientifici poggino, e non sono per nulla significativi ai fini della "prova" che intenderebbero fornire; - lo strumento GEOANALYSE rileverebbe superfici vuote idonee per il commercio al dettaglio nelle zone residenziali di Bolzano di 12.000 mq in tutto; - dai dati forniti non risulta che vi sarebbe, nel centro residenziale, uno spazio unico (o perlomeno in un unico edificio) di ca. 3.700 mq idoneo per il centro commerciale progettato della ricorrente; - solo una tale tipologia di spazio commerciale avrebbe potuto ritenersi alternativo per il progetto di centro commerciale della ricorrente, e quindi tale da potere impedire la destinazione di commercio al dettaglio nella zona produttiva; - la sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso la fattibilità del progetto sulla base di presunti e non provati spazi liberi sparsi, non unitari, è viziata per travisamento e motivazione; - la stessa Avvocatura della Provincia, nelle osservazioni dd. 27.07.2021 fornite agli uffici provinciali nell'ambito di un riesame della delibera di rigetto con cui si era concluso un procedimento amministrativo ana iniziato da altra società, aveva avanzato perplessità sui dati forniti dal rapporto GEOANALYSE; - la mancanza di spazi liberi idonei nelle zone residenziali era stata attestata anche dal geom. Ni., i cui rilievi sicuramente non possono ritenersi "meno precisi" o "meno attendibili" di quelli forniti senza motivazione alcuna dall'Unione commercio e acriticamente ripresi dalla Ripartizione Economia; - non ha pregio sostenere che non farebbe fede l'autodichiarazione della odierna ricorrente e che oltre alla prova delle indisponibilità fisica di spazi idonei, la parte avrebbe dovuto altresì fornire la prova della indisponibilità giuridica di eventuali superfici idonee esistenti; - tale "doppia prova" non è richiesta dalle disposizioni normative applicabili al caso in esame, con il che la sentenza integra anche violazione di legge sul punto; - inoltre, non esistendo, nelle zone residenziali, una superficie idonea unica, o perlomeno in un unico edificio, di ca. 3.700 mq, la parte interessata - una volta attestata la mancanza di spazi fisici idonei - era in grado di fornire la (ingiustamente richiesta) prova della disponibilità o indisponibilità giuridica solamente con riferimento alle superfici di cui può a vario titolo giuridico disporre; - infine, la sentenza impugnata viola anche la disposizione di cui all'art. 53, comma 12, L.P.9/2018: "(12) In tal caso le varianti al piano comunale per il territorio e il paesaggio, che individuano le aree destinate all'esercizio del commercio al dettaglio all'interno delle zone produttive, devono obbligatoriamente preferire: in primo luogo, le aree di recupero o riqualificazione urbanistica, per la presenza di strutture dismesse o degradate; in secondo luogo, le aree in cui siano presenti altre attività commerciali...."; - nel caso in esame, si è dimostrato che non esistono idonee "aree di recupero o riqualificazione urbanistica, per la presenza di strutture dismesse o degradate", mentre il centro commerciale Centrum deve ben considerarsi "area in cui sono presenti altre attività commerciali", così che risulta pienamente rispettato il criterio di priorità prescritto dalla citata disposizione normativa; - certamente non possono essere considerati progetti di riqualificazione urbanistica quelli non ancora esistenti, in quanto sono attualmente solo in corso di progettazione (arale ferroviario) o di realizzazione nella fase iniziale (Waltherpark). 2.5 Sotto un quinto profilo parte appellante sostiene che: - la sentenza impugnata è del tutto errata e viziata per arbitrarietà ed illogicità, nonché per violazione dell'art. 33 e 53 L.P. 9/2018, laddove - senza riferimento normativo alcuno - afferma che la domanda per l'individuazione di superfici per il commercio al dettaglio nelle zone produttive potrebbe essere avanzata solo da imprese o consorzi "commerciali", e non si potrebbe prescindere dalla "chiara individuazione del soggetto direttamente interessato" il quale dovrebbe altresì dimostrare di avere un "interesse e bisogno concreto ed attuale"; - da nessuna parte la normativa in questione prevede e/o prescrive tali presupposti; - la sentenza non è in grado di indicare una relativa disposizione normativa e si ingegna in un'interpretazione più che estensiva del tutto fantasiosa della normativa in questione; - le condizioni della necessaria natura della richiedente (società o consorzio commerciale) e della necessaria previa individuazione del soggetto interessato (cioè del negozio che si stabilirà sulle superfici non ancora individuate nel PUC), che dovrebbe anche dimostrare un bisogno attuale e concreto di esercitare il commercio al dettaglio proprio in quella zona produttiva) sono "inventate", non contenendo la normativa provinciale che regola la procedura in questione traccia alcuna di tali "presupposti"; - la sentenza richiama invano anche (i limiti a) la disciplina statale della liberalizzazione del commercio e l'art. 40 d.p.r. 381/1974, introdotto con d.lgs. 146/2016 (norma di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige), che entrambi non impedirebbero ai Comuni di introdurre limiti territoriali all'esercizio del commercio al dettaglio; - se è vero che la Provincia Autonoma di Bolzano, in applicazione del suddetto art. 40, ha previsto, in via generale, "aree interdette agli esercizi commerciali e limitazioni per l'esercizio del commercio nelle zone produttive", è anche vero che la stessa legislazione provinciale, negli artt. 33 e 53 L.P. 9/2018 ha espressamente previsto, in deroga al generale divieto del commercio al dettaglio in zone produttive, la possibilità, di individuare, nel piano comunale per il territorio e il paesaggio, aree destinate all'esercizio del commercio al dettaglio da inserire nelle zone produttive, prevedendo determinati presupposti e determinando l'iter procedimentale; - la sentenza, laddove "prescrive" presupposti non previsti dalla normativa di riferimento, incorre in violazione delle relative disposizioni di legge, e deve ritenersi viziata per motivazione arbitraria ed erronea; - se la normativa di riferimento fosse "interpretata" come suggerisce la sentenza impugnata, la stessa sarebbe di fatto preclusiva di ogni e qualsiasi iniziativa analoga a quella in esame; - le doglianze formulate dalla parte ricorrente ai motivi di impugnazione terzo, quarto, quinto e sesto avrebbero dovuto essere accolte in quanto fondate. 3. Il terzo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12, comma 1, lett. a) L.P. di Bolzano n. 17/1993. Violazione del principio di buon andamento. Vizio di motivazione sul punto. L'appellante ricorda che con il settimo motivo la parte ricorrente aveva censurato la delibera giuntale n. 178/2021 laddove la stessa richiamava, in toto, facendolo proprio, il parere della Commissione provinciale per il territorio e il paesaggio dd. 14.01.2021. 3.1 Sotto un primo profilo parte appellante sostiene che: - anche la Commissione, e quindi la delibera in parte qua, avevano ritenuto "insufficienti" le dichiarazioni della richiedente riguardante la (non) disponibilità di superfici idonee nelle zone residenziali, ed idonee a provare il contrario i dati GEOANALYSE; - la ricorrente aveva eccepito che la delibera sul punto aveva violato l'art. 12, comma 1, lett. a) L.P. 17/1993 secondo cui "Il responsabile del procedimento: a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione e i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione del provvedimento e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In particolare, acquisisce d'ufficio le informazioni o i documenti ai sensi dell'articolo 5 e invita l'interessato, ove ammissibile, a rilasciare dichiarazioni o a regolarizzare ovvero integrare dichiarazioni o istanze erronee o incomplete. (...)"; - nella fattispecie, se il parere tecnico del geom. Ni., assieme all'autocertificazione della parte istante, fossero stati ritenuti insufficienti per provare l'assenza di altre aree idonee, il responsabile avrebbe dovuto - nuovamente - richiedere un'integrazione della documentazione in tal senso; - inoltre, in quanto era stata la controparte ad affermare che vi sarebbe, nel caso in esame, la disponibilità delle necessarie superfici idonee in applicazione dei criteri di legge, era alla stessa controparte che incombeva l'onere della prova sul punto; - la sentenza impugnata invece ha ritenuto che l'onere della prova incombeva in toto sulla ricorrente, e che il responsabile del procedimento avrebbe richiesto l'integrazione della documentazione con nota dd. 06.11.2020, evasa dalla ricorrente con la dichiarazione dd. 09.11.2020, ritenuta appunto non sufficiente; - la sentenza è errata sul punto; - considerando la novità della disciplina che prevede la possibilità, per gli operatori economici, di avanzare richiesta alla Giunta provinciale per l'individuazione e la previsione, nel PUC, di aree destinate al commercio al dettaglio da inserire nelle zone produttive (possibilità introdotta per la prima volta con L.P. n. 22 del 20.12.2017), nonché la complessità del procedimento amministrativo previsto e la mancanza di qualsiasi caso precedente, deve ritenersi che la P.A. (il responsabile del procedimento), omettendo di richiedere un'ulteriore integrazione della documentazione, abbia palesemente violato il principio di buon andamento dell'amministrazione, e la sentenza avrebbe dovuto riconoscere la fondatezza della relativa doglianza. 3.2 Sotto un secondo profilo parte appellante sostiene che: - la ricorrente aveva censurato il parere/ la delibera anche laddove, per la conclusione negativa, era stato dato maggiore rilievo alla natura economica del progetto, anziché limitarsi all'aspetto urbanistico; - la sentenza ha ritenuto di rigettare tale doglianza, in quanto non si tratterebbe della motivazione principale per il rigetto, e, inoltre, l'attenta valutazione dell'impatto "commerciale" esercitato dal richiesto insediamento sarebbe stata imposta dalla disciplina urbanistica che governa la fattispecie, che connetterebbe i due aspetti; - tale "interpretazione" della sentenza impugnata non corrisponde all'effettivo quadro giuridico, in quanto la finalità (di natura commerciale) di insediare ovvero ampliare in zona produttiva un centro commerciale, non può far prevalere considerazioni prettamente commerciali nell'ambito di un procedimento (quello in esame) che persegue la finalità esclusivamente urbanistica di individuare e prevedere nel piano comunale aree destinate al commercio al dettaglio in zona produttiva; - tanto più che, nella fattispecie, come esposto, si ritengono inadeguati i dati sui quali si basa l'assunto della P.A. dell'impatto negativo che l'iniziativa (di soli 3.694 mq) avrebbe sulla rete commerciale e sul contesto sociale di Bolzano (con più di 100.000 abitanti). 4. Il quarto motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione della richiamata normativa provinciale sul procedimento per l'individuazione di superfici per il commercio al dettaglio all'interno delle zone produttive. Vizio di motivazione sul punto. Parte appellante sostiene che: - nell'ottavo motivo di impugnazione la parte ricorrente aveva denunciato l'insufficienza ed arbitrarietà della motivazione della delibera impugnata n. 178/2021 con riferimento al procedimento amministrativo complessivamente considerato; - a fronte di copiosissima documentazione prodotta dalla parte ricorrente nell'ambito del procedimento amministrativo, che adempie alle moltissime prescrizioni della procedura tesa alla previsione di aree adibite al commercio al dettaglio in zona produttiva (previgente art. 19, commi 11 ss,. L.P. 13/1997, e vigenti artt. 33, comma 8, e 53, commi 11 ss., L.P. 9/2018), la motivazione della delibera impugnata si basava in sostanza esclusivamente sull'asserita disponibilità, nelle aree residenziali, di superfici idonee per la realizzazione del progetto in esame, peraltro basata su dati dubbi; - un tale macroscopico sbilanciamento nell'importanza che era stata attribuita ai singoli parametri/ presupposti si risolveva in un vizio di motivazione e in eccesso di potere per evidente sviamento; - la sentenza impugnata, sul punto, ha semplicemente ribadito che l'inesistenza di aree disponibili in altre zone è da considerarsi presupposto indefettibile per l'individuazione, nel PUC, di aree adibite al commercio al dettaglio in zona produttiva; - in assenza di tale condizione non sarebbe nemmeno stato necessario esaminare i parametri di valutazione di cui all'art. 53, comma 14 ss., L.P. 9/2018; - al di là della contestazione che non è stato provato e non esiste nelle zone residenziali di Bolzano una superficie unitaria idonea all'insediamento della superficie richiesta, si è altresì eccepito che la P.A. ha basato la propria convinzione e motivazione contraria sui dati del c.d. strumento GEOANALYSE, che si ritengono insufficienti ed inidonei al fine per le ragioni già elencate; - proprio la palese inidoneità dei dati posti alla base del (praticamente unico) motivo di rigetto della domanda della parte ricorrente avrebbe dovuto indurre la P.A. a valutare, in un'ottica di insieme, anche tutti gli altri dati e parametri forniti dalla società Co. Ce. s.r.l.; - omettendo del tutto qualsiasi ulteriore valutazione deve ritenersi viziata la motivazione della delibera sul punto. 5. Si è costituta in giudizio la Provincia autonoma di Bolzano chiedendo il rigetto dell'appello. In via preliminare la difesa della PAB ha evidenziato le seguenti circostanze: - la presente vicenda si inserisce nell'ambito della più ampia controversia riferita al centro commerciale CENTRUM di Bolzano; - era già pendente il ricorso avente ad oggetto la legittimità delle comunicazioni dd. 20.03.2012 della società Generalmarket s.r.l. di inizio di attività di commercio al dettaglio su una superficie di complessivamente (1.300 + 4.800 =) 6.100 mq all'interno del CENTRUM; - con ordinanza n. 8/2016 il Trga ha sospeso gli impugnati provvedimenti di rigetto del Comune; - la causa era stata quindi rinviata a data da destinarsi, in attesa delle pronunce del Consiglio di Stato sulla portata del Piano di rischio aeroportuale per il CENTRUM; - la domanda di variazione urbanistica qui in contesa riguarda ulteriori 14 esercizi (che sarebbero quasi tutti di vicinato) previsti su ulteriori 3.694 mq; - l'eventuale accoglimento della modifica urbanistica de quo determinerebbe la nascita di un centro commerciale di quasi 10.000 mq di superficie di vendita, di fronte al quale una valutazione socio-economica nonché ambientale deve essere assai rigorosa; - occorrerebbe prendere in considerazione l'effetto cumulativo dei progetti collegati anche al fine di verificare la necessità o meno di una VIA. 6. Nel costituirsi in giudizio, il Comune di Bolzano ripropone l'eccezione di inammissibilità del ricorso non esaminata dal primo giudice. L'eccezione di inammissibilità viene ancorata all'omessa notifica del ricorso introduttivo tanto al Comune di Bolzano quanto ad alcuno dei Comuni confinanti e al Consiglio dei Comuni in quanto tutti controinteressati. 7. L'appello è infondato. Siffatta circostanza esime il Collegio dalla necessità di esaminare l'eccezione di inammissibilità riproposta dal Comune di Bolzano in quanto questione assorbita. 8. È infondato il primo motivo di appello con il quale si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha rigettato i primi due motivi di ricorso in primo grado con i quali si sosteneva che la delibera impugnata sia illegittima perché si basava anche sul parere negativo del Comune di Bolzano (non richiesto dalla relativa procedura e viziato per incompetenza) e sul parere negativo del Comune di (omissis) (parimenti viziato di incompetenza). Correttamente il primo giudice ha ritenuto insussistente l'interesse a censurare asseriti vizi dei due pareri endo-procedimentali richiamati nell'atto deliberativo per due ordini di ragioni. Per un verso l'omessa notifica del ricorso ai Comuni che quei pareri hanno emanato. Ma soprattutto perché l'atto impugnato si fonda sui rilievi ostativi di natura tecnica e giuridica espressi nel parere obbligatorio della Commissione provinciale per il territorio e il paesaggio dd. 14.01.2021 che a sua volta, essendo oggetto dell'istanza una mera trasformazione d'uso, si richiama all'ampio e circostanziato parere negativo della Ripartizione Economia dd. 16.12.2020 che dà rilievo all'accertata carenza del presupposto imprescindibilmente richiesto dall'art. 33, comma 8, della L.P. 9/2018 (ovvero: assenza di altre superfici idonee disponibili nelle alte aree cittadine) per questo tipo di variante. Quanto detto toglie fondamento alle censure che fanno leva sul fatto che almeno uno dei pareri non era previsto dalla procedura e che entrambi sarebbero stati emessi da enti non competenti. Del pari infondati sono gli argomenti che sostengono la non necessità del parere del Comune di Bolzano e stigmatizzano il fatto che nella delibera se ne sia tenuto conto. A parte il fatto che acquisire un parere non significa fondare una decisione su detto parere (si vedano le considerazioni prima esposte), non ha costrutto criticare la scelta di ascoltare i Comuni destinati a subire l'impatto degli effetti del provvedimento richiesto dal privato. 9. È infondato il secondo motivo di appello con il quale la sentenza impugnata viene criticata nella parte in cui ha rigettato il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso in primo grado (censure contro il parere negativo espresso dall'Ufficio provinciale Commercio - Ripartizione Economia in data 16.10.2020). 9.1 Nel parere dell'Ufficio provinciale Commercio - Ripartizione Economia si legge testualmente: "1. Si premette in linea di principio, che la previsione di aree per il commercio al dettaglio nelle zone produttive è possibile come ultima e ulteriore attività e solo dopo che la richiedente/parte interessata abbia verificato che nelle zone residenziali non vi siano locali idonei all'insediamento dell'esercizio commerciale/degli esercizi commerciali da attivare nella zona per insediamenti produttivi. Pare evidente, nel caso in oggetto, che tale verifica non sia stata fatta in considerazione del fatto che il progetto di previsione presentato riguarda l'insediamento di circa 14 esercizi commerciali per un totale di 3.694 mq. di superficie di vendita. Appare poco credibile che per un tale numero di esercizi, per la quasi totalità da classificare di vicinato, non si riescano a reperire adeguati locali nelle zone residenziali del comune di Bolzano, nelle quali è risaputo, quanti locali di vendita risultano inutilizzati. Tale puntuale verifica, è necessaria/obbligatoria e propedeutica alla previsione di aree per il commercio al dettaglio nelle zone produttive, ai sensi del comma 8 dell'articolo 33 della LP n. 9/2018 recita: "...sono individuate apposite aree nel piano comunale per il territorio e il paesaggio secondo la procedura di cui all'articolo 53, commi 11, 12, 13 e 14., purché non esistano aree disponibili e di adeguate dimensioni all'interno del centro storico, delle zone residenziali e delle zone di riqualificazione urbanistica del Comune o dei Comuni interessati dai relativi impatti.". Nel caso in oggetto pertanto non può essere esperita tale previsione in quanto non sono state fornite le necessarie informazioni sul punto. Per la valutazione del progetto, in particolare per la rilevazione dei locali inutilizzati nelle zone residenziali e delle frequenze, ci si è avvalsi anche del Geoanalyse che è uno strumento digitale sviluppato da una impresa di consulenza KPMG (incaricata da HDS che la Provincia ha contribuito a finanziare) che permette di valutare mediante algoritmi gli impatti che conseguono all'insediamento di nuovi esercizi. Tale strumento è a disposizione di interessati privati o enti pubblici. Con lo strumento Geoanalyse sono stati rilevati nella città di Bolzano, numerosi e diversi locali inutilizzati anche nelle zone residenziali, adeguati a potervi insediare le attività di commercio al dettaglio di cui al presente progetto. (omissis) 3. Di strategica importanza per il commercio al dettaglio per il comune di Bolzano nonché per l'intera provincia, è la prossima realizzazione del WaltherPark Il progetto prevede la riqualificazione e una valorizzazione del quartiere fra la stazione ferroviaria, piazza Verdi e piazza Walther. Il complesso comprende infrastrutture e soluzioni urbanistiche per un centro commerciale nel centro di Bolzano con una superficie di vendita di 20.000 mq (omissis) 4. Si ritiene pertanto che lo sviluppo del commercio al dettaglio per il comune di Bolzano e l'intera provincia, potrà essere positivamente supportato da questi due sopradescritti importanti progetti di riqualificazione urbana. Altri ed ulteriori insediamenti nelle zone per insediamenti produttivi, come la richiesta in oggetto, sarebbero palesemente in contrasto con gli obiettivi perseguiti della politica commerciale della Provincia autonoma di Bolzano, e giustificabili solo se per assurdo nuovi esercizi non potessero insediarsi nelle zone residenziali dei comuni interessati". 9.1.1 Infondata è la riproposizione degli argomenti sollevati nel terzo motivo di ricorso in primo grado. In definitiva, il parere pone in evidenza due elementi utili a fondare il mancato accoglimento della modifica urbanistica richiesta: a) la mancata dimostrazione di superfici di vendita insufficienti agli scopi commerciali richiesti dalla ricorrente nelle zone residenziali e di riqualificazione di Bolzano; b) la possibilità offerta dal nuovo centro commerciale WaltherPark, in pieno centro, di ospitare le superfici commerciali. Al contrario di quanto affermato da parte appellante, il parere non appare contraddittorio: esso fornisce un'analisi plausibile del fabbisogno commerciale e spiega le ragioni per le quali, rispetto alla situazione descritta, non aveva costrutto accogliere la richiesta avanzata da parte appellante. 9.1.2 Infondata è la riproposizione degli argomenti sollevati nel quarto motivo di ricorso in primo grado. L'ampio stralcio del parere dianzi riportato toglie fondamento alla tesi esposte dall'appellante. Nel parere sono esposte le ragioni che impedivano di dare esito positivo alla domanda. L'appellante ritiene di aver dato prova della indisponibilità di locali idonei nelle zone residenziali. Ma come ribadito dal primo giudice le due scarne dichiarazioni, oltretutto non avallate da documentazione a supporto, non possono ritenersi sufficienti ad integrare nemmeno un principio di prova al riguardo (sul punto si tornerà nel prosieguo). L'appellante sostiene che il progetto de quo non poteva realizzarsi su 14 spazi di dimensione ridotte sparsi nelle zone residenziali, ma presupponeva uno spazio unico, o perlomeno nello stesso edificio, nel quale realizzare (o meglio ampliare) appunto un centro commerciale. Ma nel parere si cita la realizzazione del WaltherPark, ovvero di quello spazio unico cui si fa riferimento. 9.1.3 Infondata è la riproposizione degli argomenti sollevati nel quinto motivo di ricorso in primo grado che facevano leva sugli asseriti limiti dello strumento GEOANALYSE. Come si è detto, GEOANALYSE è uno strumento digitale sviluppato da una impresa di consulenza KPMG (incaricata da HDS che la Provincia ha contribuito a finanziare) che permette di valutare mediante algoritmi gli impatti che conseguono all'insediamento di nuovi esercizi. L'appellante muove ad esso critiche generiche senza fornire (come già detto) neanche un principio di prova circa l'esistenza di risultanze contrarie a quanto emerso con l'analisi condotta con GEOANALYSE. Peraltro, il quinto motivo di ricorso ribadiva l'asserita mancanza di uno spazio unico, affermazione smentita dal riferimento, già illustrato, al WaltherPark. 9.1.4 Infondata è la riproposizione degli argomenti sollevati nel sesto motivo di ricorso in primo grado con il quale si criticava il riferimento ai due grandi progetti di rivalutazione urbana. Come già più volte ripetuto, il parere dell'Ufficio provinciale Commercio - Ripartizione Economia fornisce un'analisi plausibile del fabbisogno commerciale e spiega le ragioni per le quali, rispetto alla situazione descritta, non aveva costrutto accogliere la richiesta avanzata da parte appellante. 9.2 Infondato è il secondo profilo del secondo motivo di appello con il quale si censura la sentenza nell'insieme per aver respinto in maniera unitaria il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso in primo grado. Occorre preliminarmente rilevare che il Collegio, in precedenza, ha analizzato e ritenuto infondato il contenuto di detti motivi. Anche alla luce di detta analisi, non può essere condivisa la tesi proposta da parte appellante secondo cui la sentenza impugnata avrebbe travisato i fatti presupposti (sia le prove fornite dalla ricorrente sulla mancanza di superfici idonee nelle zone residenziali, che l'insufficienza delle controprove fornite dalla P.A.), e violato il dettato normativo incorrendo in vizio di motivazione per arbitrarietà ed illogicità sotto diversi aspetti. Il primo giudice, nell'analizzare i ridetti motivi, ha correttamente individuato il nucleo centrale della motivazione della delibera impugnata nel parere negativo espresso dalla Commissione provinciale per il territorio e il paesaggio, che la Giunta espressamente "fa proprio". Detto parere tecnico negativo è motivato dal fatto dirimente che la dichiarazione del richiedente concernente la disponibilità di superfici in altre zone sia da considerarsi del tutto insufficiente. Tale parere afferma che: "La dichiarazione presentata dal richiedente circa la disponibilità di terreni in altre aree è da ritenersi inadeguata. Il richiedente dovrà fornire evidenza dell'indisponibilità di aree oggetto di bonifica o riqualificazione urbana. Non è necessario dimostrare in questa sede che non esistono spazi di proprietà privata, ma anzitutto che non esiste una disponibilità generale di spazi fisici adatti al commercio al dettaglio. Se tale disponibilità fisica esiste, occorre poi dimostrare che la disponibilità giuridica non esiste a causa della riluttanza di terzi ad agire sulla messa a disposizione dei locali". Il primo giudice ha in ogni caso rilevato che anche il parere della Ripartizione provinciale Economia (ampiamente analizzato in precedenza) si incentra principalmente sulla mancanza del presupposto di cui all'art. 33, comma 8, della L.P. n. 9 del 2018, che subordina l'individuazione di apposite aree nel piano comunale da destinare all'esercizio del commercio al dettaglio nelle zone produttive alla seguente condizione: "...purché non esistano aree disponibili e di adeguate dimensioni all'interno del centro storico, delle zone residenziali e delle zone di riqualificazione urbanistica del Comune o dei Comuni interessati dai relativi impatti". Sulla base di queste premesse il Trga ha ritenuto che il parere della Ripartizione provinciale Economia sia in linea con le finalità della legge provinciale n. 9/2018: le zone produttive devono essere destinate, in via principale, all'insediamento di attività artigianali, industriali, di commercio all'ingrosso, nonché alla trasformazione e conservazione di prodotti agricoli (art. 27,comma 1, della legge provinciale n. 9 del 2018), mentre l'attività di commercio al dettaglio vi è ammessa in via residuale e del tutto eccezionale. La finalità del legislatore provinciale è proprio quella di mantenere/preservare il commercio al dettaglio nelle zone del centro storico, residenziali e delle nuove zone di riqualificazione urbanistica. Il Trga si sofferma quindi sulla irrilevanza delle dichiarazioni presentate dalla ricorrente in merito al presupposto dell'indisponibilità di aree di adeguate dimensioni all'interno del centro storico, delle zone residenziali e delle zone di riqualificazione urbanistica del Comune o dei Comuni interessati dai relativi impatti, partendo anche dalla natura della società Co. Ce. s.r.l. Il Trga svolge una motivazione razionale e coerente. Non travisa nulla, non viola il dettato normativo, non è né arbitraria né illogica. 9.3 Infondato è il terzo profilo del secondo motivo di appello con il quale si torna sulle dichiarazioni presentate dalla ricorrente in merito al presupposto dell'indisponibilità di aree di adeguate dimensioni all'interno del centro storico (parere tecnico del geom. Ni. dd. 06.06.2020 e dichiarazione della parte istante stessa datata 09.11.2020). Come già detto, va condivisa la posizione sostenuta dal primo giudice: l'onere della prova ricade in capo a colui che richiede la modifica d'ufficio del PUC, trattandosi di un requisito indispensabile ai fini dell'accoglimento della domanda. Le due scarne dichiarazioni, oltretutto non avvallate da documentazione a supporto, non possono ritenersi sufficienti ad integrare nemmeno un principio di prova al riguardo. Incombe sulla parte che agisce in giudizio l'onere di indicare e provare specificamente i fatti posti a base delle pretese avanzate, in base al principio generale, applicabile anche al processo amministrativo, dagli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. Se è vero, infatti, che nel processo amministrativo (di tipo impugnatorio) il sistema probatorio è retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice, è altrettanto vero che, in mancanza di una prova compiuta a fondamento delle proprie pretese, il ricorrente debba soddisfare quanto meno un principio di prova (Cons. Stato, sez. VI, 21/06/2022, n. 5090). Tanto più nella fattispecie in esame, dove deve farsi applicazione del principio (o della regola) della vicinanza della prova, trattandosi di fatti - quelli da provare - che sono all'evidenza più prossimi alla parte privata di quanto non siano alla parte pubblica. 9.4 Infondato è il quarto profilo del secondo motivo di appello con il quale si torna sulle critiche allo strumento GEOANALYSE e sulla mancanza di uno spazio unico. Gli argomenti proposti sono già stati ritenuti privi di fondamento in precedenza. 9.4 Infondato è il quinto profilo del secondo motivo di appello con il quale si critica la sentenza impugnata laddove afferma che la domanda per l'individuazione di superfici per il commercio al dettaglio nelle zone produttive potrebbe essere avanzata solo da imprese o consorzi "commerciali", e non si potrebbe prescindere dalla "chiara individuazione del soggetto direttamente interessato" il quale dovrebbe altresì dimostrare di avere un "interesse e bisogno concreto ed attuale". Il Trga ha fornito una interpretazione sistematica e teleologica della normativa rilevante. Proprio questo tipo di interpretazione l'ha portata correttamente a concludere che la domanda volta a ottenere una modifica del PUC di Bolzano, in deroga al generale divieto di commercio al dettaglio nelle zone produttive non può prescindere dalla chiara individuazione del soggetto direttamente interessato, in forma singola, associata o sinergica che sia, all'esercizio dell'attività commerciale, il quale deve dimostrare di non trovare nell'ambito delle zone di centro e residenziali, adeguati spazi insediativi, non essendo invero sufficiente, in relazione alle finalità di tutela perseguite dalla disciplina applicabile, la semplice domanda proposta da un'impresa votata al perseguimento di interessi di natura "immobiliaristica", suffragata dalla mera affermazione dell'insussistenza, nelle zone di centro e residenziali, di spazi commerciali, adeguati rispetto alle "mire" imprenditoriali da quest'ultima inseguite. 10. È infondato il terzo motivo di appello con il quale si ripropone il settimo motivo di ricorso in primo grado con il quale la delibera giuntale n. 178/2021 era stata censurata nella parte in cui la stessa richiamava, in toto, facendolo proprio, il parere della Commissione provinciale per il territorio e il paesaggio dd. 14.01.2021. Nella sostanza si ripropongono censure in ordine alle affermazioni operate dal primo giudice in ordine al soggetto cui spettava di provare l'assenza di altre aree idonee (con connesse critiche all'operato dell'Amministrazione che avrebbe omesso di chiedere integrazioni alle dichiarazioni presentate). Si tratta di argomenti già dichiarati infondati in precedenza. Riguardo l'operato dell'Amministrazione è utile ricordare una circostanza. Nella narrativa dell'atto di appello si legge quanto segue: "10) Ancora, con missiva datata 06.11.2020 (doc. 09) l'Ufficio Pianificazione Territoriale della Provincia comunicava all'istante il parere del Comune di Bolzano del 21.10.2020 in cui si affermava che la dichiarazione a firma del Geom. Ni. sulla assenza di aree disponibili ai sensi dell'art. 33 comma 8 della L.P. 9/2018 non sarebbe suffragata da elementi documentali. 11) Ad evasione di tale contestazione la società istante, infine, inviava all'Ufficio Pianificazione Territoriale della Provincia la propria dichiarazione datata 09.11.2020 in cui specificava che le uniche aree disponibili e di adeguate dimensioni, di proprietà e nel Comune di Bolzano erano le p.edd. (omissis) in C.C. (omissis), costituenti l'areale denominato (omissis) in Via (omissis) a Bolzano (PEC dd. 04.10.2020 con dichiarazione - doc. 10)". La stessa appellante ammette, pertanto, che la seconda dichiarazione è stata inoltrata perché l'Amministrazione aveva ritenuto non provato quanto affermato nella prima. Ne discende che l'Amministrazione si è attivata per consentire all'appellante di fornire prova di quanto dalla stessa affermato. 10.1 L'appellante ripropone anche la censura secondo la quale il parere della Commissione provinciale per il territorio e il paesaggio aveva dato maggiore rilievo alla natura economica del progetto, anziché limitarsi all'aspetto urbanistico. Il Collegio ritiene che il Trga abbia correttamente rilevato che non si tratta della motivazione principale del parere negativo e che, in ogni caso, l'attenta valutazione dell'impatto "commerciale" esercitato dal richiesto insediamento è imposta dalla disciplina urbanistica che governa la fattispecie. 11. È infondato il quarto motivo di appello, con il quale si ripropone l'ottavo motivo di ricorso in primo grado, con il quale si denunciava l'insufficienza ed arbitrarietà della motivazione della delibera impugnata n. 178/2021 con riferimento al procedimento amministrativo complessivamente considerato. L'atto amministrativo deve recare l'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che ne hanno determinato l'adozione in relazione alle risultanze dell'istruttoria, con la conseguenza che sussiste il difetto di motivazione allorquando non è possibile ricostruire il percorso logico giuridico seguito dall'Autorità emanante e sono indecifrabili le ragioni sottese alla determinazione assunta (Cons. Stato, sez. V, 06/12/2022, n. 10681). Nel caso impugnato non sussiste alcun difetto di motivazione perché l'atto impugnato consente di ricostruire il percorso logico giuridico seguito dall'Autorità emanante e sono ben decifrabili le ragioni sottese alla determinazione assunta. In ogni caso, sul punto, correttamente il primo giudice ha affermato che: - l'inesistenza di aree disponibili e di adeguate dimensioni all'interno del centro storico, delle zone residenziali o di quelle di riqualificazione urbanistica è previsto dalla vigente normativa urbanistica (così come da quella previgente) come un presupposto indefettibile per l'individuazione di apposite aree nel PUC da adibire a commercio al dettaglio nelle zone produttive; - l'art. 33, comma 8, della legge provinciale n. 9 del 2018 subordina l'individuazione di apposite aree da destinare al commercio al dettaglio nelle zone produttive alla seguente condizione: "...purché non esistano aree disponibili e di adeguate dimensioni all'interno del centro storico, delle zone residenziali e delle zone di riqualificazione urbanistica del Comune o dei Comuni interessati dai relativi impatti"; - in assenza del suddetto presupposto non occorreva neppure esaminare i parametri di valutazione indicati nell'art. 53, comma 14, della stessa legge; - è lo stesso legislatore provinciale, non gli organi e uffici provinciali, ad attribuire al requisito dell'indisponibilità di aree in altre zone, un peso assolutamente preponderante a tale requisito, considerandolo presupposto essenziale per poter dare luogo alla modifica d'ufficio di cui si tratta; - la motivazione della deliberazione impugnata non appare sbilanciata, nel punto in cui dà peso preponderante alla mancanza di un requisito essenziale previsto dalla normativa vigente in materia. 12. Alla luce di quanto esposto, correttamente il Trga ha respinto la domanda di risarcimento dei danni, legata agli effetti degli atti impugnati giudicati legittimi, per cui non ricorre il presupposto cardine ai sensi dell'art. 2043 c.c. di un danno ingiusto. 13. Per tutte le ragioni richiamate, l'appello deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore della Provincia autonoma di Bolzano, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila\00), oltre accessori dovuti per legge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di Bolzano, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila\00), oltre accessori dovuti per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere Giovanni Pascuzzi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1036 del 2024, proposto da Fr. De Si., rappresentato e difeso dall'avvocato Ci. Ba., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Si. e Pa. Ra., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; nei confronti di An. Ma. Dal Ce. ed altri per il Sostentamento del Clero di Verona, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza n. 845 del 2023 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Brescia, Sezione Seconda. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2024 il Cons. Eugenio Tagliasacchi; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in epigrafe, il signor Fr. De Si. ha impugnato la sentenza n. 845 del 2023 del T.a.r. Lombardia - Brescia che ha respinto il ricorso dal medesimo proposto per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di (omissis) sull'istanza presentata in data 22 dicembre 2021 e del conseguente obbligo del Comune stesso di concludere il procedimento avviato con le note prot. n. 4383 e n. 4384 del 23 maggio 2022. 2. Con l'anzidetta istanza, il ricorrente in primo grado, odierno appellante, ha segnalato all'amministrazione comunale l'abbandono di materiale, di presumibile provenienza edile, sulla strada vicinale (omissis), sita nel territorio del Comune di (omissis) e costituente la via di accesso agli immobili di sua proprietà, catastalmente identificati al foglio (omissis), mappali n. (omissis) e n. (omissis). Occorre altresì rilevare che il Tribunale ordinario di Brescia, adito dal signor De Si., con sentenza n. 397 del 2023, passata in giudicato, aveva accertato l'uso pubblico sulla strada vicinale, respingendo tuttavia l'ulteriore domanda intesa a ottenere la costituzione di un apposito consorzio obbligatorio per la manutenzione della strada stessa. 3. A fronte della segnalazione del 22 dicembre 2021, il responsabile del Settore sviluppo territoriale del Comune di (omissis), dopo aver compiuto un sopralluogo, ha inviato tanto al signor De Si. quanto ai proprietari dei fondi siti lungo la strada vicinale le note prot. n. 4383 e n. 4384 del 23 maggio 2022, per il cui tramite è stata data comunicazione dell'avvio del procedimento finalizzato alla verifica delle autorizzazioni per il rifacimento della massicciata stradale di via (omissis) in corrispondenza dei mappali (omissis) del foglio (omissis), realizzato mediante l'impiego "di materiali di riciclo di demolizione di fabbricati". 4. Successivamente, con la nota prot. n. 6848 del 9 agosto 2022, il Comune chiedeva all'Arpa di provvedere all'analisi e alla classificazione del materiale rinvenuto sulla strada, senza tuttavia ottenere riscontro e, dopo essersi rivolto anche al Consorzio Ce. Du., procedeva autonomamente a tali verifiche. Con l'ulteriore nota del 12 dicembre 2022 comunicava ai controinteressati che il predetto materiale era classificabile come rifiuto e che le opere risultavano eseguite in assenza di autorizzazione; contestualmente i frontisti venivano invitati a dimostrare che il materiale de quo aveva perso la qualità di rifiuto in conformità col D.M. 15 luglio 2022 n. 278 e col D.M. 27 settembre 2022 n. 152; veniva quindi concesso l'ulteriore termine di trenta giorni, decorso il quale il Comune avrebbe adottato una "ordinanza di ripristino ambientale ai sensi del D.lgs 152- 2006", con conseguente rimozione a cura e spese dei proprietari dei terreni. 5. A fronte della mancata conclusione del procedimento, dunque, il signor Fr. De Si. ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio avverso il silenzio ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a.. 6. Il T.a.r. Lombardia - Brescia ha respinto il ricorso, poiché, pur riconoscendo che il Comune era tenuto ad avviare le verifiche sul materiale e la conseguente procedura di rimozione ex art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, ha negato che sussista un obbligo di concludere il procedimento entro un termine predeterminato, trattandosi "di un procedimento complesso, che implica l'intervento di soggetti con competenze tecniche specialistiche (ARPA o privati qualificati), la ricerca degli autori dell'abbandono dei rifiuti, e nel caso delle strade vicinali l'accertamento delle eventuali responsabilità dei frontisti". Il Tribunale ha, poi, osservato che il Comune deve verificare se l'eventuale presenza di contaminazioni nel suolo debba dare avvio anche alle ulteriori valutazioni di cui all'art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 in vista della bonifica e, a tale proposito, ha ritenuto che "la gestione e il coordinamento di questi adempimenti non sono compatibili con la presenza di un termine tassativo per la conclusione del procedimento, e non consentono di utilizzare per analogia gli ordinari termini procedimentali". Sotto un diverso profilo, il T.a.r. ha ritenuto che il soggetto che segnala l'abbandono di rifiuti non sia titolare di un'aspettativa qualificata a essere parte del procedimento complesso de quo e non possa, a maggior ragione, "scandirne la tempistica", non potendosi riconoscere una sua posizione differenziata rispetto a quella del resto della collettività . Infine, ad avviso del T.a.r., il Comune non sarebbe comunque rimasto inerte, essendosi infatti attivato sia presso l'Arpa sia presso "i soggetti che almeno apparentemente potrebbero aver sistemato la strada vicinale con materiali provenienti da demolizioni edilizie" e decidendo, poi, di procedere autonomamente alla caratterizzazione dei rifiuti, trattandosi, peraltro, di un presupposto necessario per ulteriori indagini e valutazioni. Per queste ragioni, il T.a.r., con la sentenza n. 845 del 2023, ha ritenuto che lo strumento di controllo a disposizione del ricorrente nel caso di specie sia da individuarsi esclusivamente nell'accesso civico generalizzato e ha conseguentemente rigettato del ricorso. 7. Avverso tale sentenza, l'appellante ha proposto quattro distinte censure. 8. Con il primo motivo, censura la pronuncia nella parte in cui ha negato che vi sia un termine per la conclusione del procedimento. Secondo l'appellante, infatti, se è previsto un dovere di provvedere deve necessariamente sussistere anche un obbligo di conclusione del procedimento entro un termine, perentorio o ordinatorio. Nel caso di specie, il T.a.r. ha effettivamente riconosciuto l'obbligo del Comune di procedere alla verifica del materiale rinvenuto sulla strada e di attivare, conseguentemente, la procedura di rimozione, ex art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, sicché, in assenza di una disciplina speciale, avrebbe dovuto trovare applicazione il termine di trenta giorni previsto dall'art. 2, l. n. 241/1990. Sul punto, l'appellante obietta che sono del tutto generiche le considerazioni del T.a.r. circa la complessità del procedimento, posto che siffatta complessità potrebbe incidere a tutto concedere sulla durata del procedimento stesso, ma non sull'esistenza di un termine. Sotto un diverso profilo, osserva che il termine di conclusione del procedimento era stato stabilito in trenta giorni direttamente dal Comune stesso, in via di autovincolo, mediante la comunicazione di avvio del procedimento, fermo restando che sarebbe pacificamente illegittima una sospensione sine die, posto che assumerebbe "valore meramente soprassessorio". 9. Con il secondo motivo di gravame, deduce l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che il T.a.r. avrebbe dovuto affermare l'obbligo dell'amministrazione di esercitare i poteri di vigilanza e sanzione previsti in materia edilizia e paesaggistica dagli artt. 27, D.P.R. n. 380/2001 e 181, d.lgs. n. 42/2004 nel termine di trenta giorni dall'avvio del procedimento, posto che il Comune aveva riconosciuto il carattere abusivo della manomissione del suolo stradale, attraverso il rifacimento della massicciata in zona paesaggistica e in assenza di autorizzazione. Infatti, in tale prospettiva, l'eventuale riconduzione dell'illecito ad una pluralità di discipline (edilizia, paesaggistica e ambientale) non elide i poteri sanzionatori del Comune e non implica alcun "assorbimento", sicché la presenza di rifiuti non può escludere la rilevanza dell'abuso sul piano edilizio e paesaggistico. Inoltre, secondo l'appellante, il T.a.r. avrebbe dovuto anche valutare la rilevanza della disciplina del codice della strada con il conseguente potere di vigilanza del Comune in relazione al divieto di danneggiare le opere stradali o creare pericolo per la circolazione, nonché di scaricare materiale o depositare rifiuti. 10. Con il terzo motivo di gravame, l'appellante deduce ulteriori profili di insufficienza e contraddittorietà della motivazione, contestando la tesi, sostenuta dal T.a.r., secondo cui il soggetto che segnala l'abbandono di rifiuti non sarebbe titolare di un'aspettativa qualificata né di una posizione differenziata, potendo, dunque, avvalersi del solo accesso civico. Tale statuizione, ad avviso dell'appellante, sarebbe un mero obiter dal momento che il T.a.r. si è pronunciato nel merito senza definire il giudizio con una pronuncia in rito. In ogni caso, la posizione qualificata e differenziata del ricorrente odierno appellante sarebbe comunque pacifica, trattandosi del proprietario di un fondo limitrofo alla strada interessata dall'abuso: non si potrebbero, infatti, porre sul medesimo piano la generica segnalazione della presenza di rifiuti in un'area pubblica e la situazione del signor De Si., che ha lamentato l'abusiva manomissione della carreggiata stradale dell'unica via di accesso alla sua abitazione. Per tale ragione, a differenza di quanto rilevato dal T.a.r., non verrebbe in rilievo un indifferenziato interesse pubblico ambientale, bensì, ben diversamente, un interesse qualificato del ricorrente a fronte della realizzazione di un abuso in prossimità della sua abitazione, suscettibile di incidere direttamente sull'unica via di accesso a tale immobile. 11. Infine, con il quarto motivo, espressamente subordinato, prospetta la violazione dell'art. 73 c.p.a. non essendo stata rilevata in udienza la questione concernente il difetto di una condizione dell'azione o l'assenza della posizione differenziata del ricorrente. 12. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), replicando alle censure proposte e chiedendo il rigetto dell'appello. L'amministrazione sostiene che non possa essere ravvisata una sua inerzia, tenuto conto che il primo sopralluogo era stato eseguito già in data 3 febbraio 2022, a fronte della segnalazione pervenuta il 22 dicembre 2021 e, all'esito dell'anzidetto sopralluogo, il Comune ha verificato che la strada era stata interessata nella sua ultima parte da lavori di rifacimento del manto stradale per circa ottanta metri, attraverso la posa di "materiale rullato e costipato, di pezzatura particolarmente minuta ed omogenea, evidentemente volto a migliorare la percorribilità della strada vicinale". Acclarato che l'intervento non era stato autorizzato, dunque, il Comune si era prontamente attivato, comunicando ai proprietari frontisti, con nota del 23 maggio 2022, l'avvio del procedimento per la verifica della regolarità dell'intervento stesso. L'amministrazione evidenzia ancora di essersi parimenti attivata per la verifica della natura del materiale, rivolgendosi dapprima all'Arpa e poi al Consorzio Ce. Du. della linea ferroviaria ad alta velocità Milano - Verona e procedendo, infine, a commissionare le analisi direttamente in proprio, pur trattandosi di un Comune che "ha 3.500 abitanti e mezzi limitati". Il Comune, per tali ragioni, respinge ogni contestazione circa una sua possibile inerzia. Sotto un diverso profilo, sostiene che il ricorrente odierno appellante non sia titolare di alcun interesse legittimo pretensivo, essendo privo di una posizione differenziata rispetto al resto della collettività . 13. Tanto premesso, il Collegio reputa che l'appello sia fondato e vada accolto, per le ragioni che di seguito si espongono. 14. In primo luogo, occorre rammentare che ai fini della sussistenza dell'obbligo di provvedere è sufficiente che l'istanza presentata dal privato sia non manifestamente infondata, come chiarito da Consiglio di Stato, Sez. III, 18 maggio 2020, n. 3118, secondo cui: "In presenza di una formale istanza l'amministrazione è tenuta a concludere il procedimento anche se ritiene che la domanda sia irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata, non potendo rimanere inerte: il legislatore, infatti, ha imposto alla P.A. di rispondere in ogni caso (tranne i casi limite di palese pretestuosità ) alle istanze dei privati nel rispetto dei principi di correttezza, buon andamento, trasparenza, consentendo alle parti di difendersi in giudizio in caso di provvedimenti lesivi dei loro interessi giuridici"; nonché, nel medesimo senso, Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 novembre 2016, n. 4836, che ha precisato: "Le istanze manifestamente infondate o reiterative di istanze analoghe, già respinte, non comportano, a carico dell'Amministrazione pubblica, l'obbligo di provvedere". Nel caso di specie, l'istanza di Fr. De Si. era di certo non manifestamente infondata atteso che il Comune ha confermato il carattere abusivo dell'intervento eseguito sulla strada. 15. Ciò posto, va ancora rilevato che è lo stesso Comune di (omissis) ad aver espressamente riconosciuto la sussistenza di un obbligo di conclusione del procedimento, dal momento che, con le note prot. n. 4383 e 4384 del 23 maggio 2022, ha previsto di concludere il suddetto procedimento entro il termine ordinario di trenta giorni, sicché la successiva pretesa dell'amministrazione di non essere tenuta a rispettare alcun termine integra un inammissibile venire contra factum proprium, contrastante con l'affidamento ingenerato dal medesimo Comune con le note appena richiamate. Sotto un diverso profilo, inoltre, non sono condivisibili le considerazioni espresse dal T.a.r. secondo cui non sarebbe possibile individuare un termine di conclusione del procedimento in ragione della complessità dello stesso e della conseguente necessità di un intervento di soggetti con competenze tecniche specialistiche, trattandosi di una prospettiva che, da un lato, non è compatibile con l'art. 2 della l. 241/1990 e, dall'altro lato, risulta priva di fondamento normativo. Da ultimo, come correttamente rilevato dall'appellante, è certamente ravvisabile in capo a quest'ultimo una posizione qualificata e differenziata, trattandosi di abusi che si riferiscono alla strada che costituisce l'immediata via di accesso all'immobile di sua proprietà . Sul punto, la sentenza del T.a.r. si discosta dal consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, ribadito anche in tempi molto recenti, secondo cui sussiste l'obbligo di provvedere a fronte della segnalazione di un abuso da parte del proprietario confinante; al riguardo, cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415, secondo cui: "L'amministrazione comunale ha l'obbligo di provvedere sull'istanza di repressione di abusi edilizi realizzati su area confinante formulata dal relativo proprietario; il proprietario confinante, in ragione dello stabile collegamento con il territorio che si esprime nel concetto di vicinitas, gode di una posizione differenziata e qualificata rispetto alla collettività, che lo legittima ad avanzare tale istanza, essendo direttamente inciso dagli effetti dannosi del mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi da parte dell'organo preposto; l'amministrazione pertanto è tenuta ad attivarsi con l'adozione delle misure rese necessarie dall'illegittima edificazione, ovvero adottando un provvedimento che spieghi esplicitamente le ragioni della scelta negativa inversa, che dia conto delle valutazioni effettuate in merito alla sussistenza o meno dell'abuso denunciato, con il risultato che il silenzio serbato sull'istanza integra gli estremi del silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell'obbligo di provvedere in modo espresso". In senso del tutto ana, e con specifico riferimento alle strade aperte al pubblico, cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. V, 16 giugno 2023, n. 5970, che ha precisato quanto segue: "Occorre peraltro considerare che nel caso di specie l'appellante era soggetto qualificato a richiedere gli interventi di messa in sicurezza della strada, in quanto, per l'appunto, titolare di una situazione di specifico e rilevante interesse, che la differenzia da quello generalizzato e ciò consente di enucleare un obbligo di provvedere in capo all'amministrazione comunale, specie in correlazione con il principio di buona fede, che permea (apertis verbis, a seguito della novella del 2020, che ha introdotto il comma 2-bis nel corpo dell'art. 1 della legge n. 241 del 1990) di sé i rapporti tra il soggetto privato e la pubblica amministrazione". 16. In definitiva, alla luce delle considerazioni che precedono, deve affermarsi l'obbligo del Comune di (omissis) di concludere il procedimento con un provvedimento espresso. Infatti, le attività finora opportunamente compiute dal Comune medesimo - quali l'esecuzione del sopralluogo e gli accertamenti circa la natura del materiale rinvenuto sulla strada - non esimono l'amministrazione dall'obbligo di conclusione del procedimento, tenuto conto, più in generale, degli obblighi che la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha recentemente riconosciuto sussistere in capo al Comune con riferimento alle strade aperte al pubblico transito; in questo senso, cfr. la già citata sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 16 giugno 2023, n. 5970. 17. L'appello deve essere dunque accolto. Per l'effetto - in riforma della sentenza impugnata - va dichiarata l'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di (omissis) sull'istanza presentata dall'odierno appellante il 22 dicembre 2021. Su tale istanza, il Comune è tenuto a pronunciarsi, con un provvedimento espresso e specifico, nel termine di giorni 30 (trenta) decorrenti dalla comunicazione ovvero, se anteriore, dalla notificazione della presente decisione. 18. Sussistono giuste ragioni per la compensazione delle spese processuali del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza, ordina al Comune di (omissis) di adottare, nei sensi indicati in motivazione, un provvedimento espresso sull'istanza presentata dal signor Fr. De Si. il 22 dicembre 2021 entro il termine di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione in via amministrativa o, se anteriore, dalla notifica della presente sentenza. Compensa le spese processuali del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere Eugenio Tagliasacchi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9051 del 2023, proposto da Consorzio Stabile Gr. La. S.C. A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9517442997, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Cl., Ma. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Cl. in Roma, via (...); contro Comune di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ni. Co., An. At., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Consorzio Stabile In. Scarl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del TAR Campania, Salerno, sez. I, n. 2516 del 10 novembre 2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Salerno e del Consorzio Stabile In. Scarl; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2024 il Cons. Gianluca Rovelli e uditi per le parti gli avvocati Cl., Fo., Co., At. e Mi.; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il Comune di Salerno ha indetto procedura di evidenza pubblica, ai sensi dell'art. 60 del d.lgs. 50/2016, per l'affidamento dei lavori di "Difesa, riqualificazione e valorizzazione della costa del Comune di Salerno - Ambito 2" per un importo a base di gara di Euro 38.246.133,55. 2. Il Consorzio Stabile Gr. La. S.C. A R.L. ha presentato domanda di partecipazione alla gara cui hanno preso parte altri due operatori economici. 3. La Commissione giudicatrice, esaminata la documentazione amministrativa e le offerte tecniche ed economiche, con verbale n. 6 del 6 aprile 2023, ha redatto la graduatoria finale in cui il Consorzio Stabile In. è collocato al primo posto con punti 97,701; il Consorzio Stabile Gr. La., con punti 95,596, al secondo posto. 4. La stazione appaltante, con determinazione n. 2394 del 19 maggio 2023, ha approvato gli esiti di gara e disposto l'aggiudicazione definitiva in favore del Consorzio In.. 5. Il Consorzio appellante, secondo graduato, in esito alla comunicazione prevista dall'art. 76 del d.lgs. n. 50/2016, ha inoltrato istanza di accesso documentale e ha quindi proposto ricorso al TAR sostenendo di avere accertato carenze dei requisiti di ammissione e non conformità dell'offerta tecnica dichiarata aggiudicataria rispetto alla disciplina di gara. 6. Il TAR Campania, Salerno, con sentenza della sez. I n. 2516 del 10 novembre 2023, ha respinto il ricorso. 7. Di tale sentenza, asseritamente ingiusta e illegittima, Consorzio Stabile Gr. La. S.C. A R.L. ha chiesto la riforma con rituale e tempestivo atto di appello alla stregua dei motivi così rubricati: "I - ERROR IN JUDICANDO - VIOLAZIONE DI LEGGE (ART. 83 COMMA 1 LETT. A) DEL D.LGS. 50/2016) - VIOLAZIONE DEI PUNTI 6.1 - 6.4 - 6.5 DEL DISCIPLINARE DI GARA - DIFETTO DI IDONEITÀ PROFESSIONALE DEL CONSORZIO AGGIUDICATARIO; II - ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE DI LEGGE (ART. 59 COMMA 3 LETT. A) DEL CODICE APPALTI - ART. 68 - 95 DEL D.LGS. 50/2016) -VIOLAZIONE DEL DISCIPLINARE DI GARA - ECCESSO DI POTERE (DIFETTO DI ISTRUTTORIA - CARENZA ASSOLUTA DEL PRESUPPOSTO); III - ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE DI LEGGE (ART. 59 COMMA 3 LETT. A) DEL CODICE APPALTI - ART. 68 - 95 DEL D.LGS. 50/2016) -VIOLAZIONE DEL DISCIPLINARE DI GARA - ECCESSO DI POTERE (DIFETTO DI ISTRUTTORIA - CARENZA ASSOLUTA DEL PRESUPPOSTO)". 8. Hanno resistito al gravame, chiedendone il rigetto, il Consorzio Stabile In. s.c.a.r.l. (che ha proposto anche appello incidentale) e il Comune di Salerno. 9. Alla udienza pubblica dell'11 gennaio 2024 il ricorso è stato trattenuto per la decisione. DIRITTO 10. Viene all'esame del Collegio il ricorso in appello proposto da Consorzio Stabile Gr. La. S.C. A R.L. avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Salerno, sez. I, n. 2516 del 10 novembre 2023 con la quale il medesimo TAR ha respinto il ricorso proposto avverso: a) la determina del Dirigente del Settore Ambiente del Comune di Salerno n. 2934 del 19 maggio 2023, con la quale è stata disposta l'aggiudicazione degli interventi di Difesa, riqualificazione e valorizzazione della costa del Comune di Salerno in favore del Consorzio Stabile In.; b) il provvedimento prot. 119491/2023 del 5 giugno 2023, recante l'attestazione di avvenuta efficacia della aggiudicazione; c) la proposta del RUP prot. n. 107693 del 18 maggio 2023 di aggiudicazione dei lavori in favore del Consorzio Stabile In.; d) tutti gli atti di gara e, in particolare, i verbali (da n. 1 a n. 6) nella parte in cui hanno ritenuto ammissibile e attribuito il punteggio alla offerta del Consorzio Stabile In.. 11. La decisione del primo Giudice si articola, in sintesi, nei seguenti punti: a) il requisito dell'iscrizione nel registro della CCIAA deve essere riferito al settore o all'attività intesa in senso ampio (ma coerente con l'oggetto dell'appalto da affidare); a.1.) nel settore dei lavori pubblici, il sistema di qualificazione SOA prevede il rilascio dell'attestazione per una determinata categoria previa verifica dell'esecuzione di lavori afferenti alla stessa, comprovando di conseguenza anche l'operatività dell'impresa nel sotto segmento di mercato corrispondente; a.2.) il par. 6.1 del disciplinare di gara richiedeva, quale requisito di idoneità professionale, "Iscrizione nel Registro delle Imprese oppure nell'Albo delle Imprese artigiane per attività coerenti con quelle oggetto della presente procedura di gara", requisito che doveva essere posseduto, secondo la previsione del par. 6.4 del medesimo disciplinare, "dal consorzio e dai consorziati indicati come esecutori"; a.3.) il Consorzio stabile In. e le consorziate esecutrici risultano iscritti nel registro delle imprese presso la CCIAA per attività di edilizia civile; il Consorzio stabile per servizi amministrativi in favore delle consorziate, lavori di costruzione di edifici residenziali e non residenziali, strade, autostrade, piste aeroportuali, la consorziata esecutrice Eu. per lavori edili e stradali (codici ATECO riferiti a costruzione di edifici residenziali e non residenziali, costruzione di strade, autostrade, piste aeroportuali) e la consorziata esecutrice In. per lavori edili in generale (codici ATECO riferiti a costruzione di edifici residenziali e non residenziali), includendo nell'oggetto sociale rispettivamente la realizzazione di opere marittime, di protezione, di difesa, di sistemazione idraulica e di bonifica (nel caso del Consorzio stabile), di lavori marittimi e di consolidamento (nel caso della consorziata esecutrice Eu.), di opere marittime e di difesa (nel caso della consorziata esecutrice In.) e risultando qualificati rispettivamente per le categorie OG7 e OG8 (nel caso del Consorzio stabile), OG7 (nel caso della consorziata esecutrice Eu.), OG8 (nel caso della consorziata esecutrice In.); a.4.) l'iscrizione per attività inerenti all'edilizia civile consente di ritenere integrato il predetto requisito, risultando tali attività coerenti con quella oggetto dell'appalto, afferente, alla luce della limitata descrizione riportata nel bando e nel disciplinare, a opere di riqualificazione della costa salernitana; le imprese in questione sono attive e operano concretamente nel macro settore dell'edilizia ovvero dell'edificazione di opere anche di carattere infrastrutturale; l'attività costruttiva presuppone una professionalità ampia, riferita alle capacità necessarie a porre in essere azioni di approvvigionamento, movimentazione, allocazione, fabbricazione e consolidamento, essenzialmente richieste anche ai fini dell'esecuzione della commessa in questione; a.5.) sono le stesse attestazioni SOA possedute dal Consorzio e dalle consorziate esecutrici, per le categorie a cui si riferiscono, a escludere ogni dubbio circa la loro operatività nello specifico settore oggetto dell'appalto e, comunque, circa la non estraneità di questo al loro ambito di attività ; b) in relazione alla prima cava (Ed. Ca.), la dichiarazione del 10 gennaio 2023 evidenzia la messa a disposizione di materiali lapidei sabbiosi idonei alla realizzazione provenienti dalla cava; in relazione alla seconda cava (An. Ma.), risultano correttamente prodotti i certificati dei risultati delle prove di laboratorio condotte dalla So. sui materiali provenienti dalla stessa; b.1.) con riferimento alla prima cava, il provvedimento del GIP del Tribunale di Salerno ha disposto il sequestro di due specifiche aree e non dell'intera cava, con la conseguenza che risulta giustificato l'ulteriore documento prodotto, con cui la società che gestisce la cava in questione comunica a un non meglio identificato soggetto che appare tuttavia estraneo alla procedura, l'impossibilità di evadere la richiesta di materiali perché l'attività è sospesa a causa di un fermo giudiziario: le ridotte possibilità di sfruttamento impediscono l'evasione di tutte le richieste estrattive ma ciò non consente di ritenere che non possano essere soddisfatte quelle già formulate dal controinteressato; anzi, è proprio la necessità di assolvere agli impegni già presi che preclude verosimilmente l'assunzione di ulteriori impegni nell'estrazione del materiale; c) l'allegato A al disciplinare di gara imponeva, in relazione al criterio di valutazione OTB, la disponibilità di un sito di stoccaggio; il disciplinare tecnico di cava, al par. 7.1, precisava che "Il sito di stoccaggio dovrà essere individuato e reso disponibile a cura e spese del fornitore ad una distanza massima di (omissis) km dall'area di cantiere come individuata negli elaborati di progetto e dovrà essere allestita una pesa dedicata al cantiere"; c.1.) Il Consorzio Stabile In., accanto a un sito principale dotato di capacità di immagazzinamento superiore a quella prevista, ha indicato ulteriori siti da ritenersi meramente ausiliari; il sito principale, stando alle elaborazioni del ricorrente sul punto non smentite dal controinteressato, si troverebbe a meno di (omissis) km in linea d'aria dall'area di intervento, con la conseguenza che risulta rispettata la previsione del disciplinare tecnico di cava laddove prevede che "Il sito di stoccaggio dovrà essere individuato e reso disponibile a cura e spese del fornitore ad una distanza massima di (omissis) km dall'area di cantiere come individuata negli elaborati di progetto e dovrà essere allestita una pesa dedicata al cantiere"; il disciplinare tecnico di cava non specifica le modalità di calcolo di tale distanza, che, pertanto, devono essere interpretate secondo un criterio di ragionevolezza e di favor partecipationis, alla luce dell'obiettivo di garantire la disponibilità, da parte dell'esecutore, di un sito di stoccaggio posto a non elevata distanza dall'area di intervento, obiettivo che ben può essere conseguito anche ammettendo che il calcolo della distanza possa avvenire secondo un criterio lineare e non legato alle caratteristiche delle strade utilizzabili e dei mezzi impiegati nonché alla contingente disciplina della circolazione; c.2.) il criterio di valutazione OTB era riferito all'"Organizzazione cantiere - Sistemi operativi e misure di organizzazione del cantiere in relazione agli obiettivi tecnico-qualitativi del lavoro per il conseguimento della maggiore sicurezza degli stessi. Modalità di approvvigionamento del materiale. Disponibilità di sito di stoccaggio del materiale"; con riferimento all'aspetto in questione era prevista la valutazione, in particolare, della "Struttura tecnica organizzativa da impiegare per la realizzazione dell'opera con indicazione del numero dei soggetti impiegati, profilo professionale, ruolo nell'organigramma di cantiere"; la specifica professionalità della struttura tecnico-organizzativa da impiegare costituiva solo uno dei profili da valutare nell'ambito del medesimo criterio, cosicché, considerato il punteggio conseguito, è ben possibile che tale specifico profilo abbia inciso in termini riduttivi sul punteggio attribuito; d) il criterio di valutazione OTE apprezzava "le proposte relative al riposizionamento sabbie movimentate a seguito delle mareggiate che interesseranno il litorale nel tempo. La proposta dovrà specificare le modalità esecutive del riposizionamento delle sabbie movimentate sia sull'arenile che sul fondo marino. Saranno valutate inoltre la frequenza ed il numero degli interventi oggetto della proposta", mentre il criterio OTD valutava, tra l'altro, i "sistemi di rilievo dei fondali e della linea di riva nell'area delimitata dalla scogliera ed anche all'esterno della stessa per una estensione di 10 m al largo della stessa"; d.1.) solo a seguito del monitoraggio costante e periodico e della rilevazione delle condizioni della costa è possibile definire l'articolazione delle attività di manutenzione pertanto necessariamente successive; le modalità di articolazione della proposta prescritte dalla stazione appaltante rendono naturale che il riposizionamento delle sabbie movimentate a seguito delle mareggiate avvenga soltanto all'esito del monitoraggio dei fondali e della linea di riva, come evidenziato a pagina 30 e 35 della relazione tecnica; e) il criterio di valutazione OTF valorizzava "altresì, ulteriori elementi artistici che vorranno essere proposti ed i relativi interventi di manutenzione che il concorrente intenderà offrire"; a tale profilo di valutazione ben possono essere ricondotte le opere indicate dal ricorrente; tali opere non costituiscono varianti rispetto al progetto posto a base di gara in quanto non si traducono in uno stravolgimento strutturale o funzionale del progetto, che prevede comunque un intervento di miglioramento del litorale costiero; f) l'allegato A al disciplinare di gara prevedeva che "La riduzione del tempo dovrà essere giustificata con adeguato cronoprogramma dei lavori da cui risultino i macchinari e le attrezzature utilizzate, il numero e la specializzazione della forza lavoro impiegata nonché il programma dei lavori coordinato con l'organizzazione del cantiere. La Relazione dovrà specificare le modalità organizzative dell'offerente atte a garantire l'esecuzione, a regola d'arte, delle opere nei tempi offerti e dovrà essere firmata dal legale rappresentante dell'offerente. A tale relazione dovrà essere allegato un cronoprogramma con indicazione del tempo di esecuzione dei lavori redatto mediante una rappresentazione grafica sinottica della mappa delle attività (tipo Gant - Pert), con l'indicazione della manodopera, delle macchine e delle attrezzature di cui si prevede l'utilizzo"; f.1.) il cronoprogramma prodotto dal Consorzio In. individua le unità di manodopera impiegate nelle varie attività e le relative attrezzature, precisando in particolare l'impiego di squadre subacquee (quindi non trascurando del tutto il profilo relativo alla specializzazione del personale); tali indicazioni appaiono sufficienti a rispondere alle prescrizioni della lex specialis, particolarmente ove si consideri che la richiesta contenuta nella documentazione di gara risulta non univoca: l'indicazione della specializzazione del personale impiegato è prevista nella prima ma non nella seconda parte della disposizione sopra riportata e, in ogni caso, la descrizione delle professionalità impiegate era già contenuta nelle pag. 8 - 10 della relazione tecnica (cfr. in particolare pagina 10), come prescritto dalla medesima disposizione; g) l'allegato A dispone che "Al fine di non alterare i pesi stabiliti tra i vari criteri, se nel singolo criterio nessun concorrente ottiene il punteggio massimo, tale punteggio viene riparametrato. La stazione appaltante procederà ad assegnare al concorrente che ha ottenuto il punteggio più alto su un singolo criterio il massimo punteggio previsto per lo stesso e alle altre offerte un punteggio proporzionale decrescente. Questa operazione viene eseguita per i singoli sub criteri del punteggio OTA - prima riparametrazione - e per il punteggio complessivo - cosiddetta riparametrazione di secondo livello -intesa come operazione che porta a 70 punti l'Offerta tecnica migliore che non abbia raggiunto tale punteggio"; g.1.) considerata la finalità della riparametrazione, la disposizione, seppur non cristallina nella formulazione, deve essere così interpretata: - la cosiddetta prima riperimetrazione sarebbe dovuta avvenire per ciascun criterio, come indicato nella prima parte del paragrafo; - nel caso del criterio OTA, stante la sua suddivisione in due subcriteri come previsto a pag. 2 del medesimo allegato, la prima riperimetrazione avrebbe dovuto riguardare singolarmente i sub criteri OTA1 e OTA2 e non il criterio nel suo complesso, considerando sotto tale profilo i due subcriteri come due criteri; g.2.) considerato che nessuno dei concorrenti ha conseguito il massimo punteggio per nessuno dei criteri o subcriteri di valutazione, la riparametrazione operata dalla Amministrazione risulta conforme alla disciplina di gara; g.3.) in ogni caso, il motivo di ricorso non supera la prova di resistenza in quanto il suo eventuale accoglimento determinerebbe semplicemente una riduzione del divario di punteggio ma non consentirebbe allo stesso di conseguire un punteggio maggiore rispetto al controinteressato. 12. L'appellante contesta la ricostruzione del TAR sulla base dei seguenti argomenti: a) il disciplinare di gara ha prescritto la comprova del requisito di idoneità professionale, mediante iscrizione camerale per attività coerente con l'oggetto dell'appalto, sia per il Consorzio Stabile, sia per le consorziate esecutrici, precisando che non è consentito l'avvalimento dei requisiti di idoneità professionale; a.1.) sarebbe erroneo il richiamo del TAR alla previsione contenuta nell'oggetto sociale; l'iscrizione camerale esige concreto ed effettivo esercizio, da parte del concorrente, di una determinata attività adeguatamente coerente con i lavori oggetto di gara; a.2.) per verificare il possesso del requisito di idoneità professionale non è sufficiente guardare all'astratto oggetto sociale dell'impresa, ma all'attività effettivamente svolta; a.3.) la decisione del TAR sarebbe erronea soprattutto nella parte in cui ha formulato un giudizio di coerenza tra iscrizione camerale del consorzio aggiudicatario (e delle consorziate esecutrici) per l'attività di edilizia civile e le attività oggetto dell'appalto (opere marittime), ricomprese nel diverso e distinto settore delle costruzioni idrauliche; a.4.) l'appalto ha ad oggetto l'esecuzione di lavori di difesa, riqualificazione e valorizzazione della costa del Comune di Salerno, finalizzati alla salvaguardia del litorale salernitano e alla difesa dalla erosione costiera che sarebbero cosa diversa rispetto all'edilizia civile (fabbricati residenziali e non); a.5.) si tratterebbe di opere marittime che richiedono specifica qualificazione ed abilitazione, e che ricadrebbero nella categoria delle costruzioni idrauliche non avendo nulla a che vedere con il distinto campo delle costruzioni civili (residenziali e non), ricomprese nella diversa e distinta categoria delle opere edili; a.6.) l'esercizio di attività prevalente, nell'ambito delle costruzioni civili non potrebbe rientrare, neanche in termini di macro - settore o mercato di riferimento, nel distinto e diverso settore delle opere marittime; a.7.) l'iscrizione camerale del Consorzio aggiudicatario (e delle consorziate esecutrici) per costruzione di edifici civili (residenziali e non) non darebbe conto di alcuna specifica idoneità professionale-esperienziale ad eseguire opere marittime; a.8.) il TAR avrebbe postulato, in contrasto con elementari nozioni scientifiche, coerenza tra due settori di attività, assolutamente disomogenei, che involgono distinte competenze e professionalità tra loro non assimilabili, non potendosi confondere un edificio con una scogliera e le regole statiche dei fabbricati con quelle meteomarine della difesa delle coste; a.9.) gli stessi codici di classificazione ATECO, rivelerebbero la radicale distinzione ontologica tra tali distinti settori dei lavori pubblici; a.10.) il D.M. 17.6.2016, in tema di parallela attività di progettazione, nell'allegato "A" ha tenuto ben distinte la categoria "Edilizia" in cui tra le destinazioni funzionali ha espressamente ricompreso gli edifici residenziali (e non), rispetto alla distinta categoria di progettazione di opere idrauliche, in cui sono attratte invece le c.d. opere di navigazione (lavori marittimi e costieri); a.11.) non sarebbe stato provato il possesso del requisito di idoneità professionale e la ricostruzione del TAR avrebbe condotto a una sostanziale disapplicazione delle regole di gara, declassando le risultanze dei certificati camerali, che escluderebbero ogni corrispondenza contenutistica tra materie e campi di lavorazioni del tutto disomogenei; a.12.) va inoltre censurato il non pertinente richiamo del TAR alla attestazione SOA del Consorzio e delle consorziate esecutrici quale elemento di asserita conferma di idoneità professionale; a.12.1.) il TAR non si sarebbe avveduto del fatto che la qualificazione SOA della consorziata In. nella categoria OG8 è requisito diverso dalla prevista categoria OG7 oggetto dell'appalto; a.12.2.) inoltre, l'attestazione SOA afferisce il distinto requisito della capacità tecnico professionale ed economico finanziaria dell'operatore (art. 83 lett. b) - c) d.lgs. 50/2016) e non può essere utilizzato o richiamato, per comprovare la presupposta idoneità professionale, che scaturisce unicamente dalla iscrizione camerale per l'attività prevalente; b) il Consorzio In., per il sub-criterio OTa1, ha proposto due cave: - Ed. Ca. (già indicata nel progetto a base di gara), con sede in (omissis), Località (omissis) e sito estrattivo in (omissis)/ (omissis), Località (omissis), autorizzata all'esercizio estrattivo, Giusto Decreto Dirigenziale Regione Campania n. 362 del 17/10/2019; - Cava An. Ma., con sede in (omissis), in Provincia di Avellino, C.da (omissis), sito estrattivo localizzato in (omissis) (PZ), C.da (omissis), autorizzato all'esercizio (estrattivo) Giusto Decreto Dirigenziale Regione Campania n. 68 del 12/04/2010 e Delibera di Giunta Regione Basilicata n. 589 del 31/03/2009; b.1.) entrambe le cave non sarebbero idonee, né conformi alle prescrizioni, tassative, del disciplinare di Gara; b.2.) la Ed. Ca. non avrebbe avuto la disponibilità dell'intera fornitura, come da lettera del 10.01.2023, non avrebbe dichiarato la garanzia di fornitura totale del quantitativo di sabbia, prescritto dall'Allegato A del Disciplinare di Gara ed è stata sottoposta a decreto di sequestro preventivo da parte del Tribunale di Salerno, che ha sospeso l'attività estrattiva e reso indisponibile il sito per approvvigionamento di materiale sabbioso (tale circostanza è stata espressamente riconosciuta con nota del 31 maggio 2023); b.3.) la Ca. An., invece, avrebbe omesso di allegare il prescritto certificato di laboratorio autorizzato, comprovante la conformità delle sabbie a quanto riportato nel disciplinare tecnico del materiale ed idoneo a consentire alla commissione giudicatrice di valutare la proposta di miglioramento dei parametri delle sabbie rispetto ai requisiti minimi riportati nel disciplinare tecnico, espressamente richiesta dal Disciplinare di Gara, alla stregua di condizione di validità della offerta tecnica; b.4.) la non conformità della offerta alle specifiche prescrizioni capitolari è causa di esclusione; b.5.) sarebbe illegittima, in subordine, l'attribuzione del relativo punteggio di 3 punti (4,285 punti, a seguito di riparametrazione) al Consorzio In., che dovrebbe essere azzerato con ribaltamento dell'ordine di graduatoria, in favore del Consorzio Gr. La. (la differenza di punteggio tra i due concorrenti è di 2,105 punti); b.6.) il TAR avrebbe travisato i fatti in quanto: - la Ed. Ca. non avrebbe mai comunicato di avere quantitativi sufficienti del materiale da fornire; - in una dichiarazione della stessa Ed. Ca., contestuale a quella depositata in sede di gara si legge: "si comunica di non avere la disponibilità dell'intero quantitativo di sabbia per i lavori in oggetto e pertanto si trasmette la sola dichiarazione di disponibilità di materiali sabbiosi senza poter attestare la garanzia di fornire tutto il materiale necessario alla fornitura per la gara in oggetto" (allegato 17 al deposito di primo grado della ricorrente del 14 giugno 2023); - ogni dubbio risulterebbe superato dall'ulteriore comunicazione, fatta dalla Ed. Ca., con la quale la predetta società ha espressamente comunicato che "siamo impossibilitati ad evadere la Vs richiesta perché l'attività è sospesa a causa di un fermo giudiziario"; - sarebbe inconferente l'assunto secondo il quale il sequestro sarebbe parziale ovvero interesserebbe solo alcune aree della cava; - il TAR avrebbe erroneamente ritenuto possibile la fornitura del materiale offerto a fronte di un provvedimento di sequestro giudiziario, a fronte di una dichiarazione della stessa Ed. Ca. di intervenuta sospensione dell'attività a causa di detto provvedimento giudiziario e a fronte della ulteriore dichiarazione, sempre della Ed. Ca., di non poter garantire i quantitativi oggetto di gara; c) il Consorzio aggiudicatario, per il criterio OTb, avrebbe violato le prescrizioni capitolari, individuando siti non conformi con le condizioni minime; c.1.) il Consorzio In. ha proposto quattro siti di stoccaggio sabbie, di cui 3 per sabbie provenienti da cava ed un solo sito per accumulo, proveniente da giacimento marino; c.2.) per i siti di Via (omissis) e di (omissis) non vi sarebbe alcun titolo di disponibilità ; c.3.) il sito di (omissis) località (omissis) si trova a una distanza di (omissis) Km dalla area di intervento e non di (omissis) km come ha affermato il Consorzio In.; c.4.) l'area di Via (omissis) è destinata a frutteto, per cui non sarebbe urbanisticamente idonea per essere utilizzata come sito di stoccaggio, ma soprattutto per espressa dichiarazione del Consorzio, ha una capacità di immagazzinamento di 2000 mc, pari a 3400 t, inferiore al limite minimo del cumulo (6000 t.) previsto dal disciplinare tecnico prestazionale; c.5.) l'area di Via (omissis), per espressa ammissione del Consorzio aggiudicatario, ha capacità di immagazzinamento di 2000 mc pari a 3400 t, inferiore al limite minimo del cumulo (6000 t.) previsto dal disciplinare tecnico prestazionale; c.6.) vi sarebbero, dunque, plurime e concorrenti cause di esclusione in danno del Consorzio In.: c.6.1.) per aver individuato tre siti, non conformi con le prescrizioni del disciplinare tecnico prestazionale per distanza e capacità di immagazzinamento, in violazione dell'articolo 59 comma 3 lettera a) e dell'art. 68 del d.lgs. 50/2016 e del punto 22 del Disciplinare di Gara; c.6.2.) per aver reso falsa informazione in relazione ad un criterio di selezione, avendo dichiarato contro il vero una distanza inferiore a quella effettiva dal sito di stoccaggio delle sabbie di (omissis) località (omissis) all'area di intervento (violazione art. 80, comma 5 lett. c bis) e f bis) del Codice dei contratti pubblici); c.7.) la non idoneità di tutti o quanto meno, in subordine, di alcuni dei siti, renderebbe illegittima la valutazione premiale della Commissione di Gara e, soprattutto, penalizzerebbe il punteggio (9,040), assegnato al Consorzio per l'elemento di valutazione OTb che dovrebbe essere azzerato o comunque ridotto; c.8.) una riduzione, anche minima, di punteggio sarebbe sufficiente per ribaltare l'esito di graduatoria, in ragione del minimo divario di 2,5 punti, tra Consorzio ricorrente e Consorzio aggiudicatario; c.9.) il percorso stradale indicato dall'aggiudicatario nell'elaborato Otb.05 non misura (omissis) km, ma 12,7; sarebbe quindi evidente, da un lato, il consapevole tentativo di dichiarare un requisito in realtà non posseduto, dall'altro, l'erroneità della sentenza; c.10.) contrariamente a quanto assunto dal TAR, il criterio più ragionevole sarebbe quello della distanza stradale; c.11.) con il terzo motivo, è stato rilevato, infine, sempre per il criterio OTb, che la valutazione della offerta del consorzio aggiudicatario sarebbe illegittima, sotto un concorrente profilo, con riferimento alla organizzazione del cantiere; c.11.1.) leggendo la struttura operativa ed organizzativa, indicata dal Consorzio aggiudicatario, si evincerebbe, diversamente da quanto ha dichiarato, che in capo ai professionisti indicati sarebbe carente qualsiasi esperienza o referenza specifica, in termini di opere marittime (solo il Geom. An. del Gi. avrebbe minima esperienza pregressa "curriculare"); c.11.2.) anche per tale motivo, sarebbe illogico e irragionevole il punteggio del Consorzio aggiudicatario, che andrebbe azzerato o sensibilmente ridotto; c.11.3.) il TAR ha riconosciuto l'inidoneità della struttura tecnico - organizzativa da impiegare prevista dall'aggiudicataria ("è ben possibile che tale specifico profilo abbia inciso in termini riduttivi..."); - senonché, per tale criterio, l'aggiudicataria ha conseguito il punteggio quasi massimo (9,040 su 10), circostanza questa che escluderebbe che tale inidoneità abbia inciso in senso riduttivo; c.11.4.) la rivalutazione del criterio, alla luce dell'accertata inidoneità della struttura tecnico - organizzativa, spetta comunque alla stazione appaltante e non al TAR. 13. La ricostruzione dell'appellante non merita condivisione e la sentenza impugnata deve essere integralmente confermata. 14. L'appellante, come si può evincere dalla sintesi delle molteplici critiche mosse alla sentenza impugnata, in sostanza, sottopone a questo Collegio tre questioni: a) l'asserita inidoneità professionale del consorzio aggiudicatario; b) la carenza dell'offerta del consorzio aggiudicatario con particolare riguardo alla fornitura del materiale sabbioso; c) la carenza dell'offerta del consorzio aggiudicatario con particolare riguardo ai siti di stoccaggio (che non sarebbero conformi con le prescrizioni del disciplinare tecnico prestazionale per distanza e capacità di immagazzinamento). 15. Quanto alla prima questione, la sentenza resiste saldamente alle critiche che le sono state rivolte poiché fa buon governo dei principi ormai costantemente affermati da questa Sezione. 15.1. L'iscrizione camerale è requisito di idoneità professionale anteposto ai più specifici requisiti attestanti la capacità tecnico professionale ed economico-finanziaria dei partecipanti alla gara. La sua funzione è quella di filtrare l'ingresso in gara dei soli concorrenti forniti di una professionalità coerente con le prestazioni oggetto dell'affidamento pubblico; la prescritta coerenza tra attività indicate nell'iscrizione alla Camera di Commercio e l'oggetto dell'appalto dev'essere valutata complessivamente e non può essere richiesta la perfetta coincidenza tra le prime e il secondo (tra le tante, Consiglio di Stato sez. V, 16 gennaio 2023, n. 529). 15.2. L'iscrizione alla camera di commercio è richiesta solo per poter dar luogo a un primo filtro di ammissibilità dei concorrenti che risultino iscritti per l'esercizio di attività coerenti con quelle oggetto dell'appalto. La necessaria corrispondenza di contenuto tra le risultanze descrittive del certificato camerale e l'oggetto del contratto d'appalto non si traduce in una perfetta e assoluta sovrapponibilità tra tutte le componenti dei due termini di riferimento, ma va verificata in ragione di un concreto criterio di rispondenza alla finalità di accertamento della richiesta idoneità professionale e sulla base di una considerazione globale e complessiva delle prestazioni dedotte in contratto (Consiglio di Stato sez. V, 16 dicembre 2019, n. 8515). 15.3. Se si seguisse la tesi dell'appellante si giungerebbe a conclusioni già rigettate da questa Sezione. Soprattutto nell'ambito dei contratti di lavori, il requisito dell'idoneità professionale deve dimostrare unicamente che l'impresa è validamente costituita ed esercita nel settore di attività economica o nel segmento di mercato o professionale in cui rientrano le prestazioni oggetto del contratto da affidare. 15.4. Tale requisito non può essere inteso come criterio di selezione specifico sotto il profilo della capacità tecnica e professionale dell'operatore economico perché finirebbe per sovrapporsi agli altri criteri di selezione (di cui alle lettere b) e c) del comma 1 dell'art. 83 del codice dei contratti pubblici), che hanno invece la funzione di accertare la idoneità dell'operatore economico alla esecuzione delle prestazioni richieste dal contratto. 15.5. La necessità di interpretare la portata della richiesta iscrizione al registro della CCIA come riferita al settore o all'attività intesa in senso ampio (ma coerente con l'oggetto dell'appalto da affidare), senza dover operare una puntuale verifica tra prestazioni e elencazione risultante dalla certificazione camerale, discende dalla funzione assegnata all'iscrizione al registro della CCIA (ossia la prova dell'esistenza e della concreta operatività del soggetto imprenditoriale e delle attività prevalenti svolte). Occorre inoltre coordinare sistematicamente le funzioni assegnate ai requisiti speciali di capacità economica, tecnica e professionale mediante i quali la stazione appaltante verifica la idoneità specifica a eseguire le prestazioni richieste. La dimostrazione dell'astratta idoneità professionale dell'impresa, è quindi integrata e completata dalla richiesta degli altri requisiti speciali con i quali l'amministrazione aggiudicatrice accerta e verifica l'affidabilità e la capacità dell'impresa di eseguire le future prestazioni. Ammettere che il requisito di idoneità professionale possa tradursi nella pretesa che l'attività prevalente per la quale l'impresa è iscritta nel registro della CCIA sia pienamente corrispondente ai contenuti del contratto da affidare significherebbe non solo restringere l'accesso al mercato degli appalti pubblici (che finirebbe per essere limitato alle sole imprese che in maniera prevalente esercitano l'attività oggetto dell'appalto, senza consentire la partecipazione a chi svolga un'attività contigua e attinente a questa, anche se non in misura prevalente o esclusiva, e dimostri la sua specifica idoneità tecnica e professionale attraverso gli ulteriori criteri di selezione individuati nel bando dalla stazione appaltante), ma anche limitare il ruolo degli altri criteri di selezione previsti dalla legge di gara o sovrapporsi a questi. In altri termini, richiedere la perfetta coincidenza tra oggetto dell'appalto e attività prevalente risultante dall'iscrizione nel registro della CCIA potrebbe infatti rendere del tutto ultronea, e quindi sproporzionata, la richiesta di dimostrare il possesso di ulteriori requisiti di natura tecnica e professionale (in questo senso, puntualmente, Consiglio di Stato sez. V, 16 gennaio 2023, n. 529). 15.6. È da condividere quanto affermato dalla difesa del Consorzio In. a pagina 5 della memoria depositata il 29 novembre 2023 e cioè che argomentare diversamente equivarrebbe a sovrapporre al sistema di qualificazione dei contratti pubblici costituito dalla SOA, altri requisiti di qualificazione. 15.7. Nel caso concreto, il Consorzio In. ha partecipato alla gara con una iscrizione camerale coerente con l'oggetto dell'appalto e dimostrando la qualificazione nella categoria OG7. 15.8. Come noto, la qualificazione in ciascuna delle categorie di opere generali, è conseguita dimostrando capacità di svolgere in proprio o con qualsiasi altro mezzo l'attività di costruzione, ristrutturazione e manutenzione di opere o interventi per la cui realizzazione, finiti in ogni loro parte e pronti all'uso da parte dell'utilizzatore finale, siano necessarie una pluralità di specifiche lavorazioni. La qualificazione presuppone effettiva capacità operativa ed organizzativa dei fattori produttivi, specifica competenza nel coordinamento tecnico delle attività lavorative, nella gestione economico-finanziaria e nella conoscenza di tutte le regole tecniche e amministrative che disciplinano l'esecuzione di lavori pubblici. La Categoria OG 7 prevede: "Opere marittime e lavori di dragaggio Riguarda la costruzione, la manutenzione o la ristrutturazione di interventi puntuali comunque realizzati, in acque dolci e salate, che costituiscono terminali per la mobilità su "acqua" ovvero opere di difesa del territorio dalle stesse acque dolci o salate, completi di ogni opera connessa, complementare o accessoria anche di tipo puntuale e di tutti gli impianti elettromeccanici, elettrici, telefonici ed elettronici necessari a fornire un buon servizio all'utente in termini di uso, funzionamento, informazione, sicurezza e assistenza. Comprende in via esemplificativa i porti, i moli, le banchine, i pennelli, le piattaforme, i pontili, le difese costiere, le scogliere, le condotte sottomarine, le bocche di scarico nonché i lavori di dragaggio in mare aperto o in bacino e quelli di protezione contro l'erosione delle acque dolci o salate". 15.9. La ricostruzione operata dal TAR è quindi condivisibile dal punto di vista logico giuridico in quanto: a) opera una corretta ricostruzione del quadro normativo che valorizza la distinzione tra requisito di idoneità professionale e requisito di capacità tecnica e professionale; b) si risolve in un controllo della correttezza dell'operato della Stazione appaltante che ha concretamente valutato che l'operatore economico superasse il filtro d'ingresso nella gara e poi dimostrasse la capacità di eseguire l'appalto. 15.10. Va da ultimo osservato, per completezza, che la lunga disquisizione sui codici ATECO è inconferente poiché, come noto, nella verifica della rispondenza dell'oggetto sociale del concorrente rispetto alla lex specialis, l'identificazione dell'attività prevalente non può essere basata sui codici ATECO perché tale sistema ha principalmente funzione statistica, in quanto finalizzato ad indicare l'attività nella domanda di iscrizione nel registro delle imprese senza alcun rilievo sulla connotazione come attività prevalente od accessoria (tra le tante, Consiglio di Stato sez. V, 17 gennaio 2018, n. 262). 15.11. Anche il riferimento al decreto ministeriale 17 giugno 2016 è inconferente. Il decreto ministeriale 17 giugno 2016, adottato ai sensi dell'articolo 24, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016, si limita infatti ad approvare le tabelle dei corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazioni di progettazione alle amministrazioni aggiudicatrici in materia di lavori pubblici e non disciplina in alcun modo, né può costituire parametro di riferimento per l'accertamento dei requisiti di idoneità e di capacità tecnico professionale degli operatore economici esecutore di lavori. 16. Anche in ordine alla seconda questione (fornitura del materiale sabbioso) la sentenza resiste saldamente alle critiche che le sono state rivolte. 16.1. Occorre partire dal criterio OTa1 (Allegato "A" al disciplinare di gara) che prevede: "CRITERIO OTa - Qualità delle sabbie da ripascimento (max punti 20) Sub criterio OTa 1 (max 5 punti) Sarà valutata dalla Commissione la proposta di un miglioramento dei parametri della sabbia rispetto ai requisiti minimi riportati nel disciplinare tecnico. Gli elementi modificativi dovranno essere dimostrati attraverso l'esibizione del certificato rilasciato da un laboratorio autorizzato. Dovrà essere, inoltre, resa la seguente documentazione in allegato alla relazione descrittiva dell'offerta: - Dichiarazione/i, resa/e ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 sottoscritta dal titolare e/o legale rappresentante del concorrente o del soggetto autorizzato a presentare l'offerta con l'indicazione delle cave da cui verrà estratto il materiale da utilizzare per ripascimento con allegata attestazione del titolare della cava medesima di garanzia a fornire tutto il materiale necessario alla fornitura in argomento; - Certificato/i di laboratorio autorizzato comprovanti la conformità del materiale da fornire a quanto riportato nel Disciplinare tecnico del materiale". 16.2. Le doglianze del ricorrente sono infondate. 16.3. Con riferimento alla Ed. Ca. la dichiarazione di disponibilità (nota del 10 gennaio 2023) è sostanzialmente conforme alle prescrizioni della lex specialis. Non sussiste alcun elemento che possa: a) mettere in dubbio la corretta esecuzione dell'intervento; b) mettere in discussione il punteggio assegnato. 16.4. La disponibilità dei materiali lapidei sabbiosi, dalla documentazione agli atti di causa, non è revocabile in dubbio così come non è revocabile in dubbio la presenza dei certificati comprovanti la conformità delle sabbie al capitolato. 16.5. Evocare il sequestro preventivo disposto dal Tribunale di Salerno, ugualmente, non giova all'appellante perché il sequestro era parziale e non vi è idonea dimostrazione che la misura impedirebbe all'operatore la fornitura del materiale. 16.6. La ricostruzione in fatto operata dal TAR trova pieno riscontro negli atti di causa. Nella sentenza si legge: (...) "il provvedimento del GIP del Tribunale di Salerno dispone il sequestro di due specifiche aree e non dell'intera cava, con la conseguenza che risulta altresì giustificato l'ulteriore documento prodotto dal controinteressato, con cui la società che gestisce la cava in questione comunica a un non meglio identificato soggetto che appare tuttavia estraneo alla procedura, l'impossibilità di evadere la richiesta di materiali "perché l'attività è sospesa a causa di un fermo giudiziario": le ridotte possibilità di sfruttamento impediscono l'evasione di tutte le richieste estrattive ma ciò non consente di ritenere che non possano essere soddisfatte quelle già formulate dal controinteressato; anzi, è proprio la necessità di assolvere agli impegni già presi che preclude verosimilmente l'assunzione di ulteriori impegni nell'estrazione del materiale". 16.7. In merito alla Cava An. Ma. sono stati prodotti i certificati dei risultati delle prove di laboratorio. 17. Anche in ordine alla terza questione (la carenza dell'offerta del consorzio aggiudicatario con particolare riguardo ai siti di stoccaggio) la sentenza resiste alle critiche che le sono state rivolte. 17.1. Occorre prendere le mosse dall'Allegato A al disciplinare di gara, CRITERIO OTb, ove si legge: "Organizzazione cantiere (max punti 10) La relazione dovrà indicare i sistemi operativi e le misure di organizzazione dello stesso, in relazione agli obiettivi tecnico-qualitativi del lavoro, la riduzione degli impatti all'interno ed all'esterno del cantiere, nonché il conseguimento della maggiore sicurezza dei lavoratori. Il concorrente individuare e rendere disponibile in fase esecutiva, a sua cura e spese, un sito di stoccaggio delle sabbie fornite da cava terrestre. In detto sito dovrà essere posta in essere, a cura del concorrente, una pesa degli automezzi per la verifica dei quantitativi consegnati. Nel predetto sito si effettuerà il controllo e l'accettazione del materiale da parte della Direzione dei Lavori. Verrà valutata la distanza del sito rispetto all'area di cantiere, le sue caratteristiche in relazione all'utilizzo, nonché la sua capacità di immagazzinamento di materiale. In caso venga proposta la fornitura di sabbia da accumuli a mare, dovrà essere individuata la modalità di approvvigionamento, la modalità di accumulo in cantiere o in aree specificatamente individuate per consentire le operazioni di accettazione in contraddittorio con la Direzione dei Lavori e le modalità e tecniche di posa del materiale sul litorale Le proposta sarà valutata in relazione a: 1. Struttura tecnica organizzativa da impiegare per la realizzazione dell'opera con indicazione del numero dei soggetti impiegati, profilo professionale, ruolo nell'organigramma di cantiere 2. Individuazione della mobilità per il trasporto dei massi dalla cava al sito di carico da mezzi terrestri a mezzi marittimi. 3. Le operazioni di carico e la necessità di localizzazione di eventuale ulteriore area di stoccaggio per i massi; 4. Macchinari ed apparecchiature utilizzate in cantiere per la realizzazione delle diverse fasi operative 5. Modalità di organizzazione delle aree di cantiere, aree di lavorazione, baraccamenti aree di deposito, circolazione dei mezzi d'opera, modalità di smaltimento dei materiali di risulta. 6. Sito di stoccaggio: distanza del sito rispetto all'area di cantiere, caratteristiche in relazione all'utilizzo, capacità di immagazzinamento di materiale. 7. Le modalità di peso e di campionamento dei materiali presso sito di stoccaggio per agevolare le operazioni di accettazione in contraddittorio con la Direzione dei Lavori Sarà valutata l'eventuale individuazione di ulteriori e diverse aree di cantiere e la valutazione della conseguente articolazione della mobilità che verrà proposta". 17.2. Come si vede, in ordine al criterio "organizzazione cantiere" vi erano plurimi elementi da valutare. Solo uno di essi era costituito dalla "distanza del sito rispetto all'area di cantiere, caratteristiche in relazione all'utilizzo, capacità di immagazzinamento di materiale". 17.3. Basterebbe solo questa osservazione per far cadere tutto il complesso impianto argomentativo dell'appellante. Il Consorzio In. ha indicato la disponibilità di quattro aree per lo stoccaggio dei materiali provenienti dalle cave terrestri indicando come prioritaria l'area sita in località (omissis), via Eritrea n. 7 nel Comune di (omissis). 17.4. Per l'area sita nel Comune di (omissis) si è effettuato il calcolo della distanza in linea d'aria. Scontata l'opinabilità della valutazione effettuata, il punto decisivo sta nella mancanza di un criterio univoco per la determinazione di tale distanza. In un caso come questo, ove la circostanza rileva al fine di valutare l'offerta, si tratta di vedere se tale valutazione sia manifestamente illogica. La commissione doveva assegnare un punteggio variabile in ragione della distanza del sito di stoccaggio dal cantiere, punteggio neppure esclusivo ma da cumulare insieme a tutti i criteri che, insieme, contribuivano al complessivo CRITERIO OTb. 17.5. Ebbene, in una vicenda come quella qui all'esame, la disputa circa la distanza in linea d'aria o la distanza calcolata sulla percorrenza stradale è irrilevante tenuto conto che la sostanza della questione era, molto semplicemente, verificare l'organizzazione del cantiere e assegnare alla stessa un punteggio. 17.6. La valutazione delle offerte tecniche, effettuata dalla Commissione attraverso l'espressione di giudizi e l'attribuzione di punteggi, a fronte dei criteri valutativi previsti dal bando di gara, costituisce apprezzamento connotato da chiara discrezionalità tecnica sì da rendere detta valutazione insindacabile salvo che essa sia affetta da manifesta illogicità (giurisprudenza costante di questa Sezione, tra le altre, recentemente, Consiglio di Stato, Sez. V, 4 marzo 2024, n. 2115). Manifesta illogicità che, nella vicenda qui all'esame, non si ravvisa in alcun modo. 17.7. È da condividere il percorso argomentativo del primo Giudice laddove afferma che il "citato disciplinare tecnico di cava non specifica le modalità di calcolo di tale distanza, che, pertanto, devono essere interpretate secondo un criterio di ragionevolezza e di favor partecipationis, alla luce dell'obiettivo di garantire la disponibilità, da parte dell'esecutore, di un sito di stoccaggio posto a non elevata distanza dall'area di intervento, obiettivo che ben può essere conseguito anche ammettendo che il calcolo della distanza possa avvenire secondo un criterio lineare e non legato alle caratteristiche delle strade utilizzabili e dei mezzi impiegati nonché alla contingente disciplina della circolazione". 17.8. Vale la pena di precisare che non esiste alcuna falsa dichiarazione imputabile al Consorzio In. che ha reso dichiarazioni in linea con la legge di gara. 17.9. La restante parte del motivo di appello si risolve nel richiedere a questo Giudice di sostituirsi alla stazione appaltante in valutazioni a essa riservate. 17.10. La giurisprudenza di questa Sezione è ormai consolidata nel senso di ritenere che: a) la valutazione delle offerte tecniche, effettuata dalla commissione attraverso l'espressione di giudizi e l'attribuzione di punteggi, a fronte dei criteri valutativi previsti dal bando di gara, costituisce apprezzamento connotato da chiara discrezionalità tecnica sì da rendere detta valutazione insindacabile salvo che essa sia affetta da manifesta illogicità ; b) il controllo del giudice è pieno, ossia tale da garantire piena tutela alle situazioni giuridiche private coinvolte; è vero che egli non può agire al posto dell'amministrazione ma può sicuramente censurare la scelta chiaramente inattendibile, frutto di un procedimento di applicazione della norma tecnica viziato, e annullare il provvedimento basato su di essa; c) lo schema del ragionamento che il giudice è chiamato a svolgere sulle valutazioni tecniche può essere così descritto: c1) il giudice può limitarsi al controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito nell'attività amministrativa se ciò appare sufficiente per valutare la legittimità del provvedimento impugnato e non emergano spie tali da giustificare una ripetizione, secondo la tecnica del sindacato intrinseco, delle indagini specialistiche; c2) il sindacato può anche consistere, ove ciò sia necessario ai fini della verifica della legittimità della statuizione gravata, nella verifica dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto al criterio tecnico e al procedimento applicativo; c3) devono ritenersi superati ostacoli di ordine processuale capaci di limitare in modo significativo, in astratto, la latitudine della verifica giudiziaria sulla correttezza delle operazioni e delle procedure in cui si concreta il giudizio tecnico ma questo non toglie che, anche in relazione ad una non eludibile esigenza di separazione della funzione amministrativa rispetto a quella giurisdizionale, il giudice non possa sovrapporre la sua idea tecnica al giudizio non contaminato da profili di erroneità e di illogicità formulato dall'organo amministrativo al quale la legge attribuisce la penetrazione del sapere specialistico ai fini della tutela dell'interesse pubblico nell'apprezzamento del caso concreto; d) se è assodato che il giudice ha pieno accesso al fatto, occorre aggiungere che l'accesso al fatto non può consentire la sostituzione del giudice alla pubblica amministrazione nelle valutazioni ad essa riservate. e) scontata l'opinabilità della valutazione, il giudice non può sostituirsi all'amministrazione, essendogli consentita la sola verifica di ragionevolezza, coerenza e attendibilità delle scelte compiute dalla stessa; se è stata riscontrata una corretta applicazione della regola tecnica al caso di specie, il giudice deve fermarsi, quando il risultato a cui è giunta l'amministrazione è uno di quelli resi possibili dall'opinabilità della scienza, anche se esso non è quello che l'organo giudicante avrebbe privilegiato; f) un conto, quindi, è l'accertamento del fatto storico (che precede ogni valutazione) e un conto è la contestualizzazione del concetto giuridico indeterminato richiamato dalla norma; quest'ultimo è fuori dall'accertamento del fatto e rientra nel suo apprezzamento, questo sì, sottratto alla completa sostituibilità della valutazione del giudice a quella dell'amministrazione. g) in conclusione sul punto, il sindacato del giudice nel valutare la legittimità di valutazioni frutto di discrezionalità tecnica, è pieno, penetrante, effettivo, ma non sostitutivo; dinanzi a una valutazione tecnica complessa il giudice può pertanto ripercorrere il ragionamento seguito dall'amministrazione al fine di verificare in modo puntuale, anche in riferimento alla regola tecnica adottata, la ragionevolezza, la logicità, la coerenza dell'iter logico seguito dall'autorità, senza però potervi sostituire un sistema valutativo differente da lui stesso individuato (tra le tante, Consiglio di Stato, Sez. V, 24 agosto 2023, n. 7931). 17.11. Il Giudice di prime cure, proprio perché non si è sostituito alla stazione appaltante, contrariamente a quanto affermato dall'appellante (pagina 29 del ricorso in appello), risulta aver fatto buon governo di tali principi posto che nelle valutazioni dell'amministrazione non è dato rinvenire alcuna illogicità . 18. Per le ragioni sopra esposte l'appello va respinto e, per l'effetto, va confermata la sentenza impugnata. Il rigetto dell'appello principale rende improcedibile l'appello incidentale. Le spese, vista la particolarità e, per alcuni aspetti la novità delle questioni sottoposte al Collegio, possono essere compensate tra le parti in causa. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così decide: a) rigetta l'appello principale; b) dichiara improcedibile l'appello incidentale; c) per l'effetto, conferma la sentenza del TAR Campania, Salerno, sez. I, n. 2516 del 10 novembre 2023. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Angela Rotondano - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6596 del 2018, proposto da Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Do. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Consorzio di Bonifica Sa. Ce., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ar. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ab. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. 440/2018 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consorzio di Bonifica Sa. Ce. e di Regione Sardegna e di Ab. Spa; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 7 febbraio 2024 il Cons. Sergio Zeuli Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza impugnata ha parzialmente accolto il ricorso con cui il consorzio di bonifica, odierna parte appellata aveva impugnato la convenzione stipulata in data 20 dicembre 2000 tra il Comune di (omissis) (Ente capofila del Consorzio di Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) ) e il Consorzio di Bonifica della Sa. Ce. di Nu. per la gestione decennale di un impianto di depurazione consortile delle acque reflue delle reti fognarie degli abitati dei comuni suddetti. Sono dedotti i seguenti motivi d'appello avverso la decisione: I VIOLAZIONE E/O ERRONEA APPLICAZIONE DELL'ART. 15 L. 5.1.1994 N. 36; MANCATA APPLICAZIONE DELL'ART. 1419 C.C.; OMESSA DECLARATORIA DI NULLITÀ INTEGRALE DELLA CONVENZIONE REP. 17/2000; CONSEGUENTE DIFETTO DI GIURISDIZIONE DEL G.O. A CONOSCERE DEL RAPPORTO IN ATTI; II INSUSSISTENZA DI RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE PER CARENZA DI TITOLO IDONEO; MANCATA APPLICAZIONE DELL'ART. 2041 C.C. ANCHE IN RELAZIONE ALLA QUANTIFICAZIONE DELL'INDENNIZZO; III MOTIVAZIONE ILLOGICA E CONTRADDITTORIA; VIOLAZIONE DELL'ART. 1227 C.C.; NEGATIVI RIFLESSI SULLA QUANTIFICAZIONE; IV ERRATA DETERMINAZIONE DEL QUANTUM DEBEATUR SOTTO DIFFERENTE PROFILO; LIQUIDAZIONE IN FUNZIONE RESTITUTORIA - MOTIVAZIONE CONTRADDITTORIA; DIFETTO DI ISTRUTTORIA. 2.Si sono costituiti in giudizio, il Consorzio di Bonifica, la Regione Sardegna e Ab. S.p.a., quale avente causa dell'Ente Sardo Acquedotti e Fognatura, tutti contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. 3. L'odierna controversia ebbe inizio quando, il 20 dicembre 2000, venne stipulata una convenzione tra il Comune di (omissis) (Ente capofila del Consorzio di Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) ) e il Consorzio di Bonifica della Sa. Ce. di Nu. per la gestione decennale di un impianto di depurazione consortile delle acque reflue delle reti fognarie degli abitati dei comuni suddetti. Con le deliberazioni del 27 giugno 2000, n. 18 e del 13 luglio 2000, n. 35 e del 16 novembre 2000, n. 130, i Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) affidavano al Consorzio di Bonifica la gestione tecnica ed operativa dell'impianto di depurazione al servizio dei centri abitati del comune. In base alla suddetta convenzione, stipulata il 20 dicembre successivo, i Comuni avrebbero dovuto comunicare con scadenza trimestrale l'elenco delle utenze servite dal servizio fognario e depurativo e le letture dei contatori idrici, allo scopo di individuare e calcolare i volumi effettivi di acque reflue scaricate nell'impianto e di consentire al Consorzio di fatturare direttamente all'utenza i canoni del servizio depurativo. Tale gestione è cessata ex lege l'1 gennaio 2005, con una gestione transitoria fino al 31 agosto 2005, fino a che l'1 gennaio 2006 è subentrata nella gestione del servizio Ab. S.p.a. Dal tabulato cartaceo relativo all'anno 2000 - inviato dai comuni solo dopo ripetuti solleciti- risultava che il corrispettivo per il servizio espletato dal Consorzio di Bonifica era stato fatturato dall'Ente Sardo Acquedotti e Fognature (ESAF) e poi da questo riversato ai comuni, in applicazione dell'art. 15, comma 2 della legge n. 36 del 1994, ai sensi del quale "qualora il servizio idrico sia gestito separatamente, per effetto di particolari convenzioni e concessioni, la relativa tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori entro trenta giorni dalla riscossione". Ciò nonostante e malgrado reiterati solleciti, i Comuni convenuti non avevano poi riversato i pagamenti dovuti, e a loro versati da ESAF, al Consorzio di Bonifica. Dopo che, con sentenza del 2 aprile 2012, n. 278, il Tribunale civile di Nuoro, in composizione monocratica, aveva declinato la propria giurisdizione, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, del codice del processo amministrativo, in ragione della qualificazione della convenzione stipulata con i comuni come accordo tra amministrazioni pubbliche ai sensi dell'art. 15 della legge n. 241 del 1990, l'odierna appellata ha riassunto il ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, chiedendogli di accertare e dichiarare la responsabilità dei Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis), oltre che di Ab. S.p.A. e di E.S.A.F. S.p.A., per l'inadempimento di tutte le obbligazioni assunte nella convenzione stipulata il 20 dicembre 2000, con la conseguente condanna a rimborsargli le spese e i costi necessari per la gestione e l'esercizio dell'impianto di depurazione al servizio dei comuni, per il periodo intercorrente dal 2000 al 31 dicembre 2005, oltre al risarcimento del danno. La sentenza impugnata ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso, dichiarando la nullità parziale della convenzione ex art. 1418 c.c., nei punti 3.18 e 4.1., per contrasto con il sistema di riscossione delineato dall'art. 15 comma 2, della legge n. 36 del 1994 (cd. "legge Galli", dal nome del suo proponente), applicabile ratione temporis, con conseguente sostituzione delle previsioni ivi contenute e cioè quella che prevedeva la fatturazione diretta del consorzio all'utenza e quella che prevedeva l'obbligo dei comuni consorziati di comunicare al consorzio l'elenco delle utenze servite, con le diverse prescrizioni dettate dalla legge Galli. A seguito di tale modifica del contratto, il TAR ha ritenuto che i comuni fossero a quel punto vincolati a pagare al consorzio il servizio di depurazione affidatogli, avendo oltretutto ottenuto il versamento dei relativi canoni da ESAF, e, di conseguenza, li ha considerati inadempienti rispetto agli obblighi assunti in convenzione. Quanto ai concreti importi dovuti, il Consorzio li aveva determinati, quanto al Comune di (omissis), in euro 275.306,66 (e non in euro 239.306,66, come scritto, per errore materiale, dal TAR); quanto al Comune di (omissis), in euro 122.486,64 e quanto infine al Comune di (omissis) in euro 24.227,61, oltre al pagamento degli interessi legali dalla costituzione in mora, fino al saldo effettivo, trattandosi di obbligazione di valuta, a titolo di responsabilità contrattuale. Il Tar ha invece respinto la contestuale richiesta di risarcimento del danno proposta dalla parte ricorrente. 4. Il primo motivo d'appello deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha interpretato le norme imperative contenute nell'art. 15 della citata legge n. 36 del 1994. Secondo la parte appellante quest'ultima disposizione andrebbe letta nel senso che, in virtù della convenzione, era ESAF che, dopo aver riscosso la tariffa dall'utenza, avrebbe dovuto rimborsare i costi del servizio al consorzio gestore; viceversa i singoli comuni, in quanto estranei all'erogazione ed alla gestione del servizio, non erano tenuti a corrispondere il dovuto al consorzio, né debitori di quest'ultimo, diversamente da quanto da questi preteso. Secondo la parte appellante la sentenza sarebbe sul punto contraddittoria perché, dopo aver correttamente ritenuto la Convenzione in contrasto con le norme imperative della legge Galli, non aveva tratto, da questa condivisibile premessa, l'inevitabile conclusione che l'unico rapporto giuridicamente rilevante era, per l'appunto, quello intercorrente tra Consorzio ed Esaf, escludendo i comuni che, avendo dato mandato al primo, si erano spogliati delle relative competenze. Ciò sarebbe dimostrato dal fatto che l'articolo 15 comma 2 della citata legge n. 36 prevede che, allorquando non vi sia un unico soggetto a gestire i servizi di acquedotto e depurazione, il gestore del servizio di depurazione, e cioè ESAF, dopo aver riscosso la tariffa, deve successivamente provvedere al riparto tra i diversi gestori entro trenta giorni dalla riscossione (id est: all'epoca dei fatti ESAF avrebbe dovuto interloquire unicamente con il Consorzio). In sintesi, secondo il motivo in esame, bene aveva fatto il giudice di primo grado a dichiarare il contrasto della Convenzione con la legge n. 36 del 1994, ciò non di meno avrebbe dovuto trarne come inevitabile conseguenza l'estraneità della parte appellante rispetto alla controversia, sulla quale, come sugli altri comuni partecipanti al consorzio non poteva incombere alcun obbligo, tanto meno quello di corrispondere al gestore del servizio i costi sostenuti, come invece aveva erroneamente sostenuto la sentenza gravata. Da ciò, secondo la parte appellante, deriverebbe oltretutto non la nullità parziale, ma quella radicale della convenzione, con conseguente necessità di devolvere la cognizione della causa alla giurisdizione del giudice ordinario, per il venir meno dei presupposti di cui all'art. 133 lett. a) n. 2) c.p.a.. 4.1. Il motivo è infondato. 4.1.1. Prima di spiegare le ragioni della sua inconsistenza sono però necessarie due premesse metodologiche, la prima delle quali è data dalla constatazione che il comune appellante ha, sia pure solo in parte, corrisposto nel frattempo al consorzio le somme da questi pretese a copertura dei costi di gestione. Somme che l'ente locale aveva a sua volta ricevuto da ESAF. E' pertanto innegabile che questa circostanza, in astratto, integri una sopravvenuta carenza di interesse per acquiescenza alla sentenza impugnata, soprattutto con riferimento al motivo in esame, posto che la parte appellante, in via principale, se non esclusiva, pur contestando di essere debitrice delle relative somme, le ha, anche se solo parzialmente, corrisposte, senza apporre nessuna riserva all'atto del pagamento. 4.1.2. Va ancora premesso, anche per ulteriormente specificare quanto osservato al capo che precede, che la pretesa azionata dalla parte ricorrente - oggi appellata - riguarda l'accertamento del suo diritto ad ottenere il pagamento del servizio di depurazione da lei effettuato in favore dei comuni consorziati, fra cui quello appellante, nei limiti delle somme corrisposte agli stessi da ESAF. Essendo unicamente questa la pretesa di cui si controverte - anche perché è stata respinta, come osservato, la richiesta di risarcimento danni proposta dal consorzio - è evidente che la provata corresponsione parziale di dette somme, dimostra la sostanziale acquiescenza al dictum giudiziale da parte dell'appellante. 4.1.3. Nonostante questa verosimile carenza di interesse, venendo al merito della questione, il primo motivo di appello è comunque infondato, innanzitutto perché non è contestato al consorzio di bonifica alcun inadempimento, che dunque, deve ritenersi, ha regolarmente effettuato il servizio ed ha pertanto pienamente diritto alla remunerazione pattuita, quanto meno a copertura dei costi sostenuti. Così come non è (adeguatamente) contestato - lo si ribadirà anche più avanti - che ESAF abbia rimborsato le somme riscosse al comune appellante e dunque non si vede ragione perché quest'ultimo debba trattenerle, invece di riversare quanto dovuto al gestore del servizio. E' in ogni caso erroneo il presupposto su cui si fonda la doglianza in analisi, nella parte in cui rivendica l'estraneità del comune appellante, sotto il profilo dell'imputabilità giuridica al medesimo, del servizio espletato e del connesso rapporto giuridico. La pretesa terzietà è infatti infondata in diritto ed in fatto. Nella prima prospettiva, perché il detto servizio, in quanto servizio pubblico locale, è istituzionalmente attribuito al comune, ai sensi dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, come dimostra del resto la delega che, unitamente agli altri due comuni, il comune appellante ebbe a conferire al consorzio e che rivela la consapevole titolarità della relativa attribuzione. In fatto, l'asserita estraneità del comune al rapporto controverso trova una smentita documentale in atti, perché risulta, come si osservava, che l'ESAF, ossia l'Ente sardo Acquedotto e Fognatura ha versato al Comune di (omissis), a seguito di fatture emesse dal medesimo e di sua esplicita richiesta, somme a copertura dei costi sostenuti dal consorzio per la gestione del servizio. Dunque non si vede per quale motivo, come già osservato, l'ente locale eccepisca tuttora di non essere tenuto, a sua volta, a riversarle al gestore. D'altronde, anche a voler ritenere che, in forza della delega conferita, il comune appellante fosse oramai divenuto estraneo alla gestione del servizio, nulla osterebbe comunque a che il pagamento dello stesso potesse avvenire - come di fatto avvenuto perché previsto dalla Convenzione - attraverso l'intermediazione dello stesso comune destinatario del servizio, che, dopo aver ricevuto i soldi da ESAF, provveda a riversarli al consorzio a copertura dei relativi costi. Infatti, non è evincibile dalla citata legge n. 36 del 1994 alcuna norma imperativa che possa interdire il ridetto meccanismo indiretto di pagamento, che anzi risultava quello più opportuno da un punto di vista concreto, dal momento che il comune interessato, molto meglio di quanto avrebbe potuto fare il consorzio, disponeva dei dati necessari agli abitanti ed ai relativi allacci, e dunque era in grado di riscontrare, più rapidamente di chiunque altro, la correttezza del piano di riparto proposto dall'esattore. Pertanto deve concludersi che correttamente il giudice di prime cure ha ritenuto la nullità solamente parziale della Convenzione, sostituendo, di diritto, le clausole di essa ritenute in contrasto con le norme imperative, ossia eliminando le sole clausole che, in violazione delle norme prescrittive della legge Galli, prevedevano la fatturazione diretta all'utenza da parte del gestore del servizio e l'obbligo di rendicontazione a carico dei comuni, confermando nel resto la validità dell'accordo. Oltre alle considerazioni che precedono in ordine all'insussistenza di ulteriori contrasti fra le clausole convenzionali e i principi imperativi di detta legge, conforta questo arresto il principio di conservazione della volontà contrattuale, a fortiori applicabile al caso di accordi fra pubbliche amministrazioni finalizzati al perseguimento di interessi pubblici. 4.1.4. Di conseguenza va rigettata anche la richiesta - pure avanzata dalla parte - di dichiarare la nullità totale, anziché parziale della detta convenzione e, con essa, la connessa eccezione di difetto di giurisdizione per inesistenza dei presupposti di cui all'art. 15 della L. 241 del 1990 e dell'art. 133 comma 1 lett. a) n. 2 del c.p.a.. 5. Il secondo motivo d'appello contesta la sussistenza di una responsabilità contrattuale della parte appellante, in ragione della nullità assoluta della Convenzione intercorsa tra le parti. In subordine, la parte appellante contesta altresì che essa avrebbe ottenuto un indebito arricchimento nell'ambito della vicenda controversa. 5.1. Il motivo è infondato. Le considerazioni che precedono - che hanno condotto alla conferma della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la nullità della Convenzione sia solo parziale - dimostra che si tratta di un accordo, eccezion fatta per le parti da sostituire, tuttora valido e vincolante. Specificamente era ed è tuttora sussistente, in base ad esso, l'obbligo del comune appellante di riversare le somme a suo tempo ricevute da ESAF a fronte delle fatture emesse, a copertura dei costi del servizio. 5.2. Quanto precede rende irrilevante, per evidenti motivi, la delibazione del motivo con il quale si contesta la sussistenza di un indebito arricchimento in capo al comune. 6. Venendo al quantum spettante alla parte appellata - che è oggetto di generica contestazione anche con lo stesso secondo motivo di gravame, e di specifica contestazione con il quarto motivo di gravame - esso si desume agevolmente dalle somme che ESAF ha corrisposto ai comuni, somme che sono ampiamente documentate sulla base degli elementi versati in atti del fascicolo di primo grado da quest'ultimo e che sono riproposti anche nella documentazione allegata dalla parte appellata al giudizio civile originariamente avviato. Risultano esibiti, in particolare, i mandati di pagamento effettuati in favore del comune appellante, oltre al conto economico del consorzio e all'elenco delle utenze servite, tutte certificazioni che documentano ed attestano le spese sostenute dal consorzio per l'espletamento del servizio e che comprovano l'entità del credito da questi vantato verso i comuni consorziati. Detti referti documentali non sono, né, per vero, potrebbero essere, convincentemente contestati quanto al loro ammontare, dalla parte appellante, le cui deduzioni si rivelano sul punto generiche e prive di adeguati supporti contro-probatori. 6.1. Tuttavia, per quanto riguarda l'ammontare dovuto, esso va corretto - rispetto alla sentenza impugnata, che lo individua, per mero errore materiale, in euro 239.306,66, - nella diversa somma di euro 275.306,66 che deriva dalla sottrazione, al debito originariamente dovuto di euro 362.406,91 della somma di euro 87.100,25 corrisposta a titolo di acconto dalla parte appellante al consorzio, che corrisponde all'ammontare in concreto ed attualmente dovuto dalla parte appellante al consorzio. 7. Il terzo motivo di appello contesta alla sentenza impugnata il vizio di illogicità della motivazione, oltre che l'erronea applicazione dell'art. 1227 c.c.. 7.1. Il motivo è infondato dal momento che, come già osservato a commento del primo motivo d'appello, la sentenza gravata ha correttamente applicato le norme civilistiche di cui agli articoli 1419 e 1339 c.c. alla Convenzione di cui alla controversia, oltre che il principio di conservazione degli atti negoziali, dando adeguata contezza delle ragioni che sorreggevano la ricostruzione prescelta. 7.2. Quanto alla denunciata violazione dell'art. 1227 c.c. la doglianza non ha rilievo, dal momento che il giudice di prime cure si è limitato a riconoscere il diritto del consorzio a ricevere dal comune appellante le somme che gli erano state già corrisposte da ESAF, senza al contempo accogliere la contestuale richiesta di risarcimento del danno - che pure era stata avanzata dalla ricorrente. Mancandone dunque il presupposto operativo, non ha senso l'invocazione del meccanismo limitativo di responsabilità per i danni di cui al citato art. 1227 del codice civile. 8. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto dell'appello. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rigetta l'appello. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 9000,00 (euronovemila,00), da dividersi in parti eguali fra le tre parti appellate costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Raffaello Sestini - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6122 del 2018, proposto da Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pa. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Cr. Sc. in Roma, via di (...); contro Consorzio di Bonifica Sa. Ce., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ar. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ab. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. 440/2018 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Sardegna e di Ab. Spa e di Consorzio di Bonifica Sa. Ce.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 7 febbraio 2024 il Cons. Sergio Zeuli Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza impugnata ha accolto il ricorso con cui il consorzio di bonifica, odierna parte appellata aveva impugnato la convenzione stipulata in data 20 dicembre 2000 tra il Comune di (omissis) (Ente capofila del Consorzio di Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) ) e il Consorzio di Bonifica della Sa. Ce. di Nu. per la gestione decennale di un impianto di depurazione consortile delle acque reflue delle reti fognarie degli abitati dei comuni suddetti. Sono dedotti i seguenti motivi d'appello avverso la decisione: I VIOLAZIONE E/O ERRONEA APPLICAZIONE DELL'ART. 15 L. 5.1.1994 N. 36; MANCATA APPLICAZIONE DELL'ART. 1419 C.C.; OMESSA DECLARATORIA DI NULLITÀ INTEGRALE DELLA CONVENZIONE REP. 17/2000; CONSEGUENTE DIFETTO DI GIURISDIZIONE DEL G.O. A CONOSCERE DEL RAPPORTO IN ATTI; II INSUSSISTENZA DI RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE PER CARENZA DI TITOLO IDONEO; MANCATA APPLICAZIONE DELL'ART. 2041 C.C. ANCHE IN RELAZIONE ALLA QUANTIFICAZIONE DELL'INDENNIZZO; III MOTIVAZIONE ILLOGICA E CONTRADDITTORIA; VIOLAZIONE DELL'ART. 1227 C.C.; NEGATIVI RIFLESSI SULLA QUANTIFICAZIONE; IV ERRATA DETERMINAZIONE DEL QUANTUM DEBEATUR SOTTO DIFFERENTE PROFILO; LIQUIDAZIONE IN FUNZIONE RESTITUTORIA - MOTIVAZIONE CONTRADDITTORIA; DIFETTO DI ISTRUTTORIA. 2.Si sono costituiti in giudizio, il Consorzio di Bonifica, la Regione Sardegna e Ab. S.p.a., quale avente causa dell'Ente Sardo Acquedotti e Fognatura, tutti contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. 3. L'odierna controversia ebbe inizio quando, il 20 dicembre 2000, venne stipulata una convenzione tra il Comune di (omissis) (Ente capofila del Consorzio di Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) ) e il Consorzio di Bonifica della Sa. Ce. di Nu. per la gestione decennale di un impianto di depurazione consortile delle acque reflue delle reti fognarie degli abitati dei comuni suddetti. Con le deliberazioni del 27 giugno 2000, n. 18 e del 13 luglio 2000, n. 35 e del 16 novembre 2000, n. 130, i Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) affidavano al Consorzio di Bonifica la gestione tecnica ed operativa dell'impianto di depurazione al servizio dei centri abitati del comune. In base alla suddetta convenzione, stipulata il 20 dicembre successivo, i Comuni avrebbero dovuto comunicare con scadenza trimestrale l'elenco delle utenze servite dal servizio fognario e depurativo e le letture dei contatori idrici, allo scopo di individuare e calcolare i volumi effettivi di acque reflue scaricate nell'impianto e di consentire al Consorzio di fatturare direttamente all'utenza i canoni del servizio depurativo. Tale gestione è cessata ex lege l'1 gennaio 2005, con una gestione transitoria fino al 31 agosto 2005, fino a che l'1 gennaio 2006 è subentrata nella gestione del servizio Ab. S.p.a. Dal tabulato cartaceo relativo all'anno 2000 - inviato dai comuni solo dopo ripetuti solleciti- risultava che il corrispettivo per il servizio espletato dal Consorzio di Bonifica era stato fatturato dall'Ente Sardo Acquedotti e Fognature (ESAF) e poi da questo riversato ai comuni, in applicazione dell'art. 15, comma 2 della legge n. 36 del 1994, ai sensi del quale "qualora il servizio idrico sia gestito separatamente, per effetto di particolari convenzioni e concessioni, la relativa tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori entro trenta giorni dalla riscossione". Ciò nonostante e malgrado reiterati solleciti, i Comuni convenuti non avevano poi riversato i pagamenti dovuti, e a loro versati da ESAF, al Consorzio di Bonifica. Dopo che, con sentenza del 2 aprile 2012, n. 278, il Tribunale di Nuoro, in composizione monocratica, aveva declinato la propria giurisdizione, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, del codice del processo amministrativo, in ragione della qualificazione della convenzione stipulata con i comuni come accordo tra amministrazioni pubbliche ai sensi dell'art. 15 della legge n. 241 del 1990, l'odierna appellata ha riassunto il ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, chiedendogli di accertare e dichiarare la responsabilità dei Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis), oltre che di Ab. S.p.A. e di E.S.A.F. S.p.A., per l'inadempimento di tutte le obbligazioni assunte nella convenzione stipulata il 20 dicembre 2000, con la conseguente condanna a rimborsargli le spese e i costi necessari per la gestione e l'esercizio dell'impianto di depurazione al servizio dei comuni, per il periodo intercorrente dal 2000 al 31 dicembre 2005, oltre al risarcimento del danno. La sentenza impugnata ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso, dichiarando la nullità parziale della convenzione ex art. 1418 c.c., nei punti 3.18 e 4.1., per contrasto con il sistema di riscossione delineato dall'art. 15 comma 2, della legge n. 36 del 1994 (cd. "legge Galli", dal nome del suo proponente), applicabile ratione temporis, con conseguente sostituzione delle previsioni ivi contenute e cioè quella che prevedeva la fatturazione diretta del consorzio all'utenza e quella che prevedeva l'obbligo dei comuni consorziati di comunicare al consorzio l'elenco delle utenze servite, con le diverse prescrizioni dettate dalla legge Galli. A seguito di tale modifica del contratto, il TAR ha ritenuto che i comuni fossero a quel punto vincolati a pagare al consorzio il servizio di depurazione affidatogli, avendo oltretutto ottenuto il versamento dei relativi canoni da ESAF, e, di conseguenza, li ha considerati inadempienti rispetto agli obblighi assunti in convenzione. Quanto ai concreti importi dovuti, il Consorzio li aveva determinati, quanto al Comune di (omissis), in euro 239.306,66; quanto al Comune di (omissis), in euro 122.486,64 e quanto infine al Comune di (omissis) in euro 24.227,61, oltre al pagamento degli interessi legali dalla costituzione in mora, fino al saldo effettivo, trattandosi di obbligazione di valuta, a titolo di responsabilità contrattuale. Il Tar ha invece respinto la contestuale richiesta di risarcimento del danno proposta dalla parte ricorrente. 4. Il primo motivo d'appello deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha interpretato le norme imperative contenute nell'art. 15 della citata legge n. 36 del 1994. Secondo la parte appellante quest'ultima disposizione andrebbe letta nel senso che, in virtù della convenzione, era ESAF che, dopo aver riscosso la tariffa dall'utenza, avrebbe dovuto rimborsare i costi del servizio al consorzio gestore; viceversa i singoli comuni, in quanto estranei all'erogazione ed alla gestione del servizio, non erano tenuti a corrispondere il dovuto al consorzio, diversamente da quanto da questi preteso. Secondo la parte appellante la sentenza sarebbe invece sul punto contraddittoria perché, dopo aver correttamente ritenuto la Convenzione in contrasto con le norme imperative della legge Galli, non aveva tratto, da questa condivisibile premessa, l'inevitabile conclusione che l'unico rapporto giuridicamente rilevante era, per l'appunto, quello intercorrente tra Consorzio ed Esaf, escludendo i comuni che, avendo dato mandato al primo, si erano spogliati delle relative competenze. Ciò sarebbe dimostrato dal fatto che l'articolo 15 comma 2 della citata legge n. 36 prevede che, allorquando non vi sia un unico soggetto a gestire i servizi di acquedotto e depurazione, il gestore del servizio di depurazione, e cioè ESAF, dopo aver riscosso la tariffa, deve successivamente provvedere al riparto tra i diversi gestori entro trenta giorni dalla riscossione (id est: all'epoca dei fatti ESAF, che avrebbe dovuto interloquire unicamente con il Consorzio). In sintesi, secondo il motivo in esame, bene aveva fatto il giudice di primo grado a dichiarare il contrasto della convenzione con la legge n. 36 del 1994, ciò non di meno avrebbe dovuto trarne come inevitabile conseguenza l'estraneità della parte appellante rispetto alla controversia, sulla quale, come sugli altri partecipanti non poteva incombere alcun obbligo, tanto meno quello di corrispondere al gestore del servizio i costi sostenuti, come invece aveva erroneamente sostenuto la sentenza gravata. Da ciò, secondo la parte appellante, deriverebbe oltretutto non la nullità parziale, ma quella radicale della convenzione, con conseguente necessità di devolvere la cognizione della causa alla giurisdizione del giudice ordinario, per il venir meno dei presupposti di cui all'art. 133 lett. a) n. 2) c.p.a.. 4.1. Il motivo è infondato. 4.1.1. Prima di spiegare le ragioni della sua inconsistenza sono però necessarie due premesse metodologiche, la prima delle quali è data dalla constatazione che il comune appellante ha, sia pure solo in parte, corrisposto nel frattempo al consorzio le somme da questi pretese a copertura dei costi di gestione. Somme che l'ente locale aveva a sua volta ricevuto da ESAF. E' pertanto innegabile che questa circostanza, in astratto, integri una sopravvenuta carenza di interesse per acquiescenza alla sentenza impugnata, soprattutto con riferimento al motivo in esame, posto che la parte appellante, in via principale, se non esclusiva, pur contestando di essere debitrice delle relative somme, le ha, anche se solo parzialmente, corrisposte, senza apporre nessuna riserva all'atto del pagamento. 4.1.2. Va ancora premesso, anche per ulteriormente specificare quanto osservato al capo che precede, che la pretesa azionata dalla parte ricorrente - oggi appellata - riguarda l'accertamento del suo diritto ad ottenere il pagamento del servizio di depurazione da lei effettuato in favore dei comuni consorziati, fra cui quello appellante, nei limiti delle somme corrisposte agli stessi da ESAF. Essendo unicamente questa la pretesa di cui si controverte - anche perché è stata respinta, come osservato, la richiesta di risarcimento danni proposta dal consorzio - è evidente che la provata corresponsione parziale di dette somme, dimostra la sostanziale acquiescenza al dictum giudiziale da parte dell'appellante. 4.1.3. Nonostante una probabile carenza di interesse, e venendo al merito della questione, il primo motivo di appello è comunque infondato, innanzitutto perché non è contestato al consorzio di bonifica alcun inadempimento, che dunque, deve ritenersi, ha regolarmente effettuato il servizio ed ha pertanto pienamente diritto alla remunerazione pattuita, quanto meno a copertura dei costi sostenuti. Così come non è (adeguatamente) contestato - lo si ribadirà anche più avanti - che ESAF ha rimborsato le somme riscosse al comune appellante e dunque non si vede ragione perché quest'ultimo debba trattenerle invece di riversare quanto dovuto al gestore del servizio. E' in ogni caso erroneo il presupposto su cui si fonda la doglianza in analisi, nella parte in cui rivendica l'estraneità del comune appellante, sotto il profilo dell'imputabilità giuridica al medesimo, del servizio espletato e del connesso rapporto giuridico. La pretesa terzietà è infatti infondata in diritto ed in fatto. Nella prima prospettiva, perché il detto servizio, in quanto servizio pubblico locale, è istituzionalmente attribuito al comune, ai sensi dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, come dimostra del resto la delega che, unitamente agli altri due comuni, il comune appellante ebbe a conferire al Consorzio e che rivela la consapevole titolarità della relativa attribuzione. In fatto, l'asserita estraneità del comune al rapporto controverso trova una smentita documentale in atti, perché risulta, come si osservava, che l'ESAF, ossia l'Ente sardo Acquedotto e Fognatura ha versato al Comune di (omissis), a seguito di fatture emesse dal medesimo, somme a copertura dei costi sostenuti dal Consorzio per la gestione del servizio. Dunque non si vede per quale motivo, come già osservato, l'ente locale eccepisca tuttora di non essere tenuto, a sua volta, a riversarle al gestore. D'altronde, anche a voler ritenere che, in forza della delega conferita, il comune appellante fosse oramai divenuto estraneo alla gestione del servizio, nulla osterebbe comunque a che il pagamento dello stesso potesse avvenire - come di fatto avvenuto perché previsto dalla Convenzione - attraverso l'intermediazione dello stesso comune destinatario del servizio, che, dopo aver riscosso i soldi da ESAF, provveda a riversarli al Consorzio a copertura dei relativi costi. Infatti, non è evincibile dalla citata legge n. 36 del 1994 alcuna norma imperativa che potesse impedire il ridetto meccanismo indiretto di pagamento, che anzi risultava quello più opportuno da un punto di vista concreto, dal momento che il comune interessato, molto meglio di quanto avrebbe potuto fare il consorzio, disponeva dei dati necessari agli abitanti ed ai relativi allacci, e dunque era in grado di riscontrare, più rapidamente di chiunque altro, la correttezza del piano di riparto proposto dall'esattore. Pertanto deve concludersi che correttamente il giudice di prime cure ha ritenuto la nullità solamente parziale della Convenzione, sostituendo, di diritto, le clausole di essa ritenute in contrasto con le norme imperative, ossia eliminando le sole clausole che, in violazione delle norme prescrittive della legge Galli, prevedevano la fatturazione diretta all'utenza da parte del gestore del servizio e l'obbligo di rendicontazione a carico dei comuni, confermando nel resto la validità dell'accordo. Oltre alle considerazioni che precedono in ordine all'insussistenza di ulteriori contrasti fra le clausole convenzionali e i principi imperativi di detta legge, conforta questo arresto il principio di conservazione della volontà contrattuale, a fortiori applicabile al caso di accordi fra pubbliche amministrazioni finalizzati al perseguimento di interessi pubblici. 4.1.4. Di conseguenza va rigettata anche la richiesta - pure avanzata dalla parte - di dichiarare la nullità totale, anziché parziale della detta convenzione e, con essa, la connessa eccezione di difetto di giurisdizione per inesistenza dei presupposti di cui all'art. 15 della L. 241 del 1990 e dell'art. 133 comma 1 lett. a) n. 2 del c.p.a.. 5. Il secondo motivo d'appello contesta la sussistenza di una responsabilità contrattuale della parte appellante, in ragione della nullità assoluta della Convenzione intercorsa tra le parti. In subordine, la parte appellante contesta altresì che essa avrebbe ottenuto un indebito arricchimento nell'ambito della vicenda controversa. 5.1. Il motivo è infondato. Le considerazioni che precedono - che hanno condotto alla conferma della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la nullità della Convenzione sia solo parziale - dimostra che si tratta di un accordo, eccezion fatta per le parti da sostituire, tuttora valido e vincolante. Specificamente era ed è tuttora sussistente, in base ad esso, l'obbligo del comune appellante di riversare le somme a suo tempo ricevute da ESAF a fronte delle fatture emesse, a copertura dei costi del servizio. 5.2. Quanto precede rende irrilevante, per evidenti motivi, la delibazione del motivo con il quale si contesta la sussistenza di un indebito arricchimento in capo al comune. 6. Venendo al quantum spettante alla parte appellata - che è oggetto di generica contestazione anche con lo stesso secondo motivo di gravame, e di specifica contestazione con il quarto motivo di gravame - esso si desume agevolmente dalle somme che ESAF ha corrisposto ai comuni, somme che sono ampiamente documentate sulla base degli elementi versati in atti del fascicolo di primo grado da quest'ultimo e che sono riproposti anche nella documentazione allegata dalla parte appellata al giudizio civile originariamente avviato. Risultano esibiti, in particolare, i mandati di pagamento effettuati in favore del comune appellante, oltre al conto economico del consorzio e all'elenco delle utenze servite, tutte certificazioni che documentano ed attestano le spese sostenute dal consorzio per l'espletamento del servizio e che comprovano l'entità del credito da questi vantato verso i comuni consorziati. Detti referti documentali non sono, né, per vero, potrebbero essere, convincentemente contestati quanto al loro ammontare, dalla parte appellante, le cui deduzioni si rivelano sul punto generiche e prive di adeguati supporti contro-probatori. 6.1. Tuttavia, per quanto riguarda l'ammontare dovuto, nella memoria di replica del 18 dicembre del 2023 il Consorzio ha precisato che, con i seguenti mandati e reversali di pagamento, e cioè : 1. il mandato di pagamento del Comune di (omissis) in favore del Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale n. 762 del 15 maggio 2007, della somma di Euro. 12.012,16, per "versamento canoni di depurazione-acconto fattura n. 1123/2006"; 2. il mandato di pagamento del Comune di (omissis) in favore del Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale n. 763 del 15 maggio 2007, della somma di Euro. 5.833,16, per "versamento canoni di depurazione-acconto fattura n. 1123/2006"; 3. il mandato di pagamento del Comune di (omissis) in favore del Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale n. 1031 del 2 luglio 2007, della somma di Euro. 13.463,66, per "versamento canoni di depurazione dal 2000 al 2004" 4. le due reversali di incasso nn. 56 e 57 del 4 febbraio del 2008, per euro 28.408,241, il comune appellante ha in parte corrisposto le somme dovute per un totale di euro 31.308,98, con un complessivo ammontare degli acconti pari ad euro 59.717,22. Quindi, a fronte di un debito originario di euro 153.795,62 - così emergente dai reperti documentali in atti - il Comune di (omissis) ha corrisposto il predetto anticipo che va detratto dal montante complessivo, restando ancora da saldare, la differenza, pari ad euro 94.078,40, che corrisponde alla somma in concreto ed attualmente dovuta dalla parte appellante al consorzio. 7. Il terzo motivo di appello contesta alla sentenza impugnata il vizio di illogicità della motivazione, oltre che l'erronea applicazione dell'art. 1227 c.c.. 7.1. Il motivo è infondato dal momento che, come già osservato a commento del primo motivo d'appello, la sentenza gravata ha correttamente applicato le norme civilistiche di cui agli articoli 1419 e 1339 c.c. alla Convenzione di cui alla controversia, oltre che il principio di conservazione degli atti negoziali, dando adeguata contezza delle ragioni che sorreggevano la ricostruzione prescelta. 7.2. Quanto alla denunciata violazione dell'art. 1227 c.c. la doglianza non ha rilievo, dal momento che il giudice di prime cure si è limitato a riconoscere il diritto del consorzio a ricevere dal comune appellante le somme che gli erano state già corrisposte da ESAF, senza al contempo accogliere la contestuale richiesta di risarcimento del danno - che pure era stata avanzata dalla ricorrente. Mancandone dunque il presupposto operativo, non ha senso l'invocazione del meccanismo limitativo di responsabilità per i danni di cui al citato art. 1227 del codice civile. 8. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto dell'appello. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rigetta l'appello. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 9000,00 (euronovemila,00), da dividersi in parti eguali fra le tre parti appellate costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Raffaello Sestini - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6679 del 2018, proposto da Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Consorzio di Bonifica Sa. Ce., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ar. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ab. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. 440/2018 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consorzio di Bonifica Sa. Ce. e di Regione Sardegna e di Ab. Spa; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 7 febbraio 2024 il Cons. Sergio Zeuli Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza impugnata ha parzialmente accolto il ricorso con cui il consorzio di bonifica, odierna parte appellata aveva impugnato la convenzione stipulata in data 20 dicembre 2000 tra il Comune di (omissis) (Ente capofila del Consorzio di Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) ) e il Consorzio di Bonifica della Sa. Ce. di Nu. per la gestione decennale di un impianto di depurazione consortile delle acque reflue delle reti fognarie degli abitati dei comuni suddetti. Sono dedotti i seguenti motivi d'appello avverso la decisione: I VIOLAZIONE E/O ERRONEA APPLICAZIONE DELL'ART. 15 L. 5.1.1994 N. 36; MANCATA APPLICAZIONE DELL'ART. 1419 C.C.; OMESSA DECLARATORIA DI NULLITÀ INTEGRALE DELLA CONVENZIONE REP. 17/2000; CONSEGUENTE DIFETTO DI GIURISDIZIONE DEL G.O. A CONOSCERE DEL RAPPORTO IN ATTI; II INSUSSISTENZA DI RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE PER CARENZA DI TITOLO IDONEO; MANCATA APPLICAZIONE DELL'ART. 2041 C.C. ANCHE IN RELAZIONE ALLA QUANTIFICAZIONE DELL'INDENNIZZO; III MOTIVAZIONE ILLOGICA E CONTRADDITTORIA; VIOLAZIONE DELL'ART. 1227 C.C.; NEGATIVI RIFLESSI SULLA QUANTIFICAZIONE; IV ERRATA DETERMINAZIONE DEL QUANTUM DEBEATUR SOTTO DIFFERENTE PROFILO; LIQUIDAZIONE IN FUNZIONE RESTITUTORIA - MOTIVAZIONE CONTRADDITTORIA; DIFETTO DI ISTRUTTORIA. 2.Si sono costituiti in giudizio, il Consorzio di Bonifica, la Regione Sardegna e Ab. S.p.a., quale avente causa dell'Ente Sardo Acquedotti e Fognatura, tutti contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. 3. L'odierna controversia ebbe inizio quando, il 20 dicembre 2000, venne stipulata una convenzione tra il Comune di (omissis) (Ente capofila del Consorzio di Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) ) e il Consorzio di Bonifica della Sa. Ce. di Nu. per la gestione decennale di un impianto di depurazione consortile delle acque reflue delle reti fognarie degli abitati dei comuni suddetti. Con le deliberazioni del 27 giugno 2000, n. 18 e del 13 luglio 2000, n. 35 e del 16 novembre 2000, n. 130, i Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) affidavano al Consorzio di Bonifica la gestione tecnica ed operativa dell'impianto di depurazione al servizio dei centri abitati del comune. In base alla suddetta convenzione, stipulata il 20 dicembre successivo, i Comuni avrebbero dovuto comunicare con scadenza trimestrale l'elenco delle utenze servite dal servizio fognario e depurativo e le letture dei contatori idrici, allo scopo di individuare e calcolare i volumi effettivi di acque reflue scaricate nell'impianto e di consentire al Consorzio di fatturare direttamente all'utenza i canoni del servizio depurativo. Tale gestione è cessata ex lege l'1 gennaio 2005, con una gestione transitoria fino al 31 agosto 2005, fino a che l'1 gennaio 2006 è subentrata nella gestione del servizio Ab. S.p.a. Dal tabulato cartaceo relativo all'anno 2000 - inviato dai comuni solo dopo ripetuti solleciti- risultava che il corrispettivo per il servizio espletato dal Consorzio di Bonifica era stato fatturato dall'Ente Sardo Acquedotti e Fognature (ESAF) e poi da questo riversato ai comuni, in applicazione dell'art. 15, comma 2 della legge n. 36 del 1994, ai sensi del quale "qualora il servizio idrico sia gestito separatamente, per effetto di particolari convenzioni e concessioni, la relativa tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori entro trenta giorni dalla riscossione". Ciò nonostante e malgrado reiterati solleciti, i Comuni convenuti non avevano poi riversato i pagamenti dovuti, e a loro versati da ESAF, al Consorzio di Bonifica. Dopo che, con sentenza del 2 aprile 2012, n. 278, il Tribunale civile di Nuoro, in composizione monocratica, aveva declinato la propria giurisdizione, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, del codice del processo amministrativo, in ragione della qualificazione della convenzione stipulata con i comuni come accordo tra amministrazioni pubbliche ai sensi dell'art. 15 della legge n. 241 del 1990, l'odierna appellata ha riassunto il ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, chiedendogli di accertare e dichiarare la responsabilità dei Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis), oltre che di Ab. S.p.A. e di E.S.A.F. S.p.A., per l'inadempimento di tutte le obbligazioni assunte nella convenzione stipulata il 20 dicembre 2000, con la conseguente condanna a rimborsargli le spese e i costi necessari per la gestione e l'esercizio dell'impianto di depurazione al servizio dei comuni, per il periodo intercorrente dal 2000 al 31 dicembre 2005, oltre al risarcimento del danno. La sentenza impugnata ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso, dichiarando la nullità parziale della convenzione ex art. 1418 c.c., nei punti 3.18 e 4.1., per contrasto con il sistema di riscossione delineato dall'art. 15 comma 2, della legge n. 36 del 1994 (cd. "legge Galli", dal nome del suo proponente), applicabile ratione temporis, con conseguente sostituzione delle previsioni ivi contenute e cioè quella che prevedeva la fatturazione diretta del consorzio all'utenza e quella che prevedeva l'obbligo dei comuni consorziati di comunicare al consorzio l'elenco delle utenze servite, con le diverse prescrizioni dettate dalla legge Galli. A seguito di tale modifica del contratto, il TAR ha ritenuto che i comuni fossero a quel punto vincolati a pagare al consorzio il servizio di depurazione affidatogli, avendo oltretutto ottenuto il versamento dei relativi canoni da ESAF, e, di conseguenza, li ha considerati inadempienti rispetto agli obblighi assunti in convenzione. Quanto ai concreti importi dovuti, il Consorzio li aveva determinati, quanto al Comune di (omissis), in euro 275.306,66 (e non in euro 239.306,66, come scritto, per errore materiale, dal TAR); quanto al Comune di (omissis), in euro 122.486,64 e quanto infine al Comune di (omissis) in euro 24.227,61, oltre al pagamento degli interessi legali dalla costituzione in mora, fino al saldo effettivo, trattandosi di obbligazione di valuta, a titolo di responsabilità contrattuale. Il Tar ha invece respinto la contestuale richiesta di risarcimento del danno proposta dalla parte ricorrente. 4. Il primo motivo d'appello deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha interpretato le norme imperative contenute nell'art. 15 della citata legge n. 36 del 1994. Secondo la parte appellante quest'ultima disposizione andrebbe letta nel senso che, in virtù della convenzione, era ESAF che, dopo aver riscosso la tariffa dall'utenza, avrebbe dovuto rimborsare i costi del servizio al consorzio gestore; viceversa i singoli comuni, in quanto estranei all'erogazione ed alla gestione del servizio, non erano tenuti a corrispondere il dovuto al consorzio, né debitori di quest'ultimo, diversamente da quanto da questi preteso. Secondo la parte appellante la sentenza sarebbe sul punto contraddittoria perché, dopo aver correttamente ritenuto la Convenzione in contrasto con le norme imperative della legge Galli, non aveva tratto, da questa condivisibile premessa, l'inevitabile conclusione che l'unico rapporto giuridicamente rilevante era, per l'appunto, quello intercorrente tra Consorzio ed Esaf, escludendo i comuni che, avendo dato mandato al primo, si erano spogliati delle relative competenze. Ciò sarebbe dimostrato dal fatto che l'articolo 15 comma 2 della citata legge n. 36 prevede che, allorquando non vi sia un unico soggetto a gestire i servizi di acquedotto e depurazione, il gestore del servizio di depurazione, e cioè ESAF, dopo aver riscosso la tariffa, deve successivamente provvedere al riparto tra i diversi gestori entro trenta giorni dalla riscossione (id est: all'epoca dei fatti ESAF avrebbe dovuto interloquire unicamente con il Consorzio). In sintesi, secondo il motivo in esame, bene aveva fatto il giudice di primo grado a dichiarare il contrasto della Convenzione con la legge n. 36 del 1994, ciò non di meno avrebbe dovuto trarne come inevitabile conseguenza l'estraneità della parte appellante rispetto alla controversia, sulla quale, come sugli altri comuni partecipanti al consorzio non poteva incombere alcun obbligo, tanto meno quello di corrispondere al gestore del servizio i costi sostenuti, come invece aveva erroneamente sostenuto la sentenza gravata. Da ciò, secondo la parte appellante, deriverebbe oltretutto non la nullità parziale, ma quella radicale della convenzione, con conseguente necessità di devolvere la cognizione della causa alla giurisdizione del giudice ordinario, per il venir meno dei presupposti di cui all'art. 133 lett. a) n. 2) c.p.a.. 4.1. Il motivo è infondato. 4.1.1. Prima di spiegare le ragioni della sua inconsistenza sono però necessarie due premesse metodologiche, la prima delle quali è data dalla constatazione che il comune appellante ha, sia pure solo in parte, corrisposto nel frattempo al consorzio le somme da questi pretese a copertura dei costi di gestione. Somme che l'ente locale aveva a sua volta ricevuto da ESAF. E' pertanto innegabile che questa circostanza, in astratto, integri una sopravvenuta carenza di interesse per acquiescenza alla sentenza impugnata, soprattutto con riferimento al motivo in esame, posto che la parte appellante, in via principale, se non esclusiva, pur contestando di essere debitrice delle relative somme, le ha, anche se solo parzialmente, corrisposte, senza apporre nessuna riserva all'atto del pagamento. 4.1.2. Va ancora premesso, anche per ulteriormente specificare quanto osservato al capo che precede, che la pretesa azionata dalla parte ricorrente - oggi appellata - riguarda l'accertamento del suo diritto ad ottenere il pagamento del servizio di depurazione da lei effettuato in favore dei comuni consorziati, fra cui quello appellante, nei limiti delle somme corrisposte agli stessi da ESAF. Essendo unicamente questa la pretesa di cui si controverte - anche perché è stata respinta, come osservato, la richiesta di risarcimento danni proposta dal consorzio - è evidente che la provata corresponsione parziale di dette somme, dimostra la sostanziale acquiescenza al dictum giudiziale da parte dell'appellante. 4.1.3. Nonostante questa verosimile carenza di interesse, venendo al merito della questione, il primo motivo di appello è comunque infondato, innanzitutto perché non è contestato al consorzio di bonifica alcun inadempimento, che dunque, deve ritenersi, ha regolarmente effettuato il servizio ed ha pertanto pienamente diritto alla remunerazione pattuita, quanto meno a copertura dei costi sostenuti. Così come non è (adeguatamente) contestato - lo si ribadirà anche più avanti - che ESAF abbia rimborsato le somme riscosse al comune appellante e dunque non si vede ragione perché quest'ultimo debba trattenerle, invece di riversare quanto dovuto al gestore del servizio. E' in ogni caso erroneo il presupposto su cui si fonda la doglianza in analisi, nella parte in cui rivendica l'estraneità del comune appellante, sotto il profilo dell'imputabilità giuridica al medesimo, del servizio espletato e del connesso rapporto giuridico. La pretesa terzietà rispetto alla convenzione è infatti infondata in diritto ed in fatto. Nella prima prospettiva, perché il detto servizio, in quanto servizio pubblico locale, è istituzionalmente attribuito al comune, ai sensi dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, come dimostra del resto la delega che, unitamente agli altri due comuni, il comune appellante ebbe a conferire al consorzio e che rivela la consapevole titolarità della relativa attribuzione. In fatto, l'asserita estraneità del comune al rapporto controverso trova una smentita documentale in atti, perché risulta, come si osservava, che l'ESAF, ossia l'Ente sardo Acquedotto e Fognatura ha versato al Comune di (omissis), somme a copertura dei costi sostenuti dal consorzio per la gestione del servizio. Dunque non si vede per quale motivo, come già osservato, l'ente locale eccepisca tuttora di non essere tenuto, a sua volta, a riversarle al gestore. D'altronde, anche a voler ritenere che, in forza della delega conferita, il comune appellante fosse oramai divenuto estraneo alla gestione del servizio, nulla osterebbe comunque a che il pagamento dello stesso potesse avvenire - come di fatto avvenuto perché previsto dalla Convenzione - attraverso l'intermediazione dello stesso comune destinatario del servizio, che, dopo aver ricevuto i soldi da ESAF, provveda a riversarli al consorzio a copertura dei relativi costi. Infatti, non è evincibile dalla citata legge n. 36 del 1994 alcuna norma imperativa che possa interdire il ridetto meccanismo indiretto di pagamento, che anzi risultava quello più opportuno da un punto di vista concreto, dal momento che il comune interessato, molto meglio di quanto avrebbe potuto fare il consorzio, disponeva dei dati necessari agli abitanti ed ai relativi allacci, e dunque era in grado di riscontrare, più rapidamente di chiunque altro, la correttezza del piano di riparto proposto dall'esattore. Pertanto deve concludersi che correttamente il giudice di prime cure ha ritenuto la nullità solamente parziale della Convenzione, sostituendo, di diritto, le clausole di essa ritenute in contrasto con le norme imperative, ossia eliminando le sole clausole che, in violazione delle norme prescrittive della legge Galli, prevedevano la fatturazione diretta all'utenza da parte del gestore del servizio e l'obbligo di rendicontazione a carico dei comuni, confermando nel resto la validità dell'accordo. Oltre alle considerazioni che precedono in ordine all'insussistenza di ulteriori contrasti fra le clausole convenzionali e i principi imperativi di detta legge, conforta questo arresto il principio di conservazione della volontà contrattuale, a fortiori applicabile al caso di accordi fra pubbliche amministrazioni finalizzati al perseguimento di interessi pubblici. 4.1.4. Di conseguenza va rigettata anche la richiesta - pure avanzata dalla parte - di dichiarare la nullità totale, anziché parziale della detta convenzione e, con essa, la connessa eccezione di difetto di giurisdizione per inesistenza dei presupposti di cui all'art. 15 della L. 241 del 1990 e dell'art. 133 comma 1 lett. a) n. 2 del c.p.a.. 5. Il secondo motivo d'appello contesta la sussistenza di una responsabilità contrattuale della parte appellante, in ragione della nullità assoluta della Convenzione intercorsa tra le parti. In subordine, la parte appellante contesta altresì che essa avrebbe ottenuto un indebito arricchimento nell'ambito della vicenda controversa. 5.1. Il motivo è infondato. Le considerazioni che precedono - che hanno condotto alla conferma della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la nullità della Convenzione sia solo parziale - dimostra che si tratta di un accordo, eccezion fatta per le parti da sostituire, tuttora valido e vincolante. Specificamente era ed è tuttora sussistente, in base ad esso, l'obbligo del comune appellante di riversare le somme a suo tempo ricevute da ESAF a fronte delle fatture emesse, a copertura dei costi del servizio. 5.2. Quanto precede rende irrilevante, per evidenti motivi, la delibazione del motivo con il quale si contesta la sussistenza di un indebito arricchimento in capo al comune. 6. Venendo al quantum spettante alla parte appellata - che è oggetto di generica contestazione anche con lo stesso secondo motivo di gravame, e di specifica contestazione con il quarto motivo di gravame - esso si desume agevolmente dalle somme che ESAF ha corrisposto ai comuni, somme che sono ampiamente documentate sulla base degli elementi versati in atti del fascicolo di primo grado da quest'ultimo e che sono riproposti anche nella documentazione allegata dalla parte appellata al giudizio civile originariamente avviato. Risultano esibiti, in particolare, i mandati di pagamento effettuati in favore del comune appellante, oltre al conto economico del consorzio e all'elenco delle utenze servite, tutte certificazioni che documentano ed attestano le spese sostenute dal consorzio per l'espletamento del servizio e che comprovano l'entità del credito da questi vantato verso i comuni consorziati. Detti referti documentali non sono, né, per vero, potrebbero essere, convincentemente contestati quanto al loro ammontare, dalla parte appellante, le cui deduzioni si rivelano sul punto generiche e prive di adeguati supporti contro-probatori. Dunque deve ritenersi dovuto dalla parte appellante l'ammontare preteso dalla parte appellata, che rappresenta la differenza tra l'ammontare della somma originariamente dovuta al quale è stato detratto l'acconto corrisposto dalla parte appellante nel novembre del 2007. 7. Il terzo motivo di appello contesta alla sentenza impugnata il vizio di illogicità della motivazione, oltre che l'erronea applicazione dell'art. 1227 c.c.. 7.1. Il motivo è infondato dal momento che, come già osservato a commento del primo motivo d'appello, la sentenza gravata ha correttamente applicato le norme civilistiche di cui agli articoli 1419 e 1339 c.c. alla Convenzione di cui alla controversia, oltre che il principio di conservazione degli atti negoziali, dando adeguata contezza delle ragioni che sorreggevano la ricostruzione prescelta. 7.2. Quanto alla denunciata violazione dell'art. 1227 c.c. la doglianza non ha rilievo, dal momento che il giudice di prime cure si è limitato a riconoscere il diritto del consorzio a ricevere dal comune appellante le somme che gli erano state già corrisposte da ESAF, senza al contempo accogliere la contestuale richiesta di risarcimento del danno - che pure era stata avanzata dalla ricorrente. Mancandone dunque il presupposto operativo, non ha senso l'invocazione del meccanismo limitativo di responsabilità per i danni di cui al citato art. 1227 del codice civile. 8. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto dell'appello. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rigetta l'appello. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 9000,00 (euronovemila,00), da dividersi in parti eguali fra le tre parti appellate costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Raffaello Sestini - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 74 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 6477 del 2023, proposto da Ge. Am. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 923752679A, rappresentata e difesa dall'avvocato Lo. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ec. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Iz., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Regione Campania - Ufficio Speciale Grandi Opere, Struttura di Missione per l'attuazione del Programma Straordinario per la Rimozione dei Rifiuti Stoccati in Balle, Ufficio Speciale Centrale Acquisti Procedure di Finanziamento di Progetti Relativi ad Infrastrutture e Progettazione, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Terza n. 04008/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ec. S.r.l. e della Regione Campania; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2023 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale; Con ricorso al T.a.r. per la Campania sede di Napoli, la Ec. s.r.l. ha contestato, quale seconda classificata, l'aggiudicazione in favore della Ge. Am. S.p.A., disposta dalla Regione Campania, della gara avente ad oggetto il "servizio di caratterizzazione, smassamento e trasporto dei rifiuti stoccati in balle nel sito di (omissis), nel Comune di (omissis), presso l'impianto di trattamento ubicato nello STIR di (omissis)", deducendo asseriti profili di non idoneità delle referenze dichiarate a comprova del possesso dei requisiti di capacità tecnico-professionale richiesti dal disciplinare di gara. La Regione Campania, con nota del 13 febbraio 2023, dava impulso ad un procedimento di riesame diretto alla verifica, in contraddittorio, delle referenze dichiarate dalla Società Ge. Am. S.p.A.. Nel corso del procedimento di riesame l'aggiudicataria, con memoria, documentazione contabile e negoziale, sosteneva di aver svolto per il Consorzio NA. (per i quattro contratti dichiarati in fase di gara) servizi per un importo complessivo di Euro 13.377.894,35 (superiore ai 5 milioni di euro richiesti), per attività riconducibili a carico, trasporto ed intermediazione rifiuti (servizi da ritenersi equipollenti secondo la lex specialis) in conformità con le referenze prescritte dall'art. 13, comma 1, lett. a) del Disciplinare di Gara. La Regione Campania, nominava una Commissione Tecnica per la verifica di tale documentazione, e, ritenuta la stessa idonea a comprovare i predetti requisiti, confermava la aggiudicazione nei confronti di Ge. Am. S.p.A. con decreto dirigenziale dell'Ufficio Speciale Grandi Opere n. 256 del 17 aprile 2023, che la Ec. s.r.l., tuttavia, impugnava con motivi aggiunti prospettando: - la modifica soggettiva (da trasportatore ad intermediario) ed oggettiva (da servizi di trasporto a servizi di intermediazione) dei requisiti di qualificazione della Società Ge. Am.; - la falsità (art. 80, comma V, lett. f-bis) della dichiarazione di possesso dei prescritti requisiti di capacità tecnico - finanziaria, per non aver confermato, in sede di comprova, il fatturato dei servizi di carico e trasporto rifiuti dichiarato nell'ambito dell'Elenco dei quattro contratti NA., utilizzati come referenze. La Ge. Am. S.p.A. contestava le avverse doglianze deducendo: - che la comprova del requisito di capacità tecnica professionale era intervenuta utilizzando solo i quattro contratti NA. tempestivamente menzionati in sede di gara, come confermato dalla dichiarazione resa ai sensi dell'art. 13, comma 1, lett. a) del disciplinare di dara; - che, in conseguenza, non fosse astrattamente configurabile alcuna falsa dichiarazione (ex art. 80, comma V, lett. f-bis del d.lgs. n. 50 del 2016), stante il possesso del prescritto requisito sostanziale, non potendosi configurare una "immutatio veri" bensì una mera rimodulazione interna dei requisiti di fatturato tempestivamente dichiarati. Il T.a.r. per la Campania, con sentenza n. 4008 del 2023: - dichiarava il ricorso principale ed i primi motivi aggiunti improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse; - accoglieva i secondi motivi aggiunti proposti avverso il provvedimento di conferma ed annullava l'aggiudicazione assumendo: - che Ge. Am. S.p.A., in sede di comprova, avrebbe modificato le referenze oggetto del requisito di capacità tecnico - professionale (da servizi di carico e trasporto a servizi di intermediazione); - che la mancata comprova dell'importo di fatturato per servizi di carico e trasporto dichiarato in sede di partecipazione, pertanto, integrerebbe falsa dichiarazione escludente, ai sensi dell'art. 80, comma V, lett. f-bis) del d.lgs. n. 50 del 2016. Avverso la predetta sentenza la Ge. Am. S.p.A. ha interposto appello per chiederne la integrale riforma in quanto errata in diritto. Si è costituita in giudizio e la Ec. s.r.l. per resistere all'appello, concludendo per la sua reiezione in quanto infondato, con conferma della sentenza appellata. La Ec. s.r.l., con la memoria del 16 agosto 2023, ha anche riproposto i motivi di ricorso assorbiti e non esaminati dal T.a.r.. Si è costituita anche la Regione Campania, rappresentando l'urgenza di definire il giudizio per consentire l'affidamento del servizio di trasporto rifiuti al legittimo affidatario. Alla udienza pubblica del 16 novembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie difensive con le quali le parti hanno nuovamente illustrato le rispettive tesi difensive. L'appello è infondato. Con un primo motivo l'appellante deduce: "error in judicando - violazione e falsa applicazione del punto 13 lett. a) del disciplinare sui requisiti di capacità tecnico - professionale". Lamenta che il T.a.r. avrebbe travisato due rilevanti dati di fatto: a) avrebbe erroneamente riferito la dichiarazione concernente l'elenco dei contratti indicati con esclusivo riferimento all'art. 13 lett. a) del Disciplinare per comprovare il requisito di capacità tecnico - professionale (art. 13 lett. a) al distinto requisito di fatturato globale (art. 12); b) contesta l'ulteriore affermazione secondo cui la Commissione avrebbe integrato, d'ufficio, la propria dichiarazione, con riferimento alle Referenze dei contratti NA. (da trasporto ad intermediazione); siffatta affermazione sarebbe frutto di una lettura superficiale degli atti (di gara e di giudizio). Ge. Am., infatti, dopo aver dichiarato, in sede di gara, referenze con riferimento sempre e solo ai quattro contratti NA., in sede di comprova, si sarebbe limitata a fornire una attestazione del Committente (NA.) che confermava le quattro referenze, rimodulando solo il riparto interno di fatturato tra servizi che, a termini della lex specialis (art. 13 lett. a) sono omogenei ed equivalenti e precisamente: - servizi di trasporto e carico rifiuti; - servizi di intermediazione rifiuti. Dunque, non sussisterebbe alcun apporto correttivo esterno, bensì una mera rimodulazione fisiologica degli stessi unici titoli contrattuali, in fase di successiva comprova, che l'appellante correttamente aveva speso, in fase di gara. Il motivo è destituito di fondamento. Quanto alla lettera a) il richiamo operato dal T.a.r. (cfr. p. 6) alla dichiarazione resa ex art. 13 lett. a) del Disciplinare, ai fini della dimostrazione anche del requisito del fatturato globale anziché del solo requisito di capacità tecnico-professionale, è circostanza irrilevante poiché il presunto errore sul punto non ha in alcun modo influito sull'esito della decisione la cui ratio decidendi si fonda, piuttosto, sulla inidoneità della dichiarazione resa in relazione al requisito della capacità tecnico professionale e non a quello del fatturato globale. È comunque, quanto meno, dubbio che il T.a.r. sia incorso in un errore poiché è vero che la dichiarazione è stata formalmente resa ai sensi dell'art. 13 lett. a) del Disciplinare ma nella successiva tabella in cui si riportano i dati oggetto della autocertificazione, nella parte di sinistra, si specifica che la tabella è riferita al "Requisito Fatturato" e comunque il T.a.r. precisa, in motivazione, che la dichiarazione in questione è stata resa "al precipuo scopo di dimostrare il possesso del requisito di capacità tecnica e professionale di cui al citato art. 13, comma 1, lett. a), del disciplinare" e cioè per la finalità indicata dalla appellante. Quanto alla lettera b) il Collegio è dell'avviso che il T.a.r. abbia correttamente rilevato una non consentita modifica, da parte della Commissione incaricata del riesame, della dichiarazione resa dalla Ge. Am. S.p.A., ai sensi dell'art. 13 lett. a) del Disciplinare, che ha successivamente inficiato la determina confermativa della aggiudicazione. La Ge. Am., infatti, nel rendere la dichiarazione prescritta dall'art. 13 lett. a) del Disciplinare includeva, tra la documentazione amministrativa, una "Dichiarazione requisito art. 13 a) - elenco dei servizi", nella quale elencava quattro contratti stipulati con la NA. (Na. Ca. Al. Ve. ) S.c.a.r.l. aventi ad oggetto "carico, trasporto, smaltimento materiali da scavo e rifiuti, nonché bonifica ambientale", e riportava, per il triennio di riferimento (2019, 2020 e 2021) gli importi maturati con i predetti contratti con riguardo ai servizi "di carico e trasporto rifiuti", ammontanti complessivamente ad Euro 10.273.343,44, cioè ad una cifra quasi doppia rispetto all'importo minimo richiesto di Euro 5.000.000,00. È accaduto, tuttavia, che il certificato di servizio della NA. del 10 febbraio 2023, acquisito dalla commissione istruttoria in sede di riesame dell'aggiudicazione, attestava invece, con riferimento ai suddetti quattro contratti, che i corrispettivi maturati dalla Ge. Am. per i suddetti "servizi di carico e trasporto rifiuti" erano pari, nel triennio 2019/2021, ad appena Euro 1.488.571,76, mentre nello stesso certificato si dava conto della corresponsione del complessivo importo di Euro 11.889.322,59 per lo svolgimento del distinto "servizio di intermediazione rifiuti" non menzionato nella dichiarazione resa ai sensi dell'art. 13 lett. a) del Disciplinare. Poiché il disciplinare considera i "servizi di carico e trasporto rifiuti" equivalenti a quelli di "intermediazione rifiuti" la Commissione ha ritenuto di poter valorizzare, ai fini del raggiungimento della soglia minima di euro 5.000.000,00, richiesta dal Disciplinare, accanto ai servizi di "carico e trasposto rifiuti", ritualmente e tempestivamente dichiarati, anche quelli di "intermediazione rifiuti", sebbene non dichiarati all'atto della presentazione della domanda di partecipazione, poiché entrambi svolti a favore della NA. per un importo complessivo di Euro 13.310.907,37, come confermato dal certificato del 10 febbraio 2023. Così facendo, tuttavia, la Commissione ha effettivamente integrato la dichiarazione resa dalla appellante, computando servizi mai dichiarati (quelli di "intermediazione rifiuti"), sebbene effettivamente svolti, e comunque necessari per dimostrare il possesso del requisito di capacità tecnico professionale nell'importo minimo richiesto per la partecipazione. È dunque corretta, sulla scorta di tali premesse, la conclusione cui è pervenuto il T.a.r. secondo cui: "alla luce dell'operata ricostruzione dei fatti controversi, si palesa fondata la censura, articolata nel primo motivo del gravame in esame, con cui parte ricorrente lamenta la mancata comprova, da parte dell'aggiudicataria, del requisito esperienziale di capacità tecnica e professionale dichiarato in sede di gara, circoscritto ai soli servizi di carico e trasporto rifiuti e poi rivelatosi insussistente in virtù dell'insufficiente importo attestato dalla NA. nel certificato del 10 febbraio 2023: nello specifico la società ricorrente sostiene, condivisibilmente, che la stazione appaltante avrebbe "di fatto "sostituito" la dichiarazione del possesso del requisito riferito agli importi fatturati per il "solo carico e trasporto" di rifiuti con una diversa dichiarazione avente ad oggetto un altro servizio (intermediazione rifiuti) non dichiarato e speso in gara"; - il Collegio osserva che è incontestabile, proprio in base al certificato NA. del 10 febbraio 2023, che la Ge. Am. non fosse in possesso del requisito esperienziale di capacità tecnica e professionale dichiarato in sede di gara per l'importo complessivo di Euro 10.273.343,44, in relazione ai servizi di carico e trasporto rifiuti, risultando da tale certificato il ben più esiguo importo di Euro 1.488.571,76, inferiore alla soglia minima prescritta dal disciplinare di Euro 5.000.000,00; - né era consentito alla stazione appaltante di sopperire d'ufficio a tale insufficienza valoriale, conteggiando la maggiore somma attestata in capo alla Ge. Am. per l'espletamento del servizio di intermediazione rifiuti, in quanto tale servizio, pur potendo essere astrattamente ricompreso nell'ambito dei servizi utili ai sensi dell'art. 13, comma 1, lett. a), del disciplinare perché nominativamente individuato, doveva, per poter essere in concreto valorizzato, essere previamente dichiarato ed evidenziato dalla diretta interessata nell'ambito dell'elenco dei servizi richiesto dall'art. 21, lett. h), del disciplinare, circostanza che, come visto, nello specifico non si è verificata; - in altri termini, la comprova da fornire in sede di verifica del possesso del requisito esperienziale di capacità tecnica e professionale doveva attenere solo ai servizi di carico e trasporto dichiarati e spesi dall'aggiudicataria all'interno dell'elenco dei servizi prescritto dal disciplinare ai fini della partecipazione, ma giammai a servizi diversi sconosciuti a tale elenco e poi emersi casualmente nella certificazione di servizio prodotta in occasione del riesame, per quanto tali servizi fossero astrattamente valorizzabili in termini di esperienza utile in forza delle stesse disposizioni del disciplinare, come nel caso dell'attività di intermediazione; ". Se, infatti, il partecipante dichiara il possesso del requisito tecnico professionale in relazione ad una determinata attività (nella specie quella di carico e trasporto di rifiuti), ed il fatturato in sede di verifica si rivela insufficiente rispetto a quello prescritto dal disciplinare, la commissione non può computare anche una diversa attività (nella specie quella di intermediazione di rifiuti), sebbene effettivamente svolta e per quanto ritenuta equivalente dal disciplinare a quella dichiarata, al fine di ritenere dimostrato il predetto requisito, poiché così facendo opera una surrettizia modifica della dichiarazione del partecipante circa il possesso dei requisiti di partecipazione. Non si tratta solo di rimodulare il riparto interno di fatturato tra servizi che, a termini della lex specialis (art. 13 lett. a), sono omogenei ed equivalenti ma di una modifica sostanziale della dichiarazione laddove viene valorizzata una tipologia di attività (nella specie quella di intermediazione di rifiuti) che il partecipante non ha ritenuto, nella sua autonomia, di menzionare. Il requisito tecnico professionale di partecipazione va infatti verificato rispetto ad una determinata attività e non rispetto ad un contratto - come sostiene l'appellante - che rileva invece sul piano probatorio. Non vi è stata dunque alcuna lettura superficiale degli atti di causa da parte del T.a.r., come infondatamente eccepito dalla appellante, né il rigoroso sviluppo argomentativo del giudice di prime cure può essere tacciato di esasperato formalismo, in contrasto con i principi di efficienza e di risultato, essendosi invero egli attenuto ad una piana applicazione del principio della par condicio che una riqualificazione della domanda ex post, sulla base dei contratti indicati, - pur sollecitata dall'appellante - avrebbe invece sovvertito. In particolare i principi del risultato e della efficienza predicati dall'art. 1 del d.lgs. 36/2023, sebbene non applicabili al caso di specie ratione temporis essendo il bando stato pubblicato in data anteriore, non possono comunque sovvertire le regole di svolgimento della gara ed i concorrenti principi di par condicio e di autoresponsabilità nella presentazione delle dichiarazioni richieste dal disciplinare di gara, come chiarito anche dalla Corte di giustizia UE in materia di soccorso istruttorio (si veda infra). Inoltre i titoli contrattuali, in quanto prove documentali, non rilevano in sé ma nella misura e per le finalità indicate dal partecipante nella domanda di partecipazione; se costui li menziona per dimostrare la propria perizia professionale come trasportatore di rifiuti non può successivamente spendere anche la qualifica di intermediario solo perché i predetti titoli comprovano anche questo tipo di attività, rivelatasi successivamente necessaria per integrare un requisito minimo di partecipazione: ciò che rileva è il contenuto della dichiarazione del partecipante che delimita la rilevanza probatoria dei documenti indicati a comprova e non viceversa, come assume l'appellante. Da quanto precede discende anche la infondatezza della ulteriore censura mossa dalla Ge. Am. S.p.A. la quale assume, sotto diversa angolazione, che il T.a.r. avrebbe errato nel configurare un presunto jus variandi delle referenze (nel corso della procedura di gara) da parte del concorrente. Ed infatti sebbene i contratti con NA. non siano stati modificati o integrati, altro è richiamarli per dimostrare la capacità tecnico professionale come trasportatore di rifiuti - come accaduto nel caso di specie - altro è valorizzarli ex post per dimostrare la diversa qualifica di intermediario, mai spesa in sede di gara, sebbene ritenuta equivalente alla prima dal disciplinare. Il disciplinare, ritenendole equivalenti, rimetteva alle parti la scelta dell'attività da dichiarare al momento della presentazione della domanda di partecipazione: una volta indicata una delle attività consentite, non è dato, in sede di verifica del possesso dei requisiti di partecipazione, invocarne un'altra al fine di colmare il deficit di fatturato emerso, poiché un tale modus procedendi appare elusivo della par condicio in relazione ai tempi ed alle regole di partecipazione. Per tentare di superare la rilevanza giuridica della dichiarazione l'appellante incentra la propria tesi difensiva sulla invarianza della documentazione probatoria e sostiene che: "La Società appellante ha espressamente dichiarato, in sede di gara, ai fini dell'art. 13 co. 1 lett. a) del Disciplinare, di aver svolto (nel triennio), n. 4 contratti con il Consorzio NA.. Queste referenze sono state tempestivamente dichiarate e spese nel corso della gara. Le stesse referenze e non altre (il punto è decisivo) sono state utilizzate, in sede di comprova, del possesso del requisito di capacità tecnico - professionale, richiesto dal Disciplinare di Gara.". La tesi non può essere condivisa perché le predette referenze sono state espressamente indicate per comprovare una specifica attività, quella di raccolta e trasporto di rifiuti, mentre è emerso che per tale attività il requisito di qualificazione non era stato raggiunto e quindi l'interessata ha pensato di poter valorizzare le medesime referenze per un'altra diversa attività, quella di intermediazione, tuttavia mai dichiarata e come tale insuscettibile di poter integrare ex post l'originaria dichiarazione, pena una non consentita modifica sostanziale della domanda di partecipazione. È dunque corretto quanto osservato sul punto da T.a.r. secondo cui: "soccorre, al riguardo, il diffuso e condiviso orientamento secondo il quale, qualora l'operatore economico abbia inequivocabilmente rappresentato, con dichiarazione resa (come nella specie) unitamente alla domanda di partecipazione alla gara, di soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di capacità attraverso l'indicazione di determinati servizi svolti, non possa poi, in corso di procedura e meno che mai all'esito di questa, mutare la propria originaria dichiarazione, manifestando l'intenzione di avvalersi di altri servizi mai dichiarati prima perché maggiormente rispondenti ai fini della dimostrazione del possesso di un dato requisito: invero, tale pratica confliggerebbe con i principi di auto-responsabilità del dichiarante e di par condicio dei concorrenti (la possibilità di utilizzo degli ulteriori servizi potrebbe essere maturata successivamente alla scadenza del termine di presentazione delle istanze partecipative), nonché con il fondamentale principio regolatore dell'evidenza pubblica in base al quale non è l'astratto possesso del requisito ad assumere rilievo in sé, bensì la concreta spendita di questo da parte del concorrente, non passibile di modifiche successivamente alla presentazione della domanda (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 1° giugno 2021 n. 4208 e 13 agosto 2020 n. 5030)". Con un'ultima censura, articolata sempre nell'ambito del primo motivo di appello, la Ge. Am. S.p.A. lamenta che il T.a.r. avrebbe omesso di trattare una ulteriore e decisiva questione di diritto idonea a sovvertire l'esito del giudizio. In particolare, poiché l'art. 13 lett. a) del Disciplinare consente di comprovare il requisito di capacità tecnica anche attraverso servizi analoghi a quelli oggetto di appalto, se anche la quota di servizi per carico e trasporto non fosse idonea, in sede di comprova, ad integrare il servizio identico (Euro 5 milioni), in ogni caso, l'importo residuo di referenze contrattuali dichiarate sarebbe utilizzabile quale servizio ana, a quello di appalto e, dunque, dovrebbe ritenersi idoneo a comprovare la capacità tecnico professionale del concorrente. Il motivo è infondato poiché, come già diffusamente evidenziato, il servizio ana avrebbe dovuto essere dichiarato per poter concorrere alla dimostrazione del possesso della capacità tecnico professionale, laddove, nel caso di specie, l'attività di intermediazione di rifiuti non è mai stata dichiarata e, solo dopo che la certificazione inviata dal NA. ne evidenziava l'entità in termini di fatturato, si è posto il tema della sua possibile valorizzazione ai fini della partecipazione alla gara. Aggiunge ancora l'appellante che, secondo un orientamento giurisprudenziale, dovrebbe ritenersi consentito ricorrere al c.d. soccorso istruttorio, per comprovare il possesso sostanziale dei requisiti di partecipazione, mediante altri e diversi servizi, benché non dichiarati in sede di gara. In senso contrario reputa il Collegio che non sia ammesso il soccorso istruttorio, trattandosi, nel caso di specie, di vera e propria integrazione sostanziale della domanda di partecipazione, preclusa dal principio della par condicio. Al riguardo, va confermato l'orientamento espresso, da ultimo, da Cons. Stato, V, 8 marzo 2022, n. 1663 e 27 marzo 2020, n. 2146, che ricordano come: "sul soccorso istruttorio relativo ad elementi dell'offerta si sia pronunciata la Corte di giustizia dell'Unione europea (nella sentenza sez. VIII, 10 maggio 2017, causa C-131/16 Archus) enunciando le seguenti regole: a) consentire all'amministrazione di chiedere ad un candidato la cui offerta essa ritiene imprecisa o non conforme alle specifiche tecniche del capitolato d'oneri, chiarimenti, violerebbe il principio della par condicio (poiché sembrerebbe che, ove il privato risponda positivamente, l'amministrazione abbia con questi negoziato l'offerta in via riservata); b) non è in contrasto con il principio della par condicio tra i concorrenti la richiesta di correzione o completamento dell'offerta su singoli punti, qualora l'offerta necessiti in modo evidente di un chiarimento o qualora si tratti di correggere errori materiali manifesti, fatto salvo il rispetto di alcuni requisiti; c) una richiesta di chiarimenti non può ovviare alla mancanza di un documento o di un'informazione la cui comunicazione era richiesta dai documenti dell'appalto, se non nel caso in cui essi siano indispensabili per chiarimento dell'offerta o rettifica di un errore manifesto dell'offerta e sempre che non comportino modifiche tali da costituire, in realtà, una nuova offerta." Deve pertanto concludersi, in linea con quanto statuito dal T.a.r., che l'appellante doveva essere esclusa dalla gara per difetto del requisito di capacità tecnico-professionale nella misura minima richiesta dal Disciplinare. Quanto precede consente di assorbire le deduzioni difensive della Ec. s.r.l. con le quali è stata sostenuta la tesi della impossibilità giuridica di avvalersi delle attività svolte come intermediario avendo la appellante dichiarato di partecipare come trasportatore di rifiuti, peraltro omettendo di assolvere agli obblighi dichiarativi previsti specificamente per i soli intermediari. Con il secondo motivo l'appellante deduce: "error in judicando - violazione e falsa applicazione dell'art. 80 co. v lett. f bis) del d.lgs. 50/2016". Lamenta la erroneità della statuizione del T.a.r. in tema di asserita mendacità della dichiarazione della Società appellante, con riferimento all'importo dei servizi per carico e trasporto rifiuti, per violazione dell'art. 80, comma V, lett. f-bis) del Codice dei contratti pubblici, anche alla luce di quanto chiarito da Cons. Stato, Ad. Plen., n. 16 del 2020. Sostiene che l'ineludibile possesso del requisito sostanziale, da parte del concorrente, degraderebbe la asserita discrasia (tra dichiarato e comprovato) a semplice irregolarità formale (o errore), non ascrivibile a cosciente volontà di immutare la verità dei fatti. Aggiunge che la fattispecie sanzionatoria dell'art. 80, comma 5, lett. f-bis) del d.lgs. 50/2016, a seguito della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16/2020 troverebbe applicazione residuale solo per ipotesi di c.d. immutatio veri e, cioè, qualora un concorrente dichiari scientemente un "fatto" che non risponde al vero e sia rilevante sulla ammissione o sul confronto concorrenziale. Il motivo è infondato per le seguenti ragioni. L'appellante prende le mosse dal rilievo centrale che rivestirebbero i contratti stipulati con il NA. i quali, comprovando in modo certo il possesso sostanziale del requisito di capacità tecnico-professionale, escluderebbero la possibilità di configurare un'ipotesi di falso. L'affermazione, nella sua assolutezza, non può essere condivisa poiché il falso deve essere riferito alla portata della dichiarazione che, nella specie, aveva ad oggetto il solo svolgimento del servizio di raccolta e trasporto, rispetto al quale il certificato trasmesso dal NA. ha inconfutabilmente evidenziato che per tale attività l'importo dichiarato non era corrispondente a quelle effettivo. Ricorre dunque l'ipotesi di cui all'art. 80, comma 5, lettera f-bis), del d.lgs. n. 50 del 2016 atteso che, come precisato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (paragrafo 18), con sentenza n. 16 del 2020 "l'ambito di applicazione della lettera f-bis) viene giocoforza a restringersi alle ipotesi - di non agevole verificazione - in cui le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in sede di gara siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità ". La giurisprudenza successiva (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2022, n. 491) ha ribadito "...... sul piano interpretativo, la differenza tra dichiarazioni omesse e false, riconducendo le due ipotesi rispettivamente nell'ambito dell'art. 80, comma 5, lett. c-bis), ovvero lett. f-bis), del sopravvenuto d.lgs. n. 50 del 2016. In particolare, Cons. Stato, Ad. Plen., 28 agosto 2020, n. 16 ha precisato che le fattispecie riconducibili nella prima previsione non consentono l'esclusione automatica dalla procedura di gara, ma impongono alla stazione appaltante di svolgere la valutazione di integrità ed affidabilità del concorrente. Al contrario, la falsità dichiarativa ha attitudine espulsiva automatica ed è predicabile rispetto ad un "dato di realtà ", ovvero ad una situazione fattuale per la quale possa porsi l'alternativa logica "vero/falso" rispetto alla quale valutare la dichiarazione resa dall'operatore (Cons. Stato, IV, 30 dicembre 2020, n. 8532).". Nel caso di specie, la dichiarazione resa dalla appellante è oggettivamente falsa in quanto predicabile "rispetto ad un dato di realtà, ovvero ad una situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l'alternativa logica vero/falso rispetto alla quale valutare la dichiarazione resa dall'operatore economico": ciò emerge dal raffronto tra l'importo dichiarato dall'appellante e quanto successivamente palesato dal certificato trasmesso dal NA.. Al riguardo, onde escludere che si sia trattato di un errore nella dichiarazione, il Collegio non può esimersi dall'evidenziare che la Ge. Am. S.p.A., non solo ha dichiarato in gara l'esecuzione di servizi di "solo carico e trasporto" di rifiuti per un importo non veritiero, ma nel corso del giudizio di primo grado ha ribadito di aver partecipato alla gara in qualità di "trasportatore", depositando una perizia tecnica asseverata proprio al fine di confermare quanto dichiarato in gara, ovvero il presunto svolgimento di servizi di "solo carico e trasporto" rifiuti per Euro 10.273.343,44, circostanza poi definitivamente smentita a seguito dell'acquisizione dell'attestazione di NA. (cfr. allegato 7 deposito del 4 febbraio 2023 nel giudizio di primo grado). Merita dunque conferma quanto affermato dal T.a.r. secondo cui: "come incontrovertibilmente emerge dalla superiore esposizione, l'importo complessivo emarginato per tali servizi nella "Dichiarazione requisito art. 13 a) - elenco dei servizi" resa dall'aggiudicataria, pari a Euro 10.273.343,44, è stato sconfessato dalla certificazione di servizio della NA., che ha quantificato il corrispettivo reale nella ben più modesta cifra di Euro 1.488.571,76, peraltro, come visto, insufficiente a comprovare il possesso del requisito esperienziale di capacità tecnica e professionale, ancorato alla soglia minima di Euro 5.000.000,00. Ne discende l'evidente non veridicità della dichiarazione/elenco dei servizi in parola, che avrebbe imposto, in applicazione dell'invocata disposizione normativa, l'estromissione della Ge. Am. dalla procedura, atteso che, in sede di gara pubblica, la falsità (informativa, dichiarativa ovvero documentale) ha attitudine espulsiva automatica, oltreché potenzialmente e temporaneamente ultrattiva (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 27 settembre 2022 n. 8336; Consiglio di Stato, Sez. III, 9 marzo 2022 n. 1698 e 1° giugno 2021 n. 4201; TAR Lombardia Milano, Sez. I, 2 agosto 2021 n. 1870)". Ed ancora, quanto alla eccezione di parte che la dedotta falsità dichiarativa non troverebbe sostrato nella realtà materiale, ma piuttosto nell'opinabile interpretazione di norme giuridiche, con conseguente inconfigurabilità di un'immutatio veri, il Collegio - in aggiunta a quanto già rilevato al riguardo - osserva come il T.a.r. abbia correttamente evidenziato che: "nella specie l'accertata non veridicità della dichiarazione rinviene il suo sostrato proprio nella realtà materiale, e non nell'opinabile giuridico, essendo di immediata percezione, per gli operatori professionali del settore rifiuti come l'aggiudicataria, che la causa concreta di un contratto di trasporto si atteggia in maniera ben diversa da quella di un contratto di intermediazione, che richiede il coinvolgimento di soggetti terzi, quali subcontraenti, nell'attività di trattamento dei rifiuti stessi; ". In definitiva, la non veridicità sussiste certamente rispetto alla dichiarazione resa mentre non rileva il fatto che rispetto ai servizi complessivamente svolti, anche se in parte non dichiarati, l'appellante fosse in possesso del requisito richiesto dal Disciplinare. L'appellante, in quanto operatore professionale, allorquando ha reso la dichiarazione limitandola alle attività di raccolta e trasporto, non poteva che essere consapevole della conseguenza di escludere quelle di intermediazione ed aveva pertanto l'onere di verificare con cura gli importi da indicare, in conseguenza di siffatta limitazione, soprattutto in relazione ad eventuali appalti a corpo. L'appellante avrebbe pertanto dovuto essere esclusa anche per tale concorrente ragione, avendo reso una dichiarazione non veritiera perché in contrasto con un dato di realtà, in una situazione che non consente - per le ragioni esposte - di ritenere sussistente un mero errore. Alla luce delle motivazioni che precedono l'appello deve, in conclusione, essere respinto, con conferma integrale della sentenza appellata e conseguente assorbimento dei motivi di ricorso riproposti dalla Ec. s.r.l. con la memoria del 16 agosto 2023 e non esaminati dal T.a.r., dalla cui disamina la appellata non può trarre alcuna ulteriore giuridica utilità . La particolarità della vicenda induce tuttavia il Collegio a ritenere sussistenti gravi motivi per disporre la compensazione integrale delle spese della presente fase tra tutte le parti costituite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese di lite tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere, Estensore Emanuela Loria - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5051 del 2019, proposto dalla Società Za. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Da. Ca. e Do. Me., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Do. Me. in Roma, via (...), contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fe., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fe. Sc. in Roma, via (...), nei confronti della Società Et. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio, per la riforma della sentenza del T.a.r. per il Veneto, Sezione Terza, n. 1082 del 26 novembre 2018, resa tra le parti, concernente una richiesta di rimborso dei costi sostenuti per l'intervento di bonifica e messa in sicurezza di un'area d'emergenza. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, c.p.a.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 7 febbraio 2024 il consigliere Giovanni Sabbato, udito per la parte appellante l'avvocato Do. Me. e vista l'istanza di passaggio in decisione senza discussione da remoto dell'avvocato Gi. Fe.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Le premesse in fatto possono essere così sintetizzate: - in data 15.02.2008 agenti della Polizia Municipale del Comune di (omissis) rilevano una evidente fonte di inquinamento nel fossato che corre lungo via (omissis), posta nel territorio comunale (di seguito definito come "Fatto A"); - su segnalazione degli agenti, l'ARPAV inviava in loco propri tecnici, i quali, con verbale datato 15.02.2008, rilevavano "la presenza di una notevole quantità di idrocarburi" nel fossato fiancheggiante via (omissis); - contestualmente veniva prelevato un campione della sostanza inquinante; - in data 28.02.2014 l'ARPAV dava avvio agli interventi di bonifica dei luoghi, interventi che proseguiranno sino al 03.03.2014; - con verbale di sopralluogo dell'ARPAV, in data 28.02.2008 n. 2090/08, veniva accertata la presenza di oli anche nella rete delle acque meteoriche risalendo sino alla via (omissis), in corrispondenza dell'area nella disponibilità della ditta Za. S.r.l. (cd. Fatto B); - in pari data si è proceduto ad ispezionare la rete stradale in prossimità della Ditta stessa e la rete interna aziendale, dove si è constatata notevole giacenza di oli nella fossa disoleatrice e nei pozzetti adiacenti; - in tale circostanza il titolare della ditta Za. S.r.l., signor En. Za., riconosceva spontaneamente che l'inquinamento era da attribuirsi ad un incidente accaduto all'interno della sua ditta "agli inizi di febbraio" (ditta che tratta proprio oli minerali e vegetali), sinistro in particolare costituito da "un incidente con ribaltamento di un contenitore (1 m cubo) pieno di olio lubrificante, in prevalenza costituito da olio minerale, durante lo spostamento di tanica a mezzo muletto"; - il signor Za. affermava al riguardo che il quantitativo di prodotto sversato corrispondeva approssimativamente a 500 litri; - in data 29.02.2008 la ditta Za., con missiva indirizzata al Comune di (omissis), alla Provincia di Padova, al Consorzio Polizia Municipale Padova-Ovest e all'ARPAV, sottoscritta dal signor En. Za., precisava ulteriormente che "l'inconveniente è da ricondursi, con molta probabilità, ai primi di Febbraio scorso, quando - per il ribaltamento di una cisternetta da un metro cubo di olio minerale in fase di trasporto con un muletto - parte del contenuto (circa 500 litri) si è riversata sulla pavimentazione esterna dell'Azienda"; - il signor Za. precisava altresì che "il prodotto è stato prontamente recuperato con idonei aspiratori ma ciò non ha impedito che parte di esso si riversasse nella rete fognaria interna dotata di impianto disoleatore che, tuttavia, non sarebbe stato sufficiente ad evitare totalmente la tracimazione nell'impianto viario pubblico delle acque meteoriche"; - di conseguenza, la ricorrente Za. S.r.l. decideva di accollarsi gli oneri relativi alle operazioni di bonifica dei siti inquinati, dapprima contattando ditta di propria fiducia, quindi, stante l'urgenza di intervenire in loco, decidendo di usufruire dei servizi dell'E., peraltro già incaricata dal Comune di (omissis); - in occasione del sopralluogo eseguito in data 28.02.2008 l'E. ha verificato come l'intera rete delle acque bianche, per uno sviluppo lineare totale di circa 800 metri, risultasse interessata completamente dalla presenza di idrocarburi; - con deliberazione di Giunta Comunale, n. 30 del 12.03.2008, il Comune di (omissis) approvava l'intervento di bonifica preventivato dall'ARPAV e disponeva il prelevamento dal fondo di riserva della somma di Euro 23.800,00, prevedendo il successivo esercizio di azione di rivalsa nei confronti della ditta Za. S.r.l.; - con determinazione n. 261 del 17.04.2008 veniva previsto l'impegno di spesa a favore dell'E. per l'importo di Euro 32.200,00, con previsione di rivalsa sulla ditta Za. S.r.l.; - con missiva dell'ARPAV in data 20.05.2008, prot. n. 65494 ST.V.a, veniva comunicato al Sindaco del Comune di (omissis), al Consorzio di Polizia Locale Padova Ovest e alla Provincia di Padova che, in esito a quanto rilevato, si desume che lo sversamento di oli minerali avvenuto nei piazzali della ditta Za. S.r.l. abbia dapprima interessato la rete delle acque meteoriche della ditta stessa e quindi la pubblica rete stradale delle acque bianche per defluire infine nel fossato di via (omissis) ove era stato inizialmente osservato. Venivano, altresì, allegati i verbali dei sopralluoghi eseguiti in loco nonché i rapporti di prova aventi ad oggetto le analisi chimico-fisiche dei campioni prelevati, sia entro la proprietà Za. sia nei fossati oggetto di inquinamento, con inequivoca corrispondenza tra i campioni oggetto di analisi; - con nota datata 28.05.2008, l'E. trasmetteva il conto consuntivo degli interventi eseguiti in via (omissis)/via (omissis). L'importo complessivo ammontava ad Euro 43.954,80 Iva inclusa, ragion per cui il Comune di (omissis), dopo aver liquidato il primo importo di Euro 32.200,00 come da impegno di spesa, provvedeva ad integrare quest'ultimo dell'ulteriore somma di Euro 11.754,80, con previsione di rivalsa sulla ditta Za. S.r.l. e successiva liquidazione anche di tale ultimo importo in favore dell'E.. 2. Con il ricorso iscritto al n. R.G. 1361 del 2012 l'odierno appellante ha proposto gravame innanzi al T.a.r. per il Veneto articolando un unico complesso motivo di gravame e concludendo per: a) l'annullamento del provvedimento del Comune di (omissis) del 25.05.2012, con cui è stato chiesto il rimborso dei costi sostenuti per l'intervento di bonifica e messa in sicurezza d'emergenza per l'inquinamento riscontrato nel fossato di via (omissis) e della nota di conferma della richiesta di pagamento del 28.06.2012, nonché degli atti presupposti impugnati, in quanto individuanti erroneamente la ditta Za. quale soggetto responsabile del danno all'ambiente nonché statuenti gli importi richiesti dall'ente territoriale alla ricorrente; b) l'accertamento che la ditta Za. nulla deve pagare per la contaminazione riscontrata il 15.2.2008 nel fossato a lato di via (omissis) e che ha indebitamente pagato le fatture Et. afferenti agli interventi di pulizia rete scolo e ripristino ambientale concernenti la rete aziendale e la rete di scolo stradale di via (omissis). 3. Il T.a.r. adì to, con la sentenza n. 1082, pubblicata il 26 novembre 2018, ha respinto il ricorso e condannato parte ricorrente al rimborso delle spese di lite (Euro 3.000,00). 3.1. In particolare, il Collegio di prime cure ha ritenuto che "ragionevolmente (secondo il criterio del più probabile che non) la responsabilità dell'inquinamento in questione è stata ricondotta dal Comune alla ditta ricorrente ad esito delle indagini complessive svolte e della ricostruzione effettuata dall'ARPAV. Quanto alla richiesta, formulata in via subordinata, di riduzione del rimborso chiesto dal Comune per l'intervento, per l'asserita duplicazione delle voci di costo da parte di Et., il Collegio ritiene che sia da respingere, considerato che i costi imputati da Et. al Comune e alla ditta alla ricorrente sono relativi a interventi e lavori differenti, come emerge dagli atti di causa (Cfr. consuntivi Et. per l'intervento sul fossato di Via (omissis) e sulla rete delle acque bianche di via (omissis), doc 16 e 17 in atti deposito ricorrente)". 4. Avverso tale pronuncia è insorta, con appello notificato il 25/05/2019 e depositato il 13/06/2019, la Società Za. S.r.l. articolando i seguenti motivi: I) ERROR IN IUDICANDO: Violazione e falsa applicazione degli artt. 239 (principio del chi inquina paga), 240 comma I, lettere m e t (messa in sicurezza d'emergenza), 242, 244, 250 del D. Lgs 3 aprile 2006, n. 152 - Violazione dei principi e della disciplina in materia di responsabilità ambientali e relativi interventi riparatori - Violazione dei principi in materia di onere della prova - Gravi travisamenti ed omissioni degli elementi in fatto presenti in istruttoria - Eccesso di potere per grave contraddittorietà rispetto alle risultanze indiziarie ed istruttorie in atti; II) ERROR IN IUDICANDO: erronea valutazione di un fatto pacifico in causa in quanto non contestato - Violazione dei principi in materia di onere della prova - Violazione dell'art. 64, comma 2 c.p.a. - Violazione dell'art. 112 c.p.c.; III) ERROR IN PROCEDENDO - Erronea valutazione dei fatti e della perizia depositata in atti - Errata decisione sulla richiesta di mezzi istruttori; IV) ERROR IN IUDICANDO - Erronea valutazione delle risultanze documentali in merito alla richiesta di riduzione del rimborso richiesto dal Comune di (omissis) alla Za. - Difetto di motivazione. Ha concluso per l'accoglimento del gravame con conseguente annullamento degli atti impugnati e l'accertamento del diritto alla ripetizione delle somme pagate, con interessi e rivalutazione, ed al risarcimento del danno. Formulava anche istanza in via subordinata di accertamento dell'indebito in relazione soltanto ad alcune somme e di CTU con vittoria di spese. 5. In data 26 luglio 2019 il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio al fine di chiedere la reiezione del ricorso con la successiva produzione di memorie. 6. In prosieguo di giudizio entrambe le parti hanno depositato memorie di replica insistendo per le rispettive conclusioni. 7. Alla pubblica udienza, svoltasi in modalità telematica, del 7 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta per la decisione. Nel corso della discussione l'appellante si è rimesso alle produzioni difensive ed in particolare alle due memorie depositate evidenziando la notevole distanza tra l'area interessata dalla tracimazione e quella aziendale. 8. L'appello è infondato. 9. Come esposto in narrativa si invoca l'annullamento del provvedimento del Comune di (omissis) del 25.05.2012, con cui è stato chiesto il rimborso dei costi sostenuti per l'intervento di bonifica e messa in sicurezza d'emergenza per l'inquinamento riscontrato nel fossato di via (omissis) e della nota di conferma della richiesta di pagamento del 28.06.2012. 9.1. Con il primo motivo, l'appellante contesta in particolare che il T.a.r. Veneto avrebbe errato nell'interpretare il contenuto dei documenti prodotti in causa e i fatti dedotti dalle parti. 9.1.1. In particolare, la società - che "è ubicata nella zona industriale di (omissis) nella frazione di Caselle in via (omissis) ed opera in un capannone di ca. 1000 mq con annessa un'area scoperta di manovra di ca. 950 mq pavimentata in cemento" (cfr. appello, pag. 4) - sostiene che: - fra via (omissis) e il Km (omissis) di via (omissis) non vi sarebbe alcuna "contiguità " giacché la distanza è di oltre 1200 metri, nell'ambito dei quali si snodano due aree artigianali, nonché un vasto tratto di campagna; - i rilievi asseritamente eseguiti da ARPAV e dai tecnici riguardano due aree non "contigue"; - ARPAV non ha tracciato presenze oleose dal Km (omissis) di via (omissis) fino all'altezza di via (omissis), avendo effettuato una "risalita" (peraltro senza prelievo di campioni, né evidenze alcune) solo dalla rotatoria di via (omissis) verso nord fino a via (omissis). Ma dalla "rotatoria" verso sud e fino al Km (omissis) di via (omissis) vi sono almeno altri 850 metri, lungo i quali ARPAV non ha svolto alcuna verifica, benché il tratto inquinato del fossato di cui al fatto B fosse stato appurato solo per 200 mt, cosicché vi sono almeno 600 metri di distanza fra il punto di accertamento del "Fatto A" (Km (omissis) di via (omissis)) e quello di inizio delle verifiche di cui al "fatto B" (rotatoria di via (omissis)); - le ritenute "comunanze" negli esiti dei campionamenti dei diversi luoghi non hanno alcun significato probatorio, giacché tutti gli idrocarburi sono caratterizzati da una catena lunga a livello chimico per cui non v'è alcuna evidenza che l'olio asportato dalla condotta acque bianche fosse di identica fattura rispetto a quello riscontrato nel fossato; - l'unica evidenza realmente disponibile (il colore del liquido depositatosi) mette semmai in luce una diversità di colore e quindi una diversità di liquidi, visto che le acque superficiali del fossato di via (omissis) presentavano un colore completamente diverso (miscela torbida di colore brunastro) rispetto a quello riscontrato sia nella fossa disoleatrice, sia nel pozzetto aziendale e sia nel tombino comunale (miscela opalescente di colore giallastro); - le concentrazioni di idrocarburi rinvenute nella disoleatrice di via (omissis) (fatto B), risultavano nettamente inferiori (80,00 mg/l) rispetto a quelle riscontrate (fatto A) nel fossato di via (omissis) (120,00 mg/l), il che conferma che si è trattato di due eventi completamente scollegati e che l'episodio d'inquinamento del fossato di via (omissis) è dipeso, in realtà, da un fenomeno d'inquinamento diretto da oli minerali; - il T.a.r. non avrebbe rilevato la contraddittorietà fra le sbrigative considerazioni che ARPAV svolge il 30 maggio 2008 rispetto ai puntuali rilievi verbalizzati dai tecnici dello stesso Ente in situ, il giorno 15 febbraio 2008, che rilevavano come nulla vi fosse oltre ai duecento metri inquinati, il che deve condurre ad escludere una qualsiasi continuità di presenze inquinanti lungo il percorso di "risalita" verso la presunta fonte; - le quantità "inquinanti" rintracciate presso la ditta Za. erano di "modesta" entità (cfr. verbale dei vigili), il che impedisce di supporre che dette piccole quantità potessero non essere state assorbite o trattenute di lì a breve nelle condotte e nei terreni del fossato; - gli eventi di cui al fatto A e di cui al fatto B sono tra di loro scollegati e tra il 15 e il 28 febbraio 2008 si è verificato un nuovo evento che ha determinato l'inquinamento del fossato a latere di via (omissis), difettando così ogni responsabilità dell'odierna appellante per il fatto A; - quanto al fatto B, le condizioni della rete fognaria comunale erano tali (e lo sono tutt'oggi) che bastava una pioggia abbondante per determinare l'allagamento dell'intera area, soprattutto in un punto, come quello di via (omissis), pressoché a ridosso del tratto terminale di una condotta cieca, che impediva da un lato lo scolo stesso delle precipitazioni. Questa è - con ogni probabilità - la causa dell'inquinamento riscontrato il 28 febbraio 2008. 9.1.2. I rilievi di parte appellante, pur nella loro complessità, non possono essere condivisi, in quanto dagli atti di causa emerge che vi è esatta continuità tra le due strade e che le sostanze riscontrate in via (omissis) e presso la struttura produttiva dell'appellante sono risultate del tutto similari all'esito delle analisi effettuate. Gli elementi offerti dall'Amministrazione depongono in tal senso dovendosi, in primo luogo, rilevare, per quanto riguarda il collegamento viario, che dal verbale ARPAV del 28.02.2008 (doc. 7 di primo grado prodotto da parte ricorrente) risulta che "A seguito di accertamenti svolti in sede locale dal 15/2/08 per presenza di idrocarburi su fossato laterale v. (omissis), lato sx, si rilevava la presenza di oli anche nella rete delle acque meteoriche risalendo sino alla via (omissis), in corrispondenza della ditta Za. srl. In data odierna si è proceduto ad ispezionare la rete stradale in prossimità della Ditta stessa e la rete interna aziendale, dove si è constatata notevole giacenza di oli nella fossa disoleatrice e nei pozzetti adiacenti, procedendo ai prelievi fiscali...". Il mancato espletamento di attività di controllo presso l'azienda è stato determinato dalla mancanza di pozzetti di ispezione come risulta dall'annotazione di servizio del Consorzio di Polizia Municipale Padova Ovest del 18.03.2009 (doc. 8 di primo grado di parte ricorrente) così rendendosi necessaria la seconda ispezione del 28 febbraio 2008. In questa si legge, infatti, quanto segue: "in data 28.02.2008 durante l'espletamento delle procedure di bonifica del predetto fossato, unitamente al personale del dipartimento provinciale ARPAV... abbiamo eseguito una ispezione in corrispondenza dei pozzetti stradali della rete delle acque meteoriche di via (omissis), composta da due condutture a servizio una dei numeri pari e l'altra dei numeri dispari, riscontrando che all'interno della condotta di servizio ai civici pari via era la presenza di idrocarburi. Nello specifico, la presenza di detti idrocarburi era evidente nel pozzetto stradale sito all'altezza del civico n. (omissis) ove ha sede operativa l'Azienda Za. srl". Per quanto riguarda la similarità tra le sostanze rinvenute in via (omissis) e quelle riscontrate presso l'azienda appellante essa trova conferma negli esiti delle analisi chimico-fisiche svolte in laboratorio ("il profilo gascromatografico risulta simile a quello dei campioni....") (doc. 2 Comune di (omissis) di primo grado). Non va infine trascurato che la stessa ditta ha ammesso la propria colpevolezza come risulta dal verbale del 28.02.2008 (doc. 7 di primo grado di parte ricorrente) ed in relazione ad una quantità di oli descritta non di modesta entità, come adduce l'appellante, come "notevole" sia "nella fossa disoleatrice" sia "nei pozzetti adiacenti". Ed infatti nel preventivo di spesa dell'Et. datato 28.02.2008 (cfr doc. 9 di controparte di primo grado) si legge che "la rete delle acque bianche di via (omissis), dal punto in corrispondenza del civico 2 e fino allo sbocco nel fossato di scolo laterale della SP13 - Pelosa, nei pressi della rotonda con Via (omissis), per un totale di circa 800 metri di sviluppo lineare, risulta interessata completamente dalla presenza di idrocarburi". 9.2. Con il secondo motivo, l'appellante sostiene che un dato pacifico tra le parti, in quanto asseritamente mai contestato, sarebbe rappresentato dalla quantità di olio lubrificante contenuta nel contenitore rovesciato accidentalmente ad inizio febbraio: ossia 500 litri di olio minerale. Secondo la società mai il Comune avrebbe contestato, nemmeno in giudizio, tale dato: con la conseguenza che l'aver messo in dubbio, da parte del Giudice di prime cure, la suddetta quantità integrerebbe un'erronea valutazione di un fatto pacifico tra le parti. Il motivo è infondato, in quanto risulta dagli atti di causa che detto elemento fattuale è stato precisamente contestato dalla difesa del Comune nel corso del giudizio di prime cure e segnatamente in sede di costituzione con la memoria del 3 ottobre 2014. A fronte di quanto infatti evidenziato da parte ricorrente in ordine al fatto che sarebbero fuoriusciti non più di 500 litri di olio, la gran parte dei quali confluiti nella fossa disoleatrice, si osserva infatti che "il quantitativo di idrocarburi fuoriuscito dalla proprietà Za. e confluito nei fossati circostanti è stato piuttosto consistente, a tal punto da inquinare lunghi tratti dei canali di scarico e dei fossati cittadini". Si richiamano altresì le risultanze del verbale di sopralluogo redatto in data 15 febbraio 2008 dai tecnici ARPAV e del preventivo di spesa dell'Et. datato 28 febbraio 2008 ove si legge che "la rete delle acque bianche di via (omissis), dal punto in corrispondenza del civico 2 e fino allo sbocco nel fossato di scolo laterale della SP 13 - Pelosa, nei pressi della rotonda con Via (omissis), per un totale di circa 800 metri di sviluppo lineare, risulta interessata completamente dalla presenza di idrocarburi". 9.3. Con il terzo motivo, l'appellante lamenta il rigetto della istanza istruttoria formulata in primo grado, al fine di disporre una Consulenza Tecnica d'Ufficio atta ad accertare le cause della contaminazione sia della rete di scolo di via (omissis) sia del fossato laterale di via (omissis). Sostiene, altresì, che il valore indiziario della perizia di parte depositata in primo grado avrebbe dovuto indurre il Collegio a disporre l'assunzione del mezzo istruttorio richiesto. Anche tale motivo è privo di fondamento, atteso che, come evidenziato al capo che precede (9.3.1.), gli elementi documentali acquisiti al giudizio erano sufficientemente eloquenti non palesandosi così alcuna esigenza istruttoria, fermo restando che tale contestazione non è in grado ex se di inficiare la sentenza impugnata. 9.4. Privo di fondamento è anche il quarto motivo, col quale l'appellante sostiene che la sua richiesta di riduzione dell'ammontare dovuto al Comune per le operazioni di bonifica, in relazione a servizi già pagati con le fatture Et., sia stata rigettata dal giudice di primo grado senza specificarne le ragioni. La sentenza impugnata reca il seguente preciso passaggio motivazionale dedicato a tale profilo della vicenda: "il Collegio ritiene che sia da respingere, considerato che i costi imputati da Et. al Comune e alla ditta ricorrente sono relativi a interventi e lavori differenti, come emerge dagli atti di causa (cfr consuntivi Et. per l'intervento sul fossato di Via (omissis) e sulla rete delle acque bianche di via (omissis), doc. 16 e 17 in atti deposito ricorrente)". Secondo l'appellante tale motivazione sarebbe insufficiente, rimarcando la lievitazione dei costi alla luce dei preventivi "formulati da Et. il 28 febbraio 2008 al Comune di (omissis) (doc. 4 e 9) e quello inviato per i medesimi interventi a Za. il giorno successivo (doc. 14)". Sottolinea poi l'appellante che numerose voci sono ascrivibili a competenze ordinarie del Comune e di Et. e non già esclusivamente alle esigenze riparatorie addebitabili al presunto responsabile, erroneamente individuato. Deduce infine che "le richieste del Comune di (omissis) inviate con le missive 25 maggio 2012 prot. n. 17159 (doc. n. 31) e 28 giugno 2012 prot. n. 21221 (doc. n. 33) erano già ricomprese nei servizi pagati dalla ricorrente con le fatture Et. di cui al doc. n. 27 A-B, di talché esse non erano dovute al resistente" 9.4.1. Orbene, occorre in primis rilevare che il complesso quadro censorio che presenta il motivo d'appello in esame non corrisponde a quello di cui al ricorso di prime cure dovendosi pertanto reputare inammissibili, à sensi dell'art. 104 c.p.a., le censure articolate per la prima volta in questa sede di giudizio. 9.4.2. Residua quanto da ultimo riportato in ordine al confronto tra i documenti 31 e 33, da un lato, e 27 A-B dall'altro. Per quanto riguarda i primi, non recano una precisa descrizione degli interventi effettuati ma secondo le stesse prospettazioni dell'appellante, consisterebbero in: servizio canal jet, noleggio cisterna scarrabile, trasporto e smaltimento rifiuti pericolosi, analisi chimico-fisica, presidio ambientale precauzionale, analisi acque, predisposizione documentazione. I costi invece addebitati da Et. al Comune riguardano quelli relativi alle seguenti operazioni: "Intervento di messa in sicurezza di emergenza con rimozione della sostanza contaminante della rete delle acque bianche di via (omissis) e presso lo scolo laterale della S.P. 13- Pelosa in località (omissis)". Ne deriva l'infondatezza del rilievo stante la diversità delle descritte prestazioni. 10. Tanto premesso, l'appello deve essere respinto, non residuando, per le ragioni anzidette, alcuna esigenza istruttoria tale da richiedere un approfondimento istruttorio. 11. Le spese di grado, secondo il canone della soccombenza, sono da porre a carico di parte appellante nella misura stabilita in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 5051/2019), lo respinge. Condanna parte appellante al rimborso, in favore del Comune di (omissis), delle spese di grado in Euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre IVA, CPA ed accessori di legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 svoltasi in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall'art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante "Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia", convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giovanni Sabbato - Consigliere, Estensore Carmelina Addesso - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4627 del 2019, proposto dalla Società Po. di Ve. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Bu., Fe. Pe. e Al. Ki., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia, contro -- Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dello sviluppo economico, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero della salute, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ispra - Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, Enea - Agenzia nazionale nuove tecnologie energia e sviluppo economico sostenibile, Istituto Superiore di Sanità, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); -- Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - Direzione generale per la salvaguardia del territorio, Ufficio di Gabinetto del Ministero dello sviluppo economico, Ufficio di Gabinetto del Ministero della salute, Regione Veneto, Presidenza della Regione Veneto, Regione Veneto - Dipartimento Coordinamento Operativo Recupero Ambientale - Territoriale - Sezione Progetto Venezia, Regione Veneto - Direzione Valutazione Progetti Investimenti, Città Metropolitana di Venezia, Sindaco Metropolitano di Venezia, Città Metropolitana di Venezia - Servizio Difesa del Suolo e Tutela del Territorio - Ufficio Bonifiche, Comune di Venezia, Comune di Venezia - Direzione Ambiente e Politiche Giovanili, A.r.p.a. Veneto, Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale, Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per il Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, Inail - Istituto nazionale assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, Ulss 3 Serenissima, Ulss 3 Serenissima - Dipartimento di Prevenzione, non costituiti in giudizio; nei confronti di Im. Ti. S.r.l. ed altri, non costituiti in giudizio, sul ricorso numero di registro generale 5011 del 2019, proposto dalla Società Im. Ti. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ga. Gu. e Ga. Pa., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ga. Pa. in Roma, via (...), contro il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - Direzione Generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - Direzione per la qualità della vita, il Ministero dello sviluppo economico - Ufficio di Gabinetto, Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Ufficio di Gabinetto, non costituiti in giudizio; nei confronti Po. di Ve. S.p.a., Città Metropolitana di Venezia, Inail - Istituto nazionale assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, Ministero della salute - Ufficio di Gabinetto, Regione Veneto, Comune di Venezia, Ispesl - Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, Istituto superiore di sanità, Agenzia regionale per la protezione ambientale Veneto, Arpav Veneto - Dipartimento provinciale di Venezia, Regione Veneto - Direzione valutazione progetti investimenti, Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Settentrionale di Venezia, Apv Investimenti S.p.A. (già Autorità Portuale Holding), Provveditorato interregionale alle OO.PP. Veneto Taa e Fvg, Azienda Ulss 3 Serenissima, Confindustria (già Unindustria) di Venezia, Consorzio per la bonifica e riconversione produttiva - Fu. ed altri, non costituiti in giudizio; il Ministero della salute, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ispra - Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, Enea - Agenzia nazionale nuove tecnologie energia e sviluppo economico sostenibile, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma, in relazione ad entrambi i ricorsi n. 4627 del 2019 e n. 5011 del 2019, della sentenza del T.a.r. per il Veneto, Sezione Terza, n. 1125 del 6 dicembre 2018, resa tra le parti, concernente l'ordine di presentazione di un piano di caratterizzazione del sito di interesse nazionale Venezia-Porto Ma. area (omissis). Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero della salute, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di Ispra - Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, di Enea - Agenzia nazionale nuove tecnologie energia e sviluppo economico sostenibile, dell'Istituto superiore di sanità ; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, c.p.a.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 7 febbraio 2024 il consigliere Giovanni Sabbato e viste note di trattazione scritta da parte degli avvocati Fe. Pi., Al. Ki. e dell'avvocato dello Stato Da. Gi. nel ricorso n. 4627/2019 e delle note di trattazione scritta da parte degli avvocati Ga. Gu., Ga. Pa. e dell'avvocato dello Stato Da. Gi. nel ricorso n. 5011/2019; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. E' necessario ripercorrere, preliminarmente, i passaggi essenziali della complessa vicenda di causa. 1.1. La Conferenza dei Servizi del 29.11.2010 impartì a Po. di Ve. S.p.a. (di seguito anche la Società ) l'ordine di eseguire la caratterizzazione, la messa in sicurezza dei suoli e della falda mediante confinamento fisico nonché di presentare un progetto di bonifica per entrambe le matrici. Queste prescrizioni vennero impugnate innanzi al T.a.r. per il Veneto con il ricorso R.G. n. 567/2011. 1.2. Successivamente, in data 11.10.2016, il Ministero dell'Ambiente notificò alla Società un nuovo provvedimento con cui ribadiva le richieste della Conferenza di Servizi del 2010 e richiamava un Accordo di Programma. Anche questo provvedimento venne impugnato innanzi al T.a.r. per il Veneto con ricorso R.G. n. 1554/2016. 1.3. Furono poi presentati motivi aggiunti nel ricorso R.G. n. 1554/2016 avverso una nota ministeriale del 2017, con la quale, riconoscendogli la qualifica di mero proprietario non responsabile, si chiedeva all'appellante di adottare le sole misure di prevenzione consistenti - lo specificava la nota - in un'analisi di rischio esclusivamente sanitario c.d. "in modalità diretta". 1.4. Nei ricorsi suddetti la ricorrente precisava, in sintesi, che: (i) la normativa, come interpretata dalla giurisprudenza consolidata, escludeva obblighi a carico del proprietario non responsabile, fatta eccezione per le misure di prevenzione; (ii) il tema del risarcimento del danno all'ambiente si chiuse con la transazione MONTEDISON, individuato dagli enti come responsabile; (iii) infine le misure di prevenzione (che effettivamente gravano anche sul proprietario non responsabile) non potevano essere richieste in caso di contaminazione storica (ciò nondimeno la società le realizzava). 2. In vista dell'udienza di discussione l'Avvocatura dello Stato depositava due memorie dando atto del superamento di tutte le vecchie prescrizioni, fatta eccezione per quella che chiedeva la presentazione di un piano di caratterizzazione. 3. Il T.a.r. adì to, con la sentenza n. 1125, pubblicata il 6 dicembre 2018, dopo aver disposto la riunione dei ricorsi NRG 567/2011 e NRG 1554/2016, accoglieva parzialmente quello relativo alla causa NRG 567/2011 mentre dichiarava inammissibili il ricorso introduttivo ed il ricorso per motivi aggiunti nella causa NRG 1554/2016, oltre ad aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva di INAIL. Condannava la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 1.000,00 oltre accessori di legge in favore di INAIL, mentre compensava integralmente le restanti spese tra le parti. 4. Avverso tale pronuncia è insorta sia Po. di Ve. S.p.a., con atto di appello notificato in data 29 maggio 2019 e depositato il 31 maggio 2019, articolando quattro motivi (pagine 8-21), sia Im. Ti. S.r.l. formulando un unico complesso motivo (pagine 9-13), deduzioni che saranno di seguito esaminate. 5. In data 12/14 giugno 2019 si sono costituiti in entrambi i giudizi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della salute, l'ISPRA - Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, l'ENEA - Agenzia nazionale nuove tecnologie energia e sviluppo economico sostenibile e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. 6. In prosieguo di entrambi i giudizi parte appellata ha depositato memorie concludendo per la reiezione del gravame n. 4627/2019 e per la declaratoria di inammissibilità di quello n. 5011/2019. Tutte le parti, nelle more della discussione, hanno depositato ulteriori memorie anche in replica. 7. All'udienza del 7 febbraio 2024 entrambe le cause, sulle conclusioni delle parti, sono state trattenute in decisione. 7.1. In via preliminare poichè entrambi i gravami attengono alla medesima controversia e hanno quale bersaglio la stessa sentenza deve disporsi la riunione degli stessi. Va a tal proposito rammentato, in via generale e per completezza espositiva, che nel processo amministrativo, con riferimento al grado di appello, sussiste l'obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli allorquando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.a.), mentre in tutte le altre ipotesi la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell'art. 70 c.p.a., con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l'unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, sez. V, 24 maggio 2018, n. 3109). Deriva da quanto sopra che va disposta la riunione del ricorso in grado di appello n. R.g. 5011 del 2019 al ricorso in grado di appello n. R.g. 4627 del 2019, in quanto quest'ultimo ricorso (in appello) è stato proposto in epoca antecedente rispetto al precedente, perché siano decisi in un unico contesto processuale e ciò sia per evidenti ragioni di economicità e speditezza dei giudizi sia al fine di prevenire la possibilità (eventuale) di un contrasto tra giudicati (cfr., ancora, Cons. Stato, sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 22, e 23 luglio 2012, n. 4201). 8. L'appello n. 4627/2019 è infondato. Giova precisare che tale gravame è indirizzato (unicamente) nei riguardi delle statuizioni reiettive recate dall'impugnata sentenza, ed in particolare quelle con le quali il T.a.r. ha ritenuto che può essere chiesta anche al proprietario non responsabile dell'inquinamento la "messa in sicurezza d'emergenza" ed ha considerato irrilevante una transazione precedentemente raggiunta tra il Ministero e la Montedison, ritenuta responsabile dell'inquinamento 8.1. Con il primo motivo, l'appellante censura l'impugnata sentenza, nella parte in cui ha confermato la sussistenza, in capo alla ricorrente, dell'obbligo di eseguire la messa in sicurezza, avendo accertato, in punto di fatto, la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l'effettuazione di tale operazione. La società deduce, al riguardo, la violazione dell'art. 112 c.p.c. dalla seguente formulazione: "Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti". Evidenzia, infatti, che, poiché le relative prescrizioni dovevano ritenersi superate dalla successiva nota del Ministero del 24.2.2017 prot. 4287/STA, aveva chiesto la declaratoria di improcedibilità del primo ricorso. Ai fini della disamina del motivo è opportuno riportare il seguente testuale passaggio del gravame d'appello: "La richiesta di dichiarare la carenza di interesse alla decisione (non contestata dalla ricorrente) avrebbe dovuto condurre il T.A.R. a non decidere sulle prescrizioni impugnate con il primo ricorso, fatta eccezione per la caratterizzazione (e le misure di prevenzione chieste con la nota del 2017). Come detto, il Giudice di primo grado si è pronunciato sulla caratterizzazione (e sull'analisi di rischio e sulla bonifica) correttamente escludendo obblighi in tal senso a carico del proprietario, ma ha erroneamente ritenuto legittima la richiesta di messa in sicurezza d'emergenza. La decisione del T.A.R. ha violato l'art. 112 c.p.c. non avendo esercitato "il potere giurisdizionale nell'ambito dell'esatta corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato" (Cons. Stato n. 4907/2017), è incorsa nel vizio di ultrapetizione (per avere pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni come definite nel contraddittorio processuale) ed ha violato anche il principio dispositivo. Vista la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse, il T.A.R. avrebbe, dunque, dovuto dichiarare l'improcedibilità del ricorso. 8.1.1. La censura non convince per due ragioni: i. in primo luogo va rilevato che la nota del 2017 ribadisce le precedenti prescrizioni per cui l'interesse sarebbe venuto meno soltanto se la parte avesse impugnato la nuova nota anche in relazione a queste invece che soltanto rispetto alle misure di prevenzione; ii. dagli atti di causa del giudizio di prime cure non si riscontra alcuna esatta richiesta di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse da parte ricorrente. 8.2. Con il secondo motivo, l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza gravata nella parte in cui ritiene legittima l'imposizione della messa in sicurezza d'emergenza al proprietario non responsabile. Parte appellante argomenta in tal senso valorizzando talune norme di riferimento (in particolare, l'art. 242 d.lgs. n. 152/2006) e ripercorrendo l'evoluzione della giurisprudenza in materia, anche di questo Consiglio, secondo cui va escluso il coinvolgimento coattivo del proprietario incolpevole del sito inquinato nelle attività di messa in sicurezza di emergenza. Su quest'ultimo può gravare soltanto l'obbligo di effettuare la comunicazione e di realizzare le misure di prevenzione 8.2.1. Anche tale motivo risulta infondato. Occorre dare atto sul punto dell'ormai consolidato orientamento di questo Consiglio, sfavorevole alla tesi di parte appellante, che è compendiato nel passaggio testuale di una recente pronuncia e che di seguito si riporta: "A tal riguardo, il Collegio ricorda che l'impossibilità di imporre le opere di bonifica al proprietario di un terreno inquinato non responsabile del relativo inquinamento è stata affermata a partire dalla nota sentenza Corte di giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015 C 534-13 (su ordinanza di rinvio pregiudiziale dell'Adunanza plenaria 13 novembre 2013 n. 25). La sentenza della Corte di giustizia, in particolare, ha chiarito che "La direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell'ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest'ultimo le misure di riparazione, non consente all'autorità competente di imporre l'esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione". La successiva giurisprudenza nazionale, nel tentativo di ulteriormente sviluppare l'assunto della Corte di giustizia, è giunta ad affermare l'impossibilità di imporre le misure di bonifica al proprietario non responsabile della contaminazione, traendo principale argomento dalla natura sanzionatoria di questa misura. In tale ottica ricostruttiva, si è tuttavia osservato che ana ragionamento non può valere anche con riferimento alle misure di messa in sicurezza di emergenza, le quali, così come le misure di prevenzione, non hanno analoga natura sanzionatoria, ma preventiva e cautelare, trovando fondamento nel principio di precauzione e nel correlato principio dell'azione preventiva, e, in quanto tali, possono gravare sul proprietario (o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente) solo perché egli è tale senza necessità di accertarne il dolo o la colpa (in questi termini, la costante giurisprudenza, per tutte Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1658; sez. VI, 3 gennaio 2019, n. 81; sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089; 14 aprile 2016, n. 1509. In base a tale consolidato orientamento, il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti, che non sia responsabile dell'inquinamento (c.d. proprietario incolpevole) e che non sia stato negligente nell'attivarsi con le segnalazioni e le denunce imposte dalla legge, è, pertanto, tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza definitiva, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione, ossia su colui al quale - per una sua condotta commissiva od omissiva - sia imputabile l'inquinamento; la P.A. competente, qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda agli adempimenti dovuti, può adottare d'ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un'azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito dopo l'esecuzione degli interventi medesimi (cfr., tra le altre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2018, n. 502, e id., Sez. V, 10 ottobre 2018, n. 5604). Ne discende che il proprietario non responsabile dell'inquinamento - nell'accezione prima chiarita - è tenuto, ai sensi dell'art. 245, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 152 del 2006 (ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia") e le misure di messa in sicurezza d'emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2024, n. 1110). Tale pronunciamento affonda le sue radici in un orientamento giurisprudenziale già precedentemente consolidatosi e dal quale quindi non vi è ragione di decampare in questa sede, secondo cui "il proprietario 'non responsabilè dell'inquinamento è tenuto, ai sensi dell'art. 245, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. i), (ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia") e le misure di messa in sicurezza d'emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale. Ad ogni modo, nel caso di bonifica spontanea di sito inquinato, il proprietario avrà diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute (pur se si tratta del dante causa), a condizione che sia stata rispettata la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall'identificazione del responsabile dell'inquinamento da parte della competente autorità amministrativa, senza che, in presenza di altri responsabili, trovi applicazione il principio della solidarietà " (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1° giugno 2022, n. 4445). Inoltre, come affermato da costante giurisprudenza, per tutte da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 1547/2023, la responsabilità per la M.I.S.E. si ricollega alla mera qualità di gestore del sito e prescinde da una prova della responsabilità di questi nel causare l'inquinamento, dato che si tratta non di una misura sanzionatoria, ma di una misura di prevenzione dei danni, imposta dal principio di precauzione e dal correlato principio dell'azione preventiva; essa quindi grava sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente solo perché egli è tale, senza necessità di accertarne il dolo o la colpa. Il motivo in esame è quindi infondato. 8.3. Con il terzo mezzo, l'appellante contesta la sussistenza dei presupposti oggettivi per l'attivazione della M.I.S.E., così come definiti dall'art. 240, lett. m) del D.lgs. 152/2006. Più in particolare, si deduce che la M.I.S.E. può essere imposta dalla P.A. solo: i) qualora si verifichino eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura; ii) qualora ricorrano le condizioni di emergenza (ai sensi dell'art. 240, comma 1, lett. t), si hanno condizioni di emergenza in caso di concentrazioni attuali o potenziali dei vapori in spazi confinanti prossime a livelli di esplosività o idonee a causare effetti nocivi alla salute, presenza di quantità significativa di prodotto in fase separata sul suolo o in corsi d'acqua superficiali o nella falda, contaminazione di pozzi ad uso idropotabile o per scopi agricoli, pericolo di incendi od esplosioni). Tali condizioni nel caso di specie non sussisterebbero trattandosi di un fenomeno di inquinamento non recente (invero si tratterebbe di una "compromissione antica"). 8.3.1. Anche tale motivo non coglie nel segno dovendosi così confermare quanto sul punto osservato dal T.a.r. nel senso che si deve "interpretare la locuzione legislativa "eventi di contaminazione repentini" di cui all'art. 240, lett. m) d.lgs. n. 152/2006, non nel senso di eventi di contaminazioni imprevedibili o sopravvenuti, ma nel senso di eventi di contaminazione che richiedono, proprio in ragione della loro gravità e del loro pericolo intrinseco, di essere fronteggiati con immediatezza e con assoluta celerità ". Nel medesimo senso si è infatti espresso questo Consiglio, anche di recente, rilevando quanto segue: "Ebbene, in tali situazioni le misure di prevenzione, al pari della messa in sicurezza d'emergenza, possono essere imposte, ai sensi delle predette norme, anche al proprietario incolpevole (Cons. Stato Sez. IV, 12/07/2022, n. 5864). 8.1. Si tratta, infatti, di disporre (come avvenuto nella fattispecie) interventi tempestivi volti ad impedire e arginare la diffusione delle predette sostanze per gli evidenti impatti negativi ad effetti tendenzialmente irreversibili che le stesse sono in grado di produrre per l'ambiente e, più in particolare, a scapito della salute umana, in matrici di ecosistemi dai quali è poi difficile, in termini operativi, sanitari ed economici, la loro rimozione. 8.2. La giurisprudenza amministrativa, formatasi successivamente alla sentenza Corte di giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015 C 534-13 (su ordinanza di rinvio pregiudiziale dell'Adunanza plenaria 13 novembre 2013 n. 25), ha chiarito che, in materia di inquinamento, l'impossibilità di imporre le misure di bonifica al proprietario non responsabile della contaminazione si giustifica, in sintesi estrema, per la natura sanzionatoria di questa misura. 8.3. Diverso discorso si deve, invece, fare per le misure di prevenzione le quali, al pari della messa in sicurezza di emergenza, non hanno questa natura, ma costituiscono prevenzione dei danni, sono imposte dal principio di precauzione e dal correlato principio dell'azione preventiva, e quindi gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente solo perché egli è tale senza necessità di accertarne il dolo o la colpa (Cons. Stato Sez. IV, 02/05/2022, n. 3426; 12/07/2022, n. 5863). 8.4. Le misure emergenziali possono essere, dunque, disposte a carico del proprietario anche laddove venga ordinata una misura di prevenzione, e non solo di messa in sicurezza di emergenza; e anche soltanto per evitare un incremento repentino e potenzialmente immediato e incontrollabile dell'inquinamento. 8.5. Sotto quest'ultimo profilo, l'accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti (in termini di incremento anche potenziale) si basa sul criterio del "più probabile che non", ovvero richiede semplicemente che il nesso eziologico ipotizzato dall'autorità competente sia più probabile della sua negazione (Cons. Stato Sez. IV, 02/05/2022, n. 3426). 9. La circostanza, posta in evidenza dall'appellante, secondo cui la contaminazione sarebbe risalente nel tempo non assume, pertanto, alcuna rilevanza. 9.1. In primo luogo, perché l'art. 242, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006, nel fare riferimento specifico anche alle "contaminazioni storiche", ha inteso affermare il principio per cui la condotta inquinante, anche se risalente nel tempo e verificatasi in momenti storici passati, non esclude il sorgere di obblighi di bonifica, messa in sicurezza di emergenza o di prevenzione ove il pericolo di aggravamento della situazione sia ancora attuale (Cons. Stato Sez. IV, 14/06/2022, n. 4826). 9.2. In secondo luogo, alla luce di quanto ritenuto dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con l'ordinanza n. 21 del 25 settembre 2013 che ha riconosciuto che "il proprietario non responsabile è gravato di una specifica obbligazione di facere che riguarda, però, soltanto l'adozione delle misure di prevenzione di cui all'art. 242, (che, all'ultimo periodo del comma 1, ne specifica l'applicabilità anche alle contaminazioni storiche [quale quella per cui oggi si controverte NdR] che possono ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione)" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2023, n. 1147). 8.4. Con il quarto motivo, l'appellante contesta la statuizione con la quale è stata ritenuta irrilevante la transazione, intervenuta nel 2001 con Montedison, per un ammontare di 500 miliardi di lire a titolo di risarcimento del danno ambientale arrecato a laguna, canali e aree prospicienti, compresa quella che qui interessa. L'appellante a tal proposito deduce che: l'area (omissis) (all'epoca ancora di proprietà dello Stato) era ricompresa tra quelle oggetto di transazione che il Ministero doveva risanare con la somma incassata da Montedison; l'oggetto della transazione non era il risarcimento del danno da reato, ma il risarcimento del danno ambientale ex art. 18 l. n. 349/1986; il Ministero, transando con il soggetto identificato come responsabile dell'inquinamento, decise di farsi carico degli interventi necessari per il completo risanamento di tutte le aree considerate dalla transazione stessa, ponendone l'onere economico sul trasgressore e definendo con lui il quantum in via transattiva; in ogni caso, non rileva la circostanza che le risorse finanziarie della transazione sarebbero state destinate alla bonifica (in senso stretto) dell'area, non alle diverse misure di prevenzione e di messa in sicurezza d'emergenza che resterebbero invece a carico del proprietario. 8.4.1. Anche tale motivo è privo di fondamento. Deve infatti rilevarsi l'infondatezza di quanto dedotto a proposito della statuizione con la quale il T.a.r. ha ritenuto irrilevante la transazione raggiunta in precedenza tra il Ministero e Montedison in forza della quale il Ministero ha percepito somme rilevanti destinate specificamente al risanamento dell'area (omissis). Come risulta dalla semplice lettura dell'Atto Transattivo (cfr. art. 6), ai sensi dell'art. 1304 c.c. è stata espressamente esclusa, da parte di soggetti terzi, la facoltà di avvalersi del predetto accordo, restando impregiudicata la facoltà dello Stato di richiedere, a loro carico, misure riparatorie o ripristinatorie. Tale espressa previsione dell'accordo transattivo induce a reputare infondati tutti i passaggi argomentativi posti a sostegno del motivo in esame ostando alla sua efficacia espansiva sul piano soggettivo quanto espressamente previsto dalla disposizione su citata. 9. Occorre quindi provvedere alla disamina dell'appello n. 5011/2019. 9.1. Con un unico motivo, la società appellante deduce la violazione dell'art. 111 c.p.c, rilevando, nella sostanza, che la conferenza di servizi del 2006 era il primo atto lesivo che estendeva i suoi effetti anche alla società Ti., la quale, quindi, era legittimamente intervenuta ad adiuvandum nei due giudizi promossi dalla società Po. di Ve.. In particolare, l'appellante censura la sentenza laddove afferma che "Il primo motivo di ricorso risulta parzialmente inammissibile per difetto di interesse laddove la ricorrente impugna le prescrizioni contenute nel verbale della conferenza di servizi del 29 novembre 2010 rivolte unicamente nei confronti della società Ti. s.r.l. (non estensibili alla società Po. di Ve.)". Evidenzia infatti che la ricorrente Po. di Ve. - ancorché abbia impugnato le prescrizioni del verbale 29.11.10 rivolte a Ti. - ha anche e validamente impugnato l'atto del 2010 ricognitivo della conferenza di servizi 2006 (costituente atto generale perché interessante la complessiva area (omissis) all'epoca ancora non ripartita fra Ti. e Po. di Ve.) che confermava alla proprietà la complessiva sottoposizione dell'area a caratterizzazione in violazione del principio chi inquina paga. Il T.a.r. Veneto, accogliendo la sua domanda nella parte in cui la ricorrente, pacificamente non responsabile dell'inquinamento dell'area (omissis), è stata destinataria, nel verbale della conferenza di servizi decisoria del 29 dicembre 2006 ha sancito in modo inequivocabile che tale conferenza di servizi era in parte qua illegittima. Senza però tener conto del fatto che nel 2006 Po. di Ve. era proprietaria dell'intero compendio, venduto a Im. Ti. solo nel 2009. 9.2. L'appello, come eccepito da parte appellata, risulta inammissibile in quanto non si comprende il preciso tenore delle deduzioni di parte appellante, la quale non avversa una precisa statuizione della sentenza di prime cure; la società si limita infatti a rilevare che aveva interesse a contestare l'atto del 2006 sebbene avesse acquistato il bene soltanto nel 2009 stante il carattere meramente confermativo dell'atto del 2010 rispetto a quello del 2006. In punto di interesse a ricorrere condivisibile giurisprudenza è nel senso che "Nel processo amministrativo l'intervento "ad adiuvandum o "ad opponendum" può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale e non anche da un soggetto che sia portatore di un interesse che lo abilita a proporre ricorso in via principale; di conseguenza la mancanza nell'interveniente di una posizione sostanziale di interesse legittimo, invece di costituire momento di ostacolo al suo ingresso in giudizio, ne rappresenta al contrario un presupposto di ammissibilità ." (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2011, n. 4557). Nel medesimo senso: "La mancanza nell'interveniente di una posizione sostanziale di interesse legittimo, lungi dal costituire momento di ostacolo al suo ingresso in giudizio, ne rappresenta al contrario un presupposto di ammissibilità, in adesione ai consolidati orientamenti giurisprudenziali che subordinano l'intervento del terzo alla difesa di un suo interesse derivato o non ancora attuale, in caso contrario si eluderebbe la perentorietà del termine per la proposizione di autonomo ricorso (nel caso di specie, veniva riconosciuta in capo agli intervenienti ad adiuvandum una posizione qualificata in quanto collocatisi in posizione utile nella graduatoria di un concorso e aventi un interesse alla conservazione degli atti impugnati)." (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 6483). 10. In conclusione l'appello n. 4627/2019 deve essere respinto mentre l'appello n. 5011/19 deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse a ricorrere. 11. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di grado in ordine al giudizio n. 4627/2019 sussistendo i presupposti di cui all'art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall'art. 26, comma 1, c.p.a., stante la peculiarità e la complessità, sia in punto di fatto che di diritto, delle questioni oggetto di contenzioso; invece, secondo il principio della soccombenza ed in assenza delle peculiarità evidenziate al precedente gravame, le spese relative al giudizio n. 5011/19 vanno poste a carico della Società Im. Ti. S.r.l. in favore della parte appellata. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti (n. 4627/2019 e n. 5011/2019), previamente riuniti, così decide: - respinge il ricorso n. 4627/2019 proposto da Po. di Ve. S.p.a.; - dichiara inammissibile il ricorso n. 5011/2019 proposto dalla Società Im. Ti. S.r.l. Spese di grado compensate in relazione all'appello n. 4627/2019 mentre poste a carico della Società Im. Ti. S.r.l. in favore delle Amministrazioni appellate, in solido tra loro, nella misura di Euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre IVA, CPA ed accessori di legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 svoltasi in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall'art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante "Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia", convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giovanni Sabbato - Consigliere, Estensore Carmelina Addesso - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI NAPOLI PRIMA SEZIONE CIVILE TRIBUNALE REGIONALE DELLE ACQUE PUBBLICHE La Corte di Appello di Napoli, prima sezione civile, in funzione di Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, riunita in camera di consiglio nelle persone dei magistrati: 1) Dr. Antonio Mungo - Presidente; 2) Dr. Francesco Gesuè Rizzi Ulmo - Consigliere relatore; 3) Dr. Pietro Ernesto De Felice - Giudice Tecnico ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1999/2017 R.G., avente ad oggetto controversie di competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, riservata in decisione all'esito delle note scritte delle parti, depositate,ai sensi dell'art. 127/ter c.p.c., in sostituzione dell'udienza collegiale del 6.3.2024, tra: - Ar.Co. (C.F.: (...)) ed Ar.Ca. (C.F.: (...)), rappresentate e difese, in virtù di procura in calce al ricorso introduttivo, dall'avvocato Fr.So. (C.F.: (...)) - ricorrenti - e - Regione Campania (C.F.: (...)), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura generale alle liti, dall'avvocato Gu.Ta. (C.F.: (...)) -resistente- SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI DELLE PARTI Le ricorrenti hanno proposto ricorso ex art. 151 del R.D. n. 1775 del 1933 contro la Regione Campania, con il quale hanno premesso: - di essere comproprietarie di un fondo agricolo, sito nel Comune di Tufino, Contrada Paenzano, distinto al N.C.T. al foglio (...), particella (...); - che tale fondo è coltivato a noccioleto; - che nelle date 18 e 19 giugno 2014, a seguito di forti e intense piogge che hanno interessato il Comune di Tufino, l'alveo G., confinante con il fondo di proprietà di esse istanti, ha rotto l'argine spondale ed ha riversato tutto il suo carico idraulico sui fondi limitrofi, tra i quali quello di loro proprietà, che è stato invaso da acque putride, materiale melmoso, pietrame, sabbie e rifiuti di ogni genere, subendo danni alle culture. Hanno, quindi, avanzato richiesta di condanna della Regione Campania al risarcimento dei danni patrimoniali subiti, quantificati in Euro 13.366,02, oltre ad interessi legali e svalutazione monetaria; a tal fine hanno allegato una perizia di parte, a firma dell'ingegnere C.N.. Si è costituita in giudizio, in data 29.1.2020, la Regione Campania, la quale ha sollevato eccezioni di rito (improcedibilità della domanda per mancato esperimento della negoziazione assistita; incompetenza del Tribunale delle Acque in favore del Tribunale ordinario) e, nel merito, ha contestato la propria "legittimazione passiva", sostenendo che la manutenzione del corso d'acqua in oggetto sia di competenza delle amministrazioni dei Comuni di Sperone, Avella e Tufino; ha eccepito, altresì, che l'alveo in questione non è un corso d'acqua naturale, ma ha natura artificiale ed è destinato alla raccolta delle acque piovane, con conseguente competenza del consorzio di bonifica; ha inoltre eccepito la genericità della richiesta risarcitoria nonché il carattere eccezionale dell'evento esondativo per cui è causa. Ammessa la prova per testi, come da ordinanza pronunciata all'udienza del 4.6.2019, ed espletata la stessa dinanzi al Tribunale di Nola ai sensi dell'art. 203 c.p.c., le conclusioni sono state precisate dinanzi al giudice delegato all'udienza dell'8.9.2020 e, successivamente, la causa è stata assegnata a sentenza all'esito delle note scritte disposte, ai sensi dell'art. 127/ter c.p.c., in sostituzione dell'udienza collegiale del 6.3.2024. Ragioni di fatto e di diritto della decisione Va preliminarmente rilevato che sia l'eccezione di improcedibilità della domanda per mancato invito alla stipulazione della convenzione di negoziazione assistita ai sensi dell'art. 3 del D.L. n. 132 del 2014, convertito con modificazioni con la L. n. 162 del 2014, sia l'eccezione di incompetenza per materia del Tribunale delle Acque sono state sollevate dalla Regione tardivamente. Invero, la Regione si è costituita solo in data 29.1.2020, ben oltre la prima udienza, addirittura allorquando il procedimento per l'assunzione della prova testimoniale delegata era già concluso, laddove l'improcedibilità della domanda per mancato invito alla stipulazione della convenzione di negoziazione assistita ai sensi dell'art. 3 del D.L. n. 132 del 2014 va eccepita dal convenuto, oppure rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza; allo stesso modo, l'eccezione di incompetenza per materia deve essere dal convenuto eccepita nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata e non può essere rilevata d'ufficio oltre la prima udienza di trattazione, applicandosi anche dinanzi al Tribunale delle Acque l'art. 38 c.p.c. (cfr. Cass., sez. 6, n. 17452 del 23/07/2010; Cass., Sezioni Unite, n. 24903 del 25/11/2011). Passando all'esame del merito, la domanda appare fondata, seppure nei ridotti limiti che di seguito verranno esplicitati. La circostanza che le ricorrenti siano proprietarie del fondo per cui è causa risulta provata dall'atto di donazione del diritto di piena proprietà effettuato a loro favore, per metà ciascuna, in data 3.3.1992 per notar E.R. in N.. La circostanza che, a seguito degli eventi meteorici del 18 e 19 giugno 2014, le acque scorrenti nell'alveo G. sia esondate, allagando il fondo di proprietà delle odierne ricorrenti, è dimostrata dalle dichiarazioni dei testi da queste ultime addotti: G.L., che ha dichiarato di possedere un terreno che dista circa 200 metri dal fondo delle ricorrenti e di avere visto personalmente tale fondo allagato ed il nocelleto ivi esistente danneggiato; l'ingegnere C.N., che ha effettuato la perizia di parte e che ha riferito di avere effettuato il sopralluogo qualche giorno dopo gli eventi, all'incirca nei giorni 25/26 giugno del 2014, e di avere scattato foto allegate alla perizia; ha aggiunto di avere constatato che l'alveo G. era in cattiva manutenzione da molti anni. La Regione Campania è indiscutibilmente tenuta alla manutenzione ed alla custodia del corso d'acqua per cui è processo. Ed invero, l'art. 86 del D.Lgs. n. 112 del 1998 ha conferito alle Regioni la gestione del demanio idrico e l'art. 89 ha conferito loro anche le funzioni di progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura. La sussistenza della qualità di custode in capo alle Regioni in materia di demanio idrico e, in generale, di opere idrauliche di qualsiasi natura è stata ribadita di recente dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche nella sentenza n. 84/2022, depositata in data 29.04.2022, dove è stato affermato che: "è principio già più volte affermato dalla giurisprudenza tanto di legittimità (Cass. Sez. Un., sent. n. 8588/1997; Cass., Sez. Un. sent. n. 9502/1997; Cass. Sez. Un., sent. n. 25928/2011) che di questo stesso Tribunale (tra le ultime: sentenze nn. 198 e 199 del 15/06/2016; n.219 del 04/07/2016; n.60 del 23/02/2016; n.21 del 08/02/2017; n.34 del 14/02/2018; n.47 del 15/03/2018; n. 83 del 18/05/2018; n.107 del 22/06/2018) che, in via istituzionale, la Regione è custode del demanio fluviale poiché le competono, per trasferimento da parte dello Stato, le funzioni di conservazione, manutenzione e gestione delle risorse idriche e delle acque in generale. Segnatamente, vanno qui richiamate le seguenti diposizioni: - L'articolo 89 del D.P.R. n. 616 del 1977, che, nel primo comma, stabilisce: "Entro un anno dall'entrata in vigore del presente decreto, il Governo, sentite le regioni, delimita i bacini idrografici a carattere interregionale. Tale delimitazione può essere modificata con lo stesso procedimento. Tutte le opere idrauliche relative ai bacini idrografici non interregionali sono trasferite alle regioni". - L'articolo 90 del medesimo D.P.R. n. 616 del 1977, che, a sua volta, prevede, nel primo comma, che "Tutte le funzioni relative alla tutela, disciplina e utilizzazione delle risorse idriche, con esclusione delle funzioni riservate allo Stato dal successivo articolo, sono delegate alle regioni, che le eserciteranno nell'ambito della programmazione nazionale della destinazione delle risorse idriche e in conformità delle direttive statali sia generali sia di settore per la disciplina dell'economia idrica" e, nel secondo comma, che "In particolare sono delegate le funzioni concernenti:... lett. e): la polizia delle acque". - L'articolo 89 del D.Lgs. n. 112 del 1998, che, nel primo comma, conferisce alla Regioni, nella lett. a), le funzioni relative "alla progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura"; nella lett. c), le funzioni relative "ai compiti di polizia idraulica e di pronto intervento di cui al R.D. 25 luglio 1904, n. 523 e al R.D. 9 dicembre 1937, n. 2669, ivi comprese l'imposizione di limitazioni e divieti all'esecuzione di qualsiasi opera o intervento anche al di fuori dell'area demaniale idrica, qualora questi siano in grado di influire anche indirettamente sul regime dei corsi d'acqua"; nella lett. i), le funzioni relative " alla gestione del demanio idrico". - L'articolo 61 del D.Lgs. n. 152 del 2006, che, nel primo comma, lett. e), prevede che le Regioni provvedano, per la parte di propria competenza, "all'organizzazione e al funzionamento del servizio di polizia idraulica ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e Ia conservazione dei beni". Orbene, l'alveo G. (denominato anche alveo Avella) fa parte del sistema dei "Regi Lagni" (sistema idraulico di bonifica realizzato tra il XVI ed il XVIII secolo), come è stato già più volte affermato da questo Tribunale Regionale delle Acque: tale circostanza fa sì che certamente sussistono funzioni di custodia e di manutenzione anche in capo all'ente consortile (peraltro nel caso di specie non evocato in giudizio, né da parte ricorrente né dalla Regione convenuta), ma esse non escludono (come invece sostiene la Regione nella sua comparsa di costituzione), bensì si aggiungono a quelle della Regione Campania, atteso che, come già si è detto, il D.Lgs. n. 112 del 1998 non solo ha conferito alle Regioni, all'art. 86, la gestione del demanio idrico, ma, all'art. 89, ha conferito loro anche la progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura, nel cui ambito sono certamente ricompresi anche i canali di bonifica, in quanto opere idrauliche (cfr., ad esempio, Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, sentenza n. 353/16: "Se un corso d'acqua - nella specie torrente S. (Regione Campania), il cui bacino è caratterizzato in larga misura dalla presenza mista di corsi d'acqua naturali e artificiali -, oltre ad essere inserito negli elenchi delle acque pubbliche, è annoverato anche nel comprensorio di bonifica integrale di cui al T.U. n. 215/1933, e costituisce, unitamente alle opere di bonifica esistenti nel comprensorio, una "piattaforma di opere pubbliche" con funzione scolante irrigua, assumendo quindi la duplice veste di acqua pubblica e di opera di bonifica, il Consorzio, che lo utilizza come elemento integrativo irriguo dei canali artificiali e naturali e con funzione scolante per raccogliere le acque ricadenti nel bacino di sua competenza, è tenuto alla manutenzione di tale corpo idrico e quindi risponde, in caso di danni provocati dalla sua esondazione in considerazione della funzionalità dell'opera, in concorso con la Regione quale titolare della proprietà demaniale - rectius, quale titolare della gestione - dei torrenti regimentati per la bonifica, obbligata alla manutenzione degli argini di essi"). D'altronde costituisce principio pacifico, affermato anche dalla Suprema Corte, che, essendo state le funzioni di gestione e di manutenzione delle opere idrauliche trasferite alle Regioni, queste ultime ne rimangono custodi a prescindere dalla eventuale delega che esse abbiano operato ai Consorzi di bonifica, atteso che la delega non le esime da un obbligo di controllo e dalla conseguente responsabilità per i danni causati dalle acque, salvo la prova del caso fortuito (cfr. Cass., Sezioni Unite, n. 25928 del 05/12/2011). Per le stesse ragioni una eventuale responsabilità dell'ente comunale - eccepita dalla Regione nella propria comparsa di costituzione - ai sensi del R.D. n. 523 del 2004 (che riserva ai Comuni le cosiddette opere di quinta categoria, quelle cioè che provvedono alla difesa dell'abitato di città, di villaggi e di borgate contro le corrosioni di un corso d'acqua e contro le frane) oppure ai sensi della normativa sulla raccolta dei rifiuti, non esclude, ma al più concorre, con la responsabilità che per la manutenzione generale dell'alveo e degli argini incombe in capo alla Regione, quale gestore del demanio idrico. In quanto custode dell'alveo la Regione è responsabile, ai sensi degli artt. 2051 c.c., per i danni subiti dal fondo agricolo delle ricorrenti in ragione della omessa manutenzione del corpo idrico, del suo alveo e dei suoi argini. Ai sensi dell'art. 2051 c.c., infatti, una volta che l'attore abbia provato l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, spetta al convenuto provare, per liberarsi della responsabilità che gli deriva dai suoi obblighi di vigilanza e di controllo della cosa, l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità (cfr. Cass., sez. 3, n. 11227 del 08/05/2008; Cass., sez. 3, n. 8811 del 12/05/2020). Il che, nel caso di specie, non è avvenuto, essendosi la Regione limitata ad una eccezione del tutto generica ed astratta circa la presunta eccezionalità degli eventi esondativi per cui è causa. Accertati, quindi: - il verificarsi, a carico del fondo delle ricorrenti, dell'evento dannoso oggetto di ricorso (esondazione, in data 19.6.2014, dell'alveo Avella, con conseguente invasione del detto fondo da parte di acqua, fango e detriti); - l'imputabilità di tale evento dannoso alla parte convenuta, in quanto, come ampiamente illustrato, custode dell'alveo, dovendosi presumere, ai sensi dell'art. 2051 c.c. ed in mancanza di prova del caso fortuito, che esso sia ascrivibile ad un difetto di manutenzione del corpo idrico, del suo alveo e dei suoi argini, resta da quantificare il cosiddetto danno conseguenza, e cioè i danni patrimoniali subiti dalle ricorrenti in ragione dell'evento di cui si discute. Sul punto va evidenziato che, in considerazione del tempo trascorso dall'evento dannoso, è apparso inutile disporre una consulenza tecnica d'ufficio per l'accertamento dei danni; per cui per l'individuazione e per la quantificazione dei danni subiti non ci si potrà che rifare, nei limiti del consentito, a quanto emerso dalla prova testimoniale, dalla documentazione in atti e dalla consulenza di parte. Rispetto a tale ultimo aspetto va, infatti, sottolineato che vi è agli atti, prodotta da parte ricorrente, una consulenza a firma dell'ingegnere C.N.. Tuttavia, la consulenza di parte, anche se avente la forma della perizia giurata, non è dotata di efficacia probatoria, nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, non essendo prevista dall'ordinamento la precostituzione fuori del giudizio di un siffatto mezzo di prova; ad essa si può solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale non è però obbligato in nessun caso a tenerne conto; tutto ciò fatta salva la facoltà per la parte che ha prodotto la perizia giurata di dedurre prova testimoniale avente ad oggetto le circostanze di fatto accertate dal consulente (e giammai, ovviamente, le sue valutazioni, sulle quali un testimone non può riferire), che, se confermate dal medesimo in veste di testimone, possono acquisire dignità e valore di prova, sulla quale allora il giudice di merito dovrà, esplicitamente o implicitamente, esprimere la propria valutazione ai fini della decisione (cfr. Cass., sez. 2, n. 4437 del 19/05/1997; sulla circostanza che la consulenza di parte sia priva di autonomo valore probatorio cfr. anche Cass., sez. 6, n. 9483 del 09/04/2021). Nel caso di specie il consulente, che è stato per l'appunto sentito anche come teste sulle circostanze di fatto da lui verificate (sul punto ci si riporta a quanto più sopra esposto nella parte in cui si è fatto riferimento al contenuto delle dichiarazioni testimoniali), dopo aver illustrato lo stato dei luoghi e l'evento, ha effettuato una stima delle spese necessarie per il ripristino dello status quo ante (rimozione e trasporto a discarica dei rifiuti, trattamenti per ripristinare la fertilità del terreno). Va tuttavia rilevato che non sono state prodotte prove documentali circa gli effettivi costi sostenuti, nonostante che, alla luce del tempo trascorso dai fatti, sia verosimile che le attività necessarie per la bonifica siano già state espletate; né, tanto meno, sono stati allegati i preziari utilizzati per effettuare il calcolo astratto delle spese asseritamente da sostenere. Per tali ragioni, tenuto altresì conto del limitato valore probatorio della consulenza di parte (di cui già si è detto), si ritiene di poter liquidare tutti i detti danni solo in via del tutto equitativa, in una misura che si ritiene di quantificare, anche grazie al supporto della componente tecnica di questo Tribunale, in misura leggermente inferiore alla metà di quanto indicato in consulenza, ed in particolare in euro 6.000,00. E' da ritenere che tale somma vada ripartita in parti uguali tra le due ricorrenti. Ed infatti, da un lato va evidenziato che è assolutamente pacifico che la solidarietà attiva fra più creditori non si presume, nemmeno in caso di identità della prestazione dovuta, ma deve risultare espressamente dalla legge o da un titolo negoziale preesistente alla richiesta di adempimento, non essendo sufficiente all'esistenza del vincolo l'identità qualitativa delle prestazioni e delle obbligazioni (cfr., tra le tante, Cass., sez. 3, n. 2822 del 07/02/2014): ne consegue che la predetta somma non può essere attribuita indistintamente, in via solidale, ad ambedue le ricorrenti. Dall'altro lato non sono stati forniti dalle parti elementi per procedere ad una liquidazione diversificata dei danni. Ci troviamo, quindi, di fronte ad un'unica obbligazione risarcitoria divisibile ex art. 1314 c.c. (il fatto generatore del danno è unico; i beni danneggiati sono gli stessi) e la somma complessiva spettante a titolo di risarcimento va attribuita per Euro 3.000,00 a ciascuna ricorrente, dovendosi presumere, in mancanza di elementi diversi, che i danni vadano ripartiti in misura uguale tra le parti. Trattandosi di debito di valore, la detta somma deve essere sottoposta a rivalutazione monetaria dalla data del fatto illecito (19.6.2014) fino alla data della presente sentenza, ed inoltre su di essa vanno riconosciuti, quale lucro cessante, gli interessi (che nel caso di specie si ritiene equo determinare nella misura legale), anch'essi decorrenti dalla data del fatto illecito fino alla data della presente sentenza (cfr., tra le tante, Cass., sez. 1, n. 12961 del 24/05/2018). E', infatti, pacifico che ai debiti di valore si applichi il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi, l'una e gli altri assolvendo a funzioni diverse, giacché la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato ponendolo nella condizione, al momento della liquidazione finale, in cui si sarebbe trovato se l'evento pregiudizievole non si fosse verificato (danno emergente), mentre i secondi hanno natura compensativa e servono a ristorare il lucro cessante (rispondendo alla finalità di compensare il danneggiato dal pregiudizio derivantegli dal mancato conseguimento dell'equivalente monetario del danno sin dal momento del fatto illecito; si tratta di un danno che, benché debba essere provato dal creditore, può essere riconosciuto dal giudice anche mediante criteri presuntivi ed equitativi), con la conseguenza che le due misure sono giuridicamente compatibili e che, pertanto, sulla somma risultante dalla rivalutazione debbono essere corrisposti gli interessi, il cui calcolo va effettuato con riferimento ai singoli momenti in relazione ai quali la somma s'incrementa nominalmente (in altri termini, dal momento dell'illecito gli interessi verranno corrisposti prima sulla somma capitale e poi sulla stessa somma capitale così come di anno in anno progressivamente rivalutata, fino alla data della sentenza). Solo a seguito della sentenza che provvede alla liquidazione del danno il debito risarcitorio di valore si trasforma in debito di valuta: per cui da tale momento, da un lato, a norma dell'art. 1282 c.c., andranno applicati gli interessi nella misura legale sulla somma così come definitivamente rivalutata, mentre, dall'altro lato, nulla più dovrà essere corrisposto a titolo di rivalutazione monetaria. Le spese seguono la soccombenza e, pertanto, la Regione Campania va condannata al pagamento, in favore delle ricorrenti e con distrazione al difensore dichiaratosi antistatario, della somma di Euro 299,00 per spese vive (contributo unificato + marca da bollo + spese di notifica) e di Euro 2.904,50 per onorari (fase di studio: Euro 567,00; fase introduttiva: Euro 460,50; fase istruttoria: Euro 921,50; fase decisionale: Euro 955,50), attenendosi ai valori minimi (attesa la limitata complessità del processo, che nel caso di specie giustifica pure la non effettuazione dell'aumento facoltativo per l'assistenza alle più parti) previsti dalla tabella 12 allegata al D.M. n. 147 del 1922 (l'art. 6 di quest'ultimo D.M. prevede che le nuove disposizioni si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore) per lo scaglione da Euro 5.200,01 ad Euro 26.000 (valore così individuato in base all'entità complessiva - Euro 6.000,00 - del risarcimento riconosciuto in sentenza, che rientra nel detto scaglione pur tenendo conto di rivalutazione ed interessi maturati alla data della sentenza). Il tutto oltre a rimborso spese forfettarie nella misura del 15% sugli onorari, nonché I.V.A. e C.P.A. come per legge. In assenza di richiesta in tal senso, non può essere ordinata, ai sensi dell'art. 205 comma 1 del R.D. n. 1775 del 1933, l'esecuzione provvisoria della presente sentenza. P.Q.M. Il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte di Appello di Napoli, definitivamente pronunciando, così provvede: - accoglie la domanda e, per l'effetto, condanna la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, al pagamento in favore di Ar.Co. e di Ar.Ca. della somma di Euro 3.000,00 per ciascuna di esse, oltre a rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT (indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, al netto dei consumi di tabacchi) dal 19.06.2014 fino alla data del deposito della presente decisione, ed oltre ad interessi nella misura legale sulla sorta capitale per il primo anno, a partire dal 19.06.2014, e poi sulla detta somma così come di anno in anno progressivamente rivalutata, fino alla data del deposito della presente sentenza; ed oltre, ancora, agli interessi nella misura legale sulla somma così come definitivamente rivalutata, a partire dalla data del deposito della presente sentenza e fino al soddisfo; - condanna, altresì, la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, al pagamento, a favore di Ar.Co. e di Ar.Ca., e con distrazione al difensore dichiaratosi antistatario, di spese ed onorari di giudizio, che liquida in Euro 299,00 per spese vive ed in Euro 2.904,50 per onorari, oltre a rimborso spese forfettarie nella misura del 15% sugli onorari, nonché I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Napoli il 6 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: LUCIA TRIAPresidente CATERINA MAROTTA Consigliere IRENE TRICOMIConsigliere ROBERTO BELLÈ Consigliere - Rel. SALVATORE CASCIAROConsigliere Oggetto: AMMINISTRATORI DI CONSORZI DI SERVIZI TRA ENTI LOCALI – GRATUITA’ INCARICO – ART. 7, CO. 5 D.L. 78/2010 EVENTO INTERRUTTIVO (ESTINZIONE ENTE) VERIFICATOSI TRA LA LETTURA DEL DISPOSITIVO ED IL DEPOSITO DELLA MOTIVAZIONE – ULTRATTIVITA’ DEL MANDATO – EFFETTI SULLA NOTIFICA DELL’IMPUGNAZIONE. Ud.9/1/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 31448/2019 R.G. proposto da: ALBINI ANTONIO, MUNARI SIMONE, ERBA MICHELE, rappresentati e difesi dall’Avv. LUIGI LIA ed elettivamente domiciliati in Roma, via Alberto Caroncini 51 presso lo studio dell’Avv. ALESSANDRA MARI - ricorrenti – - controricorrenti al ricorso incidentale - contro COMUNE DI SEREGNO, COMUNE DI LISSONE, PROVINCIA DI MONZA E BRIANZA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. GIUSEPPE FRANCO FERRARI presso il cui studio in Roma, via di Ripeta 142 sono elettivamente domiciliati - controricorrenti – - ricorrenti incidentali - CONSORZIO PROVINCIALE DELLA BRIANZA MILANESE PER LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI SOLIDI URBANI - intimato – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 380/2019, depositata il 17.4.2019, RG 1452/2017; udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9.1.2024 dal Consigliere ROBERTO BELLE’; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Stefano Visonà, che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi gli avv.ti Luigi Lia per i ricorrenti, e l’Avv. Ernesto Papponetti per delega dell’avv. Giuseppe Franco Ferrari, per i controricorrenti. FATTI DI CAUSA 1. La Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Monza con la quale era stata rigettata la domanda proposta dai ricorrenti nei confronti del Consorzio Provinciale della Brianza Milanese, finalizzata ad ottenere il riconoscimento del diritto alla percezione, pur dopo l’intervenire dell’art. 5, co. 7, d.l. 78/2010, conv. in L. 122/2010, dell’indennità per l’attività di consiglieri di amministrazione del predetto ente, che essi svolgevano senza essere titolari di altra carica politica. La Corte territoriale riteneva che il senso letterale della norma predetta e lo scopo perseguito dal legislatore di eliminare i compensi per tutte le attività cariche degli apparati amministrativi e politici o di ridurli, avallasse tale interpretazione testuale. 2. Antonio Albini, Simone Albini e Michele Erba hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Hanno depositato controricorso il Comune di Seregno, il Comune di Lissone e la Provincia di Monza e Brianza, affermando che il Consorzio si era estinto e che essi si costituivano in giudizio quali partecipi del cessato ente consortile. Al controricorso venivano acclusi due motivi di ricorso incidentale, cui i ricorrenti principali replicavano con controricorso. Sono in atti plurime memorie delle parti costituite nel giudizio di cassazione. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. È preliminare l’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata con il controricorso del Comune di Seregno, del Comune di Lissone e della Provincia di Monza e Brianza. L’eccezione muove dal presupposto che il Consorzio si sarebbe estinto il 21.3.2019, data che si colloca tra quella di pronuncia del dispositivo in udienza (18.2.2019) e quella di pubblicazione della sentenza con corredo di motivazione (17.4.2019). Secondo i menzionati enti la notifica del ricorso per cassazione, effettuata in data 16.10.2019 al Consorzio, presso il difensore di quest’ultimo nel grado di appello, sarebbe da considerare irrituale, perché l’impugnazione risulta in tal modo diretta a soggetto non più esistente, derivando da ciò - secondo i controricorrenti - l’inammissibilità del ricorso per cassazione. 2. L’eccezione va disattesa per una pluralità di ragioni. 2.1 Va intanto detto che l’affermazione per cui si sarebbe realizzata un’estinzione del Consorzio che avrebbe comportato la necessità di notificare il ricorso per cassazione agli enti che lo componevano non è sufficientemente sorretta da elementi di prova che consentano di apprezzare con compiutezza l’accaduto, la relazione tra l’ente preesistente e gli enti in esso consorziati e quanto riguarda le funzioni illo tempore svolte dal Consorzio stesso, il che impedisce di definire con debita certezza la conseguente dinamica sostanziale e processuale. 2.2 Tuttavia, se anche l’accaduto consistesse in un fatto pienamente estintivo di un soggetto giuridico, con perdita della capacità di esso e successione di altri soggetti giuridici, a titolo universale o a titolo particolare e ciascuno per la propria parte, le conclusioni non potrebbero essere nel senso preteso dai controricorrenti. È indubbio che l’estinzione della parte comporta, quale che poi sia il regime processuale che ne segua (art. 110 o art. 111 c.p.c.), l’applicazione delle regole sull’interruzione del processo. Proprio in tema di soppressione di enti pubblici questa S.C. ha precisato che, quando non si verifichi «una mera successione nel munus (cfr. Cass. n. 10991/2020 e la giurisprudenza amministrativa ivi richiamata), il fenomeno resta assoggettato alla disciplina dettata dagli artt. 299 e seguenti del codice di rito e, pertanto, l'interruzione automatica si verifica solo qualora la soppressione stessa intervenga nell'arco temporale compreso fra la notificazione della citazione e la costituzione in giudizio, trovando altrimenti applicazione la regola, fissata dall'art. 300 cod. proc. civ., che subordina l'interruzione alla corrispondente dichiarazione in udienza del procuratore costituito della parte interessata dall'evento (Cass. n. 6208/2013 e negli stessi termini Cass. n. 9911/1998, Cass S. U. n. 2875/1984)» (Cass. 8 ottobre 2020, n. 21747). Sicché - prosegue la sentenza appena citata - «dall'applicabilità della disciplina sopra richiamata discende che, anche in tema di soppressione di ente pubblico, valgono i medesimi principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 15295/2014 secondo cui “la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 cod. proc. civ., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione - ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale - in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui, ai sensi dell'art. 330, primo comma, cod. proc. civ., senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall'art. 299 cod. proc. civ. da parte del notificante”», aggiungendosi che «seppure i richiamati principi siano stati affermati in relazione ad eventi che afferiscono alla persona fisica, tuttavia le stesse Sezioni Unite, in motivazione, ne hanno sottolineato la valenza generale e si sono fatte carico dello “sforzo di offrire alla materia una soluzione che abbia un effetto stabilizzante per il processo ed eviti equivoci, arditi distinguo, ricerca di rimedi di salvaguardia e sanatoria, accertamenti incidentali relativi a condotte e stati psicologici” aggiungendo che “per stabilizzare il processo, occorre stabilizzare la parte stessa, ritornando alla teoria dell'ultrattività del mandato”» (così sempre, Cass. 21747/2020 cit.). 2.3 Il tema qui in specifico riguarda il regime da applicare nel caso in cui l’evento interruttivo si determini nella fase destinata all’impugnazione della sentenza. 2.3.1 Va infatti precisato come non abbia rilievo la circostanza che l’evento di cui si assume l’effetto interruttivo si sia verificato prima della pubblicazione della sentenza, in quanto esso si è comunque determinato dopo la discussione della causa e la sua decisione con dispositivo, sicché valgono, mutatis mutandis, i principi di cui all’art. 300, co. 5, c.p.c. e dunque si deve ragionare considerando l’accaduto come se fosse intervenuto non nella “fase attiva del rapporto processuale” – secondo la terminologia di Cass. S.U. 15925 cit. - ma nella fase di (potenziale) impugnazione che è indicata dalle S.U. come riguardante la fase di “quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione”. 2.3.2 Ciò posto, sempre secondo Cass. S.U. 15925 cit., «giusta la regola di ultrattività del mandato» si ha che anche in tale fase di «quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione» il «difensore continui a rappresentare la parte come se l'evento stesso non si fosse verificato», a meno che questi «notifichi alle altre parti, l'evento», con la produzione, eventualmente, anche degli effetti di cui all’art. 328 c.p.c. Vale dunque il principio per cui l’ultrattività del mandato alla lite, in forza del quale il difensore continua a rappresentare la parte come se l'evento interruttivo non si fosse verificato, opera anche quando, avvenuta l’estinzione dell’ente in una fase non attiva del processo, non ne sia possibile la declaratoria e ciò fino a quando il procuratore del soggetto estinto non abbia inteso notificare l'evento stesso alla controparte, sicché quest'ultima, in mancanza, legittimamente, può notificare il ricorso per cassazione presso il domicilio del suddetto difensore (v. Cass. 5 gennaio 2022, n. 190; Cass. 27 luglio 2015, n. 15724). Tali principi esprimono evidenti ragioni di affidamento nella gestione da parte del difensore dei rapporti con il soggetto estinto ed i suoi successori e coniugano tale centrale affidamento con l’esigenza di non rendere difficoltoso il corso del processo o delle fasi impugnatorie quando di ciò – proprio per quanto si è appena detto sul ruolo del difensore - non vi sia necessità. Nel caso di specie non vi era stata alcuna notifica dell’asserito evento interruttivo e dunque la notifica del ricorso per cassazione al difensore del Consorzio nel grado di appello è pienamente rituale. 3. Appurata la regolare instaurazione del giudizio di cassazione, vengono quindi in evidenza – per priorità logica – i motivi di ricorso incidentale proposti dagli enti controricorrenti. 4. Il primo di tali motivi adduce ai sensi dell’art. 360 n. 1 c.p.c. il difetto di giurisdizione sul presupposto della differenza esistente tra la figura del funzionario onorario, cui sarebbe da riportare l’attività svolta nei consigli di amministrazione e quella del pubblico impiegato. Al di là di quale sia l’esatta natura dell’attività svolta dai componenti del consiglio di amministrazione di un consorzio tra enti pubblici, quello che conta, al fine di dirimere la questione di giurisdizione è pur sempre il c.d. petitum sostanziale, ovverosia il bene della vita cui aspira chi agisce in giudizio. È poi vero che, quando la determinazione del compenso dei funzionari onorari sia rimessa ad atti della P.A., questa S.C. riconosce la giurisdizione amministrativa (Cass., S.U., 27 gennaio 2010, n. 1631; Cass., S.U., 7 luglio 2011, n. 14954). Ma qui il tema è del tutto diverso in quanto non vi è questione alcuna sulla determinazione del compenso, che è quello stabilito dalla P.A., discutendosi semmai sull’effetto estintivo ex lege di un diritto alla sua percezione. Situazione che ha tutta la caratura del diritto soggettivo, come si desume, mutatis mutandis, dal principio sancito da Cass. S.U., 31 maggio 2017, n. 13722, secondo cui le controversie concernenti un certo trattamento economico sono devolute al giudice ordinario ove si consideri il bene della vita cui aspira chi agisce e, cioè, il diritto patrimoniale e non l'interesse legittimo al corretto esercizio della potestà amministrativa di scelta dei criteri di determinazione del compenso. Analogamente, secondo Cass. S.U., 3 maggio 2020, n. 1390 la controversia inerente la liquidazione del compenso del funzionario onorario (nella specie del commissario straordinario di un consorzio di bonifica), nella misura prevista da atti amministrativi presupposti, la cui legittimità non è posta in discussione, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, atteso che in tal caso, sulla base del petitum sostanziale, la posizione fatta valere dalla parte, escludendo l'esistenza di profili di discrezionalità, si deve ricondurre nell'ambito dei diritti soggettivi, diversamente dall'ipotesi in cui la nomina del funzionario non sia accompagnata dalla previsione di alcun tipo di compenso, per mancanza di specifiche disposizioni di legge, sicché la pretesa di liquidazione, risolvendosi in una contestazione della decisione discrezionale dell'amministrazione, è ascrivibile ad una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo. 5. Il secondo motivo del ricorso incidentale sostiene il difetto di competenza per materia del giudice del lavoro, presso il quale la controversia fu trattata in primo ed in secondo grado, per il fatto che il rapporto oggetto di causa, di natura onoraria, non può essere ricondotto ad alcuna delle fattispecie previste dall’art. 409 c.p.c. Il motivo è inammissibile. Se anche il rapporto non rientrasse tra quelli di cui all’art. 409 c.p.c., è pacifico che la natura della controversia di lavoro è idonea ad influire solo sul rito applicabile e non sulla competenza (Cass. 22 marzo 2018, n. 7199; Cass. 27 gennaio 2015, n. 1448), né sono stati indicati pregiudizi al diritto di difesa derivanti dall’adozione del rito speciale. 6. Può quindi passarsi all’esame dei motivi dedotti con il ricorso principale. 7. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, co. 7, della L. n. 122 del 2010, perché la Corte d’Appello, nel ritenere che la norma avesse riguardo ad una eliminazione tout court dei compensi previsti per gli amministratori di forme associative di enti locali aventi per oggetto la gestione di servizi e funzioni pubbliche, per ragioni di risparmio della spesa pubblica, aveva trascurato la reale ratio della previsione, quale evincibile dal suo titolo e da un’interpretazione coerente con quanto previsto dal comma 5 dello stesso art. 5 e dagli art. 27, co. 2 e 32, co. 3, del d. lgs. n., 267 del 2000, consistente nell’intento di evitare che i titolari di cariche politiche elettive potessero ricevere ulteriori compensi derivanti dall’affidamento contestuali di altri incarichi da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Il secondo motivo denuncia, ancora ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione della stessa norma (art. 5, co. 7 cit.) per essersi data una lettura della stessa tale da porsi in contrasto con il principio di ragionevolezza, in considerazione del legittimo affidamento su diritti acquisiti e consolidati maturati sulla base di leggi anteriori. Con il motivo si denuncia il fatto che, pur proseguendo il medesimo rapporto, l’esclusione dei compensi avrebbe irragionevolmente fatto venire meno il diritto a percepire i compensi stessi. Il terzo motivo assume la violazione sempre dell’art. 5, co. 7, cit. per non essere stata lo stesso interpretato, in ragione della finalità esplicitata già nel primo motivo, coerentemente con quanto previsto dall’art. 6, co. 3 della stessa legge e dall’art. 31, co. 4 e 5 del d. lgs. n. 267 del 2000, il tutto nel senso che rispetto alle posizioni come quelle oggetto di causa la normativa sopravvenuta avrebbe previsto soltanto una riduzione e non l’eliminazione dei compensi. Il quarto motivo, di ordine processuale, censura l’avere la Corte territoriale ritenuto che costituisse modificazione della causa petendi l’essersi addotta in appello la questione sostanziale di cui al terzo motivo del ricorso per cassazione, quando in tal modo si era semplicemente indicato quale fosse la norma destinata a regolare la fattispecie. 8. I motivi vanno esaminati congiuntamente, stante la loro connessione logica. 9. Va intanto detto che, in linea generale, la quarta censura in sé coglie nel segno, in quanto, se davvero la norma destinata a regolare la fattispecie, nel senso di una mera riduzione dei compensi, fosse l’art. 6, co. 3, cit., il non essersi fatto riferimento in primo grado ad essa non potrebbe mai comportare un mutamento di causa petendi. Le circostanze costitutive del diritto sono infatti sempre le stesse, ovverosia l’incarico di amministratori del concorso e la conseguente spettanza del compenso, sicché il mutamento riguarderebbe solo la norma di disciplina di tali fatti sul piano della remunerazione e dunque un profilo di mero diritto, senza mutamento dell’oggetto del contendere, ma solo in base ad una diversa qualificazione giuridica. 10. L’esame della controversia andava svolto in sede di appello e va svolto nel presente giudizio di cassazione considerando tutte le norme su cui fanno leva i motivi. Questo, peraltro, non assume carattere decisivo rispetto alla valutazione complessiva di rigetto del ricorso principale. 11. In proposito valgono le seguenti disposizioni: - art. 5 del d.l. n. 78 del 2010, conv. con mod. in L. n. 122 del 2010, che è rubricato come riguardante le “economie negli Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici” e che al proprio comma 7, dopo avere previsto la riduzione delle indennità già determinate ai sensi del citato articolo 82, comma 8, d. lgs. n. 276/2000 per un periodo non inferiore a tre anni, in determinate percentuali a seconda della popolazione degli enti territoriali, nel proprio ultimo (ed autonomo) periodo ha stabilito che «agli amministratori di comunità montane e di unioni di comuni e comunque di forme associative di enti locali aventi per oggetto la gestione di servizi e funzioni pubbliche non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni, o indennità o emolumenti in qualsiasi forma siano essi percepiti»; - art. 6 del medesimo d.l., rubricato come “riduzione dei costi degli apparati amministrativi”, il cui comma 3 prevede che «fermo restando quanto previsto dall'art. 1 comma 58 della legge 23 dicembre 2005 n. 266, a decorrere dal 1° gennaio 2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n.196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento». 12. Ritiene il collegio che – per quanto sia suggestiva la tesi dei ricorrenti in ordine al riferirsi dell’ultimo inciso del comma 7 dell’art 5 ai soli titolari di cariche politiche, con il fine di evitare duplicazioni dei rispettivi gettoni o indennità - debba darsi prevalenza alla portata testuale, che non contiene una tale limitazione e che porta a ritenere la specialità della previsione rispetto anche all’art. 6, co. 3 cit. Ciò trova conforto pieno in quanto affermato da Corte Costituzionale 14 giugno 2012, n. 151, ove la Consulta sottolinea non solo che la disposizione «persegue l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica corrente per il funzionamento di tali organismi attraverso una disciplina uniforme, che coordina la legislazione del settore» ma che «la normativa oggetto di censura enuncia il principio di gratuità dell’amministrazione delle suddette forme associate di gestione di servizi e funzioni pubbliche da parte degli enti locali», da intendere non come «normativa di dettaglio», ma come «principio fondamentale che … caratterizza ed orienta la disciplina del rapporto tra le indicate forme associative (comprese le comunità montane) ed i loro amministratori, con l’indicato obiettivo di ridurre gli oneri della finanza pubblica». Il richiamo incondizionato ad un principio di “gratuità” per fini di risparmio della spesa non lascia adito a dubbi ed esclude che un diverso principio di mera riduzione possa essere tratto dall’art. 6, co. 3 norma rispetto alla quale l’art. 5, co. 7 ultimo inciso si pone quanto meno come speciale. Del resto, analoga interpretazione è stata adottata anche dalla Corte dei Conti, Sezione delle autonomie, con delibera del 10 febbraio 2014, finalizzata proprio a dirimere, ai sensi dell’art. 6, comma 4, del d.l. 10 ottobre 2012, n.174, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, i difformi orientamenti delle Sezioni Regionali di Controllo. Si tratta dunque di indirizzo interpretativo uniforme dell’ordinamento, cui va qui data continuità, con conseguente rigetto del primo motivo. 13. Non osta a quanto si va così a decidere la difesa addotta con il secondo motivo, ovverosia il fatto che i ricorrenti avessero fatto affidamento sulla spettanza di un compenso poi disconosciuto dalla normativa sopravvenuta. Non si tratta infatti di normativa che abbia rimosso ex tunc le spettanze, ma solo ex nunc dal momento della propria emanazione, sicché è evidente che, ove i ricorrenti non avessero inteso proseguire nella prestazione nel sopravvenuto regime di gratuità era loro diritto recedere dall’incarico e ciò già è assorbente, pur potendosi rilevare anche tratti di incompatibilità tra il motivo in esame e la tesi sviluppata nel terzo motivo secondo cui la normativa sopravvenuta avrebbe previsto soltanto una riduzione e non l’eliminazione dei compensi. 14. Il ricorso principale va dunque disatteso. 15. La reiezione contestuale del ricorso principale e di quello incidentale giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte sia dei ricorrenti principali sia dei ricorrenti incidentali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari rispettivamente a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 gennaio 2024. Il Consigliere estensore Roberto Bellè La Presidente Lucia Tria

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7158 del 2023, proposto da Fallimento della Società A.V. S.a.s. di Ba. Va. & C., Va. Ba., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fe. Sc. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Da. Fu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Padova, Galleria (...); nei confronti Pa. Consorzio Ar. di Im. Ed. e Af. Ri., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Br., Au. Ca., Li. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Li. Ru. in Pescara, viale (...). per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda n. 00593/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Pa. Consorzio Ar. di Im. Ed. e Af. Ri.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2024 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; FATTO Nel ricorso di primo grado il Comune di (omissis) ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 311 del 29 giugno 2022, ottenuto dal Fallimento della società A.V. s.a.s. per la restituzione della somma di Euro 143.468,00, versata dalla società Br. Ba. s.n. c. come quota parte del contributo di costruzione (dell'importo complessivo di £ 633.311.200) dovuto per il rilascio della concessione edilizia n. 98/20, nella cui titolarità l'opposta è subentrata (mediante voltura) a seguito dell'acquisto dal fallimento della società Ba. delle aree su cui era destinato a realizzarsi parte dell'intervento autorizzato. La concessione n. 98/20 era stata richiesta congiuntamente da più soggetti (la società Br. Ba. s.n. c., il Consorzio Ar. "Pa.", la società "Il Po. s.r.l." ed il sig. Mo. Al.) per realizzare sulle aree rimaste in proprietà esclusiva di ciascuna di esse un unico grande edificio (il "Palazzo per l'A."), che la concessione assentiva previe demolizione dei fabbricati produttivi preesistenti e bonifica dell'area. Nel ricorso per decreto ingiuntivo oggetto di opposizione, il Fallimento ha affermato di aver diritto alla restituzione della quota del contributo di costruzione versata dalla sua dante causa, per aver rinunciato (in data 22 dicembre 2021) al titolo edilizio, non essendo più possibile procedere alla bonifica del sito ed essendo venute meno le condizioni per realizzare l'intervento. Ad avviso del Fallimento, revocato il consenso di uno dei contitolari del titolo edilizio alla realizzazione dell'intervento autorizzato, il titolo perderebbe efficacia a causa del venir meno del presupposto di legittimazione alla realizzazione dell'intervento (ai sensi dell'art. 11 D.P.R. 380/2001), producendo la sopravvenuta carenza del fondamento causale del pagamento effettuato al Comune. Il Comune di (omissis), con l'opposizione al decreto ingiuntivo ha contestato la fondatezza di tale pretesa restitutoria, sostenendo che, essendo il titolo edilizio intestato a più soggetti e riferito ad un'opera da realizzarsi su aree appartenenti a diversi proprietari, la rinuncia al titolo da parte di uno solo dei titolari non sarebbe sufficiente ad incidere sulla legittimazione alla realizzazione dell'intervento. Il T.a.r. Veneto, con la decisione 3 maggio 2023, n. 593, ha accolto il ricorso del Comune, rilevando in particolare che: "Ove, infatti, più soggetti abbiano richiesto congiuntamente il rilascio di un titolo edilizio per realizzare un'opera unica ed inscindibile su aree di proprietà esclusiva di ciascuna di esse, è ragionevole presumere, che alla base di tale richiesta, vi fosse un accordo negoziale tra le parti e, quindi, non può richiedersi al Comune di affrontare funditus la questione relativa alla natura dei suddetti rapporti e dell'incidenza della revoca del consenso di una delle parti su di essi. In assenza di una rinuncia espressa di tutti i contitolari al titolo rilasciato, resa manifesta al Comune, infatti, l'ente non potrebbe esser certo che l'intervento non venga realizzato, potendo le parti interessate esperire i rimedi civilistici a tutela dell'adempimento. Per tale ragione non può ritenersi che la rinuncia unilaterale di uno solo dei cointestatari del titolo edilizio rilasciato per la realizzazione sulle aree in proprietà esclusiva di ciascuno di un'opera "unica ed inscindibile" sia sufficiente ad impedire definitivamente la realizzazione dell'intervento, determinando ipso iure il sorgere del diritto del rinunciante alla restituzione del contributo. In tali casi, il richiedente, ove non sia in grado di dimostrare in altro modo l'assoluta impossibilità di realizzare l'intervento, dovrà munirsi dell'assenso degli altri contitolari alla rinuncia. Lo stesso Comune, ove riceva una richiesta in tal senso, potrà interpellare, ove possibile e non eccessivamente gravoso, gli altri contitolari del titolo edilizio per verificare - nei limiti di cui si è detto - la possibilità che l'intervento si realizzi". Il Fallimento della società A.V. s.a.s. ha impugnato la sentenza di primo grado per chiederne la riforma. Si sono costituiti nel presente giudizio di appello il Comune di (omissis) e il Consorzio Pa., chiedendo di dichiarare l'appello infondato. In vista dell'udienza pubblica del 25 gennaio 2024 le parti hanno ulteriormente specificato e argomentato le rispettive posizioni giuridiche. Alla pubblica udienza del 25 gennaio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO L'appello non è fondato. Con un primo mezzo di gravame la parte appellante deduce l'erroneità della sentenza impugnata per aver accolto, in violazione di costanti principi giurisprudenziali, il ricorso di primo grado del Comune di (omissis). Ad avviso dell'appellante, la sentenza impugnata avrebbe disatteso consolidate acquisizioni giurisprudenziali in ordine al tema della rinuncia al titolo edilizio ed al conseguente obbligo restitutorio degli oneri concessori nel caso in cui la rinuncia provenga da uno solo dei contitolari del titolo edilizio. Secondo l'appellante, infatti, la rinuncia alla concessione dichiarata da uno dei contitolari farebbe venire meno la legittimazione al relativo rilascio ex art. 11, del d.P.R. n. 380/2001, e, di conseguenza, determinerebbe la decadenza della concessione stessa. Il principio, nella prospettiva in esame, deriverebbe dalla ratio sottesa all'art. 11 del D.P.R. 380/2001, il quale prevede che "il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo": la disposizione, in tale ottica ricostruttiva, dovrebbe essere letta "al plurale" ("il permesso di costruire è rilasciato ai proprietari degli immobili o a chi abbia titolo per richiederlo") nel caso in cui, appunto, il titolo edilizio necessario alla realizzazione di un progetto unitario ed inscindibile (come è il progetto relativo al "Palazzo dell'Artigianato") insista su aree di proprietà di soggetti diversi. Ne discenderebbe che la volontà abdicativa di uno solo dei contitolari non potrebbe essere priva di effetto, proprio perché farebbe venire meno un'indefettibile condizione legittimante che ha consentito il rilascio del titolo edilizio. A sostegno di tale conclusione l'appellante invoca la decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 marzo 2023, n. 3207, la quale ha avuto modo di precisare che: "il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene (pertanto l'intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso), non potendo riconoscersi legittimazione al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l'evidente ragione che, diversamente considerando, il contegno tenuto da quest'ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento". Il motivo non è fondato. Non è, in particolare, condivisibile la tesi dell'appellante, secondo cui la rinuncia al permesso di costruire formulata soltanto da uno dei comproprietari può produrre una rinuncia all'effetto abilitativo nella sfera giuridica del solo soggetto rinunciante. La fattispecie della sopravvenuta rinuncia agli effetti di un titolo abilitativo da parte del singolo titolare pro quota di un bene in comunione non è espressamente disciplinata dal d.p.r. n. 380/01. Soccorrono sotto tale profilo, mutatis mutandis, i principi generali che presiedono agli atti di disposizione dei beni in comunione ordinaria, secondo cui: - ai sensi dell'art. 1103, del cod.civ., ciascun partecipante può disporre della quota del suo diritto (cedendola o rinunciando ad essa); - per gli atti di disposizione che, invece, hanno ad oggetto l'intero bene in comunione occorre il consenso di tutti i partecipanti, ragion per cui, l'atto di disposizione che proviene da una sola parte dovrebbe ritenersi, a rigore, inefficace (in quanto avente ad oggetto anche le quote altrui). La Cassazione a Sezioni Unite, nella decisione 8 luglio 1993 n. 7481, con riferimento alla fattispecie del preliminare di vendita di un bene in comunione, ha più radicalmente ritenuto che il preliminare di vendita di un bene in comunione ordinaria effettuato da uno solo dei comproprietari sia affetto da radicale nullità per mancanza di accordo non essendosi formato il consenso dell'intera parte plurisoggettiva. Applicando tali coordinate al caso di specie ne discende che, sul piano dei rapporti con l'Amministrazione, la rinuncia all'effetto abilitativo da parte di uno solo dei comproprietari non può estendersi anche a quella degli altri. Diversamente opinando, infatti, si inciderebbe, inammissibilmente, sul diritto degli altri titolari della concessione di dare attuazione all'intervento edificatorio. Milita a sostegno di questa conclusione l'ulteriore considerazione per cui, nel caso in esame, non viene in considerazione soltanto la fattispecie relativa al rilascio di un permesso a costruire in relazione ad un bene in comunione, bensì anche quella in cui il permesso a costruire è stato ottenuto congiuntamente da più proprietari, ciascuno dei quali titolare in via esclusiva di una parte di fondo oggetto del titolo abilitativo. Infatti, gli attuali intestatari del permesso di costruire di che trattasi sono: - il Fallimento A.V. s.a.s. per i terreni in proprietà esclusiva di cui ai mappali (omissis), con sovrastanti unità immobiliari (omissis) sub. (omissis); - il Consorzio Pa. per i terreni in proprietà esclusiva di cui al mappale (omissis) con sovrastante unità immobiliare (omissis); porzione del mappale (omissis) con sovrastante unità immobiliare (omissis) sub. (omissis); - in comproprietà tra il Fallimento A.V. S.a.s., Consorzio Pa. ed il Po. S.r.l. il terreno di cui al mappale (omissis) per la quota di proprietà pari ad 1/3 cadauno; - in comproprietà tra il Fallimento A.V. S.a.s. ed il Po. S.r.l. il mappale (omissis) per la quota rispettivamente di 2/3 ed 1/3. Ne consegue che, in relazione alla fattispecie nella quale il permesso di costruire è stato ottenuto congiuntamente da più proprietari, ciascuno dei quali è titolare in via esclusiva di una parte di fondo, a fortiori s'impone la conclusione per cui la rinuncia di uno soltanto non può assumere rilievo ai fini della restituzione del contributo di costruzione, in quanto la soluzione contraria pregiudicherebbe anche il diritto dei non rinunciatari a realizzare l'opera, anche alla luce del fatto che il titolo autorizzatorio non è ancora decaduto per decorrenza termini. Di qui l'inconferenza, rispetto al caso di che trattasi, del precedente, invocato dall'appellante, di cui alla sentenza del Consiglio di Stato n. 3207/2023, che ha riguardato un intervento edilizio su un bene in comproprietà fra più soggetti e la sopravvenuta rinuncia di uno dei comproprietari al permesso di costruire, cui peraltro è seguito l'annullamento in autotutela del titolo da parte del Comune. Alla luce delle considerazioni che precedono, il Comune, in caso di rinuncia di un solo comproprietario o cointestatario del titolo abilitativo, deve, pertanto, avviare d'ufficio un procedimento per la revoca del titolo abilitativo e sentire in contraddittorio tutti gli interessati per verificare anche la possibilità (che fa leva sul principio di autoconservazione degli atti giuridici) di un'eventuale rimodulazione dell'opera ovvero, in alternativa, attendere la decadenza, per decorso del tempo, del titolo edilizio. Tale soluzione appare coerente anche con l'assunto, largamente condiviso, secondo cui il il privato ha diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione, esclusivamente nel caso di mancato utilizzo del titolo edilizio, atteso che gli oneri concessori sono strettamente connessi al concreto esercizio della facoltà di costruire. Del resto, ragionando diversamente, come fa l'odierna parte appellante, occorrerebbe contraddittoriamente ammettere la contemporanea presenza del titolo edilizio e dell'obbligo del comune di restituire una parte delle somme. Conclusione quest'ultima chiaramente in contrasto con la lettera e con la ratio dell'art. 16 del d.P.R. 380/2001. Con un secondo mezzo di gravame la parte appellante deduce l'erroneità della sentenza impugnata per aver omesso di pronunciare in relazione all'eccezione di inammissibilità sollevata dal Fallimento con riferimento all'opposizione al decreto ingiuntivo promossa dal Comune di (omissis) sul rilievo per cui il Comune sarebbe carente di interesse proprio ad opporsi al decreto ingiuntivo ottenuto dal Fallimento A.V. S.a.s Il motivo non è fondato. Contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellante, il Comune aveva un interesse personale ad opporsi al decreto ingiuntivo ottenuto dal Fallimento, in quanto rientra tra i compiti istituzionali del Comune quello di valutare se ricorrano i presupposti per la restituzione del contributo di costruzione. Come, infatti, è stato chiarito dall'adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 24 del 2016, il contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un'iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario. Il suo mancato pagamento legittima quindi l'Amministrazione ad esercitare il suo potere-dovere in ordine all'applicazione di sanzioni pecuniarie crescenti in rapporto all'entità del ritardo, ai sensi dell'art. 42 del d.P.R. n. 380 del 2001, e, in caso di persistenza dell'inadempimento, alla riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate, ai sensi dell'art. 43 dello stesso d.P.R. n. 380 del 2001. Simmetricamente, anche la speculare fattispecie attinente alla restituzione involge l'interesse pubblico facente capo all'amministrazione comunale, che è quindi istituzionalmente legittimata a tutelarla in giudizio. In conclusione, per le ragioni esposte, l'appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza appellata. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione. Condanna la parte appellante alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 4000,00 (quattromila), oltre accessori di legge, pro quota, in favore del Comune di (omissis) e Pa. Consorzio Ar. di Im. Ed. e Af. Ri.. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6228 del 2023, proposto da As. St. s.r.l. in proprio e quale capogruppo mandataria del costituendo RTI con T.A.E. Tr. Ap. El. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 96244012F5, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Mo. e Fr. Za., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; contro Ab. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ro., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Cagliari, via (...); nei confronti -OMISSIS- s.r.l., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, Sez. I, n. 469 del 2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ab. s.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Za. e Ro.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.- Il R.T.I. As. St. s.r.l. ha interposto appello nei confronti della sentenza 27 giugno 2023, n. 469 del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, sez. I, che ha dichiarato irricevibile il suo ricorso avverso il provvedimento in data 23 maggio 2023 con il quale Ab. s.p.a., gestore del servizio idrico integrato della Regione Sardegna, ha aggiudicato alla -OMISSIS- s.r.l. la procedura per l'affidamento dei "lavori di manutenzione conservativa e di efficientamento delle infrastrutture a rete del servizio idrico integrato e degli impianti connessi, ricadenti nei Comuni dell'area di (omissis) ed (omissis) nel Distretto (omissis)". Oggetto di contestazione è la procedura telematica negoziata per l'affidamento di un appalto misto di lavori (per euro 2.012.743,82) e di servizi (per euro 79.927,00); all'esito è risultata prima graduata la società -OMISSIS- con un ribasso del 18,668 per cento, seguita dal raggruppamento appellante con un ribasso del 18,020 per cento. Il raggruppamento As. St. s.r.l. ha presentato tre istanze di accesso (in data 22 marzo 2023, 28 marzo 2023 e in data 5 aprile 2023) alla documentazione di gara (in particolare concernente la documentazione amministrativa e l'offerta tecnica ed economica della -OMISSIS- s.r.l., il provvedimento di aggiudicazione e i verbali di gara, nonché le risultanze delle verifiche espletate dalla stazione appaltante in ordine al possesso dei requisiti generali e speciali dichiarati in gara dall'aggiudicataria), ma l'ostensione è stata consentita solamente con nota in data 20 aprile 2023, circa un mese dopo la comunicazione di aggiudicazione (risalente al 23 marzo) e dopo i quindici giorni previsti dall'art. 76, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016. Con il ricorso di primo grado, notificato il 17 maggio 2023, dopo avere esaminato la documentazione ostesa il precedente 20 aprile, il raggruppamento As. St. ha impugnato l'aggiudicazione in favore della -OMISSIS-deducendo che quest'ultima doveva essere esclusa dalla gara per mancanza del requisito di capacità tecnico-professionale/organizzativa per la parte relativa ai "servizi" (con riguardo al mancato possesso del requisito relativo all'avvenuto espletamento di precedenti servizi analoghi), per difetto del requisito di idoneità professionale per la parte relativa ai "servizi" (stante la mancata presenza, nella visura camerale, di attività coerenti con i servizi oggetto di gara), ed inoltre per la esistenza di gravi profili escludenti ai sensi dell'art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016. 2. - La sentenza appellata, richiamando l'insegnamento di Consiglio di Stato, Ad. plen., n. 12 del 2020, ha dichiarato il ricorso irricevibile, nella considerazione che, a fronte della comunicazione di aggiudicazione risalente al 23 marzo 2023, la As. St. s.r.l. ha notificato il ricorso in data 17 maggio 2023, cioè 55 giorni dopo la predetta comunicazione, anziché nel termine di 45 giorni stabilito dalla giurisprudenza. 3.- Con l'appello il raggruppamento As. St. s.r.l. ha dedotto l'erroneità della statuizione di irricevibilità proprio tenendo conto dei principi espressi dalla predetta sentenza dell'Adunanza plenaria, che sarebbero dunque stati erroneamente interpretati dal primo giudice, riproponendo poi i motivi di primo grado non esaminati e/o assorbiti. 4. - Si è costituita in resistenza l'A. s.p.a. puntualmente controdeducendo e chiedendo la reiezione del ricorso in appello. 5. - All'udienza pubblica del 30 novembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.- Il primo motivo di appello critica la statuizione di irricevibilità del ricorso, nell'assunto che la giurisprudenza ha ormai riconosciuto che ove l'amministrazione non dia immediata conoscenza degli atti di gara (mediante tempestiva risposta alla, pur tempestiva, richiesta di accesso, da evadere entro il termine di quindici giorni), deve farsi applicazione dell'ordinario termine di impugnazione di trenta giorni decorrente dalla effettiva ostensione documentale. Nella fattispecie in esame, l'appellante ha proposto tre istanze di accesso agli atti (20 marzo, 28 marzo e 5 aprile), tutte entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione di aggiudicazione avvenuta il 23 marzo 2023, mentre la committenza ha evaso l'istanza solamente in data 20 aprile 2023, e dunque circa un mese dopo la comunicazione di aggiudicazione (23 marzo) ed oltre i quindici giorni previsti dal medesimo art. 76, comma 2, imposto per evadere l'istanza; ne consegue che il ricorso deve ritenersi tempestivo proprio alla luce dei principi espressi dalla sentenza n. 12 del 2020 dell'Adunanza plenaria. Né rileva in senso inverso la circostanza per cui il maggiore termine impiegato da Abbanoa sia ascrivibile al contraddittorio con le parti. Il motivo è fondato. Giova muovere da una breve ricognizione dei canoni ermeneutici fissati dalla sentenza di Cons. Stato, Ad. plen., 2 luglio 2020, n. 12; anzitutto il termine per l'impugnazione dell'aggiudicazione di una gara d'appalto decorre dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara in coerenza con quanto prescritto dall'art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016, per tutti quei vizi percepibili direttamente ed immediatamente dai provvedimenti oggetto di pubblicazione; inoltre, la proposizione dell'istanza di accesso agli atti di gara comporta la "dilazione temporale" di quindici giorni quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l'offerta dell'aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell'ambito del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta (sempre che, in tale caso, l'istanza di accesso sia tempestivamente proposta nei quindici giorni dalla conoscenza dell'aggiudicazione). I criteri ermeneutici in ordine alla esatta individuazione del termine di impugnazione dei provvedimenti in materia di affidamento dei contratti pubblici sono poi stati affinati dalla successiva elaborazione giurisprudenziale. In particolare si è affermato che se l'istanza di accesso è tempestiva (in quanto proposta entro il termine di quindici giorni decorrenti dalla comunicazione o dalla pubblicazione del provvedimento di aggiudicazione) e parimenti tempestivo è il riscontro ostensivo da parte della stazione appaltante, il termine per impugnare (di trenta giorni) subisce una corrispondente dilazione temporale (di quindici giorni), con la conseguenza che il ricorso deve essere proposto entro il termine massimo di 45 giorni dalla comunicazione o pubblicazione. Se invece l'istanza di accesso è tardiva (successiva, cioè, al quindicesimo giorno dalla comunicazione o pubblicazione del provvedimento di aggiudicazione) non opera, a favore del ricorrente, la predetta "dilazione temporale", in applicazione di un canone di autoresponsabilità dell'operatore economico e al fine di evitare che il termine di impugnazione possa essere modulato ad libitum. Nel caso, invece, di comportamenti ostruzionistici o comunque non collaborativi della stazione appaltante (che, ad esempio, evada l'istanza successivamente al termine di quindici giorni dalla ricezione), il termine per impugnare (trattandosi di vizi conoscibili solo in esito all'accesso) non inizia a decorrere se non dal momento dell'ostensione della documentazione richiesta e non si applica il meccanismo della dilazione temporale (45 giorni in tutto dalla pubblicazione degli atti di gara), ma si rinnova, piuttosto, il termine di 30 giorni decorrente dall'effettiva ostensione dei richiesti documenti di gara (Cons. Stato, V, 15 marzo 2023, n. 2736; 20 marzo 2023, n. 2796). Nel caso di specie, le istanze di accesso del raggruppamento As. St. (in data 22 marzo e 28 marzo, mentre la nota del 5 aprile è volta ad argomentare l'assenza di legittime ragioni di opposizione da parte della società -OMISSIS-) sono state proposte nel termine di quindici giorni (di cui all'art. 76, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016) dalla comunicazione di aggiudicazione avvenuta il 23 marzo 2023; la stazione appaltante ha evaso l'istanza in data 20 aprile 2023 e cioè oltre il termine di 15 giorni previsti dal predetto art. 76, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016. Ne discende che, essendo il provvedimento della stazione appaltante sull'istanza di accesso (anche prendendo a parametro il sollecito del 28 marzo 2023) non rispettoso del termine di 15 giorni, deve ritenersi applicabile, secondo le coordinate ermeneutiche elaborate dalla giurisprudenza, quale dies a quo per l'impugnazione dell'aggiudicazione, il termine di 30 giorni decorrente dall'effettiva ostensione dei richiesti documenti di gara. Ne consegue che, in riforma della statuizione di primo grado, deve ritenersi tempestivo il ricorso di primo grado, notificato in data 17 maggio 2023, a fronte di un'ostensione documentale concessa il 20 aprile 2023. 2. - Dovendosi procedere ora alla disamina dei motivi riproposti, con il primo mezzo l'appellante deduce che l'offerta aggiudicataria doveva essere esclusa in quanto priva dei requisiti di idoneità professionale e di qualificazione richiesti per essere ammessi alla procedura; in particolare la società -OMISSIS- sarebbe mancante, per la quota dei "servizi", del requisito, prescritto dall'art. 7.1 della lettera di invito, della capacità tecnico professionale dell'espletamento di servizi analoghi (all'attività di campagna estensiva di ricerca perdite e/o di ricerca e dismissione di condotte vetuste) a quelli oggetto d'appalto per un valore di 79.927,00 euro, come si evince dal certificato di esecuzione lavori (CEL) che non può essere integrato da una dichiarazione postuma del Rup. Il motivo è infondato. L'art. 7.1 della lettera di invito, in tema di requisiti di idoneità professionale e capacità tecnico-organizzativa, con riguardo ai servizi, richiede il possesso del requisito di "capacità tecniche e professionali, ai sensi dell'art. 83, comma 1, lett. c), del d.lgs. 50/2016: aver eseguito nell'ultimo triennio antecedente alla data di pubblicazione del bando, mediante attività diretta o indiretta, servizi analoghi all'attività di campagna (estensiva) di ricerca perdite e/o di ricerca e dismissione di condotte vetuste e/o di campagna di misura di portate e pressioni in rete (anche eseguite all'interno di contratti di lavori) per un valore complessivo minimo pari all'importo dei servizi a base d'asta escluso IVA". La lex specialis ammetteva dunque che il predetto requisito tecnico fosse acquisito nell'ambito di contratti di lavori, prevedenti l'esecuzione di servizi sussidiari e accessori alle opere eseguite. La -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS-ha maturato il contestato requisito di idoneità professionale e capacità tecnico-organizzativa nell'ambito di un appalto di lavori indetto dal Consorzio di bonifica del Nord Sardegna per euro 300.000 e nell'ambito di un accordo quadro di durata triennale con il Consorzio industriale provinciale oristanese per euro 23.842,40. Quanto ai servizi eseguiti per il Consorzio di bonifica del Nord Sardegna, la mancata indicazione nel CEL dell'esecuzione del servizio non equivale alla mancata prestazione dello stesso, atteso che detto certificato concerne solo l'esecuzione dei lavori, e non anche di servizi e forniture connessi (Cons. Stato, V, 7 giugno 2021, n. 4298); di qui il legittimo utilizzo dell'attestazione del Rup in data 6 marzo 2023. 3. - Il secondo motivo riproposto deduce poi l'assenza, in capo all'aggiudicataria, dei requisiti di idoneità professionale, non esercitando né essendo iscritta nel registro della CCIAA per attività coerente ai servizi oggetto di gara, quanto meno con riguardo alla prestazione secondaria. Il motivo è infondato. La lettera di invito, nel già richiamato punto 7.1, richiede il possesso del requisito della "idoneità professionale, ai sensi dell'art. 83, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016: iscrizione nel registro tenuto dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura oppure nel registro delle commissioni provinciali per l'artigianato per attività coerenti con i servizi oggetto della presente procedura di gara". Atteso che la locuzione "attività coerenti" non equivale a quella di "attività identiche", può ritenersi che le attività riportate nel certificato camerale della -OMISSIS- s.r.l. (in particolare, la costruzione di reti idriche, fognarie e di impianti di depurazione) siano coerenti con i servizi oggetto di gara. 4. - Con il terzo motivo il RTI As. St. s.r.l. deduce poi l'assenza dei requisiti di ordine generale in capo all'aggiudicataria, che ha subito due risoluzioni contrattuali e condanne penali, non adeguatamente descritte in sede di dichiarazione, e in ordine alle quali la stazione appaltante non avrebbe compiuto quell'adeguata valutazione di rilevanza prescritta dall'art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016. Anche tale motivo è infondato, considerando che le condanne penali sono risalenti nel tempo e non rilevanti; peraltro l'una (quella per il reato accertato nel 1989) stata fatta oggetto di riabilitazione e l'altra (per il reato accertato nel 2005) subita da un sindaco supplente. Le risoluzioni contrattuali, indicate nella "dichiarazione integrativa" allegata al DGUE, sono state valutate, seppure sinteticamente, dalla Commissione di gara e ritenute "irrilevanti" ai fini dell'ammissione alla gara (peraltro entrambe -quella del 2018 e quella del 2021- risultano contestate in sede giudiziale). 5. - Alla stregua di quanto esposto, l'appello va accolto, con conseguente riforma della statuizione di irricevibilità, ma va respinto nel merito (anche con riguardo alla domanda risarcitoria da mancata aggiudicazione). L'esito decisorio integra le ragioni previste dalla legge per la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, con conseguente riforma della statuizione di irricevibilità, ma lo respinge nel merito. Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte controinteressata. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Stefano Fantini - Consigliere, Estensore Elena Quadri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere

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