Sentenze recenti contratto autonomo di garanzia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2204 del 2024, proposto dalla società Fa. Ea. It. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 995777470E, 9959019A75, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro la A.S.U.G.I. - Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Bi. e Fr. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, nei confronti della società Se. Ri. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...), per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Sezione Prima, n. 378/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di A.S.U.G.I. - Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina e della società Se. Ri. S.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1.1. Con il ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, ove acquisiva il numero di registro generale 292/2023, la società Fa. Ea. It. S.r.l. impugnava il decreto del Direttore Generale dell'Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina (di seguito Azienda o A.S.U.G.I.) n. 612 del 13 luglio 2023, avente ad oggetto la concessione a favore della società Se. Ri. S.p.a. del servizio di gestione del bar e della pizzeria presso il presidio ospedaliero di Cattinara e del servizio di mensa alternativo. Nelle premesse del provvedimento si legge, tra l'altro, che: - con decreto direttoriale n. 639/2022, la concessione del predetto servizio era stata affidata per 11 mesi alla ditta Fa. Ea. It. S.r.l., con decorrenza dal 1° luglio 2022 e scadenza al 31 maggio 2023; - successivamente non era intervenuto alcun ulteriore affidamento a favore della società suindicata, in quanto la proposta dell'Azienda di prosecuzione del servizio per ulteriori 6 mesi alle condizioni contrattuali in essere, nelle more dell'espletamento di una nuova gara, era stata riscontrata negativamente e tardivamente dalla stessa; - con decreto direttoriale n. 547 del 29 giugno 2023 era stato disposto l'affidamento temporaneo del servizio, per la durata ed alle condizioni rifiutate da Fa. Ea. It. S.r.l., alla società Se. Ri. S.p.a.; - dal 1° luglio 2023 avevano acquistato efficacia le disposizioni introdotte con il d.lvo 31 marzo 2023, n. 36 (cd. Codice dei contratti pubblici), e che si ravvisava pertanto l'opportunità che l'affidamento alla Se. Ri. S.p.a. avvenisse nel rispetto delle disposizioni medesime. Per le suesposte ragioni, l'Azienda ha disposto, con il provvedimento suindicato, la revoca in autotutela del predetto decreto n. 547/2023 e l'affidamento in concessione del servizio per la durata di 6 mesi a favore della società Se. Ri. con decorrenza dal 15 luglio 2023 ed alle condizioni economiche ivi indicate, essendo stata acquisita la disponibilità della stessa manifestata con nota del 13 luglio 2023. 2. Ciò premesso quanto al contenuto del provvedimento impugnato, la ricorrente Fa. Ea. It. S.r.l. evidenziava, tra l'altro, che: - con decreto del Direttore Generale n. 489 del 10 giugno 2021, l'Azienda le aveva affidato il servizio de quo per un periodo di sei mesi dal 1° luglio 2021 al 31 dicembre 2021, prorogabile per altri sei mesi; - nelle more della procedura di gara regionale avviata dall'Azienda Regionale di Coordinamento per la Salute per l'affidamento in concessione del servizio, con pec del 17 novembre 2021 e del 23 novembre 2021 l'Azienda le aveva chiesto la disponibilità alla proroga della concessione per sei mesi, ovvero fino al 30 giugno 2022; - essa, con pec del 24 novembre 2021, aveva confermato la propria disponibilità ; - l'Azienda, considerate le tempistiche della gara regionale, aveva dato corso ad una procedura negoziata per l'affidamento del servizio per otto mesi prorogabili per altri sei mesi, la quale era tuttavia andata deserta; - la medesima Azienda aveva quindi chiesto alla ricorrente la disponibilità ad un'ulteriore proroga della concessione oltre il termine del 30 giugno 2022 e, con pec del 27 giugno 2022, la medesima ricorrente aveva confermato la propria disponibilità ad un'ulteriore proroga, purché le condizioni economiche della concessione venissero migliorate e la proroga fosse di almeno undici mesi; - l'Azienda aveva acconsentito alle richieste della Fa. Ea. It. S.r.l., provveduto a modificare conformemente il Capitolato Speciale d'Appalto a far data dal 1° luglio ed il 7 luglio 2022 comunicato la proroga della concessione secondo le predette condizioni; - solo con pec del 20 settembre 2022 l'Azienda aveva trasmesso alla Fa. Ea. It. S.r.l. il contratto di affidamento n. 124/36-2022 per il periodo 1° luglio 2021-31 dicembre 2021, da tempo esauritosi; - solo con pec del 27 settembre 2022 l'Azienda aveva trasmesso alla Fa. Ea. It. S.r.l. il contratto di proroga n. 125/37-2022 per il periodo 1° gennaio 2022-30 giugno 2022, anch'esso da tempo esauritosi; - solo con pec del 10 novembre 2022 l'Azienda aveva trasmesso alla Fa. Ea. It. S.r.l. il contratto di ulteriore proroga per il periodo 1° luglio 2022-31 maggio 2023, che era già in corso da quattro mesi e mezzo; - con determinazione n. 338 del 14 marzo 2023, l'Azienda aveva indetto una nuova gara per la concessione in affidamento del servizio di ristorazione; - in vista della scadenza del 31 maggio 2023, l'Azienda aveva chiesto alla ricorrente la disponibilità ad un'ulteriore proroga della concessione e con pec del 10 maggio 2023 la Fa. Ea. It. S.r.l. aveva confermato di essere disponibile alla prosecuzione alle medesime condizioni in essere e per un periodo non inferiore a dodici mesi, eventualmente prorogabili per altri dodici; - con comunicazione del 24 maggio 2023 l'Azienda aveva rappresentato di avere revocato la procedura di gara indetta il 14 marzo 2023 e, con pec del 24 maggio 2023, aveva chiesto alla Fa. Ea. It. S.r.l. di comunicare la disponibilità ad una proroga della concessione per soli altri sei mesi invece che di un anno, assegnandole un termine di soli due giorni per rispondere e per presentare una dichiarazione di regolarità fiscale; - la ricorrente con pec del 31 maggio 2023 aveva trasmesso all'Azienda la autocertificazione di regolarità fiscale, confermando nel contempo di voler proseguire la fornitura del servizio; - con pec del 19 giugno 2023 la Fa. Ea. It. S.r.l. aveva rilevato di non avere avuto alcun riscontro alla propria comunicazione del 31 maggio 2023, confermato la propria disponibilità a proseguire nel servizio di ristorazione e dichiarato testualmente: "chiediamo la formalizzazione del contratto da voi proposto alle medesime condizioni"; - l'Azienda in data 29 giugno 2023 aveva trasmesso alla Fa. Ea. It. S.r.l. il decreto direttoriale del 28 giugno 2023, con il quale essa affermava tra l'altro che la società sarebbe stata "insolvente" nei suoi confronti per la somma di Euro 110.535,73 a tutto aprile 2023 e che per questa ragione sarebbe venuta meno la relazione di stretta collaborazione e fiducia tra le parti, ciò che giustificava la sostituzione della Fa. Ea. It. S.r.l. con altro concessionario; - con decreto in pari data l'Azienda aveva richiamato il predetto decreto, con il quale aveva dichiarato l'impossibilità della prosecuzione del rapporto con la Fa. Ea. It. S.r.l. a causa della "insolvenza" della stessa, dato atto di essersi ritirata dalla gara regionale dell'Azienda Regionale di Coordinamento per la Salute e rappresentato di voler provvedere autonomamente all'affidamento in concessione del servizio di ristorazione, stabilendo di procedere, considerate le tempistiche dell'affidamento autonomo e la necessità di evitare nelle more l'interruzione del servizio, a norma dell'art. 63, secondo comma, lettera c), d.lvo n. 50/2016, a negoziazione telematica con la Se. Ri. S.p.a. per l'affidamento alla stessa del servizio di ristorazione per un periodo di sei mesi; - con pec del 4 luglio 2023 l'Azienda aveva invitato la Fa. Ea. It. S.r.l. a prendere contatto con la Se. Ri. S.p.a., quale nuovo gestore da essa "individuato", per garantire il subentro della stessa nel servizio di ristorazione "senza soluzione di continuità ", con "presa in carico" dei dipendenti della stessa Fa. Ea. It. S.r.l.; - con pec del 4 luglio 2023 la Fa. Ea. It. S.r.l. aveva contestato il modus operandi della resistente e rinnovato il proprio impegno alla prosecuzione del contratto; - con decreto dell'11 luglio 2023 l'Azienda aveva revocato il predetto decreto del 28 giugno 2023; - con il provvedimento impugnato, infine, l'A.S.U.G.I. aveva annullato "in autotutela" il proprio decreto del 28 giugno 2023 e confermato l'affidamento della concessione alla Se. Ri. S.p.a.. 3. Mediante i motivi articolati con il ricorso introduttivo del giudizio, la ricorrente lamentava: - la violazione dell'art. 12 l. n. 241/1990, atteso che l'Azienda, che non aveva specificato quale procedura regolata dal d.lvo n. 36/2023 intendesse applicare, aveva omesso di predeterminare i criteri di individuazione del concessionario; - la violazione dell'art. 50, primo comma, lettera b), d.lvo n. 36/2023, che aveva elevato ad Euro 140.000 la soglia al di sotto della quale era consentito l'affidamento diretto di servizi anche senza consultazione di più operatori economici, essendo il contratto di valore ben superiore alla suddetta soglia; - la violazione dell'art. 76, secondo comma, lettera c), d.lvo n. 36/2023, ove l'Amministrazione avesse inteso fare ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione del bando da esso previsto: premesso che il richiamo fatto nel provvedimento impugnato alle procedure previste dalla nuova normativa non aveva alcun senso, considerato che il testo dell'articolo citato era praticamente identico a quello dell'omo e previgente art. 63, secondo comma, lettera c), d.lvo n. 50/2016, richiamato nel precedente decreto di affidamento della concessione alla Se. Ri. S.p.a., non sussistevano in ogni caso i presupposti per il ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione di un bando, considerato che gli eventi che avrebbero condotto alla necessità di avvalersi di una simile procedura prima del regolare affidamento del servizio ad un nuovo gestore non erano affatto imprevedibili e che, anzi, la mancata conclusione delle gare precedentemente indette era dipesa solo dalla resistente, che le aveva via via inopinatamente revocate, fermo restando che la Fa. Ea. It. S.r.l. era disponibile ad una nuova proroga; - l'eccesso di potere viziante il provvedimento impugnato in quanto fondato su motivazioni inconsistenti, basato su presupposti di fatto palesemente erronei o falsi e caratterizzato da irragionevolezza e/o illogicità manifesta: non sussistevano infatti ragioni di urgenza, a livello operativo, per sostituire la Fa. Ea. It. S.r.l. con un nuovo gestore, atteso che il servizio di ristorazione stava proseguendo regolarmente ed era anzi la stessa resistente ad avviare i propri dipendenti alla mensa che continuava ad essere gestita dalla predetta; l'Azienda, inoltre, non aveva più sostenuto la necessità di sostituire la Fa. Ea. It. S.r.l a causa di una sua ipotetica inadeguatezza ed aveva invece evocato la "opportunità " che la concessione del servizio alla Se. Ri. S.p.a. avvenisse secondo le procedure del d.lvo n. 36/2023 nel frattempo entrato in vigore, le quali tuttavia non consentivano l'affidamento diretto; quanto all'assunto secondo cui la sostituzione della Fa. Ea. It. S.r.l. era stata dettata dal fatto che la stessa aveva rifiutato di prestarsi alla proroga del servizio alle condizioni proposte, emergeva all'opposto che la predetta società aveva confermato la propria disponibilità a proseguire il servizio proprio alle condizioni indicate dall'Amministrazione; peraltro, il provvedimento impugnato aveva disposto l'affidamento del servizio ad un soggetto diverso a condizioni peggiorative, atteso che dal 1° luglio 2022 il canone praticato alla Fa. Ea. It. S.r.l. era pari al "10% dell'importo introitato e documentato dal gestore", mentre nel provvedimento impugnato si leggeva che il canone della concessione sarebbe stato "quantificato nel 7% dell'importo totale registrato per corrispettivi, fatture e convenzioni" comunque "non inferiore al 10% dello scontrinato". 4. Il T.A.R. adito, con la sentenza n. 378 del 1° dicembre 2023, ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso, in accoglimento della corrispondente eccezione sollevata dalle parti resistenti, rilevandone comunque, nel merito, l'infondatezza. Il giudice di primo grado ha premesso che "nessuna proroga del servizio può dirsi legittimamente intervenuta a favore della ricorrente Fa. Ea.", atteso che "la società, dopo essersi dichiarata disponibile ad una prosecuzione del servizio a specifiche condizioni, diverse da quelle attualmente in essere (e cioè per una durata di 12 mesi, con eventuale rinnovo per altri 12, cfr. la nota del 10 maggio 2023, doc. 10 del ricorrente) non ha dato risposta, nel termine espressamente indicato come perentorio da ASUGI, alla proposta formale di proroga dell'affidamento per soli 6 mesi (di cui alla PEC del 24 maggio 2023, cfr. doc. 23 del ricorrente). La proposta di ASUGI doveva, conseguentemente, dichiararsi decaduta allo scadere della data indicata per darvi riscontro (26 maggio 2023)". Ha aggiunto il T.A.R. che "nemmeno la PEC inviata da Fa. Ea. ad ASUGI in data 31 maggio 2023, anche a prescindere dalla sua tardività, potrebbe costituire valida accettazione della richiesta di prosecuzione del servizio. In essa, infatti, Fa. Ea. fa riferimento "a quanto già scritto con pec in data 10/05/2023" quindi a condizioni contrattuali differenti da quelle oggetto della proposta di ASUGI. Tantomeno la conclusione dell'accordo di proroga può ricondursi alla successiva PEC del 19 giugno 2023, ampiamente tardiva, con cui Fa. Ea. domanda la "formalizzazione del contratto da voi proposto alle medesime condizioni", dando per pacifica l'esistenza di una precedente accettazione, invero mai comunicata ad ASUGI". Ciò premesso, ha rilevato il T.A.R. che "l'interesse sostanziale sotteso al ricorso di Fa. Ea. è ...quello all'affidamento in suo favore dei servizi di cui era già titolare e la cui prosecuzione, espressamente richiesta dall'amministrazione, l'operatore ha liberamente rifiutato. Il ricorso veicola quindi un abusivo "ripensamento" di Fa. Ea. rispetto alla volontà, manifestata in modo chiaro ed univoco, di non addivenire alla proroga alle condizioni proposte e mira a rimettere la ricorrente in una posizione di vantaggio che già è stata nella sua piena disponibilità . Siffatto interesse, incompatibile con la precedente condotta della ricorrente, risulta immeritevole di tutela in giudizio, per il generale principio che impedisce di venire contra factum proprium (Cons. St., sez. V, 9 ottobre 2023, n. 8761)". "Né vale obiettare" - si legge nella sentenza - "che Fa. Ea. avrebbe agito primariamente nella qualità di operatore del settore della ristorazione, in quanto tale sempre legittimato a dolersi di un affidamento senza gara ad altra impresa, che sottrae la prestazione alla competizione e alla concorrenza. Una simile ricostruzione dell'interesse - anche (a) prescindere dal fatto che il bene della vita finale andrebbe pur sempre identificato, in ultima analisi, con l'affidamento del servizio, così riemergendo le incongruità trattate al punto che precede - appare radicalmente incompatibile con le argomentazioni diffusamente spese nel ricorso da Fa. Ea. per sostenere di essere, essa stessa, l'unica legittima titolare dell'affidamento senza gara, in forza dell'intervenuta accettazione della proposta inviatale da ASUGI. Non può, quindi, tale interesse (alla garanzia della concorrenzialità nell'affidamento del servizio) trovare radicamento in affermazioni successive, apertamente contraddittorie con l'impianto generale del ricorso e con la stessa condotta, anche extraprocessuale, dell'operatore (che ritenendo di essere ancora, proprio in virtù di un affidamento senza gara, il legittimo titolare del servizio, ha continuato ad occupare i locali dell'ospedale anche dopo la formale scadenza del rapporto)". Come accennato, il T.A.R. ha comunque anche affermato l'infondatezza del ricorso, svolgendo, quanto alle censure con esso veicolate, le seguenti osservazioni: - "quanto al primo motivo, la predeterminazione delle condizioni di individuazione del concessionario (in conformità all'art. 12 della legge generale sul procedimento) è assolta, nella particolare materia, attraverso il rinvio alle disposizioni del codice dei contratti pubblici, d.lgs. 36 del 2023, e alla precisione che trattasi di "affidamento diretto", motivato da ragioni di urgenza"; - "quanto al secondo e al terzo motivo - ferma la loro già rilevata contraddittorietà con l'impianto generale del ricorso - si evidenzia che l'affidamento senza gara è stato giustificato - non dal ridotto valore del servizio, ma esclusivamente - dalle ragioni di particolare urgenza contemplate dall'art. 76, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 36/2023, a fronte della "necessità di garantire che non vi siano soluzioni di continuità nell'erogazione del servizio di gestione del bar e della pizzeria presso il Presidio Ospedaliero di Cattinara, a tutela degli utenti interni ed esterni del bar, nonché a tutela delle posizioni dei lavoratori dipendenti occupati nella gestione di cui trattasi". Le giustificazioni fornite da ASUGI appaiono ragionevoli e meritevoli di favorevole considerazione, alla luce della strumentalità del servizio al regolare funzionamento del presidio ospedaliero e dell'indisponibilità dichiarata da Fa. Ea. a proseguirlo alle medesime condizioni. Anche la durata dell'affidamento, di soli sei mesi, risponde al requisito della "misura strettamente necessaria", nelle more dell'indizione di una regolare procedura. Quanto, invece, all'asserita imputabilità dell'urgenza alla stessa ASUGI, trattasi di circostanza solo affermata dalla ricorrente e smentita dagli atti di causa. L'urgenza risulta piuttosto correlata - oltre che al rifiuto di Fa. Ea. - all'esito negativo di una precedente procedura indetta nel 2022 e andata deserta, nonché alle tempistiche necessarie all'Azienda regionale di coordinamento (ARCS) per organizzare un affidamento centralizzato"; - quanto al quarto motivo, non è "intervenuta alcuna proroga dell'affidamento a favore di Fa. Ea., che non ha mai comunicato la propria accettazione alla formale richiesta di prosecuzione del servizio di cui alla PEC di ASUGI del 24 maggio 2023". 5. La sentenza suindicata costituisce oggetto della domanda di riforma proposta, con l'appello in esame (R.G. n. 2204/2024), dalla originaria ricorrente. Le prime critiche ad essa rivolte dalla parte appellante si prefiggono di dimostrare la sussistenza in capo alla stessa della legittimazione ad agire quale affidataria del servizio, esclusa dal T.A.R. in forza del rilievo secondo cui la corrispondenza intercorsa tra le parti tra il maggio ed il giugno del 2023 non avrebbe dato luogo alla conclusione di un accordo per la prosecuzione del servizio da parte della Fa. Ea. It. S.r.l. oltre la scadenza del 31 maggio 2023, tenuto conto della tardività, oltre che della non conformità alla proposta dell'Azienda, delle comunicazioni provenienti dall'impresa in merito alla proroga del rapporto. Quanto in particolare alla tardività, osserva la parte appellante che il termine assegnato dalla appellata con la propria pec del 24 maggio 2023 non si riferiva ad una manifestazione di disponibilità della Fa. Ea. It. S.r.l., che era già stata acquisita, ma alla presentazione di un'autocertificazione di regolarità fiscale, la cui redazione si presentava peraltro alquanto complessa, tanto che non aveva potuto essere completata nel termine di due giorni che l'A.S.U.G.I. aveva immotivatamente preteso di imporre e che non poteva comunque essere considerato perentorio, indipendentemente dalle espressioni usate, atteso che l'art. 152, secondo comma, c.p.c. esprime un principio generale e che, in ogni caso, non rientra tra i poteri del Direttore di Dipartimento di un'Azienda Sanitaria quello di assegnare termini perentori in difetto di previsioni di legge in tal senso, senza che sussistano circostanze oggettive atte a rendere inutile una risposta pervenuta fuori termine, considerata anche la prassi invalsa nei rapporti tra la Fa. Ea. It. S.r.l. e l'appellata, secondo la quale la conclusione dei contratti era sempre intervenuta anche a rapporto in corso od addirittura dopo che i contratti medesimi erano già scaduti. Deduce altresì la parte appellante che la successiva sua comunicazione del 31 maggio 2023 non poteva nemmeno considerarsi difforme dalla richiesta di proroga tecnica formulata dalla appellata con pec del 24 maggio 2023, in quanto con quella comunicazione essa aveva dichiarato semplicemente di volere ottemperare a quanto dichiarato con la propria precedente pec del 10 maggio 2023, quindi di essere disponibile alla prosecuzione del servizio, senza esplicitare condizioni diverse da quelle indicate dalla A.S.U.G.I.: il significato di detta comunicazione veniva peraltro confermato del tenore della pec della Fa. Ea. It. S.r.l. del 19 giugno 2023, con la quale la stessa chiedeva "la formalizzazione del contatto a voi proposto alle medesime condizioni". Pertanto, conclude la appellante, erroneamente la sentenza appellata afferma che la comunicazione del 31 maggio 2023 avrebbe fatto riferimento a condizioni contrattuali differenti da quelle indicate dall'appellata e quella del 19 giugno 2023 non avrebbe avuto efficacia in quanto presupponente un'accettazione che non vi era stata. Quanto alla affermata carenza di legittimazione della società Fa. Ea. It. quale operatore qualificato avente interesse allo svolgimento di una gara ad evidenza pubblica in luogo dell'affidamento diretto alla controinteressata, deduce la appellante che nella propria memoria di replica, depositata nel giudizio di primo grado, aveva affermato che "la Fa. Ea. It. S.r.l. è indiscutibilmente un operatore economico qualificato del settore (tanto è vero che era stata individuata in precedenza quale affidataria del servizio) ed in quanto tale essa ha senz'altro interesse ed è legittimata ad impugnare determinazioni riconducibili ad un affidamento diretto del servizio in luogo della gara ad evidenza pubblica (TAR Milano n. 2450/20, TAR Napoli 1443/20), alla quale da tempo essa ambisce di partecipare". La parte appellante quindi, oltre a richiamare il potere-dovere del giudice di verificare ex officio in ogni stato e grado del giudizio la sussistenza delle condizioni per una pronuncia di merito, anche indipendentemente dalle deduzioni delle parti, evidenzia di avere interesse ad ottenere stabilmente, e non in forza di proroghe reiterate, l'aggiudicazione del servizio medesimo, tanto da aver intrapreso la via di un intervento di partenariato pubblico/privato per la gestione del bar/piccola ristorazione anche presso il presidio ospedaliero di Cattinara: né, aggiunge la parte appellante, la ritenuta contraddittorietà tra i presupposti dei profili di legittimazione da essa dedotti potrebbe avere l'effetto di vanificarli tutti. Nel prosieguo dell'appello, la parte appellante contesta l'affermazione del T.A.R. secondo cui il servizio di bar ristorazione sarebbe strumentale al regolare funzionamento del presidio ospedaliero: essa evidenzia in proposito che il servizio di bar - pizzeria all'interno di un ospedale non è un servizio pubblico essenziale e non è strumentale alla regolare erogazione del servizio sanitario, anche tenuto conto che, per quanto riguarda la ristorazione dei degenti e dei dipendenti, presso il presidio di Cattinara vi è un servizio mensa gestito dalla società Se. Ri. S.p.a., rispetto al quale quello fornito nel bar è appunto alternativo. Essa contesta anche l'affermazione secondo cui il provvedimento impugnato sarebbe legittimo in considerazione dell'urgenza, non imputabile all'appellata, di garantire il servizio nelle more di una gara ad evidenza pubblica. Al riguardo, premesso che l'art. 76, secondo comma, lettera c), del d.lvo n. 36/2023 dispone che si può ricorrere alla procedura negoziata senza pubblicazione di un bando "nella misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dalla stazione appaltante, i termini per le procedure aperte o per le procedure ristrette o per le procedure competitive con negoziazione non possono essere rispettati; le circostanze invocate per giustificare l'estrema urgenza non devono essere in alcun caso imputabili alle stazioni appaltanti", evidenzia la parte appellante che il giudice di primo grado non ha tenuto conto però delle seguenti circostanze, sebbene fossero state bene evidenziate in ricorso: - il 27 maggio 2022 l'Azienda aveva pubblicato una richiesta di offerte per la gestione del servizio, ma le condizioni da essa indicate risultavano economicamente insostenibili e la gara andava deserta; - nelle more dello svolgimento della gara centralizzata da parte dell'A.R.C.S., la A.S.U.G.I. aveva indetto una gara solo il 14 marzo 2023; - il 24 maggio 2023, però, aveva inopinatamente revocato anche quella gara. Deduce quindi la appellante che non è perciò vero che, come affermato dal giudice di primo grado, l'urgenza addotta nel luglio del 2023 a fondamento del provvedimento impugnato dipendesse dall'esito negativo di una precedente procedura indetta nel 2022 e andata deserta, né essa dipendeva dalle tempistiche della gara regionale, ma solo dall'inerzia dell'appellata e dal suo modus operandi irrazionale. La parte appellante contesta anche l'affermazione del giudice di primo grado secondo cui "la durata dell'affidamento, di soli sei mesi, risponde al requisito della "misura strettamente necessaria", nelle more dell'indizione di una regolare procedura", evidenziando in senso contrario che un affidamento diretto disposto nelle more di una procedura ad evidenza pubblica dovrebbe semmai coprire il tempo necessario al completamento della stessa e non essere semplicemente sufficiente ad indirla: di fatto, essa deduce, l'appellata ha atteso fino al 5 ottobre 2023 per indire una nuova gara, in relazione alla quale però, a marzo del 2024, non sono state ancora esaminate le manifestazioni di interesse presentate il 10 novembre 2023. Né è vero, prosegue la parte appellante, che l'urgenza sarebbe stata correlata al rifiuto della Fa. Ea. It. S.r.l. di proseguire il servizio, in quanto essa ha reiteratamente confermato la propria disponibilità e, se vi fossero stati dei dubbi sulle condizioni della proroga, l'Azienda bene avrebbe potuto chiarirli con la ricorrente, dopo che questa aveva proseguito il servizio oltre la scadenza del 31 maggio 2023 nell'acquiescenza dell'appellata stessa. Quanto al quarto motivo di ricorso, lamenta la società appellante che il T.A.R. l'ha respinto sulla scorta di argomenti non pertinenti siccome attinenti al profilo della sua legittimazione, riproponendone integralmente il contenuto al giudice di appello. 6. Si sono costituite in giudizio, per resistere all'appello, l'Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina e la società Se. Ri. S.p.A.. 7. Il ricorso quindi, all'esito dell'odierna udienza di discussione e dopo il deposito di memorie, anche di replica, da parte di tutte le parti del giudizio, è stato trattenuto dal Collegio per la decisione di merito. 8. In via preliminare, può prescindersi dall'eccezione di inammissibilità - per tardività - della memoria depositata dalla appellante in data 7 maggio 2024, formulata dalla controinteressata con memoria di replica del 10 maggio 2024, non contenendo la prima argomentazioni difensive innovative rispetto a quelle articolate con i precedenti atti difensivi. 9. Venendo quindi alle valutazioni collegiali, occorre premettere che, con il provvedimento impugnato, il Direttore Generale dell'A.S.U.G.I., dato atto che in data 31 maggio 2023 era venuta a scadenza la concessione di cui era titolare la società Fa. Ea. It. S.r.l. avente ad oggetto la gestione del bar - pizzeria ubicato all'interno del presidio ospedaliero di Cattinara oltre che il servizio alternativo di mensa, rilevato altresì che la predetta società aveva risposto "negativamente" e "tardivamente" alla proposta di prosecuzione del servizio per un periodo di sei mesi ed alle medesime condizioni economiche in essere, nelle more dell'espletamento della gara finalizzata al suo affidamento, dato atto inoltre dell'esigenza di evitare soluzioni di continuità nella erogazione del servizio anche a tutela delle posizioni dei lavoratori dipendenti occupati nella relativa gestione, ha da un lato revocato il decreto n. 547 del 29 giugno 2023, con il quale il servizio medesimo era stato temporaneamente affidato alla Se. Ri. S.p.a. "alle condizioni e per la durata già rifiutate da Fa. Ea. It. S.r.l.", al fine di conformarsi alle disposizioni introdotte dal d.lvo n. 36/2023 ed entrate in vigore il 1° luglio 2023, dall'altro lato confermato l'affidamento a favore della suddetta Se. Ri. per la durata di 6 mesi, decorrenti dal 15 luglio 2023, dietro pagamento di un canone pari al 7% dell'importo totale registrato per fatture, scontrini e convenzioni e comunque non inferiore al 10% dell'importo scontrinato. 10. La società Fa. Ea. It. S.r.l., lamentando l'interferenza del provvedimento suindicato sulla sua posizione di affidataria del servizio, a suo dire derivante, pur dopo la predetta scadenza del 31 maggio 2023, dalla proroga concordata con l'Amministrazione, nonché la sottrazione dell'affidamento, per effetto del medesimo provvedimento, alle regole concorrenziali, ha agito in vista del suo annullamento, ma il ricorso proposto, con la sentenza appellata, è stato giudicato dal T.A.R. inammissibile prima ancora che infondato. 11. La statuizione di inammissibilità è derivata dal rilievo secondo cui la ricorrente, pur messa in condizioni di conseguire il bene perseguito in forza della proposta di proroga alla stessa indirizzata dall'Amministrazione con nota del 24 maggio 2023 "per un periodo di 6 mesi, alle medesime condizioni contrattuali in essere", aveva rifiutato di aderire alla stessa, riscontrandola in modo negativo (in particolare, con la pec del 31 maggio 2023) oltre che tardivamente: rispetto al comportamento tenuto dalla ricorrente, quindi, la pretesa da essa fatta valere in giudizio, ai fini della acquisizione ope iudicis di quel medesimo bene, integrerebbe, ad avviso del T.A.R., una fattispecie di venire contra factum proprium, tale da privarla della legittimazione ad agire avverso il provvedimento con il quale quello stesso bene, a seguito della mancata adesione della ricorrente, era stato attribuito alla Se. Ri. S.p.a.. 12. La ravvisata carenza di legittimazione ad causam della ricorrente quale preteso gestore del servizio in forza di una proroga giammai perfezionatasi - avendo essa rifiutato l'accettazione del servizio allorché le era stato offerto dall'Amministrazione - refluirebbe, secondo il T.A.R., anche sul suo interesse, di taglio strumentale, al conseguimento della concessione all'esito della gara che l'Amministrazione, a dire della ricorrente, avrebbe dovuto indire ai fini del suo affidamento in luogo di quello direttamente disposto a favore della controinteressata: ciò senza considerare che siffatta ipotetica posizione legittimante sarebbe contraddetta dalla pretesa della ricorrente di essere tuttora affidataria in proroga del servizio, al quale essa si ostinerebbe a dare svolgimento. 13. Ciò premesso, e richiamato il contenuto delle doglianze formulate dalla parte appellante avverso la contestata statuizione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, come innanzi sintetizzate, ritiene il Collegio che la sentenza appellata sia meritevole di conferma laddove esclude, in funzione di quella statuizione in rito, che tra la Fa. Ea. It. S.p.a. e l'Amministrazione si sia perfezionata, dopo la scadenza in data 31 maggio 2023 della concessione di cui essa era titolare, alcuna proroga del rapporto. 14. In primo luogo, infatti, deve osservarsi che alla proposta di proroga formulata dall'Amministrazione con nota del 24 maggio 2023 - di cui venivano precisate le condizioni temporali ("per un periodo di 6 mesi") ed economiche ("alle medesime condizioni contrattuali in essere") - la ricorrente dava riscontro con pec del 31 maggio 2023, con la quale manifestava l'"impegno ad ottemperare a quanto già scritto con pec in data 10/05/2023": ebbene, il contenuto di tale ultima comunicazione, concernente la "disponibilità alla prosecuzione del servizio per un periodo non inferiore a 12 mesi + eventuale rinnovo per altri 12 mesi", ne rende evidente la difformità rispetto alla proposta, con il conseguente effetto preclusivo al perfezionamento del consenso contrattuale (ai sensi dell'art. 1326, comma 5, c.c., infatti, "un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta"). Il comportamento dissenziente della Fa. Ea. It. S.r.l., rispetto alla proposta dell'Amministrazione, era del resto univoco e non rendeva necessaria alcuna richiesta di chiarimenti da parte della seconda: né la posizione contrattuale della prima poteva essere recuperata mediante la nota a sua firma del 19 giugno 2023, con la quale essa chiedeva la "formalizzazione del contratto da voi proposto alle medesime condizioni", assumendosi nella stessa l'intervenuta pregressa "nostra accettazione della prosecuzione del servizio", la quale deve invece ritenersi esclusa alla luce delle considerazioni che precedono. 15. Deve inoltre osservarsi che, con la nota del 24 maggio 2023, la A.S.U.G.I. stabiliva che la risposta della Fa. Ea. It. S.r.l. alla sua proposta di proroga intervenisse "inderogabilmente...entro il 26/05/2023". In proposito, non sono condivisibili le deduzioni della parte appellante, intese a contestare il carattere perentorio del suddetto termine. In primo luogo, siffatta natura - ed il conseguente superamento della presunzione di ordinatorietà dei termini, fissata dall'art. 152, comma 2, c.p.c., invocato dalla appellante - si evince chiaramente dal tenore testuale della proposta, come innanzi riportato, senza che possa negarsi il potere dell'Amministrazione, quale parte proponente, di stabilire il termine entro cui "l'accettazione deve giungere" al suo indirizzo (cfr. art. 1326, comma 2, c.c.). In secondo luogo, la suddetta limitazione temporale posta all'efficacia della proposta era oggettivamente funzionale a garantire la continuità del rapporto concessorio, attesa la prossimità della sua scadenza, fissata come si è detto al 31 maggio 2023. Né il ritardo della risposta data dalla ricorrente alla proposta dell'Amministrazione potrebbe trovare giustificazione nelle difficoltà incontrate nella redazione della auto-certificazione della sua regolarità fiscale, che con la richiamata nota del 24 maggio 2023 l'Amministrazione aveva richiesto di trasmettere entro il suindicato termine perentorio, atteso che, da un lato, nulla vietava all'impresa di riscontrare tempestivamente la proposta, riservandosi l'invio della suddetta documentazione, dall'altro lato, la suddetta risposta ha assunto, come si è visto, i contenuti del vero e proprio dissenso, atto da solo a precludere la formazione del vincolo contrattuale. Del resto, a conferma dell'esigenza di pervenire in tempi celeri alla conclusione del contratto - o, quantomeno, alla acquisizione del consenso preliminare dell'impresa affidataria - non può non rilevarsi che l'Amministrazione, con nota del 30 maggio 2023, chiedeva alla controinteressata di manifestare "a stretto giro", "vista l'oggettiva tempistica", la disponibilità all'assunzione della veste di concessionaria del servizio in discorso: disponibilità che veniva manifestata dalla Se. Ri. S.p.a. con la nota di riscontro del 31 maggio 2023, sebbene subordinatamente "ad una valutazione organizzativa ed economica della gestione". 16. Non rileva che, come dedotto dalla parte appellante, fosse prassi dell'Amministrazione trasmettere il contratto di concessione successivamente all'inizio del rapporto (o della sua proroga), quando non addirittura dopo la sua conclusione. Deve invero osservarsi che era innegabile interesse dell'Amministrazione, nelle more della compiuta formalizzazione delle condizioni regolatrici del rapporto, acquisire il consenso dell'impresa affidataria, in vista dell'esigenza di garantire la continuità del servizio. Pertanto, anche ammettendo che le suindicate comunicazioni preliminari non fossero funzionali al perfezionamento del contratto, presupponendo questo un previo e formale atto deliberativo dell'organo competente dell'azienda (ciò che reca conforto alla tesi del T.A.R., secondo cui nessun rapporto contrattuale poteva ritenersi derivare dalle stesse, tale da costituire in capo alla Fa. Ea. It. S.r.l. la veste di legittima affidataria in proroga del servizio), non può negarsi che le stesse fossero funzionali alla individuazione del potenziale affidatario, con il quale instaurare successivamente, e sulla base di una formale investitura, il rapporto negoziale. 17. Resta quindi confermato che la legittimazione al ricorso dell'odierna appellante non poteva trovare fondamento nella sua perdurante posizione di affidataria in proroga del servizio de quo, sulla quale si sarebbe illegittimamente sovrapposto l'affidamento del medesimo servizio disposto a favore della controinteressata Se. Ri. S.p.a. con il provvedimento impugnato in primo grado. 18. Quanto all'ulteriore profilo legittimante, intravisto dalla appellante nel suo interesse, quale operatore qualificato del settore, a partecipare alla gara che, a suo avviso, l'Amministrazione avrebbe dovuto indire in luogo di procedere all'affidamento diretto del servizio a favore della controinteressata, è nel vero, innanzitutto, la Fa. Ea. It. S.r.l. allorché osserva che la prospettazione della propria posizione di interesse ben può avvenire ad opera della parte ricorrente in termini alternativi e finanche incompatibili, laddove ad esempio, come nella specie, l'affermazione della propria pretesa di partecipazione alla gara, essendo connotata da un grado di satisfattività inferiore rispetto a quella fondata sulla sua perdurante posizione di affidataria, sia formulata in modo subordinato rispetto a quest'ultima e per l'ipotesi di mancata condivisione della stessa da parte del giudicante. 19. Inoltre, a sorreggere la statuizione di inammissibilità del gravame recata, anche in ordine a tale alternativa posizione legittimante, dalla sentenza appellata non può soccorrere, ad avviso del Collegio, l'ulteriore argomento utilizzato dal T.A.R., correlato al dissenso espresso dalla ricorrente rispetto alla proposta di proroga formulata dall'Amministrazione. Deve invero osservarsi che, a prescindere dalla diversità degli schemi procedimentali coinvolti - nel caso della ricorrente quello della cd. proroga tecnica, nel caso della controinteressata quello della "procedura negoziata senza pubblicazione di un bando", ex art. 76, comma 2, lett. c), d.lvo 31 marzo 2023, n. 36 -, non rileva che il bene della vita offerto dall'Amministrazione fosse sostanzialmente il medesimo, siccome consistente nella gestione del servizio per un periodo di 6 mesi alle medesime condizioni caratterizzanti la gestione precedente. Deve infatti ragionevolmente presumersi - e da questo punto di vista non può che condividersi l'assunto della società appellante, inteso a differenziare la procedura infruttuosamente esperita tra l'Amministrazione e la Fa. Ea. It. S.r.l. e quella che avrebbe avuto luogo qualora l'Azienda non avesse proceduto all'affidamento diretto a favore della Se. Ri. S.p.a. in ragione della maggiore stabilità caratterizzante il bene della vita attribuito (recte, attribuibile) mediante la seconda - che, laddove avesse fatto ricorso ad una diversa procedura di affidamento, emancipata dalla stretta funzionalità al soddisfacimento di una esigenza di carattere urgente e contingente, la stazione appaltante avrebbe conformato l'oggetto della concessione, anche dal punto di vista temporale, in modo diverso e maggiormente appetibile per la ricorrente. Da questo punto di vista, peraltro, la previsione di un periodo semestrale di durata della concessione-ponte, oggetto di affidamento alla Se. Ri. S.p.a. (la quale aveva caratterizzato anche la proposta di proroga indirizzata alla ricorrente), si è rivelata alla luce degli eventi successivi, se non incauta, quantomeno soverchiamente ottimistica, se è vero che la gara (procedura ristretta sopra soglia europea, ex art. 72 d.lvo n. 36/2023), indetta con decreto del Direttore Generale n. 818 del 5 ottobre 2023, si trova alla data odierna ancora in corso di svolgimento (avendo il Direttore Generale dell'Azienda disposto, con decreto n. 264 del 3 aprile 2024, la proroga al 27 maggio 2024 del termine per la presentazione delle offerte). 20. Ad inficiare la posizione legittimante della ricorrente non possono valere nemmeno le deduzioni della società controinteressata, secondo cui alla stessa sarebbe precluso il nuovo affidamento ai sensi dell'art. 49 d.lvo n. 36/2023, laddove stabilisce che "in applicazione del principio di rotazione è vietato l'affidamento o l'aggiudicazione di un appalto al contraente uscente nei casi in cui due consecutivi affidamenti abbiano a oggetto una commessa rientrante nello stesso settore merceologico, oppure nella stessa categoria di opere, oppure nello stesso settore di servizi". Premesso che trattasi di divieto non assoluto (prevedendo il comma 4 che "in casi motivati con riferimento alla struttura del mercato e alla effettiva assenza di alternative, nonché di accurata esecuzione del precedente contratto, il contraente uscente può essere reinvitato o essere individuato quale affidatario diretto"), basti evidenziare che la disposizione invocata concerne i contratti di valore inferiore alla soglia europea, mentre non è dimostrato che la procedura di gara che in via ordinaria avrebbe dovuto indire l'Amministrazione non potesse avere valore superiore alla soglia suindicata: ciò senza trascurare che l'invocazione ai presenti fini della suddetta disposizione urta con il divieto di sindacare poteri amministrativi non ancora esercitati, ex art. 34, comma 2, c.p.a.. 21. Deve solo aggiungersi che non rileva ai fini della ammissibilità del gravame l'avvenuta indizione della gara da parte dell'Amministrazione, con la conseguente riespansione delle chances di aggiudicarsela in capo alla ricorrente: deve infatti osservarsi che essa non rimuove il pregiudizio subito da quest'ultima per effetto del provvedimento impugnato in primo grado, relativo alla privazione, sebbene per un periodo di tempo limitato (ma, si è visto, comunque più esteso dell'orizzonte temporale semestrale inizialmente prefigurato), di una utilità che solo successivamente l'Azienda ha posto a base di gara. 22. Né, ad avviso del Collegio, può ritenersi che la sentenza appellata resista al vaglio critico sollecitato dalla appellante relativamente alle conclusioni in punto di infondatezza del ricorso cui è pervenuto il giudice di primo grado. 23. Deve invero rilevarsi che il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio non rispetta il disposto dell'art. 76, comma 2, lett. c), d.lvo n. 36/2023, laddove subordina il ricorso alla "procedura negoziata senza pubblicazione del bando" alla sussistenza di "ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dalla stazione appaltante" e non "imputabili alle stazioni appaltanti". Con riferimento al pressoché identico disposto dell'art. 63, comma 2, lett. c), d.lvo n. 50/2016, la giurisprudenza (cfr., ad es., Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, 13 febbraio 2023, n. 129) ha chiarito che "ai sensi di detta disposizione può essere utilizzata la procedura negoziata senza previa pubblicazione nella misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dall'amministrazione aggiudicatrice, i termini per le procedure aperte o per le procedure ristrette o per le procedure competitive con negoziazione non possono essere rispettati, sempre che le circostanze invocate a giustificazione del ricorso a detta procedura non siano in alcun caso imputabili alle amministrazioni aggiudicatrici. L'opzione riveste carattere di eccezionalità, sicché la scelta di tale modalità richiede un particolare rigore nell'individuazione dei presupposti giustificativi, da interpretarsi restrittivamente". Venendo al caso di specie, occorre premettere che a determinare l'esigenza di un ulteriore affidamento-ponte del servizio, nelle more della gara destinata al suo affidamento definitivo, hanno concorso in modo decisivo la mancata conclusione della procedura ex art. 36, comma 2, lett. b), d.lvo n. 50/2016, avviata mediante la determina a contrarre n. 338 del 14 marzo 2023 e finalizzata all'affidamento del servizio de quo nelle more dello svolgimento della gara centralizzata da parte dell'Agenzia Regionale per il Coordinamento della Salute (A.R.C.S.), oggetto della revoca disposta con la nota della A.S.U.G.I. del 24 maggio 2023, nonché il ritiro dell'adesione alla predetta gara regionale deciso dall'Azienda con la nota del 9 giugno 2023. Ebbene, le suddette scelte dell'Amministrazione non sono sufficienti a concretizzare i requisiti di accesso alla procedura ex art. 76, comma 2, lett. c), d.lvo n. 36/2023, relativi alla imprevedibilità da parte della stazione appaltante ed alla non imputabilità alla stessa degli eventi determinativi della "estrema urgenza". Invero, indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla legittimità delle ragioni addotte dall'Amministrazione a fondamento delle suddette determinazioni di auto-tutela (quali sono esplicitate, quanto alla revoca dell'adesione alla gara centralizzata, nelle premesse del decreto n. 547 del 28 giugno 2023), non può negarsi che le stesse siano indicative di una visione oscillante circa le migliori modalità di perseguimento dell'interesse pubblico, contrastante con i rigorosi presupposti che legittimano il ricorso al suddetto eccezionale strumento di affidamento. Né può attribuirsi rilievo decisivo, al fine di determinare la situazione di "estrema urgenza" prevista dalla citata disposizione, al rifiuto della ricorrente di assentire la (o comunque manifestare il suo impegno preliminare alla) proroga nei limiti temporali della stessa come richiesti dall'Amministrazione, collocandosi esso all'estremo di una sequenza procedimentale i cui passaggi salienti e le cui cause, come si è detto, sono imputabili in via principale alla stessa stazione appaltante. 24. Quanto invece alla tesi della parte appellante secondo cui, a dimostrare l'eccesso di potere inficiante il provvedimento impugnato, verrebbe in rilievo il fatto che il citato d.lvo n. 36/2023 non ha apportato alcun cambiamento alla disciplina della procedura de qua, rispetto a quella recata dal previgente d.lvo n. 50/2016, con la conseguenza che la revoca in autotutela del precedente decreto di affidamento temporaneo del servizio alla Se. Ri. S.p.a. (n. 547 del 28 giugno 2023) non potrebbe trovare giustificazione, come affermato con il provvedimento impugnato, nella opportunità di conformarlo alle disposizioni sopravvenute, nelle more entrate in vigore, occorre osservare che la appellante non ha interesse all'accoglimento della censura, la quale, inerendo alle ragioni della revoca, disposta con il decreto impugnato, del precedente provvedimento di affidamento adottato a favore della controinteressata, non farebbe che restituire vitalità a quest'ultimo: ciò non senza precisare che l'atto di autotutela risulta oggettivamente finalizzato, più che ad adeguare la procedura di affidamento alle disposizioni recate dal novello Codice dei contratti pubblici, a giustificare il mancato affidamento alla ricorrente con il rifiuto da essa opposto alla proroga nei termini indicati nella proposta formulata dall'Amministrazione (superando l'originaria motivazione, connessa alla rottura del rapporto di fiducia tra la Fa. Ea. It. S.r.l. e la A.S.U.G.I. conseguente ai crediti da quest'ultima vantati nei confronti della prima, come affermato con il decreto n. 546 del 28 giugno 2023, non a caso revocato con il decreto n. 595 dell'11 luglio 2023). 25. Concorre altresì a dimostrare l'illegittimità del provvedimento impugnato, sotto il profilo del dedotto vizio di eccesso di potere, il carattere economicamente peggiorativo dello stesso, rispetto alle condizioni contrattuali praticate dalla società Fa. Ea. It. durante la precedente gestione del servizio. Il contratto originario prevedeva infatti che il canone praticato dalla Fa. Ea. It. S.r.l. fosse pari al "10% dell'importo introitato, risultante da tutte le operazioni annotate nell'apposito registro contabile e documentato dal gestore", mentre nel provvedimento impugnato si legge che il canone della concessione sia "quantificato nel 7% dell'importo totale registrato per corrispettivi, fatture e convenzioni" e comunque "non inferiore al 10% dello scontrinato". E' vero che il mancato affidamento della concessione-ponte alla ricorrente è dipeso, in via principale, dalla maggiore estensione temporale della proroga da essa richiesta, sufficiente da sola a precludere l'affidamento a suo favore, senza che possa tenersi conto della prosecuzione del servizio da essa operata in via di mero fatto: tuttavia, la circostanza indicata rafforza la posizione legittimante della ricorrente, la quale avrebbe potuto giovarsi, nell'ambito della gara che l'Azienda avrebbe dovuto indire per le ragioni illustrate, delle suddette condizioni più vantaggiose per il concessionario, tali da differenziare ulteriormente, rispetto al bene della vita cui essa ha "rinunciato", quello che l'Amministrazione avrebbe posto ad oggetto della competizione. 26. Può infine prescindersi dall'esame delle critiche rivolte dalla società appellante alla sentenza appellata, nella parte in cui attribuisce rilievo, ai fini giustificativi dell'affidamento in via di urgenza della concessione alla controinteressata, alla peculiare valenza del servizio de quo ai fini del funzionamento del presidio ospedaliero: ciò non senza osservare, in senso contrario, che da un lato il T.A.R. non ha affatto affermato l'essenzialità dello stesso, dall'altro lato che non può negarsi la rilevanza del servizio di bar - pizzeria offerto agli utenti esterni della struttura ai fini del complessivo ottimale funzionamento del presidio ospedaliero (e senza trascurare che l'Amministrazione ha anche posto l'accento, laddove ha evidenziato la necessità di evitare soluzioni di continuità del servizio medesimo, sulla tutela dei dipendenti occupati nella sua gestione). 27. L'appello, in conclusione, deve essere accolto e conseguentemente annullato, in riforma della sentenza appellata, il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. 28. L'originalità dell'oggetto della controversia giustifica infine la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio, fermo il diritto della parte appellante al rimborso del contributo unificato versato in relazione ai due gradi di giudizio, da porre a carico delle parti resistenti, in solido tra loro. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 2204/2024, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ed annulla il provvedimento con esso impugnato. Spese del doppio grado di giudizio compensate, fermo il diritto della parte appellante al rimborso da parte delle resistenti, in solido tra loro, del contributo unificato versato in relazione ai due gradi di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. MICCOLI Grazia R. A. - Consigliere Dott. CATENA Rossell - rel. Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/10/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CATENA ROSSELLA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa LORI PERLA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia e procuratore speciale della parte civile, si associa alle richieste del Proc. Gen. e conclude per l'inammissibilita' dei ricorsi. Deposita conclusioni scritte e nota spese; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Assise di Appello di Napoli, per quanto di rilievo, in riforma della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Napoli in data 17/11/2020 - con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti delle parte civile, in relazione al reato di cui all'articolo 110 c.p., articolo 591 c.p., commi 1 e 3, il primo quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., societa' di riferimento della struttura residenziale per anziani "(OMISSIS)", il secondo quale figlio di (OMISSIS), che era stata affidata alla predetta struttura dal 08/06/2016, luogo ritenuto non idoneo in riferimento alle condizioni di salute della predetta, poi deceduta in data 28/06/2016 - rideterminava la pena inflitta al (OMISSIS) in anni tre di reclusione e la pena inflitta al (OMISSIS) in anni due mesi sei di reclusione, confermando, nel resto, la sentenza impugnata. 2. (OMISSIS) ricorre a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo otto motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto il (OMISSIS), legale rappresentante della societa' cui afferiva la struttura residenziale per anziani, non aveva alcuna relazione di custodia, ne' diretta ne' indiretta, con la (OMISSIS), posto che egli rivestiva unicamente un ruolo di gestione ed amministrazione della societa', non avendo, quindi, svolto alcun ruolo di sorveglianza diretta e/o indiretta della anziana ricoverata; cio' rileva anche alla luce della struttura del reato, di pericolo concreto per la vita o l'incolumita', che deve derivare dalla condotta di abbandono, rispetto alla quale non tutte le relazioni di custodia possono essere considerate rilevanti, ma solo quelle che si estrinsecano in una posizione di sorveglianza diretta ed immediata nei confronti del soggetto incapace; nel caso di specie, all'assistenza dell'anziana era preposta la coimputata (OMISSIS), persona del tutto qualificata, mentre il (OMISSIS) si recava saltuariamente presso la struttura, in ragione del suo ruolo; da cio' discende, anche alla luce delle giurisprudenza di legittimita', la insussistenza dell'abbandono, in riferimento al ricorrente, che aveva comunque predisposto l'affidamento dell'ospite della struttura a persone capaci e abili, come riconosciuto dalla sentenza impugnata; anche in riferimento alla "teoria della garanzia" seguita dalla giurisprudenza di legittimita', infatti, e' stato evidenziato come vengano in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto agente, non avendo la sentenza impugnata specificato in quali termini sarebbe stato violato l'obbligo di custodia gravante sul (OMISSIS), il quale si era limitato ad accettare il ricovero della (OMISSIS) su richiesta del figlio della stessa, avendo egli predisposto le misure necessarie, ossia una struttura idonea e personale qualificato, misure altresi' idonee come dimostrato dalla carenza di precedenti vicende, indicative di una insufficienza e/o inadeguatezza del contesto di accoglienza; 2.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), quanto alla sussistenza dell'elemento psicologico, escluso, a ben vedere, proprio dalle motivazioni della sentenza impugnata che, al piu', configura, a carico dell'imputato, la colpa cosciente, posto che il dolo richiesto dall'articolo 591 c.p. implica l'accertamento della conoscenza, da parte dell'agente, delle specifiche condizioni del soggetto passivo, unitamente alla coscienza e volonta' di abbandonarlo e, alla luce delle relazione di cura e custodia, la previsione e la volonta' del pericolo per la vita e l'incolumita' del soggetto passivo; in sostanza, la sentenza formula nei confronti dell'imputato un giudizio di rimprovero per la ritenuta inadeguatezza della struttura, facendo discendere da tale presunta condizione la sussistenza dell'elemento psicologico, il che richiama i casi in cui la condotta sia connotata da spiccata irragionevolezza, disinteresse o altro atteggiamento consimile, con evidente integrazione della colpa cosciente, restando irrilevante il profilo del fine di lucro che avrebbe potuto spingere il (OMISSIS) a sottodimensionare l'organizzazione della struttura. In sostanza, il giudizio di inadeguatezza della struttura si risolve nel rimprovero al (OMISSIS) di aver mal governato i rischi connessi alla sua funzione, proprio in riferimento ai criteri ermeneutici indicati dalla giurisprudenza di legittimita' nel caso ThyssenKrupp, in quanto la coscienza e volonta' della condizione di abbandono deve essere esclusa, essendo stato provato che il (OMISSIS) aveva comunque adibito alla cura degli anziani un'infermiera professionista, laddove nella struttura vi erano anche altre persone adibite alle ulteriori incombenze, venivano svolte visite da parte dei medici della ASL, la struttura era dotata di letti e di sedie a rotelle adeguati agli ospiti, ne' mai, negli anni precedenti, all'interno della struttura si erano verificati eventi critici, per cui, al piu', il (OMISSIS) avrebbe potuto essere considerato gravemente negligente; quanto alle condizioni della (OMISSIS), pur dando per scontato che il (OMISSIS) ne fosse consapevole, le stesse non richiedevano cure mediche specialistiche di particolare impegno, ma solo un trattamento farmacologico, per il quale le condizioni assistenziali predisposte dal (OMISSIS) appaiono del tutto confliggenti con la coscienza e volonta' dell'abbandono; sotto altro aspetto, infine, anche l'applicazione degli elementi indicatori citati dalla sentenza ThyssenKrupp, in riferimento al dolo eventuale, escludono tale elemento soggettivo nel caso in esame, posto che non si e' in presenza di una totale carenza della struttura, ma solo di un'inadeguatezza della stessa, ne' la sentenza di merito indica, in riferimento alla posizione del (OMISSIS), l'esito di un eventuale giudizio controfattuale, secondo la cosi' detta formula di Frank, non essendo stati indicati gli elementi indicatori del dolo eventuale; 2.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto, ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato, la posizione del ricorrente, opportunamente valutata in funzione dei criteri della pericolosita' del fatto e del contenuto dell'obbligo violato, non puo' che condurre ad escludere tale elemento materiale, atteso che la stessa sentenza evidenzia come, nel caso in esame, la struttura di accoglienza fosse idonea sotto molteplici aspetti (igienico-sanitario, strutturale, assistenziale, medico) e, cio' nonostante, la stessa sentenza ha ritenuto "ragionevolmente inidonea" la detta struttura. Sotto il profilo della pericolosita' del fatto, quindi, le condizioni positivamente individuate dalla stessa sentenza, unitamente all'assenza di pregressi episodi avversi, dimostrano l'inconfigurabilita' del pericolo concreto, mentre, quanto al contenuto dell'obbligo violato, non puo' che ribadirsi come il (OMISSIS) non fosse tenuto a provvedere, in via diretta, all'assistenza e cura degli ospiti, bensi' al solo obbligo di custodia, evidentemente adempiuto; cio' emerge ancor piu' evidente alla luce della giurisprudenza di legittimita' circa la concretezza della condizione di pericolo, laddove la sentenza impugnata ha introdotto un concetto di relativizzazione dello stato di abbandono che riconduce il reato alla struttura del pericolo presunto; 2.4 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), alla luce della contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, considerate le argomentazioni e le circostanze esposte con il precedente motivo di ricorso, posto che non sono stati neanche illustrati i criteri logici alla stregua dei quali, pur in presenza delle premesse richiamate, si potesse giungere alla conclusione di sussistenza di una condizione di abbandono; 2.5 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), sotto l'aspetto della illogicita' del ragionamento seguito dalla Corte di merito, le cui affermazioni risultano meramente assertive, oltre che derivanti da applicazione di massime di esperienza generiche e non afferenti al caso di specie: in riferimento all'organizzazione dei mezzi e del personale, infatti, la sentenza impugnata ha operato una valutazione condizionata dal decesso della (OMISSIS), con evidente sillogismo valutativo non sorretto da adeguato criterio logico, non essendo sorretto da elementi ulteriori; a ben vedere, quindi, la Corte di merito conclude per la inidoneita' della struttura in base alla circostanza che l'unica infermiera non fosse "ragionevolmente" in condizione di prendersi cura, contemporaneamente ed adeguatamente, di ben sei ospiti in gravi condizioni, attraverso una massima di esperienza ne' verificata ne' verificabile, sprovvista di verosimiglianza, meramente ipotetica e, quindi, espressione di un giudizio arbitrario, posto che alla valutazione meramente ipotetica formulata potrebbe essere opposta una valutazione meramente ipotetica di segno opposto, ossia che l'unica infermiera fosse in grado di assistere tutti gli ospiti della struttura, dato che ella era risultata persona dedita e capace, come affermato nella stessa sentenza impugnata. La motivazione della Corte territoriale, inoltre, e' connotata da una evidente circolarita' del ragionamento probatorio, posto che si assume come il decesso della (OMISSIS) avrebbe provato la inadeguatezza della struttura, laddove tale condizione avrebbe dovuto essere oggetto dell'accertamento; la valutazione della Corte di merito, inoltre, risulta frutto di valutazione ex post, in base all'evento verificatosi, senza considerare la radicale carenza di ulteriori elementi, quali precedenti eventi avversi; 2.6 violazione di legge, in riferimento all'articolo 40 c.p., articolo 41 c.p., comma 2, articolo 591 c.p., comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto alla sussistenza del nesso causale tra la condotta di abbandono e l'evento, con particolare riferimento alla persona del (OMISSIS), cio' per la specifica causa del decesso della (OMISSIS), individuato dalla Corte di merito in una condizione di forte disidratazione, intervenuta in un arco minimo di due giorni, a far data dal ricovero della paziente presso la struttura "(OMISSIS)"; cio', evidentemente, esclude che la concausa del decesso possa essere ascritta al (OMISSIS), a cui non puo' essere attribuita ne' l'omissione rilevante ne' la prevedibilita' e, quindi, l'evitabilita' dell'evento, posto che risulta indimostrato che il ricorrente potesse sapere o prevedere che alla (OMISSIS) non fosse stata, inopinatamente, somministrata acqua per circa due giorni, anche alla luce dell'operazione elementare e quotidiana della somministrazione di acqua, per cui, attesa la prevedibilita' logica, da parte dell'amministratore della struttura, che l'infermiera (OMISSIS) somministrasse l'acqua con regolarita' agli ospiti, alcuna cautela avrebbe potuto essere adottata dal (OMISSIS) ai fini della evitabilita' dell'evento ovvero della omissione della condotta; cio' senza considerare che tale omissione si sarebbe verificata nell'arco di un tempo minimo di due giorni dal ricovero della (OMISSIS) presso la "(OMISSIS)", arco temporale che ben avrebbe potuto sfuggire anche alla vigilanza del (OMISSIS), che, per le funzioni svolte, certamente non si recava presso la struttura quotidianamente; in altri termini, la decisione adottata risulta assunta in violazione dei parametri normativi di cui agli articoli 40 e 41 c.p. ed in virtu' di una responsabilita' di mera posizione, senza contare che cio' e' avvalorato anche dal fatto che alla (OMISSIS) e' stata ascritta una condotta consistita nel non essersi tempestivamente attivata per provvedere al rapido deterioramento delle condizioni della (OMISSIS), il che dimostra ancor piu' manifestamente come il (OMISSIS) non avrebbe potuto in alcun modo attivarsi per impedire l'evento; 2.7 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione alla sussistenza del nesso di causalita' tra la condotta di abbandono e l'evento morte, certamente non ascrivibile al (OMISSIS) a titolo di colpa, posto che la condizione di disidratazione e' stata individuata come mera concausa del decesso, a fronte delle condizioni complessivamente scadute della (OMISSIS), ampiamente descritte in sentenza; cio' nonostante la Corte di merito ha del tutto omesso di valutare se nell'anamnesi remota della (OMISSIS) fossero presenti sintomi di insufficienza renale cronica, il che sarebbe stato indispensabile per la verifica della genesi dell'insufficienza renale acuta intervenuta, cosi' come nessuna incidenza e' stata data al "marasma senile" pur diagnosticato; complessivamente, quindi, il determinismo causale della morte e' stato individuato nella sola disidratazione della paziente, senza alcuna valutazione delle pregresse e specifiche patologie della stessa, nonostante la consulente della difesa della coimputata (OMISSIS), Dott.ssa (OMISSIS), avesse fatto riferimento alle analisi svolte all'atto del ricovero della (OMISSIS) presso l'ospedale (OMISSIS); cio' emerge di palmare evidenza laddove la sentenza impugnata assume che da almeno quarantotto ore la (OMISSIS) non fosse idratata, salvo poi riconoscere la validita' delle dichiarazioni dibattimentali della (OMISSIS), la quale aveva riferito di aver somministrato acqua alla paziente la sera precedente il ricovero della stessa presso la "(OMISSIS)"; 2.8 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), quanto alla rideterminazione della pena inflitta al (OMISSIS), illogicamente quantificata in relazione alla coimputata (OMISSIS), anch'essa socia della " (OMISSIS) s.r.l.", essendo del tutto assertivo e privo di giustificazione logica la differente gravita' delle condotte a causa di una posizione di maggiore debolezza della (OMISSIS), del tutto indimostrata, alla luce degli accordi intervenuti tra i due soci. 3. (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 3.1 violazione di legge, in riferimento agli articoli 110 e 591 c.p., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito ritenuto sussistente l'elemento psicologico del dolo eventuale del reato di abbandono di incapaci, attribuendo a titolo di responsabilita' oggettiva l'evento morte, attraverso l'elaborazione della categoria della "inidoneita' oggettiva" della struttura, svincolata dai parametri formali della normativa regionale, laddove tutti i dati emersi dall'istruttoria dibattimentale escludono che "(OMISSIS)" fosse manchevole dal punto di vista strutturale ed organizzativo, con conseguente irrilevanza della mancanza di autorizzazioni; in tal senso vanno considerate le deposizioni delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS), assistenti sociali, nonche' dei medici (OMISSIS) e (OMISSIS), che periodicamente si recavano nella struttura, le cui deposizioni sono riportate per stralci in ricorso ed integralmente allegate allo stesso; la circostanza che detti soggetti, dotati di specifiche competenze, non avessero mai rilevato alcunche', anche in costanza del ricovero della (OMISSIS), dimostra l'insussistenza di qualsiasi pericolo per l'incolumita' della predetta, che, quindi, il (OMISSIS) non avrebbe potuto rappresentarsi. La difesa, inoltre, deduce il travisamento della prova testimoniale della Dott.ssa (OMISSIS), assistente sociale che effettuo' la visita ispettiva all'esito del decesso della (OMISSIS), individuando l'idoneita' della stessa ad accogliere pazienti non autosufficienti. Quanto alla (OMISSIS), madre della (OMISSIS), la stessa si recava ad aiutare la figlia per tutta la giornata, diversamente da come rilevato in sentenza, spesso trattenendosi anche per la notte, per cui la (OMISSIS) non era la sola persona presente nella struttura, circostanza da cui, erroneamente, e' stata desunta la consapevolezza del (OMISSIS) di mettere in pericolo la propria madre. Peraltro, emerge dal "Catalogo dei sevizi residenziali, semiresidenziali, territoriali e domiciliari", di cui al Regolamento di attuazione della legge regionale 11/2007, che il servizio nelle strutture per persone non autosufficienti prevede l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici persone non autosufficienti durante il giorno e di un operatore per il servizio notturno. La motivazione della Corte di merito risulta, quindi, carente sotto l'aspetto della dimostrazione dell'inidoneita' organizzativa in concreto, il che incide viepiu' sulla sussistenza dell'elemento psicologico del (OMISSIS), essendo, in ogni caso, indimostrato che egli fosse a conoscenza della presenza della sola (OMISSIS) quale soggetto deputato all'assistenza alle ospiti della struttura; peraltro, il perito prof. (OMISSIS) ha indicato la (OMISSIS) come autonoma o semiautonoma, anche alla luce del livello di assistenza fornitole in precedenza dalla badante, a dimostrazione della compatibilita' tra le condizioni della predetta ed il modulo organizzativo della struttura, non esistendo alcuna documentazione formale che attesti la non autosufficienza della (OMISSIS); in ogni caso, il meccanismo di cui all'articolo 507 c.p.p., attraverso il quale si e' pervenuti all'incarico al prof. (OMISSIS), esclude che si possa prescindere dalle sue conclusioni. Anche la circostanza del licenziamento della badante, (OMISSIS), e' stata valutata senza considerare la documentazione INPS, dimostrativa del fatto che la risoluzione del rapporto di lavoro si fosse verificato solo dopo il decesso della (OMISSIS), essendo stata la predetta (OMISSIS) semplicemente allontanata dall'appartamento, in precedenza, per il pericolo derivante dalle condizioni dell'immobile, che necessitava di urgenti lavori; ancora, e' stato evidenziato come dal testimoniale, con particolare riferimento alla Dott.ssa (OMISSIS), che aveva svolto l'ispezione della struttura dopo il decesso della (OMISSIS), era emerso come, tra la documentazione sanitaria inviata dal (OMISSIS), era presente anche un'attestazione risalente, relativa alla (OMISSIS), che altro non e' se non la cartella clinica del (OMISSIS) del 2008, da cui emergevano le specifiche condizioni della (OMISSIS), a dimostrazione del fatto che effettivamente il (OMISSIS) ebbe a consegnare al (OMISSIS) la documentazione sanitaria relativa alla madre all'atto del ricovero della stessa presso la "(OMISSIS)"; che, poi, il (OMISSIS) conoscesse le condizioni della paziente, affetta da Alzheimer, e' dimostrato da quanto dallo stesso affermato nel corso del suo esame, essendogli stata tale notizia fornita dal (OMISSIS) anche verbalmente, cio' a dimostrazione della perfetta consapevolezza, da parte dei soci della struttura, delle condizioni della (OMISSIS) al momento del ricovero, senza che fosse stata evidenziata alcuna incompatibilita' da parte degli stessi, nonostante la precisa sussistenza di obblighi in tal senso, da parte del responsabile della struttura, come indicato anche dal perito (OMISSIS); il tutto a dimostrazione della radicale insussistenza di elementi a sostegno dell'elemento psicologico del reato, su cui la Corte di merito ha omesso ogni motivazione, nonostante le sollecitazioni difensive, ivi inclusa la mancata opposizione al trasferimento della (OMISSIS) da parte del Giudice tutelare e del fratello del (OMISSIS), nonostante le comunicazioni ricevute. Quanto all'elemento soggettivo, nonostante una memoria difensiva sul punto - il cui contenuto viene illustrato in ricorso in relazione alla linearita' della condotta del (OMISSIS), alla luce delle indicate emergenze dibattimentali - la sentenza non ha affatto affrontato il discrimine tra il dolo eventuale e la colpa cosciente, alla luce dell'insegnamento della Cassazione nel caso ThyssenKrupp, i cui criteri valutativi la difesa illustra in riferimento alla specifica vicenda, al fine di dimostrare come appaia evidente che il (OMISSIS) non avrebbe mai collocato la madre presso la "(OMISSIS)" se fosse stato certo della verificazione della messa in pericolo della stessa; 3.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 41 c.p., comma 2, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito del tutto travisato i dati probatori in riferimento al nesso di causalita', avendo ritenuto errata la diagnosi definitiva di marasma senile, individuata dai medici dell'ospedale (OMISSIS), quanto al decesso della (OMISSIS); la difesa ricostruisce le iniziali emergenze investigative, illustrando come il (OMISSIS) avesse, sin dall'inizio, confutato la tesi dell'abbandono della propria madre presso la struttura, essendo egli immediatamente intervenuto appena saputo delle sue condizioni, ed essendosi recato dapprima alla "(OMISSIS)" e quindi all'ospedale (OMISSIS), senza alcun indugio, come poi ampiamente dimostrato dall'istruttoria dibattimentale illustrata in ricorso; cio' dimostra come i sanitari del (OMISSIS) fossero pienamente a conoscenza delle condizioni della (OMISSIS), anche in quanto riferite dal figlio, per cui mai la loro diagnosi avrebbe potuto essere frutto di fretta e di mancata conoscenza di dati specifici. In ogni caso, come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, la causa della morte e' stata ravvisata unicamente nell'avere la (OMISSIS) omesso di somministrare acqua alla (OMISSIS), salvo poi, pochi righi dopo, aver escluso che la mancata somministrazione di acqua potesse rappresentare una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento letale, in tal modo incorrendo in una palese contraddittorieta'. Seppure si considera la disidratazione l'unica causa del decesso, trattandosi di causa sopravvenuta, non si comprende come potrebbe sussistere il nesso di causalita' con la condotta ascritta al (OMISSIS), trattandosi, tra l'altro, di un evento del tutto non prevedibile o, almeno, sulla cui prevedibilita' la sentenza impugnata e' rimasta del tutto silente; le prove acquisite escludono di ritenere la (OMISSIS) una persona poco attenta alle esigenze delle ospiti della struttura, per cui non si comprende come il (OMISSIS) avrebbe potuto prevedere la dimenticanza della (OMISSIS), risultando, anche alla luce della giurisprudenza di legittimita', la condotta a lui contestata priva di qualsivoglia incidenza sulla produzione dell'evento letale, cio' a prescindere dalla mancata indagine su altre cause della morte, come indicato nei motivi di appello; 3.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 47 c.p., comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito erroneamente escluso che la condotta del ricorrente fosse scriminata per essere egli incorso in errore incolpevole sulla legge extra-penale e, segnatamente, in riferimento alle norme di cui al Regolamento n. 4 del 7 aprile 2014 della Regione Campania e del Catalogo dei servizio residenziali, semiresidenziali, territoriali e domiciliari di cui al regolamento di attuazione della legge regionale n. 11 del 2017, nonche' della delibera della Giunta regionale n. 107 del 2014, pur avendo la Corte territoriale riconosciuto la condivisibilita' dell'impostazione difensiva; cio' nonostante, la sentenza impugnata ha ritenuto che l'addebito a carico del (OMISSIS) non fosse quello di aver collocato la madre in una struttura priva delle prescritte autorizzazioni, ma in una struttura oggettivamente inidonea, al di la' dei requisiti formali, introducendo l'inedita categoria della "inidoneita' oggettiva", peraltro senza chiarire cosa cio' significasse nel caso in esame, dato che e' stata esclusa qualsiasi condizione di degrado della struttura; in realta', l'unico elemento e' costituito dalla circostanza che la (OMISSIS) fosse l'unico soggetto preposto alla cura delle anziane ospiti della struttura, circostanza non solo non vera, ma soprattutto non nota al (OMISSIS), non essendo stata in alcun modo dimostrata tale sua consapevolezza, essendo, al contrario, emerse dal dibattimento circostanze di segno opposto; in ogni caso, se la carenza di personale fosse stato il vulnus della struttura, cio' integrerebbe una carenza normativa che consentirebbe l'applicazione dell'articolo 47 c.p., comma 3; infine, non va dimenticato che la normativa regionale richiamata, nella parte dedicata alle comunita' di persone non autosufficienti, preveda l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici assistiti durante il giorno e di un solo operatore ogni sedici assistiti durante il turno notturno, il che rende evidente come la presenza della sola (OMISSIS) non fosse affatto al di fuori della regola di settore; peraltro, l'istruttoria dibattimentale ha ampiamente dimostrato come il (OMISSIS) ignorasse i precetti normativi in tema di autonomia e semiautonomia e la disciplina di settore in tema di autorizzazione delle strutture di accoglienza di tali soggetti, essendo, quindi, evidente l'errore scusabile sulla norma extra-penale, come dimostrato dalle stesse deposizioni del prof. (OMISSIS) e del Dott. (OMISSIS) sul punto; 3.4 inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento alla L. n. 24 del 2017, articolo 15, articolo 507 c.p.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), avendo la difesa avuto modo con i motivi di appello di rappresentare come, nel caso di specie, la richiamata disposizione del 2017 imponesse la nomina di un collegio peritale e non di un solo perito, circostanza su cui il fugace passaggio motivazionale della sentenza contrasta con quanto affermato dall'ordinanza n. 12593 della Terza Sezione Civile della Cassazione, con conseguente nullita' della perizia, apparendo evidente dalla stessa formulazione del quesito come, nel caso in esame, si versasse proprio in un caso di responsabilita' sanitaria; tanto premesso, il meccanismo di conferimento dell'incarico, ai sensi dell'articolo 507 c.p.p., rende evidente l'indispensabilita' dell'apporto del perito, sicche' la nullita' della perizia non puo' che coinvolgere l'accertamento nel suo complesso; 3.5 mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera d), in riferimento al quarto motivo di gravame, in quanto la difesa aveva, nella propria lista testi, indicato coloro i quali avrebbero deposto sui lavori da effettuarsi all'interno dell'appartamento della (OMISSIS), che ne avevano reso indispensabile il trasferimento altrove; a tali testi la difesa aveva rinunciato, all'udienza del 19/02/2019, su invito del Presidente del Collegio di primo grado, ritenendo la circostanza gia' sufficientemente provata; alla luce delle motivazioni della sentenza di primo grado sul punto, la difesa aveva, quindi, richiesto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per produrre documentazione pertinente alla dimostrazione della indicata circostanza, richiedendo, altresi', l'esame dei testi; l'ordinanza di rigetto da parte della Corte di merito si basa sulla circostanza che la rinuncia difensiva non sarebbe stata motivata dalle ragioni indicate dalla difesa medesima, alla luce del verbale stenotipico dell'udienza del 07/05/2019, avendo, quindi, la Corte territoriale erroneamente individuato l'udienza di primo grado alla luce della quale avrebbero dovuto essere verificate le deduzioni difensive; cio' senza contare che la Corte di merito, del tutto contraddittoriamente, ha motivato la carenza di prove circa l'indifferibilita' e l'urgenza dei lavori da eseguirsi nell'appartamento abitato dalla (OMISSIS), da cio' desumendo la non temporaneita' di tale trasferimento, ulteriore elemento su cui risulta fondato il convincimento che il (OMISSIS) volesse definitivamente liberarsi della presenza dell'anziana madre. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sono fondati e vanno, pertanto, accolti. 1. Come evidenziato dalla sentenza impugnata, la vicenda processuale e' stata originata dal decesso presso l'ospedale (OMISSIS), in data (OMISSIS), della (OMISSIS) (OMISSIS), che dal precedente (OMISSIS) era alloggiata presso la struttura residenziale per anziani "(OMISSIS)", di cui era legale rappresentante (OMISSIS); la (OMISSIS), affetta da sindrome di Alzheimer ed incapace di attendere alle ordinarie occupazioni della vita, aveva sino al trasferimento, vissuto presso la sua abitazione, dove era assistita da una badante rumena, (OMISSIS), ed era, quindi, stata collocata presso la struttura per anziani su iniziativa del figlio, (OMISSIS). Presso la "(OMISSIS)" l'anziana era stata affidata alle cure di (OMISSIS), infermiera e socia della struttura; in data (OMISSIS) proprio la (OMISSIS) aveva effettuato una segnalazione al 118, a seguito della quale l'anziana donna era stata trasportata dapprima presso la clinica (OMISSIS), e da qui trasferita subito dopo all'ospedale (OMISSIS), dove era deceduta. Appare opportuno premettere, altresi', che la sentenza impugnata ha ricordato come, nel caso in esame, non ci si trovasse in presenza di una situazione, non infrequente nella casistica giudiziaria, di un'anziana lasciata in totale balia di se' stessa, in condizioni igieniche o sanitarie pessime, se non addirittura sottoposta a maltrattamenti; al contrario, la struttura coinvolta, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, era accogliente, connotata da livelli assistenziali ed igienici del tutto adeguati, le ospiti erano circondate da un clima conviviale ed affettuoso, grazie proprio all'attivita' di (OMISSIS). Tale struttura, tuttavia, era risultata priva delle necessarie autorizzazioni, essendo stato accertato che il (OMISSIS), nel 2014, aveva richiesto l'autorizzazione ad operare come "Gruppo appartamento" - ossia, secondo la normativa regionale di riferimento, come servizio residenziale per soggetti autonomi e semiautonomi che non necessitano di assistenza sanitaria continuativa ed optano per una forma di convivenza -, laddove le ospiti della struttura erano tutte non autonome, tanto e' vero che, dopo le verifiche disposte da parte delle competenti autorita' nel gennaio 2017, era intervenuta un'ordinanza sindacale con cui si disponeva l'immediata cessazione dell'attivita'. La sentenza impugnata, pur dando atto delle soddisfacenti condizioni igieniche ed assistenziali della struttura, ha, tuttavia, individuato un contesto di grave carenza organizzativa nel funzionamento della struttura, in quanto (OMISSIS), pur vivendo nell'appartamento, era preposta da sola all'assistenza delle ospiti, non essendo presente nessun altro dipendente, tranne la madre, (OMISSIS), che era stata puericultrice prima del pensionamento, la quale saltuariamente collaborava con la figlia nelle pulizie della struttura e nella cucina, senza prestare alcuna assistenza alle anziane ospiti. La Corte di merito ha quindi ritenuto che, sebbene la (OMISSIS) avesse esperienza nell'assistenza agli invalidi e fosse indubbiamente animata da spirito di sacrificio e dedizione al lavoro, non potesse garantire da sola un adeguato livello assistenziale alla (OMISSIS) ed alle altre cinque anziane non autosufficienti. Quanto alla causa della morte della (OMISSIS), la Corte di merito ha individuato un arresto cardiaco da insufficienza renale acuta, conseguente a sindrome da disidratazione e sofferenza multiorgano terminale in soggetto affetto da morbo di Alzheimer e vasculopatia cerebrale; proprio il forte stato di disidratazione da cui l'anziana era risultata affetta, avevano indotto i sanitari della clinica "(OMISSIS)", dove ella era stata condotta, a trasferirla dopo poche ore all'ospedale (OMISSIS), dove era deceduta. Secondo la sentenza impugnata, tale grave stato di disidratazione era insorto nel periodo minimo di quarantotto ore trascorso presso la "(OMISSIS)", dove, evidentemente, la (OMISSIS) non era stata adeguatamente e sufficientemente idratata, cio' in conseguenza della deficitaria organizzazione della struttura stessa, ossia dell'affannoso e pesante contesto in cui operava la (OMISSIS) che, pressata dalle continue esigenze anche delle altre pazienti, in una situazione climatica caratterizzata da elevate temperature, aveva omesso di dare da bere all'anziana con la dovuta frequenza. Cio' era stato, peraltro, ammesso dalla stessa (OMISSIS), la quale aveva ricordato di aver dato da bere alla (OMISSIS) la sera precedente, ma non anche la mattina in cui, poi, le condizioni della donna si erano aggravate, al punto da richieder l'intervento del 118. Cio' premesso, e rilevato che (OMISSIS) risulta condannata con pronuncia irrevocabile, non avendo formulato ricorso per cassazione avverso la sentenza in esame, vanno esaminate le posizioni degli attuali ricorrenti. Per (OMISSIS), la Corte di merito ha ritenuto che egli avesse consapevolmente accettato di accogliere presso la struttura, di cui era socio e legale rappresentante, la (OMISSIS), madre di un suo amico, essendo conscio delle condizioni di non autosufficienza dell'anziana e del modulo organizzativo non adeguato della "(OMISSIS)", laddove (OMISSIS), figlio della persona offesa, aveva sradicato la madre dalla casa in cui viveva, recidendo drasticamente il legame con la badante che l'aveva accudita per anni, per collocarla in una struttura della cui inidoneita', alla luce delle indicate circostanze, egli era ben consapevole. 2. Tanto premesso quanto alla ricostruzione della vicenda, occorre anzitutto sottolineare come non vi e' dubbio che i beni giuridici protetti dalla disposizione di cui all'articolo 591 c.p. siano la vita e l'incolumita' individuale, e che scopo dell'incriminazione sia quello di proteggere particolari categorie di soggetti che, per eta' o per altre cause individuate dal legislatore siano esposte ai pericoli, contro l'abbandono da parte di chi e' tenuto ad averne cura. La giurisprudenza di legittimita' ha piu' volte affermato che ai fini della configurabilita' del reato in esame, la condotta di "abbandono" e' integrata da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumita' del soggetto passivo (tra le piu' recenti: Sez. 1, n. 5 del 11/05/2021, dep. 03/01/2022, S., Rv. 282481). In sostanza, quindi, la tutela della vita e dell'incolumita' personale, nell'ambito della struttura del reato, passa attraverso la violazione di un obbligo assistenziale o di custodia; infatti, in tutte le ipotesi di abbandono previste dalla norma in esame la condotta non deve essere diretta a ledere l'incolumita' personale o la vita del soggetto passivo, in quanto, se tale volonta' sussistesse, sia pure nella forma del dolo eventuale, e l'abbandono costituisse niente altro che un mezzo per realizzarla, si ricadrebbe nelle fattispecie delle lesioni personali volontarie o dell'omicidio. Puo', quindi, convenirsi sul fatto che l'essenza del delitto consista nell'abbandono del minore o del soggetto altrimenti incapace, caratterizzato dalla volonta' di sottrarsi esclusivamente ad un obbligo di cura o di custodia derivante dalla legge o da un particolare rapporto giuridico, essendo, quindi, necessario che il soggetto attivo del reato si trovi in un rapporto col soggetto passivo dal quale derivi un tale obbligo. Il concetto di "abbandono", quindi, presuppone il cessare di una relazione di cura o di assistenza tra l'agente ed il soggetto passivo. Tale precisazione appare necessaria, in quanto la condotta di abbandono non ha, nel diritto penale, la stessa valenza che essa riveste nel linguaggio comune, in cui implica un distacco, una separazione materiale tra due soggetti, mentre la condotta penalmente rilevante non e' integrata da ogni distacco: il concetto di abbandono implica, come evidenziato dalla dottrina, un giudizio di valore, "una valutazione della condotta con cui ci si distacca, anzi una valutazione che investe il fine e la pericolosita' della condotta". La giurisprudenza di legittimita', non a caso, ha concentrato la propria attenzione sulla pericolosita' che deve connotare la semplice separazione materiale, per cui l'abbandono penalmente rilevante e' quello pericoloso, idoneo, cioe', a porre il minore o l'incapace in una situazione di pericolo per la sua incolumita'. Pertanto, il pericolo, pur se non richiamato espressamente dalla norma, deve essere considerato requisito della fattispecie senza che, invece, sia richiesta la sussistenza di alcun particolare malanimo da parte del soggetto agente (tra le altre, Sez. 5, n. 27705 del 29/05/2018, Rv. 273479; Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012, dep. 08/03/2013, T. e altro, Rv. 255173; Sez. 5, n. 19476 del 25/02/2010, Verdano e altro, Rv. 247305; Sez. 5, n. 337 del 24/10/1980, dep. 22/01/1981, Saccone, Rv. 147371; Sez. 5, n. 12941 del 04/07/1978, Silecchia, Rv. 140268; Sez. 5, n. 8180 del 05/04/1974, Giannini, Rv. 128371). Tale opzione ermeneutica, peraltro, non solo trova fondamento nella previsione di aggravamenti di pena in caso di morte o di lesione della vittima, ma, richiedendo la pericolosita' della condotta, ai fini della configurabilita' del delitto di cui all'articolo 591 c.p., consente di orientare la fattispecie in coerenza con il principio di offensivita'. Ne consegue, pertanto, che il dolo debba avere ad oggetto, oltre che l'eta' minore o lo stato di incapacita' del soggetto passivo e l'obbligo giuridico di cura ed assistenza verso il medesimo, anche lo stato di pericolo a cui viene esposto tale soggetto in conseguenza dell'abbandono. Il dolo, quindi, corrisponde alla volonta' libera e cosciente non solo di abbandonare la persona incapace di provvedere a se' stessa e nei confronti della quale si abbia uno specifico obbligo di assistenza o di cura, ma altresi' nella coscienza del pericolo, ovvero nella previsione che la condotta dell'agente determini una possibilita' di danno per la vita o per l'incolumita' della persona abbandonata. Ovviamente la declinazione dell'elemento soggettivo puo' essere inquadrata anche nel dolo eventuale, quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilita' del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumita' fisica di quest'ultimo, persista nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi (Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan e altri, Rv. 271431). 3. Nel caso di (OMISSIS), quindi, il dovere di custodia di cui egli era titolare, scaturente dal suo ruolo di socio e legale rappresentate della struttura e dall'avervi accolto l'anziana, deve essere specificamente considerato, in relazione alla condotta a lui ascritta. Senza alcun dubbio, nel caso in esame, tale dovere aveva fonte contrattuale, in coerenza con quanto piu' volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (per tutte: Sez. 5, n. 18448 del 12/01/2016, Corbascio, Rv. 267126, che, in motivazione ha specificato: "Del resto, anche semanticamente occorre puntualizzare che con il termine "custodia" - riferibile prevalentemente a soggetti minori d'eta' ovvero agli anziani non autosufficienti - si deve intendere una sorveglianza diretta ed immediata, mentre la nozione di "cura" si riferisce invece a soggetti adulti di regola capaci di provvedere a loro stessi ma che versano in concreto, per ragioni contingenti, in situazioni di debolezza o di pericolo (ad esempio un alpinista inesperto affidato alla cura di una guida alpina) e che pertanto necessitano di prestazioni e di cautele protettive. Deve pertanto ritenersi che la relazione di custodia potra' sorgere non solo per l'adempimento di un obbligo giuridico formale, ma anche per spontanea assunzione da parte del soggetto agente o per effetto di una mera situazione di fatto tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di controllo e di disponibilita' del soggetto attivo. Peraltro, accedendo ad una esegesi sistematica delle norme in esame, puo' anche ritenersi che il soggetto attivo del delitto di abbandono ex articolo 591 c.p. possa essere accostato al soggetto attivo dei reati omissivi impropri di cui all'articolo 40 c.p., comma 2, con la possibilita' di richiamare anche qui quella interpretazione giurisprudenziale sulla nozione di "posizione di garanzia" formatasi negli ultimi anni e che individua tra le fonti della detta posizione anche il cd. "contatto sociale" (Cass., Sez. 4, 22 maggio 2007, n. 25527, Conzatti; Cass., Sez. 4, 5 aprile 2013, n. 50606, Manca)."). Cio' che, per la verita', la sentenza impugnata non ha chiarito in maniera adeguata ed esaustiva e' l'individuazione del contenuto del dovere di custodia in capo al (OMISSIS), non risultando affatto chiarito quale norma cautelare specifica riferita alla posizione di garanzia rivestita - egli abbia violato, ed in quali termini da tale violazione sia derivata una condizione di abbandono dell'anziana. Tale questione appare di rilievo decisivo, posto che nella presente sede non si discute della responsabilita' civile, ma della responsabilita' penale per un delitto punto a titolo di dolo. In ambito civile, infatti, le Sezioni Unite hanno chiarito come il complesso ed atipico rapporto che si instaura tra la casa di cura ed il paziente non si esaurisce nella mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera, ma consiste nella messa a disposizione del personale medico ausiliario e di quello paramedico, nonche' nell'apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze, con conseguente, autonoma e diretta responsabilita' della casa di cura ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico (Sez. U, n. 9556 del 01/07/2002, Rv. 555494; in tal senso anche Sez. 3, n. 13066 del 14/07/2004, Rv. 574562, in cui si e' chiarito come il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura privata ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo, che puo' essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente, insorgono a carico della casa di cura, obblighi di vario tipo, come individuati dalle Sezioni Unite). In altri termini, la responsabilita' della casa di cura nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e puo' conseguire, ai sensi dell'articolo 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonche', ai sensi dell'articolo 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione professionale svolta direttamente dal personale sanitario, quale ausiliario necessario, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, sussistendo comunque un collegamento tra la prestazione effettuata e l'organizzazione aziendale. Inoltre, va ricordato che, del tutto pacificamente, in tema di accertamento del nesso causale nella responsabilita' civile, qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralita' di cause, i criteri che si applicano sono quelli della "probabilita' prevalente" e del "piu' probabile che non", sicche' il giudice di merito e' tenuto, dapprima, ad eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili, quindi analizzare le rimanenti ipotesi ritenute piu' probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo cosi' la veste di probabilita' prevalente (tra le piu' recenti: Cass. civ., Sez. 3, n. 25884 del 02/09/2022, Rv. 665948; Sez. 1, ordinanza n. 18584 del 30/06/2021, Rv. 661816). In sede penale, invece, si tratta di accertare la sussistenza di un reato e l'individuazione del suo autore, il che - ed appare veramente superfluo sottolinearlo - involge un accertamento che si fonda sul raggiungimento di una prova che consenta una condanna al di la' di ogni ragionevole dubbio. Nel caso in esame non vi e' dubbio che la sentenza impugnata abbia pacificamente dato atto delle soddisfacenti condizioni della struttura (pag. 15 della motivazione), alla luce del testimoniale, affermando, pero', che "l'abbandono in contestazione non inerisce alla trascuratezza igienica dei locali ne' si ipotizzano contestualmente ad esso maltrattamenti di alcun tipo. Del garbo e della disponibilita' nei confronti delle ospiti palesato dalla (OMISSIS) non vi e' motivo di dubitare ma tale atteggiamento non vale ad escludere il complessivo contesto di grave carenza organizzativa nel funzionamento della casa...", consistente nel fatto che la (OMISSIS) fosse l'unica persona a prendersi cura della sei anziane ricoverate, onere lavorativo gravosissimo, svolto senza alcuna interruzione. In sostanza, la Corte di merito ha posto a carico del (OMISSIS) la violazione di un obbligo di protezione di natura contrattuale, concretatosi nel mancato rispetto di una massima di esperienza, ossia quella secondo la quale l'assistenza fornita dalla sola (OMISSIS), nonostante la sua indiscussa professionalita', fosse insufficiente ed inadeguata. Quindi, al (OMISSIS) sarebbe ascrivibile non solo una condotta attiva - consistita nell'aver aderito alla richiesta di ricovero dell'anziana presso una struttura che egli sapeva carente - ma anche una condotta omissiva - consistente nel non aver posto rimedio a tali carenze. Specularmente, al figlio della anziana, (OMISSIS), sarebbe ascrivibile una condotta attiva - consistita nell'aver trasferito la madre in detta struttura, sottraendola al contesto cui ella era abituata - ed una condotta omissiva consistita nel non essersi preventivamente accertato delle condizioni assistenziali della struttura stessa. Anche a carico del (OMISSIS), quindi, la responsabilita' discenderebbe dalla violazione di un obbligo di assistenza e di cura discendente dal rapporto di filiazione, riconducibile, in concreto, alla medesima massima di esperienza applicata anche in riferimento al (OMISSIS). Cosi' inquadrata la questione che costituisce lo snodo centrale della contestazione, su tale aspetto occorre ricordare come, metodologicamente, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata se non puo' estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, puo', tuttavia, avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilita' (Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 30/04/2021, P.G. c. Romano Eric, Rv. 281385). Trattasi di un approdo ermeneutico risalente e consolidato, che trova, tra le altre, un autorevole precedente in Sez. 6, n. 31706 del 07/03/2003, P.G. in proc. Abbate ed altri, Rv. 228401, secondo cui "Il controllo della Corte di cassazione sui vizi di motivazione della sentenza di merito, sotto il profilo della manifesta illogicita', non puo' estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza del quale il giudice abbia fatto uso nella ricostruzione del fatto, purche' la valutazione delle risultanze processuali sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l'osservanza dei canoni logici che presiedono alla forma del ragionamento, e la motivazione fornisca una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. Ne consegue che la doglianza di illogicita' puo' essere proposta quando il ragionamento non si fondi realmente su una massima di esperienza (cioe' su un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma autonomo da esse, e valevole per nuovi casi), e valorizzi piuttosto una congettura (cioe' una ipotesi non fondata sullo "id quod plerumque accidit", insuscettibile di verifica empirica), od anche una pretesa regola generale che risulti priva, pero', di qualunque e pur minima plausibilita'." (in senso conforme: Sez. 4, n. 8825 del 27/05/1993, P.M. in proc. Rech, Rv. 196428; Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990, Grilli ed altri, Rv. 186149; Sez. 1, n. 9242 del 04/02/1988, Barbella, Rv. 179165). Il citato orientamento, quindi, non solo ascrive le massime di esperienza alle regulae juris che preesistono al giudizio, ma consente di differenziare tra massima di esperienza e mera congettura: nel primo caso il dato e' stato gia', o viene comunque, sottoposto a verifica empirica - il che consente il ricorso alla formula dell'id quod plerumque accidit -, mentre nel secondo caso tale verifica non vi e' stata, ed essa resta affidata ad un nuovo calcolo di possibilita', sicche' la congettura rimane insuscettibile di verifica empirica e quindi di dimostrazione. Tale impostazione, ovviamente, deve essere inquadrata nella struttura del giudizio che viene formulato a conclusione del processo penale, che non puo' mai essere di probabilita', ma di certezza. Nella vicenda in esame risulta del tutto pacifico che fino al momento del decesso della (OMISSIS) nessuna situazione critica si fosse verificata in relazione alle modalita' di assistenza alle altre anziane ricoverate, le cui condizioni di accudimento, al contrario, risultavano del tutto adeguate al loro rispettivo stato di salute, come dimostrato dall'istruttoria dibattimentale che, sul punto, ha escusso non solo i familiari delle altre ospiti, ma anche i medici e le assistenti sociali, non dipendenti della struttura, che ivi si recavano ad effettuare i controlli. Da cio' deriva un primo errore metodologico da parte della Corte di merito, consistente nell'aver ritenuto l'inadeguatezza della struttura unicamente sulla base dell'evento verificatosi, con evidente valutazione ex post, laddove, al contrario, tale valutazione avrebbe dovuto essere operata ex ante. La Corte di merito, in altri termini, avrebbe dovuto evidenziare specifiche circostanze, preesistenti all'aggravarsi delle condizioni della (OMISSIS), in se' idonee a delineare, con giudizio ex ante, carenze strutturali e/o assistenziali note al (OMISSIS) o, comunque, rientranti nella sua sfera di controllo e valutabili alla luce di una o piu' verificate massime di esperienza. In particolare, sarebbe stato necessario che la valutazione delle risultanze processuali fosse stata svolta in base ad un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze autonome da esso e valevole per nuovi casi. Cio' a maggior ragione se - come dimostrato dalla difesa attraverso la produzione delle disposizioni normative vigenti presso la Regione Campania in tema di strutture assistenziali per persone non autosufficienti - il servizio presso tali strutture prevede l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici persone non autosufficienti durante il giorno e di un operatore per il servizio notturno, risultando, quindi, evidente, come, in base ai criteri elaborati nello specifico settore, sulla scorta delle esperienze maturate, un'infermiera professionale ben poteva adeguatamente assistere sei persone anziane non autosufficienti, pur non disponendo, durante l'arco temporale di riferimento, di un assiduo aiuto. In tal senso, quindi, appare evidente come la Corte di merito abbia operato una confusione rilevante, in termini di inquadramento normativo e di conseguente svolgimento argomentativo, tra la nozione di massima di esperienza e quella di congettura, omettendo di chiarire sulla scorta di quale inferenza epistemologica si fosse pervenuti alla individuazione della massima di esperienza applicata nella specie. Perche' il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame il valore di prova, e', quindi, necessario che si possa escludere plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile, laddove, in caso contrario, il dato rappresenta solo un criterio di plausibile valutazione, ma non un elemento di prova autosufficiente, risultando necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile; cio' in quanto il concetto di "probabilita' logica" esprime il concetto secondo cui la constatazione del regolare ripetersi di un fenomeno non ha significato solo sul terreno statistico, ma contribuisce ad alimentare l'affidamento sulla plausibilita' della generalizzazione desunta dalla osservazione dei casi passati (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103; Sez. 6, n. 16532 del 13/02/2007, Cassandro, Rv. 237145; Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 08/02/2005, P.G. in proc. Sala e altri, Rv. 230873; Sez. 6, n. 4668 del 28/03/1995 Layne ed altri, Rv. 201152). Non si comprende, quindi, sulla scorta di quale criterio di inferenza scientifica la sentenza impugnata abbia considerato massima di esperienza l'affermazione secondo cui una sola infermiera, di indiscusse capacita' professionali, non possa adeguatamente occuparsi, anche da sola e continuativamente, di un numero limitato di pazienti non autosufficienti e non richiedenti cure mediche specifiche e/o specialistiche, posto che sino al momento del decesso della (OMISSIS) non si era emersa alcuna problematica riferibile a tale modulo assistenziale. Sotto tale aspetto, infatti, non puo' non considerarsi come la (OMISSIS) fosse stata assistita, anche presso la propria abitazione, da una sola persona, (OMISSIS), che, peraltro, non aveva competenze specifiche. Presso la "(OMISSIS)", inoltre, non risultano emerse condizioni di degrado fisico cui era stata sottoposta la (OMISSIS), che, invece, era stata adeguatamente assistita in riferimento alle sue specifiche condizioni, fino al momento in cui si era verificata la mancata somministrazione di sufficienti liquidi, vicenda cronologicamente limitata ad un arco temporale di quarantotto ore precedenti al ricovero. In tal senso, quindi, si palesa anche il vizio di illogicita' della motivazione sotteso al ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, che, alla luce della emergenze probatorie evidenziate - con particolare riferimento sia alla mancanza di fatti pregressi che avessero evidenziato una inidoneita' e/o una carenza della scelta assistenziale praticata, sia quanto alla coerenza del modulo adottato ai parametri della normativa regionale di settore - non ha fornito una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. La concreta condotta di abbandono di cui e' stata ritenuta responsabile (OMISSIS), in altri termini, non implica alcun automatismo in termini di disfunzioni organizzative ascrivibili al (OMISSIS) e, tantomeno, al (OMISSIS). In tal senso, infatti, la sentenza impugnata confonde, palesemente, il dato rappresentato dalla carenza di autorizzazione amministrativa della struttura, nonche' quello relativo alla situazione di non autosufficienza della (OMISSIS), con il diverso piano inerente alla indimostrata carenza strutturale ed organizzativa su cui avrebbe dovuto fondarsi la condotta consapevole e volontaria di abbandono penalmente rilevante. Cio', peraltro, senza porsi minimamente il dubbio un possibile inquadramento della vicenda in un'ottica colposa. 4. A tali considerazioni, inoltre, va aggiunto il rilievo concernente la totale carenza - non a caso - di un'adeguata motivazione circa l'indagine concernente il nesso di causalita' tra le condotte ascritte agli imputati e l'abbandono verificatosi, oltre che in relazione all'elemento soggettivo del reato, ossia al dolo. Prima ancora di analizzare le cause del decesso dell'anziana, la sentenza avrebbe dovuto chiaramente individuare la condotta di abbandono, causalmente rilevante, ascrivibile al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), senza alcuna sovrapposizione della posizione di costoro con il profilo concernente la condotta di (OMISSIS). Nell'ottica di un delitto punibile a titolo di dolo, quale la fattispecie di cui all'articolo 591 c.p., l'evento deve essere preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. La condizione di abbandono, quindi, prima ancora dell'evento morte, non puo' costituire un accadimento accidentale, ma una conseguenza che dipende dal consapevole attivarsi od omettere. Si deve, quindi, ribadire come il dolo del delitto in esame e' generico, potendo assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilita' del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumita' fisica di quest'ultimo, persista nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi (Sez. 5, n. 44657 del 21/10/2021, L., Rv. 282173; Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan e altri, Rv. 271431). Nel delitto doloso cio' che va specificamente valorizzato e' l'aspetto della volonta', il che consente di ricomprendere in tale cornice ricostruttiva anche le situazioni in cui l'evento, senza essere intenzionalmente perseguito, venga posto in correlazione causale con la propria azione e, proprio per questa ragione, voluto - come conseguenza nel momento stesso in cui l'agente decide di porla in essere, conscio del risultato che ne puo' derivare. In tal modo appare possibile consentire, anche in riferimento al dolo eventuale, di cogliere in esso un atteggiamento psichico assimilabile a quello propriamente volontaristico. Inoltre, posto che la rilevanza penale della condotta attiva o omissiva discende dal costituire una condizione necessaria nella sequenza degli antecedenti che hanno determinato la produzione del risultato, senza la quale l'evento del reato non si sarebbe verificato, la sentenza impugnata appare manifestamente carente anche in relazione all'efficacia causale delle condotte ascritte agli imputati, dato che, seppure la massima di esperienza utilizzata fosse condivisibile - cosa che non e' -, cio' non avrebbe comunque consentito di dedurre automaticamente l'esistenza del nesso causale, poiche' il giudice di merito deve verificare la validita' della regola in riferimento al caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e delle evidenze disponibili, in modo che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresi' escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta degli imputati sia stata condizione necessaria dell'abbandono con alto o elevato grado di credibilita' razionale o probabilita' logica. L'insufficienza, la contraddittorieta' o l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta, rispetto ad altri fattori interagenti, comportano, in definitiva, la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa, in quanto lo standard probatorio richiesto in riferimento alla sussistenza del nesso causale non segue un regime differente rispetto agli altri elementi costitutivi del reato. Sotto tale aspetto, quindi, appare il caso di richiamare quanto gia' affermato da questa Corte in tema di differenza tra il reato di maltrattamento e quello di abbandono di incapaci, laddove e' stato ricordato come le reiterate e gravi carenze di cure ed assistenza a persone anziane non autosufficienti, pur potendo configurare il reato di maltrattamenti, non integra di per se' il diverso reato di abbandono di incapaci, per la cui configurabilita' e' necessario l'accertamento di una condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumita' del soggetto passivo (Sez. 6, n. 12866 del 25/01/2018, M., Rv. 27273). Nell'esaminare tale specifica vicenda appare evidente, peraltro, come la Corte di merito abbia del tutto pretermesso di valutare il possibile inquadramento delle condotte in fattispecie colpose. Quanto al (OMISSIS), la motivazione della sentenza impugnata - e ancor piu' di quella di primo grado - appaiono evidentemente incentrate sulla negativa valutazione della condotta del predetto, che "non ebbe alcuna remora non solo a sradicare l'anziana dall'ambiente in cui viveva da sempre, ma a recidere drasticamente il suo consolidato rapporto con la badante che da tanti anni l'accudiva, non premurandosi neanche di avvertire quest'ultima che da un momento all'altro avrebbe perso il lavoro, facendole trovare al ritorno dalla spesa sinanche rimossi il letto ed il materasso su cui la madre dormiva e imponendole la pronta restituzione delle chiavi di casa. Neanche si premuro' di assicurare, per attutire il distacco che andava operando, che almeno per qualche giorno la (OMISSIS) continuasse ad incontrare la signora, tacendole sinanche l'indirizzo della casa di riposo ove veniva trasportata, alla quale la donna riusci' ad arrivare solo tramite le indicazioni telefoniche del figlio di (OMISSIS) per venirne poi praticamente cacciata visto che l'imputato aveva disposto che non fossero consentite visite di soggetti diversi dai parenti." Appare appena il caso di ricordare come ogni valutazione concernente la condotta umana da punto di vista etico non spetta ne' a questa Corte ne' ai giudici di merito che, al di la' delle affermazioni pur effettuate (pag. 26 della sentenza impugnata), non sembrano aver non solo adeguatamente affrontato le problematiche giuridiche sin qui esposte, ma non hanno neanche ritenuto di dare spazio alle argomentazioni difensive. In tal senso del tutto immotivato appare il diniego di acquisizione della documentazione richiesta dalla difesa del (OMISSIS); seppure, infatti, non appare illogico il rigetto, da parte della Corte territoriale, di rinnovare l'esame dei testi a cui la difesa aveva rinunciato in primo grado, del tutto privo di ogni aggancio motivazionale appare il diniego di acquisire la documentazione avente ad oggetto i lavori da eseguire all'interno dell'appartamento della (OMISSIS). Premesso, infatti, che trattasi di documenti, come tali acquisibili ai sensi dell'articolo 234 c.p.p. senza alcuna limitazione, la Corte di merito sicuramente avrebbe potuto approfondire la sussistenza di circostanze alla stregua delle quali considerare l'elemento soggettivo dell'imputato, salva, in concreto, ogni valutazione della irrilevanza della documentazione acquisita. Ed infatti, la decisione di (OMISSIS) di sistemare la madre presso una struttura, per quanto possa apparire umanamente non condivisibile o, addirittura riprovevole, alla luce delle condizioni di assistenza di cui godeva la (OMISSIS) presso la propria abitazione, non consente automaticamente di configurare a fattispecie di abbandono di incapaci, posto che nessun rilievo e' stato dato, ad esempio, all'eventuale aggravamento delle condizioni di salute della (OMISSIS) come conseguenza del trasferimento, circostanza che non appare affatto approfondita dall'istruttoria dibattimentale; ne', per la verita', appare presa in considerazione la possibilita' che il (OMISSIS) abbia agito in maniera imprudente o superficiale. In realta', dal punto di vista logico, prima ancora che giuridico, le sentenze di merito avrebbero dovuto individuare la condizione di abbandono specificamente verificatasi, ancor prima di approfondire la causa del decesso della (OMISSIS), posto che tale evento era, in ipotesi, scaturito dall'abbandono. Una volta individuata, con giudizio ex ante, la condizione di abbandono, sarebbe stato necessario verificare se ed in che misura la stessa fosse causalmente collegata alle condotte - attive e/o omissive - ascritte al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), nelle loro rispettive posizioni di garanzia scaturenti dagli obblighi di custodia di cui erano titolari, passando, poi, a scandagliare in maniera adeguata la sussistenza dell'elemento soggettivo anche sotto l'aspetto di un rimprovero da inquadrare nella categoria della colpa. Al contrario, la Corte di merito, sulla base di un percorso metodologico del tutto carente ed illogico - basato su una indimostrata massima di esperienza - ha asserito la sussistenza di non meglio specificate violazioni di doveri di custodia, senza approfondire, se non attraverso affermazioni apodittiche, l'elemento soggettivo del delitto di abbandono di incapaci e la sussistenza del nesso di causalita' tra le condotte ascritte ad (OMISSIS) ed a (OMISSIS) e la verificazione della condizione di abbandono. In tal senso, quindi, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli che, nella piena liberta' della valutazione delle risultanze processuali, si atterra', nondimeno, ai principi di diritto sin qui illustrati. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RICCIARELLI Massimo - Presidente Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. GIORGI Maria Silvi - Consigliere Dott. VIGNA Maria S. - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Ente Acque della Sardegna; nel procedimento a carico di: Consorzio stabile (OMISSIS) s.c.a r.l. in liquidazione; avverso il decreto emesso il 22/11/2022 dal Tribunale di Roma; visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Venegoni Andrea, che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Roma respingeva l'opposizione proposta dall'Ente Acqua Sardegna, avverso l'esclusione del proprio credito dallo stato passivo predisposto nell'ambito del procedimento di prevenzione instaurato nei confronti del Consorzio (OMISSIS) s.c.a r.l.. Il credito azionato era maturato nell'ambito del contratto di appalto stipulato dalla ricorrente con il Consorzio, dopo l'intervenuta risoluzione e l'incameramento della cauzione prestata dalle (OMISSIS) s.p.a. A seguito della risoluzione, l'ente appaltante instaurava un giudizio civile volto ad accertare la risoluzione di diritto del contratto, nel quale la (OMISSIS) s.p.a. si costituiva chiedendo l'illegittimita' dell'escussione della cauzione; successivamente l'ente definiva la controversia con la (OMISSIS) s.p.a., per effetto della quale quest'ultima versava l'importo della cauzione ed, al contempo, cedeva all'Ente Acque Sardegna il credito derivante dal diritto di rivalsa nei confronti del Consorzio. Nel giudizio di prevenzione, l'Ente Acque Sardegna proponeva domanda di insinuazione con la quale chiedeva il riconoscimento del credito derivante dal diritto di rivalsa. La domanda veniva rigettata, come pure la successiva opposizione, sul presupposto che il credito era sorto solo a seguito dell'accordo transattivo stipulato il 5 maggio 2021 e, quindi, in epoca successiva rispetto al decreto di sequestro emesso il 16 giugno 2015. 2. Avverso tale decreto, il ricorrente propone un unico motivo di impugnazione con il quale deduce la violazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2011, articoli 52 e 58 nonche' degli articoli 1950 e 2704 c.c.. Nel caso di specie, l'Ente Acque Sardegna si sarebbe surrogato nel credito precedentemente vantato dalla (OMISSIS) s.p.a. e derivante dal contratto di garanzia stipulato in relazione all'appalto conferito al Consorzio (OMISSIS). La posizione dell'attuale creditore, pertanto, sarebbe la medesima vantata del creditore originario, con la conseguenza che il Tribunale avrebbe dovuto riconoscere l'anteriorita' del credito rispetto al decreto di sequestro. Si assume che, nel caso di specie, troverebbe applicazione la regola dettata dall'articolo 1950 c.c., in base alla quale il fideiussore che ha adempiuto l'obbligazione del debitore principale, ha diritto di regresso nei suoi confronti. L'Ente Acque Sardegna sarebbe subentrato nel medesimo diritto di regresso che le (OMISSIS) s.p.a. avrebbero potuto azionare nei confronti del debitore principale, per effetto dell'escussione della garanzia stipulata fin dal 2009. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 2. Il decreto impugnato ha rigettato la richiesta di insinuazione al passivo sulla base di un presupposto fondato, consistente nella posteriorita' del credito rispetto alla data del sequestro di prevenzione. 2.1. Nel caso di specie, non sussistono dubbi in ordine al fatto che il credito ceduto all'Ente Acque Sardegna derivi dall'escussione di una garanzia a prima richiesta, stipulata a margine del contratto di appalto che si era aggiudicato la societa' sottoposta al sequestro di prevenzione. Parimenti non e' contestabile che la garanzia era stata stipulata in epoca precedente rispetto al sequestro e che, nel caso di cessione del credito, il soggetto che subentra nella posizione dell'originario creditore conserva la medesima posizione, non intervenendo una novazione dell'obbligazione. 2.2. Fatte tale premesse, la questione che assume valenza risolutiva concerne l'accertamento del momento in cui sorge il diritto di regresso, dovendosi stabilire se tale diritto tragga origine direttamente dal contratto di garanzia, ovvero se nasca solo a seguito dell'effettiva escussione della garanzia. Invero, per la stessa funzione della garanzia (sia essa costituita dalla fideiussione o dal contratto autonomo di garanzia) il garante non ha un credito di regresso prima del pagamento e, quindi, fin quanto la garanzia non viene escussa non puo' neppure vantare un diritto nei confronti del garantito (in tal senso si veda Cass. civ., Sez.1, n. 19609 del 4/8/2017, Rv. 645184). Sia pur con riferimento ad una fattispecie peculiare, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che con riguardo alla fideiussione prestata da piu' persone per un medesimo debitore e per un medesimo debito, il fideiussore che ha soddisfatto il creditore acquista, da tale momento, il diritto di regresso contro gli altri fideiussori, per la loro rispettiva porzione (articolo 1954 c.c.). la prescrizione di detto diritto di regresso, pertanto, inizia a decorrere dall'indicata data, indipendentemente dalla circostanza che il soddisfacimento del creditore sia intervenuto in corso di causa promossa per sentir accertare il regresso stesso (Cass. civ., Sez.3, n. 3192 del 24/5/1984, Rv. 435235; Cass. civ., Sez. 1, n. 14160 dep. 18/6/2009, Rv. 608573). Tali principi trovano fondamento nella natura accessoria della garanzia e nel fatto che il diritto di regresso presuppone, per sua natura, che la garanzia sia stata effettivamente escussa. Ne consegue che il regresso sorge e puo' essere esercitato solo nel momento in cui il garante fa fronte all'obbligazione derivante dal contratto di fideiussione o, come nel caso di specie, di garanzia a prima richiesta. 2.3. Applicando tali principi al caso di specie, ne deriva che il diritto di regresso delle (OMISSIS) s.p.a. nei confronti del Consorzio (OMISSIS) e' sorto solo in data 11 febbraio 2019 e, cioe', nel momento in cui l'ente appaltante ha dichiarato di voler attivare il contratto autonomo di garanzia. Quanto detto comporta che il credito derivante dal regresso, oggetto della cessione intervenuta tra (OMISSIS) e l'Ente Acque Sardegna, ha data certa risalente al 2019 e, quindi, ad epoca sicuramente posteriore rispetto al sequestro di prevenzione, con la conseguente inammissibilita' del credito ai sensi del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 52. 3. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. ANDRONIO A. M. - rel. Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 5) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7) (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 8) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 10) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 11) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 12) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 13) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 14) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 15) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 16) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 17) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 18) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 19) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 20) (OMISSIS), nato in (OMISSIS); 21) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 22) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/11/2021 della Corte di appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Maria; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa DI NARDO Marilia, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; uditi i difensori, avv.ti: (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS), e in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 21 novembre 2019 il Gup del Tribunale di Lecce ha condannato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per i reati meglio specificati ai seguenti capi di imputazione: A) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, perche' si associavano allo scopo di commettere piu' delitti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e, in particolare, disponendo di due principali canali di approvvigionamento, vendevano, distribuivano, trasportavano, acquistavano e ricevevano consistenti quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marjuana; 1) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed in esecuzione del programma dell'associazione, rifornivano di droga (OMISSIS) e (OMISSIS), che si servivano di (OMISSIS) per il trasporto da Brindisi nel basso Salento, dove la droga veniva destinata all'attivita' di distribuzione e spaccio; 2) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' - con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso - (OMISSIS), da solo ovvero in concorso con (OMISSIS), cedeva consistenti quantitativi di hashish a (OMISSIS) e a tale (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di distribuzione e spaccio; 3) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in almeno due occasioni, vendevano quantitativi di eroina a tale (OMISSIS), che li riceveva per il successivo spaccio; 4) (OMISSIS), articolo 81 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in almeno cinque occasioni, vendeva o comunque cedeva dosi di eroina a tale (OMISSIS), il quale le riceveva per il successivo spaccio; 6) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso con tale (OMISSIS), ovvero con condotte indipendenti, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in almeno undici occasioni, vendeva o comunque cedeva dosi di eroina a tale (OMISSIS), il quale le riceveva per il successivo spaccio; 8) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS) e (OMISSIS) ricevevano da (OMISSIS) 5 chilogrammi di marijuana che facevano trasportare da (OMISSIS) nel basso Salento per la successiva attivita' di distribuzione e spaccio; 9) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricevevano da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) considerevoli quantitativi di cocaina che trasportavano nel Salento e successivamente rivendevano a (OMISSIS); 10) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', dopo avere (OMISSIS) e (OMISSIS) ricevuto dai fornitori di (OMISSIS) 5 chilogrammi di cocaina dal valore di Euro 170.000,00, provvedevano a saldare il debito con rate di Euro 15.000,00 - anche per il tramite di (OMISSIS) - che (OMISSIS) ritirava e consegnava ai sodali di (OMISSIS), in esecuzione del programma criminoso; 11) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS) e (OMISSIS) trasportavano in Collemeto e successivamente vendevano a (OMISSIS) 250 grammi di cocaina e 22 grammi di hashish, acquistati dai fornitori di (OMISSIS); 12) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, detenevano a fini di spaccio consistenti quantitativi di cocaina e marijuana e in parte li rivendevano a tale (OMISSIS) detta " (OMISSIS)", che li acquistava per il successivo spaccio; 13) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, cedeva in piu' occasioni quantitativi consistenti di marijuana a tale (OMISSIS), che li riceveva per la successiva attivita' di spaccio e corrispondeva il prezzo mediante pagamenti rateali posticipati; 14) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in piu' occasioni vendevano quantitativi di marijuana a tali (OMISSIS) e (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 15) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano svariati quantitativi di cocaina, marijuana e hashish a tale (OMISSIS) che li riceveva per il successivo spaccio; 16) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di cocaina a (OMISSIS) il quale li acquistava per il successivo spaccio; 17) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di marijuana a tale (OMISSIS) il quale li acquistava per il successivo spaccio; 18) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di hashish e marijuana a tale (OMISSIS), il quale li acquistava per il successivo spaccio; 19) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di cocaina, marijuana e hashish a (OMISSIS) e (OMISSIS) che li acquistavano per il successivo spaccio; 20) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano a terzi quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente di vario genere, tutti destinati al successivo spaccio; 21) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi imprecisati ma consistenti di marijuana e cocaina ad (OMISSIS), il quale li acquistava per il successivo spaccio; 22) (OMISSIS), articoli 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 80, comma 1, lettera b), in relazione all'articolo 112 c.p., comma 1, n. 4), perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva o comunque cedeva svariate dosi di cocaina a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Con l'aggravante di essersi avvalso del minore (OMISSIS) per la consegna dello stupefacente al fratello maggiorenne (OMISSIS); 23) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva consistenti quantita' di stupefacente a (OMISSIS) e (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 24) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva consistenti quantita' di stupefacente a tale (OMISSIS), che li riceveva per la successiva attivita' di spaccio; 25) (OMISSIS), articoli 81 e 629 c.p., perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante ripetute minacce, costringeva (OMISSIS) a consegnargli la somma di Euro 600,00, quale debito probabilmente derivante da pregresse forniture di sostanze stupefacenti, procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno; 26) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di marijuana a tale (OMISSIS); 27) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di marijuana e di hashish a tale (OMISSIS); 28) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di cocaina a tale (OMISSIS); 29) (OMISSIS), articolo 648 c.p., L. n. 895 del 1967, articoli 1, 4 e 7, perche' illegalmente deteneva e portava in luogo pubblico una pistola marca CZ semi automatica modello 75-SPO1 calibro 9x21, acquistata al prezzo di Euro 1.500,00; 37) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, il primo per avere fornito l'auto per il trasporto e gli altri due per avere fornito diversi quantitativi di eroina ad altri soggetti ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)); 40) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vedevano o comunque cedevano imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina a (OMISSIS) e tale (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 41) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vedevano o comunque cedevano imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina a (OMISSIS) e a tale (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 42) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS) vedeva o comunque cedeva imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina, fornita dal (OMISSIS), a (OMISSIS), (OMISSIS) e altri; 43) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso con altri, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva o comunque cedeva dosi di eroina a (OMISSIS) e ad altri soggetti non meglio identificati. La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 10 novembre 2021, ha parzialmente riformato il provvedimento di primo grado. All'esito del secondo grado di giudizio - per quanto qui rileva - sono state irrogate le seguenti pene: (OMISSIS), 7 anni e 8 mesi di reclusione; (OMISSIS), 1 anno e 10 mesi di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa; (OMISSIS), 2 anni e 6 mesi di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa; (OMISSIS), 4 anni e 4 mesi di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 8 anni e 4 mesi di reclusione; (OMISSIS), 4 anni e 4 mesi di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 6 anni di reclusione; (OMISSIS), 7 anni e 4 mesi di reclusione; (OMISSIS), 7 anni di reclusione; (OMISSIS), 4 anni e 10 mesi di reclusione; (OMISSIS), 3 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 5 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 2 anni e 8 mesi di reclusione ed Euro 16.000,00 di multa; (OMISSIS), 6 anni e 4 mesi di reclusione; (OMISSIS), 7 anni e 8 mesi di reclusione; (OMISSIS), un anno di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa; (OMISSIS), 18 anni di reclusione; (OMISSIS), 3 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 4 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 4 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 7 anni di reclusione; (OMISSIS), 7 anni e 4 mesi di reclusione. 2. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e). Piu' nel dettaglio, si afferma che l'ipotesi accusatoria ruota intorno alle fonti di prova acquisite durante le indagini della polizia giudiziaria, concretizzatesi in intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonche' in mirati servizi di osservazione e controllo, comunque ritenute inidonee a fondare l'affermazione di responsabilita' penale, con specifico riferimento alla condotta partecipativa nell'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, contestata al ricorrente, ma frutto dell'appiattimento alla sentenza emessa, all'esito del primo grado di giudizio, dal Gup del Tribunale di Lecce, il quale, senza svolgere una seria valutazione dell'effettiva sussistenza dell'elemento della consapevole adesione al gruppo organizzato, si sarebbe limitato ad una mera trasfusione del contenuto dell'ordinanza del 18 dicembre 2018 emessa in sede di riesame. Cosi', la Corte di appello avrebbe ritenuto di non convalidare la tesi difensiva secondo la quale (OMISSIS) non era nient'altro che un libero spacciatore al dettaglio che, in mancanza di ogni collegamento con soggetti diversi da (OMISSIS), nel 2016 aveva individuato in questi unicamente un nuovo canale di approvvigionamento, ignorando che lo stesso fosse inserito in un contesto associativo. Difetterebbe, conseguentemente, il necessario requisito della cosciente volonta' di partecipare, insieme ad almeno altre due persone aventi la medesima consapevolezza, ad una societa' criminosa strutturata, mentre si farebbe riferimento soltanto ai singoli episodi di acquisto da parte di (OMISSIS), contestati al capo 21) dell'imputazione, in relazione ai quali risulterebbe necessaria una diversa ricostruzione. Infatti, (OMISSIS) sarebbe stato solito avvalersi del supporto materiale e strumentale dei suoi accoliti (OMISSIS) e (OMISSIS), che, su richiesta del primo, si attivavano di volta in volta per il recupero dello stupefacente dai luoghi in cui questo era custodito per consegnarlo successivamente proprio al (OMISSIS) che a sua volta procedeva alla dazione all' (OMISSIS): quindi l' (OMISSIS) non avrebbe potuto avvedersi della partecipazione alla transazione di (OMISSIS) e (OMISSIS), per cui il rapporto tra lui e il (OMISSIS) si sarebbe ridotto a mere prestazioni sinallagmatiche, seppure illecite ma, non accompagnate dalla consapevole volonta' di acquistare stabilmente da un'associazione integrante i requisiti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Tutto questo sarebbe confermato anche: dai contatti telefonici per l'organizzazione degli incontri finalizzati all'approvvigionamento di droga limitati solo a (OMISSIS) e (OMISSIS), dal fatto che separatamente (OMISSIS) contattava (OMISSIS) e (OMISSIS), dalla circostanza che (OMISSIS) avrebbe conosciuto personalmente (OMISSIS) solo durante la detenzione in carcere a seguito dell'arresto e da quella ulteriore che (OMISSIS) avrebbe confessato di avere conoscenza di taluni coindagati, tra i quali non avrebbe annoverato (OMISSIS); costui, inoltre, sarebbe soggetto attivo nella commercializzazione di sostanza drogante gia' in un periodo ampiamente precedente alle forniture di (OMISSIS). Piu' specificatamente, l'esistenza di rapporti commerciali illeciti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dai quali si sarebbe dovuta ricavare la consapevolezza del primo di far parte dell'associazione criminale in cui era stabilmente inserito il secondo, sarebbe stata giustificata dalla compresenza degli stessi in due incontri finalizzati alla compravendita di sostanza stupefacente, avvenuti rispettivamente il 26 luglio 2016 e il 23 agosto 2016. Tale congettura pero' sarebbe contraddetta dall'interrogatorio dello stesso (OMISSIS), riscontrato dal servizio di osservazione dei carabinieri, il quale avrebbe riferito di essersi trovato fisicamente nello stesso luogo dell' (OMISSIS) solo in occasione dell'episodio del 23 agosto 2016, allorquando (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano incontrati per concordare la fornitura di stupefacente; con cio' troverebbe smentita l'affermazione secondo cui (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano avuto contatti in due distinte occasioni, quando, al contrario, l'episodio sarebbe unico e si identificherebbe in quello del 23 agosto 2016. Una volta venuto meno l'episodio del 26 luglio 2016, l'affermazione dell'esistenza del rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe erronea, perche' lo stesso (OMISSIS), nel corso del suo interrogatorio avente natura confessoria, avrebbe affermato che, mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) si accordavano per una partita di marijuana, lui era rimasto in disparte a fumare e che soltanto in carcere, dopo l'arresto, aveva conosciuto l'odierno ricorrente. Conseguentemente, il collegio giudicante avrebbe apoditticamente affermato l'esistenza del rapporto di conoscenza tra (OMISSIS) e (OMISSIS), ricavando la prova della condotta partecipativa addebitata all' (OMISSIS) stesso, ma omettendo il vaglio critico delle contrarie dichiarazioni del (OMISSIS) e del contesto circostanziale del contatto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), al quale costui sarebbe rimasto estraneo. In relazione, poi, al diverso episodio del 30 agosto 2016, esso non sarebbe stato considerato in sentenza, pur essendo l'episodio piu' rilevante, in quanto paradigmatico dello schema organizzativo adottato da (OMISSIS) per le cessioni ad (OMISSIS), incompatibile con l'esistenza di una struttura complessa dedita alla commercializzazione di stupefacente; il modus operandi infatti sarebbe stato il seguente: (OMISSIS) e (OMISSIS) si sarebbero accordati per un appuntamento, (OMISSIS) si sarebbe mosso circa un'ora prima verso il deposito per recuperare lo stupefacente e successivamente, alle 14:22, lo avrebbe occultato in un posto concordato informandone (OMISSIS), intorno alle 15:45 (OMISSIS) e (OMISSIS) si sarebbero incontrati, (OMISSIS) avrebbe ceduto la sostanza che aveva recuperato poco prima nel luogo in cui era stata depositata da (OMISSIS). Con riferimento, invece, al diverso episodio del 14 agosto 2016, mancherebbe l'esame di elementi, tra cui la geolocalizzazione dei soggetti, indispensabili a dimostrare come (OMISSIS) non avesse ricevuto lo stupefacente da (OMISSIS) ma piuttosto direttamente da (OMISSIS): infatti, la polizia giudiziaria avrebbe attestato la presenza, nel medesimo luogo, di (OMISSIS) e (OMISSIS); allo squillo di (OMISSIS) delle 20:11, con il quale questi preannunciava il suo arrivo, corrispondeva la comparsa sul luogo dell'incontro, dopo appena tre minuti, di (OMISSIS) che giungeva a bordo della sua autovettura in compagnia di (OMISSIS). Sarebbe illogica la conclusione dei giudici di merito che, malgrado lo strettissimo lasso di tempo che precede l'arrivo del (OMISSIS), avrebbero ritenuto che (OMISSIS) avesse gia' consegnato lo stupefacente a (OMISSIS), per converso non spiegando la ragione che giustificherebbe il sopraggiungere all'incontro anche di (OMISSIS) quando la consegna era gia' stata eseguita da (OMISSIS); mancherebbe inoltre ogni risposta alla contestazione in ordine al perche' (OMISSIS), gia' intervenuto sul luogo dell'incontro, avrebbe dovuto, 20 minuti piu' tardi, farsi dare dal (OMISSIS) una conferma dell'avvenuta cessione che era avvenuta sotto la sua diretta percezione. Secondo la ricostruzione della difesa, e' piu' probabile che la sequenza incriminata dei messaggi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) abbia ad oggetto cessioni che, successivamente all'incontro tra (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) poteva avere effettuato a favore di soggetti diversi e ulteriori, rientrando tale impostazione operativa nel consueto schema organizzativo elaborato da (OMISSIS). Resterebbe quindi indimostrata la consapevolezza di (OMISSIS) di relazionarsi con una stabile associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ne' questa potrebbe essere tratta dalla forma colloquiale "arriviamo" utilizzata da (OMISSIS) nella conversazione con il suo collaboratore, perche' sarebbe stato allora in compagnia della fidanzata (OMISSIS). Quanto, invece, all'episodio del 20 agosto 2016, l'incontro sarebbe stato caratterizzato dal cambiamento in corso del luogo dell'appuntamento; tuttavia, di tale variazione, concordata tra (OMISSIS) e (OMISSIS), non vi sarebbe traccia nelle comunicazioni intercorse tra quest'ultimo e (OMISSIS). Sarebbe quindi inspiegato come sia potuto accadere che (OMISSIS), in assenza di comunicazioni con (OMISSIS) il quale si accordava soltanto con (OMISSIS) circa il cambiamento dell'orario e del luogo di incontro, abbia poi incontrato (OMISSIS), se non applicando il solito schema, in virtu' del quale: (OMISSIS) si serviva di (OMISSIS) unicamente per recuperare lo stupefacente nel suo nascondiglio; reperita la sostanza, (OMISSIS) accompagnava (OMISSIS), nel luogo e nell'ora dell'incontro fissati, noti solo a (OMISSIS). Infine, con riferimento all'episodio del 31 agosto 2016, la Corte di appello assume che l' (OMISSIS) ha ricevuto l'approvvigionamento di stupefacente presso l'ospedale di (OMISSIS) direttamente da (OMISSIS) a cio' incaricato da (OMISSIS), tuttavia non sarebbe stato adeguatamente considerato il fatto che, dopo l'incontro, (OMISSIS) sarebbe stato controllato dai carabinieri che, avendolo perquisito, avrebbero constatato l'assenza di sostanza stupefacente. A cio' si aggiunga che nel testo della sentenza impugnata emergerebbe il travisamento del riferimento alla ripetuta consapevolezza dell' (OMISSIS) circa l'agire organizzato di (OMISSIS): la trascrizione di alcuni messaggi incompleti rispetto al testo complessivo sarebbe posta in modo da sostenere che (OMISSIS) avesse conoscenza della struttura organizzata nella quale si muovevano (OMISSIS) e altri; invece un piu' ampio stralcio della conversazione dimostrerebbe che in realta' la famiglia alla quale si riferiva Petracca non poteva essere il gruppo, asseritamente organizzato, del (OMISSIS). 2.2. Con una seconda doglianza, si censurano la violazione degli articoli 581 e 597 c.p.p. nonche' la mancata esclusione dell'aggravante Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, comma 4. Il ricorrente sostiene di avere impugnato l'intero capo A) dell'imputazione per difetto del necessario requisito soggettivo della consapevolezza dell'adesione al gruppo criminale; dunque, se il tema devoluto alla competenza della Corte di appello era quello della consapevole partecipazione alla consorteria criminale, allora lo scrutinio si sarebbe dovuto estendere alla consorteria concretamente configurata, che fosse o meno armata, alla stregua della regola logica che pretende l'assorbimento del meno nel piu'. L'imputato non avrebbe avuto e non avrebbe potuto avere cognizione dell'esistenza dell'associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 e quindi non avrebbe potuto avere consapevolezza del fatto che taluno degli appartenenti alla stessa avesse anche disponibilita' di armi. Quindi, conformemente al disposto normativo di cui agli articoli 597 e 581 c.p.p., la devoluzione alla competenza del giudice superiore di un capo della sentenza non puo' che imporre l'automatica devoluzione allo stesso anche di tutti i punti che con il capo abbiano diretta ed essenziale connessione; nel caso di specie era d'obbligo che la decisione circa il reato associativo non si esimesse da una valutazione, sulla base degli elementi probatori gia' esistenti, anche della ascrivibilita' al singolo partecipe proprio dell'aggravante della disponibilita' di armi. Le stesse considerazioni varrebbero anche per la contestata aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3. Infatti, il compendio probatorio esistente consentirebbe di affermare che (OMISSIS) aveva avuto coscienza del solo (OMISSIS), o al massimo, qualora non dovessero accogliersi le argomentazioni difensive, di solo due soggetti ulteriori, (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi' da escludersi che l' (OMISSIS) fosse consapevole che l'associazione avesse un numero di adepti pari o superiore a dieci. 2.3. In terzo luogo, si lamenta la violazione dell'articolo 629 c.p. con riferimento al capo 25) dell'imputazione, difettando la prova degli elementi costitutivi del reato di estorsione. Il silenzio serbato da (OMISSIS) al cospetto del padre nulla direbbe sulla natura del debito, potendo esistere tra padre e figlio motivi diversi per i quali volere che il padre non ne fosse messo a conoscenza; allo stesso modo la mancanza di un titolo da azionare non consentirebbe l'automatica deduzione che lo (OMISSIS) avesse accumulato un debito per la fornitura di stupefacente non pagato. A titolo esemplificativo, la somma di Euro 600,00 pretesa da (OMISSIS), in mancanza di concreti elementi di segno negativo, potrebbe essere stata oggetto di un prestito di denaro non accompagnato da una pattuizione in forma scritta astrattamente azionabile in giudizio. Eppure la Corte territoriale avrebbe ritenuto implausibile l'esistenza di un debito di natura lecita e non sarebbe stata in grado di confutare una serie di elementi diversi, a fronte di una lunga articolata indagine preliminare protrattasi per l'intero arco temporale di contestazione del reato associativo, da aprile 2016 a maggio 2017: non sarebbe stato documentato nessun episodio di cessione di droga dall' (OMISSIS) allo (OMISSIS); un soggetto che accumula un debito di Euro 600,00 sarebbe certamente un assuntore abituale, pertanto sarebbe dovuta esistere una traccia dei rapporti di approvvigionamento almeno fino a luglio 2016, quando (OMISSIS) avrebbe avanzato la prima pretesa restitutoria a (OMISSIS); quest'ultimo si sarebbe riconosciuto effettivamente debitore nei confronti di (OMISSIS); ne' la persona offesa ne' sua madre, (OMISSIS), avrebbero ricollegato il debito all'acquisto di droga. Inoltre, erroneamente si sarebbe affermato in sentenza che le minacce perpetrate da (OMISSIS) fossero rivolte alla madre di (OMISSIS); sarebbe emerso piuttosto un atteggiamento clemente dell'odierno ricorrente nei confronti del suo debitore, proprio in ragione della richiesta alla (OMISSIS) la quale avrebbe pure chiarito che nel momento del pagamento sarebbero cessate le richieste e le pressioni, dunque nessun male ingiusto sarebbe stato mai perpetrato nei confronti di un soggetto terzo rispetto al rapporto sinallagmatico tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Quindi, non essendo emersa la prova della natura illecita del debito, ne' della direzione delle minacce nei confronti di una persona diversa dal debitore, il fatto storico dovrebbe essere riqualificato ai sensi dell'articolo 390 c.p. non potendosi escludere che la volonta' di (OMISSIS) fosse diretta ad ottenere un bene che gli spettava, dovendo comunque essere prosciolto da questo per difetto della querela della persona offesa. 2.4. Con una quarta doglianza, si censura la violazione degli articoli 62-bis e 81 c.p.. Con riferimento al primo, si contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che la valutazione della Corte si sarebbe incentrata sulla ritenuta mancanza di elementi positivi che ne avrebbero giustificato la concessione, non avendo dato conto, invece, dei motivi ostativi. Quanto al secondo, si ritiene che sia eccessivo l'aumento della pena a titolo di continuazione, anche in ragione del fatto che si sarebbe giustificata la misura applicata per essere l'associazione formata da piu' di dieci persone; aggravante da escludersi visto quanto gia' indicato nel secondo motivo di ricorso. 3. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 3.1. In primo luogo, si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 192 c.p.p., comma 2, oltre al vizio di motivazione del provvedimento impugnato. Nelle conversazioni captate tra il ricorrente e (OMISSIS), non si farebbe mai esplicito riferimento alla cessione di stupefacenti, che pertanto dovrebbe considerarsi esclusivamente ipotizzata dai giudici di merito. A sostegno della tesi difensiva, deporrebbero le due perquisizioni personali e domiciliari subite dall'indagato, entrambe con esito negativo. Il mero scambio di telefonate tra il ricorrente e il (OMISSIS) non sarebbe sufficiente a dimostrare che vi sia stata una reale cessione di stupefacenti, ne' ad identificarne l'effettivo tipo di stupefacente. Se anche si volesse astrattamente ipotizzare l'acquisto di stupefacenti da parte del (OMISSIS), questo sarebbe avvenuto esclusivamente per uso personale, essendo l'imputato tossicodipendente. La difesa richiede, solo in via subordinata, che i fatti vengano ricondotti ai casi di cessione ricompresi nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4 alla luce della carenza di elementi univoci ed obiettivi dai quali possa determinarsi con certezza la qualita' e la quantita' della sostanza stupefacente. 3.2. Con un secondo motivo di ricorso, si censurano la violazione degli articoli 62-bis, 99 e 133 c.p., e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato. La sanzione irrogata all'imputato sarebbe eccessiva, tenuto conto della marginalita' delle condotte poste in essere dallo stesso. I giudici di merito avrebbero erroneamente applicato l'aumento di pena derivante dalla recidiva senza prendere in adeguata considerazione la lontananza nel tempo dei precedenti; ovvero avrebbero dovuto adeguare la pena al concreto disvalore del fatto e alla personalita' del reo, riconoscendo allo stesso le circostanze attenuanti generiche, da reputarsi equivalenti rispetto alla contestata recidiva. 4. La sentenza e' stata impugnata, mediante il difensore, anche da (OMISSIS). 4.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera b) e articolo 179 c.p.p., comma 1, per errato esercizio dell'azione penale. Ad avviso della difesa, nel caso di specie, sebbene la contestazione riguardi un reato istantaneo, nel capo d'imputazione non c'e' alcuna indicazione di episodi specifici, tanto che il reato istantaneo sembrerebbe trasformarsi in reato permanente. Ne deriva - secondo la difesa - che, se manca l'enunciazione del fatto in relazione alla condotta tipica del reato, l'atto di esercizio dell'azione penale non e' idoneo ad instaurare il contraddittorio. Il compendio probatorio raccolto, infatti, puo' essere utilizzato esclusivamente per verificare la fondatezza dell'ipotesi accusatoria, mai invece per definire il perimetro della regiudicanda. 4.2. Con un secondo motivo di ricorso, si denunciano il travisamento del fatto, e della prova, nonche' la contraddittorieta' della motivazione. La difesa rileva preliminarmente come gli argomenti utilizzati a fondamento della condanna di (OMISSIS) traggano origine esclusivamente dalle conversazioni captate nei giorni 5, 8, 9, 10 e 12 ottobre 2016, nell'ambito di una piu' ampia operazione di polizia giudiziaria. Ebbene, nonostante la presunta partecipazione dell'imputato sembri circoscriversi all'interno di un arco temporale assai ridotto (solo una settimana a fronte di un'attivita' d'indagine particolarmente complessa) sia il giudice di primo grado che il giudice d'appello ne traggono conclusioni erronee. Le intercettazioni dimostrano - secondo la prospettazione difensiva - appena due episodi nei quali, peraltro, la cessione non e' stata superiore a 10 grammi, a quanto, cioe', necessario per un consumo personale giornaliero. Inoltre, laddove si volesse ammettere che nelle conversazioni intercettate si parli di droga, vi sarebbe mancanza di ulteriori riscontri. Infatti, ove oggetto della conversazione sia solo l'appuntamento tra l'imputato e l'interlocutore, si e' in una fase anticipata e preliminare delle trattative e, di conseguenza, non sussistono elementi di prova sufficienti per ritenere consumato il reato di cessione. Le trascrizioni delle intercettazioni attesterebbero quindi, secondo la difesa, unicamente la circostanza che (OMISSIS) - tossicodipendente - fosse alla ricerca di sostanza stupefacente per uso personale e non per la cessione a terzi. 4.3. Si lamenta, poi, la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e in relazione alla circostanza di cui all'articolo 62 c.p., n. 4). Piu' precisamente, secondo la difesa, non puo' in alcun modo affermarsi che l'odierno ricorrente ha posto in essere con frequenza un approvvigionamento di sostanze stupefacenti, in quanto, da una lettura logica e coerente delle stesse intercettazioni, emerge chiaramente un coinvolgimento di quest'ultimo di scarso rilievo, oltre che un dato minimale di sostanza stupefacente, al limite della dose giornaliera. 4.4. Infine, si denunciano la violazione di legge e vizi della motivazione in relazione all'applicazione della recidiva. Sostiene la difesa che, sebbene l'imputato sia gravato da cinque precedenti condanne, peraltro neppure recenti, la Corte distrettuale non opera il reale e concreto accertamento dell'episodio delittuoso, ne' verifica se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di maggiore pericolosita'. Mancherebbe, quindi, qualunque verifica circa la sussistenza di una relazione qualificata tra i precedenti penali ed il reato per cui e' stata emessa la condanna. 5. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS), che ne ha chiesto l'annullamento. 5.1. Con una prima doglianza, si lamentano la violazione degli articoli 192 c.p.p. e della disposizione incriminatrice, nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine alla mancata riqualificazione del fatto, di cui al capo di imputazione 37), nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. Piu' nel dettaglio, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che, per il medesimo capo di imputazione, gli altri correi avevano definito la propria posizione processuale con sentenza di applicazione della pena su concorde richiesta delle parti, con si e' stata riconosciuta la sussistenza di un gruppo associativo, le cui condotte sono riconducibili all'interno delle fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e articolo 74, comma 6, (sentenza n. 558 del 2019, RGNR 1477/2016), mentre, analizzando la posizione di (OMISSIS), avrebbe erroneamente valutato le medesime circostanze in modo evidentemente opposto, non tenendo in considerazione l'insegnamento della Corte di cassazione sul punto (Sez. 3, n. 16598 del 20/02/2020). 5.2. Con un secondo motivo, si contesta la violazione degli articoli 81 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine al trattamento sanzionatorio. La difesa lamenta che i giudici di merito avrebbero omesso qualsiasi considerazione in ordine al comportamento post delictum, il quale, se valorizzato, avrebbe dovuto condurre all'applicazione di una pena entro il minimo edittale, o comunque a un ridimensionamento dell'aumento previsto ai sensi dell'articolo 81 c.p., per i capi di imputazione 40), 41) e 42). 6. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione. 6.1. Con una prima doglianza, si denunciano la violazione di legge, con riferimento alla mancata riduzione della pena nei confronti di (OMISSIS) quale partecipe dell'associazione a delinquere contestata al capo A) della rubrica, per effetto della ritenuta insussistenza dell'aggravante speciale relativa al "carattere armato dell'associazione", nonche' la manifesta illogicita' della motivazione. La Corte di Appello di Lecce avrebbe erroneamente evitato di escludere la suddetta aggravante per l'imputato, tenuto conto che questi non aveva proposto la relativa doglianza. Tale affermazione e' censurabile, a parere della difesa, poiche' l'esclusione dell'aggravante costituisce un dato oggettivo, essendo ineludibile conseguenza del fatto che solo due dei partecipi avevano a disposizione una pistola e che mai detta arma era stata usata per le finalita' associative. Non vi sarebbe alcun elemento di prova idoneo a dimostrare la consapevolezza da parte de (OMISSIS) dell'esistenza di un'associazione a delinquere dedita al traffico di droga, e cio' in quanto egli aveva rapporti solo ed esclusivamente con (OMISSIS). La dedotta inconsapevolezza circa l'esistenza dell'associazione comporterebbe logicamente la sua inconsapevolezza in merito al possesso di armi da parte di taluni sodali. Il gravame riguardante l'esistenza dell'associazione avrebbe dovuto intendersi logicamente esteso anche all'aggravante del carattere armato dell'associazione. La Corte territoriale avrebbe erroneamente desunto dal solo numero degli episodi di spaccio contestati al (OMISSIS) la consapevolezza, da parte dello stesso, dell'esistenza dell'associazione, prescindendo dalla valutazione dell'effettiva conoscenza da parte dell'imputato degli altri correi. 6.2. Si denuncia, poi, la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell'articolo 62-bis c.p., con giudizio di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti quale conseguenza dell'omessa applicazione dei parametri stabiliti dall'articolo 133 c.p. La sentenza impugnata avrebbe respinto il gravame, ritenendo generosa la concessione del beneficio delle circostanze attenuanti generiche da parte del giudice di primo grado. Tale valutazione prescinderebbe da una attenta disamina dei dati processuali, dai quali emergerebbe una personalita' dell'imputato meritevole di considerazione positiva, alla luce dei parametri indicati dall'articolo 133 c.p.. La personalita' del reo, incensurato e immediatamente disponibile ad assumersi le sue responsabilita', indicando agli inquirenti i dati a sua conoscenza, oltre che l'atteggiamento collaborativo tenuto nel corso del giudizio, avrebbero dovuto determinare una diversa valutazione, in melius, da parte della Corte. 7. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione. 7.1. Con un primo motivo di impugnazione, si denunciano il vizio di motivazione e il travisamento della prova. La Corte di appello sarebbe stata invitata ad ascoltare il contenuto dell'intercettazione ambientale n. 578 del 19 luglio 2016 ore 21:22 e, in particolare, il passaggio compreso tra i minuti 02:36 e 02:38 da cui emergerebbe che l'appellativo diminutivo " (OMISSIS)" non comparirebbe assolutamente nel corpo dell'espressione proferita da (OMISSIS); ragione per la quale non sarebbe stato possibile operare l'ipotizzato accostamento "tuo figlio (OMISSIS)", supportante il teorema accusatorio. Eppure, il giudice di secondo grado non avrebbe fornito adeguata motivazione, reputando veritiero il contenuto di una trascrizione operata dall'organo di polizia giudiziaria, senza porsi il problema che vi potesse essere un errore; cio' posto, neppure il rito prescelto, ossia quello abbreviato, avrebbe legittimato il mancato accoglimento della specifica richiesta di ascolto formulata dalla difesa senza spiegarne le ragioni. Un ulteriore vizio di motivazione sarebbe rinvenibile laddove non si da' risposta alle censure con cui si contesta che (OMISSIS) potesse essere individuato come figlio di (OMISSIS) sulla base di quanto riportato nelle annotazioni di polizia giudiziaria del 10 agosto 2017, essendo questo dato privo di qualsivoglia fondamento fattuale, considerato che sarebbe stato attestato unicamente un generico riferimento a voci correnti, che rimarrebbe quindi assolutamente incontrollabile, oltre che inutilizzabile a norma dell'articolo 203 c.p.p., comma 1-bis. 7.2. Con una seconda doglianza, ci si duole del vizio di motivazione con specifico riferimento al passaggio in cui si assume che la riferibilita' del diminutivo "figlio" o " (OMISSIS)" alla persona dell'imputato possa essere desunta da un dialogo intrattenuto da (OMISSIS) con un altro uomo; in tale dialogo non vi sarebbe alcun riferimento specifico ai diminutivi sopra richiamati a differenza di quanto erroneamente affermato dalla Corte di appello. Inoltre, non sarebbe dato sapere sulla base di quale pregressa conoscenza gli investigatori siano giunti a ritenere che la voce intercettata nella progressiva n. 1946 del 10 agosto 2016 appartenga proprio a (OMISSIS). Infine, la circostanza per cui l'incontro sarebbe avvenuto nello stesso luogo di un precedente appuntamento intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS) non potrebbe essere ritenuta di per se' pregnante al fine di supportare l'assunto accusatorio secondo cui (OMISSIS) avrebbe coadiuvato (OMISSIS) negli affari illeciti; a parte l'irrilevanza di tale dato fattuale ai fini dell'individuazione della persona di (OMISSIS), l'iter argomentativo della sentenza conterrebbe un'evidente salto logico concretizzatosi nell'avere ritenuto che lo stesso fosse uno degli utilizzatori dell'utenza (OMISSIS), sulla quale risultavano essere captati diversi messaggi aventi ad oggetto incontri per presunte forniture e/o pagamenti di sostanza stupefacente: la Corte non sarebbe stata in grado di evidenziare alcun dato obiettivo per legare tale utenza telefonica al ricorrente quale suo effettivo utilizzatore. 7.3. In terzo luogo, si censura un ulteriore travisamento della prova nella misura in cui la Corte avrebbe omesso di considerare che la via (OMISSIS) non sarebbe mai stata il luogo ne' di residenza ne' di domicilio dell'imputato, come risulterebbe dal certificato storico di residenza, in grado di attestare che questo aveva risieduto, a far data dal 4 ottobre 2011, in strada della (OMISSIS), e che precedentemente a tale data risiedeva in piazza (OMISSIS); ed invero, l'unica persona che sarebbe indicata come residente alla via (OMISSIS) sarebbe (OMISSIS), figlio di (OMISSIS); soltanto quest'ultimo, proprio in quanto padre, avrebbe potuto avere la disponibilita' dell'immobile di proprieta' del figlio, come attestato nella nota del 3 dicembre 2018. Da quanto sopra discenderebbe un'importante conclusione: non si potrebbe affermare che (OMISSIS), nella giornata del 27 ottobre 2016, si era recato a (OMISSIS) ove risultava domiciliare (OMISSIS), poiche' si tratterebbe di una circostanza fattuale non corrispondente al vero. Infine, nessun concorso nel reato di cui al capo 1) della rubrica potrebbe ritenersi concretamente consumato; mancherebbe, infatti, la prova di una condotta attiva in termini concorsuali che consenta di ritenere (OMISSIS) uno dei richiamati fornitori brindisini. Non a caso, il Gip in sede cautelare avrebbe rilevato l'assenza della necessaria gravita' indiziaria, evidenziando come i riferimenti operati da parte di terzi a (OMISSIS) potevano considerarsi come semplici sospetti e, non essendo sufficienti i riferimenti indiretti contenuti nelle conversazioni. 7.4. Con memoria depositata il 5 gennaio 2023 il ricorrente insiste ulteriormente nell'accoglimento del ricorso, riproponendo gli stessi motivi gia' dedotti con l'atto introduttivo di giudizio. 8. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche (OMISSIS). 8.1. Con una prima censura, si denuncia la violazione degli articoli 12 preleggi, articoli 3, 24, 101, 102 e 111 Cost., articolo 125 c.p.p., comma 1, articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 416 c.p.p., comma 2, nonche' il connesso vizio di motivazione. La difesa lamenta che - pur tempestivamente investito della questione preliminare relativa all'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche, in quanto i decreti autorizzativi consentivano il compimento delle operazioni per mezzo degli impianti installativi "in questa Procura della Repubblica", mentre risultava dai verbali di inizio intercettazione che le operazioni erano state compiute "presso la sala d'ascolto della Compagnia Carabinieri di Tricase a mezzo degli impianti ivi installati" - il Gup decideva su tale questione in sentenza: quindi, dopo avere ammesso gli imputati al rito abbreviato secco e avere ammesso l'acquisizione documentale richiesta dal Pubblico Ministero, relativamente a 41 note redatte dal funzionario responsabile del Centro Intercettazioni, dalle quali si evincerebbe che la registrazione avveniva tramite server ubicati nella citta' di Lecce e che presso la stazione dei Carabinieri di Tricase si sarebbe verificato il solo ascolto delle conversazioni intercettate. La sentenza impugnata mostrerebbe una lacuna motivazionale sul punto, non rispondendo alla specifica doglianza mossa in sede di appello, con cui si e' evidenziato che l'imputato, non ottenendo immediata risposta alla questione preliminare sollevata dinanzi al Gup, si troverebbe in una situazione di irragionevole disparita' rispetto all'imputato citato a giudizio ai sensi dell'articolo 550 c.p.p., che, invece, ha l'opportunita' di sollevare questioni preliminari e conoscere l'esito delle stesse, prima di scegliere il rito da adottare. Per la difesa, l'articolo 190 c.p.p. dispone anche che il giudice provvede senza ritardo con ordinanza, escludendo le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti ed e' una norma che si applica a tutte le fasi del procedimento, anche nell'udienza preliminare, per cui il Gup avrebbe dovuto provvedere senza ritardo con ordinanza. In ordine all'acquisizione al fascicolo di atti non trasmessi con la richiesta di rinvio a giudizio (note redatte dal funzionario responsabile del Centro Intercettazioni), la sentenza della Corte di appello e' - per la difesa - illogica, in quanto erroneamente afferma che quegli atti gia' facevano parte del fascicolo. La ricorrente se ne duole in quanto ha accettato, con la richiesta di rito abbreviato, l'utilizzazione degli atti presenti nel fascicolo trasmesso a norma dell'articolo 416 c.p.p., comma 2, che impone al Pubblico Ministero la trasmissione al Gup di tutti gli atti di indagine e tale obbligo comporta che gli atti non trasmessi non possono essere utilizzati (Sez. 4, n. 33221 del 2020); pertanto, la questione preliminare avrebbe dovuto essere decisa sulla base del solo fascicolo posto a disposizione del giudice a norma dell'articolo 416 c.p.p., comma 2. 8.2. Si lamenta, in secondo luogo, la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in ordine al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione, relativamente al capo A) di imputazione, in merito alla sussistenza di un sodalizio criminale e alla partecipazione dell'imputata. I giudici di merito avrebbero fondato il proprio convincimento su una motivazione contraddittoria, che si limita ad elencare acriticamente e genericamente alcuni elementi, senza procedere ad una disamina approfondita dell'intero compendio probatorio acquisito, da cui non si perviene alla certezza della sussistenza degli elementi richiesti per la configurabilita' del reato associativo, individuati dalla giurisprudenza di legittimita'. Infatti, la Corte di appello avrebbe omesso qualsivoglia valutazione in ordine all'assenza dei requisiti di stabilita' e permanenza, non considerando che due isolati episodi di cessione di sostanza stupefacente, avvenuti nell'arco di un mese, non possono giustificare l'ipotizzata continuita' di approvvigionamento dai fornitori di (OMISSIS). Si afferma anche l'esistenza di un ulteriore canale di approvvigionamento, quello brindisino, rappresentato da (OMISSIS) e (OMISSIS), a cui e' contestato il solo capo 1) dell'imputazione. Sul punto, la motivazione della sentenza impugnata risulterebbe illogica, in quanto si riconosce che i predetti soggetti hanno approvvigionato un sodalizio operante per un tempo superiore ad un anno, ma si sono accertate cessioni verificatesi nell'arco di soli tre mesi (dal 10 luglio al 27 ottobre 2016). Inoltre, sulla base di quanto sostenuto dagli inquirenti, le forniture si sarebbero interrotte a causa del debito contratto e non soddisfatto: circostanza che dimostra come nessuna affectio societatis legasse (OMISSIS) e (OMISSIS) a (OMISSIS) e (OMISSIS). Sempre secondo la prospettazione difensiva, la Corte di appello omette qualsiasi motivazione in ordine all'assenza di prova di un pactum sceleris, non rinvenendosi sufficienti elementi dimostrativi dell'esistenza di una stabile organizzazione: infatti, non risultano captati dialoghi aventi ad oggetto la regolamentazione dei proventi dell'attivita' di narcotraffico. In riferimento alla partecipazione di (OMISSIS), non sarebbe ravvisabile a suo carico alcun elemento caratterizzante la figura delittuosa associativa, in quanto risulta coinvolta in una sola, atomizzata ed estemporanea, intercettazione ambientale, relativa a un rifornimento di sostanza stupefacente, non essendo sufficiente neanche il riferimento ai capi 8), 9) e 10) di imputazione. In ogni caso, la sentenza risulterebbe essere carente in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, che e' rappresentato dalla coscienza e volonta' dell'associato di far parte dell'associazione: infatti, la sola partecipazione ad alcune sporadiche ed atomistiche, oltre che individuali, forniture di sostanza stupefacente non assume sufficiente rilevanza sul punto. 8.3. Con una terza doglianza, la ricorrente censura la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine alla mancata qualificazione dell'associazione come fattispecie di lieve entita', non emergendo dalle intercettazioni un'attivita' di spaccio di ingenti volumi di sostanza stupefacente. 8.4. Con un quarto motivo di ricorso, si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' il vizio di motivazione, relativamente al capo 11) dell'imputazione. Secondo la ricostruzione difensiva, i giudici di merito si sarebbero limitati a riportare il contenuto delle intercettazioni senza apportare alcun apporto critico, nonostante il significato equivoco delle stesse, dato che le locuzioni intercettate non faceva alcun esplicito riferimento al tipo e alla quantita' della droga. Pertanto, avrebbero riportato pedissequamente il contenuto della richiesta dell'emissione di custodia cautelare, fornendo una motivazione solo apparente sul punto, poiche' vi e' una tale carenza indiziaria, da non potere ritenere fondata l'ipotesi accusatoria formulata. 8.5. Si censura, infine, la violazione dell'articolo 133 c.p. e articolo 533 c.p.p., comma 2, e articolo 546 c.p.p., lettera e), n. 2), nonche' la mancanza e illogicita' della motivazione, rispetto al trattamento sanzionatorio. Piu' nel dettaglio, si evidenzia che gli aumenti per la continuazione irrogati per i capi 8), 9) e 11) a (OMISSIS) sono pari a un mese e quindici giorni di reclusione ciascuno, mentre per i medesimi capi e' stato inflitto all'imputata un aumento di sei mesi ciascuno. La Corte di appello avrebbe reso una motivazione illogica sul punto, in quanto ha affermato che gli aumenti per (OMISSIS) sono stati inferiori nell'intento di calmierare una pena gia' molto elevata; inoltre, non avrebbe proceduto alla determinazione dei singoli aumenti per i reati satellite. 9. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno proposto un unico atto di ricorso. 9.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano: la violazione dell'articolo 110 c.p. e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74; la mancata applicazione dell'articolo 81 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; la violazione dell'articolo 192 c.p.p.; l'omessa motivazione rispetto al devoluto nonche' la carenza e manifesta illogicita' della motivazione. Secondo la difesa, la natura stabile del contributo di entrambi i ricorrenti e' stata affermata solo congetturalmente, nonche' in contraddizione con la complessiva incolpazione, in quanto, a fronte di ben 43 capi di imputazione, a (OMISSIS) e' contestato solo il capo 9 e a (OMISSIS) l'8 e il 9. La Corte d'appello, poi, non avrebbe neppure tenuto in considerazione il dato cronologico dei delitti di cessione indicati nel predetto capo 9, verificatisi nell'arco di soli 29 giorni, rispetto ad un'associazione operante per tre anni e sette mesi. In secondo luogo, la difesa evidenzia come la motivazione appaia apodittica, posto che si asserisce genericamente che le consegne di droga effettuate sarebbero di quantita' rilevanti, senza tuttavia indicare in cosa sarebbero consistiti i quantitativi interessati, in mancanza di sequestri a carico degli imputati. Analogamente, si evidenzia come la sentenza impugnata non contenga alcuna motivazione in merito alle modalita' dell'azione. Inoltre, la Corte territoriale, seppure afferma la necessita' di individuare ai fini della configurabilita' del reato associativo la coscienza e la volonta' di far parte dell'associazione, in concreto, non indica alcunche' rispetto all'elemento psicologico; mancherebbe, poi, secondo la difesa, un'adeguata motivazione sulla natura stabile del contributo dei partecipi. Non sarebbe rilevante, a tal fine, la corresponsione di somme settimanali alle mogli dei ricorrenti. 9.2. Con un secondo motivo di ricorso, riferito al solo (OMISSIS), si lamentano: la violazione dell'articolo 110 c.p. e articolo 73 del D.P.R.; la mancata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5; la mancata applicazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2; la violazione dell'articolo 192 c.p.p.; l'omessa motivazione rispetto al devoluto; la carenza e manifesta illogicita' della motivazione. La difesa asserisce che, tanto nella sentenza di primo grado quanto in quella di appello, non emerge alcuna circostanza denotante il concorso di (OMISSIS) negli episodi del 12 e del 30 luglio 2016, con conseguente violazione dell'articolo 110 c.p. e omessa motivazione rispetto al punto specificatamente devoluto. Ne discende che l'unico delitto a cui avrebbe partecipato l'imputato sarebbe quello del 6 agosto 2016, decisamente inidoneo ad integrare la natura stabile del contributo alla associazione. Inoltre, rispetto alle cessioni del 12 luglio 2016 del 30 luglio 2016, l'impossibilita' di individuare con la dovuta certezza sia la sostanza stupefacente sia il quantitativo e il principio attivo avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a qualificare il fatto nell'ambito del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5. Quanto all'episodio del 6 agosto, l'interpretazione data dalla Corte d'appello all'intercettazione sarebbe comunque dubbia, essendo basata su un'arbitraria interpretazione della locuzione "ieri notte" usata da uno dei conversanti. 9.3. Con il terzo e il quarto motivo di ricorso, riferiti al solo (OMISSIS), si lamentano: la violazione dell'articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; la mancata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5; la mancata applicazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2; la violazione degli articoli 192 e 533 c.p.p.; l'omessa motivazione rispetto al devoluto; la carenza e manifesta illogicita' della motivazione. A fronte di un esito negativo del controllo del ricorrente in data 24 luglio 2016 da parte degli inquirenti, a fronte di una generica captazione avvenuta tra terzi ritenuta apoditticamente chiara, a fronte dell'assenza dell'osservazione della consegna con i presunti compratori, non e' dato comprendere secondo la difesa la reale motivazione a sostegno del concorso del ricorrente. Infatti, il fatto che (OMISSIS) ritenga di aver scampato un pericolo avendo corso il rischio di essere fermato dagli inquirenti, nulla indica rispetto alla asserita consegna dello stupefacente, da parte del ricorrente, atteso che ogni progetto concorsuale puo' andare incontro a modifiche. Manifestamente illogica, poi, sarebbe la motivazione, laddove ritiene normale che "nella circostanza questi non venisse trovato in possesso di nulla", visto che, laddove avesse consegnato lo stupefacente, avrebbe dovuto possedere la contropartita in denaro. Inoltre l'unicita' dell'indizio a carico dell'imputato, proveniente da un dato captato ove quest'ultimo non e' interlocutore, non avrebbe dovuto consentire l'affermazione della penale responsabilita', con conseguente violazione degli articoli 192 e 530 c.p.p.. Infine, anche in questo caso, l'impossibilita' di individuare con la dovuta certezza sia la sostanza stupefacente sia il quantitativo che il principio attivo avrebbe dovuto indurre la Corte d'appello a riqualificare il fatto nella fattispecie di lieve entita'. Con riferimento al capo 9, mancherebbe la motivazione quanto agli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, mentre non vi sarebbe un'indicazione della prova a supporto delle condotte materiali ascritte all'imputato, quanto al fatto del 30 luglio 2016. 10. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto per cassazione, chiedendone l'annullamento. 10.1. Con un primo motivo di doglianza, si denunciano la nullita' della sentenza per violazione dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), e articolo 192 c.p.p., comma 2, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione. Secondo la ricostruzione difensiva, la Corte di appello non avrebbe raggiunto la prova in ordine alla partecipazione di (OMISSIS) al consesso criminale, in quanto ha omesso di considerare la estrema ristrettezza dell'arco temporale (circa un mese, dal 12 luglio 2017 al 11 agosto 2016), in cui il gruppo di (OMISSIS) avrebbe rifornito di sostanza stupefacente la consorteria: cio' comporterebbe l'assenza di un rapporto di collaborazione stabile e continuativo ai fini del perseguimento degli scopi illeciti della consorteria, con la coscienza e la volonta', di far parte dell'organizzazione. La Corte di appello non spiegherebbe le ragioni per cui ha ritenuto attendibile il contenuto delle propalazioni di (OMISSIS), a fronte di plurimi indicatori di segno contrario, che evidenzierebbero che il trio (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) era un'entita' diversa e separata rispetto all'organizzazione sottostante al (OMISSIS) (come dalla conversazione del 12/07/2016 di (OMISSIS) e dal dato investigativo che mostra che quest'ultimo ha descritto ai propri sodali nomi, ruoli e guadagni dei personaggi baresi, mentre nulla sapevano del trio di (OMISSIS)). Anche le dichiarazioni di (OMISSIS), ritenute dal Gup un infallibile strumento per decifrare il compendio indiziario, avrebbero dovuto essere oggetto di un'ulteriore analisi in sede di appello, in quanto egli non si sofferma a descrivere modalita', tempi e consistenza degli approvvigionamenti ne' il funzionamento della cellula terlizzese. Inoltre, si lamenta che i giudici di merito hanno omesso la valutazione dell'elemento soggettivo richiesto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74: non si e' valutato il tema introdotto dalla difesa, per cui (OMISSIS) risulterebbe essere inserito stabilmente in un organismo associativo dedito al traffico di droga operativo nel territorio barese (procedimento penale n. 16093/2016 R.G.N. R. per fatti commessi dal 2012); per cui risulterebbe paradossale ritenere sussistente la medesima condotta delittuosa evocativa della contestuale partecipazione a due distinti organigrammi associativi operanti contestualmente nel settore degli stupefacenti. Secondo la difesa, nella sentenza impugnata non vi e' traccia dell'esame di dati investigativi e del loro rapporto in un quadro organico, che dia esaustiva risposta alle eccezioni formulate. L'irragionevolezza dell'iter motivazionale emerge dal richiamo agli elementi di prova desumibili dalle intercettazioni, da cui si evince che (OMISSIS), ove pure fosse in un rapporto di affari con (OMISSIS), non puo' avere condiviso con quest'ultimo interessi associativi, avendo una propria autonomia e una propria presunta struttura associativa; ma la Corte di appello avrebbe omesso tale valutazione e anche l'accertamento dell'esistenza di un vincolo stabile e continuativo tra fornitore e acquirente, che si sostituisca alla mera relazione negoziale. 10.2. Con la seconda doglianza, si contestano la violazione dell'articolo 125 c.p.p., articolo 546 c.p.p., lettera e), e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine al capo 9) dell'imputazione. La difesa si duole del fatto che la Corte di appello si sia avvalsa delle medesime asserzioni del Gup, che non vengono sottoposte ad un autonomo filtro critico, non risultando sufficiente il mero riferimento al contenuto della sola conversazione del 18 luglio 2016. Infatti, non vi sarebbe stata alcuna valorizzazione delle contestazioni difensive, che avevano evidenziato che: manca la prova che (OMISSIS) fosse presente all'incontro del 12 luglio 2016, che, secondo gli inquirenti, era finalizzato alla cessione di droga; il costante monitoraggio, effettuato dagli inquirenti, dell'operazione di cessione del 30 luglio 2016 consente di affermare che (OMISSIS) non ha partecipato fisicamente alle fasi prodromiche, deliberative ed esecutive della stessa, in quanto non risulta mai direttamente intercettato o semplicemente evocato dai partecipi quale dominus o complice di quell'operazione; egli non e' ne' intercettato ne' evocato dai loquenti nel corso delle intercettazioni del 6 agosto 2016, per cui non si e' incontrato con i protagonisti della vicenda de qua. 10.3. Con un terzo motivo, si censura la violazione dell'articolo 125 c.p.p., articolo 192 c.p.p., articolo 546 c.p.p., lettera e), e articoli 89, 62-bis c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articoli 132 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione. In merito all'attenuante del vizio parziale di mente, la Corte di appello, pur aderendo alle conclusioni diagnostiche, avrebbe trascurato di soffermarsi sull'aspetto legato alla sfera cognitiva dell'imputato, per la quale e' emerso un QI totale classificabile in termini di ritardo mentale lieve, nonche' di valutare opportunamente e con sufficiente rigore le considerazioni mediche in ordine alla capacita' di autodeterminarsi. Infatti, sul versante della componente volitiva si coglie una spiccata incongruenza dell'apprezzamento giurisdizionale: il dato storico-clinico, la sussistenza di una patologia psichiatrica di rilevanza clinica, il dato psicometrico e l'incongruita' del comportamento, usato nel corso delle condotte che gli sono contestate, in unione con la personalita' dell'imputato e la cronica e prolungata dipendenza dell'uso di sostanze stupefacenti non possono ragionevolmente condurre a un giudizio di mera limitazione della capacita' di controllare gli impulsi. Pertanto, la condizione di forte malessere psicologico del ricorrente avrebbe dovuto indurre il giudicante a valutare ogni considerazione clinica, presente nella perizia, evitando di estrapolare quanto affermato nella parte finale della perizia. La Corte di appello si sarebbe basata su valutazioni discendenti da un esame condotto a distanza di molti anni rispetto al tempus commissi delicti, senza considerare che nel 2015 (momento storico maggiormente contiguo a quello di perpetrazione dei reati contestati ai capi A e 9 di imputazione) (OMISSIS) era stato ritenuto totalmente incapace di intendere e volere in un diverso procedimento. Secondo il ricorrente, in merito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti, la Corte distrettuale omette l'esame della doglianza presentata con l'atto di appello, non valutando le considerazioni svolte in ordine alla personalita' del ricorrente, incapace di autoregolare le proprie azioni e di comprenderne le conseguenze negative. La difesa contesta, inoltre, l'illegittimita' della tecnica redazionale adoperata nella sentenza di primo grado, riverberatasi sull'iter motivazionale della decisione di appello, inidonea ad esternare il percorso logico che deve supportare il giudizio di apprezzamento della sussistenza delle condizioni di cui all'articolo 62-bis c.p.. In ordine al calcolo della pena, mancherebbe la motivazione sull'aumento apportato per la continuazione esterna, in quanto sarebbe stato piu' opportuno procedere alla riduzione di pena prevista dal vizio parziale di mente prima di effettuare l'aumento per la continuazione. 11. Avverso la sentenza ha proposto ricorso anche (OMISSIS), tramite il difensore. 11.1. Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione di legge in ordine alla ritenuta utilizzabilita' delle intercettazioni poste a fondamento della sentenza impugnata. Si lamenta, in primo luogo, la violazione dell'articolo 266 c.p.p., e s.s. da parte dei decreti autorizzativi e di proroga delle intercettazioni emessi dal Gip, in quanto difettano dell'adeguata motivazione prevista dalle norme in vigore; in secondo luogo, il primo decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazioni e' stato emesso dal Gip in assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 2001, articolo 13, che ai fini dell'autorizzazione de qua, richiede: 1) lo svolgimento di indagini relative ad un delitto di criminalita' organizzata, 2) la sussistenza di sufficienti indizi in ordine a quest'ultimo. In ordine al primo aspetto e' necessaria la presenza di un'organizzazione stabile: aspetto che non attiene al capo di imputazione 19), contestato al ricorrente, visto che di quest'ultimo non vi e' alcuna intercettazione, ne' egli risulta interessato in una evidente attivita' delittuosa sulla base di intercettazioni tra altri. La difesa afferma che negli atti processuali non vi e' alcuna prova di responsabilita' dell'imputato, tale da rendere utilizzabili le intercettazioni contro lo stesso. 11.2. In secondo luogo, si lamenta la violazione di legge in ordine al giudizio di responsabilita' per il capo 19, poiche' fondato su dichiarazioni inerenti alle intercettazioni, nonche' il connesso vizio di motivazione. Piu' nel dettaglio, la difesa sostiene l'insussistenza del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, sull'assunto che, da una lettura degli atti di giudizio, nessun riscontro oggettivo vi e' mai stato, da parte della polizia giudiziaria, in ordine a una presunta attivita' illecita che coinvolga (OMISSIS): infatti, non vi e' alcun elemento esterno che lasci ritenere che egli, unitamente a terze persone, abbia posto in essere una qualsivoglia azione di detenzione di sostanza stupefacente. 11.3. Con un terzo motivo, si denuncia la violazione di legge in ordine all'omesso riconoscimento della fattispecie di minore gravita' di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. La difesa lamenta che l'impugnata sentenza non avrebbe fornito alcuna motivazione sul punto: avrebbe dovuto rilevare che la quantita' di cocaina e di marijuana detenuta era da ripartirsi tra due soggetti, per cui si sarebbe potuto trattare di una piccola scorta per uso personale. In senso convergente, depongono - per la difesa - anche le modalita', le circostanze ed i mezzi dell'azione delittuosa, trattandosi di un'attivita' di spaccio limitata e realizzata senza la predisposizione di mezzi specifici. 12. La sentenza e' stata impugnata anche da (OMISSIS), tramite il difensore. 12.1. Con una prima doglianza, si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato. Non vi sarebbe alcuna prova idonea ad affermare con certezza che l'imputato abbia acquistato ovvero ricevuto ai fini di spaccio stupefacente e che lo abbia successivamente ceduto a terzi. Nelle conversazioni telefoniche captate sull'utenza del ricorrente non si farebbe mai esplicito riferimento alla cessione di sostanze stupefacenti e, ad ulteriore prova dell'estraneita' dell'imputato, concorrerebbero anche le perquisizioni effettuate al medesimo, tutte con esito negativo. La semplice circostanza che talvolta le conversazioni intercettate facciano riferimento a incontri con altri soggetti non sarebbe idonea a dimostrare che l'imputato abbia effettivamente ceduto dello stupefacente, se non in marginali occasioni, nelle quali avrebbe ceduto ad occasionali tossicodipendenti singole dosi, al solo fine di ricavare quanto necessario per far fronte al proprio fabbisogno di stupefacenti, essendo il (OMISSIS) tossicodipendente a sua volta. Con riguardo alle condotte contestate di cui al capo 37, ovvero la cessione di 520 grammi di eroina al (OMISSIS), non potrebbe ritenersi che tale sostanza sia stata ceduta dall'imputato: sia perche' non emergerebbe la prova inconfutabile della provenienza di detta sostanza, giacche' il sequestro e il conseguente arresto del (OMISSIS) sono avvenuti dopo che, per oltre trenta minuti, gli operatori di polizia giudiziaria sono stati costretti a interrompere il pedinamento a causa dell'elevato traffico; sia perche', anche volendo ipotizzare che la suddetta cessione sia avvenuta secondo le modalita' cristallizzate nel primo grado di giudizio, il soggetto cedente non sarebbe stato identificato e, in ogni caso, non sarebbe identificabile con (OMISSIS). 12.2. Con un secondo motivo di ricorso, si censurano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e articolo 133 c.p., nonche' la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato. Dinanzi all'attribuzione di responsabilita' dell'imputato per tutti i capi contestati, comunque si sarebbero dovuti ritenere i fatti di lieve entita', soprattutto alla luce del riconoscimento di tale ipotesi minore ad altri presunti correi, condannati anche per il reato associativo. La Corte di appello avrebbe illogicamente differenziato la condotta del ricorrente rispetto ai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), e sarebbe caduta in contraddizione in ordine ai rapporti dell'imputato con il coimputato (OMISSIS), con particolare riferimento all'episodio del capo di imputazione 37). Il ricorrente sarebbe un mero strumento subordinato al coimputato (OMISSIS), poiche' era quest'ultimo ad avere i contatti e a dover dare conto dei pagamenti al fornitore. Dall'analisi delle captazioni telefoniche si desumerebbe esclusivamente un ruolo di mediatore del ricorrente tra i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte di appello avrebbe, infine, fallacemente analizzato l'atto di impugnazione, ove si sarebbe fatto esplicito riferimento ad una rideterminazione della pena e ad un contenimento della stessa, oltre che degli aumenti ex articolo 81 c.p., nei minimi edittali. I giudici territoriali avrebbero rilevato esclusivamente la richiesta di contenimento nel minimo edittale degli aumenti ex articolo 81 c.p., senza valutare la generale richiesta di contenimento nel minimo edittale della pena. Alla luce di quanto esposto, e dunque del supposto ruolo marginale rivestito dal ricorrente, appare illogico il non aver applicato una riduzione della pena-base, ai sensi dell'articolo 133 c.p.. 13. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. Con un primo e unico motivo di ricorso si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 74, comma 6, oltre al vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto nell'ipotesi lieve di cui al medesimo articolo 73, comma 5. Piu' nel dettaglio, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che, per il medesimo capo di imputazione, gli altri correi avevano definito la propria posizione processuale con applicazione della pena su concorde richiesta delle parti, previa riqualificazione del fatto nell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, mentre, analizzando la posizione di (OMISSIS), avrebbe erroneamente valutato le medesime circostanze in modo evidentemente opposto, dando vita ad un palese conflitto di giudicati. 14. La sentenza e' stata impugnata, mediante il difensore, anche da (OMISSIS). 14.1. In primo luogo, si censurano la violazione di legge e la mancanza ed illogicita' della motivazione con riferimento all'articolo 192 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato. Innanzitutto, sottolinea la difesa, l'apporto che avrebbe fornito l'imputato alla consorteria sarebbe di soli 24 giorni e precisamente dal 12 luglio al 6 agosto 2016, a fronte di un arco temporale che avrebbe visto operare l'associazione de qua dall'aprile del 2016 al maggio 2017. In secondo luogo la difesa - prendendo le mosse dalle considerazioni svolte nella sentenza impugnata, ove si sostiene che il prevenuto avrebbe svolto il ruolo di "corriere" in alcune circostanze ben individuate - sostiene che il contributo dell'imputato fosse privo dei caratteri della stabilita', tanto da risultare occasionale. Del resto, gli stessi esiti delle captazioni valorizzati dall'estensore darebbero contezza di un apporto del prevenuto certamente non sistematico ma occasionale. Per la difesa, dalle stesse intercettazioni ambientali emerge chiaramente che in data 30 luglio 2016 l'imputato non conosceva ne' il (OMISSIS) ne' il (OMISSIS); nonostante lo specifico motivo d'appello, la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sul punto. A cio' si aggiunga che neanche (OMISSIS), uno dei principali collaboratori del (OMISSIS), ha dichiarato di aver mai conosciuto (OMISSIS), se non in stato di detenzione dopo l'esecuzione dell'ordinanza custodiale. 14.2. In secondo luogo, si lamentano la violazione di legge nonche' la mancanza o manifesta illogicita' della motivazione con riferimento ai capi 1) e 9) della rubrica e in relazione alla corretta valutazione della prova ex articolo 192 c.p.p. e alla mancata riqualificazione della contestazione mossa ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4. Piu' precisamente, con riferimento al capo 9), la piattaforma probatoria in atti risulterebbe obiettivamente incerta e l'estensore incorrerebbe in un chiaro deficit di logicita' con conseguente scorretta valutazione della prova. In relazione, poi, al capo 1) della rubrica - e, quindi, con riferimento all'episodio del trasporto del 21 luglio 2016 - la sentenza sottovaluta le censure contenute nei motivi di appello e mostra certezza in ordine al solo trasporto di marijuana e hashish. 14.3. Con un terzo motivo, si lamentano la violazione di legge e la mancanza o manifesta logicita' della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, nonche' la necessaria riduzione degli aumenti combinati ex articolo 81 c.p.. Secondo la prospettazione difensiva, la pena inflitta all'imputato appare illogica ed eccessivamente severa, posto che la Corte d'appello ha omesso di considerare a suo favore lo status di totale incensuratezza, l'obiettivo brevissimo contributo associativo contestato, lo svolgimento di ininterrotta attivita' lavorativa. 15. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione. 15.1. Con una prima doglianza, si censurano l'assenza di motivazione e la violazione di legge in ordine al reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, oltre alla violazione di legge in ordine all'aggravante del numero degli associati. La difesa, dopo aver riportato nel ricorso i vari capi di imputazione a carico dell'imputato, giunge alla conclusione secondo cui (OMISSIS), come confermerebbero le intercettazioni, ha commerciato ingenti quantita' di stupefacenti in proprio, poiche' il suo fine era quello di guadagnare quanto piu' possibile per se'. Il giudice di appello avrebbe erroneamente desunto il vincolo associativo dal mero contatto del ricorrente con gli spacciatori al minuto o con correi, senza calcolare che, commerciando il (OMISSIS) ingenti quantita' di stupefacenti, era inevitabile il contatto con soggetti interessati all'acquisto del medesimo, e che solo per tale circostanza non sarebbe configurabile il vincolo associativo. Risulterebbe inoltre pacifico che l'imputato avesse contatti esclusivamente con i correi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). L'associazione a delinquere non potrebbe configurarsi con il solo dolo eventuale e non vi sarebbe la prova della conoscenza da parte del (OMISSIS) della rete sottostante ai pochi soggetti ai quali vendeva lo stupefacente. In tale quadro, anche se si dovesse riconoscere l'associazione a delinquere nei confronti del ricorrente, non potrebbe essere applicata l'aggravante del numero, avendo l'imputato contatti esclusivamente con (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS); la difesa ritiene, comunque, che non vi sia la prova della piramide gerarchica e dello scambio di soldi dal vertice ai sottoposti. 15.2. In secondo luogo, si lamentano l'assenza e la contraddittorieta' della motivazione in ordine all'aggravante della presenza di armi in favore dell'associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74. Il giudice del gravame avrebbe correttamente rilevato come l'arma da fuoco venisse rintracciata nel possesso del ricorrente solo in sede di perquisizione e che mai gli inquirenti avessero avuto idea che (OMISSIS) ne avesse la disponibilita'. 15.3. Con una terza censura, si denuncia la violazione di legge con riferimento alla supposta inutilizzabilita' di tutte le intercettazioni acquisite nel corso del procedimento. I decreti autorizzativi e di proroga delle intercettazioni emessi dal Gip difetterebbero dell'adeguata motivazione prevista dalle norme in vigore: in particolare il primo decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione sarebbe stato emesso dal Gip in assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13. 15.4. Con un quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione di legge in ordine alla quantificazione della pena, sul rilievo che il giudice di primo grado avrebbe potuto riconoscere le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, in base al fatto che si tratterebbe pur sempre di un caso di "droga parlata" e di "associazione a delinquere parlata". 16. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS), il quale, con un unico motivo di ricorso, denuncia la violazione della legge penale. Secondo il difensore, la vicenda (capo 16 dell'imputazione) riguarda un caso di "droga parlata", in quanto non vi e' la prova che le 10 dosi oggetto dell'imputazione fossero effettivamente cocaina e non e' comunque dato conoscere il grado di purezza della stessa, oltre che la percentuale di principio attivo. Inoltre la Corte territoriale avrebbe violato, secondo la difesa, l'articolo 530 c.p.p., comma 2, non avendo tenuto conto che i redditi dell'imputato e il fatto che si lamentasse individualmente della qualita' dello stupefacente integrano un ragionevole dubbio. 17. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS). 17.1. Con un primo motivo di ricorso, si lamentano: la violazione dell'articolo 12 preleggi; la violazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost. e dell'articolo 125 c.p.p., comma 1, articolo 190 c.p.p., comma 1, e articolo 178 c.p.p.; la violazione degli articoli 24, 101 e 102 Cost. e articolo 416 c.p.p., comma 2; la mancanza e illogicita' della motivazione. All'udienza preliminare il ricorrente lamentava la violazione dell'articolo 268 c.p.p., comma 3, e articolo 271 c.p.p., comma 1, dal momento che nei decreti autorizzativi di attivita' di intercettazione telefonica il Pubblico Ministero aveva disposto "che le operazioni siano compiute per mezzo degli impianti installati in questa Procura della Repubblica", mentre, da ogni verbale di inizio intercettazione risultava che le operazioni erano state compiute "presso la sala d'ascolto della Compagnia Carabinieri di Tricase a mezzo degli impianti ivi installati". Il Gup si riservava di decidere sull'eccezione all'esito dell'udienza preliminare e, dando seguito al processo, recepiva le istanze di rito abbreviato formulate dagli imputati, rinviando ad altra udienza per la trattazione. Dal canto suo, il Pubblico Ministero alla successiva udienza, quando, dunque, il rito abbreviato "secco" era gia' stato instaurato, chiedeva ed otteneva il deposito di 41 note redatte dal funzionario responsabile del Centro Intercettazioni dalle quali si evinceva che la registrazione era avvenuta tramite server ubicati nella citta' di Lecce e che presso la stazione dei Carabinieri di Tricase si era verificato il solo ascolto delle conversazioni intercettate. Con l'atto di appello, la difesa rilevava la nullita' dell'ordinanza relativa all'eccezione preliminare attinente all'utilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche ed ambientali nonche' la nullita' della sentenza. La Corte territoriale secondo la difesa, nel rispondere alle doglianze difensive, avrebbe erroneamente valorizzato l'orientamento processuale secondo cui non vi e' alcuna norma processuale che imponga al Gup di trattare le questioni preliminari in un particolare momento, ben potendo egli decidere sulle stesse all'esito dell'udienza. L'imputato infatti, sollevata al Gup una questione preliminare, non ottenendo immediata risposta, si trova in una situazione di irragionevole disparita' rispetto all'imputato citato a giudizio ai sensi dell'articolo 550 c.p.p. che, invece, ha l'opportunita' di sollevare questioni preliminari, conoscere l'esito delle stesse e poi adottare le scelte del rito. In definitiva, secondo il difensore, si finirebbe per riservare maggiore garanzia ai reati di minore gravita'. Si sarebbe quindi dovuto applicare l'articolo 190 c.p.p., il quale in materia di prove dispone che il giudice provvede senza ritardo con ordinanza, escludendo le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti. Non si considererebbe, poi, che la questione preliminare riguarda la composizione del fascicolo da utilizzare per la decisione. Non vi e' motivo, secondo la difesa, per ritenere che la fattispecie non sia regolamentata dal codice, visto che e' una disciplina generale applicabile al caso di specie esiste; ne' vi e' motivo per ritenere che la disciplina generale esistente debba essere disapplicata. Con riferimento, poi, alle 41 note acquisite quando il rito abbreviato era gia' instaurato, la difesa sostiene che quei documenti facevano forse parte delle indagini, ma che e' del tutto erroneo sostenere che gia' facevano parte del fascicolo: se quegli atti avessero fatto gia' parte del fascicolo trasmesso, non ci sarebbe stato alcun bisogno di chiederne l'acquisizione. La difesa prosegue svolgendo considerazioni analoghe a quelle della coimputata (OMISSIS). 17.2. Con un secondo motivo, si lamentano: la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione; l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale; la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Piu' precisamente, secondo la difesa, la sentenza resa dalla Corte d'appello sarebbe giuridicamente viziata nella parte in cui ha ravvisato, non solo la sussistenza di un sodalizio criminale riconducibile alla fattispecie delittuosa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, ma anche e soprattutto la partecipazione del (OMISSIS) quale promotore, organizzatore, dirigente e finanziatore, fondando il proprio convincimento su un'errata valutazione del compendio probatorio acquisito al processo. La Corte territoriale avrebbe omesso qualsiasi valutazione in merito all'assenza dei requisiti di stabilita' e permanenza i quali, sul piano del programma associativo, postulano un'attivita' delittuosa aperta e indeterminata, proiettata oltre la commissione di singoli determinati reati e che, dovrebbe perdurare anche dopo la consumazione di questi ultimi. Si osserva, in particolare, che l'odierno ricorrente, ritenuto addirittura figura apicale direttiva, risulta essere coinvolto solo in alcune intercettazioni e solo in un arco temporale molto ristretto, ossia tra maggio e settembre 2016, allorquando, invece, l'attivita' captativa investigativa si sarebbe protratta anche successivamente e alla quale, tuttavia, il ricorrente rimaneva sostanzialmente estraneo. Al contrario, e' notorio che il capo di un'associazione debba avere contatti diuturni e relazioni con gli adepti e poiche', nella specie, anche tale dato probatorio risulta assente, la Corte territoriale avrebbe dovuto assolvere l'imputato. Risulta infatti smentita dagli elementi probatori sia l'asserita partecipazione del ricorrente al sodalizio che il suo ruolo di capo. La difesa, infatti, osserva come non siano stati captati dialoghi aventi ad oggetto la regolamentazione dei supposti proventi derivanti dall'attivita' di narcotraffico. Pertanto, le modalita' attuative degli episodi delittuosi riferiti ai reati-fine e desunte dalle intercettazioni telefoniche, potrebbero apparire sintomatiche, al piu', di un accordo limitato ad un numero contenuto di episodi di cessione. Del resto, le asserite condotte tenute dal ricorrente sono caratterizzate da un agire assolutamente autonomo ed indipendente, orientato unicamente a realizzare un proprio personale interesse economico e non certamente un fine comune associativo. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, la contabilita' cui si fa riferimento nelle intercettazioni non e' affatto riconducibile ad una cassa comune del gruppo criminale, quanto piuttosto alla persona del (OMISSIS). In aggiunta, evidenzia la difesa, il giudice di appello avrebbe omesso di confutare le manifeste incongruenze rilevate in merito alla contraddittorieta' della sentenza di primo grado, nella parte in cui sono stati assolti per il reato associativo i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e non anche (OMISSIS) e (OMISSIS), visto che lo (OMISSIS), secondo la prospettazione accusatoria iniziale, era il ragazzo utilizzato dallo (OMISSIS) per cedere o ritirare la sostanza stupefacente e lo affiancava e coadiuvava nell'attivita' di spaccio, mentre il (OMISSIS) sarebbe stato un uomo di fiducia di (OMISSIS) ed assieme a lui rappresentava il c.d "canale brindisino", dal quale si sarebbe rifornito in maniera stabile il (OMISSIS). Infine, secondo la difesa, la sentenza resa dalla Corte territoriale risulta carente con riferimento alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, non potendo assumere rilevanza l'uso di un linguaggio criptico, la diffidenza nell'uso del telefono o le cautele adottate, in mancanza di un chiaro consapevole coinvolgimento nell'ambito di un gruppo criminale. 17.3. Con un terzo motivo di ricorso, si censurano: la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione; l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale; la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. Piu' precisamente, la difesa evidenzia che dal contenuto delle molteplici intercettazioni non emerge con assoluta certezza un'attivita' di spaccio di ingenti volumi. 17.4. In quarto luogo, si denunciano: la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 3 e 4; la violazione dell'articolo 648 c.p., L. n. 895 del 1967, articoli 2, 4 e 7; vizi della motivazione. Piu' precisamente, il ricorrente evidenzia come, mentre al capo A) si contesta un sodalizio operativo per oltre un anno, ai capi 1), 8) e 9) si ipotizzano forniture verificatesi in appena tre mesi e, cio' nonostante, si afferma che vi sia stato uno stabile e duraturo apporto al sodalizio da parte dei fornitori baresi e brindisini. Se il sodalizio fosse stato composto anche dai fornitori, questi avrebbero avuto un ruolo per tutto o quanto meno larga parte del periodo di attivita'. Con riferimento invece alla contestazione in materia di armi, la difesa evidenzia come da nessuna delle conversazioni intercettate si possa risalire all'esatto modello dell'arma presuntivamente detenuta dall'imputato. Se, come contestato, quest'ultimo avesse avuto la disponibilita' di una pistola gia' dal 7 luglio 2016 "con permanenza", non avrebbe di certo manifestato al suo interlocutore la necessita' di procurarsi un'arma. Peraltro, secondo il difensore, la motivazione appare contraddittoria laddove la Corte territoriale ha esplicitamente ammesso che nei dialoghi intercettati non venivano mai menzionate le armi ed anzi emergeva che il (OMISSIS) era molto accorto affinche' lo (OMISSIS), che si accompagnava a lui, non venisse a sapere che aveva portato con se' una pistola. 17.5. Si lamentano, poi, la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e vizi della motivazione. Si rileva, in particolare, la totale mancanza di prova dell'acquisto di 400 g di eroina indicato in contestazione, in relazione al quale non poteva persino dirsi che venditore ed acquirente avessero mai trovato un accordo. Il (OMISSIS), quindi, non poteva essere sanzionato per essersi rifornito di quel quantitativo di eroina, dal momento che non e' rinvenibile in atti alcuna prova di cio'. Nel caso di specie, si sarebbe verificato un travisamento della prova, avendo i giudici di merito fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o e' incontestabilmente diversa dal reale. 17.6. Con un sesto motivo di doglianza, si denunciano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e vizi della motivazione. In particolare, facendo il capo 11) riferimento a specifiche quantita' e qualita' di sostanza stupefacente, la prova dell'avvenuta detenzione e/o cessione non poteva ricavarsi da locuzioni impiegate dai coimputati intercettati, non contenenti alcun riferimento esplicito al tipo e alla qualita' di droga oggetto di commercio. Piu' precisamente, la difesa non comprende per quale motivo la frase "non riesco a cacciarti in un pacco lino... a questo prezzo non ci riesco a cacciarteli" sia idonea a dimostrare definitivamente l'avvenuta cessione di 250 grammi di cocaina e 22 grammi di hashish. 17.7. Infine, si lamentano la violazione dell'articolo 133 c.p., articolo 533 c.p.p., comma 2, e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), n. 2) e vizi della motivazione. Piu' precisamente, secondo la difesa, la Corte di appello da un lato riconosce che la motivazione in punto di aumenti per la continuazione era carente, ma dall'altro, non pone alcun rimedio sul punto, limitandosi a condividere l'operato del Gup. L'appellante, infatti, non chiedeva soltanto una seconda valutazione del trattamento sanzionatorio, ma esprimeva specifiche osservazioni su determinate anomalie dello stesso, chiedendo la riduzione della pena o quantomeno la giustificazione di quella inflitta, anche alla luce del principio secondo cui il giudice deve calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati-satellite. 18. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 18.1. Con un primo motivo, si censura l'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche e ambientali poste a fondamento della declaratoria di responsabilita' penale. In primis la denunciata inutilizzabilita' discenderebbe dalla violazione dell'articolo 266 c.p.p., e s.s. in quanto tutti i decreti autorizzativi e di proroga delle intercettazioni emessi dal Gip difetterebbero dell'adeguata motivazione prevista e voluta dalle norme di legge; in secundis, il primo decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione sarebbe stato emesso dal Gip in assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13 che, ai fini dell'autorizzazione de qua, richiede lo svolgimento di indagini relative ad un delitto di criminalita' organizzata e la sussistenza di sufficienti indizi in ordine a quest'ultimo. Infatti, sarebbe stata necessaria l'effettiva costituzione e l'operativita' di un'organizzazione stabile, posta in essere da tre o piu' persone, allo scopo di commettere piu' delitti tra quelli previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 70, commi 4, 6 e 10, ma tale condizione non riguarderebbe il capo d'imputazione 19) contestato. Infine, dallo stato degli atti processuali al momento delle richieste del Pubblico Ministero di autorizzazione delle intercettazioni, non sarebbe emerso alcun elemento rilevatore, pur in via ipotetica, di un gruppo delinquenziale organizzato; in tutti gli atti processuali, infatti, mancherebbe qualsiasi indizio in capo al ricorrente tale da giustificare l'utilizzabilita' delle intercettazioni contro lo stesso, in quanto questo non avrebbe mai fatto parte di alcuna compagine associativa. 18.2. Si censura, poi, la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, in considerazione della mancata integrazione della relativa fattispecie incriminatrice, posto che, da un'attenta analisi degli atti del giudizio e in particolare delle annotazioni di polizia giudiziaria, non vi sarebbe mai stato alcun riscontro oggettivo esterno della presunta attivita' di spaccio di cui al capo 19). 18.3. Con un terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nella misura in cui non ha trovato applicazione la richiamata ipotesi lieve. Nel caso di specie, infatti, la quantita' di cocaina, pari a 100 grammi, e di marijuana, pari a 150 grammi, detenuta da (OMISSIS) e (OMISSIS), si sarebbe dovuta ripartire tra due soggetti; quindi, si tratterebbe di un quantitativo non particolarmente significativo perche' non lontano da quello massimo detenibile. Peraltro, sarebbe verosimile che il ricorrente avesse una piccola scorta per uso personale, e per di piu' dagli atti processuali si potrebbe desumere come la contestata condotta di cessione, mai provata, se esistente sarebbe certamente marginale rispetto al consumo personale da parte dell'imputato che svolgerebbe normale attivita' lavorativa, come dimostrato dalla circostanza che il (OMISSIS) aveva importanti debiti nei confronti di (OMISSIS); in senso convergente deporrebbero poi le modalita', le circostanze e i mezzi dell'azione delittuosa, che non desterebbe alcun allarme sociale trattandosi di un'attivita' di spaccio assolutamente modesta e limitata, realizzata senza predisposizione di mezzi specifici e soprattutto in assenza di comprovati traffici persistenti. 19. Avverso la sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto, con un unico atto, ricorsi per Cassazione, chiedendone l'annullamento. 19.1. Con un primo e un secondo motivo di ricorso, si lamentano la violazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost., articolo 125 c.p.p., comma 1, articolo 190 c.p.p., comma 1, e articolo 178 c.p.p., nonche' la violazione degli articoli 24, 101 e 102 Cost. e articolo 416 c.p.p., comma 2, e la mancanza ed illogicita' della motivazione. La difesa lamenta che - pur tempestivamente investito della questione preliminare relativa all'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche, in quanto i decreti autorizzativi consentivano il compimento delle operazioni per mezzo degli impianti installati "in questa Procura della Repubblica", mentre risultava dai verbali di inizio intercettazione che le operazioni erano state compiute "presso la sala d'ascolto della Compagnia Carabinieri di (OMISSIS) a mezzo degli impianti ivi installati" - il Gup decideva su tale questione in sentenza: quindi, dopo aver ammesso gli imputati al rito abbreviato secco e aver ammesso l'acquisizione documentale richiesta dal Pubblico Ministero, relativamente a 41 note redatte dal funzionario responsabile, dalle quali si evincerebbe che la registrazione avveniva tramite server ubicati nella citta' di Lecce e che presso la stazione dei Carabinieri di Tricase si sarebbe verificato il solo ascolto delle conversazioni intercettate. Si sviluppano, sul punto, argomentazioni analoghe a quelle dei coimputati. 19.2. Con un terzo motivo di ricorso, si denuncia il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento, con riferimento alla posizione processuale di (OMISSIS), della connivenza non punibile. Piu' nel dettaglio, la difesa lamenta che la motivazione della sentenza impugnata risulterebbe insufficiente e in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimita', perche' sarebbe ritenuta idonea a integrare la connivenza una condotta meramente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza. Esaminando le intercettazioni telefoniche e lo stesso verbale di osservazione, emergerebbe una condotta del predetto ricorrente qualificabile come assistenza inerte e senza iniziative: infatti, il suo ruolo sarebbe stato quello di esecutore privo di autonomia decisionale. 19.3. Con una quarta doglianza, si lamenta il vizio di motivazione in relazione alla posizione processuale di (OMISSIS). Secondo la ricostruzione difensiva, la motivazione risulterebbe contraddittoria e apparente rispetto alle risultanze investigative da cui emergerebbe che la responsabilita' del (OMISSIS) e' circoscrivibile a quella di un mero intermediario, come dimostrano le intercettazioni che attestano che il predetto imputato avrebbe restituito la cocaina dopo averla acquistata dai fornitori di (OMISSIS) e avrebbe discusso in ordine al pagamento della sostanza stupefacente. 19.4. Si lamenta, poi, il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di appello non avrebbe sopperito all'omessa indicazione da parte del Gup degli elementi individualizzanti dai quali ritenere gli imputati non meritevoli della concessione di predetto beneficio. Piu' nel dettaglio, la motivazione sulla concedibilita' delle attenuanti generiche non sarebbe dovuta ruotare esclusivamente sui precedenti penali degli imputati ma avrebbe dovuto considerare anche il comportamento processuale collaborativo ed improntato alla definizione del processo. Inoltre, in ordine alla posizione processuale del (OMISSIS), avrebbe dovuto tener conto anche del ruolo marginale da esso ricoperto nella commissione del fatto. 20. Avverso la sentenza (OMISSIS) ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 20.1. Con un primo motivo, si denunciano la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato al capo A) dell'imputazione. La difesa lamenta che - dal confronto tra i dati probatori, valorizzati nella sentenza impugnata in ordine alla condotta di partecipazione contestata, e la riconducibilita' degli stessi al ricorrente - emerge la carenza strutturale di una condotta di partecipazione dello stesso al sodalizio contestato, in particolare in termini di stabilita', organicita' e dolo di partecipazione: nel caso di specie, l'ipotizzato apporto fornito dal ricorrente sarebbe stato limitato nel tempo, ossia dal 5 aprile 2016 al 27 ottobre 2016, a fronte di un arco temporale che avrebbe visto operare l'associazione de qua dall'aprile 2016 al maggio 2017, con permanenza. La Corte di appello avrebbe fondato il proprio iter motivazionale sulla base di un contributo del ricorrente, definito ampio ed articolato, in quanto si e' ritenuto che si occupasse del procacciamento delle schede telefoniche da utilizzare, nonostante il rifornitore delle stesse fosse un soggetto terzo, (OMISSIS), a cui (OMISSIS) richiedeva, in modo autonomo, venti schede. Infatti, dai messaggi intercorsi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e dalle intercettazioni ambientali, si evidenzia l'inesistenza di qualsivoglia vincolo di carattere stabile tra l'imputato e il sodalizio contestato. Inoltre, emergerebbe l'assoluta mancanza di coinvolgimento del ricorrente nei rapporti con il canale barese di approvvigionamento dello stupefacente, nonche' in relazione all'attivita' di reperimento dei luoghi per l'occultamento dello stupefacente e della relativa custodia, in quanto il ricorrente risulterebbe assolutamente assente: infatti, i giudici di merito sarebbero pervenuti a un convincimento della partecipazione dello stesso solo in virtu' dei rapporti con il canale brindisino e della contestazione dei reati-fine, mancando qualsiasi dato probatorio sul punto, cosi' rendendo viziata la motivazione resa. Dalla stessa motivazione della Corte di appello emergerebbero ulteriori elementi che delineano il contributo del ricorrente come privo dei caratteri necessari di stabilita', permanenza del vincolo e organicita': in sentenza si afferma che (OMISSIS) e' stato correttamente ritenuto solo un semplice partecipe dell'organizzazione, nonostante la mancanza di coinvolgimento dello stesso nella gran parte dei reati-scopo attribuibili al sodalizio; l'esclusione dell'aggravante soggettiva della disponibilita' di armi. 20.2. Con un secondo motivo, si lamentano la violazione di legge nonche' il vizio di motivazione, con riferimento ai capi 1), 2), 3), 4) e 6), sia in ordine alla corretta valutazione della prova ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., sia in ordine alla mancata riqualificazione delle contestazioni mosse al capo 2) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, e ai capi 3), 4) e 6) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. La Corte di appello avrebbe omesso, in ordine ai fatti contestati al capo 1) di imputazione, qualsivoglia valutazione in merito alla penale responsabilita' dell'imputato, sebbene le argomentazioni difensive avessero evidenziato un quadro probatorio connotato da una obiettiva incertezza sull'apporto concorsuale fornito. Infatti, vi sarebbe stata l'omessa valutazione di un dato incontrovertibile: rispetto all'unica transazione, oggetto di contestazione al predetto capo, realizzatasi in data 21 luglio 2016 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), i contributi offerti da (OMISSIS) sono individuabili solo in date successive, per cui sono del tutto estranei alla tipicita' delineata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1. Parimenti illogica e' - per il ricorrente - la motivazione della sentenza impugnata in relazione al capo 2) della rubrica, che ha omesso la riqualificazione del fatto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, visto che le ipotesi di cessione ivi contestate riguarderebbero sostanza stupefacente del tipo hashish. In ordine al capo 3) dell'imputazione, la motivazione della sentenza impugnata escluderebbe la configurabilita' dell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nonostante si tratti di modiche quantita' di sostanza stupefacente cedute, omettendo qualsiasi valutazione in merito alla totale estraneita' di (OMISSIS) nell'episodio di cessione contestato ed avvenuto alla sola presenza di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). In ordine fatti contestati al capo 4) di imputazione, la Corte di appello incorrerebbe in una motivazione illogica e scarna a fronte di una reiterata consegna di quantitativi di eroina, compatibili con la fattispecie di lieve entita': occorre evidenziare come, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, il carattere reiterato di una condotta di cessione non e' di per se' sufficiente a precludere la configurabilita' della fattispecie di cui all'articolo 73, comma 5, citato. In al capo 6) dell'imputazione, la motivazione addotta dai giudici di merito sembrerebbe del tutto sconnessa rispetto al predetto insegnamento della giurisprudenza di legittimita', per cui la reiterazione delle consegne non e' ostativa alla riqualificazione di cui all'articolo 73, comma 5. Inoltre, si ometterebbe di considerare che per i medesimi fatti (OMISSIS) e' stato destinatario di una riqualificazione dei fatti nell'ipotesi predetta. 20.3. Con una terza doglianza, si lamentano la violazione di legge e il vizio di motivazione, in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p. nella loro massima estensione, anche in virtu' dell'esclusione dell'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4, nonche' in relazione alla necessaria riduzione degli aumenti combinati ai sensi dell'articolo 81 c.p. e della corretta qualificazione giuridica delle contestazioni mosse ai capi 2), 3), 4) e 6) dell'imputazione nei termini di cui alla doglianza precedente. Non si sarebbero valutati lo status di totale incensuratezza del ricorrente, il brevissimo contributo associativo contestato e lo svolgimento di un'ininterrotta attivita' lavorativa. 21. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati proposti due distinti ricorsi per cassazione. 21.1. Il primo, a firma dell'avv. (OMISSIS), e' articolato in tre motivi. 21.1.1. Innanzitutto, si denuncia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73, 74, articoli 125, 192 c.p.p., articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), articolo 533 c.p.p. e articolo 110 c.p., oltre che il vizio di motivazione nella misura in cui non sarebbe stata fornita un'adeguata risposta alle censure sollevate con l'atto di appello. Piu' precisamente, l'imputato sarebbe stato condannato essendo stato riconosciuto il suo ruolo di fornitore brindisino nell'arco temporale, assai limitato, compreso tra il 19 luglio 2016 e il 27 ottobre 2016, senza che sia stata lui contestata alcuna specifica condotta partecipativi; dunque sarebbe stata applicata la fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in luogo del concorso di persone, a fortiori ove si consideri che nei confronti del secondo fornitore brindisino, (OMISSIS), la soluzione adottata sarebbe stata quella di ritenerlo responsabile solo di una fattispecie continuata di violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, con esclusione di quella associativa, pur fondandosi l'accusa mossa nei confronti di entrambi sugli stessi identici risultati probatori, consistenti negli esiti degli accertamenti della polizia giudiziaria, mancando invece qualsiasi sequestro di sostanze stupefacenti, denaro o altro. Tale contraddittorieta', denunciata con l'atto di appello, non avrebbe ricevuto adeguata risposta ne' nella motivazione della sentenza di secondo grado ne', a monte, in quella di primo, infatti non si sarebbe spiegato come si sia attribuito l'uso di una certa utenza telefonica a (OMISSIS), cosi' come lo scambio di comunicazioni con (OMISSIS) e (OMISSIS), si siano ricondotti i riferimenti al figlio nelle conversazioni del 19 luglio 2016 - intercorse tra (OMISSIS) e (OMISSIS) - sempre al (OMISSIS), si sia sostenuta la responsabilita' di quest'ultimo quale correo nei fatti di reato di cui al capo 1) che altro non rappresenterebbero che la contestata condotta di partecipazione al sodalizio dedito al traffico di droga di cui al capo A), ma si sia proceduto ad assolvere (OMISSIS) e a condannare il (OMISSIS) che verserebbe in identica posizione processuale. Tra le altre circostanze, dedotte con l'atto di appello e rispetto alle quali sarebbe stata omessa ogni valutazione nella motivazione della sentenza impugnata si annoverano ancora: le presunte condotte illecite del ricorrente si limiterebbero a quanto emerge nelle intercettazioni del 19 luglio 2016, visto che gli ulteriori risultati probatori sarebbero riferiti alla posizione di (OMISSIS); l'imputato sarebbe stato assente dall'Italia dall'inizio sino alla meta' dell'ottobre 2016, da qui l'indisponibilita' da parte di costui del cellulare in questione; la riferibilita' della somma di Euro 10.000,00 consegnata a (OMISSIS) all'inizio dell'incontro del 19 luglio 2016, non per la fornitura di droga ma per altre situazioni commerciali in essere con tale (OMISSIS); i messaggi in partenza dall'utenza non sarebbero mai stati scritti in prima persona plurale ma in prima persona singolare; i messaggi in entrata sarebbero tutti indirizzati ad una singola persona; l'incontro del 10 ottobre 2016 sarebbe stato fissato presso l'abitazione di un fornitore; gli inquirenti avrebbero affermato che l'utenza sarebbe stata utilizzata da chi ha venduto l'auto a (OMISSIS), che non sarebbe (OMISSIS) ma (OMISSIS), atteso che in un messaggio il (OMISSIS) aveva fissato un incontro per i conti e per l'auto, come si darebbe atto nelle sentenze di primo e secondo grado; i colloqui captati dagli inquirenti non avrebbero permesso di lumeggiare la figura del ricorrente come quella di un partecipe che dava un contributo indispensabile di natura stabile e permanente alla vita del sodalizio in cui lo stesso si era consapevolmente, sistematicamente e con permanenza inserito, risolvendosi il tutto nell'unico episodio contestato del 19 luglio 2016. Da quanto precede deriverebbe anche la violazione dell'articolo 533 c.p.p., ovvero della regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. 21.1.2. Con una seconda censura, si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73, 74, articoli 125, 192 c.p.p., articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), articolo 533 c.p.p. e articolo 110 c.p., oltre che il vizio di motivazione nella misura in cui e' stata ritenuta provata la penale responsabilita' del ricorrente anche con riferimento ai singoli episodi delittuosi di cui al capo 1), omettendo, per converso, di fornire adeguata spiegazione alle specifiche doglianze formulate nell'atto di appello. Piu' specificatamente, le conversazioni intercettate illustrerebbero una realta' differente, poiche', pur parlandosi in esse di droga, della stessa non sarebbe stata acquisita alcuna prova a carico del ricorrente. L'unica prova a suo carico discenderebbe dal contenuto della conversazione intercettata il 19 luglio 2016; quanto invece all'incontro del 10 agosto 2016 in Brindisi tra i brindisini e il (OMISSIS), esso riguarderebbe la vendita dell'auto di (OMISSIS) a (OMISSIS) e non la cessione di droga; il viaggio di (OMISSIS) e (OMISSIS) del 23 agosto a Brindisi nulla apporterebbe alla versione accusatoria, atteso che i predetti non sarebbero stati sottoposti a perquisizioni e giammai sarebbe stata rinvenuta sostanza stupefacente nella loro disponibilita'; la circostanza, poi, che (OMISSIS) abbia festeggiato il suo compleanno il (OMISSIS) dimostrerebbe la sua assenza dal territorio italiano. In altri termini, mancherebbe la prova del tipo di sostanza effettivamente ceduta, dell'efficacia drogante dello stupefacente non essendo stato operato alcun sequestro; inoltre, mancherebbero intercettazioni telefoniche dal contenuto sufficientemente esplicito. La ricostruzione difensiva sarebbe avvalorata dall'allegazione di documenti - che la difesa sostiene di aver effettuato - ad un foglio citato nell'atto di appello, con cui si sarebbe dimostrato che la somma di Euro 10.000,00, come indicato da (OMISSIS) nell'interrogatorio di garanzia, sarebbe stata attinente alla vendita di gioielli ed argenteria dal ricorrente a (OMISSIS). Anche per quanto concerne il capo 1) dell'imputazione, in assenza di qualsiasi prova certa circa l'avvenuto scambio di droga o denaro tra (OMISSIS) e l'odierno ricorrente, si sarebbe violato il principio del ragionevole dubbio. 21.1.3. In terzo luogo, si censura la violazione dell'articolo 62-bis c.p., per la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Infatti, tanto in primo quanto in secondo grado, si sarebbe omesso di considerare che le quantita' di stupefacente, nel caso di specie, sarebbero asserite e non dimostrate, mancando il sequestro della sostanza stupefacente di cui si conversa nelle intercettazioni, che avrebbe permesso di verificare qualita', quantita' e percentuale di principio attivo; inoltre non si sarebbe adeguatamente considerato che il ricorrente avrebbe avuto scarse operativita' e fattualita', nonche' certamente una posizione non di rilievo nella presente vicenda, circoscritta a limitati e sporadici episodi ai margini dell'ipotizzato gruppo criminale. Inoltre, al termine della discussione, all'udienza del 13 luglio 2021, sarebbe stata prodotta documentazione medica relativa alle condizioni psico-fisiche del ricorrente, accompagnata da una nota. Seppure dal verbale non risulti un formale provvedimento di acquisizione della documentazione, la stessa dovrebbe ritenersi sostanzialmente avvenuta, in primo luogo perche' la documentazione non e' stata restituita alla difesa e, in secondo luogo, in considerazione del fatto che della produzione si da' atto al foglio 16 della gravata sentenza. Dunque, il giudice di secondo grado sarebbe stato tenuto ad esaminare i documenti indicati in quanto indubbiamente rilevanti ai fini della determinazione e della quantificazione della sanzione, bilanciando la pena rispetto alla sofferenza e alla depressione, quali sintomi di consapevolezza dei propri errori, manifestati dal ricorrente, attraverso l'unico strumento possibile, ossia le circostanze attenuanti generiche. 21.2. Il secondo ricorso, a firma dell'avv. (OMISSIS), e' affidato a quattro motivi. 21.2.1. Con una prima censura, si lamenta il vizio di motivazione in ordine sia alla configurazione della condotta materiale che dell'elemento soggettivo del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Quanto a questo secondo elemento, il giudice di secondo grado si sarebbe espresso in termini totalmente generici, limitandosi a citare soltanto alcuni passaggi delle intercettazioni e omettendo di confrontarsi con altri che viceversa darebbero atto del ruolo marginale svolto dal (OMISSIS): infatti, i riferimenti effettuati dagli interlocutori non sarebbero al ricorrente ma al figlio, identificato in sentenza con (OMISSIS), e proprio da questi discenderebbe che il rapporto contrattuale non fosse tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), ma tra quest'ultimo e il (OMISSIS); tale profilo, secondo la Corte di appello, sarebbe giustificato dalla circostanza che tra i due vi fosse piena interscambiabilita' di ruoli, omettendo pero' di considerare che (OMISSIS) sia stato assolto dal reato associativo a differenza di quanto avvenuto per (OMISSIS). Ad ogni buon conto, la motivazione risulterebbe altresi' contraddittoria e carente sempre con riferimento alla ricorrenza dei due elementi della continuita' dei rapporti e della consapevolezza di essi, in quanto il giudice di secondo grado avrebbe omesso di confrontarsi con ulteriori circostanze emergenti in atti: mancherebbe la prova diretta della consegna della sostanza stupefacente oggetto delle intercettazioni del 19 luglio 2016; secondo la Corte di appello la stessa discenderebbe dal fatto che nell'intercettazione si farebbe riferimento al dato che il trasporto sarebbe avvenuto con una moto e che due giorni dopo, il 21 luglio 2016, in un'intercettazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo comunicava che la moto era tornata, ma rispetto alla presunta consegna della sostanza la Corte ometterebbe di misurarsi con l'assenza di qualsivoglia contatto tra i presunti fornitori brindisini e il (OMISSIS); vi sarebbe un'evidente discrasia nella tempistica tra l'attivita' dell'associazione e il contributo offerto dal (OMISSIS), a fronte di un'associazione che opererebbe sul territorio dal maggio 2016 al maggio 2017, il rapporti tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) si registrerebbero soltanto da luglio ad ottobre 2016, tale circostanza andrebbe ad elidere in radice la parte motivazionale della sentenza laddove i giudici parlerebbero di fisso canale di approvvigionamento; sarebbe stata omessa la circostanza che il (OMISSIS) non sarebbe risultato intestatario di alcuna utenza dedicata, contrariamente al (OMISSIS), correo assolto dal reato associativo. Quindi il ricorrente non si sarebbe inserito all'interno dell'associazione dedita al traffico di stupefacenti ma, tuttalpiu', potrebbe essere chiamato a rispondere di singole condotte di cessione. 21.2.2. Si lamenta, poi, la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e articolo 530 c.p.p., comma 2, oltre al vizio di motivazione, nella parte in cui sarebbero stati violati i criteri concernenti la valutazione della prova per l'affermazione della responsabilita' penale, con specifico riferimento ai fatti di cui al capo 1) dell'imputazione, fondata esclusivamente sulla base dei risultati di intercettazioni telefoniche ed ambientali. Infatti, le conversazioni captate ed utilizzate avrebbero un contenuto tutt'altro che esplicito ma piuttosto ambiguo ed indefinibile, pertanto non sarebbero in grado di giustificare l'affermazione di responsabilita' penale, a fortiori alla luce delle deduzioni difensive. In particolare si sostiene che: nei messaggi che si sarebbero scambiati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), riguardo al debito del secondo, si fa esplicito riferimento, quale causa del debito, alla vendita di un' autovettura; il (OMISSIS) ha agito in piena autonomia; l'unico incontro accertato tramite il servizio di osservazione, controllo e pedinamento delle forze di polizia e' quello del 27 ottobre 2016, quando (OMISSIS) si e' recato presso l'abitazione di (OMISSIS); sugli altri incontri non vi sono invece accertamenti; la frase "la moto e' tornata" pronunciata da (OMISSIS) a (OMISSIS) nell'intercettazione n. 733 del 21 luglio 2016 e' estrapolata da una lunga conversazione in cui i due parlano di tale (OMISSIS) e di schede telefoniche e non si fa riferimento all'eventuale fornitura di sostanza da parte del (OMISSIS); nessun contatto e' stato captato tra (OMISSIS) o (OMISSIS) e la persona che avrebbe trasportato la sostanza ( (OMISSIS)), per la consegna della medesima. 21.2.3. In terzo luogo, ci si duole della violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e del conseguente vizio di motivazione nella parte in cui la Corte ha escluso la qualificazione giuridica del fatto nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in mancanza di un accertamento sulla sostanza oggetto di scambio e, quindi, sulla natura, sulla qualita', sulla quantita' e sul numero di dosi estraibili. 21.2.4. Con una quarta censura, si contesta la violazione dell'articolo 62-bis c.p. laddove e' stata negata la concessione delle circostanze attenuanti generiche omettendo di valutare tutti quegli elementi rilevanti per una commisurazione adeguata dalla pena al caso concreto, senza rilevare che i precedenti dell'imputato sarebbero molto risalenti e omettendo di valutare altri aspetti della personalita' e della vita del (OMISSIS) emersi nel corso del procedimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Va premesso che la quasi totalita' delle censure - all'esame delle quali si procedera' con riferimento alle posizioni dei singoli imputati - sono inammissibili perche' dirette, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, ad ottenere una rivalutazione di elementi gia' presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). Nella maggior parte dei casi, a fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte di appello, i ricorrenti non offrono la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per se' dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioe', da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l'intrinseca incompatibilita' degli enunciati. 1.1. Deve ricordarsi, in punto di diritto, che la rilevabilita' del vizio di motivazione soggiace alla verifica del rispetto delle seguenti regole: a) il vizio deve essere dedotto in modo specifico in riferimento alla sua natura (contraddittorieta' o manifesta illogicita' o carenza), non essendo possibile dedurre il vizio di motivazione in forma alternativa o cumulativa; infatti non puo' rientrare fra i compiti del giudice della legittimita' la selezione del possibile vizio genericamente denunciato, pena la violazione dell'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), (ex plurimis, Sez. 2, n. 39138 del 10/09/2019; Sez. 2, n. 37298 del 28/06/2019); b) per il disposto dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il vizio della motivazione deve essere desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, nel senso che esso deve essere "interno" all'atto-sentenza e non il frutto di una rivisitazione in termini critici della valutazione del materiale probatorio, perche' in tale ultimo caso verrebbe introdotto un giudizio sul merito valutativo della prova che non e' ammissibile nel giudizio di legittimita': di qui discende, inoltre, che e' onere della parte indicare il punto della decisione che e' connotata dal vizio, mettendo in evidenza nel caso di contraddittorieta' della motivazione i diversi punti della decisione dai quali emerga il vizio denunciato che presuppone la formulazione di proposizioni che si pongono in insanabile contrasto tra loro, si' che l'accoglimento dell'una esclude l'altra e viceversa (ex plurimis, Sez. 2, n. 11992 del 10/04/2020; Sez. 2, n. 20677 dell'11/04/2017, Rv. 270071); c) il vizio di motivazione deve presentare il carattere della essenzialita', nel senso che la parte deducente deve dare conto delle conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logico-argomentativa della decisione. Infatti, sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (ex plurimis, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021; Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 28058902). 1.1.1. Inoltre, in tema di impugnazione, il requisito della specificita' dei motivi implica, a carico della parte impugnante, non soltanto l'onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o piu' punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (ex plurimis, Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112). Ne consegue che il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimita' ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), ha l'onere - sanzionato a pena di a-specificita', e quindi di inammissibilita', del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimita' la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Rv. 277518). Inoltre, deve ricordarsi, che la mancanza di specificita' del motivo va ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancata correlazione tra le ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non puo' ignorare le esplicitazioni del giudice censurato. Pertanto, e' inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/08/2014, Rv. 260608; Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011). 1.1.2. Parimenti, e' inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'articolo 192 c.p.p., anche se in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilita' delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita' (Sez. U., n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027 - 04). 1.2. Tali principi trovano applicazione anche in relazione al sindacato sui vizi della motivazione relativa alla determinazione della pena e alla valutazione delle circostanze. 1.2.1. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (ex multis, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243). 1.2.2. Inoltre, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente (ex plurimis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 - 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899). 1.2.3. In terzo luogo, va ricordato che, ai fini della determinazione della pena, il giudice puo' tenere conto piu' volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che cio' comporti lesione del principio del ne bis in idem (ex plurimis, Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 275904 - 03; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Rv. 258011). 1.3. Nell'approcciarsi alla disamina che seguira', deve infine richiamarsi il costante insegnamento di questa Suprema Corte, secondo il quale, in presenza di un articolato compendio probatorio, non e' consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi, ne' procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma e' necessario, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l'intrinseca valenza dimostrativa (di norma possibilistica) e successivamente procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la - astratta - relativa ambiguita' di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato "al di la' di ogni ragionevole dubbio" e cioe', con un alto grado di credibilita' razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalita' umana (ex multis, Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280605 - 02; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Rv. 266941; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Rv. 258321). 1.3.1. A questo proposito, occorre ulteriormente rilevare - basandosi tutti i ricorsi, in misura piu' o meno estesa, su una richiesta di nuova valutazione delle risultanze probatorie - che l'interpretazione e la valutazione del contenuto di queste costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita', se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784). Con specifico riferimento all'interpretazione delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni ambientali e telefoniche, il giudice di merito e' libero di ritenere che l'espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie allorche' non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui e' utilizzata ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l'uso di un determinato termine indica altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Rv. 267650). Inoltre, deve ricordarsi che, nell'attribuire significato ai contenuti delle intercettazioni, il giudice del merito deve dare mostra dei criteri adottati per attribuire un significato piuttosto che un altro. E tale iter argomentativo e' certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza mentre e' possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 1532 del 09/09/2020). 1.3.2. Con particolare riferimento al caso di conversazioni intercorse tra l'imputato e altri soggetti intranei alla medesima associazione, inconsapevoli della captazione in corso, le stesse non sono assimilabili a dichiarazioni "de relato", soggette a verifica di attendibilita' della fonte primaria, ma hanno valore di prova diretta, in quanto i loro contenuti sono frutto di un patrimonio condiviso, derivante dalla circolazione, all'interno del sodalizio, di informazioni e notizie relative a fatti di interesse comune degli associati (ex plurimis, Sez. 2, n. 49082 del 17/04/2018, Rv. 274808). E va esclusa la necessita' di riscontri ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, nel caso di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell'indagato, fatto salvo l'obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearita' logica (ex plurimis, Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Rv. 268414). Infine, va rilevato che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (ex plurimis, Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263714). 2. Le considerazioni appena svolte si attagliano pienamente al ricorso proposto da (OMISSIS), il quale e' inammissibile. 2.1. Il primo motivo - con cui si lamenta la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), - e' inammissibile perche' diretto, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, ad ottenere una rivalutazione di elementi gia' presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame. 2.1.1. Piu' dettagliatamente, la Corte di appello rende conto di come gli esiti delle indagini abbiano fornito l'inconfutabile prova della partecipazione del ricorrente all'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, facendo emergere i rapporti istaurati da questo anche con (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che la consapevolezza che il (OMISSIS) fosse al vertice di un sodalizio dedito al traffico di droga. Infatti, in data 14 agosto 2016 egli aveva preso appuntamento per una fornitura con il (OMISSIS) a cui, ad un certo punto, comunicava un ritardo, del quale il (OMISSIS) informava conseguentemente (OMISSIS). I movimenti di quest'ultimo sono stati monitorati attraverso il Gps e cio' ha consentito di rilevare che, all'ordine impartito da (OMISSIS), (OMISSIS) partiva da via Bottego per giungere, percorrendo strade secondarie, nel solito luogo di incontro utilizzato da (OMISSIS) ed (OMISSIS), ove peraltro anche il (OMISSIS) giungeva unitamente alla sua fidanzata (OMISSIS) tre minuti dopo avere ricevuto lo squillo di (OMISSIS) che preannunciava il suo arrivo e che veniva localizzato in (OMISSIS) nel medesimo orario e nel medesimo luogo in cui si trovavano (OMISSIS) prima e (OMISSIS) poi. I successivi messaggi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno dato conferma del buon esito della cessione; e' stato ritenuto evidente, quindi, che nella circostanza (OMISSIS) ebbe a ricevere la droga da (OMISSIS), nessun'altra spiegazione potendosi dare alla richiesta del (OMISSIS); a cio' e' stato aggiunto che il tutto avveniva sotto la supervisione proprio del (OMISSIS) e della (OMISSIS). D'altro canto, se alla cessione avesse dovuto provvedere il solo (OMISSIS) non vi sarebbe stata necessita' alcuna che sul luogo dell'appuntamento giungesse anche il (OMISSIS). Inoltre, l'intercettazione degli sms e la localizzazione del Gps della vettura del (OMISSIS) hanno provato come era sempre lui a consegnare la droga il 20 agosto 2016 all' (OMISSIS) nei pressi dell'ospedale di (OMISSIS) ove questo si era recato ad accompagnare la moglie che era in stato di gravidanza. Quanto, invece, all'episodio del 23 agosto 2016, il contestuale servizio di osservazione condotto unitamente al monitoraggio degli sms sui telefoni in uso al (OMISSIS) e diretti all' (OMISSIS) ha permesso di riscontrare come (OMISSIS) e (OMISSIS), a bordo dell'auto in uso a quest'ultimo, giungevano nelle vicinanze degli impianti sportivi presenti nella zona industriale di (OMISSIS) ove era stato fissato l'appuntamento con (OMISSIS) per la consegna della fornitura; i due dialogavano con questo fuori dalle rispettive autovetture per circa 40 minuti e successivamente ripartivano. Anche il 31 agosto 2016, dopo avere concordato l'incontro per una fornitura di droga, (OMISSIS) incaricava (OMISSIS) di recarsi all'appuntamento con (OMISSIS); (OMISSIS), come sempre, un'ora prima dell'appuntamento con (OMISSIS) si recava in via (OMISSIS) per prelevare lo stupefacente che temporaneamente portava con se' presso la propria abitazione di via (OMISSIS), dalla quale ripartiva subito dopo la conversazione telefonica avuta con (OMISSIS) alle 14:33 circa, alle successive 14:41 raggiungeva via (OMISSIS) e, davanti all'ingresso dell'ospedale di (OMISSIS), incontrava (OMISSIS). Dunque, del tutto correttamente, la Corte di appello, differentemente da quanto ipotizzato dalla difesa, ne ha dedotto che il ricorrente riceveva la propria fornitura da (OMISSIS) con una certa sistematicita', dopo avere preso accordi con il (OMISSIS); egli quindi ben sapeva che quest'ultimo poteva disporre della collaborazione del secondo, ossia non puo' negarsi che l' (OMISSIS) fosse ben consapevole di muoversi all'interno di un contesto associativo. Uno scambio di messaggi intercorso fra lui e (OMISSIS) prova come tale consapevolezza vi fosse anche in chi acquistava la droga dal ricorrente medesimo; in essi, infatti, Petracca, utilizzando un linguaggio criptico che faceva riferimento ad una fantomatica ragazza, in realta' intendeva consolidare i traffici commerciali che aveva gia' con (OMISSIS) e, per il suo tramite, con l'intera organizzazione guidata da (OMISSIS). Dopo aver ribadito la sua attenzione alla puntualita' nei pagamenti e garantito il rispetto di ogni obbligo legato all'illecita attivita', dimostrava la sua vicinanza ad (OMISSIS) e ai suoi sodali richiedendo forniture piu' consistenti di narcotico; (OMISSIS), dal canto suo, accettava la proposta stabilendo un incontro per la giornata successiva. Proprio il riferimento alla famiglia, in maniera perfettamente logica, e' stato ritenuto idoneo dal giudice di secondo grado a provare la consapevolezza anche dei clienti dell' (OMISSIS) che questi si muovesse all'interno di un contesto associativo del quale voleva fare parte. 2.2. La seconda doglianza - con cui si contesta la violazione degli articoli 581 e 597 c.p.p. nonche' la mancata esclusione dell'aggravante Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, comma 4, - e' inammissibile. Preliminarmente e' necessario puntualizzare che la Corte di appello non ha escluso in radice, per tutti i sodali e quindi sul versante oggettivo, il carattere armato dell'associazione, ma si e' limitata, in accoglimento dei motivi di appello proposti da alcuni partecipi, con cui si intendeva far valere la mancata conoscenza della detenzione di armi quindi il carattere armato dell'associazione, a non applicare, solo nei loro confronti, la contestata aggravante con conseguente rideterminazione della pena. Quanto invece alla posizione di (OMISSIS), e' necessario rilevare come manchi nell'atto di appello la specifica contestazione in ordine alla consapevolezza del carattere armato dell'associazione, non potendosi ritenere questa implicita nel generico motivo formulato in ordine alla semplice consapevolezza della partecipazione all'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Invero, in linea generale, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte ritenere sistematicamente non consentita la proposizione per la prima volta in sede di legittimita' di uno dei possibili vizi della motivazione, con riferimento a profili richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello, sia pur collegati, come e' ovvio, all'inquadramento giuridico del fatto di reato contestato al ricorrente ed alle sue circostanze. A ritenere altrimenti, infatti, il giudice di legittimita' potrebbe disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata, contraddittoria o manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Riconoscendo la possibilita' di estendere il suo sindacato anche a vizi della motivazione non dedotti in appello, invero, il giudice di legittimita' sarebbe anche indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice di merito di secondo grado; dall'altro canto, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza impugnata, avuto riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Rv. 279903; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Rv. 276062; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, Rv. 271869; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Rv. 269368). Sintetizzando all'essenziale, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perche' non devolute alla sua cognizione (Sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Rv. 255577). Nel caso di specie, il ricorrente, per sua stessa affermazione, si e' limitato a contestare esclusivamente la sussistenza della consapevolezza della partecipazione all'associazione e non, specificatamente, l'ulteriore consapevolezza del carattere armato dell'associazione stessa; correttamente dunque il giudice di secondo grado non si e' pronunciato su tale secondo profilo e, conseguentemente, non puo' non rilevarsi come oggi la questione sia preclusa in sede di legittimita', mancando qualsiasi onere di motivazione a monte in assenza di una specifica contestazione. Analoghe conclusioni devono trarsi con riferimento all'applicazione dell'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3. Essa non e' stata oggetto di specifico motivo in sede di appello; quindi, deve ritenersi assente qualsiasi onere di motivazione sul punto in capo al giudice di secondo grado, il quale, comunque, operando una puntuale ricostruzione dei fatti e richiamando le numerose intercettazioni ambientali e telefoniche ove compare anche il ricorrente, non ha mancato di rilevare come risulti infondata la doglianza - formulata da altri ricorrenti - relativa al numero di partecipanti superiore a dieci, tale essendo indubbiamente risultato il numero dei sodali. 2.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si deduce la violazione dell'articolo 629 c.p. con riferimento al capo 25) dell'imputazione, difettando la prova degli elementi costitutivi del reato di estorsione - e' inammissibile perche' diretto, con argomentazioni in parte generiche, ottenere una rivalutazione di elementi presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 2.1., da intendersi come richiamate. La Corte di appello ha infatti dato conto in modo chiaro e coerente di come il reato in esame riguardi la richiesta inoltrata, con violenza e minaccia, a (OMISSIS) e alla sua famiglia, di una somma di denaro pari a Euro 600,00, quale compenso per le forniture di droga effettuate dall' (OMISSIS). Logicamente e' stato ritenuto che la natura illecita del debito derivi dalla lettura congiunta di diversi elementi: in primis lo (OMISSIS) si preoccupava del fatto che il padre non venisse a sapere nulla del debito, segno che questo non aveva origini lecite; in secondo luogo, se fosse stato di natura lecita, l' (OMISSIS) avrebbe avuto un qualsivoglia titolo per azionarlo e riceverne soddisfacimento; in terzo luogo non sono emersi rapporti di altro genere - ne' la difesa li ha addotti in appello - che costituiscano una valida alternativa lettura delle emergenze investigative; la minaccia, poi, era assolutamente idonea a coartare la volonta' dello (OMISSIS) e della madre alla luce dell'insistenza, della prospettazione di attentare anche all'incolumita' fisica della persona offesa, dei pregressi rapporti fra i due, allorquando, in analoga situazione, lo (OMISSIS) era stato malmenato dall'imputato. Circostanza, quest'ultima, che e' stata dedotta dalle dichiarazioni della madre, (OMISSIS), ma anche dall'arrendevolezza dello (OMISSIS). che, nel corso di una delle conversazioni, al fine di tranquillizzare il suo creditore, dichiarava di essere pronto a prendere anche degli schiaffi. Considerata la natura illecita del debito e tenuto conto che le minacce venivano rivolte anche ad un soggetto terzo estraneo al rapporto debitorio, ossia la madre dello (OMISSIS), correttamente si e' ritenuto che il fatto non potesse essere ascritto alla fattispecie di cui all'articolo 393 c.p., come preteso dalla difesa. In punto di diritto, infatti, deve ricordarsi che e' configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, in presenza di una delle seguenti condizioni relative alla condotta di esazione violenta o minacciosa di un credito: a) la sussistenza di una finalita' costrittiva dell'agente, volta non gia' a persuadere ma a costringere la vittima, annullandone le capacita' volitive; b) l'estraneita' al rapporto contrattuale di colui che esige il credito, il quale agisca anche solo al fine di confermare ed accrescere il proprio prestigio criminale attraverso l'esazione con violenza e minaccia del credito altrui; c) la condotta minacciosa e violenta finalizzata al recupero del credito sia diretta nei confronti non soltanto del debitore ma anche di persone estranee al sinallagma contrattuale (ex plurimis, Sez. 2, n. 5092 del 20/12/2017, dep. 2018, Rv. 272017; Sez. 2, n. 11453 del 17/02/2016, Rv. 267123; Sez. 2, n. 44657 del 08/10/2015, Rv. 265316). Nel caso di specie la Corte di appello, perfettamente in linea con la richiamata giurisprudenza, ha evidenziato come non potesse dirsi che l' (OMISSIS) avesse un titolo e men che meno che potesse eventualmente azionarlo nei confronti della madre dello (OMISSIS) cui egli si era rivolto per il soddisfacimento della sua pretesa, specificando ancora che ove l'origine fosse stata lecita, l'aver tentato il soddisfacimento con minaccia nei confronti della madre, terza estranea rispetto al rapporto debitorio che non aveva assunto alcuna garanzia ne' scritta ne' di fatto per il debito del figlio, integra comunque l'ipotesi estorsiva; e' stato infatti escluso che la (OMISSIS) avesse mai assunto volontariamente la posizione di garante, mentre la sua condotta era chiaramente diretta ad evitare che il figlio subisse le conseguenze, in termini di incolumita' fisica, derivanti dal suo inadempimento. Se ella ad un certo punto ammetteva che avrebbe provveduto personalmente all'estinzione, cio' avveniva solo a seguito delle minacce subite per far tacitare i propositi criminosi dell' (OMISSIS) che gia' in passato aveva malmenato il figlio; giammai quindi questa partecipo' alla genesi del rapporto obbligatorio e in nessuna occasione assunse la posizione debitoria del figlio. In considerazione di quanto sopra, anche ove la natura del credito fosse stata lecita, la condotta assunta nei suoi confronti, terza estranea al rapporto obbligatorio, correttamente e' stata ritenuta elemento costitutivo del reato di estorsione. 2.4. Il quarto motivo di ricorso - con cui si censura la violazione degli articoli 62-bis e 81 c.p. - e' parimenti inammissibile. Quanto al primo, la Corte territoriale ha riconosciuto l'assenza di elementi positivi che potessero giustificare la concessione delle invocate circostanze attenuanti generiche, aggiungendo che il ricorrente non ha mai assunto un atteggiamento collaborativo o anche solo ammissivo e non ha mai provveduto a risarcire il danno; per contro e' stato evidenziato come sussistessero elementi di segno contrario, che hanno correttamente indotto al rigetto della richiesta delle attenuanti generiche: il certificato del casellario giudiziale e' stato ritenuto particolarmente illuminante circa la personalita' negativa dell' (OMISSIS), avendo egli riportato diverse condanne, di cui tre per il medesimo titolo di reato. Quanto invece agli aumenti di pena a titolo di continuazione, e' stato considerato che in primo grado il giudice, a fronte della gravita' del reato estorsivo le cui modalita' sono risultate particolarmente invasive e dolorose avendo interessato anche la madre della vittima, si e' limitato ad indicare un aumento pari a soli 6 mesi di reclusione e che per ciascuno degli episodi di spaccio la stessa e' stata contenuta in 3 mesi di reclusione; conseguentemente la pena irrogata e' stata ritenuta congrua ed equa, anche tenendo conto del fatto che e' stato omesso qualsivoglia aumento per la contestata aggravante dall'essere l'associazione formata da piu' di dieci persone. 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 3.1. Il primo motivo di doglianza, con il quale si denunciano - la violazione di legge con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e all'articolo 192 c.p.p., comma 2, ed il vizio di motivazione del provvedimento impugnato - e' inammissibile. La difesa si e' limitata a sottoporre una serie di aspetti esclusivamente valutativi della vicenda in esame, e pertanto preclusi al sindacato di questa Suprema Corte. In ogni caso, deve essere considerata logica e coerente la valutazione degli elementi probatori operata dalla Corte di appello, da cui emerge come la droga acquistata dall'imputato non potesse essere utilizzata dallo stesso per il mero consumo personale, attraverso il richiamo puntuale a conversazioni telefoniche captate, nelle quali il (OMISSIS), rivolgendosi al ricorrente, faceva esplicito riferimento all'attivita' di pesatura, invitando l'interlocutore al controllo della quantita' della sostanza ricevuta. Da un'ulteriore intercettazione si desume con certezza che l'imputato possedesse nella sua abitazione un quantitativo di stupefacente superiore a quello necessario per soddisfare il suo fabbisogno personale, tanto che, ove la polizia giudiziaria fosse stata assistita, nella sua attivita' di perquisizione dell'abitazione del (OMISSIS), da unita' cinofile, lo stesso si sarebbe trovato in seri problemi con la giustizia; paura che non si sarebbe manifestata ove lo stesso avesse posseduto stupefacenti per il solo consumo personale. 3.2. La seconda censura - riferita alla pretesa violazione degli articoli 62-bis, 99 e 133 c.p., e al vizio di motivazione del provvedimento impugnato - e' inammissibile. La quantificazione della pena operata dalla Corte territoriale deve considerarsi adeguata, tenuto conto della gravita' delle condotte contestate all'imputato e del corretto riconoscimento della recidiva. Infatti - posto che il giudice e' tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualita' e al grado di offensivita' dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneita' esistente tra loro, all'eventuale occasionalita' della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante significativo della personalita' del reo e del grado di colpevolezza, al di la' del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali - nel caso in esame il solo elemento della lontananza nel tempo delle condanne non e' sufficiente, poiche' concorrono, e risultano prevalenti, il numero elevato delle condanne per crimini in materia di sostanze stupefacenti, ben sette, e la mai dismessa capacita' criminale dell'imputato quale emerge dagli atti di causa, che rendono neutro il mero dato temporale ed inducono ad escludere le circostanze attenuanti generiche. 4. Il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile. 4.1. Il primo motivo - con cui si lamenta, in sostanza, la vaghezza dell'imputazione - e' manifestamente infondato. A differenza di quanto dedotto dalla difesa dell'imputato - e come ben evidenziato dalla Corte distrettuale - nel capo 40 e' specificatamente indicato ogni elemento costitutivo del reato ascritto in concorso. E' infatti richiamata la condotta illecita ("ricevevano per il successivo spaccio"), sono puntualizzate le modalita' ("ricevevano da (OMISSIS) e (OMISSIS)"), e' specificata la tipologia di droga consegnata ("imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina"), sono fissati il luogo di commissione del reato ("in (OMISSIS)") e il periodo temporale ("dal 5 ottobre 2016 al 4 marzo 2017"). 4.2. Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamentano il travisamento del fatto, il travisamento della prova e la contraddittorieta' della motivazione - deve anch'esso essere dichiarato inammissibile. La Corte territoriale infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa - quale si limita a riproporre in cassazione una doglianza gia' motivatamente disattesa - ha coerentemente motivato in punto di responsabilita' degli imputati. Si e' accertato, in particolare, come dalle stesse dichiarazioni del (OMISSIS) fosse emerso che costui talvolta prendeva 10 grammi di droga per assumerne 5 e venderne 5. Dalle indagini poi evidenziano i giudici d'appello - erano emerse le modalita' di distribuzione della sostanza stupefacente, la cui prova della destinazione allo spaccio e' facilmente evincibile dalla frequenza degli incontri cui seguivano consegne di forniture, assolutamente incompatibili con il mero uso personale (pagg. 20-21 della sentenza). 4.3. Il terzo e il quarto motivo di ricorso - relativi alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 4, e all'applicazione della recidiva - sono parimenti inammissibili. Infatti, come rilevato dalla Corte d'appello, il fatto ascritto all'imputato non puo' essere ritenuto di modesta rilevanza, alla luce della frequenza degli approvvigionamenti e delle quantita' smerciate. Inoltre, come sottolineato nella sentenza impugnata, non e' presente alcun elemento positivo di giudizio che giustifichi una mitigazione del trattamento sanzionatorio. L'imputato, infatti, non ha mai assunto un atteggiamento resipiscente e la parziale ammissione dei fatti offerta da quest'ultimo acquista valore neutro a fronte della chiarezza delle emergenze investigative e della sua negativa personalita', desumibile dal certificato del casellario. 5. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile. 5.1. Il primo motivo di ricorso - con cui ci si duole della mancata riqualificazione del fatto di cui al capo di imputazione 37) nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, sul rilievo che i coimputati che hanno definito il procedimento con patteggiamento hanno visto riconosciuta tale ipotesi - e' inammissibile. La giurisprudenza di legittimita' ha affermato che in tema di concorso di persone nel reato di cessione di stupefacenti, il medesimo fatto storico puo' essere ascritto ad un imputato ai sensi dell'articolo 73, comma 1, e ad un altro a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, qualora il contesto complessivo nel quale si collochi la condotta assuma caratteri differenti per ciascun correo. Ad esempio, si e' applicato tale principio a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'esclusione della ipotesi di lieve entita' per il venditore della sostanza perche', a differenza del compratore, aveva contatti stabili e continuativi con i grandi canali di approvvigionamento (Sez. 3, n. 16598 del 20/02/2020, Rv. 278945; Sez. 6, n. 2157 del 09/11/2018, dep. 2019, Rv. 274961). Un orientamento difforme ha sostenuto che in tema di concorso di persone nel reato di detenzione o cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico non puo' essere qualificato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1 o 4, nei confronti di alcuni concorrenti e contemporaneamente ricondotto nell'ambito dell'articolo 73, comma 5, nei confronti di altri, stante l'unicita' del reato nel quale si concorre, che non puo', quindi, atteggiarsi in modo diverso rispetto ai singoli concorrenti (Sez. 4, n. 30233 del 07/07/2021, Rv. 281836; Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Rv. 276676 - 02). La predette pronunce non hanno pero' trovato seguito, in quanto la giurisprudenza di legittimita' successiva ha ribadito che il contesto complessivo nel quale si collochi la condotta, deve essere valutato tenendo conto della quantita' di stupefacente trattato, nonche' dei mezzi, delle modalita' e delle circostanze dell'azione, per cui non si puo' affermare che vi sia unicita' del reato, stante i caratteri differenti che assume per ciascun correo (Sez. 3, n. 20234 del 04/04/2022, Rv. 283203). Nel caso di specie, la Corte di appello ha evidenziato che deve escludersi che il fatto possa essere ritenuto di lieve entita' alla luce del ruolo di primo ordine svolto da (OMISSIS): egli, infatti, oltre ad essere stato colui che si era portato direttamente dal fornitore per l'acquisto della droga, era anche colui che aveva provveduto alla consegna al (OMISSIS), garantendosi che quest'ultimo lasciasse il luogo convenuto in sicurezza. A queste considerazioni, i giudici di merito mostrano come assumano rilevanza sia la quantita' di droga sequestrata, oltre mezzo chilo, sia la sua posizione di supremazia rispetto a (OMISSIS). 5.2. Il secondo motivo di ricorso - con si deduce la violazione degli articoli 81 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine al trattamento sanzionatorio - e' inammissibile. La Corte d'appello ha ben evidenziato che, dato il ruolo del ricorrente e data la quantita' di droga smerciata, si doveva erogare una pena superiore al limite al minimo edittale, seppur inferiore a quella applicata in primo grado. In ordine agli aumenti di pena per i reati posti in continuazione, a fronte della personalita' dell'imputato, particolarmente attivo nel rifornimento, nell'approvvigionamento e nella distribuzione della sostanza stupefacente, e della quantita' di merce smerciata, si e' correttamente ritenuto congruo un aumento pari a 6 mesi di reclusione, in quanto la pena conseguentemente irrogata e' stata ritenuta congrua ed equa. A fronte di tale motivazione, le ragioni del ricorso appaiono meramente riproduttive di doglianze gia' disattese in secondo grado e comunque fondate sul generico richiamo ad un atteggiamento positivo dell'imputato post delictum, in realta' inesistente. 6. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 6.1. La prima doglianza - con la quale si denunciano il vizio di legge con riferimento alla mancata riduzione della pena nei confronti di (OMISSIS) quale partecipe dell'associazione a delinquere contestata sub capo A) della rubrica per effetto della ritenuta insussistenza dell'aggravante speciale relativa al "carattere armato dell'associazione", nonche' l'illogicita' della motivazione - e' inammissibile. Essendo tale motivo di ricorso sostanzialmente sovrapponibile a quanto dedotto dal coimputato (OMISSIS), puo' farsi rinvio alle considerazioni gia' svolte sub 2.2. 6.2. Il secondo motivo di ricorso - con il quale si denuncia la mancata applicazione dell'articolo 62-bis c.p. con giudizio di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti - e' inammissibile. Si tratta, anche in questo caso, della mera riproduzione di una censura di appello, gia' generosamente considerata dei giudici di secondo grado, i quali hanno rivisitato in diminuzione il trattamento sanzionatorio valutando lo stato di incensuratezza e l'atteggiamento parzialmente collaborativo dell'imputato, ma anche richiamando la ripetitivita' della condotta e il carattere parziale dell'ammissione degli addebiti; mentre la difesa non adduce elementi ulteriori rispetto a quelli che furono oggetto di gravame. 7. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' infondato. 7.1. Il primo motivo - con cui si deduce il vizio di motivazione e l'avvenuto travisamento della prova in considerazione del mancato riascolto dell'intercettazione ambientale n. 578 del 19 luglio 2016 ore 21:22 - e' inammissibile, perche' generico. Il ricorrente, infatti, non contesta la parte della motivazione del gravato provvedimento in cui vengono riassunti i motivi di appello e dai quali non emerge la richiesta di nuovo ascolto della citata intercettazione ne' tantomeno indica, in modo specifico e puntuale, quando tale richiesta sia stata effettuata e con quale provvedimento la Corte di appello gli abbia risposto rigettandola. Cio' posto, appare opportuno ricordare che l'intercettazione e' una prova precostituita, che non si forma in dibattimento e viene semplicemente rimessa, in un momento successivo, al giudice di merito per le sue determinazioni. Nel caso di specie, per di piu', la Corte di appello ha anche dato prova di conoscere il contenuto della suddetta intercettazione, avendola utilizzata per la stesura dell'impianto motivazionale. Tutto cio' premesso, rilevata la genericita' del motivo di ricorso proposto, anche per la mancata indicazione del preteso contenuto dell'intercettazione travisata, deve comunque ribadirsi il principio di diritto secondo il quale l'interpretazione delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni ambientali e telefoniche costituisce valutazione di merito. E l'iter argomentativo e' certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza, mentre e' possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile, conformemente ai principi gia' illustrati sub. 1.3.1. e 1.3.2. Conclusivamente, la Corte, in modo assolutamente logico, ha affermato che le indagini esperite in fase preliminare hanno portato gli inquirenti ad acquisire un dato: il (OMISSIS), nel contesto criminale in cui maturavano i fatti, era indicato come figlio del (OMISSIS), pur essendone il nipote, e a lui era associato l'appellativo " (OMISSIS)". 7.2. La seconda censura - con cui si lamenta il vizio di motivazione con specifico riferimento al passaggio in cui si assume che la riferibilita' del diminutivo "figlio" o " (OMISSIS)" alla persona dell'imputato possa essere desunta da un dialogo intrattenuto da (OMISSIS) con un altro uomo - e' inammissibile; valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 1.3.1., 1.3.2., da intendersi come richiamate. Piu' nel dettaglio, la Corte ha evidenziato come il dato che la persona indicata quale figlio di (OMISSIS) o con l'appellativo " (OMISSIS)" fosse certamente l'imputato potesse desumersi da altri elementi, quale, ad esempio, il fatto che il 10 agosto 2016 (OMISSIS), a bordo del veicolo Volkswagen Golf, si era recato a (OMISSIS), proprio nel medesimo punto in cui il 19 luglio 2016 si era incontrato con (OMISSIS); questa volta pero', dopo essere sceso dal mezzo, (OMISSIS) si era avvicinato momentaneamente allo stesso mentre era intento a dialogare con un altro uomo la cui voce veniva riconosciuta, senza alcun dubbio, dal personale dei carabinieri di Brindisi in quella di (OMISSIS), precedentemente intestatario dell'autovettura utilizzata dal (OMISSIS) e sottoposta ad intercettazione. Due, quindi, erano gli elementi che portavano con certezza all'odierno imputato: il riconoscimento della voce e la pregressa intestazione dell'autovettura del (OMISSIS) a suo nome. Inoltre, dai messaggi inviati da (OMISSIS) a (OMISSIS) si e' rilevato che fra i due vi fossero in corso due tipi di transazioni economiche: la prima riguardava la vendita dell'auto da quest'ultimo al primo e la seconda il pagamento di forniture di droga; proprio l'elemento della precedente intestazione dell'auto condotta dal (OMISSIS) in capo al (OMISSIS) ha consentito la corretta conclusioni dei giudici di merito, perche' egli era certamente l'utilizzatore dell'utenza (OMISSIS) sulla quale venivano captati diversi messaggi inviati dallo (OMISSIS) e dal (OMISSIS) contenenti richieste di incontri per forniture ed accordi per pagamenti. Ne ha fornito riscontro lo scambio di messaggi in data 14 ottobre 2016, con cui il (OMISSIS) chiedeva di pazientare ancora qualche giorno garantendo comunque la consegna di Euro 2.000,00 per l'autovettura ed Euro 5.000,00 o 6.000,00 per le pregresse forniture: nei giorni successivi si accertava che presso l'abitazione di (OMISSIS) avveniva il pagamento di una fornitura da parte del (OMISSIS) che si serviva, allo scopo, dello (OMISSIS). Il mirato servizio di osservazione, controllo e pedinamento consentiva quindi ai carabinieri di accertare che (OMISSIS), a bordo della sua autovettura Fiat Punto, all'orario pattuito, si recava a (OMISSIS) ove, dai successivi accertamenti, risultava domiciliare (OMISSIS). Con specifico riferimento, poi, al riconoscimento della voce da parte degli operanti - a fronte dello scetticismo palesato dal ricorrente, il quale non ha comunque contestando che egli fosse il reale dialogante - va evidenziata la coerenza della conclusione dei giudici di primo e secondo grado, secondo cui e' piu' che plausibile che gli appartenenti alla polizia giudiziaria, costantemente impegnati sul fronte della repressione del traffico di stupefacenti e pertanto perfettamente in grado di riconoscere il timbro della voce di soggetti a loro noti, avessero compreso a chi appartenesse quella voce. La Corte ha correttamente ritenuto che proprio quegli elementi dei quali la difesa adduce l'irrilevanza provano inconfutabilmente il ruolo del (OMISSIS) e la sua vicinanza al (OMISSIS); infatti, questo ha effettuato l'incontro con il suo acquirente esattamente nello stesso luogo in cui precedentemente era avvenuto con (OMISSIS): la circostanza, lungi dall'essere una mera causalita', e' stata correttamente ritenuta, al contrario, il segno dell'ascrivibilita' del fatto al medesimo contesto. 7.3. La terza doglianza - con cui si censura il travisamento della prova nella misura in cui la Corte avrebbe omesso di considerare che la via (OMISSIS) non sarebbe mai stata il luogo ne' di residenza ne' di domicilio dell'imputato - e' infondato. E' infatti sufficientemente dimostrato che l'odierno ricorrente non fosse residente alla via (OMISSIS), tanto che la Corte, in motivazione, si e' limitata a riconoscere che lo stesso abbia domiciliato nel luogo in occasione dell'incontro con lo (OMISSIS) al fine di ricevere, per il suo tramite, il denaro dovuto dal (OMISSIS) per la cessione dello stupefacente e la vendita dell'autovettura, senza mai giungere ad affermare che l'imputato fosse li' residente. In tale quadro, e' privo di pregio e' il tentativo di contestare il dato fattuale appreso dalla polizia giudiziaria in sede di indagini con un dato formale, quale il certificato storico di residenza, che di per se' potrebbe essere in astratto inidoneo a destituire di fondamento tale ricostruzione ma la cui valenza concreta gia' stata motivatamente esclusa dalla Corte di appello, anche per la mancata indicazione da parte della difesa di un luogo alternativo di reale domicilio. 8. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 8.1. Il primo motivo - riferito alla violazione del diritto di difesa conseguente all'acquisizione delle note del funzionario responsabile del centro di intercettazioni relative allo svolgimento delle operazioni, che avrebbe negativamente influito sulla scelta del rito e avrebbe introdotto nel procedimento atti inutilizzabili - e' manifestamente infondato. Come rilevato correttamente dalla Corte di appello, solo le eccezioni di cui all'articolo 491 c.p.p. impongono al giudice la decisione immediata; mentre sede di udienza preliminare, il giudice puo' scegliere di valutare la fondatezza di altre eccezioni - fra le quali quella della inutilizzabilita' delle disposte intercettazioni - in esito alla discussione. Nel caso in esame la difesa, dopo aver sollevato la eccezione concernente la utilizzabilita' delle intercettazioni disposte nell'ambito del presente procedimento, ha poi optato per il rito abbreviato, cosi' accollandosi il rischio che la decisione si fondasse anche sul loro contenuto. La possibilita' di postergare la decisione in esito alla discussione non ha procurato nessuna lesione del diritto di difesa, atteso che, ove la eccezione fosse stata ritenuta fondata, il giudice avrebbe deciso senza tenere conto del contenuto di quelle intercettazioni, cosi' compiendo un'operazione favorevole agli imputati. In caso contrario, le avrebbe utilizzate, ma il contenuto di quegli atti di indagine era gia' noto agli appellanti, facendo parte del fascicolo delle indagini. Dunque, l'imputato non ha subito, ne' avrebbe potuto subire, alcun pregiudizio (e questa probabilmente e' la ragione sottesa alla scelta legislativa di consentire la decisione delle eccezioni unitamente al merito), visto che l'opzione di essere giudicati allo stato degli atti comporta l'accettazione del rischio della loro integrale utilizzazione. In ordine all'eccezione relativa all'acquisizione delle 41 schede redatte dal funzionario responsabile del centro intercettazioni, non si tratta di schede acquisite in epoca successiva dal giudice di prime cure, ma di atti facente parti delle indagini preliminari e in particolare di quelle esperite a mezzo di intercettazioni telefoniche, che gia' facevano parte del fascicolo e la cui utilizzabilita' totale deriva dal rito prescelto; ne' la loro mancata iniziale trasmissione influisce sulla loro utilizzabilita'. I giudici di merito hanno offerto ampia e articolata giustificazione della infondatezza della eccezione, precisando correttamente che la condizione necessaria per l'utilizzabilita' delle intercettazioni e' che la registrazione - che consiste nell'immissione nella memoria informatica centralizzata (server), dei dati captati nella centrale dell'operatore telefonico - sia avvenuta per mezzo degli impianti installati in Procura, anche se le operazioni di ascolto, verbalizzazione e riproduzione dei dati registrati siano eseguite negli uffici di polizia giudiziaria" (Cass., Sez. Un., 26 giugno 2008, n. 36359). Tutte le attivita' di intercettazione eseguite nel procedimento in oggetto sono state disposte con altrettanti decreti ex articolo 267 c.p.p., con i quali si e' ordinato che le operazioni di intercettazione fossero compiute per mezzo degli impianti installati nella Procura della Repubblica ed eseguite, per quelle telefoniche, con le modalita' tecniche concordate con gli operatori di telecomunicazioni. La funzione di raccordo con gli operatori di telecomunicazioni, determinante per il pieno controllo del pubblico ministero sulle attivita' di intercettazione/registrazione e per garantire e dare conto - anche successivamente - del rispetto della disposizione ex articolo 268 c.p.p., viene svolta dal Centro di Intercettazione delle Telecomunicazioni, unita' organizzativa alla quale, con i decreti dispositivi del pubblico ministero, per ciascun bersaglio e' stato demandato il compito di provvedere agli adempimenti tecnici ed amministrativi di competenza, necessari per il tempestivo avvio dell'attivita' di intercettazione disposta. Cosi', nel procedimento in questione, il funzionario responsabile ha provveduto alla redazione delle note con le quali sono stati comunicati di volta in volta agli operatori di telecomunicazioni coinvolti, oltre ai parametri necessari per l'individuazione dell'apparecchio radiomobile da intercettare e ai parametri delle risorse di rete cui trasmettere i dati captati. 8.2. La seconda doglianza - riferita al capo A) di imputazione, in merito alla sussistenza di un sodalizio criminale e alla partecipazione ad esso dell'imputata e' inammissibile, in quanto ripropone una valutazione alternativa dei fatti gia' disattesa in primo e secondo grado. I giudici di merito hanno rilevato che il contributo della (OMISSIS) in favore del sodalizio capeggiato dal compagno si palesava chiaramente in occasione dell'episodio di cui al capo 8). In tale circostanza, ella era con (OMISSIS) sia nella fase del sopralluogo per la individuazione del posto in cui operare lo scambio, cercando, insieme a lui, la presenza di eventuali telecamere, sia nella fase finale in cui accompagnava, facendo da staffetta, il sodale, incaricato del trasporto da (OMISSIS). Inoltre, condivideva con (OMISSIS) valutazioni in ordine alle operazioni di acquisto dai fornitori di (OMISSIS) e strategie di scelta degli approvvigionamenti. Il compagno, infatti, riferiva alla (OMISSIS) ogni problematica afferente alle consegne di droga e questa a sua volta era sempre pronta a suggerimenti e considerazioni, come nel caso in cui i fornitori di (OMISSIS) non sembravano in grado di soddisfare la ulteriore richiesta di droga del (OMISSIS). L'imputata aveva un ruolo fondamentale anche in occasione del rifornimento del 29 luglio 2016, allorquando (OMISSIS) e (OMISSIS) dovevano incontrarsi per lo scambio droga-denaro. Temendo di essere controllati ( (OMISSIS) perche' aveva visto auto della polizia in giro, (OMISSIS) perche' temeva che fossero state installate delle microspie all'interno della sua macchina) la fissazione dell'appuntamento avveniva attraverso le apparecchiature telefoniche delle rispettive compagne. Ulteriormente, non e' trascurabile che il (OMISSIS) in almeno due occasioni (capo 9) sceglieva il punto in cui si trovava la abitazione della (OMISSIS) per effettuare le operazioni relative agli scambi o agli incontri con il (OMISSIS) che, poi da li', partiva con la moto per il Salento. A cio', la Corte di appello aggiunge la circostanza secondo cui a lei sarebbe spettata, come alle mogli di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), una corresponsione mensile da parte dell'associazione. 8.3. Il terzo motivo - con cui si censura la mancata qualificazione dell'associazione nella fattispecie di lieve entita', non emergendo dalle intercettazioni un'attivita' di spaccio di ingenti volumi di sostanza stupefacente - e' inammissibile, sia perche' formulato in modo non specifico, sia perche' afferente a un profilo che non era stato devoluto nel giudizio di appello, come emerge dal riassunto delle doglianze proposte, che la difesa non ha contestato. 8.4. Il quarto motivo di ricorso - con cui si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' il vizio di motivazione, relativamente al capo 11) di imputazione - e' inammissibile, perche' riproduttiva di un rilievo gia' motivatamente disatteso in secondo grado. La Corte di appello evidenzia come si debba escludere che le quantita' di sostanza stupefacente consegnate al (OMISSIS) fossero esigue: elemento che risulta chiaro dall'ordine effettuato, da cui si evince che si trattasse di 250 grammi di cocaina e di 22 grammi di hashish. Di conseguenza, la fattispecie correttamente non e' stata ricondotta al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. In ordine alla partecipazione della (OMISSIS), questa e' confermata dall'attivita' della polizia giudiziaria, che nel pomeriggio del 5 ottobre 2016, aveva predisposto un apposito servizio di osservazione, attraverso il quale e' stata documentata la fase in cui il (OMISSIS) e la ricorrente si recavano in Collemeto per l'illecita cessione a favore di (OMISSIS); e la ricostruzione era stata confermata da un dialogo intercettato. 8.5. La quinta doglianza - sul trattamento sanzionatorio, con riferimento alla determinazione degli aumenti di pena per la continuazione - e' inammissibile. La gradazione della pena si fonda anche sulle modalita' dell'azione, che possono comportare una diversa quantificazione della sanzione, in relazione al ruolo svolto dal singolo correo. In ogni caso, la Corte di appello ha logicamente dato conto della ragione per la quale gli aumenti per (OMISSIS) sono stati inferiori, ovvero per l'unico obiettivo di calmierare una pena per lui gia' molto elevata e non perche' le sue condotte fossero meno gravi di quelle poste in essere dalla (OMISSIS). 9. I ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) sono solo parzialmente fondati. 9.1. Il primo motivo di doglianza - con cui si contesta la natura stabile del contributo dei ricorrenti - deve essere dichiarato inammissibile. Come rilevato nella sentenza impugnata, all'esito delle indagini investigative sono emersi plurimi elementi atti a dimostrare non solo la sussistenza di un sodalizio criminoso dedito al traffico di sostanze stupefacenti, ma anche la partecipazione a quest'ultimo da parte degli odierni imputati. Rispetto a tale sodalizio - evidenzia la Corte territoriale - il (OMISSIS) e il (OMISSIS) si ponevano come fornitori stabili, consegnando ripetutamente al (OMISSIS) e agli altri sodali cospicui quantitativi di droga. L'accordo criminoso, peraltro, prevedeva che le mogli percepissero una sorta di indennita' di Euro 250,00 settimanali, che diventavano 500,00 solo per la moglie di (OMISSIS) in ragione del ruolo apicale svolto. Inoltre, evidenzia la Corte d'appello, dalle stesse intercettazioni emergono con chiarezza non solo la prova dell'avvenuta fornitura, ma anche le modalita' e il quantitativo delle sostanze oggetto di spaccio. Piu' in particolare, la sentenza evidenzia la rilevanza dell'incontro del 24 luglio 2016, nel quale era maturato lo stabile rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (pagg. 40-41 della sentenza), oltre alla presenza di contatti con altri soggetti, al di fuori di (OMISSIS), ad esempio (OMISSIS). Il ruolo di fornitore stabile in capo a (OMISSIS), come tale partecipe dell'associazione, e' ben delineato alle pagg. 46-48 della sentenza impugnata, nelle quali si descrive il suo rapporto con (OMISSIS), che emerge dalle dinamiche degli incontri e dall'entita' del denaro consegnato, e si evidenzia l'irrilevanza della mancata conoscenza diretta da parte di (OMISSIS), spiegabile con l'estraneita' di quest'ultimo rispetto al "canale di (OMISSIS)". 9.2. Il secondo motivo di ricorso, riferito al solo (OMISSIS), con cui si lamenta, tra l'altro, l'impossibilita' di configurare il suo concorso negli episodi del 12 e del 30 luglio 2016 (capo 9 dell'imputazione), e' parzialmente fondato. A fronte di una specifica censura proposta con l'atto di appello, la sentenza impugnata non contiene una motivazione riferibile in modo specifico alla responsabilita' penale per tali due episodi, che non vengono analizzati ne' descritti compiutamente. Ne' puo' supplire sul punto la sentenza di primo grado (pagg. 87 e ss.), la quale si concentra sull'accertamento e la descrizione dell'apporto causale di altri soggetti. Quanto all'episodio del 6 agosto 2016 - anch'esso oggetto di doglianza - la sentenza di secondo grado risulta, invece, pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove descrive analiticamente il ruolo dell'imputato, i contatti con (OMISSIS), le modalita' di consegna del denaro e degli stupefacenti, la cui natura e' chiaramente desumibile dall'elevata entita' del corrispettivo (pagg. 4648 della sentenza di appello; pagg. 98-99 della sentenza di primo grado). Ne deriva l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 e del 30 luglio 2016, di cui al capo 9 dell'imputazione, con rigetto nel resto del suo ricorso. 9.3. Il terzo e il quarto motivo di censura - riferiti alla posizione di (OMISSIS) devono anch'essi essere dichiarati parzialmente fondati. Con riferimento all'incontro del 24 luglio 2016, la Corte territoriale ha evidenziato tanto il particolare contesto in cui questo era maturato quanto lo stabile rapporto che (OMISSIS) aveva allacciato con altri due imputati, cui (OMISSIS) risultava inscindibilmente legato per comunanza di interessi, e cioe' (OMISSIS) e (OMISSIS). Come rilevato nella sentenza impugnata, infatti, dalle indagini e dalle intercettazioni e' emersa la sussistenza di un legame forte fra i tre, che (OMISSIS) indica come soci di uno stesso sodalizio. Piu' precisamente, in occasione del controllo dei carabinieri subito da (OMISSIS) il 24 luglio 2016, dopo l'incontro con (OMISSIS), questi, commentando l'accaduto in auto con (OMISSIS), faceva intendere che fra i tre vi fosse piena interscambiabilita', tanto che i militari procedevano al controllo dell'uno o degli altri a seconda di quando questi fossero presenti sul territorio. Conseguentemente diventa logico desumere, come rilevato dai giudici d'appello, che anche ove l'organizzazione per la transazione di droga con (OMISSIS) fosse intervenuta per la prima volta il 24 luglio 2016, cio' non implica che nelle circostanze precedenti il (OMISSIS) non avesse partecipato alle forniture di narcotico rivestendo altro ruolo. In quel frangente, infatti, gli era stato assegnato il compito di provvedere alla materiale consegna della droga, compito in precedenza svolto, per lo piu', dal (OMISSIS). A fronte di tale ricostruzione, che si pone in linea con quella della sentenza di primo grado, la prospettazione difensiva appare diretta, inammissibilmente, a sminuire il contenuto della richiamata intercettazione. Con riferimento al capo 9, la difesa deduce la mancanza la motivazione quanto agli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, mentre non vi sarebbe un'indicazione della prova a supporto, quanto al fatto del 30 luglio 2016. A fronte di una specifica censura proposta con l'atto di appello, la sentenza impugnata contiene una motivazione riferibile in modo specifico alla responsabilita' penale per l'episodio del 30 luglio 2016 (sinteticamente descritto alla pag. 44), dove si specifica che il monitoraggio delle conversazioni della mattina successiva prova che (OMISSIS) era andato a (OMISSIS) dove, grazie all'ausilio di (OMISSIS), che aveva fatto da staffetta, aveva trasportato il narcotico a Collemeto, dove lo aspettava (OMISSIS), mentre (OMISSIS) aveva seguito l'operazione. Tale ricostruzione conferma la ben piu' analitica descrizione dei fatti e del compendio probatorio, rappresentato essenzialmente da intercettazioni, operata dal giudice di primo grado (alle pagine 93 e ss.). Deve invece rilevarsi che gli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, pur essendo oggetto di impugnazione, non vengono analizzati ne' descritti compiutamente dalla Corte d'appello. Ne' puo' supplire sul punto la sentenza di primo grado (pagg. 87 e ss.), la quale si concentra sull'accertamento e la descrizione dell'apporto causale di altri soggetti. Ne deriva l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, di cui al capo 9 dell'imputazione, con rigetto nel resto del suo ricorso. 10. Il ricorso di (OMISSIS) e' solo parzialmente fondato. 10.1. Il primo motivo di doglianza - sostanzialmente riferito alla partecipazione del ricorrente all'ipotizzata associazione criminale - e' inammissibile. Quanto all'appartenenza dell'imputato a due sodalizi distinti ed operanti su territori distinti, deve rilevarsi che, in linea generale, la struttura dell'associazione per delinquere non e', di per se', incompatibile con la contemporanea adesione di uno stesso soggetto a piu' sodalizi criminosi: infatti, un soggetto puo' aderire al progetto criminoso di una associazione e, nel medesimo contesto temporale, fare propri anche i propositi criminosi di altro sodalizio. Cio' premesso, la Corte di appello ha ritenuto, sulla base di quanto rilevato anche in ordine a (OMISSIS) e (OMISSIS), che la funzione di (OMISSIS) di fornitore stabile (seppur non in via esclusiva) del gruppo capeggiato dal (OMISSIS) e' elemento che prova il suo inserimento nella compagine associativa, con cui condivideva il fine di profitto ed a cui era legato per stabilita' di ruolo. L'accordo criminoso prevedeva, peraltro, che sua moglie ( (OMISSIS)) percepisse la stessa indennita' di 250,00 Euro settimanali - che diventavano 500,00 solo per la moglie di (OMISSIS) in ragione del ruolo apicale - che prendevano le altre donne, di cui si ha contezza attraverso una conversazione del (OMISSIS) che lo confidava il 12 luglio 2016, e che lo sapeva con certezza poiche' anche la sua fidanzata era stata ammessa al beneficio: tale circostanza e' fortemente sintomatica della comune appartenenza al medesimo centro di interessi, con ruoli diversificati. Stando a quanto dichiarato da (OMISSIS) nel corso di una conversazione captata in ambientale all'interno della sua vettura in occasione di un rifornimento del 24 luglio 2016, era proprio (OMISSIS) che ordinariamente si occupava di organizzare gli incontri con lui e questi si fidava ormai ciecamente della sua persona, perche' gli lasciava spazio di intervento; tanto che, dovendosi incontrare con (OMISSIS), e non con (OMISSIS), egli palesava una leggera preoccupazione per il cambio di correo con cui interfacciarsi, che poteva comportare modifiche nella organizzazione. Pertanto, risulta evidente la continuita' e la frequenza dei rapporti con (OMISSIS) che agiva nella piena consapevolezza che (OMISSIS) fosse un centro di interessi a cui far riferimento nel caso di rifornimento di droga in (OMISSIS). Significativa, sul punto, e' anche l'intercettazione ambientale del 18 luglio 2016, riferita al prezzo praticato. Ne' tale conclusione e' inficiata dal mancato riferimento di (OMISSIS) al gruppo di (OMISSIS), perche' egli ben poteva non essere a conoscenza diretta di tale canale di rifornimento. 10.2. La seconda censura, riferita alla responsabilita' penale per il capo 9) dell'imputazione e' inammissibile, in quanto richiede una rivalutazione delle intercettazioni, senza compiutamente evidenziare i profili di manifesta illogicita' dell'interpretazione che i giudici di merito ne hanno fatto. Anche a prescindere da tale assorbente considerazione, deve rilevarsi che, sulla base del compendio istruttorio, la Corte di appello ha evidenziato che l'imputato partecipava ad un incontro, voluto dal (OMISSIS) e finalizzato a parlare della cattiva qualita' dello stupefacente, tenutosi il 12 luglio 2016 presso il ristorante (OMISSIS). Egli era presente, come risulta dal fatto che, subito dopo l'appuntamento, (OMISSIS) aggiornava il sodale (OMISSIS) degli esiti dell'incontro, riferendogli che il (OMISSIS) era molto infuriato per l'arresto di (OMISSIS). E' centrale, sul punto, la conversazione intercettata del 18 luglio 2016, la cui pregnanza e' tale da rendere irrilevanti le considerazioni difensive circa la pretesa estraneita' dell'imputato alle fasi prodromiche e la pretesa assenza dello stesso all'incontro preparatorio del 12 luglio 2016. 10.3. Il terzo motivo - con cui si censura, in particolare, la violazione degli articoli 89, 62-bis c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articoli 132 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione - e' parzialmente fondato. In ordine all'attenuante del vizio parziale di mente, la Corte di appello correttamente ha fatto applicazione dei principi, per cui la dichiarazione di vizio di mente in un procedimento penale non comporta alcuna conseguenza su procedimenti contestuali o successivi, neppure nel caso in cui i fatti oggetto di procedimento siano da considerarsi temporalmente sovrapponibili. In ogni caso, acquisiti gli esiti dell'accertamento peritale, la Corte d'appello ha ritenuto prevalente l'attenuante del vizio parziale di mente sull'aggravante del numero dei partecipanti all'associazione e ha corrispondentemente diminuito la pena. Invece, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che era stato oggetto di specifico motivo di appello, deve rilevarsi che la sentenza impugnata non da' una motivazione. Quanto, poi, all'aumento di pena per la continuazione, questo era stato in primo grado di un anno di reclusione, laddove si era tenuto conto erroneamente di due reati satellite anziche' di uno solo, ed e' stato di sei mesi in secondo grado, pur essendo diminuita la pena base, e senza che sia stata fornita una motivazione sul punto della sua quantificazione. Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, nei confronti di (OMISSIS), limitatamente all'omessa statuizione sulle circostanze attenuanti generiche e all'aumento per la continuazione; il ricorso deve essere nel resto rigettato. 11. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 11.1. Il primo motivo - con cui si lamenta la violazione della legge penale in ordine alla utilizzabilita' delle intercettazioni poste a fondamento della sentenza impugnata - e' inammissibile, in quanto generico, potendosi richiamare sul punto quanto osservato sub. 8.1. A cio' deve aggiungersi che la Corte di appello, evidenzia correttamente che il presupposto legittimante le intercettazioni e' la sussistenza di indizi di reato: e' sufficiente che siano stati acquisiti elementi che inducono a ritenere in corso un'attivita' illecita per un reato per il quale il legislatore consente il ricorso a tale strumento di ricerca della prova. Nel caso in esame, era certamente sufficiente il materiale probatorio, gia' acquisito dagli organi inquirenti ed offerto al Gip, per la sussistenza di indizi di reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, e di associazione finalizzata a tale illecita attivita'. 11.2. Il secondo motivo - con cui si lamenta la violazione di legge in ordine al giudizio di responsabilita', poiche' fondato su dichiarazioni inerenti alle intercettazioni, nonche' il connesso vizio di motivazione - e' inammissibile, in quanto richiede una rivalutazione dell'interpretazione delle conversazioni captate non ammissibile in sede di legittimita'. Puo' comunque rilevarsi che la Corte di appello evidenzia come (OMISSIS) nel corso di una conversazione, ignorando di essere sottoposto a intercettazione, dichiarava di essere creditore della somma di Euro 15.000,00 da parte di un soggetto che aveva avuto credito per le intermediazioni di (OMISSIS). Inoltre, si rileva che il 12 luglio 2016 (OMISSIS) e (OMISSIS) erano giunti presso un'abitazione di (OMISSIS), dove l'avevano incontrato in quanto il predetto ricorrente prelevava droga per venderla per conto del (OMISSIS). Ulteriormente, i giudici di merito evidenziano come il quantitativo di droga, pari a 100 gr di cocaina, che (OMISSIS) aveva fatto ad annotare in corrispondenza del nome dell'imputato, non era compatibile con un uso meramente personale, come anche emergeva dalle conversazioni intercettate il 12 agosto 2016. 11.3. Il terzo motivo - con cui si denuncia la violazione di legge in ordine all'omesso riconoscimento della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' inammissibile, perche' e' diretto a sovrapporre alla motivazione della sentenza una rivalutazione arbitraria del quadro istruttorio. Come evidenziato dalla Corte d'appello, depongono in senso contrario alla prospettazione difensiva le quantita' acquistate per la successiva vendita e la ripetitivita' delle condotte, testimoniata dai conteggi effettuati dal (OMISSIS), che depongono per la elevata frequenza dei contatti: infatti, le indagini provavano che le condotte ascritte agli imputati consistevano in ripetuti prelievi di droga destinati al successivo smercio, inseriti in un contesto criminale capace di gestire rilevanti forniture e movimenti di denaro. 12. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 12.1. La prima doglianza - essenzialmente riferita alla motivazione circa la prova della responsabilita' penale - e' inammissibile. In punto di diritto, occorre fare quanto gia' osservato sub 1.3.1., 1.3.2. circa la valutazione del contenuto di conversazioni intercettate. A fronte di una prospettazione difensiva basata su una mera lettura alternativa del quadro istruttorio, la motivazione della sentenza impugnata risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente, perche' delinea un ampio quadro indiziario dal quale risulta dimostrato che l'imputato, pur evitando di fare esplicito riferimento nelle conversazioni captate alle sostanze stupefacenti, intendesse comunque riferirsi ad attivita' concernenti le medesime. Il ricorrente, infatti, in una telefonata captata il 4.11.2016, rivolgendosi a (OMISSIS), faceva esplicito riferimento all'attivita' di pesatura dello stupefacente, invitando il suo interlocutore al controllo della sua quantita'. In una ulteriore conversazione, captata il 7.11.2016, sempre fra (OMISSIS) e (OMISSIS), si desume chiaramente l'avvenuta cessione da parte del ricorrente al coimputato di ingenti quantita' di stupefacenti, che, come confermato dagli interlocutori, non e' stata ritrovata a seguito di perquisizione domiciliare, solo per il mancato utilizzo da parte dei militari delle unita' cinofile. Ad ulteriore prova dell'esercizio, da parte del ricorrente, di un'attivita' di spaccio professionale, vanno richiamate due conversazioni intercettate il giorno 1.11.2016, ove il (OMISSIS) viene piu' volte sollecitato, dal coimputato (OMISSIS), ad intervenire per rifornire diversi acquirenti che erano in attesa di ricevere stupefacenti. Con specifico riguardo alla contestazione di cui al capo 37), deve richiamarsi il ragionamento operato dalla Corte territoriale, che risulta logicamente argomentato, con il quale si spiega che, sebbene il soggetto che ha concretamente ceduto la sostanza stupefacente al (OMISSIS) nel parcheggio dell'Eurospin di Lecce non sia identificabile nel (OMISSIS), e' provato che si tratti di un soggetto che era in collegamento con quest'ultimo. Ne e' prova il fatto che, lo stesso (OMISSIS), giunto sul luogo dell'appuntamento, contattasse il ricorrente per informarlo del suo arrivo con la richiesta di farlo presente a chi doveva incontrarlo, perche' si recasse quanto prima sul luogo convenuto. Anche in una precedente occasione i fatti si erano svolti nella stessa maniera; precisamente il 10.09.2016, quando (OMISSIS) aveva dato direttive ad un terzo soggetto che si era recato presso il parcheggio di un supermercato, dove aveva incontrato il (OMISSIS). 12.2. Il secondo motivo di ricorso - con il quale si censurano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e articolo 133 c.p., nonche' l'illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato - e' inammissibile. Nella coerente conforme valutazione dei giudici di primo e secondo grado, risulta pacificamente dimostrato che (OMISSIS), insieme a (OMISSIS), occupava una posizione sovraordinata rispetto a quella dei suoi originari coimputati, essendo il loro fornitore e dando prova di disporre di maggiori quantitativi di stupefacenti; giustificandosi, pertanto, il differente trattamento sanzionatorio fra i coimputati. Va ribadito inoltre che, in materia di sostanze stupefacenti, e' legittimo il mancato riconoscimento della lieve entita' qualora la singola cessione di una quantita' modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una piu' ampia e comprovata capacita' dell'autore di diffondere in modo non episodico, ne' occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensivita' della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantita' volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio piu' ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (ex plurimis, Cass. Sez.4, n. 40720 del 2017, Rv. 270767; Cass. Sez. 3 n. 6871 del 2016, Rv.269149). Il principio trova applicazione nel caso in esame, in cui le cessioni non risultano isolate ne' aventi ad oggetto modiche quantita' di stupefacenti, ma anzi la Corte territoriale ha delineato un quadro altamente professionale e sistematico delle attivita' di spaccio di ingenti quantita' di stupefacenti poste in essere dall'imputato; pertanto non vi e' alcun elemento positivo dal quale desumere l'applicabilita' dell'ipotesi di lieve entita' prevista dal comma 5 richiamati. Manifestamente infondata risulta, poi, la doglianza relativa al trattamento sanzionatorio, perche' - al contrario di quanto asserito dalla difesa - la motivazione della sentenza riguarda evidentemente sia la pena-base sia gli aumenti per la continuazione, essendo ancorata alla gravita' dei singoli fatti e alla negativa personalita' del soggetto, a fronte di un trattamento sanzionatorio complessivamente modesto. 13. Anche il ricorso proposto da (OMISSIS) - riferito alla mancata riqualificazione del fatto nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' inammissibile. Infatti, richiamati principi gia' affermati sub 5.1., non puo' non rilevarsi come la contestazione appaia assolutamente generica, limitandosi, la difesa, a rievocare, senza alcuna ulteriore precisazione, la sentenza con cui asseritamente, per il medesimo capo di imputazione, gli altri correi avrebbero definito la propria posizione processuale con applicazione della pena su concorde richiesta delle parti previa riqualificazione del fatto nell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, senza indicarne il numero o preoccuparsi di allegarla al ricorso per cassazione. Tuttavia, anche a prescindere dalla totale genericita' del motivo di ricorso de quo, la Corte di appello, con motivazione perfettamente logica, ha chiarito che, in considerazione della gravita' del fatto, deducibile dalla circostanza che il soggetto si e' reso responsabile del trasporto di ben 520 grammi di cocaina, e delle modalita' della condotta che evidenziavano professionalita' e destrezza, non era possibile ravvisare i presupposti per l'applicazione dell'ipotesi minore. 14. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 14.1. Il primo motivo di ricorso - con cui si lamentano la violazione di legge e la mancanza ed illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato - e' inammissibile. La difesa, infatti, non si confronta con la motivazione fornita nella sentenza impugnata, limitandosi a reiterare censure gia' avanzate in appello e rigettate dalla Corte territoriale. Come rilevato nella sentenza censurata, infatti, gli elementi di prova acquisiti con le indagini preliminari e - in particolare - con le intercettazioni vanno in senso diametralmente opposto a quanto sostenuto dalla difesa. La Corte di appello, infatti, rileva come sia emerso non soltanto che il (OMISSIS) si occupo' del trasporto della droga in alcune circostanze ben individuate, ma che cio' aveva fatto con sistematica regolarita' numerose altre volte, seppur non individuate nella data precisa. Inoltre, che (OMISSIS) potesse contare sul contributo di (OMISSIS) quale corriere che utilizzava un mezzo a due ruote era chiaro anche ai sodali di (OMISSIS), come emerso dall'intercettazione di una conversazione intercorsa il 18 luglio 2016. In tale quadro, del tutto prive di riscontro e, comunque, irrilevanti risultano le affermazioni difensive secondo cui l'imputato non conosceva (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La ricostruzione della sentenza d'appello trova, del resto, ampia conferma in quella di primo grado (pagg. 238-239), con la quale si salda sul piano logico. 14.2. Il secondo motivo di ricorso - riferito alla responsabilita' penale per i capi 1) e 9) della rubrica e alla mancata riqualificazione della contestazione mossa ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4 - e' parimenti inammissibile. Anche in questo caso, la difesa si limita a reiterare censure apodittiche volte ad ottenere una rivalutazione dei fatti preclusa allo scrutinio di questa Corte. La Corte d'appello, del resto, ha correttamente rilevato come, diversamente da quanto ipotizzato dalla difesa, (OMISSIS) fosse coinvolto nella transazione di droga, essendogli stato affidato il solito compito di trasportarla con la sua moto. L'attivita' di trasporto era, del resto, svolta regolarmente (pagg. 71 e 72 della sentenza impugnata). Quanto alla tipologia di droga trasportata, deve rilevarsi come la censura difensiva, peraltro limitata al capo 1) dell'imputazione, attinge un profilo - quello della configurabilita' del solo Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, - che non era stato specificamente sottoposto alla Corte d'appello. 14.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si denunciano la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione nonche' l'entita' degli aumenti di pena ex articolo 81 c.p. - e' inammissibile. La Corte d'appello infatti, nell'accogliere il motivo di impugnazione sull'aggravante del carattere armato dell'associazione, ha gia' ricalibrato il trattamento sanzionatorio, riconoscendo alle circostanze attenuanti generiche la prevalenza sulla residua aggravante (relativa al numero di persone che forma l'associazione) e modulando di conseguenza la diminuzione della pena. Quanto agli aumenti per la continuazione, i giudici d'appello hanno logicamente affermato che, alla luce della gravita' dei reati commessi, in considerazione delle quantita' di narcotico trasportate, gli stessi non potevano essere ridotti. 15. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 15.1. La prima doglianza - con la quale si censurano la ritenuta responsabilita' per il reato associativo e la configurabilita' dell'aggravante del numero degli associati maggiore di dieci unita' - e' inammissibile. La censura relativa alla mancata configurazione della fattispecie associativa deve considerarsi formulata in modo non specifico e, comunque, meramente ripetitiva di una doglianza puntualmente smentita dalla Corte di appello di Lecce, che con motivazione logicamente argomentata ha sottolineato come l'imputato garantisse le fonti di approvvigionamento di cocaina provenienti da spacciatori residenti presso il territorio di (OMISSIS); circostanza ampiamente dimostrata dallo stesso (OMISSIS) nella conversazione telefonica captata del 06/10/2016, ove questi raccomanda a un sodale di non tardare nel pagamento degli stupefacenti per non creargli problemi con il gruppo dei fornitori di (OMISSIS). Inoltre, a differenza di quanto dedotto con il ricorso, numerosi sono gli elementi che consentono di ritenere certo che l'imputato avesse piena consapevolezza di agire in un contesto associativo. E gli conosceva perfettamente la provenienza dello stupefacente acquistato per il tramite di (OMISSIS) e l'identita' dei suoi fornitori, era pienamente consapevole della procedura seguita da (OMISSIS) per far pervenire la droga presso di lui e sapeva dell'esistenza di altri soggetti, in numero certamente superiore a dieci, legati dal medesimo interesse illecito e dei ruoli loro assegnati. Il ricorrente prendeva parte alle scelte riguardanti il sodalizio, e cio' risulta dimostrato - tra l'altro dall'intercettazione ambientale del 18.07.2016, ove rassicurava un suo sodale in merito alla possibilita' di fornirgli una nuova utenza ed un nuovo telefono cellulare con tutti i contatti rilevanti, per continuare la comune attivita' di spaccio. 15.2. Il secondo motivo di ricorso - con il quale si lamentano l'assenza e la contraddittorieta' della motivazione in ordine all'aggravante della presenza di armi in favore dell'associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 - e' inammissibile per genericita'. La difesa spende mere affermazioni, che non sono in grado di contrastare il dato, pacifico secondo i giudici di primo e secondo grado, rappresentato dal fatto che l'arma era detenuta proprio dall'imputato, il quale svolgeva la sua attivita' nell'ambito dell'associazione di cui sopra. 15.3. La terza censura - con la quale si denuncia la violazione di legge con riferimento alla supposta inutilizzabilita' di tutte le intercettazioni telefoniche ed ambientali acquisite nel corso del procedimento - e' inammissibile. In punto di diritto deve ricordarsi che, in materia di intercettazioni, cosi' come i decreti, con i quali il Giudice per le indagini preliminari autorizza l'effettuazione di intercettazioni di comunicazioni telefoniche o ambientali, debbono contenere adeguata motivazione, allo stesso modo, il motivo con il quale l'imputato - ovvero il suo difensore - censuri la mancata trasmissione di tali decreti o di quelli di proroga deve essere accompagnato dall'indicazione delle attivita' processuali che si assumono viziate ovvero degli atti inerenti a tali attivita'. In tal senso, in sede di impugnazione, deve considerarsi generica la semplice deduzione di inutilizzabilita' di intercettazioni per mancanza dei relativi decreti autorizzativi, senza specificare a quali decreti ci si riferisca, siano essi di autorizzazione, di proroga o di convalida. In tal modo, si impedisce al giudice, chiamato ad esaminare la censura, di prendere compiuta conoscenza della stessa e di verificare - di conseguenza - il rispetto delle norme dettate in materia (ex plurimis, Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 24/04/2018, Rv. 273007; Sez. 6, n. 46070 del 21/07/2015, Rv. 265535; Sez. 1, n. 25577 del 09/05/2003, Rv. 225005; Sez. 5, n. 13791 del 27/02/2002, Rv. 221182; Sez. 5, n. 133 del 13/01/2000, Rv. 215491). Nel caso di specie, il ricorrente si limita a contestare, in via del tutto generica, il vizio di motivazione dei decreti di autorizzazione e proroga delle operazioni di intercettazione ambientali e telefoniche, nonche' l'assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13, senza provvedere, pero', a soddisfare il requisito della specificita' dei riferimenti a tali decreti mediante il richiamo o l'allegazione dei medesimi, precludendo, cosi', qualsiasi possibilita' di effettuare un esame piu' approfondito. Cio' posto, si rileva che comunque gia' la Corte di appello ha fornito adeguata motivazione sul punto, chiarendo che il presupposto legittimante le intercettazioni e' la sussistenza di indizi di reato. 15.4. La quarta doglianza - con la quale si lamenta la violazione di legge in ordine alla quantificazione della pena - e' inammissibile. La doglianza e' assolutamente generica, essendo priva di riferimenti ai dati istruttori, che vengono arbitrariamente sminuiti come se le risultanze delle intercettazioni costituissero una prova di minore efficacia. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 1.1. e ss., da intendersi come richiamate. 16. Il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile. La difesa si limita a generiche asserzioni che non tengono conto della motivazione della sentenza impugnata, da cui emergono: la prova del reato contestato (capo 16), la valutazione della gravita' dello stesso, la tipologia dello stupefacente in relazione al prezzo, la personalita' dell'imputato, anche con riferimento alla sua situazione economica. In particolare, non viene contrastata l'affermazione confessoria resa dallo stesso soggetto (riportata alle pagg. 82-83 della sentenza). 17. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' infondato. 17.1 Il primo motivo di doglianza e' inammissibile. In proposito valgono le considerazioni gia' effettuate per la posizione di (OMISSIS) al punto 8.1. 17.2. Il secondo motivo di ricorso - riferito alla ritenuta sussistenza della fattispecie associativa e alla responsabilita' apicale dell'imputato nel suo ambito e' inammissibile, perche' diretto ad ottenere una rivalutazione di elementi gia' adeguatamente presi in considerazione dai giudici di merito. Essi, infatti, hanno piu' volte evidenziato l'ampio riscontro probatorio, emerso dalle indagini e in particolare dalle intercettazioni, all'ipotesi accusatoria secondo cui il (OMISSIS) era al vertice dell'associazione dedita al traffico di droga nel basso Salento. Quest'ultimo, infatti, era colui che teneva i contatti con i fornitori baresi, con i fornitori brindisini e con i distributori della zona. Il ricorrente, inoltre, dava indicazioni ed impartiva ordini sulle operazioni da compiere, assoldava nuovi adepti e teneva la contabilita'. Infine, si era procurato il possesso di un'arma da utilizzare per il recupero dei crediti nei confronti di acquirenti poco puntuali nei pagamenti o, comunque, morosi ed era il soggetto sul quale gravava il "rischio di impresa", in caso di ritardi nei pagamenti dei suoi pusher, dovendo tenere i rapporti economici con i fornitori. Del resto, egli e' coinvolto in tutte le intercettazioni piu' rilevanti e costantemente indicato quale referente dai coimputati, avendo conversazioni concernenti tutti i profili relativi all'organizzazione del gruppo, ivi compresa la contabilita', e ai reati scopo. Ne' l'assoluzione di alcuni coimputati dal reato associativo puo' coinvolgere la sua posizione, trattandosi di soggetti che avevano evidentemente svolto ruoli minori, che si ponevano al margine dell'attivita' criminale. Ed e' qui superfluo ripercorre gli analitici riferimenti delle sentenze di primo e secondo grado ai molteplici e convergenti elementi di prova a carico, in mancanza di puntuali censure difensive in proposito. 17.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si lamenta il mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, - deve essere parimenti dichiarato inammissibile. Invero, contrariamente a quanto asserito dalla difesa, che non sottopone a critica specifici passaggi motivazionali, la Corte d'appello e il giudice di primo grado hanno piu' volte evidenziato l'ingente quantitativo delle sostanze oggetto dell'attivita' di spaccio, oltre all'entita' dei corrispettivi e alla consistenza numerica e organizzativa del gruppo. 17.4. Il quarto motivo di ricorso - sostanzialmente riferito alle circostanze aggravanti del numero degli associati e della disponibilita' dell'arma - e' infondato. Come ben evidenziato dai giudici di primo e secondo grado, il computo del numero degli associati deve essere fatto tenendo conto dello stabile apporto al sodalizio da parte dei gruppi di fornitori e, nell'ambito di una relazione caratterizzata da stabilita' nel tempo e da sostanziale comunanza di interessi; elementi che emergono con chiarezza dal quadro istruttorio. Quanto all'arma, essa era utilizzata dal capo dell'associazione per il recupero dei crediti nei confronti di soggetti poco puntuali nei pagamenti, nell'evidente interesse dell'associazione stessa. Dalla stessa prospettazione difensiva emerge che l'arma alla quale l'imputazione si riferisce corrisponde ad un modello effettivamente esistente, mentre le affermazioni del ricorrente riferite alla necessita' espressa a un interlocutore di procurarsi una pistola non appaiono logicamente preclusive dell'accettata detenzione di tale arma, ben potendosi riferire ad una dotazione ulteriore. Quanto poi alla mancata conoscenza della detenzione e dell'uso dell'arma da parte di alcuni coimputati, la stessa e' stata tenuta in considerazione con riferimento alle posizioni di questi, per le quali e' stata esclusa soggettivamente la configurabilita' dell'aggravante del reato associativo. 17.5. Il quinto motivo di ricorso e' infondato. Esso e' riferito all'acquisto di g 400 eroina di cui al capo 1) dell'imputazione, sul rilievo della pretesa mancanza di prova di un effettivo accordo tra venditore e acquirente, i quali si sarebbero accordati solo su sostanze stupefacenti di altro tipo. La motivazione sul punto puo' essere rinvenuta, secondo il principio della reciproca integrazione fra la sentenza di secondo grado e quella di primo grado, alla pag. 44 di quest'ultima, dove e' riportata una conversazione univocamente riferibile a tale acquisto; mentre la prova dell'effettiva verificazione della cessione dell'eroina risulta dalla locuzione "la moto e' tornata", evidentemente riferito alla consegna, la cui interpretazione, in quanto non manifestamente illogica, e' insindacabile in sede di legittimita', anche sotto il profilo del travisamento della prova. 17.6. Il sesto motivo - con cui si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e la mancanza ed illogicita' della motivazione in relazione al capo 11) dell'imputazione - e' infondato. Deve farsi riferimento, oltre che alla pag. 37 della sentenza di appello, anche alla motivazione della sentenza di primo grado (pagg. 115 116), la quale legittimamente interpreta una conversazione - riportata anche alla pag. 34 del ricorso - come idonea a dimostrare l'avvenuta cessione di 250 g di cocaina e 22 g di hashish, visto il suo esplicito richiamo ai quantitativi. 17.7. Il settimo motivo di ricorso - relativo all'entita' degli aumenti di pena per la continuazione - e' inammissibile. Invero, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Corte d'appello ha motivato sugli aumenti per la continuazione, laddove ha evidenziato che essi non sono suscettibili di riduzione, poiche' gia' contenuti dal giudice di primo grado in misura esigua rispetto alla notevole gravita' dei fatti riconosciuti, apparendo semmai sproporzionati per difetto ed essendo comunque determinati in modo differenziato per ciascun reato. 18. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile. 18.1. Il primo motivo - con cui si censura l'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche e ambientali poste a fondamento della declaratoria di responsabilita' penale - e' inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 15.3., in relazione ad una censura analoga. 18.2. La seconda doglianza - con cui si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in considerazione della mancata integrazione della relativa fattispecie incriminatrice (per il capo 19) - e' parimenti inammissibile. Nel reiterare censure che attengono sostanzialmente al merito, il ricorrente non considera che il giudice di secondo grado ha dato conto dei numerosi elementi emersi nel corso delle indagini, tra cui assume rilievo una conversazione ambientale intercorsa nel pomeriggio del 16 luglio 2016, all'interno dell'autovettura monitorata, fra (OMISSIS) e la fidanzata (OMISSIS): essa prova come questi fosse creditore della somma di Euro 15.000,00 da parte di un soggetto che aveva avuto tale prestito grazie all'intermediazione del (OMISSIS) ma che alla fine era risultato debitore tanto del (OMISSIS) quanto del (OMISSIS); in quella circostanza il (OMISSIS) ipotizzava di poter fare ricorso all'intermediazione tanto del (OMISSIS) quanto del (OMISSIS), che riteneva corresponsabili per il recupero della somma stessa, in quanto l'ignoto debitore aveva potuto accumulare debiti anche nei loro confronti, dato che questi avevano concorso nell'attivita' di vendita dello stupefacente. Dunque, in maniera perfettamente logica, si e' ritenuto che non vi fosse motivo di dubitare della veridicita' delle propalazioni di (OMISSIS) che, parlando liberamente e ignorando di essere sottoposto ad intercettazione, non aveva motivo di dire cose non vere. In tal senso, correttamente, si e' ritenuto estremamente rilevante - soprattutto in considerazione della quantita' e dei prezzi incompatibili con un uso meramente personale - anche quanto emergeva dalle conversazioni intercettate sempre all'interno della vettura del (OMISSIS) il 12 agosto 2016 allorquando era stato concordato un incontro con (OMISSIS) di cui era a conoscenza anche (OMISSIS): alle 14:39 a bordo dell'autovettura del (OMISSIS) questi faceva riferimento alla promessa del (OMISSIS) di consegnare la somma di Euro 3.000,00, relativa a pregresse forniture di stupefacente; il (OMISSIS), proprio nel consegnare al (OMISSIS) Euro 1.300,00, spiegava che quella era la somma nella sua disponibilita', aggiungendo che aveva provato a chiamare (OMISSIS) per recuperare l'ulteriore somma mancante senza riuscirvi; il (OMISSIS) quindi faceva il resoconto del debito, da cui emergeva l'originaria fornitura di Euro 4.800,00, per la quale avevano gia' corrisposto Euro 1.800,00, oltre ad un'ulteriore somma di Euro 600,00 per l'ultima fornitura; (OMISSIS), dal canto suo, ribadiva che il debito, considerando l'ultima cessione di 150 grammi di stupefacente, ammontava ad Euro 3.600,00. Da quanto precede la Corte ha tratto logicamente la conclusione che la prova dei fatti ascritti all'imputato fosse effettivamente costituita da intercettazioni ambientali, le quali, per la chiarezza dei dialoghi e la specificita' dei contenuti, con precise indicazioni in ordine alla tipologia di doga trattata - bianca o fumo - e di conteggi relativi alle forniture effettuate dal (OMISSIS) in suo favore, non necessitavano di ulteriori riscontri esterni. 18.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nella misura in cui non ha trovato applicazione la richiamata fattispecie minore - e' parimenti inammissibile. Sul punto, nella motivazione dell'impugnato provvedimento, si legge che l'inapplicabilita' dell'ipotesi meno grave e' diretta conseguenza dalle quantita' acquistate per la successiva vendita, la cui attribuzione non puo' essere effettuata in misura pari alla meta' per ciascuno in ragione della riconosciuta ipotesi concorsuale, e della ripetitivita' delle condotte, testimoniata dai conteggi effettuati dal (OMISSIS) che depongono per l'elevata frequenza dei contatti. In particolare, e' stato evidenziato come le indagini provassero che le condotte ascritte all'imputato si sono realizzate in un arco temporale di quasi tre mesi, cosi' da escludere che potesse trattarsi di un unico reato, e sono consistite in ripetuti prelievi di droga destinata al successivo smercio. Conformemente ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, proprio tale ripetitivita' di condotte poste alla base del riconosciuto vincolo della continuazione induce a valutare in modo non atomistico mezzi, modalita' e circostanze di commissione dei singoli reati ai fini del riconoscimento della lieve entita' del fatto Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 73, comma 5, e consente di valorizzare le peculiarita' delle singole condotte, la comunanza di elementi significativi e le loro eventuali reciproche correlazioni, al fine di ricostruire una cornice complessiva in concreto idonea ad escludere un giudizio di lieve entita' rispetto ai fatti contestati (ex multis, Sez. 3, n. 13115 del 06/05/2020, Rv. 279657; Sez. 6, n. 7464 del 28/11/2019, dep. 2020, Rv. 278615; Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076). 19. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili. 19.1. Il primo e il secondo motivo sono inammissibili; si richiama sul punto quanto rilevato sub 8.1. 19.2. Il terzo motivo - con cui si lamenta il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento, con riferimento alla posizione processuale di (OMISSIS), della connivenza non punibile - e' inammissibile. La distinzione tra l'ipotesi della connivenza non punibile e il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex articolo 110 c.p., e' invece richiesto un consapevole contributo che puo' manifestarsi anche in forme che agevolino il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare (Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, Rv. 280244; Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, Rv. 264454). Nel caso di specie - praticamente a quanto asserito dalla difesa - la Corte d'appello delinea logicamente le ragioni per cui non e' ravvisabile tale condotta meramente connivente: (OMISSIS) svolgeva una partecipazione attiva, essendo stato incaricato da (OMISSIS) di andare dal (OMISSIS) a fare le sue veci. Ulteriormente, all'appuntamento presso i fornitori di (OMISSIS), svoltosi in data 10 ottobre 2016, era proprio il predetto ricorrente a recarsi unitamente a (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi' riscontrandosi ancora la sua compartecipazione al reato, espressione di una consonanza di interessi, come emerge anche da conversazioni intercettate (pag. 97 della sentenza). 19.3. Il quarto motivo - con cui si lamenta il vizio di motivazione in relazione alla posizione processuale di (OMISSIS) - e' inammissibile. La Corte di appello dettagliatamente evidenzia il ruolo svolto da (OMISSIS), che unitamente a (OMISSIS), acquistava sostanza stupefacente dai fornitori di (OMISSIS), per il tramite di (OMISSIS): infatti, (OMISSIS), non condividendo la scelta di cambiare accordi gia' presi, chiedeva di incontrare personalmente i fornitori. Contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, egli non era un mero intermediario, essendo coinvolto nel proprio interesse nei negozi illeciti. 19.4. Il quinto motivo - con cui si lamenta il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche - e' inammissibile. La Corte di appello ha evidenziato che non e' emerso alcun elemento positivo che legittimi tale riconoscimento; ne' la difesa ne prospetta la sussistenza con il ricorso per cassazione, al di la' di un generico riferimento ad una non meglio precisata volonta' di definire il processo. Inoltre, la condotta di entrambi gli imputati appare connotata da rilevante gravita' alla luce dei quantitativi di droga movimentati e le risultanze del certificato del casellario esaltano una personalita' negativa, specialmente per (OMISSIS), gravato da piu' condanne, due delle quali per lo stesso titolo di reato, ma anche per (OMISSIS) che e' stato condannato per un reato in materia di sostanze stupefacenti, seppure nel 1994. 20. Il ricorso di (OMISSIS) e' infondato. 20.1. Il primo motivo - con cui si denunciano la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato al capo A) di imputazione - e' inammissibile. La Corte di appello evidenzia che gli esiti delle indagini provano che il ricorrente, a prescindere da chi avesse materialmente procurato le schede telefoniche, concorreva con (OMISSIS) alla loro detenzione e alla loro distribuzione, che erano attivita' fortemente sintomatiche dell'esistenza del sodalizio e del ruolo ricoperto da (OMISSIS). Inoltre, la partecipazione del ricorrente alla compagine associativa e' provata dalla stabile dedizione al traffico unitamente al (OMISSIS), secondo quanto ammesso da quest'ultimo nel corso di una conversazione intercettata. Pur dovendosi ribadire l'esclusione di qualsivoglia ruolo dirigenziale, l'imputato era pienamente inserito nel sodalizio, coadiuvando (OMISSIS) tanto nell'organizzazione del gruppo (distribuendo ai solidali e ai pusher schede telefoniche dedicate ed occupandosi dello spaccio con consegna di droga), quanto nella condivisione degli acquisti da Brindisi, mentre egli non si occupava dei rapporti con il gruppo barese e non aveva diretta conoscenza del carattere armato dell'associazione. 20.2. Il secondo motivo - con cui si lamenta la violazione di legge nonche' il vizio di motivazione, con riferimento ai capi 1), 2), 3), 4) e 6) di imputazione sia in ordine alla valutazione della prova, sia in ordine alla mancata riqualificazione delle contestazioni mosse al capo 2) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, e ai capi 3), 4) e 6) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' infondato. La Corte d'appello, in ordine ai reati fine, ha motivato puntualmente, evidenziando la responsabilita' dell'imputato per tutti gli episodi delittuosi di cui ai capi 1), 2), 3) 4) e 6) dell'imputazione. Le quantita' di droga smerciate ed espressamente indicate nei capi 1) e 2) escludono di ritenere il fatto di lieve entita': le partite ordinate al (OMISSIS) e quelle ricevute insieme con (OMISSIS) per la successiva vendita sono pari ad almeno mezzo chilo, per cui sono evidentemente incompatibili con il concetto di lieve entita'. Quanto al capo 2), l'esame della configurabilita' della fattispecie del richiamato articolo 73, comma 4, richiesto dalla difesa con il ricorso per cassazione, sarebbe precluso dalla circostanza che una tale censura non era stata proposta in appello; e cio', a prescindere dal fatto che tale fattispecie e' quella gia' emerge dalla formulazione dell'imputazione, riferita ad hashish, per la quale e' effettivamente intervenuta condanna. Al capo 3 della rubrica, si addebita all'imputato di avere ceduto eroina a (OMISSIS). Un messaggio intercettato il 25 maggio 2016 faceva riferimento ad un acquirente di stupefacente, debitore di Euro 600,00 per pregresse forniture, che aveva bisogno di un quantitativo pari a 20 e che aveva proposto un rapporto commerciale costante ("20 ogni due giorni"), facendo anche riferimento al costo: (OMISSIS) dava conferma a tale accordo, incontrandosi e poi informando anche (OMISSIS). E non si puo' ritenere configurabile la fattispecie minore prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, trattandosi di piu' cessioni, che sono manifestazione effettiva di una piu' ampia e comprovata capacita dell'autore di diffondere in modo non episodico, ne' occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensivita' della condona essere ancorata al solo dato statico della quantita' volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio piu' ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (ex multis, Sez. 4, n. 476 del 25/11/2021, dep. 12/01/2022, Rv. 282704; Sez. 3, n. 14017 del 20/02/2018, Rv. 272706). Le medesime considerazioni valgono per il capo 4), che concerne la reiterata consegna di sostanza del tipo eroina a (OMISSIS) in quantitativi da 10 a 40 grammi: secondo quanto dichiarato dallo stesso (OMISSIS), gli acquisti avvenivano ogni tre giorni per un corrispettivo in denaro di Euro 200,00 o 400,00, per quantitativi pari a 10 o 20 grammi. D'altro canto, le indagini effettuate dagli operanti consentivano di evidenziare diversi incontri tra i due (almeno cinque) e, considerato che in almeno una circostanza la quantita' di droga era pari a 40 g, la Corte di appello ha correttamente ritenuto che il fatto - inserito in una rete di spaccio ampia e organizzata - non possa essere ritenuto di lieve entita'. Il reato di cui al capo 6) riguarda la cessione di droga a (OMISSIS), che poi la destinava a terzi in almeno 11 occasioni, in una delle quali il quantitativo era pari a 20 grammi e nelle altre era imprecisato. La reiterazione delle consegne e, dunque, del reato esclude di ritenere il fatto di lieve entita', sulla base delle osservazioni gia' svolte. Ne' puo' essere presa in considerazione in senso contrario la circostanza che (OMISSIS) sia stato destinatario di una riqualificazione dei fatti nell'ipotesi di minore gravita', perche' quelli addebitati a quest'ultimo sono solo due ed egli ha un ruolo complessivamente piu' marginale. 20.3. La terza doglianza - con cui si lamenta la violazione di legge, nonche' il vizio di motivazione, in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p. nella loro massima estensione, nonche' in relazione alla necessaria riduzione degli aumenti combinati ai sensi dell'articolo 81 c.p. e della corretta qualificazione giuridica delle contestazioni mosse ai capi 2), 3), 4) e 6) dell'imputazione nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5, - e' inammissibile, in quanto attinente al merito della valutazione della Corte d'appello. Quanto alle circostanze attenuanti generiche, deve rilevarsi che le stesse sono gia' state riconosciute con giudizio di prevalenza sulle aggravanti, tenuto conto della gravita' dei fatti e della personalita' del reo. Quanto agli aumenti per la continuazione, gli stessi appaiono assai contenuti gia' nella sentenza di primo grado; mentre la riqualificazione dei fatti richiesta dalla difesa deve essere esclusa, in forza di quanto osservato sub 20.2. 21. I ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) sono entrambi inammissibili. 21.1. Il primo ricorso, a firma dell'avv. (OMISSIS), e' inammissibile. 21.1.1. La prima censura - con cui si lamenta l'applicazione della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in luogo del concorso di persone nel reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 - e' inammissibile perche' diretta ad ottenere una rivalutazione di elementi presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 1.1. e ss., e 2.1. da intendersi come richiamate. Preliminarmente occorre rilevare che, per giurisprudenza di legittimita' consolidata, integra la condotta di partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilita' a fornire le sostanze oggetto del traffico del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitori e spacciatori che immettono la droga nel consumo al minuto, sempre che si accerti la coscienza e volonta' di far parte dell'associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga (ex plurimis, Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, Rv. 279249; Sez. 6, n. 41612 del 19/06/2013, Rv. 257798; Sez. 2, n. 6261 del 23/01/2013, Rv. 254498). Perfettamente in linea con il richiamato principio di diritto, la Corte rende conto di come le indagini abbiano consegnato un quadro chiaro dei rapporti fra il (OMISSIS), il suo gruppo e (OMISSIS) affiancato, nella sua attivita', da (OMISSIS), con il quale, peraltro, esisteva anche un rapporto affettivo, tanto da essere conosciuti nell'ambiente come "padre" e "figlio". Cio' che e' emerso in modo inconfutabile sono la continuita' e la frequenza dei contatti legati ai traffici di droga: le conversazioni captate, infatti, disvelano come siano stati ripetuti i viaggi fino a Brindisi di (OMISSIS) e (OMISSIS) per chiudere trattative relative all'acquisto di forniture di droga, del tipo leggera ma anche di cocaina. Particolare importanza, sul punto, hanno rivestito le conversazioni del 19 luglio 2016, nel corso delle quali (OMISSIS), dopo avere riferito ad un suo interlocutore che il duo (OMISSIS) - (OMISSIS) organizzava viaggi con gli scafi fino all'Albania, con impressionante regolarita' ed in forma massiccia, per prelevare droga leggera, parte della quale era destinata a loro, come concordato con lo (OMISSIS), passava agli accordi per le forniture con lo stesso (OMISSIS). Emergeva chiaramente come i due fossero in costante rapporto per gli approvvigionamenti anche attraverso lo (OMISSIS) e come il (OMISSIS) poteva fare stabile riferimento nel (OMISSIS) e, per suo tramite, anche al (OMISSIS) per forniture di ogni tipo di droga. Peraltro, si e' anche chiarito come non rispondesse al vero quanto addotto dalla difesa secondo cui gli accordi venivano presi con il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) era confinato ad un mero ruolo marginale, quasi di semplice spettatore dei traffici del "figlio"; interpretando correttamente i dialoghi, la Corte di merito ha appurato che, al contrario, gli affari procedevano sempre con il ricorrente che ne era il dominus, tanto che nei casi in cui la trattativa aveva avuto inizio con il (OMISSIS) egli veniva posto al corrente dei termini e delle condizioni. Proprio l'essere identificato quale stabile fornitore per il gruppo, che faceva riferimento alla sua perenne disponibilita', nella piena consapevolezza di agire in un contesto associativo in cui si perseguiva l'identico interesse economico corrispondente alla vendita di droga e' stato correttamente ritenuto, dal giudice di secondo grado, presupposto necessario e sufficiente per qualificare il (OMISSIS) come parte integrante del sodalizio criminoso. 21.1.2. La seconda censura - riferita alla penale responsabilita' del ricorrente per il capo 1) di imputazione - e' parimenti inammissibile. Nell'impugnato provvedimento, infatti - in risposta alle doglianze formulate con l'atto d'appello e pedissequamente riproposte con il ricorso per cassazione, il cui unico fine e' quello di proporre un'alternativa ricostruzione dei fatti insindacabile in questa sede, come gia' chiarito sub 2.1. - si delineano gli specifici episodi di cui le conversazioni intercettate forniscono prova inconfutabile: in un'occasione (OMISSIS) procedeva alla consegna di Euro 10.000,00 a favore del fornitore con il quale si innescava una trattativa riguardante una nuova fornitura di stupefacente alla quale avrebbe partecipato anche (OMISSIS); ripetuti, infatti, erano i riferimenti a quest'ultimo e al fatto che la trattativa che lo vedeva coinvolto riguardava la fornitura di stupefacente di ogni tipo; (OMISSIS), a tal fine, dapprima contrattava l'acquisto di marijuana che il fornitore era pronto a consegnare in un quantitativo pari a un chilogrammo e mezzo, accettando la proposta e facendo riferimento ad un terzo soggetto indicato quale figlio del fornitore, nonche' a (OMISSIS) con cui doveva concordare l'acquisto. Chiari erano i riferimenti a forniture pregresse, alla qualita' della droga acquistata prima, ad un prezzo praticato per quella precedente e per quella in corso di acquisto; la confidenza fra i due era tale che (OMISSIS), avanzando un'ulteriore richiesta di mezzo chilogrammo di eroina, indicata come "nera", che era intenzionato ad acquistare sempre insieme a (OMISSIS), chiedeva a (OMISSIS) di mettere da parte quella appena concordata cosi' da prelevarla unitamente alla "nera": l'intento era evidentemente quello di ammortizzare i costi del trasporto effettuandone uno soltanto. Nel proseguo (OMISSIS) faceva un'ulteriore richiesta di una fornitura di hashish e la conversazione si concludeva con un accordo preciso concernente la fornitura di tre chilogrammi di hashish e tre chilogrammi e mezzo di marijuana, con riserva di comunicare l'eventuale acquisto di un pacco di eroina dal peso di circa 400 grammi; poi effettivamente acquistato. E' stato ritenuto evidente quindi, come gia' ampiamente illustrato con riferimento al motivo che precede, che (OMISSIS) fosse un punto di riferimento stabile e fisso per il rifornimento di ogni tipo di droga e che, in molte occasioni, era sostituito dal figlio (OMISSIS), alle sue dirette dipendenze, tanto che il (OMISSIS) riferiva a lui dell'eventuale insoddisfazione per la droga acquistata con il tramite dell'altro. Le intercettazioni hanno documentato che il 27 luglio 2016 (OMISSIS) consegnava a (OMISSIS), previ accordi anche con (OMISSIS), tre chilogrammi di hashish, tre chilogrammi e mezzo di marijuana e 400 grammi di eroina che (OMISSIS) trasportava da Brindisi a bordo di una moto, secondo gli accordi presi due giorni prima, e che nei giorni 8, 10 e 27 ottobre 2016 (OMISSIS) e (OMISSIS) si portavano in Brindisi per il pagamento diluito nel tempo del debito contratto per quella consistente cessione. Il giudice di secondo grado ha anche chiarito come non colga nel segno la difesa nella parte in cui contesta l'assenza di prova con riferimento sia alla consegna di droga, il cui acquisto era stato concordato il 19 luglio 2016, sia all'identita' del soggetto che vi provvide: la prova della consegna della droga puo' dedursi dalla congiunta lettura di diverse circostanze, tra cui il fatto che, nel corso della trattativa, il (OMISSIS) aveva dichiarato al (OMISSIS) che al trasporto avrebbe provveduto attraverso l'utilizzo di una moto; il 20 luglio 2016 si documentavano scambi di appuntamenti fra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), colui che si occupava proprio del trasporto a mezzo del suo motociclo; il 21 luglio 2016 (OMISSIS) informava il (OMISSIS) che la moto era tornata, facendo chiaro riferimento ad un viaggio compiuto da tale mezzo di trasporto. D'altro canto, le conversazioni dei mesi successivi provano che piu' volte (OMISSIS) e (OMISSIS) si siano recati a Brindisi per saldare un debito diluito nel tempo, che nessun'altra origine poteva avere se non tale fornitura, ne' vale ad escludere il ruolo del (OMISSIS) il non avere accertato il fatto se alla materiale consegna della droga provvide egli stesso o il (OMISSIS). A fronte di tale quadro probatorio, del tutto logicamente la Corte ha ritenuto che nessuna rilevanza assuma la circostanza, addotta dalla difesa, secondo cui il (OMISSIS) non avrebbe mai fatto dichiarazioni relative alla posizione del (OMISSIS), posto che questi non era affatto addetto ai rapporti con i fornitori, sicche' era normale che nulla sapesse sulla loro identita'. 21.1.3. Il terzo motivo - con cui si censura la violazione dell'articolo 62-bis c.p. - e' inammissibile. La Corte, con motivazione perfettamente adeguata, ha dato conto del mancato concessione delle circostanze attenuanti generiche facendo leva sull'assenza di profili positivamente valutabili, stante il fatto che l'imputato non ha mai assunto una condotta resipiscente e collaborativa, per converso valorizzando la sussistenza di elementi negativi rappresentati dai numerosissimi precedenti per reati contro il patrimonio, ma anche per associazione mafiosa, evasione, falso e violazione delle leggi doganali, nonche' dalla gravita' della condotta desumibile dai quantitativi di droga ceduti al (OMISSIS). Irrilevante, inoltre, risulta la censura in ordine alla documentazione medica asseritamente depositata all'udienza del 13 luglio 2021, relativa alle condizioni psico-fisiche del ricorrente, della quale, come indicato da quest'ultimo, non risulterebbe un formale provvedimento di acquisizione nel verbale, non potendo ritenersi la stessa sostanzialmente avvenuta semplicemente perche' non restituita alla difesa o in considerazione del generico riferimento al deposito di documentazione, senza alcuna specificazione del suo contenuto, al foglio 16 della gravata sentenza. Si tratta, del resto, di documentazione che la difesa afferma di avere depositato dopo la chiusura della discussione, all'udienza del 13 luglio 2021; con la conseguenza che la Corte d'appello non aveva comunque l'onere di prendere in considerazione. 21.2. Il secondo ricorso, riportante la firma dell'avv. (OMISSIS), e' parimenti inammissibile. 21.2.1. La prima censura - con cui si lamenta il vizio di motivazione in ordine sia alla configurazione della condotta materiale che dell'elemento soggettivo con riferimento alla condanna per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 - e' inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 21.1.1. da intendersi come richiamate. 21.2.2. Il secondo motivo - con cui si lamenta la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e articolo 530 c.p.p., comma 2, oltre al vizio di motivazione nella parte in cui sarebbero stati violati i criteri e i principi concernenti la valutazione della prova per l'affermazione della responsabilita' penale con specifico riferimento ai fatti di cui al capo 1) dell'imputazione - e' inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 21.1.2. da intendersi come richiamate. 21.2.3. La terza doglianza - con cui ci si duole della violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e del conseguente vizio di motivazione nella parte in cui la Corte ha escluso la qualificazione giuridica del capo 1) nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' inammissibile. Preliminarmente e' necessario rilevare come manchi nell'atto di appello la specifica contestazione de qua, che risulta proposta per la prima volta con il ricorso per cassazione; conseguentemente, non puo' non rilevarsi come oggi la questione sia preclusa in sede di legittimita', mancando qualsiasi onere di motivazione in capo al giudice di secondo grado in assenza di una specifica doglianza. Invero, in linea generale, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte ritenere sistematicamente non consentita la proponibilita' per la prima volta in sede di legittimita' di uno dei possibili vizi della motivazione, con riferimento a profili richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello, sia pur collegati, come e' ovvio, all'inquadramento giuridico del fatto di reato contestato al ricorrente ed alle sue circostanze (ex plurimis, Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Rv. 279903; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Rv. 276062; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, Rv. 271869; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Rv. 269368). Sintetizzando all'essenziale, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perche' non devolute alla sua cognizione (Sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Rv. 255577). E cio', a prescindere dal fatto che la censura risulta comunque inammissibile, perche' diretta ad ottenere una rivalutazione del compendio istruttorio, a fronte di fatti la cui significativa gravita' e' stata ampiamente descritta nelle sentenze di primo e secondo grado. 21.2.4. La quarta censura - con cui si contesta la violazione dell'articolo 62-bis c.p. - e' parimenti inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 21.1.3. da intendersi come richiamate. 22. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce: con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 6 agosto 2016, di cui al capo 9 di imputazione; con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 30 luglio 2016, di cui al capo 9 di imputazione; nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla omessa statuizione sulle circostanze attenuanti generiche e all'aumento di pena per la continuazione. I ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere rigettati nel resto. Devono essere rigettati i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Devono essere dichiarati inammissibili i ricorsi restanti. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 6 agosto 2016 di cui al capo 9 di imputazione; con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 30 luglio 2016, di cui al capo 9 di imputazione; e nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla omessa statuizione sulle circostanze attenuanti generiche e all'aumento di pena per la continuazione, e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Lecce. Rigetta nel resto i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi dei restanti ricorrenti, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - rel. Consigliere Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. RICCI Anna L. A. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 25/10/2022 del TRIB. LIBERTA' di REGGIO CALABRIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. BELLINI UGO; sentite le conclusioni del PG Dott. TAMPIERI LUCA il quale ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata relativamente al capo 12 della rubrica e rigetto nel resto. udito il difensore. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di LATINA in difesa di (OMISSIS), che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Reggio Calabria in sede di riesame cautelare con la ordinanza impugnata ha confermato la ordinanza de libertate, emessa in data 24 Settembre 2022 dal Tribunale di Reggio Calabria ufficio GIP, con la quale veniva disposta la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di (OMISSIS) in relazione ai delitti di concorso, in qualita' di dipendente delle Dogane-Servizio Antifrode addetto al controllo della merce contenuta nei container delle moto navi in transito nel porto di (OMISSIS), nella illecita movimentazione di un carico di trecento chilogrammi di cocaina; in particolare per avere agevolato il passaggio al controllo doganale del suddetto quantitativo nel non avere segnalato l'anomalia del carico visionato con l'accertamento radiogeno tramite scanner, con le circostanze aggravanti del quantitativo ingente, della finalita' mafiosa e dell'articolo 61 bis c.p.; nonche' per il delitto di cui all'articolo 319 c.p. per avere compiuto un atto contrario ai propri doveri di ufficio, ricompensato da un corrispettivo pari al tre per cento del valore complessivo dello stupefacente, che gli veniva assicurato dai sodali che si occupavano delle operazioni di disimpegno e di esfiltrazione dello stupefacente dalla zona portuale. 2. Il Tribunale del riesame, premessa un'analisi delle fonti degli elementi indiziari e ricostruite le risultanze dell'attivita' investigativa che avevano consentito di delineare i ruoli dei singoli concorrenti, procedeva alla ricostruzione delle fasi in cui squadre di addetti alle operazioni di scarico e di trasporto dei container all'interno dell'area portuale, in accordo con le organizzazioni criminali interessate al recupero della droga, erano incaricate di movimentare i containers in cui era occultato lo stupefacente, cosi' da consentirne il trasbordo su container in uscita avvalendosi, in relazione a specifiche necessita', del contributo agevolatore di funzionari infedeli delle Dogane, allorquando era programmata una piu' accurata ispezione del contenuto dei cointainer dal servizio antifrode deputato alla verifica di conformita' delle merci in transito. 2.1 In tale prospettiva evidenziava che, sulla base del contenuto di intercettazioni telefoniche e di comunicazioni telematiche acquisite, era emersa la febbrile operativita' di alcuni indagati, che operavano nel porto di (OMISSIS), nello svincolo di circa trecento chilogrammi di sostanza stupefacente, dall'ingente valore commerciale, occultato all'interno di un container, stoccato in una motonave proveniente dal (OMISSIS), che conteneva caffe'. 2.2 Il giudice del riesame rappresentava che era risultato dal contenuto delle intercettazioni telefoniche che, sebbene in origine non fosse previsto alcun ausilio da parte di funzionari del servizio doganale, sarebbe stato successivamente contattato un dipendente dell'ufficio delle dogane per verificarne la disponibilita' a fornire collaborazione per eludere i controlli, in quanto il container in oggetto era stato infine indicato tra quelli da sottoporre a ispezione. Dalle interlocuzioni captate in epoca successiva ai controlli risultava che il carico era stato movimentato e messo in salvo nei termini auspicati dagli interlocutori intercettati, che sulle base delle informazioni acquisite cio' era stato possibile grazie all'intervento di un funzionario, addetto al monitoraggio tramite video scanner a raggi x, che aveva reso non percepibile ("oscurato") le borse che contenevano lo stupefacente e che comunque il container era stato sottoposto anche a una verifica a terra, che aveva legittimato il giudizio di conformita' e che, operato infine il trasbordo dello stupefacente entro il 29 Dicembre 2020, i complici avevano manifestato soddisfazione non solo per il successo dell'operazione, ma anche per il fatto che il funzionario coinvolto non sarebbe stato scoperto in quanto, qualora lo stupefacente fosse rimasto nel container destinato a (OMISSIS), sarebbe stato scoperto e sarebbero emerse altresi' le attivita' elusive di chi ne aveva agevolato il transito nel porto di (OMISSIS). Da ulteriori interlocuzioni tra complici emergeva, sebbene con linguaggio contratto, che per l'opera prestata dall'addetto allo scanner era previsto un compenso del tre per cento (sul valore dello stupefacente). 2.3 Precisati in tali termini gli elementi indiziari che erano risultati al momento di perpetrazione delle condotte illecite, ai fini della individuazione di colui che potesse avere agevolato il passaggio del carico dello stupefacente senza incorrere nel sequestro e di accertare l'effettivo contributo che poteva essere stato fornito dal personale deputato al controlla radiogeno, il giudice del riesame riportava l'esito degli accertamenti di PG successivamente eseguiti; era emerso, da un lato, che il container, successivamente pervenuto al porto di destinazione, era stato trovato dotato di sigilli contraffatti e che la merce in esso contenuta era stata movimentata e, in parte danneggiata; dall'altro che le immagini scansionate del controllo radiogeno del container in oggetto mostravano delle coloriture piu' scure e intense proprio in corrispondenza delle file dei prodotti nelle quali, secondo le informazioni acquisite mediante intercettazione, doveva trovarsi occultato lo stupefacente e che, per stessa ammissione dell'indagato e delle altre persone informate sui fatti (colleghi di lavoro e di turno) era (OMISSIS) il dipendente delle dogane che aveva proceduto alle scansioni del container in questione. Ad ulteriore riscontro della gravita' indiziaria il giudice del riesame evidenziava come il (OMISSIS) fosse persona conosciuta dai complici nell'attivita' di recupero delle partite di stupefacente perche' ad esso avevano fatto riferimento i portuali indagati nelle loro conversazioni in relazione ad un carico di circa 1.300 kg che era stato rinvenuto e sequestrato, allorquando avevano riconosciuto nel (OMISSIS) colui che aveva partecipato alle fasi di controllo e di ispezione del container, manifestando meraviglia per il suo intervento in quanto il (OMISSIS) aveva escluso un suo diretto coinvolgimento nell'ispezione. 2.4 Quanto alla ricorrenza di esigenze cautelari, il giudice del riesame riconosceva il pericolo di reiterazione di condotte criminali della stessa specie, in considerazione del ruolo rivestito dal ricorrente nel complessivo disegno criminoso e del contributo offerto, desunte dalle modalita' della condotta, come emersa dagli atti di indagine, nonche' dalla personalita' del prevenuto che risultava inserito in dinamiche criminali di rilevantissimo spessore, in grado di influenzare, anche nel futuro, lo svincolo di rilevantissimi carichi di stupefacente nell'ambito di una collaudata e organizzata predisposizione di mezzi e di persone diretta al recupero di eccezionali partite di stupefacente occultate nei container sottoposti al vaglio degli organi doganali; rilevava ancora che dall'esame delle chat di coloro che avevano organizzato il sistema di recupero e di smistamento dei carichi di stupefacente, emergeva come il (OMISSIS) fosse persona a disposizione di tale collaudata attivita' e quindi doveva essere reciso, in termini assoluti, il collegamento del (OMISSIS) con l'ambito territoriale di riferimento e con i soggetti che in tale ambito operavano. Quanto alla scelta della misura cautelare da adottare evidenziava che, in ragione dei reati contestati e della serieta' delle esigenze cautelari da preservare, la stessa non potesse che essere individuata nella custodia cautelare in carcere, unica in grado di isolare il prevenuto dal contesto criminale in cui si muoveva e al servizio del quale aveva prestato la sua opera. 3. La difesa di (OMISSIS) ha proposto ricorso per la cassazione della suddetta ordinanza articolando tre motivi di ricorso. Con il primo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e motivazione apparente della ordinanza impugnata in relazione alla ricorrenza della gravita' indiziaria. In primo luogo assume che, alla stregua delle conversazioni captate e della messaggistica acquisita, risultava del tutto indimostrata la identificazione del (OMISSIS) quale funzionario infedele delle Dogane che avrebbe agevolato lo scarico e l'uscita del porto di (OMISSIS) dello stupefacente occultato all'interno di container trasportato da motonave dal (OMISSIS), laddove plurime interlocuzioni captate fornivano indicazioni di eta', di servizio e di stato del tutto incoerenti rispetto a quelle possedute dal ricorrente; l'ordinanza non teneva conto che il monitoraggio dei containers compiuto con scansione radiogena non era affidato allo stesso in via esclusiva, ma che questi lo condivideva, con riferimento al giorno 21 Dicembre 2020, con la collega (OMISSIS) e che se fosse vero che la condotta elusiva del (OMISSIS) era valsa a "liberare" il carico di stupefacente, non troverebbe giustificazione la circostanza che il container era stato ugualmente sottoposto a verifica a terra da altri doganieri, supportati dalla G.d.F., tanto che venivano rimossi i sigilli originari e ne venivano apposti di nuovi, circostanza che stava ad evidenziare che l'ispezione radiogena era stata condotta in termini ineccepibili. Privo di rilievo probatorio era poi il riferimento al (OMISSIS) contenuto in alcune interlocuzioni tra concorrenti, atteso che in relazione al diverso episodio del rinvenimento di kg 1300 cui si riferivano gli interlocutori intercettati, l'intervento del (OMISSIS) era valso al rinvenimento e al sequestro della droga e pertanto tale riferimento non poteva essere indice di collegamento criminoso, ma semmai dimostrazione di un contegno irreprensibile. 3.1 Sotto diverso profilo il ricorrente evidenzia come difettassero nella specie i presupposti del concorso del prevenuto nei delitti di illecita importazione di stupefacente e di corruzione, rappresentando da un lato che dal materiale indiziario utilizzato non vi era alcun elemento che deponesse per l'adesione del prevenuto ad un accordo criminoso, ovvero l'esistenza di un patto corruttivo, e dall'altro che nessuno dei correi aveva svolto una chiamata in correita' indicandolo come partecipe mentre, con riferimento alla misura del corrispettivo allo stesso riconosciuto, non ricorrevano elementi di riscontro quali un cambiamento nel suo tenore di vita ne' alcun elemento idoneo a dimostrare l'acquisizione di tale illecito introito, ne' che il ricorrente avesse in concreto realizzato un atto contrario ai propri doveri di ufficio, stante l'esito complessivo delle verifiche e la mancata allegazione di anomalie nell'operato del prevenuto. 3.2 Con il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio motivazionale con riferimento al riconoscimento di esigenze cautelari concrete ed attuali nei suoi confronti, nonche' motivazione assente o apparente in ordine ai criteri di selezione della misura coercitiva piu' idonea ad assicurare le esigenze cautelari in essere. La motivazione risulterebbe carente e stereotipata allorche' richiamava la preoccupante personalita' del prevenuto, sebbene lo stesso fosse incensurato e coinvolto in un unico episodio, peraltro caratterizzato da profili di vaghezza e incertezza quanto a identificazione del responsabile e al reale contributo da questi fornito all'operazione criminale. Nessuna effettiva analisi era presente in relazione alla concretezza ed alla attualita' delle esigenze cautelari, intesa come prossima occasione per reiterare azioni delittuose di uguale contenuto, ne' era stato riconosciuto alcun rilievo al tempo trascorso tra la commissione dei fatti e l'epoca di applicazione e di mantenimento della misura coercitiva. 3.2.1 Contestava altresi' l'ordito motivazionale sulla mancata analisi della idoneita' preventiva di misure cautelari meno invasive, atteso che il ricorrente abitava in comune distante dal porto in cui sarebbe stata posta in essere la illecita attivita' e, sotto diverso profilo, la disponibilita' palesata dal (OMISSIS) a ulteriori imprese criminose era affermata nel provvedimento impugnato in assenza di alcun riscontro obiettivo, ne' era stato dato rilievo all'eta' e all'handicap fisico del prevenuto, all'assenza di precedenti penali, alla mancanza di contatti diretti con gli altri concorrenti, al fatto che il ricorrente presentava una specchiata e lunga militanza di servizio, arricchita da encomi per il servizio prestato e per il procurato rinvenimento di ingenti quantitativi di stupefacente, come quello indicato nella chat dei concorrenti nel reato. Evidenzia altresi' che in relazione alla fattispecie di concorso in esame non potevano valere i principi concernenti la doppia presunzione relativa di cui all'articolo 275 c.p.p., comma 3. 3.2.2 In relazione a tale ultimo profilo lamenta che l'ordinanza genetica doveva ritenersi nulla in quanto del tutto carente in ordine alla valutazione autonoma, ai sensi dell'articolo 292 c.p.p., comma 2 della sussistenza di esigenze cautelari e della loro concretezza ed attualita' che, in ragione della rilevanza e della pervasivita' del vizio, rappresentato da motivazione assente o apparente, non era suscettibile di essere sanata dal potere integrativo pure riconosciuto in capo al tribunale del riesame, e comunque tale carenza avrebbe imposto una revisione e una analisi critica da parte del giudice del riesame, che erano del tutto mancate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso e' infondato nonche' privo di confronto con la motivazione della ordinanza impugnata, la quale ha del tutto adeguatamente argomentato sulla ricorrenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di (OMISSIS), quale funzionario dell'agenzia delle dogane presso il Porto di (OMISSIS), in relazione al reato di concorso nel delitto di importazione dello stupefacente contenuto in un container, del quale lo stesso avrebbe agevolato il passaggio oltre i controllo doganali e la successiva movimentazione e, in ragione del corrispettivo pattuito per tale contributo agevolatore, al delitto di corruzione nella forma contestata. 2. Come questa Corte ha ripetutamente affermato in sede di giudizio di legittimita' sono rilevabili esclusivamente "i vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicita' del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione. Il controllo di logicita' deve rimanere all'interno del provvedimento impugnato e non e' possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e, nel ricorso afferente i procedimenti "de libertate", a una diversa valutazione dello spessore degli indizi e delle esigenze cautelari" (Fattispecie relativa a ricorso avverso misura di coercizione personale cfr. ex plurimis Cass. S.U. 27 settembre 1995, Serafino; sez.2, 20.2.1998 n. Martorana n. 1083). In particolare e' stato affermato dal giudice di legittimita', in relazione alla impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione e' ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008 Pagliaro; sez. 6, n. 11194 del 8/03/2012; Sez. 2, 16 gennaio 2014, Kazarian). 2. In particolare il giudice del riesame ha evidenziato elementi di decisivo rilievo indiziario da cui desumere la sussistenza del contributo di un funzionario infedele delle dogane nella elusione dei controlli presso il porto di (OMISSIS) in relazione al container proveniente dal Sud America, trasportato dalla (OMISSIS), contraddistinto con la sigla (OMISSIS), diretto a (OMISSIS), contenente caffe', e alla identificazione di tale funzionario in (OMISSIS), laddove le censure svolte dalla difesa del (OMISSIS) risultano in fatto e prive di confronto con il contenuto dell'ordinanza impugnata e in particolare non sono in grado di disarticolare il rilievo indiziario degli esiti delle fonti di ricerca della prova evidenziate nell'ordinanza impugnata. 2.1 A sostegno della gravita' indiziaria invero l'ordinanza impugnata ha richiamato ampi stralci dei flussi di comunicazioni telematiche intervenute tra i sodali di una articolata attivita' criminosa che si proponeva il recupero presso il porto di (OMISSIS) di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente occultata nei container delle navi in transito e, con una capillare e articolata opera di "esfliltrazione", curavano la successiva uscita dal porto, anche grazie al contributo del personale addetto alle verifiche presso l'Agenzia delle Dogane. 2.2 A questo proposito la difesa del ricorrente non contesta il contenuto delle interlocuzioni con i quali i soggetti addetti al recupero dello stupefacente ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) si scambiavano informazioni in ordine allo specifico container contenente lo stupefacente (per un peso di 300 kg), documenti, disegni e fotografie raffiguranti l'esatta collocazione dello stupefacente all'interno del container, il numero di pacchi da recuperare e le modalita' operative secondo le quali procedere, ne' contesta che i correi, in alcune conversazioni evidenziavano di essere in grado di prevedere, attraverso il ricorso ad informazioni riservate, quali, tra i conteiners in transito sarebbero stati sottoposti a verifica o a ispezione, ma assume difetto di motivazione in ordine alla identificazione del (OMISSIS) quale uno dei funzionari infedeli addetti al servizio antifrode delle dogane che avrebbe contribuito ad agevolare lo svincolo dello stupefacente, dal momento che lo stesso non era l'unico ad operare il controllo radiogeno sui container, il suo operato era stato sempre irreprensibile e non erano risultate interlocuzioni dirette con i correi e che, nonostante gli esiti, ritenuti dai correi rassicuranti del controllo radiogeno, il carico era stato ugualmente sottoposto a ispezione da parte della Guardia di Finanza, la quale non aveva riscontrato la presenza dello stupefacente. 3. Le censure, che lambiscono il vizio di inammissibilita' in quanto prospettano una alternativa ricostruzione e interpretazione delle fonti di prova, finendo per entrare nel merito della vicenda criminosa, non colgono nel segno laddove il Tribunale del Riesame ha posto in luce, con ragionamento privo di contraddizioni e di fratture logiche giuridiche che plurimi, evidenti e significativi erano i riferimenti contenuti nelle comunicazioni via Sky ECC tra i correi, alla presenza di un funzionario delle dogane ("lui") che aveva contribuito ad agevolare il transito della droga ("Lui dice che l'ha passato e ha oscurato quello del caffe'" come risulta dallo scambio di messaggi tra (OMISSIS) e Cupelli il giorno 23 Dicembre 2020), circostanza questa che trova un successivo riscontro, dotato di forte rilevanza corroborativa, nell'esame delle immagini scansionate della verifica radiogena, che consentivano di riscontrare alcune anomalie nei "bulk" della seconda e terza fila del container (proprio quelle indicate dal (OMISSIS) come interessate dalla presenza di pacchi di stupefacenti), che presentavano disomogeneita' e oscuramenti per l'impiego di filtri piu' scuri, che impedivano una visione piu' accurata del contenuto della merce, mentre l'addetto allo scanner, successivamente identificato nel (OMISSIS) aveva indicato, sul monitor dello scanner, nella sezione dedicata all'"esito della verifica", "nessun sospetto". Lo stesso, in sede di interrogatorio di garanzia, sebbene abbia ammesso di avere proceduto alla scansione radiogena del container, ha sostenuto, contrariamente al vero, di avere segnalato un'anomalia del carico. 3.1 A fronte di tali emergenze documentali, riscontrate dalle numerose conversazioni via chat dei correi che fanno costantemente riferimento alla presenza di un funzionario infedele delle Dogane in grado di contribuire al disimpegno dei container in assenza di controlli piu' approfonditi o garantendo esso stesso un contributo agevolativo, la identificazione di tale soggetto nel (OMISSIS) non solo e' supportata da gravita' indiziaria in ragione delle anomalie riscontrate dalla PG nell'esito del controllo radiogeno operato dal (OMISSIS) in relazione allo specifico container che conteneva lo stupefacente, ma risulta avvalorata dalle comunicazioni scambiate dai correi in epoca successiva alla messa in sicurezza dello stupefacente, che garantivano al funzionario infedele l'importo del 3 per cento del valore stimato proprio in relazione al carico in oggetto ("ok allora il 3 per cento solo scanner" come da interlocuzione del 25 Gennaio 2021 tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), come successivamente confermato nella comunicazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) del 15 Febbraio 2021 in cui gli interlocutori ribadivano la percentuale che era stata riservata all'addetto allo scanner nella fruttuosa spedizione di stupefacente nel container del caffe'. 4. Se la ricostruzione operata dal giudice del riesame risulta pienamente rispondente ai canoni della coerenza e della logica e rende evidente la ricorrenza della gravita' indiziaria in relazione al concorso del (OMISSIS) nella ipotesi accusatoria concernente la movimentazione dello stupefacente, stante la rilevanza e la utilita' del contributo dallo stesso fornito nell'evitare un controllo piu' accurato da parte degli ispettori della Guardia di Finanza, parimenti deve essere riconosciuta la gravita' indiziaria anche con riferimento alla prova di un patto corruttivo tra la banda degli "esfiltratori" e il funzionario infedele, attesi i pacifici richiami contenuti nelle comunicazioni via chat sul ricorso a procedure dedicate alle ipotesi di maggiore complessita', allorquando i container "contaminati" erano inseriti nella lista della merce da sottoporre a controllo radiogeno o a ispezione, ipotesi per le quali sarebbe stato contattato un funzionario delle dogane "amico", nonche' dalla tariffa prevista per tale evenienze, che viene indicata in piu' di una interlocuzione come "il tre solo scanner", ovvero "il tre la legge", frutto pertanto di un preventivo concordato corruttivo tra il doganiere infedele e i referenti dei portuali addetti al trasbordo ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), corrispettivo che, nella specie, era stato assicurato e anche corrisposto, tenuto conto dei dialoghi intervenuti tra i correi al momento di ripartirsi il compenso per l'opera di "esfiltrazione" appena ricevuto (sez. 6, n. 3765 del 9/12/2020, Mazzarella, Rv. 281144-01; n. 39008 del 6/05/2016, Biagi e altri, Rv. 268088-01). 5. Manifestamente infondata e' l'articolazione del motivo di ricorso che assume nullita' dell'ordinanza impugnata ex articolo 292 c.p.p., comma 1, lettera C e C bis per carenza di autonoma valutazione da parte del giudice per le indagini preliminari e illegittimita' del potere integrativo esercitato dal Tribunale del Riesame. La giurisprudenza che si e' affermata successivamente alla novella di cui alla L. n. 47 del 2015 ha evidenziato come la suddetta disciplina non abbia comportato un piu' stringente obbligo motivazionale, non avendo carattere innovativo ma essendo espressione del principio generale secondo cui l'esercizio di un autonomo potere comporta il dovere di esplicitare le ragioni che giustificano la decisione (sez. 6, n. 45935 del 22.10.2015, Perricciolo Rv 265068), e semmai costituisce la sottolineatura di un obbligo gia' sussistente per il giudice di manifestare all'esterno in modo percepibile il proprio convincimento, obbligo correlato ai principi di terzieta' e di imparzialita' della funzione giudicante (sez.1, n. 5787 del 21/10/2015 Calandrino Rv 265985), ne' mira a introdurre un mero formalismo che imponga la riscrittura originale di ciascuna circostanza di fatto rilevante, essendo sufficiente che venga esplicitata nella ordinanza l'effettiva valutazione della vicenda da parte del giudicante (sez.1, n. 8323 del 15/12/2015, Cosentino, Rv 265951), essendo necessario che per ciascuna contestazione e posizione il giudice svolga un effettivo vaglio degli elementi ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell'affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari del caso concreto (sez. 3, n. 840 del 17/12/2015, Tinnirello Rv 265645; sez. 6, n. 30774 del 20/06/2018, PM in proc. Vizzi', Rv. 273658). In tutte le sopra richiamate pronunce del S.C. e' stato ritenuto tale obbligo motivazionale compatibile con il rinvio per relationem o per incorporazione alla richiesta del pubblico ministero. 5.1 Il Giudice per le indagini preliminari ha d'altro canto assolto al proprio compito con motivazione puntuale e priva dei vizi enunciati dalla parte ricorrente e, con particolare riferimento alle esigenze cautelari enucleate a carico del (OMISSIS), ha palesato di avere considerato le prospettazioni del PM, richiedente la misura, in relazione a ciascun titolo di reato per cui ha ravvisato la gravita' indiziaria e di avere considerato l'intensita' dei pericula connessa alla sua peculiare posizione di dipendente della Agenzia delle Dogane, della particolare relazione di asservimento alle dinamiche, peraltro articolate da gruppi associativi di speciale portata criminale, collegate alla movimentazione di enormi carichi di stupefacenti in transito presso il porto di (OMISSIS) e della necessita' di ottenerne lo svincolo senza incorrere in ispezioni o sequestri, evidenziando altresi' che dal sistema di relazioni desumibile dalla messaggistica scambiata tra gli appartenenti alle squadre di portuali al soldo delle organizzazioni criminose, il contributo del (OMISSIS) non poteva ritenersi saltuario o occasionale, ma frutto di una stabile disponibilita' a favorire tali finalita' illecite, fornendo informazioni, ovvero utilizzando i poteri che gli derivavano dall'utilizzo dello scanner per mascherare la presenza dello stupefacente nei container. 5.2 Sotto questo profilo pertanto l'ordito motivazione del giudice della cautela deve ritenersi del tutto integro e privo di elementi che ne pongano in discussione l'autonomia esercitata nel compiere le valutazioni richieste dagli articolo 274 e 275 c.p.p., con particolare riferimento alla interpretazione della personalita' del ricorrente e delle modalita' dei fatti attraverso cui si e' manifestata l'azione agevolatrice del (OMISSIS), come desumibili dagli scambi di comunicazione via Sky ECC, dalle riprese dei controlli radiogeni tramite scanner, dagli esiti segnalati, dalla sorpresa manifestata da taluno dei sodali ( (OMISSIS)) nel riconoscere il (OMISSIS) quale uno dei doganieri che avevano contribuito al rinvenimento di un considerevole carico di stupefacente, nonostante lo stesso avesse negato (a taluno dei correi) di essere stato lui a procedere al controllo del container (cfr. 780 - 795 misura cautelare e 1772 e 1773 in ordine alle esigenze cautelari esplicitate nell'ordinanza applicativa). 6. Anche il motivo di ricorso relativo alla ricorrenza delle esigenze cautelari e all'assolvimento dell'onere motivazionale da parte del Tribunale del riesame risulta infondato. Vale il principio secondo cui, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza oppure inattualita' ed assenza delle esigenze cautelari, e' ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, rimanendo "all'interno" del provvedimento impugnato, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito. Con la conseguenza che qui non puo' procedersi, per un verso, a rinnovare l'apprezzamento sviluppato sulle intercettazioni ambientali e sulle dichiarazioni effettuate dalle persone informate sui fatti. 6.1 Corretto appare l'apprezzamento sviluppato in ordine sia alla concretezza sia all'attualita' delle esigenze cautelari, in linea con il novum introdotto dalla L. n. 47 del 2015 sul disposto dell'articolo 274 c.p.p., lettera c). Come e' noto, l'"attualita'" dell'esigenza cautelare non costituisce un predicato della sua "concretezza". Si tratta, infatti, di concetti distinti, legati l'uno (la concretezza) alla capacita' a delinquere del reo, l'altro (l'attualita') alla presenza di occasioni prossime di reato, la cui sussistenza, anche se desumibile dai medesimi indici rivelatori (specifiche modalita' e circostanze del fatto e personalita' dell'indagato o imputato), deve essere autonomamente e separatamente valutata, non risolvendosi il giudizio di concretezza in quella di attualita' e viceversa. Ma il giudice del riesame ha rispettato questo principio e, nel contempo, non ha certo trascurato il decorso del tempo tra la misura e i fatti sub iudice, mettendo in evidenza il comportamento del prevenuto, desunto dagli elementi di prova acquisiti, in termini tali da giustificare la concretezza e l'attualita' del rischio di reiterazione e l'urgenza di provvedere. Con cio' si e' perfettamente corrisposto in termini qui in fatto non rinnovabili- al principio secondo cui la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualita' sia in relazione alla scelta della misura. 6.2 Il giudice del riesame ha rispettato l'obbligo motivazionale di evidenziare le ragioni per cui ha ritenuto sussistere una alta probabilita' di reiterazione di condotte criminose della stessa specie, cosi' da riconoscere una prossima, seppure non imminente, occasione di delinquere (sez.3, 24/04/2018, Ruggerini, Rv.273674.01; sez.5, 29/11/2018, Avolio, Rv.277242.01). In tema di esigenze cautelari invero il pericolo di recidiva e' attuale ogni qual volta sia possibile una prognosi in ordine alla ricaduta nel delitto che indichi la probabilita' di devianze prossime all'epoca in cui viene applicata la misura, seppur non specificatamente individuate, ne' tantomeno imminenti, ovvero immediate; ne consegue che il relativo giudizio non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione prognostica fondata su elementi concreti, desunti sia dall'analisi della personalita' dell'indagato, che sull'esame delle concrete condizioni di vita di quest'ultimo. 6.3 Le indicate modalita' e le caratteristiche della condotta criminosa e i profili afferenti alla personalita' del prevenuto (desumibili dal concreto atteggiarsi della sua partecipazione alla intrapresa criminosa con collegamenti di primo piano con settori del narcotraffico, assistita altresi' dalla circostanza aggravante della trasnazionalita' e dell'agevolazione del sodalizio criminoso con caratteri riconducibili all'articolo 416 bis c.p.) costituiscono espressione della concretezza, ma anche dell'attualita' delle esigenze cautelari connesse al pericolo di recidivazione criminosa che giustificano la misura cautelare applicata, avendo il giudice del riesame ben argomentato in ordine all'inserimento del (OMISSIS) in un contesto criminale collaudato e organizzato, con il quale manteneva collegamenti non occasionali a prescindere dalla unicita' del fatto-reato in contestazione, trattandosi di personaggio noto ai portuali infedeli che collaboravano con i gruppi criminali che provvedevano alla movimentazione di carichi eccezionali di stupefacente all'interno del porto di (OMISSIS), tanto da essere elevato a punto di riferimento allorquando si frapponevano ostacoli alla libera movimentazione dei containers, consapevole di favorire con il proprio contributo tali gruppi criminali per un tornaconto economico rilevante, manifestando in tale modo "una radicata scelta di vita delinquenziale", "contravvenendo ai doveri legati al suo ufficio", in un contesto di formidabile spessore criminale, come fotografato nelle chat fra correi, in cui la ricaduta nel crimine, mediante analoghe condotte agevolatrici, risulterebbe non solo attuale, ma pressoche' certa, nel caso in cui non fossero recisi i legami con il luogo di lavoro e, piu' in generale, con gli organizzatori delle illecite intraprese. 6.4 Con motivazione priva di contraddittorieta' o di illogicita' manifesta il giudice del riesame ha fornito poi adeguato conto altresi' della adeguatezza della misura custodiale applicata, in quanto non surrogabile con misura meno afflittiva stante la persistenza di capacita' logistiche del ricorrente, in una prospettiva, affatto congetturale, di collegamento ovvero di supporto alla criminosa attivita' in essere, non adeguatamente contrastate da misura domiciliare sia pure accompagnata da presidi elettronici, in ragione della concreta possibilita', anche agli arresti domiciliari, di proseguire l'attivita' criminosa ovvero di mantenere relazioni con gli ambienti delinquenziali del narco traffico, rispetto ai quali non risultano essere stati ancora definiti l'rispettivi ambiti di operativita' e di interferenza. 7. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali. Seguno come da dispositivo i provvedimenti conseguenti. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETUZZELLIS Anna - Presidente Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. DI NICOLA T. Paola - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - rel. Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante della societa' (OMISSIS) s.r.l.; avverso il decreto emesso dal Tribunale di Napoli il 17/06/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. SILVESTRI Pietro; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. BIRITTERI Luigi, che ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; lette le conclusioni dell'avv. (OMISSIS), difensore dei ricorrenti, che ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Napoli ha dichiarato inammissibile, perche' tardivo, l'incidente di esecuzione proposto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, articolo 1, commi 199 - 200, il 5.4.2022 con cui (OMISSIS) e la societa' (OMISSIS) s.r.l. hanno chiesto l'ammissione del credito della societa' indicata per l'importo di 600.000 Euro nei confronti dell'amministrazione giudiziaria relativa al procedimento di prevenzione riguardante (OMISSIS); il credito sarebbe derivante da un contratto preliminare di vendita di un immobile, poi oggetto di confisca definitiva di prevenzione disposta nei riguardi di (OMISSIS) e (OMISSIS), moglie e figlio, entrambi eredi di (OMISSIS), deceduto. Il contratto preliminare sarebbe intercorso tra la societa' promittente venditrice, (OMISSIS) s.r.l., e (OMISSIS) e (OMISSIS), promissari acquirenti, e il prezzo fissato sarebbe stato di 640.000 Euro; in subordine la societa' aveva richiesto di essere ammessa per la somma di 300.000 Euro, quella corrisposta a titolo di caparra confirmatoria. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e la societa' (OMISSIS) s.r.l. articolando quattro motivi. 2.1. Con il primo si deduce violazione di legge, anche processuale. Il Tribunale - individuata la disciplina applicabile in quella prevista dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228 - avrebbe erroneamente ritenuto l'istanza, presentata il 5.4.2022, tardiva perche' proposta dopo il termine perentorio di 180 giorni previsto dall'articolo 1, commi 199 e 205 della legge in questione, decorrente: a) quanto alla quota del bene riferibile a (OMISSIS), dal 5.4.2021, non avendo questi proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello; b) quanto alla quota riferibile a (OMISSIS), dal dispositivo della sentenza n. 41834 della Quinta sezione penale della Corte di cassazione, e cioe' dal 5 ottobre 2021. Secondo la societa' ricorrente invece, quanto a (OMISSIS), il termine dovrebbe decorrere non gia' dal 5 ottobre 2021, cioe' dalla data della udienza celebrata in Corte di cassazione, ma da quella del deposito della sentenza della Corte, cioe' dal 17.11.2021; si sostiene, citando giurisprudenza, che per le procedure in Camera di consiglio il provvedimento giurisdizionale sarebbe perfezionato solo con il deposito del provvedimento. Ne', si aggiunge, l'immediata conoscenza del dispositivo sarebbe garantita - come ritenuto dal Tribunale - attraverso la possibilita' di accesso al sito della Corte di cassazione, atteso che detto principio potrebbe al piu' valere per le parti del processo definito davanti alla Corte ma non anche, come nel caso di specie, per i terzi. Il dispositivo, si aggiunge, sarebbe solo un atto interno ma non coinciderebbe con la sentenza; diversamente, si dovrebbe ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della L. n. 228 del 2012, articolo 1, commi 199 e 205, in relazione agli articoli 3, 24, 117 Cost. e articolo 6 Cedu per la parte in cui non collegano la definitivita' della pronuncia al momento del deposito della motivazione della sentenza resa nell'ambito di un procedimento camerale trattato ai sensi dell'articolo 611 c.p.p.. Si chiede anche la rimessione della questione alle Sezioni unite della Corte. Quanto a (OMISSIS), si evidenza che il ricorso per cassazione non fu proposto per la morte dell'interessato, cui era subentrato l'unica erede cioe' (OMISSIS), che invece aveva proposto ricorso per cassazione; quindi, si argomenta, anche per quella quota avrebbe dovuto considerarsi la pendenza del ricorso per cassazione e dunque si sarebbe dovuto fare riferimento alla data del deposito della Corte. Si aggiunge che la societa' (OMISSIS) s.r.l. non aveva chiesto "una domanda di rivendica della proprieta'", ossia un'azione finalizzata alla acquisizione definitiva della cosa, ma un'azione contrattuale volta ad ottenere la restituzione della caparra e il risarcimento del danno ex articolo 1385 c.c.; si tratterebbe di una obbligazione solidale della quale risponderebbe anche solo uno dei contraenti e dunque anche solo (OMISSIS). Anche per questa ragione l'istanza sarebbe stata ammissibile. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge con riguardo al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 58. L'assunto e' che il Decreto Legislativo in questione ammetterebbe comunque la presentazione di istanze tardive, non oltre il termine di un anno dal deposito del decreto di esecutivita' dello stato passivo, previa dimostrazione della ragione dl ritardo e della sua non imputabilita'. Nel caso di specie non sarebbe stata nota nemmeno l'esistenza di un decreto di esecutivita' dello stato passivo e, dunque, non sarebbe possibile individuare il termine per la presentazione della domanda. 2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 57 ovvero della L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 206. Ove pure si volesse ritenere, conformemente all'assunto del Tribunale, che la societa', quale terzo creditore, avesse conoscenza della esistenza del procedimento di prevenzione patrimoniale, allora l'ente avrebbe dovuto ricevere avviso di cui all'articolo 57 cit. con la fissazione del termine perentorio non superiore a 60 giorni per la presentazione della istanza di ammissione al passivo. L'avviso sarebbe stato omesso. 2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 52 e L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 198, e s.s.. Sarebbe errato l'assunto del Tribunale secondo cui nella specie il credito non sarebbe sorto precedentemente al sequestro. Si rappresenta che, se si dovesse ragionare con il Tribunale, si dovrebbe sollevare una ulteriore questione di legittimita' costituzionale in relazione all'articolo 158 e L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 198, della per contrasto con l'articolo 3 Cost. nella misura in dette norme riconoscerebbero tutela solo ai crediti sorti prima del sequestro (si cita Cort. Cost. n. 94 del 2015 e Corte Cost. n. 26 del 2019). 3. E' stata presentata una memoria difensiva nell'interesse di ricorrenti con cui sono ripresi e ulteriormente argomentati le questioni poste a fondamento dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili 2. Quanto al primo motivo e alla quota del bene riferibile a (OMISSIS), non e' in contestazione che questi, erede del soggetto proposto, (OMISSIS), non propose ricorso per cassazione avvero il decreto della Corte di appello confermativo della confisca dell'immobile. Dunque, nei riguardi di (OMISSIS), deceduto il (OMISSIS), la confisca della quota del bene divenne definitiva con il decorso del termine per proporre impugnazione avverso il decreto della Corte, cioe' il 5 aprile 2021. Del tutto generica e' peraltro l'affermazione secondo cui a (OMISSIS) sarebbe succeduta come unica erede (OMISSIS), sicche' il ricorso di questa in cassazione avrebbe ad oggetto anche la quota parte del bene riferibile a (OMISSIS). Ne deriva che la domanda di ammissione del credito depositata dalla societa' (OMISSIS) s.r.l. il 5 aprile 2022 e' stata correttamente ritenuta tardiva dal Tribunale, perche' proposta oltre il termine di centottanta giorni previsto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, commi 199 - 205, cit.. 3. Quanto alla quota parte del bene riconducibile a (OMISSIS), la Corte di cassazione ha gia' condivisibilmente chiarito che in tema di confisca di prevenzione, il termine di 180 giorni per la proposizione della domanda di ammissione del credito, previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, commi 199 e 205, decorre, in caso di sentenza della Corte, per effetto della quale sia divenuto definitivo il decreto di confisca, dalla pronunzia del dispositivo all'esito dell'udienza camerale e non dal deposito della motivazione di tale sentenza (Sez. 6, n. 33677 del 16/10/2020, Island Refinancing s.r.l., Rv. 279952). Nell'ambito di una articolata motivazione la Corte ha testualmente spiegato che: - il dies a quo del termine di decorrenza e' fissato dal legislatore - attraverso il combinato disposto di cui alla L. 24 dicembre 2012, n. 228, commi 199 e 205 - nel "momento in cui la confisca diviene definitiva": vi si stabilisce, infatti, che per i beni di cui al comma 194, confiscati in data successiva all'entrata in vigore della presente legge, il termine di cui al comma 199 - ossia quello di centottanta giorni entro cui i titolari dei crediti di cui al comma 198 devono, a pena di decadenza, proporre domanda di ammissione del credito ex articolo 58, comma 2, Decreto Legislativo cit. al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca - decorre dal momento in cui la confisca diviene definitiva; - analogo termine di decorrenza viene altresi' ribadito dal legislatore nel successivo comma 206, ove si stabilisce che l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata, entro dieci giorni dall'entrata in vigore della legge, ovvero "dal momento in cui la confisca diviene definitiva", effettua nei confronti dei creditori di cui al comma 198 (a mezzo posta elettronica certificata ove possibile e, in ogni caso, mediante apposito avviso inserito nel proprio sito internet) le diverse comunicazioni ivi espressamente previste (ossia: " a) che possono, a pena di decadenza, proporre domanda di ammissione del credito ai sensi dei commi 199 e 205; b) la data di scadenza del termine entro cui devono essere presentate le domande di cui alla lettera a); c) ogni utile informazione per agevolare la presentazione della domanda "); - muovendo dalla norma generale dettata in tema di impugnazioni dall'articolo 10, comma 3, Decreto Legislativo cit., occorre considerare che la Corte di cassazione "provvede, in Camera di consiglio, entro trenta giorni dal ricorso" e che, in deroga alla regola generale della mancanza di effetto sospensivo delle impugnazioni prevista nel terzo inciso della disposizione or ora richiamata, l'articolo 27, comma 2, Decreto Legislativo cit. stabilisce che "i provvedimenti che dispongono la confisca dei beni sequestrati, la confisca della cauzione o l'esecuzione sui beni costituiti in garanzia diventano esecutivi con la definitivita' delle relative pronunce"; - per cristallizzare sul piano temporale la definitivita' delle pronunce di merito emesse in tema di confisca il legislatore fa riferimento, dunque, al momento in cui la Corte Suprema "provvede" con una decisione assunta all'esito del rito camerale previsto dall'articolo 611 c.p.p.; - le sentenze della Corte di legittimita', indipendentemente dalla tipologia del modulo procedimentale entro cui si inserisce il correlativo percorso decisorio, sono per legge immediatamente esecutive indipendentemente dalla notifica o dalla comunicazione all'interessato e che l'estratto della decisione costituente titolo esecutivo viene formato e trasmesso all'ufficio di merito in base al dispositivo riportato dal Presidente del Collegio sul ruolo di udienza, adempimento normalmente anteriore al deposito del provvedimento in Cancelleria ai sensi dell'articolo 128 c.p.p.; - le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, Moni, Rv. 205257; Sez. U, n. 11 del 25/03/1998, Manno, Rv. 210607) hanno affermato, con orientamento costante, la scindibilita' del momento deliberativo della decisione rispetto a quello, eventualmente successivo, del deposito del provvedimento camerale completo di motivazione; dette pronunzie hanno, altresi', riconosciuto la piena autonomia del dispositivo, che costituisce una realta' a se' stante, diversa sia dalla decisione che dalla motivazione, potendo dispiegarsi, mediante il suo deposito in Cancelleria e le immediate comunicazioni di rito anche prima che venga redatta la motivazione, il duplice effetto di rendere certo agli interessati che la decisione e' intervenuta e che e' intervenuta con un determinato, irreversibile contenuto e di rendere possibili i provvedimenti occorrenti; - si e' posto altresi' in rilievo che il dispositivo rappresenta un nucleo che costituisce il contenuto e l'oggetto della manifestazione tipizzata del potere autoritativo, tale da richiedere (a completamento) una motivazione che, ancorche' successiva al decisum, non vale a spostare il momento deliberativo dal tempo in cui esso risulta collocato per l'avvenuto esercizio della potestas iudicandi; - come affermato in una successiva decisione delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 14451 del 27/03/2003, Previti, Rv. 223633), tale quadro di principi assume una portata generale, investendo la possibilita' e l'ammissibilita', quanto al provvedimento decisorio adottato in Camera di consiglio, della scissione temporale tra l'autonomo momento deliberativo che si evidenzia nel dispositivo, che puo' essere depositato immediatamente in Cancelleria e comunicato agli interessati, ed il successivo deposito del provvedimento completo di motivazione che conclude il processo formativo della decisione; - a tale quadro di principii si conforma l'attivita' della Corte Suprema di Cassazione, in quanto caratterizzata dall'immediato deposito in Cancelleria del solo dispositivo attestato dal provvedimento sottoscritto dal Presidente del Collegio sul ruolo di udienza, sicche', qualora dalla decisione debba conseguire - come nel caso qui in esame l'esecuzione del provvedimento impugnato, possa trasmettersene l'estratto "senza ritardo" (ex articolo 15 reg. esec. c.p.p., comma 2 e articolo 28 reg. esec. c.p.p.) al competente ufficio presso il giudice di merito. In tale quadro di riferimento, il Supremo Consesso di questa Corte (Sez. U, n. 39608 del 22/02/2018, Business Partner Italia s.p.a., Rv. 273660) ha affermato il principio secondo cui i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati all'esito dei procedimenti per il quali non si applica la disciplina del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, devono presentare la domanda di ammissione del loro credito al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca nel termine di decadenza previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 199, anche nel caso in cui non abbiano ricevuto le comunicazioni di cui all'articolo 1, comma 206, della stessa legge, in quanto il termine di decadenza decorre indipendentemente dalle predette comunicazioni. L'applicazione di detto termine e', comunque, subordinata all'effettiva conoscenza, da parte del creditore, del procedimento di prevenzione in cui e' stata disposta la confisca o del provvedimento definitivo di confisca ed e', in ogni caso, fatta salva la possibilita' per il creditore di essere restituito nel termine stabilito a pena di decadenza, se prova di non averlo potuto osservare per causa a lui non imputabile. Sulla base di tale ragionamento giuridico la Corte di cassazione ha altresi' ritenuto manifestamente infondata la prospettata questione di legittimita' costituzionale, avendo questa Corte gia' osservato, al riguardo, che il decorso del termine di 180 giorni per la proposizione dell'istanza di ammissione del credito, nelle forme indicate dal legislatore, e' conforme a principi di ragionevolezza, tutela del diritto di difesa e certezza dei rapporti giuridici, rientrando nell'ambito della sua discrezionale sfera d'intervento (Sez. 6, n. 51060 del 19/07/2017, Unicredit s.p.a., Rv. 271374). Si e' evidenziato che nelle numerose occasioni in cui la Corte costituzionale e' stata chiamata a pronunciarsi sulla conformita' alla Costituzione di norme che hanno fissato termini di decadenza dall'esercizio di diritti o facolta', ha costantemente affermato che la facolta' del legislatore di fissare tali termini di decadenza incontra soltanto due limiti, e cioe' l'insussistenza di un interesse generale e la fissazione di termini cosi' ristretti da rendere impossibile od eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto (sent. n. 297 del 2008; ordinanze n. 197 del 2006, n. 213 del 2005 e n. 185 del 2009). Come detto, si e' aggiunto che, in considerazione delle ragioni per le quali deve ritenersi che il termine di decadenza previsto nei commi 199 e 205 decorra indipendentemente dalle comunicazioni di cui al successivo comma 206, la decorrenza di tale termine deve comunque essere ancorata all'effettiva conoscenza, da parte del terzo, del procedimento di prevenzione in cui e' stata disposta la confisca o del provvedimento definitivo di confisca. Proprio in forza di tale argomentazione il Supremo Consesso di questa Corte ha affermato che, nel caso in cui il terzo creditore non possa prospettare in sede di domanda di ammissione la mancata conoscenza del procedimento di prevenzione o dell'esistenza di un provvedimento definitivo di confisca, lo stesso potra' comunque accedere alla rimessione in termini, ai sensi dell'articolo 175 c.p.p., comma 1, se prova che, nonostante le informazioni in suo possesso, non ha potuto proporre domanda tempestiva per causa a lui non imputabile (nozione, questa, in cui la Corte non fa rientrare l'omessa o tardiva comunicazione di cui alla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 206 - perche' l'adempimento comunicativo che la disciplina transitoria pone in capo all'Agenzia nazionale si qualifica come mera pubblicita' notizia dettata da una disposizione di carattere organizzativo volta ad agevolare l'obbligo del creditore L. n. 228 del 2017, ex articolo 1, comma 199 -, facendovi di contro rientrare, eventualmente, l'ipotesi in cui, nonostante la conoscenza del procedimento, il terzo interessato non sia venuto a conoscenza dell'esito dello stesso e non abbia comunque conosciuto del provvedimento definitivo di confisca per ragione non imputabile a suo difetto di diligenza). Seguendo tale linea ricostruttiva, conclude la Corte, l'assolvimento dell'obbligo informativo in capo alla predetta Agenzia nazionale non diviene affatto una condizione intrinseca di operativita' del termine per la domanda di ammissione del credito, che continua, in linea di principio, a decorrere solo ed esclusivamente dal dies a quo stabilito dalla legge (nel caso in esame, come si e' visto, dalla definitivita' del provvedimento di confisca), salvo che risulti che il creditore non abbia avuto conoscenza del procedimento di prevenzione o del suo provvedimento conclusivo. In definitiva, cosi' ricostruito nelle sue linee portanti, il sistema congegnato dal legislatore consente, secondo la prospettiva ermeneutica delineata dalla Corte, di porre vieppiu' al riparo il quadro normativo dalle su esposte censure di costituzionalita', poiche' esso, per un verso, esclude la possibilita' di ingiustificati pregiudizi per il creditore in buona fede, danneggiato dall'omissione informativa, per altro verso permette "di prevenire altrettanto ingiustificati ed irragionevoli vantaggi che potrebbero scaturire da un automatismo applicativo di segno opposto: quello che vorrebbe il terzo creditore in incolpevole ignoranza per la sola circostanza che l'Agenzia non abbia adempiuto agli obblighi informativi imposti dal richiamato articolo 1, comma 206; automatismo che, sebbene ridondante a favore del creditore, risulterebbe - in forza delle argomentazioni che precedono - a sua volta di discutibile ragionevolezza.". 4. Sula base di tale quadro di riferimento, il Tribunale ha indicato le molteplici ragioni da cui si e' fatta discendere la prova che la societa' ricorrente fosse chiaramente a conoscenza del procedimento di prevenzione patrimoniale (cfr., pag. 12 del provvedimento impugnato). Sul punto il ricorso e' del tutto silente. Ne consegue che anche in relazione alla quota parte del bene di (OMISSIS), il termine per la proposizione della domanda di ammissione del credito decorreva dalla pronunzia del dispositivo della sentenza n. 41834 della Quinta sezione penale della Corte di cassazione, e cioe' dal 5 ottobre 2021; dunque la domanda, depositata il 5 aprile 2022, fu tardivamente proposta, oltre i cento ottanta giorni previsti dalla legge. 5. Sono inammissibili il secondo e il terzo motivo, che possono essere valutati congiuntamente. Si tratta di motivi il cui assunto costitutivo e' dato dalla prospettazione o di facolta' che la societa' ricorrente avrebbe potuto esercitare - istanze tardive - ovvero di vizi del procedimento in tema di ammissione del credito. Si tratta di doglianze che, da una parte, non sono state dedotte davanti al Tribunale, e, dall'altra, che al piu' possono rilevare per una richiesta di remissione in termini. 6. Il quarto motivo e' assorbito da quanto esposto in relazione al primo. 7. Alla dichiarazione d'inammissibilita' dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare nella misura di tremila Euro ciascuno. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - rel. Consigliere Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/03/2021 della CORTE APPELLO di TRIESTE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. EDUARDO DE GREGORIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. PASSAFIUME SABRINA. RITENUTO IN FATTO Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Trieste ha riformato - per quanto ora di interesse - la pronunzia di primo grado di condanna alla pena di giustizia nei confronti delle imputate (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente la prima titolare dell'impresa individuale (OMISSIS) di (OMISSIS) e la seconda quale amministratrice di fatto della medesima impresa e socia della (OMISSIS) srl, per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione dell'intero compendio aziendale, realizzata tramite contratto di affitto di azienda stipulato dalla fallita con la (OMISSIS) srl per un canone incongruo, nonche' della distrazione della quota di un immobile in proprieta' personale di (OMISSIS) in favore del fratello (OMISSIS), compiuta tramite una vendita simulata effettuata dall'imputata al fratello. Epoca del fallimento: (OMISSIS). Hanno presentato ricorso le imputate tramite il comune difensore fiduciario, con due distinti atti, articolando sei motivi di contenuto sovrapponibile, qui riassunti nei limiti di cui all'articolo 173 disp. Att. c.p.p.; per (OMISSIS) la difesa ha proposto un autonomo motivo, indicato nell'impugnazione come secondo. 1.Con il primo motivo si deduce l'inosservanza della norma processuale ex articolo 34 c.p.p., poiche' i Giudici del Tribunale in sede di riesame si sarebbero gia' espressi su tutti gli aspetti della vicenda in seguito oggetto del giudizio di merito. 2. Nel secondo motivo nell'interesse di (OMISSIS) - corrispondente al terzo motivo proposto da (OMISSIS) - e nei motivi immediatamente consecutivi dell'una e dell'altra imputata, trattati insieme poiche' strettamente connessi, ci si duole della illogicita' di motivazione e della erronea applicazione delle norme sulla bancarotta distrattiva e sulla bancarotta preferenziale, in relazione alla ritenuta distrazione della quota di immobile in titolarita' della ricorrente in favore del fratello (OMISSIS). La Corte d'appello, sconfessando l'impostazione accusatoria accolta dal primo Giudice, aveva ritenuto che la vendita della quota di immobile in titolarita' di (OMISSIS) verso il fratello fosse giustificata in esecuzione di un patto sottoscritto tra i due ed i loro genitori, con il quale l'imputata si impegnava a cedere la quota di proprieta' dell'immobile del valore di 100mila Euro al germano, avendo ricevuto in precedenza l'intera somma di 200mi1a Euro proveniente da una donazione dei genitori da essi destinata ad entrambi i figli; secondo la Corte triestina, pertanto, la ricorrente stava dando esecuzione ad un impegno gia' preso nei confronti del fratello. Il Giudice di appello aveva giudicato l'atto negoziale distrattivo, in quanto nel frattempo (OMISSIS) era diventata titolare della ditta individuale, ormai in stato di decozione e, quindi, anche il suo patrimonio individuale era posto a garanzia dei creditori, essendo depauperato con l'operazione in parola. 2.1. La difesa lamenta sia la violazione della norma sulla bancarotta fraudolenta distrattiva, inesistente sotto il profilo oggettivo e soggettivo, sia la mancata qualificazione del fatto come bancarotta preferenziale, poiche' l'imputata, nell'adempiere all'impegno preso con il fratello (OMISSIS), peraltro diciassette mesi prima del fallimento, aveva in definitiva pagato uno dei creditori a preferenza degli altri. Si eccepisce, quindi, la prescrizione del delitto di bancarotta preferenziale. 3.Nel secondo motivo presentato nell'esclusivo interesse di (OMISSIS) si deduce la violazione della norma incriminante speciale e vizio di motivazione illogica quanto alla qualita' di amministratore di fatto attribuita all'imputata. La Corte aveva valorizzato una mail in cui l'attuale ricorrente esprimeva la volonta' di salvare l'immobile di (OMISSIS), e le prove testimoniali del commercialista (OMISSIS), del dipendente (OMISSIS), e di due fornitori. La difesa rappresenta che dalle testimonianze si evincerebbe unicamente il ruolo di consulente contabile svolto da (OMISSIS) mentre ogni decisione commerciale ed amministrativa riguardante la fallita era presa esclusivamente da (OMISSIS). 4.Col quarto motivo (OMISSIS) - quinto per (OMISSIS) - ci si duole della illogicita' di motivazione quanto alla ritenuta incongruita' del canone di affitto pattuito, la cui entita' era stata definita da professionisti incaricati da (OMISSIS), che lo avevano giudicato congruo e ne avevano riferito nel corso del giudizio mentre non sarebbero state chiarite le stime effettuate dall'Accusa per ritenere l'incongruita' del canone. Sul punto la difesa rappresenta di aver prodotto due relazioni tecniche, secondo le quali il canone di 1000 Euro sarebbe superiore ai valori di mercato mentre i Giudici di merito avevano trascurato che l'affittuaria si era impegnata a corrispondere all'affittante il corrispettivo per avviamento e rimanenze di magazzino. 5. Con il quinto motivo (OMISSIS) - sesto per (OMISSIS) - si deduce la mancata assunzione di prova decisiva quanto alla testimonianza di (OMISSIS), che aveva seguito il progetto di concordato preventivo e che sarebbe stato importante sentire allo scopo di meglio chiarirne i passaggi rimasti oscuri. 6.Tramite il sesto motivo (OMISSIS) - settimo (OMISSIS) - ci si duole dell'illogicita' della motivazione quanto al calcolo della pena, poiche' la Corte di appello, pur avendo dichiarato la prescrizione del reato di bancarotta preferenziale di cui al capo c), non aveva ridotto la pena rispetto a quella inflitta in primo grado. Con requisitoria scritta a norma del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83, comma 12-ter, convertito, con modificazioni, con la L. 24 aprile 2020, n. 27, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, ha concluso per entrambi i ricorsi chiedendo la riqualificazione del reato di cui al capo A2) ai sensi dell'articolo 216, comma 3, L.F. e l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente ad esso per essersi il reato estinto per prescrizione, con rinvio alla Corte d'appello, per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio e per l'inammissibilita' dei ricorsi nel resto. La difesa delle imputate ha depositato conclusioni con cui ha ribadito la richiesta di accoglimento dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono fondati quanto alla mancata riqualificazione del fatto di cui al capo a2 dell'imputazione come bancarotta preferenziale mentre nel resto appaiono inammissibili. 1. Il primo comune motivo di ricorso appare manifestamente infondato in diritto e genericamente formulato, come e' agevole desumere dalle pagine 13 e 14 dell'atto di impugnazione, in cui la difesa si esprime in termini di possibilita' e probabilita' della formazione di un pregiudizio da parte dei decidenti ma neppure deduce specificamente in relazione a quali Giudici si sarebbe realizzato. Per completezza va ricordato che l'incompatibilita' ex articolo 34 c.p.p. non attiene alla capacita' del giudice e non determina, pertanto, la nullita' del provvedimento ex articoli 178 e 179 c.p.p., ma costituisce soltanto motivo di possibile astensione ovvero di ricusazione dello stesso giudice, che deve essere fatto valere tempestivamente con la procedura di cui all'articolo 37 c.p.p.. (ex mulits, Sez. 2, Sentenza n. 12896 del 05/03/2015 Ud. (dep. 26/03/2015) Rv. 262780. Sul punto si rimarca che la difesa neppure deduce di aver presentato istanza di ricusazione. 2.11 secondo e terzo motivo presenti nell'atto di impugnazione di (OMISSIS) - corrispondenti al terzo e quarto nell'interesse di (OMISSIS) - sono esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, avendo ad oggetto la condotta distrattiva di cui al capo a2 dell'imputazione, individuata nella vendita di meta' proprieta' dell'immobile in titolarita' dell'imputata al fratello, di cui e' censurata la motivazione illogica e la mancata qualificazione del fatto nel delitto di bancarotta preferenziale; le censure sono fondate. 2.1. Come puntualmente segnalato dalla difesa la Corte ha sconfessato l'impostazione accusatoria accolta dal Tribunale, che aveva giudicato simulata l'operazione di compravendita tra i fratelli (OMISSIS), ed ha diversamente ma chiaramente ricostruito gli eventi familiari a seguito dei quali l'imputata, che aveva ricevuto l'intera somma relativa alla donazione di 200mi1a Euro dai genitori ai figli, in sostanza era rimasta in debito col fratello di 100mila Euro e si era impegnata con una scrittura privata, sottoscritta da genitori e figli, a trasferirgli la sua quota del 50% dell'immobile, corrispondente alla somma di 100mila Euro costituente la quota del fratello in relazione alla suddetta donazione; la scrittura privata, intervenuta nel Luglio 2007, era successiva di pochi giorni alla donazione dei 200mi1a Euro direttamente ed esclusivamente all'imputata. L'ipotesi di compravendita simulata contestata nell'imputazione ed accettata dal Tribunale e' stata giudicata frutto di un errore, come spiegato chiaramente nel testo della sentenza impugnata alla pagina sette, in cui si e' dato conto di quanto testimoniato dal notaio rogante l'atto di cessione di quota di immobile. Cosi' ricostruita la complessiva attivita' negoziale il Giudice di appello ha ritenuto esplicitamente che (OMISSIS) avesse dato esecuzione ad un impegno gia' formalmente assunto verso il fratello (OMISSIS), escludendo il carattere simulato dell'atto di vendita;tuttavia ha confermato la natura distrattiva del negozio, poiche' (OMISSIS) nel frattempo era diventata titolare di un'attivita' di impresa individuale in condizione di decozione al momento della stipula del contratto in parola; dunque, secondo la Corte di appello, la cessione integrava una illecita diminuzione del patrimonio dell'imputata con correlativo danno delle ragioni dei creditori. 2.2. Cosi' ricostruiti i fatti e la natura reale e non fittizia del contratto di compravendita sono condivisibili le censure di motivazione illogica e soprattutto di violazione di legge avanzate negli atti di ricorso circa la mancata riqualificazione del fatto nella fattispecie legale di bancarotta preferenziale. Invero, la Corte di appello, pur ritenendo l'esistenza di un rapporto di debito-credito tra i due germani, ha trascurato di considerare che il pagamento di un creditore prima della procedura fallimentare, nella pacifica presenza di altri creditori che a causa del pagamento stesso hanno visto diminuire la consistenza della garanzia patrimoniale sulla quale far valere le proprie ragioni, integra la diversa e meno grave fattispecie di bancarotta ex articolo 216 L. Fall., comma 3. (Sez. 5, Sentenza n. 3797 del 15/01/2018 Ud. (dep. 26/01/2018) Rv. 272165. 2.3 In proposito piu' volte la giurisprudenza civile di questa Corte ha ritenuto che l'ordinamento italiano non distingue tra i debiti di un imprenditore individuale, in ragione della natura civile o commerciale di essi, in quanto non consente limitazioni della garanzia patrimoniale in funzione della causa sottesa alle obbligazioni contratte, tutte ugualmente rilevanti sotto il profilo dell'esposizione del debitore al fallimento. (cass civ Sez. 1, Ordinanza n. 1466 del 18/01/2019, Rv. 652407.). Massime precedenti Conformi: N. 8930 del 2012 Rv. 622860. Al lume delle suindicate ragioni il fatto-reato di cui al capo a2) deve essere riqualificato come bancarotta preferenziale e deve rilevarsene l'estinzione per intervenuta prescrizione, conseguendone la pronunzia, ex articolo 620 c.p.p., lettera a) di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essersi il reato estinto per prescrizione. 3.Per esaminare le censure espresse nel secondo motivo proposto nell'interesse della sola (OMISSIS), riguardanti la ritenuta qualita' di amministratore di fatto ed articolate sotto il profilo della violazione della norma incriminatrice speciale e del vizio di motivazione illogica, e' utile ricordare il consolidato orientamento elaborato da questa Corte regolatrice sul tema. Si e' piu' volte affermato il principio secondo il quale quanto alla qualita' di amministratore di fatto occorre aver riguardo alla presenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico dell'agente con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attivita' della societa', quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita', sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare e che il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita', ove sostenuta da congrua e logica motivazione. Ex multis:Sez. 5, Sentenza n. 8479 del 28/11/2016 Ud. (dep. 22/02/2017)Rv. 269101.Sez. 5, Sentenza n. 35346 del 20/06/2013 Ud. (dep. 22/08/2013) Rv. 256534. 3.1.La motivazione resa dalla Corte territoriale, in coerenza con i suddetti principi, ha posto in luce adeguatamente e valutato logicamente gli elementi probatori per i quali la giudicabile e' stata ritenuta amministratrice di fatto, condividendo l'esame e la valutazione svolta dal Tribunale, riportandone la motivazione alle pagine nove e dieci del testo, riferendosi alle dichiarazioni dei fornitori, del dipendente (OMISSIS) e del commercialista (OMISSIS); da tali prove e' stato coerentemente ricavato che l'imputata avesse svolto un ruolo di fatto gestorio dell'impresa, dopo la morte del fratello, marito delle coimputata; si e' sottolineato allo scopo come avesse trattato con i fornitori e spiegato al dipendente la grave situazione economico finanziaria in cui si trovava l'azienda e si e' osservato, altresi', che confrontandosi col commercialista (OMISSIS), che aveva proposto la dichiarazione di auto fallimento, aveva assunto la decisione, di carattere essenziale per la vita dell'impresa, di rifiutarla e quindi, proseguire nell'attivita'. 3.2. A fronte di tale congruo e corretto apparato motivazionale desumibile dalle conformi sentenze di merito - che, come noto in tale ipotesi si saldano a formare un unico impianto logico-argomentativo - le doglianze attualmente sviluppate dalla difesa soffrono di irredimibile genericita' per la loro ripetitivita' e per l'assenza di un reale confronto con la motivazione che intenderebbero criticare. Il ricorso per cassazione e' inammissibile, per difetto di specificita' "estrinseca", quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, atteso che quest'ultimo non puo' ignorare le affermazioni del provvedimento censurato o soltanto formalmente evidenziarle senza realmente confrontarsi con esse (Sez. 2, n. 11951 del 29/1/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109). Infatti, le censure proposte a riguardo dalle ricorrenti, incentrate sulla rappresentazione di una versione alternativa delle medesime prove orali, dalle quali - ad opinione della difesa emergerebbe solo il ruolo di consulente contabile ricoperto da (OMISSIS), non fanno altro che richiedere al Collegio una inammissibile rivisitazione dei risultati di prova assunti nel giudizio e scrutinati logicamente dai Giudici del merito. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, esula dai poteri del giudice di legittimita' quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/42/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369). 4. Il quarto motivo nell'interesse di (OMISSIS) - corrispondente al quinto per (OMISSIS) - e' pure inammissibile, poiche' la difesa comune delle due imputate censura, per di piu' genericamente, il pieno merito della valutazione operata dalla Corte di appello sulla congruita' dei canoni di affitto di azienda, elemento su cui e' imperniata la condotta distrattiva descritta al capo al) dell'imputazione. Si afferma in proposito, ma in maniera meramente assertiva, che tre professionisti avrebbero giudicato congruo il canone, criticando esplicitamente la non corretta interpretazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Corte triestina, con inevitabile destinazione all'inammissibilita' del motivo in sostanza cosi' articolato. 4.1.Per desiderio di completezza va osservato che la motivazione e' incentrata su una diversa e corretta ratio decidendi, avendo annotato che attraverso il contratto di affitto la fallita era spogliata dell'intero compendio aziendale, trovandosi in tal modo nell'impossibilita' di proseguire nell'attivita' di impresa ed era, pertanto, destinata al fallimento. In tal senso questa Corte ha piu' volte chiarito che costituisce condotta idonea ad integrare un fatto distrattivo riconducibile all'area d'operativita' dell'articolo 216, comma 1, n. 1, L. Fall., l'affitto dei beni aziendali per un canone incongruo e mai riscosso che comporti la sostanziale privazione, per la societa' fallita, dei suoi beni strumentali. Ex multis: (Sez. 5, Sentenza n. 12456 del 28/11/2019 Ud. (dep. 20/04/2020) Rv. 279044. 5.11 quinto motivo nell'interesse di Ti'relli' - sesto per (OMISSIS) - riguardante la dogli'anza di mancata rinnovazione istruttoria quanto alla testimonianza (OMISSIS), e' inammissibile. Occorre ricordare sul tema che nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'articolo 603 c.p.p., comma 1, e' subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento e' rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita' se correttamente motivata.(Sez. 6, Sentenza n. 48093 del 10/10/2018 Ud. (dep. 22/10/2018) Rv. 274230 01). 5.1.Nel caso in esame la Corte di appello ha giustificato la negatoria della rinnovazione istruttoria ritenendo, all'esito dello scrutinio dei dati probatori,che essi avevano consentito una completa ricostruzione della vicenda e di essere in grado di decidere allo stato degli atti. A fronte di tale motivazione - che alla luce del logico percorso argomentativo sviluppato in sentenza appare congrua - le ricorrenti neppure hanno dedotto la decisivita' della prova testimoniale di (OMISSIS), collaboratore del commercialista (OMISSIS), riguardo alla quale la difesa si limita a prospettarne esplicitamente l'utilita' dell'audizione per fornire elementi diversi da quelli resi da (OMISSIS) stesso, cosi' ammettendone, sia pure in modo implicito, la non decisivita'. 6. I motivi sesto e settimo (per (OMISSIS)) che lamentano la mancata decurtazione della quota di pena attribuibile alla declaratoria di estinzione del reato di cui al capo c) per prescrizione, sono inammissibili per carenza di interesse. Invero, la pena e' stata inflitta gia' in primo grado nel minimo, previo giudizio di prevalenza della attenuanti generiche sulla contestata aggravante, essendo fissata in anni due di reclusione, pena che si attesta al di sotto del limite edittale minimo di anni tre di reclusione per il delitto ex articolo 216 L.F. Per la stessa ragione l'attuale dichiarazione di estinzione del delitto di cui al capo a2 per prescrizione, a seguito della riqualificazione operata dal Collegio come bancarotta preferenziale, non comporta alcuna diminuzione di pena, nonostante la declaratoria di prescrizione del relativo reato. Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per prescrizione limitatamente al delitto di cui al capo a2, riqualificato come bancarotta preferenziale, ed il ricorso nel resto va dichiarato inammissibile. P.Q.M. Riqualificato il fatto di cui al capo a2 quale bancarotta preferenziale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche' il reato e' estinto per prescrizione. Inammissibile il ricorso nel resto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. DI SALVO Emanuele - rel. Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. RICCI Anna L.A. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/12/2021 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI ORSI, che ha concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi e l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata; uditi i difensori presenti: Avvocato (OMISSIS), del foro di CATANZARO, per la parte civile (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto o la dichiarazione di inammissibilita' di entrambi i ricorsi e ha depositato nota spese chiedendone la liquidazione; Avvocato (OMISSIS), del foro di CATANZARO, per la parte civile (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto o la dichiarazione di inammissibilita' di entrambi i ricorsi e ha depositato nota spese chiedendone la liquidazione; Avvocato (OMISSIS), del foro di REGGIO CALABRIA, in difesa di (OMISSIS), in proprio e quale sostituto processuale dell'Avv. (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso; Avvocato (OMISSIS), del foro di REGGIO CALABRIA, in difesa di (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso; Avvocato (OMISSIS) del foro di REGGIO CALABRIA, in difesa di (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 21 dicembre 2021, la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza emessa il 3 marzo 2020 dal Tribunale di Locri, ha confermato l'affermazione di penale responsabilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 589, comma 2, c.p. in danno di (OMISSIS) e, ritenute le gia' concesse attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, ha rideterminato la pena, per ciascuno degli imputati, in anni uno di reclusione applicando ad entrambi i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna. e' stata confermata la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS) - in solido con la responsabile civile Amministrazione Provinciale di (OMISSIS) (oggi Citta' Metropolitana di (OMISSIS)) - al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite (OMISSIS) e (OMISSIS) e al pagamento, in favore di ciascuna parte civile, di una provvisionale di Euro 50.000,00. Gia' la sentenza di primo grado aveva dichiarato estinto per prescrizione il connesso reato di cui agli articoli 110 e 673 c.p.. 2. L'evento letale oggetto del procedimento si verifico' nella notte tra il 18 e il 19 agosto 2011, dopo le 24:00, lungo la (OMISSIS) in localita' (OMISSIS) nel Comune di (OMISSIS) ((OMISSIS)). Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, (OMISSIS), che stava percorrendo quella strada con direzione (OMISSIS)-(OMISSIS) alla guida della Mercedes SLK 200 targata (OMISSIS), giunto in prossimita' di una curva sinistrorsa posta al termine di un rettilineo di duecento metri, in mancanza di idonea segnaletica stradale e di illuminazione, non si avvide della conformazione della strada e prosegui' la marcia senza svoltare, percorrendo un tratto sterrato. La macchina precipito' nella scarpata sottostante e si capovolse. Il corpo del conducente, sbalzato fuori dall'abitacolo, fu rivenuto dai soccorritori, privo di vita, lungo la scarpata, a 53 metri dal punto di uscita dell'auto dalla strada. L'auto si fermo', in posizione capovolta, a 80 metri dal punto di uscita, individuato proprio all'inizio della curva. La strada teatro del sinistro e' una strada provinciale della cui gestione e' responsabile la "Citta' Metropolitana di (OMISSIS)" ed era responsabile, all'epoca dei fatti, la "Provincia di (OMISSIS)". Per la manutenzione ordinaria e straordinaria della rete stradale di competenza, l'amministrazione provinciale aveva stipulato un contratto "Global Service" (contratto di appalto misto di servizi e lavori) con un Raggruppamento Temporaneo di Imprese composto da "(OMISSIS) s.p.a", "(OMISSIS) s.a.s.", "(OMISSIS) s.r.l." e " (OMISSIS) s.r.l.", avente, quale capogruppo, la "(OMISSIS) s.p.a.". Questo contratto fu stipulato il 9 marzo 2009 da (OMISSIS) nella qualita' di dirigente del settore 12 - Viabilita' - della Provincia di (OMISSIS); era dunque in essere da oltre due anni quando si verifico' l'incidente. La (OMISSIS) e' stata chiamata a rispondere della morte di (OMISSIS) nella duplice qualita' di dirigente del settore 12 - Viabilita' - della Provincia di (OMISSIS) e "responsabile unico del procedimento": responsabile quindi della gestione del contratto e della sua esecuzione ai sensi del Decreto Legislativo n. 12 aprile 2006 n. 163 (allora vigente). (OMISSIS) e' imputato quale "Responsabile gestione zona ionica" nella quale rientra la (OMISSIS). I rapporti tra l'amministrazione committente e il raggruppamento di imprese che si era aggiudicato l'appalto erano disciplinati dall'articolo 15 del contratto che cosi' testualmente recita: "L'interfaccia Committente-Assuntore deve essere assicurata da soggetti nominati dalle rispettive parti. Il Committente, per la tutela dei propri interessi durante lo svolgimento dell'appalto, nomina un Responsabile della gestione del contratto, un Supervisore, tre Responsabili gestione delle zone, tre Ispettori di zona ed Ausiliari, che costituiranno interfaccia di riferimento dell'Assuntore per la verifica delle obbligazioni contrattuali.):l Responsabile della gestione del contratto e' anche Responsabile del procedimento (con riferimento al Decreto Legislativo n. 163 del 2006) e Responsabile dei lavori (con riferimento a Decreto Legislativo n. 494/96)". I giudici di merito hanno ritenuto che l'incidente sia stato determinato dalla mancanza di una segnaletica che consentisse al conducente di avvistare in tempo utile la curva posta alla fine del rettilineo, segnaletica che era tanto piu' necessaria per l'assenza di illuminazione (ancorche' non doverosa su quel tipo di strada) e per la presenza di luci nella zona industriale sottostante, dalla quale poteva derivare l'impressione che la strada proseguisse in senso rettilineo. Hanno sottolineato gia' nell'ottobre del 2009, la (OMISSIS) (capogruppo delle imprese assuntrici dei lavori) aveva segnalato l'esistenza di criticita' nel tratto di strada in questione e si era intervenuti con attivita' di manutenzione straordinaria che avevano comportato il rifacimento della sola segnaletica orizzontale. Hanno sostenuto che, in ragione della obiettiva pericolosita' della curva, sarebbe stato necessario delinearla con pannelli riflettenti, installare segnalazioni verticali di pericolo, prevedere un limite di velocita' e che tale intervento di manutenzione straordinaria avrebbe dovuto essere commissionato alle imprese che avevano assunto i lavori dai soggetti preposti alla gestione del contratto. 3. Per mezzo dei rispettivi difensori, (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso contro la sentenza. I ricorsi sono articolati in piu' motivi che vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall'articolo 173, comma 1, Decreto Legislativo n. 28 luglio 1989 n. 271. 4. Nel ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) i difensori deducono violazioni dell'articolo 606, comma 1, lettera b) e lettera e) censurando l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputata. 4.1. Con un primo motivo la difesa sottolinea che, con la stipula del contratto "Global Service" del 9 marzo 2009, l'amministrazione committente aveva trasferito alle imprese appaltanti non soltanto gli obblighi relativi alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade, ma anche la vigilanza sulle stesse e il monitoraggio su eventuali situazioni di pericolo. Di conseguenza, i funzionari della provincia non erano piu' titollari di una posizione di garanzia e non si puo' sostenere, come fa la sentenza impugnata, che una tale posizione fosse determinata dal fatto che la Provincia aveva il potere di sollecitare attivita' di manutenzione straordinaria e dovesse autorizzarne lo svolgimento da parte delle imprese assuntrici. La difesa sottolinea che, ai sensi dell'articolo 14 del contratto, l'appaltatore assumeva l'obbligo di sorveglianza e la custodia delle strade affidate alla sua manutenzione "con le conseguenze di cui all'articolo 2051 c.c.". Rileva che, ai sensi del comma 5 dell'articolo 14 del contratto di appalto, l'assuntore era "responsabile della tempestiva segnalazione, al responsabile della gestione del contratto (RUP) della necessita' di eventuali interventi non compresi nel contratto stesso" oltre ad essere tenuto a adottare "di propria iniziativa, con assoluta tempestivita' e diligenza (...) tutti i provvedimenti e le cautele atti ad evitare danni alle persone e alle cose, compresa la sospensione totale o parziale al transito veicolare, qualora si rivelasse un pericolo in atto". Ricorda che, per espressa previsione dell'articolo 14 del contratto (comma 6), l'assuntore era responsabile anche "della segnalazione al committente della necessita' di adeguare i tronchi stradali in gestione e manutenzione a criteri di sicurezza" non solo in caso di "adozione di nuove norme", ma in ogni caso di "necessita'". Conclude che nessun obbligo di garanzia gravava piu' sulla committente, cui non competevano piu' compiti di vigilanza/sicche' l'obbligo di attivarsi per predisporre interventi di manutenzione straordinaria poteva sorgere solo a seguito di segnalazione. La difesa sottolinea che, anche a voler ammettere la sussistenza di un potere di iniziativa in capo alla committente, per poter ipotizzare l'inadempimento di un obbligo giuridico di agire sarebbe necessario provare che della situazione di pericolo la responsabile del procedimento fosse stata informata, e tale circostanza non e' emersa. Ricorda che, con riferimento al tratto stradale ove si verifico' il sinistro, in data 3 ottobre 2009 la (OMISSIS) aveva segnalato la necessita' di "eseguire interventi di segnaletica orizzontale di nuovo impianto" e tali interventi erano stati autorizzati, ma nessuna segnalazione era pervenuta in ordine alla necessita' di sostituire la segnaletica verticale esistente con altra piu' efficace o di fissare limiti di velocita' in ragione della pericolosita' della curva in questione. Si sostiene, in sintesi, che in presenza di un contratto di appalto come quello in esame, l'obbligo di attivazione del committente poteva sorgere solo se la situazione di pericolo era stata segnalata dall'assuntore o da terzi (era quindi concretamente conosciuta), ma nessuna di queste situazioni risulta essersi verificata nel caso concreto. Come la sentenza impugnata riconosce, infatti, anche se altri incidenti analoghi si erano verificati in quel punto, i competenti uffici della Provincia non ne erano stati informati. 4.2. Con un secondo motivo, la difesa osserva che il giudizio controfattuale, doveroso in caso di causalita' omissiva, non e' stato compiuto correttamente non essendo stato escluso che l'incidente sia stato causato dalla velocita' eccessiva e non potendosi quindi sostenere che, in presenza di opportuna segnaletica, (OMISSIS) avrebbe rallentato e l'incidente non si sarebbe verificato. La difesa sottolinea che altri incidenti verificatisi nello stesso punto non ebbero conseguenze letali in ragione della velocita' assai piu' moderata mantenuta dai conducenti. Ricorda che l'articolo 141 C.d.S. impone di adeguare la velocita' alla situazione concreta e che l'incidente si verifico' in orario notturno lungo una strada priva di illuminazione. Ricorda, infine, che il corpo della vittima fu sbalzato fuori dall'abitacolo e cio' fa pensare che (OMISSIS) non indossasse le cinture di sicurezza connotando di ulteriore imprudenza la sua condotta. Secondo la difesa, tale condotta imprudente sarebbe stata da sola sufficiente a determinare l'evento e la motivazione sarebbe illogica e contraddittoria perche', in assenza di ogni certezza in ordine alla causa del sinistro, ha ritenuto che la condotta di guida della vittima potesse rilevare al piu' come concausa della quale tenere conto ai fini della quantificazione della pena e della determinazione dell'ammontare del risarcimento. 4.3. Col terzo motivo la ricorrente si duole del mancato riconoscimento di un concorso di colpa della vittima che sarebbe stato doveroso e al cui accertamento la (OMISSIS) aveva interesse, sia sotto il profilo dell'entita' del risarcimento, sia con riferimento all'entita' della pena. 5. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di sei motivi. 5.1. Col primo motivo (denominato 1.A) la difesa si duole del riconoscimento in capo a (OMISSIS) di una posizione di garanzia. Sostiene che, come emerge dalla lettura del contratto di appalto, tale posizione era stata trasferita dalla Provincia al raggruppamento di imprese che aveva assunto l'appalto e che, ai sensi degli articoli 13 e 14 del contratto, soltanto l'assuntore era tenuto a svolgere compiti di sorveglianza e di monitoraggio di eventuali situazioni di pericolo. La difesa sostiene che la Corte territoriale avrebbe individuato una posizione di garanzia in capo a (OMISSIS) e, piu' in generale, in capo ai funzionari della Provincia, senza indicarne la fonte. 5.2. Col secondo motivo (denominato 1.6), la difesa ricorda che (OMISSIS) era responsabile della gestione dell'area ionica e sottolinea che, ai sensi dell'articolo 3 del capitolato generale di appalto, il "responsabile gestione zona" e' il tecnico nominato dal committente per il controllo delle attivita' di gestione e manutenzione affidate in appalto. Sottolinea che il conseguente dovere di controllo si riferiva all'esecuzione delle opere affidate alle imprese assuntrici e (OMISSIS) non aveva certo l'obbligo di esercitare un controllo sull'esecuzione di opere di manutenzione straordinaria mai affidate alla (OMISSIS). Quanto alle funzioni di controllo del territorio che i giudici di merito hanno ritenuto di attribuire ai dipendenti della Provincia incaricati di tutelare gli interessi del committente durante l'esecuzione dell'appalto, la difesa osserva che, anche a voler ritenere esistente una competenza in tal senso, non erano certo i responsabili di zona a dover svolgere tali funzioni di controllo che competevano, piuttosto, agli "ispettori di zona" i quali, pur dovendo verificare a loro volta solo l'adempimento da parte delle imprese appaltatrici degli obblighi assunti, operavano comunque a piu' stretto contatto col territorio e, pertanto, avrebbero potuto svolgere l'attivita' di controllo ritenuta doverosa piu' efficacemente del responsabile di zona che doveva occuparsi di un'area ben piu' vasta e, proprio per questo (ai sensi dell'articolo 15 del contratto), si avvaleva di "Ispettori di Zona e Ausiliari". 5.3. Col terzo motivo (denominato 1.C), la difesa sviluppa quest'ultimo argomento e osserva che l'ispettore di zona, (OMISSIS), imputato nel processo di primo grado, e' stato assolto per non aver commesso il fatto. Sostiene che cio' comporta una intrinseca contraddittorieta' della condanna pronunciata nei confronti di (OMISSIS) e si duole che la Corte di appello si sia limitata a prendere atto di tale assoluzione e a sottolineare che la posizione di (OMISSIS), ormai definita, non poteva piu' essere oggetto di esame. La difesa riferisce che, nell'ordine di servizio prot. N. 104627 del 25 febbraio 2011, depositato in atti, (OMISSIS) aveva incaricato gli ispettori di zona, non solo di vigilare sulla manutenzione ordinaria a canone, ma anche di proporre "interventi urgenti o di somma urgenza per le varie criticita' che si potranno presentare" e sostiene che questo documento sarebbe stato ignorato dai giudici di merito. Osserva che, con la segnalazione del 3 ottobre 2009, la (OMISSIS) aveva chiesto il rifacimento della segnaletica orizzontale nel tratto di strada che fu poi teatro del sinistro, ma non aveva segnalato ne' la pericolosita' della curva, ne' la necessita' di predisporre segnaletica verticale, ne' la necessita' di prevedere in quel tratto limiti di velocita'. Sottolinea che, come la sentenza impugnata riconosce, non c'e' prova che (OMISSIS) abbia mai saputo di altri incidenti verificatisi in corrispondenza di quella curva. La difesa individua un ulteriore profilo di contraddittorieta' della sentenza impugnata nell'aver assolto il supervisore, (OMISSIS), in ragione del breve tempo trascorso dal momento in cui tale incarico gli era stato affidato al momento in cui si verifico' l'incidente. Osserva che la Corte territoriale ha valorizzato la circostanza che, in quel periodo, non vi furono segnalazioni di criticita'; ha dunque attribuito rilievo alla mancata conoscenza della situazione di pericolo escludendo, invece, che tale mancata conoscenza potesse avere significato per gli altri imputati. 5.4. Col quarto motivo (denominato 1.D), la difesa sostiene che la sentenza impugnata non ha chiarito quali profili di negligenza potrebbero essere attribuiti a (OMISSIS). Osserva che il ricorrente provvide a verificare l'avvenuto rifacimento della segnaletica orizzontale e nessuna ulteriore situazione di pericolo gli fu mai comunicata. Sottolinea che i giudici di merito non hanno tenuto alcun conto della richiesta che (OMISSIS) aveva rivolto agli ispettori di zona affinche' segnalassero la presenza sul territorio di criticita' che richiedevano un suo intervento. Quanto al profilo di negligenza, individuato dalla sentenza impugnata nella "omessa vigilanza sulla corretta esecuzione delle opere manutentive in relazione ai segnali esistenti" (pag. 24), la difesa contesta che il segnale verticale indicativo della curva presente sul luogo dell'incidente fosse parzialmente inefficiente e inidoneo a soddisfare le esigenze di sicurezza. Sottolinea che la segnaletica orizzontale era stata ripristinata nell'ottobre 2009 e che tale segnaletica rappresenta, soprattutto di notte, la guida ottica per conoscere l'andamento della strada. Osserva che il segnale verticale, pur lievemente danneggiato (circostanza che non risulta essere mai stata segnalata a (OMISSIS)) era visibile ed e' stato ritenuto non riflettente sulla scorta della valutazione soggettiva di uno degli operanti, smentito dallo stesso Consulente tecnico del pubblico ministero, secondo il quale il segnale presente in loco era "rifrangente". 5.5. Col quinto motivo (denominato 1.E), la difesa si duole che la sentenza impugnata abbia escluso la rilevanza causale della condotta di guida del conducente. Rileva che non v'e' alcuna certezza sulle ragioni per le quali (OMISSIS) prosegui' la marcia senza svoltare, percorrendo un tratto si:errato di almeno 30 metri per poi precipitare nella scarpata, sicche' non e' possibile sostenere che la presenza di una diversa segnaletica avrebbe potuto evitare l'evento. Sottolinea che, a quanto consta, non si erano verificati in quel punto incidenti stradali gravi o mortali. Osserva che l'incidente ebbe conseguenze mortali a causa della velocita' elevata e non prudenziale e non e' comunque possibile escludere altre cause alternative: dal colpo di sonno, alla distrazione. 8 5.6 Col sesto motivo (Motivo II) la difesa si duole che le attenuanti generiche siano state valutate solo equivalenti e non prevalenti sulla aggravante contestata. Rileva che, seguendo l'impostazione della sentenza impugnata, almeno con riferimento alla manutenzione della segnaletica esistente, vi sarebbe stato un inadempimento da parte della impresa appalltatrice e di questo si sarebbe dovuto tenere conto nello stabilire il trattamento sanzionatorio. 6. Con memorie del 16 febbraio 2023 i difensori delle parti civili, (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno chiesto dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi di ricorso, nessuno dei quali merita accoglimento, possono essere esaminati congiuntamente nella parte in cui propongono questioni comuni. Tale e' quella con la quale si sostiene che la vittima tenne un comportamento imprudente e questa imprudenza sarebbe causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento; idonea, dunque, ad escludere la rilevanza causale delle condotte omissive ascritte agli imputati, consistite nel non aver provveduto a predisporre nel punto teatro del sinistro, oltre alla segnaletica orizzontale (che era stata rifatta nell'ottobre del 2009), anche la segnaletica verticale prevista dal Codice della strada per rendere edotti gli utenti di situazioni di pericolo. Si tratta del secondo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) e del quinto motivo (denominato 1.E) del ricorso proposto da (OMISSIS). Secondo i giudici di merito, la curva all'imbocco della quale si verifico' l'incidente era pericolosa e di tale situazione gli utenti avrebbero dovuto essere avvertiti con apposita segnaletica verticale, non essendo sufficiente a tal fine la segnaletica orizzontale. In particolare, la curva avrebbe dovuto essere segnalata con congruo anticipo, avrebbe dovuto essere delineata con pannelli riflettenti (come fu fatto dopo l'incidente) e sarebbe stato doveroso imporre, in quel tratto di strada, un limite di velocita' inferiore a quello di 90 km/h che caratterizza le strade extraurbane secondarie quale e' la (OMISSIS). I ricorrenti sostengono, con accenti diversi, che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe carente o comunque contraddittoria nella parte in cui attribuisce rilevanza causale alla mancata previsione di un limite di velocita' e alla mancata apposizione di segnaletica verticale. Sottolineano, infatti: che non e' stato possibile accertare con sicurezza quale fosse la velocita' dell'auto al momento dell'incidente (il perito nominato dal giudice ha individuato un range di velocita' compreso tra i 70 e i 120 km/h); che non e' noto se, al momento del fatto, la vittima indossava le cinture di sicurezza; che non v'e' certezza sulla causa dell'incidente, che potrebbe non essere stato determinato dal mancato avvistamento della curva ma, invece, da un colpo di sonno o da una distrazione. Il tema deve essere affrontato per primo perche' riguarda l'elemento oggettivo del reato. Si assume infatti che, non essendo stato escluso un comportamento gravemente imprudente della vittima, non sarebbe provata la rilevanza causale della condotta omissiva. In altri termini, secondo i ricorrenti, non sarebbe possibile affermare al di la' di ogni ragionevole dubbio, che l'incidente si sia verificato perche' il conducente non si accorse per tempo che la strada curvava. Non si potrebbe escludere, infatti, una condotta di guida cosi gravemente imprudente da rendere possibile il verificarsi dell'evento anche in presenza delle segnalazioni di pericolo. 2. Secondo i ricorrenti, la ricostruzione del nesso eziologico tra la condotta omissiva e l'evento lesivo non puo' prescindere dall'individuazione di tutti gli elementi concernenti la "causa" dell'evento che, nel caso di specie, non sarebbe stata accertata con ragionevole certezza. Si sostiene, in particolare, che all'ipotesi secondo la quale la curva non fu avvistata in tempo perche' non adeguatamente segnalata se ne affiancherebbero altre (ad esempio il colpo di sonno o la distrazione) e che, sulla base di comuni regole di esperienza, tali ipotesi alternative non potrebbero essere escluse. La necessaria individuazione di tutti gli elementi che hanno costituito causa dell'evento quale presupposto del giudizio controfattuale e' stata affermata spesso in materia di colpa medica e anche nella infortunistica sullavoro. Si e' chiarito, infatti, che il giudizio di alta probabilita' logica che deve essere compiuto per verificare l'esistenza del rapporto di causalita' tra omissione ed evento deve essere fondato sull'analisi delle caratteristiche del fatto storico e sulle particolarita' del caso concreto. Da cio' si desume che una grave incertezza sulle concrete modalita' di realizzazione dell'evento puo' impedire di affermare con elevata credibilita' razionale che quell'evento non si sarebbe verificato se la condotta omessa fosse stata tenuta. Non e' possibile, infatti, operare un giudizio controfattuale rispetto ad un iter causale che non sia stato possibile ricostruire con ragionevole sicurezza (Sul tema Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv, 261103; Sez. 4, n. 49707 del 04/11/2014, Incorvaia, Rv. 263284; Sez. 4, n. 25233 del 25/05/2005, Lucarelli, Rv. 232013). 2.1. A differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, questo tema non e' stato trascurato dai giudici di merito, i quali hanno ricostruito l'iter causale sottolineando: che l'auto ando' fuori strada senza neppure imboccare la curva e sull'asfalto non vi erano segni di frenata; che il manto stradale era asciutto e in buone condizioni; che non vi erano segni della presenza di altri veicoli; che le testimonianze consentono di escludere una alterazione da uso di alcolici; che ogni altra ipotesi e' meramente congetturale. Si tratta di argomentazioni complete, scevre da profili di contraddittorieta' e manifesta illogicita' e idonee quindi a resistere ai rilievi dei ricorrenti. Se e' vero infatti che, nel ricostruire il nesso causale, il giudice deve porsi il tema dell'eventuale sussistenza di fattori causali alternativi e anche vero che tali fattori non possono assumere rilievo quando - come nel caso di specie - siano prospettati in termini generici o di mera possibilita'. Perche' ipotesi causali alternative possano essere prese in considerazione, infatti, e' necessario che le stesse abbiano un supporto probatorio tale da minare il giudizio di certezza sulla riconducibilita' dell'evento alla condotta omessa e cio' non e' avvenuto nel caso di specie. La giurisprudenza di legittimita' e' inequivoca in tal senso quando afferma che, a fronte di una spiegazione causale logica, perche' dedotta da circostanze correttamente evidenziate e motivatamente ritenute, una spiegazione causale alternativa e diversa, capace di inficiare o caducare quella conclusione, non puo' essere affidata alla prospettazione di una mera possibilita' astratta. E' necessario, quindi, che quell'accadimento alternativo, prospettato come astrattamente possibile, divenga anche, "hic et nunc", concretamente probabile alla stregua delle acquisizioni processuali (Sez. 4, n. 15558 del 13/02/2008, Maggini, Rv. 239809; v. anche Sez. 4, n. 30057 del 19/06/2006, Talevi, Rv. 23437:3, non massimata sul punto, pag. 15 della motivazione; Sez. 4, n. 29476 del 16/06/2011, Luvara', non massimata, pag. 5 della motivazione). In altri termini, come efficacemente chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138: "lo stesso modello condizionalistico orientato secondo leggi scientifiche sottintende il distacco da una spiegazione di tipo puramente deduttivo, che implicherebbe un'impossibile conoscenza di tutti gli antecedenti sinergicamente inseriti nella catena causale e di tutte le leggi pertinenti da parte del giudice, il quale ricorre invece, nella premessa minore del ragionamento, ad una serie di "assunzioni tacite", presupponendo come presenti determinate "condizioni iniziali" e "di contorno", spazialmente contigue e temporalmente continue, non conosciute o soltanto congetturate, sulla base delle quali, "ceteris paribu.s", mantiene validita' l'impiego della legge stessa. E, poiche' il giudice non puo' conoscere tutte le fasi intermedie attraverso le quali la causa produce il suo effetto, ne' procedere ad una spiegazione fondata su una serie continua di eventi, l'ipotesi ricostruttiva formulata in partenza sul nesso di condizionamento tra condotta umana e singolo evento potra' essere riconosciuta fondata soltanto con una quantita' di precisazioni e purche' sia ragionevolmente da escludere l'intervento di un diverso ed alternativo decorso causale. Di talche', ove si ripudiasse la natura preminentemente induttiva dell'accertamento in giudizio e si pretendesse comunque una spiegazione causale di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, secondo criteri di utopistica "certezza assoluta", si finirebbe col frustrare gli scopi preventivo-repressivi del diritto e del processo penale in settori nevralgici per la tutela di beni primari. Tutto cio' significa che il giudice, pur dovendo accertare ex post, inferendo dalle suddette generalizzazioni causali e sulla base dell'intera evidenza probatoria disponibile, che la condotta dell'agente "e'" (non "puo' essere") condizione necessaria del singolo evento lesivo, e' impegnato nell'operazione ermeneutica alla stregua dei comuni canoni di "certezza processuale", conducenti conclusivamente, all'esito del ragionamento probatorio di tipo largamente induttivo, ad un giudizio di responsabilita' caratterizzato da "alto grado di credibilita' razionale" o "conferma" dell'ipotesi formulata sullo specifico fatto da provare: giudizio enunciato dalla giurisprudenza anche in termini di "elevata probabilita' logica" o "probabilita' prossima alla - confinante con la - certezza"" (cosi', testualmente, pag. 14 della motivazione). Nel caso di specie, il giudizio controfattuale non poteva essere compiuto avvalendosi di una legge scientifica e, in ossequio ai canoni ermeneutici che disciplinano la materia, e' stato fondato su massime di esperienza motivandone l'attendibilita' sulla base di criteri di elevata credibilita' razionale (cfr. Sez. 4, n. 7026 del 15/10/2002, dep. 2003, Loi e altri, Rv. 223749; Sez. 4, n. 29889 del 05/04/2013, De Florentis, Rv. 257073). 3. Come si e' detto, nel contestare la rilevanza causale delle condotte omissive loro rispettivamente ascritte, i ricorrenti sostengono che la velocita' tenuta dalla vittima era superiore ai limiti - o comunque non adeguata in regione dell'ora notturna e della cattiva illuminazione - e che tale comportamento escluderebbe il nesso causale perche', anche in presenza delle prescritte segnalazioni, l'evento non avrebbe potuto essere evitato. L'argomento segue logicamente quello precedentemente trattato perche' presuppone che l'uscita di strada sia stata determinata dalla velocita' elevata e non da un colpo di sonno o da distrazione. La sentenza impugnata sostiene che la velocita' mantenuta da (OMISSIS) (determinata dal perito in un range tra i 70 e i 120 km/h) non fu, in concreto, superiore a quella consentita (90 km/h). Aggiunge che, in ogni caso, non si tratto' di una velocita' cosi' elevata da aver determinato l'insorgere di un rischio eccedente rispetto a quello che le norme cautelari violate miravano a prevenire. La Corte territoriale osserva che (come il perito ha spiegato) il valore piu' elevato del range (120 km/h) sarebbe accertato solo se il veicolo avesse percorso tutto il tracciato di 80 metri tra l'uscita di strada e il punto di quiete con esclusione di "fasi aeree"; sottolinea che, come e' stato provato in giudizio, fasi aeree vi furono; conclude che la velocita' fu certamente inferiore ai 120 km/h e quindi corrispondente (o di poco superiore) a quella consentita. Rileva poi - e l'argomento, e' dirimente - che la segnalazione della situazione di pericolo ha esattamente lo scopo di far si' che i conducenti adeguino la propria velocita' alle condizioni della strada. Conclude che non e' noto se il conducente abbia violato il limite di velocita' (previsto per quel tratto di strada in 90 km/h) e che, in ogni caso, la violazione dell'articolo 141 C.d.S. (alla quale i ricorrenti fanno riferimento) sarebbe conseguenza della mancata previsione di uno specifico limite di velocita' e della mancanza di segnalazioni di pericolo: sarebbe, dunoue, un effetto della condotta doverosa omessa. Pertanto, secondo i giudici di merito, la condotta imprudente dell'automobilista, lungi dal presentare carattere di abnormita', sarebbe la manifestazione del rischio che il Codice della strada vuole limitare quando prevede che le situazioni di pericolo siano segnalate agli utenti e, in presenza di tali situazioni, siano imposti limiti di velocita' stringenti. La motivazione e' congrua e conforme ai principi di diritto che regolano la materia. Nel prevedere l'obbligo di segnalare le situazioni di pericolo, infatti, gli articoli 37 e ss. del codice della strada dettano regole cautelari volte a prevenire condotte imprudenti che potrebbero essere assunte proprio a causa della mancata conoscenza dello stato dei luoghi. Ed infatti - in un caso che presenta profili di analogia con quello in esame perche' l'incidente era stato originato dall'assenza delle misure previste dagli articoli 31 e ss. del regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada per il segnalamento e la delimitazione dei cantieri - questa Corte di legittimita' ha affermato che "nessuna efficacia causale puo' essere attribuita alla imprudente velocita' tenuta dalla parte offesa, nel caso in cui tale condotta sia da ricondurre proprio alla mancanza delle suddette cautele che, se adottate, avrebbero neutralizzato il rischio del comportamento del conducente. (Nella specie, la Corte ha stabilito che, pur in presenza di segnaletica verticale, la mancata installazione in prossimita' del cantiere dei coni e dei delineatori flessibili, previsti dall'articolo 31, comma 5 del regolamento cit., aveva impedito al conducente di rendersi conto della presenza del restringimento della carreggiata e di adeguare la velocita' allo stato dei luoghi)" (Sez. 4, n. 26394 del 20/05/2009, Agnello, Rv. 244509). 3.1. La sentenza impugnata riconosce che non e' stato accertato in giudizio se (OMISSIS) indossasse le cinture di sicurezza. La circostanza che il corpo sia stato sbalzato fuori dalla macchina, infatti, potrebbe essere dipesa sia dal fatto che le cinture non erano allacciate sia dalla rottura di tali dispositivi. Nessun accertamento tecnico e' stato eseguito sul punto sicche' il dato e' ignoto. Nel trattare questo tema la Corte territoriale sottolinea che, anche se positivamente accertata, questa circostanza non sarebbe idonea ad escludere il nesso causale tra l'omissione e l'evento perche' il mancato uso delle cinture di sicurezza non puo' essere considerato abnorme, ne' del tutto imprevedibile. Anche in questo caso si tratta di argomentazioni congrue e conformi ai principi di dritto che regolano la materia (Sez. 4, n. 25560 del 02/05/2017, Schiavone, Rv. 269975; Sez. 4, n. 42492 del 03/10/2012, Campailla, Rv. 253737). A cio' deve aggiungersi che l'auto si fermo' in posizione capovolta, sicche' non puo' dirsi che la morte sia stata determinata dalla proiezione del corpo fuori dall'abitacolo e non si sarebbe verificata ugualmente. Neppure si' puo' dire, in assenza di accertamento autoptico, che la morte non si fosse gia' verificata quando il corpo fu sbalzato fuori. L'uso delle cinture, peraltro, ha la funzione di contenere i danni conseguenti a un incidente stradale e non quella di evitarlo, mentre la condotta omissiva contestata agli imputati sarebbe stata volta ad impedire che l'auto uscisse di strada. I giudici di merito sostengono, infatti, che a fronte di una segnalazione di pericolo, il conducente avrebbe moderato la velocita' e, se la curva fosse stata regolarmente segnalata, il conducente l'avrebbe imboccata sicche' l'evento non si sarebbe verificato. 4. In conclusione: i motivi di ricorso aventi ad oggetto il nesso di causalita' tra l'evento concretamente verificatosi e le omissioni ascritte a (OMISSIS) e (OMISSIS) non sono fondati. 5. Un altro motivo di ricorso comune e' quello che riguarda l'esistenza in capo ai ricorrenti dell'obbligo giuridico di vigilare sull'incolumita' degli utenti delle strade. L'argomento e' trattato nel primo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) e nel primo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) che lo approfondisce poi, con specifico riferimento alla sua posizione, nei motivi secondo e terzo. I ricorrenti osservano che, con contratto del 9 marzo.2009, la Provincia di (OMISSIS) aveva trasferito ad un raggruppamento temporaneo di imprese avente come capogruppo la "(OMISSIS) s.p.a.", non soltanto gli obblighi relativi alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade, ma anche la vigilanza sulle stesse e il monitoraggio su eventuali situazioni di pericolo. Secondo le difese, dopo la sottoscrizione del contratto, i funzionari della Provincia non erano piu' titolari di una posizione di garanzia e non si puo' sostenere, come fa la sentenza impugnata, che una tale posizione continuasse ad esistere sol perche' la Provincia aveva il potere di sollecitare attivita' di manutenzione straordinaria e doveva autorizzarne lo svolgimento da parte delle imprese assuntrici. I difensori dei ricorrenti sottolineano: - che, ai sensi dell'articolo 14 del contratto, l'appaltatore assumeva l'obbligo di sorveglianza e la custodia delle strade affidate alla sua manutenzione "con le conseguenze di cui all'articolo 2051 c.c."; - che, ai sensi del comma 5 dell'articolo 14 del contratto di appalto, l'assuntore era tenuto a segnalare tempestivamente al responsabile della gestione del contratto la necessita' di eventuali interventi, anche se non "compresi nel contratto stesso", ed era comunque tenuto a predisporre "di propria iniziativa, con assoluta tempestivita' e diligenza (...) tutti i provvedimenti e le cautele atti ad evitare danni alle persone e alle cose, compresa la sospensione totale o parziale al transito veicolare, qualora si rivelasse un pericolo in atto"; - che, per espressa previsione dell'articolo 14 del contratto (comma 6), l'assuntore era responsabile anche "della segnalazione al committente della necessita' di adeguare i tronchi stradali in gestione e manutenzione a criteri di sicurezza", non solo in caso di "adozione di nuove norme", ma in ogni caso di "necessita'". Le difese concludono che nessun obbligo di garanzia gravava sull'amministrazione committente la quale aveva validamente delegato i propri compiti di vigilanza, sicche' l'obbligo di attivarsi per predisporre interventi di manutenzione straordinaria poteva sorgere solo a seguito di segnalazione. In sede di precisazione delle conclusioni il Procuratore generale ha chiesto l'accoglimento di questo motivo e l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Ha sostenuto infatti che sarebbe stato necessario approfondire, nel merito, se la situazione di pericolo fosse conosciuta o conoscibile da parte dei ricorrenti. 5.1. Questa Corte di legittimita' ha gia' avuto modo di sottolineare che, "in tema di responsabilita' per colpa, sussiste in capo all'Ente proprietario di una strada destinata ad uso pubblico una posizione di garanzia da cui deriva l'obbligo di vigilare affinche' quell'uso si svolga senza pericolo per gli utenti" e che, tale obbligo, "permane anche in caso di concessione di appalto per l'esecuzione di lavori di manutenzione stradale" (Sez. 4 n. 17010 del 29/03/2016, Corrao, Rv. 266548). Se e' vero che questo principio e' stato affermato nel caso di un sinistro verificatosi in un cantiere stradale e determinato dal modo in cui quel cantiere era stato allestito; e' pur vero che, nell'affermarlo, si e' fatto riferimento all'articolo 14 del Codice della strada e questa norma e' certamente idonea a fondare una posizione di garanzia in capo ai soggetti preposti alla manutenzione delle "aree ad uso pubblico destinate alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali" (questa la definizione di strada fornita' dall'articolo 2 del Decreto Legislativo n. 30 aprile 1992, n. 285). La proprieta' della strada e la destinazione di essa al pubblico uso, infatti, comportano il dovere per l'ente proprietario di far si' che quell'uso si svolga senza pericolo per gli utenti (in tal senso anche Sez. 4, n. 11453 del 20/12/2012, dep. 2013, Zambito Marsala, Rv. 255423). A cio' deve aggiungersi che, come affermato in altra pronuncia di questa Sezione, "il pubblico amministratore committente non perde, in conseguenza dell'appalto dei lavori di manutenzione e sorveglianza delle strade, l'obbligo di vigilanza la cui omissione e' fonte di responsabilita' qualora concorrano le circostanze della conoscenza del pericolo, dell'evitabilita' dell'evento lesivo occorso a terzi e dell'omissione dell'intervento diretto all'eliminazione del rischi" (Sez. 4, n. 37589 del 05/06/2007, Petroselli, Rv. 237772). 5.2. Nel caso oggetto del presente giudizio non e' controverso che la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade fosse stata affidata in appalto. Secondo i giudici di merito, non ostante cio', residuava in capo ai ricorrenti una posizione di garanzia perche' essi avevano l'obbligo di verificare il corretto svolgimento della manutenzione ordinaria ed era loro compito individuare gli interventi di manutenzione straordinaria da compiere (interventi, questi ultimi, che non erano compensati "a canone", bensi' "a misura"). Con particolare riguardo a questo secondo profilo, la sentenza impugnata osserva: - che, fatti salvi i casi di urgenza o somma urgenza, le attivita' di manutenzione straordinaria potevano essere svolte dall'assuntore solo "previo ordinativo da parte della Provincia"; - che l'amministrazione committente effettuava, a tal fine, una valutazione tecnica con proprio personale" (pag. 24 della sentenza); - che il capitolato speciale (al punto 9) prevedeva, tra i lavori di manutenzione straordinaria, anche quelli relativi all'installazione di nuova segnaletica verticale e alla nuova realizzazione di segnaletica orizzontale; - che, infatti, tra i compiti del "supervisore" (nominato dal committente, per la tutela dei propri interessi durante lo svolgiimento dell'appalto), vi era la proposta al responsabile del procedimento, di interventi di manutenzione straordinaria (punto 9.1 pag. 41 del capitolato, pag. 24 della sentenza). A queste argomentazioni i ricorrenti obiettano che il programma degli interventi di manutenzione straordinaria doveva essere attivato dall'assuntore, di concerto col supervisore, sicche', in assenza di iniziativa da parte dell'assuntore, i funzionari pubblici, sui quali non gravava piu' un obbligo di sorveglianza, non avevano ragione di attivarsi, a meno che non avessero appreso in altro modo dell'esistenza della situazione di pericolo. Osservano che, nel caso concreto, come la sentenza impugnata riconosce (pag. 33 della motivazione), non risulta che gli imputati abbiano avuto contezza del fatto che, nei luoghi ove si verifico' l'incidente mortale per cui e' processo, si erano gia' verificati incidenti simili. L'obiezione non tiene conto del fatto che, come risulta dalle sentenze di primo e secondo grado - che possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595) - il 3 ottobre del 2009 (poco tempo dopo la presa in consegna degli immobili prevista dall'articolo 12 del contratto di appalto) la "(OMISSIS) s.p.a" propose all'Amministrazione Provinciale di (OMISSIS) l'esecuzione di interventi di manutenzione straordinaria sulla (OMISSIS) nel tratto compreso "dal km 7+200 al km 9+500" nel quale si colloca il luogo dell'incidente (pag. 15 della sentenza di primo grado; pag. 24 e 28 della sentenza impugnata). Nel sottolineare questo dato i giudici di merito riferiscono: - che la nota del 3 ottobre 2009 - intitolata "segnalazione anomalia e richiesta autorizzazione intervento di manutenzione a misura. (OMISSIS), innesto (OMISSIS) ((OMISSIS) (OMISSIS))-Confine Provinciale" - fu ricevuta dall'ufficio 12 - Viabilita' - della Provincia di (OMISSIS) (del quale la (OMISSIS) era direttrice) il 6 ottobre 2009; - che, oltre a segnalare la necessita' di sostituire le barriere di protezione laterale in un diverso tratto della (OMISSIS), questa nota segnalava "la necessita' di eseguire interventi di segnaletica orizzontale di nuovo impianto" dal (OMISSIS) al (OMISSIS) nel quale si colloca il luogo dell'incidente; - che, pur facendo riferimento alla necessita' di "interventi di segnaletica orizzontale", la (OMISSIS) si rimetteva "al giudizio tecnico dell'Ente" e richiedeva "l'intervento di manutenzione straordinaria, al fine di garantire la messa in sicurezza della viabilita'"; chiedeva quindi che fosse ordinata "l'esecuzione dell'intervento di manutenzione a misura" restando in attesa "delle relative istruzioni in merito all'attivita' istruttoria necessaria (sopralluoghi, documento e/o progetto preliminare, ecc.) e ad eventuali successive esecuzioni, secondo le modalita' e i criteri stabiliti nel CSA" (il testo della comunicazione e' riportato alle pagine 15 e 16 della sentenza di primo grado). Muovendo da questi dati (che sono documentalmente accertati e non sono controversi) la sentenza impugnata osserva che l'indicazione fornita dall'impresa (che aveva suggerito il rifacimento della segnaletica orizzontale) non era vincolante per l'ente pubblico committente al cui "giudizio tecnico", infatti, era rimessa la scelta degli interventi di manutenzione straordinaria necessari a "garantire la messa in sicurezza" della (OMISSIS) nel tratto compreso "dal (OMISSIS) al (OMISSIS)" nel quale si colloca il luogo dell'incidente. Secondo la Corte territoriale, poiche' l'impresa assuntrice dei lavori aveva segnalato che, in quel tratto di strada, "al fine di garantire la messa in sicurezza della viabilita'", erano necessari interventi di manutenzione straordinaria, sarebbe stato preciso obbligo della amministrazione committente e, per quanto qui rileva, dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) - la prima, quale responsabile del procedimento e della gestione del contratto; il secondo, quale responsabile della gestone della zona ionica - disporre o eseguire sopralluoghi volti a verificare la natura delle anomalie segnalate per individuare le "soluzioni tecniche idonee ad adeguare la segnaletica esistente all'effettiva situazione di pericolo". La sentenza impugnata sottolinea (pagg. 28 e 29) che gli odierni ricorrenti non si attivarono in tal senso, ma si limitarono a prendere atto della segnalazione dell'appaltatore e si "appiattirono" sulle indicazioni da lui fornite. Rileva, inoltre: quanto alla (OMISSIS), che spettava a lei "la decisione finale sull'au e sul quomoclo dell'esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria" sollecitati dall'impresa appaltatrice e fu lei a firmare, il 13 ottobre 2009, l'ordine di esecuzione dei lavori; quanto a (OMISSIS), che, quale responsabile di gestione della zona ionica, egli era specificamente interessato al contenuto della segnalazione e doveva fornire il proprio contributo tecnico nella valutazione della idoneita' dell'intervento prospettato a garantire la sicurezza della viabilita'. 5.3. Da quanto esposto emerge che, nel caso di specie, l'esistenza della posizione di garanzia e' stata affermata in concreto - e a prescindere dal contenuto del contratto di appalto - in considerazione del fatto che, nel tratto di strada ove si verifico' il sinistro, era stata segnalata la necessita' di rifare la segnaletica orizzontale, ma tale segnalazione non era vincolante e sarebbe stato possibile, sulla base di una corretta valutazione tecnica, estendere l'attivita' di manutenzione straordinaria alla segnaletica verticale. La::sentenza impugnata sostiene che una tale iniziativa sarebbe stata doverosa nel rispetto delle disposizioni in materia di circolazione stradale, perche' l'articolo 84 del regolamento di esecuzione e attuazione del Codice della strada (Decreto del Presidente della Repubblica n. 16 dicembre 1992, n. 495) impone l'apposizione di segnaletica verticale ove sussista "una reale situazione di pericolo sulla strada, non percepibile con tempestivita' da un conducente che osservi normali regole di prudenza"; impone, dunque, un accertamento da eseguire in concreto tenendo conto delle "complessive circostanze e caratteristiche della strada". La sentenza impugnata argomenta diffusamente sull'esistenza di tale concreta situazione di pericolo e osserva: - che, come accertato in giudizio, la curva ove si verifico' l'incidente presenta un angolo di 106-107 gradi, si tratta, dunque, di una "improvvisa curva acuta", potenziale fonte di pericolo perche' comporta la necessita', per il conducente, di "sterzare in misura rilevante"; - che quel tratto di strada prevedeva ex lege un limite di velocita' elevato (90 km/h) sicche' l'amministrazione sarebbe dovuta intervenire a porre un limite inferiore e lo fece solo dopo l'incidente, significativamente indicandolo in 30 km/h; - che, pur legittimamente, la strada era priva di illuminazione ed era necessario per questo apporre adeguata segnaletica "chiaramente leggibile anche di notte e in tempo utile"; - che v'era una ulteriore condizione di criticita' "conseguente all'esistenza di una sorta di illusione ottica provocata dalle luci della zona industriale sottostante" a causa della quale, secondo i testimoni, quando era buio si poteva pensare che la strada proseguisse diritta. La Corte territoriale sottolinea inoltre che, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, si verificarono in quel luogo almeno tre sinistri con modalita' analoghe, ma conseguenze non gravi, cui pote' assistere il teste (OMISSIS) titolare di un distributore sito nelle vicinanze. Riferisce, infine, che, meno di un mese dopo i fatti, nel medesimo punto, si verifico' un incidente simile a quello occorso a (OMISSIS) e i testi (OMISSIS) e (OMISSIS), che vi furono coinvolti, hanno dichiarato di non aver visto la curva. E' utile sottolineare che, secondo i giudici di appello, tali circostanze non rilevano sotto il profilo della consapevolezza della situazione di pericolo perche' non erano note agli imputati, ma assumono significato per comprendere quale fosse lo stato dei luoghi e confermare la obiettiva pericolosita' della strada (pag. 33 della motivazione). 5.4. In conclusione, secondo i giudici di merito, anche a voler ritenere che, in forza del contratto di appalto stipulato col raggruppamento temporaneo di imprese che aveva quale capogruppo la "(OMISSIS) s.p.a.", l'ente proprietario non avesse piu' alcun obbligo di vigilanza sulla rete stradale destinata ad uso pubblico, tale obbligo esisteva certamente nel tratto di strada che fu teatro dell'incidente, in relazione al quale l'assuntore aveva segnalato "anomalie" che richiedevano interventi di manutenzione straordinaria "al fine di garantire la messa in sicurezza della viabilita'". La condotta omissiva ascritta agli imputati e' stata dunque individuata nel non aver disposto o eseguito sopralluoghi atti a verificare che gli interventi di manutenzione straordinaria proposti dalla "(OMISSIS) s.p.a." fossero idonei a fini di sicurezza e nell'aver limitato tali interventi al rifacimento della segnaletica orizzontale. Invero, l'assuntore dei lavori, pur avendo proposto il rifacimento della segnaletica orizzontale, aveva demandando "al giudizio tecnico dell'Ente" la decisione finale sul modo in cui le anomalie riscontrate dovevano essere risolte e tale decisione avrebbe dovuto essere adottata compiendo la necessaria attivita' istruttoria, cio' che avrebbe consentito di verificare l'obiettiva necessita' della installazione di segnaletica verticale. A questo proposito, la sentenza di primo grado osserva che, ai sensi dell'articolo 137 del regolamento di esecuzione e attuazione al Codice della strada, "i segnali orizzontali sono usati da soli, con autonomo valore prescrittivo, quando non siano previsti altri specifici segnali, ovvero per integrare altri segnali", non costituiscono dunque, per espressa previsione di legge, segnalazioni di pericolo e non sono sufficienti quando gli utenti della strada debbano essere informati di situazioni tali da mettere a rischio la sicurezza della circolazione. In sintesi, secondo i giudici di merito, nel tratto di strada ove si verifico' l'incidente c'era una situazione di pericolo che e' stata accertata in giudizio. I ricorrenti, che di quel tratto di strada erano stati chiamati ad occuparsi per decidere se e quali opere di manutenzione straordinaria fossero necessarie, avevano l'obbligo giuridico di valutare quella situazione e intervenire. In altri termini, l'eventuale mancata conoscenza del pericolo non puo' considerarsi incolpevole perche' conseguente all'omissione di attivita' doverose. La motivazione e' completa, coerente e conforme ai principi di diritto che regolano la responsabilita' a titolo di colpa derivante dalla mancata attuazione di una misura atta ad eliminare una situazione di rischio. Per affermare una tale responsabilita' colposa, infatti, "non occorre che l'agente abbia conoscenza della situazione di pericolo e della regola cautelare da adottare, essendo sufficiente la loro conoscibilita', e rilevando l'ignoranza incolpevole soltanto della prima, in quanto l'errore sulla regola cautelare non integra errore sul fatto" (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 28:1997). Non rileva in contrario il principio di diritto affermato dalla sentenza Sez. 4, n. 37589 del 05/06/2007, Petroselli, Rv. 237772 secondo la quale l'omissione dell'obbligo di vigilanza sull'esecuzione di lavori di manutenzione e sorveglianza dati in appalto "e' fonte di responsabilita' qualora concorrano le circostanze della conoscenza del pericolo, dell'evitabilita' dell'evento lesivo occorso a terzi e dell'omissione dell'intervento diretto all'eliminazione del rischi". Nel caso concreto cui questa decisione si riferisce, infatti, la situazione di pericolo che aveva causato l'incidente stradale era stata determinata dal modo in cui i lavori appaltati erano stati eseguiti e la conoscenza del pericolo fu desunta proprio "dall'assolvimento degli obblighi di controllo" cui il pubblico amministratore era tenuto (pag. 7 della motivazione). Nel caso oggetto del presente procedimento, i giudici di merito hanno chiarito che l'incidente si verifico' in corrispondenza di una curva pericolosa non adeguatamente segnalata che si trovava in un tratto di strada interessato da interventi di manutenzione straordinaria che avevano riguardato proprio il ripristino della segnaletica. Ne consegue che, se i funzionari pubblici avessero adempiuto ai propri obblighi di vigilanza e controllo, avrebbero accertato tale situazione di obiettiva pericolosita' e, se non la accertarono, fu perche' omisero di adempiere a quegli obblighi. Nell'uno e nell'altro caso, la responsabilita' a titolo di colpa non puo' essere esclusa perche' gli interventi diretti a contenere il pericolo (effettivamente conosciuto o doverosamente conoscibile) furono omessi e quegli interventi, con elevato grado di credibilita' razionale, avrebbero potuto evitare interventi, con elevato grado di credibilita' razionale, avrebbero potuto evitare l'incidente nel quale (OMISSIS) perse la vita. Lo stesso (OMISSIS), peraltro, documentando di aver chiesto agli ispettori di zona di segnalare l'eventuale necessita' di interventi di manutenzione straordinaria ha riconosciuto che la stipula del contratto di appalto del 9 marzo 2009 non comportava il trasferimento alle imprese appaltanti degli obblighi relativi alla vigilanza delle strade e al monitoraggio di situazioni di pericolo che avessero reso necessari interventi di tale natura. 6. Con specifico riferimento alla posizione di (OMISSIS), i giudici di merito riferiscono che, al momento del sinistro, l'unico segnale che indicava l'esistenza della curva era costituito da un "delineatore di curva stretta o tornante" posto "fuori carreggiata", troppo a ridosso della curva stessa e "danneggiato dal tempo". Secondo la sentenza impugnata (pag. 35), dalla visione delle fotografie "emerge che il segnale era inclinato all'indietro, in parte arrugginito, vi era una porzione di pannello mancante e le frecce bianche erano annerite". La Corte territoriale sottolinea che tale circostanza dimostra "l'omessa vigilanza sulla corretta esecuzione delle opere manutentive in relazione ai segnali esistenti" (pag. 27 della motivazione). Su queste osservazioni si appunta il quarto motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) (denominato 1.D). La difesa sottolinea che la segnaletica orizzontale era stata ripristinata nell'ottobre 2009 e che tale segnaletica rappresenta, soprattutto di notte, la guida ottica per conoscere l'andamento della strada. Osserva che il segnale verticale indicativo della curva, pur lievemente danneggiato (circostanza che non risulta essere mai stata segnalata a (OMISSIS)), era visibile ed e' stato ritenuto non riflettente sulla scorta della valutazione soggettiva di uno degli operanti, smentito dallo stesso consulente tecnico del pubblico ministero, secondo il quale il segnale presente in loco era "rifrangente". Il motivo e' manifestamente infondato. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione la "rilettura" degli elementi di fatto posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento e' riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945). A cio' deve aggiungersi che - come gia' illustrato - ai sensi dell'articolo 137 del regolamento di esecuzione e attuazione al Codice della strada, "i segnali orizzontali sono usati da soli, con autonomo valore prescrittivo, quando non siano previsti altri specifici segnali, ovvero per integrare altri segnali", non costituiscono dunque, per espressa previsione di legge, segnalazioni di pericolo e non sono sufficienti quando - come nel caso di specie e' necessario informare gli utenti della strada di situazioni tali da mettere a rischio la sicurezza della circolazione. 7. Col secondo e col terzo motivo (denominati 1.B e 1.C) (OMISSIS) lamenta che la sentenza impugnata e quella di primo grado abbiano attribuito a lui, quale "responsabile gestione zona", funzioni di controllo del territorio che competevano, invece, agli ispettori. Riferisce, inoltre, di aver chiesto agli ispettori di zona (con ordine di servizio del 25 febbraio 2011) non solo di vigilare sulla corretta esecuzione delle attivita' di manutenzione ordinaria a canone, ma anche di segnalare l'eventuale necessita' di interventi di manutenzione straordinaria. Il ricorrente sostiene che, poiche' nessuna segnalazione gli era giunta, non aveva l'obbligo di attivarsi, non essendo esigibile una condotta volta a prevenire una situazione di pericolo della quale non si abbia notizia. I motivi di ricorso sono infondati, perche' non pertinenti alle ragioni per le quali e' stata affermata la penale responsabilita'. Come si e' detto, la condotta omissiva della quale (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile e' stata individuata nel non aver eseguito o disposto sopralluoghi volti a verificare la natura delle anomalie segnalate dalla "(OMISSIS) s.p.a" e a individuare le "soluzioni tecniche idonee ad adeguare la segnaletica esistente all'effettiva situazione di pericolo". Si e' rilevato, infatti, che quale responsabile di gestione della zona ionica, (OMISSIS) era specificamente interessato al contenuto della segnalazione proveniente dalla (OMISSIS) e doveva fornire il proprio contributo tecnico nella valutazione dell'idoneita' dell'intervento prospettato a garantire la sicurezza della viabilita'. A fronte di cio', la circostanza che nessuna situazione di pericolo fosse stata segnalata dagli ispettori di zona non puo' assumere rilievo. Poiche' l'amministrazione provinciale aveva disposto il rifacimento della segnaletica orizzontale sulla (OMISSIS) nel tratto compreso "dal (OMISSIS) al (OMISSIS)" nel quale si colloca il luogo dell'incidente, quale "tecnico nominato da'i committente per il controllo delle attivita' di gestione e manutenzione affidate in appalto, (OMISSIS) doveva recarsi sul posto o inviare sul posto gli ispettori che operavano alle sue dipendenze. avrebbe cosi' potuto constatare l'inadeguatezza della sola segnaletica orizzontale a prevenire una situazione di pericolo che - come diffusamente illustrato dai giudici di merito con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede - era obiettiva ed evidente. Quale responsabile della gestione di quel tratto stradale (OMISSIS) aveva certamente le competenze per rendersi conto che la curva di cui si discute si trovava in fondo ad un rettilineo, presentava un angolo di 106-107 gradi e che, in quel punto, non vi era alcun limite di velocita' sicche' la strada poteva essere percorsa a 90 km/h. Era, inoltre, suo preciso compito verificare che la segnaletica verticale presente (e' significativo che si trattasse di un segnale di "curva stretta o tornante") fosse in buono stato di manutenzione e la sua posizione professionale gli imponeva di rendersi conto che quel segnale non era correttamente collocato perche' si trovava fuori carreggiata e troppo a ridosso dell'inizio della curva. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, e' coerente con questa impostazione che il supervisore (OMISSIS), condannato in primo grado per la medesima condotta omissiva, sia stato mandato assolto in grado di appello. La Corte territoriale ha sottolineato, infatti, che, a differenza di (OMISSIS), (OMISSIS) non era in carica nell'ottobre del 2009, quando la (OMISSIS) segnalo' alla Provincia la necessita' di compiere lavori di manutenzione straordinaria nel tratto di strada teatro del sinistro, e non lo era neppure quando quegli interventi furono concretamente eseguiti, avendo assunto la qualifica di supervisore "solo due mesi prima" dell'incidente (pag. 26 della motivazione). La sentenza impugnata sottolinea che la nota del 10 novembre 2011 con la quale, subito dopo l'incidente mortale oggetto del procedimento, furono disposti lavori di manutenzione straordinaria per la messa in sicurezza del tratto di strada interessato al sinistro (prevedendo, tra l'altro, l'apposizione di segnali verticali di curva pericolosa e di limite di velocita') fu sottoscritta anche da (OMISSIS). Ne desume che, anche se non era titolate di "poteri impeditivi", egli aveva comunque poteri di "proposta" dei quali non si avvalse. Ricorda inoltre che, con la comunicazione del 3 ottobre 2009, la (OMISSIS) aveva segnalato la presenza di criticita' nel tratto di strada in parola ed era compito anche di (OMISSIS) individuare e suggerire le misure necessarie ad eliminarle. Anche nel caso di (OMISSIS), dunque, l'asserita ignoranza della situazione di pericolo e del conseguente obbligo di prevenirla non puo' essere ritenuta incolpevole essendo conseguenza dell'omissione di una condotta doverosa volta a governare proprio l'area di rischio che le regole cautelari violate mirano a prevenire. 8. Col terzo motivo di ricorso, (OMISSIS) si duole del mancato riconoscimento del concorso di colpa della vittima. Si osserva in proposito: che, come la sentenza impugnata puntualmente rileva, la normativa vigente all'epoca dei fatti non prevedeva che tale colpa concorrente potesse influire sul trattamento sanzionatorio se non ai fini delle attenuanti generiche; che tali circostanze attenuanti sono state ritenute applicabili; che il giudizio di bilanciamento e' stato congruamente motivato in termini di equivalenza in ragione della gravita' dell'omissione e del ruolo che l'imputata rivestiva. Quanto all'entita' del risarcimento, basta osservare che il Tribunale ha liquidato soltanto una provvisionale, cosi' rimettendo le parti di fronte al competente giudice civile. Ed invero, la condanna generica al risarcimento dei danni "costituisce una mera "declaratoria juris" da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale e' rimesso al giudice della liquidazione" (Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna, Rv. 270386; Sez. 2, n. 11813 del 11/04/1989, Pirrone, Rv. 182014). 9. Resta da esaminare il sesto motivo (denominato motivo II) del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) col quale la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione riguardo all'applicazione delle attenuanti generiche (ritenute equivalenti alla aggravante di cui all'articolo 589, comma 2, c.p.) e all'entita' della pena inflitta, determinata in misura superiore al minimo edittale. Come noto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, "le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell'equivalenza, si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (cosi', testualmente, Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv.:245931). Nel caso di specie, tale giudizio di comparazione risulta congruamente motivato cori riferimento alla gravita' dell'omissione e al fatto che (OMISSIS) operava alle dipendenze di un ente pubblico. Conclusioni analoghe si impongono quanto alla determinazione dell'entita' della pena, che e' stata fissata, per entrambi gli imputati, in anni uno di reclusione. Anche la graduazione della pena, infatti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se da' conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. o richiama alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). Nel caso in esame la pena bue. e' stata determinata in misura assai inferiore alla media edittale. La Corte territoriale, peraltro, ha motivato congruamente la scelta di discostarsi dal minimo con riferimento alla "gravita' della colpa (consistita nell'omissione di plurimi dispositivi di sicurezza)", alla "natura della violazione (concernente la delicata materia della sicurezza stradale)" e al "ruolo pubblico rivestito dagli imputati". 10. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche', in solido, alla rifusione delle spese sostenute per questo grado di giudizio da (OMISSIS) e (OMISSIS), parti civili costituite, spese che vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonche', in solido, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in 3.000,00 Euro ciascuno, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. CATENA Rossella - rel. Consigliere Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Consigliere Dott. BELMONTE T. Maria - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma emessa in data 10/01/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Rossella Catena, all'udienza del 18/01/2023; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Giordano Luigi, che, nel riportarsi alle conclusioni gia' rassegnate per iscritto, ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l'avv.to (OMISSIS), difensore di fiducia dell'imputato, che ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma in data 07/07/2015, con cui (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia per piu' fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, relativamente alle societa', di cui era stato amministratore unico, (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., fusesi per incorporazione in data 21/02/2011 e poi dichiarate fallite in data (OMISSIS), esclusa la contestata recidiva, rideterminava la pena principale e le pene accessorie fallimentari nei confronti dell'imputato. 2. (OMISSIS) ricorre, in data 20/05/2022, a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 violazione di legge, in riferimento all'articolo 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento agli articoli 516 e 521 c.p.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) e c), in quanto con il capo di imputazione era stata contestata al (OMISSIS) la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale a dolo generico, in riferimento alla (OMISSIS) s.r.l., e la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale a dolo specifico, in riferimento alle altre due societa'; dalla motivazione della Corte territoriale, invece, emerge che, quanto alla (OMISSIS) s.r.l., era stata ritenuta, piuttosto, la condotta di sottrazione della documentazione, che richiede il dolo specifico; in tal modo, quindi, appare evidente il difetto di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza; inoltre, la sentenza impugnata ha operato un'indebita commistione tra le due fattispecie di bancarotta, ritenendo che la condotta di sottrazione, nel caso di specie, fosse sorretta dal dolo generico, con un evidente errore di diritto; anche in relazione alle altre due societa' dichiarate fallite, la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l., la sentenza impugnata ha individuato una condotta di sottrazione, pur ritenendo non provato il dolo specifico, incorrendo nelle medesime violazioni gia' illustrate; 2.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 216, comma 1, n. 2, 217 legge fallimentare, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in quanto la difesa aveva evidenziato con il gravame che all'atto della fusione tra le societa', e poi in sede di assemblea, la situazione patrimoniale delle societa' era stata necessariamente oggetto di valutazione ed approvazione, a dimostrazione della regolare tenuta della contabilita' e della sua esistenza, essendo stata omessa la valutazione anche della documentazione prodotta dalla difesa in dal primo grado (relazione del curatore del 18/01/2022, in cui si indicava il luogo di conservazione delle scritture, atto di fusione preceduto dall'approvazione della situazione patrimoniale e dei bilanci), da cui emergeva l'esistenza di una contabilita' idonea alla ricostruzione patrimoniale; a confutazione di tale dato, la sentenza impugnata si e' limitata a riportare stralci della relazione del curatore fallimentare e dell'amministratore giudiziario che, in ogni caso, non hanno mai avallato un'ipotesi di sottrazione delle dette scritture contabili, ne', tantomeno, l'impossibilita' di ricostruire la situazione contabile; ne' la Corte di merito si e' confrontata con la richiesta di derubricazione della condotta ai sensi dell'articolo 217 legge fallimentare, anche alla luce della ravvisata assenza del dolo specifico; 2.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 216, comma 1, n. 2, 219 legge fallimentare, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in quanto illegittimamente e' stata contestata la pluralita' di fatti di bancarotta in riferimento a tre distinte societa' poi fusesi per incorporazione nella (OMISSIS) s.r.l., sicche' all'esito dell'incorporazione era nato un diverso soggetto giuridico unitario, rispetto al quale non poteva ipotizzarsi la pluralita' di fatti di bancarotta, derivante, secondo la sentenza impugnata, dal fatto che la condotta avrebbe singolarmente riguardato ciascuna societa'. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso di (OMISSIS) e' fondato e va, pertanto, accolto per le ragioni di seguito indicate. 1.La vicenda riguarda la fusione di tre societa' - (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. - operanti nel settore turistico, unitamente alla (OMISSIS) s.r.l., in un unico soggetto giuridico, in data 21/02/2011, al fine di conservare l'avviamento per poi procedere ad un affitto di azienda; tali societa' erano state, nelle more, sottoposte a sequestro preventivo in quanto ritenute riferibili ad un soggetto detenuto per violazioni alla disciplina sugli stupefacenti, per cui veniva nominato un amministratore giudiziario. Il Giudice per le indagini preliminari, dopo l'esecuzione del decreto di sequestro preventivo, autorizzava il contratto di affitto di azienda, per cui si svolgeva, in data 19/07/2011, l'assemblea della (OMISSIS) s.r.l. presso lo studio dell'amministratore giudiziario, in cui venivano approvati i bilanci delle societa' in sequestro al 31/12/2020; successivamente veniva dichiarato il fallimento delle tre societa', con nomina di altrettanti curatori. Tanto premesso, la Corte territoriale ha ritenuto che, pur a fronte di una contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale generica per la prima societa' e di bancarotta patrimoniale a dolo specifico per le altre due societa', il primo giudice avesse ritenuto che in tutti e tre i casi la condotta fosse consistita nella tenuta irregolare della contabilita', al fine di recare pregiudizio ai creditori (pag. 8 della sentenza impugnata). La Corte di merito, dopo un'accurata ricostruzione della vicenda, ha osservato, in riferimento alla (OMISSIS) s.r.l., che il curatore fallimentare aveva ottenuto dal (OMISSIS), dopo vari tentativi, documentazione incompleta e non utile a ricostruire l'ultimo triennio di vita della societa', e che l'imputato aveva dapprima riferito di aver consegnato la documentazione contabile al custode nominato in sede di sequestro intervenuto nel marzo 2011, non avendo poi piu' tenuto la documentazione, quindi aveva redatto una memoria, in cui riferiva di aver utilizzato un programma di gestione informatica della contabilita', affidata ad una societa' che non l'aveva piu' restituita. La sentenza impugnata ha considerato le dichiarazioni del custode giudiziario - che smentiva la versione del (OMISSIS), avendo dichiarato di non aver mai ricevuto i libri contabili, ma solo una situazione contabile ed una rendicontazione dei mastrini al 2010 relativi ad epoca precedente la fusione - e l'assenza di ogni riscontro alla vicenda della consegna della contabilita' ad una societa' di elaborazione dei dati, concludendo nel senso che la condotta fosse inquadrabile in una bancarotta per tenuta incompleta, oltre che tardiva, della contabilita', in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, sorretta, nel caso di specie, dalla consapevolezza dell'imputato e, quindi, dal dolo generico. Sempre in riferimento all'elemento soggettivo della fattispecie, la Corte territoriale prosegue aggiungendo che dalla condotta complessiva dell'imputato che aveva dapprima omesso di prendere contatto con il curatore, poi aveva riferito di aver consegnato la documentazione all'amministratore giudiziario, circostanza rivelatasi non vera, e, quindi, aveva fornito una terza versione dei fatti, anch'essa priva di riscontro - emergeva, all'evidenza, la volonta' di nascondere le modalita' di tenuta della documentazione, nella consapevolezza della loro confusione ed incompletezza e della inidoneita' a ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari, peraltro finanziati con somme provento dal traffico di sostanze stupefacenti. Quanto alla bancarotta fraudolenta documentale della (OMISSIS) s.r.l. e della (OMISSIS) s.r.l., la sentenza impugnata ricorda come nessuna documentazione fosse stata depositata e come la curatrice avesse riferito di non aver rintracciato il (OMISSIS); peraltro, che la documentazione esistesse risultava dall'elenco depositato al curatore del fallimento della (OMISSIS) s.r.l., inclusivo del progetto di fusione, del verbale di approvazione del bilancio al 31/12/2010, oltre che dal rinvenimento, presso la sede della societa' incorporante, di non meglio specificata documentazione riferibile alla (OMISSIS) s.r.l. ed alla (OMISSIS) s.r.l.; pertanto - come si legge in motivazione, alla pag. 13 della sentenza impugnata - benche' il (OMISSIS) avesse omesso di consegnare alla curatrice la documentazione contabile, integrando tale condotta la sottrazione dei libri e delle scritture contabili, non era stata raggiunta la prova del dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori o di arrecare a se' o ad altri un ingiusto profitto, in quanto l'omessa consegna delle scritture contabili alla curatrice aveva determinato l'impossibilita' di ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari delle due predette societa', circostanza di cui l'imputato aveva consapevolezza e volonta'. 2. La motivazione della sentenza impugnata costituisce l'esito di un palese disorientamento concettuale, da parte della Corte territoriale, circa le categorie interpretative che individuano la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale nella sua duplice declinazione. In tal senso, quindi, il Collegio ritiene doveroso, al fine di ribadire il percorso ermeneutico consolidato in sede di legittimita', inquadrare la tematica processuale in riferimento agli aspetti essenziali in essa coinvolti. 2.1 Appare necessario, anzitutto, ricordare che, ai sensi dell'articolo 2214 c.c., comma 1, tutti gli imprenditori commerciali devono, obbligatoriamente, tenere il libro giornale - in cui vanno annotate, giorno per giorno e con immediatezza, tutte le operazioni nell'ordine in cui sono compiute - ed il libro degli inventari - che comprende l'inventario redatto all'inizio dell'esercizio dell'impresa e gli inventari annuali, per indicare lo stato patrimoniale dell'impresa, la cui funzione e' quella di elencare e valutare le attivita' e le passivita' relative all'impresa, nonche' le attivita' e le passivita' dell'imprenditore estranee alla stessa -; l'inventario, come noto, si chiude con il bilancio, ossia con un conto patrimoniale costituito dalla contrapposizione tra il complesso delle attivita' ed il complesso delle passivita', e con il conto dei profitti e delle perdite, che e', invece, un conto economico indicante le fonti dei ricavi e delle spese pertinenti ad ogni esercizio (articolo 2217 c.c.). Alla stregua delle dimensioni e della natura dell'impresa, inoltre, il comma 2 della detta norma, prevede che l'imprenditore debba tenere le altre scritture contabili e conservare, per ciascun affare, gli originali delle lettere, dei telegrammi, delle fatture, sia ricevute che spedite. Tra tali ulteriori scritture contabili rientrano anche quelle la cui obbligatorieta' e' individuata da altre norme settoriali: in tal senso, la normativa fiscale - il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 in tema di Iva ed il Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 in tema di imposte sui redditi prevede la tenuta obbligatorio dei libri Iva - ovvero il libro delle fatture passive, delle fatture attive e dei corrispettivi, ove presenti - nonche' il libro dei beni ammortizzabili, in cui vengono annotati i cespiti durevoli e soggetti ad ammortamento; la normativa sul lavoro, a sua volta, prevede, invece, come obbligatoria, la tenuta del libro unico del lavoro - in cui sono confluiti i precedenti libro matricola e libro paga - e del registro degli infortuni, ai fini della normativa INAIL; la normativa societaria, inoltre, prevede come obbligatoria la tenuta sia dei libri sociali e contabili che consentono una rappresentazione finanziaria della struttura societaria - ossia il libro soci, il libro delle obbligazioni, il libro degli strumenti finanziari - che dei libri che consentono la verifica del funzionamento degli organi societari - ossia il libro delle adunanze e delle deliberazioni assembleari, il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell'organo amministrativo, il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell'organo di controllo, il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee degli obbligazionisti, nel caso in cui l'impresa abbia emesso un prestito obbligazionario -. Cio' che puo' differenziare l'onere e le modalita' di redazione e tenuta dei libri e delle scritture contabili e' anche il regime contabile applicabile all'impresa, nel senso che, in caso di regime contabile ordinario, i libri contabili obbligatori sono praticamente tutti quelli elencati in precedenza, ovviamente variabili a seconda della tipologia e della dimensione dell'attivita', mentre se all'impresa e' applicabile il regime contabile semplificato, questa e' esonerata dalla tenuta dei libri previsti dalla normativa civilistica, in quanto non vi e' obbligo di redazione del bilancio, dovendo istituire e tenere solo i libri IVA ed il registro dei beni ammortizzabili ai fini fiscali, nonche' il libro unico del lavoro ed il registro degli infortuni ai fini della normativa sul lavoro. In riferimento a tale ultimo aspetto, tuttavia, va ricordato che non vi e' affatto sovrapposizione tra il regime della contabilita' semplificata a fini tributari e la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, nel senso che, pacificamente, il detto regime semplificato non comporta l'esonero dall'obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili previsto dall'articolo 2214 c.c., sia ai fini civili che per gli effetti penali previsti dalla legge fallimentare, con la conseguenza che, mentre oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale puo' essere qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell'impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione, nel caso di bancarotta semplice documentale, invece, l'illiceita' della condotta e' circoscritta alle sole scritture obbligatorie (tra le altre: Sez. 5, n. 37459 del 22/09/2021, De Bernardi Andrea, Rv. 281875; Sez. 5, n. 33878 del 03/05/2017, Vadacca, Rv. 281875; Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, Incalza, Rv. 268867; Sez. 5, n. 44886 del 23/9/2015, Rossi, Rv. 265508; Sez. 5, n. 52219 del 30/10/2014, Ragosa, Rv. 262198; Sez. 5, n. 22593 del 20/4/2012, Pupillo, Rv. 252973; Sez. F, n. 33402 del 06/08/2009, Castrogiovanni, Rv. 244842; Sez. 5, n. 7165 del 29/1/1977, Alberi, Rv. 136073). Il che, ovviamente, non implica che la condotta di bancarotta fraudolenta documentale debba necessariamente investire la totalita' delle scritture contabili, rilevando, in tal senso, la dimostrazione che le concrete modalita' di tenuta di quelle scritture che risultino lacunose, incomplete, inattendibili, si rifletta in un'accertata impossibilita' o estrema difficolta' ricostruttiva, e, quindi, che non sia possibile addivenire ad una ricostruzione della vita dell'impresa alla luce di altra contabilita', anche se ufficiosa, tenuta dall'imprenditore. 2.2 La diversificazione nella individuazione della tipologia di documenti contabili che possono costituire l'oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale, e l'impossibilita' di individuarne un numerus clausus, discende dal fatto che non solo le scritture contabili obbligatorie, ma anche quelle facoltative, ossia caratterizzate da una funzione ausiliaria, nonche' quelle atipiche, possono risultano atte ad integrare e sviluppare i dati forniti dalla contabilita' obbligatoria, posto che l'oggetto materiale del reato di cui all'articolo 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, si focalizza non tanto su di una determinata categoria di scritture contabili, bensi' sulla modalita' della loro tenuta, intesa quale insuscettibilita' alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, ovvero quale estrema difficolta' ricostruttiva. In tal senso, ad esempio, si puo' ricordare Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Guadagnoli e altri, Rv. 250094, in tema di "schede di mastro", che, pur "non direttamente previste dal codice, assolvono ad un insostituibile scopo identificativo delle operazioni riportate sul libro Giornale (con tecnica esclusivamente cronologica e non per quadro di complessivi movimenti rapportati ad un soggetto). Del resto l'articolo 2214 c.c., comma 1, prevede la necessita' di conservazione di ogni scrittura che sia richiesta dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e la scienza commercialistica attesta che senza l'ausilio di queste schede e' impossibile la redazione di un bilancio credibile." 2.3 Quanto all'elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta documentale, la giurisprudenza di questa Corte, in adesione al contenuto della disposizione normativa, ha chiarito come il dolo da omessa tenuta, sottrazione, falsificazione od occultamento delle scritture contabili, prevista dall'articolo 216, comma 1, n. 2, prima parte, legge fallimentare, sia un dolo specifico; mentre, nell'ipotesi prevista dalla seconda parte della medesima disposizione, per le condotte di infedele tenuta delle scritture contabili, in guisa da rendere impossibile la ricostruzione degli affari e del patrimonio sociale, e' sufficiente il dolo generico (tra le altre: Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv, 269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, Inverardi, Rv. 276650; Sez. 5, n. 33114 del 8/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838). La ricostruzione dell'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, nella sua duplice declinazione, si fonda sull'ovvia constatazione secondo cui, alla luce degli articoli 2214 e segg. c.c., la conservazione e la fedele redazione delle scritture di impresa e' preciso ed indefettibile onere dell'imprenditore, sia individuale che associato, nonche', di conseguenza, anche dell'amministratore di fatto, individuato ai sensi dell'articolo 2639 c.c.. La norma incriminatrice di cui all'articolo 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, come da tempo affermato da questa Corte, tende, tra l'altro, anche a tutelare l'agevole svolgimento delle operazioni della curatela; sicche', nel caso in cui le scritture siano state tenute in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, la disposizione circoscrive nel perimetro della rilevanza penale ogni manipolazione documentale che impedisca o intralci una facile ricostruzione del patrimonio del fallito o del movimento dei suoi affari. Da tempo e' stato chiarito come tale ultimo addebito si riferisca ad una condotta a forma libera che, in realta', comprende ogni ipotesi di falsita', sia materiale che ideologica, posto che proprio l'agevole svolgimento delle operazioni della curatela non puo' che essere ostacolata non solo da falsita' materiali dei documenti, ma anche - e soprattutto - da quelle ideologiche, che forniscono un'infedele rappresentazione del dato contabile (Sez. 5, n. 3115 del 17/12/2010, dep. 28/01/2011, Clementoni, Rv. 249267; Sez. 5, n. 3951 del 18/02/1992, De Simone, Rv. 189812). In linea con tale linea interpretativa, va ulteriormente chiarito che la parziale omissione del dovere annotativo, che riguardi uno o piu' libri contabili, integra la fattispecie di bancarotta documentale a dolo generico; cio' in quanto la singola, omessa annotazione, o anche l'annotazione parziale, presuppongono, in ogni caso, l'esistenza della scrittura contabile di riferimento, elemento imprescindibile per la configurazione della bancarotta a dolo generico; inoltre, tali condotte di falsificazione ideologica, che rendono lacunosa e/o incompleta la rappresentazione contenuta nella scrittura, concretano, in sostanza, altrettante falsificazioni per omissione, valutabili ai fini di una impossibilita' o difficolta' nella ricostruzione delle vicende contabili e patrimoniali dell'impresa (Sez. 5, n. 3114 del 17/12/2010, dep. 28/01/2011, Zaccaria, Rv. 249266). La distinzione delle due fondamentali categorie di manifestazione della condotta penalmente rilevante in tema di bancarotta fraudolenta documentale e' stata di recente affrontata anche sotto l'aspetto della individuazione del discrimine tra la condotta di falsificazione integrante la bancarotta documentale, di cui alla prima parte della disposizione incriminatrice, punita a titolo di dolo specifico, e quella concernente la condotta di cui alla seconda parte dell'articolo 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, punita a titolo di dolo generico. In tal senso e' stato chiarito che "la condotta di falsificazione delle scritture contabili integrante la fattispecie di bancarotta documentale prevista dalla prima parte della norma da ultima citata puo' avere natura tanto materiale che ideologica, ma consiste comunque in un intervento manipolativo su una realta' contabile gia' definitivamente formata. La condotta integrante la fattispecie di bancarotta documentale "generica" si realizza sempre, invece, con un falso ideologico, che si caratterizza per la contestualita' alla tenuta della contabilita'. In altri termini, l'annotazione originaria di dati oggettivamente falsi nella contabilita' (ovvero l'omessa annotazione di dati veri), sempre che la condotta presenti le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice, integra sempre e comunque la seconda ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale descritta dall'articolo 216, comma 1, n. 2) legge fall." (Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, Montanari Silvio, Rv. 278321). Sempre in riferimento all'aspetto relativo all'elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta documentale "generica", vanno richiamate alcune significative pronunce, meno recenti, le quali avevano chiarito come in tale ipotesi l'elemento soggettivo debba essere individuato nel dolo intenzionale, cio' in quanto la finalita' dell'agente e' riferita ad un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva, cioe' l'impossibilita' di ricostruire il patrimonio e gli affari dell'impresa, anziche' ad un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, qual e' il pregiudizio per i creditori (Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, dep. 13/01/2009, Vianello e altri, Rv. 242550; Sez. 5, n. 3951 del 18/02/1992, De Simone, Rv. 189812). Tale opzione ricostruttiva appare ancor piu' condivisibile se messa in relazione con un ulteriore profilo, che accomuna le fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale: sotto l'aspetto fenomenico deve osservarsi che, in realta', sia la tenuta confusa, incompleta, falsificata della contabilita', che l'omessa tenuta della stessa - totale o parziale che sia -, ovvero le condotte di sottrazione, distruzione, occultamento e falsificazione, determinano tutte, indistintamente, una impossibilita' ricostruttiva dell'andamento dell'azienda e delle scelte imprenditoriali, nella misura in cui queste ultime rilevano sul piano penale. Tuttavia, nei soli casi di sottrazione, distruzione, occultamento (o falsificazione nei termini chiariti dalla sentenza Montanari, citata), e' richiesto un elemento ulteriore, ossia il pregiudizio per i creditori (o l'ingiusto profitto che l'agente intende raggiungere, per se' o per terzi), che costituisce il fuoco dell'elemento soggettivo, integrando il dolo specifico richiesto dalla norma; le condotte di bancarotta documentale fraudolenta a dolo generico, invece, sono connotate esclusivamente da una peculiare modalita' della condotta che, pur non costituendo l'evento del reato, individuano l'atteggiamento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice. L'assetto attuale raggiunto dall'evoluzione ermeneutica in sede di legittimita' non puo' essere compreso adeguatamente se si prescinde dalla ricostruzione delle pronunce piu' risalenti, che avevano oscillato nella individuazione dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta documentale descritto dalla seconda parte della norma di cui all'articolo 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare: era stato, infatti, affermato che "La bancarotta documentale prevista dalla seconda ipotesi, di cui all'articolo 216, comma 1 n. 2 seconda ipotesi legge fallimentare, e' caratterizzata dalla tenuta delle scritture ‘in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari; con questa espressione la legge indica oltre ad un aspetto obiettivo della fattispecie, lo scopo cui deve tendere l'agente, e quindi il dolo specifico. Occorre, quindi, l'intenzione di impedire le conoscenze relative al patrimonio o al movimento degli affari, ma non occorre l'intenzione di recare pregiudizio ai creditori, e neanche la rappresentazione di questo pregiudizio, che non sono richieste nella disposizione di legge citata." (Sez. 5, n. 6650 del 22/01/1992, Zampini, Rv. 190499); secondo altro orientamento, invece, "L'articolo 216, n. 2 L. Fall., per l'ipotesi di tenuta dei libri e delle scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, prevede il semplice dolo generico, consistente nell'intenzione dell'imprenditore di rendere impossibile o estremamente difficile la ricostruzione appunto del patrimonio o del movimento degli affari. Tale intenzione cela, di per se', sul piano pratico lo scopo di danneggiare i creditori o di procurarsi un vantaggio, ed e' per cio' che per quest'ultima ipotesi, a differenza di quelle di sottrazione, distruzione o falsificazione dei libri e scritture contabili, non e' espressamente richiesto, dalla norma in esame, un particolare dolo specifico" (Sez. 5, n. 4735 del 24/03/1981, Benassi, Rv. 148926). In realta', nonostante la differenza strutturale, quanto all'elemento soggettivo, le due fattispecie di bancarotta documentale descritte dalla norma risultano accomunate dalla dimensione dell'accertamento, in quanto, come gia' condivisibilmente rilevato, "alle diverse configurazioni del dolo nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una sostanziale diversificazione nell'onere probatorio per l'accusa, perche' e' pur sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento psicologico di mera superficialita' dell'imprenditore fallito (Cass., sez. 5, 6 dicembre 1999, Amata, m. 216267). Infatti un atteggiamento di superficialita' caratterizza la bancarotta documentale semplice, che puo' essere caratterizzata "dal dolo o indifferentemente dalla colpa, che sono ravvisabili quando l'agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volonta' o per semplice negligenza, di tenere le scritture" (Cass., sez. 5, 18 ottobre 2005, Dalceggio, m. 233997)." (Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, dep. 13/01/2009, Vianello e altri, Rv. 242550, in motivazione). Sotto tale aspetto, quindi, un primo profilo nevralgico da sottolineare e' rappresentato dalla necessita', nel caso della bancarotta fraudolenta a dolo generico, di individuare l'aspetto discretivo - quanto all'elemento soggettivo rispetto alla bancarotta documentale semplice, in riferimento alla quale pacificamente si ritiene che esso possa consistere, indifferentemente, nella colpa - ossia nella semplice negligenza nella tenuta delle scritture contabili - ovvero nel dolo, che, in entrambi i casi e' qualificato come dolo generico. Questa Corte regolatrice ha, da tempo e con orientamento incontrastato, affermato che il reato di cui al comma 1, n. 2, ultima parte dell'articolo 216 legge fallimentare richiede il dolo generico, costituito dalla coscienza e volonta' della irregolare tenuta delle scritture "con la logica ed immanente consapevolezza che cio' renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore, e non anche la volonta' dell'effetto di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari" (Sez. 5, n. 6769 del 18/10/2005, dep. 23/02/2006, Dalceggio, Rv. 233997), mentre quello di bancarotta semplice e' punibile sia a titolo di dolo che di colpa, per cui e' configurabile sia che l'agente, consapevole dell'obbligo della tenuta dei libri e delle scritture ometta di tenerli con coscienza e volonta', sia che l'obbligato, per l'attivita' che esplica, ometta di tenerli per negligenza o anche per ignoranza delle disposizioni di legge, ignoranza che in siffatte ipotesi non scusa risolvendosi in ignoranza della legge penale. Tuttavia, proprio tale assetto costituisce la spia del fatto che possa essere, in concreto, difficile discernere tra le due ipotesi di reato, posto che la diversita' dell'oggetto giuridico non appare dirimente, in quanto esso puo' anche coincidere, considerato che la bancarotta documentale semplice riguarda le sole scritture obbligatorie, mentre quella fraudolenta anche tutte quelle scritture che risultano funzionali alla vita dell'impresa, come indicato dall'articolo 2214 c.c., comma 2, ossia qualsiasi documento contabile, relativo alla vita dell'impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione e quindi, a maggior ragione, le scritture obbligatorie. Per quanto la fattispecie di bancarotta documentale semplice sia un reato di pericolo presunto, la cui sussistenza si sostanzia nel mero inadempimento di un precetto formale, ossia quello individuato dall'articolo 2214 c.c., comma 1, oltre che reato di pura condotta, che si realizza anche quando non si verifichi in concreto alcun danno per i creditori, nella prassi giudiziaria e' emerso evidente come la distinzione tra le fattispecie incriminatrici, che hanno un indiscutibile nucleo in comune, passi anche attraverso una chiara qualificazione dell'elemento soggettivo. Il che rende esplicita l'impostazione ricostruttiva di tutte le pronunce che hanno sottolineato come il requisito dell'impedimento della ricostruzione del volume degli affari o del patrimonio del fallito sia del tutto estraneo al fatto tipico descritto dall'articolo 217, comma 2, legge fallimentare, costituendo, invece, la peculiare modalita' che connota la condotta della fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale di cui all'articolo 216, comma 1, n. 2, seconda parte, legge fallimentare (Sez. 5, n. 11390 del 09/12/2020, dep. 24/03/2021, Cammarota Mauro Nicola, Rv. 280729; Sez. 5, n. 32051 del 24/06/2014, Corasaniti, Rv. 260774; Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013, dep. 03/02/2014, Manfredini, Rv. 258881; Sez. 5, n. 48523 del 06/10/2011, Barbieri, Rv. 251709; Sez. 5, n. 26907 del 07/06/2006, Catalano e altri, Rv. 235006); in continuita' con tale impostazione, pertanto, rilevano anche gli arresti non recenti, ma assolutamente condivisibili dal punto di vista ricostruttivo, che hanno individuato nel dolo intenzionale l'elemento soggettivo della bancarotta documentale "generica" (per tutte: Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, dep. 13/01/2009, Vianello e altri, Rv. 242550). Quanto occorre, a questo punto, ribadire e' che la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale "generica", sin qui delineata - nonostante quanto si legge in alcune pronunce, forse frutto di una non sufficiente meditazione delle categorie coinvolte - non e' un reato di evento, nel senso che l'impedimento nella ricostruzione del volume degli affari o del patrimonio del fallito non rappresenta affatto l'evento del reato; se cosi' fosse infatti, la struttura della fattispecie non potrebbe che essere a dolo specifico. Al contrario, tale situazione di impossibilita' o estrema difficolta' ricostruttiva costituisce una peculiare modalita' della condotta che, come visto, interagisce sull'elemento psicologico nella sua connotazione di dolo intenzionale, secondo la ricostruzione che appare maggiormente condivisibile. 2.4 L'esclusione del dolo specifico in riferimento alla bancarotta documentale concernente la modalita' di tenuta delle scritture contabili - condotta sorretta dal dolo generico, consistente nell'intenzione di rendere impossibile o difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, ossia nella consapevolezza, da parte dell'agente, che la confusa tenuta della contabilita' potra' rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, non essendo, per contro, necessaria la specifica volonta' di impedire quella ricostruzione, in quanto la locuzione "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari" connota la condotta e non la volonta' dell'agente, (Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013, dep. 03/02/2014, Manfredini, Rv. 258881; Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero, Rv. 247444; Sez. 5, n. 3951 del 18/02/1992, De Simone, Rv. 189813) - non consente, tuttavia, alcuna scorciatoia probatoria. E' stato, infatti, evidenziato, come l'affermazione di responsabilita' in relazione a tale fattispecie non possa derivare dalla mera constatazione dello stato delle scritture contabili, da cui si faccia derivare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato; al contrario, infatti, e' necessario, con metodo inferenziale, chiarire dalle modalita' della condotta contestata la ragione e gli elementi sulla base dei quali l'imputato abbia avuto coscienza e volonta' di realizzare l'oggettiva impossibilita' di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza valutare le conseguenze di tale condotta, considerato che, in tal caso, viene integrato l'atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice, di cui all'articolo 217, comma 2, legge fallimentare. In particolare, si e' rilevato come il dolo generico possa essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dall'accertata responsabilita' dell'imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, che rappresenta la modalita' fenomenica dal cui verificarsi dipende l'integrazione dell'elemento oggettivo del reato, e', di regola, funzionale all'occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale (Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, Scarponi Roberto, Rv. 283659; Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, Amidani Noris, Rv. 276910; Sez. 5, n. 23251 del 29/04/2014, Pavone, Rv. 262384; Sez. 5, n. 172 del 07/06/2006, dep. 09/01/2007, Vianello e altro, Rv. 236032). In ultima analisi, alla luce del percorso ermeneutico sin qui analizzato, cio' che deve essere escluso, in riferimento alla struttura del dolo nella bancarotta fraudolenta documentale "generica", e' la configurabilita' del dolo eventuale, difficilmente compatibile con la struttura della fattispecie come sin qui delineata. In tal senso, e per completezza argomentativa, va ricordato anche l'approdo ermeneutico in riferimento all'amministratore che rivesta tale ruolo solo formalmente, secondo cui il prestanome degli effettivi gestori della societa' fallita risulta senza alcun dubbio il destinatario dell'obbligo relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabili, sancito dall'articolo 2392 c.c., non essendo egli esonerato dal dovere di vigilanza sull'operato di soggetti terzi, eventualmente delegati, ai sensi dell'articolo 40 c.p., comma 2; tuttavia, non puo', per effetto di una sorta di automatismo, affermarsi la responsabilita' dolosa per condotte incriminate dalla legge fallimentare sulla base della mera carica ricoperta e dell'integrazione dell'elemento materiale del reato. La pronuncia che meglio e piu' chiaramente ha definito tale aspetto (Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, La Porta Stefania, Rv. 282280), ha ribadito la necessita' di dimostrare l'effettiva e concreta consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno, pena il travolgimento del principio costituzionale della personalita' della responsabilita' penale (conformi: Sez. 5, n. 34112 del 01/03/2019, Alessio, non massimata; Sez. 5, n. 40487 del 28/05/2018, Bruccoleri, non massimata; Sez. 5, n. 40176 del 02/07/2018, Mastroeni, non massimata; Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013, dep. 2014, Demajo, Rv. 257950; Sez. 5, n. 44293 del 17/11/2005, Liberati, Rv. 232816). Tale approdo, peraltro, non e' contraddetto dall'orientamento (espresso, ad esempio, da Sez. 5, n. 19049 del 19/02/2010, Succi, Rv. 247251) secondo cui la responsabilita' del soggetto, investito solo formalmente dell'amministrazione dell'impresa fallita, per il reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, possa ritenersi solo sulla base del diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, diversamente da quanto si verifica per l'ipotesi della distrazione, per la quale, invece, la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall'amministratore di fatto. Ed infatti, e' stato condivisibilmente osservato, nella motivazione della sentenza La Porta, citata, come le pronunzie che si riconoscono in tale orientamento "solo incidentalmente si sono occupate del contenuto del dolo della bancarotta documentale ascritta all'amministratore formale, riguardando le rispettive decisioni contestazioni di bancarotta patrimoniale. In secondo luogo cio' che affermano e' che nei confronti dell'amministratore formale, sul piano della prova, sussista una presunzione semplice di conoscenza della situazione contabile, senza con questo voler negare l'irrilevanza della componente rappresentativa del dolo." In tal senso, quindi, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale, pur non essendo necessario che l'amministratore formale si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilita', e', nondimeno, necessario che l'abdicazione dagli obblighi da cui e' gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilita' che i soggetti a cui ha consentito di gestire la societa' alterino fraudolentemente la contabilita', impedendo o rendendo piu' difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d'affari della fallita, oppure la sottraggano agli organi fallimentari o la omettano in danno dei creditori o per un ingiusto profitto e, cio' nonostante, decida di non esercitare i suoi poteri-doveri di vigilanza e controllo per evitare che cio' accada (Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, La Porta Stefania, Rv. 282280). Seppure, quindi, l'accettazione della carica conferisca doveri di vigilanza e controllo specifici, discendenti dalla corrispondente posizione di garanzia, la cui violazione comporta responsabilita' penale, a titolo di dolo generico, non si puo' prescindere, per poter muovere l'addebito di consapevole mancanza di condotta impeditiva del fatto illecito, dalla rappresentazione, da parte del soggetto, della situazione anti-doverosa, ossia la prefigurazione delle conseguenze della stessa o, nella prospettazione del dolo eventuale, l'accettazione del rischio del loro accadimento. In caso contrario, attribuendo con un non condivisibile automatismo la responsabilita' per fatto commesso dal terzo, si rischia di ledere non solo il principio di personalita' della responsabilita' penale, ma anche di tramutare il dolo della bancarotta fraudolenta in un addebito a sfondo mera mente colposo. Ne risulta, dunque, la necessita' che il giudice fornisca adeguata motivazione circa la possibilita', non soltanto astratta e presunta, ma reale, della conoscenza, da parte del prestanome, dello stato delle scritture ovvero della loro preordinata omessa tenuta, in guisa tale da cagionare l'effetto di impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi di dolo specifico, di procurare un danno al ceto creditorio o un ingiusto profitto a taluno. Unicamente nei sensi precisati, quindi, in coerenza con la struttura del dolo di cui all'articolo 40 c.p., comma 2, appare possibile qualificare il dolo dell'amministratore apparente come eventuale, in riferimento alla bancarotta documentale fraudolenta di cui all'articolo 216, comma 1, n. 2, prima e seconda parte, legge fallimentare, fattispecie per la quale, invece, si ribadisce che debba essere esclusa tale tipologia di dolo nel caso del soggetto che eserciti effettivamente, quale legale rappresentante di diritto o di fatto, la direzione dell'impresa, ribadendosi, in tale ipotesi, la dicotomia dolo generico intenzionale e dolo specifico, in riferimento alle diverse manifestazioni della condotta. 2.6 Venendo ora ad analizzare la bancarotta documentale a dolo specifico, consistente nella sottrazione, distruzione od omissione delle scritture contabili (escludendo, quindi, la condotta di falsificazione esercitata su scritture contabili in origine regolarmente tenute, pur essa connotata dal dolo specifico, di cui si e' gia' detto in precedenza), occorre ricordare che la condotta di omessa tenuta delle scritture non rientra tra quelle alternativamente descritte dalla disposizione normativa, posto che tale condotta e', invece, richiamata unicamente dall'articolo 217, comma 2, legge fallimentare, in cui si considera la condotta del fallito che "durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritte dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta". L'elaborazione giurisprudenziale di legittimita', tuttavia, da tempo, ha delineato la ricostruzione della relativa condotta omissiva che, se sorretta dal dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori o di recare a se' o ad altri un ingiusto profitto, integra gli estremi della bancarotta fraudolenta documentale (Sez. 5, n. 39808 del 23/09/2022, Lamanna Francesco, Rv. 28380; Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi Stefano, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Inverardi Angelo, Rv. 276650; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno e altro, Rv. 269904; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, P.M. in proc. Di Cosimo, Rv. 262915; Sez. 5, n. 25432 del 11/04/2012, De Mitri e altri, Rv. 252992; Sez. 5, n. 11279 del 16/02/2010, Acciuolo e altro, Rv. 246370; Sez. 5, n. 32173 del 11/06/2009, Drago; Rv. 244494; Sez. 5, n. 9103 del 25/06/1992, Ruzza, Rv. 191662). In sostanza, il percorso ermeneutico che si dipana attraverso le citate pronunce (peraltro elencate in maniera non esaustiva) consente di affermare alcuni principi ormai acquisiti nell'elaborazione di questa Corte di legittimita'. Anzitutto, perche' l'omissione annotativa integri la fattispecie alternativamente prevista dalla prima parte dell'articolo 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, e' necessaria la sussistenza del dolo specifico. In presenza di questa condizione, afferente l'elemento soggettivo del reato, non e' necessario che detta omissione annotativa sia perdurata per tutta la vita dell'impresa, ne' che essa riguardi tutte le scritture contabili, ben potendo essere parziale, sia in riferimento all'oggetto che in riferimento allo sviluppo, potendo essa manifestarsi sia in senso diacronico che sincronico. Cio', peraltro, emerge inequivocabilmente dal testo della disposizione normativa, che chiarisce come la condotta riguarda "...in tutto o in parte...." le scritture contabili, potendo, quindi, manifestarsi attraverso la radicale carenza di tutte o di parte delle scritture e dei libri contabili e non in una loro tenuta lacunosa, connotata da omissioni annotative, come gia' detto in precedenza. Si e', inoltre, spiegato, ad ulteriore individuazione del discrimine tra le due fattispecie delineate dalla disposizione di cui all'articolo 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, che la fraudolenta tenuta delle scritture, a dolo generico, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi. In tal senso, quindi, deve ritenersi definitivamente superata ed assolutamente non piu' proponibile l'opzione ermeneutica secondo la quale, ai fini della configurabilita' del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, venivano ritenute condotte equivalenti la distruzione, l'occultamento o la mancata consegna al curatore della documentazione e l'omessa o irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili, sicche' per la sussistenza del reato si riteneva sufficiente l'accertamento di una di esse e la presenza in capo all'imprenditore dello scopo di recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5, n. 8369 del 27/9/2013, dep. 2014, Azzarello, Rv. 259038; Sez. 5, n. 9435 del 12/6/1984, Kranaver, Rv. 166406; Sez. 5, n. 6967 del 11/05/1981, Cristofari, Rv. 148775). Ribadita, quindi, la differenza strutturale tra le due categorie, da un lato quella che ricomprende l'omessa tenuta delle scritture, ovvero la loro distruzione o il loro occultamento, e, dall'altro, quella relativa alla fraudolenta tenuta delle stesse, deve osservarsi come risulti invalsa nella prassi, la modalita' di contestazione della fattispecie secondo una formulazione alternativa, di omissione delle scritture contabili ovvero di tenuta delle stesse in guisa tale da non consentire la ricostruzione del volume d'affari e del patrimonio della fallita. Tale modalita' di contestazione, che e' del tutto legittima (da ultimo: Sez. 5, n. 8902 del 19/01/2021, Tecchiati Una, Rv. 280572), nondimeno, non incide in alcun modo sulla individuata alternativita' delle condotte, nel senso che, se in sede di accertamento emerga la fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilita' degli organi fallimentari, anche nella forma della loro omessa tenuta, non puo' essere addebitata all'agente la fraudolenta tenuta delle medesime, proprio perche', come detto, tale ultima ipotesi implica un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli stessi organi fallimentari. In tal senso si rende necessario un ulteriore chiarimento, partendo dalla premessa secondo cui la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale e' strutturata come norma incriminatrice mista alternativa, il che significa che la disposizione incriminatrice prevede un unico reato che, tuttavia, puo' essere commesso con condotte diverse, ma equivalenti, ossia con condotte fungibili. Cio' consente di spiegare la ragione per la quale si afferma che, una volta accertata la responsabilita' in ordine alla tenuta della contabilita' in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita, che richiede il solo dolo generico, diviene superfluo accertare il dolo specifico richiesto per la condotta di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, nel caso in cui - attraverso la detta modalita' alternativa - siano contestate entrambe le condotte (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi e altro, Rv. 271753). Tale approdo ermeneutico, per la verita' non sempre adeguatamente approfondito, richiede, tuttavia, un chiarimento ulteriore. Qualora emerga, sulla scorta di uno specifico accertamento, che la contabilita' sia in parte omessa ed in parte irregolarmente tenuta, e che detta ultima situazione renda impossibile o complessa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, evidentemente proprio la descritta struttura della norma rende possibile non solo la contestazione alternativa, ma anche la sufficienza, ai fini della individuazione della fattispecie penalmente rilevante, dell'accertamento di una sola delle condotte, ancorche' diversamente strutturate, purche' risulti possibile configurare anche il relativo elemento soggettivo. Cio' che, invece, non appare in alcun modo possibile e' la confusione tra le due diverse condotte, data la loro specificita' strutturale, sia sotto l'aspetto della condotta che dell'elemento soggettivo. Il che significa, una volta contestata la condotta per la quale e' richiesto il dolo specifico, che il giudice debba accertare la sussistenza delle prove in riferimento a tale ipotesi, non potendo, a fronte di una omessa tenuta della contabilita', anche parziale o limitata ad un determinato arco temporale, ritenere integrata, piuttosto, la condotta di tenuta irregolare della stessa. Da cio' scaturisce, pertanto, l'esigenza che la contestazione, dapprima, e l'accertamento, poi, in sede di merito, siano assolutamente accurati e specifici quanto alla individuazione delle scritture che, concretamente, costituiscono l'oggetto della condotta. A fronte della possibilita' che qualunque scrittura anche non obbligatoria - possa essere funzionale a rivelare condotte distrattive o, comunque, incompatibili con una corretta gestione imprenditoriale e tali da determinare un vantaggio ingiusto per l'imprenditore o un pregiudizio per il ceto creditorio, va affermato il principio secondo cui la motivazione del giudice di merito deve individuare e spiegare la concreta attitudine e, quindi, l'incidenza, volta per volta, delle scritture prese in considerazione rispetto a tali determinazioni fenomeniche; il che, quindi, presuppone, auspicabilmente, anche la chiara indicazione, sin dalla fase della contestazione, della funzionalita' delle scritture, in riferimento alla specifica condotta posta in essere ed alla corrispettiva attitudine delle stesse, come individuate, ad incidere sulla rappresentazione contabile dell'azienda e sulla sua alterazione. Per ribadire ulteriormente tale esigenza - spesso del tutto tralasciata in sede di merito - va ricordato quanto affermato da Sez. 5, n. 182 del 23/11/2006, dep. 09/01/2007, Piovesan e altro, Rv. 236045, in un caso in cui la falsificazione ideologica del verbale del CdA di una s.r.l. era stato posto a fondamento della contestazione di bancarotta fraudolenta documentale amministrazione: "La bancarotta fraudolenta documentale mira alla tutela degli interessi creditori e della procedura, proscrivendo l'alterazione della rappresentazione contabile dei dati di gestione. Pertanto l'oggetto materiale del reato e' rappresentato dal compendio contabile: la norma, con il richiamo ai "libri o le altre scritture contabili" si collega direttamente alla disposizione dell'articolo 2214 c.c. che impone all'imprenditore la tenuta del libro giornale e del libro degli inventari, nonche' delle scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa. Non vi e' alcun dubbio, seguendo il tracciato letterale e l'oggetto della protezione assicurata dalla norma, che siffatto corredo si caratterizzi per la sua portata "contabile", con esclusione dei cd. "libri sociali" che rappresentano fatti di organizzazione interna all'impresa e non il possibile tramite della ricostruzione del movimento degli affari. Che i "libri sociali" rappresentino un novero distinto ed autonomo rispetto ai "libri contabili" puo' dedursi dalla stessa lettera della norma: il legislatore ha fornito propria disciplina ai "libri sociali" nell'articolo 2421 c.c., distinta ed ulteriore rispetto a quelli "contabili" ("oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti dall'articolo 2214 c.c. la societa' deve tenere ecc.") La falsificazione dei "libri sociali, quindi, risulta esterna alla sfera punitiva della L.F. Art. 216, comma 1, n. 2 (e L.F. articolo 217, comma 2), a condizione - ovviamente - che l'alterazione dal vero (o la sottrazione, distruzione) non incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione. Il verbale di consiglio di amministrazione, e' atto previsto dall'articolo 2421 c.c., comma 1, n. 4 (e non e' rapportabile al tipologia documentale considerata dall'articolo 2214 c.c.) e la sua falsificazione, salvo il caso di una incidenza diretta dell'alterazione sul quadro contabile, non determina la responsabilita' per bancarotta fraudolenta documentale". Tale esigenza si salda con il principio in precedenza ricordato - secondo cui gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico, nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica, o del dolo generico, nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica, non possono certamente coincidere con la mera scomparsa dei libri contabili o con la sola tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari - e, quindi, rende evidente come, in concreto, a fronte di fenomeni di distrazione, la prova della bancarotta documentale risulti indiscutibilmente piu' agevole. Sicche', a fronte del dato fenomenico descritto dalla norma incriminatrice, ulteriori circostanze devono essere, volta per volta, individuate dai giudici di merito, funzionali a circoscrivere, in un caso, la finalita' di procurare a se' o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, ovvero, nell'altro, la consapevolezza che l'irregolare tenuta della documentazione contabile sia in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio. Appare evidente come tra le suddette circostanze assuma un rilievo fondamentale la condotta del fallito, nel suo concreto rapporto con le vicende attinenti alla vita economica dell'impresa, nel senso che, una volta accertati fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, il giudice di merito potra', del tutto ragionevolmente, ricollegare, sul piano probatorio, la logica presunzione per la quale l'irregolare tenuta delle scritture contabili e', di regola, funzionale all'occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale, ovvero che l'omessa tenuta della contabilita', o le condotte ad essa equivalenti, sia funzionale alla detta dissimulazione di atti depauperativi, allo scopo di arrecare un pregiudizio ai creditori o avvantaggiare il fallito, ovvero terzi (tra le altre, Cass., Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, Amidani Noris, Rv. 276910; Sez. 5, n. 23251 del 29/04/2014, Pavone, Rv. 262384). Altrettanto palesemente risulta come le situazioni maggiormente problematiche siano da individuare in quei casi in cui non si ravvisano condotte distrattive di alcun tipo. Se non risulta elevata alcuna contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, oppure sia intervenuta assoluzione per tale imputazione, va ribadita la necessita' di una motivazione particolarmente rigorosa sull'elemento soggettivo dell'addebito di bancarotta fraudolenta documentale, perche' in tal caso la prova non puo' giovarsi della presunzione per la quale l'irregolare tenuta delle scritture contabili e' di regola funzionale all'occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale. Cio' e' ancora piu' vero nel caso della bancarotta fraudolenta documentale a dolo specifico che, come detto, puo' manifestarsi anche in forma di parziale omissione; in presenza di specifiche circostanze - come ad esempio, la coincidenza tra l'omissione e l'affermarsi di una condizione di insolvenza; l'accertamento di condotte distrattive specifiche; la totale irreperibilita' del legale rappresentante dell'azienda o la mancata cooperazione dello stesso con gli organi della procedura fallimentare - e' ben possibile argomentare come il quadro ricostruttivo appaia ragionevolmente incompatibile con un'ipotesi di trascuratezza colposa; in tal caso, quindi, e' possibile ritenere il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, purche' sorretto da adeguata motivazione che dia conto anche della specifica funzione delle scritture contabili e della finalizzazione della loro omissione alla determinazione dell'evento su cui deve cadere la rappresentazione e la volonta' del soggetto agente. Diversamente, nel caso in cui non siano ravvisabili elementi a sostegno del dolo specifico, va senza dubbio esclusa la possibilita' di far rientrare la condotta in quella punita a titolo di dolo generico, la cui struttura fenomenica, come detto in quanto basata su scritture che, per quanto incomplete o inidonee alla ricostruzione dell'andamento dell'impresa, sono state sottoposte agli organi fallimentari - risulta del tutto eccentrica rispetto alla condotta omissiva, anche parziale. In tali casi, se le circostanze della vicenda processuale non consentono di individuare compiutamente neanche una condotta di irregolare tenuta delle scritture contabili - ossia di altre scritture alterate e/o falsificate, diverse da quelle non rinvenute - si verifica, senza alcun dubbio, l'assenza di elementi circostanziali che consentano di individuare il dolo specifico della fattispecie, con la conseguenza che la condotta dovra' essere inquadrata in quella di cui all'articolo 217, comma 2, legge fallimentare. Conclusivamente, puo' affermarsi che in entrambi i casi di bancarotta fraudolenta documentale, sia sempre doveroso, da parte dei giudici di merito, specificare quali siano le scritture tenute in maniera decettiva ovvero le scritture omesse; tanto, in funzione della dimostrazione dell'impossibilita' di ricostruzione o dello scopo, alternativo, di pregiudizio per i creditori o di ingiusto profitto di taluno, con correlativo onere di approfondimento della condotta per come emersa, tanto se essa rientri nel fuoco del dolo generico che di quello specifico. 2.7 Nella presente vicenda processuale, la Corte di merito ha completamente confuso le categorie dogmatiche, prescindendo anche da un doveroso approfondimento dei canoni ermeneutici elaborati da questa Corte, come sin qui sintetizzati. Infatti, appare palesemente confliggente con tali principi l'aver affermato, quanto alla (OMISSIS) s.r.l., che la documentazione ricevuta dal curatore fosse incompleta e non utile a ricostruire l'ultimo triennio di vita della societa', il che sembrerebbe introdurre una fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale per omissione, non avendo, peraltro, la Corte di merito neanche specificato quale tipologia di documentazione fosse pervenuta al curatore. In tal senso affermare, come si legge in sentenza, che la condotta complessiva dell'imputato manifestasse la volonta' di nascondere le modalita' di tenuta della documentazione, nella consapevolezza della loro confusione ed incompletezza e della inidoneita' a ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari, costituisce un'affermazione inconcludente e congetturale, nella misura in cui sarebbe stato indispensabile individuare, dapprima, le scritture effettivamente rivenute, quindi descriverne la modalita' di tenuta e, infine, argomentare sulla loro incompletezza e/o alterazione in funzione della impossibilita' di ricostruzione dell'andamento contabile della societa'. Quanto alle altre due societa', la illogicita' della motivazione appare ancor piu' manifesta, nella misura in cui la Corte territoriale da' atto della totale omissione delle scritture contabili ed afferma che, in ogni caso, non era stata raggiunta la prova del dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori o di arrecare a se' o ad altri un ingiusto profitto, in quanto l'omessa consegna delle scritture contabili alla curatrice aveva determinato l'impossibilita' di ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari delle due predette societa', circostanza di cui l'imputato aveva consapevolezza e volonta'. La Corte di merito, in sostanza, ha operato una inaccettabile confusione tra le due condotte, sovrapponendo differenti categorie concettuali e fornendo una motivazione assolutamente illogica, oltre che apparente, in relazione ad una fattispecie di reato in ultima analisi insussistente da punto di vista normativo, in quanto non corrispondente ad alcune delle condotte descritte dalla norma di riferimento. Il primo motivo di ricorso risulta, quindi, fondato; ne discende l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma che, nella piena liberta' valutativa del compendio probatorio, dovra' anzitutto specificare in concreto la condotta emersa ed inquadrarla - alla luce dei principi di diritto illustrati - in una della categorie normative di cui all'articolo 216, comma 1, n. 1, legge fallimentare, prima o seconda ipotesi, ovvero in quella di cui all'articolo 217, comma 2, legge fallimentare, chiarendo, in riferimento alla fattispecie eventualmente individuata, le ragioni per le quali ne ravvisi la sussistenza. Gli altri motivi di ricorso restano, pertanto, assorbiti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GALTERIO Donatella - Presidente Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - rel. Consigliere Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 4/3/2022 del Tribunale di Rimini; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MENGONI Enrico; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MANUALI Valentina, che ha chiesto annullare la sentenza senza rinvio per prescrizione; udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 4/3/2022, il Tribunale di Rimini dichiarava (OMISSIS) colpevole delle contravvenzioni di cui al Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 18, comma 1, lettera F) e articolo 37, comma 1, lettera A) e B), e lo condannava alla pena di 4.800,00 Euro di ammenda. 2. Propone ricorso per cassazione il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi: - erronea applicazione delle norme contestate; carenza ed illogicita' della motivazione. Il Tribunale, pur riconoscendo la natura autonoma della prestazione d'opera eseguita dall'infortunato (OMISSIS) (sancita anche da diversa sentenza della Corte di appello di Bologna), avrebbe affermato la responsabilita' del ricorrente per le violazioni in rubrica, che, tuttavia, troverebbero applicazione soltanto nel diverso caso di rapporto di lavoro subordinato; l'unica previsione relativa al contratto di appalto o d'opera, quanto al committente, sarebbe infatti il diverso Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 26, mai oggetto di contestazione. Il ricorrente, inoltre, avrebbe redatto il DUVRI (documento autonomo di valutazione dei rischi interferenti) anche con riguardo alla prestazione del (OMISSIS), e cosi' avrebbe assolto ai propri obblighi di informazione del lavoratore (autonomo) quanto a rischi, pericoli e mezzi di protezione, pure con riferimento alle cause dell'infortunio; - le stesse censure, ancora, sono mosse con riguardo alle violazioni di cui agli articoli 114, 129 e 159 Testo Unico sicurezza, che il Tribunale avrebbe riconosciuto sebbene mai contestate, anche perche' relative a lavorazioni (ad esempio, in quota) del tutto diverse da quelle in oggetto. Le stesse violazioni, peraltro, non potrebbero trarsi neppure dalle deposizioni assunte, che nulla avrebbero riferito sul punto, ne' dai documenti acquisiti. Analogamente, poi, il Tribunale avrebbe citato pronunce di legittimita' inconferenti, perche' relative al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 26, che si ribadisce - sarebbe tuttavia fuori dalla contestazione; - violazione di legge e vizio di motivazione, poi, sono contestati quanto al profilo soggettivo delle condotte, di natura colposa, che sarebbe stato riconosciuto senza alcun argomento ne' specifica imputazione; - infine, si lamenta il carattere eccessivo della pena, privo di motivazione, cosi' come la carenza argomentativa quanto alla continuazione tra i reati, alla misura della pena base e dell'aumento ai sensi dell'articolo 81 cpv. c.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso risulta fondato quanto al primo motivo, da ritenere assorbente le altre censure. 4. Occorre premettere che la vicenda oggetto del giudizio e' connotata da elementi del tutto pacifici, non essendo contestato il rapporto di lavoro corrente tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) o la qualifica di questi, ne' le violazioni accertate dagli operanti il 10/4/2017; con particolare riguardo al primo profilo, poi, e' lo stesso Tribunale - anche in forza della documentazione acquisita e delle testimonianze ad affermare che il citato (OMISSIS) operava non come dipendente, ma "quale piccolo artigiano lavoratore autonomo", che aveva concluso un contratto di affidamento d'opera con la ditta della quale il ricorrente era titolare. 5. Tanto premesso, il Tribunale ha ritenuto che il (OMISSIS), nella sua qualita', rivestisse comunque una posizione di garanzia, e che questa prescindesse dalla natura - subordinata od autonoma - del rapporto di lavoro con l'infortunato, giudicata irrilevante, con conseguente responsabilita' penale per le condotte omissive contestate. 6. Ebbene, questa conclusione appare censurabile, se letta con riguardo al caso di specie. 7. In particolare, preso atto dell'infortunio di cui era stato vittima il (OMISSIS) il (OMISSIS), il Tribunale ha concluso per la violazione (innanzitutto) del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 18, comma 1, lettera F), che prescrive al datore di lavoro e al dirigente di richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonche' delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione; analogamente, quanto alla violazione dell'articolo 37, comma 1, lettera A) e B), anch'esso rivolto al datore di lavoro. La sentenza impugnata, tuttavia, non ha tenuto conto della diversa fattispecie di cui al successivo articolo 26 (Obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione), che interviene nel caso - come parrebbe quello in esame - di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unita' produttiva della stessa, nonche' nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che il datore di lavoro abbia la disponibilita' giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo; proprio l'articolo 26, peraltro, era stato originariamente contestato (per non aver accertato l'idoneita' tecnico professionale del lavoratore autonomo (OMISSIS)), ma risulterebbe poi estinto mediante pagamento della sanzione, come documentato dal ricorrente, anche in questa sede, ma non verificato dal Tribunale. La successiva imputazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 18 e 37, invece, sembrerebbe essere stata mossa soltanto quando il (OMISSIS) - a seguito di accertamenti - era stato riconosciuto come lavoratore dipendente del ricorrente; tale qualifica, tuttavia, era stata infine superata dalla sentenza della Corte di appello di Bologna, sezione lavoro, del 12/1/2021 (prodotta in atti e recepita dal Tribunale di Rimini, come gia' riportato), che aveva ritenuto non provata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. 9. Alla luce di quanto precede, la sentenza impugnata dovrebbe dunque essere annullata con rinvio, affinche' il Tribunale provveda ad un nuovo giudizio ed alla corretta individuazione della norma di riferimento. Per entrambi i reati contestati, tuttavia, sono maturati nel frattempo i termini di prescrizione, cosi' da imporsi l'annullamento della decisione senza rinvio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche' i reati sono estinti per prescrizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. BELLINI Ugo - rel. Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. RICCI Anna L. A. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/05/2022 della CORTE APPELLO di ANCONA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. UGO BELLINI; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MARINELLI FELICETTA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. La difesa della ricorrente (OMISSIS) in persona dell'avv.to (OMISSIS) ha depositato note di replica scritte alle conclusioni del PG, insistendo nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.La Corte di Appello di Ancona ha confermato la decisione del Tribunale di Urbino che aveva riconosciuto (OMISSIS) colpevole dei delitti di omicidio colposo plurimo e di lesioni colpose e la aveva condannata alla pena di un anno di reclusione. In particolare alla (OMISSIS) era contestato, di avere agito per colpa generica e per violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74, per avere omesso la manutenzione dell'impianto termico per la climatizzazione invernale posto a servizio di fabbricato di sua proprieta' da cui era conseguito, per il malfunzionamento della caldaia e per difetti nel sistema di evacuazione dei fumi, la condensazione di particolato all'interno della canna fumaria e, in ragione della ostruzione costituita dalla retina parauccelli posta all'imbocco del comignolo che ne impediva lo sfogo all'esterno e delle lesioni presenti nel condotto in muratura e di quelle nella parete in adiacenza al passaggio della canna fumaria, i fumi erano penetrati all'interno di due unita' abitative, poste al secondo piano del fabbricato, provocando la morte di (OMISSIS) e di (OMISSIS) e lesioni personali a (OMISSIS). 2. La Corte di Appello confermava il giudizio di responsabilita' a carico della (OMISSIS) ponendo in rilievo la posizione di garanzia da questi assunta come proprietaria dell'immobile, gravata dell'obbligo di manutenzione periodica dell'impianto termico posto a servizio del fabbricato, evidenziando l'obsolescenza della caldaia e il suo non corretto funzionamento, testimoniato dallo stato del bruciatore e del condotto che adduceva alla canna fumaria, la mancata manutenzione periodica a fronte della mancanza di un libretto del sistema termico e della inverosimiglianza delle dichiarazioni del testimone che si assumeva incaricato dalla proprietaria all'adempimento degli obblighi manutentivi che ne aveva affermato l'assolvimento, la non corretta fuoriuscita dei fumi dal comignolo in ragione dell'ostruzione rappresentata dalla retina posta all'interno del comignolo e, in relazione alle lesioni riscontrate all'interno del condotto murario la omessa verifica, anche mediante video riprese, della corretta fuoriuscita dei fumi. 2.1 Sotto il profilo causale escludeva che la particolare umidita', che aveva contribuito ad aggravare l'ostruzione del colmo del camino e le lesioni riscontrate nella canna fumaria e nel controsoffitto e nelle pareti del fabbricato, che avevano consentito la dispersione dei fumi all'interno delle unita' abitative, avessero rilievo interruttivo del rapporto di causalita' in quanto, sotto un primo profilo si trattava di cause preesistenti e concomitanti la condotta omissiva della proprietaria dell'immobile e in secondo luogo perche' alla base dell'evento dannoso ricorreva un difetto di funzionamento della centrale termica che aveva determinato l'accumulo di fumi e di particolato all'interno della canna fumaria i quali, invece di fuoriuscire dal comignolo, ovvero di calare nel locale caldaia, in ragione di una serie di ragioni concomitanti, avevano colmato il condotto ed erano penetrati nelle unita' abitative poste al secondo piano del fabbricato. Riconosceva pertanto a tali situazioni concomitanti (ostruzione del particolato all'interno del condotto, lesioni strutturali all'interno della canna fumaria, lesioni nella parete e nel solaio dell'edificio) il ruolo di cause concorrenti inidonee a escludere il rapporto di causalita'. Quanto ai profili colposi riconosceva la prevedibilita' in capo alla (OMISSIS) dell'evento infausto in ragione della grave violazione degli obblighi manutentivi, della obsolescenza della centrale termica, della omessa ispezione della canna fumaria e della mancata verifica del comignolo con riferimento alla corretta fuoriuscita dei fumi. 3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa di (OMISSIS) la quale ha articolato due motivi di ricorso. Con un primo motivo assume violazione di legge, anche in relazione alla valutazione della prova, in ordine alla sussistenza del rapporto eziologico ex articolo 40 e 41 c.p.. Assume in particolare che l'evento era stato determinato non gia' da un difetto di manutenzione della centrale termica ma da una serie di fattori imprevedibili connessi a fenomeni metereologici eccezionali, nonche' alle lesioni strutturali del fabbricato e dei conci della canna fumaria occasionati dal recente terremoto, che avevano determinato un rigurgito di monossido di carbonio all'interno delle due unita' abitative che presentavano fessurazioni nella parete. Tale ricostruzione degli eventi era del tutto coerente con gli esiti della perizia e con le dichiarazioni del perito rese nel contraddittorio delle parti e delineava gli anelli causali dell'evento in termini del tutto indipendenti rispetto ad un eventuale difetto di manutenzione della centrale termica, rappresentando al contrario la combinazione di una serie di cause sopravvenute da solo sufficienti a determinare il tragico evento. Con una seconda articolazione lamenta violazione di legge in relazione al riconoscimento dell'elemento soggettivo della colpa in capo all'imputata. Assume il ricorrente la impossibilita' per la proprietaria dell'immobile di conoscere e quindi prevedere ed evitare l'imprevedibile meccanismo concausale che aveva portato alla verificazione dell'evento, in quanto i difetti strutturali della canna fumaria in muratura e le ostruzioni al colmo del comignolo costituivano vizi occulti e comunque non prevedibili, la canna fumaria era risultata pulita e la prova dei fumi aveva escluso la concentrazione di valori anomali di monossido di carbonio al suo interno. Lamenta pertanto che era mancato da parte dei giudici di merito l'accertamento di un profilo di rimproverabilita' in concreto in capo alla proprietaria novantenne, che aveva delegato ad un proprio incaricato gli obblighi di manutenzione della caldaia e che non aveva avuto alcuna possibilita' di conoscere e di rimuovere la serie di fattori che avevano determinato l'infiltrazione del monossido negli appartamenti, tenuto conto che le fessurazioni delle pareti del fabbricato sfuggivano al proprio controllo e ai propri obblighi ripristinatori. CONSIDERATO IN DIRITTO In primo motivo di ricorso che assume violazione di legge e vizio motivazionale in punto di coretto accertamento del rapporto di causalita' tra il contestato difetto di manutenzione della centrale termica a servizio del fabbricato di proprieta' dell'imputata e la morte e le lesioni di alcuni conduttori per intossicazione da monossido di carbonio, risulta manifestamente infonda. Deve a tale proposito considerarsi che la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato l'imputata responsabile dei reati ascritti configurandosi quindi, nel caso che occupa, una c.d. "doppia conforme" di condanna, avendo entrambi i giudici di merito affermato la responsabilita' della (OMISSIS) e riconosciuto il rapporto di causalita' materiale tra la non corretta gestione dell'impianto termico e della manutenzione della canna fumaria rispetto al tragico evento. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione. Ulteriore conseguenza della "doppia conforme" di condanna e' che il vizio di travisamento della prova puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L. e altro, Rv. 27201801). Nessuna di queste condizioni appare ravvisabile nel caso in disamina in cui il ricorso, sotto l'apparenza del vizio motivazionale, pretende di asseverare, su alcuni punti specifici, una diversa valutazione del compendio probatorio, richiamando aspetti di merito non deducibili in sede di legittimita' e legittimare una ricostruzione alternativa della dinamica del sinistro, con particolare riferimento alle evidenze dello stato di manutenzione della centrale termica all'esito di perizia. 1.2 E' noto infatti che esulano dal numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimita' le doglianze che investano profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, che sono riservati alla cognizione del giudice di merito le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (sez. U. n. 930 del 13/12/1995 - dep. 1996, Clarke, Rv. 203428-01; sez. 4, n. 4842 del 2/12/2003, Elia e altri, Rv.229369). Piu' recentemente e' stato riconosciuto che ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o piu' premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o piu' ipotesi formulate dal giudice - conducenti ad esiti diversi - siano state poste a base del suo convincimento (sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv.281105) 2. Tanto chiarito, nel caso di specie, la Corte di Appello ha ricostruito la vicenda fattuale in modo logico e coerente, evidenziando in termini analitici tutti i passaggi salienti, in termini causali, che hanno determinato la verificazione del sinistro e operando la ricostruzione del sinistro in termini coerenti con le risultanze processuali evidenziando come la principale e genetica causa dell'evento lesivo fosse costituita dall'obsolescenza e dalla pessima manutenzione della centrale termica a servizio del fabbricato, la quale non era sottoposta ai regolari controlli dei fumi, bruciava in modo scorretto, tanto da presentare la camera di combustione e il raccordo con la canna fumaria completamente intasati dal particolato, priva della documentazione tecnica, neppure notificata al comune sebbene ne corresse l'obbligo fin dall'anno 1976, laddove la combustione irregolare aveva determinato la formazione di fumi e di particolato che non venivano regolarmente smaltiti attraverso la canna fumaria, sia in ragione degli ostacoli rappresentati dalla irregolarita' dei conci che la componevano e delle ostruzioni alla sommita' del comignolo. A fronte di tale deplorevole ed allarmante condizione di manutenzione della centrale termica, del condotto e della canna fumaria che ricadevano, direttamente o indirettamente sotto l'area di gestione del rischio dell'imputata, in termini assolutamente coerenti con la giurisprudenza di legittimita' i giudici di merito hanno riconosciuto agli altri elementi circostanziali concomitanti, che hanno contribuito a determinare l'ultimo anello causale del tragico epilogo, rilievo di fattori causali concorrenti, preesistenti e simultanei, inidonei a interrompere la serie causale innestata dal difetto di manutenzione, proprio in quanto si inserivano in tale eziogenesi e non determinavano un autonomo e indipendente sviluppo causale, del tutto eccezionale e imprevedibile che valeva a interrompere o a sostituirsi alla causa originaria (sez. 4, n. 1214 del 26/10/2005, Boscherini, Rv. Rv.233173; n. 3312 del 2/12/2016, Zarcone, Rv.Rv. 269001; n. 123 del 11/12/2018, Nastasi, Rv.274829; sez. 5 n. 18396 del 4/04/2022, Di Bernardo, rv.283216). 3. Infondato e' il secondo motivo di ricorso. Invero il giudice di appello ha correttamente motivato sulla ricorrenza dell'elemento soggettivo del reato evidenziando non solo che la ricorrente era titolare di una posizione di garanzia che le imponeva di governare il rischio connesso ad un malfunzionamento della caldaia, ma anche che l'evento che la regola cautelare violata mirava a prevenire risultava prevedibile ed evitabile secondo una valutazione operata in concreto ed ex ante e tenuto conto dei profili soggettivi della proprietaria (sez. 4, n. 21554 de15/05/2021, Zoccarato, Rv.281374; n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco e altro, Rv.273568). Invero in tema di delitti colposi, nel giudizio di "prevedibilita'", richiesto per la configurazione della colpa, va considerata anche la sola possibilita' per il soggetto di rappresentarsi una categoria di danni sia pure indistinta potenzialmente derivante dal suo agire, tale che avrebbe dovuto convincerlo ad astenersi o ad adottare piu' sicure regole di prevenzione: in altri termini, ai fini del giudizio di prevedibilita', deve aversi riguardo alla potenziale idoneita' della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione "ex ante" dell'evento dannoso, quale si e' concretamente verificato in tutta la sua gravita' ed estensione (sez. 4, n. 4675 del 16/05/2006, PG in proc.Bartalini, Rv.235660-01; Sez. Un. 38343 del 20/04/2014, Espenhahn, Rv.261106). 3.1 Invero nella specie, pure a fronte di una regola cautelare elastica, il giudice distrettuale ha fornito adeguata contezza che la totale inerzia manutentiva nella gestione della caldaia a servizio del fabbricato di sua proprieta', in assenza di poteri rappresentativi delegati e di puntuale verifica del bene (semmai era emerso dalle sommarie informazioni che gli allarmi forniti da un singolo episodio di manutenzione erano rimasti del tutto disattesi), aveva determinato uno stato di persistente pericolo sia in fase di produzione, che di smaltimento, dei fumi e delle tossiche esalazioni della combustione ad opera del bruciatore, aggravato dallo stato di manutenzione della canna fumaria e del comignolo, e che l'evento realizzatosi costituiva il precipitato di tale complessivo e gravissimo stato di incuria del servizio e di carenza di manutenzione e di vigilanza dei beni che lo erogavano, Se da un lato la condotta manutentiva era doverosa ed esigibile in capo alla (OMISSIS) quale espressione dei poteri propri del titolare della posizione di garanzia, le conseguenze di una totale e prolungata inerzia a tali obblighi e i rischi per la sicurezza del fabbricato cui l'impianto era a servizio e per la integrita' fisica delle persone che ne usufruivano, rientravano nella ordinaria prevedibilita' dell'agente modello, tenuto per legge o per contratto ad assicurarsi della funzionalita' e della regolarita' degli impianti e della dotazione e a garantire il buono stato dell'immobile e la incolumita' di coloro che occupavano le singole porzioni immobiliari. Invero la proprietaria dello stabile, con la propria inerzia e la relativa inosservanza agli obblighi scaturenti dalla posizione di garanzia di cui era titolare, si era posto nelle condizioni di incapacita' di "prevedere" il possibile esito infausto della sua carenza di cautele, di fatto abdicando a qualsiasi iniziativa prevenzionale, assumendo pertanto su di se' il rischio di un possibile (e certamente non eccezionale) avveramento dell'evento poi verificatosi (sez. 4, n. 26239 del 26/03/2013, Gharby, Rv.255695; n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e altri, Rv.248944). 4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATENA Rossella - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/03/2021 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SESSA RENATA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. BIRRITTERI LUIGI; Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' di tutti i ricorsi; udito il difensore: L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; L'avvocato (OMISSIS) si associa alle richieste del codifensore avv. (OMISSIS) riportandosi ai motivi di ricorso e insistendo per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. La vicenda oggetto di imputazione riguarda un complesso meccanismo doloso posto in essere in seno alla societa' cooperativa per azioni (OMISSIS) Soc. Coop. p.a. (da ora (OMISSIS)), dichiarata fallita il (OMISSIS), iscritta nell'elenco previsto dall'articolo 106 T.U.B., nell'apposita sezione di cui all'articolo 155, comma 4, del T.U.B., giacche' avente struttura giuridica e patrimoniale di (OMISSIS), c.d. (OMISSIS) minori (dunque scarsamente capitalizzata) che, secondo l'oggetto sociale e ai sensi del Decreto Legge n. 269 del 2003, articolo 13, comma 1, conv. L. n. 326 del 2003, era preposta allo svolgimento delle attivita' di garanzia collettiva dei fidi e servizi a essa connessi o strumentali, in via esclusiva e nel rispetto delle riserve di attivita' previste dalla legge, in particolare al prestito in via mutualistica e imprenditoriale di garanzie di primo grado, volte a favorire il finanziamento dei soci, piccole e medie imprese, da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario. La societa' poteva altresi' svolgere nei confronti delle imprese socie, le attivita' indicate nell'articolo 155, comma 4-quater T.U.B.. La societa', costituita il 25.2.2003 con la denominazione (OMISSIS) cooperativa, avente sede in (OMISSIS), con oggetto sociale lo svolgimento dell'attivita' di garanzia collettiva dei fidi, era stata trasformata in Soc. Coop. societa' per azioni il 21.10.2009, con contestuale trasferimento della sede in (OMISSIS), e l'assunzione della denominazione (OMISSIS). Dall'ottobre 2009 al novembre 2011 l'amministrazione era stata affidata a un CdA composto da (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che (OMISSIS). Il 9.11.2010 aveva assunto la carica (OMISSIS), il quale si era dimesso in data 25.7.2012. Dal 2009 la societa' si era dotata di un collegio sindacale rimasto in carica fino al fallimento. Il 21.4.2011 la sede era stata trasferita a (OMISSIS). Il fallimento e' stato dichiarato il (OMISSIS) dal Tribunale di Milano. Al momento del fallimento la societa' era inattiva da circa un anno, a causa della esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere in data 19.7.2012 per fatti similari oggetto di un processo parallelo avviato a (OMISSIS), che aveva visto il coinvolgimento dei medesimi imputati amministratori, evento a seguito del quale (OMISSIS) aveva rassegnato le dimissioni. Il procedimento in questione ha origine a seguito di una serie di accertamenti condotti dalla G.d.F. in merito all'attivita' svolta dalle societa' (OMISSIS) e (OMISSIS), societa' precedenti a (OMISSIS), alle quali sono state ascritte, in altro procedimento pendente presso gli uffici giudiziari romani, attivita' analoghe, e coi medesimi soggetti, di illecito rilascio di polizze fideiussorie. L'attivita' di (OMISSIS) era, secondo l'impostazione accusatoria, svolta innanzitutto in violazione di legge, in assenza dei requisiti normativamente previsti: ampiamente superata era la soglia di legge riguardo al volume di attivita' finanziaria di 75 milioni annui, di cui al Decreto Ministeriale n. 29 del 2009, articolo 15, a fronte di non idonea capacita' patrimoniale, superamento che avrebbe comportato l'iscrizione all'elenco speciale ex articolo 107 T. U. B. e l'assoggettamento della societa' ai controlli previsti; per di piu' le polizze erano emesse in favore di soggetti diversi dai soci e con riferimento a crediti vantati principalmente da enti pubblici, quali Equitalia, Agenzia delle Entrate ed enti ecclesiastici (mai banche), sicche' esercitando abusivamente attivita' finanziaria nei confronti del pubblico, si inducevano in errore i debitori garantiti e i creditori in favore dei quali le garanzie erano state emesse, i quali stipulavano le polizze nell'erronea convinzione della validita' e, soprattutto, della copertura delle stesse. Tale meccanismo illecito (di cui al capo A dell'imputazione) consiste nell'emissione di polizze fideiussorie per un ammontare complessivo superiore a 350 milioni di Euro di capitale garantito (circa 230 milioni per l'anno 2010 e 120 milioni per il 2011) stipulate nei confronti di terzi, anziche' in aiuto dei soci, atteso che i soggetti garantiti divenivano solo "formalmente" consociati al momento della stipula della fideiussione alla quale era allegato l'atto di adesione che prevedeva il pagamento di una quota associativa di Euro 250,00, che, peraltro, non necessariamente era versata. Esso era portato avanti attraverso due societa'/broker, (OMISSIS) e (OMISSIS) (societa' di capitali rispettivamente riconducibili a (OMISSIS), la prima, e a (OMISSIS), la seconda, in quanto il primo amministratore di fatto in luogo di quello formale, il cui ruolo era rivestito dalla figlia e il secondo amministratore unico e socio all'80% di (OMISSIS)) che fingevano da intermediarie rispetto a (OMISSIS) (formalmente amministrata, come detto, dapprima da (OMISSIS) e (OMISSIS) e poi da (OMISSIS)). Tali societa' avevano il compito di procacciare il cliente, tramite i broker locali distribuiti sul territorio nazionale, e di emettere la polizza a nome di (OMISSIS) e, per tale intermediazione percepivano provvigioni per un importo nettamente superiore a quello pattuito (superiore al 50% del valore dei premi) o comunque ritenuto del tutto incongruente con le cifre di mercato. Le provvigioni erano incassate con due differenti meccanismi: (OMISSIS) otteneva il pagamento della polizza e trasferiva l'intero importo a (OMISSIS) che poi "girava" al broker la commissione/provvigione; (OMISSIS), alla quale da contratto spettava il 30%, tratteneva, invece, l'intero ammontare del premio e trasferiva a (OMISSIS) solo la quota-parte al netto della provvigione; in entrambi i casi le somme ottenute dai broker erano nettamente superiori al dovuto. Tale, complessivo, sistematico modus operandi, unitamente ad altri comportamenti, quali il mancato versamento delle ritenute di sostituto d'imposta per l'anno 2010, secondo l'imputazione, convalidata nelle pronunce di merito, aveva dato vita a una serie di operazioni strettamente correlate tra loro che avevano condotto la societa' al fallimento. 1.1. Capi d'imputazione ascritti ai ricorrenti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle rispettive qualita', (OMISSIS) e (OMISSIS) anche quali amministratori di fatto di (OMISSIS): - (OMISSIS) - uno degli ideatori del meccanismo fraudolento - in qualita' di membro del consiglio di amministrazione dal 6.10.2009 al 9.11.2010 e in qualita' di amministratore di fatto ex articolo 2639 c.c. dal 9.11.2010 alla data del fallimento (qualita' desumibile dall'aver continuato a ingerirsi sistematicamente nella gestione della societa' fallita, dall'operare sui conti correnti della medesima e, in particolare, dal disporre di carta di debito/credito intestata alla societa' con la quale da aprile a novembre 2011 ancora effettuava operazioni e prelevamenti a carico della societa'); - (OMISSIS) in qualita' di consulente della societa' a partire dal 2010 e di amministratore unico ed effettivo dal 9.11.2010 al 25.07.2012 (data in cui rassegnava le dimissioni). (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di componenti del Comitato tecnico e del Comitato esecutivo di (OMISSIS), nonche' di collaboratori esterni della societa' mediante contratti di mandato con le societa' di brokeraggio agli stessi rispettivamente riconducibili, (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) in realta' agendo come amministratori di fatto della societa' (qualita' desumibile dalla loro ingerenza nella scelta di contraenti, dalla loro stabile e continuativa presenza negli uffici della societa', nonche' dal fatto che erano loro a decidere l'opportunita' e convenienza di stipulare le polizze e a dettarne contenuto e condizioni contrattuali), avendo ideato, realizzato e gestito il meccanismo illecito di rilascio delle fideiussioni oggetto di contestazione; A) bancarotta impropria, ai sensi dell'articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2 e articolo 219, per avere attraverso il meccanismo suindicato causato il fallimento della societa' (OMISSIS); B) bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, ai sensi dell'articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 1 in relazione alla L. Fall., articolo 216, comma 1 e articolo 219 perche', gli imputati, in concorso fra loro, operando coi ruoli ricoperti nelle societa', distraevano e comunque dissipavano il patrimonio di (OMISSIS) con le condotte di seguito indicate: - a favore di (OMISSIS), nel periodo di gennaio/agosto 2011, venivano distratte risorse finanziarie per il complessivo importo di Euro 531.390,00; - a favore di (OMISSIS), nel periodo gennaio/agosto 2011, venivano distratte risorse finanziarie per il complessivo importo di Euro 167.500,00; - a favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano distratte per mezzo della (OMISSIS) s.r.l., agli stessi riconducibile, gli importi incassati quale premio sulle polizze fideiussorie stipulate per conto di (OMISSIS), che avrebbero dovuto essere retrocesse alla fallita, per un importo complessivo di Euro 2.440.237,00; - a favore di (OMISSIS) venivano distratte, per mezzo della (OMISSIS) S.r.l. allo stesso riconducibile, provvigioni sulle polizze fideiussorie stipulate per conto di (OMISSIS) pari almeno al 50% dei premi versati dai contraenti, a fronte del 25% pattuito. In (OMISSIS), il (OMISSIS) (luogo e data di dichiarazione del fallimento); C) bancarotta fraudolenta documentale, articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 1, in relazione al Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 216, comma 1, n. 2), perche', in concorso fra loro, operando con le suindicate qualita', con lo scopo di procurare a se' un ingiusto profitto falsificavano in tutto o in parte i libri e le altee scritture contabili, e comunque le tenevano in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio della societa' e del movimento degli affari, e in particolare: 1. rettificavano continuamente e sistematicamente i rendiconti relativi alle polizze stipulate per conto di (OMISSIS) dai broker (OMISSIS) e (OMISSIS) e le correlate poste debitorie e creditizie, cosi' impedendo la tenuta di una completa ed aggiornata contabilita' sui movimenti dare/avere; 2. realizzavano un'operazione commerciale grazie alla quale il socio sovventore (OMISSIS) Ltd apportava un patrimonio costituito da titoli non quotati per un importo nominale di 10.000.000, 00 USD, laddove il valore dei suddetti titoli - inseriti nella contabilita' aziendale e rientranti nel patrimonio sociale - era inesistente; 3. ponevano in essere un meccanismo di creazione di fittizie poste debitorie della (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), tale da giustificare rimesse economiche nei confronti dei predetti e/o prelievi degli stessi; in particolare, a fronte di un credito della societa' verso i predetti al 30.12.2009 per Euro 170.000,00, nel corso del 2010 venivano contabilizzati diversi pagamenti con causale "Crediti prestito amministratore", per un ammontare complessivo di Euro 356.648,25, chiusi al 31.12.2010 con "giroconti compensazione" ed un debito verso i medesimi di Euro 121.521,76; inoltre, in data 20.12.2010, creavano artatamente la partita passiva definita "nota di rimessa per conto cliente" emessa dall'avv. (OMISSIS) in pari data a titolo di "somme ricevute per conto cliente (OMISSIS) dai sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), finalizzate alla transazione extragiudiziale della garanzia in escussione n. 5081/2010" per l'importo di Euro 600.000,00 simulando cosi' artatamente che i predetti avessero anticipato la somma dovuta da (OMISSIS) al creditore (OMISSIS) S.p.A. a seguito della escussione di tale polizza, garanzia in realta' non escussa; portando quindi in compensazione tace fittizio debito con i crediti vantati dalla societa' nei confronti dei predetti. 2. Con sentenza deliberata il 13.12.2018, il Tribunale di Milano, a seguito di giudizio ordinario, per quanto e' qui di interesse, riteneva responsabili per i reati loro ascritti e indicati gli odierni ricorrenti, che venivano condannati, negate le attenuanti generiche a tutti, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena principale di anni sei di reclusione, nonche' al risarcimento dei danni patrimoniali in favore della costituita parte civile "Fallimento (OMISSIS) s.c.p.a." da liquidarsi in separata sede, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 3.000.000,00, e (OMISSIS) alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione. 3. Investita delle impugnazioni degli imputati suindicati, la Corte di appello di Milano, con sentenza del 21/09/2015, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha rideterminato la pena inflitta a (OMISSIS), previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle contestati aggravanti, in anni cinque di reclusione; ha confermato nel resto il provvedimento impugnato. 4. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Milano propongono ricorso per cassazione gli imputati sopra indicati a mezzo dei propri difensori di fiducia. 5. Il ricorso proposto a firma dell'Avv. Prof. (OMISSIS) e dell'Avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) prospetta otto motivi. 5.1. Con il primo motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione per carenza e/o illogicita', nonche' travisamento probatorio, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2), articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 1), articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 2), per avere, la sentenza impugnata, affermato la responsabilita' del ricorrente per concorso nei reati di bancarotta impropria, bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, bancarotta fraudolenta documentale, sulla base della qualifica di amministratore di fatto. Pur dichiarando - a pag. 26 - l'erroneita' della premessa di un concorso in qualita' di extraneus contenuta nell'atto di appello, la pronuncia impugnata non chiarisce esplicitamente su quali indici sintomatici si fondi l'affermazione di responsabilita' del ricorrente a titolo di amministratore di fatto. Ed invero, la Corte sembra pervenire a tale risultato sulla base degli accertamenti e degli esiti delle indagini riportati a dibattimento dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS) (i quali avrebbero confermato il ruolo attivo e non marginale del ricorrente nella gestione societaria), limitandosi a richiamare sommariamente il capo A dell'imputazione (che collega la qualifica di amministratore di fatto a: l'ingerenza nella scelta dei contraenti; la stabile e continuativa presenza di (OMISSIS) negli uffici della societa'; il ruolo decisionale in ordine all'opportunita' e alla convenienza delle polizze). Evidenziato l'imprescindibile criterio di selezione per l'attribuibilita' della qualifica di amministratore di fatto posto dall'articolo 2639 c.c. consistente nell'individuazione di indici sintomatici di esercizio dei poteri gestori in modo continuativo e significativo, si ritiene che la sentenza impugnata, pretermesse le specifiche doglianze d'appello sul punto, abbia recepito le erronee deduzioni del Tribunale che ravvisava tali indici (oggetto di confutazione nei paragrafi successivi del presente motivo): nella condotta pretesamente distrattiva contestata dapprima come operazione dolosa al capo A e successivamente, in via autonoma, a capo 13; nell'asserita presenza dei broker presso gli uffici di (OMISSIS); nell'indimostrata partecipazione al Comitato tecnico; nell'intervento ai colloqui per l'assunzione di alcuni membri del personale amministrativo della fallita. Quanto al primo indice, si rileva che la presunta organizzazione di un meccanismo volto a drenare le risorse provenienti dalle polizze fideiussorie stipulate tramite il broker (OMISSIS) possa integrare una condotta distrattiva idonea a favorire un determinato soggetto, ma non un atto "ontologicamente" gestorio, dato che il meccanismo in questione si risolveva nella stipula di polizze attraverso broker che percepivano, secondo l'accusa, provvigioni insufficienti a consentire la prestazione di garanzia collettiva dei fidi. Evidente e' il vizio di motivazione e travisamento sul punto: i caratteri dell'attivita' di consulenza e brokeraggio non comportano i connotati tipici dell'attivita' di gestione e nemmeno la scelta del contraente, la conclusione delle polizze eia valutazione dei contenuti delle stesse. Una siffatta ricostruzione risulta smentita da una serie di prove orali acquisite a dibattimento; indi si richiamano le dichiarazioni dei testi ritenute univoche in ricorso nell'affermare l'estraneita' dell'attivita' dei broker, meri mandatari, e l'approvazione da parte degli amministratori di (OMISSIS) delle polizze (segnatamente quelle del Maresciallo (OMISSIS) (trascr. ud. 20.11.2017); delle dipendenti di (OMISSIS) (OMISSIS) (pag. 15 trascr. ud. 11.12.2017) e (OMISSIS) (pag. 20-21 trascr. ud. 11.12.2017); (OMISSIS) (pag. 11 trascr. ud. 28.03.2018); (OMISSIS) (pag. 13, 14 trascr. ud. 28.03.2018). Dalle evidenze richiamate emerge che: il ricorrente svolgeva esclusivamente l'attivita' di broker per il tramite della (OMISSIS) S.r.l. (societa' regolarmente iscritta all'albo dei mediatori creditizi), in, forza di regolare contratto di mandato sottoscritto con la fallita e attraverso la propria diffusa e articolare rete di agenti/brokers locali, procurava clientela alla (OMISSIS); le attivita' svolte dal (OMISSIS) mediante (OMISSIS) S.r.l. consistevano nel ricevere dai propri brokers/agenti, unitamente alla richiesta di fideiussione, tutti i documenti necessari all'istruttoria della pratica da presentare alla direzione (OMISSIS), nell'analizzare i bilanci delle aziende e la loro solvibilita' patrimoniale, individuare la tipologia della garanzia richiesta. Riguardo alla presenza del ricorrente negli uffici di (OMISSIS), si ritiene che questa sia stata valorizzata in sentenza - a pag. 27 - attraverso una singolare inversione dell'onere della prova, laddove la Corte, in violazione di legge e con motivazione illogica, desume l'indice sintomatico in questione dalla mancata spiegazione fornita dal ricorrente sul motivo della sua presenza in (OMISSIS). Si rileva che il dato in oggetto (l'unico tra quelli citati in sentenza astrattamente idoneo a identificare un indice di svolgimento di poteri gestori) si ponga in aperta frizione con la previsione di cui all'articolo 2639 c.c., che richiede la continuita' nell'esercizio di poteri tipici: in tale prospettiva la ritenuta "seppure occasionale presenza" negli uffici della fallita esclude che la circostanza possa validamente rilevare ai fini dell'amministrazione di fatto. A cio' si aggiunge come la sporadica frequentazione della societa' fosse giustificata in ragione del ruolo e dell'attivita' di broker svolta dal ricorrente che, come risulta dai documenti depositati, la svolgeva presso gli uffici di (OMISSIS) s.r.l. e non disponeva di alcun ufficio all'interno di (OMISSIS), potendo solo avvalersi eventualmente e occasionalmente, come tutti i brokers, di una stanza dove "appoggiarsi" (come si evince dalla testimonianza della Sig.ra (OMISSIS) a pag. 22 trascr. ud. 11.12.2017). Quanto al riferimento alla partecipazione al Comitato tecnico ed esecutivo organo la cui esistenza e' "incontestata" secondo la pronuncia impugnata ("come riferito da (OMISSIS) e (OMISSIS), riscontrato dalla curatela con il rinvenimento di libri, dato che assume rilievo fattuale utile a dare conto della creazione di un'articolazione amministrativa facente capo ai broker, destinata ad operare all'interno di (OMISSIS), pagina 27 sentenze impugnata) - si rileva la contraddittorieta' di tale argomentazione, posto che i libri asseritamente rinvenuti dal curatore non sono stati allegati alla relazione L. Fall., ex articolo 33 e non sono stati acquisiti analogamente ai relativi verbali (al fine di verificare la reale operativita' del supposto comitato); in realta', la Corte non si avvede della circostanza che i libri menzionati nella relazione, di fatto, afferiscono rispettivamente a un Comitato tecnico e a un Comitato esecutivo; sia la Corte che il Tribunale, tralasciano poi di considerare che la richiamata relazione L. Fall., ex articolo 33, riporta un organigramma che non contiene alcun riferimento ai citati Comitati. Con riferimento all'indice sintomatico dell'intervento del ricorrente in ordine ad alcune assunzioni di personale all'interno della fallita, si rileva che la Corte incorre in un evidente vizio motivazionale laddove lo ritiene sussistente illogicamente sulla base di una serie di elementi contradditori (la teste (OMISSIS) ha riferito sulla partecipazione del ricorrente al colloquio per l'assunzione in (OMISSIS) e non in (OMISSIS); e' lo stesso p.m. a dubitare dell'attendibilita' della dichiarante sul punto, avendo rilevato tramite contestazione, una divergenza rispetto a quanto affermato in sede di sommarie informazioni; la teste (OMISSIS) affermava di aver sostenuto un colloquio con vari soggetti, tra cui il ricorrente, in quanto si sarebbe occupata dell'emissione di polizze assicurative, dunque della fase istruttoria per la quale (OMISSIS), in qualita' di broker, forniva consulenza sicche' del tutto giustificata era la sua presenza al colloquio), pretermettendo una serie di testimonianze (tra cui quella del teste (OMISSIS)) che confermavano la mera presentazione da parte del (OMISSIS), mentre l'assunzione era rimessa agli effettivi amministratori. Dalla rassegna delle ragioni di incongruenza degli indici sintomatici individuati dalla Corte, deriva per la difesa, la conclusione che la qualifica di amministratore di fatto attribuita al (OMISSIS) e' meramente congetturale e vi si perviene, per un verso, in violazione di legge, laddove si pretende di identificare un atto di amministrazione nella conclusione di polizze asseritamente illegittime e di qualificare come gestoria una condotta ontologicamente ed obiettivamente diversa; e, per altro verso, travisando e comunque omettendo di motivare circa quelle testimonianze che hanno escluso la sussistenza di atti di esercizio della funzione di amministratore in capo al (OMISSIS). Pertanto e' da ritenere non emerso, ne' validamente motivato, lo svolgimento da parte di (OMISSIS), in modo continuativo, e per un apprezzabile periodo temporale, di atti di gestione suscettibili di essere considerati espressione dei poteri e delle funzioni tipicamente riservate all'amministratore di societa'. Sul punto, in assenza di adeguata motivazione ed essendo i criteri di ascrizione della responsabilita' ex articolo 2639 c.c. tipici dell'intraneus, non e' nemmeno possibile la riqualificazione della posizione del ricorrente in quella di concorrente extraneus nel delitto di bancarotta, sovrapponendo, confondendoli, il piano della gestione di fatto con quello del concorso di persone, poiche' l'affermazione di responsabilita' del concorrente estraneo postula l'esistenza di un accordo criminoso con il soggetto qualificato, di un contributo causale e della volonta' di concorrere alla realizzazione del fatto. Il discrimine tra le condotte, invero, poggia anche sull'elemento materiale del reato: il reato di bancarotta si caratterizza per il fatto che gli obblighi incombenti sui soggetti qualificati sono a tal punto collegati alla posizione ricoperta che la prova della responsabilita' si fonda anche sul mancato adempimento dei doveri, mentre il concorrente estraneo risponde a titolo di concorso nel reato proprio, secondo il generale modello di incriminazione delineato dall'articolo 110 c.p. e, pertanto, lo statuto probatorio richiede la puntuale dimostrazione dell'apporto morale e materiale, laddove, nel caso di specie, gli insufficienti elementi di prova per radicare la qualita' di amministratore in capo al (OMISSIS) non possono essere nemmeno utilizzati come prova della sua responsabilita' a titolo di concorso. 5.2. Con il secondo motivo, si deducono, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) violazione di legge penale e processuale in relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2), articoli 191, 234, 238 bis e 533 c.p.p., nonche' vizio di motivazione, travisamento probatorio e violazione del canone dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", per avere, la sentenza impugnata, affermato la responsabilita' del ricorrente per il delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose limitandosi a insufficienti considerazioni. Si contesta in particolare, la decisione della Corte - resa alle pag. da 26 a 28 - laddove, nel dichiarare "generica" la deduzione posta in appello in ordine alla mancanza di prova dell'esercizio di un'abusiva attivita' finanziaria, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, a fronte della corretta ricostruzione operata in primo grado, e' giunta a un risultato non corrispondente al compendio probatorio, senza adeguatamente motivare sull'esclusione della diversa soluzione difensiva prospettata, cosi' inficiando in modo determinante la tenuta logica e l'intera coerenza dell'apparato argomentativo. Riguardo all'esercizio abusivo dell'attivita' di prestazione di garanzia collettiva dei fidi, si evidenzia che, con l'atto di impugnazione, la difesa rimarcava l'origine e la tripartizione dei (OMISSIS) a seconda dell'attivita' concretamente svolta dall'intermediario, in banche di garanzia collettiva, (OMISSIS) iscritti nell'elenco speciale ex articolo 107 T.U.B. e i c.d. (OMISSIS) "minori", iscritti nella sezione dell'elenco generale di cui all'articolo 155, comma 4, del previgente T.U.B., nonche' l'obiettiva oscurita' dei testi normativi e la relativa stratificazione legislativa; scarsa chiarezza presumibile anche alla luce dell'intervento della Banca d'Italia atto a chiarire gli ambiti operativi dei (OMISSIS) minori, e della stessa disciplina introdotta successivamente con il Decreto Legislativo n. 141 del 2010, che ha previsto la possibilita' per i confidi, anche per quelli minori, di continuare a operare per un periodo transitorio in attesa dell'emanazione delle disposizioni attuative del titolo quinto del T.u.b. Tale obiettiva oscurita' avrebbe imposto alla sentenza gravata di motivare sui profili soggettivi di conoscenza della normativa, al di la' di ogni ragionevole dubbio, per poter qualificare l'attivita' svolta da (OMISSIS) in termini di operazione dolosa. Ne' la pronuncia impugnata e' stata in grado di motivare in termini logici in ordine all'efficienza causale del preteso esercizio abusivo rispetto al fallimento della societa', laddove, come attestato dalla pronuncia di primo grado a pag. 31, il dissesto della fallita non e' intervenuto a causa del tentativo di escutere le garanzie prestate (tanto piu' che il reato di bancarotta contestato e' reato di evento e non di mero pericolo, il che impone la dimostrazione del nesso di causalita'). In riferimento alla costituzione di un meccanismo societario e negoziale volto a drenare il denaro di (OMISSIS), poi, si evidenzia preliminarmente che dall'istruttoria dibattimentale e' emersa un'operativita' del ricorrente del tutto difforme da quella ipotizzata nella sentenza impugnata, in quanto le attivita' svolte da (OMISSIS) mediante (OMISSIS) S.r.l. (che consistevano - come indicato nel precedente motivo - nel ricevere dai propri brokers/agenti, unitamente alla richiesta di fideiussione, tutti i documenti necessari all'istruttoria della pratica, da presentare alla direzione di (OMISSIS); nell'analizzare i bilanci delle aziende e la loro solvibilita' e individuare la tipologia di fideiussione) comportavano la seguente procedura: la trasmissione' alla direzione di (OMISSIS) della richiesta di fideiussione per l'eventuale approvazione ed emissione della polizza e, in tal caso, sempre la medesima direzione inoltrava la bozza del contratto di fideiussione, per l'approvazione delle parti (cliente ed ente beneficiario) a (OMISSIS) che, a sua volta, nel caso di polizze intermediate, inviava il documento al broker richiedente. Se le parti accettavano la fideiussione, il broker/agente la indirizzava nuovamente a (OMISSIS) con l'ordine di emissione in originale sottoscritto dall'amministratore pro-tempore di (OMISSIS) per il suo perfezionamento. Tutte queste circostanze emergono dalle testimonianze di una serie di testi assunti in sede di istruttoria dibattimentale: il broker (OMISSIS) (pag. 10 trascr. ud. 29.03.2018); il dipendente di (OMISSIS) (OMISSIS) (pag. 14 trascr. ud. 29.03.2018); la dipendente di (OMISSIS) e poi collaboratrice di (OMISSIS) (OMISSIS) (pag. 6-8 trascr. ud. 11.12.2017); la dipendente di (OMISSIS) (OMISSIS) (pag. 25 trascr. ud. 11.12.2017). Trattasi di apporti dichiarativi del tutto pretermessi da entrambi i giudici di merito, i quali richiamano solo genericamente gli accertamenti e gli esiti delle indagini cosi' come riportati in dibattimento da (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali - secondo quanto affermato dalla sentenza impugnata a pag. 26 e s. - oltre a riferire dell'esistenza di pregressa attivita' investigativa concernente le altre sue societa' confidi, riferivano altresi' delle attivita' svolte direttamente, attraverso l'esame della documentazione. Mediante il solo riferimento alle testimonianze di (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte finisce per argomentare la sussistenza del pretese meccanismo criminoso attraverso gli esiti dell'attivita' di indagine connessa ad altre vicende giudiziarie, ancora pendenti e relative ad alcuni imputati, che nulla provano in ordine al delitto contestato e alla posizione del ricorrente, avvalendosi in definitiva del contributo conoscitivo di soggetti che non hanno compiuto accertamenti (cosi' il (OMISSIS), v. pag. 11 trascr. ud. 20.11.2017). Inoltre, le propalazioni rese da tali testi di accusa sono del tutto generiche nel delineare i contorni dell'indagine e la fondatezza delle accuse elevate nei confronti dei soggetti coinvolti (a sostegno, il Tribunale, a pag. 10 della pronuncia di primo grado evidenzia che il (OMISSIS) forniva indicazioni non specifiche). Si lamenta, dunque, che la torsione della descritta lecita attivita' di intermediazione a fini illeciti risulta affermata in via meramente congetturale, sulla scorta di prove orali sostanzialmente inconferenti nonche' dei contenuti dell'ordinanza di custodia cautelare adottata nell'ambito di procedimento dinanzi all'Autorita' giudiziaria romana, dalla quale si sono ricavati - come emerge a pag. 31 della sentenza impugnata - elementi conoscitivi ai fini della ricostruzione del fatto in violazione del divieto di utilizzabilita' di cui agli articoli 191, 234 e 238-bis c.p.p.. - Altresi' si contesta che ulteriori elementi dimostrativi dell'illecita attivita' ipotizzata non sono desumibili, come, invece, ritenuto in sentenza con motivazione del tutto illogica, dall'entita' dei premi trattenuti, dato che la documentazione depositata in sede dibattimentale (p.es. l'incarico di collaborazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) s.a.s che prevedeva che a compenso dell'attivita' sarebbe stata corrisposta dalla societa' mandante provvigione calcolata in parte sui premi lordi e in parte sui premi retti) conferma la piena liceita' del rapporto negoziale tra il ricorrente e la fallita e con altri consorzi: gli accordi prevedevano, infatti, il trattenimento della percentuale da parte del broker, per riversare al netto della provvigione il premio alla (OMISSIS) che, a sua volta, tratteneva il netto della provvigione e riversava il residuo a (OMISSIS). Ad ulteriore conferma della trasparenza dei rapporti commerciali intercorsi e della correttezza del ricorrente, si e' anche fornita documentazione comprovante il mancato perfezionamento di richieste di fideiussione per Euro 203.513,00 e la relativa detrazione. A cio' si aggiunga che dall'istruttoria dibattimentale sono emerse differenze in dare e avere di modesta entita' rispetto a quelle congetturalmente e induttivamente indicate dalla G.d.f. e dalla curatela: dalla contabilita' di (OMISSIS), depositata in atti, si evince la natura della rete di broker e collaboratori di cui la stessa si avvaleva, l'entita' degli importi corrisposti, nonche' il regolare assolvimento delle obbligazioni connesse all'attivita' di intermediazione dei brokers, sottoposti al pagamento di tutte le provvigioni, e degli oneri fiscali e contributivi relativi alla propria attivita' d'impresa. Pertanto, in tale contesto, in cui non e' emersa prova di alcun accordo criminoso, alcun rilievo poteva essere mosso alla libera contrattazione delle provvigioni avvenuta tra (OMISSIS) e la societa' di brokeraggio, in quanto si e' trattato di normali rapporti commerciali e partite contabili tra le due societa'. Tuttavia, anche riguardo alla regolarita' contabile di (OMISSIS), si evidenzia una motivazione parzialmente omessa e illogica, non aderente alle emergenze dibattimentali, laddove la Corte - a pag. 27 e s. - si limita a rilevare degli scostamenti comprovanti la patologica stratificazione del debito e l'assenza di qualsivoglia iniziativa volta a dare corpo alla prospettiva di un inadempimento dovuto a ritardo nella esecuzione delle rimesse, e cio' senza neppure considerare la restituzione operata degli atti di fideiussione non accettati dai beneficiari. Riguardo, poi, all'entita' delle percentuali percepite da (OMISSIS) e dagli agenti segnalatori, emerge vizio motivazionale laddove la Corte contraddice il dato emerso dalla documentazione versata in atti e afferma - a pag. 28 - che la percentuale riconosciuta ai broker da (OMISSIS) era da calcolarsi sull'importo incassato da (OMISSIS), senza che potessero addossarsi oneri e spese proprie della societa' di brokeraggio con duplicazione delle poste passive, affermazione diversa - e dunque passibile di ingenerare un dubbio ragionevole - da quella indicata dal Tribunale che a pag. 64 della pronuncia di primo grado - riteneva che l'ammontare della provvigione fosse calcolato, in alcuni casi, sul valore nazionale, dunque sull'importo nominale complessivo, e non sul premio, della singola operazione. La Corte, inoltre, omette di motivare in ordine alla spiegazione alternativa fornita con note difensive depositate all'udienza dell'11.12.2018, secondo la quale il ricorrente ha apportato al patrimonio della fallita ingenti risorse anche al netto delle provvigioni incassate, determinando un vantaggio competitivo per (OMISSIS)" derivante dalla collaborazione con un broker che vantava un'articolata rete di collaboratori come (OMISSIS); e fornisce motivazione illogica, finendo con l'assumere l'assenza di fondamenta economico di tutte quelle operazioni incentrate sul guadagno promanante dal maggior numero di vendite, a fronte di una consistente riduzione dei prezzi, come nel caso di specie, in cui l'intervento del ricorrente consentiva di accedere a piu' operazioni al netto di provvigioni piu' consistenti. Alla luce di tutti i vizi motivazionali richiamati, si rileva la violazione del canone previsto ai sensi dell'articolo 533 c.p.p., comma 2, poiche', come gia' segnalato in precedenza, manca, nella pronuncia impugnata, il benche' minimo riscontro in motivazione in ordine alle prospettazioni alternative che, fondate sulla documentazione depositata, attestano spiegazioni diverse del meccanismo asseritamente illecito che il giudice di merito doveva sottoporre a vaglio non solo logico, ma anche sotto il profilo della ragionevolezza del dubbio, anziche' giungere a un riscontro dell'ipotesi accusatoria basato su inferenze collegate a generiche massime di esperienza che portano a una conclusione completamente disancorata dal dato probatorio. Infine, in riferimento al segmento di condotta relativo all'asserita creazione di polizze invalide e all'omesso versamento delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti per il periodo di imposta 2010, si riscontra un deficit motivazionale, segnatamente, riguardo all'omessa spiegazione dell'efficienza eziologica di tali comportamenti rispetto alla determinazione del fallimento. Quanto alla stipula di polizze invalide, la Corte non motiva neanche implicitamente sull'idoneita' della condotta a cagionare l'evento, nonostante la conclusione di polizze asseritamente invalide abbia comunque comportato l'acquisizione di risorse in capo a (OMISSIS) e, pertanto, era necessario determinare la prevedibilita' dell'evento circa l'attitudine di tale segmento della condotta a cagionare il fallimento del consorzio. In termini del tutto analoghi; si evidenzia la carenza argomentativa riguardo all'omesso versamento delle ritenute che la Corte - a pag. 23 - ritiene sia da valutare in funzione coordinata con le altre attivita' che contribuiscono a delineare la complessita' della condotta rilevante ai sensi della L. Fall., articolo 223: ove si consideri che, di per se', la condotta in esame non risulta depauperativa del patrimonio sociale, la sentenza impugnata avrebbe dovuto indicare le ragioni della pretesa efficienza causale rispetto alla determinazione del fallimento, posto che, riguardo alla fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2), il fallimento della societa' assume il ruolo di evento che deve conseguire causalmente alla condotta tipica, consistente nell'operazione dolosa del soggetto attivo. Alle medesime conclusioni, la difesa perviene quanto alla riconducibilita' delle operazioni in esame al ricorrente poiche' la pronuncia impugnata non chiarisce quale sia l'apporto causale del (OMISSIS) rispetto a tali segmenti dell'addebito, non indicando in virtu' di quali prove e di quali divisamenti con i concorrenti sarebbe a lui ascrivibile l'omesso versamento delle ritenute. Si rileva complessivamente un irrimediabile deficit motivazionale in ordine alla sussistenza del peculiare modulo di aggressione del bene giuridico che caratterizza la fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2) in quanto, nel caso di specie, si e' al cospetto di un'unica asserita condotta distrattiva astrattamente idonea a cagionare il dissesto dell'impresa e, rispetto alle altre ulteriori condotte contestate, la Corte non assolve al proprio onere motivazionale, non esplicitando ne' l'apporto della singola operazione rispetto alta determinazione dell'evento, ne' la sua riconducibilita' al (OMISSIS). 5.3. Con il terzo motivo si deducono violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2), articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 1), per avere, la sentenza impugnata, affermato la responsabilita' dell'imputato per il delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose e di bancarotta per distrazione in violazione della legge penale, con conseguente duplicazione degli addebiti in ordine alla medesima condotta. Si rileva, ulteriormente, rispetto al motivo precedente, l'erronea applicazione della legge penale laddove, la pronuncia impugnata, - a pag. 23 e s. - afferma che nel caso di specie ricorra il concorso materiale tra i due reati in argomento. In assenza di prova e motivazione adeguata in ordine a un'articolazione di operazioni dolose, nel caso di specie, si e' al cospetto di un astratto concorso formale tra delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta fraudolenta impropria, che l'organo nomofilattico ritiene non configurabile, posto che il delitto di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2 deve considerarsi assorbito nel primo quando l'azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta. A tal proposito, si evidenzia che, peraltro, la giurisprudenza ha ulteriormente precisato che detto assorbimento sia collegato alla contestazione dei due reati "in relazione alla medesima procedura fallimentare" in quanto, per acquisire autonoma rilevanza penale ai fini della configurabilita' del reato di bancarotta impropria, le operazioni dolose devono consistere in fatti diversi da quelli contestati nell'imputazione di bancarotta fraudolenta, indagine non compiuta dal giudice di merito, quale ha verificato separatamente la sussumibilita' della fattispecie nelle due diverse ipotesi delittuose, senza compiutamente interrogarsi e adeguatamente motivare sull'effettiva autonomia delle condotte. 5.4. Con il quarto motivo si deducono violazione di legge e vizio di omessa e illogica motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 1) per avere, la sentenza impugnata, affermato la responsabilita' dell'imputato per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione delle somme corrisposte a titolo di premio. Si censura la sentenza impugnata per i medesimi vizi motivazionali rilevati nel secondo motivo di ricorso; in particolare laddove la Corte - a pag. 29 - ritiene, immotivatamente, "risibile" l'allegazione della percentuale delle provvigioni che tenesse conto anche delle provvigioni e oneri fiscali connessi all'attivita' d'impresa e - a pag. 28 - "pretestuoso" il rilievo che le condotte distrattive siano state accertate sulla scorta di una ricostruzione effettuata dalla curatela non attendibile sulla scorta della contabilita'. Si osserva che, come eccepito in appello, contrariamente a quanto affermato in sentenza, il ricorrente ha dimostrato, mediante i deposito dei contratti di collaborazione intercorsi con altri consorzi (doc. n. 8, nota produzione del 22.09.2018), che le provvigioni maturate nell'ambito della relazione con (OMISSIS) fossero in linea con quelle degli ordinari rapporti commerciali nel settore di riferimento; nonche' come, a fronte dell'oggettiva difficolta' di ricavare l'esatto importo dalla contabilita' della fallita, la vicenda si ridurrebbe alla semplice verifica dei rapporti di dare e avere di carattere meramente civilistico, in quanto la (OMISSIS) ha sempre agito regolarmente (come risulta dalla correttezza dei suoi pagamenti e dalla sua contabilita'). Inoltre, si rileva che quand'anche il ricorrente-avesse avuto il proposito di distrarre a proprio vantaggio i premi spettanti alla fallita, si sarebbe dotato di struttura in grado di "schermare" i ricavi, omettendo di indicarli in maniera trasparente nella propria contabilita'. Inoltre, si rileva che la pronuncia impugnata omette di considerare la natura e la durata del rapporto commerciale intercorso tra la societa' di brokeraggio e la fallita, nel corso del quale ciclicamente potevano verificarsi degli scostamenti di dare e avere, pervenendo alla conclusioni raggiunta mediante un'analisi parziale della - peraltro inattendibile - contabilita' della fallita, ossia quella relativa al 2010 mancando quella del 2011, senza considerare che gli importi contestati sono stati desunti in via assolutamente presuntiva, indeterminata e indimostrata e, pertanto, in assenza di qualunque riscontro con la contabilita' correttamente tenuta da (OMISSIS). Quanto alle ulteriori condotte distrattive contestate al capo B), si registra un'omessa motivazione in ordine ai criteri di ascrivibilita' all'odierno ricorrente in quanto la sentenza si e' limitata a un generico richiamo alla fattispecie concorsuale anche laddove alle pag. 32 e 34 - ha ritenuto di argomentare nei confronti dei coimputati. Tali affermazioni della decisioni gravata, che muovo da inammissibili tendenze onnicomprensive tese a svuotare di significato la fattispecie concorsuale, si pongono in contrasto con la pronuncia a Sezioni Unite "Mannino". Posto che, riguardo al profilo dell'elemento soggettivo, i c.d. "contributi concorsuali" possono assumere connotati materiali (se si partecipa alla preparazione o esecuzione del reato) o morali (se si partecipa alla fase dell'ideazione del reato), distinzione che ruota attorno all'oggetto sul quale ha effetto la condotta partecipativi, si contesta l'omessa motivazione sul punto, in quanto l'imputazione a titolo di amministratore di fatto in concorso con altri soggetti non puo' avere l'effetto di deresponsabilizzare completamente il decidente dall'indicazione del concreto ruolo svolto dall'imputato nell'ambito della fattispecie ipotizzata. 5.5. Con il quinto motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 2) per avere, a sentenza impugnata, affermato la responsabilita' dell'imputato per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale in violazione della legge penale, previa motivazione omessa e illogica su punti decisivi della controversia, in particolare con riferimento al contributo causale apportato da ogni singolo compartecipe nel reato. La corte territoriale si limita, in buona sostanza, anche in tal caso ad ancorare la responsabilita' del ricorrente alla qualifica di amministratore di fatto, senza fornire il benche' minimo iter argomentativo riguardo alla posizione del ricorrente. Censurabile e' anche la richiamata motivazione resa dal Tribunale: si registrano una pluralita' di vizi che infirmano entrambe le pronunce di merito, ritenute - a pag. 16 della sentenza impugnata - un "unicum" organico e inscindibile dovuto alla loro reciproca integrazione. Anzitutto, non risulta chiarito se la condotta posta a base dell'affermazione di responsabilita' sia costituita dalla sottrazione distruzione o falsificazione dei libri e delle altre scritture contabili ovvero dalla tenuta irregolare della contabilita' tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e il movimento degli affari. Inoltre, dato che la sentenza del Tribunale - a pag. 35 ss. - ha ritenuto efficacemente dimostrata la falsificazione dei rendiconti relativi alle polizze stipulate per conto di (OMISSIS) dai broker, la falsificazione dell'apporto di 10 milioni di dollari mediante titoli non quotati da parte di (OMISSIS) e la falsificazione realizzata mediante la creazione fittizia di poste debitorie di (OMISSIS) nei confronti dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), e la pronuncia in grado di appello ha, invece, rilevato la mancata tenuta della ordinata rendicontazione, la non corretta tenuta della contabilita', si rileva una frontale contrapposizione tra le due pronunce di condanna che, seppur si saldino tra loro in ragione dell'asserita - a pag. 15 e s. - "doppia conforme", risultano contraddittorie sul punto e non consentono di comprendere se, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, il giudizio di responsabilita' si fondi sull'una o sull'altra fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 1. In sostanza, si censura la sentenza laddove sembra ritenere che l'omissione delle scritture contabili e l'irregolare tenuta siano condotte equipollenti, senza considerare che la disposizione citata contempla due fattispecie alternative e non sovrapponibili. Quanto alla rettificazione dei rendiconti relativi alle polizze stipulate da (OMISSIS) S.r.l. (segmento di condotta piu' apparentemente riferibile al ricorrente), si osserva l'illogicita' intrinseca della conclusione cui e' pervenuta la Corte di appello: la contabilita' del ricorrente, come noto (dalla produzione del documento all'ud. del 27.09.2018), non e' stata oggetto di rilievi di carattere tributario o penale. Tale circostanza si pone in frizione sia con addebito' relativo alla falsificazione delle scritture contabili della fallita, sia con la contestazione relativa all'irregolare tenuta della contabilita', in quanto risulta illogico che la Corte tragga la prova della condotta distrattiva dalla contabilita' di (OMISSIS), poiche' se 1i ricorrente avesse condiviso l'ipotizzato meccanismo fraudolento, avrebbe adeguato la propria contabilita' in modo tale da evitare scostamenti e divergenze tra la fallita eia propria societa' di brokeraggio. Del pari, si contesta che non e' stato spiegato con quali modalita' si sarebbe realizzato il concorso del ricorrente nella condotta in oggetto. Quanto all'attribuibilita' della presunta falsa patrimonializzazione, mediante l'appostazione del titolo apportato dal socio sovventore (OMISSIS), nonostante la stessa pronuncia gravata riconosca espressamente la paternita' dell'operazione ad altro imputato, seppur specificando che cio' non implichi l'estraneita' degli altri compartecipi, essa non spiega, pero', con evidente travisamento del risultato probatorio, le ragioni a fondamento dell'attribuzione di tale condotta al ricorrente, il quale non e' mai, neanche implicitamente, citato con riferimento alla vicenda dell'appostamento a bilancio del titolo (OMISSIS). Alle medesime conclusioni deve pervenirsi con riferimento alla creazione di fittizie poste debitorie di (OMISSIS) a beneficio dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), non risultando alcuna motivazione in ordine al contributo del ricorrente. 5.6. Con il sesto motivo (ricapitolativo) si deducono violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all'articolo 2639 c.c., articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2), articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 1), per avere, la sentenza impugnata, affermato la sussistenza dell'elemento psicologico dei reati contestati previa motivazione omessa, illogica e/o contraddittoria su punti decisivi della controversia. La decisione ha ritenuto provata la colpevolezza e la volontarieta' della condotta del ricorrente, a fronte di indizi tutt'altro che gravi, precisi e concordanti, attraverso percorsi implicitamente fondati su mere presunzioni e dati congetturali, senza tenere in considerazione la ricostruzione dei fatti offerta da (OMISSIS), logica, piu' verosimile e persuasiva, nonche' comprovata da documenti e testimonianze (nemmeno citati in sentenza). Quanto al delitto sub A), si richiamano le argomentazioni relative al presunto esercizio abusivo dell'attivita' di prestazione di garanzia collettiva dei fidi data l'obiettiva oscurita' dei testi normativi, la stratificazione legislativa e l'intervento chiarificatore di Banca d'Italia in proposito, dato che anche gli enti beneficiari coinvolti nell'attivita' di rilascio delle fideiussioni dubitavano che i (OMISSIS) minori potessero operare senza limiti. Si censura la contestazione a titolo di dolo riguardo al capo A) e si ritiene che, nel silenzio della pronuncia, deve presumersi che l'affermata, ma indimostrata, qualifica di amministratore di fatto abbia indotto il decidente a ritenere superato l'obbligo di motivare in ordine alla sussistenza del dolo. Tuttavia, tale dato assume particolare rilevanza nella misura in cui il delitto contestato e' reato di evento nel quale il dissesto e' determinato da un articolato insieme di condotte connotate dalla consapevolezza circa la natura dolosa dell'operazione e dall'astratta prevedibilita' del dissesto, elementi non provati nel caso di specie, poiche' da fondarsi su una cognizione di dati obiettivi e certi circa le condizioni della societa', sui quali fondare poi la prognosi (quantomeno) del depauperamento sociale, elemento su cui i giudici di merito non prendono alcuna posizione. Diversamente opinando, si perverrebbe a forme di responsabilita' colposa per reati colposi posto che non vi e' equiparazione tra la conoscibilita' e l'effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli. Quanto alla bancarotta per distrazione di cui al capo B), si ritiene che l'affermazione di responsabilita' risulta sostenuta da una motivazione meramente apparente: e' inconducente ai fini della prova del dolo il rilievo - a pag. 29 - per cui le condotte ascritte al ricorrente abbiano contribuito a erodere la garanzia patrimoniale della societa', in quanto non e' stato provato che, conoscendo le condizioni patrimoniali del consorzio, (OMISSIS) avrebbe potuto quantomeno rappresentarsi, con elevato grado di probabilita', il depauperamento dell'ente. A medesime conclusioni si deve pervenire censurando la motivazione, inidonea a sostenere il nesso di riferibilita' psicologica delle condotte con riferimento al delitto contestato al capo C), in quanto, avuto riguardo alla. falsificazione dell'apporto di 10 milioni di dollari mediante titoli non quotati da parte di (OMISSIS), anche a voler ritenere che (OMISSIS) vi avesse preso parte o ne fosse a conoscenza, sussisteva un sicuro elemento per ritenere che l'appostazione di bilancio fosse stata realizzata correttamente: risulta agli atti una certificazione del (OMISSIS) sul valore del titolo in questione (come riferito sul punto da Consulente Tecnico (OMISSIS), a pag. 10 del verbale trascr. Dell'udienza 12.04.2018), documento, la cui efficacia dimostrativa e' stata smentita in sentenza sulla scorta delle semplici dichiarazioni dell'Ufficiale di p.g. (OMISSIS), dalle quali si evince che, al di la' delle congetture degli inquirenti, e' mancato un contributo tecnico in ordine al valore del titolo in questione. Si aggiunge, inoltre, che, a fronte della segnalata alternativita' delle condotte che connotano la bancarotta documentale, a sentenza non chiarisce in quale forma si sia manifestato il dolo del ricorrente. Si evidenzia, infatti, che dalla lettura congiunta delle sentenza di merito emerge un certo disorientamento argomentativo in ordine alla condotta contestata nell'ambito del capo C), laddove le pronunce indicano a fondamento della penale responsabilita' fatti di falsificazione e fatti d'irregolare od omessa tenuta della contabilita' in modo del tutto indifferente. 5.7. li settimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all'articolo 110 c.p. e L. Fall., articolo 219 per avere, la sentenza impugnata, affermato la sussistenza delle aggravanti ivi contemplate in violazione di legge previa motivazione omessa. Si contesta la pronuncia impugnata laddove - a pag. 34 - si limita "a rilevare la proporzionalita' alla pluralita' e gravita' dei fatti illeciti e all'ingente danno cagionato degli aumenti operati per le aggravanti; la cui contestazione e', peraltro, incerta, in quanto ai capi di imputazione A) e 6) non si precisa a cosa si riferisce il richiamo della L. Fall., articolo 219 - se alla pluralita' dei fatti o al danno di rilevante gravita' L e al capo C) a norma non e' richiamata, ma le aggravanti sono riportate mediante le rispettive descrizioni. Quanto all'ipotesi di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 2 si richiamano le argomentazioni gia' svolte in ordine alla duplicazione degli addebiti rispetto a un'unica condotta, con conseguente violazione di legge. Con riferimento al danno patrimoniale di rilevante gravita', si rileva un evidente vizio di motivazione per omissione, nella misura in cui non risulta alcuna esplicitazione del danno che i creditori avrebbero patito; esplicitazione che sarebbe stata necessaria con riferimento a ciascuna delle ipotesi contestate; danno che deve essere accertato alla stregua dei parametri giurisprudenziali piu' volte indicati da questa Corte. Ne deriva che non e' dato comprendere sulla base di quale ricostruzione del patrimonio oggetto delle condotte ascritte possa affermarsi che i fatti contestati abbiano determinato un danno di rilevante consistenza. Tali carenze motivazionali, assumono, inoltre, ulteriore rilevanza in relazione alla fattispecie della bancarotta documentale in quanto, di la' della circostanza che secondo un orientamento di legittimita' reato in questione non e' configurabile in caso di bancarotta impropria, il decidente avrebbe dovuto considerare, e di conseguenza motivare, l'eventuale differenza che la falsificazione dei libri o delle scritture contabili ovvero la tenuta irregolare della contabilita', ha determinato sulla quota complessiva dell'attivo da ripartire tra i creditori, avendo riguardo al momento della consumazione del reato. 5.8. Con l'ottavo motivo si deducono violazione di legge penale e processuale, nonche' vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e), con riferimento agli articoli 62-bis, 132 e 133 c.p. e articoli 125, 546 c.p.p. per avere, la sentenza impugnata, confermato l'applicazione di una pena incongrua e il diniego delle attenuanti generiche, previa mancanza e/o mera apparenza della motivazione. Si contesta sul punto che la pronuncia impugnata giustifica la dosimetria della pena muovendo dalla gravita' del fatto, senza pronunciarsi, a differenza di quanto statuito nei confronti di altri coimputati, sui diniego delle circostanze ex articolo 62-bis c.p.. Si rileva, pertanto, un'evidente omissione motivazionale laddove la sentenza impugnata, al pari della pronuncia del Tribunale (a pag. 79 e s.) che fonda il diniego delle attenuanti generiche non solo sulla gravita' delle condotte, ma anche sul comportamento processuale serbato dal ricorrente, non si confronta con le deduzioni poste in appello e, riguardo alle spontanee dichiarazioni con finalita' difensive rese dal (OMISSIS), si limita a rilevare - a pag. 35 - la non apprezzabilita' del contributo del ricorrente e l'assenza di un atteggiamento di rivisitazione utile a dare conto di una presa di distanza. Sul punto si eccepisce che la correttezza del comportamento processuale sia dato di per se' valutabile ai fini della concessione delle attenuanti generiche, mentre l'esercizio di un diritto difensivo, costituzionalmente garantito, quale l'affermazione della propria estraneita' ai fatti contestati, costituisce un dato al piu' neutro in relazione al giudizio ex articolo 62-bis c.p., inidoneo a fondare il diniego. Cosi' opinando, inoltre, si esclude, apoditticamente e a prescindere da ogni reale valutazione della personalita', il valore di un elemento qual e' il corretto comportamento processuale che, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimita', contribuisce ad adeguare in concreto la pena al contributo del reo. Quanto alla richiesta di rideterminazione della pena, il richiamo alla gravita' della condotta (individuata a pag. 34 nella pretesa commissione dei fatti con modalita' insidiose e nell'ambito di un settore specifico presidiato da una normativa stringente) e' insufficiente posto che, di contro, non e' stata fornita alcuna motivazione in ordine alla ritenuta inefficacia degli elementi che avrebbero consentito un adeguamento della pena all'entita' dei fatti. Anche qualora dovesse tenersi fermo il giudizio di responsabilita' per i fatti contestati, non potrebbe non considerarsi la peculiarita' della vicenda processuale e l'oscurita' della normativa che si e' stratificata nel tempo in ordine all'attivita' dei (OMISSIS) c.d. minori, la regolare tenuta della contabilita' da parte di (OMISSIS) s.r.l. e la sua effettivita' e capacita' di accrescere, attraverso la propria intermediazione, il patrimonio della fallita; tutti elementi questi non considerati. Inoltre, la sentenza impugnata ha disatteso tanto l'insacrificabile principio costituzionale di rieducazione quanto la finalita' della pena, posto che, secondo la giurisprudenza di legittimita', la sanzione irrogata deve essere proporzionata, deve commisurarsi ai connotati di personalita' del singolo imputato. 6. Il ricorso proposto a firma dell'Avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) prospetta sei motivi. 6.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge processuale in relazione all'articolo 546 c.p.p., comma 2, nonche' la nullita' della sentenza ai sensi dell'articolo 181 c.p.p. poiche' la pronuncia impugnata depositata in data 14.06.2021 risulta sottoscritta dal consigliere estensore e dal Presidente Gamacchio Piero che, tuttavia, risulta messo in aspettativa per due mesi, dal mese di aprile 2021, per poi andare in pensione. A tal proposito, si osserva che, alla luce della previsione di cui all'articolo 546 c.p.p., comma 2, la concessione di un'aspettativa - che comporta l'esonero temporaneo delle funzioni - rientra certamente nel concetto di impedimento e, dunque, vi sarebbe una causa che non consente lo svolgimento delle funzioni e, pertanto, nel caso di specie, si sarebbe dovuto applicare il correttivo normativamente previsto dall'articolo 546 c.p.p., cosi' come intrepretato anche dalla giurisprudenza di legittimita', di dare atto dell'impedimento e far sottoscrivere la sentenza impugnata al consigliere piu' anziano. Pertanto, si eccepisce che a sentenza impugnata, sottoscritta dal giudice in aspettativa, e' da considerare priva della firma del Presidente e quindi affetta da nullita' collocabile nel novero della disciplina di cui all'articolo 181 c.p.p.. 6.2. Il secondo motivo deduce l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e/o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale i e il vizio di motivazione, in relazione alla qualificazione di amministratore di fatto e alle conseguenti responsabilita' penali attribuite al ricorrente, nonche' il travisamento probatorio e il difetto assoluto di motivazione per non essersi prese in considerazione le doglianze di appello decisive sul punto. Si contesta la carente motivazione resa dalla Corte territoriale laddove, a fronte di specifiche doglianze, soprattutto concernenti la rilevanza degli elementi probatori al fine di denotare la qualifica di amministratore di fatto, si limita a evidenziare, per punti schematici privi di un reale svolgimento - alle pag. 29-31, che il ruolo di amministratore di fatto di (OMISSIS) sia stato ricostruito dal Tribunale sulla base di elementi sintomatici quali: l'esistenza di un Comitato tecnico ed esecutivo di cui avrebbe fatto parte il ricorrente; a sua "presenza" durante un colloquio di lavoro fatto dalla testo (OMISSIS); il fatto che lo stesso avesse in uso una stanza in (OMISSIS) e che i dipendenti di (OMISSIS) facessero riferimento ai broker per la gestione delle polizze. Tali dati, meramente ripetitivi e sintetici di quanto argomentato dal Tribunale, vengono riaffermati senza tenersi conto delle deduzioni difensive e, in piu' punti, travisano le prove, e neppure si spiega la ragione per cui essi siano elementi sintomatici dell'inserimento organico dell'imputato con funzioni direttive. A tal proposito, si eccepisce che, ne' il Tribunale prima, ne' la Corte di appello poi, affrontano l'elemento centrale relativo al fatto che il ricorrente era un broker, la cui attivita' per definizione consisteva nel reperimento della clientela e nell'istruzione di pratiche da sottoporre all'amministratore del (OMISSIS), e che, alla luce dell'articolo 2639 c.c., che individua la nozione di amministratore di fatto attribuendo rilievo all'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri inerenti alla qualifica o alla funzione, quella del (OMISSIS) era attivita' diversa dalla diretta partecipazione alla gestione della societa'. La prova della posizione gestoria, implica si' l'accertamento di una serie di indici sintomatici, tipizzati dalla giurisprudenza, ma essi devono consistere in attivita' ben piu' significative rispetto a quelle ricondotte al ricorrente: nel caso di specie, vi e' solo lo svolgimento di attivita' istruttoria, anche in via continuativa, ma senza la facolta' di assumere decisioni sulle polizze (sottoposte all'amministratore di diritto). Riguardo ai singoli elementi ritenuti "sintomatici", appena richiamati e solamente accennati dalla Corte territoriale, poi, sono state disattese le seguenti critiche difensive: - quanto alla valorizzata partecipazione al comitato tecnico-esecutivo, laddove questo, secondo a stessa relazione L. Fall., ex articolo 33, aveva solo compiti operativi e non gestionali (affidabili a qualunque dipendente); - all'affermazione circa la sussistenza di "elementi utili a ritenere che la stessa emissione delle polizze non venisse gestita direttamente dagli amministratori di (OMISSIS)", che risulta completamente fuori dalle risultanze probatorie: il giudice di merito ha basato il proprio convincimento su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, in quanto tutti i testimoni ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) avevano precisato che il ricorrente, privo di autonomi poteri cli regia, si limitasse a visionare le proposte di fideiussioni che poi venivano sottoposte all'amministratore pro tempore. Inoltre, la Corte individua ulteriori elementi sintomatici nel contenuto di alcune testimonianze, operandone, pero', una lapidaria e stringata analisi che, in violazione dei criteri di valutazione di cui all'articolo 192 c.p.p., da una parte, omette totalmente gran parte del narrato e, dall'altra, estrapola parole dal contesto e, ancora, riporta circostanze completamente diverse: - la teste (OMISSIS) parlava della visione delle polizze da parte di (OMISSIS) - che si appoggiava in una stanza in (OMISSIS) - ma aggiungeva che essa veniva sottoposta al vaglio dell'amministratore; - la teste (OMISSIS), seppur dichiarando una conoscenza pregressa del ricorrente, non ha mai riferito che la fallita fosse riconducibile al ricorrente (mentre ha parlato di (OMISSIS) e (OMISSIS)), che era solo un broker che, peraltro, non operava sui conti della societa'; - la teste (OMISSIS), riferiva che (OMISSIS), in qualita' di broker, istruiva le pratiche e aveva necessita' di un ufficio di appoggio, ma l'atto veniva poi trasmesso ed emesso dall'amministratore. Oltre a non avvedersi che l'attivita' descritta e' propria di un broker, difettando la spiegazione delle ragioni per cui le concrete attivita' dispiegate siano riconducibili non a mansioni secondarie, proprie dell'attivita' di broker svolta, ma a una gestione sianificativa della societa', la sentenza impugnata risulta anche contraddittoria e manifestamente illogica laddove la Corte, a pag. 31, ritiene pacifico che l'ordinanza adottata nel processo romano non possa essere utilizzata come prova dei fatti in essa ricostruiti, ma, subito dopo, in relazione alla vicenda Geco Wolf, afferma che il riscontro alle dichiarazione dell'operante e' nelle investigazioni di cui v'e' traccia proprio in quella ordinanza di custodia cautelare. Pertanto, si contesta altresi' sul punto una palese violazione dell'articolo 234 c.p.p., e s.s. per inosservanza del canone interpretativo relativo alla inutilizzabilita' dei provvedimenti giudiziari non definitivi, cosi' come interpretato dalla pronuncia S.U. Mannino. Infine, si eccepisce che la Corte territoriale, sempre in modo alquanto laconico, inserisce alcune argomentazioni francamente incongruenti e manifestamente illogiche relative alle modalita' di incasso delle polizze e delle provvigioni, in quanto non e' dato comprendere come questi elementi probatori conducano alla attribuzione al (OMISSIS) della qualifica di, amministratore di fatto. 6.3. Con il terzo motivo si deduce l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonche' il vizio di motivazione sul punto dell'elemento soggettivo in relazione alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2). Si deduce altresi' violazione di legge processuale in relazione all'articolo 234 c.p.p. e articolo 178 c.p.p., lettera c) nonche' l'omessa considerazione delle doglianze decisive sul punto con conseguente vizio assoluto di motivazione ex articolo 125 c.p.p., comma 3. Premesso che, con il quarto motivo di appello, in contrasto con la motivazione resa dal Tribunale che prendeva in esame le singole operazioni dolose solo dal punto di vista oggettivo, la difesa aveva rappresentato che la condotta prevista dalla L. Fall., articolo 223, comma 2, ha come elemento caratteristico oggettivo il richiamo alla nozione di "operazione" che, comportando necessariamente un quid pluris rispetto a ogni singola azione, perche' postula una modalita' di pregiudizio patrimoniale discendente non direttamente dall'azione del soggetto attivo (distrazione, dissipazione ecc.) ma da una serie di fatti di maggiore complessita' strutturale, consistente in una pluralita' di atti coordinati verso l'esito, si evidenzia che tale connotazione ha necessariamente importanti conseguenze sull'elemento soggettivo; indi, si conclude che per ritenersi il dolo, deve esservi la consapevolezza e volonta' da parte del soggetto attivo delle azioni arrecanti pregiudizio nonche' l'astratta prevedibilita' dell'evento di dissesto. Si contesta, poi, che la Corte - a pag. 33 - con una precisazione completamente estranea a quanto sostenuto dalla difesa, afferma la riconducibilita' delle operazioni dolose al ricorrente e la ritiene accertata facendo riferimento alla nota n. 81 citata nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nell'altro procedimento in corso, atto non utilizzabile come prova a norma dell'articolo 234 c.p.p. in quanto l'ordinanza in questione puo' far prova che il (OMISSIS) sia imputato per alcuni reati, ma non prova della sussistenza di quei reati. Inoltre, come in primo grado, ne seguito della parte motiva, il focus e' sulle operazioni dolose, ma non sulla sussistenza dell'elemento soggettivo in capo al ricorrente che resta non accertato in concreto. 6.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione alla L. Fall., articolo 223, comma 1 e articolo 216, comma 1, n. 1) e vizio di motivazione con riferimento alla condotta distrattiva di cui al capo 6 e riguardo all'ordinanza con cui la Corte di Appello ha respinto la richiesta difensiva di acquisizione di documenti a fronte delle specifiche e articolate richieste avanzate dalla difesa nell'ottica di un riesame piu' compiuto delle prove emerse nel primo grado di giudizio. Si deduce altresi' l'inosservanza dell'articolo 603 c.p.p.. Premesso che il nucleo essenziale della vicenda e' l'ammontare esatto della provvigione versata al (OMISSIS), si contesta la conferma della penale responsabilita' del ricorrente per il capo B dell'imputazione, poiche' frutto di un apparato argomentativo carente e manifestamente illogico, in quanto la Corte non considera, come dedotto in appello, che dall'istruttoria dibattimentale emergeva pacificamente la presenza di subagenti, i quali, a loro volta, percepivano delle provvigioni e che, pertanto, era il totale delle due fatture (quella del (OMISSIS) e quella del subagente) pari al 50%, laddove la quota riferibile al (OMISSIS) rientrava nel tetto massimo del 25% ritenuto congruo dal Tribunale. Si eccepisce che, come la difesa chiedeva ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., la Corte avrebbe dovuto disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per acquisire la copia delle fatture emesse dai subagenti nel confronti della (OMISSIS), dalle quali sarebbe risultato confermato per tabulas come la provvigione effettiva nel (OMISSIS) fosse del 20-25%. Sul punto si lamenta la manifesta illogicita' dell'iter seguito dalla Corte territoriale - alle pag. 31 e ss. - perche', da un lato, da' per certo, senza che sia stata accertata, che la percentuale delle provvigioni sia pari al 50% e che l'incasso di essa fosse Illegittima distrazione e, dall'altro, quanto ella richiesta ex articolo 603 c.p.p. di acquisizione di documenti (che avrebbe potuto scardinare la pretesa veridicita' sulla consistenza delle provvigioni) la rigetta avanzando farraginose argomentazioni sulla inadeguatezza dell'importo che residuava al (OMISSIS). A tal proposito, si osserva che la vantaggiosita' o meno dell'operazione esula totalmente dalla contestazione formulata nei confronti del ricorrente: nel momento in cui viene fornita la prova che (OMISSIS) ha sempre percepito solo il 25% (perche' la restante parte era incassata dai subagenti), seppur l'operazione nel suo complesso potesse essere in astratto sconveniente per il (OMISSIS), il ricorrente non avrebbe posto in essere alcuna distrazione, poiche' egli non si sarebbe appropriato delle somme presuntivamente pagate e ritenute svantaggiose. Inoltre, non si comprende sulla base di quale dato contabile o di strategia aziendale la Corte abbia fornito tale giudizio di inadeguatezza dell'importo che percepiva il (OMISSIS) e, pertanto, si contesta che il ragionamento tradisce una confusione inaccettabile tra il concetto di distrazione (condotta per cui e' condanna) e quello di costi aziendali manifestamente imprudenti seppur resi per interessi della societa'. 6.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge penale in relazione alla L. Fall., articolo 223, comma 1 e articolo 216, comma 1, n. 1) nonche' vizio di motivazione con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo C, laddove, la Corte di appello, con argomentazioni astratte e asserzioni apodittiche e congetturali, non affronta due aspetti fondamentali sottoposti dalla difesa quali: il fatto che la condotta di rettifica dei rendiconti relativi alle polizze stipulate (l'unica direttamente coinvolgente il ricorrente, come riconosciuto anche dalla Corte territoriale) era rimasta priva di riscontro probatorio; posto che nel corso dell'istruttoria dibattimentale era emersa la carenza della documentazione e non la sua falsificazione; e il richiesto accertamento riguardo alla prova che la carenza dei rendiconti e delle scritture contabili fosse attribuibile al ricorrente, posto che il curatore, sentito a dibattimento, aveva affermato che la documentazione era tenuta malissimo, dato che la societa' aveva subito uno sfratto, tutto era stato posto in una cantina ed erano intervenuti piu' sequestri preventivi di contabilita'. Sui punto si contesta come incomprensibilmente la condotta in oggetto che per il Tribunale consisteva in una falsificazione, per la Corte diviene, con un abile sofisma, "la mancata tenuta della rendicontazione ordinata". Quanto al secondo aspetto sollevatosi eccepisce che l'impugnata sentenza avrebbe comunque dovuto spiegare e precisare le ragioni per le quali la carenza di documentazione fosse riconducibile a una condotta dolosa piuttosto che alle cause diverse aliene dagli imputati adombrate dal curatore nel corso della sua testimonianza. 6.6. Con il sesto motivo si deduce mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio laddove, la Corte di appello a pag. 35 - con un plesso motivazionale apodittico, di poche righe, fondato su affermazioni generiche e ridondanti oltre che disancorate da una base concreta, ha liquidato l'intera vicenda processuale del ricorrente senza nulla dire riguardo a quale sia a condotta antecedente ai fatti che depone per una caparbia prosecuzione di attivita' delinquenziali e da dove tragga a ritenuta professionalita' nell'illecito. Sul punto si evidenzia altresi' che, a parte di mere formule di stile, sia stata omessa la necessaria motivazione con specifica enunciazione dei criteri oggettivi e soggettivi di cui all'articolo 133 c.p. rilevanti, atta a giustificare una pena base per il reato ritenuto piu' grave superiore al minimo edittale. 7. Il ricorso proposto a firma dell'Avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) (gia' (OMISSIS)) prospetta quattro motivi. 7.1. Con il primo motivo, dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione al combinato disposto degli articoli 12, 16 c.p.p., articolo 54 c.p.p., comma 1, deduce l'erronea applicazione di legge in ordine alla connessione tra procedimenti quanto alla individuazione del reato piu' grave, ovvero a quello commesso per primo, nonche' l'illogicita' della motivazione in ordine alla legittimita' degli effetti conseguenti all'applicazione dell'articolo 16 c.p.p. nel caso di specie. Il fatto che il capo G dell'imputazione elevata nel procedimento penale romano non indichi la contestazione in fatto e/o in dirizzo della transnazionalita' non e' dirimente ad escludere che la competenza territoriale per connessione andasse correttamente individuata nell'autorita' giudiziaria romana. Indi, si riportano i capi d'imputazione oggetto del procedimento romano e si conclude che e' pertanto evidente il vincolo della continuazione esistente tra tutte le ipotesi di reato, inclusa quella oggetto del presente procedimento e, quindi, la ricorrenza della connessione tra i due procedimenti per l'unicita' del contesto e dei soggetti interessati ex articolo 12 c.p.p.; sicche', avrebbe dovuto considerarsi anche il reato associativo. Ove il criterio da applicare e' quello che vede in maniera peritane, in considerazione della medesima pena edittale, le due bancarotte, quella del capo A e quella del capo E del procedimento romano, si sarebbe dovuto, allora, ritenere competente per tutti i reati, anche per quelli romani, il giudice di Milano in virtu' della vis actractiva della connessione. 7.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, nonche' vizio di motivazione in relazione al combinato disposto dell'articolo 61-bis c.p. e articolo 16 c.p.p. quanto alla ritenuta Insussistenza dell'aggravante della transnazionalita' contestata in fatto al capo sub g) nel procedimento penale romano. 7.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al capo sub lettera a), quanto alla individuazione del ruolo di amministrazione di fatto in epoca successiva alle rassegnate dimissioni dalla carica gestionale formale, nonche' in ordine all'individuata rilevanza delle condotte svolte da consigliere di amministrazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, e, in particolare, alla consapevolezza di porre in essere condotte atte a determinare la decozione. Si deduce altresi' carenza di motivazione in ordine al dolo di distrazione avuto riguardo alle condotte di prestazione di garanzia collettiva di fidi in violazione dell'articolo 107 T.U.B.. 7.4. Con il quarto motivo si deduce l'erronea applicazione di norme e la carenza di motivazione in relazione al combinato disposto dell'articolo 69 c.p. e articolo 133 c.p., commi 1 e 2, quanto al trattamento sanzionatorio, lamentando in buona sostanza che le attenuanti generiche siano state riconosciute con giudizio di mera equivalenza. 8. Il ricorso proposto a firma dell'Avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) prospetta otto motivi. 8.1. Il primo motivo, al sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), deduce la violazione del disposto di cui all'articolo 525 c.p. nonche' l'illogicita' della motivazione in ordine al mancato accoglimento della questione di nullita' della sentenza di primo grado proposta ai sensi del predetto articolo del codice di rito. La Corte di appello, a pag. 15 della sentenza, ritiene "inconsistente" l'eccezione posta dalla difesa, che aveva evidenziato la nullita' della pronuncia di primo grado poiche' emessa in diversa composizione rispetto al collegio giudicante innanzi al quale era avvenuta l'intera istruttoria dibattimentale, posto che la motivazione della decisione risultava redatta da un giudice diverso e che non aveva preso parte ad alcuna udienza del dibattimento, la Dott.ssa Profumieri Federica. Per la difesa, non paiono in proposito rilevanti le affermazioni dalla Corte: ne' il fatto che il dispositivo sia stato letto alla presenza dei giudici che hanno celebrato l'istruttoria, in quanto da un punto vista puramente logico cio' non significa necessariamente che questi abbiano contribuito alla redazione della motivazione della sentenza, ne' che trattasi di errore materiale, in quanto gli errori materiali necessitano di correzione ai sensi dell'articolo 130 c.p.p., circostanza non verificatasi nel caso in esame. 8.2. Il secondo motivo deduce mancanza, illogicita' o contraddittorieta' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in ordine ai non considerati motivi di appello con cui si chiedeva l'assoluzione dell'imputato in ordine ai fatti di cui al capo A) dell'imputazione. I motivi di gravame avevano ad oggetto la materiale sussistenza dei fatti per cui si procede, la loro riferibilita' al ricorrente e la ricorrenza dell'elemento psicologico, e facevano, in particolare riferimento alla complessiva testimonianza "qualificata" del Dott. (OMISSIS), commercialista, la cui attendibilita' non e' stata in alcun modo messa in discussione; questi, in contrasto anche da un punto di vista puramente logico con la tesi accusatoria, all'udienza del 29.03.2018 (v. pag. 35), sottolineava, in sede di esame e controesame, come (OMISSIS) fosse sottodimensionata rispetto alla soglia del 75 milioni di Euro che determina la necessita' del passaggio al regime di cui all'articolo 107 T.U.B., passaggio per il quale egli era stato interpellato al fine di conferirgli mandato per realizzare la fusione della (OMISSIS) con altri consorzi, proprio con l'obiettivo di raggiungere il risultato dell'iscrizione nell'elenco di cui all'articolo 107. Con tale dichiarazione, si evidenzia che, di fatto, il (OMISSIS) "certifica" che gli organi della direzione della societa' non ritenevano di avere un giro di fideiussioni eccedente la soglia di legge, sicche' alla luce di essa avrebbe dovuto escludersi la fondatezza dell'impostazione accusatoria al riguardo. Sul punto si lamenta che la Corte di appello, inspiegabilmente, con una decisone superficiale e immotivata, non abbia considerato la testimonianza e si sia limitata a sottolineare l'irrilevante aspetto che il (OMISSIS) non ebbe mai conferimento di tale mandato. 8.3. Il terzo motivo deduce la mancanza, l'illogicita' o contraddittorieta' della motivazione in ordine alla richiesta posta in appello di assoluzione dell'imputato in ordine ai fatti di cui al capo A) perche' non costituenti reato, data l'oggettiva liceita' dell'attivita' prestata da (OMISSIS) e, dunque, l'assenza dell'elemento soggettivo. La difesa, come rilevato in appello, non condivide anzitutto l'affermazione del Tribunale per cui l'attivita' di, prestazione di garanzia svolta da (OMISSIS) fosse illegittima sulla base del fatto che i soggetti, fossero solo "formalmente" consociati, dato che la loro associazione interveniva, solo al momento della concessione della garanzia stessa, in quanto indifferente e' invece il momento associativo, non potendosi precludere al neo-consorziato di partecipare ad alimentare li fondo di dotazione consortile. Secondo aspetto contestato in sede di gravame e disatteso, riguardava il rilascio delle fideiussioni a soggetti "istituzionali" diversi dalle Banche, operazione preclusa a (OMISSIS) dato il mancato inserimento nell'elenco di cui all'articolo 107 T.U.B.. Sul punto, si richiamano (integralmente riportate nel ricorso) le note di udienza ritenute condivisibili, depositate in sede di chiusura del dibattimento dalla difesa di (OMISSIS), che, dopo aver ripercorso il ruolo, l'evoluzione (e stratificazione) normativa e l'operativita' dei (OMISSIS), contestano, citando anche la comunicazione di Banca d'Italia del 6.05.2009 a dimostrazione che gli stessi enti pubblici - in quel caso l'Agenzia delle Entrate di (OMISSIS) - chiedessero chiarimenti sulla possibilita' di accettare le fideiussioni da parte dei (OMISSIS) minori in seguito alle modifiche introdotte dalla legge finanziaria 244/2007, l'assente violazione dell'articolo 132 T.U.B. in quanto fondata su dichiarazioni apodittiche rese dal Curatore e dai verbalizzanti della G.d.F.. In merito, a parere della difese" data la contraddizione tra le norme del T.U.B. con le normative, successive, il Curatore non poteva dare indicazioni perentorie e definitive, a fronte peraltro di decisioni degli organi interessati dai contenziosi tutt'altro che univoche; e si cita al riguardo anche l'ulteriore normativa di cui al Decreto Legislativo n. 141 del 2010 che ha modificato la disciplina dei (OMISSIS) e ha introdotto una nuova forma di vigilanza per i (OMISSIS) minori, successivamente ulteriormente integrata anche con una disposizione transitoria. A tal proposito, si censura la motivazione resa dalla Corte sul punto, laddove, a pag. 21, supera la censura difensiva con poche righe richiamando la puntuale motivazione del giudice di primo grado che si' affronta e motiva l'incertezza normativa evidenziata, ma che non ne rileva la possibile incidenza, quanto meno, sul dolo. 8.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge processuale con riferimento alla contestazione di cui capo A pt. 3 lamentando la mancata declaratoria di nullita' in ragione della inesistente correlazione fra quanto ritenuto in sentenza e quanto contestato, nonche' la mancanza o illogicita' della motivazione in ordine alla questione di nullita' dedotta in appello. Si sottolineava come la condotta di cui al capo A pt. 3 attenesse, in contestazione, in maniera peraltro del tutto infondata, alla creazione e negoziazione di polizze invalide "perche' stipulate mediante riempimento abusivo di moduli preformati, o mediante moduli su cui era apposta una firma non identificabile, in ogni caso senza che (OMISSIS) ne incassasse il premio". Si lamenta che il Tribunale, conscio della debolezza della contestazione, ne mutava radicalmente i contorni con tale argomento, ravvisando In sentenza l'invalidita' delle polizze per motivi diversi da quelli descritti nell'imputazione: la condanna interveniva infatti perche' le polizze erano state emesse da soggetto non iscritto nel registro di cui all'articolo 107 T.U.B., non autorizzato al rilascio. Sul punto, la Corte di appello, risponde - a pag. 23 della sentenza impugnata - in termini del tutto generici, considerando come la presenza di polizze in bianco sia solo rafforzativa del quadro di illiceita' che poggia sulla circostanza che (OMISSIS) rilasciava polizze che non poteva rilasciare in base alle norme disciplinanti la materia. 8.5. Il quinto motivo deduce vizio di motivazione in ordine ai motivi di appello con cui si chiedeva l'assoluzione dell'imputato in ordine ai fatti di cui al capo 13. Si era lamentato che la condanna del ricorrente era stata fondata sul presupposto della sua carica formale, data l'assenza della prova della sua consapevolezza e del suo consenso alla fuoriuscita del denaro, posto che i pagamenti erano disposti direttamente dai coimputati e cosi' anche per le altre condotte ascritte a titolo di distrazione. La Corte di appello supera le doglianze difensive solo affermando, in maniera del tutto carente, la sussistenza della prova dei prelievi, delle dazioni di denaro o dei mancati pagamenti dei broker a vantaggio di (OMISSIS), senza nulla dire riguardo alle ragioni per cui il ricorrente avrebbe consapevolmente contribuito alla realizzazione di tali condotte antieconomiche per la societa', e cio' senza neppure considerare che nell'istruttoria e' tra l'altro emerso che (OMISSIS) si attivo' per vedere quale cifra fosse dovuta dai broker al fine di esigerne l'adempimento. 8.6. Con il sesto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al motivo di appello con cui si chiedeva l'assorbimento delle condotte contestate nel capo di imputazione A sub 2 all'interno del capo B riguardando esse il medesimo fatto storico; la Corte di appello - a pag. 24 - ha Invece erroneamente ritenuto configurabile un'ipotesi di concorso materiale in virtu' della autonomia dei comportamenti dolosi; ma cio' afferma senza indicare quali sono gli ulteriori comportamenti dolosi, rispetto alle distrazioni, che nel caso di specie avrebbero causato il fallimento. inoltre, come affermato in appello, si rileva l'insostenibilita' giuridica della decisione adottata dai giudici di merito al riguardo, in quanto trattasi di due fattispecie rispetto alle quali deve escludersi la configurabilita' del concorso formale, data la diversita' degli ambiti cui le stesse si rivolgono: la bancarotta fraudolenta patrimoniale mediante distrazioni e' reato di pericolo e prescinde dalla produzione del fallimento, diversamente dalla bancarotta impropria che configura, invece, un reato di evento e, come tale, concerne condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione, ma che devono porsi in nesso eziologico col fallimento. Pertanto, i due rati in questione, realizzano un chiaro esempio di progressione criminosa, la cui conseguenza inevitabile, in linea con il consolidato orientamento dl legittimita', e' che, ove si ritenga integrata la prima ipotesi di reato, la seconda e' da ritenersi assorbita. Ne deriva che le operazioni dolese, in quanto causa del dissesto, per acquisire autonoma rilevanza penale ai fini della configurabilita' del reato di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2 devono consistere in fatti diversi da quelli contestati nell'imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in termini tali da integrare un concorso materiale con questi ultimi; ma la sentenza nulla chiarisce al riguardo. Non diversamente deve concludersi con riferimento al capo di imputazione A sub 4, relativo all'omesso versamento di contributi e oneri fiscali che, come si evince dalla lettura a pag. 23 della sentenza impugnata, non e' condotta risultata di per se' idonea a causare il fallimento e che non integra quel carattere di autonomia ed eterogeneita' rispetto alle condotte distrattive tale da poter dar vita a un concorso di reati. 8.7. Con il settimo motivo si deduce il vizio di motivazione in ordine al motivi di appello con cui si era chiesta l'assoluzione dell'imputato in ordine ai fatti di cui ai capi A, B, C dell'imputazione per non aver commesso i fatti perche' gli stessi non costituiscono reato data l'incongruenza dell'utilizzo di alcuni esiti istruttori da parte del Tribunale circa la ritenuta partecipazione del ricorrente alle vicende criminose, gravame ritenuto, ingiustamente, approssimativo da parte della Corte. Nel contestare la motivazione della Corte, ritenuta lacunosa e talvolta non posta in termini ragionevolmente, convincenti, si riportano le ragioni difensive poste a base del gravame riguardo agli incongruenti utilizzi degli esiti istruttori operati dal Tribunale con riferimento: - alta ritenuta partecipazione di (OMISSIS) al complessivo disegno criminoso al di la' e in aggiunta rispetto alla carica societaria formalmente ricoperta, per essere egli stato amministratore non solo di (OMISSIS), ma anche delle altre due societa', (OMISSIS) e (OMISSIS), laddove nel procedimento romano, peraltro ancora in corso di svolgimento, e' invece emerso che egli non aveva alcun ruolo gestorio in (OMISSIS) e non e' stato imputato del-reato associativo, e che e' divenuto amministratore di (OMISSIS) ben dopo aver assunto la carica di (OMISSIS); sicche', le vicende processuali romane non possono essere utilizzate quale sorta di conferma o riscontro della responsabilita' penale di (OMISSIS) posto che in tali contesti egli e' ritenuto estraneo al presunto sodalizio criminoso contestato agli altri imputati; - alla perizia datata maggio 2020 rinvenuta in casa del ricorrente e apparentemente allo stesso riferibile, di cui (OMISSIS) ha sempre disconosciuto la paternita' - affermazione corroborata dalle dichiarazioni del teste d'accusa (OMISSIS) (che evidenzia come i tioli accademici indicati non corrispondano a quelli posseduti dal ricorrente) e da quelle del curatore (che evidenziava la mancata corresponsione di un compenso al ricorrente per la predisposizione della perizia); circostanze che avvalorano l'estraneita' di (OMISSIS) anche rispetto a tale perizia, di cui egli e' venuto a conoscenza solo in sede di perquisizione operata il 16.11.2011 nell'ambito del procedimento romano; - alla lettura delle trascrizioni inerenti all'esame delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS) dalle quali a differenza di quanto assumono i giudici di merito, non si puo' desumere il ruolo di amministratore di (OMISSIS) dei tre (OMISSIS), soprattutto riguardo alla terza societa' (la (OMISSIS)), rispetto alla quale nulla riferisce la teste (OMISSIS) e cio' che afferma (OMISSIS) sembra, anzi, proprio escludere (OMISSIS) da tale societa'; - alla partecipazione alla gestione di (OMISSIS) solo da novembre 2010 (e di (OMISSIS), all'interno del quale prima non operava, da maggio 2011); - al valore - gia' evidenziato - della deposizione resa dal commercialista (OMISSIS); - al dato probatorio, totalmente ignorato, secondo cui il ricorrente si e' posto in posizione critica e di frizione rispetto all'operato precedente al suo ingresso, come emerge dalle dichiarazioni rese dal teste Avv. (OMISSIS). In realta' (OMISSIS) non era a conoscenza del fatto che vi era stata la perquisizione a maggio 2010 presso le societa' riferibili a (OMISSIS) ed (OMISSIS), a seguito della quale il ruolo di amministratore di (OMISSIS) fu ceduto appunto' al ricorrente, il quale decise, quindi, di assumere l'incarico (come era solito fare dato il suo curriculum professionale) ritenendo di inserirsi in un contesto del tutto lecito ed interessante sotto il profilo del business. Come riassunto nell'esposto presentato dallo stesso (OMISSIS) in data 16 Aprile 2013, il ricorrente ha iniziato a percepire l'esistenza di qualche piccola problematica sul finire dell'estate del 2011 allorquando vi era un'iniziale tensione finanziaria in societa' ed allora egli ha iniziato a: sollecitare anche per iscritto coloro verso i quali la societa' vantava crediti, ivi compresi i broker invitati altresi' a fornire una rendicontazione precisa in modo da poter aver chiare le partite di debito e' credito. Tutti gli elementi evidenziati, fungono a parere della difesa, da' dimostrazione di come non fosse raggiunta la prova al di la' di oltre ogni ragionevole dubbio della ascrivibilita' dei fatti di cui ai capi di imputazione a), B) e C) all'imputato, anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo. 8.8. Con l'ottavo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio laddove, la Corte di appello, con riferimento alla richiesta riduzione della pena principale, anche a mezzo del riconoscimento delle circostanze attenuatiti generiche in considerazione dell'eterogeneita' delle condotte del ricorrente rispetto a quelle dei coimputati e della sua incensuratezza, non proferisce alcuna parola in ordine a tali fattori e tratta congiuntamente tutte le posizioni, senza tenere, in particolare, in nessun conto il fatto che (OMISSIS) si sia inserito in une realta' gia' in precedenza integralmente strutturata. Si lamenta che la Corte territoriale dimostri, ignorando i parametri di cui all'articolo 133 c.p., di non aver tenuto debitamente conto di tutti i criteri di commisurazione della pena, ne' di aver effettuato un giudizio individualizzato e rapportato all'effettiva gravita' dei fatti posti in essere dal ricorrente, la cui pena veniva, in concreto equiparata a quella dei coimputati e disposta, senza fornire un'effettiva motivazione a sostegno, al di sopra del minimo edittale. In particolare, si contesta la motivazione lacunosa ed evidentemente illogica resa dalla Corte laddove, con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, da un lato non tiene conto della circostanza per cui il ricorrente, gia' del corso della celebrazione del giudizio di primo grado, sottoscriveva ed eseguiva un accordo transattivo con la parte civile - Fallimento (OMISSIS), s.c.p.a., nella persona del curatore fallimentare - a fronte del quale la curatela provvedeva a revocare la costituzione di parte civile nei confronti di (OMISSIS) e, inspiegabilmente, da altro canto, giunge a conclusione totalmente opposta nei confronti dell'imputato (OMISSIS) (ove - a pag. 35 della sentenza - ne valorizza la condotta di devoluzione ad un'associazione no profit di un importo non risibile quale segno dell'avvio di un percorso di resipiscenza). 9. Con la memoria versata in atti, la difesa di (OMISSIS) ne ulteriormente illustrato le censure poste col primo, col secondo e con l'ottavo motivo di ricorso, nei punti inerenti, rispettivamente: l'inutilizzabilita' della relazione ex articolo 33 (.)nella parte in cui contiene le dichiarazioni dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), anche alla luce dell'interpretazione resa in sede comunitaria, con devoluzione in via subordinata di questione di incostituzionalita' degli articoli 62, 63, 64, 191, 195 e 526 c.p.p. in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Cost., nonche' in relazione all'articolo 6 CEDU, quale norma interposta, e agli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea; l'esercizio abusivo dell'attivita' di prestazione di garanzia collettiva dei fidi con riferimento al pronunciamento delle Sezioni Unite civili del 8.2.2022 n. 8472; la determinazione della pena. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi meritano tutti accoglimento, in virtu' dell'effetto estensivo di cui all'articolo 587 c.p.p., trattandosi, come si vedra' nell'esaminarli, di motivi di natura oggettiva e non esclusivamente personali, limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione di cui al capo b) - con riferimento alle sole condotte contestate come realizzate mediante la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. -, nonche' in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, e, in riferimento al solo (OMISSIS), anche rispetto al trattamento sanzionatorio. Nel resto i ricorsi sono inammissibili. A fronte della sentenza impugnata, che nella sua apparente sinteticita' ha, come poi si dira', fornito, nella maggior parte dei casi, risposte esaurienti e logiche alle questioni poste in appello, e qui pedissequamente riproposte, le difese - di la' dei rilievi specifici posti in relazione a ciascuna posizione - concordano, attraverso la comune impostazione di fondo, di critica della struttura portante della motivazione, nel ravvisare i profili di illegittimita' di cui la stessa sarebbe affetta, innanzitutto, nella mancanza di completezza e nell'illogicita', vizi che sono, invece, come emergera' nel corso della trattazione, palesemente insussistenti; sicche' i ricorsi si appalesano, oltre che aspecifici, anche manifestamente infondati. E', al riguardo, opportuno sin d'ora evidenziare che la corte territoriale, nel selezionare i passaggi logico-fattuali dell'articolata vicenda sottoposta al suo esame, ritenuti indispensabili nella dinamica funzionale delle risposte da rendere in relazione ai temi posti in appello, non si e' affatto sottratta al compito proprio del giudice di secondo grado, di vagliare criticamente cio' che e' stato statuito in primo grado alla luce di quanto si e' denunciato con l'atto di appello e non e' affatto incorsa nei vizi argomentativi denunciati - se non rispetto alle questioni per le quali si e' imposto l'annullamento con rinvio. Sicche', seppur vero che la sentenza impugnata ha fatto riferimento alla ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado, e' altrettanto vero eh" a fronte delle doglianze difensive ne ha vagliato autonomamente le componenti rispetto a ciascuna posizione. E' necessario, altresi', ricordare che la decisione di secondo grado non puo', peraltro, essere isolatamente valutata, decisione di secondo grado non puo', ma deve essere esaminata in stretta correlazione con la sentenza di primo grado, dal momento che la motivazione di entrambe sostanzialmente si dispiega in sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti (trattasi nel caso di specie di cd. doppia conforme). Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica non solo allorche' i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice, e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano, in tutto o in parte, riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare - come nella stragrande maggioranza dei casi nella vicenda in esame - circostanze gia' esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (cfr., tra le ultime, Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno, Rv. 259929 - 01). Ne consegue che sono inammissibili - di qui l'altro profilo di inammissibilita', nel caso di specie, dei ricorsi in scrutinio per aspecificita' - le censure rivolte alla sentenza di secondo grado, quando le stesse denuncino una mancata risposta a questioni gia' esaurientemente risolte dalla sentenza di primo grado e rispetto alle quali i motivi di appello non avevano offerto reali argomenti confutativi. Cio' posto si passa, qui di seguito, ad analizzare nello specifico ogni singolo ricorso. 2. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 2.1. Quanto al primo motivo, si osserva che leggendo gli atti oggetto di scrutinio, balza subito evidente come esso, di la' dei singoli vizi enunciati, che verranno comunque di seguito analizzati, non mostri, nel suo complesso, di confrontarsi adeguatamente con la sentenza impugnata che affronta approfonditamente il profilo della ritenuta sussistenza della qualifica di amministratore di fatto in capo a (OMISSIS), passando in rassegna le plurime emergenze processuali esistenti a sostegno, costituite anche dalle stesse testimonianze indicate dal ricorrente; testimonianze che questi pretende, peraltro, di rivalutare fornendo una lettura di esse del tutto frazionata e soggettiva; ma, di fatto, il ricorrente, nel tentativo di operare un ridimensionamento di quanto riferito dai testi, non considera neppure quelli che sono i parametri normativi e giurisprudenziali di riferimento in tema di amministrazione di fatto; di qui la inammissibilita' del motivo in tal modo impostato, che non solo implica (ri)valutazioni non consentite in sede di legittimita' ma dimostra anche di non commisurarsi in maniera adeguata coi principi affermati da questa Corte nella materia che ha inteso affrontare. Indi, al fine di cogliersi gli esatti contorni entro i quali vanno esaminate le censure mosse nell'interesse di (OMISSIS), e' opportuno indicare innanzitutto i principi che governano l'ambito di giudizio di questa Corte come ricavabili dal sistema e dalla conseguente enucleazione dei vizi deducibili in sede di legittimita'; alla luce di essi, la valutazione dei motivi proposti ha un esito tracciato dalle stesse modalita' propositive dei rilievi e dai loro contenuti esplicativi; di talche' l'analisi si dispieghera' necessariamente su entrambi i fronti posti nella dovuta correlazione: quello dei principi e quello del rispetto dei parametri di formulazione da parte delle censure formulate in ricorso; anticipandosi, sin d'ora, che, piu' in generale, l'esito e' stato in termini di inammissibilita' proprio perche' non risultano rispettati i criteri che danno alle doglianze esperibili in sede di legittimita' l'imprinting della verificabilita'; cio' nondimeno non si manchera' di evidenziare come la pronuncia impugnata - e prima ancora di essa quella di primo grado - abbia fatto corretta applicazione dei parametri normativi e giurisprudenziali che governano la qualificazione dell'amministratore di fatto nelle sue molteplici estrinsecazioni; circostanza che rende vieppiu' aspecifiche le deduzioni svolte in ricorso che, in definitiva, agganciandosi a monte a una errata impostazione in diritto, hanno finito col proporre una rivalutazione del fatto sterile, oltre che non proponibile nella presente sede. Il primo motivo, invero, in realta' non contesta, tanto, le attivita' attribuite a (OMISSIS), quanto piuttosto la qualifica che sulla base di esse e' stata ricostruita in capo al medesimo dai giudici di merito, assumendo che esse siano riconducibili al ruolo di broker dal medesimo svolto e non siano quindi sintomatiche di amministrazione di fatto ex articolo 2639 c.c.; contesta, pero', esso, le modalita' con cui i giudici ritengono che quelle attivita' siano state esercitate. Il motivo, attraverso la deduzione del vizio di motivazione e della violazione di legge, mira, in definitiva, alla rivalutazione del compendio probatorio, fornendo una riduttiva, inammissibile, lettura alternativa delle risultanze processuali; cio' in disparte il profilo della illegittimita' della utilizzazione delle dichiarazioni contenute nella relazione L. Fall., ex articolo 33, dedotta nella memoria difensiva, che stante la sua manifesta infondatezza non necessita di trattazione preliminare e sara' quindi esaminata nel prosieguo, potendosi anticipare sin d'ora che essa non e' in ogni caso idonea a scalfire la tenuta della complessiva ricostruzione di merito. 2.1.1. In particolare, sulla base di stralci di deposizioni di testi, si assume che sia manifesto il vizio di motivazione e la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice di merito - in particolare quello di primo grado per essere silente la sentenza di secondo grado sul punto - per avere lo stesso esteso i caratteri dell'attivita' di consulenza e brokeraggio fornita dal ricorrente, con evidente travisamento del risultato probatorio, fino a ricomprendervi la scelta del contraente, la conclusione delle polizze e la determinazione dei contenuti delle stesse, in evidente frizione con i dati emersi in sede di istruttoria dibattimentale. Il motivo si appalesa inammissibile in parte qua gia' per tale modalita' d'impostazione della doglianza, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che nel giudizio presso la Corte di cassazione non e' consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimita' un giudizio di fatto che non le compete. Sicche' sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, della motivazione, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento" (cfr., da ultimo, Cassazione, Sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747 e Cassazione, Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, O., Rv. 262965). Il ricorso evoca talora la figura del travisamento della prova ma in modo del tutto inappropriato, perche', come lo stesso svolgimento argomentativo dell'impugnazione conferma, a venire in rilievo nel discorso critico del ricorrente e' il "significato" di vari dati probatori, laddove, come e' noto, il vizio di "travisamento della prova" vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimita' alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370). Le censure del ricorrente, per un verso, investono esplicitamente il "significato" di dati probatori valorizzati dal giudice di merito, cosi' ricadendo in quell'erronea impostazione del "travisamento della prova" gia' messa in luce, mentre, per altro verso, nel soffermarsi su singole emergenze, perdono di vista il costrutto argomentativo complessivo della vicenda - in cui vanno collocate le azioni e i comportamenti dell'imputato oltre che quelle dei suoi correi - che, per la molteplicita' delle peculiarita' che lo contraddistinguono e delle concatenate e collegate implicazioni di cui e' intessuto, non consente quella valutazione atomistica e frammentaria di singoli aspetti in cui pure si e' risolta l'impostazione difensiva. E', invece, consentito dedurre il vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola e altri, Rv. 238215); laddove nel caso di specie, attraverso la non consentita parcellizzazione del materiale probatorio, intervenuta addirittura mediante diffusi richiami di estratti arbitrariamente selezionati del testimoniale, si propongono, di fatto, doglianze eminentemente di merito, che sollecitano una rivalutazione probatoria preclusa in sede di legittimita', sulla base di una, parimenti, non consentita, "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe', Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260, non potendo tra l'altro integrare il vizio di legittimita', come affermato costantemente da questa Corte, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali). La conforme valutazione dei giudici di merito, di primo e secondo grado, rimane, in definitiva, insindacabile in questa sede, non avendo il ricorrente fornito argomenti tali da evidenziare rilevanti e decisive illogicita' e/o contraddizioni nella motivazione. Difatti - e' solo il caso di aggiungere - laddove si lamenti la mancanza di rispondenza delle valutazioni compiute dal giudice di merito alle acquisizioni processuali, siffatta doglianza puo' essere dedotta in punto di motivazione tramite il vizio di travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti - e non meri stralci di essi - e sempre che la contraddittorieta' della motivazione rispetto ad essi sia percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006 - dep. 20/07/2006, Stojanovic, Rv. 23416701, Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006 - dep. 14/06/2006, Francia, Rv. 23409901); e tale operazione a maggior ragione s'impone allorquando, come nel caso di specie, il giudice di merito abbia fondato la propria valutazione anche proprio su quelle stesse prove che si assumono indicative, invece, di aspetti in contrasto con la ricostruzione recepita dal giudicante, difettando in tal caso, ab origine di decisivita' la censura che si limiti a selezionare cio' che e' rilevante secondo la propria prospettazione, trascurando non solo tutte le altre emergenze, ma innanzitutto anche gli ulteriori tasselli del complessivo contesto in cui si inseriscono le parti estrapolate ed offerte alla valutazione di legittimita' come in un mosaico diversamente ricomposto ma mancante di pezzi importanti. Non potrebbe, in altri termini, assumere di per se' rilievo la singola affermazione di un teste o di un imputato a fronte di una pluralita' di convergenti elementi che attestano un determinato svolgimento del fatto, soprattutto se avente ad oggetto unicamente un aspetto della vicenda di per se' non idoneo a stravolgere l'apparato argomentativo, ne', tanto meno, a insinuare un dubbio ragionevole sulla ricostruzione. Pertanto nel caso di specie si appalesa del tutto ultroneo il riferimento ai punti delle deposizioni dei testi citati in ricorso sulla base dei quali si assume possa ritenersi incrinata la ricostruzione accusatoria, trattandosi, all'evidenza, di singoli aspetti disgiunti non solo dai rispettivi contesti in cui risiedono ma anche dal piu' vasto panorama probatorio su cui si e' ricostruita la qualifica di amministratore di fatto del ricorrente; singoli aspetti che, estrapolati dai rispettivi contesti, vengono messi insieme e per cio' solo ritenuti idonei a suffragare l'ipotesi secondo cui il ruolo del (OMISSIS) si sarebbe esaurito nello svolgimento dell'attivita' di broker per il tramite di (OMISSIS) s.r.l. - societa' regolarmente iscritta all'albo dei mediatori creditizi - in forza di regolare contratto di mandato sottoscritto con la fallita come con altri (OMISSIS) operanti nel settore; laddove, secondo la sentenza impugnata, quel ruolo, che nel suo concreto atteggiarsi gia' lasciava trapelare ben altra estensione, correttamente inquadrate nel meccanismo delle dinamiche sviluppatesi intorno e attraverso la societa' (OMISSIS) e le correlate societa' di brokeraggio - una delle quali facente capo a (OMISSIS) - rimanda piuttosto alle sottese intese di fondo con gli altri imputati che permearono la complessiva, complessa, vicenda in scrutinio, imprimendo a questa il carattere dell'illiceita' e alla condotta del ricorrente il crisma della partecipazione ad una vera e propria gestione condivisa con gli altri imputati - della societa' (dai risvolti illeciti). I giudici di merito hanno piuttosto ricostruito che (OMISSIS), attraverso la propria diffusa e articolata rete di brokers locali procurava, si', clientela a (OMISSIS), ma nell'espletare il proprio mandato di broker, non si limitava, a differenza di quanto assume la difesa, a ricevere dai propri agenti, unitamente alla richiesta di fideiussione, tutti i documenti necessari all'istruttoria della pratica da presentare alla direzione di (OMISSIS), dal momento che si ingeriva anche nella scelta dei contraenti, valutando egli l'opportunita' e convenienza di stipulare le polizze e con quale contenuto e a quali condizioni contrattuali; e, cio' che maggiormente rileva ai fini che occupano, dalla complessiva ricostruzione dei giudici di merito emerge come soprattutto egli, d'intesa con gli altri, abbia inciso anche nelle scelte e decisioni di fondo assunte in relazione alla dinamiche societarie di (OMISSIS) che contribuirono al dissesto della societa'; costituisce invero uno dei cardini intorno al quale ruota l'impostazione accusatoria, recepita in sentenza, quello secondo cui solo formalmente la pratica veniva rimessa ai vertici societari per la valutazione di loro competenza, essendo essa di fatto demandata - sull'accordo coi correi - al vaglio dei broker, in particolare di (OMISSIS), che la valutavano sulla base di criteri che, alla verifica dei bilanci e della solvibilita' patrimoniale delle aziende richiedenti la fideiussione, anteponevano l'interesse alla massimizzazione delle pratiche perche' il loro lievitare avrebbe comportato maggiori introiti per tutti, in termini di premi e quindi anche di provvigioni. Gli evidenti limiti dell'impostazione difensiva non impediscono a questo Collegio di osservare, con angolo visuale circoscritto agli stessi argomenti esposti in ricorso, come, in realta', questo nell'indicare i comportamenti che si ascrivono pacificamente a (OMISSIS), finisca con il convenire su diversi degli aspetti che i giudici di merito pongono alla base della loro ricostruzione, la quale, in definitiva, diverge rispetto a quella della difesa solo in punto di valutazione del rilievo delle attivita' solte dall'imputato, che nell'ottica del ricorrente sarebbero pienamente lecite e nell'ottica dell'accusa non lo sono, promanando esse dalla stessa illecita organizzazione societaria a monte prestabilita. Cosi' con riferimento alle censure che attengono alla partecipazione di (OMISSIS) alla selezione del personale della fallita, avendo la stessa difesa, nel contestarne la significativita', non escluso tale circostanza sia pure riferendola al ruolo di broker del ricorrente (che avrebbe giustificato la sua presenza al colloquio con soggetto che si sarebbe occupato dell'emissione delle polizze). La stessa presenza dei broker - sia (OMISSIS) che (OMISSIS) - presso la sede sociale, non smentita dal ricorrente ma solo ridimensionata, e' pienamente compatibile non solo con il dato incontestato di uno spazio destinato ai due broker ove operare all'interno di (OMISSIS), a conforto dell'effettivo ruolo svolto come intranei alla societa' e non come meri consulenti esterni, ma anche con l'accertata esistenza del cd. comitato tecnico ed esecutivo operante presso la sede sociale; organo la cui esistenza e' provata, secondo la pronuncia impugnata, anche alla stregua delle dichiarazioni rese dagli stessi (OMISSIS) e (OMISSIS) - tacciate di inutilizzabilita' nella memoria suindicata - e di quanto descritto dal curatore nella relazione L. Fall., ex articolo 33 (il cui contenuto, in ricorso, e' messo in discussione dalla difesa sulla base del mero appunto della mancata allegazione alla relazione dei libri citati); in particolare, a pag. 27 della sentenza impugnata si da' atto della incontestata esistenza di una vera e propria articolazione amministrativa facente capo ai broker, operante all'interno di (OMISSIS). A ben vedere, dunque, la diversa lettura offerta dalla difesa si fonda in parte sulle medesime circostanze di fatto poste a base della ricostruzione accusatoria, che non sono quindi oggetto di contestazione difensiva (diversi sono gli aspetti non contestati dalle difese e di essi vi e' una puntuale evidenziazione gia' nella sentenza di primo grado) ma che vengono valutate in una prospettiva non solo diversa, ma anche parziale, oltre che infondata. Cosi', ad esempio, riguardo alla circostanza estrapolata dall'esame di (OMISSIS) che avrebbe ammesso la seppur occasionale presenza negli uffici della societa', evidenziata in ricorso al fine di eccepirsi "una singolare inversione dell'onere della prova" per avere la sentenza impugnata affermato che (OMISSIS) non avrebbe spiegato al riguardo, a che titolo cio' e' avvenuto, evidente e' la sua inconferenza se si considera la complessiva ricostruzione del ruolo di (OMISSIS) che non si fonda affatto solo su tale mancanza di giustificazione da parte dell'imputato, essendosi sulla base di ben altri elementi - emergenti anche dalle testimonianze - non sconfessati dalle parziali risultanze testimoniali ostese in ricorso, accertato che i due brokers, sia (OMISSIS) che (OMISSIS), avevano addirittura un proprio ufficio presso la sede di (OMISSIS) e che la loro presenza era tutt'altro che occasionale. Ne', a fronte del coacervo probatorio illustrato dai giudici di merito, potrebbe assumere rilievo disarticolante la divergenza evidenziata quanto al contributo che (OMISSIS) avrebbe dato rispetto all'assunzione di alcuni dipendenti, che la difesa - si ripete - sulla base di meri stralci di deposizioni testimoniale, pretende di ridimensionare degradandolo a mero input iniziale, ossia alla presentazione del lavoratore (senza peraltro considerare che anche un comportamento del genere puo' essere indicativo di un coinvolgimento nella societa', del titolo in base al quale si interloquisce in ordine a decisioni che implicano pur sempre delle scelte riflettentisi sull'organizzazione societaria). 2.1.2. Ne' potrebbe valere ad escludere la qualifica di amministratore la conclusione, cui giunge il motivo, secondo cui essa non sarebbe configurabile, non risultando dimostrata nel caso di specie la serie tipica di elementi sintomatici del ruolo gestorio di fatto, elencati nella pronuncia di questa corte, Sez. 5, n. 41793 del 17.6.2016, Rv. 26827 - quale ad esempio la delega ad operare sul conto corrente; tale asserzione non considera che gli indici rivelatori individuati in quella pronuncia non costituiscono ipotesi tipiche che devono necessariamente ricorrere tutte insieme affinche' possa desumersi il ruolo gestorio di fatto, ben potendo questo essere dimostrato anche attraverso altri aspetti ed elementi, purche' ovviamente parimenti significativi in tal senso; cio' che rileva e' piuttosto che gli elementi posti a base della affermazione di sussistenza di quel ruolo siano dotati di sintomaticita', siano cioe' sufficientemente indicativi della qualita' di fatto ricoperta; e nel caso di specie, secondo quanto ricostruiscono le conformi pronunce di merito, vi e' la pregnanza dell'ingerenza decisionale nello svolgimento dell'attivita' costituente l'oggetto societario - di prestazione di garanzie fideiussorie - che veniva distorta, anche proprio in virtu' delle scelte riconducibili all'imputato, in un'ottica meramente produttivistica ma non remunerativa per la societa' garante; nel puntare all'incremento delle partiche fideiussorie non si assicurava, infatti, un corrispondete incremento delle entrata nelle casse societarie di (OMISSIS), dal momento che il denaro ricavato dalla stipulazione dei contratti - i premi confluiva in (OMISSIS) in misura inferiore a quanto spettante, in quanto non proporzionata al rischio assunto dalla societa' con la stipulazione di quei contratti. Sicche' il motivo in scrutinio e' anche manifestamente infondato perche' sussiste ampia, congrua e logica motivazione in punto di ricostruzione degli elementi sintomatici dell'attivita' gestoria svolta dal ricorrente; ricostruzione che il giudice di merito, nelle conformi pronuncia di primo e secondo grado, ha operato in perfetta coerenza con il disposto normativo di cui all'articolo 2639 c.c. che si assume violato. In particolare, sulla base di una messe di elementi - dei quali si e' sopra offerto uno spaccato - la corte territoriale ha concluso - richiamando espressamente la pertinente giurisprudenza di questa Corte al riguardo - che e' evidente l'assunzione da parte di (OMISSIS) di poteri decisionali tali da configurare un ruolo di co-amministrazione di fatto della societa', per l'ingerenza in una rilevante parte delle scelte della societa', stanti la continuita' e significativita' dei poteri di gestione dell'impresa dal predetto assunti nel non modesto arco temporale in cui si e' dispiegata l'attivita' illecita in ordine alle soluzioni âEuroËœtecniche' da adottare che sconfinavano, piuttosto, in vere e proprie scelte e decisioni di tipo gestorio. Ne' alcun dubbio in diritto potrebbe residuare al riguardo, perche' secondo la costante giurisprudenza di questa Corte - la stessa richiamate nella pronuncia impugnata - la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'articolo 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significativita' e continuita' non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attivita' gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attivita' della societa', quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita', sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita', ove sostenuta - come nel caso di specie - da congrua e logica motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534 - 01); di talche' non necessita affatto, a differenza di quanto assume il ricorrente, che l'attivita' gestionale di fatto svolta investa la totalita' degli ambiti operativi e decisionali della societa', e cio' e' vieppiu' evidente nel caso di societa' di dimensioni medio-grandi contraddistinta da diverse figure e ruoli gestionali, laddove peraltro nel caso di specie la stipulazione delle polizze fideiussorie costituiva l'attivita' principale di (OMISSIS); sicche' indubbio e', secondo l'impostazione dei giudici di merito, il ruolo gestorio, preminente, svolto da (OMISSIS), sia sotto il profilo organizzativo che decisionale, che si inseriva nell'ambito di un vero e proprio "sistema" di stipulazione di polizze fideiussorie costituente in definitiva il core business della societa'. D'altronde in tema di reati fallimentari, la previsione di cui all'articolo 2639 c.c. non esclude che l'esercizio dei poteri o delle funzioni dell'amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l'esplicazione dell'attivita' di altri soggetti di diritto, i quali - in tempi successivi o anche contemporaneamente - esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, Rv. 279040 - 01); la gestione di fatto puo' esplicarsi anche in concomitanza di una silente amministrazione formale, che, come si dira' nel prosieguo, nel caso di specie era non meramente compiacente, ma pienamente partecipe del piano criminoso. 2.1.3.a) A tal punto della disamina, dal momento che con la memoria suindicata, si e' inteso contestare il ruolo del ricorrente anche attraverso l'eccezione di inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese al curatore dai coimputati, (OMISSIS) e (OMISSIS), posta dalla difesa per essere state quelle dichiarazioni rese nell'ambito di un procedimento in cui, sebbene di natura extra-penale, poteva presagirsi, secondo l'impostazione difensiva, il possibile rilievo penale di quanto si andava dichiarando, s'impongono delle precisazioni anche al riguardo. L'eccezione di inutilizzabilita' sollevata si muove nell'ottica della pronuncia della Corte di Giustizia Europea-Grande Sezione del 2.2.2021, nella causa C-481/19, espressamente richiamata nella memoria pervenuta in atti, che ha riconosciuto l'esistenza, in capo alle persone fisiche, di un diritto al silenzio, tutelato dall'articolo 47, comma 2, e articolo 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), nell'ambito dei procedimenti innanzi alla Consob per gli illeciti amministrativi di abuso di mercato. La pronuncia deve le proprie origini a una iniziale ordinanza della Corte di cassazione (Cass. civ., Sez. 2, Ord. n. 3831/2018), relativa ad un procedimento amministrativo per l'illecito di abuso di informazioni privilegiate, in cui una persona fisica era stata sottoposta a una sanzione pecuniaria, di importo ragguardevole, per non avere risposto alle domande della CONSOB su operazioni finanziarie sospette da essa compiute (ai sensi dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F.). L'interessato aveva impugnato la sanzione, sostenendo di aver esercitato il diritto costituzionale di non rispondere a domande da cui sarebbe potuta emergere la propria responsabilita' ("nemo tenetur edere contra se", discendente dall'articolo 24 Cost. e articolo 6 CEDU). La Corte di cassazione ha - fra l'altro - rimesso alla Consulta la "questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., nel testo originariamente introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 2, lettera b), - nella parte in cui detto articolo sanziona la condotta consistente nel non ottemperare tempestivamente alle richieste della CONSOB o nel ritardare l'esercizio delle sue funzioni anche nei confronti di colui al quale la medesima CONSOB, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, contesti un abuso di informazioni privilegiate - in relazione agli articoli 24, 111 e 117 Cost., quest'ultimo con riferimento all'articolo 6 CEDU e con riferimento all'articolo 14, comma 3, lettera g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo in Italia con la L. 25 ottobre 1977, n. 881, nonche' in relazione agli articoli 11 e 117 Cost., con riferimento all'articolo 47 CDFUE". Investita della questione, la Corte Costituzionale, con l'ordinanza n. 117/2019, ha a sua volta rimesso alcune questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia UE, ricordando innanzitutto come "il "diritto al silenzio" dell'imputato pur non godendo di espresso riconoscimento costituzionale - costituisca un "corollario essenziale dell'inviolabilita' del diritto di difesa", riconosciuto dall'articolo 24 Cost. (...). Tale diritto garantisce all'imputato la possibilita' di rifiutare di sottoporsi all'esame testimoniale e, piu' in generale, di avvalersi della facolta' di non rispondere alle domande del giudice o dell'autorita' competente per le indagini" (Ordinanza, p. 7.1). Come si anticipava, la Corte di Giustizia (Grande Sezione, Sent. 2.2.21) ha riconosciuto l'esistenza di un diritto al silenzio, tutelato dall'articolo 47, comma 2, e articolo 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), nell'ambito dei procedimenti pendenti a carico di persone fisiche innanzi alla Consob per illeciti amministrativi di abuso di mercato, precisando che la Direttiva 2003/6/CE e il Regolamento (UE) n. 596/2014 in tema di abusi di mercato permettono agli Stati membri di rispettare tale diritto nell'ambito di un'indagine suscettibile di portare all'accertamento della responsabilita' della persona per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale ovvero della sua responsabilita' penale. Nel motivare la propria conclusione, la Corte ha ricordato che, alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo (CEDO) relativa al diritto ad un equo processo, il diritto al silenzio, che e'. al centro della nozione di "equo processo", osta a che una persona fisica "imputata" venga sanzionata per il suo rifiuto di fornire all'autorita' competente, ai sensi della Direttiva 2003/6/CE o del Regolamento n. 596/2014, risposte che potrebbero far emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative a carattere penale oppure la sua responsabilita' penale (Sentenza, parag. 37-45). La Corte ha, in definitiva, ritenuto che tanto la Direttiva 2003/6/UE quanto il Regolamento n. 596/2014 si prestano ad un'interpretazione conforme agli articoli 47 e 48 CDFUE (e dunque al diritto al silenzio), nel senso che essi non impongono che una persona fisica venga sanzionata per il suo rifiuto di fornire all'autorita' competente risposte da cui potrebbe emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilita' penale (Sentenza, par. 50-55) e ha concluso che incombe agli Stati membri garantire che una persona fisica non possa essere sanzionata per il suo rifiuto di fornire risposte siffatte all'autorita' competente (Sentenza, par. 56 e 57). 2.1.3.b). Appare evidente che quanto si e' affermato nella pronuncia della Corte di Giustizia teste' indicata - dalla quale la difesa fa discendere, interpolandone il contenuto con stralci della ordinanza della Corte Costituzionale n. 117/19 e con la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'articolo 187-quinquiesdecies t.u.f. resa dalla Consulta con la sentenza n. 84/21, l'inutilizzabilita', sia contra se che contra alios, delle dichiarazioni rese in ambito fallimentare al curatore in violazione del diritto al silenzio, ritenuto dalla difesa superabile anche in tale sede solo mediante l'osservanza degli avvisi di cui all'articolo 64 c.p.p., in particolare di quelli di cui all'articolo 64 c.p.p., comma 3, e destinate a refluire in ambito penale - non depone affatto per la inutilizzabilita' tout court delle dichiarazioni rese da una persona all'autorita' amministrativa per non essere state esse precedute dall'avvertimento della facolta' di non rispondere, essendosi piuttosto la CGE, in quella pronuncia, limitata a riconoscere il diritto al silenzio anche rispetto alle sanzioni amministrative, che sebbene non stricto sensu penali, rivestissero carattere punitivo, e a rilevare, in buona sostanza, la illegittimita' della previsione di una minaccia di sanzione per il caso di mancata cooperazione (di silenzio serbato per non far emergere la responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative a carattere penale oppure la responsabilita' penale). La Corte costituzionale, a sua volta, riassumendo il giudizio dopo la pronuncia della Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, ha, con la sentenza n. 84/2021, dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 187-quinquiesdecies t.u.f. "nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d'Italia o alla Consob risposte che possano far emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato"; affermando in buona sostanza che "(I)l diritto fondamentale al silenzio vale anche rispetto ai poteri d'indagine della Banca d'Italia e della Consob, quando dalle risposte alle domande possa emergere la propria responsabilita'". Nel rendere la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'articolo 18 quinquiesdecies t.u.f. nelle sue diverse declinazioni, la Corte Costituzionale non ha, tra l'altro, mancato di affermare, da un lato, che il diritto al silenzio non giustifica comportamenti ostruzionistici fonte di indebiti ritardi allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza, come il rifiuto di presentarsi a un'audizione, ovvero manovre dilatorie finalizzate a rinviare lo svolgimento dell'audizione stessa, o ancora l'omessa consegna di dati, documenti, registrazioni preesistenti alla richiesta dell'autorita'"; dall'altro, in chiusura, che "(s)pettera' poi primariamente al legislatore la piu' precisa declinazione delle ulteriori modalita' di tutela di tale diritto - non necessariamente coincidenti con quelle che vigono nell'ambito del procedimento e del processo penale - rispetto alle attivita' istituzionali della Banca d'Italia e della CONSOB, in modo da meglio calibrare tale tutela rispetto alle specificita' dei procedimenti che di volta in volta vengono in considerazione, nel rispetto dei principi discendenti dalla Costituzione, dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e dal diritto dell'Unione Europea". Sull'argomento si e' espressa di recente anche la CORTE EDU, Quarta Sezione, De Lege' c. Olanda del 4 ottobre 2022, n. 58342/15 della quale si riporta l'abstract: "Non sussiste violazione del diritto all'equo processo, sotto il profilo della garanzia a non essere costretti a contribuire alla propria incriminazione, nel caso di coartazione di un contribuente, mediante ingiunzione giudiziale assistita da penale pecuniaria, a produrre all'autorita' tributaria gli estratti conto ed i riepiloghi di portafoglio di un conto" (nel caso specifico, le autorita' olandesi avevano ordinato al ricorrente, durante un procedimento penale a suo carico per evasione fiscale, di consegnare, sotto pena di sanzione fiscale, la documentazione in suo possesso concernente estratti conto e riepiloghi di portafoglio relativi ad un conto che il ricorrente aveva presso una banca in Lussemburgo). Preliminarmente, la Corte Europea dei diritti dell'uomo, richiamando la propria precedente giurisprudenza, ha chiarito che il diritto ad un equo processo ai sensi dell'articolo 6, p. 1 C.e.d.u. e' un diritto incondizionato e che, purtuttavia, l'analisi circa il rispetto o meno di tale principio deve essere estesa a tutto il procedimento penale, dovendosi cosi' valutare l'equita' complessiva dello stesso (p. 60). Avendo specifico riguardo ai procedimenti concernenti sanzioni fiscali, i giudici di Strasburgo hanno precisato che tali casi differiscono dal nocciolo duro del diritto penale - cosi' aprendo un varco anche nell'abito dello stesse diritto penale laddove in precedenza il discrimine rispetto al nocciolo duro del diritto penale era riservato soprattutto all'ambito del diritto punitivo non strettamente penale - ai fini della Convenzione e che, di conseguenza, le garanzie dell'articolo 6 C.e.d.u. rispetto ad essi non si applicano necessariamente con il loro pieno rigore (p. 62). Per quel che qui rileva, ha affermato la Cedu che, in linea generale, per aversi violazione delle tutele contro l'autoincriminazione ai sensi dell'articolo 6, p. 1 C.e.d.u., e' necessario che l'indagato sia stato sottoposto a una qualche forma di coercizione o costrizione da parte delle autorita' e che tale coercizione debba aver avuto luogo al fine di ottenere informazioni che potrebbero incriminare l'interessato in procedimenti penali pendenti o non ancora avviati nei suoi confronti (p. 72). Tale diritto riguarda, pertanto, il rispetto della volonta' dell'imputato di tacere, che non e' pero' illimitato. In ogni caso cio' che maggiormente rileva ai fini che occupano e' che la Cedu - di la' della specificita' del caso sottoposto al suo esame afferente dei documenti preesistenti rispetto ai quali non si e' ravvisata alcuna violazione del diritto al silenzio nonostante la minaccia della sanzione - abbia inteso in buona sostanza affermare che l'utilizzo processuale di dati acquisiti da soggetto poi imputato e' incompatibile con l'articolo 6, p. 1 CEDU soltanto laddove possa dirsi annullata la vera essenza del diritto alla non autoincriminazione consistente non gia' in ogni caso di "coartazione" della persona a fornire notizie o documenti ma solo nel caso in cui quella costrizione mini effettivamente il diritto al silenzio, trattandosi di diritto non assoluto. Trattasi, del resto, di diritto pressoche' integralmente rimesso alla prudente interpretazione giudiziale, poiche' l'articolo 6 p. 1 CEDU (cosi' come l'articolo 111 Cost.) non lo disciplina espressamente, ricavandosene la necessita' di protezione dalla considerazione, generalmente condivisa, della sua immanenza rispetto alle coordinate che debbono contraddistinguere un giusto processo; sicche' a maggior ragione la sua effettiva portata, suscettibile di lesione, va valutata a maggior ragione caso per caso allorquando si versi in procedimento non penale. Non e' dunque il possibile risvolto penale in se' che attraverso quelle dichiarazioni puo' conseguire a carico di chi le ha rese a inficiare le dichiarazioni medesime, quanto piuttosto la modalita' con cui esse sono state ottenute: solo una modalita' imperiosa che ne pretenda l'ottenimento dietro, ad esempio, la minaccia di una sanzione in caso di reticenza, e' suscettibile di intaccare l'essenza del diritto al silenzio alla stregua del quale ogni persona ha il diritto di tacere in ordine a fatti e circostanze da cui potrebbero desumersi elementi a suo carico in sede penale o comunque nell'ambito di procedimenti assistiti da sanzioni assimilabili a quelle penali per afflittivita'. 2.1.3.c) Di la' di una possibile portata espansiva, al nostro interno, dell'impostazione seguita dalla Corte costituzionale e dalle corti sovranazionali che attraverso varie fasi hanno nel tempo aggiunto sempre maggiori tasselli al processo equiparativo delle sanzioni amministrative a carattere sostanzialmente punitivo a quelle penali - appare evidente che sia l'interpretazione della Corte di giustizia che quella con essa collimante resa dalla Corte Costituzionale nella sentenza suindicata attengano alla ricostruzione della portata del diritto al silenzio nell'ambito di procedimenti amministrativi che - come quello che ha interessato il ricorrente nel giudizio a quo - siano comunque funzionali a scoprire illeciti e a individuarne i responsabili, e siano suscettibili di sfociare in sanzioni amministrative di carattere punitivo. Ora, e' altrettanto evidente che la procedura fallimentare - ma anche quella scaturente in caso di liquidazione giudiziale - non e' assimilabile od un procedimento amministrativo funzionale a scoprire illeciti e a individuarne i responsabili, essendo altre le finalita' ad essa sottese - il soddisfacimento delle ragioni creditorie attraverso la regola della par condicio - e che lo stesso cd. interrogatorio del fallito (la cui previsione e' ricavata dalla L. Fall., articolo 49 che prevede in verita' solo chiarimenti o informazioni ai fini della gestione della procedura), o dell'amministratore se si tratti di societa', e' funzionale all'accertamento di tutto quanto possa rivelarsi utile per il raggiungimento di quelle finalita' e non si muove certamente nell'ottica dell'irrogazione di una sanzione nei confronti di chi lo rende, laddove la eventuale emergenza di aspetti che possono interessare anche ai fini delle indagini preliminari in sede penale, che il curatore e' tenuto a segnalare nella relazione L. Fall., ex articolo 33, costituisce ipotesi che non trasforma il curatore in un operatore di polizia giudiziaria, ne' la sua attivita' in un'ispezione, rimanendo il suo ruolo funzionale, da un lato, all'accertamento della consistenza del patrimonio del fallito e alla sua ricostituzione e, dall'altro, alla verifica dei debiti e di tutto quanto a tali fini utile (sicche' non vi e' spazio neppure per l'applicazione dell'articolo 220 disp. att. c.p.p. che pertiene alle diverse ipotesi di attivita' ispettive e di vigilanza alle quali non sono assimilabili quelle svolte dal curatore). In tale ottica si inserisce anche l'invito previsto dalla L. Fall., articolo 87 che il curatore, in sede di inventario, rivolge al fallito o, se si tratta di societa', agli amministratori, a dichiarare se hanno notizia dell'esistenza di altre attivita' da comprendere nell'inventario; in tale ottica si inserisce anche l'obbligo del fallito di fornire l'elenco nominativo dei suoi creditori, di depositare i bilanci e le scritture contabili dopo la dichiarazione di fallimento (L. Fall., articolo 16, n. 3), di rimanere a disposizione degli organi della procedura per essere, all'occorrenza, sentito (L. Fall., articolo 49). La stessa previsione di cui alla L. Fall., articolo 220, che incrimina, tra l'altro, l'omessa dichiarazione dell'esistenza di altri beni da comprendere nell'inventario, si muove pur sempre - al pari delle altre ipotesi in essa contenute - nella medesima ottica ricostruttiva che permea la procedura fallimentare; e la stessa minaccia della sanzione penale e' in tal senso funzionale, sicche' potrebbe al piu' porsi il problema della vincolativita' dell'invito a rendere quella dichiarazione - e quindi della possibilita' di scriminare penalmente il rifiuto di renderla - nel caso in cui da esse potrebbero discendere delle conseguenze penali per il fallito che la rende. Di la' delle indicate specifiche ipotesi di rilevanza penale, rimane incondizionato il diritto al silenzio del fallito, come di chiunque e', piu' in generale, richiesto di fornire informazioni in ordine a fatti che riguardano e cio' a maggior ragione nel caso del possibile rilievo penale che queste potrebbero assumere nei propri o altrui confronti (la questione affrontata dal giudice sovranazionale e costituzionale riguardava invero l'ipotesi controversa del diritto a rimanere in silenzio, ossia di non essere costretto "sotto minaccia" di una sanzione a rendere dichiarazioni potenzialmente contra se ipsum, e dunque a rispondere a domande dalle quali possa emergere una propria responsabilita'). Ne discende che nel caso in esame non e' ravvisabile alcuna inutilizzabilita', ne' contra se ne' contra alios, delle dichiarazioni rese in ambito fallimentare al curatore dai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (che si sarebbero peraltro limitati ad affermare la esistenza del comitato esecutivo ossia circostanza non avente di per se' valore incriminante). Non potendo trovare applicazione in sede fallimentare, per le ragioni sopra esposte, il disposto di cui alla L. Fall., articolo 220 - costituente allo stato dell'arte l'unico strumento attraverso il quale, nei casi e alle condizioni in esso previsti, puo' trovare ingresso in ambito extra-penale lo statuto delle garanzie del codice di procedura penale, in esso compreso l'articolo 64 c.p.p. - rimane quindi palesemente infondata la questione sollevata dalla difesa circa la inutilizzabilita' di quelle dichiarazioni per non essere state assunte con le garanzie del codice di rito (dichiarazioni delle cui modalita' acquisitive non e' peraltro dato sapere, non avendo il ricorrente specificato neppure se esse - di la' della mancanza degli avvisi - fossero state in qualche modo pretese sotto la minaccia di sanzioni); garanzie del codice di rito che, a differenza di quanto assume la difesa, non sono estensibili a qualsiasi procedimento extra-penale per il solo fatto che quanto in esso si dichiara possa refluire nel processo penale, cio' nondimeno quel dichiarato potra' non essere utilizzabile ai fini punitivi ove ottenuto mediante costrizione (e cio' a prescindere dalla ricorrenza dei presupposti per la operativita' dello statuto penale delle garanzie). Alla stregua di quanto sopra osservato rimane, di la' della manifesta genericita' della sua formulazione, manifestamente infondata, e non rilevante rispetto al caso di specie, la questione di illegittimita' costituzionale dedotta con riferimento agli articoli 62, 63, 64, 191, 195 e 526 c.p.p. in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Cost., nonche' all'articolo 6 CDEDU, quale norma interposta, e agli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione Europea, dal momento che attraverso, da un lato, l'interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata di quelle norme - come scaturente dalla giurisprudenza suindicata - e, dall'altro, la disposizione di cui all'articolo 220 disp. att. c.p.p., deve ritenersi sufficientemente tutelato, in via generale, il diritto al silenzio della persona fisica, che scevra da costrizioni puo' sempre rifiutarsi di rendere dichiarazioni per lei dannose, in ogni sede ed ambito, e cio' a maggior ragione nel caso in cui da esse possano derivare conseguenze di tipo punitivo, laddove gli avvisi di cui allo statuto penale sono comunque previsti anche nei contesti non penali che abbiano i caratteri propri delle attivita' di ispezione e vigilanza (ossia caratteri in qualche modo assimilabili a quelli del procedimento penale), ma presuppongono in ogni caso - come nell'ambito del procedimento penale - l'emersione di indizi di reato a carico del dichiarante. 2.2. Nel passare al secondo motivo, si osserva come la sua disamina si ponga in conseguenza logico-ricostruttiva rispetto alle premesse gia' indicate nell'esaminare il primo motivo, che, nel dare atto della impostazione seguita dai giudici di merito nel tracciare il ruolo di (OMISSIS) - come dell'altro broker (OMISSIS) hanno indicato la trama portante della complessiva ricostruzione della vicenda in cui quel ruolo si inserisce; traccia portante che neppure il secondo motivo di ricorso, che ci si accinge a valutare, ha a sua volta effettivamente inciso. Si e' in particolare gia' evidenziato come la difesa si fermi a valutare comportamenti di (OMISSIS) rispetto al ruolo al medesimo riconducibile di broker, valorizzando il fatto che lo stesso esercitava per il tramite di (OMISSIS) s.r.l., ovvero di societa' regolarmente iscritta all'albo dei mediatori creditizi, attivita' di brokeraggio in favore di una pluralita' di societa' - (OMISSIS) operanti nel settore -, e come, essa, estrapolando quei comportamenti dal complessivo contesto in cui essi si inseriscono, non tenga conto della loro effettiva portata e delle ripercussioni che ebbero nella vita societaria della (OMISSIS) in argomento - (OMISSIS) - ne' dei pregiudizi conseguiti sul patrimonio della stessa; trattasi di fattori che, per un verso, contribuiscono a qualificare il ruolo di fatto svolto dal ricorrente in seno alla societa', e, per altro verso, a delineare la matrice illecita del contributo offerto; tali due piani finiscono con l'incontrarsi e sovrapporsi dal momento che il core business, se cosi' si puo' dire, di (OMISSIS), nei periodi oggetto di contestazione, secondo quanto emerso nel presente procedimento, e' rappresentato proprio da quel tipo di attivita' oggetto di incriminazione che vedeva il suo fulcro nell'opera dei broker quali procacciatori di fideiussioni. Anche il secondo motivo - con cui si deducono violazioni di legge e vizi di motivazione in relazione alla fattispecie della bancarotta impropria per operazioni dolose causative del fallimento (in particolare si deduce il travisamento del risultato probatorio e la violazione del canone di colpevolezza al di la' di ogni ragionevole dubbio) - e' inammissibile: rapportati gli argomenti in esso esposti e l'impostazione con cui si porta avanti il discorso sugli errori denunciati ai principi sopraindicati in punto di vizi deducibili in sede di legittimita' e di ambito di tale giudizio, rimane evidente che, anche in tal caso, quanto si deduce e' fuori dal tracciato sindacabile da parte di questa Corte. Neanche ha rilievo, invero, per forzare i tradizionali limiti del giudizio di legittimita', la regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Ed invero, tale regola dell'"al di la' di ogni ragionevole dubbio", secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se e' possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalita' e plausibilita', impone all'imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimita', attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe' desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 - dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 26040901). Detto principio, introdotto nell'articolo 533 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, come pure ha gia' avuto modo di osservare questa Corte, non ha quindi mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non puo' essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicita' di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicita' sia stata oggetto come emerge nel caso di specie in cui le controdeduzioni difensive sono state oggetto di attenta riflessione gia' nella pronuncia di primo grado - di adeguata disamina da parte del giudice dell'appello; rimane il fatto che la Corte e' chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro, Rv. 270519; in termini Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600; Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579). 2.2.1. Lo stesso motivo di ricorso nel riportare il passaggio della sentenza impugnata in cui si descrive il meccanismo fraudolento - gia' sopra indicato nelle sue linee essenziali - nell'ottica di evidenziare la non esaustivita' della risposta che la stessa avrebbe fornito rispetto agli argomenti sollevati in appello, finisce con il toccare il punto cruciale della impostazione accusatoria, il cui nucleo essenziale, trattandosi di bancarotta impropria da operazioni dolose causative del fallimento, e' costituito dalla sistematica realizzazione di condotte che - di la' della legittimita' o meno dell'attivita' stricto sensu posta in essere dalla cofidi e della validita' delle fideiussioni dalla medesima rilasciate nell'espletamento di tale attivita' - sono state foriere di notevoli danni per la (OMISSIS) medesima, ossia per la societa' (OMISSIS), poi fallita. Cio' che e' stato ritenuto connotare di illiceita' le condotte di rilascio delle fideiussioni non e' tanto la loro mancanza di rispondenza ai dettami normativi che regolano la materia - di qui l'irrilevanza quindi di tutte le questioni sollevate con riferimento alla legittimita' dell'attivita' svolta alla luce della stratificazione normativa e interpretativa che ha interessato la materia dei cofidi cc.dd. minori e maggiori, ivi compresa quella da ultimo posta con la memoria suindicata alla stregua della pronuncia delle Sezioni Unite civili del 8.2.2022 n. 8472 - quanto piuttosto il meccanismo illecito che attraverso lo svolgimento di quell'attivita' e' stato messo in piedi e/o portato avanti dagli imputati - ciascuno in virtu' del ruolo di diritto e/o di fatto rivestito nel periodo storico di riferimento. Ed invero, osservano i giudici dell'appello che e' incontestato che (OMISSIS) trattenesse i premi e riversasse parte degli importi a (OMISSIS) e che vi siano stati scostamenti la cui entita' consente di ricostruire la patologica stratificazione del debito come una prassi consolidata; e che non si sia trattato di poste di dare risibili che hanno subito un mero ritardo nell'adempimento - si sottolinea emerge dalla condotta strumentalmente posta in essere contestata al capo C, dall'assenza di qualsivoglia iniziativa volta a dare corpo alla prospettiva di un inadempimento dovuto al ritardo nell'esecuzione delle rimesse gia' ab origine impropriamente trattenute. Si osserva altresi' come la prospettiva valorizzata in sede di dichiarazioni spontanee di fatto conferma l'anomalia di una collaborazione che trovava applicazione lasciando nelle tasche della societa' una percentuale non adeguata a consentire l'operativita' della (OMISSIS) oltre che non negoziata (cosi' testualmente in ricorso e nella sentenza impugnata a pag. 28). A fronte di tale granitica conclusione, esaurientemente ricostruita dalla corte di appello sulla scorta delle plurime emergenze processuali passate capillarmente in rassegna nella sentenza di primo grado, il ricorrente assume che la decisione e' giunta ad un risultato non corrispondente al compendio probatorio, riproponendo la diversa soluzione gia' prospettata dalla difesa che risulta di fatto superata proprio dalla ribadita evidenza del meccanismo societario e negoziale architettato volto a drenare denaro attraverso (OMISSIS) in favore delle societa' dei broker e non solo, giovandosi poi dei risultati cosi' ottenuti tutti gli imputati che, direttamente o indirettamente, tramite le societa' ad essi facenti capo ricevevano somme di denaro non dovute (cosi' anche gli altri amministratori di (OMISSIS) destinatari delle somme distratte di cui al capo B, e lo stesso (OMISSIS) come, si dira' in seguito); meccanismo che nel perpetuarsi nel tempo con i medesimi caratteri e scopi, secondo le conformi pronunce di merito, costitui' in buona sostanza il nucleo essenziale della condotta di bancarotta impropria per operazioni dolose ascritta anche - all'imputato al capo A; sicche' il contributo che (OMISSIS) offri' al funzionamento di quel "sistema" - di cui pure si contesta la sussistenza col secondo motivo in scrutinio - e', secondo il giudice di merito - per tutto quanto gia' sopra esposto nell'affrontare l'aspetto del suo ruolo nell'amministrazione di fatto - certamente rilevante e non seriamente mettibile in discussione alla stregua degli argomenti anche al riguardo riproposti che fanno pur sempre leva sulla marginalita' del ruolo di (OMISSIS) o meglio sulla sua collocazione in ambito extra-societario. A fronte della sistematica stipulazioni di fideiussioni per importi complessivi del tutto sproporzionati al patrimonio e alle capacita' economiche di (OMISSIS), in quanto finalizzati ad incrementare i premi e le relative percentuali che andavano a favore dei broker, e del sistematico drenaggio di risorse destinate alla societa' che comportava per il broker l'introito di denaro, la provvigione, oltre il limite previsto e in ogni caso in misura eccedente una ragionevole ed equa ripartizione del ricavo (che andava di fatto per circa il 70% al broker e per il restante alla cofidi) tra la societa' che stipulava la fideiussione e sulla quale ricadeva quindi l'oneroso obbligo di garanzia, (OMISSIS), e la societa' di brokeraggio - non vi e' spazio alcuno per le dissertazioni sulla scarsa chiarezza della disciplina che all'epoca dei fatti regolava il funzionamento e i limiti delle (OMISSIS) cd. minori e sulla possibilita' di configurare il dolo in capo all'imputato, Questi era invero colui il quale mandava avanti quel meccanismo; meccanismo che, come si e' piu' volte gia' detto, si connota per la sua illiceita' a prescindere dalle illegittimita' in senso stretto rilevabili in conseguenza dell'esatto inquadramento della societa' (OMISSIS) nella categoria di (OMISSIS) di riferimento e dell'esatta definizione del bacino di utenti a cui poteva rivolgersi l'attivita' di stipulazione delle fideiussioni dalla medesima svolta (essendo di fatto stata superata dalla ricostruzione del giudice di merito la iniziale prospettazione accusatoria contenuta nell'imputazione che faceva anche riferimento alla natura abusiva dell'attivita' svolta da (OMISSIS), perche' cio' e' stato ritenuto in definitiva rilevante, ed effettivamente rileva, ai fini che occupano - e che costituisce l'oggetto principale anche della stessa contestazione di accusa - e' che stipulando le fideiussioni anche con soggetti non consorziati, o comunque associati occasionalmente, e in favore anche di soggetti non bancari, si era incrementata a dismisura l'assunzione di garanzie fideiussorie da parte di (OMISSIS) e cio' senza che a un tale incremento corrispondesse una idonea contropartita per la societa' medesima, che peraltro, a monte, non disponeva neppure di adeguata capacita' patrimoniale). Le operazioni di verifica a cui avrebbe proceduto (OMISSIS), evidenziate in ricorso al fine di ricondursi e circoscriversi la sua attivita' alla normale istruttoria sulle richieste di fideiussioni da presentare poi alla direzione di (OMISSIS) S.c.p.A., non danno conto dell'effettiva portata del meccanismo fraudolento che attraverso quella procedura veniva realizzato nell'interesse precipuo, se non esclusivo, dei principali artefici di esso, di (OMISSIS) e della societa' (OMISSIS) da lui amministrata e, come si vedra', dell'altro broker (OMISSIS), da un lato, e di (OMISSIS) e (OMISSIS), dall'altro, che complici nella realizzazione di tale programma criminoso ricevevano anch'essi il loro tornaconto attraverso le distrazioni di cui si dira' in prosieguo. (OMISSIS) era, secondo la coerente ricostruzione dei giudici di merito, il dominus, supervisore, delle pratiche laddove i broker locali erano i ricettari delle richieste dei clienti. Il contenuto delle polizze era in buona sostanza deciso da (OMISSIS) tant'e' che sono state rinvenute anche stampati di polizze firmate in bianco dagli amministratori formali - che avrebbe piuttosto dovuto verificare la fattibilita' delle stesse, accertando la solvibilita' del cliente proponente, le eventuali garanzia offerte e quant'altro utile ai fini del buon esito dell'operazione; laddove il criterio di valutazione dell'istruttoria - che lo stesso ricorso imputa a (OMISSIS) assegnandogli un ruolo decisivo al riguardo non era improntato alla verifica della bonta' e convenienza dell'operazione quanto piuttosto teso alla massimizzazione delle pratiche (tant'e' che non di rado il cliente che stipulava la polizza si rivelava nei fatti insolvente, come dimostrano le consistenti ammissioni al passivo, intervenute nell'inevitabile fallimento che ne scaturi', dei creditori in favore dei quali quelle polizze vennero rilasciate). Ne' potrebbero valere a scardinare tale ricostruzione gli ulteriori argomenti posti dalla difesa secondo cui "(L)a torsione della lecita attivita' di intermediazione a fini illeciti risulta affermata in via meramente congetturale sulla scorta di prove orali sostanzialmente inconferenti nonche' dei contenuti dell'ordinanza di custodia cautelare adottata nell'ambito del procedimento dinanzi all'Autorita' romana, dalla quale si sono ricavati elementi conoscitivi ai fini della ricostruzione del fatto, in violazione del divieto di utilizzabilita' ex articoli 191, 234, e 238 bis c.p.p.", dal momento che non corrisponde a verita' che le sentenze sono pervenute alla dimostrazione di un illecito meccanismo di drenaggio delle risorse societarie solo attraverso il richiamo del citato provvedimento cautelare, e il riferimento da esse operato alle imputazioni e ai fatti storici di cui al provvedimento cautelare - inerente ad episodi riguardanti societa' diverse da (OMISSIS) - e' finalizzato unicamente a dar conto dell'esistenza di tale procedimento istaurato presso il Tribunale di Roma, all'epoca in cui le varie societa' avevano sede nella capitale, e del fatto che anche in tale procedimento erano coinvolti anche (OMISSIS) e (OMISSIS) (in relazione alle societa' (OMISSIS) e (OMISSIS); laddove costituisce peraltro un dato di fatto certo che la medesima attivita' fosse svolta dai medesimi soggetti con altre entita'). Del tutto generica e', infine, la contestazione mossa riguardo all'entita' dei premi trattenuti dalla societa'/broker, avendo la corte di appello gia' chiarito che e' incontestato che (OMISSIS) trattenesse i premi e riversasse solo alcuni importi a (OMISSIS) e che vi siano stati scostamenti la cui entita' consente di ricostruire la patologica stratificazione del debito come una prassi consolidata instaurata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) a discapito solo di quest'ultima. E ha anche precisato la sentenza impugnata che non si e' trattato di mere poste di dare che hanno subito una mero ritardo nell'adempimento, come emerge dalla condotta di falsificazione delle scritture contabili strumentalmente posta in essere anche proprio al fine di mascherare tale realta' e dall'assenza di qualsivoglia iniziativa volta a dare corpo alla prospettiva di un inadempimento dovuto al ritardo nell'esecuzione delle rimesse, gia' all'origine impropriamente trattenute. Sicche' il motivo in scrutinio nella misura in cui vorrebbe desumere elementi di incertezza proprio dalla inattendibilita' della documentazione contabile si appalesa inammissibile anche in parte qua, non essendo sostenibile che la carenza di certezza derivante dalle false rendicontazioni debba indurre a ritenere che si tratti solo di poste di dare e di avere e di questione civilistica di inadempimento; tale ipotesi alternativa, come si e' gia' detto, e' stata invece esaurientemente esclusa dai giudici di merito alla stregua non solo della ricostruzione complessiva della vicenda ma anche delle specifiche ragioni individuate al riguardo - sopra indicate - che escludono la riconducibilita' del trattenimento dei premi a mero inadempimento di natura civilistica. La stessa prospettiva valorizzata in sede di dichiarazioni spontanee rese da (OMISSIS) - aggiunge la corte di appello - secondo cui la percentuale riconosciuta a (OMISSIS) ammontava al 30% ma ad essa doveva sommarsi altra percentuale del 35-40% riconosciuta ai brokers locali, di fatto conferma l'anomalia di una collaborazione che trovava applicazione lasciando nelle casse della societa' una percentuale non adeguata a consentire l'operativita' della (OMISSIS), oltre che non negoziata; trattasi peraltro di prospettazione esaustivamente contraddetta gia' nella sentenza di primo grado che evidenzia come la stessa documentazione versata dalla difesa deponga per il calcolo della percentuale riconosciuta ai broker sull'importo incassato dalla societa' (OMISSIS) per (OMISSIS), alla quale, come anche logica suggerisce - chiosa la corte territoriale - non avrebbero potuto essere d'altronde addossati oneri e spese proprie della societa' di broker (OMISSIS), con duplicazione di poste passive. Meramente congetturale e' poi l'ulteriore argomento speso al riguardo che sembra, a tratti, voler giustificare l'importo ritenuto eccessivo dal giudice di merito alludendo alla liberta' di contrattazione delle provvigioni e all'"importante pacchetto di clientela e di brokers riconducibile a (OMISSIS) s.r.l.", che avrebbe consentito a (OMISSIS) di incrementare il suo patrimonio al netto delle legittime provvigioni di (OMISSIS) e dei broker/agenti locali di cui la predetta (OMISSIS) disponeva; laddove l'accordo criminoso, a differenza di quanto si contesta genericamente in ricorso, e' emerso da una pluralita' di elementi, tra i quali campeggia certamente quello della non affatto equa ripartizione dei premi tra la societa' che assumeva l'obbligo derivante dalla fideiussione e quella che aveva provveduto unicamente all'intermediazione nella stipulazione del contrato (che non e' pero' l'unico posto a base della ricostruzione del giudice di merito, cfr. al riguardo la sentenza impugnata e quella di primo grado, pag. 65, in cui ancor meglio si evidenzia come, col meccanismo instaurato, (OMISSIS) fosse destinata al fallimento, atteso che i premi a lei destinati erano del tutto inadeguati alla gestione, operando la stessa senza quella capacita' patrimoniale che le avrebbe consentito di far fronte alla mole delle garanzie prestate; sicche', in definitiva, l'incremento del pacchetto di clientela scaturiva, piuttosto, dall'assenza di una effettiva verifica della solvibilita' dei clienti che andavano a stipulare le polizze, che spesso diventavano soci della (OMISSIS) solo all'atto della stipulazione della fideiussione - dato di fatto questo non contestato come sottolineano i giudici di merito soprattutto nella pronuncia di primo grado; d'altronde nel fallimento poi dichiarato il passivo fallimentare ammesso era costituito per circa dieci milioni proprio dai crediti degli enti, in prevalenza enti pubblici e agenzie delle entrate, che rimasti insoddisfatti per il mancato adempimento dei loro debitori, i clienti di (OMISSIS) che avevano stipulato le fideiussioni per ottenere i rimborsi, avevano dovuto azionare le polizze fideiussorie nei confronti di (OMISSIS). 2.2.2. L'impostazione seguita dai giudici di merito e' in linea con la giurisprudenza di questa Corte che ha gia' avuto modo di affermare che in tema di bancarotta fraudolenta societaria, integra l'ipotesi di causazione dolosa del fallimento (L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2) la prestazione di fideiussioni bancarie, pur formalmente ricompresa nell'oggetto sociale, in modo continuativo, per importi superiori al valore del proprio patrimonio e senza significativa contropartita, in favore di altra societa' in grave situazione di dissesto, amministrata dallo stesso legale rappresentante della societa' garante, con cio' determinando il fallimento di quest'ultima, trattandosi di attivita' non congruente e contraria agli interessi della fallita, oltre che dei soci e dei creditori della stessa, in quanto intrinsecamente pericolosa per la salute economico-finanziaria dell'impresa (cfr. Sez. 5, n. 9843 del 12/10/2018 Ud. (dep. 06/03/2019), Rv. 275501 - 01); con riferimento al caso di specie, mutatis mutandis, si puo' quindi affermare che integra l'ipotesi di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose (L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2) la prestazione di fideiussioni, pur formalmente ricompresa nell'oggetto sociale, per importi superiori al valore del proprio patrimonio e senza corrispondente adeguata contropartita, in modo. continuativo ed indiscriminato in favore di terzi, con cio' determinando il fallimento della societa' garante, trattandosi di attivita' non congruente e contraria agli interessi della fallita, oltre che dei soci e dei creditori della stessa, in quanto intrinsecamente pericolosa per la salute economico-finanziaria dell'impresa. Nel caso di specie a tale sistematica attivita' di rilascio di fideiussioni contraria agli interessi societari in quanto foriera di impegni obbligazionari per la societa' a cui la stessa non era capace di far fronte, si e' aggiunto il mancato versamento, entro il termine previsto, delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti per il periodo d'imposta 2010 per l'ammontare di Euro 179.591 ed Euro 117.048, che andava a sua volta ad incidere sul fallimento. Quanto, infine, all'apporto causale della singola condotta, messo in discussione con riferimento all'omesso versamento delle ritenute di imposta, e' solo il caso di evidenziare che trattasi solo di uno dei debiti a cui non fece fronte (OMISSIS) che evidentemente ando' ad incrementare dapprima lo stato di insolvenza che porto' al fallimento - di cui erano evidentemente consapevoli gli imputati che, in attuazione del loro comune programma delittuoso, badando al proprio profitto, agirono in maniera sistematica ai danni di (OMISSIS) facendole accumulare un debito complessivo del tutto sproporzionato alle sue capacita' patrimoniali ed economiche rispetto al quale quello per l'omesso versamento delle ritenute costituisce peraltro solo un piccolo tassello - e poi lo stesso passivo fallimentare (sicche' inconferente rimane il richiamo operato in ricorso alla pronuncia di questa Corte, Sez. 5 n. 34836 del 30.5.2017). Il motivo e', pertanto, nel suo complesso anche manifestamente infondato perche', come ha piu' volte avuto modo di osservare questa Corte, la fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dalla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2, presuppone una modalita' di pregiudizio patrimoniale discendente non gia' direttamente dall'azione dannosa del soggetto-attivo, ma da un fatto di maggiore complessita' strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralita' di atti coordinati all'esito divisato e si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto della L. Fall., articolo 223, comma 1, e articolo 216, comma 1, n. 1), - in cui, invece, le disposizioni di beni societari (qualificabili in termini di distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) sono caratterizzate, secondo una valutazione "ex ente", da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la societa' amministrata (Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Rv. 279071 - 01). 2.3. Il terzo motivo di ricorso di ricorso e' fondato con riferimento alle sole condotte di bancarotta patrimoniale di cui al capo B, contestate come realizzate mediante la societa' (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l., apparendo trattarsi di condotte gia' ricomprese nella fattispecie di causazione del fallimento con operazioni dolose di cui al capo A dell'imputazione. Premesso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, qui condivisa, non e' configurabile il concorso formale tra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e quello di operazioni dolose causative del fallimento, ma solo quello materiale nel solo caso in cui oltre allo schema tipico L. Fall., ex articolo 216 si siano verificati differenti e autonomi comportamenti dolosi che siano stati causa del fallimento, appare evidente come nel caso di specie erroneamente si sia invocato l'assorbimento delle condotte di cui al capo A nella fattispecie sub B alla stregua del principio sopra enunciato. Ed infatti, comparando le condotte concrete riconducibili alle due ipotesi criminose in argomento si scorge come le operazioni dolose causative del fallimento non si esauriscano affatto nelle condotte distrattive di cui la capo B e che l'unico punto di coincidenza e' costituito dai premi illegittimamente incassati da (OMISSIS) e (OMISSIS) attraverso le societa' (OMISSIS) e (OMISSIS), ad essi rispettivamente riconducibili; tali incassi, come si e' gia' piu' volte in precedenza sottolineato, rientrano nell'ambito del sistema illecito che condusse (OMISSIS) al fallimento sicche' rispetto alle condotte che li realizzarono imputabili come detto a tutti gli imputati - s'impone nuova disamina da parte del giudice di merito; che le ha, invece, ricondotte anche alla fattispecie della bancarotta fraudolenta patrimoniale, il quale rivalutera' quanto oggetto di specifica devoluzione alla stregua del seguente principio di diritto: non e' configurabile il concorso formale tra il reato di bancarotta impropria da operazioni dolose, di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2 e quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale che deve considerarsi assorbito nel primo quando la condotta distrattiva sia gia' ricompresa nell'abito della causazione dolosa del fallimento e rilevi non gia' come condotta distrattiva in se' considerata ma come parte di ben piu' complessa vicenda causativa del fallimento (cosi' argomentando anche alla stregua di Sez. 5, n. 44103 del 27/06/2016, Rv. 268207 - 01), tenendo conto che pero' nel caso di specie la valutazione deve essere circoscritta al segmento relativo ai premi incassati tramite (OMISSIS) e (OMISSIS), l'unico presente in entrambe le contestazioni; indi, se del caso, procedera' alle conseguenti rivalutazioni per le ricadute sulla determinazione della pena. Nel resto il motivo e' manifestamente infondato risultando le ulteriori condotte distrattive distinte rispetto a quelle contemplate nell'ambito della bancarotta impropria. Gia' alla stregua della stessa imputazione e' facile constatare che non vi e' affatto perfetta coincidenza - al netto di quelle afferenti i premi - tra le ipotesi distrattive di cui al capo B e quelle afferenti le operazioni dolose del capo A, che rimangono materialmente autonome e distinte tra loro. Mentre le operazioni dolose sono consistite soprattutto nel complessivo, sistematico, meccanismo che vedeva, da un lato, il drenaggio di risorse che avrebbe dovuto essere destinate a (OMISSIS) e, dall'altro, al contempo, l'assunzione indiscriminata di obblighi di garanzia da parte della medesima societa', che medio tempore l'avrebbe condotta al fallimento, le condotte distrattive - residue - si sono risolte nella spoliazione immediata del patrimonio per la parte delle somme di denaro confluite - senza giustificazione - nelle tasche di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, d'altronde, i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (L. Fall., articolo 216 e articolo 223, comma 1) e quello di bancarotta impropria di cui alla L. Fall., articolo 223 comma 2, n. 2, hanno ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attivita' - ne' si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili - ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre e' da escludere il concorso formale e', invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta L. Fall., ex articolo 216, si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali - concretandosi in abuso o infedelta' nell'esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l'andamento economico finanziario della societa' - siano stati causa del fallimento (cfr. per tutte, Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016 Ud. (dep. 05/01/2017), Rv. 269019 - 01; conf. Sez. 5, Sentenza n. 24051 del 15/05/2014, Rv. 260142 - 01). 2.4. Il quarto motivo nella parte in cui afferma che non possa desumersi dalla contabilita' irregolare e carente della societa' (OMISSIS) la prova di un meccanismo di appropriazione delle altrui risorse che vada al di la' di normali e fisiologici discostamenti nei rapporti di dare e avere tra le due societa' ((OMISSIS) e (OMISSIS)), a fronte della miriade di fatture emesse nel corso degli anni, e' stato gia' oggetto di diffusa disamina nell'ambito dello scrutinio dei primi due motivi, disamina che, come visto, ha condotto alla esclusione della valenza civilistica degli inadempimenti, oltre che in occasione del terzo motivo in cui si e' anche precisato che le condotte specifiche afferenti i premi andrebbero, previe le opportune verifiche del caso da parte del giudice di merito, piu' correttamente inquadrate nella fattispecie delle operazioni dolose causative del fallimento di cui al capo A e non nella bancarotta distrattiva. Esso e' in ogni caso nel suo complesso generico e non considera che risultano specificamente e partitamente esaminate le diverse falsificazione delle scritture contabili realizzate proprio al fine di celare le condotte illecite intervenute (tra queste anche quelle in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS)). Al fine di occultare i compensi illeciti a favore degli amministratori (OMISSIS) e (OMISSIS) - ricostruiti anche sulla scorta degli estratti conto - era stata, in particolare, operata una posta fittizia di credito in bilancio trovante causa in una transazione che presupponeva la escussione di una polizza mai escussa. Quanto poi al contributo del ricorrente riguardo agli esborsi degli importi versati a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rispetto al quale si assume del tutto omessa la motivazione - ma in effetti non risulta neppure formulato uno specifico motivo di appello al riguardo secondo quanto si riporta nella incontestata sintesi della sentenza impugnata - e' solo il caso di ribadire quanto gia' ampiamente osservato nella disamina dei motivi precedenti: i fatti distrattivi non costituiscono delle monadi a se' stanti ma fanno parte di un'unica vicenda criminosa che si appalesa unitaria non solo e non tanto perche' afferente ad un unico fallimento ma soprattutto perche' le varie condotte poste in essere dagli imputati, d'accordo tra loro, sono le une strettamente collegate alle altre. E' anche il caso di rammentare che le condotte sono state ascritte al ricorrente nella sua qualita' di amministratore di fatto - qualifica rispetto alla quale valgono le osservazioni gia' sopra svolte con riferimento al primo motivo di ricorso che ne aveva precipuamente contestato a sussistenza - e che in ogni caso il sistema illecito come congegnato implicava l'accordo criminoso a monte tra gli imputati, i quali, ciascuno in funzione del ruolo formale o di fatto rivestito, davano il loro contributo alla realizzazione di quel meccanismo fraudolento, necessitando sul fronte di (OMISSIS), ossia della societa' assuntrice delle fideiussioni, il benestare di amministratori formali compiacenti e su quello di (OMISSIS) e (OMISSIS) l'attivismo di soggetti del settore come (OMISSIS) e (OMISSIS); sicche', come efficacemente si osserva nella sentenza impugnata, "la condotta concorsuale comporta che l'operativita' illecita consentisse a tutti i soggetti coinvolti di avere un ritorno, ritorno che non e' l'unico parametro sul quale si misura contributo concorsuale". Tale passaggio della motivazione - riportato in ricorso - non esaurisce, pero', la ricostruzione svolta dal giudice di merito, se si considera che cio' che afferma e descrive la corte di appello trova il suo antefatto ricostruttivo nella ben piu' ampia motivazione della pronuncia di primo grado in cui i giudici, nell'esaminare le risultanze acquisite nel dibattimento svoltosi dinanzi ad essi, avevano, anche riguardo a tale aspetto, gia' esaustivamente affrontato le questioni poi riproposte in appello e qui pedissequamente nuovamente poste senza tenersi conto che l'argomento era stato gia' ampiamente arato. La impostazione omnicomprensiva criticata in ricorso non e' dunque tesa, a differenza di quanto assume la difesa, a svuotare di significato la fattispecie concorsuale quanto piuttosto ad evidenziare come nel caso di specie la condotta illecita va considerata nella sua unitaria dimensione concorsuale e la sua valutazione non puo' prescindere dal coinvolgimento di ciascuno, ivi compreso il (OMISSIS) che in qualita' di amministratore di fatto procedeva anche alla rettifica dei rendiconti. 2.5. Il quinto motivo, con cui si contesta la sentenza impugnata in punto di conferma della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale sotto il duplice profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione - e' anch'esso aspecifico e meramente reiteracivo di questioni gia' ampiamente affrontate e risolte dal giudice di appello (e prima ancora da quello di primo grado). Innanzitutto, deve osservarsi che alcuna contraddizione e' rinvenibile con riferimento alle condotte di bancarotta fraudolenta documentale contestate, ruotando la contestazione unicamente intorno all'ipotesi della tenuta delle scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Ed infatti, le falsificazioni ascritte e ravvisate dai giudici di merito ineriscono alla tenuta delle scritture contabili e non costituiscono condotte successive equiparabili a quelle dell'occultamento, distruzione, di cui alla L. Fall., articolo 216, n. 2, prima parte. Ed invero, in tema di bancarotta documentale, la condotta di falsificazione delle scritture contabili prevista dalla prima parte della L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, puo' avere natura tanto materiale che ideologica, consistendo comunque nella manipolazione di una realta' contabile gia' definitivamente formata; diversamente, la bancarotta documentale "generica" prevista dalla seconda parte della norma si realizza sempre con una falsita' ideologica contestuale alla tenuta della contabilita', e cioe' mediante l'annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l'omessa annotazione di dati veri, realizzata con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, Rv. 278321 - 01); e nel caso di specie e' indubbio che si e' ritenuto - da parte non solo dei giudici di primo ma anche di quelli di secondo grado, come risulta facilmente se la lettura della sentenza impugnata non e' circoscritta ai soli passi estrapolati da ricorrente per far emergere l'insanabile contraddizione tra le due pronunce sul punto, assunta dalla difesa come premessa del ragionamento - che la falsita' ideologica si sia realizzata in via contestuale alla tenuta della contabilita' (laddove anche i cd. rimaneggiamenti, possibili proprio in virtu' dell'assenza di un'ordinata rendicontazione, si inserivano pur sempre nell'ambito della "tenuta" delle scritture contabili), e cioe' mediante l'annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l'omessa annotazione di dati veri, con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice, ossia in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, e che nel caso di specie si tratti della fattispecie della tenuta fraudolenta delle scritture contabili di cui alla L. Fall., articolo 216, n. 2, seconda parte (cosi' come contestato). A tale condotta di falsificazione si aggiunge, poi, quella della tenuta confusa e incompleta delle scritture, ferme al 2011, come emerge anche dalla sentenza di appello, che anzi alla pagina 33 indicata in ricorso nel precisare che "pacifico che la documentazione fosse conservata in maniera incompleta e confusa, nonche' ferma al 2011, la contestazione attiene la falsificazione delle scritture o la tenuta utile a non consentire la ricostruzione del patrimonio mediante piu' articolate condotte", correttamente equipara le falsificazioni ricondotte alla L. Fall., articolo 216, n. 2, seconda parte alla tenuta irregolare e incompleta della contabilita' parimenti sussumibile, e sussunta, nella medesima seconda parte della disposizione citata. E quanto alla capitalizzazione della societa' mediante il conferimento dei titoli (OMISSIS), a differenza di quando assume il ricorrente, la corte di appello, nel richiamare la sentenza di primo grado che aveva gia' chiarito tutti i risvolti della vicenda, non manca di precisare che trattasi di condotta attraverso la quale e' stata esposta anche in bilancio "una posta fittizia con le implicazioni rilevanti quanto alla bancarotta documentale, fatto anch'esso articolantesi in una pluralita' di condotte tutte convergenti nella non corretta tenuta della contabilita' al fine di impedire la ricostruzione degli affari"; dopo di che la corte territoriale espressamente richiama il passaggio della pronuncia di primo grado che correla l'operazione de qua con la necessita' di continuare a svolgere l'attivita' in termini piu' massivi stante le perquisizioni operate nel maggio 2010. Quanto, poi, all'attribuibilita' a (OMISSIS) anche della falsa patrimonializzazione mediante l'appostazione del titolo apportato dal socio sovventore (OMISSIS) LTD, infondata e' la deduzione secondo cui la sentenza impugnata sarebbe rimasta silente sul punto; ed invero, fermo restando il richiamo per relationem, in premessa operato dal giudice di secondo grado alla sentenza di primo grado, che aveva certamente con maggiore ampiezza affrontato tutti gli aspetti della vicenda esplicitando anche quelli afferenti la posizione specifica del ricorrente, deve rilevarsi che la corte di appello ha comunque piu' volte spiegato con argomenti validi in generale per tutti gli imputati - che la complessiva vicenda dovesse essere ricostruita in termini di concorso tra essi, di condivisa realizzazione del sistema illecito che comportava l'assunzione, sempre di comune accordo, di condotte illecite su piu' fronti, ivi compreso quello afferente la tenuta delle scritture contabili, ed atti conseguenziali, e la capitalizzazione apparente, resasi necessaria anche proprio in conseguenza dell'impostazione illecita data, da tutti gli imputati, alla gestione della societa' (di cui (OMISSIS) era, peraltro, co-amministratore di fatto); sicche' irrilevante rimane la circostanza - e la corte di appello espressamente esclude che essa possa di per se' consentire di eliminare il coinvolgimento degli altri - secondo cui (OMISSIS) si sarebbe assunto la paternita' dell'operazione in questione, dal momento che essa - come precisato dalla stessa corte di appello era servita per consentire a tutti gli imputati di proseguire nella loro illecita attivita'. Del tutto congetturale e' poi quanto si prospetta in ricorso a sostegno dell'estraneita' di (OMISSIS) rispetto alla rettificazione dei rendiconti relativi alle polizze stipulate da (OMISSIS) s.r.l., basantesi su un argomento di tipo logico non dotato di stringente valenza idonea a inficiare il complessivo percorso argomentativo sviluppato dai giudici di merito anche al riguardo. Del pari privo di pregio risulta, infine, la doglianza che lamenta che si sia considerata solo la contabilita' di (OMISSIS) e non anche quella di (OMISSIS), non oggetto di rilievi di carattere tributario o penale, non considerando essa che il fallimento ha riguardato unicamente (OMISSIS) e che quindi a tale societa' andavano indirizzati gli accertamenti del caso. 2.6. Il sesto motivo nel riprodurre argomenti gia' spesi di volta in volta coi precedenti motivi si appunta sulla componente soggettiva, contestandola, relativa alle tre fattispecie ascritte al ricorrente (ai capi A, B e C). Non possono quindi che richiamarsi in premessa tutti gli argomenti gia' svolti nel passare in rassegna i primi cinque motivi del ricorso in scrutinio, la cui disamina ha gia' implicato anche valutazioni afferenti l'aspetto psichico dei reati. Rimane solo da precisare che, come ha chiarito la giurisprudenza di questa Corte, in tema di bancarotta L. Fall., ex articolo 223, comma 2, n. 2, quanto all'elemento psicologico, sostanziandosi la fattispecie in esame in una "eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale", in relazione ad essa "esaurisce l'onere probatorio dell'accusa la dimostrazione della consapevolezza e volonta' della natura "dolosa" dell'azione, costitutiva dell'operazione", a cui segue il dissesto, in una con l'astratta prevedibilita' dell'evento scaturito per effetto dell'azione antidoverosa" (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010 - dep. 07/05/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 247313 - 4 - 5). Sicche', nell'ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti come nel caso di specie - un immediato depauperamento della societa', la condotta di reato e' configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, alla prevedibilita' del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del 1/10/2015, Lubrina, Rv. 265510 in motivazione; di recente, sulla natura preterintenzionale del reato, vedi anche Sez. 5, n. 38728 del 3/4/2014, Rampino, Rv. 262207). Ne discende che la questione della prevedibilita' del dissesto da parte degli imputati, che si assume non oggetto di approfondimento argomentativo da parte del giudice di merito, risulta invece affrontata e sufficientemente motivata, trattandosi di aspetto correlato alla dinamica insita nel meccanismo illecito concordato ed attuato dagli imputati, sopra descritto, che in maniera esponenziale sottoponeva la societa' e il suo patrimonio a crescente esposizione, che inevitabilmente avrebbe condotto al fallimento; circostanza di cui evidentemente non potevano non rendersi conto gli imputati che quel meccanismo consapevolmente e dolosamente attuarono. D'altronde, l'onere probatorio dell'accusa, rispetto a tale fattispecie, si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volonta' dell'amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fronte degli interessi della societa', nonche' dell'astratta prevedibilita' dell'evento di dissesto quale effetto dell'azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la rappresentazione e la volonta' dell'evento fallimentare (Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014, Rv. 262207). Nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso e' solo l'effetto - dal punto di vista della causalita' materiale - di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell'operazione ha accettato il rischio dello stesso. Quel che la L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2 richiede ai fini del perfezionamento dell'elemento soggettivo e' la volonta' di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalita' dell'impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori. E nel caso di specie, e' stato dimostrato, come detto, dai giudici di merito che la prestazione indiscriminata delle fideiussioni, e la conseguente sovraesposizione debitoria della societa', voluta dagli imputati, sia stato il fattore determinante e la causa principale del fallimento della societa'. Consegue che ogni ulteriore specificazione - riguardo ad esempio alla circostanza, pure citata in ricorso, della stratificazione della legislazione disciplinante la materia dei cofidi comunque considerata dai giudici di merito e ritenuta non decisiva ai fini che occupano - non avrebbe aggiunto alcunche' ad un quadro complessivo che gia' di per se' depone per la sussistenza anche dell'elemento soggettivo del reato in argomento. Lo stesso deve dirsi per la bancarotta distrattiva, laddove la consapevolezza della messa in pericolo del patrimonio societario derivante dalle condotte distrattive, e' anch'essa in re ipsa avendo esse avuto ad oggetto sottrazioni di somme di denaro prive di alcuna giustificazione riguardo all'interesse dell'impresa. Tutto cio' senza considerare che, peraltro, secondo la ricostruzione del giudice di merito - non oggetto, sul punto, come sopra visto di effettive critiche disarticolanti - al (OMISSIS) le condotte sono anche ascritte nella sua qualita' di amministratore di fatto della (OMISSIS), circostanza questa che non consente a monte di ritenere che l'imputato abbia agito senza rendersi conto delle condizioni patrimoniali dell'ente. Quanto, infine, alla bancarotta fraudolenta documentale ravvisata nel caso di specie, a tutto quanto gia' sopra detto in occasione dell'esame degli altri motivi, e' solo il caso di aggiungere che ai fini della sua integrazione e' richiesto il dolo generico (cfr. tra tutte Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Rv. 271753 - 01). 2.7. Il settimo motivo nella parte in cui assume che non si comprenderebbe se sono state contestate entrambe le aggravanti della L. Fall., articolo 219 e' manifestamente infondato: e' invero solo il caso di evidenziare che quella dei piu' fatti di bancarotta, oltre ad essere specificamente indicata, si evince in maniera piana dalla stessa formulazione dell'imputazione che enuncia piu' fatti di bancarotta propria e impropria; mentre per l'aggravante del danno di rilevante gravita' parimenti non potrebbe sorgere alcun dubbio sulla sua contestazione dal momento che essa e' espressamente non solo contemplata ma anche descritta nell'imputazione; ne' potrebbe assumere rilievo per inficiare la contestazione, il fatto che entrambe le aggravanti risultano aggiunte a penna in calce alla imputazione riportata nella sentenza di secondo grado - laddove esse sono gia' presenti anche in quella di primo grado -, non essendo peraltro messa in discussione la loro contestazione da parte dell'accusa. Quanto poi alla contestazione del mancato accertamento dell'entita' del danno, svolta mediante il riferimento alla giurisprudenza di questa Corte in caso di bancarotta distrattiva, deve preliminarmente osservarsi che nel caso di specie l'aggravante in parola risulta contestata con riferimento a tutte le ipotesi criminose, non solo quindi in relazione alla bancarotta fraudolenta patrimoniale. Cio' nondimeno la censura al riguardo e' fondata nel merito. Ed invero, come ha avuto modo di affermare piu' volte questa Corte, la circostanza aggravante del "danno patrimoniale di rilevante gravita'" di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, si configura solo se ad un fatto di bancarotta di rilevante gravita', quanto al valore dei beni sottratti all'esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, sia di entita' altrettanto grave (Sez. 5, Sentenza n. 48203 del 10/07/2017, Rv. 271274 - 01), laddove nel caso di specie l'affermazione della sussistenza di tale aggravante, genericamente ed erroneamente affermata con riferimento alle ipotesi contestate sulla base dell'entita' del passivo, a fronte della contestazione sollevata gia' in appello, andava certamente preceduta da una compiuta disamina delle circostanze concrete che avevano condotto a ravvisarla. Discende che la sentenza impugnata deve essere annullata - per tutti gli imputati - con riferimento all'aggravante del danno di rilevante gravita', la cui sussistenza andra' verificata in relazione a ciascuna fattispecie criminosa alla stregua delle seguenti coordinate interpretative. Si dovra' considerare che mentre la bancarotta fraudolenta patrimoniale e' reato di pericolo e non richiede - nell'azione del fallito - la dimostrazione di un danno reale ai creditori, essendo integrata anche soltanto con la mera messa in pericolo degli interessi creditori, senza necessita' di un pregiudizio, questo - ove sussistente in termini di rilevante gravita' - puo' integrare l'aggravante in esame (Sez. 5, n. 11633 del 08/02/2012 - dep. 26/03/2012, Lombardi Stronati, Rv. 252307); e che in questa prospettiva, si e' affermato che, ai fini dell'applicazione, della L. Fall., articolo 219, "la valutazione del danno va effettuata con riferimento non all'entita' del passivo o alla differenza tra attivo e passivo, bensi' alla diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta; pertanto, il giudizio relativo alla particolare tenuita' - o gravita' - del fatto non si riferisce al singolo rapporto che passa tra fallito e creditore ammesso al concorso, ne' a singole operazioni commerciali o speculative dell'imprenditore decotto, ma va posta in relazione alla diminuzione - non percentuale ma globale - che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti" (Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000 - dep. 23/11/2000, Di Muni, Rv. 217403; conf. Sez. 5, n. 8690 del 27/04/1992 - dep. 04/08/1992, (OMISSIS), Rv. 191565). Infatti, la L. Fall., articolo 219 "in funzione aggravante o attenuante considera il danno patrimoniale, il quale, ancorche' misurato al tempo del fallimento, e' solo quello che consegue ai fatti di bancarotta" (Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi). Tale orientamento si e' poi consolidato ribadendo il principio di diritto in forza del quale, in tema di reati fallimentari, l'entita' del danno provocato dai fatti configuranti bancarotta patrimoniale va commisurata al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all'esecuzione concorsuale, piuttosto che al pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell'attivo, ed indipendentemente dalla relazione con l'importo globale del passivo (Sez. 5, n. 49642 del 02/10/2009 - dep. 28/12/2009, Olivieri, Rv. 245822; conf. Sez. 5, n. 8037 del 03/06/1998 - dep. 07/07/1998, Urso G, Rv. 211637; Sez. 5, n. 13285 del 18/01/2013 - dep. 21/03/2013, Pastorello, Rv. 255063). Affermazione, quest'ultima relativa alla configurabilita' della circostanza aggravante sulla base dell'entita' del danno provocato dal fatto di bancarotta e indipendentemente dalla relazione con l'importo globale del passivo, che merita una puntualizzazione: essa, infatti, mette in luce come la circostanza aggravante possa essere integrata anche in presenza di un danno derivante dal fatto di bancarotta che, pur essendo, in se' considerato, di rilevante gravita', rappresenti una frazione "non rilevante" del passivo globalmente considerato. La medesima affermazione, tuttavia, non puo' essere intesa nel senso che la circostanza aggravante sia configurabile in presenza di un fatto di bancarotta pur, in se', di rilevante gravita' quanto al valore dei beni sottratti all'esecuzione' concorsuale, senza, tuttavia, che il pregiudizio in capo ai creditori, complessivamente considerato sia esso stesso di rilevante gravita': un'interpretazione del genere, invero, priverebbe la circostanza di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, della sua connotazione di fattispecie di danno e non di pericolo. Se, dunque, per la particolare condizione patrimoniale della fallita, da un fatto di bancarotta patrimoniale di rilevante gravita' non e' derivato un danno anch'esso - di rilevante gravita', la fattispecie circostanziale non puo' dirsi integrata. Rilevata la assoluta carenza motivazionale della sentenza impugnata al riguardo, considerato che la verifica circa la riconoscibilita' dei requisiti della circostanza aggravante de qua implica accertamenti di merito (con riguardo, in particolare, alla incidenza, singolarmente considerata rispetto a ciascuna fattispecie criminosa, rispettivamente, delle somme distratte, dei crediti connessi alle fideiussioni causative del fallimento, in relazione al pregiudizio, complessivamente considerato, in capo ai creditori) preclusi a questa Corte, s'impone l'annullamento, anche in parte qua, della sentenza impugnata, con rinvio. 2.8. L'ottavo motivo che lamenta l'applicazione di una pena eccessiva e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e' manifestamente infondato. La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'articolo 62-bis c.p.. in ogni caso oggetto di un giudizio di fatto, e puo' essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche' la stessa motivazione, purche' congrua e non contraddittoria, non puo' essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (ex multis, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003 Ud. (dep. 23/02/2004) Rv. 229768). E' jus receptum che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non e', infatti, necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899); e nel caso di specie il giudice di merito, con motivazione esente da vizi, ha ritenuto, tra l'altro, decisiva, quanto a (OMISSIS), la mancanza di segni positivi idonei a giustificare un'attenuazione della pena (oltre che la gravita' della condotta, la scaltrezza e la professionalita' nell'agire); laddove l'assenza di ammissioni rispetto ai fatti, costituente legittima esplicazione del diritto di difesa, pur non potendo essere di per se' ritenuta ostativa al riconoscimento delle attenuanti generiche, puo' nondimeno risolversi in una carenza di elementi su cui fondare la concessione delle stesse. Quanto, infine, alla censura che si appunta sul trattamento sanzionatorio, essa e' inammissibile oltre che per evidente genericita' intrinseca anche per manifesta infondatezza, limitandosi a contestare valutazione discrezionale di merito non arbitrariamente motivata - sia in primo che in secondo grado - e in quanto tale non sindacabile, stante lo specifico riferimento alle ragioni che depongono per la elevata gravita' della condotta complessivamente considerata e che hanno indotto la corte territoriale a ritenere congrua anche la pena inflitta a (OMISSIS), nell'ambito di una valutazione che, sebbene sviluppata in termini cumulativi rispetto a tutti gli imputati - con una diversificazione riservata al solo (OMISSIS) sotto il profilo del riconoscimento delle attenuanti generiche - risulta del tutto congruente con la impostazione ricostruttiva della vicenda secondo cui le condotte ascrivibili a ciascun imputato confluiscono in essa convergendo in misura sotti certi aspetti equivalente alla realizzazione della disastrosa situazione fallimentare in cui piombo' la societa' (che come sottolinea la sentenza di primo grado proprio in occasione della determinazione delle pene vide "un buco" di circa 15 milioni di Euro che avrebbe potuto essere anche molto piu' consistente se non fosse stata adottata l'interpretazione che ha escluso dall'insinuazione al passivo coloro che attivarono le fideiussioni in epoca successiva al fallimento - o meglio che al momento della dichiarazione di fallimento non avevano un titolo esecutivo autonomo; con la precisazione che il sistema (OMISSIS) ebbe effetti disastrosi anche nei confronti di enti pubblici determinando l'incapienza del soggetto che avrebbe dovuto garantire i privati che acquistarono le fideiussioni). 3. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 3.1. Il primo motivo, di la' della sua genericita' deducendo sulla base di notizie di stampa la circostanza secondo cui il Presidente del collegio, Dott. Gamacchio, che ebbe a sottoscrivere la pronuncia impugnata era in aspettativa all'atto della sottoscrizione senza neppure precisare con esattezza il periodo di aspettativa, e' manifestamente infondato. Ed invero, in tema di formazione della sentenza penale, va distinta la sentenza-decisione, la quale afferma la volonta' dello Stato in ordine alla pretesa punitiva e si perfeziona con la lettura del dispositivo in pubblica udienza, a norma dell'articolo 472 c.p.p. 1930, dalla sentenza-documento, che si realizza con la redazione della motivazione la sottoscrizione ed il successivo deposito. Pertanto, al fine di accertare i requisiti di capacita' del giudice bisogna avere riguardo alla data della sentenza-decisione, la quale segna il momento centrale dell'esercizio della funzione giudiziaria, mentre il successivo collocamento in pensione del magistrato non preclude il compimento delle altre attivita' successive, che hanno natura complementare ed accessoria ed integrano lo sviluppo di una pronunzia validamente emessa (Sez. 6, Sentenza n. 1793 del 03/06/1993 Ud. (dep. 11/02/1994), Rv. 198561 - 01, nella specie questa Corte ha rigettato il ricorso che deduceva nullita' della sentenza sottoscritta dal presidente del tribunale in data successiva al suo collocamento a riposo.); a maggior ragione tale principio va riaffermato in caso di una mera sospensione dell'attivita' lavorativa, come nell'ipotesi dell'aspettativa. D'altro canto, hanno anche gia' avuto modo di osservare le Sezioni Unite di questa Corte, in tema di sottoscrizione della sentenza, che ai fini della legittimazione alla sottoscrizione del provvedimento collegiale da parte del giudice piu' anziano del collegio, l'impedimento, diverso dalla morte, di cui fa menzione l'articolo 546 c.p.p., comma 2, deve essere effettivo, serio, grave e duraturo (Sez. U, Sentenza n. 600 del 29/10/2009 Cc. (dep. 08/01/2010), Rv. 245175 - 01, nella specie il trasferimento ad altra sede del presidente del collegio non e' stato ritenuto, di per se', ostacolo giuridico alla sottoscrizione, pur non potendosi escludere che possa esserlo di fatto, sulla base di accertamento da condurre nel singolo caso; in applicazione di tale principio la Corte, preso atto dell'intervenuta valutazione, in concreto, della sussistenza dell'impedimento da parte del componente piu' anziano del collegio, ha ritenuto inammissibile la censura proposta). E' dunque possibile concludere che nel caso in esame, evidentemente, alcun impedimento si frappose alla sottoscrizione della sentenza, ne' giuridico ne' materiale, sicche' deve ritenersi che essa fu validamente sottoscritta dal presidente in aspettativa alla stregua di quanto, in diritto, sopra osservato. 3.2. Il secondo motivo contesta la qualita' di amministratore di fatto, attribuita anche al ricorrente - l'altro broker che operava direttamente presso la sede della fallita - in termini analoghi, ma piu' circoscritti, sia per contenuto che per modalita' di impostazione della doglianza, a quelli posti nell'interesse della speculare figura di (OMISSIS), sicche' rispetto ad esso non possono che richiamarsi tutti gli argomenti gia' sopra svolti quanto al pieno coinvolgimento di entrambi i broker, in concorso con gli altri imputati, nelle dinamiche societarie, i cui risvolti illeciti sono stati parimenti gia' ampiamente tracciati; argomenti che hanno correttamente condotto a ritenere che anche (OMISSIS) non era solo un broker in quanto le sue funzioni andavano ben oltre la tipicita' delle mansioni proprie di tale figura professionale, investendo aspetti decisionali; laddove anche l'assunto, qui reiterato, secondo cui la valutazione delle pratiche sarebbe stata di pertinenza degli amministratori formali della societa', limitandosi il broker all'istruttoria e quindi al passaggio finale di esse all'amministratore formale che ne vagliava il contenuto, risulta smentito alle stregua non solo della complessiva ricostruzione della vicenda svolta nelle conformi pronunce di merito, di cui vi e', sopra, un ampio saggio, ma anche degli specifici elementi ed argomenti parimenti gia' sopra indicati (tra i quali, ad esempio, la circostanza del rinvenimento di moduli di contratti di fideiussioni sottoscritti in bianco dal legale rappresentate di (OMISSIS), segnalata dai giudici di merito a ulteriore conforto della natura meramente formale del passaggio della pratica all'amministratore formale). Quanto poi alle deduzioni che si fondano sulle deposizioni di testi, risultano parimenti calzanti i principi di questa Corte elencati in premessa che, come gia' evidenziato, nel delineare, alla stregua delle norme, l'ambito esplicativo del giudizio di legittimita', impongono di tenere fuori da esso tutto cio' che implica mera rivalutazione probatoria e verifiche in fatto; laddove nel caso di specie, a ben vedere, peraltro i contenuti dei testimoniali ostesi non sono neppure decisivi ai fini prospettati dal momento che dai giudici di merito non e' stata esclusa la sottoposizione della proposta di fideiussione all'amministratore formale, che era il solo che poteva nella qualita' formalmente rivestita firmarla, avendo essi piuttosto escluso che vi fosse stato da parte dell'amministratore formale un vaglio effettivo al riguardo; e il fatto che i dipendenti avessero affermato che i loro referenti per le pratiche fossero (OMISSIS) e (OMISSIS) non sminuisce affatto l'impostazione dell'accusa, ne' questa potrebbe dirsi contraddetta per il fatto che un teste non abbia riferito che (OMISSIS) avesse una stanza presso (OMISSIS) ma solo che "si appoggiava in una stanza" o ancora che (OMISSIS) non operava sui conti (circostanza questa che evidentemente discendeva dal fatto che non rivestiva alcun ruolo formale nella societa'). Ne', infine, potrebbe assumere valore disarticolante, quanto dedotto in termini di inutilizzabilita' con riferimento al contenuto dell'ordinanza di custodia cautelare adottata nel procedimento romano riguardante fatti ulteriori, e cio' di la' della inammissibilita' della deduzione che e' stata formulata senza effettuarsi la cd. prova di resistenza, che e', invece, pacificamente richiesta in caso di eccezione di inutilizzabilita' di un atto. 3.3. Ne' a risultati diversi potrebbe condurre la eccezione di inutilizzabilita' dell'ordinanza cautelare reiterata anche in occasione della contestazione della componente soggettiva in capo al ricorrente in relazione al reato di operazioni dolose causative del fallimento, oggetto del terzo motivo. Ed invero, come si e' gia' avuto modo di osservare in precedenza, la fattispecie in esame si risolve in una "eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale" in relazione alla quale "esaurisce l'onere probatorio dell'accusa la dimostrazione della consapevolezza e volonta' della natura "dolosa" dell'azione, costitutiva dell'"operazione", a cui segue il dissesto, in una con l'astratta prevedibilita' dell'evento scaturito per effetto dell'azione antidoverosa" (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010 - dep. 07/05/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 247313 -4 - 5). Sicche', nell'ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti come nel caso di specie - un immediato depauperamento della societa', la condotta di reato e' configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, alla prevedibilita' del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del 1/10/2015, Lubrina, Rv. 265510 in motivazione; di recente, sulla natura preterintenzionale del reato, vedi anche Sez. 5, n. 38728 del 3/4/2014, Rampino, Rv. 262207). Ne discende che la prevedibilita' del dissesto da parte del ricorrente, che si assume non oggetto di approfondimento argomentativo da parte del giudice di merito, non solo risulta invece affrontata e sufficientemente motivata ma, trattandosi di aspetto correlato alla dinamica insita nel meccanismo illecito concordato ed attuato dagli imputati, sopra descritto - che in maniera esponenziale sottoponeva la societa' e il suo patrimonio a crescente esposizione debitoria -, di fatto essa trapela attraverso la stessa ricostruzione della complessiva vicenda che, per come concepita e strutturata, non poteva, come piu' volte detto, che portare al dissesto e al fallimento per l'accumularsi dei debiti di garanzia in capo a (OMISSIS) accumulo neppure controbilanciato dall'introito di premi adeguati. Consegue che ogni ulteriore specificazione - riguardo ad esempio alla circostanza, pure citata in ricorso, della stratificazione della legislazione disciplinante la materia dei cofidi comunque considerata dai giudici di merito e ritenuta non decisiva ai fini che occupano - non avrebbe aggiunto alcunche' ad un quadro complessivo che gia' di per se' depone per la sussistenza anche dell'elemento soggettivo del reato in argomento. Sicche', in definitiva, il riferimento ai fatti di cui all'ordinanza cautelare citata peraltro pacificamente emersi anche nel presente procedimento quanto a partecipazione degli imputati ad altre societa' svolgenti attivita' analoghe - e' destinato a rimanere sullo sfondo non costituendo certamente esso il fulcro intorno a cui, anche in parte qua, ruota la ricostruzione accusatoria, che - non va dimenticato - trae origine dalla qualifica di amministratore di fatto ritagliata in capo al ricorrente. 3.4. Il quarto motivo - che lamenta, da un lato, il vizio di motivazione in ordine alla confermata condotta distrattiva in relazione alle provvigioni percepite e, dall'altro, la mancanza di una risposta argomentata alla richiesta formulata dalla difesa ex articolo 603 c.p.p., di acquisizione di documenti tesi a dimostrare che la percentuale introitata da (OMISSIS) non fu pari al 50% dei premi bensi' al 25% per essere la restante parte destinata ai broker locali - non considera che la corte territoriale ha invece fornito risposta esauriente anche al riguardo, con argomenti analoghi a quelli spesi in relazione alla posizione di (OMISSIS) - di cui si e' gia' sopra fatto cenno - in tal modo spiegando, tra l'altro, anche il motivo della non decisivita' delle fatture dei subagenti di cui era stata chiesta l'acquisizione. In particolare, si e' in buona sostanza affermato che cio' che rileva ai fini della configurazione della condotta criminosa de qua e' che su (OMISSIS) sia ricaduto un onere eccessivo rispetto alle sue capacita' patrimoniali non giustificabile con gli eventuali importi dovuti ai sub agenti, che, ove considerati, comporterebbero una duplicazione di riconoscimento economico per un'attivita' che dal punto di vista della fallita, controparte negoziale, avrebbe dovuto essere unitaria. Sicche' il motivo, aspecifico in punto di ricostruzione della questione dei premi indebitamente incassati, in definitiva coglie nel segno - al pari di quello similare posto nell'interesse di (OMISSIS) - laddove adombra la erroneita' dell'impostazione accusatoria nel ricondurre alla fattispecie della distrazione la condotta relativa ai premi percepiti tramite (OMISSIS), ricompresa anche nella contestazione della fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2; sicche' anche per (OMISSIS) - come d'altronde per tutti gli imputati trattandosi di motivo non avente natura personale - s'impone l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio, per nuovo esame sul punto. 3.5. In ordine al quinto motivo sulla bancarotta documentale valgono le medesime considerazioni svolte con riferimento alla posizione di (OMISSIS) quanto alla rilevata "unitaria dimensione concorsuale" della vicenda, in essa inclusa anche la condotta fraudolenta documentale, che non puo' prescindere dal coinvolgimento di (OMISSIS) in qualita' di amministratore di fatto; valutazione che non trascura di considerare anche il contributo specifico del ricorrente, essendosi nella sentenza impugnata precisato che la condotta interessante (OMISSIS) riguarda la rettifica dei rendiconti e che "la mancata tenuta della rendicontazione ordinata si e' tradotta in una fictio utile a dare giustificazione ex post dei premi incassati: l'intento fraudolento si salda con il conseguimento di utilita' economiche che, oltre a essere frutto di un'attivita' dispiegata in un contesto di abusivismo, hanno avuto valenza distrattiva"; laddove le circostanze dei sequestri preventivi della contabilita' e delle condizioni in cui la stessa sarebbe stata tenuta a causa dello sfratto subito, pure genericamente addotta dalla difesa per escludere il dolo in capo al ricorrente, appaiono francamente del tutto inconferenti rispetto alle condotte ascritte, come ricostruite nelle sentenze di merito nei termini gia' ampiamente sopra evidenziati. 3.6. Quanto al sesto motivo, premesse le coordinate interpretative in tema di determinazione della pena e di riconoscimento delle attenuanti generiche e dei correlati spazi delibativi riservati a questa Corte, gia' tracciati in occasione dell'esame del motivo sotto certi aspetti analogo - formulato nell'interesse di (OMISSIS), non puo' che rilevarsi la sua inammissibilita'. Il giudice di merito, con motivazione esente da vizi, ha ritenuto, tra l'altro, decisiva, quanto a (OMISSIS) - con impostazione analoga a quella seguita per (OMISSIS) la mancanza di segni positivi idonei a giustificare un'attenuazione della pena (oltre che la gravita' della condotta, la scaltrezza e la professionalita' nell'agire); laddove l'assenza di ammissioni rispetto ai fatti, costituente legittima esplicazione del diritto di difesa, pur non potendo essere di per se' ritenuta ostativa al riconoscimento delle attenuanti generiche, puo' nondimeno risolversi - come in buona sostanza accaduto nel caso di specie - in una carenza di elementi su cui fondare la concessione delle stesse; il cui diniego si fonda soprattutto sulla negativa personalita' del ricorrente come delineatasi attraverso le condotte a lui ascritte e sulla elevata gravita' di queste. In definitiva la complessiva motivazione resa sia in ordine alla congruita' della pena - che comunque non supera la media edittale - che al diniego delle attenuanti generiche risulta del tutto congruente con la impostazione ricostruttiva della vicenda secondo cui le condotte ascrivibili a ciascun imputato confluiscono in essa convergendo in misura determinante e sotti certi aspetti equivalente alla realizzazione della disastrosa situazione fallimentare in cui piombo' la societa' (che, come sottolinea la sentenza di primo grado proprio in occasione della determinazione delle pene, vide "un buco" di circa 15 milioni di Euro che avrebbe potuto essere anche molto piu' consistente se non fosse stata adottata l'interpretazione che ha escluso dall'insinuazione al passivo coloro che attivarono le fideiussioni in epoca successiva al fallimento - o meglio che al momento della dichiarazione di fallimento non avevano un titolo esecutivo autonomo; con la precisazione che il sistema (OMISSIS) ebbe effetti disastrosi anche nei confronti di enti pubblici determinando l'incapienza del soggetto che avrebbe dovuto garantire i privati che acquistarono le fideiussioni). 4. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 4.1. Il primo e il secondo motivo sull'incompetenza, per connessione del presente procedimento coi fatti di cui a quello romano, e' generico, non essendosi neppure rappresentato in quale fase o grado risultasse pendente il procedimento romano all'atto del rinvio a giudizio intervenuto nel presente procedimento. Se e' vero infatti che il criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza, costituito dalla connessione tra reati, opera indipendentemente dalla pendenza dei relativi procedimenti nello stesso stato e grado, e' altrettanto vero che esso non puo' piu' trovare applicazione allorquando il procedimento per il reato piu' grave, che esercita la "vis attrattiva", sia stato definito con sentenza passata in cosa giudicata, essendo venuta meno la coesistenza di piu' processi (Sez. 2, Sentenza n. 29110 del 03/05/2019, Rv. 277493 - 01). In motivazione, questa Corte ha altresi' precisato che il momento in cui va valutata la sussistenza della connessione non e' quello dell'esercizio dell'azione penale ma quello del rinvio a giudizio, laddove nel caso di specie non risultano neppure specificamente indicati i parametri temporali e tutti gli aspetti ai fini della verifica della sussistenza dei presupposti per la deducibilita' dell'eccezione; peraltro qui riproposta nell'ottica di ottenere l'annullamento della sentenza impugnata e non la declaratoria di nullita', innanzitutto, della pronuncia di primo grado. Tuttavia la corte di appello aveva gia' risolto correttamente ed adeguatamente la questione qui riproposta rilevando come fosse innanzitutto ostativo al suo accoglimento il fatto che, a differenza di quanto assumeva e tuttora assume il ricorrente, non possa ritenersi in alcun modo contestata, neppure in fatto, l'aggravante della transnazionalita' con riferimento alla bancarotta fraudolenta ascritta nel procedimento romano, ossia la circostanza che avrebbe consentito di qualificare piu' grave quel reato ai fini dell'operativita' della vis attrattiva; a cio' si aggiunge che non risultano neppure specificamente allegati gli elementi dai quali desumere non solo la assonanza esistente tra soggetti e fatti ascritti nel procedimento romano e quelli oggetto del presente procedimento, ma anche proprio la esistenza di un preesistente piano delittuoso a cui ricondursi tutte le ipotesi criminose, che si assumono connesse ai sensi dell'articolo 12 c.p.p., lettera b) (per il solo fatto che nel procedimento romano risultasse contestato il reato associativo). 4.3. Il terzo motivo, che contesta la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui conferma il giudizio sulla qualifica di amministratore di fatto attribuita al ricorrente in relazione all'epoca successiva alle rassegnate dimissioni dalla carica di amministratore formale, e' aspecifico. Esso, estrapolando stralci della motivazione, ne assume la illogicita' senza confrontarsi con la complessiva ricostruzione dei giudici di merito che hanno affermato nelle conformi pronunce di secondo grado e primo grado - quest'ultima richiamata per relationem avendo essa gia' esaustivamente assorbito, attraverso la puntuale ricostruzione anche di tale segmento fattuale, le questioni proposte in appello e qui pedissequamente riproposte. Osserva invero la corte di appello al riguardo come il giudice di primo grado avesse valorizzato il pregresso periodo in cui l'imputato aveva rivestito la qualifica formale di membro del c.d.a. - e cio', a differenza di quanto si assume in ricorso, non gia' per desumerne il ruolo di fatto in seguito rivestito dal ricorrente ma ai fini dell'affermazione della sua responsabilita' penale in ordine alle condotte contestate risalenti nella maggior parte dei casi al periodo in cui era amministratore formale oltre che una pluralita' di altri elementi, tra i quali la persistente operativita' sui conti correnti anche successivamente alle dimissioni. Sebbene questa fosse l'espressione piu' eclatante del ruolo di fatto rivestito, spiega la corte di appello, essa non era l'unica. In ogni caso non e' contestato che (OMISSIS) abbia disposto di carta di credito intestata alla societa' ed abbia effettuato prelievi ed altre operazioni anche dopo le dimissioni dalla carica da aprile a novembre 2011, e che sia stato altresi' l'artefice, unitamente a (OMISSIS), delle operazioni di fittizia capitalizzazione tramite i titoli (OMISSIS) (operazione del cui rilievo ai fini della prosecuzione dell'attivita' illecita si e' gia' detto in precedenza). E' in definitiva lo stesso flusso finanziario intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS) a non essere giustificabili se non con un'ingerenza nella gestione della societa' - essendo peraltro rimasta priva di attendibilita', secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, la giustificazione offerta al riguardo dal ricorrente che adduce l'esistenza di un contratto di consulenza stipulato nel gennaio del 2011 per la fusione della societa' con altre - ed essendo di contro emersa con nitidezza la apparenza dell'operazione transattiva servita unicamente per distrarre somme in favore di (OMISSIS) (e di (OMISSIS)). Soprattutto, avendo i giudici di merito imputato le condotte illecite a cui avrebbe partecipato (OMISSIS) al periodo in cui questi rivesti' anche formalmente la carica, dando conto delle ragioni che militano per la sua piena e consapevole partecipazione alla complessiva vicenda criminosa - e non solo alle condotte distrattive poste in essere in suo favore - rimane in definitiva decentrata la questione proposta in questa sede col terzo motivo in esame, che ruota intorno ad aspetto non ritenuto predominante da parte del giudice di merito. A tratti motivo finisce col dedurre censure non proponibili in questa sede laddove adduce I travisamento delle deposizioni di due testi, i quali avrebbero escluso la presenza di (OMISSIS) presso la societa' dopo l'assunzione della carica di amministratore unico da parte di (OMISSIS) (circostanza che, contradetta da altre emergenze, non appare peraltro rivestire valore dirimente rispetto alla ben piu' complessa ricostruzione svolta dai giudici di merito e gia' sopra piu' volte citata, nell'ambito della quale, come esaustivamente dagli stessi spiegato, trovano posto anche le condotte ascritte al ricorrente). 4.4. L'ultimo motivo, che lamenta che il riconoscimento delle attenuanti generiche in termini di equivalenza, e' manifestamente infondato perche' il vizio di motivazione dedotto al riguardo non sussiste, avendo la corte di appello, nell'esercizio del potere discrezionale che le e' in materia riservato, in maniera congrua e nient'affatto contraddittoria, osservato come il ricorrente avesse quanto meno dimostrato di avere avviato un percorso di resipiscenza provvedendo ad erogare un importo non risibile ad un'associazione no profit (non avendo potuto provvedere al versamento in favore del fallimento); e' evidente che il riferimento all'avvio del percorso di resipiscenza e alla somma non irrisoria, ossia a circostanze che sebbene valutate positivamente non sono state ritenute evidentemente del tutto soddisfacenti ai fini del riconoscimento della prevalenza, non risulta, qui, suscettibile di sindacato, risolvendosi esso in un parametro valutativo congruamente adoperato e spiegato dal giudice di merito. 5. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 5.1. Il primo motivo e' manifestamente infondato, risultando la sentenza di primo grado regolarmente pronunciata dal medesimo collegio che ebbe a seguire l'istruttoria dibattimentale laddove la comparsa del nominativo della Dott.ssa Profumeri Federica nell'intestazione della sentenza documento e' in maniera evidente dovuto a un mero errore materiale (cio' balza evidente se solo si consultano i verbali di udienza); ne' a diversa conclusione potrebbe condurre il fatto che non si sia ancora apportata alcuna correzione all'evidente errore presente sull'atto. 5.2. Il secondo motivo, che pone a sostegno del vizio di motivazione denunciato con riferimento alla mancata considerazione dei motivi di appello che avevano chiesto l'assoluzione in ordine al reato di bancarotta impropria di cui al capo A, e', per un verso, manifestamente infondato e, per altro verso, generico facendo nella sostanza, esso, leva su circostanze che, nell'ambito della complessiva ricostruzione delle dinamiche illecite che ebbero a caratterizzare l'attivita' societaria, non sono affatto dirimenti ai fini assolutori prospettati. Col motivo si assume che quanto riferito dal teste qualificato (OMISSIS), commercialista, escluderebbe in radice la possibilita' di qualificare come abusiva l'attivita' di prestazione di garanzie fideiussorie svolta da (OMISSIS), avendo egli "certificato" il sottodimensionamento della societa' rispetto alla soglia dei 75 milioni di Euro che imponeva l'iscrizione dei (OMISSIS) nell'elenco di cui all'all'articolo 107 T.U.B., affermando che gli era stato conferito l'incarico per effettuare la fusione di (OMISSIS) con altri consorzi - mai svolto - per consentirle di entrare nell'elenco citato; a ben vendere pero' lo stesso ricorso, nella sostanza, afferma che in realta' il teste avrebbe semplicemente "certificato" con le sue dichiarazioni che gli organi di direzione della societa' non ritenevano di avere un giro di fideiussioni eccedente la soglia dei 75 milioni, non avendo egli di fatto svolto alcun incarico in tal senso; sembra, cioe', desumersi da quanto prospetta la stessa difesa che il teste riferiva cio' che aveva appreso dalla dirigenza di (OMISSIS) e sulla base di cio' aveva desunto il mancato raggiungimento della soglia indicata. La difesa ritiene che tale argomento possa avallare quanto meno il dubbio che gli imputati, e in particolare (OMISSIS), non avessero la consapevolezza di avere superato quella soglia, concludendo che, quindi, difettasse il presupposto dell'impostazione accusatoria che ruota intorno alla illegittimita' dell'attivita' svolta dalla societa'. Di la' della circostanza che la corte territoriale attribuisce all'incarico assegnato a (OMISSIS) nel marzo del 2011, a prescindere dalla buona fede del professionista, "un maldestro tentativo di fare fronte alla necessita' di traghettare l'operativita' della societa' in una entita' diversa, individuando tutte le iniziative utili a circoscrivere l'indagine romana preservando la operativita' illecita gia' ben congegnata" (rammentando in nota che il 6.5.2010 vi erano state le perquisizioni a Roma, il 1.10.2020 era stato operato il sequestro dei 40 ml di (OMISSIS), il 9.11.2010 (OMISSIS) aveva assunto la carica di amministratore prefigurando il trasferimento della sede da Roma a Milano), evidente e' la fragilita' dell'impostazione del motivo in esame che si fonda in buona sostanza sulle mere affermazioni di (OMISSIS) e non su dati di fatto (che attestano invece, secondo il prospetto excell e la testimonianza di P.g. (OMISSIS), riportati dai giudici di merito, ben altri importi, di 230 milioni di Euro per il solo 2010 e di 120 milioni di Euro per il 2011, nettamente superiori alla soglia di 75 milioni); ma la sua inconferenza rimane vieppiu' evidente se si considera la complessiva ricostruzione della vicenda di cui si e' piu' volte fatto cenno, che non lascia spazio alle ricostruzioni alternative delle difese, che si basano prevalentemente su singole affermazioni di testi, peraltro estrapolate da ben piu' ampi contesti dichiarativi, o su singole circostanze di per se' non disarticolanti, ne' a brecce assolutorie in virtu' della regola dell'oltre ragionevole dubbio invocata. Anche nel caso di (OMISSIS) si invoca tale principio sulla scorta di argomenti non decisivi, non idonei per contenuto e consistenza a scardinare la complessa impostazione accusatoria; questa - si rammenta - si articola in una pluralita' di congrue e logiche valutazioni deduttive e di tasselli concatenati tra loro - in cui si inserisce a pieno titolo anche la condotta di (OMISSIS) che nel restituire un quadro coerente e completo dei fatti, supportato da precisi e specifici elementi concreti, danno conto della sussistenza anche delle specifiche condotte addebitate; laddove, come si e' gia' sopra evidenziato, del "sistema (OMISSIS)" prescinde peraltro dalla legittimita' formale, o meno, dell'attivita' di prestazione di garanzie posta in essere da (OMISSIS). Sicche' il condivisibile giudizio di genericita' - di cui si lamenta il ricorso - espresso dalla corte territoriale in relazione al motivo gia' articolato in appello nei termini suindicati, non risulta in definitiva scalfito dagli argomenti qui riproposti. 5.3. Col terzo motivo si ripropone il tema della liceita' dell'attivita' svolta da (OMISSIS) e in particolare della legittimita' dell'inserimento della societa' nell'elenco di cui all'articolo 106 T.U.B.. Si passa, quindi, in rassegna la disciplina dettata al riguardo al fine di evidenziare la complessita' e opinabilita' della materia, citando anche le note della Banca d'Italia che dimostrerebbero come gli stessi enti pubblici, in particolare la stessa Agenzia delle entrate, chiedessero chiarimenti alla Banca d'Italia sulla possibilita' di accettare le fideiussioni da parte dei (OMISSIS) minori. Il tutto nell'ottica di porsi quanto meno il dubbio sull'elemento soggettivo. Ebbene, dal quadro evidenziato - sul quale si erano in realta' gia' pronunciati i giudici di merito, primi tra tutti quelli di primo grado, che hanno, come gia' sopra piu' volte detto, spiegato in cosa consistesse l'illiceita' del meccanismo messo in pedi, a cui ebbe poi a partecipare anche (OMISSIS), ponendo l'accento non tanto sulla legittimita' formale o meno dell'attivita' svolta da (OMISSIS) quanto piuttosto sulla illiceita' del sistema creato dagli imputati (si allude, in particolare, a (OMISSIS) essendo essa l'oggetto del presente procedimento ma non mancano riferimenti anche agli altri (OMISSIS) confluiti nell'indagine romana di cui hanno parlato gli operanti della g.d.f. in sede di escussione dibattimentale, oltre che alcuni degli stessi imputati in sede di esame), sistema deputato nella sostanza a drenare denaro che refluiva non solo e non tanto nelle casse della societa' ma anche in quelle delle societa' intermediarie, facenti capo ai broker (OMISSIS) e (OMISSIS) - emerge piuttosto la gravita' di quanto accaduto, nonostante e di la' delle modifiche normative introdotte nel 2007. Molti enti pubblici, tra i quali diverse Agenzie delle entrate, nel dubbio sulla possibilita' di ricevere o meno fideiussioni dai (OMISSIS) minori, accettarono le fideiussioni da questi presentate e cio', e' ragionevole ipotizzare, perche' evidentemente confidavano nella solidita' delle societa' che le avevano stipulate, di la' della loro iscrizione formale in un elenco; d'altronde, la mancanza di sottoposizione ai controlli formali previsti solo in caso di (OMISSIS) maggiori non avrebbe certamente esentato la societa', che non rivestiva formalmente tale qualifica, dall'adozione delle cautele del caso e, soprattutto, per quel che qui rileva, dalla necessita' di avere la capacita' patrimoniale per far fronte alle garanzie assunte, pena la responsabilita' di chi agiva per suo conto, impegnandola pur in assenza di risorse adeguate. 5.3.1. Cio', quante a (OMISSIS), si e' rivelato nei fatti non corrispondente alle aspettative dei terzi, non avendo, poi,- la societa' provveduto ad onorare le garanzie illecitamente prestate (ritenute, nella sostanza, correttamente, valide in sede di ammissione al passivo, che, in virtu' della regola del titolo giudiziale preesistente al fallimento, escludeva solo quelle non assistite da tale titolo, sicche' anche tutta la questione posta, nella memoria presentata nell'interesse di (OMISSIS), sulla base della pronuncia delle Sezioni Unite civili, che avrebbe consacrato la validita' delle fideiussioni rilasciate dai (OMISSIS) minori in favore di soggetti diversi da quelli espressamente previsti, ossia quelli - come nel caso di specie - non bancari, e' destinata a rimanere priva di rilievo, rafforzando piuttosto, essa, la legittimita' dell'operato degli organi fallimentari; laddove la legittimita' quelle fideiussioni non rileva ai fini della consacrazione della liceita' del sistema, la cui illiceita' si fonda su ben altre circostanze); e cio' e' vieppiu' grave se si considera che quelle polizze erano, in gran parte, prestate per garantire i rimborsi ai contribuenti, i quali, evidentemente, una volta ottenutili in virtu' di quelle fideiussioni, essendo oramai soddisfatti, non avanzavano alcuna domanda di insinuazione al passivo del fallimento (secondo quanto si riferisce nelle sentenze di merito); rimanendo quali unici soggetti, "frodati", insoddisfatti, gli enti pubblici, che, anche sulla base della garanzia prestata, avevano concesso i rimborsi. 5.3.2. Sicche' anche gli argomenti spesi col terzo motivo, attraverso i quali la difesa vorrebbe incrinata quanto meno la prova dell'elemento soggettivo, non sono affatto dirimenti neppure a tal fine a fronte della complessiva ricostruzione della vicenda emergente dalle conformi pronunce di merito, che, come detto - di la' dell'accenno anche alla natura sostanzialmente abusiva dell'attivita' svolta da (OMISSIS), definita peraltro tale soprattutto per l'eccedenza della soglia dei 75 milioni di Euro che rimane un profilo di per se' rilevantissimo - va oltre il profilo dell'illegittimita' e delinea piuttosto l'illiceita' del sistema sulla base di ben altri elementi, che depongono per la sussistenza di un collaudato, condiviso, meccanismo criminoso che si connota per la strumentalizzazione della societa' per fini collidenti con quelli propri della societa' medesima. La pronuncia delle Sezioni Unite civili citata, secondo quanto rappresenta la stessa difesa di (OMISSIS), "legittima" si' il rilascio di fideiussioni da parte dei (OMISSIS) minori anche in favore di enti non bancari, trattandosi di attivita' non riservata a soggetti autorizzati, ma da ricondurre alla generale capacita' di agire della societa', tuttavia precisa, ovviamente, al contempo che tale rilascio non e' "preclus(o) alle societa' cooperative che operino in coerenza con l'oggetto sociale", laddove nel caso di specie, pur a voler ritenere sussistente la corrispondenza formale dell'attivita' svolta con l'oggetto sociale, rimane evidente il perseguimento, attraverso di essa, di ben altri fini contrari all'interesse societario, circostanza questa sufficiente per connotare di responsabilita' anche penale l'operato degli amministratori. Nel caso di specie, l'attivita' - e cio' rileva sul piano penale in cui si operano le valutazioni del caso di specie - si estrinseca dipanandosi attraverso la serie dei comportamenti e degli atti piu' volte descritti; questi, concatenati tra loro, hanno condotto, infine, la societa' al fallimento, avendo i loro autori trascurato la effettiva capacita' patrimoniale della societa' alla quale essi si imputavano, avendo, piuttosto, il loro agire di mira altri interessi, del tutto estranei al contesto societario; tra tali condotte si inserisce a pieno titolo quella - a cui prese parte anche (OMISSIS) - tesa a far apparire capitalizzata la societa', una volta intervenute le allarmanti perquisizioni presso gli altri (OMISSIS), per continuare a svolgere la illecita attivita' attraverso (OMISSIS) (non ancora interessata da indagini). 5.4. Il quarto motivo sulla mancanza di corrispondenza tra quanto contestato sub a3 e quanto affermato in sentenza, e' manifestamente infondato, dal momento che e' stato piu' volte ribadito dal giudice di merito che era emerso - proprio come contestato in tale punto dell'imputazione - che le polizze erano in alcuni casi rilasciate in bianco nel senso che esse risultavano sottoscritte dall'amministratore formale - tra esse quelle riportanti proprio la firma di (OMISSIS) - senza essere state compilate (per essere evidentemente poi riempite dal broker che curava non solo l'istruttoria ma aveva, come gia' sopra spiegato, vero e proprio potere decisionale rispetto alle polizze); e la circostanza che il tribunale abbia ravvisato ulteriori profili di illegittimita' rispetto a quello teste' indicato - spiega la corte territoriale rispondendo esaurientemente alla censura - non comporta alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, risultando peraltro la illegittimita' delle pratiche oggetto di diffusa contestazione nell'ambito del complessivo capo di imputazione; laddove - si aggiunge - non e' certo l'illegittimita' delle pratiche - quanto l'illiceita' del meccanismo instaurato relativamente ad esse - il fulcro intorno a cui ruota l'affermazione di responsabilita' degli imputati. 5.5. Quanto alla censura mossa col quinto motivo relativamente al capo dell'imputazione - in particolare alla vicenda degli esborsi intervenuti in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) - e' solo il caso di osservare che essa lamenta che si sarebbe desunta la consapevolezza di (OMISSIS), rispetto a tali fuoriuscite di denaro - che sarebbero state realizzate direttamente dagli interessati - dal solo fatto che egli rivestisse la carica meramente formale di amministratore della societa' (e lo stesso e' ripetuto con riferimento ai premi non incassati da (OMISSIS)), laddove gia' a partire dalle prime dichiarazioni rese dallo stesso (OMISSIS) - secondo quanto si legge nelle sentenze - e' questi stesso a non qualificarsi mera testa di legno. Risulta dalla conformi pronunce di primo e secondo grado che (OMISSIS) ricopri', dopo le dimissioni solo formali di (OMISSIS), la carica di amministratore unico e non fu affatto una mera testa di legno, come denotano anche suoi specifici comportamenti (si recava presso la sede sociale, anche se non abitava a Roma, insieme ad (OMISSIS) e collaborava con questi; sul suo ruolo effettivo hanno reso testimonianza le stesse dipendenti che, secondo quanto precisa la corte di appello, avrebbero riferito che (OMISSIS) era coinvolto nella gestione delle problematiche essendo stato messo al corrente anche dei buchi presenti in contabilita'; egli fu, tra l'altro, amministratore anche di altre societa' operanti a (OMISSIS) che svolgevano attivita' analoga a quella di (OMISSIS),... sicche' i giudici di merito concludono che, sebbene non avesse partecipato ab initio al progetto criminoso, si fosse inserito a pieno titolo in esso, aderendovi ex post). La stessa perizia per la patrimonializzazione di (OMISSIS), di la' della sua paternita', e' stata trovata presso lo studio di (OMISSIS) e sulla base di essa fu comunque (OMISSIS) a comunicare in data 15.11.2010 alla Banca d'Italia l'apporto del socio (OMISSIS) LDT, mediante il deposito dei titoli obbligazionari (OMISSIS) (il cui valore era prossimo allo zero). La censura, poi, nella parte in cui assume che i mancati incassi di denaro in relazione ai premi riscossi dai broker siano da ricondurre a meri inadempimenti, trova puntuale smentita nella ricostruzione accolta dai giudici di merito, di cui si e' gia' piu' volte fatto cenno nel trattare gli altri ricorsi. 5.5.1. Piu' specificamente, quanto alla componente soggettiva, la corte territoriale ha, altresi', ben messo in evidenza come risultasse smentito dalle emergenze processuali quanto (OMISSIS) avesse tentato di accreditare in termini di buona fede, a se' riferita, quanto meno, fino all'estate del 2011. Innanzitutto, osserva il giudice dell'appello, non e' contestato il fatto materiale che anche dopo la dimissione dalle cariche formali (OMISSIS) e (OMISSIS) abbiano drenato somme a loro favore, continuando a operare sui conti e a disporre di carte di credito aziendali per fare fronte a spese, anche platealmente, non riconducibile ad un interesse sociale; di la' dell'inconsistenza degli addotti contratti di collaborazione, gli importi movimentati e le modalita' di attribuzione di utilita' tramite utilizzo di carte o prelievo in contanti danno conto di una gestione del tutto anomala che tradisce una condivisione di intenti, per essere l'emorragia delle risorse della fallita di tale portata da non potere dare luogo ad alcuna elusione a controlli (cosi' testualmente nella pronuncia impugnata che precisa in nota che dirimente al riguardo e' la relazione del curatore da cui emerge che nel solo periodo febbraio/agosto 2011 (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati beneficiari di operazioni per un totale di 147.000 Euro circa; evidenzia al riguardo, altresi', la corte di appello come gli estratti bancari dessero immediata contezza degli esborsi e delle modalita' utilizzate - home banking, bonifici - sicche', a fronte delle responsabilita' incombenti su (OMISSIS) quale amministratore, non assume rilievo che materialmente parte di tali esborsi siano stati effettuati tramite disposizioni provenienti direttamente dai coimputati risolvendosi tale circostanza in elemento di per se' non pregnante a favore dell'imputato). Nella sentenza impugnata si rappresenta anche come, sebbene l'ipotesi distrattiva di cui al capo B individui i flussi solo in favore dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), dalla nota del curatore, e relativi allegati, emerga che anche (OMISSIS), al pari dei predetti, abbia usufruito di carta di credito appoggiata su conto corrente (OMISSIS) presso il (OMISSIS), per spese diverse non immediatamente riconducibili ad alcun interesse sociale (cosi' ad esempio per svariati pagamenti per cifre non irrisorie in favore di (OMISSIS) o di (OMISSIS)), ed abbia effettuato prelievi allo sportello per importi rilevanti. Risulta, pertanto, contraddetto dagli atti - chiosa a tal punto la sentenza impugnata a conforto della piena partecipazione consapevole del ricorrente - che (OMISSIS) non abbia avuto alcun utile economico (e cio' pur a voler prescindere dal riconoscimento del compenso annuo di Euro 90.000 come risultante dal bilancio 2010 approvato il 21.4.2011). Quanto ai premi incassati dalle societa' dei due broker, la corte di appello non ha mancato di ulteriormente precisare come non fosse seriamente contestabile che quanto erogato a tali societa' non fosse per la piu' parte dovuto e che le modalita' di gestione dell'introito costituiva, in particolare per (OMISSIS), un evidente presupposto che agevolava la realizzazione dell'illecito; laddove la legittimita' in astratto del riconoscimento di provvigioni non poteva ritenersi argomento idoneo a contraddire la pregnanza probatoria connessa alle modalita' con cui operava la struttura nella sua unitarieta', ne' il confluire nelle casse delle societa' di broker di percentuali degli incassi anche superiori a quelle rimesse alla societa' emittente le polizze; sicche' le stesse modalita' del fatto non sono state dai giudici ritenute idonee a ricondurre le condotte ad un mero inadempimento, rimanendo senza causa, a monte, quanto distolto, e non affatto provato che (OMISSIS) si sia effettivamente attivato per il recupero (non essendo andata la sua condotta oltre una richiesta formale di rendicontazione dei loro operato rivolta ai due broker solo a fine agosto del 2011 e rimasta comunque senza esito quanto a iniziative concrete da intraprendere; laddove lo stesso collegio sindacale - coinvolto nel presente procedimento per il contributo omissivo reso - aveva gia' rilevato in sede di verbale del 3.4.2011 l'eccessiva esposizione debitoria dei broker - rilevazione rimasta anch'essa non seguita da specifiche iniziative concrete). 5.5.2. In definitiva, per la messe di circostanze emerse, anche ulteriori rispetto a quelle qui riportate, la corte di appello ha ritenuto che non potesse ritenersi credibile la versione dell'imputato che aveva in buona sostanza tentato di accreditare l'assunto di aver accettato la carica societaria, confidando nel "buon lavoro ereditato dai predecessori", non essendo, peraltro, apprezzabile, a fronte della confusione tra le due realta' di cui era amministratore e della prosecuzione della operativita' di (OMISSIS) e (OMISSIS) alcuna cesura con la pregressa operativita' illecita; laddove, peraltro, l'assunzione della carica di amministratore di (OMISSIS) era intervenuta allorquando erano state gia' eseguite le allarmanti perquisizioni nell'ambito del procedimento romano (dato che il ricorrente cerca di neutralizzare adducendo genericamente di avere ignorato tale circostanza). 5.6. Quanto al sesto motivo sull'assorbimento del reato di operazioni dolose di cui al capo A si rimanda a quanto gia' sopra esposto, risultando fondata la questione posta sia pure nei diversi e limitati termini suindicati. 5.7. Il settimo motivo propone il tema della mancanza di motivazione e della non adeguata valutazione da parte della corte di appello degli aspetti evidenziati con l'atto di appello, tesi a dimostrare la incongruenza dell'utilizzo di alcuni esiti istruttori ai fini della ritenuta partecipazione di (OMISSIS) alle vicende criminose. Indi, trattandosi nella prospettiva del ricorso di omessa valutazione, si ripropongono, qui, le questioni sollevate in appello inerenti alle valutazioni del tribunale. Ebbene, tale censura e' manifestamente infondata, avendo invece la corte di appello fornito adeguata risposta a quei rilievi anche mediante il rinvio, per relationem, operato in premessa, alla pronuncia di primo grado, i cui argomenti in tema di partecipazione consapevole del ricorrente agli affari illeciti di (OMISSIS) sono stati ritenuti nel loro complesso resistenti rispetto alle deduzioni difensive. Come gia' anticipato nell'illustrare i precedenti motivi del ricorso in scrutinio, parimenti involgenti il tema della partecipazione consapevole, plurimi sono gli elementi su cui i giudici di merito hanno fondato la convinzione del pieno coinvolgimento di (OMISSIS) nelle condotte contestate, che non si esauriscono affatto nei segmenti di motivazione e di passaggi argomentativi indicati dal ricorso; questo, sbrigativamente, estrapola aspetti assumendo che non siano significativi, laddove essi - cosi' ad esempio per le vicende romane o per il significato attribuito alla perizia a firma - disconosciuta - di (OMISSIS), rinvenuta proprio presso lo studio di questi - sono stati sviluppati in maniera ben piu' articolata e pregnante dal giudice di merito in quanto inseriti nel piu' ampio contesto di riferimento in cui ebbe a subentrare - consapevolmente - (OMISSIS). Del tutto congetturali gli argomenti posti a sostegno della inconferenza del dato della perizia rinvenuta presso lo studio di (OMISSIS), che investono, peraltro, a tratti, aspetti marginali, se non di segno contrario rispetto al valore che la difesa ha inteso attribuire loro (cosi' ad es. quello che fa leva sulla mancata percezione da parte di (OMISSIS) di un compenso per la perizia che si assume da lui svolta, che la corte di appello ritiene anzi, addirittura, indicativo della intraneita' al progetto criminoso ovvero della messa a servizio di (OMISSIS), e, comunque, non dirimente per escludere la riconducibilita' della perizia al ricorrente); e parimenti marginali appaiono gli ulteriori aspetti indicati, o evidenziati, peraltro, mediante un'inammissibile operazione confutativa realizzata attraverso gli ostesi contenuti di stralci di deposizioni di testi (cosi', ad esempio, quanto alla prova della partecipazione. di (OMISSIS) ai tre (OMISSIS) riferibili al gruppo degli imputati, che, sebbene emersa e ricostruita dai giudici sulla scorta di piu' fonti processuali, viene contestata sulla base della testimonianza di una dipendente - (OMISSIS) - dalla quale dovrebbe desumersi che il ricorrente non partecipo' ad (OMISSIS) per il solo fatto che la teste non ne avrebbe parlato; laddove, peraltro, secondo quanto si afferma nello stesso ricorso, la stessa teste citata avrebbe confermato la partecipazione di (OMISSIS) quanto meno a due (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sebbene in successione temporale l'uno rispetto all'altro). Trattasi, all'evidenza, di mere inesattezze ininfluenti, essendo comunque emerso che il ricorrente fu pienamente coinvolto anche nel procedimento penale che interesso' gli altri (OMISSIS) (in cui fu alla fine anche tratto in arresto secondo quanto prospetta lo stesso ricorso a pag. 50). Quanto, poi, alla circostanza secondo cui la corte di appello non avrebbe tenuto in debito conto il fatto che (OMISSIS) era subentrato, solo nel novembre del 2010, e non prima, in (OMISSIS) su invito dei coimputati - che lo avrebbero contattato perche' avevano bisogno di inserire un volto nuovo al comando della societa', dopo che le societa' riferibili a (OMISSIS) ed (OMISSIS) avevano subito una perquisizione a maggio del 2010, della quale il ricorrente non era pero' a conoscenza - e che, quindi, lo stesso aveva deciso di assumere l'incarico ritenendo di inserirsi in un contesto del tutto lecito ed interessante sotto il profilo del business (non avendo ragione di dubitare della liteita' di quanto andava svolgendo (OMISSIS), considerando anche che la societa' era dotata di un collegio sindacale che non aveva mai espresso riserve ed era assistita da validi professionisti), trattasi, all'evidenza, di argomenti che hanno trovato, tutti, gia' adeguata risposta nella pronuncia impugnata, che, come gia' spiegato nell'esaminare il quinto motivo, ha in buona sostanza non ritenuto credibile la versione difensiva avallante un approccio ingenuo e inconsapevole da parte di (OMISSIS), non corrispondendo, tra l'altro, a verita' diverse delle circostanze addotte a suo sostegno; la conferma della piena partecipazione di (OMISSIS) alle attivita' illecite della societa', come gia' sopra detto, si fonda su plurimi convergenti elementi ben scandagliati ed adeguatamente valutati nelle conformi pronunce di primo e secondo grado, in cui si e', tra l'altro, anche evidenziato come (OMISSIS) fosse subentrato in piena attivita' di operazioni dolose di illecito rilascio di fideiussioni e avesse, solo tardivamente, nel 2013, presentato un esposto; nonostante fosse un professionista esperto del settore e le perquisizioni nel procedimento romano, evidente campanello di allarme difficilmente ignorabile, risalissero al maggio del 2010 (rispetto alle quali (OMISSIS) si limita ad affermare di averne ignorato la verificazione); d'altronde lo stesso (OMISSIS) non assume di essere stato una mera testa di legno, ne' esclude di aver preso in qualche modo parte alla gestione societaria; circostanza questa davvero, francamente, difficilmente conciliabile con una protesta di buona fede. Alla stregua di tutto quanto sinora evidenziato, appare evidente che non potrebbero parimenti assumere valore decisivo al fine di scardinare la ricostruzione accusatoria neppure gli altri aspetti, pure evidenziati in ricorso, che si appuntano sul comportamento di frizione che avrebbe assunto da un certo momento in poi (OMISSIS) (dovuto piuttosto alle contingenze createsi o a esigenze di facciata prive di effetti concreti quanto alle condotte tenute allorquando si era oramai irrimediabilmente disvelata, all'esterno, l'attivita' illecita dei (OMISSIS) che alla fine condusse anche all'arresto di (OMISSIS) nel procedimento romano). Quanto alla consapevolezza e alla, partecipazione di (OMISSIS) anche alle condotte di bancarotta fraudolenta documentale, i rilievi, reiterativamente, mossi in ricorso hanno parimenti gia' trovato risposte adeguate da parte dei giudici di merito, che hanno, infatti, ricostruito il coinvolgimento di (OMISSIS) rispetto all'intera vicenda per averne egli condiviso il meccanismo di fondo, subentrando come amministratore unico nella fase di maggiore attuazione del programma delittuoso, Sicche' la consapevolezza dell'illiceita' dell'attivita' e lo sposare l'accordo criminoso gia' esistente tra i correi hanno consentito di superare il singolo segmento imputativo a lui strettamente riconducibile, rispetto al quale, peraltro, secondo quanto si prospetta nello stesso ricorso, risultano, nondimeno, specifiche condotte ascrivibili al ricorrente, che denotano il suo pieno coinvolgimento nelle dinamiche societarie; da queste egli cerca di tirarsi fuori, adducendo, sostanzialmente, una non credibile mancanza di conoscenza dei risvolti illeciti, peraltro avallata sulla base di elementi nient'affatto dirimenti. Cosi', quanto alla falsita' dell'annotazione in contabilita' e bilancio dell'esito della transazione di Euro 600.000, giustificativa della corresponsione di denari a (OMISSIS) e (OMISSIS), ci si limita a contestare la consapevolezza della sua strumentalita', evidenziando come essa, intervenuta poco dopo il subentro nell'amministrazione della societa', non avesse apportato alcun beneficio al ricorrente, ma solo a (OMISSIS) e (OMISSIS), e come nemmeno i sindaci avessero espresso perplessita' al riguardo in sede di approvazione del bilancio, e lamentando che il tribunale avesse riconosciuto il dolo in capo a (OMISSIS) sulla sola base del ruolo formale dal medesimo rivestito; laddove i giudici di merito non hanno affatto ritenuto il ricorrente un mero amministratore formale ma con valutazione piu' ampia e complessiva - di cui si e' piu' volte detto - hanno argomentato sul suo pieno inserimento nella gestione societaria e nel contesto illecito che l'aveva investita e che continuo' ad investirla anche durante la sua amministrazione; inserimento, peraltro, non rimasto privo di tornaconti personali anche da parte di (OMISSIS), come si e' gia' avuto modo di evidenziare in occasione della trattazione dei precedenti motivi di ricorso (sicche' il motivo che fa leva anche sulla presunta assenza di benefici da parte di Starda e' aspecifico e manifestamente infondato anche in parte qua). Analoghe considerazioni possono essere svolte con riferimento all'altra operazione contabile, parimenti falsa, afferente l'annotazione dell'apporto da parte di (OMISSIS) di 10 milioni di Dollari mediante titoli dal valore inesistente - effettuata, spiegano i giudici di merito, al solo fine di far apparire capitalizzata la societa' e di proseguire nell'attivita' illecita - rispetto alla quale (OMISSIS) procedette anche alla relativa comunicazione agli organi di vigilanza (operazione, anch'essa, di una certa importanza, se non determinante per il prosieguo dell'attivita', intervenuta, anch'essa, poco dopo l'ingresso formale del ricorrente nella societa'). Anche rispetto a tale operazione, la generica giustificazione addotta dall'imputato - che anche in tal caso contesta la consapevolezza della falsita' affermando la sua buona fede nell'accettazione dell'incarico, che avrebbe intrapreso tranquillizzato, da un lato, dall'apparente serieta' degli altri soggetti e professionisti che avevano gestito la societa' prima di lui, e, dall'altro, dal fatto che nessuno gli aveva rappresentato che i titoli (OMISSIS) non avessero il valore ipotizzato - e' stata gia' considerata dai giudici di merito e ritenuta insufficiente ai fini prospettati, tenuto anche conto che (OMISSIS) era un esperto professionista del settore; il "qualcheduno" a cui si riferisce il ricorso, secondo l'apodittica impostazione difensiva, avrebbe fatto tutto - anche svolto o fatto svolgere la perizia sotto il falso nome di (OMISSIS) all'insaputa di questi, individuato come "faccia nuova" su cui cercare di dirigere ogni possibile futura responsabilita', laddove gli elementi emersi depongono per tutt'altra ricostruzione secondo la sentenza impugnata che ha piuttosto visto in (OMISSIS) la persona giusta collocata al momento giusto - e non quella, secondo l'impostazione difensiva, sbagliata collocata al momento sbagliato - per essere egli anche un esponente del mondo accademico che col suo agire si era prestato a creare all'esterno proprio quell'apparente rinnovata affidabilita' di cui la societa' aveva bisogno in quella fase storica; e l'esigenza di individuare un nuovo soggetto che figurasse nella fase piu' critica per la societa' non esclude affatto la piena, consapevole, partecipazione alla vicenda da parte del soggetto a tal fine individuato, che', anzi, sotto certi aspetti, la presuppone, trattandosi, nel caso di specie, di realizzare una pluralita' di rilevanti condotte, sinergicamente dirette a portare avanti il proposito criminoso, difficilmente giustificabili, anche in considerazione della loro entita' quantitativa e qualitativa, con il benevolo affidamento all'altrui agire; tutto cio' tenuto anche conto che in tema di bancarotta fraudolenta documentale cd "generica", anche per la sussistenza del dolo dell'amministratore solo formale non occorre che questi si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilita' volti ad impedire o a rendere piu' difficoltosa la ricostruzione degli affari della fallita, ma e' sufficiente che l'abdicazione agli obblighi da cui e' gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilita' dell'alterazione fraudolenta della contabilita' e dal mancato esercizio dei poteri-doveri di vigilanza e controllo che gli competono (Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, Rv. 282280 - 01). 5.8. Fondato e', invece, l'ultimo motivo sul trattamento sanzionatorio, avendo effettivamente la difesa indicato una pluralita' di elementi in appello a sostegno della riduzione della pena, anche in funzione del riconoscimento delle invocate attenuanti generiche, alcuni dei quali - si allude in particolare a quello relativo all'intervenuta transazione tra il ricorrente e la curatela fallimentare cui e' conseguita la revoca della costituzione di parte civile del curatore nei confronti di (OMISSIS) - non risultano sufficientemente valutati nella pronuncia impugnata; e cio' soprattutto se si considera che invece ad (OMISSIS) si sono riconosciute le attenuanti generiche, sia pure con giudizio di equivalenza, per avere egli devoluto in favore di un'associazione no profit una somma di denaro, con la conseguenza che la motivazione della sentenza oggetto di ricorso risulta in parte qua anche contraddittoria. 6. Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione di cui al capo b), con riferimento alle sole condotte contestate come realizzate mediante la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l., nonche' in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano che procedera' a nuovo esame su tali punti alla stregua delle coordinate interpretative sopra esposte; deriva, altresi', che, in riferimento al solo (OMISSIS), la sentenza deve essere annullata anche in relazione al trattamento sanzionatorio, sempre con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Quanto al resto i ricorsi, alla luce di tutto quanto sopra esposto, devono essere dichiarati inammissibili. P.Q.M. Annulla a sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), limitatamente a reato di bancarotta fraudolenta per distrazione di cui al capo b) con riferimento alle sole condotte contestate come realizzate mediante la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. -, nonche' in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, e, in riferimento al solo (OMISSIS), anche in relazione al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuove esame ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi,

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosar - rel. Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/03/2022 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BRUNO MARIAROSARIA. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 14/3/2022, la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia resa dal primo giudice, ha ridotto la pena inflitta a (OMISSIS), confermando nel resto la pronuncia di condanna emessa a carico di questi per il delitto di omicidio colposo in danno dell'operaio (OMISSIS), commesso con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. La vicenda attiene all'infortunio avvenuto in (OMISSIS), nel quale perse la vita il predetto operaio a seguito di gravissime lesioni riportate per la caduta da un'altezza di circa sei metri, avvenuta a causa dell'utilizzo di un trabattello non a norma. Sulla base della istruttoria svolta, erano individuati profili di colpa generica e specifica a carico dell'imputato, responsabile della sicurezza della " (OMISSIS) s.r.l." e committente dei lavori di pitturazione del capannone della societa', avendo egli omesso di verificare l'idoenita' tecnico professionale del lavoratore autonomo (OMISSIS) per i lavori di tinteggiatura; omesso di acquisire la specifica documentazione attestante la conformita' delle attrezzature e opere provvisionali alle disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, e l'elenco dei d.p.i. in dotazione; omesso di richiedere a (OMISSIS) di predisporre le misure prevenzionali connesse all'utilizzo del trabattello, pur avendo potuto rendersi conto, a vista, delle condizioni di non adeguatezza dell'attrezzatura ai lavori in quota; omesso di impedire che i lavori fossero eseguiti con l'utilizzo di un trabattello palesemente privo degli accorgimenti previsti dalla normativa di riferimento. 2. Avverso la pronuncia di condanna ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, affidando le proprie deduzioni ai seguenti motivi. 1) Violazione o erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9, lettera a), secondo periodo, e articolo 40 c.p. in relazione alla ritenuta sussistenza del profilo di colpa specifica descritto sub a) nel capo d'imputazione e comunque all'efficacia causale della relativa violazione rispetto al verificarsi dell'evento per cui e' processo. Mancanza, intrinseca contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione risultante dal testo dell'impugnata sentenza, dal verbale di sopralluogo dell'8/5/2017 dello SPRESAL di Collegno e Pinerolo, dagli allegati nn. 7 e 8 all'annotazione 9/5/2017 del medesimo SPRESAL, dagli allegati al verbale 5/2/2018 delle SIT rese da (OMISSIS), dall'allegato n. 5 all'annotazione 5/6/2017 del citato SPRESAL, dal verbale di interrogatorio di (OMISSIS) del 23/1/2018. La penale responsabilita' dell'imputato e' stata confermata dall'impugnata sentenza sotto entrambi i profili di colpa specifica compiutamente descritti nel capo d'imputazione, in via di approssimazione riconducibili il primo alla culpa in eligendo, il secondo alla culpa in vigilando. Con riferimento al primo di essi, l'addebito mosso al (OMISSIS) attiene all'omessa verifica - ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9, dell'idoneita' tecnico-professionale della ditta individuale di (OMISSIS) a svolgere i lavori di tinteggiatura alla stessa commissionati e all'omessa "acquisizione" della documentazione di cui all'allegato 17, punto 2, lettera b) e c), Decreto Legislativo n. 81 del 2008. Per quanto rileva in questa sede l'allegato 17, punto 2, lettera b) e c), Decreto Legislativo n. 81 del 2008 impone ai lavoratori autonomi di "esibire almeno: E...) b) specifica documentazione attestante la conformita' alle disposizioni di cui al presente decreto legislativo di macchine, attrezzature e opere provvisionali; c) elenco dei dispositivi di protezione individuali in dotazione". Dal canto suo il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9, prevede che il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica impresa o ad un lavoratore autonomo: a) verifica l'idoneita' tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle funzioni o ai lavori da affidare, con le modalita' di cui all'allegato 17. Nei cantieri la cui entita' presunta e' inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all'allegato 11, il requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi del certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato e del documento unico di regolarita' contributiva, corredato da autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti previsti dall'allegato 17. A fronte di siffatto quadro normativo, l'impugnata sentenza giustifica l'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato sottolineando che il mancato rinvenimento di dispositivi anticaduta e le condizioni del trabattello al momento dell'evento dimostrano che il (OMISSIS) "non disponesse di attrezzature e dispositivi adeguati al lavoro in quota in sicurezza". E' stata ritenuta inidoneo a sovvertire il giudizio di responsabilita' la pregressa, prolungata conoscenza professionale del (OMISSIS) da parte del (OMISSIS) e la di lui affermazione di aver visionato, in occasione dei lavori di tinteggiatura del capannone, un'autodichiarazione circa il possesso dei DPI idonei ai lavori in quota e circa la conformita' delle opere provvisionali in uso alle previsioni contenute nel Decreto Legislativo n. 81 del 2008. La Corte di merito ha ritenuto che non rivesta importanza il fatto che i Carabinieri abbiano rinvenuto, a bordo del furgone di (OMISSIS), la visura camerale, il DURC e alcuni attestati relativi alla ditta (OMISSIS), trattandosi di documenti che non hanno attinenza con le contestazioni elevate a carico di (OMISSIS). Tale incedere argomentativo, lamenta la difesa, sembra confondere diversi piani normativi e probatori. Alla luce della specifica attivita' oggetto di appalto (semplici lavori di tinteggiatura dell'interno di un capannone completamente vuoto affidati ad un lavoratore autonomo), non era affatto richiesto al (OMISSIS) di presentare "specifica documentazione attestante la conformita' alle disposizioni del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 di macchine, attrezzature e opere provvisionali e l'elenco dei d.p.i. in dotazione". Ai sensi del richiamato Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9, lettera a), secondo periodo, la verifica dell'idoneita' tecnico-professionale richiedeva la mera presentazione del solo certificato di iscrizione del (OMISSIS) alla CCIAA, del D.U.R.C. e di una semplice autocertificazione in ordine al possesso degli ulteriori requisiti di cui all'allegato n. 17 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008. Pertanto, ove la culpa in eligendo ravvisata in capo all'imputato debba intendersi riferita alla mancata esibizione della "specifica documentazione" di cui sopra (in tal senso, del resto, e' formulato il capo d'imputazione), appare evidente la violazione di legge dedotta in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9, lettera a), secondo periodo. Laddove, invece, si sia inteso rimproverare al (OMISSIS) di non aver "acquisito" dal (OMISSIS) la documentazione effettivamente richiesta dalla disposizione in parola, le argomentazioni contenute in sentenza appaiono manifestamente illogiche ed intrinsecamente contraddittorie. Se cio' che si ricerca e' la prova che l'imputato abbia ottemperato agli obblighi di verifica circa l'idoneita' tecnico-professionale del (OMISSIS) e se tali obblighi consistono nell'esame del certificato di iscrizione alla CCIAA, del DURC e della piu' volte evocata autocertificazione, il fatto che tutti i documenti in questione siano stati rinvenuti all'interno del furgone della persona offesa appena fuori dal capannone ove si stavano svolgendo i lavori non e' circostanza secondaria o insignificante. Il Legislatore si limita a richiedere all'appaltatore di "esibire" (allegato 17 Decreto Legislativo n. 81 del 2008) o "presentare" (Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9) la documentazione in esame e non richiede l'obbligo di conservazione di tale documentazione da parte del committente. Il fatto che in occasione dell'infortunio il (OMISSIS) non indossasse dispositivi anticaduta e l'ultimo piano del trabattello fosse privo di parapetti non puo' certo offrire conferma dell'omessa verifica dell'idoneita' tecnico-professionale dell'appaltatore da parte del (OMISSIS). E' vero che il giorno dell'evento non e' stato rinvenuto alcun dispositivo anticaduta, ma e' altrettanto vero, da un lato, che nessuno ha verificato se detti dispositivi fossero nella disponibilita' del (OMISSIS) (ad esempio presso la sede della ditta individuale), dall'altro che il teste (OMISSIS) ha dichiarato - senza che sia rinvenibile in atti alcun elemento di senso contrario - che " (OMISSIS) usava il trabattello con l'imbragatura di sicurezza, agganciata al trabattello. Il giorno 8, dal momento che c'era solo un pezzetto da finire, disse che non se la metteva" (cfr. verbale 12/2/2018 delle SIT rese da (OMISSIS) innanzi al P.M. - allegato n. 4). Altrettanto dicasi per la conformita' del trabattello alle pertinenti prescrizioni antinfortunistiche: e' pacifico che, al momento dell'infortunio, lo stesso fosse privo di parapetti all'ultimo piano di calpestio, ma cio' non significa certo che tali componenti non esistessero e che non fossero nella disponibilita' del (OMISSIS) presso la sede della di lui ditta individuale, circostanza mai verificata dallo SPRESAL. Sulla base di quanto precede, deve ritenersi che l'impugnata sentenza abbia erroneamente applicato il disposto del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9, lettera a) e travisato la prova laddove ha ritenuto dimostrata la relativa violazione da parte dell'imputato. Anche in materia di causalita' omissiva la sentenza sarebbe carente. Non si dice come la pretesa violazione della norma cautelare abbia quantomeno concorso a cagionare l'evento. Dalla scarna motivazione (si veda pag. 12 della sentenza), parrebbe desumersi che il Giudice a quo abbia inteso affermare che l'imputato non abbia adempiuto all'obbligo di verificare l'idoneita' del (OMISSIS) a svolgere in sicurezza lavori di tinteggiatura, incaricando un soggetto effettivamente privo delle capacita' e delle competenze a tal fine richieste, determinando in tal modo l'infortunio per cui e' processo. Il ragionamento e' manifestamente carente. In termini astratti, la regola cautelare che l'impugnata sentenza assume violata mira a prevenire l'eventualita' che vengano affidati lavori ad un appaltatore che non sia in grado di eseguirli in sicurezza e, di conseguenza, a scongiurare il rischio che tale soggetto rimanga, per tale ragione, vittima di infortunio. E' quindi chiaro che, laddove l'appaltatore sia concretamente idoneo a svolgere in sicurezza le lavorazioni a lui commissionate, l'omessa verifica di tale idoneita' da parte del committente non puo', per definizione, ritenersi "causa" dell'evento. La Corte di Cassazione ha gia' piu' volte censurato decisioni di merito che avevano desunto la culpa in eligendo essenzialmente dalle modalita' del sinistro e dalla mancata adozione delle opportune precauzioni atte ad impedire la caduta del lavoratore, poiche' l'inidoneita' dell'impresa non puo' essere valutata soltanto ex post in base alla dinamica dell'infortunio. 2) Erronea applicazione degli articoli 40 cpv. c.p., Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 89, lettera b, e articolo 16 in relazione all'individuazione della qualifica di committente in capo all'imputato invece che al di lui padre. Vizio di motivazione per intrinseca contraddittorieta' e manifesta illogicita' sul punto risultante dal testo dell'impugnata sentenza, dall'atto di delega di funzioni del 2/5/2016 - di cui all'allegato n. 8 dell'annotazione 5/6/2017 dello SPRESAL di Collegno e Pinerolo - e dal contratto di appalto tra la (OMISSIS) S.r.l. e la ditta individuale (OMISSIS) prodotto dalla parte civile all'udienza preliminare del 2/7/2018. La Corte di merito ha condannato il ricorrente in ragione della sua qualifica di "responsabile per la sicurezza" e di "committente" nell'ambito della (OMISSIS) S.r.l.. In questi termini si esprimono tanto il capo d'imputazione quanto l'impugnata sentenza, che ha riconosciuto l'errore in proposito commesso dal primo Giudice laddove aveva fondato il riconoscimento della posizione di garanzia in capo a (OMISSIS) sulla qualifica di amministratore unico, pacificamente rivestita dal padre dell'imputato (cfr. pag. 9 della sentenza). Tanto basta per escludere che (OMISSIS) ricoprisse ex lege qualsivoglia posizione di garanzia rilevante in materia antinfortunistica, giacche' per costante giurisprudenza di legittimita' "nelle societa' di capitali il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all'interno dell'azienda, e quindi con i vertici dell'azienda stessa, ovvero nel presidente del consiglio di amministrazione, o amministratore delegato o componente del consiglio di amministrazione cui siano state attribuite le relative funzioni" (cosi', da ultimo, Sez. 4, sentenza n. 2157 del 23/11/2021-19/1/2022). Il riferimento alla figura di "responsabile per la sicurezza" (locuzione del tutto estranea al testo del Decreto Legislativo n. 81 del 2008) deve innanzitutto essere inteso a quella di "delegato del datore di lavoro Decreto Legislativo n. 81 del 2008, ex articolo 16": nell'ambito della (OMISSIS) S.r.l. il datore di lavoro era, infatti, l'Amministratore Unico (OMISSIS), il quale, con "atto di delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro (Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 16 del 2/5/2016, aveva trasferito al figlio (OMISSIS) parte dei propri obblighi in materia antinfortunistica. La difesa non ha mai contestato la qualifica di "responsabile per la sicurezza" (rectius: delegato del datore di lavoro) riconosciuta in capo all'imputato e posta a parziale fondamento degli addebiti mossi nei suoi confronti. Manca, tuttavia, qualsivoglia argomento giuridico e fondamento probatorio idoneo a giustificare l'attribuzione a (OMISSIS) della qualifica (anche) di committente Decreto Legislativo n. 81 del 2008, ex articolo 89, comma 1, lettera b), con tutto cio' che ne consegue in punto di responsabilita'. Il fatto che l'imputato avesse il compito di "scelta degli appaltatori in caso di affidamento dei lavori all'interno dell'azienda" e di verificarne preventivamente l'idoneita' tecnico-professionale risulta dalla citata delega di funzioni. E' altrettanto pacifico, tuttavia, che il medesimo non godesse di alcun potere di impegnare contrattualmente la (OMISSIS) S.r.l. con gli appaltatori "scelti" ne', sempre in materia di appalti, che egli fosse stato investito dal padre di poteri/doveri diversi ed ulteriori rispetto a quelli di verificare l'idoneita' dell'appaltatore e di fornire allo stesso "informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui operavano i dipendenti di quest'ultimo". Avvalora tale interpretazione la circostanza che il contratto di appalto con (OMISSIS) venne correttamente sottoscritto dal padre (OMISSIS) nella sua qualita' di Amministratore Unico e Legale Rappresentante (cfr. preventivo della D.I. (OMISSIS) sottoscritto per accettazione da (OMISSIS) - doc. n. 8). Pertanto, il committente non poteva che essere lo stesso amministratore unico (OMISSIS), poiche' "in tema di infortuni sul lavoro, gli obblighi di sicurezza previsti dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 26 e 90 gravano esclusivamente sul committente, da intendersi come colui che ha stipulato il contratto d'opera o di appalto" (cfr. Cass. Pen., Sez. 4, sentenza n. 34893 del 4/6/2019). 3) Violazione od erronea applicazione dell'articolo 533 c.p.p., comma 1, e articolo 192 c.p.p., comma 2, in relazione alla situazione di fatto che l'imputato ebbe a percepire la mattina dell'8/5/2017 quale ipotetica fonte del di lui obbligo di intervenire per evitare che il (OMISSIS) non lavorasse in sicurezza. Vizio di Motivazione per intrinseca contraddittorieta' e manifesta illogicita' sul. punto risultante dal testo dell'impugnata sentenza, dal verbale di sommarie informazioni rese da (OMISSIS) in data 12/2/2018 e dal verbale di interrogatorio di (OMISSIS) del 23/1/2018. Quand'anche dovesse ritenersi corretta l'attribuzione all'imputato della qualifica di committente, con tutto cio' che ne consegue in punto di riconoscimento in capo allo stesso della posizione di garanzia, anche oltre i limiti risultanti dal piu' volte citato atto di delega di funzioni Decreto Legislativo n. 81 del 2008, ex articolo 16, l'impugnata sentenza avrebbe comunque errato nell'applicare al caso concreto le norme che regolano la responsabilita' del committente per culpa in vigilando. La questione ruota attorno al concetto di "agevole ed immediata percepibilita' di una situazione di rischio" quale unica fonte dell'obbligo di attivazione da parte del committente nella fase dell'esecuzione di lavori affidati in appalto. Occorre quindi preliminarmente verificare, sulla base degli elementi di prova acquisiti agli atti e di una corretta valutazione degli stessi, quale situazione di fatto possa ritenersi essere stata effettivamente percepita dal (OMISSIS), passaggio ineludibile al fine di comprendere se la stessa palesasse oggettivamente un "rischio di agevole ed immediata percepibilita'". A tale proposito, l'impugnata sentenza (cfr. pag. 13) ritiene "pacifico" che la mattina dell'8/5/2017, allorquando l'imputato vide il trabattello da cui il (OMISSIS) ebbe poi a cadere nel primo pomeriggio, "l'opera provvisionale era montata sino al terzo piano di calpestio" e che "a quell'altezza non erano presenti i parapetti". Questa, secondo il Giudice a quo, sarebbe la situazione di rischio a fronte della quale il (OMISSIS), in violazione dell'obbligo di intervenire, "non ha osservato alcunche'". In realta', puo' dirsi davvero pacifico solo il fatto che l'imputato ebbe a vedere il trabattello de quo prima dell'inizio dei lavori di lunedi' 8/5/2017, tra le 8 e le 9 del mattino, mentre nel capannone doveva ancora essere completata la tinteggiatura a livello del piano di calpestio intermedio (cfr. verbale di interrogatorio di (OMISSIS) del 23/1/2018, unica fonte di conoscenza certa al riguardo - doc. n. 9). L'ulteriore, dirimente passaggio secondo cui l'imputato, nel predetto frangente, avrebbe effettivamente visto il trabattello gia' montato fino al terzo ed ultimo piano e', invece, privo di riscontri probatori univoci. Ed invero, lo stesso teste (OMISSIS), unica persona presente al momento dell'infortunio, il cui racconto sarebbe dotato - secondo l'impugnata sentenza - di "efficacia probatoria solida", ha dichiarato di non ricordare "se qualcuno dei titolari dell'azienda sia entrato nel capannone quando il trabattello alto era gia' montato" (cfr. verbale di sommarie informazioni del 12/2/2018 rese da (OMISSIS) - doc. n. 4). Esiste, quindi, quantomeno un ragionevole dubbio che l'imputato abbia effettivamente percepito quella situazione di fatto che, secondo l'impugnata sentenza, avrebbe imposto un intervento salvifico. 4) Violazione od erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 26 e 90. Erronea individuazione del concetto normativo di culpa in vigilando del committente. Vizio di motivazione per intrinseca contraddittorieta' e manifesta illogicita' sul punto risultante dal testo dell'impugnata sentenza, dal verbale di sommarie informazioni rese in data 12/2/2018 da (OMISSIS), dal verbale di interrogatorio di (OMISSIS) del 23/1/2018 e dal fascicolo fotografico allegato all'annotazione 9/5/2017 dello SPRESAL di Collegno e Pinerolo. Anche qualora si ritenesse sufficientemente dimostrato che l'imputato, la mattina del giorno dell'evento, vide il trabattello gia' montato fino all'ultimo piano di calpestio e privo di parapetti, l'impugnata sentenza avrebbe comunque errato nel ritenere che si trattasse di una "situazione di pericolo" di "agevole ed immediata percepibilita'". In particolare, la decisione d'appello (cfr. pagine 12-13 della sentenza) pare fornire una lettura eccessivamente ampia e non consentita del requisito della "immediata percepibilita'" del pericolo svincolandolo dal canone della necessaria "attualita'" dello stesso. Ed invero, il Giudice a quo non si confronta con l'insegnamento giurisprudenziale - che la difesa aveva debitamente richiamato nelle proprie note per l'udienza di discussione del processo di appello secondo cui la responsabilita' del garante dovesse essere esclusa a fronte dell'impossibilita' di stabilire se l'imputato avesse effettivamente riscontrato la situazione di pericolo costituita dalla presenza del lavoratore sulla scala a filo, sola ipotesi in cui egli avrebbe dovuto intervenire per disporre la sospensione della lavorazione ed attuare gli opportuni correttivi per ripristinare le condizioni di sicurezza (cfr. Sez. 4, sentenza n. 699 del 12/9/2019, relativa a coordinatore per l'esecuzione che si era recato presso il luogo di lavoro per verificare l'agibilita' del plesso, ma non si era avveduto dei lavori di tinteggiatura in corso e della presenza del lavoratore sulla scala, per cui non aveva percepito la suddetta situazione di pericolo grave ed imminente). Situazione di fatto ancor meno netta di quella per cui e' processo, atteso che secondo le stesse dichiarazioni del teste (OMISSIS) - sulle quali si incentra integralmente l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato - e' assolutamente certo che quest'ultimo non abbia mai visto nessuno utilizzare il trabattello da cui ebbe a cadere la persona offesa. 3. Il P.G. presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi di doglianza, con le precisazioni che saranno di seguito indicate, sono infondati; pertanto il ricorso deve essere rigettato. Si premette, al fine di delimitare l'ambito entro il quale si inscrivono i rilievi difensivi, che nel ricorso non sono stati prospettati dubbi o ragioni d'incertezza in ordine alla causa ed alle modalita' dell'infortunio occorso al lavoratore autonomo (OMISSIS), pacificamente deceduto in seguito ad una caduta dall'alto, mentre attendeva a lavori di pitturazione in quota, realizzati con l'utilizzo di un trabattello, alto otto metri, sprovvisto di parapetti e assolutamente inidoneo a garantire lo svolgimento in sicurezza dell'attivita' che gli era stata commissionata (si trattava, come precisato nella sentenza di primo grado, di un trabattello "non ancorato alla parete e distante dalla stessa lo spazio di circa 70 cm, lungo circa 180 cm sul lato corto ed avente tre piani di calpestio, rispettivamente a quote di 220 cm il primo, 420 cm il secondo e 620 cm il terzo, tutti privi di parapetti - atti a prevenire la possibile caduta nel vuoto - nei lati lunghi e, quanto all'ultimo piano, anche nei lati corti"). Le linee direttrici su cui si muove il ragionamento portato dalla difesa, tendente a confutare, nella sua interezza, la motivazione espressa dalla Corte di merito, sono sostanzialmente le seguenti: 1) erronea applicazione al caso di specie del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9 lettera a) secondo periodo; 2) erronea individuazione in capo al ricorrente della qualifica di committente dei lavori; 3) mal governo della prova riguardante la circostanza che il ricorrente avesse percepito la situazione di rischio; 4) erronea individuazione del concetto di culpa in vigilando del committente. 2. Invertendo l'ordine dei motivi di ricorso, appare opportuno affrontare, in primis, la questione riguardante la posizione di garanzia rivestita dall'imputato, che assume carattere dirimente nella vicenda che occupa, dovendosi escludere in radice la responsabilita' dell'imputato ove non si riconoscesse in capo allo stesso alcuna posizione di garanzia ed obbligo di intervento nella gestione del caso, come prospettato dalla difesa (motivo 2 del ricorso). Ebbene, come ha correttamente osservato la Corte di merito, emendando sul punto la sentenza di primo grado, la quale era incorsa nell'errore di ritenere che (OMISSIS) fosse amministratore unico della societa' (OMISSIS), e' riconoscibile in capo all'imputato una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore autonomo, avendo il ricorrente di fatto assunto la funzione di committente dei lavori ed essendo stato a cio' delegato dal datore di lavoro, risultando tali circostanze dalla documentazione acquisita e dalle stesse ammissioni del ricorrente (cfr. pag. 5 della sentenza di primo grado: "Da qualche mese (mio padre, in qualita' di socio di maggioranza della (OMISSIS) s.r.l.; n.d.r.) mi aveva delegato alla sicurezza sul lavoro a causa di suoi problemi di salute, con potere di scegliere le imprese per eseguire lavori per conto dell'azienda. Ho affidato i lavori in questione alla ditta (OMISSIS) perche' lo conoscevo da tanto e sapevo quali erano le sue capacita'. Aveva eseguito lavori anche per l'altra azienda di mio padre la LTV. Aveva sempre lavorato per noi, anche in quota...")). Il ricorrente, infatti, era stato investito formalmente, nell'ambito della societa', della qualifica di delegato del datore di lavoro Decreto Legislativo n. 81 del 2008, ex articolo 16 (impropriamente definito nelle sentenze di merito come responsabile della sicurezza). La disposizione di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 89, la quale, peraltro, si pone in linea di continuita' con la precedente normativa (Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 2), definisce il committente come colui "per conto del quale l'opera viene realizzata". L'espressione "per conto", ha plurimi significati, potendo valere ad indicare colui "per incarico" del quale viene realizzata l'opera o, anche, colui "a favore del quale" l'opera viene realizzata (cosi', in motivazione Sez. 4, n. 10039 del 13/11/2018, Rv. 275270 - 01). Si tratta, in ogni caso, di un soggetto che ha interesse alla realizzazione dell'opera o perche' e' colui che stipula il contratto o perche' si avvantaggia della sua realizzazione oppure, ancora, come nel presente caso, perche' e' stato delegato ad occuparsene. Il ricorrente, circostanza non contestata dalla difesa, ha scelto in totale autonomia la ditta individuale del (OMISSIS), affidandogli i lavori di pitturazione e comportandosi da committente delle opere; al tempo stesso egli risulta essere stato delegato dall'amministratore della societa' al compimento di atti propri del committente dei lavori (come risulta dalla delega rilasciatagli dall'amministratore della societa' e come ha ammesso lo stesso ricorrente nei passaggi dell'interrogatorio sopra riportati). E' noto l'orientamento di questa Corte in virtu' del quale, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettivita', assume la. posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto (Sez. 4, n. 31863 del 10/04/2019, Rv. 276586 - 01: "In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettivita', assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, indipendentemente dalla sua funzione nell'organigramma dell'azienda. (Fattispecie relativa ad infortunio di dipendente di una ditta addetta al posizionamento di cartelli di segnalazione, con lavoro in quota, in cui anche il "project manager" responsabile di funzione, per quanto non superiore diretto dell'infortunato, e' stato ritenuto preposto, in quanto aveva, di fatto, commissionato il lavoro da cui era originato l'infortunio e aveva provveduto a realizzare corsi di formazione nell'ambito del reparto, riguardanti l'uso della cesta per le lavorazioni in quota)"; Sez. 4, n. 22079 del 20/02/2019, Rv. 276265-01: "In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettivita', assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto. (Fattispecie relativa all'assunzione di fatto degli obblighi di garanzia del datore di lavoro da parte del legale rappresentante di una ditta subappaltatrice di lavori di posa in opera della copertura in legno di un fabbricato, nei confronti di un artigiano da lui incaricato di provvedere allo scarico di un automezzo, nonostante tale attivita' non fosse di competenza ne' della sua impresa ne' della sua committente)"). Il principio di effettivita' puo' essere esteso anche al caso in esame, a prescindere dalla circostanza che il contratto di appalto fosse stato firmato dall'amministratore della societa', (OMISSIS), essendo stato il ricorrente investito di pieni poteri in ordine alla scelta del prestatore d'opera e di conferimento dell'incarico. Che il ricorrente non avesse il potere di impegnare l'azienda nella stipula del contratto, e' circostanza superata dall'evidenza dei fatti, perche' il contratto e' stato concluso e i lavori sono stati affidati dallo stesso ricorrente. Pertanto, competeva al delegato, il quale ha effettivamente scelto a ditta appaltatrice ed ha conferito l'incarico, l'obbligo di verificare le competenze e la professionalita' della ditta opzionata, con tutto cio' che ne consegue in termini di responsabilita' ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9. 3. Quanto alle condotte omissive addebitate all'imputato (motivo 1 di ricorso), ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9 lettera a), il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica impresa o ad un lavoratore autonomo verifica l'idoneita' tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle. imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle funzioni o ai lavori da affidare, con le modalita' di cui all'allegato 17. Nei cantieri la cui entita' presunta e' inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all'allegato 11, come nel caso in esame, il requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi del certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato e del documento unico di regolarita' contributiva, fatto salvo quanto previsto dal Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185, articolo 16-bis, comma 10, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, corredato da autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti previsti dall'allegato 17, il quale, a sua volta prevede, nella parte riguardante i lavoratori autonomi: a) iscrizione alla camera di commercio, industria ed artigianato con oggetto sociale inerente alla tipologia dell'appalto; b) specifica documentazione attestante la conformita' alle disposizioni di cui al presente decreto legislativo di macchine, attrezzature e opere provvisionali; c) elenco dei dispositivi di protezione individuali in dotazione; d) attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneita' sanitaria ove espressamente previsti dal presente decreto legislativo; e) documento unico di regolarita' contributiva. In base al disposto normativo il lavoratore autonomo a cui erano stati affidati i lavori avrebbe dovuto quanto meno autocertificare la conformita' alle disposizioni di cui al citato decreto legislativo delle attrezzature adoperate per l'effettuazione dei lavori e l'elenco dei d.p.i. e presentare l'autocertificazione al committente. Che il lavoratore abbia esibito tale documentazione e che il committente ne abbia preso cognizione, ha sostenuto adeguatamente la Corte di merito, non vi e' prova in atti. Si sottolinea in motivazione, con argomentare logico e coerente rispetto alle risultanze probatorie richiamate in sentenza, come gli elementi raccolti dimostrino che la vittima non possedesse attrezzature conformi al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, non essendo stata rinvenuta in loco l'imbracatura ed essendo il trabattello sprovvisto di parapetti e dei necessari presidi anticaduta (cfr., pag. 11 della sentenza "che (OMISSIS) non disponesse di attrezzature e dispositivi adeguati al lavoro in quota in sicurezza e' dimostrato dal mancato rinvenimento dell'imbragatura all'interno del capannone teatro dell'infortunio e dallo stato del trabattello dal quale (OMISSIS) e' caduto, pacificamente privo di parapetto in corrispondenza dell'ultimo piano di calpestio, sui lati piu' lunghi ("Il trabattello si presentava privo delle botole e delle scale per la salita ai diversi piani del trabattello. Il terzo ed ultimo piano del trabattello si presentava privo di parapetti contro la caduta nel vuoto"; annotazione Spresal 8.5.2017); e, tutto sommato, le dichiarazioni dello stesso (OMISSIS) sono in linea con tali conclusioni, avendo egli dichiarato che (OMISSIS) gli aveva semplicemente e genericamente "detto" che il suo trabattello era a norma; senza che, per altro, sia dato comprendere neppure a quale dei due trabattelli (quello alto o quello basso) (OMISSIS) intendesse riferirsi"). Quanto alla documentazione rinvenuta nella vettura della ditta, si e' correttamente evidenziato (si veda pag. 10 della motivazione) come la stessa non abbia rilievo ai fini che interessano (nel verbale di sopralluogo effettuato dall'A.S.L. si attesta esclusivamente il rinvenimento, da parte dei Carabinieri, di una visura camerale, del DURC ed di altri attestati relativi alla ditta della p.o.. Nessuna menzione e' fatta dai verbalizzanti in ordine all'autocertificazione che la ditta avrebbe dovuto presentare). Quindi, come rimarcato in sentenza, risulta comprovata la violazione di cui all'articolo 90, comma 9 lettera a) nella parte riguardante i cantieri "sotto soglia" Decreto Legislativo n. 81 del 2008 in relazione all'allegato 17. Le argomentazioni della Corte di merito sul punto sono sorrette da argomentazioni del tutto logiche e coerenti: "Assume la Difesa che dagli atti emergerebbe in modo inequivoco la prova dell'assolvimento da parte di (OMISSIS) dell'obbligo di verifica di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9, lettera a). Cio' in quanto, nell'indicato interrogatorio, (OMISSIS) stesso aveva dichiarato: "piu' di una volta avevo visionato la documentazione della ditta, come la visura camerale e il DURC, nonche' la sua autodichiarazione relativa ai DPI e al trabattello che diceva essere a norma.., questa documentazione l'avevo gia' vista in passato e l'ho rivista nell'occasione....". A parziale conforto della veridicita' degli assunti difensivi militerebbe il rinvenimento e l'acquisizione agli atti di alcuni attestati di partecipazione a corsi di formazione e due dispense informative sui d.p.i. e sui lavori in quota. I predetti documenti, in realta', attestano - ai piu' - che (OMISSIS) sapeva di cosa era necessario disporre per poter lavorare in quota in sicurezza; ma non v'e' prova alcuna che (OMISSIS) abbia avuto concreta possibilita' di apprezzare alcuna specifica documentazione attestante la conformita' alle disposizioni del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 di macchine, attrezzature e opere provvisionali e l'elenco dei d.p.i. in dotazione (all. 17), idonei al lavoro in sicurezza in quota". Sebbene il legislatore non faccia obbligo al committente di "conservare" l'autocertificazione a cui e' tenuto l'appaltatore, l'insieme degli elementi indicati dalla Corte di merito lascia fondatamente ritenere che tale dichiarazione non fosse stata mai rilasciata. Il fatto che il lavoratore non indossasse dispositivi anticaduta e che il trabattello non fosse a norma, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, avvalora la fondatezza dell'assunto sostenuto dai giudici di merito circa la mancata preliminare verifica dell'idoneita' tecnico-professionale dell'impresa individuale. E' nota la linea interpretativa della giurisprudenza di questa Corte che vuole, in materia di responsabilita' colposa, che il committente di lavori dati in appalto debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza nello scegliere il soggetto al quale affidare l'incarico, accertandosi non soltanto che lo stesso sia munito dei titoli di idoneita' prescritti dalla legge, ma anche che egli possegga una capacita' tecnico-professionale adeguata al tipo astratto di attivita' commissionata. Si tratta di una verifica che non si risolve nella mera presa d'atto della iscrizione della ditta incaricata nel registro delle imprese, avendo questa Corte precisato come debba trattarsi di un accertamento effettivo, rapportato anche alla difficolta' e pericolosita' dei lavori dati in affidamento (cfr. Sez. 4 -, n. 28728 del 22/09/2020, Olivieri, Rv. 280049 - 01: "In materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, sussiste la responsabilita' del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l'idoneita' tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosita' dei lavori affidati, poiche' l'obbligo di verifica di cui al Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 90, lettera a), non puo' risolversi nel solo controllo dell'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo", in motivazione si e' precisato che il committente deve verificare la struttura organizzativa dell'impresa incaricata e la sua adeguatezza rispetto alla pericolosita' dell'opera commissionata - in particolare, in caso di lavori in quota, il committente deve assicurarsi dell'effettiva disponibilita', da parte dell'appaltatore, dei necessari dispositivi di sicurezza; nello stesso senso Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Marangio Rv. 267744 - 01, cosi' massimata: "In materia di infortuni sul lavoro, il committente ha l'obbligo di verificare l'idoneita' tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosita' dei lavori affidati. (Fattispecie, relativa alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall'alto della copertura di un fabbricato, nella quale e' stata ritenuta la responsabilita' per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza)"). 4. Non risulta dalla lettura della motivazione della sentenza che la Corte di merito abbia omesso di considerare la c.d. "causalita' della colpa": le regole cautelari violate individuate nella sentenza impugnata sono rappresentate dalla culpa in eligendo, non essendosi il ricorrente previamente accertato della capacita' tecnico-professionale dell'impresa all'atto dell'affidamento dell'incarico, ma anche della culpa in vigilando, sostanziatasi nel non avere sospeso e impedito la prosecuzione dei lavori in presenza della evidente inadeguatezza dell'attrezzatura adoperata dalla vittima per eseguire le lavorazioni in quota, inadeguatezza facilmente percepibile dal ricorrente alla stregua di quanto argomentato in motivazione (si veda anche quanto si dira' nel paragrafo successivo). In relazione a tale profilo, sebbene non possa esigersi da parte del committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, si e' precisato che il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro operi anche in relazione al committente ove le situazioni di pericolo siano di agevole ed immediata percepibilita' (Sez. 4, n. 27296 del 2/12/2016 dep. il 2017, Vettor, Rv. 270100; conf. Sez. 4, n. 44131 del 15/7/2015, Heqimi ed altri, Rv. 264974-75). Si e' di contro affermato che il committente e' esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica in relazione a quelle situazioni che richiedano particolari e specifiche competenze tecniche (Sez. 3, Sentenza n. 12228 del 25/02/2015, Cicuto, Rv. 262757 - 01: "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora il lavoratore presti la propria attivita' in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente e' esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso che potesse andare esente da responsabilita' il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall'alto di un operaio operante su un lucernaio)). Nel caso che occupa, data l'evidente inadeguatezza delle misure precauzionali adottate dal titolare della ditta individuale a cui era stata affidata l'esecuzione dei lavori in quota, correttamente il committente e' stato chiamato a rispondere dell'infortunio subito dal lavoratore, collegandosi l'evento causalmente alla sua colpevole omissione (cfr. Sez. 4, n. 10608 del 4/12/2012 dep. il 2013, Bracci, Rv. 255282: "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente e' titolare di una autonoma posizione di garanzia e puo' essere chiamato a rispondere dell'infortunio subito dal lavoratore qualora l'evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini. (Fattispecie in tema di inizio dei lavori nonostante l'omesso allestimento di idoneo punteggio)). 5. La Corte di merito ha offerto congrua risposta anche in relazione alla percepibilita' del pericolo, che determina l'obbligo del committente di impedire la prosecuzione dei lavori in condizioni inidonee (motivi terzo e quarto). Sul punto la Corte di merito ha cosi' argomentato: "Puo' serenamente dirsi raggiunta la prova che (OMISSIS) ebbe modo, quantomeno la mattina dell'8 maggio 2017, di apprezzare l'inidoneita' del trabattello piu' alto alla normativa in materia di sicurezza per i lavori in quota. Sul punto, (OMISSIS) e' stato sufficientemente chiaro, quando, sentito a s.i.t. il giorno stesso dell'incidente, ha dichiarato: "il trabattello alto lo abbiamo montato tre o quattro giorni fa il signor (OMISSIS) e io" (verbale s.i.t. 8.5.2017). La medesima versione e' stata ribadita da (OMISSIS) sia in sede di s.i.t. l'11.5.2017 ("venerdi' 5 maggio e' stato il primo giorno, il secondo giorno e' stato lunedi' 8 maggio... venerdi' mattina io e il signor (OMISSIS) abbiamo montato i trabattelli sia quello piu' basso sia quello piu' alto ovvero quello di 6 metri"), sia il successivo 12.2.2018, allorche' ha dichiarato al P.M. "il giorno in cui e' successo l'infortunio il lavoro che restava ancora da eseguire era la decorazione di meta' soffitto e la parete... il trabattello alto fu montato gia' prima del giorno dell'infortunio. Confermo quanto avevo detto nell'audizione dell'11.5.2017 e, cioe', che il trabattello alto fil montato il venerdi' precedente..". Dunque, allorquando (OMISSIS), lunedi' mattina 8 maggio, passo' dal capannone, il trabattello alto era montato sino all'ultimo piano di calpestio. E che (OMISSIS) sia passato dal capannone lunedi' mattina e' circostanza pacifica, avendola egli stesso ammessa: "il giorno in cui vi e' stato poi l'evento mortale ero andato all'interno dei locali per dire a (OMISSIS) di tappare i buchi nel muro..." (interrogatorio 23.1.2018)". Si tratta di motivazione non censurabile in questa sede, a cui la difesa oppone una diversa interpretazione delle emergenze istruttorie, che, come e' noto, non puo' essere delibata in questa sede. Il ricorrente pretende, a ben vedere, che si proceda, in sede di legittimita', ad una rinnovata valutazione degli elementi probatori posti a base del giudizio di responsabilita'. L'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perche' e' estraneo al giudizio di legittimita' il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E' principio non controverso, inoltre, che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non e' tenuta a stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne' a condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita' di apprezzamento (cfr. Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004, Elia ed altri, Rv. 229369). 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 23/11/2021 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PEZZELLA VINCENZO; Lette le conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 conv. dalla L. n. 176 del 2020, come prorogato Decreto Legge n. 228 del 2021, ex articolo 16 conv. con modif. dalla L. n. 15 del 2022 e successivamente Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, ex articolo 94, comma 2, come sostituito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, articolo 5-duodecies di conversione in legge del Decreto Legge n. 162 del 2022), del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. ORSI Luigi, che ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza imputata limitatamente al ricorrente (OMISSIS), con trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Reggio Calabria per il giudizio di appello e dichiararsi inammissibile il ricorso di (OMISSIS); Letti i motivi aggiunti proposti in data 24/1/2023 dall'Avv. GULLO Michele, nell'interesse del ricorrente (OMISSIS), con cui si solleva, tra l'altro, questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 589 c.p.p., comma 2, come meglio precisato in seguito. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 23/11/2021, pur riformando la sentenza del 4/6/2019 del Tribunale di Reggio Calabria in composizione monocratica, rideterminando la pena, previo giudizio di equivalenza tra le gia' concesse circostanze attenuanti e la contestata aggravante, in anni uno di reclusione ciascuno, ha confermato l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS) per i seguenti reati: - (OMISSIS) (in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS)): "reato p. e p. dall'articolo 589 c.p., in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 89, comma 1, lettera G), articolo 118, comma 5, articolo 119, comma 1, lettera B), articolo 90, commi 3, 4 e comma 9, lettera A) perche' (OMISSIS) e (OMISSIS) in qualita' di committenti, (OMISSIS) in veste di progettista e direttore dei lavori e responsabile dei lavori, (OMISSIS) quale titolare della ditta esecutrice e (OMISSIS) quale titolare della ditta appaltatrice e datrice di lavoro, presso il cantiere sito in (OMISSIS) ove stava prestando la sua attivita' lavorativa (lavori di scavo) (OMISSIS), intorno alle 18.35 circa del (OMISSIS) cagionavano il cedimento di una parete terrosa interessata da attivita' di sbancamento cui seguiva il soffocamento del lavoratore (OMISSIS) presente all'interno dello scavo gia' praticato con l'utilizzo di un escavatore condotto da (OMISSIS), mediante condotta colposa generica e specifica poiche' qualificata da imprudenza, imperizia e negligenza nonche' da violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro consistita per (OMISSIS), (OMISSIS) nell'omettere di elaborare il piano operativo di sicurezza di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 96, lettera G), per i committenti ed il direttore dei lavori nell'omettere di elaborare il piano di sicurezza di cui all'articolo 91, comma 1, lettera A) del medesimo decreto, nell'omettere di designare il coordinatore per la progettazione e quello per l'esecuzione di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, commi 3 e 4, nell'omettere di verificare l'idoneita' tecnico professionale della ditta di cui all'articolo 90, comma 9 del medesimo decreto, per tutti nell'omettere di realizzare la protezione della zona superiore allo scavo e della parete di terra mediante idonee armature di sostegno di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 118 e 119, con il conseguente mancato impedimento dell'evento dannoso prevedibile consistito nel violentissimo cedimento della parete di cui sopra con conseguenti lesioni personali cui seguiva la morte da sindrome asfittica pressoche' istantanea della vittima (OMISSIS)". - (OMISSIS) (in concorso con (OMISSIS)): "reato p. e p. dagli articoli 113, 589 c.p. perche', agendo in concorso e/o cooperazione tra loro e con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nei cui confronti si procede separatamente nell'ambito del procedimento penale n. 3405/08 R. N. R. Mod. 21, quali committenti dei lavori presso il cantiere sito in (OMISSIS) ove stava prestando la sua attivita' lavorativa (lavori di scavo) (OMISSIS), intorno alle 18.35 circa del (OMISSIS) cagionavano (o comunque non impedivano) il cedimento di una parete terrosa interessata da attivita' di sbancamento cui seguiva il soffocamento del lavoratore (OMISSIS) presente all'interno dello scavo gia' praticato con l'utilizzo di un escavatore condotto da (OMISSIS), mediante condotta colposa generica e specifica poiche' qualificata da imprudenza, imperizia e negligenza nonche' da violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro consistita per (OMISSIS), (OMISSIS) nell'omettere di elaborare il piano operativo di sicurezza di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 96, lettera G), per i committenti ed il direttore dei lavori nell'omettere di elaborare il piano di sicurezza di cui all'articolo 91, comma 1, lettera A) del medesimo decreto, nell'omettere di designare il coordinatore per la progettazione e quello per l'esecuzione di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, commi 3 e 4, nell'omettere di verificare l'idoneita' tecnico professionale della ditta di cui all'articolo 90, comma 9 del medesimo decreto" per tutti nell'omettere di realizzare della zona superiore allo scavo e della parete di terra mediante idonee armature di sostegno di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 118 e 119, con il conseguente mancato impedimento dell'evento dannoso prevedibile consistito nel violentissimo cedimento della parte di cui sopra con conseguenti lesioni personali cui seguiva la morte da sindrome asfittica pressoche' istantanea della vittima (OMISSIS)". In (OMISSIS). Il giudice di primo grado aveva assolto i coimputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal delitto loro ascritto per non aver commesso il fatto, concesso al solo (OMISSIS) il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione e disposto la restituzione del terreno in sequestro agli aventi diritto. 2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, lo (OMISSIS) e il (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Il ricorrente Avv. Borgese Domenico Dario del Foro di Palmi propone quale unico motivo di censura nell'interesse di (OMISSIS) quello di non avere ricevuto notifica del decreto di citazione per l'udienza d'appello perche' l'atto e' stato erroneamente notificato all'indirizzo PEC del quasi omonimo avvocato Borgese Domenico. L'appello e' stato poi discusso all'udienza del 23/11/2021 senza la presenza del difensore di fiducia, non avvisato, e definito con sentenza all'udienza del 21/5/2022. Cio' integra, secondo il ricorrente, la violazione dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 179 c.p.p.. Il ricorrente (OMISSIS) propone due motivi di ricorso. Con il primo motivo denuncia violazione di legge penale perche' il reato sarebbe estinto per prescrizione maturata gia' al momento della decisione impugnata. Cio' - si legge in ricorso - in ragione dell'avvenuta elisione della circostanza aggravante a seguito delle ritenute circostanze attenuanti generiche equivalenti alla stessa. E, in ogni caso, in quanto comunque all'atto dell'emissione della sentenza erano decorsi 13 anni e 3 mesi dal fatto. Con il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge penale, particolarmente della norma incriminatrice, con riguardo alla affermata responsabilita' dell'imputato. Il ricorrente denuncia in particolar modo che la sentenza impugnata, soprattutto nella parte della motivazione che va da pagina 26 a pagina 37, sarebbe illegittima perche' traviserebbe le prove emerse dall'attivita' istruttoria. La tesi difensiva, gia' svolta nella fase di merito, e' che lo (OMISSIS) fosse un mero dipendente del deceduto e non gia' il titolare della ditta esecutrice dello scavo. Nel caso di specie si sostiene che, al contrario di quanto affermano i giudici di merito, il ricorrente si trovasse in una posizione non di operatore autonomo, ma che si trattasse di un contratto di nolo a caldo e comunque di lavoro subordinato, e dunque che sullo stesso non poteva ricadere alcuna responsabilita' dell'evento verificatosi. Egli - secondo la tesi sostenuta in ricorso - non era titolare di alcuna posizione di garanzia, per cui non aveva alcun obbligo ne' di fare un piano di sicurezza ne' tantomeno di predisporre le barriere protettive della buca eseguita, poiche' lo stesso rispondeva alle direttive che gli venivano impartite dallo stesso (OMISSIS). Il ricorrente contesta quanto affermato dai giudici di appello il ricorrente evidenziando che nel caso di noleggio di beni mobili non e' richiesto ad substantiam alcun contratto scritto perche' l'accordo puo' essere validamente formato anche verbalmente. In ricorso si dissente da quanto si legge nella sentenza impugnata secondo cui non poteva trattarsi di nolo a caldo perche' nel nolo a caldo si noleggia esclusivamente il bene e non un conducente esperto nell'utilizzo dello stesso. Tale tesi sarebbe errata e smentita dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimita' (in particolar modo si richiamano i dicta di Sez. 4 nn. 23604/2009 e 20478/2007). Si sostiene che nel caso di specie (OMISSIS) ha noleggiato il proprio escavatore con l'autista, che era lo stesso titolare dell'azienda, ma percio' soltanto non puo' parlarsi di due ditte che hanno eseguito autonomamente dei lavori, come affermato dai giudici del gravame del merito nelle pagine 29 e 33 della sentenza impugnata. Tale affermazione - si legge in ricorso - sarebbe smentita dalle dichiarazioni dei testi escussi e anche dello stesso (OMISSIS). Entrambi i ricorrenti chiedono, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata. 3. Con motivi aggiunti a firma dell'Avv. Gullo Michele del 24/1/2023 nell'interesse di (OMISSIS), ritenuta la rilevanza nel presente giudizio e la non manifesta infondatezza, si solleva questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 589 c.p., comma 2 nella parte in cui non prevede una diminuzione di pena nel caso in cui "l'evento non sia esclusivamente conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole" per ritenuto contrasto con l'articolo 3 Cost.. Cio' in quanto l'articolo 589 c.p., al comma 2, prevede una pena da anni due ad anni sette di reclusione a chi si renda responsabile di omicidio colposo con la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro mentre l'articolo 589-bis c.p., introdotto nel nostro ordinamento dalla L. 23 marzo 2016, articolo 1, comma 1, prevede pure la pena da anni due ad anni sette di reclusione per chi si renda responsabile del delitto di omicidio colposo con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, ma all'articolo 589-bis c.p., comma 7, prevede anche una diminuzione di pena fino alla meta' qualora l'evento non sia "esclusiva conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole". Sottolinea il ricorrente che nel procedimento in esame, come emerge dagli atti del procedimento e dalla ricostruzione che viene fatta dai giudici di primo e secondo grado, e' evidente che (OMISSIS), soggetto titolare dell'impresa di costruzioni, con il suo comportamento, se non e' stata esclusivo responsabile della sua morte, ha comunque concorso alla stessa avendo tenuto un comportamento negligente ed imprudente. Dunque, sarebbe evidente l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 589 c.p., comma 2, nel punto in cui non riconosce, come fa invece nell'articolo 589-bis c.p., comma 7, una diminuzione di pena nel caso in cui la condotta colposa dell'infortunato abbia contribuito a causare l'evento dannoso. L'eccezione non sarebbe manifestamente infondata e avrebbe rilevanza in questo processo anche ai fini della determinazione della pena oltre che per l'intervenuta prescrizione eccepita nel presente procedimento. Inoltre, si lamenta violazione degli articoli 129 e 531 c.p.p. in relazione all'articolo 157 c.p.. Sul punto il ricorrente ribadisce che la Corte territoriale ha applicato nei confronti degli imputati odierni ricorrenti l'articolo 589 c.p., comma 1, ai fini della determinazione della pena, il quale delineerebbe la linea da seguire in ordine alla determinazione del termine di prescrizione del reato. Con la conseguenza che nella fattispecie per cui e' ricorso la prescrizione sarebbe maturata con il decorso del termine massimo stabilito in anni 7 e mesi 6, quindi il 16 febbraio 2016. Cio' troverebbe conferma, per analogia, nella sentenza da ultimo emessa dalle Sezioni Unite n. 39614/2022 dove emerge come la Corte territoriale, in applicazione del bilanciamento delle circostanze attenuati con le, ha dichiarato l'intervenuta estinzione del reato ascritto all'imputato. Inoltre, per il ricorrente deve rilevarsi che l'indirizzo prevalente nella giurisprudenza di legittimita', vuole che quella di cui all'articolo 589 c.p., comma 2, costituisca circostanza ad effetto comune. Cio' si evincerebbe in modo inequivocabile dal testo dell'articolo 63 c.p., comma 3, che fornisce l'unica definizione normativa di "circostanze ad effetto speciale". La norma stabilisce espressamente: "sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo. Con un terzo motivo aggiunto si insiste sulla violazione e falsa applicazione degli articoli 41 e 589 c.p. in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 118 e 199, il rilievo che, come emerge dagli atti del dibattimento richiamati nel ricorso lo (OMISSIS) si trova sui luoghi dell'incidente in virtu' di un contratto di nolo a caldo. In via preliminare, il ricorrente chiede sospendere il presente processo e sollevare dinnanzi alla Corte Costituzionale la questione di incostituzionalita' dell'articolo 589 c.p., comma 2 nella parte in cui non prevede una diminuzione di pena nel caso in cui "l'evento non sia esclusivamente conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole" per ritenuto contrasto con l'articolo 3 Cost. in relazione all'articolo 589 c.p., comma 7. In via subordinata, annullarsi l'impugnata sentenza per i motivi sopra rilevati e cassare la stessa per i vizi di legittimita' da cui la stessa e' affetta. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il motivo di ricorso proposto da (OMISSIS), di natura processuale e' fondato, e pertanto la sentenza impugnata va annullata limitatamente a tale ricorrente con rinvio per nuovo giudizio di appello ad altra Sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria. I profili di doglianza proposti da (OMISSIS) sono, invece, manifestamente infondati e tendono a sollecitare a questa Corte una rivalutazione del fatto non consentita in questa sede di legittimita'. Peraltro, gli stessi si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze gia' sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e percio' a superare lo scrutinio di legittimita', avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalita', e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorieta' o di manifesta illogicita' e percio' insindacabili in sede di legittimita'. Ne deriva che il ricorso proposto nell'interesse dello (OMISSIS) va dichiarato inammissibile. Manifestamente infondata e' anche la questione di legittimita' costituzionale proposta nell'interesse del medesimo imputato con i motivi aggiunti. 2. Ed invero, quanto al ricorso proposto dal (OMISSIS), lo stesso e' fondato, in quanto al difensore di fiducia non e' mai stato notificato il decreto di citazione per l'udienza dinanzi alla Corte di appello di Reggio Calabria. L'avviso di udienza risulta comunicato, per mero errore, a difensore sbagliato, quasi omonimo. Per essere piu' precisi il decreto di citazione e la proroga del deposito della motivazione della sentenza risultano inviati all'indirizzo pec +domenico.borgese(at)pec.it+, che corrisponde all'Avv. Borgese Domenico con studio in Polistena e non al difensore Borgese Domenico Dario con studio in Palmi e la cui unica ed esclusiva pec era stata indicata anche nel corpo dell'atto di appello (+domenicod.borgese(at)coapalmi.legalmail.it+). Tale errore ha violato il principio del contraddittorio provocando la nullita' assoluta prevista dagli articolo 178 c.p.p. e seguenti, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento. All'udienza del 23/11/2021, la Corte reggina, invece di constatare la nullita' della notifica e rinviare ad altra data per la rinotifica al difensore di fiducia, nominava un difensore d'ufficio prontamente reperibile, il quale non verificava la correttezza della notifica di fissazione dell'udienza dibattimentale. Dalla lettura degli atti, si evince, dunque, che nel procedimento in questione si e' verificato un grave vulnus del diritto di difesa dell'imputato, idoneo ad integrare la nullita' dedotta con il ricorso in esame. E' palese che nel caso concreto sia venuta meno l'effettivita' del diritto di difesa (cfr. questa Sez. 4 n. 35851/2021) - la nullita' conseguente al mancato avviso dell'udienza al difensore di fiducia non e' sanata dalla nomina del difensore d'ufficio, la quale e consentita nelle sole ipotesi tassativamente elencate dalla norma e presuppone, pertanto, un regolare avviso al titolare del diritto di difesa. Sul punto si sono espresse le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un. 24630/2015, Maritan, Rv 263598) stabilendo che l'omesso avviso dell'udienza al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall'imputato o dal condannato integra una nullita' assoluta ai sensi dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 179 c.p.p., comma 1, quando ne e' obbligatoria la presenza, a nulla rilevando che la notifica sia stata effettuata ad altro difensore e che in udienza sia stato presente un sostituto, poiche' viene ad essere leso il diritto dell'imputato "ad avere un difensore di sua scelta" (eloquente il dato testuale dell'articolo 179 c.p.p., "suo difensore"), riconosciuto dall'articolo 6, comma 3, lettera C), della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. 3. Venendo ai motivi di ricorso proposti nell'interesse dello (OMISSIS), va innanzitutto affrontato quello proposto con i motivi aggiunti, afferente alla denunciata illegittimita' costituzionale dell'articolo 589 c.p., comma 2 per non essere stata prevista per tale reato un'ipotesi di responsabilita' attenuata in caso di concorrente colpa della persona offesa, come avvenuto a seguito dell'introduzione dell'articolo 589bis c.p., comma 7 in relazione all'analoga figura di reato colposo riscontrabile nell'ambito della circolazione stradale. La questione e' manifestamente infondata. La Corte costituzionale, di recente, ha dichiarato dichiara inammissibile la medesima questione, sollevata, in riferimento all'articolo 3 Cost., dal Giudice per l'udienza preliminare presso il Tribunale di Treviso, con ordinanza del 24/12/2019 (Corte costituzionale, 27-31 maggio 2021, n. 114, Rv. 0043914). Va detto che, in quel caso, cosi' come fa in quello che ci occupa l'odierno ricorrente, il rimettente, nell'evocare la disciplina sul trattamento sanzionatorio dell'omicidio stradale quale tertium comparationis, si era limitato a indicare genericamente che le fattispecie a confronto prevedono la medesima pena della reclusione da due a sette anni rispettivamente per l'ipotesi aggravata dell'articolo 589 c.p., comma 2 e per l'ipotesi base dell'articolo 589-bis c.p., comma 1. In tal modo, pero', l'odierno ricorrente come il rimettente gup trevigiano della sentenza 114/21, non confrontandosi con il complessivo e piu' articolato quadro normativo sopra richiamato, non spiegano adeguatamente le ragioni della asserita omogeneita' delle fattispecie in comparazione, da cui dovrebbe derivare l'illegittimita' costituzionale della mancata introduzione - anche per l'omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro della stessa attenuante ad effetto speciale di cui all'articolo 589bis c.p., comma 7, prevista per il solo reato di omicidio stradale. E - come ricordano i giudici delle leggi nella sentenza 114/2021 - per costante giurisprudenza costituzionale, l'insufficiente motivazione in punto di non manifesta infondatezza determina l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale (Corte costituzionale sentenze nn. 265 del 2019 e 182 del 2018), cosi' come anche la determina l'"incompleta ricostruzione della normativa di riferimento" (sentenza n. 102 del 2019). Nel caso in esame, peraltro, come si avra' modo di dire in seguito, non appare nemmeno chiaramente delineato, dalle sentenze di merito, quale sia il comportamento colposo che si ritiene ascrivibile alla persona offesa. La questione proposta si palesa manifestamente infondata in quanto, con le modifiche apportate dalla L. n. 41 del 2016, al reato di cui all'articolo 589 c.p., il legislatore, nell'esercizio della sua ampia discrezionalita', ha inteso assicurare le esigenze di maggior protezione, come quelle connesse alle frequenti violazioni del codice della strada, foriere di eventi lesivi o mortali, e, quindi, all'allarme sociale suscitato dal fenomeno ricorrente delle "vittime della strada". E per farlo, da un lato, ha inserito una norma quale l'articolo 590quater c.p., secondo cui "quando ricorrono le circostanze aggravanti di cui all'articolo 589 bis c.p., commi 2, 3, 4, 5 e 6, articolo 589 ter c.p., articolo 590bis c.p., commi 2, 3, 4, 5 e 6, e articolo 590 ter c.p., le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantita' di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti". Dall'altro, con un'evidente funzione di equilibrio sanzionatorio, ha introdotto l'articolo 589bis c.p., comma 7 e dell'articolo 590bis c.p. secondo cui "qualora l'evento non sia esclusiva conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole, la pena e' diminuita fino alla meta'". E' stata la stessa la Corte costituzionale, con la sentenza n. 88 del 2019, a chiarire che il legislatore, nel rendere autonoma la fattispecie dell'omicidio stradale, ha operato un tipico esercizio di discrezionalita' legislativa. E nell'ambito di questa e' corretto stabilire un diverso regime sanzionatorio in ambiti tanto diversi. Tra l'altro, se e' vero che, rispetto a quanto accade per la circolazione stradale, manca un'analoga figura di reato attenuato in caso di comportamento colposo del lavoratore (il che appare del tutto ragionevole laddove l'intera normativa in materia e sicurezza del lavoro e' incentrata sulla tutela del lavoratore e quindi vuole che siano predisposte le necessarie tutele anche nel caso di comportamenti imprudenti del lavoratore stesso) e' altrettanto vero che manca una norma che preveda un divieto di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche analogo all'articolo 590quater c.p.. Pertanto - e cio' rende del tutto ragionevole la diversita' di disciplina con quelli derivanti da circolazione stradale - per omicidi e lesioni colpose derivanti da violazioni della normativa in materia di sicurezza del lavoro, il comportamento colposo della persona offesa, come peraltro e' accaduto nel caso che ci occupa, puo' essere valutato ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, bilanciabili con le circostanze aggravanti, il che porta, qualora si propenda per un giudizio di prevalenza, ad una concreta riduzione del trattamento sanzionatorio. 4. Passando alle altre doglianze, il ricorrente (OMISSIS) propone due motivi di ricorso manifestamente infondati che tendono a sollecitare a questa Corte una rivalutazione del fatto non consentita in questa sede di legittimita'. Peraltro, gli stessi si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze gia' sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e percio' a superare lo scrutinio di legittimita', avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalita', e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorieta' o di manifesta illogicita' e percio' insindacabili in sede di legittimita'. Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. Come illustrato in premessa, con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge penale perche' il reato sarebbe estinto per prescrizione maturata gia' al momento della decisione qui impugnata. La censura, tuttavia, e' manifestamente infondata, in quanto la Difesa non considera che l'articolo 157 c.p., comma 6 raddoppia i termini di prescrizione per il reato in contestazione. Con il secondo motivo di ricorso, anch'esso manifestamente infondato, la Difesa dello (OMISSIS) denuncia violazione di legge penale, particolarmente della norma incriminatrice, con riguardo alla affermata responsabilita' dell'imputato. La tesi difensiva, gia' svolta nella fase di merito, e' che lo (OMISSIS) fosse un mero dipendente del deceduto e non gia' il titolare della ditta esecutrice dello scavo. Sul punto, tuttavia, il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonche' corretta in punto di diritto - e pertanto immune da vizi di legittimita'. I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilita' del prevenuto, ed in particolare hanno ritenuto sussistere in capo allo (OMISSIS), quale titolare della ditta esecutrice dei lavori di allaccio alla rete fognaria di un immobile in costruzione, la responsabilita' in relazione all'avvenuto cedimento di una parete terrosa interessata da attivita' di sbancamento cui seguiva il soffocamento del lavoratore (OMISSIS). La condotta colposa imputata era stata sia generica che specifica, perche' qualificata da imprudenza, imperizia e negligenza nonche' dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro di cui all'imputazione. In particolare, era stato contestato all'odierno ricorrente, l'avere omesso di elaborare il piano operativo di sicurezza di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 96, lettera g) e l'avere omesso di realizzare la protezione della zona superiore allo scavo e della parete di terra mediante idonee armature di sostegno, come prescritto dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 118 e 119. Gia' il giudice di primo grado - come si legge a pag. 13 della sentenza impugnata - aveva motivatamente escluso che il contratto concluso tra lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS) (che e' colui che lo ha scelto ed indicato al (OMISSIS)) fosse un contratto di nolo a caldo. Cio' sul corretto rilievo che nel nolo a caldo, l'aspetto prevalente e' la fornitura del mezzo, mentre la prestazione del conducente e' marginale. Mentre, nel caso in esame, ne' il committente ne' gli altri coimputati hanno parlato della necessita' di noleggiare un escavatore per effettuare i lavori, ma di contattare un escavatorista per effettuare lo scavo. La prestazione lavorativa, sin dal primo grado, era apparsa, quindi, l'elemento predominante del contratto, e la persona dello (OMISSIS) era stata una precisa scelta del committente non per le qualita' del mezzo, ma per la sua competenza professionale. E la Corte territoriale ha ribadito che non si riscontra alcun contratto di "nolo a caldo" stipulato dall'odierno ricorrente che ha, di contro, agito in via autonoma nell'esercizio dell'attivita' lavorativa, per l'esecuzione della quale e' stato selezionato da (OMISSIS). E che le risultanze depongono nel senso che, per l'attivita' di scavo, in quanto tale, "unico" competente, in materia, era proprio (OMISSIS), all'uopo scelto dal committente non solo in forza del possesso del mezzo ma proprio in vista dell'adempimento del predetto lavoro di escavazione, in relazione al quale ha assunto, di fatto, assoluta autonomia e, per cio' solo, l'obbligo di eseguire i suddetti lavori, assumendo le opportune e necessarie cautele, del tutto pretermesse nel caso di specie. Coerente e logica, pertanto, appare la conclusione che non puo' affermarsi che (OMISSIS) stesse manovrando l'escavatore in base alle direttive esclusive del (OMISSIS) o del (OMISSIS), ne' che fosse stato retribuito per l'uso del mezzo. E che, in ogni caso, non essendo lo (OMISSIS) dipendente della ditta (OMISSIS), lo stesso dovesse essere considerato esecutore dei lavori di scavo, e tanto a prescindere dalla qualificazione civilistica del negozio in base al quale poteva operare nel cantiere. In difetto di una sua sottoposizione alle direttive ed agli ordini del (OMISSIS), indimostrata ed incompatibile con il tipo di chiamata e con la posizione pariordinata dello (OMISSIS), lo stesso e' stato correttamente qualificato dai giudici del merito quale "esecutore dei lavori di scavo". Con tali argomentazioni ne' l'odierno ricorso, e nemmeno l'atto di appello, si confrontano criticamente. 5. Del resto, gia' il giudice di primo grado aveva rilevato che, se anche si dovesse ritenere sussistente un nolo a caldo - nonostante l'assenza di elementi oggettivi che conducano a siffatta conclusione - lo (OMISSIS) doveva necessariamente rispettare delle regole di ordinaria prudenza e perizia, che poi sono quelle formalizzate nel Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 118 e 119, e cioe' predisporre delle protezioni nella zona superiore dello scavo e mettere le pareti in sicurezza mediante idonei sistemi di puntellamento. In altri termini, anche volendo escludere la sua responsabilita' nel predisporre il piano di sicurezza, di certo lo (OMISSIS) doveva procedere adottando le cautele previste dalle regole dell'arte, che impongono di proteggere i lavoratori dal crollo delle pareti. La possibilita' di crollo era, infatti, prevedibile e prevenibile mediante l'adozione di sistemi di sicurezza ordinari, e l'osservanza di queste precauzioni negli scavi e' diretta proprio ad evitare i crolli e gli eventi, quale quello che ha condotto alla morte di (OMISSIS). Secondo la logica motivazione del provvedimento impugnato non e', poi, esatto affermare che la "presenza del nolo a caldo" si evince dal rilievo, per cui il (OMISSIS) ha richiesto l'intervento dell'escavatorista, laddove il dato vale, semmai, a contrario, a rafforzare la tesi sostenuta dall'accusa ed avallata dai giudici di merito, posto che proprio l'intervento di (OMISSIS), in qualita' di escavatorista/esecutore del lavoro, come individuato da (OMISSIS), conferma l'esistenza di un'attivita' lavorativa assunta in via indipendente dal medesimo (OMISSIS) che, per cio' solo, ha assunto un'autonoma posizione di garanzia, cui sono sottesi precisi obblighi di protezione in materia. Ne deriva che, proprio in forza di tale veste, egli giammai avrebbe dovuto procedere all'escavazione, senza prima approntare le, peraltro specifiche ed intuitive, regole di protezione relative allo scavo, assumendo il preciso obbligo di operare, nell'esercizio della propria attivita', con la dovuta prudenza e diligenza, omesse nei caso che occupa. 6. Immune dalle proposte censure di legittimita' appaiono pertanto le conclusioni cui pervengono i giudici di merito nel ritenere evidente la colpa dello (OMISSIS), che effettuava uno scavo della profondita' di oltre tre metri, in un terreno franoso per il quale era stato necessario in precedenza realizzare un muro di contenimento delle pareti, senza adottare alcuna misura di sicurezza, neanche la piu' elementare. Si tratta, peraltro di lavori, come ben evidenziano entrambe le sentenze di merito, che avvenivano al di fuori del controllo del direttore dei lavori, in un giorno non lavorativo, senza seguire le indicazioni progettuali, senza predispone un progetto di sicurezza. La condotta omissiva, rimproverabile all'odierno ricorrente, ha contribuito a determinare causalmente il decesso di (OMISSIS) per soffocamento dovuto al crollo delle pareti dello scavo. I giudici del gravame del merito, dunque, chiariscono che (OMISSIS) non e' responsabile per la mancata redazione del piano di sicurezza, quale incombenza piu' propriamente riconducibile al committente, a fronte della pluralita' di imprese coinvolte nei lavori, ma per avere eseguito un'attivita' di profonda escavazione, in zona franosa, senza prendere visione (ne' attuare) il piano di sicurezza e senza approntare le minime garanzie di protezione, come la costituzione di muri/barriere di protezione delle pareti, quale esplicazione minima degli obblighi tipici della posizione di garanzia di chi si accinge ad effettuare dei lavori al fine di evitare proprio l'evento letale, del tipo di quello, purtroppo, verificatosi in concreto. E chiariscono anche che non e' esatto affermare che non sarebbero applicabili, nei caso di specie, le disposizioni, di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 118 e 119, in materia di tutela generale antiinfortunistica, sia perche', a rigore, tali norme sono volte a prevenire proprio il rischio di frane, come accaduto nel caso di specie, sia perche' proprio l'esercizio dell'attivita' di escavazione comporta, in fatto, l'obbligo, come detto, di "non agire" in assenza delle opportune protezioni, volte ad evitare il cedimento delle pareti, a causa della specifica attivita' lavorativa compiuta. La Corte territoriale ricorda che il teste (OMISSIS), ispettore preposto alla sicurezza, ha riferito in dibattimento degli obblighi di garanzia direttamente riconducibili all'escavatorista (OMISSIS), che ha svolto un lavoro autonomo, che non avrebbe dovuto compiere in assenza delle opportune cautele, mancanti nel caso che occupa. E che lo stesso (OMISSIS) nega risolutamente l'esistenza, nel caso di specie, di un contratto di "nolo a caldo", di cui, per vero, non riscontra traccia alcuna, sul piano documentale, con cio' giungendo, il predetto teste, a conclusioni simmetriche e collimanti con la tesi accusatoria. I giudici del gravame del merito, in risposta a quanto obiettato dalla difesa, specificano anche che non si contesta (tanto) il luogo di esecuzione dello scavo, ma proprio il fatto che (OMISSIS), nell'accingersi ad operare, nei termini gia' riferiti, ha del tutto omesso di assicurare le dovute protezioni e cautele, concorrendo, in concorso, nella realizzazione dell'evento letale a carico di (OMISSIS). Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere e' inammissibile perche' trasformerebbe questa Corte di legittimita' nell'ennesimo giudice del fatto. 7. Entrambi i giudici di merito hanno risposto con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto anche alla doglianza secondo cui il comportamento della persona offesa (OMISSIS), che non avrebbe dovuto calarsi nella buca in assenza delle prescritte protezioni, sarebbe stato talmente "imprevedibile" e posto in essere in totale indipendenza da risultare abnorme, nel senso, giustappunto, di costituire un'autonoma condotta idonea, ex se, a causare l'evento, con cio' interrompendo il nesso causale, intercorrente tra le omissioni, riconducibili ai due odierni inquisiti, e il decesso, concretamente occorso. Gia' il giudice di primo grado aveva ritenuto che non potesse escludersi la colpa degli imputati alla luce della manovra certamente azzardata ed imprudente di (OMISSIS), che si calava in una buca di tre metri senza protezioni in quanto la presenza dei dispositivi di sicurezza imposti dalla normativa all'epoca vigente, infatti, mirava proprio ad impedire eventi del tipo di quello verificatosi in concreto. E la Corte territoriale, nel rispondere allo specifico profilo di doglianza, lo ha correttamente ritenuto non fondato, nella misura in cui giammai la condotta di (OMISSIS) puo' definirsi, nel caso di specie, abnorme in senso tecnico, laddove il suo comportamento puo' qualificarsi certamente come imprudente/negligente, ma non tale da risultare imprevedibile ed eccentrico rispetto all'attivita' lavorativa posta in essere dal medesimo (conferente, in tal senso, e' il richiamo al dictum di Sez. 4 n. 15124/16). In una parola, (OMISSIS) non avrebbe dovuto "calarsi nella buca" e compiere i lavori, in assenza delle dovute protezioni personali e delle cautele di contenimento necessarie, al fine di evitare la caduta delle pareti, ma tale condotta imprudente e' la logica considerazione dei giudici del gravame del merito - e' sempre inerente all'attivita' lavorativa "demandata" al medesimo, e, pertanto, non e' eccentrica ma rientra nel rischio tipico che i titolari della posizione di garanzia avrebbe dovuto scongiurare, adottando le dovute cautele indicate, cosa non occorsa nel caso di specie. La sentenza impugnata, pertanto, opera un buon governo della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui non vale a escludere la responsabilita' del titolare della posizione di garanzia il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (cosi' questa Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321 relativamente ad una fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilita' del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza). Non e' configurabile, in altri termini, la responsabilita' ovvero la corresponsabilita' del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro o da chi debba provvedervi presenti delle evidenti criticita', atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497). Ed e' stato condivisibilmente ribadito (Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018 dep. 2019, Musso, Rv. 275017) che la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non e' solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in quel caso la Corte di legittimita' ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilita' del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anziche' utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato). E, ribadendo il concetto di "rischio eccentrico" altra recente pronuncia (Sez. 4 n. 27871 del 20/3/2019, Simeone, Rv. 276242) ha puntualizzato che, perche' possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilita' del garante, e' necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, cosi' che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potra' essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (si trattava di un caso di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilita' del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel POS e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato). 8. Essendo il ricorso di (OMISSIS) inammissibile e, a norma dell'articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e dispone trasmettersi gli atti ad altra Sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MONTAGNI Andrea - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. CENCI Daniele - rel. Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/11/2021 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore TASSONE KATE, che ha concluso chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi. uditi i Difensori: e' presente l'Avvocato (OMISSIS), del Foro di ASTI, in difesa di (OMISSIS), il quale, illustrati i motivi di ricorso, insiste nel loro accoglimento; e' presente anche l'Avv.ssa NUBILE STEFANIA, del Foro di TORINO, in difesa di (OMISSIS), che, dopo aver illustrato le motivazione del ricorso, chiede di annullare la sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1.La Corte di appello di Torino il 19 novembre 2021 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dagli imputati, con la quale il G.u.p. del Tribunale di Cuneo il 21 settembre 2018, all'esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto (OMISSIS) ed (OMISSIS) responsabili, in cooperazione ex articolo 113 c.p., del reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina anti-infortunistica, fatto commesso il 30 marzo 2015, in conseguenza condannando ciascuno, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e quella del risarcimento del danno alle parti civili e stimate le stesse equivalenti all'aggravante, operata la riduzione per il rito, alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa. 2. I fatti, in estrema sintesi, come concordemente ricostruiti dai Giudici di merito. 2.1. Avendo il Comune di Boves (CN) appaltato i lavori per la realizzazione di una pista forestale alla s.n.c. " (OMISSIS)", nel primo pomeriggio del 15 gennaio 2015 il dipendente della " (OMISSIS)" (OMISSIS), mentre stava procedendo con una motosega all'abbattimento di un'alta betulla, e' stato colpito al capo (non si e' accertato se nell'occasione protetto da casco o meno) da un pesante ramo, che gli ha provocato gravi fratture che lo hanno condotto a morte il 30 marzo 2015. 2.2. Sono stati ritenuti responsabili dell'accaduto, in cooperazione colposa tra di loro, ai sensi dell'articolo 113 c.p.p., gli odierni ricorrenti. 2.2.1. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile in qualita' di datore di lavoro (essendo amministratore delegato della " (OMISSIS)"), per avere solo assai genericamente previsto nel piano operativo di sicurezza (acronimo: P.O.S.) il rischio di caduta di oggetti dall'alto, senza fare specifico riferimento alle evenienze che possono accadere in un fitto bosco, quale, ad esempio, quella dell'albero che, cadendo, colpisca un altro albero, e per avere omesso di informare e di formare adeguatamente il lavoratore dipendente (OMISSIS), anche tenuto conto che la " (OMISSIS)" era un'impresa edile, non un'impresa boschiva, che era la prima volta che si accingeva a tale tipo di attivita', che la vittima, che generalmente era impiegata come autista, non aveva mai svolto in precedenza l'attivita' di taglialegna e che non erano stata disposte efficaci misure per la verifica circa l'effettivo impiego dei dispositivi di protezione individuale, primo tra i quali il casco protettivo. 2.2.2. Quanto al geometra (OMISSIS), che era stato nominato coordinatore della sicurezza dal Comune committente, premesso che, diversamente dalle previsioni, non si aveva, in realta', la compresenza di piu' ditte da coordinare, i Giudici di merito hanno ritenuto che lo stesso abbia, tuttavia, effettivamente svolto l'incarico, recandosi piu' volte nel cantiere boschivo, cosi' di fatto ingerendosi nella esecuzione dei lavori, ed in un'occasione in particolare contestando formalmente il mancato impiego del casco protettivo. In tale veste l'imputato ha anche redatto un piano di sicurezze e di coordinamento (acronimo: P.S.C.), non meno generico del P.O.S., di cui ricalca il testo, e, avendo fatto, appunto, accesso in piu' occasioni, non si e' reso conto delle manchevolezze della ditta, che, anche solo avuto riguardo al profilo formale, risultava impiegare personale non adeguatamente formato per il pericoloso lavoro di abbattimento degli alberi. 3.Cio' premesso, ricorrono per la cassazione della sentenza gli imputati, tramite separati ricorsi curati da distinti Difensori di fiducia, affidandosi ciascuno a piu' motivi, con i quali si denunziano promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione. 4.Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) (due motivi). 4.1. Con il primo motivo lamenta violazione dell'articolo 40 c.p. e vizio motivazionale, quanto al difetto di valutazione controfattuale della efficacia salvifica degli adempimenti che si assumono essere stati omessi da parte dell'imputato. Rammentato che si e' addebitato a (OMISSIS) di non avere formato ne' informato adeguatamente il dipendente, il ricorso pone il tema della concretizzazione - o meno - nel caso di specie dello specifico rischio che le regole cautelari miravano a fronteggiare e della prova che il comportamento osservante avrebbe evitato l'evento pregiudizievole e della verifica, di tipo controfattuale, della efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito. Inoltre, sotto il profilo della causalita' della colpa, si sottolinea avere la Difesa gia' con l'atto di appello sostenuto che, essendo incerta la dinamica dell'incidente, non puo' dirsi con certezza che la somministrazione al dipendente di una diversa formazione avrebbe impedito l'evento dannoso poi verificatosi. Sotto tale profilo, la sentenza impugnata non spiegherebbe perche' il comportamento alternativo lecito (cioe', nel caso di specie, una differente formazione ed un piu' elevato numero di lezioni teorico-pratiche, come indicato alla p. 13 della motivazione), avrebbero determinato un diverso sviluppo degli accadimenti. Non si sarebbe indagato, insomma, sul tema della causalita' giuridica, e non solo materiale. Si richiamano precedenti di legittimita' stimati pertinenti. Le sentenza di merito non avrebbero indagato aspetti rilevanti, tra i quali: quale fosse l'albero abbattuto, la sua altezza e le sue caratteristiche, quale tecnica sia stata adoperata per abbatterlo, se prima sia stata o meno ispezionata l'area attorno all'albero da tagliare, verso quale direzione la pianta sia caduta, la correttezza e la prudenza nell'attivita' di taglio da parte dei soggetti agenti, se la vegetazione fosse fitta o meno, se il ramo che ha colpito la vittima appartenesse alla pianta tagliata o ad un'altra, se la persona offesa indossasse o meno il casco protettivo, tema quest'ultimo di rilevante importanza e che non sarebbe stato adeguatamente sondato, poiche' ben potrebbe essere accaduto che il lavoratore indossasse correttamente il casco e che, pur rimanendo a debita distanza, sia stato colpito da un ramo di pianta diversa da quella abbattuta. Si tratta di aspetti - si evidenzia - gia' segnalati con l'atto di appello ma trascurati nella decisione che si impugna. In conseguenza, la Corte territoriale avrebbe posto in essere "Un approccio che svaluta la conoscenza del fatto (...), esprime l'adesione ad un condizionalismo debole, che veicola nella causalita' il senso comune, in cui il tassello del mosaico da asportare in via controfattuale non e' un dato scientifico, ma un assioma: si poteva fare di piu', si poteva fare di meglio, quindi la causalita' non manca mai. Ragionando cosi', si apre una voragine tra omissione ed evento: la responsabilita' diventa oggettiva ed il nesso causale affermato a prescindere da qualsiasi condizionamento reale tra omissione ed evento: la responsabilita' diventa oggettiva (...) solo quando sia stata individuata l'origine eziologica dell'accadimento lesivo, e' possibile accertare se la violazione della regola cautelare abbia cagionato l'evento o meno" (cosi' alla p. 7 del ricorso). La sentenza si fonderebbe su giudizio probabilistici, supposizioni e congetture ed incerto sarebbe il "punto di partenza del discorso (...) Solo una volta acquisita la certezza processuale che il casco non fosse stato calzato dal lavoratore, ovvero non fosse stata stato osservato un corretto distanziamento dalla zone delle operazioni, oppure fosse stata trascurata l'ispezione delle fronde, sara' possibile immaginarne le ripercussioni in tema di impedimento dell'evento effettivamente verificatosi" (cosi' alla p. 8 dell'impugnazione). In altre parole, i Giudici di merito non avrebbero adeguatamente affrontato ne' il tema dell'accertamento della causalita' materiale ne' quello della verifica della causalita' giuridica, accontentandosi solo del vago ragionamento che si rinviene alla p. 13 della sentenza impugnata, ove ci si limita ad affermare che le omissione colpose da parte del datore di lavoro si pongono come antecedente causale dell'evento occorso. Ad avviso del ricorrente, pero', seguendo "questa linea di ragionamento, l'inadempimento dell'obbligo di adeguata valutazione dei rischi, e di conseguente formazione del lavoratore, presenterebbe un'indiscriminata relazione di cause ed effetto, che prescinde dalle caratteristiche del caso concreto. Se l'imprenditore non valuta correttamente il rischio, se non forma a dovere il lavoratore, l'ambiente di lavoro risulta insicuro, di talche' qualsiasi evento lesivo che si verifichi sarebbe sempre da collegare causalmente alla incompleta valutazione dei fattori di rischio" (cosi' alla p. 9 del ricorso). Cosi' procedendo, pero', secondo la Difesa, si giungerebbe ad una inammissibile responsabilita' di tipo oggettivo, del genere "accertata l'omessa valutazione di un qualsiasi rischio, l'imprenditore sarebbe responsabile per qualsiasi evento dannoso", in contrasto con il costante insegnamento di legittimita', secondo cui "In tema di prevenzione infortuni sul lavoro, il rapporto di causalita' tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo non puo' essere desunto soltanto dall'omessa previsione del rischio nel documento, di cui al Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articolo 4, comma 2, (documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro), dovendo tale rapporto essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell'omissione all'evento che si e' concretizzato. (Nella specie, con riferimento all'infortunio sul lavoro causato dal trascinamento delle braccia dell'operatrice nei rulli in movimento di un macchinario, la sentenza impugnata aveva affermato che ove fosse stato operato l'inserimento della previsione di tale rischio nel suddetto documento, l'infortunio sarebbe stato evitato)" (Sez. 4, n. 8622 del 04/12/2009, dep. 2010, Giovannini, Rv. 246498). La sentenza impugnata, dunque, andrebbe annullata, perche' il ragionamento controfattuale sarebbe privo di imprescindibili elementi. 4.2. Con il secondo motivo (OMISSIS) censura violazione dell'articolo 533 c.p.p. e vizio di motivazione per l'omesso esame critico dei contenuti della relazione di indagine infortunio del Servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (acronimo: Spresal) della Asl in data 22 settembre 2015 nonche' dei motivi di appello svolti sul punto. Si rammenta che il servizio Spresal non aveva ravvisato violazioni da parte del datore di lavoro, nemmeno quanto al tema della valutazione dei rischi e della formazione dei dipendenti, mentre a differenti conclusioni e' giunto il consulente del P.M., svolgendo i rilievi critici poi posti a fondamento dell'editto di accusa. La divergenza tra le due qualificate valutazioni, gia' espressamente sottolineata nell'atto di appello (sub nn. 4-6), avrebbe imposto ben altra ed approfondita motivazione, dovendo verificarsi la "tenuta" del ragionamento giudiziale alla luce del principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", essendo "altrimenti (...) immanente la sussistenza di dubbi intrinseci alla sentenza di condanna, connessi all'esistenza di ipotesi alternative dotate di apprezzabile verosimiglianza e razionalita'" (cosi' alla p. 14 del ricorso). 5. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) (quattro motivi). 5.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p., per avere sia il Tribunale che la Corte di appello pronunziato condanna sulla base di profili di colpa specifica relativi a fatti che non formavano oggetto dell'imputazione e rispetto ai quali al ricorrente non sarebbe stato consentito di approntare una difesa effettiva. Si rammenta che nella richiesta di rinvio a giudizio si era contestato ad (OMISSIS) un unico profilo di colpa specifica, consistente nell'avere previsto nel piano di sicurezza e coordinamento (P.S.C.) di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 100 a fronte di un rischio di caduta di materiale dall'altro, misure di prevenzione e protezione tipiche di un cantiere edile, e non gia' di un cantiere forestale, ove si sarebbero dovuti abbattere alberi. Il ricorrente evidenzia come il P.S.C. risalga al 24 luglio 2013, cioe' sia di data anteriore all'assegnazione dei lavori alla s.n.c. (OMISSIS), e che, pertanto, in assenza di ulteriori contestazioni di colpa generica, l'imputato si e' determinato a chiedere di essere giudicato con il rito abbreviato, nell'ambito del quale ha depositato memoria difensiva con la quale ha sostenuto: a) l'inapplicabilita' del titolo IV del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 ai lavori forestali, che, dunque, non erano stati recepiti nel P.S.C. redatto in fase di progettazione; b) che, in ogni caso, il P.S.C. redatto in fase di progettazione ha perso efficacia nella fase esecutiva per il mancato verificarsi della compresenza di piu' imprese ed e' stato, dunque, sostituito da un "piano sostitutivo di sicurezza", presentato nel novembre 2014 dalla societa' " (OMISSIS)", unica assegnataria dell'appalto; c) ancora, che, in ogni caso, anche ove il P.S.C. redatto dal geom. (OMISSIS) fosse inopinatamente ritenuto efficace, tale documento sarebbe in concreto idoneo a prevenire i rischi, in virtu' del combinato disposto tra le misure generali ivi indicate e le misure specifiche contenute nel P.O.S. della " (OMISSIS)", come peraltro evidenziato dal consulente della Difesa e da quello del P.M.; d) infine, che la contestata genericita' del P.O.S. non avrebbe avuto alcun ruolo causale o concausale nella verificazione dell'evento, che non e' riconducibile ad un rischio interferenziale ma ad un rischio tipico e specifico dell'attivita' della societa' " (OMISSIS)". Cio' posto, segnala criticamente che la sentenza di primo grado, in realta', "ha operato un'evidente metamorfosi dell'unico profilo di colpa specifica - di natura per cosi' dire "documentale" - contestato nel capo d'imputazione, fondando il giudizio di responsabilita' penale dell'odierno ricorrente su profili di omessa vigilanza attinenti alla fase di esecuzione dei lavori presso il cantiere, mai indicati nella richiesta di rinvio a giudizio" (cosi' alla p. 5 del ricorso). Confrontando l'addebito (formalmente elevato dal P.M.), di redazione di un documento contenutisticamente generico in un momento antecedente l'assegnazione dell'appalto, quindi una condotta attiva documentale, con quello (ritenuto sussistente nella sentenza del Tribunale) di mancata verifica della adeguatezza della persona offesa rispetto alla mansione del taglio di alberi che le era stato affidato, differente profilo di genere omissivo, si ritiene essere in presenza di un macroscopico difetto di correlazione tra accusa e sentenza, che renderebbe nulla la decisione del G.u.p. del Tribunale di Cuneo, non essendosi realizzato contraddittorio processuale in ordine a tale profilo, con grave danno per il diritto di Difesa (che aveva peraltro optato per il rito abbreviato). A tale innovativo aspetto se ne e' aggiunto un altro, avendo la Corte territoriale - assume il ricorrente - introdotto e ritenuto sussistente un ulteriore profilo di colpa specifica che non era contenuto nella richiesta di rinvio a giudizio ne' era stato contestato nel corso del processo di primo grado: si legge, infatti, alla p. 14 della sentenza di appello che (OMISSIS), pur essendosi recato nel cantiere e pur avendo rilevato il mancato impiego dei dispositivi di protezione individuale, non e' intervenuto e non ha assunto provvedimenti efficaci ed effettivi, quale, ad esempio, la sospensione dei lavori, ed inoltre che l'imputato non ha verificato il P.O.S. della societa' " (OMISSIS)". Ebbene, tali ulteriori nova, concernenti condotte omissive relativa alla fase esecutiva, avrebbero ulteriormente minato il diritto di difesa dell'imputato, che non ha potuto esercitare nessun contraddittorio o prendere posizione. Donde - si assume - la nullita' di entrambe le sentenze di merito, adottate in violazione dell'articolo 521 c.p.p.. 5.2. Con il secondo motivo si denunzia promiscuamente violazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 100 e del Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163, articolo 131 e vizio di motivazione in relazione alla rilevanza causale delle presunte carenze del piano di sicurezza e di coordinamento (acronimo: P.S.C.). Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello avrebbe fatto erronea applicazione della disciplina del piano di sicurezza e coordinamento e non si sarebbe confrontata specificamente con i motivi svolti nell'impugnazione di merito concernenti il profilo della causalita' della colpa relativo alla contestata carenza del P.S.C. Premesso che il geom. (OMISSIS) ha ricevuto dal Comune di Boves incarico di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (C.S.P.) in relazione alla realizzazione di una pista forestale e che nel luglio 2013, cioe' prima dell'inizio dei lavori, ha redatto il P.S.C. prescritto per l'evenienza che, a seguito dell'affidamento, si verificasse la compresenza, sincronica o diacronica, di piu' imprese, sottolinea il ricorrente che una sola impresa e' intervenuta nel cantiere, cioe' la " (OMISSIS)", sicche' non si e' mai verificata la situazione di interferenza tra imprese che potesse rendere efficace il P.S.C. redatto dall'imputato; inoltre, al momento dell'infortunio la vittima stava compiendo un'attivita' connotata da un rischio specifico proprio dell'impresa appaltatrice, rischio rispetto al quale il P.S.C. non avrebbe potuto avere un ruolo precettivo. Cio' e' comprovato, del resto, come posto in luce dal consulente della Difesa, geom. (OMISSIS), dalla circostanza che la " (OMISSIS)" ha presentato, insieme al P.O.S., un "piano sostitutivo di sicurezza" (P.S.S), la cui funzione e' proprio quella di sostituire il P.S.C. allorche' i lavori vengano eseguiti da un'unica impresa. L'imputato nell'atto di appello ha rivolto la propria critica - anche - al tema della causalita' della colpa, ossia della rilevanza eziologica o meno delle prescrizioni del P.S.C., che al momento dell'infortunio non solo non era cogente ma che era sostituito per legge dal citato P.S.S., rispetto all'infortunio verificatosi in assenza di rischio interferenziale, ma tale aspetto della rilevanza causale non e' stato affrontato nella sentenza impugnata, che ha eluso il tema richiamando la doverosita' della redazione del P.S.C. e l'essersi (OMISSIS) recato in cantiere. Si sottolinea, inoltre, avere la decisione del Tribunale, alla p. 8, richiamato la circostanza che il P.S.C. non contemplava i rischi specifici derivanti dall'abbattimento di alberi, senza, tuttavia, considerare che i rischi specifici "intra-aziendali" esulano dall'ambito di intervento del P.S.C. e dalle funzioni del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, come puntualizzato dalla S.C. ("In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha ad oggetto esclusivamente il rischio c.d. generico, relativo alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attivita', alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di piu' imprese; ne consegue che il coordinatore non risponde degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio dell'attivita' dell'impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo. (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha annullato parzialmente con rinvio la sentenza di condanna del coordinatore per la sicurezza dei lavori in relazione al decesso causato dalla precipitazione dal tetto di un dipendente dell'impresa appaltatrice dei lavori di rimozione delle lastre di copertura, rilevando che non era stato accertato se si trattava di un rischio generico, relativo alla conformazione generale del cantiere, ovvero di un rischio specifico attinente alle attivita' oggetto del contratto di appalto)": Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, dep. 2017, Bellotti e altro, Rv. 269046). Quanto, poi, all'affermazione della Corte di appello circa la genericita' contenutistica e la carenza del P.S.C., osserva il ricorrente come la sentenza impugnata non si e' confrontata con il rilievo critico, svolto nell'atto di appello, basato sulla relazione tecnica del c.t. della Difesa, secondo cui l'attivita' di taglio di piante e di alberi e' estranea alla definizione di cantiere di cui al titolo IV della del Decreto Legislativo n. 81 del 2008; con la conseguenza che il P.S.C. non dovrebbe regolamentare i rischi interferenziali relativi a tale attivita', appunto, esclusa. Non senza considerare - prosegue il ricorso - che, secondo quanto ritenuto dal consulente del P.M. (alla p. 9 dell'elaborato scritto), l'applicazione congiunta ed integrata delle disposizioni del P.S.C. redatto in fase di progettazione e del P.O.S. di " (OMISSIS)" rispetto all'attivita' forestale deve ritenersi esaustiva. Non avendo la sentenza spiegato perche' si distacca da pareri tecnici, si ravvisa un vizio di motivazione che con il ricorso viene denunciato (richiamandosi al riguardo precedente di legittimita' stimato pertinente). 5.3. Con il terzo motivo si censura violazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 92 e, nel contempo, difetto di motivazione in relazione alla ritenuta omessa verifica della formazione da parte del ricorrente e alla sua rilevanza causale. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe fatto erronea applicazione della disciplina sulla verifica della formazione dei dipendenti delle imprese appaltatrici da parte del coordinatore per la sicurezza ed avrebbe omesso di motivare adeguatamente sia in ordine alla evidenza della carenza formativa, secondo i Giudici di merito da rilevarsi da parte dell'imputato, sia sulla rilevanza causale nel caso di specie di tale profilo di colpa specifica. Nell'atto di appello si era contestata l'affermazione che competesse al coordinatore della sicurezza la verifica "in concreto" della correttezza e della completezza della formazione dei lavoratori delle imprese appaltatrici, spettando al coordinatore la verifica di tipo documentale ed essendo onere del datore di lavoro controllare la effettivita' della formazione, come del resto chiarito dalla S.C. nella motivazione della pronunzia di Sez. 4, n. 27165 del 04/07/2016, Battisti, Rv. 267735. L'affermazione, che si rinviene alla p. 14 della sentenza impugnata, circa la carenza di formazione dei lavoratori emergente gia' documentalmente da un punto di vista formale sarebbe, poi, meramente assertiva ma indimostrata, cio' non emergendo da nessun atto processuale, e - anzi - sottolineandosi che la polizia giudiziaria intervenuta non ha rilevato carenza quanto alla formazione dei lavoratori. Inoltre, i Giudici di merito non hanno spiegato perche' l'eventuale sussistenza di omissioni sul piano formativo dei lavoratori abbia avuto una efficacia causale diretta sulla verificazione dell'infortunio. 5.4. Infine, con l'ultimo motivo (OMISSIS) lamenta violazione di legge, sia quanto al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 92 sia quanto alla omissione di pronunzia, ed illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta omessa vigilanza del coordinatore sulle attivita' di cantiere e sulla contestazione di omessa sospensione dei lavori da parte dell'imputato. La Corte di merito non avrebbe fatto buon governo dei principi che regolano la vigilanza del coordinatore per l'esecuzione sulle attivita' di cantiere, poiche' dal testo della sentenza impugnata non sarebbe possibile ricavare l'esistenza dei presupposti che avrebbero imposto la sospensione dei lavori da parte del coordinatore ne' la rilevanza causale dell'iniziativa rispetto al verificarsi dell'infortunio. Ribadito che la contestazione di non avere adottato provvedimenti efficaci e di non avere attivato poteri di sospensione delle attivita' lavorative e' stata introdotta direttamente dal Giudice di appello (p. 14 della sentenza) e che su cio' la Difesa non ha potuto esercitare il contraddittorio, si sottolinea, al contrario, che avere (OMISSIS) effettuato piu' accessi ed avere in un'occasione, il 7 gennaio 2015, peraltro in presenza di lavori diversi, con oggetto sbancamento del piano stradale e non gia' di taglio di alberi, stigmatizzato il mancato uso dei dispositivi di protezione individuale (p. 7 della decisione impugnata) dimostrerebbero la professionalita' e la diligenza dell'imputato nello svolgimento del proprio compito di "alta vigilanza", anziche' il contrario. In ogni caso, la sentenza sarebbe carente di motivazione, lacunosa, illogica ed in contrasto con il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 92 nella parte in cui non spiega per quali ragioni, cioe' in presenza di quali presupposti, l'imputato avrebbe dovuto adottare l'ordine di sospensione dei lavori, previsione che il richiamato articolo 92 riconnette al caso di grave ed imminente pericolo. Si trascura, inoltre, che documentalmente emerge che la situazione di mancato impiego dei dispositivi individuali, riscontrata il 7 gennaio 2015, era risolta allorquando, dopo otto giorni, la mattina del 15 gennaio 2015, l'imputato si e' nuovamente recato sul cantiere, constatando la regolarita' della situazione; mentre l'infortunio si e' verificato nel pomeriggio dello stesso giorno, dovendosi al riguardo evidenziare come esuli dalla responsabilita' del coordinatore per la sicurezza l'infortunio causato da fattori estemporanei e contingenti, come, ad esempio, l'uso improprio di strumenti di lavoro ovvero la rimozione di protezioni esistenti, e come "In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha una funzione di autonoma vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attivita' lavorative, che e' demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva escluso la responsabilita' del coordinatore per la sicurezza dei lavori in relazione alle lesioni patite da un operaio intento allo smontaggio di una rete metallica con l'ausilio di una scala inidonea per dimensioni e struttura, rilevando la puntuale verifica dell'adeguatezza delle prescrizioni previste nel piano di sicurezza e della loro messa in opera, rispetto ai lavori previsti dal capitolato d'appalto, tra le quali non rientrava l'attivita' svolta dal lavoratore)" (cosi', ex plurimis, Sez. 4, n. 45853 del 13/09/2017, P.C. in proc. Revello, Rv. 270991). In conclusione, ad avviso del ricorrente, non soltanto la sentenza sarebbe illogica nella mancata effettuazione di un corretto giudizio controfattuale rispetto all'efficacia eziologica' quanto ad un profilo di colpa specifica non previamente contestato all'imputato e sul quale non si e' svolto il contraddittorio, ma sarebbe anche carente nella individuazione dei presupposti per il ricorso al potere di sospensione ed inoltre illogica nella misura in cui attribuisce rilievo ad un evento contestato una settimana prima del fatto, il 7 gennaio 2015, e comunque gia' risolto, come gia' constatato nel corso dell'accesso della mattina del 15 gennaio 2015, quando (OMISSIS) ha verificato - e verbalizzato - una situazione regolare, difettando cosi' i presupposti per l'attuazione del potere di sospensione delle attivita' lavorative. Entrambi i ricorrenti chiedono, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata. 6. Il P.G. nella requisitoria scritta del 13 ottobre 2022 ha chiesto il rigetto del ricorso. 7. E' stata tempestivamente chiesta la trattazione orale del procedimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS) e' fondato e deve essere accolto, mentre va rigettato quello di (OMISSIS); per i seguenti motivi. 2. Partendo, per comodita' espositiva, da quello nell'interesse del datare di lavoro, (OMISSIS), l'impugnazione, sotto l'apparente richiamo alla categoria della violazione di legge, si limita a denunziare, nonostante la doppia conforme, pretesi vizi motivazionali, essenzialmente incentrati sull'affermazione che l'istruttoria sulla esatta dinamica dell'infortunio sarebbe insufficiente, tuttavia senza adeguatamente aggredire il cuore della motivazione di condanna, che e' non illogicamente ne' incongruamente - incentrata sulla estrema genericita' e, dunque, sulla inadeguatezza del P.O.S., che si limitava a indicare possibili pericoli "dall'alto", peraltro in presenza di un'attivita' pericolosa che veniva posta in essere per la prima volta da parte di una ditta edile, non giu' forestale, e nello specifico da parte di un lavoratore non adeguatamente formato ne' informato, che in genere veniva adibito alle - ben diverse - mansioni di autista. Ne' si apprezza la possibile significativita' della segnalata divergenza tra la valutazione operata in un primo momento dai tecnici della U.S.L. e quella del consulente del Pubblico Ministero, confluita nell'editto e valutata nel contraddittorio delle parti. 3. Quanto al ricorso nell'interesse di (OMISSIS), va disatteso il primo motivo di impugnazione, mentre gli ulteriori risultano, almeno in parte, accoglibili; per le ragioni che ci si accinge ad illustrare. 4. La - denunziata - violazione degli articoli 521-522 c.p.p. non sussiste. 4.1.Infatti, la giurisprudenza di legittimita' ritiene possibile, quantomeno quando nel capo d'imputazione originario siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati senza che cio' valga a realizzare diversita' o mutamento del fatto, con sostanziale ampliamento - talora vera e propria modifica - della contestazione; ed in genere si giustifica tale interpretazione con il rilievo che il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'agente globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicche' l'imputato e' posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui e' chiamato a rispondere. Si tratta di consolidato orientamento di cui sono espressione, tra le altre, Sez. 4, n. 31968 del 19/05/2009, Raso, Rv. 245313 (resa in un caso di colpa medica), secondo cui "Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversita' o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'articolo 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilita', in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'articolo 521 c.p.p.. (Nella specie, la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna del medico per le lesioni colpose gravissime cagionate, in esito ad un parto, ad un neonato, anche per la violazione del dovere di informare la partoriente in ordine alle possibili complicanze per un parto per via vaginale per le dimensioni del nascituro, laddove la contestazione riguardava altri profili di colpa)" (nello stesso senso v. gia' Sez. 4, n. 2393 del 17/11/2005, dep. 2006, Tucci ed altro, Rv. 232973; Sez. 1, n. 11538 del 23/10/1997, Geremia, Rv. 209136). Piu' recenti pronunzie ribadiscono la formula secondo cui, appunto, "Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversita' o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'articolo 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilita', in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'articolo 521 c.p.p." (cosi', ex plurimis, Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, p.c. in proc. Di Landa, Rv. 273265). Inoltre, si e' ritenuto non costituire significativo mutamento del fatto un rimprovero di colpa generica, ossia negligenza, pur in presenza di un'imputazione che verte su profili di colpa specifica, peraltro passando da un rimprovero all'agente per fatto commissivo ad un rimprovero per fatto omissivo (cosi' nella assai peculiare vicenda in cui e' intervenuta la decisione di Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, ric. p.c. Galdino De Lima Rozangela in proc. Castellano ed altri, Rv. 274500, cfr. spec. sub nn. 9-11 del "considerato in diritto", pp. 47 e ss.). Il solo limite che si ritiene esistere consiste nella effettuata verifica in senso positivo circa la concreta possibilita', per l'imputato, di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione, con richiamo con richiamo, talora esplicito, talaltra implicito, a Sez. U, n. 16 del 19/96/1999, Di Francesco, Rv. 205619, secondo cui "Con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, si' da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" (principio di diritto quasi testualmente ribadito da Sez. U, n. 36651 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051). E le numerosissime, conformi, decisioni successive delle Sezioni semplici della S.C. valorizzano, in sostanza, l'esigenza evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi in concreto: e' appena il caso di richiamare, a mero titolo di esempio, tra le tante, Sez. 3, n. 36817 del 14/06/2011, T. Decreto Ministeriale n., Rv. 251081; Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera e altri, Rv. 254419; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio e altri, Rv. 265946; Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, Beretti, Rv. 269569: particolarmente chiara, in tale prospettiva, la risalente puntualizzazione, che va in questa sede ribadita, di Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo ed altro, Rv. 232423, secondo cui "In tema di correlazione tra accusa e sentenza, le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione e la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (articoli 516-522 c.p.p.), avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell'accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalita' alle quali sono dirette, cosicche' non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilita' di difesa dell'imputato. In altri termini, poiche' la nozione strutturale di "fatto", contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi. (Da queste premesse, la Corte ha escluso la violazione del principio suddetto in una fattispecie in cui l'imputato, a fronte della contestazione per il reato di lesioni personali volontarie, era stato condannato per quello di lesioni colpose)"). 4.2. Ebbene, alla luce del riferito principio, risulta non essere stato leso il diritto di difesa, avendo avuto modo l'imputato di confrontarsi nel processo, in particolare modo attraverso la proposizione di impugnazione (arg. ex Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, P.G. in proc. Castaldo Mario, Rv. 281997-09; Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019, D., Rv. 277948; Sez. 2, n. 47413 del 17/10/2014, Grasso, Rv. 260960; Sez. 2, n. 46401 del 09/10/2014, Destri e altri, Rv. 261047; Sez. 6, n. 49820 del 05/12/2013, Bilizzi e altri, Rv. 258138; Sez. 2, n. 37413 del 15/05/2013, Drassich, Rv. 256652; Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, dep. 2013, Jovanovic e altro, Rv. 254649). 5. Quanto, invece, agli ulteriori motivi di doglianza, la decisione impugnata non tiene conto dei seguenti - consolidati - principi di diritto: "In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori - che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato - riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo di adeguare il piano di sicurezza in re/azione all'evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate. (In applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilita' del coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori per il reato di omicidio colposo di un lavoratore travolto dal crollo di un solaio durante la sua demolizione, effettuata in contrasto con quanto progettato, senza spiegare perche' tale lavorazione fosse riconducibile al rischio interferenziale e perche' egli potesse e dovesse essere a conoscenza di tale demolizione)" (Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Paletti, Rv. 281489); e "In tema di infortuni sul lavoro, l'area di rischio governata dal coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori si individua in base all'area di intervento di tale garante, per come definita, ai sensi dell'allegato XV al d. lgs 9 aprile 2008, n. 81, dal piano di sicurezza e coordinamento, che comprende, oltre ai rischi connessi all'area di cantiere e all'organizzazione di cantiere, anche i rischi interferenziali connessi alle lavorazioni (cd. rischi generici), tra i quali non rientrano i rischi specifici propri dell'attivita' della singola impresa, di competenza del datore di lavoro, in quanto non inerenti all'interferenza fra le opere di piu' imprese. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilita' del datore di lavoro dell'impresa che stava eseguendo nel cantiere opere murarie, per le lesioni riportate - in conseguenza della caduta di un pannello durante il disarmo di quelli utilizzati per la realizzazione del cornicione del tetto - dal titolare di altra impresa che nel medesimo cantiere avrebbe dovuto eseguire le opere idrauliche, accompagnato dal primo in un'area sottostante al ponteggio al fine di valutare gli interventi di assistenza muraria da effettuare in relazione agli impianti idrici da realizzarsi)" (Sez. 4, n. 14179 del 10/12/2020, dep. 2021, Costantino Santo, Rv.281014). Infatti, dovendosi applicare tali principi, occorre convenire con il ricorrente circa la non necessita', nel caso di specie, di nomina del coordinatore per la sicurezza, poiche', come spiegato nelle sentenze di merito (p. 10 della decisione impugnata e p. 7 di quella di primo grado), la originaria ipotesi di compresenza di piu' ditte impegnate nel cantiere non si e' in concreto realizzata, essendovi unicamente la presenza della " (OMISSIS)". 5.1. Cio' posto, il punto che non sembra essere stato colto appieno dai Giudici di merito e' che si da' atto essersi (OMISSIS) comportato in concreto come se vi fosse necessita' del coordinatore, pur non essendovi compresenza di piu' imprese, prima redigendo un piano, che si assume generico, poi effettuando accessi e segnalando formalmente la necessita' di corretto uso dei caschi - e si tratta di circostanze di fatto non contestate dal ricorrente - senza, tuttavia, approfondire le implicazioni, logiche e giuridiche, di tale ricognizione di un ruolo svolto ovvero di ruoli svolti "di fatto". Partendo da tale constatazione, la Corte di merito non si e' posta la domanda, che sarebbe stata doverosa, se (OMISSIS) si sia, per cosi' dire, "volontariamente accollato" la posizione di garanzia di coordinatore per la sicurezza, impropriamente impiegando in sentenza (p. 14), per descrivere il ruolo di (OMISSIS), il termine "ingerenza", che, invece, a rigore, dovrebbe riferirsi alla condotta attiva di piu' imprese, volendo intendere - deve ritenersi lo svolgimento di fatto delle funzioni tipiche del garante, in specie coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e/o in fase di esecuzione, mediante un comportamento concludente consistente nella effettiva presa in carico del bene protetto. E, ove si risponda a tale domanda in senso affermativo, non ci si e' interrogati circa le conseguenze che possano/debbano trarsi da tale "auto-assunzione", tenendo a mente la distinzione (cfr. Sez. 4, n. 18472 del 04/03/2008, Bongascia, Rv. 240393) tra: coordinatore per la progettazione, ai sensi del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 90, comma 3, e articolo 91 (gia' Decreto Legislativo 14 agosto 1996, n. 494, articolo 4), che ha essenzialmente il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (acronimo: P.S.C.), che contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, apprestamenti ed attrezzature per tutta la durata dei lavori; e coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 4, e articolo 92 (gia' Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 5), che ha i compiti: (a) di verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza; (b) di verificare l'idoneita' del piano operativo di sicurezza (P.O.S.), piano complementare di dettaglio del P.S.C., che deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; (c) di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni. Si dovra' necessariamente puntualizzarsi se ed eventualmente quale ruolo o quali ruoli abbia in concreto svolto l'agente, se cioe' quello di coordinatore per la progettazione e/o quello di coordinatore per l'esecuzione, aspetti di decisiva importanza, che non risultano chiari in sentenza, al fine di offrire risposta alle questioni poste con il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso. 5.2. Ove, dunque, si ritenga di dover inquadrare il ruolo eventualmente svolto dal ricorrente in quello di coordinatore per la progettazione, si terra' necessariamente conto che "In tema di infortuni sul lavoro, nel caso in cui i lavori contemplino l'intervento di piu' imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, il coordinatore per la progettazione risponde per l'infortunio riconducibile all'inadeguata valutazione, nel piano di sicurezza e di coordinamento, del rischio interferenziale, e alla mancata previsione di misure di sicurezza idonee a prevenirlo. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilita' del coordinatore per la progettazione per il decesso di un lavoratore caduto dal tetto di un edificio, per non avere previsto, nel piano di sicurezza e coordinamento, l'imbragatura dei lavoratori addetti a lavorazioni sul tetto diverse da quelle di sostituzione dei lucernari)" (Sez. 4, n. 17213 del 15/02/2019, Danzi, Rv. 275713). 5.3. Infine, ove si intenda risolta in senso affermativo la questione dello svolgimento di fatto, da parte dell'imputato, delle funzioni di coordinatore nella fase esecutiva, con specifico riferimento al contenuto dell'ultimo motivo di ricorso, appare meramente affermata, ma in realta' non dimostrata, la ricorrenza di un caso di doverosita' da parte di (OMISSIS) dell'adozione di ordine di sospensione dei lavori Decreto Legislativo n. 81 del 2008, ex articolo 92 non misurandosi i decidenti con una circostanza fattuale e con un principio di diritto. Le si indica: A) si legge alle pp. 6 e 14 della stessa sentenza impugnata ed alle pp. 7-8 di quella di primo grado che l'imputato, dopo avere riscontrato il mancato impiego del casco protettivo, ne aveva gia' raccomandato l'uso ai lavoratori; B) costituisce punto fermo in materia di infortuni sul lavoro - deve ribadirsi - che non compete al coordinatore per l'esecuzione il puntuale controllo, momento per momento, delle singole lavorazioni, controllo che e' demandato ad altre figure (tra le numerose, oltre alle gia' richiamate Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Paletti, e Sez. 4, n. 14179 del 10/12/2020, dep. 2021, Costantino Santo, v. anche: Sez. 4, n. 34869 del 12/04/2017, Leone, Rv. 270756; Sez. 4, n. 27165 del 24/05/2016, Battisti, Rv. 267735; Sez. 4, n. 46991 del 12/11/2015, Portera e altri, Rv. 265661, Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie e altro, Rv. 247536). 5.4. Si impone, in definitiva, un nuovo giudizio che, prendendo le mosse dalla corretta ricostruzione in fatto rispetto alle emergenze istruttorie, prima, e dal corretto inquadramento in diritto, poi, dell'effettivo ruolo eventualmente svolto del ricorrente ovvero degli effettivi ruoli avuti nella peculiare vicenda, tragga, con il necessario rigore logico, le conseguenti implicazione, sotto il profilo della eventuale doverosita' giuridica di un agire dell'imputato in maniera difforme da come agito, senza trascurare il profilo della c.d. causalita' della colpa nel caso di specie, profilo che e' stato efficacemente affrontato dalla Difesa nel secondo, terzo e quarto motivo di ricorso e, gia' prima, nell'atto di appello ma che non e' stato adeguatamente risolto nella sentenza impugnata. 6. Consegue dalle considerazioni svolte la reiezione del ricorso di (OMISSIS), con condanna dello stesso, per legge (articolo 616 c.p.p.), al pagamento delle spese processuali, ed invece l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla posizione di (OMISSIS), con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di (OMISSIS) con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.

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