Sentenze recenti danno temuto

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SIANI Vincenzo - Presidente Dott. MASI Paola - Consigliere Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - rel. Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/07/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di CALTANISSETTA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO VALERIO LANNA; letta la requisitoria presentata dal Sostituto Procuratore generale DALL'OLIO MARCO, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilita' del ricorso (requisitoria rassegnata per iscritto, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23 e succ. mod.). RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di assise di Caltanissetta, con sentenza del 21/09/2021, ha dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato di omicidio aggravato, commesso in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS) e in danno di (OMISSIS). Il fatto venne commesso mediante esplosione - ad opera dei (OMISSIS) - di due colpi di arma da fuoco, alla presenza di (OMISSIS) che esortava l'esecutore materiale a far fuoco; tale omicidio - unitamente a quello, poi non attuato, di (OMISSIS) - era stato concordato dall'odierno ricorrente (OMISSIS), con i succitati (OMISSIS) e con (OMISSIS), nel corso di una riunione tenutasi presso l'abitazione del (OMISSIS), in data (OMISSIS). All'esito del giudizio di primo grado, l'omicidio del (OMISSIS) - verificatosi poi in data (OMISSIS) - e' stato ritenuto aggravato dalla premeditazione, nonche' dall'aver approfittato di circostanze di tempo e di luogo tali, da ostacolare la pubblica e privata difesa. Per l'effetto, (OMISSIS) e' stato condannato in primo grado alla pena dell'ergastolo, oltre che al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare; gli sono state applicate, inoltre, le pene accessorie dell'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e della pubblicazione della sentenza di condanna, mediante affissione nei Comuni di Caltanissetta e San Cataldo, oltre che - per intero, per il periodo di trenta giorni ed a spese del condannato - sul sito Internet dei Ministero della Giustizia. 2. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha parzialmente riformato tale pronuncia e - previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, computate con il criterio dell'equivalenza rispetto alle contestate aggravanti - ha ridotto la pena inflitta a (OMISSIS) ad anni ventiquattro di reclusione, confermando nel resto la sentenza oggetto di gravame. 3. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. (OMISSIS), deducendo cinque motivi di ricorso, che saranno di seguito sintetizzati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, a norma dell'articoli 173 disp. att. c.p.p. 3.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione rilevante ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all'articolo 110 c.p., con riferimento agli articoli 192 e 530 c.p.p.: la difesa lamenta la mancanza di motivazione, in ordine all'affermazione di responsabilita' dell'imputato per il fatto contestato. Viene richiamato, dunque, l'accertamento compiuto mediante altra sentenza, emessa il 05/04/1995, che dell'omicidio di (OMISSIS) aveva ricostruito: - la fase deliberativa ( (OMISSIS), essendo restato bersaglio di un tentato omicidio asseritamente riconducibile a (OMISSIS), aveva invocato aiuto per reagire, ricevendo sostegno da parte di (OMISSIS); - la fase preparatoria (fase che si era essenzialmente sostanziatasi nella ricerca dell'arma, destinata ad essere adoperata per commettere l'assassinio; - la fase prettamente esecutiva (il giovane (OMISSIS) era stato attirato, grazie ad un inganno, nel luogo isolato che era prescelto per la commissione dell'omocidio, laddove (OMISSIS) - alla presenza di (OMISSIS) - aveva come detto esploso i colpi d'arma da fuoco con esito mortale). A (OMISSIS) - in ipotesi difensiva - verrebbe quindi addebitato esclusivamente un contributo ai tipo generico, vagamente compendiato in una sorta di iniziale e larvata incentivazione degli esecutori materiale, rispetto alla perpetrazione dell'omicidio. Le sentenze di merito pero' - pur se concordi tra loro - non riescono a spiegare nel dettaglio tempi, modi e forme di tale incentivazione. Nemmeno e' in grado, la pronuncia impugnata, di chiarire in modo esaustivo in cosa effettivamente si sia sostanziata - sotto il profilo fenomenico - la tipologia di partecipazione ascritta al ricorrente, ne' come essa, a tutto voler concedere, si possa atteggiare in termini di effettivo apporto causalmente efficiente, rispetto all'evento omicidiario. (OMISSIS), in definitiva, si sarebbe limitato ad essere presente in casa di (OMISSIS), nel corso della sopra detta riunione del (OMISSIS). 3.2. Con il secondo motivo, viene denunciato vizio rilevante ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), per mancanza di motivazione ed erronea applicazione degli articolo 40 c.p. e articolo 192 c.p.p., in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione ex articolo 577 c.p., comma 1, n. 3). Non sono state adeguatamente considerate le circostanze di tempo nelle quali si e' concretizzato l'omicidio; rispetto a tali specifiche circostanze, il ricorrente si e' limitato ad aderire alla generica preordinazione di un embrionale progetto delittuoso, rivelatosi in seguito privo di effetti pratici. La deliberazione primigenia, alla quale aveva preso parte (OMISSIS), e' infatti restata senza seguito, dato che l'omicidio e' stato poi concretamente deciso, organizzato ed eseguito dai soli (OMISSIS) e (OMISSIS), senza coinvolgimento alcuno del ricorrente, ne' nelle fasi deliberative o preparatorie, ne' in quella esecutiva del fatto. 3.3. con il terzo motivo, ci si duole della violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), per mancanza di motivazione in relazione all'aggravante delle circostanze di luogo e di tempo, tali da ostacolare la pubblica e privata difesa (orario notturno e localita' isolata), con conseguente erronea applicazione dell'articolo 61 c.p., n. 5. (OMISSIS) ha partecipato esclusivamente alla vaga e indefinita decisione, risalente alla riunione avvenuta a (OMISSIS) in casa di (OMISSIS), di porre in essere ii fatto omicidiario; tale deliberazione non ha pero' avuto alcun esito pratico, mentre non vi e' prova - con riferimento alla successiva, concreta realizzazione dell'assassinio - che il ricorrente sia stato edotto della scelta dell'orario, delle modalita' prescelte e nemmeno dell'avvenuta individuazione dei luogo preciso, giudicato maggiormente favorevole per la commissione del gesto delittuoso. 3.4. Con il quarto motivo, viene denunciato vizio rilevante a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla sussistenza della diminuente ex articolo 114 c.p. Anche a voler ammettere l'esistenza di un concorso morale in qualche modo addebitabile al ricorrente, la sua incidenza sulle fasi esecutive dell'agguato, nonche' sul risultato mortale poi scaturito dall'azione, risulterebbe comunque talmente opaca, lontana e priva di incisivita', da far ritenere il suo apporto riconducibile al concetto di minima importanza ex articolo 114 c.p.. 3.5. Con il quinto motivo viene denunciata violazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), per mancanza ed erroneita' della motivazione in relazione all'articolo 3 Cost. ed all'articolo 69 c.p.. Il giudizio di bilanciamento, da un lato tra le circostanze aggravanti eventualmente ritenute sussistenti e la recidiva e - dall'altro - tra le circostanze attenuanti generiche e l'attenuante ex articolo 114 c.p., avrebbe dovuto risolversi nell'irrogazione di una pena piu' contenuta; si sarebbe in tal modo scongiurato il doppio vulnus verificatosi, rispetto ai principi di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge e di proporzionalita' della pena, stante la discrasia riscontrabile fra la pena di anni sedici di reclusione inflitta a (OMISSIS) e (OMISSIS) (riconosciuti quali esecutori materiali del gesto omicidiario) e la pena di anni ventiquattro di reclusione irrogata, invece, a (OMISSIS) (soggetto da ritenere responsabile, al piu', di un flebile contributo morale). 4. Il Procuratore generale ha concluso per la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, sottolineando come questo si sostanzi semplicemente nella pedissequa reiterazione di doglianze gia' oggetto di gravame. Quanto al primo motivo, la ricostruzione prospettata dalla difesa non e' coerente con l'ordito motivazionale della sentenza impugnata, che invece motiva adeguatamente, tanto in ordine alla sussistenza del proposito delittuoso ed alle ragioni ad esso sottese, quanto in relazione al decisivo impulso allo stesso dato da (OMISSIS). La sentenza impugnata, inoltre, si sofferma sul tema della veridicita' della confessione e indica come questa suffraghi la credibilita' oggettiva e l'attendibilita' soggettiva dei propalanti, connotazioni che, peraltro, non appaiono incise con elementi concreti ad opera della difesa. La ricostruzione contenuta in sentenza rende evidente, inoltre, come sussista l'aggravante della premeditazione. Anche con riferimento al tema della minorata difesa, non possono residuare perplessita', dato che la vittima venne condotta nottetempo - proprio al fine di dare materiale attuazione allo scellerato proposito - in un luogo isolato. Neanche vi e' la possibilita' di riconoscere dell'articolo 114 c.p., posto che l'imputato ha assunto la espressa veste di mandante dell'omicidio. 5. La difesa ha presentato memoria di replica alla requisitoria. Quanto al tema posto dal primo motivo di ricorso, ha sostenuto che: - la partecipazione di (OMISSIS) alla riunione preparatoria tenutasi il (OMISSIS) in casa (OMISSIS), conclusasi con il tragicomico fallimento dell'originario progetto omicidiario, segna il definitivo epilogo del protagonismo dell'imputato, nel dipanarsi dinamico della tragica vicenda per la quale e' processo; - L'assassinio di (OMISSIS) venne eseguito il (OMISSIS) (ossia, due mesi dopo la suddetta riunione, conclusasi certamente - si ribadisce - con un nulla di fatto), ad opera di altri soggetti, in esecuzione di nuova e difforme ideazione criminosa e con l'impiego di altra arma, che era stata addirittura oggetto di un furto, programmato proprio ai fine di compiere quel determinato omicidio; - ogni atto del processo gia' conclusosi, che ha riconosciuto colpevole dell'omicidio de quo (OMISSIS), consente di collegare il fatto direttamente alla impellente necessita' di quest'ultimo, di salvaguardare esclusivamente la propria personale incolumita'. Cio' porta ad escludere recisamente che si possa ricercare il movente dell'omicidio, al contrario, nella presunta volonta' dell'odierno imputato, di tutelare il proprio "prestigio" in campo criminale (la difesa evidenzia, inoltre, come tra (OMISSIS) e (OMISSIS) esistessero, al tempo, dissidi talmente profondi, da rendere impossibile la ritenuta complicita'). In ordine al secondo motivo di ricorso, la difesa ha ricordato come l'aggravante della premeditazione postuli non solo la sussistenza dell'elemento cronologico, bensi' anche la ricorrenza di quello psicologico, rappresentato dalla particolare e persistente intensita' del dolo. Nel caso di specie, non vi e' prova del protagonismo di (OMISSIS), nella fase preparatoria ed esecutiva dell'omicidio; un gesto delinquenziale verificatosi circa due mesi dopo la sopra ricordata riunione preparatoria, alla quale ebbe a partecipare il ricorrente, ma non (OMISSIS). Quanto al terzo motivo, inerente alla questione della minorata difesa, viene segnalata la carenza di specifica motivazione sul punto: la sentenza impugnata non chiarisce in che modo, concretamente, le condizioni di tempo e di luogo possano aver agevolato la commissione dell'omicidio. La fase esecutiva del delitto inizia, peraltro, in un luogo pubblico e si sviluppa poi - almeno in parte - attraverso le vie cittadine, ossia in posti visibili da un alto numero di frequentatori. Per cio' che attiene all'auspicata applicazione dell'articolo 114 c.p., la difesa insiste perche' si giunga aa una corretta interpretazione dell'istituto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 2. Pare in primo luogo opportuno integrare la parte narrativa, con il richiamo ai principali rilievi mossi dalla difesa, rispetto alla ricostruzione fenomenica contenuta nella sentenza impugnata. La difesa richiama l'episodio verificatosi appunto in tale data, concernente (OMISSIS) e il successivo intervento in loco ad opera dei Carabinieri, i quali vi rinvennero (OMISSIS), (OMISSIS) e la sorella (OMISSIS); del tutto impropriamente, i Giudici della Corte nissena avrebbero attribuito a tale episodio la valenza di riscontro, rispetto alle confidenze fatte dall'odierno ricorrente alla convivente (OMISSIS) ed a (OMISSIS), marito della sorella della (OMISSIS), confidenze poi oggetto di intercettazione nell'ambito di diverso processo ed alle quali e' stata attribuita valenza confessoria extraprocessuale. Nella sentenza di secondo grado, viene riportata la narrazione resa - in ordine a tale episodio - da (OMISSIS), dopo l'inizio del percorso di collaborazione. E dunque, secondo la (OMISSIS), all'indomani dell'uccisione di (OMISSIS) in data (OMISSIS), l'originario gruppo delinquenziale si era scisso in due razioni (da un lato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); dall'altro (OMISSIS) e (OMISSIS)). Prima che si verificasse, in data (OMISSIS), il danneggiamento del furgoncino di (OMISSIS), (OMISSIS) aveva appreso da (OMISSIS) che quest'ultimo unitamente ad (OMISSIS) - aveva progettato di uccidere (OMISSIS) e (OMISSIS), fratello della dichiarante. Ella si era opposta alla sola uccisione del fratello, restando indifferente rispetto alla prospettata possibilita' che venisse ucciso il marito (OMISSIS). (OMISSIS) aveva pero' raggiunto (OMISSIS) in toscana, rivelandogli l'esistenza di tale progetto omicidiario in suo danno; a questo punto il ricorrente, animato da propositi vendicativi (di tipo preventivo), era rientrato in San Cataldo in compagnia di (OMISSIS) e vi aveva condotto il soggetto di nazionalita' tunisina sopra nominato, che intendeva incaricare di compiere una vendetta contro i componenti del gruppo ormai divenuto rivale. Una volta giunto presso l'abitazione del (OMISSIS), il cittadino tunisino (appunto, lo (OMISSIS)), aveva completamente equivocato il tenore dei riferimenti aveva temuto di poter divenire egli stesso bersaglio di gesti aggressivi; si era quindi rifugiato sul tetto, cosi' da richiamare l'attenzione delle forze dell'ordine. Giova poi precisare che - a distanza di oltre venti anni dai fatti precisamente (OMISSIS), vennero intercettare alcune conversazioni, che avevano quale interlocutore (OMISSIS) e che determinarono la riapertura delle indagini a suo carico, con riferimento all'omicidio di (OMISSIS). Tali conversazioni (riportate nella sentenza impugnata, alle pagine che vanno dalla numero 6 alla numero d), vennero captate: in data 17/05/2016, fra (OMISSIS) e il cognato (OMISSIS); in data 29/06/2016, fra il ricorrente e la compagna (OMISSIS); in data 18/07/2016, fra il ricorrente e il fratello (OMISSIS); nella stessa data, 18/07/2016, nuovamente fra (OMISSIS) e la (OMISSIS). La Corte, dunque, si sarebbe limitata ad attribuire una bastevole valenza dimostrativa alle dichiarazioni autoaccusatorie provenienti dal ricorrente, avendo fallacemente ritenuto superfluo il reperimento di risconti di tenore oggettivo e soggettivo. Esisterebbero anzi riscontri di valenza negativa, in quanto dotati di attitudine dimostrativa della mancata partecipazione di (OMISSIS) all'omicidio; cio' sarebbe desumibile dal fatto che l'imputato, nel corso delle confidenze fatte alla (OMISSIS): si autoproclama falsamente quale reggente dell'organizzazione cosa âEuroËœvostra di san Cataldo, venendo in cio' categoricamente smentito da (OMISSIS) e (OMISSIS); si autoassegna un ruolo di primo piano, nell'ambito dell'appalto concernente la raccolta dei rifiuti in San Cataldo, venendo pero' nuovamente sconfessato, ad opera delle sentenze pronunciate nel processo cd. (OMISSIS); contrariamente al vero, vanta di versare in una decorosa situazione economica; dichiara, del tutto mendacemente, di esser stato - in relazione all'omicidio (OMISSIS) - sottoposto a misura cautelare e poi assolto; si attribuisce la paternita' di un immaginario attentato incendiario, posto in essere in danno all'autovettura di tale (OMISSIS); si ripromette di dichiararsi apertamente autore del fatto omicidiario in danno di (OMISSIS), una volta prescritto il reato. In sostanza si tratterebbe - in ipotesi difensiva - di mere millanterie, adoperate da (OMISSIS); questi riteneva di potersi servire del "fascino del male" per conquistare la (OMISSIS), donna piu' giovane di lui di circa venticinque anni. Tali dichiarazioni autoaccusatorie sarebbero, pero', soltanto il parto di una fervida immaginazione e sarebbero semplicemente finalizzate - in modo fallace - a catturare i favori della (OMISSIS), risultando palese la inattendibilita' oggettiva e soggettiva di (OMISSIS). Profilo di non credibilita', in definitiva, atto a minare alle fondamenta l'intero costrutto accusatorio. La difesa sottolinea poi che - stando allo stesso editto accusatorio - l'omicidio (OMISSIS) sarebbe maturato nel corso della riunione del (OMISSIS) in casa di (OMISSIS), quale risposta all'incendio di veicolo subito dallo stesso (OMISSIS) e da (OMISSIS). Tale ricostruzione postulerebbe, pero', la ricorrenza di tre distinti profili: a) identita' dei soggetti coinvolti nei due episodi; b) sovrapponibilita' logica della causale, che dovrebbe accomunare l'protagonisti; c) conoscenza dei due progetti omicidiari (ossia, quello rimasto allo stadio delle intenzioni e quello poi realizzato). E invece, (OMISSIS) non compare nel primo episodio e non conosceva (OMISSIS), ossia colui che - secondo l'intento originario - avrebbe dovuto svolgere la funzione di esecutore materiale dei progetto omicidiario; difformi tra loro sono le causali che sorreggono i due episodi; (OMISSIS) non ha mai avuto conoscenza del progetto omicidiario poi realizzato, come ampiamente desumibile dall'inequivocabile contenuto delle dichiarazioni rese in dibattimento da (OMISSIS). La riunione in casa del (OMISSIS) del (OMISSIS) sarebbe da ritenere, insomma, priva di un effettivo contenuto deliberativo ed esecutivo rispetto al progetto omicidiario, essendo essa restata generica e priva di concreta progettazione; la puntuale programmazione dell'omicidio sarebbe invece da collocare in altro contesto, collocabile al (OMISSIS) e a tale fase (OMISSIS) sarebbe rimasto estraneo, come affermato dalla sorella (OMISSIS) (la quale, peraltro, non ha mai mostrato di voler coprire il fratello, avendolo anzi accusato di gravi reati in diverse occasioni). Secondo la difesa, in definitiva, la condotta tenuta dal ricorrente potrebbe integrare, al piu', una connivenza non punibile. 3. All'esame delle censure che denunciano la carenza, la illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione della sentenza, oltre all'incorso travisamento delle risultanze processuali, deve premettersi il richiamo, in via generale, come criterio metodologico, alla condivisa costante giurisprudenza di questa Corte, alla cui stregua l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione deve essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare resistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, e di procedere alla "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944, e, tra le successive conformi, da ultimo, Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010, dep. 26/07/2010, Capanna e altro, Kv. 248192). Non integrano, infatti, manifesta illogicita' della motivazione come vizio denunciabile in questa sede, ne' la mera prospettazione di una diversa - e, per il ricorrente, piu' adeguata - valutazione delle risultanze processuali, ne' la diversa ricostruzione degli atti ritenuta piu' logica, ne' la minima incongruenza, ne' la mancata confutazione di un'argomentazione difensiva. 3.1. L'illogicita' della motivazione deve, invece, consistere in carenze logico - giuridiche, risultanti dal testo del provvedimento impugnato e che devono essere evidenti, ossia di spessore tale da essere percepibili ictu oculi, restando ininfiuenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche laddove non espressamente confutate, appaiano logicamente inconciliabili con la decisione adottata (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, RV. 214794; Sez. u, n. 12 del 31/05/2000 dep. 23/06/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 dep. 10/12/2003, Petrella, Rv. 226074, e, tra le plurime successive conformi, Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698). Nella motivazione della sentenza, infatti, il giudice di merito non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame - in maniera dettagliata - tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di avere tenuto presente ogni fatto decisivo, senza lasciare spazio a una valida alternativa (tra le altre, Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005, dep. 2006 Mirabilia, Rv. 233187; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789; Sez. 2, n. 33577 del 26/05/2009, Bevilacqua, Rv. 245238; Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105). 3.2. Un vizio motivazionale per esser stati trascurati o disattesi elementi di valutazione e', invece, configurabile, anche alla luce della nuova formulazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), che consente un sindacato esteso a quelle forme di patologia del discorso giustificativo riconoscibili solo all'esito di una cognitio facti ex actis, nel contesto della categoria logico-giuridica del travisamento della prova, quando il dato processuale/probatorio trascurato o travisato, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, abbia una essenziale forza dimostrativa, secondo un parametro di rilevanza e di decisivita' ai fini del decidere, tale da disarticolare effettivamente l'intero ragionamento probatorio e da incidere sulla permanenza della sua "resistenza" logica, rimanendo, in ogni caso, esclusa la possibilita' che la verifica sulla correttezza e completezza deva motivazione si tramuti in una rilettura e reinterpretazione nei merito del risultato probatorio, da contrapporre alla valutazione effettuata dal giudice di merito (tra le altre, Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio, Rv. 233621; Sez. 1, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, RV. 236540; Sez. 1, n. 35648 del 19/09/2007, Alessandro, Rv. 237684; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168). Per dimostrare la sussistenza del vizio logico-giuridico di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in particolare, il ricorso non puo' limitarsi ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente o adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dalla sentenza impugnata; c) dare la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche' della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'interna coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilita'" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (tra le altre, Sez. 2, n. 21524 del 24/04/2008, dep. 28/05/2008, Armosino, RV. 240411; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, dep. 22/12/2010, Damiano, Rv. 249035; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, dep. 16/10/2014, Sisti, Rv. 260994). 3.3. Il ricorso, in ogni caso, deve contenere, a pena d'inammissibilita' e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori (Sez. 6, n. 29623 del 08/07/2010, dep. 26/07/2010, Rv. 248192), e la condizione della specifica indicazione degli "altri atti del processo", con riferimento ai quali, l'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimita', puo' essere soddisfatta nei modi piu' diversi (quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito), purche' detti modi non si limitino a invitare ovvero costringere la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto e' alla stessa precluso (da ultimo, Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014 dep. 16/10/2014, Sisti, Rv. 260994). 3.4. Si rileva, inoltre, sotto concorrente profilo, che anche il giudice di appello non e' tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione, giacche' le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilita' con la ricostruzione effettuata (tra le altre, Sez. 6, n. 1307 del 26/09/2002, dep. 2003, Deivai, Rv. 223061), e che, in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilita', e' giudicata ammissibile la motivazione della sentenza di appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ea argomenti diversi da quelli gia' esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell'effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non e' tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite all'appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione, tanto piu' ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicche' le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita' (tra le altre, Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Albergamo, Rv. 197250; Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615). 4. Con il primo motivo, la difesa si duole della mancanza di motivazione, in ordine alla ritenuta responsabilita' dell'imputato in ordine al fatto contestato. La doglianza deve essere disattesa. La motivazione inerente alla prova della corresponsabilita' dell'imputato poggia - stando a quanto ricostruito ad opera dei giudici di merito - in primo luogo sulla sicura esistenza di un mandato omicidiario, conferito attraverso una deliberazione risalente a poco meno di due mesi prima dell'omicidio stesso. Sul punto, la Corte di assise di appello ha chiarito come l'insieme degli elementi di valutazione e conoscenza, acquisiti in epoca successiva, rispetto all'epoca dell'emissione della sentenza del primo processo riguardante l'omicidio di (OMISSIS), lungi dal porsi in insanabile conflitto logico con questi - come preteso dalla difesa - vadano a saldarsi alla perfezione con la pregressa piattaforma. Con specifico riferimento a (OMISSIS), i nuovi elementi raccolti hanno - secondo la Corte territoriale - integrato e implementato le fonti conoscitive gia' esistenti e che, in un primo tempo, erano state reputate insufficienti a dare inizio ad un procedimento penale. Il saldarsi fra loro dei compendi probatori, acquisiti in momenti successivi, ha consentito di collocare l'insorgenza del proposito omicidiario in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS) alla notte del (OMISSIS). La Corte ha poi chiarito come, gia' dalla seconda meta' dell'ottobre 1992, (OMISSIS) avesse compreso di essere nelle mire omicidiarie di (OMISSIS); parimenti, (OMISSIS) aveva intuito la sussistenza di propositi omicidiari in suo danno. Il coagulo delle reazioni, rispetto a tali paventate intenzioni assassine, deve essere fatto coincidere - stando alla ineccepibile ricostruzione operata dalla Corte di assise di appello - con la riunione svoltasi nella notte fra il giorno (OMISSIS), presso l'abitazione di (OMISSIS) ed alla quale erano presenti, oltre quest'ultimo, anche (OMISSIS) e l'odierno ricorrente. La morte ha poi sottolineato l'assenza di qualsivoglia successivo ripensamento, cosi' come di fratture ideative di qualsivoglia genere, nell'ambito dell'ormai consolidatosi proposito omicidiario. I Giudici di merito, sul punto, hanno adottato una motivazione del tutto ineccepibile, ampia e convincente, oltre che dipanata secondo una ferrea linea di consequenzialita'. Nella motivazione della sentenza impugnata, infatti, viene individuata la causale dell'omicidio di (OMISSIS) e ne viene compiutamente specificata la genesi, con puntuale indicazione delle fonti di prova - di inequivocabile significazione - dalle quali viene tratto tale convincimento. La Corte enuclea tali prove, inoltre, in maniera completa e priva di vuoti narrativi o concettuali (si trovano nella motivazione della sentenza impugnata, infatti, i riferimenti alle dichiarazioni rese da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); si puo' poi seguire, in modo diacronico, l'insorgere ed il crescere del proposito omicidiario vendicativo - e preventivo - che animava (OMISSIS)). Il tema della necessita' - quanto al protagonismo omicidiario riconducibile a (OMISSIS) - di operare una perimetrazione alla sola fase della generica deliberazione omicida risalente al (OMISSIS), alla quale non sarebbe ricollegabile la successiva fase esecutiva, e' stato gia' posto dalla difesa in sede di gravame. Dinanzi alla Corte territoriale, tale tematica e' stata pero' affrontata in modo analitico ed esposta secondo una struttura motivazionale immune da qualsivoglia censura, in sede di legittimita'. Parimenti affrontata risulta l'ulteriore prospettazione difensiva, che intenderebbe qualificare in termini di mera millanteria le dichiarazioni, di valenza oggettivamente confessoria, rese dal (OMISSIS) nel corso della gia' citata conversazione con la (OMISSIS). La Corte, inoltre, ha risposto adeguatamente all'ulteriore argomento proposto dalla difesa, che tendeva a proporre una lettura atomistica e parcellizzata delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), in ordine al coinvolgimento del fratello nella fase esecutiva dell'omicidio (OMISSIS). La Corte di assise di appello - con motivazione coerente, esaustiva e non censurabile sotto il profilo logico, nonche' in maniera concorde, rispetto a quanto gia' ritenuto dai Giudici del primo grado - e' dunque pervenuta alla conclusione della sussistenza della prova circa il concorso morale ascrivibile all'odierno imputato. Una forma di concorso che si colloca nell'ambito di un progetto omicidiario che e' restato unico e stabile - ad onta del trascorrere di uno iato temporale non trascurabile - in quanto mai minimamente rivisitato dai protagonisti. 5. Con riferimento al tema della premeditazione, oggetto della seconda doglianza difensiva, giova precisare quanto segue. 5.1. Questa Corte di legittimita', ripetutamente, ha espresso principi di diritto tesi a creare una linea di confine, tra la semplice preordinazione (di un reato doloso come l'omicidio volontario) e la circostanza aggravante della premeditazione. Tale linea interpretativa - cui il Collegio presta adesione - e' stata espressa con particolare chiarezza da Sez. 1 n. 47250 del 9.11.2011, rv 251503 (secondo tale decisione, in tema di omicidio volontario, non e' sicuro indice rivelatore nella premeditazione, che si sostanzia in una deliberazione criminosa coltivata nel tempo e mai abbandonata, l'intervallo di una notte tra la preparazione e l'esecuzione, si' come non possono trarsi elementi di certezza dalla predisposizione di un agguato, perche' cio' attiene alla realizzazione del delitto e non e' sufficiente a dimostrare l'esistenza di quel processo psicologico di intensa riflessione e di fredda determinazione che caratterizza la indicata circostanza aggravante) nonche' da Sez. I n. 5147 del 14.7.2015, rv 266205 (a mente della quale, la mera preordinazione del delitto - intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all'esecuzione, nella fase a questa ultima immediatamente precedente - non e' sufficiente ad integrare l'aggravante della premeditazione, che postula invece il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni ed opportunita' per l'attuazione, un'adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalita' esecutive). In effetti, come tra le altre osservato da Sez. V n. 26406 del 11.3.2014, rv 260219, spetta al giudice di merito - li' dove si possa ricostruire in fatto un agguato - cogliere ed apprezzare tutte le peculiarita' della fattispecie concreta, posto che anche una sorta di agguato puo' essere frutto di una iniziativa estemporanea, accompagnata dal dolo, ma non riconducibile entro l'alveo previsionale della sopra detta circostanza aggravante. 5.2. La corte di secondo grado, mostrando di saper fare buon governo delle indicazioni provenienti dall'organo nomofilattico, ha realizzato, come si e' detto, una logica attribuzione di peso ai dati probatori. Secondo i giudici nisseni, e' da ritenersi pacificamente acclarato che - nel corso della riunione tenutasi la sera del (OMISSIS) - venne decisa, su impulso di (OMISSIS), i eliminazione fisica di (OMISSIS) e (OMISSIS); certo e' anche che, nel corso di tale incontro, venne dato incarico al sopra menzionato cittadino tunisino. Tale ricostruzione si fonda sulle concordi voci di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e dello stesso tunisino, in un primo momento incaricato di porre in opera il progetto omicidiario. Il tutto dimostra, stando a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l'unicita' e stabilita' nel tempo della ideazione: un progetto unico, che e' restato intonso e immutabile nelle linee essenziali, a partire dalla riunione del (OMISSIS), per giungere fino all'efferata esecuzione, avvenuta nel (OMISSIS). Ancor piu' specificamente in tema di premeditazione, la Corte di assise di appello ne ha desunto la sussistenza valorizzando il fatto che - nonostante l'assenza di prova, circa la diretta partecipazione di (OMISSIS) alla fase attuativa dell'omicidio - non possano pero' residuare perplessita' di alcun tipo, in ordine al fatto che l'eliminazione del (OMISSIS) sia stata il frutto della decisione raggiunta circa due mesi addietro. Tale lato cronologico, tra la deliberazione e l'attuazione, saldandosi con l'elemento della ferrea persistenza delle determinazione criminosa (che risulta non esser stata mai medio tempore rimeditata), ha condotto la Corte distrettuale a ritenere integrata l'aggravante della premeditazione. Anche sul punto, il percorso concettuale seguito dai Giudici di merito si appalesa coerente, privo della pur minima forma di contraddittorieta' logica o intratestuale e, infine, corredato da una motivazione ampia e convincente. 6. Con il terzo motivo, la difesa sostiene l'insussistenza della circostanza aggravante della minorata difesa. La censura deve essere disattesa. Il principio di diritto al quale attenersi, in punto di sussistenza di tale circostanza aggravante, si trova scolpito nell'insegnamento di sez. u, n. 40275 bel 15/07/2021, Cardellini, Rv. 282095, a mente della quale: "Ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante della minorata difesa, prevista dall'articolo 61 c.p., comma 1, n. 5, le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l'agente abbia profittato, devono tradursi, in concreto, in una particolare situazione di vulnerabilita' soggetto passivo del reato, non essendo sufficiente l'idoneita' astratta delle predette condizioni a favorire la commissione dello stesso". 6.1. Dal momento, poi, che la difesa lamenta un vuoto argomentativo - nella sentenza impugnata - in punto di sussistenza della circostanza aggravante ex articolo 61 c.p., n. 5, deve premettersi quanto segue. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, non e' censurabile - nel giudizio di legittimita' - la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata in sede di gravame, allorquando le ragioni poste a fondamento della decisione assunta risultino adeguatamente esplicitate, all'interno dell'apparato motivazionale complessivamente considerato (Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Curro', Rv. 275500; Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, Caniello, Rv. 256340; da ultimo sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, Lakrary, RV. 2840956, a mente della quale: "Non e' censurabile, in sede di legittimita', la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza"). Tale principio, di valenza generale, ha ricevuto applicazione con riferimento a molteplici istituti "di favore" per l'imputato. E' stato affermato, quindi, che la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa, attraverso l'adozione di una motivazione implicita, allorche' risulti adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, che sia fondata su analogo ordine di motivi (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, Dulan, Rv. 275057). In epoca successiva, si e' ritenuta la valenza di tale assunto, con specifico riferimento alla richiesta di riconoscimento della causa di non punibilita' prevista dall'articolo 131 bis c.p., la quale deve essere reputata implicitamente disattesa dal giudice, qualora la struttura argomentativa della sentenza richiami - anche in ordine a profili di diverso tenore, elementi che escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuita' (Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Cincola', Rv. 282097; Sez. 5, n. 42214 del 14/10/2022, Ben Hassoun, n. m.). Nel caso in cui la considerazione di fattori negativi significativi o rilevanti costituisca, dunque, un indice marcatamente evocativo del disvalore attribuibile alla vicenda criminosa, puo' ritenersi che essa implicitamente concerna anche l'inesistenza di elementi utili a giustificare l'applicazione dell'ipotesi di particolare tenuita' del fatto, pur in mancanza di un espresso riferimento a tale causa di non punibilita' (Sez. 2, n. 41544 del 15/07/2022, Dieng, n. m.; sez. 4, n. 37172 del 23/06/2022, Grena, n. m.). Tale principio e' stato ribadito dalla giurisprudenza di legittimita', anche in tema di violazioni alla disciplina sugli stupefacenti, laddove si e' riconosciuta la possibilita' di escludere implicitamente la causa di non punibilita' prevista dall'articolo 131 bis c.p., mediante il richiamo alla rilevanza del fatto, contenuto nel corpo della motivazione (Sez. 6, n. 40039 del 21/09/2022, Maggio, n. m.; Sez. 3, n. 32833 del 25/05/2022, Greco, n. m.). 6.2. Nel caso di specie, la lamentata carenza motivazionale non ricorre, dovendosi al contrario considerare pienamente presente una ampia ed esaustiva motivazione di carattere implicito, con riferimento al dedotto tema attinente alle circostanze di tempo e di luogo in cui si colloca l'omicidio e - in stretta correlazione - all'influenza che tali condizioni hanno esplicato, sulla perpetrazione del gesto delittuoso de quo. Le circostanze dettagliatamente indicate nel capo di imputazione - la giovanissima eta' della vittima, l'averla attirata con un tranello nel luogo dell'esecuzione, venendo l'intera azione omicidiaria favorita dallo svolgersi in orario notturno - risultano adeguatamente provate, in base alle due conformi decisioni assunte nelle sedi di merito. Tale congrua motivazione implicita segue, del resto, una contestazione che - con riferimento alla suddetta circostanza aggravante - riveste una connotazione "autoparlante", nel senso che le connotazioni fattuali sussunte nell'incolpazione implicano e contengono gia' intrinsecamente, secondo evidenza, la situazione di vulnerabilita' concreta riscontrabile nel soggetto passivo del reato. Tale caratteristica di evidenza si accompagna al carattere diffuso, ampio e analitico della motivazione adottata dalla corte di assise di appello di Caltanissetta; i Giudici hanno specificamente analizzato anche tale circostanza, infatti, ritenendola sussistente sulla base di una struttura motivazionale complessiva che appare del tutto adeguata, logica e priva di fratture concettuali e, pertanto, immune da censure in sede di legittimita'. Il motivo, in definitiva, deve essere disatteso. 7. Con il quarto motivo, viene invocato il riconoscimento della circostanza attenuante ex articolo 114 c.p.. 7.1. In punto di diritto, pare utile ricordare come la giurisprudenza di questa Corte sia del tutto consolidata, nel ritenere applicabile l'articolo 114 c.p., laddove l'apporto del correo risulti concretamente tanto lieve da apparire - nell'ambito della peculiare relazione eziologica instauratasi - quasi trascurabile e del tutto marginale (Sez. 2, n. 46588 del 29/11/2011, Eraki EI Sayed, RV. 251223; n. 9491 del 07/06/1989, Pedori, RV. 184773; Sez. 6, n. 3053 del 27/10/1981, Stipo, RV. 152864). In tema di concorso di persone nel reato, infatti, ai fini dell'integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all'articolo 114 c.p., non e' sufficiente una minore efficacia causale dell'attivita' prestata da un correo, rispetto a quella realizzata dagli altri; e' essenziale, invece, che il contributo rivesta una valenza causale cosi' lieve, rispetto all'evento, da risultare del tutto trascurabile, nell'economia generale dell'iter criminis sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P., Rv. 274037; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, Modafferi e altro, Rv. 254051; Sez. 3, n. 9844 del 17/11/2015, dep. 2016, Barbato, Rv. 266461), ovvero di carattere accessorio, nel generale quadro realizzativo del reato (Sez. 6, n. 24371 del 24/11/2011, dep. 2012, Piccolo e altro, Rv. 253091). 7.2. Tale essendo la cornice teorica di riferimento, puo' precisarsi quanto segue. Nel caso di specie il giudice di appello - esponendo un ordito motivazionale adeguato e coerente, oltre che condividendo quanto gia' indicato nella sentenza di primo grado - ha evidenziato le ragioni specifiche, in forza delle quali il ruolo al (OMISSIS) non possa essere ritenuto marginale; la Corte ha precisato, altresi', le ragioni in base alle quali la richiesta difensiva, finalizzata all'applicazione della circostanza attenuante prevista dall'articolo 114 c.p., debba essere disattesa. La Corte di assise di appello di Caltanissetta, infatti, ha chiarito come il complesso degli elementi di valutazione e conoscenza versati nell'incarto processuale conduca ad una univoca conclusione: la primigenia spinta volontaristica, rispetto alla commissione del gesto, giunge proprio da (OMISSIS). Lo scellerato progetto, che comprendeva l'uccisione di (OMISSIS) e di (OMISSIS), insorge infatti su impulso dell'odierno ricorrente, il quale rientra in Sicilia accompagnato da un soggetto, al quale intendeva specificamente affidare il compito assassino. Il tutto evidenzia l'esistenza di un contributo concreto e significativo - anzi, fondamentale - nel dipanarsi delle fasi ideativa e organizzativa del gesto delittuoso, che la Corte territoriale ha giustamente ritenuto ne' accessorio, ne' marginale, rispetto alla realizzazione dell'evento. 8. Con il quinto motivo, la difesa lamenta violazione dell'articolo 69 c.p. e vizio della motivazione, anche dolendosi della asserita distonia in tema di parita' di trattamento con i correi, quanto all'omessa valutazione in termini di prevalenza delle circostanze attenuanti, in modo da rispettare il principio di proporzionalita' della pena. Sostiene dunque il ricorrente che - laddove gli venisse accordata l'invocata attenuante ex articolo 114 c.p. e gli effetti di questa venissero saldati, con la diminuzione correlata alle gia' concesse generiche - si dovrebbe giungere ad una rilevante rimodulazione del trattamento sanzionatorio. Il motivo risulta pero', a fronte della ritenuta - e sopra largamente sviscerata - insussistenza della circostanza attenuante della minima partecipazione, appare in pratica privo di un effettivo substrato contenutistico, situandosi quasi nel campo delle ipotesi. 9. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - rel. Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 29/03/2022 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. LUCIA VIGNALE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. DI NARDO MARILIA, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e la dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); uditi i difensori presenti: avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA, anche in sostituzione del codifensore avv. (OMISSIS) del foro di GELA in difesa di (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento dei ricorsi e ha chiesto, in caso di accoglimento del motivo proposto da altri coimputati, l'applicazione dell'effetto estensivo previsto dall'articolo 587 c.p.p.., relativo all'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3; avvocato (OMISSIS) del foro di GELA in difesa di (OMISSIS) che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; avvocato (OMISSIS) del foro di GELA e avvocato (OMISSIS) del foro di CALTANISSETTA, in difesa di (OMISSIS) che hanno insistito per l'accoglimento dei ricorsi; avvocato (OMISSIS) del foro di CATANIA, in difesa di (OMISSIS), che, riportandosi ai motivi, ne ha chiesto l'accoglimento; avvocato (OMISSIS) e avvocato (OMISSIS) del foro di GELA, in difesa di (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso; avvocato (OMISSIS) del foro di RAGUSA, difensore di (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso; avvocato (OMISSIS) del foro di RAGUSA, in difesa di (OMISSIS), che, riportandosi ai motivi di ricorso, ha insistito per l'accoglimento; avvocato (OMISSIS) del foro di RAGUSA, in difesa di (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 29 marzo 2027, la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza pronunciata il 21 gennaio 2021 - all'esito di giudizio abbreviato - dal G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (detto (OMISSIS)). 2. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati ritenuti responsabili del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, commi 1, 2 e 3 contestato al capo A); (OMISSIS) quale promotore direttore e organizzatore, gli altri quali partecipi di una associazione, composta da dieci o piu' persone, finalizzata al traffico di stupefacenti, operativa in Gela, Vittoria e Catania sino Al mese di (OMISSIS). Agli imputati sono state ascritte, inoltre, violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73. Capo B): (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati ritenuti responsabili, in concorso tra loro (e con altri nei cui confronti si e' proceduto separatamente) del reato di cui all'articolo 81, comma 2 e articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 4, per avere acquistato, detenuto e commercializzato kg. 4,1 di marijuana tra il (OMISSIS). Capo C): (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile della cessione ai coimputati della marijuana di cui al capo B). Capo D): (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile (in concorso con altri nei cui confronti si e' proceduto separatamente) del reato di cui all'articolo 110 c.p., comma 1, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 per avere acquistato, rietenuto P trasportato fino a Gela per la successiva commercializzazione, gr. 33 di cocaina tra il 15 e il 17 febbraio 2018. Capo F): (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile (in concorso con altri nei cui confronti si e' proceduto separatamente) del reato di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, per avere acquistato, detenuto e trasportato fino a Gela per la successiva commercializzazione, gr. 300 di cocaina il 5 gennaio 2018. Capo C.): (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati ritenuti responsabili della cessione ai coimputati della cocaina di cui al capo F). Capo H): (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati ritenuti responsabili (in concorso con altri nei cui confronti si e' proceduto separatamente) del reato di cui all'articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 4, per avere acquistato, detenuto e trasportato fino a Gela per la successiva commerciali77azione, kg. 10 di marijuana il 13 luglio 2017 (la data del fatto riportata nel capo di imputazione - 13 luglio 2018 - e' frutto di errore materiale, come emerge con chiarezza dal contenuto delle sentenze di merito e dall'epoca delle conversazioni poste a sostegno dell'affermazione della penale responsabilita'). Capo I): (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile (in concorso con altri nei cui confronti si e' proceduto separatamente) del reato di cui agli articoli 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p. e articolo 73, commi 1 e 4, Decreto del Presidente della Repubblica cit, per avere acquistato, detenuto e trasportato fino a Gela per la successiva commercializzazione, un "quantitativo imprecisato, ma comunque non modico" di hashish dal (OMISSIS). Capo 3): (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati ritenuti responsabili (in concorso con altri nei cui confronti si e' proceduto separatamente) del reato di cui all'articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 4, per avere acquistato e detenuto per la successiva commercializzazione un "quantitativo imprecisato, ma comunque non modico (pari a circa un chilogrammo)" di marijuana il (OMISSIS). Capo K): (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ( (OMISSIS)) sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, per avere acquistato e detenuto per la successiva commercializzazione un "quantitativo imprecisato, ma sicuramente non modico, di sostanza stupefacente", tra il 22 e il 27 gennaio 2018. Capo L): ( (OMISSIS)) (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile (in concorso con altri nei cui confronti si e' proceduto separatamente) del reato di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, per avere acquistato e detenuto per la successiva commercializzazione un "quantitativo imprecisato, ma sicuramente non modico, di sostanza stupefacente", tra (OMISSIS). Capo m): (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile (in concorso con altri nei cui confronti si e' proceduto separatamente) del reato di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, per avere acquistato e detenuto per la successiva commercializzazione un "quantitativo imprecisato, ma sicuramente non modico, di sostanza stupefacente", tra il (OMISSIS). Capo N): (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile (in concorso con altri nei cui confronti si e' proceduto separatamente) del reato di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 4 per avere acquistato e detenuto per la successiva commercializzazione un "quantitativo imprecisato, ma sicuramente non modico" di marijuana, tra (OMISSIS). 2.1. Quanto al trattamento sanzionatorio: (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile di tutti i reati a lui ascritti (capi A), R), D), F), H), In, ritenuta la rontinua7inrie tra gli stessi P piu' grave quello di cui al capo A), ed e' stato condannato, senza concessione di attenuanti, operata la diminuzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato, alla pena finale di anni sedici e mesi quattro di reclusione. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile del reato ascrittogli (capo J) e, operato l'aumento per la contestata recidiva semplice, applicato l'articolo 442 c.p.p. e' stato condannato alla pena di anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile di tutti i reati a lui ascritti (capi A), H), 3)); e' stata ritenuta la continuazione tra questi reati e la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 oggetto della sentenza della Corte di appello di Caltanissetta del 6 giugno 2019 (irrevocabile il 20 ottobre 2019); non e' stata applicata la recidiva, pur contestata. Ritenuto piu' grave il reato associativo di cui al capo A) e operata la diminuzione prevista dall'articolo 442 c.p.p. la pena e' stata determinata nella misura finale di anni dieci di reclusione. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile del reato ascrittogli (capo H), non e' stata applicata la recidiva, pur contestata, e operata la diminuzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato, e' stato condannato alla pena finale di anni due, mesi otto di reclusione ed Euro 10.000, di multa. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi A) e K), ritenuta la continuazione tra gli gli stessi e piu' grave quello di cui al capo A). Non e' stata applicata la recidiva, pur contestata, e, operata la diminuzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato, e' stato condannato alla pena finale di anni otto e mesi otto di reclusione. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile rivi reati alni ascritti (rapi A) e H)), ritenuta la continuazione tra gli stessi e piu' grave quello di cui al capo A). E' stata applicata la recidiva specifica e, operata la diminuzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato, e' stato condannato alla pena finale di anni dieci di reclusione. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile dei reati a lui ascritti (capi A), B) e G)), ritenuta la continuazione tra gli stessi e piu' grave quello di cui al capo A). E' stata applicata la recidiva specifica ed infraquinquennale e, operata la diminuzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato, e' stato condannato alla pena finale di anni nove di reclusione. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile dei reati a lui ascritti (capi A), K) M) e N)), ritenuta la continuazione tra gli stessi e piu' grave quello di cui al capo A), non applicata la contestata recidiva, operata la diminuzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato, e' stato condannato alla pena finale di anni nove di reclusione: (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile dei reati a lui ascritti (capi A), B) e G)) ritenuta la continuazione tra gli stessi e piu' grave quello di cui al capo A). E' stato operato l'aumento per la recidiva reiterata e specifica, e' stata operata la diminuzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato ed egli e' stato condannato alla pena finale di anni quattordici e mesi otto di reclusione. (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) e' stato ritenuto responsabile dei reati a lui ascritti (capi A) C), K) e L)); e' stata ritenuta la continuazione tra questi reati e la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 oggetto della sentenza della Corte rii appello di Caltanissetta del 20 settembre 2019 (irrevocabile il 4 gennaio 2020); non e' stata applicata la recidiva. Ritenuto piu' grave il reato associativo di cui al capo A) e operata la diminuzione prevista dall'articolo 442 c.p.p. la pena e' stata determinata nella misura finale di anni dieci e mesi otto rii reclusione. 3. Contro la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta tutti gli imputati hanno proposto tempestivo ricorso per mezzo dei rispettivi difensori. I ricorsi sono articolati in piu' motivi che vengono di Seguito enunciati nei limiti Strettamente necessari alla decisione come previsto dal Decreto Legislativo 28 luglio 1989, n. 271, l'articolo 173, comma 1. Le difese dei ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto motivi nuovi. 4. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati proposti due ricorsi: uno a firma dell'avv. (OMISSIS), l'altro a firma dell'avv. (OMISSIS). 4.1. Il ricorso proposto dall'avv. (OMISSIS) consta di otto motivi, il primo dei quali articolato in due parti, 4.1.1. Col primo motivo il difensore lamenta vizi di motivazione ed erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Il difensore sostiene che la motivazione della sentenza impugnata non indica le ragioni per le quali e' stato ritenuto sussistente il reato associativo e sottolinea che non e' stato accertato nessuno degli elementi costitutivi di questo reato. Osserva in proposito che i presunti associati non avevano interessi comuni, come emerge dal fatto che, il 5 gennaio 2018, quando ebbero luogo i fatti contestati al rapo F), la cocaina, trasportata a Gela da (OMISSIS) e (OMISSIS), risulto' essere di quantita' inferiore rispetto a quella concordata con i fornitori ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), ma questi ultimi chiesero il pagamento del prezzo pattuito e attribuirono 'ammanco ai corrieri. Secondo la difesa questo dimostra che tra i fornitori ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), i corrieri ( (OMISSIS) e (OMISSIS) e gli acquirenti ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) non vi era comunanza di intenti. Il difensore sottolinea che le conversazioni intercettate rivelano contatti stabili esclusivamente tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Sostiene che tutti gli altri presunti associati furono contattati in relazione a specifici acquisti e non risultano aver avuto contatti tra loro. Non si tratta, quindi, di componenti di una associazione, ma di occasionali fornitori o corrieri. Secondo la difesa, la presunta associazione non disponeva di beni strutturalmente destinati alla realizzazione del programma criminoso: (OMISSIS) era debitore dei fornitori e i corrieri prestavano i propri servigi per qualche centinaio di Euro. Inoltre, i presunti associati non condividevano gli' utili della attivita' illecita e non risulta avessero una cassa comune. Quanto al linguaggio criptico utilizzato nelle conversazioni, la difesa rileva che tale linguaggio ben puo' essere strumentale all'occultamento dei reati fine e non ha alcun valore indiziario rispetto alla ipotizzata esistenza del reato associativo. Nella seconda parte del primo motivo, l'avv. (OMISSIS) deduce violazione di legge e vizi di motivazione per essere stato attribuito a (OMISSIS) il ruolo di promotore, direttore ed organizzatore della ipotizzata associazione. Osserva: quanto al ruolo di promotore o fondatore, che la sentenza impugnata non indica alcuna circostanza dalla quale una tale qualifica possa essere desunta; quanto ai ruoli di direttore e organizzatore, che la sentenza impugnata non spiega su quali elementi si fondi la supposta superiorita' gerarchica di (OMISSIS) rispetto agli asseriti sodali. La difesa sottolinea che la scarsa autorevolezza soggettiva di (OMISSIS) e' resa evidente dal gia' citato episodio del 5 gennaio 701 R. come emerge dalle intercettazioni, infatti, (OMISSIS) non adotto' iniziative a seguito dell'ammanco di una parte della sostanza (che poteva essere imputato ai fornitori come ai corrieri), ma decise di sottoporre la questione a (OMISSIS) (capo clan della "(OMISSIS)" di Gela, come risulta da una sentenza definitiva prodotta in allegato ad una memoria depositata dal codifensore il 22 maggio 2023). Dalle intercettazioni emerge, inoltre, che, il 24 gennaio 2018, anche uno dei corrieri ( (OMISSIS)) investi' della questione (OMISSIS) ai cui occhi non voleva apparire disonesto. Secondo la difesa questo conferma che, anche a valer ritenere sussistente una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, nulla consentirebbe di affermare che, in quella associazione, (OMISSIS) rivestiva un ruolo apicale. 4.1.2. Col secondo motivo, l'avv. (OMISSIS) deduce violazione di legge e vizi di motivazione per la ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 19, articolo 74, comma 3, prima parte. Secondo la difesa, per sostenere che dieci o piu' persone parteciparono all'associazione, la sentenza impugnata avrebbe dovuto motivare con riferimento alla posizione di altri presunti associati per i quali si proceduto con giudizio ordinario, ma sul punto la motivazione contenuta nella sentenza impugnata e' carente perche' si limita a fare riferimento al numero delle persone cui e' stato contestato il reato associativo. Secondo la difesa, inoltre, la consistenza numerica nell'Associazione, dovrebbe essere valutata nel momento storico della partecipazione alla stessa di ciascun imputato e questo non e' avvenuto nel caso di specie. 4.1.3. Col terzo motivo, l'avv. (OMISSIS) deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stata accolta la richiesta, formulata nei motivi di gravame, di riqualificare la ritenuta associazione ai sensi dell'articolo 74, comma 6, Decreto del Presidente della Repubblica cit.. Secondo la difesa, avrebbero consentito di qualificare l'associazione nei termini indicati: la rudimentale organizzazione del sodalizio; l'evidente inadeguatezza dei suoi membri e, tra questi, del presunto rapo (che come il Tribunale del riesame ha riconosciuto - "non sempre dava prova di spiccate doti organizzative"); le limitate risorse finanziarie a disposizione del gruppo; la conseguente mancata programmazione di modalita' strutturali e operative compatibili con fatti di maggiore gravita'. 4.1.4. Col quarto motivo, l'avv. (OMISSIS) deduce illogicita' della motivazione con riferimento all'affermazione della penale responsabilita' di (OMISSIS) per il reato di cui al capo B). Sostiene che l'assunto accusatorio non si sarebbe confrontato con le risultanze processuali dalle quali sarebbe possibile desumere, in termini non equivoci, che (OMISSIS) fu scavalcato e non prese parte alla conclusione dell'affare. 4.1.5. Col quinto motivo, l'avv. (OMISSIS) deduce carenza di motivazione con riferimento alla affermazione della penale responsabilita' di (OMISSIS) per il reato di cui al capo n): si sostiene che, anche in questo ragni IP intercettazioni non avrebbero fornito argomenti a sostegno dell'ipotesi accusatoria, che attribuisce a (OMISSIS) il ruolo di promotore e organizzatore nell'acquisto di 33 grammi di cocaina ancorche' dalle conversazioni emerga che egli venne a sapere dell'operazione quando la stessa era gia' in corso. 4.1.6. Col sesto motivo, l'avv. (OMISSIS) deduce carenza di motivazione con riferimento all'affermazione della penale responsabilita' di (OMISSIS) per il reato di cui al capo I). Sottolinea, in proposito, che, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza di primo grado, (OMISSIS) non ha reco dichiarazioni emmissive con riferimento a questo capo e che la sentenza di primo grado, cui la sentenza di appello fa rinvio, si limita a ritenere "verosimile" che le conversazioni sulla base delle quali tale imputazione e' stata formulata avessero ad oggetto stupefacenti. 4.1.7. Col settimo motivo, l'avv. (OMISSIS) deduce carenza di motivazione e violazione di legge, Si duole che i fatti contestati a (OMISSIS) ai capi B), D), F), H), i) non siano stati qualificati come violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. Sostiene che tale diversa qualificazione sarebbe stata doverosa in ragione della approssimazione organizzativa, dell'esiguita' del volume di affari, della scarsita' dei mezzi e delle risorse economiche utilizzate. 4.1.8. Con l'ottavo motivo l' (OMISSIS) deduce carenza di motivazione violazione di legge con riferimento al trattamento sanzionatorio e alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Lamenta, in particolare, che non si sia tenuto conto del basso livello di istruzione, delle difficolta' economiche, delle difficili condizioni personali e familiari di (OMISSIS). 4.2. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), dall'avv. (OMISSIS) si articola in cinque motivi. 4.2.1. Col primo motivo l'avv. (OMISSIS) deduce violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alle regole di valutazione della prova previste dall'articolo 192 c.p.p. e all'esistenza stessa di una motivazione idonea a far comprendere il percorso logico giuridico posto alla base della decisione. Secondo la difesa, la sentenza impugnata non avrebbe fornito adeguata risposta alle censure contenute nei motivi di appello e si sarebbe supinamente adagiata sul contenuto della sentenza di primo grado, alla cui motivazione ha fatto rinvio senza tenere conto che gia' la motivazione di quella sentenza era stata censurata nell'atto di gravame perche' aveva riportato, dichiarando di condividerli, interi passi dell'ordinanza cautelare. Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale non avrebbe preso autonoma posizione sulle diverse questioni sollevate in sede di appello e la motivazione fornita non consentirebbe di comprendere per quali ragioni le critiche mosse ai contenuti argomentativi della prima decisione siano state disattese. 4.2.2. Col secondo motivo la difesa deduce violazione dell'articolo 649 c.p.p. e carenza di motivazione per non essere stata fornita risposta adeguata all'eccezione sollevata in primo grado - e reiterata nei motivi di appello - secondo la quale (OMISSIS) sarebbe gia' stato giudicato (e assolto con sentenza definitiva) per una violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 che avrebbe commesso quale partecipe di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti operante in Gela "dal (OMISSIS)". Secondo la difesa, poiche' in quel procedimento la contestazione del reato associativo era temporalmente "aperta", l'assoluzione riguarda la partecipazione ad una associazione che ha operato dal gennaio 2010 al 6 dicembre 2017 (data nella quale e' stata pronunciata la sentenza di primo grado). Nel presente procedimento, (OMISSIS) e' accusato di aver promosso diretto e organizzato un'associazione operante in Gela, Vittoria e Catania sino al mese di (OMISSIS). Pertanto, almeno fino al 6 dicembre 2017, la contestazione sarebbe coperta da giudicato. 4.2.3 Col terzo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per essere stato attribuito a (OMISSIS) un ruolo apicale nella ipotizzata associazione e, piu' in generale, per essere stata ritenuta la sussistenza del reato associativo. Si duole, inoltre, che sia stata ritenuta sussistente l'aggravante di cui all'articolo 74, comma 3, prima parte, senza fornire su punto adeguata motivazione. La difesa osserva, in particolare, quanto al ruolo assunto dal ricorrente, che la Corte territoriale si e' limitata a richiamare pedissequamente le argomentazioni del giudice di primo grado senza rispondere alle deduzioni difensive che, facendo riferimento Al contenuto delle intercettazioni telefoniche, miravano a porre in evidenza: da un lato, che (OMISSIS) non aveva alcun ruolo sovraordinato rispetto agli altri ipotetici associati; dall'altro, che costoro non si attenevano alle sue direttive. La difesa si duole che la sentenza impugnata e quella di primo grado non abbiano indicato in cosa sarebbero consistite le attivita' di organizzazione, coordinamento e direzione svolte da (OMISSIS), ed abbiano omesso di precisare a quali persone, in concreto, egli avesse dato ordini e chi fossero i suoi sottoposti. Quanto all'esistenza di un'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la difesa lamenta che la Corte territoriale abbia fatto pedissequo rinvio alla sentenza di primo grado la quale, a sua volta, richiamava i provvedimenti emessi nella fase cautelare. Sottolinea che il giudizio abbreviato e' stato subordinato all'esame di alcuni testimoni, ma le dichiarazioni rese da quei testimoni (che avrebbero spiegato il contenuto di alcune conversazioni e IR natura lecita riai contatti cui le stesse si riferivano) sono state ignorate dai giudici di merito. Con riferimento all'aggravante del numero degli associati, l'avv. (OMISSIS) osserva che la motivazione della sentenza impugnata rinvia a quella del giudice di primo grado, ma in nessuna di queste motivazioni si risponde all'obiezione sollevata dalla difesa secondo la quale, per ritenere sussistente l'aggravante, sarebbe stato necessario valutare la posizione di altri imputati nel reato associativo che hanno scelto di essere giudicati con rito ordinario. 4.2.4. Col quarto motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per essere stata affermata la responsabilita' di (OMISSIS) in relazione alle violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 contestate ai capi B), D), F), H) e I) sulla base di motivazioni carenti fondate esclusivamente sui frequenti contatti intercorsi tra il ricorrente ed alcuni dei coimputati senza tenere conto che nessun contatto vi sarebbe stato con molti degli ipotetici associati e che nessun sequestro e' mai stato eseguito a carico del ricorrente. 4.2.5. Col quinto motivo, la difesa si duole del trattamento sanzionatorio. Deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stata data risposta alle doglianze contenute nell'atto di appello che davano rilievo al "corretto comportamento del ricorrente e al regolare stile di vita post delictum". 4,3. Con memoria del 22 maggio 2n23, l'avv. (OMISSIS) ha insistito per l'accoglimento di tutti i motivi del ricorso a sua firma e ha sviluppato il terzo e il quinto motivo. Con riferimento al terzo motivo e al ruolo apicale ascritto a (OMISSIS), la difesa si duole che i giudici di merito non abbiano ritenuto di "specificare il perimetrare la condotta del ricorrente nell'alveo delle figure, pure tassativamente prescritte dalla norma incriminatrice, che, se vengono equiparate a fini punitivi, si differenziano nella sostanza, e si pongono su basi alternative tra loro". Richiama in proposito il contenuto delle intercettazioni telefoniche citate nel ricorso del codifensore dalle quali risulta che (OMISSIS), dovendo dar conto di un ammanco di sostanza stupefacente, non si rapporto' con (OMISSIS), ma con (OMISSIS) appartenente, per sentenza ora definitiva (allegata alla memoria), ad altro "ramo associativo". Piu' in generale, la difesa sostiene che "il ruolo organizzativo, direttivo e la funzione di capo vanno immancabilmente connessi e riconosciuti solo a carico di chi risulti concretamente (e non semplicemente per mere asserzioni stilistiche) al vertice di una entita' criminale autonoma", distribuisca i compiti esecutivi tra i vari associati, riceva sistematicamente i profitti illeciti, dimostri in concreto di svolgere attivita' organizzative perche' frutto di poteri deliberativi e decisionali autonomi, ma nessuna indicazione in tal senso e' stata fornita dalla sentenza impugnata e neppure da quella di primo grado, cui la stessa fa ampio rinvio. Nella memoria in esame, l'avv. (OMISSIS) ha sviluppato i quinto motivo dei proprio ricorso censurando la mancata applicazione delle attenuanti generiche che avrebbero dovuto essere concesse a fronte del breve arco temporale nel quale si svolsero le condotte ascritte al ricorrente e della sua incensuratezza: argomenti Che la sentenza impugnata non ha in alcun modo contrastato. 5. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) si articola in quattro motivi. 5,1, Col primo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione e travisamento della prova. Sostiene che l'affermazione della penale responsabilita' di (OMISSIS) sarebbe basata su affermazioni generiche con le quali non sarebbe stata data risposta ai rilievi formulati in sede di appello. Si duole, in particolare, del fatto che l'impianto accusatorio sia fondato esclusivamente sull'esito di intercettazioni e sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe spiegato perche' il contenuto delle intercettazioni sarebbe sufficiente all'affermazione della penale responsabilita' pur non essendo confermato da perquisizioni e sequestri. La difesa riferisce che, in sede di interrogatorio di garanzia, (OMISSIS) dichiaro' di essere tossicodipendente e di aver contattato i coimputati per rifornirsi di sostanza. Sostiene che il ricorrente non risulta aver fornito Alcun contributo all'attivita' di spaccio; che il suo unico obiettivo era quello di procurarsi sostanza stupefacente da consumare; che il contenuto delle conversazioni intercettate conferma tale ricostruzione. La difesa osserva, inoltre, che non e' nota la quantita' di sostanza concretamente ricevuta da (OMISSIS) e, pertanto, non si puo' escludere che si tratti di una quantita' modesta compatibile con la destinazione ad uso personale. Come gia' nel ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) la sentenza impugnata viene censurata, inoltre, perche' aver fatto ampio rinvio alle motivazioni fornite dal giudice di primo grado limitandosi a condividerle. 5.2. Col secondo motivo, la difesa deduce violazione degli articoli 133 e 62 bis c.p. Sostiene che, nel decidere di non applicare le attenuanti generiche, i giudici di merito non avrebbero tenuto conto, come sarebbe stato invece doveroso: del ruolo marginale che (OMISSIS) svolse nella vicenda; del fatto che l'unica precedente condanna per violazione della legge in materia di stupefacenti risale al 2011; del fatto che, dopo le vicende oggetto del presente giudizio, (OMISSIS) si e' trasferito a Treviso dove svolge regolare attivita' lavorativa. 5.3. Col terzo motivo, la difesa si duole della mancata disapplicazione della recidiva, che e' stata ritenuta espressione di maggior pericolosita' sociale senza adeguata motivazione. Lamenta, piu' in generale, l'eccessivita' della pena inflitta. censura, inoltre, l'applicazione all'imputato del divieto di espatrio e del ritiro' della patente di guida per la durata di anni tre che sarebbero state motivate sulla pendenza di un procedimento e, dunque, su fatti non ancora accertati con sentenza. 5.4. Col quarto motivo, la difesa lamenta violazione di legge per non essere stata ritenuta applicabile la circostanza attenuante di cui all'articolo 114 c.p.. Si duole che l'applicazione di tale attenuante si astata esclusa sostenendo che non si puo' applicarla ai reati per i quali il numero di partecipanti e' considerato come aggravante speciale si osserva che, nel caso di specie, l'aggravante di cui all'articolo 73, comma 6, non e' stata contestata sicche' la motivazione e' incongrua. 6. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati proposti due distinti ricorsi: uno a firma degli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), l'altro a firma del solo avv. (OMISSIS), e' stata presentata, inoltre, una memoria, sottoscritta dall'avv. (OMISSIS), che contiene un motivo aggiunto. 6.1. Il ricorso a doppia firma si articola in otto motivi. 6.1.1. Col primo motivo, i difensori deducono vizi di motivazione e violazione di legge con riferimento all'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 contestato al rapo A). I difensori sostengono che la sentenza impugnata non ha risposto alle censure contenute nei motivi di appello e si e' supinamente adagiata sul contenuto della sentenza di primo grado, che richiamava, a sua volta, i provvedimenti emessi in fase cautelare. Sostengono che sarebbero stati violati gli articoli 125 e 546 per non essere state autonomamente esplicitate, dai giudici di merito, le ragioni che hanno condotto alla affermazione della penale responsabilita' e per non essere state spiegate, nella sentenza di appello, le ragioni per cui le critiche mosse ai contenuti argomentativi della prima decisione sono state disattese. Osservano, in particolare, che la Corte di appello ha illogicamente desunto l'esistenza dell'accordo associativo dalla consumazione di singoli reati scopo senza indicare da quali elementi, diversi dal ripetersi di riunioni ed incontri (che ben possono integrare il concorso in una continuata attivita' di spaccio), potrebbe desumersi l'esistenza di un sodalizio criminale stabile. Secondo i difensori ne' la sentenza impugnata ne' quella di primo grado avrebbero indicato le circostanze di fatto dalle quali hanno desunto la stabile adesione del ricorrente all'ipotizzato sodalizio criminale. Le emergenze investigative, come riportate nelle sentenze, infatti, dimostrerebbero, al massimo, che (OMISSIS), in due occasioni, avrebbe acquistato e trasportato sostanza stupefacente ponendosi cosi' nella posizione di cliente della ipotizzata associazione e non certo di partecipe della stessa. Secondo la difesa, l'affermazione per la quale, avendo trasportato stupefacente per conto dell'associazione, (OMISSIS) ne sarebbe stato partecipe, e' "ipotetica e congetturale". Dalle conversazioni intercettate, infatti, e' emerso che egli non conosceva neppure il prezzo della sostanza. La difesa sottolinea che, anche volendo attribuire a (OMISSIS) (come hanno fatto i giudici di merito) il ruolo di corriere, questo ruolo non consentirebbe affatto di affermare che egli sia stato partecipe del reato associativo. Tale partecipazione richiede, infatti, la consapevolezza dell'esistenza di una consorteria volta alla commissione di una serie indefinita di reati nel settore degli stupefacenti e la volontaria adesione a quel programma criminoso; temi in relazione ai quali le sentenze di merito non avrebbero fornito motivazione adeguata. 6.1.2. Col secondo motivo del ricorso a doppia firma, i difensori deducono violazione di legge per non essere stata ritenuta l'ipotesi di cui Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. Si sostiene che tale ipotesi era applicabile per le modeste quantita' di stupefacente trattato e per l'esiguo valore del giro di affari, reso evidente dal fatto che, in molte occasioni, i sodali non riuscirono ad approvvigionarsi di costanza presso fornitori esterni a territorio di Gela. Si sottolinea in tal senso che (OMISSIS) non era in grado di commerciare quantita' rilevanti di sostanza e di trarre da questa attivita' cospicui guadagni. 61.3. col terzo motivo, la difesa riprende argomentazioni che aveva gia' sviluppato nel primo motivo. Sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un grave vizio di motivazione per aver affermato di condividere, facendo rinvio alle stesse, le motivazioni della sentenza di primo grado la quale, a sua volta, ha richiamato le motivazioni dei provvedimenti cautelari. Si sostiene che, nel caso di specie, sarebbero stati superati i limiti entro i quali la motivazione per relationem potrebbe essere legittima e che il giudice di appello non ha dimostrato di aver esaminato i motivi di gravame e di averli valutati specificamente. 6,1,4, Col quarto motivo del ricorso a doppia firma, i difensori deducono violazione di legge per la ritenuta sussistenza del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 contestato al capo H). Sostengono che, nel caso di specie, il dato probatorio sarebbe "labile e incerto". Dalle conversazioni intercettate, infatti, emergerebbe un trasporto di stupefacenti non riscontrato da alcun sequestro. Osservano, inoltre, che, in ipotesi accusatoria, (OMISSIS) avrebbe compiuto quel trasporto dietro corrispettivo, ma nessuno scambio di denaro e' stato accertato. 6.1.5. Col quinto motivo del ricorso a doppia firma, i difensori sviluppano argomentazioni non dissimili da quelle gia' illustrate con riferimento al quarto motivo e deducono violazione di legge per essere stato ritenuto sussistente il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 contestato al capo 3). I difensori sostengono che il contenuto delle conversazioni intercettate e' ambiguo e per questo non consente di affermare che (OMISSIS) abbia effettivamente acquistato marijuana, abbia avuto in concreto disponibilita' della sostanza, abbia fornito un apprezzabile contributo alla ideazione, organizzazione ed esecuzione del reato. 6.1.6. Col sesto motivo del ricorso a doppia firma, i difensori deducono violazione di legge con riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti di cui ai capi H) e 3). Sostengono che, in entrambi i casi, avrebbe dovuto essere ritenuta l'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, trattandosi di fatti di minima offensivita' sia in relazione alla qualita' che alla quantita' della sostanza. 61.7, Col settimo motivo del ricorso congiunto, i difensori deducono violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione delle attenuanti generiche. Secondo la difesa, la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare elementi che potevano assumere significato in tal senso. Avrebbe trascurato, in particolare, che i precedenti dai quali (OMISSIS) e' gravato sono risalenti nel tempo e non avrebbe tenuto conto della necessita' di adeguare la pena alla concreta gravita' del fatto. 6.1.8. Con l'ottavo motivo, i difensori lamentano che l'aumento della pena a titolo di continuazione e' stato operato nella misura di anni tre di reclusione senza fornire adeguata motivazione. 6.2. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) dall'avv. (OMISSIS) si articola in sei motivi che riprendono gli argomenti gia' illustrati nel ricorso congiunto e possono pertanto essere esposti sinteticamente. 6.2.1. Il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione censurando la tecnica motivazionale adottata dalla Corte di appello e il rinvio per relationem alla sentenza di primo grado con particolare riferimento alla ritenuta sussistenza del reato associativo. Si sottolinea: che non emerge dagli atti l'esistenza di una base logistica n di mezzi comuni a disposizione degli associati; che non risulta vi sia stata una cassa comune; che non sono documentati incontri volti a dividere i compiti, a dislocare i pusher sul territorio, a spartire i proventi dell'attivita' illecita. Quanto al ruolo di partecipe ascritto a (OMISSIS), si osserva che le conversazioni intercettate non documentano mai alcun contatto tra (OMISSIS) e il "presunto vertice dell'associazione" sicche', anche se una associazione potesse essere ritenuta esistente, non e' dato comprendere perche' di tale esistenza (OMISSIS) avrebbe dovuto essere consapevole. 6.2.2. Col secondo motivo, l'avv. (OMISSIS) deduce violazione rii legge e vizi di motivazione per non essere stata ritenuta l'ipotesi attenuata di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. L'argomentazione si sviluppa in termini non dissimili da quelli illustrati con riferimento al secondo motivo a firma congiunta. 6.7.3. Col terzo motivo, l'avv. (OMISSIS) deduce violazione di legge e vizi di motivazione per la ritenuta sussistenza dei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 contestati a (OMISSIS) ai capi H) e 3). L'argomentazione si sviluppa in termini non dissimili da quelli illustrati con riferimento al quarto e quinto motivo del ricorso a firma congiunta. 6.2.4. Col quarto motivo, l'avv. (OMISSIS) riprende il sesto motivo del ricorso a firma congiunta e deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stati diversamente qualificati i fatti di cui ai capi H) e 3) come violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. 6.2.5. Col quinto motivo, l'avv. (OMISSIS), si duole che sia stata ritenuta sussistente l'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3. Osserva che questa doglianza, non strettamente personale, puo' essere proposta per la prima volta in cassazione essendo stata proposta da altri ricorrenti. Sottolinea che, nella sentenza impugnata, non si precisa con quanti tra gli esponenti dell'ipotizzata associazione (OMISSIS) sia venuto in contatto. Pertanto, nei suoi confronti, l'aggravante non potrebbe essere ritenuta, non essendovi prova che egli fosse consapevole del numero degli associati. 6.2.6. Col sesto motivo, l'avv. (OMISSIS), riprende il settimo motivo del ricorso congiunto. Deduce violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla mancata applicazione delle attenuanti generiche. 6.3. In vista dell'udienza, l'avv. (OMISSIS) ha depositato un motivo nuovo ai sensi dell'articolo 585 c.p.p., comma 4, col quale sviluppa il primo motivo a firma congiunta e sottolinea che, per poter ritenere sussistente l'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, e' necessaria la prova dell'esistenza di una pur rudimentale organizzazione, prova che nel caso di specie non e' stata fornita. 7. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) si articola in quattro motivi. 7.1. Col primo e col secondo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento all'affermazione della penale responsabilita' del ricorrente per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 contestato al capo H). Osserva che la sentenza impugnata si sarebbe limitata a riportare i contenuti delle conversazioni intercettate senza spiegare perche' dalle stesse sia possibile desumere la responsabilita' di (OMISSIS). Sostiene che le intercettazioni sono state mal interpretate e l'affermazione, contenuta nella sentenza, secondo la quale (OMISSIS) era stato incaricato di svolgere il ruolo di "apripista" per conto di (OMISSIS) sarebbe apodittica, atteso che le conversazioni intercettate non documentano contatti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), ma soltanto tra (OMISSIS) e (OMISSIS). La difesa si duole che ad analoghe osservazioni, formulate in sede di gravame, non sia stata data compiuta risposta. 7.2. Col terzo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere state applicate a (OMISSIS) le attenuanti generiche. La motivazione, fondata sulla asserita mancanza di elementi positivi valutabili in tal senso, sarebbe gravemente carente perche' la Corte territoriale ha omesso di considerare il ruolo, certamente marginale, rivestito da (OMISSIS) nella vicenda oggetto di imputazione. 7.3. Col quarto motivo la difesa deduce carenza di motivazione e violazione di legge con riferimento alla determinazione della pena. 8. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) si articola in piu' motivi tra loro strettamente connessi. La difesa deduce vizi di motivazione quanto all'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato per i reati di cui ai rapi A) e K). Quanto al reato di cui al capo A), la difesa osserva che il G.i.p. respinse la richiesta di applicare a (OMISSIS) una misura cautelare per il reato associativo ritenendo che il quadro indiziario fosse insufficiente in tal senso e si duole che, sulla base del medesimo quadro indiziario, all'esito del giudizio abbreviato, (OMISSIS) sia stato ritenuto partecipe dell'associazione. Sostiene, in sintesi, che la prova della partecipazione al reato associativo sarebbe stata tratta da un quadro indiziario carente perche' desunto dalla partecipazione ad un unico reato fine senza che sia stato chiarito da quali elementi potesse desumersi l'organico e stabile inserimento di (OMISSIS) nella struttura associativa. Quanto a reato di cui al rapo K), la difesa osserva: che, secondo gli operanti, quando (OMISSIS) diceva a (OMISSIS) di essere in compagnia di suo cognato si riferiva a (OMISSIS), ma nulla prova che (OMISSIS) non avesse altri cognati; rileva che i giudici di merito hanno ritenuto attendibile il riconoscimento della voce dell'imputato per la familiarita' che gli operanti avevano acquisito durante l'ascolto, senza disporre perizia fonica; sottolinea che al capo K) e' stato contestato a (OMISSIS) di aver offerto sostanza stupefacente a (OMISSIS), ma dalle intercettazioni emerge che (OMISSIS) doveva ricevere denaro contante da lui e da (OMISSIS) (sarebbe stato dunque venditore e non acquirente). In sintesi, la difesa sostiene che si sarebbe giunti ad affermare la penale responsabilita' dell'imputato sulla base di elementi indiziari ambigui e privi di univocita' e precisione. La difesa si duole che analoghi rilevi, formulati nell'atto di appello, non abbiano trovato adeguata risposta nella sentenza impugnata. 9. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di cinque motivi. 9.1, Col primo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione sottolineando (come gia' illustrato con riferimento ad altri ricorsi) che la sentenza impugnata non si e' confrontata con i motivi di appello essendosi limitata a fare richiamo al contenuto della sentenza di primo grado aggiungendovi "scarne annotazioni" (cosi' testualmente definite) con le quali non si e' dato conto delle ragioni per le articolate deduzioni difensive non hanno trovato accoglimento. Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullita' per difetto di motivazione perche', a fronte di specifiche ragioni di impugnazione che proponevano argomentate critiche alla ricostruzione del giudice di primo grado, si sarebbe limitata a condividere gli argomenti del primo giudice senza rispondere alle contestazioni mosse dalla difesa. Contestazioni che si riferivano in particolare: al significato delle conversazioni intercettate; alla possibilita' di riferire i rapporti di dehito credito oggetto delle stesse all'attivita' di ristoratore svolta da (OMISSIS); al contenuto dei rapporti intercorsi con altri supposti associati; alla possibilita' di identificare in (OMISSIS) il "(OMISSIS)" evocato nelle conversazioni del 15 agosto 2017. La difesa si duole che, a fronte di cosi' puntuali censure, la Corte territoriale si sia limitata a fare rinvio al contenuto delle conversazioni intercettate senza confutare gli assunti difensivi. 9.2 Col secondo motivo, la difesa lamenta erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Sostiene che la partecipazione di (OMISSIS) al reato associativo sarebbe stata desunta dalla ritenuta responsabilita' per il reato di cui al capo H) senza fornire adeguata motivazione del perche' la commissione di tale reato fosse indicativa dell'assunzione di un ruolo stabile all'interno dell'associazione e della consapevolezza di contribuire, con la propria condotta, agli scopi illeciti della stessa. La difesa osserva, in particolare, che a (OMISSIS) e' stato attribuito il ruolo di "esattore", ma tale ruolo sarebbe stato desunto da un'unica intercettazione che dimostrerebbe rapporti con (OMISSIS) risalenti ad almeno due anni prima. Non sarebbe stato chiarito, tuttavia, perche' un rapporto con (OMISSIS), ancorche' protratto nel tempo, comportasse lo stabile inserimento in un contesto associativo. La difesa sottolinea che, in un anno e mezzo di intercettazioni, non e' stato individuato alcun contatto tra (OMISSIS) e gli altri ipotetici associati. Ricorda inoltre che, quand'anche a conoscenza dell'esistenza del sodalizio criminoso, non per questo (OMISSIS) ne sarebbe stato partecipe per aver contribuito ad un singolo reato scopo e sostiene che sarebbe stato necessario chiarire in che modo egli abbia stabilmente contributo all'attivita' del gruppo. 9.3. Col terzo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per la ritenuta responsabilita' di (OMISSIS) in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 contestato al rapo H). Si duole, ancora una volta, che la sentenza impugnata si sia limitata a richiamare "a scatola chiusa" la motivazione del G.u.p. senza rispondere alle puntuali osservazioni formulate nell'atto di appello. In particolare, nessuna risposta sarebbe stata fornita al rilievo, formulato nell'atto di gravame, secondo il quale, poiche' la marijuana oggetto della trattativa non e' stata sequestrata, non sarebbe possibile conoscere la quantita' di THC e "distinguere il prodotto illegale da quello penalmente irrilevante in ossequio al principio di offensivita'". 9.4. Col quarto motivo, la difesa deduce violazione di legge per la ritenuta sussistenza dell'aggravante del numero degli associati. Osserva che tale aggravante e' stata ritenuta applicabile facendo esclusivo riferimento al numero degli imputati e non, come sarebbe stato doveroso, individuando le persone effettivamente associate e verificandone il numero sottolinea che, nel caso in specie, il reato associativo e' stato accertato solo nei confronti di otto associati e sarebbe stato necessario, dunque, motivare con riferimento alle posizioni di altri indagati che non hanno chiesto il giudizio abbreviato. 9.5. Col quinto motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione per essere stata applicata la recidiva. Osserva che la Corte territoriale non ha tenuto conto degli argomenti di segno contrario indicati dalla difesa e, in particolare, del fatto che il precedente specifico valorizzato dal giudice di primo grado era risalente nel tempo. Piu' in generale la difesa si duole del trattamento sanzionatorio, che giudica troppo severo, e lamenta la mancata risposta alle doglianze sollevate nell'atto rii gravame relative alla mancata applicazione delle attenuanti generiche e all'aumento di pena operato a titolo di continuazione. 9.6. La difesa ha sviluppato quest'ultimo motivo di ricorso, con memoria integrativa tempestivamente depositata. Nella memoria si sottolinea che la sentenza di primo grado ha ritenuto di disapplicare la recidiva per altri imputati gravati da precedenti ben piu' gravi. Si osserva, poi, che nel calcolo della pena non e' stato specificato l'aumento applicato per l'aggravante del numero delle persone, che deve pertanto intendersi computato nella pena base in violazione dell'articolo 63 c.p., comma 3, osserva che la recidiva, quale aggravante Ari effetto speciale, avrebbe dovuto essere applicata per prima. 10. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di un motivo principale, nel quale si contesta l'affermazione della penale responsabilita' per il reato associativo di cui al capo A). e di altri tre motivi che si riferiscono: all'applicazione della recidiva; alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche; alla dosimetria della pena. 10.1. Col primo motivo, la difesa sostiene che la sentenza impugnata avrebbe desunto la sussistenza del reato associativo dall'affermata responsabilita' per due episodi di spaccio (capo B) e capo G)) in relazione ai quali (OMISSIS) e' confesso, ma non avrebbe fornito adeguata motivazione ne' in ordine all'esistenza della associazione, ne' con riferimento alla partecipazione ad essa di (OMISSIS). In particolare, non avrebbe chiarito da cosa potrebbe desumersi che (OMISSIS) era stabilmente legato agli altri associati, era consapevole dell'esistenza della associazione e ne condivideva gli obiettivi. Secondo la difesa, le condotte ascritte a (OMISSIS) a titolo di concorso nei reati di cui ai capi B) e G) sarebbero state valutate per ritenere la partecipazione al reato associativo senza interrogarsi sull'esistenza degli ulteriori elementi necessari a ritenere integrato questo reato. Nel ricorso si sottolinea: che i ripetuti richiami alla caratura criminale di (OMISSIS) nulla dicono riguardo alla sua partecipazione al reato associativo; che la commissione di singoli reati scopo non e' di per se' rivelatrice dell'adesione organica al programma criminoso di un gruppo; che non sono documentati altri interventi di (OMISSIS) nelle attivita' di spaccio compiute dalla ipotizzata associazione; che, pertanto, la tesi secondo la quale egli era un fornitore stabile del sodalizio e' fondata su indizi labili e la penale responsabilita' per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 non avrebbe potuto essere affermata al di la' di ogni ragionevole dubbio. 10.2. Col secondo motivo, la difesa deduce carenza di motivazione con riferimento alla mancata disapplicazione della recidiva, ritenuta espressione di particolare pericolosita' sociale pur a fronte di una condotta "processualmente esemplare". 10.3. Col terzo motivo, la difesa si duole che, non siano state applicate a (OMISSIS) le attenuanti generiche valutando non sufficiente in tal senso l'ammissione di responsabilita' per i reati di cui ai capi B) e G), che e', invece, "rivelatrice di un atteggiamento (processuale e prognostico) assolutamente positivo". 10.4. Col quarto motivo, la difesa lamenta carenza di motivazione per non essere state prese in considerazione dalla Corte di appello le doglianze esposte nell'atto di gravame riguardo alle modalita' di calcolo della pena. Osserva in particolare: che era stata chiesta l'esclusione della continuazione "interna" contestata ai capi B) e G) trattandosi, in entrambi i casi, di un unico trasporto; che era stata censurata la determinazione della pena base e la quantificazione degli aumenti operati a titolo di continuazione, ma la Corte territoriale non ha fornito alcuna risposta in proposito. 10.5. In vista dell'udienza, il difensore di (OMISSIS) ha depositato una memoria difensiva insistendo nei motivi di ricorso e, in particolare, nel primo motivo e ulteriormente argomentando in ordine alla non provata partecipazione del ricorrente alla ipotizzata associazione: 11. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di sei motivi. 11.1. Col prime motivo, la difesa lamenta violazioni di legge e vizi di motivazione quanto all'affermazione della penale responsabilita' del ricorrente per il reato di cui al capo A). Sottolinea, con argomentazioni non dissimili da quelle formulate da altri ricorrenti, che la sentenza impugnata non ha fornito adeguata risposta alle censure sollevate nell'atto di gravame. In particolare; i giudici di appello non si sarebbero confrontati con le argomentazioni difensive che, da un lato, contestavano l'esistenza dell'associazione per la ritenuta carenza dell'elemento organizzativo, indice rivelatore di una struttura associativa che nel caso di specie sarebbe del tutto carente; dall'altro, contestavano che (OMISSIS) potesse essere stato consapevole di contribuire, con la propria condotta, all'operativita' di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La difesa sostiene che la sentenza impugnata avrebbe desunto dalla partecipazione di (OMISSIS) a singole attivita' di spaccio anche la consapevole e stabile partecipazione alla ipotizzata associazione e lamenta che non sia stata fornita puntuale risposta alle dettagliate censure formulate nell'atto di appello. 11.2. Col secondo motivo la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione quanto all'affermazione della penale responsabilita' di (OMISSIS) per i reati di cui ai capi K), M) ed N). Si duole che le doglianze formulate nell'atto di gravame non siano state puntualmente valutate e osserva che le intercettazioni non provano l'acquisita disponibilita' della sostanza, in mancanza della quale i reati ipotizzati non potrebbero essere ritenuti sussistenti. 11.3. Col terzo motivo, la difesa deduce carenza di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione dei fatti contestati ai capi K), M) ed N) quali violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. Sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe spiegato sulla base di quali elementi concreti, pur non essendo nota la quantita' della sostanza trattata e la capacita' drogante della stessa, tale diversa qualificazione e' stata esclusa. 11.4. Con il quarto motivo, la difesa darli ira carenza rii motivazione con riferimento alla mancata applicazione delle attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio. Nel valutarlo congruo, infatti, la Corte di appello ha erroneamente ritenuto che il giudice di primo grado avesse applicato la recidiva contestata. 11,5. Col quinto motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per essere stata ritenuta sussistente l'aggravante del numero degli associati. Osserva che il riferimento al numero delle persone imputate del reato associativo non era sufficiente in tal senso atteso che alcuni di essi sono stati separatamente giudicati. Sottolinea che la sentenza impugnata non ha ritenuto di dover spiegare perche', pur avendo avuto contatti con un numero di persone inferiore a dieci, (OMISSIS) possa essere chiamato a rispondere del reato aggravato. Osserva che alla aggravante di cui all'articolo 74, comma 3, Decreto del Presidente della Repubblica cit., si applicano i criteri di imputazione soggettiva previsti dall'articolo 59 c.p., comma 2. 11.6. Col sesto motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizio di motivazione per essere state applicate a (OMISSIS) le pene accessorie del divieto di espatrio e del ritiro della patente di guida per tre anni senza fornire adeguata motivazione sul punto. Sottolinea che la sentenza impugnata ha ritenuto sufficiente la "puntuale valutazione sfavorevole" effettuata dal giudice di primo grado e ha disatteso i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita', secondo la quale l'applicazione delle pene accessorie previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 85 ha natura facoltativa e non obbligatoria e deve, pertanto, essere adeguatamente motivata. 12. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di due motivi. 12.1. Col primo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione in relazione all'affermazione della penale responsabilita'. Con argomentazioni non dissimili da quelle formulate da altri ricorrenti, la difesa sostiene che la sentenza impugnata non ha fornito adeguata risposta alle censure sollevate nell'atto di gravame, essendosi limitata a richiamare pedissequamente le argomentazioni dei giudice primo grado senza rispondere alle deduzioni difensive. Il ricorrente sostiene che le prove raccolte non sarebbero sufficienti all'affermazione della penale responsabilita' e sottolinea che nessun sequestro e' avvenuto, sicche', almeno con riferimento ai reati di cui ai capi R) e n), si tratterebbe di "droga parlata" e le sentenze di merito non hanno indicato quali riscontri sarebbero stati acquisiti per sostenere che le conversazioni avessero ad oggetto sostanze stupefacenti. 12.1. Col secondo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Osserva che i giudici di appello hanno ritenuto di non dover mitigare il trattamento sanzionatorio del (OMISSIS) in ragione della obiettiva gravita' dei fatti, ma hanno trascurato di tenere conto di altri elementi che avrebbero consentito l'applicazione dell'articolo 62 bisc.p. e il contenimento della pena. 13. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) consta di quattro motivi. 13.1. Col prima motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per essere stata affermata la responsabilita' dell'imputato in relazione al reato di cui al capo A) pur essendo carente la prova dell'esistenza degli elementi strutturali del delitto associativo quali, ad esempio, la sussistenza di una organizzazione stabile, una precisa ripartizione di compiti tra gli associati, una cassa comune. La difesa si duole che con tale doglianza, dettagliatamente esposta nei motivi di gravame, la Corte di appello non si sia confrontata e abbia desunto dalla commissione di una serie di delitti in materia di stupefacenti la sussistenza del reato associativo senza argomentare sull'esistenza di un apparato organizzativo che ne rappresenta l'indice rivelatore piu' consistente. 13.2. Col secondo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla ritenuta responsabilita' di (OMISSIS) per i reati di cui ai capi K) ed L). Si duole che le doglianze formulate nell'atto di gravame non siano state puntualmente valutate e osserva che le intercettazioni non provano l'acquisita disponibilita' della sostanza, in mancanza della quale i reati ipotizzati non potrebbero essere ritenuti sussistenti. 13.3. Col terzo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla ritenuta responsabilita' di (OMISSIS) per il reato di cui al capo C). Osserva che, nel ricostruire la vicenda, il Giudice di primo grado non ha spiegato quale ruolo abbia rivestito (OMISSIS) e si e' limitato a riferire che una persona utilizzo' l'auto intestata a (OMISSIS) per consegnare kg. 4,1 di marijuana a (OMISSIS), il quale la consegno' a (OMISSIS) perche' la trasportasse a Catania. La difesa sottolinea che (OMISSIS) (cognato rii (OMISSIS)) e' stato assolto da questo reato e che, nel giorno dello scambio e del rinvenimento della sostanza stupefacente in capo a (OMISSIS), non sono state intercettate conversazioni tra (OMISSIS) e i presunti complici. Il ricorrente osserva che la sentenza di appello richiama per relationem la sentenza di primo grado e riguardo alla posizione di (OMISSIS), aggiunge solo, assertivamente, che fu proprio lui a consegnare la sostanza a (OMISSIS) senza spiegare su cosa si fondi una tale affermazione. 13.4. Col quarto motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per essere stata ritenuta sussistente l'aggravante del numero degli associati. Osserva che non e' sufficiente il riferimento al numero degli imputati, atteso che alcuni di essi sono stati separatamente giudicati. Sottolinea che a questa aggravante si applicano i criteri di imputazione soggettiva previsti dall'articolo 59 c.p., comma 2, sul punto i giudici di merito non hanno fornito motivazione alcuna. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Devono essere esaminati per primi alcuni temi comuni a piu' ricorsi, per poi procedere all'esame dei motivi che riguardano le posizioni dei ricorrenti ritenuti responsabili del reato associativo. Saranno esaminate per ultime le posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) ciascuno dei quali e' imputato di un'unica violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73. 2. Molti ricorrenti, sia pure con accenti diversi, sostengono che la motivazione della sentenza di appello sarebbe solo apparente. Questa sentenza, infatti, non avrebbe dato risposta alle censure contenute nei motivi di appello e si sarebbe limitata a fare rinvio alle motivazioni della sentenza di primo grado, affermando di condividerle, senza prendere posizione sulle diverse questioni sollevate in sede di gravame. L'argomento e' sviluppato nel primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) dall'avv. (OMISSIS); nel primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS); nel primo motivo di entrambi i ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS); nel primo e nel terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS); nel primo e nel secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS); nel primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). In linea di principio una Sentenza di appello non puo' essere censurata solo perche' - come e' avvenuto nel caso di specie - esamina i motivi di appello con criteri omogenei a quelli del primo giudice e fa frequente rinvio ai passaggi logico giuridici della prima sentenza. In questi casi, infatti, poiche' vi e' concordanza tra i giudici del gravame e il giudice di primo grado nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado per formare un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. tra le tante: Sez. 2, n. 9106 del 12/02/7021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 5, n. 48050 del 07/07/7019, Rv. 277758; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). Nel consegue che una motivazione non puo' essere ritenuta "apparente" solo perche' riproduce le osservazioni gia' compiute dal giudice di primo grado. Non rileva in contrario che, nel caso di specie, il giudice di primo grado abbia ricostruito il compendio probatorio trascrivendo in larga parte il contenuto dell'ordinanza cautelare. Ed invero, l'ordinanza e' stata riprodotta nella parte in cui descrive quanto emerso dalle indagini e, per ciascun imputato, il giudice di primo grado ha valutato autonomamente gli elementi di prova, rispondendo alle argomentazioni sviluppate dai rispettivi difensori. Si deve osservare allora: che il giudizio si e' svolto nelle forme del rito abbreviato, sicche' tutti gli atti utilizzati a fini cautelari erano utilizzabili anche ai fini della decisione; che i ricorrenti non hanno contestato il contenuto delle intercettazioni e delle circostanze di fatto riferite nella sentenza di primo grado, ma il significato da attribuire alle conversazioni intercettate e il valore indiziario degli accertamenti svolti; che, pertanto, non sono state contestate le premesse del ragionamento probatorio svolto dai giudici di merito, ma il modo in cui quel ragionamento si e' sviluppato e la congruenza logico-giuridica delle deduzioni che i giudici di merito hanno tratto dall'esito delle indagini. A cio' deve aggiungersi che nessuno dei ricorrenti ha dedotto l'esistenza di elementi sopravvenuti, dei quali i giudici di merito non avrebbero tenuto conto, idonei a contrastare gli indizi emersi nella fase cautelare. Fa eccezione il terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), nel quale l'avv. (OMISSIS) sottolinea che il giudizio abbreviato e' stato suhordinato all'esame di testimoni che avrebbero spiegato il contenuto di alcune conversazioni e la natura lecita dei contatti cui le stesse si riferivano. Nel formulare questo motivo di ricorso, tuttavia, non si e' precisato perche' le testimonianze assunte nel corso del giudizio avrebbero concretamente inciso sul quadro indiziario, sicche' il motivo e' inammissibile per difetto di specificita'. Tanto premesso, deve essere ribadito il principio - piu' volte affermato da questa Corte di legittimita' - secondo il quale, in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilita', va ritenuta l'ammissibilita' della motivazione della sentenza d'appello che richiami per relationem quella della decisione di primo grado, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli gia' esaminati e disattesi. Ed invero, nell'effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, il giudice di appello non e' tenuto a riesaminare nel dettaglio tutte le questioni sollevate dall'appellante nei motivi di gravame se sulle stesse si e' gia' soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni delle sentenze di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per valutare la congruita' della motivazione (per tutte: Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615). 3. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati ritenuti responsabili del reato associativo di cui al capo A). Tutti i ricorrenti sostengono che i giudici di merito non avrebbero fornito adeguata motivazione della Sussistenza di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e non avrebbero fatto buon governo dei principi di diritto che regolano la materia. Sostengono, in particolare, che, nel caso di specie, non sarebbe stato accertato nessuno degli elementi che consentono di distinguere il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 dal concorso nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti. I ricorrenti sottolineano che tale elemento distintivo va individuato, non solo, nel carattere dell'accordo criminoso (che deve avere ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti) e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche, nell'esistenza di un'organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso e sostengono che, nelle sentenze di merito e negli atti, non vi sarebbe traccia di una tale organizzazione in tema e' sviluppato dai ricorrenti con sottolineature diverge, ma tutti rilevano: - che la stabilita' dei contatti, alla quale la sentenza impugnata fa costante riferimento, non e' elemento distintivo dell'associazione, ben potendo riguardare piu' persone concorrenti in specifiche attivita' di volta in volta programmate; - che non tutti gli ipotetici associati avevano stabili contatti tra loro, e dunque sarebbe stato necessario specificare che tali stabili contatti coinvolgevano sempre almeno tre persone; - che dalle indagini non e' emersa (e le sentenze ne danno atto) la disponibilita' di beni strutturalmente destinati alla realizzazione del programma criminoso, ne' per quanto riguarda i trasporti (che venivano eseguiti ogni volta con mezzi diversi), ne' con riferimento alle risorge finanziarie; - che infatti - come emerge dalle sentenze di primo e secondo grado - gli ipotetici associati non disponevano di risorse finanziarie da destinare all'attivita' programmata, ma erano creditori delle persone che rifornivano; acquistavano a credito dai fornitori; avevano rapporti di debito credito tra loro (i trasportatori, ad esempio, ricevevano un corrispettivo per ogni singolo viaggio); - che dalle sentenze di merito non emerge la condivisione degli utili ne' la gestione di una cassa comune; - che i presunti associati non avevano interessi convergenti. Quest'ultimo profilo e' approfondito nei ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) (in particolare, nel primo motivo del ricorso sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) e nella memoria del 22 maggio 2023 a firma dall'avv. (OMISSIS)). Si osserva che, come risulta dalle conversazioni intercettate, in occasione del trasporto di cocaina da Gela a Catania contestato al capo F) (fatto del (OMISSIS)), la sostanza giunta a destinazione era di peso inferiore rispetto a quello concordato (300 grammi) e tale ammanco poteva essere imputato alternativamente n ai fornitori n ai corrieri, ciascuno dei quali, dunque, operava nel proprio esclusivo interesse e anche in potenziale conflitto con gli acquirenti; cio' che avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a dubitare dell'esistenza di un accordo associativo. 3.1. Ne replicare ad analoghe obiezioni formulate nei motivi di appello, dopo aver fatto rinvio alle emergenze investigative dettagliatamente illustrate nella sentenza di primo grado, i giudici di appello ne hanno condiviso le argomentazioni. Hanno sottolineato che quella sentenza ha dato "esaustivamente conto di una poderosa ed incontrovertibile serie di elementi probatori (connotati da gravita', precisione e concordanza indiziaria) che hanno consentito di ricostruire una attivita' saldamente organizzata (...) finalizzata al procacciamento e alla collocazione sul mercato di significativi quantitativi di sostanza stupefacente, acquistati sulle piazze di Vittoria, nel ragusano (prevalentemente hashish e marijuana); e su quella di Catania (ove veniva acquistata cocaina) per la successiva rivendita nei territori di Gela, Vittoria e zone limitrofe" (pag. 15 della motivazione). La sentenza di primo grado, condivisa e richiamata dalla sentenza impugnata, ha individuato, quali elementi idonei ad integrare il reato associativo, la stabilita' dei ruoli rivestiti dagli associati. Ha sottolineato, infatti, (pag. 436 e ss. della motivazione) che (OMISSIS) e (OMISSIS) si rifornivano di droghe leggere attraverso stabili fornitori operanti a Vittoria ( (OMISSIS); detto (OMISSIS), e (OMISSIS)); e di droghe pesanti attraverso stabili fornitori operanti a Catania ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). Che (OMISSIS) era riuscito, tramite (OMISSIS), a "favorire la creazione di una interessenza tra i sottogruppi vittoriese e catanese, cosi' ponendo le basi per la differenziazione P, quindi; l'espansione del mercato da lui gestito, con la partecipazione attiva dei componenti dei due sottogruppi". Ha chiarito, inoltre, che la compagine vittoriese e quella catanese erano "giunte a concordare uno scambio di stupefacente: a fronte della marijuana fornita dai vittoriesi, i catanesi avrebbero garantita la fornitura della cocaina". Il gruppo si era dunque organizzato per assicurare la copertura dei mercati territoriali di riferimento con tipi diversi di sostanze. Su questo punto, la sentenza di primo grado fa ampio riferimento all'esito delle intercettazioni telefoniche P ambientali del mese di gennaio 2018 (pagg. 86 e Sez, della motivazione). Secondo i giudici di merito, i dati cosi' evidenziati dimostrano l'esistenza di una struttura organizzata costituita dalla stabile collaborazione di piu' di tre persone, cui erano attribuiti ruoli predeterminati, finalizzata al traffico di stupefacenti. Non si trattava, infatti, di una collaborazione saltuaria, ma di attivita' "tendenzialmente orientate a mantenersi nel tempo" attraverso la predisposizione di uomini e mezzi ritenuti piu' idonei al conseguimento dell'obiettivo. La sentenza di primo grado sottolinea che l'associazione aveva, quale base logistica, l'autolavaggio "(OMISSIS)", presso il quale (OMISSIS) (ristretto agli arresti domiciliari per un diverso reato) era stato autorizzato a svolgere attivita' lavorativa. Sostiene che, proprio in forza del vincolo associativo, (OMISSIS) e (OMISSIS) potevano acquistare gli stupefacenti a credito e, per gli stessi motivi, vantavano crediti con coloro che si occupavano della commercializzazione. Riferisce, inoltre (pag. 438 della motivazione), che - come risulta da numerose conversazioni intercettate presso l'autolavaggio - la riscossione dei crediti era organizzata da (OMISSIS) e vi era una contabilita' comune avente ad aggetto la gestione degli introiti del commercio di sostanza stupefacente. La sentenza di primo grado riconosce (pag. 438) che il sistema di contabilita' comune, quale emerge dal contenuto delle conversazioni intercettate, era "certamente perfettibile in punto di efficienza". La corte territoriale ma atto (pag. 15 della sentenza impugnata) che il gruppo non disponeva "di ingenti risorse finanziarie se rapportate ai grandi capitali che possono accumularsi con il traffico di sostanze stupefacenti" e non sempre (OMISSIS) "dava prova di spiccate doti organizzative". Nondimeno i giudici di merito hanno ritenuto configurabile una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, valorizzando, pur in assenza di una stabile predisposizione di mezzi e di rilevanti disponibilita' economiche, l'esistenza di un accordo, coinvolgente piu' di tre persone, destinato a durare nel tempo, caratterizzato da una chiara ripartizione di compiti e dalla comune gestione della contabilita'. La motivazione e' conforme ai principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimita' con riferimento al reato di cui all'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica cit.. Per poter configurare il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, infatti, non e' necessaria "la presenza di una complessa ed articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilita' economiche, ma e' sufficiente l'esistenza di strutture, deducibile dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento de fine comune". Tali strutture devono fornire un supporto stabile alle singole deliberazioni criminose, e far si' che il sodalizio si protragga per un apprezzabile periodo di tempo. Rileva dunque, in tal senso, l'esistenza di una "effettiva ripartizione dei compiti fra gli associati in relazione al programmata Aggetto criminoso da realizzare" (Sez. 6, n. 8046 del 08/05/1995, Valente, Rv. 202032; Sez. 6, n. 9320 del 12/05/1995, Mauriello, Rv. 202038; Sez. 6, n. 3277 del 21/01/1997, Lipari, Rv. 207537; Sez. 6, n. 3393 del 13/12/2002, dep. 2003, Allegri, Rv. 993119). In questa prospettiva, si e' ritenuto che possa integrare il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 un accordo "destinato a costituire una struttura permanente in cui i singoli associati divengono - ciascuno nell'ambito dei compiti assunti o affidati - parti di un tutto finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti della stessa specie, preordinati alla cessione n al traffico di droga" (Sez. 1, n. 14578 del 21/10/1999, Calzolaio, Rv. 216124). In altri termini, secondo la giurisprudenza di legittimita', l'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 non e' esclusa dalla semplicita' della struttura organizzativa che puo' essere anche elementare purche' espressiva di un accordo stabilmente finalizzate al traffico di stupefacenti. La prova del vincolo permanente, nascente dall'accordo associativo, inoltre, puo' essere data anche "mediante l'accertamento di "facta concludentia", quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per i riferimenti della droga, le basi logistiche, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalita' esecutive" (Sez. 3, n. 47291 del 11/06/2021, Esposito, Rv. 282611; Sez. 6, n. 8033 del 15/11/2012, dep. 2013, Barbetta, Rv. 255207; Sez. 4, n. 25471 del 07/02/2007, Cirasole, Rv. 237002). Nel caso di specie, la elementare struttura organizzativa necessaria ad integrare il reato e' stata ravvisata nella ripartizione di compiti tra i fornitori vittoriesi, i fornitori catanesi e gli acquirenti gelesi. Secondo i giudici di merito, infatti, essendosi garantiti stabili canali di approvvigionamento, gli acquirenti potevano sfruttare appieno la rete di contatti di cui godevano sul territorio, necessaria alla distribuzione della sostanza a Gela e nei dintorni e, dal canto loro, i fornitori potevano contare su questa rete distributiva. L'accordo era dunque destinato ad operare nel tempo e finalizzato alla consumazione di una serie indeterminata di delitti in materia di stupefacenti. Si tratta di argomentazioni complete, non contraddittoria ne' manifestamente illogiche, conformi ai principi di diritto illustrati e, pertanto, idonee a resistere ai rilievi dei ricorrenti. Non contrasta con tali conclusioni la constatazione che gli associati non condividevano gli utili dell'attivita' e, di conseguenza, perseguivano anche propri interessi personali. Ed invero ai fini della configurabilita' del delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, e' necessaria l'esistenza tra i singoli partecipi di una durevole comunanza di scopo, costituita dall'interesse ad immettere sostanza stupefacente sul mercato del consumo, non essendo invece di ostacolo alla costituzione del rapporto associativo la diversita' degli scopi personali e degli utili che i singoli partecipi, fornitori ed acquirenti si propongono di ottenere dallo svolgimento di tale attivita' (Sez. 3, n. 6871 del 08/07/2016, dep. 2017, Bandera, Rv. 269150; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio, Rv, 265945). A questo proposito e' sufficiente ricordare che l'ipotesi associativa e' stata ritenuta sussistente anche a fronte di contrapposte pretese creditorie e debitorie sottolineando che, nell'ambito di una struttura organizzata, gli scopi soggettivi e personali, perseguiti da ciascun partecipe non assumono rilievo, e "cio' che distingue la fattispecie associativa e' il mezzo con cui si diverge finalita' personali vengono perseguite" (Sez. 6, n. 22046 del 13/12/2018, dep. 2019, Morabito, Rv. 276068). Per quanto esposto, i motivi di ricorso con i quali e' stata contestata la sussistenza del reato associativo non meritano accoglimento. 4. Altro motivo di ricorso comune a piu' ricorrenti e' quello secondo il quale la sentenza impugnata non avrebbe dato risposta adeguata alla richiesta di riqualificare il sodalizio di cui al rapo A) ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. Il motivo, che e' stato formulato dal ricorrente (OMISSIS) e dal ricorrente (OMISSIS), e' manifestamente infondato. A differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, la richiesta di applicazione della fattispecie di cui all'articolo 74, comma 6, Decreto del Presidente della Repubblica cit., non e' stata ignorata dalla Corte di appello, ma motivatamente respinta osservando che le attivita' svolte ebbero ad oggetto quantita' non modiche di stupefacenti e l'associazione non era finalizzata al compimento di singoli reati di lieve entita' bensi' a rifornire di sostanza a piazza di spaccio di Gela. A cio' deve aggiungersi che, per poter applicare il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, non e' sufficiente che uno o piu' associati abbiano in concreto commesso violazioni dell'articolo 73, comma 5, ma e' necessario, che l'associazione sia "costituita per commettere" questo tipo rii delitti (sui tema: Sez. 4, n. 53568 del 05/10/2017, Pardo, Rv. 271708; Sez. 6, n. 49921 del 25/01/2018, C., Rv. 274287; Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, Degli Angioli, Rv. 278098). E' di tutta evidenza che questa condizione non sussiste nel raso di specie: lâEuroËœassociazione operava, infatti, procurando quantita' non modiche di sostanze diverse e rifornendo grossisti e spacciatori operanti nel territorio di Gela. 5. Si puo' passare adesso all'esame delle posizioni dei singoli associati e dei motivi di ricorso che ciascuno di loro ha proposto. Nel secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS) sostiene che, affermando la penale responsabilita' del ricorrente per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 74, sarebbe stato violato l'articolo 649 c.p.p. Piu' in dettaglio, la difesa documenta che (OMISSIS) e' gia' stato giudicato (e assolto con sentenza definitiva) per una violazione dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica cit., che avrebbe commesso quale partecipe di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti operante in Gela "quanto meno dal gennaio 2010". Secondo la difesa, poiche' in quel procedimento la contestazione del reato associativo era temporalmente "aperta", l'assoluzione riguarda la partecipazione ad una associazione che ha operato dal gennaio 2010 al 6 dicembre 2017 (data nella quale e' stata pronunciata la sentenza di primo grado). Nel presente procedimento, (OMISSIS) e' accusato di aver promosso diretto e organizzato un'associazione operante in Gela, Vittoria e Catania sino al mese di luglio 2018. Pertanto, almeno fino al (OMISSIS), la contestazione sarebbe coperta da giudicato. Dalle sentenze di primo e secondo grado emerge che la questione e' stata sollevata per la prima volta di fronte al Tribunale per il riesame ed e' stata reiterata sia nel giudizio di primo grado che nei motivi di appello, ma e' sempre stata respinta. Si e' osservato, infatti: che i reati fine oggetto di accertamento nel procedimento gia' definito con sentenza irrevocabile furono commessi tutti ne 2011 e i fatti oggetto di indagine nel presente procedimento hanno avuto inizio nel 2017; che i componenti dell'associazione in relazione alla quale e' stata pronunciata sentenza definitiva non sono imputati nel presente procedimento e l'unico soggetto che compare in entrambe le imputazioni e' proprio (OMISSIS); che, pertanto, i fatti storici oggetto dei due giudizi sono differenti. La motivazione e' congrua e conforme ai principi di diritto che regolano la materia. Come noto, infatti, "ai fini della preclusione del giudicato, l'identita' del fatto e' configurabile solo ove le condotte siano caratterizzate dalle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone, sicche' costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma e integrando gli estremi del medesimo reato, rappresenti ulteriore estrinsecazione dell'attivita' delittuosa, distinta nallo spazio e nel tempo da quella pregressa" (Sez. 5, n. 18020 del 10/02/2022, Laudani, Rv. 283371; Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv. 274149; Sez. 2, n. 292 del 04/12/2013, dep. 2014, Coccorullo, Rv. 257992). 6. I ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) - che e' stato ritenuto "promotore, direttore ed organizzatore" dell'associazione - contestano l'attribuzione di tale qualifica deducendo vizi di motivazione e violazione di legge. Quanto ai dedotti vizi di motivazione si osserva che, nel richiamare, facendole proprie, le argomentazioni della sentenza di primo grado, la Corte territoriale attribuisce a (OMISSIS) un ruolo centrale perche' fu lui a promuovere l'accordo con i vittoriesi e i catanesi e perche' era lui a gestire la contabilita', a cercare i finanziamenti, a indicare i crediti che dovevano essere riscossi. Secondo i giudici di merito (pag. 447 della sentenza di primo grado; pag.15 della sentenza d'appello), la circostanza che (OMISSIS) non abbia sempre dimostrato di avere "spiccate doti organizzative" non vale ad escludere la centralita' della sua posizione perche' le intercettazioni provano che i fornitori di Vittoria e di Catania si rivolgevano a lui, se non direttamente, tramite di (OMISSIS). La sentenza di primo grado si sofferma su questo punto (pag. 447 e ss.) e sottolinea che fu (OMISSIS) ad autorizzare contatti diretti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (id est: tra i fornitori di Vittoria e i fornitori di Catania); che (OMISSIS) teneva la lista dei creditori; che fu lui a adoperarsi affinche' (OMISSIS) (che temeva di essere attenzionato dalle forze dell'ordine) eseguisse i trasporti di cui ai capi H) e 3). Secondo la sentenza di primo grado, la circostanza che fosse (OMISSIS) a curare i contatti con fornitori e venditori P a incontrarsi con loro trova agevole spiegazione del fatto Che (OMISSIS) era sottoposto agli arresti domiciliari (fu posto in liberta' solo nella parte finale dell'attivita' investigativa); poteva dunque allontanarsi dall'abitazione solo per recarsi a lavorare nell'autolavaggio "(OMISSIS)" (dove (OMISSIS) lo raggiungeva), e sapeva di poter essere oggetto di "pressione investigativa", come lo sapevano coloro che si rapportavano con lui (pag. 448). Per contrastare tali argomentazioni, i motivi di ricorso propongono una diversa lettura del contenuto delle intercettazioni e sottolineano che, il 5 gennaio 2018, quando si verifico' un ammanco di cocaina, (OMISSIS) non intervenne direttamente, ma sottopose la questione a (OMISSIS) (capo clan della "(OMISSIS)" di Gela, come risulta da una sentenza definitiva prodotta in allegato alla memoria del 22 maggio 2023). Nell'esaminare i fatti del (OMISSIS) (oggetto di imputazione al rapo F) i giudici rii merito riferiscono (pagg. 17 e 18 della sentenza impugnata; pag. 454 e ss. della sentenza di primo grado) che, ben prima di contattare (OMISSIS), (OMISSIS) reagi' minacciando di morte coloro che sarebbero stati arredati responsabili dell'ammanco. Dalle sentenze di merito risulta, inoltre, che (OMISSIS) si fece pagare il danno dai trasportatori ( (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS) (OMISSIS)1GERBINO Giacomo (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS) (OMISSIS)1GERBINO(OMISSIS)13Gambino (OMISSIS)7TERRANOVA(OMISSIS)9VALENTI (OMISSIS)10Vella(OMISSIS)5RANIOLO (OMISSIS)15Manganaro Salvatore che era stato incaricato del trasporto: all'esito, la sostanza fu sequestrata e (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS)13Gambino a promuovere la trattativa per l'acquisto e la condusse poi personalmente utilizzando un telefono "pulito" (non sottoposto ad intercettazioni) acquistato allo scopo da (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS) (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS)13Gambino(OMISSIS)17Vasile Gianfranco(OMISSIS)16Zito Antonio (OMISSIS)11Biundo (OMISSIS)18Curva' Eleonora (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS)13Gambino(OMISSIS)17Vasile (OMISSIS)11Biundo (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS) (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS) (OMISSIS)6RENNA Gaetano (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS)3PALMIERI Bartolomeo (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS)3PALMIERI (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS)3PALMIERI (OMISSIS)6RENNA Tanu (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS)3PALMIERI (OMISSIS) (OMISSIS)13Gambino (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS)11Biundo (OMISSIS)1GERBINO(OMISSIS)13Gambino (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS)13Gambino(OMISSIS)11Biundo (OMISSIS)1GERBINO (OMISSIS)13Gambino(OMISSIS)11Biundo parlarono di come distribuire quanto acquistato e, in quella occasione, (OMISSIS) racconto' di essersi spaventato e di aver temuto un controllo da parte delle forze dell'ordine: i a genten7a impugnata, dopo aver fatto rinvio a quanto esposto nella sentenza di primo grado, sottolinea (pag. 18) che, "per come ricostruiti dalle conversazioni captate", i fatti sono "evidenti". I giudici di merito non dubitano, dunque, che il trasporto avesse ad oggetto sostanza stupefacente, Non rileva in contrario che, a pag. 455 della sentenza di primo grado, sia scritto che si trattava "verosimilmente" di hashish, atteso che il dubbio riguarda il tipo di sostanza, non il fatto che si trattasse di stupefacenti e il fatto e' stato qualificato come violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4. Secondo i giudici di merito, inoltre, le convercA7inni intercettate provano, al di la' di ogni ragionevole dubbio, che la quantita' di sostanza non fosse modesta e su questa parte della argomentazione il ricorrente non ha formulato rilievi. Per quanto esposto, i motivi di ricorso formulati da (OMISSIS) con riferimento alla ritenuta responsabilita' per i reati di cui ai capi B), D), F), H) ed I) nnn possono trovare accoglimento, 8. Col settimo motivo del ricorso sottoscritto dall'avv. (OMISSIS), (OMISSIS) si duole che i fatti contestati ai capi B), D), F), H) ed I) non siano stati diversamente qualificati come violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. I rilievi formulati attengono pero', piu' che alla lieve entita' dei singoli fatti oggetto di imputazione, alla complessiva importanza dell'associazione che, a detta del difensore, aveva mezzi limitati, scarse risorse economiche e un volume di affari di modesta entita'. Nel definire i principi ermeneutici cui ci si deve attenere nell'applicare l'ipotesi di lieve entita' prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, la giurisprudenza di legittimita' ha sottolineato che tale valutazione deve essere compiuta in concreto, tenendo conto nnn colo del dato qualitativo e quantitativa, ma anche della personalita' dell'indagato, dei mezzi, delle modalita' e delle circostanze dell'azione (cfr., da ultimo, Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076). Come opportunamente chiarito dalla sentenza citata (pag. 16 della motivazione), "ritenere Che la valutazione degli indici di lieve entita' elencati dall'articolo 73, comma 5, debba essere complessiva, significa certamente abbandonare l'idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo o escludendo la lieve entita' del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri". Implica pero', allo stesso tempo, "che tali indici non debbano tutti indistintamente avere segno positivo o negativo" e possano instaurarsi tra gli stessi rapporti di compensazione o neutralizzazione idonei a consentire un giudizio unitario sulla concreta offensivita' del fatto anche quando le circostanze che In raratteri77ano risultano prima facie contraddittorie. Nell'escludere che i fatti attribuiti a (OMISSIS) potessero essere considerati di "lieve entita'", i giudici di merito hanno compiuto tale complessiva valutazione. Hanno sottolineato, infatti (e la motivazione e' congrua, non illogica e non contraddittoria): che, in nessuno riai rasi in esame, il quantitativa della sostanza trattata era modesto; che, in alcuni casi, la quantita' accertata e' significativa; che la sostanza veniva distribuita grazie ad una rete di contatti nel territorio di Gela; che i corrieri la prelevavano da stabili fornitori operanti a Vittoria e a Catania. 9. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati ritenuti partecipi della associazione di cui al capo A) e ciascuno di loro ha formulato specifici motivi di ricorso sul punto. Questi ricorrenti sottolineano che la ritenuta stabilita' della associazione non e' sufficiente ai fini dell'affermazione delle responsabilita' individuali e ciascuno di loro deduce violazione di legge e vizi di motivazione sostenendo che la partecipazione al reato associativo sarebbe stata dedotta, in assenza di elementi ulteriori, dall'ipotizzata partecipazione a singoli reati scopo. Ricordano a tal fine che, per giurisprudenza costante, "la commissione di piu' reati-fine in concorso con singoli partecipi al sodalizio non e' vicenda fattuale idonea ad integrare di per se' l'esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla partecipazione al reato associativo, essendo necessario che i rapporti con tali soggetti costituiscano forme di interazione nell'ambito di un gruppo nrgani77atn P non di relazioni di tipo diretto ed immediato, prive di riferimenti al ruolo esponenziale dei predetti per conto della consorteria" (Sez. 3, n. 9036 del 31/01/2022, Santoro, Rv. 282838; Sez. 3, n. 25816 del 27/05/2022, Grillo, Rv. 283278). Tali motivi di ricorso devono essere esaminati separatamente per ciascun imputato, 10. (OMISSIS), e' stato ritenuto responsabile del reato associativo di cui al capo A) e delle violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 contestate ai capi H) e - I). 10.1. I difensori di (OMISSIS) contestano l'affermazione della penale responsabilita' per i reati di cui ai capi H) e J) sostenendo che il contenuto delle conversazioni intercettate e' ambiguo e le stesse non consentono di affermare che il ricorrente abbia acquisito autonoma disponibilita' della gostan7a. A questo proposito e' sufficiente richiamare la puntuale esposizione dell'esito delle intercettazioni contenuta nella sentenza di primo grado e ricordare che "in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita'" (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Nel caso di specie, non v'e' ragione alcuna di dubitare che (OMISSIS) abbia acquisito la materiale disponibilita' della sostanza del cui trasporto era stato incaricato. Quanto al capo H), basta osservare che - come risulta dalle conversazioni intercettate (trascritte e commentate a pag. 294 e ss. della sentenza di primo grado e commentate alla pag, 74 della sentenza d'appello) - (OMISSIS) incarico' (OMISSIS) di fare da "apripista" durante il viaggio da Catania a Gela e, giunto a destinazione, parlo' con (OMISSIS) dell'odore della sostanza e del fatto che doveva essere pesata. Nel corso di una successiva conversazione, inoltre, egli riferi' a terzi che aveva portato giu' 10 chili a (OMISSIS). Quanto al capo J), Pe' sufficiente ricordare che, come la sentenza di primo grado chiaramente illustra (pag. 336 e ss.), la marijuana fu "sistemata" nella macchina di (OMISSIS). 10.2, Col sesto motivo del ricorso a firma congiunta e col quarto motivo del ricorso sottoscritto dal solo avv. (OMISSIS) i difensori di (OMISSIS) lamentano che i fatti contestati ai capi H) ed 3) non siano stati diversamente qualificati come violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. I giudici di merito osservano in proposito, con motivazione non certo illogica o contraddittoria, che non si tratta di fatti di lieve entita' perche' (OMISSIS) trasporto' per alcuni chilometri quantita' significative di marijuana (10 kg in un caso; 1 kg nell'altro) e nulla consente di ipotizzare che si trattasse di sostanza di scarsa qualita'. 10.3. Col prima motivo del ricorso a firma congiunta e col primo motivo del ricorso sottoscritto dal solo avv. (OMISSIS), i difensori di (OMISSIS) contestano che egli possa essere considerato partecipe dell'associazione contestata al capo A). I difensori osservano che (OMISSIS) risulta aver svolto il ruolo di corriere per due volte: il 21 giugno 2017 (capo 1) e il 13 luglio 2017 (capo H), non risulta aver partecipato a nessuna delle attivita' svolte dall'associazione nei mesi successivi e le intercettazioni non hanno documentato contatti diretti tra lui e (OMISSIS). Ad analoghe censure formulate nell'atto di appello la Corte territoriale ha risposto facendo riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado (pag. 467 e ss.) e valorizzando, come gia' quella sentenza aveva fatto, la constatazione che (OMISSIS) percepiva un corrispettivo per lo svolgimento delle mansioni di corriere (il dato emerge dalla conversazione progr. 893 del 13 luglio 2017). Alla luce di cio', la circostanza che il ricorrente sia risultato direttamente coinvolto soltanto in due trasporti e' stata valutata non significativa, si e' sostenuto, infatti, che la cifra che (OMISSIS) era "solito" percepire per i suoi spostamenti, differente in base alla distanza, fosse dimostrativa di un rapporto stabile e fornisse prava adeguata del fatto che egli era consapevole dell'esistenza dell'associazione e ne condivideva i fini. Secondo la sentenza del G.u.p., cio' troverebbe ulteriore conferma nella constatazione che, dopo aver interrotto la propria collaborazione per timore di essere controllato dalle forze dell'ordine, (OMISSIS) riprese il proprio ruolo di corriere su sollecitazione di (OMISSIS) (pag,448 della sentenza di primo grado): una affermazione che smentisce l'assunto difensivo, secondo il quale (OMISSIS) non risulterebbe avere avuto alcun rapporto con il soggetto che si trovava al vertice dell'associazione. La motivazione e' coerente, non certo illogica, ed e' e conforme ai principi di diritto che regolano la materia. Come noto, infatti, "anche il coinvolgimento in un solo reato-fine puo' integrare l'elemento oggettivo della partecipazione, nel caso in cui le connotazioni della condotta dell'agente, consapevolmente servitosi dell'organizzazione per commettere il fatto, ne rivelino, secondo maccime di comune esperienza, un ruolo nelle dinamiche operative del gruppo criminale" (Sez. 3, n. 36381 del 09/05/2019, Cruzado, Rv. 276701; Sez. 6, n. 1343 del 04/11/2015, dep. 2016, Policastri, Rv. 265890): 11. Anche (OMISSIS) si duole che i giudici di merito lo abbiano ritenuto partecipe dell'associazione. La difesa del ricorrente osserva che il G.i.p. respinse la richiesta fui applicare a (OMISSIS) una misura cautelare per il reato associativo ritenendo che il quadro indiziario fosse insufficiente in tal senso. Si duole che, sulla base del medesimo quadro indiziario, all'esito del giudizio abbreviato, (OMISSIS) sia stato ritenuto responsabile di questo reato. Secondo il (OMISSIS) aveva collaborato col cognato, (OMISSIS), concorrendo nel reato di cui al capo K), ma le indagini non documentavano stabili contatti con altri componenti dell'associazione, non era certo, dunque, che egli avesse contribuito, con apporto continuativo, alle attivita' del gruppo. La sentenza di primo grado non ha condiviso tale valutazione. Ha sottolineato in tal senso (pag. 488 e ss.): da un lato, che concorrendo nel reato di cui al capo K), (OMISSIS) offri' in vendita sostanza stupefacente a (OMISSIS) e (OMISSIS), "esponenti di primo piano" del gruppo; dall'altro, che - come emerso dalle intercettazioni - egli prese parte alla cena del 30 gennaio 9018 nella quale fu ci iellato "il patto fra catanesi e vittoriesi". La sentenza di appello (pag. 26) ha condiviso tali considerazioni osservando che, a differenza di quanto ritenuto dal G.i.p., le intercettazioni documentano contatti non solo tra (OMISSIS) e (OMISSIS), ma anche tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e che, almeno in un caso, fu (OMISSIS) a prendere accordi con (OMISSIS) informandone (OMISSIS). La sentenza impugnata sottolinea che la partecipazione alla cena del (OMISSIS) depone inequivocamente per il pieno coinvolgimento di (OMISSIS) nell'attivita' associativa atteso che, in quella occasione, vittoriesi, catanesi e gelesi si accordarono per la stabile fornitura di stupefacenti; quell'accordo ebbe "fondamentale importanza nella crescita criminale della compagine" e non sarebbe stato consentito a una persona non intranea all'associazione di partecipare ad un simile incontro. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) non si confronta con tal argomentazioni e si limita a criticarle. Invoca, dunque, una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio e una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova senza confrontarsi in termini specifici con l'iter logico-giuridico che ha condotto all'affermazione della responsabilita' penale. 11.1. Considerazioni analoghe devono essere formulate con riferimento ai motivi con i quali il difensore di (OMISSIS) si duole della affermazione della penale responsabilita' dell'imputato in relazione al reato di cui al capo K). La difesa osserva: che, secondo gli operanti, quando (OMISSIS) diceva a (OMISSIS) di essere in compagnia di suo cognato si riferiva a (OMISSIS), ma nulla prova che (OMISSIS) non avesse altri cognati; che i giudici di merito hanno ritenuto attendibile il riconoscimento della voce dell'imputato per la familiarita' che gli operanti avevano acquisito durante l'ascolto, ma non ha disposto una perizia fonica; che, al capo K), e' stato contestato a (OMISSIS) di aver offerto sostanza stupefacente a (OMISSIS), ma dalle intercettazioni emerge che (OMISSIS) doveva ricevere denaro da lui e da (OMISSIS) (sarebbe stato dunque venditore e non acquirente): In sintesi, la difesa sostiene che si sarebbe giunti ad affermare la penale responsabilita' dell'imputato sulla base di elementi indiziari ambigui e privi di univocita' e precisione. Anche in questo caso, il ricorrente contesta la ricostruzione fornita dai giudici di merito prospettandone un'altra e sostenendone la maggior plausihilita'; chiede, dunque, a questa Corte di legittimita' un accertamento in fatto che non le compete. Quanto alla valenza probatoria del riconoscimento della voce dell'imputato compiuto dalla polizia giudiziaria, e' sufficiente rilevare che, quando tale riconoscimento sia stato valutato attendibile, e' onere di chi lo contesta allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario e cio' non e' avvenuto nel caso di specie (sull'argomento Sez. 5, n. 20610 del 09/03/2021, Sadikaj, Rv. 281265; Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017, Di Cicco, Rv. 269900). 12. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi A) e H). Col secondo motivo, il ricorrente sostiene che la partecipazione al reato associativo sarebbe stata desunta dalla ritenuta responsabilita' per il reato di cui al capo H). La difesa si duole, inoltre, che a (OMISSIS) sia stato attribuito il ruolo di "esattore" sulla base del contenuto di un'unica intercettazione. Lamenta, dunque, vizi di motivazione ed erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. I giudici di merito hanno attribuito a (OMISSIS) il ruolo di "esattore" sulla base di una conversazione (il cui contenuto e' dettagliatamente esposto alle pagine 492 e ss. della sentenza di primo grado) dalla quale risulta che (OMISSIS) aveva un elenco di creditori e incarico' (OMISSIS) di recarsi dalle persone indicate in quell'elenco per riscuotere da loro quanto dovuto. La sentenza di primo grado (pag. 494) e quella di appello (pag. 28) hanno dedotto da questa conversazione che (OMISSIS) aveva svolto quel medesimo incarico anche in passato ( (OMISSIS) dice, infatti, di un debitore che non vuole pagare: "e' sempre stato cosi'"). I giudici di merito, inoltre, hanno escluso che i crediti vantati potessero rilevare da attivita' lecite sottolineando: che (OMISSIS) temeva di poter essere arrestato (disse: "il giorno dopo sono in galera"); che la conversazione aveva ad oggetto piu' crediti nei confronti di piu' persone; che alla stessa presero parte altri imputati i quali non avrebbero avuto alcun interesse ad essere informati dei rapporti commerciali intercorrenti tra (OMISSIS) e (OMISSIS). La motivazione e' congrua, non presenta profili di contraddittorieta' o manifesta illogicita'. Resiste, pertanto, alle censure del ricorrente. La tesi secondo la quale la partecipazione al reato associativo sarebbe stata dedotta soltanto dalla partecipazione ad un unico reato fine ne risulta smentita. 12.1. Col terzo motivo di ricorso, la difesa di (OMISSIS) censura l'affermazione della penale responsabilita' per il reato di cui al capo H). Si duole che la Corte territoriale si sia limitata a richiamare le motivazioni del giudice di primo grado, senza rispondere alle argomentazioni difensive e senza spiegare a cosa potrebbe desumersi che la sostanza offerta in vendita, mai sequestrata, avesse efficacia drogante. A questo proposito si deve ribadire che una motivazione non puo' essere ritenuta "apparente" solo perche' fa rinvio alle osservazioni gia' svolte dal giudice di primo grado, tanto piu' in presenza di censure difensive che Si esauriscono in una mera allegazione, perche' volte a sostenere che la marijuana acquistata da (OMISSIS) per conto di (OMISSIS) fosse di qualita' cosi' cattiva da non avere effetti droganti. La sentenza di primo grado sottolinea (pag. 498) che la marijuana fu "assaggiata" da (OMISSIS) e a tale argomentazione - che contrasta efficacemente l'allegazione difensiva - la difesa non ha replicato nel ricorso, ne' lo aveva fatto in sede di gravame. 13, (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile della partecipazione al reato associativo e dei reati di cui ai capi B) e G). Il ricorrente non contesta l'affermazione della penale responsabilita' per i reati di cui ai capi B) e G) - in relazione ai quali ha reso spontanee dichiarazioni a contenuto confessorio - ma ci riiinle della affermazione della responsabilita' per i reato di cui al capo A). La difesa sostiene che la partecipazione all'associazione sarebbe stata dedotta dalla commissione dei reati scopo senza indagare e argomentare sulla consapevolezza da parte dell'imputato dell'esistenza della associazione e sulla condivisione dei fini illeciti perseguiti dalla Stessa. Il motivo e' infondato. La sentenza impugnata osserva che la qualita' e quantita' dei rapporti intercorsi tra (OMISSIS) e altri componenti dell'associazione dimostra il ruolo di stabile fornitore che egli svolgeva quale componente del gruppo dei catanesi (pag, 29), Rinvia, sul punto, alle dettagliate argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado (pagg. 502 e ss.) dalle quali risulta che (OMISSIS) aveva ampia disponibilita' di cocaina e partecipo' alla cena nella quale furono poste le basi della collaborazione tra gelesi, catanesi e vittoriesi. La sentenza di primo grado sottolinea, inoltre, che (OMISSIS) e (OMISSIS) erano legati da un rapporto fiduciario reso evidente dalle intercettazioni relative all'ammanco di sostanza verificatosi in occasione della cessione di cui ai capi F) e G) (della vicenda si e' gia' trattato nell'esaminare i motivi di ricorso di (OMISSIS)). In quelle conversazioni, infatti, (OMISSIS) disse che "non si sarebbe mai permesso di consegnare stupefacente "rovinato"" e che "tutte le altre volte che aveva consegnato stupefacenti a (OMISSIS) non c'erano stati problemi" (cosi' testualmente la sentenza di primo grado, pag. 511). Le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado si completano tra loro e non sono ne' manifestamente illogiche ne' contraddittorie. Si deve ricordare allora - ancora una volta - che alla Corte di cassazione e' preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento niella decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perche' ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa (tra tante: Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273717; sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 780747). 14. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi A), K), M) ed N). La difesa sostiene che la partecipazione al reato di cui al capo A) sarebbe stata dedotta dalla partecipazione ai reati fine senza chiedersi al (OMISSIS) potesse essere consapevole di contribuire, con la propria condotta, all'operativita' di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La sentenza impugnata desume tale consapevolezza dal fatto che (OMISSIS) contribui', quale componente del gruppo figli vittoriesi, a rifornire stabilmente (OMISSIS) e (OMISSIS) di grossi quantitativi di stupefacente da immettere poi sul mercato (pag. 31 della motivazione). Nell'argomentare sulla continuita' del contributo fornito e sull'elemento psicologico del reato, la Corte territoriale sostiene che (OMISSIS) era certamente consapevole rii cooperare stabilmente con piu' di tre persone: (OMISSIS), col quale collaborava per le forniture; (OMISSIS) e (OMISSIS) dai quali prendeva in carico le commissioni. Rinvia, poi, alla motivazione della sentenza di primo grado dalla quale risulta (pag. 517 e ss.): che (OMISSIS) svolse il proprio ruolo di stabile fornitore da gennaio a luglio del 2018 (non e' vero, dunque - come ha sostenuto nel corso del giudizio - che si dissocio' dopo essersi reso conto della caratura criminale di (OMISSIS) e (OMISSIS)); che nelle conversazioni intercettate si fa inequivoco riferimento al commercio di beni che devono essere pesati; che (OMISSIS) intrattenne autonomi contatti anche con (OMISSIS) (e quindi con i catanesi); che aveva contatti diretti con grossisti dai quali acquistava per rifornire il gruppo. La motivazione non e' carente e non contrasta con i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimita' secondo la quale "la prova del vincolo permanente, nascente dall'accordo associativo, puo' essere data anche mediante l'accertamento di "fatta concludentia", quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per i rifornimenti della droga, le basi logistiche, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati; la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalita' esecutive" (Sez. 3, n. 47291 del 11/06/2021, Esposito, Rv. 282610; Sez. 5, n. 8033 del 1911/7012, dep. 7013, Barbetta, Rv. 255207; Sez. 4, n. 95471 dei 07/09/9007, Cirasole, Rv. 237002). 14.1. Non hanno maggior pregio i rilievi con i quali la difesa di (OMISSIS) deduce violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla affermazione della penale responsabilita' per i reati di cui ai capi K), M) ed N). Se e' vero infatti che, con riferimento a questi capi, la sentenza di appello fa rinvio agli argomenti sviluppati nella sentenza di primo grado, e' pur vero che quella sentenza espone in dettaglio le fonti di prova e replica puntualmente alle obiezioni formulate dalla difesa che non si e' confrontata con quelle argomentazioni ne formulare i motivi di appello. 14.2. Col terzo motivo, la difesa di (OMISSIS) lamenta che i fatti contestati ai capi K), M) ed N) non siano stati diversamente qualificati come violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. A questo proposito e' sufficiente ricordare che, nell'applicare l'ipotesi di lieve entita' prevista dall'articolo 73, comma 5 Decreto del Presidente della Repubblica cit., occorre tenere conto non solo del dato qualitativo e quantitativo (non accertato nel caso di specie), ma anche della personalita' dell'indagato, dei mezzi, delle modalita' e delle circostanze dell'azione (cfr., da ultimo, Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076). I giudici di merito hanno sottolineato in proposito che (OMISSIS) gestiva un giro di affari rilevante e aveva una vasta rete di fornitori e hanno ritenuto, sulla base di questa non censurabile motivazione, che i fatti non potessero essere considerati di lieve entita'. 15. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi A) B) e G). Col primo motivo del ricorso proposto nel suo interesse la difesa lamenta che le censure formulate nell'atto di appello non abbiano avuto risposta. I ricorrente sostiene che le prove raccolte non sarebbero sufficienti all'affermazione della penale responsabilita' e sottolinea che nessun sequestro e' avvenuto, sicche', almeno con riferimento ai reati di cui ai capi B) e G), si tratterebbe di "droga parlata". Si duole che le sentenze di merito non abbiano indicato guaii riscontri sarebbero stati acquisiti per sostenere che le conversazioni avevano ad oggetto sostanze stupefacenti. Le argomentazioni difensive non hanno pregio. I giudici di merito hanno individuato in Talenti uno dei partecipi della associazione sottolineando che egli collaborava stabilmente con (OMISSIS) e fu invitato alla cena del 30 gennaio 2018 (gia' piu' volte citata) nella quale gelesi, catanesi e vittoriesi si accordarono distribuendosi i compiti ai fini dell'approvvigionamento della piazza di spaccio di Gela. Come si e' gia' illustrato nell'esaminare la posizione di (OMISSIS), i giudici di merito hanno ritenuto che la convocazione a quella cena deponga in termini non equivoci nel senso della partecipazione all'associazione, non solo perche' dimostra la consapevolezza dell'esistenza della associazione stessa, ma anche perche' non sarebbe stato consentito a una persona estranea di partecipare ad un incontro di tale importanza. La sentenza impugnata rileva, inoltre (pag. 34), che l'utenza cellulare in uso a (OMISSIS) e' stata utilizzata da (OMISSIS) "per mettersi in contatto con gli altri sociali" con notevole frequenza P questo non trova spiegazione Se non in una consapevole condivisione di intenti. Sottolinea infine che, quando si verifico' un ammanco di cocaina (come si ricordera', si tratta di una vicenda che si verifico' in occasione dei fatti descritti ai capi F) e G)), (OMISSIS) fu indicato dal trasportatore (OMISSIS) nome la persona che aveva pesato la sostanza. I giudici di merito hanno dunque fornito congrua motivazione della ritenuta responsabilita' per il reato associativo e hanno adeguatamente spiegato per quali ragioni le conversazioni nelle quali (OMISSIS) fu coinvolto siano state ritenute certamente riferibili a sostanze stupefacenti. 16. (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) e' stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi A), C), K) ed L). La difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dei reato associativo (primo motivo) e all'affermazione della penale responsabilita' per i singoli reati scopo (secondo e terzo motivo). 16.1. I giudici di merito hanno ritenuto che (OMISSIS), quale esponente del gruppo dei vittoriesi, fosse consapevole dell'esistenza della asqncia7ione P ne condividesse i fini. La sentenza impugnata ha osservato in proposito (pag. 36) che egli aveva "continui ed assidui contatti" sia con (OMISSIS) e (OMISSIS) che con (OMISSIS) e quindi con i piu' elevati livelli della, pur grossolana, organizzazione. I giudici di merito hanno sottolineato, inoltre (pagg. 532 P 533 della sentenza di primo grado, pag. 36 della sentenza impugnata), che, nel presentare (OMISSIS) ai catanesi, (OMISSIS) e (OMISSIS) dissero che era "un fratello" e che (OMISSIS) partecipo' alla gia' menzionata cena del (OMISSIS), sicche' valgono, anche in questo caso, le considerazioni gia' svolte con riferimento ai ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS). 16.2. Col secondo motivo, la difesa propone una lettura alternativa delle conversazioni intercettate e sostiene che le stesse non provano la acquisita disponibilita' della sostanza da parte di (OMISSIS) e la sua responsabilita' per i reati di cui ai capi K) ed L). A questo proposito, basta osservare: che la sentenza di primo grado riporta il contenuto delle conversazioni intercettate e ne trae conclusioni non contraddittorie ne' illogiche; che i rilievi formulati dal ricorrente si esauriscono nel proporre una lettura alternativa del compendio probatorio non consentita nel giudizio rii legittimita'. 16.3. Col terzo motivo, il ricorrente si duole dell'affermazione della penale responsabilita' di (OMISSIS) con riferimento al reato di cui al capo C). Sostiene che la genteri7a impugnata ha fatto rinvio alla Sentenza di primo grado, ma da questa non risulta che sia stato (OMISSIS) a condurre l'autovettura (intestata a (OMISSIS)) utilizzata per consegnare la marijuana a (OMISSIS) (che fu perquisito durante il trasporto e tratto in arresto). A questo proposito e' sufficiente obiettare che, come emerge chiaramente dalla sentenza di primo grado (pag. 157 e gg,), (OMISSIS) e' stato ritenuto concorrente nel reato non per essersi posto alla guida dell'auto intestata a (OMISSIS), ma perche' fu coinvolto nelle trattative preparatorie dell'affare e, il 9 gennaio 2018, telefono' a (OMISSIS) per sapere chi sarebbe andato A ritirare la merce (pag. 171 e ss. della sentenza di primo grado). Ne consegue l'inammissibilita' del motivo, che non si confronta con gli argomenti posti alla base dell'affermazione della penale responsabilita'. 17. Per concludere l'esame di motivi di ricorso che riguardano il reato associativo e' necessario esaminare il tema dell'aggravante prevista dalla prima parte dell'articolo 74, comma 3 Decreto del Presidente della Repubblica cit.. Dalla lettura della sentenza di primo grado (pag. 434) emerge, infatti, che l'aggravante di cui all'articolo 74, comma 3, ultima parte (partecipazione all'associazione di persone dedite all'uso di stupefacenti) e' stata esclusa, ma e' stata ritenuta sussistente l'aggravante di cui all'articolo 74, comma 3, prima parte (numero degli associati, se pari o superiore a dieci). La sentenza di primo grado sostiene che questa aggravante sarebbe integrata perche', come risulta dalla lettura del capo di imputazione, il fatto e' stato ascritto a piu' di dieci persone "a nulla rilevando che nell'odierno procedimento ne siano state giudicate solo otto". La sentenza di appello ha confermato tale valutazione aggiungendo che "le complessive emergenze processuali hanno fatto ampia contezza di una compartecipazione corale dei singoli componenti del sodalizio che, rivestendo, ciascuno autonomamente, un ruolo ben circoscritto, hanno contribuito al funzionamento e al mantenimento della consorteria criminale" (cosi' testualmente pag. 16 della motivazione). L'applicazione dell'aggravante e' stata censurata: da (OMISSIS) (terzo motivo del ricorso sottoscritto dall'avv. (OMISSIS), terzo motivo del ricorso sottoscritto dall'avv. (OMISSIS)); da (OMISSIS) (quinto motivo del ricorso sottoscritto dati' avv. (OMISSIS)); da (OMISSIS) (quarto motivo del ricorso); da (OMISSIS) (quinto motivo del ricorso); da (OMISSIS) (quarto motivo del ricorso). I difensori osservano che il riferimento al numero degli imputati non e' sufficiente a ritenere esistente l'aggravante e, poiche' nel presente procedimento sono stati individuati otto associati ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS)), sarebbe stato necessario argomentare sulla partecipazione all'associazione di altre due persone almeno, Alcuni tra i ricorrenti sostengono, inoltre, che all'aggravante in parola dovrebbero applicarsi le regole di imputazione soggettiva di cui all'articolo 59 c.p., comma 2, sicche' ciascun associato potrebbe essere chiamato a rispondere del reato aggravato solo se consapevole della consistenza numerica dell'associazione. I motivi di ricorso sono fondati solo in parte. Non lo sono quando sostengono che ciascun associato potrebbe essere chiamato a rispondere del reato aggravato solo se consapevole della consistenza numerica dell'associazione. Ed invero, la giurisprudenza di legittimita' ha sempre ritenuto che le aggravanti determinate dalla partecipazione al reato di un determinato numero di persone abbiano natura oggettiva e si comunichino, quindi, a tutti i compartecipi per il combinato disposto degli articoli 70 e 118 c.p. Questo principio e' stato affermato con riferimento all'aggravante prevista dall'articolo 112 c.p., comma 1, n. 1. Si e' sostenuto, infatti, che questa aggravante, concernendo le modalita' dell'azione, ha natura oggettiva e percio' si comunica a tutti coloro che concorrono nel reato senza che sia necessaria la consapevolezza della partecipazione di altri concorrenti nel numero sufficiente ad integrarla (cfr. Sez. 4, n. 27523 del 10/05/2017, Giliberto, Rv. 271126; Sez. 1, n. 48726 del 19/05/2011, Semeraro, Rv. 252044). Nello stesso senso la giurisprudenza si e' pronunciata con riferimento all'aggravante prevista dalla legge quando una rapina o una estorsione siano commesse da "piu' persone riunite": si e' sostenuto che tale circostanza aggravante - integrata dalla simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e al momento di realizzazione della violenza o della minaccia - "non richiede quale connotato soggettivo la consapevolezza della partecipazione di altri concorrenti nel numero suffciente ad integrare l'aggravante stessa, poiche' essa, concernendo le modalita' dell'azione, ha natura oggettiva e, conseguentemente, si comunica a tutti coloro che concorrono nel reato" (Sez. 2, Sentenza n. 31199 del 19/06/2014, Posteraro, Rv. 259987; Sez. 2, n. 36926 del 04/07/2018, Sabatino, Rv. 773521). Il medesimo principio deve essere applicato all'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3, prima parte. Pertanto, questa aggravante puo' essere ritenuta sussistente senza che sia necessario verificare se ciascuno degli associati fosse consapevole della partecipazione all'associazione di dieci n piu' persone. I motivi sono fondati, invece, nella parte in cui lamentano che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3, sia stato ritenuto applicabile sol perche' il reato associativo era stato contestato a piu' di dieci persone. Ed invero, poiche' nel presente procedimento sono stati individuati otto associati, sarebbe stato necessario argomentare sulla partecipazione all'associazione di altre persone (quanto meno di due). La Giurisprudenza e' costante nel ritenere che "in terna di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la configurabilita' del reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come componente umana effettiva del sodalizio, e non con riferimento al numero degli imputati presenti nel processo, essendo integrata il reato, pertanto, anche nel caso in cui sia accertata la partecipazione di soggetti rimasti ignoti ulteriori rispetto a quelli sottoposti a giudizio" (Sez. 3, n. 19212 del 12/03/2019, Xhelay, Rv. 275758; Sez. 5, n. 39223 del 23/09/2010, Mastrangeli, Rv, 248882), Anche ai fini della configurabilita' dell'aggravante prevista dall'articolo 74, comma 3, Decreto del Presidente della Repubblica cit., si e' ritenuto che nel numero degli associati (dieci o piu') possano essere inclusi "sia i condannati con sentenza irrevocabile emessa in diverso procedimento, sia i soggetti non ancora giudicati ma coimputati in separati procedimenti" (sez. 6, n. 271191 del 25/02/2021, Ciccolella, Rv. 281517; Sez. 1 n. 9370 del 08/06/1994, Morabito, Rv. 199915). Non per questo, tuttavia, la sussistenza dell'aggravante puo' essere affermata facendo esclusivo riferimento al numero degli imputati. Per ritenerla, infatti, e' necessario valutare la posizione degli associati fino a raggiungere almeno i numero di imputati. Come e' stato opportunamente sottolineato, cio' non influisce direttamente sulla posizione di chi non e' imputato nel giudizio e, in caso di successiva contraddittorieta' di giudicati, resta salvo il rimedio della revisione (Sez. 1 n. 9370 del 08/06/1994, Morabito, rv, 199915); tuttavia, per poter ritenere sussistente l'aggravante, e' indispensabile che la posizione di altri associati, ancorche' non imputati nel procedimento, sia almeno incidentalmente valutata. Questo principio e' stato affermato in termini espliciti con riferimento all'aggravante di cui all'articolo 112 c.p., n. 1): Si e' ritenuto, infatti, che tale circostanza sia configurabile, pur in assenza di formale accertamento della responsabilita' di ciascuno dei concorrenti, "quando il giudice abbia riscontrato il dato storico della partecipazione al reato di cinque o piu' persone"; ma a condizione che "la partecipazione del numero necessario dei correi sia stata ritenuta, anche incidentalmente, mediante valorizzazione delle vicende contestate nei capi di imputazione, corroborate dal riepilogo delle fonti prova" (Sez. 2, n. 9857 del 28/10/2020, dep. 2021, Capasso, Rv. 280767). Nel caso in esame, la motivazione sul punta e' carente. T giudici di merito hanno ritenuto, infatti, che la mera formulazione dell'imputazione nei confronti di piu' di dieci associati fosse sufficiente a far ritenere sussistente l'aggravante. A cio' deve aggiungersi che non e' possibile desumere dalle argomentazioni sviluppate (se non con riferimento alla posizione di (OMISSIS)) quali fossero, oltre agli otto imputati nel presente procedimento, gli altri componenti della associazione e, per ritenere l'aggravante, e' necessaria la precisa individuazione di almeno dieci associati. 17.1. I motivi di ricorso che riguardano l'aggravante del numero degli associati hanno carattere oggettivo. L'accoglimento di tali motivi si estende, dunque, ai sensi dell'articolo 627 c.p.p., comma 5, anche a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno proposto ricorso per motivi diversi (cfr. Sez. 6, n. 10954 del 17/0s/1986, Tisi, Rv. 173982; Sez. 1, n. 10371 del 08/07/1995, Costioli, Rv. 202737). Ne consegue l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, quanto alla ritenuta sussistenza dell'aggravante del numero degli associati, nei confronti di tutti gli imputati del reato associativo, e quindi, di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 18. T motivi di ricorso che (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto in relazione al trattamento sanzionatorio sono assorbiti dall'accoglimento del ricorso relativo all'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3, prima parte. La Corte di appello, infatti, dovra' approfondire la valutazione in ordine alla sussistenza di questa aggravante e dovra' tenere conto dell'esito di tale valutazione nel determinare il trattamento sanzionatorio. A questo proposito si osserva che la sussistenza della circostanza incide Sulla gravita' del fatto, puo' influire, dunque, anche sulle valutazioni relative all'applicazione o mancata applicazione delle attenuanti generiche (non sempre congruamente motivata), sul possibile giudizio di bilanciamento tra circostanze, Sulle modalita' del calcolo della pena e, per quanto riguarda gli imputati ai quali e' stata contestata la recidiva, non puo' ritenersi ininfluente sul giudizio di pericolosita' e sulla possibilita' di considerare la reiterazione dell'illecito quale sintomo di propensione a delinquere. Nel caso in cui l'aggravante del numero dei partecipi fosse reputata sussistente, peraltro, nell'applicarla unitamente alla' recidiva si dovrebbe tenere conto della disposizione dell'articolo 63 c.p., comma 3, L'aumento per recidiva, dunque, dovrebbe essere operato sulla pena base e l'ulteriore eventuale aumento per l'aggravante del numero delle persone dovrebbe essere operato sulla pena conseguente all'applicazione della circostanza ad effetto speciale. 19. Non e' assorbito - e merita accoglimento - il sesto motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) che ha dedotto carenza di motivazione riguardo all'applicazione delle pene accessorie previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 85. La sentenza di primo grado non ha motivato sul punto e la sentenza di appello (alla pag, 33) ha fatto rinvio a quanto gia' osservato con riferimento ad analogo motivo di appello formulato da (OMISSIS). Ha sostenuto, in particolare, che l'applicazione delle pene accessorie previste dal citato articolo 85 e la determinazione della loro durata sono espressione "di un potere discrezionale del giudice del merito, in alcun modo sindacabile in presenza dei presupposti di legge e di una puntuale valutazione prognostica sfavorevole effettuata del decidente" (cosi' testualmente, pag. 21 della sentenza impugnata). Discrezionalita', tuttavia, non significa arbitrio, e, proprio perche' discrezionale, l'applicazione delle pene accessrie del ritiro della patente di guida e del divieto di espatrio, previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 85 richiede, da parte del giudice, una specifica motivazione che, nel caso in esame, non e' stata fornita (cfr. Sez. 3, n. 10081 del 21/11/2019, dep. 2020, Radoman, Rv. 278537; Sez. 6, n. 41727 del 18/11/2010, De Crescenzo, Rv. 248817; Sez. 3, n. 16785 del 18/192/2008, dep. 2009, De Lisi Rv. 243398). 20. Si devono esaminare a questo punto i motivi di ricorso proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS), ciascuno dei quali e' stato ritenuto responsabile di un'unica violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73. 21. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile del solo reato di cui al capo J). Col primo motivo di ricorso, egli deduce vizi di motivazione per l'affermazione della penale responsabilita'. Si duole che i giudici di merito abbiano ritenuto sufficiente in tal senso il contenuto delle conversazioni intercettate, pur in assenza di perquisizioni e sequestri. La difesa non contesta che (OMISSIS) fosse presente alla trattativa che si svolse il 21 giugno 2017 e alla consegna della sostanza, Si limita a Sostenere che tale presenza era determinata dallo Stato di tossicodipendenza e che, accompagnando (OMISSIS), (OMISSIS) sperava di ricevere una dose di marijuana. Cosi' argomentando, la difesa non si confronta con le argomentazioni della sentenza impugnata (pag. 20), secondo la quale le conversazioni intercettate provano che (OMISSIS) ebbe nella vicenda un ruolo attivo, "ben lontano da quello di semplice accompagnatore di (OMISSIS) e di spettatore passivo dell'acquisto" che il ricorrente vorrebbe accreditare. Poiche' non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato, il motivo di ricorso si destina, per cio' solo, all'inammissibiita', venendo meno in radice l'unica funzione per la quale l'impugnazione e' prevista e ammessa: vale a dire la critica argomentata al provvedimento che, nel caso in esame, e' stato, nella sostanza, del tutto ignorato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970). 21.1, Col quarto motivo; il ricorrente si duole che non sia stata ritenuta applicabile l'attenuante di cui all'articolo 114 c.p.. Osserva che, per escluderne l'operativita', i giudici di primo e secondo grado hanno richiamato l'espressa previsione dell'articolo 114 c.p., comma 2, ricordando che l'attenuante non si applica nei taci dell'articolo 119 c.p., comma 1, n. 1) e che, per giurisprudenza costante, tale preclusione opera anche quando il numero di partecipanti e' considerato come aggravante speciale e, quindi, anche per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 che e' aggravato, ai sensi del comma 6, "se il fatto e' commesso da tre o piu' persone in concorso tra loro" (in tal senso, Sez. 3; n. 17180 del 05/03/2020, Zenarti, Rv. 279014). La difesa obietta che, nel caso di specie, l'aggravante di cui all'articolo 73, comma 6, non e' stata contestata sicche' la motivazione e' incongrua. La giurisprudenza e' costante nel ritenere che la disposizione del comma 2 dell'articolo 114 c.p. - secondo l'attenuante della minima partecipazione al fatto pluripersonale non si applica quando ricorra una delle circostanze aggravanti delineate all'articolo 112 stesso codice (e, dunque, quando il numero dei concorrenti sia pari o superiore a cinque) - "si riferisce anche ai casi nei quali il numero delle persone concorrenti nel reato sia posto a base di un aggravamento della pena in forza di disposizioni specificamente riguardanti il reato stesso" (Sez. 2, n. 18540 del 19/04/2016, Vincenti, Rv. 266852; Sez. 5, Sentenza n. 26814 del 10/02/2016, D'Ignoti, Rv. 267888; Sez. 3, n. 17180 del 05/03/2020, 7enarti, Rv, 779014). Tale principio, pero', puo' trovare applicazione soltanto se la circostanza aggravante conseguente al concorso di piu' persone nel reato e' stata contestata e ritenuta sussistente e, nel caso di specie, cio' non e' avvenuto. Tale considerazione, tuttavia, non comporta l'accoglimento del motivo di ricorso. Ed invero, come emerge con chiarezza dalla motivazione della sentenza impugnata, la Corte di appello non ha considerato di minima importanza il contributo partecipativo di (OMISSIS) alla realizzazione del reato di cui al capo 3). La Corte territoriale ha sottolineato, infatti, che egli fu sempre presente alla contrattazione e si attivo in prima persona per concordare le specifiche modalita' dello scambio. Nel caso di specie, pertanto, trova applicazione il principio per cui gli errori logici da cui sono inficiati alcuni degli argomenti enunciati in una sentenza non valgono a determinare l'annullamento della stessa quando altre ragioni, ed argomenti incensurabili ed autonomi rispetto a quelli viziati, giustificano in modo adeguato la decisione (Sez. 5, n. 37466 del 22/09/2021, Almi, Rv. 281877; Sez. 5, n. 2128 del 13/1/1978, Bartomioli, Rv. 138077; Sez. 4, n. 216 del 02/05/1975, dep. 1976, Alba, Rv. 131797; Sez. 1, n. 604 del 02/05/1967, Solejam, Rv. 105773). Ne consegue il rigetto del motivo. 21.2. Col secondo motivo la difesa si duole della dosimetria della pena. Lamenta, in particolare, che non siano state concesse all'imputato le attenuanti generiche. Come noto, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento il beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato e alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare sufficiente allo scopo (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, rv. 28535 del 19/03/7014, Lule, Rv. 259R99). Nel caso in specie, l'applicazione delle attenuanti generiche e' stata esclusa dalla sentenza di primo grado (pag. 465) valorizzando la quantita' della sostanza trattata (circa 1 kg di marijuana) e una precedente condanna per reato della stessa specie. La Corte di appello ha condiviso tale valutazione in ragione della spiccata propensione a delinquere quale emerge dai precedenti (pg. 20 della motivazione). Tali motivazioni resistono alle censure del ricorrente perche' attribuiscono rilevanza alla gravita' del fatto e alla specificita' di una delle precedenti condanne, elementi che non e' manifestamente illogico far prevalere sul ruolo (non essenziale) svolto nella vicenda e sulla constatazione che la condanna per reato della stessa indole risale al 2011. 21.3 Per quanto riguarda la dosimetria della pena, si deve osservare che la pena base e' stata determinata nella misura di anni tre di reclusione ed Euro 9.000 di multa, inferiore alla media edittale della pena prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4 e il discostamento dal minimo e' stato motivato con riferimento alla non modica quantita' della sostanza. Si deve ricordare allora che, secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle dimnuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se da' conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. o richiama alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). 21.4, Col terzo motivo, la difesa si duole che, nel determinare il trattamento sanzionatorio, si sia tenuto conto della recidiva. Rileva, inoltre, che le pene accessorie previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 85 (divieto di espatrio e ritiro della patente di guida) sono state applicate per la durata massima di anni tre senza motivare in alcun modo, ne' la decisione di applicare queste sanzioni, ne' le ragioni della determinazione della loro durata. come noto, nell'applicazione nella recidiva facoltativa, e' richiesta al giudice una specifica motivazione. Sia che affermi, sia che escluda la rilevanza di tale circostanza aggravante soggettiva, infatti, egli deve verificare, oltre il mero riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali, se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di pericolosita', considerando la natura dei reati, i tipo di devianza che indicano, la qualita' dei comportamenti, il livello di offensivita' delle condotte, la distanza temporale e il loro livello di omogeneita', l'eventuale occasionalita' della ricaduta e ogni altro possibile sintomo della personalita' del reo e del suo grado di colpevolezza (sez. U., n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, rv. 251690; sez. 6, n. 16244 del 27.02.2013, rv. 256183; Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, Rv. 274782). Nel caso di specie, i giudici di merito si sono uniformati a questi criteri perche' non si sono limitati a richiamare i precedenti, ma hanno sottolineato che, tra questi, vi e' un precedente specifico. Seconda la Corte territoriale, questo consente di ritenere che il reato per cui si procede sia "sintomatico di una rinnovata e rafforzata proclivita' verso la disobbedienza alle leggi" e, quindi, di una piu' accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosita'. I giudici di merito hanno ritenuto, pertanto, che la condotta oggetto dei procedimento, per la sua gravita' e per le frequentazioni che evidenzia, sia prosecuzione significativa di un processo delinquenziale gia' avviato di cui vi era traccia nelle precedenti condanne e una motivazione siffatta non puo' essere considerata carente o contraddittoria ne' manifestamente illogica. 21.5. E' fondata, invece, la censura relativa all'applicazione delle pene accessorie previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 85. La sentenza di primo grado, infatti, le ha applicate senza fornire alcuna motivazione sul punto salvo far riferimento (a pag, 469) ad un precedente ritiro della patente conseguente a ipotizzata violazione dell'articolo 187 C.d.S. che, tuttavia, e' solo citato. La sentenza di appello ha sostenuto che l'applicazione di queste pene accessorie e' espressione "di un potere discrezionale del giudice del merito, in alcun modo sindacabile in presenza dei presupposti di legge e di una puntuale valutazione prognostica sfavorevole effettuata dl decidente" (cosi' testualmente, pag. 21 della motivazione) sicche' la motivazione e' carente. Come gia' chiarito nel trattare un identico motivo di ricorso formulato da (OMISSIS), infatti, l'applicazione delle pene accessorie di cui si tratta e' facoltativa nell'an e nel quantum: deve essere, dunque, adeguatamente motivata. 21.6. Per quanto esposto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, limitatamente all'applicazione a (OMISSIS) delle pene accessorie previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 85. Nel resto, il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere respinto. 22. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile del solo reato di cui al capo H). Col primo e col secondo motivo, la difesa si duole dell'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato perche' fondata esclusivamente sul contenuto delle conversazioni intercettate. A questo proposito e Sufficiente richiamare la puntuale esposizione del contenuto delle intercettazioni contenuta nella sentenza di primo grado (pag. 476 e ss.) e in quella di secondo grado (pag. 24) e ricordare che "in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico n cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita'" (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv, 763719. 22.1. Col terzo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione per la mancata applicazione delle attenuanti generiche. I giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto non vi fossero elementi positivi da valorizzare in tal senso, nonostante il ruolo che (OMISSIS) rivesti' nella vicenda (faceva da "apripista" per avvertire gli altri dell'eventuale presenza lungo la strada delle forze dell'ordine). Hanno sottolineato a tal fine la gravita' del fatto (si trattava di 10 kg. di marijuana) e una condanna recente per un reato grave, anche se di indole diversa; elementi che non e' manifestamente illogico far prevalere sui compiti - non essenziali, ma neppure marginali - che furono affidati a (OMISSIS). 22.2. Col quarto motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione nella determinazione della pena, che valuta eccessiva. La pena base e' Stata determinata in anni quattro di reclusione ed 12.000,00 di multa, pari alla media edittale, che non deve essere calcolata dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato cosi' ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/7019, Del Papa, Rv 276788), LâEuroËœobbligo di motivazione e' stato dunque assolto dando conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. e facendo riferimento all'entita' del carico, costituito, come detto, da 10 Kg. di marijuana. 23. Concludendo - e tirando le fila di quanto sin qui argomentato - la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e, per l'effetto estensivo, anche nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), limitatamente alla aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3, prima parte, e, quanto a (OMISSIS), anche riguardo all'applicazione delle pene accessorie previste dall'articolo 85 Decreto del Presidente della Repubblica cit., con rinvio per nuovo giudizio su questi punti e per la complessiva determinazione del trattamento sanzionatorio, ad altra sezione della Corte di Appello di Caltanissetta. Nel resto, i ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere rigettati. La sentenza deve essere annullata, inoltre, nei confronti di (OMISSIS), limitatamente all'applicazione delle pene accessorie previste dall'articolo 85 Decreto del Presidente della Repubblica cit., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Caltanissetta. Nel resto, il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere rigettato. Il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere respinto. Ne consegue la condanna di questo ricorrente ai pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente all'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), anche riguardo alla applicazione delle pene accessorie previste dall'articolo 85 Decreto del Presidente della Repubblica cit., e rinvia per nuovo giudizio sui punti sopra indicati e per la complessiva determinazione del trattamento sanzionatorio, alla Corte di Appello di Caltanissetta, altra sezione. Rigetta nel resto i ricorsi proposti dagli imputati sopra indicati. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla applicazione delle pene accessorie previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 85 e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di Appello di Caltanissetta, altra sezione. Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS). Rigetta il ricorso proposto da (OMISSIS) e lo condanna al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. CERRONI Claudio - rel. Consigliere Dott. GAI Emanuela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 07/06/2022 della Corte di Appello di Salerno; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Claudio Cerroni; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Seccia Domenico A.R., che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' dei ricorsi; udito per il ricorrente (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso; udito per il ricorrente (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 7 giugno 2022 la Corte di Appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza del 14 febbraio 2018 del Tribunale di Vallo della Lucania resa in esito a giudizio abbreviato: 1) ha tra l'altro rideterminato in anni quattro giorni venti di reclusione ed Euro 21.000 di multa la pena inflitta a (OMISSIS) per i reati di cui agli articoli 110, 81 capoverso, 112 c.p., n. 2 e Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, nonche' di cui agli articoli 81 cpv e Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, commi 1 e 4 per fatti di detenzione e cessione di stupefacenti; 2) ha confermato in anni uno mesi otto di reclusione ed Euro quattrocento di multa la pena, sospesa, inflitta a (OMISSIS) per il reato di cui agli articoli 56 e 629 c.p. in danno di (OMISSIS); 3) ha rideterminato in anni quattro giorni venti di reclusione ed Euro 21.000 di multa la pena inflitta a (OMISSIS) per i residui reati di cui agli articoli 110, 81 cpv, 112 c.p., n. 2 e Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, nonche' di cui agli articoli 110, 81 cpv e Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, e di cui agli articoli 110, 81 cpv e Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73 per fatti di cessione di stupefacente a (OMISSIS) e a un numero indeterminato di persone. 2. Avverso la predetta decisione sono stati proposti separati ricorsi per cassazione, rispettivamente articolati su uno ( (OMISSIS), col deposito altresi' di note d'udienza), due ( (OMISSIS)), e sei ( (OMISSIS)) motivi di impugnazione. 3. Ricorso (OMISSIS). 3.1. Il ricorrente ha contestato la mancata riqualificazione della condotta a norma del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 4. In particolare, e' stato osservato che mai l'imputato si era riferito a droghe pesanti, e che facevano difetto tra l'altro riscontri di qualsivoglia genere, ivi compresi sequestri, che potessero accreditare l'uso di siffatta tipologia di stupefacenti. Al riguardo la stessa motivazione della sentenza impugnata era del tutto apodittica, anche laddove aveva inteso richiamarsi al compendio di captazione. Ne' detta motivazione era condivisibile nella parte in cui aveva osservato che atteso che il ricorrente si riforniva abitualmente dal (OMISSIS), trovato nel possesso di due grammi di cocaina - necessariamente doveva ritenersi che anche lo stesso (OMISSIS) trafficava in cocaina. Tra l'altro la ricordata quantita' di droga era del tutto compatibile anche con l'uso personale. 4. Ricorso (OMISSIS). 4.1. Col primo motivo il ricorrente, in relazione alla qualificazione del fatto, ha contestato l'ipotesi del reato estorsivo sostenendo che - pressato dagli sconosciuti venditori di stupefacente - si era limitato ad insistere con la (OMISSIS), in maniera certamente illecita con una condotta peraltro qualificabile come minaccia, affinche' pagasse cio' che altrimenti il ricorrente avrebbe dovuto corrispondere di persona ai propri fornitori. Si' che in definitiva la condotta minacciosa era stata tenuta allo scopo di evitare per se' stesso conseguenze dannose, ed al riguardo anche la (OMISSIS) si era comunque lasciata andare ad offese e minacce nei riguardi dello stesso (OMISSIS). 4.2. Col secondo motivo e' stato censurato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, tra l'altro per un fatto ormai risalente al (OMISSIS) compiuto da soggetto incensurato e tossicodipendente, ormai positivamente reinseritosi nella societa'. Tra l'altro non era stata valutata la speciale tenuita' del fatto, tenuto conto che la somma in contestazione ammontava a cento Euro. 5. Ricorso (OMISSIS). 5.1. Col primo motivo il ricorrente ha protestato la propria estraneita' ai fatti, atteso che egli non conosceva il (OMISSIS) ed i rapporti di costui col (OMISSIS). Al piu' poteva dedursi che il ricorrente, tramite il (OMISSIS), avesse acquistato per se' droga leggera, ipotesi tutte rientranti nella fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5 cit.. A fronte dell'affermazione di responsabilita', invece, la Corte territoriale non aveva inteso in realta' confutare i rilievi dell'appellante quanto - appunto - alla sua mancata conoscenza tanto del (OMISSIS) quanto dei rapporti tra quest'ultimo e (OMISSIS). Allo stesso tempo alcunche' era stato rilevato circa la mancata presenza dell'imputato a Roma, Scario e Maratea, luoghi dove lo stesso (OMISSIS) secondo i Giudici - avrebbe provveduto allo spaccio della droga nell'ambito ed in esecuzione dell'accordo criminoso. Mentre non era possibile, in carenza di elementi certi, specifici ed individualizzanti, ritenere che gli acquisti dal (OMISSIS) fossero strumentali a cessioni di stupefacente in favore di terzi, laddove al piu' si era trattato di una cessione, da parte del (OMISSIS), in favore della (OMISSIS). 5.2. Col secondo motivo e' stato osservato che non poteva rilevare ai danni del (OMISSIS) (che aveva richiesto il giudizio abbreviato proprio in ragione dell'esame del materiale presente in atti, e non aveva avuto la possibilita' di valutare ulteriori elementi, emersi addirittura solo in appello) la dichiarazione - risalente al difensore del (OMISSIS) e resa in udienza d'appello allo scopo di beneficiare delle attenuanti generiche, e quindi comunque carente di spontaneita' - con la quale sarebbe stato ammesso lo spaccio anche di droga pesante, eseguito in concorso altresi' con (OMISSIS) e (OMISSIS). In ogni caso siffatta dichiarazione - resa con le ricordate modalita' - non aveva oltretutto trovato riscontri di sorta nelle altre acquisizioni probatorie. Ne' poteva ascriversi anche al (OMISSIS) - in esito ad un inammissibile automatismo l'eventuale traffico invero riferibile al (OMISSIS). 5.3. Col terzo motivo e' stata lamentata la mera apparenza della motivazione laddove la Corte territoriale aveva inteso anzitutto attribuire al (OMISSIS) il ruolo di concorrente a pieno titolo nell'attivita' di spaccio riconducibile al (OMISSIS) e al (OMISSIS), salvo ripiegare - nell'assenza di elementi fattuali in grado di confortare siffatta tesi, che avrebbe postulato il pieno coinvolgimento del ricorrente nei traffici dei coimputati - sulla prospettazione di un mero concorso morale volto al rafforzamento dell'azione altrui. Cio' era sempre stato dedotto peraltro sulla scorta di inconsistenti elementi di fatto. In definitiva il mero acquirente di stupefacente, come il (OMISSIS), non poteva essere ritenuto concorrente nello spaccio, ancorche' in alcune occasioni lo stesso ricorrente avesse ceduto a terzi la sostanza acquistata. 5.4. Col quarto motivo il ricorrente ha censurato l'avvenuta trattazione unitaria delle ragioni di gravame in relazione invece ai singoli episodi di cui alla complessiva imputazione, quanto alla carenza di prove in ordine alla pretesa cessione di stupefacente alla (OMISSIS), ovvero in ordine al preteso accordo criminoso tra il (OMISSIS) e lo stesso (OMISSIS), mentre non sussisteva alcuna specificita' nei capi d'imputazione, si' da non consentire l'esercizio compiuto della difesa. 5.5. Col quinto motivo, in relazione alla configurabilita' dell'ipotesi di lieve entita' di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5 cit. (dal momento che - fatta eccezione per l'episodio della cessione alla (OMISSIS) - non era mai stata evidenziata qualita' e quantita' dello stupefacente ceduto), censurabili apparivano le considerazioni della Corte territoriale sulla natura delle sostanze trattate, sull'entita' delle transazioni, sui luoghi di spaccio. Era stata cosi' esclusa la fattispecie minore solamente in forza di una ritenuta, ma insufficiente, abitualita' nelle condotte, tutto cio' in contrasto anche con la specifica previsione di cui all'articolo 74, comma 6 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 cit.. Mentre faceva appunto difetto l'indicazione di qualsivoglia elemento istruttorio, dal quale evincere che il ricorrente trattasse droghe pesanti. Ne' si comprendeva siffatta sfavorevole qualificazione in relazione alla cessione alla (OMISSIS) (solamente ventidue dosi medie giornaliere di marijuana) e alla detenzione, in concorso col (OMISSIS), di una quantita' - sconosciuta - di stupefacente. 5.6. Col sesto motivo infine e' stato lamentato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, data l'esistenza di elementi favorevoli, quali l'incensuratezza, l'assenza anche di pendenze e l'assoluta modestia degli episodi di cessione ascrittigli. 7. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell'inammissibilita' dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 8. I ricorsi, fatta eccezione per l'impugnazione del (OMISSIS), sono fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati. 9. Ricorso (OMISSIS). 9.1. In relazione al complessivo motivo di censura, la Corte territoriale ha ascritto all'imputato la piu' grave ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, giustificando tale affermazione in considerazione dei rapporti tra il (OMISSIS) coimputato rinunciante in grado di appello, quanto all'an di responsabilita' - e lo stesso (OMISSIS), dei contenuti anche gergali delle conversazioni intercorse tra costoro, delle ammissioni del (OMISSIS) (cosi' tratte dalla rinuncia ai motivi di appello), dei verosimili contatti intrattenuti con (OMISSIS), soggetto trovato in possesso di due grammi di cocaina. Cio' posto, non e' piu' oggetto di impugnazione l'attivita', riconducibile in effetti al (OMISSIS), di spaccio di sostanza stupefacente. Quanto invece all'oggetto di dette forniture, il riferimento anche a droghe pesanti, per vero mai rintracciate nella disponibilita' del ricorrente, sarebbe stato cosi' colto in ragione dei termini gergali utilizzati nelle conversazioni con (OMISSIS), nonche' dell'approvvigionamento di droga dal (OMISSIS), colto nella detenzione di due grammi di cocaina. 9.1.1. Al riguardo la sentenza impugnata ha attribuito precipua rilevanza al "tradizionale linguaggio gergale" utilizzato dallo stesso ricorrente e dal (OMISSIS), soggetto rifornito dal (OMISSIS), i quali si sarebbero riferiti a quattro diverse tipologie di sostanza stupefacente ("Giovan, Susanna, Maria e Federica, ossia rispettivamente eroina, cocaina, marijuana e hashish", dove Maria, ossia la marijuana, sarebbe stata "meno brava", in quanto meno pericolosa) e al "colore scuro" di una di queste. Del pari, e' stato evocato all'uopo il "verosimile" rifornimento dal (OMISSIS), che trattava anche droga pesante atteso il rinvenimento dei due grammi di cocaina. Quanto al primo elemento, l'aspetto gergale si e' risolto allo stato in una mera petizione di principio, nel difetto di ulteriori esplicitazioni circa la natura "tradizionale" del riferimento nominativo a quattro individuate sostanze stupefacenti (cfr. Sez. 5, n. 12679 del 24/01/2007, Mercadante, Rv. 235986, quanto all'uso di termini di gergo senza particolare comune diffusione sul territorio), e alla specifica corrispondenza di ogni nome proprio con una particolare sostanza drogante. Ne' assume rilievo esemplificativo il mero riferimento, in se' del tutto generico nel difetto di qualsivoglia concreto riscontro, a sostanza "di colore scuro". In ordine poi ai rapporti del (OMISSIS) con tale (OMISSIS), soggetto estraneo al processo, la stessa sentenza accenna ad una - meramente - "verosimile" relazione di fornitura tra il secondo e il primo, aggiungendo che il secondo trattava anche cocaina, attesi i due grammi di sostanza rinvenuti. In definitiva, la Corte territoriale ha offerto chiavi di lettura in parte apodittiche, in parte generiche, in parte espressamente insicure e sostanzialmente congetturali. Per quanto poi concerne la rinuncia ai motivi di appello da parte del (OMISSIS), si tratta anzitutto di scelta processuale esclusivamente personale (cfr. Sez. 2, n. 47844 del 13/09/2019, Recca, Rv. 277684). In secondo luogo la sentenza impugnata ha evocato il principio ricavato da Sez. 1, n. 4689 del 06/02/1992, Baraldi e altri, Rv. 189869, secondo cui l'eventuale rinuncia dell'imputato, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 599 c.p.p., comma 4 (ovviamente all'epoca vigente), al motivo di appello concernente l'affermazione della responsabilita' penale, quando sia accompagnata da una spontanea e incondizionata ammissione di colpevolezza, puo' costituire, al pari di una confessione stragiudiziale, elemento probatorio suscettibile di valutazione, anche nei riflessi della posizione processuale di altri imputati (in specie era stato considerato come valido elemento di riscontro nei riguardi di uno degli imputati il fatto che altro chiamato, in identica posizione, nel rinunciare al gravame sul punto concernente la propria partecipazione ai fatti). In specie in atti vi e' invece - in tal senso - la sola dichiarazione del difensore, rinunciante per conto del (OMISSIS) ai motivi di gravame afferenti la responsabilita'. Va da se' che l'argomento non assume in ogni caso valori di decisivita', ancor piu' per le modalita' con le quali e' stata resa la dichiarazione, in tesi, auto ed eteroaccusatoria. 9.2. La sentenza nei confronti del ricorrente va pertanto annullata alla stregua delle considerazioni che precedono, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Napoli. 10. Ricorso (OMISSIS). 10.1. In relazione al primo motivo di ricorso, l'imputato ha dedotto che la condotta tenuta nei riguardi della cessionaria della sostanza stupefacente era giustificata dal fatto che, a sua volta, anch'egli era pressato dagli - sconosciuti venditori dello stupefacente, e che aveva agito in tal modo per evitare a se' conseguenze dannose. Va da se', peraltro, che se la scriminante dello stato di necessita' e' configurabile a condizione che l'agente non abbia altra scelta all'infuori di quella di subire il conseguente danno o di porre in essere l'azione che gli si imputa come reato, e sempre che tra il pregiudizio temuto e l'azione di difesa sussista un giusto rapporto di proporzione (Sez. 6, n. 24255 del 16/03/2021, Deji, Rv. 281526), in specie siffatto intervento asseritamente minaccioso da parte di temibili soggetti e' rimasto avvolto nell'indistinto. Laddove, al contrario, ben precisi risultano i contenuti del prospettato male palesato alla (OMISSIS), tale da destabilizzare - attraverso la comunicazione ai familiari della donna di stili di vita di costei e di particolari comunque scabrosi - una persona gia', verosimilmente, ricca di problemi per conto proprio. Tutto cio', tra l'altro, al fine di recuperare un credito di cento Euro proveniente da cessione di stupefacente, pertanto giammai azionabile stante l'illiceita' del negozio. 10.2. Per cio' che infine riguarda l'invocato riconoscimento delle attenuanti generiche, oggetto del secondo motivo di impugnazione, e' nozione comune che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). Infatti, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549). 10.2.1. In proposito, la Corte territoriale - tenuto conto che l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalita' del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590) - ha per un canto osservato che non sussistevano elementi di sufficiente rilevanza idonei al riconoscimento del beneficio, e per altro verso ha non illogicamente sottolineato la censurabile insistenza nella richiesta di pagamento (di credito non azionabile, v. supra) nei confronti della cessionaria. Oltre a cio', stante l'istituzionale compenetrazione motivazionale delle sentenze di merito, lo stesso primo Giudice aveva sottolineato in proposito la gravita' degli episodi e il negativo contegno processuale del ricorrente. A questo riguardo, tra l'altro, va inoltre osservato che, ai fini del riconoscimento dell'attenuante del danno di speciale tenuita' in riferimento ai reati di tentata estorsione o di tentata rapina, la valutazione deve essere complessiva, dovendo riguardare non solo la possibilita' di desumere con certezza, dalle modalita' del fatto, che, se il reato fosse stato portato a compimento, il danno patrimoniale per la vittima sarebbe stato di rilevanza minima, ma anche gli effetti dannosi conseguenti alla lesione della persona contro la quale e' stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva dei citati delitti (Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, Fanfarilli, Rv. 280173). Ed in proposito la sentenza impugnata - senza alcun contrario successivo rilievo - ha appunto osservato che la somma di cento Euro rappresentava importo tutt'altro che irrisorio, se posto in relazione ad un soggetto dipendente da sostanze psicotrope. 10.2.2. In definitiva, ed in esito a percorso argomentativo non illogico, la sentenza impugnata ha adeguatamente illustrato le ragioni ostative al riconoscimento del beneficio di cui all'articolo 62-bis c.p.. 10.3. Il ricorso va quindi complessivamente disatteso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 11. Ricorso (OMISSIS). 11.1. Il ricorso - i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente data la loro evidente connessione, fatta ovvia eccezione della censura riguardante il riconoscimento delle attenuanti generiche - coglie complessivamente nel segno, atteso che in realta' la sentenza impugnata, il cui percorso motivazionale non si confronta neppure specificamente con le doglianze somministrate con l'atto di appello, non ha fornito adeguata risposta ai quesiti cola' proposti. In particolare, a fronte delle proteste dell'imputato di estraneita' e di mancata conoscenza personale quantomeno del (OMISSIS) (si' che ben difficilmente poteva ritenersi configurabile il concorso nel reato di spaccio, ed ancor piu' specificamente nell'illecito traffico di droga pesante), la sentenza impugnata non ha comunque evidenziato alcun concreto elemento, da un canto, idoneo a dare conto di un contatto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), e, dall'altro, di un coinvolgimento del ricorrente in illeciti relativi a droghe pesanti, se non assumendo - in via del tutto astratta - che lo stesso (OMISSIS) fosse stato pienamente partecipe nella commissione degli illeciti, ovvero si fosse limitato a fornire un contributo rafforzativo del proposito criminoso dei coimputati. Ma in proposito la stessa sentenza ha offerto una possibile duplice ricostruzione fattuale, senza fornire in concreto elementi in un senso ovvero nell'altro. Al riguardo, peraltro, e' stato invero altresi' osservato che tra il venditore, o cedente, della sostanza stupefacente e l'acquirente che intenda effettuare successive vendite o cessioni illecite non ricorre un'ipotesi di concorso di persone ex articolo 110 c.p., atteso che i soggetti contraenti pongono in essere ciascuno una delle diverse ed autonome condotte monosoggettive previste dal Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73 (Sez. 2, n. 7802 del 08/10/2019, dep. 2020, Casolani, Rv. 278630). Del pari, quanto al rilievo delle ammissioni difensive del (OMISSIS) nella sede concordataria in appello, vanno richiamate le considerazioni svolte sub 9.1.. Vero e', peraltro, che la sentenza impugnata non ha altresi' preso specifica posizione sulle singole contestazioni e quindi sulle censure contenute nel gravame, quanto ai singoli residui episodi per i quali e' stata ravvisata la responsabilita' dell'imputato (cessione in Scario e Sapri a persone non identificate di un imprecisato quantitativo di stupefacente il (OMISSIS); cessione ad (OMISSIS) di otto grammi di marijuana, pari a ventidue dosi medie singole, in (OMISSIS)), laddove era stata contestata l'assenza di riferimenti di sorta alla presenza di droga pesante e altresi' - proprio nell'episodio del (OMISSIS) - era stato evidenziato il dato quantitativo assai basso, tale da ricondurre l'ipotesi alla previsione di cui all'articolo 73 cit., comma 5. Mentre, quanto all'altro episodio, la manifesta genericita' dell'imputazione e il difetto di riferimenti alla quantita' trattata avrebbe dovuto parimenti condurre di per se', in ogni caso, all'applicazione della fattispecie minore. 11.2. In definitiva la Corte territoriale - tenuto conto dei motivi d'appello, richiamati specificamente in ricorso e comunque oggetto di produzione in questa sede di legittimita' contestualmente al deposito dell'impugnazione - non ha risposto in modo adeguato alle censure avanzate, tanto in ragione della dedotta ipotesi concorsuale quanto avuto riguardo alla tipologia di stupefacente, quanto infine alla qualificazione giuridica (aspetto invero direttamente condizionato dalla soluzione delle prime due questioni). 11.2.1. Si impone pertanto l'annullamento con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Napoli anche per il (OMISSIS), assorbita essendo naturalmente in questa sede la disamina dell'ulteriore motivo di ricorso, concernente il riconoscimento delle attenuanti generiche. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Napoli. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. MASI Paolo - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. LANNA Angelo V - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/03/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di CAGLIARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LANNA ANGELO VALERIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. DI LEO GIOVANNI, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' dei ricorsi; udito l'avv. (OMISSIS) difensore delle PP.CC., che ha concluso per il rigetto del ricorso e deposita conclusioni e nota spese. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 13 gennaio 2020, la Corte di assise di Cagliari ha ritenuto (OMISSIS) responsabile dei delitti di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, articoli 4 e 7 e articolo 575 c.p., per aver cagionato la morte di (OMISSIS) e (OMISSIS), esplodendo due colpi d'arma da fuoco all'indirizzo di ciascuno di essi, mediante una pistola marca Beretta, modello 81 calibro 7.65, che portava illegalmente in luogo pubblico. La Corte di assise di Cagliari, quindi: a) ha condannato il (OMISSIS), previa unificazione dei reati ascritti sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni trenta di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in custodia cautelare; b) ha applicato all'imputato la pena accessoria dell'interdizione, in perpetuo, dai pubblici uffici; c) ne ha ordinato la sottoposizione, a pena espiata, alla misura di sicurezza della liberta' vigilata, per il periodo di anni tre. La medesima pronuncia ha ritenuto (OMISSIS) responsabile del delitto di cui all'articolo 378 c.p., perche' - quale prossimo congiunto del (OMISSIS) e pur essendo stato previamente reso edotto della facolta' di astenersi, a lui riservata - una volta ascoltato, in qualita' di persona informata sui fatti, da personale appartenente alla Squadra Mobile della Questura di Nuoro in data 22/08/2016, riferiva falsamente circostanze inerenti ai fatti omicidiari di cui sopra, in tal modo aiutando il (OMISSIS) ad eludere le investigazioni. La Corte di assise di Cagliari, quindi, ha condannato il (OMISSIS) - previa esclusione della contestata recidiva - alla pena di anni tre di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali; ha applicato nei confronti dello stesso (OMISSIS), inoltre, la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per il periodo di anni cinque. La Corte di assise ha disposto, altresi', la confisca di quanto in sequestro e la conseguente distruzione di tale materiale, con versamento dell'arma e del relativo munizionamento alla competente Direzione di Artiglieria. A carico del (OMISSIS) e' stata pronunciata, inoltre, condanna al risarcimento dei danni - da liquidarsi in separato giudizio - in favore delle costituite parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), alle quali e' stata assegnata anche una provvisionale, quantificata nell'importo di Euro 200.000,00 per la (OMISSIS) e di Euro 150.000,00 per la (OMISSIS). Il (OMISSIS), inoltre, e' stato condannato alla rifusione - in favore delle medesime parti civili - delle spese di costituzione e assistenza sostenute, liquidate in Euro 9.126,00, oltre rimborso delle spese generali al 15%, iva e cpa come per legge. 1.1. La tragica vicenda che ha dato origine all'incriminazione del (OMISSIS) si e' verificata in (OMISSIS), nel pomeriggio (OMISSIS). Ivi all'epoca risiedeva - alla via (OMISSIS) - l'anziana e allettata (OMISSIS), sorella dell'odierno imputato (OMISSIS); nell'abitazione di costei si dettero convegno, oltre che (OMISSIS) e (OMISSIS), anche (OMISSIS), moglie di quest'ultimo, (OMISSIS), madre di (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' di (OMISSIS), pure presente sul posto, e infine (OMISSIS), compagna di (OMISSIS). (OMISSIS) giunse in loco recando con se' la pistola sopra menzionata, che era stata gia' caricata con le relative munizioni. Immediatamente divampo', fra i presenti, un furibondo litigio, che vide schierati la (OMISSIS) e il (OMISSIS) da una parte e la (OMISSIS), la (OMISSIS) e la (OMISSIS) dall'altra; la discussione verteva, in particolare, sull'individuazione dei soggetti deputati ad assicurare assistenza all'anziana (OMISSIS), verosimilmente intendendo tutti secondo la ricostruzione compiuta dai giudici di merito - accaparrarsene la considerevole eredita'. La lite, pero', si accese sempre piu', fino addirittura a degenerare in una vera e propria rissa, nel corso della quale (OMISSIS) esplose tre colpi d'arma da fuoco, due dei quali vennero diretti verso il soffitto e l'altro ad altezza d'uomo; nessuno dei presenti, fortunatamente, venne attinto da tali esplosioni. Cio' fatto, l'imputato ridiscese le scale dirigendosi in strada. Si imbatte', purtroppo, in (OMISSIS) e (OMISSIS) e subito, all'indirizzo di questi ultimi, esplose altri quattro colpi di pistola, attingendo ciascuno di essi al torace ed alla schiena e uccidendoli entrambi. Da cio', l'incriminazione e la condanna, a carico di (OMISSIS), per gli omicidi delle succitate vittime e per il porto illegale di arma. 1.2. Nel corso delle indagini preliminari relative ai drammatici fatti sopra descritti, venne ascoltato (OMISSIS), genero dell'imputato (OMISSIS). Pur reso edotto della facolta' di astensione riservatagli, il (OMISSIS) riferi': a) di essersi sporto dal balcone della stanza nella quale al momento si trovava, che affaccia sulla Via (OMISSIS), al fine di rassicurarsi circa il fatto che il suocero si allontanasse, dirigendosi verso casa; b) di aver avuto modo di vedere, pertanto, (OMISSIS) e i suoi fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali stazionavano tutti dinanzi all'ingresso dell'abitazione; c) di aver potuto scorgere parte del viso di (OMISSIS), cosi' avvedendosi del fatto che (OMISSIS) sferrava a questi un pugno; d) di aver udito, subito dopo, dei forti rumori e lo sbattere di una porta; e) di essersi precipitato giu' per le scale e di aver avuto modo di vedere, quindi, come al piano terra (per la precisione, nei pressi del primo pianerottolo della scala), vi fosse il suocero rannicchiato e quasi in ginocchio, con la schiena appoggiata alla porta di una cantina, mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) lo malmenavano e lo strattonavano; f) di esser giunto sul pianerottolo e di aver tentato di convincere i due fratelli a desistere dall'azione aggressiva realizzata nei confronti del (OMISSIS); g) di aver sentito, infine, dei colpi d'arma da fuoco, che venivano esplosi in rapida successione. 2. La Corte di assise di appello di Cagliari, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia di primo grado, condannando (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle ulteriori spese processuali, oltre che - il solo (OMISSIS) - alla rifusione delle spese sostenute, nel grado di giudizio, dalle parti civili costituite (OMISSIS) e (OMISSIS), quantificate tali spese in complessivi Euro 1.531,00, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge. 3. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. (OMISSIS), deducendo tre motivi, che vengono di seguito brevemente riassunti, entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, a norma dell'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3.1. Con il primo motivo, viene denunciato il vizio rilevante ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), per violazione ed erronea applicazione degli articoli 42, 52, 55, 575 e 589 c.p., in relazione all'articolo 192 c.p.p., nonche' mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Il ricorrente si duole della mancata configurazione delle condotte perpetrate, quali espressione di eccesso colposo in legittima difesa. In particolare, deduce la difesa che, nei motivi d'appello, erano stati censurati i seguenti profili: - errata valorizzazione delle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS), dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) e, in conseguenza, inesatta ricostruzione della vicenda sulla base, soprattutto, della narrazione resa dalla (OMISSIS), cosa che aveva condotto i primi giudici ad escludere che (OMISSIS) avesse agito al solo scopo di difendersi dall'aggressione condotta, in suo danno, dai fratelli (OMISSIS); - errata conclusione della Corte di assise, nella parte in cui riteneva che il ricorrente avesse volontariamente cagionato il pericolo, conducendo immotivatamente l'arma con se' (l'imputato, infatti, aveva esposto il fine lecito che lo aveva determinato ad avere con se' la pistola; non era previsto, del resto, che egli dovesse incontrare tanto le persone che assistevano la sorella, quanto i fratelli (OMISSIS)); - errata conclusione della Corte di assise, laddove riteneva che la colluttazione verificatasi all'interno dell'abitazione fosse del tutto scollegata, rispetto a quanto accaduto in seguito. Il ricorrente riassume, poi, nel modo seguente le risposte offerte, dalla Corte di assise di appello di Cagliari, a tali punti di critica: - la tematica circa l'attendibilita' delle propalazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe stata posta dalla difesa in maniera generica; - la rissa non assumeva rilievo alcuno, in ordine a quanto verificatosi in seguito; - il possesso della pistola, lungi dal costituire una mera dimenticanza da parte di (OMISSIS), era una tipica espressione del fatto che questi - ben conscio dei pregressi contrasti esistenti. con coloro che prestavano assistenza alla sorella e ne frequentavano, per tale ragione, l'abitazione - avesse, in realta', previsto e accettato il rischio di incontrare tali persone e di iniziare poi, con esse, una lite dalle conseguenze prevedibilmente drammatiche; - la legittima difesa non era configurabile, posto che tale esimente postula la non volontaria causazione del pericolo, ad opera di chi la invoca; - l'aver attinto le vittime alle spalle rendeva impensabile che l'imputato stesse subendo una aggressione, ad opera proprio di queste; anzi, tale dinamica - sebbene contestualizzata in un evolversi concitato e subitaneo degli eventi rende conto dell'esistenza di una chiara intenzione omicidiaria, che sorreggeva l'azione dell'imputato; - tutti i colpi esplosi erano dotati della medesima micidialita', nonche' attitudine a cagionare la morte delle vittime, cosa che rendeva impossibile pensare sia che il (OMISSIS) si trovasse a fronteggiare la necessita' di difendersi da un pericolo attuale, sia che fosse individuabile una effettiva proporzione, fra offesa e difesa. 3.2. Tanto premesso, sostiene il ricorrente l'illogicita' dell'affermazione della Corte territoriale, laddove sostiene che le propalazioni rese dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) non siano necessarie, nell'economia della compiuta ricostruzione oggettiva dei fatti. Trattandosi di fonti dichiarative indagate e/o imputate per delitti connessi, sarebbe stato necessario, al contrario, approfondire adeguatamente il tema attinente alla loro attendibilita', oltre che reperire riscontri esterni individualizzanti, a carico del (OMISSIS). Si duole il ricorrente, quindi, del fatto che i giudici di secondo grado abbiano escluso la fondatezza e rilevanza di tale questione. Erra, poi, la Corte di assise di appello laddove - muovendo dall'assunto che il (OMISSIS) si sia recato sul posto, essendo consapevole del possesso della pistola esclude la configurabilita' della legittima difesa, in ragione della volontaria causazione del pericolo, da parte dell'imputato che la invoca. Cio' in quanto, se era pure prevedibile per il (OMISSIS) che egli potesse incontrare - all'interno dell'abitazione della sorella - la (OMISSIS) o altra persona, fra quelle che alla prima prestavano abitualmente assistenza, non era certamente prevedibile, per l'imputato stesso, che egli potesse cola' imbattersi proprio nei fratelli (OMISSIS). Due persone, queste ultime, che non erano certamente aduse frequentare l'abitazione di (OMISSIS). E' illogica la sentenza, nella parte in cui esclude la configurabilita' della legittima difesa, anche nella declinazione dell'eccesso colposo, traendo tale conclusione dall'esser stati esplosi alcuni dei colpi alle spalle delle vittime (circostanza che dovrebbe manifestare l'assenza di una aggressione in danno del soggetto che sparava). Secondo la difesa, infatti, i colpi esplosi alle spalle furono cronologicamente successivi, rispetto ai gia' letali colpi indirizzati al torace delle vittime. Manca, peraltro, la sentenza impugnata di considerare - ai fini della possibile configurabilita' dell'esimente in parola - l'eta' avanzata dell'imputato e la situazione di forte carica emotiva, nella quale al momento questi sicuramente versava, in ragione della colluttazione da poco verificatasi, in conseguenza di dissidi incentrati sulle modalita' di cura dell'anziana sorella. 3.3. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ed erronea applicazione degli articoli 62-bis e 133 c.p., oltre che mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e). Quanto al trattamento sanzionatorio, il ricorrente aveva rappresentato come il primo giudice avesse ritenuto la natura occasionale del fatto; di contro, aveva valorizzato il porto dell'arma. Lamenta la difesa, allora, non esser stato adeguatamente considerato il fatto che - dato l'orario nel quale si collocano i fatti, in cui non avrebbero dovuto esser presenti, in casa di (OMISSIS), la (OMISSIS) e la (OMISSIS) - il porto dell'arma non potesse essere ricollegato, in via immediata, alla sicura volonta' di adoperare l'arma stessa. Il tutto rappresentava, invece, il tragico epilogo di un impulso estemporaneo. Sarebbe mancata, insomma, da parte della Corte di assise di appello, una idonea comparazione della sanzione inflitta, rispetto all'effettiva intensita' dello stato volitivo del reo. Con riferimento al tema delle circostanze attenuanti generiche, la difesa aveva rappresentato come non sussistesse una reale intenzione offensiva, in capo al soggetto agente, apparendo la condotta fortemente connessa, piuttosto, alla accesa colluttazione da poco verificatasi. L'anziano (OMISSIS), del resto, si era trovato a dover contrastare due persone ben piu' giovani di lui; queste gli incutevano un forte timore, gia' solo per questo motivo e la sola loro presenza, inevitabilmente, non poteva che stimolare, nell'animo dell'imputato, una immediata e profonda risposta emotiva. 3.4. Dopo aver riassunto le argomentazioni spese dalla Corte di assise di appello per disattendere tali censure, il ricorrente ha lamentato: - che la sentenza impugnata abbia quasi "rivisitato" la chiara natura occasionale della tragica vicenda, arrivando sostanzialmente a delinearla, quasi, secondo la falsariga di una larvata forma di premeditazione; - che la Corte territoriale abbia mancato di considerare in modo consono la scaturigine dei contrasti esistenti tra il (OMISSIS) e le persone che si prendevano cura della sorella, nonche' le correlate conseguenze emotive, comprensibilmente connesse a tale incresciosa situazione; - che la Corte stessa abbia in realta' - in maniera quasi pleonastica - valorizzato, in via esclusiva, la gravita' del fatto, cosi' finendo per incorrere in una motivazione solo apparente. 3.5. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione ed erronea applicazione degli articoli 81 e 133 c.p., nonche' mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e). La difesa si duole dell'entita' dei singoli aumenti di pena, operati a titolo di continuazione dal primo giudice e confermati in secondo grado. Ritenuto piu' grave il fatto sub 3), ossia l'omicidio di (OMISSIS), l'aumento sanzionatorio effettuato in relazione all'omicidio di (OMISSIS), ascritto al capo 2) della rubrica, si paleserebbe incongruo, in quanto non correlato all'essere tale fatto ulteriore privo di una preventiva ideazione, per essere esso, anzi, frutto di una condizione di alta emotivita' momentanea. Parimenti, l'aumento operato in ordine al delitto in materia di armi non tiene conto del fatto che il (OMISSIS) non fece immediatamente uso della pistola, cosi' come manca di considerare la casualita' della presenza di molte persone sul posto. L'entita' della pena fissata a titolo di aumento per continuazione per il delitto ascritto sub 2), peraltro, non collima con l'aver reputato piu' grave il reato sub 1): stabilire un aumento per continuazione pari a quindici anni di reclusione, infatti, confligge con il fatto che sussista una differenza, fra i due fatti omicidiari, in punto di gravita'. Con riferimento al reato in materia di armi, del resto, e' stata in sostanza riconosciuta una pena corrispondente al massimo edittale. 4. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. (OMISSIS), deducendo tre motivi, che vengono di seguiti riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai ei sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 4.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ed erronea applicazione dell'articolo 378 c.p., in relazione agli articoli 192 e 533 c.p.p., nonche' mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e). Erano state formulate, con l'atto d'appello, due doglianze specifiche. La prima era incentrata sul fatto che quanto riferito dal (OMISSIS), in ordine al pugno sferrato al (OMISSIS) da (OMISSIS), combaciasse con la narrazione resa dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), per cui non se ne potesse ritenere certa la matrice mendace. Nemmeno in ordine all'affermazione proveniente dal ricorrente, circa il fatto che il (OMISSIS) fosse stato aggredito e percosso dai fratelli (OMISSIS), poteva reputarsi raggiunta la prova del mendacio, atteso che tale assunto aveva ricevuto conferma dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS). La sentenza impugnata non avrebbe risposto a tali interrogativi, lasciando residuare il dubbio circa la natura effettivamente menzognera delle dichiarazioni rese dal ricorrente. La difesa, inoltre, censura il fatto che la sentenza impugnata tragga il convincimento, in ordine alla falsita' delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS), attraverso la valorizzazione dell'interesse del (OMISSIS) ad accreditare la tesi della legittima difesa (in assenza di prova, pero', in ordine alla preventiva pianificazione, tra i due, di tale versione). Ed anzi, la prova dell'assenza di un comune ordito narrativo si ricava proprio dalla evidente distonia, esistente nelle ricostruzioni fornite dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS). La natura fortemente dinamica dei concitati eventi, inoltre, ben potrebbe aver condotto il (OMISSIS) - dopo un primo incontro con i (OMISSIS) - a raggiungere il portone d'ingresso, cosi' divenendo visibile per il (OMISSIS). La difesa, poi, evidenzia come anche la (OMISSIS) abbia affermato essersi verificata una colluttazione fra il (OMISSIS) e i fratelli (OMISSIS). Mancherebbe, insomma, una struttura motivazionale atta ad attribuire lo stigma della fallacia alle affermazioni rese dal (OMISSIS), relativamente al fatto che il (OMISSIS) sia stato fatto oggetto di un tentativo di percosse ad opera dei fratelli (OMISSIS). Illogico sarebbe l'assunto fatto proprio nella sentenza impugnata, laddove essa ritiene di poter escludere la verificazione di una colluttazione, fra l'imputato e le vittime, attraverso la valorizzazione del certificato medico inerente al (OMISSIS), da cui non emergono lesioni compatibili con la ricostruzione resa dal (OMISSIS). Quest'ultimo infatti - stante la natura convulsa degli accadimenti - non avrebbe certamente potuto percepire l'esatta portata delle condotte che i (OMISSIS) stavano ponendo in essere, al fine di bloccare il (OMISSIS). Oggetto del giudizio, del resto, non e' quanto effettivamente accaduto in danno dell'imputato, bensi' se il (OMISSIS) abbia percepito - e poi fedelmente riportato - quanto da lui effettivamente visto, nonche' se abbia inteso rendere una ricostruzione mendace finalizzata ad agevolare il congiunto. Sostiene inoltre la difesa la inconfigurabilita', nel caso di specie, del reato di cui all'articolo 378 c.p.: le dichiarazioni offerte dal ricorrente non avrebbero mai, in alcun modo, potuto intralciare le investigazioni a carico del (OMISSIS). Non veniva negata, in effetti, la stretta materialita' dell'accadimento (sarebbe a dire, il fatto oggettivo che l'imputato avesse sparato alle vittime), ma si propugnava una versione in qualche modo edulcorata e "smussata", volta ad attenuare, in pratica, l'intensita' dell'elemento psicologico che sorreggeva l'azione. 4.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ed erronea applicazione degli articoli 62-bis e 133 c.p., nonche' mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)). Il trattamento sanzionatorio non tiene in debita considerazione la diminuita intensita' del dolo, espressione di profondo patimento interiore. Si era auspicato, peraltro, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in ragione dello stato di sostanziale incensuratezza nella quale versava il soggetto, nonche' dell'inadeguatezza della sua condotta a scagionare il (OMISSIS). Viene contestato da parte del ricorrente, quindi, l'aver valorizzato la Corte di assise di appello - a fronte delle deduzioni difensive - esclusivamente il dato oggettivo, rappresentato dalla gravita' del fatto, sminuendo invece il fatto che il (OMISSIS) non avesse, in realta', negato l'esplosione dei colpi mortali ad opera del (OMISSIS). 4.3. Con il terzo motivo, si deduce il vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per violazione dell'articolo 384 c.p., in relazione all'articolo 378 c.p.. Si invoca l'applicazione della causa di non punibilita' ex articolo 384 c.p., sottolineandosi l'applicabilita' dell'istituto anche a colui che abbia posto in essere una condotta di favoreggiamento personale, al fine di evitare una accusa penale a carico di un congiunto. Si sostiene, poi, la inapplicabilita' al caso di specie del principio secondo cui la causa di non punibilita' suddetta non opererebbe, in presenza di un testimone che abbia deposto il falso, benche' avvisato della facolta' di astenersi. 4. Il Procuratore generale ha concluso per la inammissibilita' dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi contengono deduzioni in gran parte infondate. Merita accoglimento, infatti, esclusivamente la doglianza formulata nell'interesse di (OMISSIS), in ordine alla pena in continuazione irrogata in relazione al reato contestato sub 1); in relazione a tale motivo di ricorso, verra' disposto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, dovendosi disattendere ogni ulteriore motivo. 2. Con il primo motivo di ricorso, la difesa di (OMISSIS) censura il mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa, prospettando una ricostruzione del fatto profondamente difforme, rispetto a quella accolta nelle sentenze di merito. Giova ricordare, allora, come la scriminante della legittima difesa si incentri sui due poli dell'aggressione ingiusta e della reazione legittima. Presupposto perche' il soggetto possa legittimamente difendersi e', dunque, l'ingiustizia dell'aggressione, che e' tale se non jure, ossia arrecata al di fuori di qualsiasi norma che la imponga o autorizzi. L'aggressione e' ingiusta anche quando l'offesa ingiustificata, volontaria o incolpevole, non si sia tradotta in una concreta lesione, ma ne sussista un pericolo attuale. Di contro, la reazione e' legittima allorche' concorrano la necessita' di difendersi, ossia l'impossibilita' di sottrarsi al pericolo senza offendere l'aggressore, la inevitabilita' altrimenti dell'offesa, ossia l'impossibilita' del soggetto di difendersi con un'offesa meno grave di quella arrecata, la proporzione tra difesa e offesa, che sussiste allorquando il male inflitto all'aggressore e' inferiore, uguale o tollerabilmente superiore al male subito o minacciato. 2.1 Nel caso in esame, non ricorre alcuno dei requisiti essenziali della scriminante. Secondo quanto correttamente esposto nelle concordi ricostruzioni operate dai giudici di merito, manca - in primo luogo - una offesa ingiusta perpetrata in danno di (OMISSIS). Stando alla ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento nel merito, infatti, l'imputato aggredi' proditoriamente e improvvisamente i fratelli (OMISSIS), dai quali non aveva precedentemente subito alcuna aggressione e che, addirittura, non erano presenti alla prima fase dei tragici eventi, ossia quella culminata nella colluttazione e nell'esplosione di colpi d'arma da fuoco ad opera dell'imputato. La Corte di assise di appello ha anche chiarito - esibendo una adeguata motivazione, nonche' seguendo un percorso concettuale lineare e coerente - come risultino carenti, comunque, sia il requisito della proporzione dei mezzi usati, sia quello dell'inevitabilita' della difesa, stante il pericolo attuale di una lesione dei beni giuridici della vita e dell'integrita' fisica. Infatti, il requisito della necessita' della difesa deve essere inteso nel senso che la reazione debba essere - nelle circostanze della vicenda, apprezzate ex ante ed in base ad un giudizio di tipo qualitativo e relativistico - l'unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa, ma egualmente idonea alla tutela del bene giuridico esposto al pericolo. Il ricorso della difesa non si confronta, quindi, con un elemento del fatto che appare fondamentale e dirimente, ai fini del disconoscimento della scriminante; trattasi di un dato pacificamente accertato e ben sottolineato dai Giudici del merito: l'imputato non era, nel momento in cui esplose i colpi d'arma da fuoco all'indirizzo delle vittime, aggredito, da queste o da altri, in alcun modo. Il fatto che abbia esploso alcuni dei colpi di pistola alle spalle delle vittime, del resto, rende plasticamente conto di come non vi fosse in atto alcuna aggressione ai suoi danni. Non riconoscendo la "inevitabile necessita' di difendersi", il giudice di appello mostra di saper fare buon governo dei canoni della logica giuridica, in quanto sviluppa argomentazioni convincenti, che giustificano coerentemente la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. La Corte di Assise d'Appello non si limita, in sostanza, a scartare l'ipotesi di un eccesso colposo in legittima difesa; esclude anche che, nel caso di specie, ricorresse una condotta colposa, atteso che l'atto volontario dell'agente era diretto a ferire o, alternativamente, ad uccidere. Sotto quest'ulteriore profilo, dunque, la motivazione della sentenza impugnata risulta solida, logica e completa. 3. Il secondo motivo sviluppato nell'interesse di (OMISSIS) attiene all'applicazione degli articoli 62-bis e 133 c.p.. Trattasi di censura tendente a sottoporre a questa Corte valutazioni squisitamente attinenti al merito, ad essa sottratte, e che si limita a reiterare, in realta', profili gia' dedotti in fase di gravame, gia' presi in considerazione e gia' disattesi dai Giudici di merito. Questi hanno adottato, del resto, una motivazione - che il Collegio stima congrua, puntuale e pienamente rispondente ai canoni della logica - che e' incentrata sul fatto che il (OMISSIS) abbia accettato il rischio di incontrare i componenti della famiglia (OMISSIS), oltre che sulla circostanza che egli - lungi dall'aver ammesso le proprie responsabilita' - abbia invocato, invece, l'esimente della legittima difesa. Tale motivazione - sebbene si risolva nell'adozione di moduli espressivi di carattere sintetico - appare del tutto esaustiva e sufficiente, in linea peraltro con il costante insegnamento di legittimita' (Sez. 4, n. 54966 del 20/09/2017, Romagnoli, Rv. 271524 - 01). E' noto, del resto, il principio di diritto secondo il quale: "In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato)" (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01). Il motivo di ricorso, quindi, e' da disattendere. 4. Non esaustiva, invece, e' la motivazione adottata dai Giudici di merito, a fondamento della quantificazione degli aumenti di pena, oggetto del terzo motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). La difesa, nell'atto di appello, aveva censurato l'entita' degli aumenti per continuazione operati in primo grado; in particolare, aveva stigmatizzato l'entita' dell'aumento operato dalla Corte di assise, in relazione al delitto di cui alla L. n. 895 del 1967, articoli 4 e 7, contestato sub 1) della rubrica, lamentando esservi stata una quantificazione spropositata (in primo grado era stato operato, infatti, un aumento per il reato di porto illegale di arma, che era stato fissato in anni cinque di reclusione, rispetto alla pena base indicata per l'omicidio di (OMISSIS)). Alla pagina numero dodici della sentenza impugnata, viene effettivamente affrontato il tema relativo al motivo di appello attinente all'aumento sanzionatorio. La Corte di assise di appello, pero', si sofferma esclusivamente sull'aumento computato dal Tribunale in relazione al secondo omicidio, correttamente motivando su tale profilo e, quindi, offrendo una precisa risposta alla doglianza difensiva. Non vi e' menzione alcuna, al contrario, in ordine alla questione concernente l'aumento, operato dalla Corte di assise, in relazione al reato in materia di armi. La Corte cagliaritana - a fronte di una specifica richiesta formulata, da parte dell'imputato, nell'atto di gravame - ha omesso, pertanto, di esaminare tale rilevante profilo del gravame e, consequenzialmente, di adottare qualsiasi statuizione in merito, senza compiere alcun riferimento, pur embrionale, in ordine alla meritevolezza o meno della doglianza. Rimane precluso, quindi, ogni possibile riscontro circa l'avvenuta valutazione, da parte del giudice, della richiesta ritualmente proposta. Puo' ricordarsi, sul punto specifico, il principio di diritto costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimita', secondo la quale sussiste il vizio di carenza motivazionale, rilevante a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), quando vi sia un difetto grafico della stessa ed anche nel caso in cui le argomentazioni addotte dal giudice, a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento, appaiano incomplete se raffrontate a doglianze specifiche proposte in punto di gravame e che appaiano dotate del requisito della decisivita' (Sez. 6, n. 35918 del 17/06/2009, Greco, Rv. 244763). Nel caso di specie, vi e' stato un mancato esame, in ordine ad un motivo specificamente dedotto e di decisivo rilievo ai fini della commisurazione dell'entita' della pena finale irrogata. 5. Con il primo motivo formulato nell'interesse di (OMISSIS), viene denunciata mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. La doglianza e' inammissibile, atteso che essa mira, sostanzialmente, ad ottenere una nuova ponderazione in fatto, da parte del giudice di legittimita'. 5.1. Occorre osservare, in via preliminare, che la difesa - pur evocando cumulativamente vizi della motivazione - in realta' ha auspicato una nuova lettura delle prove acquisite in dibattimento. Deve allora essere ricordato che e' inibita alla Corte di cassazione la possibilita' di procedere ad una nuova valutazione delle risultanze acquisite, in conflitto con quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una differente ricostruzione storica dei fatti, oppure all'esito di un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilita' delle fonti di prova (Sez.3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Barraglia, Rv. 275100-01; Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, Colomberotto, Rv. 271702-01). Devono stigmatizzarsi, quindi, come inammissibili - nell'ambito del giudizio di cassazione - tutte quelle doglianze che afferiscano a vizi non coincidenti con la mancanza di motivazione, con la sua manifesta illogicita', con la sua contraddittorieta' (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo. Ne deriva l'inammissibilita' delle censure che incidano sui temi della persuasivita', dell'inadeguatezza, della mancanza di rigore o di puntualita', nonche' sul profilo stesso della illogicita', allorquando non manifesta, cosi' come le doglianze che invocano uni differente raffronto delle valenze dimostrative attribuite agli elementi presenti in atti o evidenziano determinate ragioni in fatto, al fine di pervenire a difformi lumi in punto di attendibilita', dato che cio' costituirebbe una non consentita ingerenza nelle valutazioni di fatto riservate al merito (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021 Caradonna, Rv. 280747 - 01). 5.2. Nella concreta fattispecie, la Corte di assise di appello ha puntualmente analizzato le risultanze dell'istruttoria dibattimentale; all'esito ha confermato, adottando una motivazione accurata e persuasiva, la ricorrenza di un quadro probatorio di univoca significazione a carico del (OMISSIS). Ha sul punto, in primo luogo, enunciato l'inutilita' del ricorso alle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS), stimandole confuse, tardive e non combacianti neppure con quanto riferito dallo stesso (OMISSIS); cio' in quanto la (OMISSIS) colloca il (OMISSIS) - al momento dell'incontro con i fratelli (OMISSIS) - addirittura oltre l'uscio. La Corte territoriale ha risposto, inoltre, al preciso quesito posto dalla difesa in sede di gravame, attinente all'impossibilita' di ritenere formata la prova del mendacio nelle affermazioni rese dal (OMISSIS) - in ordine al fatto che il (OMISSIS) fosse stato aggredito e percosso dai fratelli (OMISSIS) - in quanto tra l'altro collimanti anche con la versione offerta da (OMISSIS). La sentenza impugnata, sul punto, ha ben chiarito la lettura data alle dichiarazioni della (OMISSIS), laddove affermava che le vittime trattenevano il (OMISSIS) al solo fine di impedirgli di andar via, senza pero' che lo stessero malmenando. Pare al Collegio, quindi, che la Corte d'assise d'appello abbia pienamente risposto agli interrogativi posti dalla difesa, rendendo una motivazione coerente, logica e del tutto soddisfacente e, pertanto, del tutto immune da possibili rilievi in questa sede. La Corte territoriale, del resto, ha apprestato adeguata risposta anche per quanto attiene alla invocata inconfigurabilita', nel caso di specie, del reato di cui all'articolo 378 c.p. Sosteneva la difesa, infatti, che le affermazioni rese dal (OMISSIS) non rivestissero specifica attitudine ad arrecare nocumento alle investigazioni. Cio' in quanto l'imputato - lungi dal negare l'oggettivita' di quanto accaduto - aveva circoscritto il mendacio al delineare una versione solo edulcorata, in ordine alle responsabilita' riconducibili al (OMISSIS). Ma, del tutto correttamente, la Corte cagliaritana ha ricordato come il modello legale di cui all'articolo 378 c.p. sia strutturato alla stregua di reato di pericolo, la cui attitudine ad apportare inquinamento alle indagini deve essere valutata con criterio ex ante e non ex post. 6. Il secondo motivo e' parimenti inammissibile, incentrandosi esso su una critica al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio. La motivazione resa dalla Corte di assise d'appello, anche sul punto specifico, appare lineare e convincente. Possono peraltro mutuarsi le considerazioni in diritto gia' esposte con riferimento ad analogo motivo prospettato nell'interesse di (OMISSIS). 7. Con l'ultimo motivo si lamenta violazione dell'articolo 384 c.p., in relazione all'articolo 378 c.p., auspicandosi l'applicazione, relativamente alle dichiarazioni rese da (OMISSIS), della causa di non punibilita' ex articolo 384 c.p. La difesa sottolinea, sul punto, l'applicabilita' dell'istituto anche a colui che abbia posto in essere una condotta di favoreggiamento personale al fine di evitare una accusa penale a carico di un congiunto. Si sostiene, infine, non essere operativa la regola, in base alla quale la causa di non punibilita' di cui sopra non possa trovare applicazione laddove un testimone abbia deposto il falso, sebbene fosse stato previamente avvisato di potersi avvalere della facolta' di astenersi. 7.1. Pacifico, perche' scolpito nella lettera della disposizione codicistica di cui all'articolo 384 c.p., e' il fatto che - in tema di favoreggiamento personale possa applicarsi la causa di non punibilita', de qua, al soggetto che abbia commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessita' di salvare se' stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento alla liberta' personale o all'onore. Tale causa di non punibilita' opera, parimenti, nelle ipotesi in cui il soggetto abbia agito per evitare la formulazione di un'accusa penale a carico del congiunto (Sez. 3, n. 45444 del 25/06/2014, Maccioni, Rv. 260744). 7.2. L'articolo 384 c.p., comma 2, sancisce, poi, l'esclusione della punibilita' per i reati di cui agli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373 c.p., allorquando il fatto sia commesso ad opera di chi, per legge, non avrebbe dovuto esser richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini, ne' avrebbe potuto assumere la veste di teste, perito, consulente tecnico o interprete, ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o, comunque, a rispondere, o, da ultimo, avrebbe dovuto essere avvisato della facolta' di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione. Corte Cost., sent. n. 416 del 1996 ha dichiarato la illegittimita' costituzionale di tale articolo, nella parte in cui non estende la non punibilita' per false o reticenti informazioni, rese alla polizia giudiziaria da parte di chi avrebbe dovuto essere avvisato della facolta' di astenersi dal renderle, in virtu' dell'articolo 199 c.p.p.. Corte Cost., sent. n. 75 del 2009 ha dichiarato la illegittimita' costituzionale di tale articolo, nella parte in cui non esclude la punibilita' per false o reticenti informazioni, rese alla polizia giudiziaria da parte di chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle, o comunque a rispondere, per aver assunto la veste di persona indagata per reato probatoriamente collegato - ai sensi dell'articolo 371 c.p.p., comma 2, lettera b), - a quello posto in essere da altri soggetti, alle cui posizioni le dichiarazioni attengono. 7.3. L'esimente di cui all'articolo 384 c.p. presenta la veste di causa di esclusione della colpevolezza, piuttosto che dell'antigiuridicita' della condotta; cio' in quanto essa e' correlata alla peculiare condizione soggettiva, nella quale versa il soggetto attivo e che e' tale da far divenire non esigibile, da parte sua, una condotta conforme alle norme (Sez. 5, n. 18110 del 12/03/2018, Esposito, Rv. 273181). 7.4. Tanto chiarito, al solo fine di delineare il quadro sistematico di riferimento, il primo profilo da evidenziare - come correttamente prospettato dalla difesa - attiene, allora, alla questione inerente alla deducibilita' e rilevabilita' d'ufficio, anche in sede di legittimita', della sussistenza dell'esimente ex articolo 384 c.p.. Sul punto, e' possibile stabilire un ancoraggio sicuro, in quanto, secondo la giurisprudenza di legittimita', tale questione puo' esser dedotta per la prima volta dinanzi alla Corte di cassazione; essa, altresi', e' rilevabile d'ufficio, vertendo su profilo rilevante a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 1 e articolo 609 c.p.p., comma 2, (Sez. 5, n. 9806 del 11/02/2021, Darpetti, Rv. 280577 - 01). 7.5. Occorre richiamare, poi, il dictum delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui: "In tema di falsa testimonianza, la causa di esclusione della punibilita' prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessita' di salvare se' o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella liberta' o nell'onore non opera nell'ipotesi in cui il testimone abbia deposto il falso pur essendo stato avvertito della facolta' di astenersi" (Sez. U, n. 7208 del 29/11/2007 Genovese Rv. 238383 - 01). Stando alla tesi propugnata dal ricorrente, dunque, tale decisione del massimo consesso di legittimita' - proprio in quanto dettata con esclusivo riferimento all'articolo 372 c.p., quindi alla diversa situazione in cui viene a trovarsi il testimone - non potrebbe essere applicata al diverso caso del modello legale ex articolo 378 c.p.. Cio' dovrebbe rendere praticamente sempre applicabile - in ipotesi difensiva - l'esimente, di cui all'articolo 384 c.p., comma 1, all'autore del reato di favoreggiamento personale, anche laddove egli sia stato previamente avvisato della facolta' di astenersi, in presenza del coinvolgimento di un prossimo congiunto. 7.6. Si devono brevemente richiamare, quindi, la conformazione strutturale e la ratio dell'esimente dettata dalla norma in esame. Trattasi di una causa di non punibilita', che e' effettivamente strutturata sulla falsariga dell'esimente dello stato di necessita', di cui rappresenta ipotesi speciale. Stando al dato testuale della norma di cui all'articolo 54 c.p. e conformemente ai principi generali in materia, la scriminante dello stato di necessita' non puo' essere invocata, ad opera di chi abbia volontariamente cagionato lo stato di pericolo, che costituisce antecedente fattuale e logico dell'esimente stessa. Ai fini della configurabilita' dell'esimente dello stato di necessita' (articolo 54 c.p.), il pericolo che ne costituisce il presupposto non deve essere cagionato dal soggetto che compie l'azione necessitata. Tale situazione di pericolo, quindi, deve essere indipendente dalla volonta' dell'agente, con la conseguenza che quest'ultimo non deve avere volontariamente o colposamente determinato la situazione pericolosa. La scriminante dello stato di necessita', in definitiva, puo' essere invocata esclusivamente da chi si trovi in una situazione tale, da non avere alternativa, fra il subire il danno connesso ad essa ed il realizzare la condotta che gli si imputa quale reato; a patto, sempre, che il pericolo non sia stato oggetto di volontaria causazione da parte del soggetto agente e che, tra il pregiudizio temuto e l'azione di difesa, sussista un corretto rapporto di proporzionalita' (Sez. 5, n. 16012 del 23/03/2005, Carone, Rv. 232143; Sez. 2, n. 19714 del 14/04/2015, Moccardi, Rv. 263533; Sez. 3, n. 40270 del 16/07/2015, Filip, Rv. 265039; Sez. 1, n. 53386 del 14/06/2018, Martucci, Rv. 274541; Sez. 6, n. 24255 del 16/03/2021, Deji Gift, Rv. 281526; Sez. 1, n. 47712 del 29/09/2022, Termine, Rv. 283785). 7.7. Quanto alla morfologia dogmatica dell'esimente dettata dall'articolo 384 c.p., comma 1, occorre rifarsi ai criteri fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno precisato trattarsi di una causa di non punibilita' a carattere soggettivo (il riferimento e' a S.U., n. 10381 del 26/11/2020, Fialova, Rv. 280574). Viene esclusa, infatti, la punibilita', in ragione della particolare condizione soggettiva nella quale si viene a trovare, chi ha posto in essere condotte conformi ai paradigmi normativi indicati dalla norma stessa, in ragione della vigenza della sussistenza di vincoli solidaristici di carattere familiare. Nonostante la evidente somiglianza con il sopra richiamato istituto dello stato di necessita', la disposizione normativa in esame gode, pero', di una autonoma regolamentazione. Il perimetro dogmatico entro il quale si colloca tale scusante soggettiva comporta, infatti, che non abbia rilievo l'individuazione del soggetto al quale ricondurre la fonte della situazione di pericolo, cosi' come avulso resta, rispetto all'istituto in esame, il tema della proporzionalita'. Nel caso dell'articolo 384 c.p., comma 1, dunque, il soggetto attivo realizza un fatto che presenta intonse le connotazioni dell'antigiuridicita', agendo anche con dolo ed essendo ben conscio di violare la legge, ma l'ordinamento si astiene dal muovergli un rimprovero, risultando la sua condotta mossa dalla presenza di circostanze particolari - piu' in particolare, essendo stata realizzata in presenza di legami affettivi - che hanno influito sulla sua volonta', circostanza che rende inesigibile il comportamento alternativo (Sez. 5, n. 18110 del 12/03/2018, Esposito, Rv.273181; Sez. 6, n. 34543 del 23/05/2019, Germino, non mass.; Sez. 6, n. 15327 del 14/02/2019, Quaranta, Rv. 275320; Sez. 6, n. 51910 del 29/11/2019, Buonaiuto, Rv. 278062; Sez. 6, n. 34777 del 23/09/2020, Nitti, Rv. 280148; Sez. 1, n. 11855 del 03/07/1980, Mastini, Rv. 146627; Sez. 6, 25/10/1989, Milioto; Sez. 6, 10/02/1997, Puzone). Tale lettura della norma si rinviene anche in Sez. U, n. 7208 del 29/11/2007, dep. 2008, Genovese, nella cui motivazione puo' leggersi che "coglie certamente nel segno quell'orientamento della giurisprudenza di legittimita' (ad es., Sez. 6, n. 44761 del 04/10/2001, Mariotti, Rv. 220326) che afferma, concordemente con la dottrina, che l'articolo 384 c.p. trova la sua giustificazione nell'istinto alla conservazione della propria liberta' e del proprio onore (nemo tenetur se detegere) e nell'esigenza di tener conto, agli stessi fini, dei vincoli di solidarieta' "familiare" in senso lato, essendo l'intenzione del legislatore quella di riconoscere prevalenti e quindi tutelare i motivi di ordine affettivo". In definitiva, l'esimente in questione si pone come manifestazione di un principio che ha carattere immanente, all'interno del sistema penale, ossia quello della "inesigibilita'" di una condotta conforme a diritto, al ricorrere di situazioni peculiari, capaci di esercitare una forte pressione sulla motivazione dell'agente, influenzandone la liberta' di autodeterminazione. 7.8. Pare anche utile precisare come, nella lettera dell'articolo 384 c.p., comma 2, non vi sia un espresso rinvio all'imputazione ex articolo 378 c.p., non risultando tale ultimo modello legale richiamato dal dettato normativo. Gli interventi della corte costituzionale sopra menzionati, relativamente all'articolo 384 c.p., comma 2, hanno comportato, pero', l'estensione dell'esimente alle false o reticenti informazioni rese alla polizia giudiziaria - da parte di chi avrebbe dovuto essere informato della facolta' di astenersi dal renderle ex articolo 199 c.p.p. - che possono integrare favoreggiamento personale dichiarativo (Corte Cost. sentenza n. 416 del 1996; Sez. U, n. 7208 del 29/11/2007 Genovese Rv. 238383 - 01, sopra menzionata, in motivazione a pag. 11). Cio' sul rilievo dell'identita' di condotte materiali - mendacio o reticenza - tra il delitto di false informazioni al pubblico ministero e quello di favoreggiamento dichiarativo di cui sopra, nonche' della sostanziale omogeneita' del bene protetto, che consiste nella funzionalita' di ciascuna fase del procedimento rispetto agli scopi propri, nei quali le esigenze investigative (agli inizi del procedimento) e quelle della ricerca della verita' (nella fase finale del processo) si sommano. In giurisprudenza, infatti, si e' specificato quanto segue: " Il convivente "more uxorio" non e' punibile ai sensi dell'articolo 384 c.p., comma 2 per il reato di favoreggiamento personale commesso mediante false o reticenti dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria senza essere stato previamente informato, ai sensi dell'articolo 199 c.p.p., della facolta' di astenersi dal rilasciarle" (Sez. 5, n. 40912 del 30/05/2012, Giubaldo, Rv. 253358). 7.9. Il principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite, nella sentenza Genovese (sopra richiamata al punto n. 7.5.), riguarda, quindi, anche il soggetto che abbia posto in essere una condotta conforme al modello legale ex articolo 378 c.p., ponendosi in una condizione deteriore, ossia operando la scelta di non avvalersi della facolta' di astenersi dal rendere qualsivoglia dichiarazione, pur avendo ricevuto il relativo avviso. Relativamente alla commissione della fattispecie delittuosa di cui all'articolo 378 c.p., dunque, assume comunque rilievo la circostanza che sia stato dato - o meno - avviso della facolta' di astensione e che il soggetto chiamato a deporre abbia deciso, eventualmente, di non avvalersi della relativa facolta'. 7.9. Giova dar conto, del resto, anche di un orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimita', che puo' riassumersi nella impossibilita' di invocare la scusante soggettiva in argomento, da parte di chi assuma di aver commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessita' di salvare se' medesimo o un prossimo congiunto, allorquando la situazione di pericolo sia stata da lui volontariamente causata (Sez. 6, n. 10654 del 20/02/2009, Ranieri, Rv. 243076). 7.10. Il punto nodale del tema, pero', non e' costituito tanto dalla possibilita', o meno, di invocare l'applicazione della causa di non punibilita' in argomento da parte del soggetto che si sia reso autore del reato di favoreggiamento personale dichiarativo, pur in costanza di avviso della facolta' di astensione. Indipendentemente dal permanere di tale applicabilita', pur dopo l'avviso sopra detto, sussiste il tema della configurabilita' stessa dell'esimente. Logico corollario della struttura concettuale delineata con riferimento a tale istituto e', infatti, che il comportamento astrattamente illecito si debba presentare, in relazione alle circostanze oggettive del caso concreto, quale unica opzione atta a scongiurare pregiudizi in capo al soggetto attivo o a congiunti. Non leggere la norma secondo questa prospettiva cagionerebbe, infatti, una non ammissibile tensione sistematica dell'ordinamento. Se non esistesse tale sostanziale impraticabilita' di scelte alternative, la condotta difforme e lecita diverrebbe immediatamente esigibile - ed anzi, addirittura imposta - da parte dell'ordinamento, conformemente al fatto che il modello medio di diligenza preteso dalla legge (quindi, la tipologia comportamentale che segna il confine della non rimproverabilita' dell'individuo) e' parametrato su quello del c.d. "agente modello". Nella giurisprudenza di legittimita', il principio e' affermato da Sez. 6, n. 34777 del 23/09/2020, Nitti, Rv. 280148, a mente della quale: "In tema di favoreggiamento personale, l'articolo 384 c.p. integra una causa di esclusione della colpevolezza e non di esclusione della antigiuridicita' della condotta, sicche' opera solo nel caso in cui, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, valutate secondo il parametro della massima diligenza esigibile, si presenti all'agente come l'unica in grado di evitare all'agente un grave pregiudizio per la liberta' o per l'onore proprio o altrui". In forza di tale principio, non puo' che pervenirsi ad una conclusione obbligata: nel caso di specie, l'applicabilita' dell'articolo 384 c.p. (come detto, scusante a carattere soggettivo incidente sul profilo della colpevolezza) deve reputarsi esclusele in radice. Sara' bastevole pensare che, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, il (OMISSIS) venne ascoltato una prima volta in data 11/08/2016 e si avvalse della facolta' di non rispondere; decise di rendere le mendaci dichiarazioni incriminate solo il 22/08/2016 (cosi' nella sentenza di primo grado, a pag. 17). Sarebbe a dire che il (OMISSIS) si risolse a rendere le nuove dichiarazioni idonee ad arrecare vantaggio all'allora indagato dopo un lungo ripensamento, in un tempo ben successivo ai fatti, quando la linea difensiva prescelta dal soggetto aiutato appariva gia' delineata, nonche' allorquando le indagini a carico di (OMISSIS) erano gia' in avanzato svolgimento. Da cio' deriva l'impossibilita' di ritenere che tali dichiarazioni avessero un carattere necessitato, secondo la connotazione postulata dalla norma, ne' che una eventuale condotta difforme - da parte del (OMISSIS) - fosse veramente inesigibile. 8. Alla luce delle considerazioni che precedono, merita accoglimento esclusivamente il terzo motivo di ricorso formulato nell'interesse di (OMISSIS). Dalla riscontrata carenza motivazionale derivavano, infatti, il parziale accoglimento del ricorso della sentenza impugnata e il rinvio, per nuovo giudizio limitatamente a tale aspetto, ad altra sezione della Corte di assise di appello di Cagliari. Devono essere disattesi gli altri motivi di ricorso dedotti nell'interesse del (OMISSIS). La pronuncia di condanna a carico di questi, quindi, puo' essere dichiarata irrevocabile con riferimento ai reati ascritti sub 2) e sub 3) della rubrica. E' possibile, infatti, rifarsi all'insegnamento di Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020 Gialluisi, Rv. 280261, secondo cui: " In caso di annullamento parziale di una sentenza di condanna in relazione ad uno o piu' capi per i quali sia stata ravvisata la continuazione con quello, o con quelli, che, ai sensi dell'articolo 624 c.p.p., hanno acquistato autorita' di cosa giudicata, la pena inflitta in relazione al capo, o ai capi, divenuti irrevocabili puo' essere posta in esecuzione solo a condizione che in esso sia stato irrevocabilmente individuato il reato piu' grave, anche in relazione alle circostanze, e la pena stessa presenti i caratteri della completezza, essendo insuscettibile di modifiche nel giudizio di rinvio, e della certezza, in quanto individuabile sulla base delle sentenze rese nel giudizio di cognizione e non attraverso ragionamenti ipotetici"; la medesima pronuncia ha poi enunciato il seguente principio di diritto: "In caso di annullamento parziale della sentenza di condanna, ai sensi dell'articolo 624 c.p.p., e' eseguibile la pena principale irrogata in relazione ad un capo (o a piu' capi), non in connessione essenziale con quelli attinti dall'annullamento, per il quale abbiano acquistato autorita' di cosa giudicata i punti relativi all'affermazione di responsabilita', anche in relazione alle circostanze del reato, ed alla determinazione della pena principale, individuata alla stregua delle sentenze pronunciate in sede di cognizione ed immodificabile nel giudizio di rinvio". Integralmente da disattendere e', invece, il ricorso formulato nell'interesse di (OMISSIS), che, ex lege, verra' anche condannato al pagamento delle spese processuali. 9. A carico di (OMISSIS) dovra' pronunciarsi, altresi', condanna alla rifusione delle spese sostenute, nel presente giudizio, dalle parti civili costituite (OMISSIS) a (OMISSIS). Tali spese vengono liquidate nella somma complessiva di Euro 4.550,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla pena in continuazione per il reato di cui al capo 1) e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di assise di appello di Cagliari. Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS) e dichiara irrevocabile nei suoi confronti la sentenza impugnata in relazione ai reati di cui ai capi 2) e 3). Condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4550,00, oltre accessori di legge. Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. D'AURIA Donato - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/11/2021 della CORTE di APPELLO di BARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FABIO DI PISA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. COCOMELLO ASSUNTA, che ha concluso chiedendo rigettarsi i ricorsi; udito gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), i quali hanno concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Bari, con sentenza in data 17/11/2021, in parziale riforma della sentenza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Bari, all'esito di giudizio abbreviato, in data 22/12/2020, confermava l'affermazione della penale responsabilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione al reato di tentata estorsione aggravata ai sensi dell'articolo 416 bis.1 c.p. di cui al capo 3) dell'imputazione e del solo (OMISSIS) anche per il reato di cui al capo 4) (L. n. 110 del 1975, articolo 4) e, riconosciuta ai predetti l'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 rideterminava il trattamento sanzionatorio a loro carico; confermava, poi, la condanna alla pena ritenuta di giustizia nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione ai reati di tentata estorsione aggravata ai sensi dell'articolo 416 bis.1 c.p. rispettivamente ascritti nonche' la condanna nei confronti di (OMISSIS) relativamente al menzionato reato di cui al capo 3). 2. Contro detta pronuncia propongono ricorsi per cassazione tutti i suindicati imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. 2.1. (OMISSIS) formula due motivi. Con il primo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), vizio di motivazione in relazione alla ritenuta configurabilita' dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.. Assume che i giudici di appello, sul punto, aveva adottato una motivazione gravemente carente e lacunosa non facendo corretta applicazione dei principi di diritto fissati dalla Suprema Corte quanto alla sussistenza dei presupposti integranti detta aggravante sub specie del c.d. metodo mafioso". Rileva che, nel caso in questione, secondo quanto desumibile dalle complessive emergenze processuali, l'imputato aveva inteso fornire solamente un aiuto di natura personale ad un parente e la condotta in esame risultava del tutto disancorata da logiche mafiose. Con il secondo motivo lamenta, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'esclusione dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6. Osserva che, del tutto immotivatamente, la Corte di appello non aveva adeguatamente valutato la circostanza che l'imputato si era adoperato spontaneamente per risarcire il danno cagionato alla persona offesa mediante offerta reale, sia pure rifiutata dalla stessa. Rileva che la Corte di appello aveva omesso di pronunziarsi sulla richiesta di riconoscimento della seconda ipotesi di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 applicabile in favore del soggetto adoperatosi, dopo la commissione del reato, per elidere le conseguenze dannose o pericolose riferibili al bene tutelato dalla norma incriminatrice, diverse da quelle patrimoniali contemplate dalla prima parte della norma citata. 2.2. (OMISSIS) propone cinque motivi. Con il primo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in relazione alla ritenuta configurabilita' dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.. Lamenta che i giudici di merito non avevano considerato che difettavano gli elementi per ritenere integrato il metodo mafioso posto che nessuno dei coimputati faceva parte del sodalizio noto come "societa' foggiana", come confermato dal collaboratore di giustizia (OMISSIS) e che risultava evidente che le presunte pressioni erano state poste in essere senza avvalersi della forza di intimidazione di un vincolo associativo di natura mafiosa. Rileva che le argomentazioni della Corte territoriale si ponevano in contrasto con i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimita' in materia e che i giudici di appello avevano omesso di considerare che la medesima vittima conosceva uno degli estorsori il (OMISSIS), cognato del mafioso (OMISSIS), ma non aveva ritenuto ne' questi ne' gli altri estorsori quali soggetti vicini a compagini mafiose, assumendo, altresi', che del tutto erronea era la ricostruzione dei giudici di merito che aveva collegato la tentata estorsione aggravata in questione con la precedente condotta estorsiva presuntivamente operata dal predetto (OMISSIS). Con il secondo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in relazione alla ritenuta configurabilita' dell'aggravante delle piu' persone riunite di cui all'articolo 628 c.p., comma 2. Osserva che ai fini della configurabilita' di detta aggravante e' necessaria la presenza di almeno tre soggetti e che la Corte di merito non aveva considerato che alla presenza contestuale del ricorrente e del (OMISSIS) non aveva fatto seguito una contestuale e cumulativa condotta qualificabile come minaccia. Con il terzo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) violazione di legge in relazione alla esclusione dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6. Assume che detta attenuante andava riconosciuta posto che la persona offesa non aveva espressamente rifiutato l'offerta reale di Euro 1.000,00, da ritenere pienamente satisfattiva. Con il quarto motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione anche per travisamento della prova in relazione all'esclusione dell'attenuante ex articolo 114 c.p.. Rileva che la Corte di appello, omettendo di esaminare gli specifici motivi di appello, non aveva considerato che il contributo del ricorrente nella vicenda in esame era stato di minima importanza. Con il quinto motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al complessivo trattamento sanzionatorio. Evidenzia che la Corte di appello, valutate tutte le circostanze del caso concreto e gli elementi di cui all'articolo 133 c.p., avrebbe potuto mitigare il trattamento sanzionatorio. 2.3. (OMISSIS) formula i seguenti motivi. Con il primo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'intervenuta minima riduzione della pena per effetto del riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6. Osserva che i giudici di appello, senza alcuna motivazione e senza nemmeno adottare alcuna clausola di stile, avevano ridotto irragionevolmente la pena in misura minima pari ad 1/5. Con il secondo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al disconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4. Rileva che del tutto ingiustificatamente e con motivazione contraddittoria era stata esclusa detta attenuante nonostante il valore irrisorio della richiesta pari ad Euro 200,00. 2.4. (OMISSIS) propone i seguenti motivi. Con i primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi, deduce inosservanza o erronea applicazione di legge penale per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione del divieto di reformatio in peius. Osserva che sebbene, la Corte di appello aveva in concreto ridotto la pena complessiva, in assenza di appello del P.M., violando il principio del devoluto e con motivazione contraddittoria, pur a fronte del riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 n. 6 c.p., aveva aumentato la pena base per effetto del riconoscimento dell'aggravante del metodo mafioso nella misura massima della meta' mentre il primo giudice aveva aggravato la pena base nella misura di 1/3. Con il quinto ed il sesto motivo, fra loro connessi, deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) vizio di motivazione in relazione all'intervenuta riduzione della pena per effetto del riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6. Osserva che i giudici di appello, senza alcuna motivazione e senza tenere conto della riduzione operata dal primo giudice quanto alle concesse attenuanti generiche nella misura massima di un terzo, irragionevolmente aveva ridotto la pena in misura minima. 2.5. (OMISSIS), con un unico motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), vizio di motivazione ordine all'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato quanto al reato di estorsione aggravata contestato. Lamenta che la Corte di merito, nel ritenere comprovata la condotta addebitata non aveva preso in esame le specifiche censure formulate con le quali era stato dedotto che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) erano del tutto generiche quanto alla pozione del ricorrente e che non era dato comprendere come lo stesso avesse potuto partecipare alle attivita' estorsive in questione in ragione del suo stato detentivo. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Osserva questa Corte che avendo taluni dei ricorrenti sollevato motivi di censura comuni appare opportuno procedere preliminarmente alla disamina congiunta di tali censure. 2. "L'aggravante del c.d. metodo mafioso". 2.1. Va premesso che questa Corte ha osservato che il Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 convertito in L. 12 giugno 1991, n. 203 (oggi articolo 416-bis.1. c.p.), configura due ipotesi di circostanze aggravanti: la prima - che ricorre nel caso di specie - riguarda il reato commesso da colui che - appartenente o meno all'associazione di cui all'articolo 416-bis c.p. - si avvale del c.d. "metodo mafioso", per la cui sussistenza non e' necessaria la prova dell'esistenza dell'associazione criminosa, essendo, invece, sufficiente l'aver ingenerato nella vittima la consapevolezza che l'agente appartenga a tale associazione; la seconda, al contrario, postulando che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l'attivita' di un'associazione mafiosa, implica necessariamente l'esistenza reale - e non semplicemente supposta - di essa, richiedendo, pertanto, anche la prova della oggettiva finalizzazione dell'azione a favorire l'associazione medesima (Sez. 2, n. 49090 del 04/12/2015, Maccariello, Rv. 265515-01). La ratio legis sottesa alla prima ipotesi risiede, dunque, nella evidente finalita' di contrastare in maniera piu' decisa l'atteggiamento di quei soggetti che, stante la loro maggiore pericolosita' e proclivita' a delinquere, partecipi o non partecipi di un'associazione criminosa, utilizzino "metodi mafiosi", ossia si comportino "da mafiosi" oppure ostentino, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sulla vittima quella particolare coartazione e pressione psicologica, nonche' quel particolare effetto intimidatorio proprio delle organizzazioni in questione. Occorre rilevare che ai fini della sussistenza dell'aggravante e' sufficiente che l'associazione, in quanto evocata dall'agente, pur rimanendo sullo sfondo, spinga la vittima a piegarsi, solo in apparenza "spontaneamente", al volere dell'aggressore e ad abbandonare ogni velleita' di resistenza o difesa per timore di ritorsioni o, comunque, di piu' gravi conseguenze. Difatti, l'aver ingenerato nella persona offesa la consapevolezza che l'agente appartenga ad un'associazione mafiosa - sia questa esistente o meno (Sez. 2, n. 49090/2015, cit.) - o che agisca su suo mandato (Sez. 1, n. 22629 del 05/03/2004, Sessa, Rv. 228195) e' alla base del peculiare stato di soggezione, omerta' e vulnerabilita', che facilitano l'esecuzione del reato, rendendone piu' difficoltosa la repressione, e che lasciano la vittima inerme di fronte alla forza prevaricatrice e sopraffattrice dell'associazione medesima. Va detto, pervero, che la consolidata giurisprudenza della Corte Suprema riconosce che l'aggravante anzidetta ricorre nel delitto di estorsione se in esso si riscontra che la condotta minacciosa, oltre ad essere obiettivamente idonea a coartare la volonta' del soggetto passivo, sia espressione di capacita' persuasiva, in ragione del vincolo dell'associazione mafiosa, e sia, pertanto, idonea a determinare una condizione d'assoggettamento e d'omerta' (Sez. 2, n. 10467 del 10.2.2016, Letizia Rv. 266654; Sez. 5, sent. n. 28442 del 17/04/2009, Russo ed altri Rv. 244333). 2.2. Orbene, risulta evidente che la sentenza impugnata abbia fatto buon governo dei principi di diritto sin qui evocati, senza incorrere in alcun vizio di motivazione sul punto. Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito le richieste estorsive nei confronti della persona offesa, (OMISSIS), si ricollegavano ad una precedente pretesa estorsiva di tale (OMISSIS) jr. (soggetto vicino all'organizzazione di stampo mafioso facente parte della c.d. "societa' foggiana", denunziato in precedenza dal medesimo (OMISSIS) e detenuto in carcere all'epoca dei fatti) ed alle esigenze di quest' ultimo (che la vittima sapeva essere in carcere), secondo un sistema tipicamente mafioso quanto alla richiesta di somme di denaro in favore di soggetti detenuti, proveniente da un gruppo del quale facevano parte individui, due dei quali (il (OMISSIS) ed il (OMISSIS)) congiunti del predetto (OMISSIS), soggetto malavitoso noto alla vittima. I giudici di appello hanno posto l'accento sulle modalita' degli atti intimidatori posti in essere di giorno dai coimputati i quali, dopo avere raggiunto la vittima nel suo negozio con il pretesto di acquistare della merce, avevano provveduto a fermarlo per strada, facendolo scendere dal mezzo con cui viaggiava e chiedendogli di lasciare il suo cellulare, pure evidenziando il grave stato di prostrazione della vittima che, originariamente, non aveva denunziato l'occorso, salvo, poi, farlo non appena convocato dalle forze dell'ordine venute a conoscenza dei fatti. Non si puo', quindi, affatto sostenere, come fanno i ricorrenti, la carente, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla sussistenza dell'aggravante contestata ex 416-bis.1 c.p., avendo i giudici di merito, ai fini della affermazione della sussistenza di tale circostanza, adeguatamente valutato il contesto ambientale in cui sono maturate le richieste di denaro in contestazione, rilevando come le medesime modalita' del fatto (la richiesta di denaro in favore di un malavitoso noto e temuto nel contesto foggiano con la spendita del nome dello stesso nel segno che bisognava "sistemare la questione di (OMISSIS)") non potevano che deporre per la consapevolezza in capo a chi chiedeva le somme di agire in un contesto di intimidazione riferibile ad esponenti mafiosi. Ne' assume rilievo il fatto che l'esistenza dell'organizzazione criminale non sia stata esplicitamente menzionata nel contesto delle richieste estorsive, in quanto il mezzo di coartazione della volonta' facente ricorso al vincolo mafioso, e alla connessa condizione di assoggettamento, puo' esprimersi in forma indiretta, o anche per implicito. 2.3. Per quanto concerne le specifiche censure formulate da (OMISSIS) il quale ha, in primo luogo, dedotto di essere del tutto estraneo a compagini mafiose va osservato che tale dato non inficia in alcun modo il ragionamento dei giudici di merito posto che, secondo consolidata giurisprudenza della Corte Suprema, "la circostanza aggravante del cosiddetto metodo mafioso e' configurabile anche a carico di soggetto che non faccia parte di un'associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilita' del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto" (Sez. 2, n. 38094 del 05/06/2013, De Paola, Rv. 257065). Parimenti non coglie nel segno la tesi secondo cui mancavano modalita' concrete per connotare la condotta in questione quale espressiva del metodo mafioso dal momento che il (OMISSIS) non aveva in alcun modo ceduto alla pretesa estorsiva ma aveva collaborato con la P.G. fornendo i dettagli richiesti: ai fini della configurazione dell'aggravante de qua non e', invero, necessario che l'autore del reato riesca poi effettivamente a coartare la volonta' della persona offesa, giacche' la capacita' soverchiante della condotta aggressiva evocativa del sodalizio criminoso deve essere valutata ex ante come astrattamente idonea ad incidere maggiormente sulla liberta' di autodeterminazione della vittima (Cass. Sez. 1 del 6 marzo 2009, n. 14951, Izzo, Rv. 243731). Risulta, infine, evidente che l'affermazione del predetto ricorrente secondo cui: " la condotta del presente procedimento.... appare teleologicamente protesa a fornire un aiuto di natura squisitamente personale ad un parente apparendo nitidamente disancorata da logiche di cooperativismo ed associazionismo mafioso" rappresenta un mero tentativo di una ricostruzione alternativa delle complessive emergenze processuali, preclusa in sede di legittimita'. 2.4. In ordine alle censure proposte da (OMISSIS) va osservato che il ricorso prova a contrastare la concludenza dei dati probatori, adducendone il travisamento con specifico riferimento alle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) - che aveva escluso che gli imputati facevano parte della "societa' foggiana" - ed alla omessa valutazione del fatto che il (OMISSIS), all'epoca dei fatti, non risultava partecipe ad alcuna associazione criminale e che, in ogni caso, la precedente estorsione a lui riferibile era stata contestata quale estorsione semplice. Occorre, tuttavia, tenere presente che, per la configurabilita' del vizio di travisamento della prova, e' necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformita' tra il senso intrinseco del dato probatorio (dichiarazione, conversazione intercettata, documento e cosi' via) e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del relativo significato probatorio (tra molte, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702). Nello specifico, un siffatto sovvertimento del significato di quei risultati probatori non e' in alcun modo ravvisabile: i giudici di merito, nel ritenere chiaramente non significative le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, hanno correttamente "contestualizzato" la condotta in questione collegata ad un soggetto noto malavitoso, ritenendo irrilevante la circostanza che i coimputati non fossero soggetti mafiosi, in tal modo facendo corretta applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati. Il dato secondo cui al (OMISSIS) in precedenza era stata contestata la estorsione semplice non inficia, poi, in alcun modo il ragionamento dei giudici di merito: la Corte di appello ha valorizzato il fatto che la richiesta di denaro in questione fosse consapevolmente legata alle esigenze di (OMISSIS) jr, ristretto in carcere, soggetto vicino all'organizzazione mafiosa in ragione dei suoi legami familiari con (OMISSIS) "suo avo", capo della batteria (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) e (OMISSIS), suo padre, all'epoca dei fatti all'epoca dei fatti "reggente" del sodalizio. Le censure formulate, a fronte di una congrua motivazione giudiziale, devono, quindi ritenersi del tutto infondate, sovente inquadrabili in una mera valutazione di merito preclusa nel giudizio di legittimita'. 3. "L'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6". 3.1. Va premesso che l'articolo 62 c.p., n. 6 configura una attenuante condizionata al fatto che il colpevole prima del giudizio abbia riparato interamente il danno mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni. Trattasi di una attenuante di natura squisitamente soggettiva, che trova la sua causa giustificatrice non tanto nel soddisfacimento degli interessi economici della persona offesa, quanto nel rilievo che l'avvenuto risarcimento del danno anteriormente al giudizio assume quale prova tangibile dell'avvenuto ravvedimento del reo e quindi della sua minore pericolosita' sociale. Ma perche' il ravvedimento del reo possa essere ritenuto, e quindi perche' l'attenuante possa trovare applicazione, occorre che il risarcimento del danno sia totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro soltanto parziale, avvenuto attraverso la sola restituzione della refurtiva, non accompagnata anche dal risarcimento del danno dalla stessa subito. (Fattispecie relativa a diniego dell'attenuante per il mancato risarcimento integrale dei danni, essendo risultato che il motorino aveva riportato danni per 70/80.000 lire). (Sez. 2, Sentenza n. 1096 del 07/01/1993, Rv. 193505). In particolare e' stato osservato che, ai fini della configurabilita' della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che puo' anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa. (In motivazione la Corte ha evidenziato che l'attenuante, di natura soggettiva, trovando la sua causa giustificatrice non tanto nel soddisfacimento degli interessi economici della persona offesa quanto nel rilievo che il risarcimento del danno prima del giudizio rappresenta una prova tangibile dell'avvenuto ravvedimento del reo e, quindi, della sua minore pericolosita' sociale, deve essere totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro soltanto parziale). (Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019 - dep. 19/12/2019, C, Rv. 27836802). E' stato, altresi', precisato che ai fini del riconoscimento dell'attenuante della integrale riparazione del danno, prevista dall'articolo 62 c.p., n. 6, il risarcimento deve intervenire prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. (In motivazione, la Corte ha osservato che l'attenuante presuppone una dimostrazione di spontaneo ravvedimento, non condizionata dall'andamento del dibattimento). (Sez. 3, n. 18937 del 19/01/2016 - dep. 06/05/2016, 5, Rv. 26657901). 3.2. Nella fattispecie in esame i giudici di merito hanno chiarito, con congrue argomentazioni, le ragioni per le quali l'offerta di Euro 1.000,00 degli imputati non poteva in alcun modo ritenersi congrua (v. f. 21). A parte ogni questione circa la tempestivita' della relativa istanza va osservato che gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) si sono limitati a chiederne l'applicazione della circostanza attenuante in questione senza, tuttavia, allegare alcunche' in ordine alla tempestivita' ed integralita' del risarcimento, carenze che appaiono, peraltro, ravvisabili anche in questa sede (essendosi entrambi i ricorrenti limitati ad affermazioni di principio di carattere generale), con conseguente manifesta infondatezza della suddetta comune censura. 3.3. Occorre, infine, precisate che la circostanza attenuante comune del "ravvedimento attivo" (articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, seconda ipotesi), concernente l'elisione o l'attenuazione delle conseguenze del reato, non e' applicabile ai reati contro il patrimonio per i quali l'attenuazione della pena esige l'integrale risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale da parte dell'imputato. (Sez. 5, Sentenza n. 45646 del 26/10/2010, Rv. 249144 01). Vertendosi in ipotesi di reato contro il patrimonio non coglie, quindi, in alcun modo la censura formulata dal (OMISSIS) il quale ha lamentato che la Corte di appello aveva omesso di pronunziarsi sulla richiesta di riconoscimento della seconda ipotesi di cui all'articolo 62 c.p., n. 6. 4. Sulla scorta delle considerazioni che precedono va, quindi, dichiarata l'inammissibilita' del ricorso di (OMISSIS) il quale ha formulato solamente motivi come sopra indicati, mentre in ordine agli ulteriori ricorsi va osservato quanto segue. 5. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 5.1. Il primo ed il terzo motivo del ricorso sono da ritenere manifestamente infondati per le ragioni gia' indicate ai §§. 2-3. 5.2. Il secondo motivo, relativo alla configurabilita' dell'aggravante delle piu' persone riunite, e' manifestamente infondato. Premesso che, per giurisprudenza pacifica ai fini della configurabilita' di detta aggravante e' sufficiente la presenza di due soggetti, non coglie in alcun modo nel segno la tesi di parte ricorrente secondo cui nel caso in esame detta aggravante non poteva, comunque, essere riconosciuta perche' "alla presenza contestuale di entrambi gli imputati non ha fatto seguito una contestuale e cumulativa condotta qualificabile come minaccia". Invero ricorre l'aggravante delle piu' persone riunite - circostanza che potenzia l'efficacia dell'azione criminosa - in caso di simultanea presenza di almeno due compartecipi nel luogo e nel momento del fatto, non essendo invece necessario che gli stessi pongano in essere contestualmente il medesimo segmento della condotta tipica. (vedi Sez. 2 -, Sentenza n. 8324 del 04/02/2022, Rv. 282785 - 01). 5.4. Il quarto motivo, riguardante il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 114 c.p., e' manifestamente infondato. La motivazione non appare ne' carente ne' gravemente illogica ne' contraddittoria nella parte in cui ha disatteso la censura oggi reiterata rilevando che il (OMISSIS), lungi dal fornire un contributo di minima importanza, aveva concorso a pieno titolo nell'azione criminosa de qua intervenendo reiteratamente con le richieste estorsive. 5.5. L'ultimo motivo con il quale l'imputato ha denunziato, violazione di legge e vizio di motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio non calibrato in modo adeguato in relazione alla funzione rieducativa della pena, e' generico, aspecifico e, comunque, manifestamente infondato. In ordine alla graduazione della pena va ribadito che il relativo potere rientra nella discrezionalita' del giudice di merito che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ipotesi non verificatasi nella fattispecie in esame. 6. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 6.1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. Va osservato che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale. (Sez. 2, Sentenza n. 36104 del 27/04/2017 Rv. 271243). Alla luce dei cennati principi non appare censurabile la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello, riconosciuta la suddetta attenuante, senza procedere alla massima riduzione ha stabilito la pena in misura, comunque, contenuta tenuto conto della gravita' del fatto contestato. 6.2. Il secondo motivo e', anch' esso, manifestamente infondato. La Corte di merito, nel negare il riconoscimento della attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4 ha rilevato come la richiesta di denaro riguardava un rateo di Euro 200,00 mensile "ad libitum" sicche' era da ritenere tutt' altro che irrisoria, richiamando, altresi', il principio per cui l'attenuante del danno di speciale tenuita' non e' configurabile in riferimento al delitto di estorsione, di natura plurioffensiva, quando, seppur derivato dalle azioni violente o minacciose un pregiudizio patrimoniale di modesto valore economico, lo stesso sia accompagnato pero' da rilevanti conseguenze sulla liberta' e integrita' fisica e morale della vittima. (Sez. 2 -, Sentenza n. 46504 del 13/09/2018, Rv. 274080 - 01), con la precisazione che nel caso in esame risultava comprovato il grave stato di ansia della vittima e la grave privazione della liberta' morale subita dalla stessa. 7. Il ricorso di (OMISSIS) puo' trovare accoglimento nei limiti appresso specificati. 7.1. Osserva questa Corte che appare fondata la censura relativa alla sussistenza di una reformatio in pejus in violazione del disposto di cui articolo 597 c.p.p., comma 3. L'imputato lamenta che sebbene i giudici di appello avevano, in concreto, ridotto la pena complessiva irrogata in primo grado, tuttavia in assenza di appello del P.M., gli stessi, violando il principio del devoluto e con motivazione contraddittoria, pur a fronte del riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 avevano aumentato la pena base per effetto del riconoscimento dell'aggravante del metodo mafioso nella misura massima della meta' mentre il primo giudice aveva aggravato la pena base nella misura di 1/3. 7.2. Occorre richiamare il principio di diritto secondo cui nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall'imputato non riguarda solo l'entita' complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l'effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (articolo 597 c.p.p., comma 4), non puo' fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado. (Sez. U, Sentenza n. 40910 del 27/09/2005, Rv. 232066 - 01. Si e', correttamente, affermato che il divieto della "reformatio in peius" in appello riguarda non soltanto il risultato finale, ma anche tutti gli elementi del calcolo della pena, sicche', in caso di accoglimento dell'appello dell'imputato in ordine alle circostanze o al concorso di reati, discende non solo l'obbligatoria diminuzione della pena complessiva, ma anche l'impossibilita' di elevare la pena comminata per singoli elementi. (Sez. 5, Sentenza n. 14991 del 12/01/2012, Rv. 252326 - 01. La Corte di appello, quindi, nel procedere al ricalcolo della pena doveva muovere dalla pena base come stabilita dal primo giudice, applicando in ragione dell'aggravate del metodo mafioso l'aumento nella disposta misura di 1/3 e non gia' della meta': conseguentemente sul punto la sentenza deve essere annullata con rinvio. 7.3. Richiamati i principi di cui al § 6.1. va rilevata, infine, la manifesta infondatezza delle censure relative alla riduzione della pena per effetto della concessione dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6. 8. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 8.1. Occorre ricordare che il sindacato di legittimita' non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensi' la verifica della struttura logica del provvedimento e non puo' quindi estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. Ne', la Suprema Corte puo' trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato puo' essere sottoposto al controllo del giudice di legittimita', al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, CIAVARELLA, Rv. 241214). In tema di sindacato del vizio di motivazione non e' certo compito del giudice di legittimita' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito ne' quello di "rileggere" gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione e' compito esclusivo del giudice di merito: quando, come nella specie, l'obbligo di motivazione e' stato esaustivamente soddisfatto dal giudice di merito, con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall'istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico- giuridico, degli argomenti dai quali e' stato tratto il proprio convincimento, la decisione non e' censurabile in sede di legittimita'. Va, ancora, ricordato che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilita' delle fonti di prova e' devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilita' degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimita' della Corte Suprema. Si e' in particolare osservato che non e' sindacabile in sede di legittimita', salvo il controllo sulla congruita' e logicita' della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilita' delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 - dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 25036201). Deve, inoltre, essere rilevato che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muia' ed altri, Rv. 254107). 8.2. Muovendo dalle superiori premesse le censure in esame devono ritenersi prive di pregio alcuno: invero la Corte di Appello, nell'esaminare i medesimi motivi di doglianza dedotti con i motivi di ricorso in esame, con motivazione esaustiva, logica, congrua e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, nel confermare la ricostruzione operata dai giudici di primo grado, ha rilevato che la responsabilita' dell'odierno imputato, quale concorrente nella condotta estorsiva posta in essere da (OMISSIS) ed altri risultava, pienamente riscontrata in ragione dei frequenti contatti telefonici fra l'imputato e (OMISSIS) quattro minuti dopo che era stata consegnata la lettera minatoria alla persona offesa e da quanto emerso nell'ambito delle intercettazioni ambientali all'interno della sala colloqui del carcere di Foggia ove era stato chiaramente menzionato il suo coinvolgimento quanto all'episodio estorsivo in questione. Nell'operare tale ragionamento, la Corte di appello, non e' incorsa in manifeste illogicita', che, del resto, non sono indicate nel ricorso il cui contenuto reitera deduzioni gia' sviluppate nell'atto di appello e con le quali la sentenza impugnata non ha mancato di confrontarsi. A fronte di una motivazione, conforme a quella di primo grado, relativa alla ricostruzione delle condotte delittuose in esame, che appare congrua ed adeguata nella parte in cui ha ritenuto configurabile la corresponsabilita' dell'imputata, le contestazioni formulate con detti censure non mirano, invero, a contestare la logicita' dell'impianto argomentativo delineato nella motivazione della decisione impugnata ma si risolvono prevalentemente nella contrapposizione, in contrasto con giudizio espresso dai giudici di merito - i quali hanno disatteso le questioni in questa sede riproposte - di una differente ricostruzione dei fatti (in relazione alla asserita assoluta estaneita' ai fatti del ricorrente in quanto agli arresti domiciliari) evidentemente sottratta alla delibazione di questa Suprema Corte in ragione dei limiti posti alla cognizione di legittimita' dall'articolo 606 c.p.p.. 9. In conclusione va disposto l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla determinazione della pena con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari per nuovo giudizio sul punto da operare alla luce dei principi di diritto sopra richiamati; per il resto va dichiarata la inammissibilita' del ricorso e l'irrevocabilita' dell'affermazione della responsabilita' del predetto imputato. 9.1. I ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere dichiarati inammissibili. Alla declaratoria d'inammissibilita' consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche' al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in Euro tremila. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla determinazione della pena con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari per nuovo giudizio sul punto; dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l'affermazione della responsabilita'; dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente Dott. RICCIARELLI Massimo - rel. Consigliere Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere Dott. RICCIO Stefania - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 03/05/2022 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RICCIARELLI Massimo; letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale PERELLI Simone, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi; uditi i difensori, Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 03/05/2022 la Corte di appello di Napoli ha parzialmente riformato quella del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 17/09/2020, in particolare, per quanto interessa in questa sede, prosciogliendo (OMISSIS) dai reati a lui ascritti, per intervenuta prescrizione, salvo che con riguardo al reato di corruzione sub b), in ordine al quale ha confermato il giudizio di penale responsabilita' e rideterminato la pena, e confermando la condanna di (OMISSIS), che ha rinunciato alla prescrizione, in ordine ai fatti di cessione di cocaina di cui al capo g) nonche', limitatamente ad episodi del (OMISSIS), al capo h), reati gia' riqualificati Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 73, comma 5. 2. Ha proposto ricorso (OMISSIS), tramite il suo difensore. 2.1. Con il primo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione al delitto di falso di cui al capo a). Premette che l'impugnazione deve intendersi riferita al solo capo b), per il quale e' stata pronunciata condanna e che tuttavia la verifica del capo a) assume rilievo pregiudiziale. Deduce che la ricostruzione in base alla quale si era ritenuto che fosse stato falsificato il drug test relativo a (OMISSIS) non teneva conto dell'inaffidabilita' dell'accertamento tecnico condotto sul macchinario e del fatto che il test era stato esitato quindici minuti prima del momento in cui risultava uno spegnimento della macchina, e non considerava ulteriori criticita', che vengono ripercorse: il travisamento della prova in ordine a contatti diretti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), incaricata di sorvegliare (OMISSIS) nel momento della minzione e del rilascio della provetta; le plurime falsita' narrate da (OMISSIS) nel corso di una serie di telefonate, riguardanti le ragioni dell'intervento di (OMISSIS), i suoi contatti con quest'ultimo, la richiesta rivolta a (OMISSIS) di controllare se avesse lasciato nel mezzo le sigarette, la circostanza che egli non sapesse perche' il referto era inizialmente risultato positivo. Si trattava di elementi attestanti le millanterie del predetto, ma tali da non consentire di attribuire rilevanza alle conversazioni in varia guisa smentite e dunque di ritenere provata la falsificazione, non rilevando, in assenza di piu' approfonditi accertamenti, neppure il fatto che non fosse risultata la temuta positivita' all'uso di un antibiotico. 2.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione al capo b). In mancanza di prova certa della falsificazione non avrebbe potuto dirsi sussistente il delitto di corruzione, costituendo la falsificazione l'atto oggetto del patto corruttivo. La prova sarebbe stata desunta da colloqui tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in cui i predetti facevano riferimento a messaggi e telefonate di (OMISSIS) che insistentemente chiedeva il pagamento della somma dovutagli. Ma in realta' non erano emersi contatti telefonici di (OMISSIS) con (OMISSIS) e (OMISSIS), per cui si trattava di questione di cui i due parlavano solo tra di loro, al di la' di quanto riferito da (OMISSIS) in ordine all'acquisto di stupefacente per Euro 70,00 poi consumato con (OMISSIS), per sdebitarsi del favore ricevuto, cio' che non costituiva il prezzo della corruzione ma un semplice regalo, fatto a vari giorni di distanza. La Corte non aveva affrontato la problematica, non valutando il fatto che a fronte della prevista dazione di Euro 200,00 (OMISSIS) si sarebbe accontentato di consumare con (OMISSIS) droga per Euro 70,00. 2.3. Con il terzo motivo denuncia mancanza di motivazione in ordine all'ipotesi attenuata di cui all'articolo 323-bis o a quella di cui all'articolo 62, comma 1, n. 4 o ancora a quella di cui all'articolo 62-bis c.p.. Erroneamente era stato fatto riferimento al prezzo corruttivo di Euro 200,00, essendo emerso il ridotto valore del regalo fatto da (OMISSIS) a (OMISSIS). La vicenda nel suo complesso non era tale da poter condurre al diniego dell'attenuante di cui all'articolo 323-bis in relazione al danno arrecato all'immagine dell'Arma, tenendo conto del modesto valore del danno economico. In subordine avrebbe potuto riconoscersi l'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 1, n. 4 e in ragione del comportamento tenuto prima e dopo i fatti avrebbero potuto concedersi le attenuanti generiche. 3. Ha proposto ricorso (OMISSIS), tramite il suo difensore. 3.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo g). La Corte aveva richiamato la sentenza di primo grado senza motivare in ordine alle deduzioni formulate con l'atto di appello, volte a prospettare una versione alternativa, anche alla luce delle dichiarazioni dell'imputato. La valutazione dell'episodio del 15 gennaio 2014, incentrata sul contributo fornito dal ricorrente per la pesatura della droga da cedere a (OMISSIS), non superava il ragionevole dubbio, non confrontandosi con la plausibile lettura delle conversazioni telefoniche e con le dichiarazioni dell'imputato, secondo cui era avvenuto un acquisto di droga poi suddivisa tra i due (OMISSIS) e il ricorrente per il rispettivo uso personale. Quanto all'episodio del 30 gennaio, ancora una volta la Corte non aveva tenuto conto della lettura alternativa delle risultanze probatorie anche in ordine al regalo a (OMISSIS), non comprendendosi a chi avrebbe dovuto essere ceduta la droga e non essendo stata fornita la prova della consapevolezza da parte del ricorrente che (OMISSIS) avrebbe ceduto la droga a (OMISSIS). 3.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo h). Contesta il ricorrente l'apodittica premessa dei Giudici di merito secondo cui egli fosse uno spacciatore, in possesso di bilancino di precisione, che coadiuvava (OMISSIS) a cedere la droga a (OMISSIS) o a terzi. Quanto all'episodio del 14 gennaio, non si capiva su quali basi potesse affermarsi che il ricorrente si fosse accordato con (OMISSIS) per l'acquisto e la cessione di stupefacenti, a fronte di quanto dichiarato in ordine alla destinazione dello stupefacente ad uso personale. Relativamente all'episodio dell'8 febbraio, i giudici di merito avevano desunto solo da una parte di due conversazioni telefoniche un ruolo di intermediazione di (OMISSIS) nell'acquisto di stupefacente destinato alla rivendita a (OMISSIS), ma in realta' era da ritenersi che il ricorrente si fosse recato ad acquistare per se stesso e che non intendesse anticipare soldi per (OMISSIS), non interessandogli i problemi di lui con altre persone. Era per contro irrilevante che (OMISSIS) avesse acquistato droga per rivenderla a (OMISSIS), non risultando la consapevolezza del ricorrente in ordine a cessioni da (OMISSIS) a (OMISSIS). Relativamente all'episodio del 18 gennaio, per il quale era stata pronunciata condanna in primo grado, mancava del tutto la motivazione della Corte, a fronte della versione alternativa proposta, in mancanza di prova della cessione legata all'intermediazione attribuita al ricorrente e della stessa disponibilita' di stupefacente. 3.3. Con il terzo motivo deduce omessa motivazione in ordine alle attenuanti generiche e all'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 1, n. 4. La Corte non aveva dato risposta alla richiesta di applicazione delle due attenuanti, sussistendone i presupposti. 3.4. Con il quarto motivo deduce omessa motivazione in ordine all'applicabilita' della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p.. La Corte avrebbe potuto riconoscere tale causa di non punibilita' anche d'ufficio in ragione della non particolare gravita' dei fatti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 2. Il primo motivo, avente ad oggetto il delitto di falso sub a) -dichiarato estinto per prescrizione-, solo in funzione della verifica del patto corruttivo di cui al capo b), si risolve in realta' nella sollecitazione di un'alternativa ricostruzione del compendio probatorio, che esula dallo scrutinio di legittimita', in assenza della deduzione di specifici vizi della motivazione, emergente dalla sincronica lettura delle due conformi sentenze di merito. Le doglianze si incentrano essenzialmente sull'inaffidabilita' dell'accertamento tecnico e sulle pretese millanterie del ricorrente nel corso di una conversazione con (OMISSIS), smentite da altre risultanze probatorie, ma non colgono l'essenza dell'analisi condotta dal Tribunale e suffragata dalla Corte di appello. In particolare e' stato attribuito rilievo: 1) al forte timore di (OMISSIS) per l'esito del drug test, cui era stata sottoposta a sorpresa; 2) al fatto che costei, avvalendosi delle sue conoscenze, compreso il ricorrente (OMISSIS), avesse cercato di sostituire la propria urina con quella di tale (OMISSIS), poi effettivamente consegnata a (OMISSIS), ma invano, in quanto l'operazione di sostituzione non era riuscita per il rigido controllo da parte di (OMISSIS); 3) alla circostanza che della consegna e delle analisi fosse stato incaricato di occuparsi tale (OMISSIS), in rapporti di confidenza con (OMISSIS), da costui sollecitato ad alterare l'esito del drug test; 4) al fatto che di certo all'operazione non avesse assistito l'ulteriore militare (OMISSIS), primariamente incaricato della consegna, ma rimasto all'esterno; 5) alla circostanza che in concreto l'esito dell'esame fosse risultato negativo, nonostante la positivita' paventata da (OMISSIS); 6) al riscontro tecnico della possibilita' di alterare l'esito finale delle analisi, tramite il distacco del cavo che collegava un computer ad un altro, con possibilita' di inserimento manuale dei dati: in particolare, a fronte di uno spegnimento segnalato alle 12,38, risultava che il drug test di (OMISSIS), avente numero (OMISSIS), era stato processato alle 12,48, dopo la riaccensione. Inconferenti risultano le deduzioni riguardanti l'accertamento tecnico, incentrate sul fatto che il certificato risulta reso alle 12,23, prima del rilevato spegnimento, dovendosi aver riguardo, nella lineare lettura dei dati probatori, offerta dai Giudici di merito, al riscontro fornito dal consulente, in ordine al fatto che il drug test riferito a (OMISSIS) risultasse processato, sulla base della diretta verifica, alle 12,48. Altrettanto inconferenti risultano i rilievi incentrati sulle pretese millanterie di (OMISSIS) nel corso della conversazione di contenuto confessorio con (OMISSIS), una volta stabilito che (OMISSIS) era stato certamente coinvolto -a prescindere dal fatto che avesse o meno direttamente interloquito con (OMISSIS)-; che il test, fortemente temuto, era risultato negativo, senza far emergere neppure una positivita' conseguente all'intervento odontoiatrico; che in concreto dell'operazione si era occupato (OMISSIS), soggetto sulla cui collaborazione (OMISSIS) aveva mostrato di poter confidare; che (OMISSIS), avvertito o meno telefonicamente da (OMISSIS), era comunque rimasto all'esterno,; che l'esito del test era stato prontamente comunicato al cap. Polizzi, a prescindere dalla presenza immediata della relativa documentazione, comunque in modo che (OMISSIS) potesse dar conto con certezza del risultato a (OMISSIS). L'inerenza al merito dei rilievi difensivi conduce dunque a ravvisarne l'inidoneita' a vulnerare la ricostruzione suffragata dalla Corte territoriale, tale da attestare l'alterazione dell'esito del drug test, in varia guisa propiziata anche da (OMISSIS). 3. Il secondo motivo e' parimenti inammissibile, perche' inerente al merito, ben oltre i limiti dello scrutinio di legittimita', e comunque manifestamente infondato. I Giudici di merito hanno dato conto della pronta promessa di un regalo da parte di (OMISSIS) a (OMISSIS), regalo di cui il predetto si era dichiarato meritevole (cfr. pag. 14 della sentenza del Tribunale in cui si riporta il contenuto dei messaggi scambiati alle 13,16 e 13,17). Inoltre, hanno segnalato come nei successivi colloqui tra (OMISSIS) e (OMISSIS) si fosse fatto riferimento alle richieste di (OMISSIS) e alla necessita' di ricompensarlo per un valore di duecento Euro: in particolare e' stato fatto riferimento a quanto dichiarato da (OMISSIS) circa la pattuizione originaria di un compenso di Euro 200,00 e alla successiva consegna di una somma di Euro settanta per l'acquisto di droga. La circostanza certa dell'originaria promessa e la conferma ex post della dazione valgono di per se' a suffragare il patto corruttivo, che nel motivo di ricorso si cerca di contestare con argomenti inidonei, incentrati sul mancato riscontro di plurimi messaggi di sollecitazione da parte di (OMISSIS), messaggi in realta' non necessari, una volta inserita la vicenda nella descritta cornice, essendo inoltre irrilevante che il regalo alla resa dei conti fosse stato inferiore rispetto a quanto inizialmente promesso. In definitiva non si espone ad alcuna censura la conferma da parte della Corte del giudizio formulato dal Tribunale in ordine alla conclusione di un patto corruttivo incentrato sul compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, nel quadro di un'intesa peraltro manifestatasi fin dall'inizio, con la disponibilita' del Caporal Maggiorei (OMISSIS) a far da tramite per la sostituzione dell'urina. 4. Il terzo motivo e' nel suo complesso inammissibile. Premesso che l'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 1, n. 4 non aveva formato oggetto di motivi di appello, quanto al resto si rileva che la Corte ha non illogicamente valutato la consistenza della condotta, ritenendo non configurabili i presupposti per il riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 323-bis c.p. e delle attenuanti generiche. In particolare, e' stato dato conto della non ravvisabilita' di un fatto di particolare tenuita', da valutarsi non solo con riguardo all'entita' del prezzo della corruzione, ma nel suo complesso, in relazione al quadro dei doveri violati ed al pregiudizio arrecato all'Arma, cui i protagonisti della vicenda appartenevano (si richiamano da un lato Sez. 6, n. 8295 del 09/11/2018, dep. 2019, Santimone, Rv. 275091, per la necessita' di valutare ogni caratteristica della condotta, e dall'altro Sez. 2, n. 8733 del 22/11/2019, dep. 2020, Le Voci, Rv. 278629, per il rilievo anche di profili inerenti a reati dichiarati estinti per prescrizione). Inoltre, il dato personologico e la grave violazione dei doveri sono stati posti tutt'altro che arbitrariamente a fondamento del diniego delle attenuanti generiche, tanto piu' alla luce di ulteriori condotte integranti reati dichiarati estinti per prescrizione. Si tratta di valutazioni che si sottraggono alle censure formulate, volte a prospettare un diverso e piu' favorevole giudizio e non incentrate su vizi deducibili in questa sede. 5. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) e' solo in parte fondato nei termini di cui si dira'. 6. Il primo motivo del ricorso, riguardante gli episodi contestati al capo g), e' inammissibile. 6.1. Le deduzioni si risolvono nella prospettazione di una ricostruzione alternativa, fondata su una diversa lettura delle conversazioni intercettate e sulle dichiarazioni dello stesso imputato, ma non individuano vizi rilevanti in sede di legittimita'. Va infatti rimarcato che il ricorrente ha cercato di accreditare la configurabilita' di un dubbio ragionevole nel quadro della prospettazione di un uso di gruppo. 6.2. Ma in realta' i giudici di merito, sulla base di una lettura conforme e non manifestamente illogica ne' contraddittoria degli elementi probatori acquisiti hanno rilevato che in occasione dell'episodio del 15 gennaio vi era stato un contatto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano concordato di incontrarsi nei pressi dell'abitazione di (OMISSIS), e che nella circostanza il ricorrente era stato invitato a scendere con la "calcolatrice", cioe' con il bilancino in uso allo stesso (OMISSIS), in modo da consentire la precisa consegna al (OMISSIS) di un quantitativo di stupefacente, venendo in rilievo la concreta condotta agevolatrice posta in essere dal ricorrente, al di fuori di qualsivoglia ipotesi di uso di gruppo, solo strumentalmente accreditata. 6.3. Relativamente all'episodio del 30 e 31 gennaio, la successione dei colloqui intercettati ha consentito al Tribunale, con valutazione condivisa dalla Corte, di ritenere provato che (OMISSIS) si fosse recato a Caivano dal rifornitore di fiducia e avesse chiesto a (OMISSIS) di recapitare la droga a (OMISSIS), inserendola in un pacchetto di sigarette, avendo di seguito ceduto dello stupefacente a (OMISSIS) per ricompensarlo del disturbo. Anche in questo caso, dunque, senza che siano ravvisabili fratture logiche nel ragionamento, e' stata delineata una condotta di spaccio, specificamente imputabile al ricorrente, al di fuori di surrettizie ipotesi di uso di gruppo o comunque di alternativi percorsi ricostruttivi, non venendo in rilievo il tema della consapevolezza da parte del (OMISSIS) in ordine alla destinazione dello stupefacente. 7. Il secondo motivo, che concerne gli episodi oggetto di contestazione al capo h), per i quali e' stata pronunciata condanna, e' solo in parte fondato. 7.1. Va in primo luogo respinta la doglianza riferita all'episodio del 14 gennaio, in quanto, al di la' di considerazioni di carattere generale, la ricostruzione si e' fondata sull'analisi dei contatti telefonici intercorsi tra i protagonisti, da essi essendosi non illogicamente desunto che il ricorrente si era procurato stupefacente a Napoli e che (OMISSIS) se l'era procurato a Caivano, fermo restando che era prevista la cessione a (OMISSIS), tanto che (OMISSIS) aveva chiamato quest'ultimo e si era recato sotto casa di lui, avendo appreso da (OMISSIS) che (OMISSIS) era interessato ad un quantitativo per Euro 70,00 ed essendosi poi accordato con (OMISSIS) per l'acquisizione della droga da destinare a (OMISSIS) o ad altri, tanto da essere stato di seguito invitato da (OMISSIS) a prendere la "calcolatrice" e salire da lui. In tal modo e' stato dato conto dell'acquisto e della destinazione almeno parziale della droga, senza che possano prospettarsi incertezze in ordine alla consapevolezza da parte del ricorrente in ordine all'ulteriore cessione della droga acquisita. 7.2. Infondate risultano anche le doglianze riguardanti l'episodio dell'8 febbraio. Il motivo cerca di prospettare un travisamento dei colloqui intercettati, intercorsi tra il ricorrente e (OMISSIS), ma sul punto, al di la' dell'allegazione delle conversazioni, non si individua il passaggio al quale sarebbe stato attribuito un significato inequivocamente diverso da quello suo proprio e tale da disarticolare l'intera ricostruzione. I Giudici di merito hanno invero ravvisato non illogicamente un'intermediazione svolta dal ricorrente nell'acquisizione di droga destinata ad ulteriore cessione, fin dall'inizio programmata, come attestato, secondo tale ricostruzione, dal riferimento fatto da (OMISSIS) alla difficolta' di contattare (OMISSIS), per sapere con precisione di quale quantitativo avesse bisogno, elemento tale da superare le deduzioni volte ad accreditare l'inconsapevolezza del ricorrente. 7.3. E' per contro fondata la doglianza riguardante l'episodio del 18 gennaio, in relazione al quale alla ricostruzione proposta dal Tribunale il ricorrente aveva contrapposto ampie deduzioni difensive, con le quali la Corte non si e' confrontata, limitandosi a formulare conclusioni apodittiche, senza considerare che gia' il Tribunale aveva escluso la responsabilita' del ricorrente con riguardo ad episodi di piu' dubbia interpretazione e che dunque non avrebbe potuto accreditarsi un'univoca chiave accusatoria, costituita dal contributo in altre occasioni fornito dal ricorrente o dal possesso da parte di lui della "calcolatrice". In parte qua si impone dunque l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. 8. Sono inammissibili il terzo e il quarto motivo. 8.1. La configurabilita' dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 1, n. 4, non aveva formato oggetto di motivi di appello, mentre con riguardo alle attenuanti generiche, la relativa deduzione era aspecifica ed assertiva e dunque radicalmente inammissibile, in quanto incentrata sull'assenza di precedenti, di per se' inconferente, e sul comportamento processuale. 8.2. Quanto all'ipotesi di cui all'articolo 131-bis c.p., e' agevole rilevare che la stessa deve essere in radice esclusa, in presenza di piu' di due reati della stessa indole, che, a prescindere dal vincolo della continuazione, consentono di ravvisare l'indice ostativo dell'abitualita' (Sez. U, n. 18891 del 26/05/2022, Ubaldi, Rv. 283064). 9. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente all'episodio del 18 gennaio di cui al capo h), con rinvio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli e con rigetto del ricorso nel resto. Deve essere invece dichiarato inammissibile il ricorso di (OMISSIS) con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell'inammissibilita', a quello della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente all'episodio del 18/1/2014 di cui al capo H) con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 154-ter disp. att. c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. CAPPUCCIO Daniele - rel. Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 20/01/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere CAPPUCCIO DANIELE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LOY MARIA FRANCESCA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, avvocato (OMISSIS), del foro di ROMA, in difesa di (OMISSIS), che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 20 gennaio 2022 la Corte di assise di appello di Roma ha confermato quella con cui la Corte di assise della stessa citta', il 28 aprile 2021, ha dichiarato (OMISSIS) colpevole dei reati di cui: a) agli articoli 110 e 56 c.p., articolo 628 c.p., comma 3, n. 1), perche' in concorso col defunto (OMISSIS) - facendo ingresso nel bar tabacchi "(OMISSIS)", entrambi con volto travisato da casco e scaldacollo alzato sul naso; (OMISSIS), impugnando la rivoltella Colt. Cal. 38 special e dirigendosi dietro il banco cassa, puntando la rivoltella contro (OMISSIS), padre della titolare del bar, intimandogli di consegnarli il denaro della cassa; quindi, alla viva reazione della vittima, ingaggiando una violenta colluttazione con la stessa, esplodendo diversi colpi di arma da fuoco, per procurarsi l'impunita' - compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il delitto di rapina pluriaggravata, non realizzatosi per cause indipendenti dalla propria volonta'; b) agli articoli 110 e 81 c.p., articolo 61 c.p., n. 2, L. 2 ottobre 1967, n. 895, articoli 2, 4 e 7, perche', per commettere il delitto di cui al capo a), in concorso con (OMISSIS), illegalmente deteneva e portava fuori dalla propria abitazione una rivoltella Colt, cal. 38, caricata con 6 cartucce, nonche' una pistola semiautomatica Beretta, cal. 9 x 21; c) agli articoli 110 e 648 c.p., articolo 61 c.p., n. 2), perche' a scopo di profitto e per commettere il delitto di cui al capo a), in concorso con (OMISSIS), acquistava o comunque riceveva la pistola Beretta, provento del delitto di rapina in danno di (OMISSIS); d) agli articoli 110 e 648 c.p., articolo 61 c.p., n. 2), perche' a scopo di profitto e per commettere il delitto di cui al capo a), acquistava o comunque riceveva uno scooter Kymco 150, provento di furto; e) agli articoli 56 e 575 c.p., articolo 576 c.p., n. 1), articolo 61 c.p., n. 2), perche', nelle circostanze di cui al capo a) e per assicurarsi l'impunita', esplodendo tre colpi con la rivoltella Colt, cal. 38, attingendo con un 2Proiettile alla coscia (OMISSIS) a distanza ravvicinata, compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il delitto di omicidio aggravato; f) agli articoli 82 e 575 c.p., articolo 576 c.p., n. 1), 61, n. 2), perche' esplodendo con la rivoltella Colt, cal. 38, tre colpi, di cui uno attingeva al torace il complice, cagionava la morte di (OMISSIS); g) all'articolo 697 c.p., perche', presso l'abitazione di (OMISSIS), deteneva illegalmente n. 10 cartucce cal. 6,35; e, uniti i reati sotto il vincolo della continuazione e ritenuta la contestata recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale, lo ha condannato alla pena dell'ergastolo, con isolamento diurno per sei mesi, oltre che al pagamento delle spese processuali, e gli ha applicato le sanzioni accessorie previste per legge. 2. In fatto, e' stato accertato, sulla base delle testimonianze acquisite e delle videoriprese delle telecamere del bar tabaccheria "(OMISSIS)", sito in (OMISSIS), ove sono state consumate le condotte delittuose: - che, intorno alle ore 19:00 del (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) si sono recati, a bordo di uno scooter di provenienza furtiva, presso il bar tabaccheria "(OMISSIS)", ciascuno travisato e armato di pistola carica, pure di provenienza delittuosa, con l'intento di commettere una rapina, sfociata, nell'arco di pochi secondi, nel ferimento di (OMISSIS), padre della titolare della tabaccheria, e nell'uccisione di (OMISSIS); - che, appena entrati nel locale, (OMISSIS) si e' dedicato a sorvegliare la sala, impugnando la pistola come strumento di controllo dell'intera area, mentre (OMISSIS) si e' diretto nella zona della cassa scommesse che, puntando minacciosamente l'arma sul fianco di (OMISSIS), gli ha intimato di aprire; - che dall'immediata reazione della vittima e' scaturita una colluttazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha consentito al secondo di sospingere il rapinatore verso il centro della sala, farlo cadere al suolo e sovrastarlo al fine di disarmarlo, in cio' adiuvato dall'azione della moglie e di uno dei dipendenti dell'esercizio commerciale; - che, nel tentativo di prestare soccorso al complice, (OMISSIS) si e' avvicinato a (OMISSIS) con il braccio alzato, al fine di colpirlo con il calcio della pistola; in quell'istante, egli e' stato, tuttavia, attinto al petto da uno dei tre colpi esplosi, in rapida successione, da (OMISSIS) che, nel frattempo, ancora schiena a terra, non aveva mai distolto il dito dal grilletto, indirizzando l'arma verso il bacino di (OMISSIS) e, indirettamente, di (OMISSIS), il quale, portando le braccia al petto, si e' accasciato al suolo ed ha lasciato cadere la pistola a terra; - che (OMISSIS) ha, quindi, cercato di recuperare l'arma per utilizzarla contro (OMISSIS) e, quindi, darsi alla fuga, obiettivo non raggiunto per il pronto intervento della moglie del barista, che ha allontanato con i piedi la Beretta di (OMISSIS), che ha poscia consegnato all'Ispettore di P.S. (OMISSIS), portatosi sul posto per avere uditi gli spari. 3. Tale ricostruzione del tragico episodio criminoso ha indotto i giudici di primo grado a ritenere (OMISSIS) responsabile di tutte le imputazioni delittuose contestategli: egli, invero, resosi conto dell'impossibilita' di portare a termine la rapina, poiche' ormai bloccato e sovrastato dalla persona offesa, avrebbe posto in essere una condotta delittuosa volta a conseguire l'impunita' dal reato di rapina e diretta a cagionare il grave ferimento o la morte del soggetto passivo, cosi' palesando un atteggiamento psicologico ascrivibile alla categoria del c.d. dolo alternativo. La dinamica del fatto, ha ulteriormente rilevato la Corte di assise, integra, altresi', tipica ipotesi di aberratio ictus, istituto previsto dall'articolo 82 c.p., che ricorre allorquando l'offesa viene cagionata, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altra causa, a persona diversa da quella alla quale essa era diretta: tanto, in ragione del fatto, evidente, che (OMISSIS) agi', con dolo omicidiario, in pregiudizio di (OMISSIS) e, solo per errore nei mezzi di esecuzione, attinse il complice (OMISSIS). Il riscontrato errore non incide sulla responsabilita' penale, sicche' l'imputato risponde di omicidio volontario, a prescindere dalle intenzioni e salva l'applicazione dell'articolo 60 c.p. in relazione alla sussistenza delle aggravanti e attenuanti: in tal caso, infatti, non sono poste a suo carico le circostanze aggravanti che riguardano la qualita' della persona offesa, mentre sono valutate le attenuanti, quantunque supposte per errore. 4. Con la sentenza qui impugnata, la Corte di assise di appello ha integralmente disatteso l'impugnazione proposta da (OMISSIS) avverso la decisione di primo grado. In rito, ha stimato inammissibile, ai sensi dell'articolo 585 c.p.p. e per tardivita', la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale intesa alla visione, nel contraddittorio, dei filmati registrati dalle telecamere di videosorveglianza. Nel merito, la Corte ha separatamente analizzato i due segmenti dell'azione delittuosa: l'uno, relativo al delitto di rapina e comprendente i reati-satellite di ricettazione, riciclaggio e porto illegale di armi; l'altro, riguardante l'omicidio, nella forma tentata e consumata. Ha, specificamente, ritenuto che (OMISSIS) si e' reso autore, in combutta con il defunto (OMISSIS), di una tentata rapina propria, essendosi egli determinato a commettere il delitto, a scopo di profitto patrimoniale, munendosi di mezzi di travisamento e di fuga, nonche' di armi cariche che dovevano servire, asseritamente, al mero scopo di incutere timore ai presenti. La Corte di assise di appello, dopo avere ribadito che l'azione criminosa non e' stata coronata da successo per cause indipendenti dalla volonta' dell'agente, ha ricondotto in via esclusiva la violenza e la minaccia adoperate, sotto forma di intimidazione e aggressione di (OMISSIS) con la pistola, alla volonta' di sottrazione e di impossessamento del bene mobile altrui e qualificato, di conseguenza, la condotta illecita in termini di rapina propria, anziche' impropria, come sostenuto dall'appellante. I giudici di appello hanno, quindi, affermato che la pronta e veemente reazione della vittima ha ingenerato in (OMISSIS) la determinazione cosciente e volontaria di cagionare la morte di (OMISSIS), unico modo per riuscire a fuggire ed a guadagnare l'impunita'. (OMISSIS) - a giudizio della Corte di assise di appello - non ha desistito dall'azione, una volta fallita la rapina, abbandonando o abbassando l'arma, che ha, invece, continuato ad impugnare, puntandola contro il corpo del barista e sparando quattro colpi, di cui tre andati a segno, con l'intento di ucciderlo. Il numero delle munizioni esplose e la rapida successione dei colpi concorre, nella ricostruzione della Corte romana, a comprovare la franca volonta' omicida dell'imputato. Per quanto concerne l'aberratio ictus, la Corte ha reputato l'irrilevanza dell'errore sul soggetto passivo, avendo l'imputato cagionato un'offesa normativamente identica a quella che egli intendeva provocare, sicche', tenuto conto del fatto che l'identita' della persona offesa non e' requisito del fatto tipico e non fa parte dell'oggetto del dolo, e' logico che egli risponda come se avesse commesso il reato che, originariamente, si era rappresentato ed aveva voluto. Con riferimento all'elemento soggettivo, ha concluso, in linea con quanto gia' statuito dai giudici di primo grado, che (OMISSIS) ha agito spinto da dolo diretto e non eventuale, giacche' egli, lungi dal limitarsi a prevedere ed accettare il rischio, si e' rappresentato ed ha voluto l'evento ed ha agito per perseguirlo. Ha ricordato, in proposito, che, in mancanza di circostanze che evidenzino ictu oculi l'animus necandi, valore determinante e' assunto dall'idoneita' dell'azione a produrre l'evento offensivo, che va apprezzata in concreto sulla base di una prognosi formulata ex post, avendo riguardo, tra l'altro, al tipo di arma impiegata e alla sua attitudine offensiva, alla direzione e all'intensita' dei colpi, alla zona del corpo attinta, nonche' alla distanza del bersaglio. Muovendo, in diritto, da tale postulato, la Corte di assise di appello ha rimarcato che (OMISSIS), in quello specifico contesto, aveva precisa cognizione della micidialita' dell'arma impugnata e contezza, altrettanto nitida, delle conseguenze letali che sarebbero scaturite, in modo certo o altamente probabile, dal suo azionamento mediante ripetuta pressione sul grilletto in direzione del bersaglio, condotta che egli ha, cio' nonostante, deliberatamente tenuto nella coscienza dell'impossibilita' di conseguire aliunde l'impunita'. Parallelamente, ha ritenuto l'arbitrarieta' della riqualificazione del fatto nel reato di omicidio preterintenzionale, prospettata dall'appellante, il cui contegno, ha sottolineato, non e' stato sorretto dalla mera intenzionalita' di percuotere o provocare lesioni, in quanto permeato da una consapevolezza che, proprio in virtu' di alcuni indicatori esterni all'azione, attesta la volonta' di cagionare la morte quale conseguenza diretta dell'agire. 5. (OMISSIS) propone, con l'assistenza dell'avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato, nel complesso, a quattro motivi, che saranno enunciati, in ossequio al disposto dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Con il primo, eccepisce l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 576 c.p., comma 1, n. 1), nella parte in cui rinvia all'articolo 61 c.p., n. 2), per violazione del principio di offensivita' in relazione agli articoli 3, 27 e 24 Cost. e articolo 25 Cost., comma 2. Il ricorrente dubita della conformita' a Costituzione dell'assetto normativo delineato dall'articolo 576 c.p., stando al quale, una volta provata la strumentalita' della condotta omicidiaria al fine dell'impunita', l'omicidio deve ritenersi aggravato dalla presenza del nesso teleologico, con conseguente, necessaria applicazione della pena dell'ergastolo, non modulabile - se non attraverso il riconoscimento di circostanze attenuanti da sottoporre a bilanciamento ex articolo 69 c.p. - neanche nell'eventualita' che l'imputato abbia agito perche' mosso da dolo diretto anziche' intenzionale. Segnala che, in tal modo, l'irrogazione di una pena fissa, quale l'ergastolo, in via automatica e senza possibilita' di gradazione, discende dall'applicazione di un'aggravante che, nondimeno, non appare idonea a catalizzare un disvalore ulteriore rispetto all'in se' del fatto omicidiario, tale da giustificare il salto qualitativo in termini sanzionatori dalla pena temporanea a quella perpetua, cio' che, a suo giudizio, comporta una grave violazione dei principi di offensivita' e di proporzionalita', nonche' del principio inerente al fine rieducativo della pena. Ne', aggiunge, tale meccanismo puo' dirsi adeguatamente temperato dal possibile bilanciamento con le circostanze attenuanti che, nota, opera solo in via meramente eventuale ed e', peraltro, precluso in un caso, come quello in esame, in cui non vi e' spazio per l'applicazione di attenuanti comuni o generiche. Appare, del resto, irragionevole, continua il ricorrente, la necessitata irrogazione della massima sanzione, che rischia di tradursi, in concreto, in una risposta sproporzionata per eccesso rispetto all'effettiva gravita', sul piano sia oggettivo che soggettivo, del fatto accertato, avuto riguardo, vieppiu', all'atteggiamento psicologico dell'agente, che finisce con il perdere qualsiasi rilievo, ed al notevole salto di qualita' della pena che consegue all'applicazione della circostanza aggravante del nesso teleologico. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione alla valutazione della prova ex articoli 192, 585 e 603 c.p.p., con particolare riferimento alla mancata visione delle immagini registrate dalle telecamere installate all'interno dell'esercizio commerciale che e' stato teatro dei fatti di causa, nonche' violazione e falsa applicazione degli articoli 56 e 575 c.p., per insufficienza e contraddittorieta' della motivazione. Sottolinea, al riguardo, che l'attenta disamina, in contraddittorio, delle riprese delle telecamere sarebbe stata di capitale importanza perche' avrebbe potuto condurre ad una valutazione degli eventi sensibilmente diversa da quella compiuta dai giudici di merito. A dire del ricorrente, invero, non sarebbe dato individuare con precisione il momento in cui i colpi lesivi furono esplosi ne' risalire all'identita' dell'autore, atteso che le immagini riproducono una colluttazione assai confusa, nell'ambito della quale (OMISSIS), tangibilmente sopraffatto, non ha capacita' alcuna di controllare il puntamento dell'arma o la pressione del grilletto. (OMISSIS) evidenzia, ancora, che la disamina di filmati ed immagini consente di cogliere l'assenza di una volonta' omicidiaria che, se sussistente, lo avrebbe senz'altro indotto a cogliere le plurime occasioni di ferimento mortale di (OMISSIS) che egli, invece, non ha sfruttato. Eccepisce, anche sotto questo aspetto, che la Corte di assise di appello ha acriticamente mutuato, quanto alla ricostruzione dei fatti di causa, le valutazioni compiute in primo grado, che non ha sottoposto alla dovuta revisione critica, previo diretto accesso alle registrazioni disponibili, anche con riferimento all'esplosione, in sequenza, di tre colpi, che i giudici di merito hanno reputato espressione di volonta' omicida a dispetto del fatto che le immagini non consentono di comprendere, quanto agli ultimi due, come e verso dove l'arma sia stata puntata. Qualora, infatti, il giudice dell'appello avesse visionato i filmati si sarebbe reso conto, opina (OMISSIS), del fatto che i colpi sono stati esplosi in un frangente diverso da quello in cui ha avuto luogo la colluttazione e che le immagini non ritraggono l'arma, cio' che, con ogni evidenza, osta, tanto piu' non potendosi apprezzare il puntamento della pistola, alla possibilita' di desumere, con il prescritto coefficiente di certezza, dalla mera reiterazione degli spari una franca volonta' omicidiaria in capo all'imputato. Il ricorrente ascrive, dunque, alla Corte di assise di appello di avere rinunziato a prendere una sua reale e autonoma posizione sulle specifiche censure mosse con l'atto di impugnazione, individuando il momento degli spari sulla base della gestualita' corporea di alcuni avventori, secondo quanto esposto dal giudice di primo grado, le cui conclusioni ha mutuato senza porsi in confronto con le censure ritualmente articolate con l'atto di appello. Aggiunge, con riferimento alla specifica doglianza relativa al fatto che egli, una volta ingaggiata la colluttazione con (OMISSIS) al di fuori della cassa scommesse, ha perso la capacita' di controllo e di puntamento dell'arma, che la Corte di assise di appello ha omesso il doveroso esame di tale dirimente motivo di impugnazione e si e' limitata a riproporre le risultanze degli accertamenti balistici, silenti in ordine all'effettivo dominio sull'arma e, quindi, alla capacita' di puntamento verso l'obiettivo asseritamente avuto di mira. La circostanza che egli, subito dopo la reazione della vittima, si e' astenuto, in prima battuta, dallo spararle, significativa dell'assenza di volonta' omicida, e' stata, d'altro canto, indebitamente negletta, a giudizio del ricorrente, dalla Corte di assise di appello, che pure era stata sollecitata a riconsiderare, al riguardo, la statuizione del giudice di primo grado che, invece, ha riproposto in forza di un approccio apodittico e stereotipato, in tal modo vanificando, in buona sostanza, la funzione dell'appello. Con il terzo motivo, (OMISSIS) lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 575 c.p. per mancanza degli elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo, della condotta, nonche' insufficienza e contraddittorieta' della motivazione, travisamento della prova e violazione e falsa applicazione del canone di giudizio fissato dall'articolo 533 c.p.p.. Il ricorrente rileva, in proposito, che la visione in contraddittorio dei filmati avrebbe consentito di appurare che, al momento della colluttazione, egli e' stato sovrastato dal contraddittore, successivamente coadiuvato dalla moglie e da alcuni avventori, e che, nel momento in cui, presumibilmente, fu esploso il colpo che cagiono' la morte del (OMISSIS) sull'arma vi era, oltre alla sua mano, quella di (OMISSIS). Considerato, allora, che le immagini riproducono una colluttazione assai confusa, nell'ambito della quale egli viene sopraffatto, con conseguente compromissione della capacita' di controllo e puntamento dell'arma e, vieppiu', restituiscono una rappresentazione del fatto nell'ambito della quale non ricorre, proprio nel momento fondamentale dell'esplosione del colpo che ha colpito (OMISSIS), una chiara visione di quali forze siano state esercitate sulla stessa, appare impossibile, in definitiva, affermare con certezza, id est al di la' di ogni ragionevole dubbio, che il puntamento dell'arma e il tiro del grilletto della stessa siano stati frutto di una condotta e di una forza a lui riferibili in maniera autonoma e consapevole. Ribadisce, sul punto, di avere, sin dall'interrogatorio di garanzia, precisato che egli, avendo avuto, in un primo momento, la possibilita' di neutralizzare (OMISSIS) sparandogli, non si e' avvalso di tale facolta', cosi' dimostrando, nei fatti, di non essere animato da dolo omicida, e specifica che la situazione e' radicalmente mutata una volta iniziata la colluttazione, ovvero quando egli ha, di fatto, perso il pieno controllo sulla pistola, circostanza che lo ha indotto a cercare di recuperare quella gia' nella disponibilita' di (OMISSIS) e, poscia, caduta in terra quando il complice, attinto mortalmente, si e' accasciato in terra. Con il quarto ed ultimo motivo, il ricorrente eccepisce violazione di legge in ordine all'asserito tentato omicidio di (OMISSIS) ed all'omicidio di (OMISSIS), riproponendo, in sostanza, le censure gia' articolate all'atto di lamentare la violazione dell'articolo 603 c.p.p.. Ascrive, in specie, alla Corte di assise di appello di essere incorsa in travisamento della prova laddove non si e' soffermata sulla concreta impossibilita' di identificare attraverso quale puntamento e quali forze, esercitate sull'arma, sia in concreto avvenuta l'esplosione dei colpi ed ha omesso di considerare che il filmato descrive una colluttazione assai accesa durante la quale, per quanto interessa questo secondo momento, l'arma non e' piu' visibile, ne' e' piu' visibile il momento dell'esplosione del secondo e del terzo colpo - espulsi, peraltro, in unica soluzione, a causa di uni' malfunzionamento della cartuccia e rinvenuti, pertanto fusi all'interno del corpo di (OMISSIS) -, ne', ancora, e' possibile dire con certezza quante mani vi fossero sull'arma o ricostruire il puntamento dell'arma. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e, pertanto, passibile di rigetto. 2. La proposta eccezione di legittimita' costituzionale, per quanto espressamente riferita alle conseguenze, sul piano sanzionatorio, dell'applicazione della circostanza aggravante dell'essere stato commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a se' o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunita' di un altro reato, fornisce al ricorrente il destro per svolgere ampie considerazioni critiche in merito alla compatibilita' della pena perpetua con i principi consacrati nella Carta costituzionale - in primo luogo con quello, stabilito all'articolo 27, comma 3, per cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato - e nelle Convenzioni internazionali sottoscritte dall'Italia. Il tema e' stato, sotto questo aspetto, compiutamente sceverato dalla giurisprudenza costituzionale, che, in molteplici occasioni, ha costantemente ribadito, a partire dalla sentenza n. 264 del 1974 e fino a quella n. 168 del 1994, l'infondatezza della prospettazione del contrasto tra l'ergastolo, da un canto, e l'articolo 27 Cost., comma 3, e 3 CEDU, dall'altro, in ragione della possibilita', riconosciuta dal vigente ordinamento penitenziario, di accedere, al cospetto dei requisiti di legge, alla liberazione condizionale, istituto valorizzato, nella medesima ottica, dalle pronunzie, in argomento, della Corte EDU (cfr., tra le altre, Sez. 2, 11/10/2011, Schuchter c. Italia, n. 68476/10). Tale posizione e' stata, del resto, mutuata, senza eccezione alcuna, dalla successiva produzione della giurisprudenza di legittimita', ferma nell'escludere, in termini che il Collegio condivide e fa propri, il denunziato contrasto tra la previsione dell'ergastolo ed il principio rieducativo, in considerazione "della connotazione polifunzionale della sanzione, comprensiva delle finalita' di prevenzione, generale e speciale, nonche' di difesa e di rieducazione sociale, e della previsione di una disciplina di esecuzione della pena che consente di escluderne in concreto la perpetuita'" (Sez. 1, n. 28579 del 17/03/2022, Caputo, Rv. 283510 - 01),e nel rilevare che "la pena dell'ergastolo, a seguito dell'entrata in vigore dell'ordinamento penitenziario, ha cessato di essere una pena perpetua e quindi non puo' dirsi contraria al senso di umanita', essendo, peraltro, non incompatibile con la grazia e con la possibilita' di un reinserimento incondizionato del condannato nella societa' libera" (Sez. 1, n. 34199 del 12/04/2016, Aguila Rico, Rv. 267656 - 01; Sez. 1, n. 33018 del 29/03/2012, Esposito, Rv. 253430 - 01), come, del resto, attestato dall'elaborazione giurisprudenziale della Corte EDU, che ha ritenuto la pena dell'ergastolo compatibile con i principi di cui all'articolo 3 CEDU, in tutti quei casi in cui la legislazione nazionale consente al soggetto adulto la possibilita' di riesame della pena stessa per commutarla, sospenderla, porvi fine o accordare la liberazione anticipata. 2.1. In questa cornice va inquadrata la questione sollevata dal ricorrente con il primo motivo, che investe, piu' specificamente, la ragionevolezza di una disciplina, quale quella a lui applicata in virtu' del riconoscimento, in relazione agli addebiti di natura omicidiaria, dell'aggravante del nesso teleologico, che determina un sensibile aggravamento di pena, transitandosi da una sanzione temporanea, modulabile tra un minimo ed un massimo in funzione dei criteri previsti dall'articolo 133 c.p., ad una perpetua e fissa, quale l'ergastolo. L'obiezione non coglie nel segno, perche' prende le mosse dalle conseguenze, sul piano sanzionatorio, dell'applicazione di una delle circostanze aggravanti elencate all'articolo 576 c.p. e articolo 577 c.p., comma 1, ovvero dall'apprezzamento di elementi del fatto, afferenti alla sua dimensione obiettiva (quale, ad esempio, l'avere l'agente adoperato sostanze venefiche) o soggettiva (quale la condizione di latitante del reo), che il legislatore ha stimato idonee ad accrescerne il coefficiente di disvalore. Esaminata da quest'angolo prospettico, la piu' severa considerazione riservata alle condotte omicide che siano funzionale alla realizzazione di un diverso reato o a consentire a chi ne sia autore di conseguirne il prezzo, il prodotto o il profitto o di procurarsi, per esso, l'impunita' appare scevra da rilevanti deficit di ragionevolezza e costituisce frutto di una discrezionale scelta del legislatore, insindacabile nell'ottica segnalata dal ricorrente. Ne', va opportunamente aggiunto, possono censurarsi, alla luce degli invocati parametri costituzionali, le modalita' operative individuate dal legislatore, che ha stimato che l'accresciuta gravita' della condotta omicidiaria imponga - in tutti i casi, si ribadisce, elencati all'articolo 576 c.p. e articolo 577 c.p., comma 1, -l'irrogazione della pena perpetua, la cui eventuale mitigazione puo' derivare dal riconoscimento di circostanze attenuanti da sottoporre a giudizio di bilanciamento ex articolo 69 c.p.. E' questo, invero, lo spazio che il giudice di merito puo', in siffatti casi, utilizzare, ove lo ritenga, per attribuire rilievo alle concrete connotazioni della condotta, anche sul piano dell'elemento soggettivo, restando, altrimenti, vincolato all'applicazione della pena perpetua, dalla cui fissita' non discende, per le ragioni sopra gia' esposte, alcun contrasto con i precetti costituzionali. 3. Preliminarmente all'esame dei residui motivi, avendo il ricorrente articolato doglianze anche ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), appare opportuno rilevare che detta disposizione, nel prevedere il sindacato sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, non abilita il giudice di legittimita' ad effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella gia' effettuata dai giudici di merito, dovendo la Corte di cassazione limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni svolte dal giudice di merito per motivare il suo convincimento. La mancanza, la manifesta illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimita', devono, invero, possedere una consistenza tale da risultare percepibili ictu oculi, restando il sindacato al riguardo circoscritto a rilievi di macroscopica evidenza, mentre restano ininfluenti le minime incongruenze e devono considerarsi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano concettualmente incompatibili con la decisione adottata; sempre che, ovviamente, siano spiegate in modo razionale ed adeguato, e senza vizi giuridici, le ragioni del convincimento (in tal senso, conservano validita' i principi affermati da Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Deve, ancora, escludersi per il giudice di legittimita' la possibilita' di "un'analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonche' i motivi di ricorso su di essi imperniati" e quindi "di fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi", cio' che "si risolverebbe in una impropria riedizione del giudizio di merito e non assolverebbe alla funzione essenziale del sindacato sulla motivazione" (Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio, Rv. 233621), ovvero di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o di adottare nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Lobriglio, Rv. 234559). 4. Cio' posto, i tre motivi con i quali (OMISSIS) contesta la legittimita' della decisione impugnata si imperniano su una premessa comune, che attiene alla congruita' delle risposte fornite dalla Corte di assise di appello alle doglianze articolate con l'impugnazione proposta avverso la decisione di primo grado. Il giudice di appello, in proposito, ha programmaticamente richiamato, facendovi integrale rinvio e mutuandone i contenuti, l'iter motivazionale seguito dalla Corte di assise, sicche' il vaglio delle censure articolate con il ricorso per cassazione deve essere compiuto in ossequio al canone, comune presso la giurisprudenza di legittimita', secondo cui "Il giudice di legittimita', ai fini della valutazione della congruita' della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Rv. 266617 - 01). Ora, la Corte di assise, alle pagg. 17-22 e, poi, 24-28 della sentenza di primo grado, ha analizzato funditus le emergenze istruttorie relative allo svolgimento del drammatico episodio del quale (OMISSIS) e' stato protagonista. Ha, in particolare, rilevato che le plurime fonti probatorie acquisite confortano in pieno l'impostazione accusatoria e smentiscono, per contro, la versione offerta dall'imputato, tesa a circoscrivere la propria responsabilita' per l'omicidio di (OMISSIS) ed il tentato omicidio di (OMISSIS) sul rilievo dell'accidentalita' dei colpi esplosi dalla rivoltella Colt. Tanto, in ragione del fatto, hanno scritto i giudici capitolini, che (OMISSIS) "nel corso della colluttazione, ha tenuto sempre saldamente impugnata (la rivoltella Colt) nella mano destra, diverse immagini evidenziando anche come tenesse il dito sul grilletto mentre lo (OMISSIS) tentava di disarmarlo e, comunque, cercava di trattenergli la mano proprio per evitare che potesse colpirlo". La Corte di assise ha, altresi', dato conto dell'obiezione difensiva che, nel tentativo di porre in dubbio il carattere doloso dell'azione omicida, fa leva sull'essersi trovato (OMISSIS), nella prima fase, in condizione tale da potere neutralizzare, sparandogli, (OMISSIS), che gli stava di fronte, che ha disatteso sulla scorta delle "video riprese relative ai momenti in cui i due sono dietro la cassa, che non mostrano affatto un'azione di afferramento delle mani da parte dello (OMISSIS), ma piuttosto come questi abbia preso l'imputato in maniera particolare, infilando la testa sotto la sua ascella, cosi' da impedirgli di puntargli la pistola e facendolo cadere in terra di schiena (vedi, in particolare, le riprese della telecamera Ch7...; vedi anche deposizione della persona offesa e del teste oculare (OMISSIS))". Analogamente, ha ricordato che, a dire di (OMISSIS), nella seconda fase della colluttazione, una volta fuori dal banco dedicato alle scommesse, alcune persone, in numero compreso tra due e quattro, sarebbero intervenute, unitamente alla moglie di (OMISSIS), e, nel tentativo di dar manforte alla vittima, che gli bloccava la mano destra, armata, lo avrebbero spinto da tergo, aggredito violentemente e fatto cadere. L'imputato, in altre parole, ha negato di essere stato animato da intento omicidiario e ha affermato piuttosto, concentrato i propri sforzi al fine di impadronirsi del denaro e fuggire e di avere attivamente resistito all'azione di (OMISSIS), astenendosi dal consentirgli di impadronirsi dell'arma che egli teneva saldamente in pugno, per il timore che il commerciante, venuto in possesso della pistola, lo uccidesse. La Corte di assise ha stimato la totale inattendibilita' di tale versione, contraddetta gia' dalle riprese delle telecamere, che escludono, in particolare, la presenza di persone ulteriori, rispetto ai coniugi (OMISSIS), sino alla fase finale della colluttazione, ovvero sino al momento in cui, essendo stati (OMISSIS) e (OMISSIS) attinti dai colpi fuoriusciti dalla Colt, un dipendente ed il cliente (OMISSIS) sono intervenuti riuscendo, finalmente e non senza fatica, a disarmare l'odierno ricorrente. Ha ricordato, ulteriormente, che le circostanze descritte da (OMISSIS) sono state, tutte, "smentite dalle illustrate riprese delle telecamere e da quanto dichiarato dallo (OMISSIS) e dagli altri testi, da cui e' provato che nessuno ha afferrato alle spalle l' (OMISSIS) e percio' egli sia caduto a terra, dove e' finito, invece, per la pronta reazione della vittima", ed aggiunto che "tantomeno risulta, come gia' evidenziato, che vi sia stato l'intervento di terzi (oltre lo (OMISSIS) e la moglie) nei momenti cruciali della colluttazione, in cui ha esploso i tre colpi con la Colt". La Corte di assise, ancora, ha affermato che "Le video riprese e dettagli immagine, al contrario, mostrano ripetutamente che l' (OMISSIS) impugnava la Colt proprio in direzione della vittima, come dalla medesima dichiarato" e che "Soprattutto, il foro d'ingresso e la traiettoria dei (OMISSIS) che hanno rispettivamente attinto lo (OMISSIS) e il (OMISSIS), come accertati, dimostrano che i colpi sono stati esplosi a distanza assai ravvicinata mentre egli teneva l'arma correttamente impugnata con la mano destra, trovandosi steso schiena a terra, sovrastato dallo (OMISSIS) e dal (OMISSIS), avvicinatosi per prestargli supporto; e che in quel preciso momento egli puntava l'arma in direzione del bacino dello (OMISSIS), come sopra ampiamente esposto (in particolare, vedi dettaglio immagini 5 e 6; esame della persona offesa e del CT Sacchetti di cui sopra)". A fronte, allora, dell'asserzione, da parte di (OMISSIS), secondo cui il primo colpo sarebbe partito accidentalmente durante la caduta e quelli residui avrebbero dovuto essere ascritti all'azione di (OMISSIS) e/o di coloro che lo hanno coadiuvato nella reazione, che avrebbe determinato l'involontaria pressione sul grilletto, la Corte di assise ha, seccamente, replicato che "invece, e' provato che fu proprio lui ad esplodere, attraverso l'azione necessaria del premere il grilletto, portandolo a fondo e poi tirando ancora, come ha chiarito il teste (OMISSIS)" e rilevato, inoltre, che "Le riprese delle telecamere e i dettagli immagine smentiscono anche la circostanza specifica, ripresa dall' (OMISSIS) nel corso dell'esame dibattimentale (...) che la moglie dello (OMISSIS), intervenuta nel corso della colluttazione, gli avrebbe puntato la pistola (del complice) in faccia e percio' avrebbe temuto per la sua vita", risultando, piuttosto "come la (OMISSIS) sia stata pronta a spingere velocemente la pistola del (OMISSIS) lontano e non a caso, dal momento che l' (OMISSIS) stava provando a recuperarla con la mano sinistra che aveva libera". Il giudice di primo grado ha, ulteriormente, segnalato che "riprese delle telecamere e dichiarato testimoniale evidenziano che non ha desistito dall'azione, mollando l'arma, neppure quando si rese conto che il (OMISSIS) era stato attinto, cercando anche di recuperarne la pistola, e quanto sia stato faticoso disarmarlo da parte dello (OMISSIS), coadiuvato dalla moglie, dal dipendente e dal (OMISSIS)". La ricostruzione dei fatti di causa operata dal giudice di merito ha indotto il convincimento che (OMISSIS) abbia agito animato, in pregiudizio di (OMISSIS), da dolo diretto, nella forma del dolo alternativo. Egli, invero, era pienamente consapevole, a giudizio delle Corti romane (il punto e' ripreso e sviluppato dalla Corte di assise di appello alla pag. 23 della sentenza impugnata), sia della offensivita' del mezzo adoperato che delle conseguenze, facilmente prevedibili, della condotta realizzata, in tal senso deponendo, e' stato a chiare lettere ribadito, che l'istruttoria dibattimentale ha escluso la possibilita' di un'esplosione accidentale dei colpi di pistola sia sotto un profilo strettamente tecnico che alla luce di quanto emerso dalle immagini registrate, dalle dichiarazioni rese dai testimoni e dagli esiti degli accertamenti balistici e medico-legali. (OMISSIS), quindi, ha agito con previsione e volizione, in via alternativa, della morte o del ferimento della vittima, mezzo imprescindibile, in quel contesto, per guadagnare la fuga e garantirsi l'impunita'. 5. Al cospetto di un percorso argomentativo che trova i propri capisaldi nella sinergica valutazione del composito compendio istruttorio, il ricorrente reitera, con i motivi di ricorso, le obiezioni che, gia' sottoposte all'attenzione della Corte di assise di appello, sono state disattese attraverso l'integrale adesione alle considerazioni svolte dal primo giudice. Sostiene, al riguardo, che la visione dei filmati captati dalle telecamere di sorveglianza avrebbe condotto a conclusioni assai meno nette di quelle raggiunte dai giudici di merito, precipuamente per quanto concerne: - l'identita' del soggetto che esplose i colpi che attinsero (OMISSIS) e (OMISSIS) e, specularmente, la possibilita', per il rapinatore, di governare l'arma in autonomia, in quei caotici e drammatici istanti, con riferimento sia al puntamento che alla pressione sul grilletto; - la successione temporale delle esplosioni; - l'atteggiamento serbato da (OMISSIS) nel momento in cui, trovandosi di fronte (OMISSIS), con ogni evidenza intenzionato a non restare inerte davanti alla minaccia della pistola puntata stersianella sua direzione, si astenne, pur avendone la possibilita', dal far fuoco al suo indirizzo, mantenendo analogo contegno anche quando, vedendo (OMISSIS) che, venuto in suo soccorso, cercava di colpire (OMISSIS) con il calcio della Beretta, resto', in prima battuta e per qualche secondo, inerte, cosi' rinunziando a sparare al commerciante, in quell'istante a portata di tiro. L'approfondimento istruttorio si sarebbe appalesato tanto piu' necessario, nota il ricorrente, in quanto vertente su circostanze di fatto sicuramente incidenti sull'apprezzamento, effettuato in ossequio al canone indicato all'articolo 533 c.p.p., comma 1, della sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di omicidio tentato e consumato. Non conoscendosi, infatti, chi, nell'occasione, ha governato la Colt, quale distacco temporale vi sia stato tra il primo colpo e quelli successivi ed essendo, al contrario, provato per tabulas che i rapinatori, mossi da un obiettivo di natura esclusivamente economica, non avevano in alcun modo messo in conto il possibile utilizzo delle armi per attentare alla vita della vittima, dovrebbe giocoforza pervenirsi alla presa d'atto della sostanziale, irredimibile equivocita' del compendio istruttorio, come tale non idoneo a supportare l'affermazione della penale responsabilita' in ordine a reati di massima gravita' e, percio', sanzionati con la pena perpetua. L'eccezione non coglie nel segno, perche' priva di attitudine ad incrinare la solidita' della sentenza impugnata nella chiave della ricostruzione del fatto cosi' come della sua qualificazione giuridica. Si e' visto, sopra, che i giudici di merito hanno tratto argomento, oltre che dalle immagini registrate dalle telecamere, dalle dichiarazioni rese dai testimoni - e, in primis, dalla persona offesa e da (OMISSIS) - nonche' dagli esiti degli accertamenti balistici e medico-legali, tutti coerenti nell'attestare, innanzitutto, che il colpo che uccise (OMISSIS) fu esploso mentre l'arma era impugnata da (OMISSIS) con la mano destra, che (OMISSIS), al contempo, cercava di bloccargli. Le immagini, in particolare, documentano che, se, alle ore 01:55:02, (OMISSIS), schiena a terra, tiene la pistola puntata in direzione dello (OMISSIS), che lo sovrasta, dopo appena un secondo due degli astanti ( (OMISSIS) ed altro giovane avventore) compiono, con la testa, un gesto espressivo di naturale reazione all'esplosione di un colpo d'arma da fuoco, ripetuto da (OMISSIS) dopo appena due secondi; e' questo l'acme della tragedia, che si sviluppa ed esaurisce nel giro di pochissimi secondi, tanto che alle 01:55:10, (OMISSIS) viene bloccato dai coniugi (OMISSIS), cui, di li' a poco, si unisce (OMISSIS). Ora, i giudici di merito hanno cura di sottolineare che le immagini registrate in questo lasso temporale - cioe' dalle 01:55:02 fino, quantomeno, alle 01:55:10 - ritraggono (OMISSIS) nell'atto di impugnare la Colt, con il dito piegato sul grilletto, cio' che, e' agevole notare, appare perfettamente coerente, oltre che con i dati tecnici, con la descrizione di quegli attimi effettuata da (OMISSIS) e (OMISSIS), il quale ha, in particolare, riferito che "in quel preciso istante (il (OMISSIS) che cascava, finendo col travolgere anche lui) vide chiaramente che l' (OMISSIS), sovrastato dallo (OMISSIS), teneva la pistola nella mano destra, puntata nella loro direzione (sua e del (OMISSIS)) che era poi quella dello (OMISSIS)". Per quanto concerne lo iato che ha separato le diverse esplosioni, la conclusione raggiunta dai giudici di merito poggia sulla coordinata considerazione: del racconto di (OMISSIS) e (OMISSIS); della reiterazione, da parte del secondo, del movimento della testa sintomatico dell'avere egli udito un boato; dell'apporto del consulente del pubblico ministero, prof. (OMISSIS), il quale, pur non potendo esprimersi in termini di certezza, ha ipotizzato che i colpi siano stati esplosi in rapida successione. Rebus sic stantibus, ineccepibile si palesa, dal punto di vista della coerenza logica e della compatibilita' con le evidenze disponibili, la decisione impugnata nella parte in cui stima non necessario - nell'ottica propria dell'articolo 603 c.p.p. - procedere alla visione, in contraddittorio, dei filmati registrati dalle telecamere di sorveglianza, e ritiene, piuttosto, che possano mutuarsi le valutazioni operate dalla Corte di assise rispetto alle quali, e' opportuno rimarcare, il ricorrente si colloca in una posizione di sterile confutazione, non accompagnata dall'esposizione di elementi che ne attestino la fallacia, al di la' del racconto offerto dall'imputato, la cui inattendibilita' e' stata sancita dai giudici di merito con il supporto di argomentazioni del pari aliene da fratture razionali. L'approccio critico del ricorrente si palesa, dunque, affetto da irrimediabile genericita', laddove omette di confrontarsi con fonti di prova - quali le dichiarazioni testimoniali e gli esiti delle indagini tecniche - che hanno concorso in misura significativa ad orientare il convincimento del giudice e, al contempo, improduttivo, nella parte in cui si lamenta che la Corte di assise di appello abbia conformato la propria valutazione a quella del primo giudice in ordine ad aspetti, quale quello che attiene alla gestualita' corporea di taluni avventori, che, nella loro storicita', non sono in alcun modo revocati in dubbio. Non merita miglior sorte, poi, la doglianza, vertente sul requisito psicologico degli addebiti omicidiari, che trae spunto dall'avere (OMISSIS), fino a un certo momento, tenuto un contegno sintomatico di meno cruente intenzioni. I giudici di merito hanno a piu' riprese esposto che (OMISSIS) era originariamente animato, al pari del correo, da pulsioni di tipo essenzialmente economico e che l'utilizzo delle pistole avrebbe dovuto sortire, nelle previsioni dei rapinatori, un effetto meramente minatorio. I due, tuttavia, erano, ab initio, perfettamente consapevoli che, all'occorrenza, si sarebbe potuta presentare la necessita' di impiegare le armi a scopo offensivo della vita e dell'incolumita' personale altrui, che si e' concretizzata, nel caso in esame, quando (OMISSIS) ha compreso che la vittima, determinata ad impedirgli, ad ogni costo, di consumare l'atto predatorio, non gli avrebbe consentito di prelevare il bottino ne' di fuggire. La coscienza che, qualora egli non si fosse servito della rivoltella esplodendo colpi all'indirizzo di (OMISSIS), le cose avrebbero preso una piega disastrosa ha, dunque, indotto (OMISSIS), secondo i giudici di merito, ad abbandonare il contegno di cauto attendismo assunto non appena (OMISSIS) aveva cercato di inibirgli l'attuazione del proposito criminoso ed a cercare di avere la meglio su di lui, in una colluttazione i cui esiti si preannunciavano quantomeno incerti, sparandogli addosso e cosi' provocando, per aberratio ictus, la morte del complice e, in immediata sequenza, il ferimento del commerciante di origine cinese. Un ragionamento, quello seguito dai giudici di merito, che non soffre delle carenza logiche adombrate dal ricorrente e che si mantiene, piuttosto, all'interno del fisiologico margine di apprezzamento riservato al giudice di merito, le cui determinazioni, come enunciato in premessa, sono suscettibili di sindacato in sede di legittimita' solo in presenza di falle ricostruttive, contraddizioni, travisamenti che, nella fattispecie, non e' dato ravvisare. 6. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, primo periodo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. BELMONTE Maria T. - rel. Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/09/2021 della CORTE di APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Maria Teresa BELMONTE udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale, Tomaso EPIDENDIO che ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, limitatamente al capo A2 e alla pena accessoria fallimentare; rigetto del resto. Letta la memoria difensiva degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), con la quale insistono nei motivi di ricorso. Udito l'avv. (OMISSIS), difensore del ricorrente, che insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della decisione del G.U.P. del Tribunale di quella stessa citta' - che aveva riconosciuto (OMISSIS), consigliere di amministrazione della societa' (OMISSIS) s.r.l. (gia' (OMISSIS) s.p.a., incorporante (OMISSIS) s.p.a.), dichiarata fallita dal Tribunale di Torino in data 03 agosto 2011, colpevole, quale concorrente esterno, di plurimi fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo A- sub Al, A2, A4, A7, quest'ultimo limitatamente alla distrazione dell'importo di Euro 166.000), nonche', quale amministratore della predetta societa', di bancarotta impropria da falso in bilancio (capo C), condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti del danno di rilevante entita' e della pluralita' di fatti di bancarotta, - ha rideterminato la durata delle pene accessorie, commisurata a quella principale, confermando, nel resto, la decisione del primo giudice. 1.1. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il ricorrente, proveniente dal settore imprenditoriale e finanziario, quale socio e vice presidente di una importante banca di investimenti, al momento di uscire dalla predetta compagine, aveva ricevuto, come contropartita, la partecipazione in un importante fondo di investimenti che conteneva il 35% delle azioni della fallita; egli, dunque, attraverso la sua societa' di investimenti, la (OMISSIS), nel 2005, era entrato a far parte della fallita (OMISSIS) s.r.l., societa' leader nel settore degli allestimenti per mostre, fiere e strutture museali. La societa' aveva risentito della crisi che aveva investito il comparto fieristico nel 2008, ma - nell'ottica fatta propria dalla sentenza impugnata - il dissesto del gruppo era, altresi', imputabile a condotte distrattive di rilevante entita' riconducibili (anche) all'odierno ricorrente. In particolare, le condotte distrattive per cui il ricorrente e' stato ritenuto responsabile, sono: capo Al- la cessione di una societa' del gruppo, la (OMISSIS) s.r.l., che era la societa' immobiliare del gruppo, proprietaria del complesso industriale adiacente a quello in cui aveva sede la fallita, trasferita con il relativo patrimonio immobiliare dalla fallita a (OMISSIS) (giudicato separatamente), in percentuale del 65% e all'odierno ricorrente in percentuale del 35%, per il tramite della societa' (OMISSIS) s.r.l., riconducibile a entrambi, al prezzo di Euro 483.000, largamente inferiore al valore reale dell'epoca, quantificato in oltre tre milioni di Euro; capo A2 - la dazione, da parte della fallita, in favore di (OMISSIS) s.r.l., della somma di Euro 800.000, apparentemente avvenuta a titolo di cauzione per l'acquisto, da parte della (OMISSIS) s.p.a., di una palazzina adibita a uffici e ubicata a (OMISSIS), poi mai perfezionata, e rimborsata solo in parte per l'importo di Euro 300.000 da (OMISSIS) s.r.l., residuando un ammanco di Euro 500.000; capo A4- la cessione, da parte della fallita, delle partecipazioni in (OMISSIS) s.r.l. e in altre societa' collegate a un prezzo corrispondente al valore di carico delle partecipazioni nei bilanci (OMISSIS), mediante la interposizione nella compravendita di (OMISSIS) s.r.l. (e di (OMISSIS)), a cui perveniva il corrispettivo reale dell'operazione, pagato dall'acquirente effettivo di (OMISSIS) s.p.a., pari a un milione di Euro, in tal modo, sottraendo il corrispettivo di spettanza della (OMISSIS) s.p.a. in misura non inferiore a 633.750; capo A7 - i pagamenti non dovuti in favore degli amministratori, ovvero assumendo oneri nel loro esclusivo interesse, eccedenti i compensi deliberati, di cui e' stata riconosciuta la distrazione per il minore importo di Euro 166.00, rispetto alle somme in contestazione (capo A7). Quanto al capo C) i Giudici di merito hanno ritenuto provata la esposizione di fatti non veri sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della societa'. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, con il ministero dei difensori di fiducia, avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che svolgono nove motivi. 2.1. Con il primo, censurano, con riferimento a tutti i capi di imputazione, il grave vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omesso confronto con alcune decisive doglianze difensive, incorrendo la sentenza impugnata nel vizio di motivazione apparente, oltre che illogica e contraddittoria. Nel contestare l'impostazione generale della sentenza impugnata - che fonderebbe il proprio giudizio di colpevolezza sul fallace convincimento generale, quale chiave interpretativa di ogni condotta, per cui il ricorrente, non solo sarebbe stato pienamente consapevole della illiceita' delle condotte contestategli, ma avrebbe manovrato in maniera occulta, sapientemente nascosto, forte della indiscussa esperienza professionale, dietro l'apparenza di cariche sociali solo formalmente secondarie - la Difesa ricorrente sostiene che l'asserito ruolo di risoluto e occulto co-ideatore delle condotte contestate dovrebbe ritenersi ontologicamente escluso da due pregnanti elementi, significativi, piuttosto, della buona fede dell'imputato, rappresentati: - dalle circostanze del suo ingresso nella compagine della societa' fallita, frutto di una scelta effettuata dall'istituto di credito dal quale stava fuoriuscendo, risultando inverosimile che egli abbia accettato la proposta consapevole della condizione di decozione della (OMISSIS) s.p.a; piuttosto - si sostiene - egli venne ingannato, e, comunque, certamente non era a conoscenza della male gestio del dominus (OMISSIS); - dal contegno serbato, negli anni successivi, quando, nel 2009, effettuo', in favore della fallita, un aumento di capitale di Euro 750.000, scelta incompatibile con la supposta sua conoscenza della situazione di dissesto, giacche' egli avrebbe potuto ottenere - da finanziere avveduto e scaltro, quale viene considerato dai giudici di merito - lo stesso risultato che, nell'ottica della sentenza, egli intendeva perseguire, ovvero evitare il fallimento e sperare di risollevare le sorti della societa', facendo ricorso a un finanziamento soci oppure al credito bancario, soluzioni che lo avrebbero reso creditore della societa' e non finanziatore a fondo perduto. D'altro canto, se fosse stato consapevole della situazione di dissesto, avrebbe certamente preteso un pari impegno finanziario da parte degli altri soci: egli, invece, fu l'unico socio ad effettuare il versamento, a proprie spese e a beneficio della (OMISSIS) s.p.a., peraltro, in un momento in cui altri esponenti del gruppo di (OMISSIS) illecitamente prelevavano, in quegli anni, oltre due milioni di Euro, secondo quanto indicato nel capo a3, mediante distrazioni effettuate in favore della (OMISSIS). 2.2. Analoghi vizi vengono denunciati con il secondo motivo, con riguardo al capo C), laddove la Corte territoriale ha ravvisato la responsabilita' del ricorrente per la bancarotta impropria da falso in bilancio, senza spiegare, se non con argomentazione illogica e contraddittoria, come il ricorrente, ritenuto consapevole delle false annotazioni, abbia potuto determinarsi per l'aumento di capitale, contro il suo personale interesse, e perche' non abbia optato per un'altra soluzione certamente piu' vantaggiosa; in realta', si argomenta, egli fu vittima di quelle false informazioni in bilancio, sulla cui base si determino' a conferire denaro a tutto vantaggio dei reali responsabili. 2.3. Con il terzo motivo, che attinge il capo Al) sotto il profilo dell'elemento soggettivo, si denunciano erronea interpretazione degli articoli 43 e 110 c.p. - 223 comma 1 e 216, comma 1 n. 1 L.F., e correlati vizi della motivazione. Premesso che gia' il giudice di prime cure, immutando l'accusa originariamente contestata, aveva ritenuto la penale responsabilita' dell'imputato esclusivamente quale concorrente extraneus nel reato proprio degli amministratori della (OMISSIS) s.r.l., la censura si appunta sulla parte in cui, ai fini della prova del dolo dell'extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, la Corte di appello avrebbe erroneamente rappresentato tale fattispecie come reato a pericolo presunto anziche' come un reato di pericolo concreto, secondo i piu' recenti approdi giurisprudenziali, laddove ha ritenuto non necessario l'accertamento che l'imputato si fosse rappresentato, all'atto della commissione della condotta contestata, la condizione di dissesto in cui versava la societa' e il rischio di un suo successivo fallimento (cita sent. n. 13910/2017; sent. n. 17819/2017, Palitta; sent. n. 38396/2017, Santoro; n. 34980/2020 n. m.). 2.4. Anche il quarto motivo denuncia erronea applicazione delle medesime disposizioni di legge e correlati vizi della motivazione, con riguardo allo scrutinio dell'elemento soggettivo della condotta distrattiva sub A2, in relazione alla quale il ricorrente e' chiamato, quale amministratore privo di delega, a rispondere della dazione della somma di Euro 800.000 da parte della (OMISSIS) s.p.a. in favore di (OMISSIS) s.r.l., giustificata quale cauzione versata a fronte di un'operazione poi non realizzatasi. In tal caso, la Corte di appello non avrebbe dato la prova che l'imputato fosse informato o comunque avesse percepito segnali di allarme tali da rendere palese la condotta depauperativa. In realta', una volta escluso gia' dal primo giudice che il (OMISSIS) avesse diretta conoscenza della dazione, l'unico segnale d'allarme individuato dalla Corte di appello e' costituito dall'avvio, per esclusiva iniziativa del Presidente del C.D.A., il coimputato (OMISSIS), di un'operazione immobiliare da parte della (OMISSIS) di cui (OMISSIS) era socio, finalizzata allo sfruttamento economico della futura riqualificazione dell'area in cui sorgeva la sede centrale della societa', spostando tutta la produzione in altro comune. Non ha, pero', spiegato, la Corte di appello, - cosi' travisando la teoria dei segnali di allarme - perche' un'operazione lecita avrebbe dovuto costituire un cosi' evidente segnale di allarme per un amministratore privo di delega, tale da fondarne la responsabilita' concorsuale. In ogni caso, la sentenza non ha provato la percezione del segnale da parte del (OMISSIS), piuttosto limitandosi a sostenerne la percepibilita', che e' connotato delle condotte colpose. 2.5. Con il quinto motivo vengono denunciati violazione degli articoli 223 comma 1 e 216 comma 1 n. 1 L.F. e correlati vizi della motivazione, manifestamente illogica, con riguardo al capo A4, per avere la Corte di appello ravvisato la natura distrattiva della cessione di alcune partecipazioni detenute dalla societa' fallita in altre collegate, tra cui la (OMISSIS) s.r.l., e, comunque, per non avere ridotto da Euro 633.750 a Euro 23.750 l'ammontare della distrazione. Posto che l'operazione contestata si era svolta in due fasi, nel senso che, dopo la cessione nel 2007, per l'importo di Euro 16.250, della (OMISSIS) s.r.l. alla (OMISSIS), quest'ultima aveva a sua volta ceduto la (OMISSIS) s.r.l. a terzi, nel 2009, al maggior prezzo di 1 milione di Euro, sostiene la Difesa che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che, tra le due operazioni commerciali, erano intercorsi due anni, durante i quali la (OMISSIS) s.r.l. si era enormemente rivalutata, in quanto la stessa fallita le aveva ceduto numerose altre partecipazioni detenute in altre societa' del gruppo. Pertanto, a tutto voler concedere, nel calcolare l'importo distratto, avrebbero dovuto essere scomputate le quote cedute da (OMISSIS) s.r.(. a (OMISSIS) s.r.l., pari a Euro 610.000. Si contesta, quindi, la valutazione espressa dalla Corte di appello in relazione a tale ultimo profilo, laddove ha escluso rilevanza all'importo della distrazione, giacche', invece, per la natura di reato di pericolo concreto, avrebbe dovuto dare conto della rappresentazione, da parte dell'imputato, all'epoca della cessione, avvenuta due anni prima, che quella distrazione di poco piu' di ventimila Euro avrebbe potuto provocare il fallimento della societa'. 2.6. Con il sesto motivo si denunciano vizi della motivazione con riguardo alla condotta distrattiva sub A7, laddove la Corte di appello ha ritenuto distrattivo il pagamento di tre fatture emesse dalla societa' del ricorrente (OMISSIS) s.a. nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. e Gruppo (OMISSIS) s.p.a. a fronte di consulenze prestate nell'interesse di tali due societa' per il complessivo importo di Euro 166.000. Nell'ottica difensiva, infatti, le fatture sarebbero riferibili al maggior compenso per il distacco in pianta stabile, presso le predette societa', di una dipendente al settore marketing, e, in parte, all'attivita' di intermediazione svolta dallo stesso ricorrente in favore della fallita, alla quale aveva procurato commesse anche da un milione di Euro. 2.7. Con il settimo motivo si denunciano erronea applicazione della legge penale e correlati vizi della motivazione, nella parte in cui la sentenza ha escluso la sussistenza dell'ipotesi della bancarotta riparata, a fronte dell'immissione nelle casse della fallita di danaro pari a Euro 750.000 da parte dell'imputato, certamente idonea a ripianare le casse sociali, quantomeno per la parte corrispondente al conferimento. 2.8. Con gli ultimi due motivi ci si duole del trattamento sanzionatorio denunciando manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione, sia per avere escluso la attenuante del risarcimento del danno (articolo 62 n. 6 c.p.), che nella determinazione della durata delle pene accessorie, immotivatamente parametrata alla durata della pena principale. 3.Con successiva memoria, i difensori del ricorrente, nel riportarsi a tutte le censure formulate, hanno sottolineato ulteriori vizi di illogicita' e contraddittorieta' della motivazione della sentenza impugnata, sottolineando che, quando nel 2009, Il (OMISSIS) ebbe le prime avvisaglie della situazione di crisi della societa' effettuo' una approfondita due diligence al termine della quale apprese che la societa' aveva accumulato oltre 5 milioni di Euro di perdite rimaste occulte, da quel momento rompendo ogni rapporto con i vertici della societa', affidandosi per la partecipazione ai consigli di amministrazione, alla rappresentanza di un avvocato di fiducia. 3.1. Con riguardo poi, in particolare, alla condotta sub Al, la Corte di appello ha obliterato il dato che, quando venne deliberata la cessione della (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) era ancora in (OMISSIS), e che, in ogni caso, la societa' era stata gia' acquistata da (OMISSIS), quando la societa' (OMISSIS) s.r.l. neppure esisteva, e alla quale egli poi decise di cedere la (OMISSIS). 3.2. Infine, ci si duole che la condanna dell'imputato per le altre condotte si fondi su rimproveri di tipo colposo. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso non e' fondato. 1. Capo Al. Secondo la ricostruzione proveniente dalla sentenza di primo grado, e condivisa dalla Corte di appello - (la cui motivazione deve essere apprezzata congiuntamente in presenza di una "doppia conforme" (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), giacche' le due sentenze si integrano tra loro (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 - dep. 05/12/1997, Rv. 209145) - le quote di (OMISSIS) furono oggetto di due atti di cessione, la prima dell'1.1.2005, in cui la controllante Gruppo (OMISSIS) s.p.a. cedeva in favore di (OMISSIS) "per se' e/o per persona fisica e/o giuridica da nominare", al prezzo di Euro 430.000, e, per quanto espressamente previsto in quell'atto, il cessionario acquisiva immediatamente il controllo sulla gestione della stessa (OMISSIS) s.r.l. Successivamente a tale atto, (OMISSIS) aveva posto in essere tre operazioni immobiliari che facevano confluire in (OMISSIS) s.r.l. l'intero complesso immobiliare di via (OMISSIS) e via (OMISSIS), che vennero svenduti dalla holding, secondo le stime dei consulenti, a prezzi inferiori di tre, quattro volte quelli di mercato. Seguiva una seconda scrittura privata, in data 11 luglio 2006, e, il 31 luglio 2006, la delibera di formalizzazione della cessione con cui, al prezzo gia' indicato nella scrittura privata di gennaio 2005, l'acquirente era (OMISSIS) s.r.l., nelle more, costituita, a settembre 2005, e interamente riconducibile ai soci della cedente, (OMISSIS) e (OMISSIS) che partecipavano alla nuova societa' con le medesime percentuali detenute nella cedente (cfr. sentenza GUP pg. 60). 1.1. In primo luogo deve darsi atto che non ha alcun pregio la obiezione difensiva - secondo cui la (OMISSIS) sarebbe stata gia' ceduta con la prima scrittura a (OMISSIS) -dal momento che la quell'atto ebbe riguardo a una cessione senza una effettiva controprestazione, ma verso un pagamento differito a quasi due anni; risulta del tutto sprovvista di autenticazione e manca di registrazione; inoltre, il cessionario si riservava la facolta' di nominare un terzo quale effettivo acquirente. Detto contratto - non opponibile a terzi - di fatto, non produsse l'effetto di trasferire la titolarita' della quote della (OMISSIS) a (OMISSIS), venendo superata dalla successiva scrittura, con cui l'effetto traslativo si realizzo' in favore della neo costituita (OMISSIS) che, quindi, risulta essere stata il terzo acquirente effettivo, per cui il (OMISSIS) si era riservato la facolta' di nomina nel primo contratto. (OMISSIS), d'altro canto, non si e' doluto nei confronti della cedente fallita, rivendicando l'acquisto. Dunque, a distanza di oltre un anno e mezzo dal primo contratto, l'11 luglio 2006, dopo che erano state compiute le tre operazioni immobiliari (cfr. sentenza primo grado pg. 60) che facevano confluire in (OMISSIS) s.r.l. l'intero complesso immobiliare di via (OMISSIS) e via (OMISSIS), svenduto dalla holding, (OMISSIS) usciva dal gruppo (OMISSIS) s.p.a., con l'atto di cessione del 100% delle quote detenute da (OMISSIS) s.r.l. in (OMISSIS), venendo acquisita dai soci della Holding, (OMISSIS) e (OMISSIS), attraverso (OMISSIS) s.r.l., che, nelle more, a settembre 2005, era stata costituita con una partecipazione al 35% del (OMISSIS) attraverso la sua societa' (OMISSIS) s.a., e, per il restante 65%, di (OMISSIS). Con la seconda scrittura si realizzava, cioe', l'effettivo trasferimento delle quote della (OMISSIS) in favore di (OMISSIS), dopo che (OMISSIS) si era arricchita dei beni della fallita, acquisendoli in proprieta' o in leasing, venendo, invece, svenduta per l'importo di 430.000 Euro (pagato solo nel 2009), a fronte di un patrimonio immobiliare stimato dai consulenti in circa 5 milioni di Euro. All'esito di tale operazione il Gruppo (OMISSIS) s.p.a. si era ritrovato privo sia dell'immobile di via (OMISSIS) che della partecipazione in (OMISSIS): il tutto a beneficio dei soci e della (OMISSIS) s.r.l. (cfr. sentenza impugnata pg. 16), con un depauperamento patrimoniale che e' stato stimato in quasi tre milioni e mezzo di Euro (sentenza di primo grado pg. 18). 1.2. Quanto al ruolo del ricorrente - fortemente contestato dalla Difesa - la Corte di appello ha, invece, rilevato, in conformita' al primo giudice, che l'imputato aveva costituito appositamente, insieme al (OMISSIS), la societa' (OMISSIS) s.r.l. in vista di un'operazione immobiliare preordinata fin dal gennaio 2005, acquisendo i cespiti sfilati dalla societa' controllante e attribuiti ai soci della stessa, (OMISSIS) s.a. e (OMISSIS) (soci anche, in pari quota, della (OMISSIS)). Secondo i giudici di merito, il ricorrente aveva ben compreso, fin dal momento della costituzione della (OMISSIS) s.r.l., alla luce delle sue stesse dichiarazioni e della sua competenza tecnica, che lo scopo della cessione delle quote della (OMISSIS) s.r.l. era quello di spostare fuori dal consolidato del gruppo una serie di debiti a lunga scadenza (rate di leasing e di mutuo) trasferendoli su quest'ultima, onde dare l'apparenza di una maggiore floridita' della cedente, sulla quale, di fatto, tuttavia, continuavano a gravare i debiti. In sostanza, osservano i giudici di merito, la (OMISSIS) s.p.a. si ritrovo', a seguito della descritta operazione, privata degli immobili, ma continuo' a essere gravata dal pagamento dei debiti su questi esistenti. Il (OMISSIS) fu, dunque, consapevole, secondo la sentenza impugnata, della natura distrattiva dell'operazione, atteso che il prezzo della cessione di (OMISSIS) s.r.l., peraltro, effettivamente pagato solo nel 2009, risultava assolutamente incongruo rispetto al valore degli immobili posseduti, era stato stabilito senza neppure fare ricorso a una perizia di stima, e, come, detto, i debiti continuavano a gravare, anche dopo la cessione, sulla (OMISSIS) s.p.a. Alla luce di tale ricostruzione, ripercorrendo puntualmente tutti i passaggi che hanno condotto alla costituzione della (OMISSIS) e alla confluenza in quest'ultima della (OMISSIS), non puo' che risultare del tutto logica la valorizzazione - operata dai giudici di merito - della evidente antieconomicita' della complessiva operazione con la quale la fallita si spoglio' della sua "cassaforte", andando ad arricchire i due soci, tra cui il (OMISSIS), in cui favore vennero distratte, con le operazioni che si sono richiamate, e puntualmente ricostruite nelle due sentenze di merito, le quote di (OMISSIS), confluite nella neo costituita (OMISSIS) s.r.l.., di talche' la motivazione non puo' essere considerata ne' apparente ne' manifestamente illogica ne' contraddittoria. Anche il ruolo del (OMISSIS) nella vicenda in esame e' stata puntualmente ricostruito, risultando adeguatamente lumeggiata la sua posizione di concorrente extraneus nell'attivita' distrattiva compiuta dal (OMISSIS), insieme al quale risulto' essere il beneficiario delle operazioni depauperative poste in essere in danno della fallita. La Corte di appello ha affrontato, anche in tale punto della decisione, i temi posti dall'appellante, e ha escluso che il ricorrente potesse essere considerato - come invoca la Difesa - vittima, a sua volta, delle operazioni distrattive del (OMISSIS), soprattutto considerando la sua specifica capacita' imprenditoriale derivante dalle pregresse esperienze, tale da risultare del tutto incoerente con la facilita' con cui - nell'ottica difensiva - egli sarebbe stato tratto in inganno. Si scontra, cioe', con ogni logica e con l'id quod plerumque accidit la tesi difensiva che non spiega le ragioni per cui un esperto uomo della finanza avrebbe deciso di mettere da parte il suo patrimonio di competenze nei primi tempi del suo ingresso nella holding, rinunciando a esercitare, al cospetto di un nuovo contesto imprenditoriale, la sua acquisita capacita' imprenditoriale, tanto da non rendersi conto di una cosi' macroscopica operazione distrattiva, in cui - tuttavia - al depauperamento delle consistenze immobiliari della fallita seguiva il corrispondente arricchimento della societa' acquisita dallo stesso (OMISSIS) (oltre che dal (OMISSIS)). La tesi difensiva trova indubbia smentita nella macroscopicita' delle condotte distrattive, e nella loro assoluta anti-economicita' per la fallita. 2. Capo Al - Neppure coglie nel segno la doglianza (terzo motivo) con cui si denuncia una erronea ricostruzione dell'elemento soggettivo in relazione alla vicenda di cui al capo Al). La Corte di appello si e', infatti, pienamente attenuta all'indirizzo della giurisprudenza di legittimita', che non ha mai affermato la necessita' della previsione del dissesto, solo distinguendo tra condotte distrattive compiute in prossimita' del fallimento e quelle messe in atto in tempi piu' risalenti, per i quali si richiede un piu' pregnante scrutinio dell'elemento soggettivo. 2.1. Si afferma, in particolare, che, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l'epoca del depauperamento puo' assumere rilevanza ai fini della sussistenza degli indici di fraudolenza e, dunque, del dolo, solo nel caso in cui la condotta dell'agente presenti elementi non univoci di qualificazione giuridica in termini di distrazione, ma non certo quando il depauperamento consegua ad una deliberata condotta di sottrazione, priva di un'alternativa ipotesi qualificatoria (Sez. 5 n. 45230 del 16/09/2021 Rv. 282284). Come opportunamente evidenziato da Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763, " la casistica giurisprudenziale consegna, non sporadicamente, casi in cui la fattispecie concreta da' conto, in termini di immediata evidenza dimostrativa (e al di fuori di qualsiasi logica presuntiva), della "fraudolenza" del fatto di bancarotta patrimoniale e, dunque, non solo dell'elemento materiale, ma anche del dolo del reato in esame: cio' in ragione dei piu' vari fattori, quali, ad esempio, il collocarsi del singolo fatto in una sequenza di condotte di spoliazione dell'impresa poi fallita ovvero in una fase di gia' conclamata decozione della stessa". Nel caso in esame, dunque, viene in rilievo una condotta intrinsecamente fraudolenta - per la sua macroscopica antieconomicita' - in ordine alla quale non e' revocabile in dubbio la natura distrattiva e il dolo, non essendo necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, che la disposizione di cui all'articolo 216 n. 1 L.F. riserva alla sola condotta di esposizione o riconoscimento di passivita' inesistenti. 2.2.Giova, dunque, ricordare che quando si discute di concorso in bancarotta fraudolenta documentale, il dolo delrextraneus" nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarieta' della propria condotta di sostegno a quella dell- intraneus", con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della societa' (Sez. 5, n. 1706 del 12/11/2013 (dep. 2014) Rv. 258950), che puo' rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosita' della condotta per gli interessi dei creditori. (Sez. 5 n. 4710 del 14/10/2019 (dep. 2020) Rv. 27815602; conf. Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2021, Rv. 271123). Inoltre, per consolidato orientamento interpretativo, "i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualunque tempo essi siano stati commessi, e quindi anche se la condotta si e' realizzata quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza. Tutte le ipotesi alternative previste dalla norma si realizzano mediante condotte che determinano una diminuzione del patrimonio, diminuzione pregiudizievole per i creditori: per nessuna di queste ipotesi la legge richiede un nesso causale o psichico tra la condotta dell'autore e il dissesto dell'impresa, sicche' ne' la previsione dell'insolvenza come effetto necessario, possibile o probabile, dell'atto dispositivo, ne' la percezione della sua preesistenza nel momento del compimento dell'atto, possono essere condizioni essenziali ai fini dell'antigiuridicita' penale della condotta. E del resto, quando il legislatore ha ritenuto necessaria l'esistenza di un tal nesso lo ha previsto espressamente nell'ambito della legge fallimentare, all'articolo 223, distinguendo le condotte previste dall'articolo 216 (L. Fall., articolo 223, comma 1) da quelle specificamente volte a cagionare il dissesto economico della societa' (L. Fall., articolo 223, comma 2), per modo che solo in tali ultime fattispecie delittuose e' previsto un nesso causale o psichico tra condotta ed evento" (Sez. V, n. 44933 del 26/09/2011, Rv. 251214; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012 (dep. 2013) Rv. 253932;). 2.3. A tali coordinate ermeneutiche si e' attenuta la sentenza impugnata nell'individuare l'elemento soggettivo nel dolo generico, illustrando le ragioni per cui ha ritenuto che, con la sua condotta (ovvero, partecipando alla costituzione di (OMISSIS) s.r.l. con lo scopo specifico di acquisire la partecipazione (OMISSIS), con l'intero complesso immobiliare, ad un prezzo largamente inferiore al valore di mercato- pg. 20), (OMISSIS) sia concorso nell'attivita' distrattiva con la consapevolezza che le operazioni che il (OMISSIS) compiva sul patrimonio sociale fossero idonee a cagionare un danno ai creditori, a prescindere dalla intenzione di causarlo (Sez. 5 n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739), poiche', come e' stato autorevolmente precisato, oggetto del reato, in tale fattispecie, non e' la consapevolezza del dissesto o la sua prevedibilita' in concreto, quanto la rappresentazione del pericolo che la condotta costituisce per la conservazione della garanzia patrimoniale e per la conseguente tutela degli interessi creditori (Sez. U. n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805; Sez. 5 n. 54291 del 17/05/2017, Rv. 271837; Sez. 5 n. 13910 del 08/02/2017, Rv. 269388). La norma incriminatrice punisce, in analogia alla disciplina dei reati che offendono comunque il patrimonio, il fatto della sottrazione, che costituisce, ontologicamente, il proprium di ogni distrazione; sottrazione che si perfeziona nel momento del distacco dei beni dal patrimonio societario anche se il reato viene a esistere giuridicamente con la dichiarazione di fallimento. Coerentemente con la natura di reato di pericolo della bancarotta patrimoniale, non si richiede lo specifico intento di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza della mera possibilita' di danno potenzialmente derivante alle ragioni creditorie, e, infatti, si e' ripetutamente affermato che il dolo puo' essere diretto, ma anche indiretto o eventuale, quando il soggetto agisca anche a costo, a rischio, di subire una perdita altamente probabile se non certa (Sez. 5 n. 42568 del 19/06/2018, Rv. 273825; Sez. 5 n. 14783 del 09/03/2018, Rv. 272614; Sez. 5 n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739; Sez. 5 n. 10941 del 20/12/1996, Rv. 206542). L'orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza di questa Corte in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale afferma, con consolidato canone ermeneutico, che la natura giuridica del delitto in parola e' quella di reato di pericolo per la cui integrazione e' sufficiente il dolo generico prescindendosi dal riferimento al nesso causale tra la condotta dell'agente e il fallimento. Cio' ancor piu' ove la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo generico sia agevolmente desumibile da evidenti "indici di fraudolenza", rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta, alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria della azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, nella irriducibile estraneita' del fatto generatore dello squilibrio tra attivita' e passivita' rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale. La verifica di tali indici e' considerata necessaria a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo della integrita' del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volonta' della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5 n. 38396 del 23706/2017, Sgaramella, Rv. 270763). 2.4. Pertanto, la critica circa la mancata dimostrazione dell'elemento psicologico del reato e del nesso di causalita', che ispira le doglianze difensive, non puo' essere condivisa, in quanto non coerente con l'interpretazione largamente maggioritaria data da questa Corte alla norma incriminatrice e risultando smentita dai risultati di prova illustrati in sentenza. 3. Capo C) Non colgono nel segno le deduzioni riguardanti il capo C), con cui per escludere la responsabilita' del ricorrente per la bancarotta impropria da falso in bilancio - si si sostiene la assenza di consapevole partecipazione del (OMISSIS) nell'operazione distrattiva, facendo leva sulla circostanza del finanziamento di Euro 750.000 effettuato dal ricorrente, comportamento che si assume incoerente con tale approccio accusatorio. 3.1. Anche tali rilievi sono stati affrontati criticamente dalla sentenza impugnata che - ancora una volta effettuando una ricostruzione logica degli accadimenti alla luce di una lettura complessiva e sinergica dei risultati dell'istruttoria - ha evidenziato, in primo luogo, come la formazione del bilancio costituisca attivita' non suscettibile di delega, ai sensi degli articoli 2381 comma 4 e 2423 c.c., cosicche' tutti gli amministratori, con o senza delega, sono direttamente e personalmente coinvolti nel dovere di fedele rappresentazione, imposto dalla legge. Quindi, ha fornito una logica ricostruzione della condotta del (OMISSIS), osservando come la sottoscrizione ‘in tutta fretta' del capitale debba essere letta, non gia' per comprovare la buonafede del (OMISSIS), quanto come il tentativo di evitare a ogni costo il fallimento in quel momento, tacitando le pretese creditorie, onde evitare l'emersione delle precedenti condotte distrattive; d'altro canto, si osserva in sentenza, le ipotesi alternative avanzate in ricorso avrebbero comportato l'immediata emersione della situazione di dissesto e, in ogni caso, il ricorso ad altri soci avrebbe dovuto significare ingannarli sulla situazione della societa'. Osservazioni della cui tenuta logica non v'e' ragione di dubitare. 3.2. Inoltre, la Corte di appello ha individuato anche le falsita' contenute nei bilanci che risultavano riconoscibili al (OMISSIS), in ragione della sua competenza (pg. 32), osservando, in conclusione, come "o il (OMISSIS) non era a conoscenza della falsita' contenute nei bilanci relativi agli esercizi 2007 - 2008, che aveva concorso ad approvare senza sollevare obiezioni, oppure aveva omesso di verificare i dati contabili, in tal modo venendo meno consapevolmente al dovere di acquisire tutte le informazioni necessarie all'espletamento del suo mandato". L'osservazione e' coerente con l'orientamento per cui, "in tema di responsabilita' - ai sensi dell'articolo 40 cpv. c.p., articolo 223, comma 2, n. 1, L.F. - l'inerzia del soggetto agente assume valenza di rilievo penale non soltanto nell'inerzia doverosa per evitare il danno temuto, ma anche quando l'omissione si traduca nella mancata acquisizione di informazioni necessarie a configurare con esattezza l'evento dannoso per la societa'. Pertanto, se la norma consente di escludere la responsabilita' dell'amministratore che, incolpevolmente (per ragioni di legittimo affidamento), si sia avvalso della notizia pervenutagli, non puo' ritenersi esente l'amministratore che abbia accolto il deficit informativo passivamente (essendo a giorno della sua insufficienza). Infatti, l'articolo 2381 c.c., comma 6 esprime l'obbligo di puntuale informazione nello svolgimento del mandato gesto rio, obbligo che e' oggi nitidamente articolato nella norma formulata con la riforma portata dal Decreto Legislativo n. 6 del 2003" (Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Rv. 252804). 3.3. Risulta, allora, del tutto ragionevole e probatoriamente supportata l'affermazione che l'utilizzo del mezzo fraudolento nella redazione del bilancio, ascrivibile anche al prevenuto, "integra con certezza il nesso di causalita' richiesto dalla fattispecie di bancarotta c.d. societaria", alla luce delle coordinate giurisprudenziali, espressamente richiamate dalla Corte di appello, le quali, nel delineare la volonta' protesa al dissesto necessaria per la integrazione del dolo della fattispecie, sottolineano come essa debba essere intesa non gia' quale intenzionalita' di insolvenza, bensi' quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Rv. 252804; conf. Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Rv. 260356; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014 Rv. 261446). Nella bancarotta fraudolenta commessa mediante falsita' in bilancio o in altre comunicazioni sociali non si richiede, infatti, il dolo di danno, limitandosi l'articolo 2621 c.c. ad usare l'avverbio ‘fraudolentemente', il quale nella comune accezione e nel linguaggio giuridico significa proposito di frode, e cioe', al tempo stesso, volonta' di trarre in inganno (animus decipiendi) e intenzione di conseguire attraverso l'inganno un vantaggio (animus fruendi aliqua re), e non anche di recare ad altri un danno (animus nocendi); sicche', l'agente puo' essere animato dal proposito di frode senza volere il danno di alcuno, anzi auspicando che esso non si verifichi (Sez. 5, n. 8045 del 14/04/1980,Rv. 145734). E' sufficiente, pertanto, l'accertamento della volonta' dei singoli atti di sottrazione, di occultamento o di dissimulazione, e quindi che l'agente sia animato dal proposito di frode, senza che possa assumere rilievo, al fine di attenuare o giustificare le indicate operazioni, l'eventuale intento di salvaguardare l'avviamento economico e la capacita' occupazionale, trasferendo beni e risorse verso altre societa', ritenute maggiormente operative. La salvaguardia delle risorse sociali va, infatti, attuata all'interno del soggetto proprietario, nell'interesse dei creditori e dei terzi che hanno fatto affidamento sul patrimonio e sulla capacita' operativa della singola societa' e non gia' del gruppo. (Sez. 5, n. 13169 del 26/01/2001, Rv. 218390). Cio' che rileva e' la previsione del danno come correlato al profitto, e che tale previsione non abbia distolto l'agente. 3.4. La tenuta logica della sentenza -con riguardo al profilo in esame - non risulta scardinata dalle osservazioni difensive, che finiscono per perseguire una rivalutazione delle fonti di prova, senza fornire una critica argomentata, alla luce degli elementi posti in luce dai giudici di merito, ai rilievi puntuali con cui la Corte di appello ha dato conto della consapevolezza dell'imputato delle false annotazioni, ed altresi' valutando come il ricorrente si fosse determinato per l'aumento di capitale, non perche' vittima, suo malgrado, delle quelle false informazioni in bilancio, ma, del tutto ragionevolmente, osservando come l'operazione di aumento di capitale, lungi dal rendere conto della buona fede dell'imputato, fosse finalizzata a spostare in avanti il fallimento, per evitare l'emersione delle distrazioni. 4. Capo a2) Non sono fondate le obiezioni formulate in riferimento al capo A2. Secondo la Difesa ricorrente, in assenza di un segnale d'allarme obiettivamente percepibile non puo' ritenersi dimostrato l'elemento soggettivo del reato, potendo, al piu', ricadere la condotta del (OMISSIS) - correlata alla mancata verifica della circostanza che la holding del gruppo (OMISSIS) avesse deciso di finanziarie l'operazione immobiliare condotta da (OMISSIS) - nel novero di quelle colpose. Ha sottolineato, a tal proposito, la sentenza impugnata come il ricorrente abbia ignorato un percepibile segnale d'allarme, costituito dall'avvio di un'operazione immobiliare onerosa, da parte di una societa' non operativa e di cui egli era socio al 35%, conoscendone cosi' la mancanza di entrate autonome, sicche' "avrebbe dovuto comprendere che la stessa aveva necessita' di essere finanziata dall'esterno, come in effetti era avvenuto con il versamento dell'importo predetto" (pg. 22). Non e' vero, dunque, che la sentenza ha fondato la decisione sulla mera percepibilita' del segnale di allarme, in quanto, invece, la valutazione di merito trova supporto in puntuale ragionamento inferenziale, affermandosi in sentenza, in modo chiaro, che la posizione soggettiva del (OMISSIS) in (OMISSIS), da cui generava un evidente conflitto di interessi, e la macroscopicita' dell'operazione - in quanto del tutto antieconomica per la fallita, perche' produttiva di effetti favorevoli solo per (OMISSIS), che non era piu' una societa' del gruppo, mentre per la fallita si era determinato un depauperamento apprezzabile quantomeno in 500.00 Euro, beneficandone egli stesso - costituisce un chiaro segnale di allarme, apprezzabile dall'imputato, in ragione delle sue gia' ricordate competenze. La Corte di appello ha fatto, dunque, corretta applicazione della c.d. teoria dei segnali di allarme avuto riguardo alle cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte e alla irriducibile estraneita' del fatto generatore dello squilibrio tra attivita' e passivita' rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale (cfr. Sez. 5, n. 38396/2017, cit.). 5. -Capo A4 - La censura che afferisce al capo A4 - relativa alla cessione distrattiva di alcune partecipazioni detenute dalla societa' fallita in altre collegate, tra cui la (OMISSIS) s.r.l., dolendosi la Difesa anche della mancata riduzione da Euro 633.750 a Euro 23.750 dell'ammontare della distrazione - e' inammissibilmente formulata, in quanto esprime valutazioni di merito sull'apprezzamento del valore delle quote al momento della cessione. In realta', la Corte di appello ha ben chiarito come non risulti credibile la tesi difensiva secondo cui il (OMISSIS) sarebbe stato consapevole solo della prima fase dell'operazione dismissiva, di cui avrebbe condiviso l'utilita', mentre sarebbe stato del tutto inconsapevole della successiva rivendita che, occorre sottolinearlo - avvenne proprio a opera di (OMISSIS) (pg. 26). Quanto alla differenza di valore delle societa' cedute, la sentenza spiega, con razionale argomento, come mediante l'operazione dismissiva, si sia determinato un depauperamento delle risorse societarie, correlato al non necessario passaggio attraverso la (OMISSIS). Osservazione che rende priva di consistenza anche l'obiezione difensiva che si concentra sull'importo minimo per sostenere che manchi la prova che tale distrazione avrebbe potuto provocare il fallimento della societa'. 6. - Capo A7 -Risulta inammissibilmente proposto anche il sesto motivo - che ha riguardo alla natura distrattiva di tre fatture emesse dalla fallita in favore della (OMISSIS) del (OMISSIS) - giacche' meramente contestativo della valutazione probatoria, laddove la sentenza impugnata ha preso in considerazione con adeguato vaglio critico la doglianza formulata dall'appellante, e, condividendo i rilievi del Tribunale, ha escluso che si trattasse di somme riconducibili alla attivita' svolta nell'interesse della (OMISSIS) s.p.a.(pg. 33) dalla dipendente (OMISSIS), in quanto gia' munita di un proprio stipendio mensile, e neppure alla intermediazione dello stesso (OMISSIS) per le procurate commesse milionarie, in assenza di un riscontro contrattuale. Ha osservato, invece, la Corte di appello, come risulti piu' credibile - alla luce del ruolo che si e' ritenuto essere stato svolto dal (OMISSIS), quale figura centrale e autorevole nell'ambito delle vicende in esame, capace di influenzare e condizionare le determinazioni dell'intero gruppo, pur rimanendo nell'ombra che si tratti in realta' della fatturazione di somme elargite per l'attivita' gestionale da lui, di fatto, svolta. 7. - Manifestamente infondato il rilievo su bancarotta riparata - da correlarsi al finanziamento di 750.00 Euro effettuato dal (OMISSIS) in favore della fallita - atteso che a tali fini occorre il ristoro integrale, non potendo valere in caso di ripianamenti parziali. Difettano, infatti, totalmente i presupposti per poter parlare di bancarotta "riparata", in assenza di una precisa dimostrazione della intervenuta integrale reintegrazione del patrimonio societario prima della dichiarazione di fallimento. La bancarotta cosiddetta "riparata" determina l'insussistenza dell'elemento materiale del reato e si configura allorche' la sottrazione dei beni venga annullata da un'attivita' di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, cosi' annullando il pregiudizio per i creditori (Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017 Rv. 27192201; Sez. 5, n. 3622 del 19/12/2006, Rv. 236051; Sez. 5, n. 8402 del 03/02/2011, Rv. 249721). E' pertanto al permanere o meno di tale pregiudizio, costituente per questo come per altri aspetti l'offesa tipica dei reati di bancarotta, che deve essere riferita la valutazione sulla sussistenza di un'azione restitutoria idonea a rimuovere gli effetti distrattivi della precedente condotta; non tralasciando di considerare la natura di reati di pericolo che connota i delitti in esame, e che attribuisce valenza lesiva anche alla mera potenzialita' di un danno per le ragioni dei creditori (Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013 Rv. 255576; conf. Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, Rv. 214860; sez. 5, n. 11633 dell'08/02/2012, Rv, 252307; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rv. 253932). 7.1. Ricade, dunque, sull'amministratore, che si e' reso responsabile di atti di distrazione, e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, l'onere di provare l'esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017 Rv. 271922). Come ha osservato la Corte di appello tale prova non e' stata fornita dal ricorrente, che non ha dimostrato la corrispondenza tra i versamenti nelle casse sociali, da individuarsi nella sottoscrizione dell'aumento di capitale, e l'importo dei complessivi atti distrattivi (pg. 35). 8. Non sono fondati gli ultimi due motivi, che attingono il trattamento sanzionatorio. La Corte di appello ha escluso, con motivazione convincente la circostanza attenuante invocata dal ricorrente, osservando come, in effetti, l'aumento di capitale da lui sottoscritto non avesse la finalita' di contenere gli effetti della precedente condotta illecita ma rispondesse solo all'esigenza di allontanare il fallimento. Trattandosi di valutazione discrezionale che non risulta afflitta da evidente illogicita', il motivo si rivela inammissibilmente contestativo, laddove la sentenza impugnata non incorre nella denunciata contraddittorieta', essendo chiaro, dai passaggi argomentativi della sentenza impugnata, che il diniego della circostanza attenuante si sia fondato sulla considerazione che il (OMISSIS) non intese realizzare, e non la realizzo', alcuna riparazione economica. 8.1. Infine, non coglie nel segno neppure la doglianza relativa alla determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari: non e' esatto, infatti, affermare che, a seguito dell'intervento della Corte costituzionale, i giudici di merito non possano parametrare le pene accessorie ex articolo 216 u.c. L.F. alla pena principale come effetto penale della pronuncia di condanna impugnata (articolo 20 cod.pen). E, invero, come e' noto, con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'articolo 216 u.c. L.F. nella parte in cui dispone: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni la inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacita' per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa", anziche': " la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa la inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacita' ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni." Nella necessita' di dovere individuare un criterio al quale il giudice deve attenersi nella rideterminazione della durata della pena accessoria, non piu' fissa (dieci), ma indicata solo nel massimo, le Sezioni Unite, intervenute successivamente alla predetta declaratoria di incostituzionalita', hanno affermato che le pene accessorie previste dall'articolo 216 legge fallimentare, nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, cosi' come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di sui all'articolo 133 c.p. " (Sez. U -, n. 28910 del 28/02/2019, SURACI, Rv. 276286). Le Sezioni Unite ‘Suraci' hanno considerato che la piena realizzazione dello specifico finalismo preventivo, al quale sono preordinate le pene complementari, richiede una loro modulazione personalizzata in correlazione con il disvalore del fatto di reato e con la personalita' del responsabile, che non necessariamente deve riprodurre la durata della pena principale. "Risultato questo conseguibile soltanto ammettendone la determinazione caso per caso ad opera del giudice nell'ambito della cornice edittale disegnata dalla singola disposizione di legge sulla scorta di una valutazione discrezionale, che si avvalga della ricostruzione probatoria dell'episodio criminoso e dei parametri dell'articolo 133 c.p., e di cui e' obbligo dare conto con congrua motivazione." Cio' che si richiede, oggi, e' che la durata delle pene accessorie sia determinata in concreto dal giudice sulla base dei criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p., da parametrarsi, con specifica e adeguata motivazione, alla funzione preventiva ed interdittiva delle stesse. (Sez. 5 n. 36256 del 22/10/2020, Rv. 280488). Con l'ulteriore precisazione che, ove la durata sia determinata in misura superiore alla media edittale, e' necessaria una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi e oggettivi di cui all'articolo 133 c.p., tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena, ancor piu' ove sussista divaricazione nel trattamento sanzionatorio complessivo tra pena principale, irrogata nel minimo, e pene accessorie fissate nel massimo (Sez. 5 -, n. 11329 del 09/12/2019 (dep. 2020), Rv. 278788; conf. Sez. 5 -, n. 1947 del 03/11/2020 (dep. 2021) Rv. 280668). 8.1.1. Venendo al caso di specie, la Corte di appello ha dato atto della necessita' di rivalutare la decisione di primo grado, implicitamente facendo richiamo alla pronuncia della Corte costituzionale, e ha ritenuto di commisurare le sanzioni accessorie alla pena principale, peraltro individuata in misura di poco superiore al minimo edittale, in tal modo, esprimendo, implicitamente, un giudizio di congruita'. Traslando nella presente sede i criteri elaborati da consolidata giurisprudenza in tema di pena principale - alla luce della identita' dei parametri normativi (articoli 132 - 133 c.p.) a cui fare riferimento nel formulare la valutazione finalizzata alla individuazione in concreto della pena da irrogare - appare evidente che la Corte di appello ha calibrato la durata delle sanzioni accessorie secondo i parametri di gravita' del fatto e della capacita' a delinquere del ricorrente che consentono di ritenerla coerente con i criteri valutativi evidenziati dalla decisione costituzionale ed alle precisazioni contenute nella successiva sentenza ‘Suraci' delle Sezioni Unite. 8.1.2. Giova, altresi', considerare, che, poiche' la graduazione della pena rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p., certamente non puo' ritenersi ammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (cfr. Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142). Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GUARDIANO Alfredo - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 02/02/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DE MARZO GIUSEPPE; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale, Dott. SERRAO D'AQUINO Pasquale, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, nonche' note scritte nell'interesse del ricorrente con le quali si insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 2 febbraio 2022 la Corte d'appello di Messina, per quanto ancora rileva, ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato alla pena di giustizia (OMISSIS), avendolo ritenuto responsabile del reato di atti persecutori in danno della moglie separata e di due episodi di violazione di domicilio. 2. Nell'interesse dell'imputato e' stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di atti persecutori, rilevando: a) che le condotte moleste si sono concretizzate in due soli episodi, ossia le due contestate violazioni di domicilio, mentre il richiamo della sentenza impugnata ad altre condotte prive di collocazione spazio-temporale sarebbe assolutamente generico e non consentirebbe l'esplicazione del diritto di difesa; b) che l'imputato non risultava aver mai esercitato una sorta di controllo sulla vittima; c) che non era presente il collegamento dei comportamenti rispetto a quell'intento persecutorio unitario che caratterizza il reato in questione; d) che la Corte territoriale non aveva esaminato il tema della riqualificazione dei fatti come minacce continuate e dell'assenza dell'elemento soggettivo del reato di atti persecutori; e) che la motivazione della sentenza impugnata dava per scontata l'esistenza dell'evento di danno, senza indicare gli elementi sui quali fondava siffatta conclusione. 2.2. Con il secondo motivo si lamenta l'assenza di apparato argomentativo rispetto alla richiesta di applicazione, per entrambi i delitti contestati, della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p.. 3. Sono state trasmesse, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. Serrao d'Aquino Pasquale, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, nonche' note scritte nell'interesse del ricorrente con le quali si insiste per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificita'. Va premesso che, ai fini della determinatezza della contestazione del delitto di atti persecutori, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non si richiede che il capo di imputazione rechi la precisa indicazione del luogo e della data di ogni singolo episodio nel quale si sia concretato il compimento di atti persecutori, essendo sufficiente a consentire un'adeguata difesa la descrizione in sequenza dei comportamenti tenuti, la loro collocazione temporale di massima e le conseguenze per la persona offesa (Sez. 5, n. 28623 del 27/04/2017, C., Rv. 270875 - 01; Sez. 5, n. 35588 del 03/04/2017, P., Rv. 271206 - 01). Cio' posto, si osserva che le censure dirette nei confronti dell'accertamento dei giudici di merito, quanto all'esistenza di ripetute minacce sono di assoluta genericita' e collidono con le dichiarazioni della persona offesa, che ha aggiunto di avere per tali motivi - resi peraltro ragionevoli dal consapevole inadempimento dell'imputato al provvedimento di allontanamento della casa coniugale disposto dal Tribunale civile di Messina - temuto per la propria incolumita' e per la possibilita' di incontrare l'imputato nei luoghi da lei frequentati. Ne resta superata l'altrettanto generica critica, svolta nel ricorso, a proposito della realizzazione dell'evento di danno richiesto dalla fattispecie incriminatrice. 2. Il secondo motivo e' inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificita'. Anche di recente e' stato ribadito che non e' censurabile, in sede di legittimita', la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, Lakrafy, Rv. 284096 - 01, proprio in un caso nel quale il giudice di appello, pur non avendo espressamente argomentato in ordine alla denegata applicazione dell'esimente di cui all'articolo 131-bis c.p., aveva posto in rilievo la consistente quantita' e la buona qualita' della droga detenuta, la zona in cui la condotta era avvenuta, la mancanza di elementi favorevoli al riconoscimento delle attenuanti generiche e la sussistenza di precedenti penali dell'imputato ostativi alla concessione della sospensione condizionale della pena). Nella specie, la sentenza impugnata, nel corpo motivazionale, ha valorizzato la reiterazione delle condotte e i diversi precedenti penali dell'imputato, sintomatici della sua capacita' a delinquere. 3. Alla pronuncia di inammissibilita' consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI NICOLA Vito - Presidente Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere Dott. CERRONI Claudio - rel. Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1. (OMISSIS), nato in (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato in (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato in (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nato in (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 23/11/2021 della Corte di Appello di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere CERRONI Claudio; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Di Nardo Marilia, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso di 1Stan, e l'inammissibilita' degli altri uditi: per il ricorrente 1Stan l'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata con riferimento all'aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, articolo 4, n. 7; per il ricorrente (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS) in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata; per i ricorrenti (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata; per il ricorrente (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 23 novembre 2021 la Corte di Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza del 10 luglio 2020 del Tribunale di Reggio Calabria ed estinto per prescrizione il reato associativo, ha tra l'altro rideterminato in anni sei di reclusione ed ottomila Euro di multa ciascuno la pena inflitta a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per i residui reati di cui all'articolo 110 c.p., la L. 20 febbraio 1958, n. 75, articolo 3, comma 2, nn. 4, 5, 6, 7 e 8 nonche' articolo 4, n. 7 in danno di numerose ragazze straniere. 1.1. Era altresi' confermata in parte qua la prima sentenza, in forza della quale (OMISSIS) era stato condannato, per i medesimi reati, alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro cinquemila di multa, mentre (OMISSIS) era stato condannato alla pena di anni cinque mesi sei di reclusione ed Euro settemila di multa per il reato, cosi' riqualificato, di cui agli articoli 56 e 609-bis c.p., e articolo 609-ter c.p., n. 4, nonche' per i reati - avvinti al primo dal vincolo della continuazione - gia' ascritti agli altri imputati. 2. Avverso la predetta decisione sono stati proposti separati ricorsi per cassazione, rispettivamente articolati su due ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), quattro ( (OMISSIS)) e tre ( (OMISSIS)) motivi di impugnazione. 3. Ricorso (OMISSIS). 3.1. Col primo motivo il ricorrente, quanto all'aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, articolo 4, n. 7, ha osservato che dalla sentenza di primo grado appariva evidente la volonta' di circoscrivere la suddetta aggravante esclusivamente a taluni dei coimputati e non al ricorrente. In tal senso doveva ritenersi che il reato era stato quindi riqualificato nella fattispecie semplice di cui all'articolo 3 della L. 75. In tal senso la Corte territoriale, motivando in relazione alla predetta aggravante, aveva operato una reformatio in peius, per cui in realta' il reato doveva intendersi ormai prescritto. 3.2. Col secondo motivo, deducendo violazione di legge e vizio motivazionale, il ricorrente ha censurato la mera riproduzione, da parte della sentenza impugnata, della motivazione della prima decisione, senza alcun profilo argomentativo autonomo e senza alcuno specifico riferimento alla condotta dell'imputato. 4. Ricorso (OMISSIS). 4.1. Col primo motivo il ricorrente ha lamentato la mancata considerazione delle prospettazioni difensive, che avevano escluso una condotta dell'imputato di partecipe dell'organizzazione e, al contrario, avevano dimostrato l'esistenza di un rapporto tra lo stesso imputato ed una ragazza per aiutare quest'ultima a prostituirsi, con la successiva divisione, secondo i loro accordi, dei guadagni cosi' ritratti. La sentenza pertanto, che aveva omesso di considerare le circostanze di fatto e diritto concernenti le imputazioni contestate, doveva considerarsi viziata. 4.2. Col secondo motivo il ricorrente ha lamentato che non era stata raggiunta la prova della responsabilita' penale oltre ogni ragionevole dubbio, ne' erano stati individuati gli elementi idonei alla configurazione del reato contestato sub B. Al contrario, la sentenza si era limitata a raccogliere una serie di elementi, fornendo un'interpretazione unilaterale e congetturale cosi' ritenendo giustificata la dimostrazione della penale responsabilita'. 4.3. Col terzo motivo, quanto al contestato tentativo di violenza sessuale aggravato, analogamente non poteva dirsi raggiunta una dimostrazione della penale responsabilita' oltre ogni dubbio, e non era stata condotta una valutazione globale delle prove. 4.4. Col quarto motivo infine il ricorrente si e' doluto del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, che non potevano essere escluse dalla natura del reato e dall'eventuale gravita' delle condotte, ed in ogni caso non vi erano ragioni per non provvedere al loro riconoscimento. 5. Ricorsi (OMISSIS). 5.1. Col primo motivo e' stata lamentata l'applicazione della circostanza aggravante di cui alla L. n. 75 cit., articolo 4, n. 7, dal momento che era emerso che ciascun soggetto imputato era risultato direttamente collegato a singole donne dedite al meretricio, senza alcuna regia unitaria ovvero compartecipazione agli utili. Al contrario la sentenza impugnata aveva confuso il profilo associativo con quello concernente le condotte dei singoli, ma invero era altresi' emerso che mai le prostituite avevano corrisposto parte dei loro guadagni a soggetti estranei rispetto al proprio compagno. 5.2. Col secondo motivo, quanto al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, non potevano essere utilizzati argomenti gia' valutati ai sensi dell'articolo 133 c.p., ai fini della determinazione della pena, col conseguente limite dell'impossibilita' - come invece accaduto in specie - di doppia considerazione della stessa circostanza specifica. In relazione infine alla dosimetria della pena, non era stato giustificato il relativo onere motivazionale, che avrebbe dovuto essere rispettato in caso di scostamento della sanzione dal minimo edittale. 6. Ricorso (OMISSIS). 6.1. Col primo motivo il ricorrente ha dedotto erronea valutazione della prova invocando violazione di legge e vizio motivazionale, atteso che era stata richiamata la costruzione del reato associativo senza fornire adeguata motivazione delle condotte contestate alla L. n. 75 cit., articolo 3, nn. 4, 5, 6, 7 e 8, mentre non sussisteva alcun elemento concreto tale da far ritenere la conoscenza dell'organizzazione, ne' era stato spiegato il ruolo addirittura di organizzatore attribuito all'imputato. In proposito, nel corso di un anno di intercettazioni le uniche captazioni che avevano interessato il (OMISSIS) erano state quelle che si riferivano al rapporto sentimentale di costui con (OMISSIS), e al debito che costei aveva contratto col ricorrente. Mentre le ulteriori telefonate intercettate non erano in grado di comprovare alcuna attivita' legata al meretricio, e semmai evidenziavano il rapporto sentimentale e di reciproca gelosia che legava i due, giammai una condotta di volontario e consapevole concorso nei reati contestati. Sussisteva evidente illogicita' e contraddittorieta' rispetto all'effettivo contenuto delle risultanze processuali. 6.2. Col secondo motivo e' stata dedotta la nullita' della sentenza per violazione di legge e vizio motivazionale, atteso che con motivazione del tutto apodittica era stata riconosciuta l'aggravante di cui all'articolo 4 n. 7 cit., nonostante l'emersione del solo rapporto con la (OMISSIS). 6.3. Col terzo motivo il ricorrente ha dedotto identici vizi a seguito del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, negate senza che la sentenza impugnata avesse operato distinzioni tra i singoli imputati, a fronte del comportamento collaborativo e dei suoi rapporti con una sola ragazza. Mentre lo scostamento dal minimo edittale avrebbe dovuto ricevere adeguata giustificazione. 7. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso di (OMISSIS), ed insistendo per l'inammissibilita' degli altri ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 8. I ricorsi sono inammissibili. 9. Ricorso (OMISSIS). 9.1. I profili di doglianza possono essere esaminati congiuntamente, attesa la loro evidente connessione. Il ricorrente ha lamentato per un verso che non era stata ab origine riconosciuta nei suoi confronti l'esistenza dell'aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, articolo 4, n. 7, e d'altro canto si e' doluto del fatto che la Corte territoriale - interpellata al riguardo - si era limitata a ripercorrere pedissequamente il percorso argomentativo del primo Giudice. 9.1.1. I rilievi non sono in alcun modo condivisibili. In primo luogo va comunque ricordato che la locuzione "ai danni", contenuta nella L. n. 75 del 1958, articolo 4, nn. 2, 5, 7 e 7-bis ai fini della configurabilita' delle circostanze aggravanti, non indica un danno concreto, patrimoniale o anche morale, ma esprime l'offesa (oggetto generico), che assume carattere di maggiore gravita' quando il fatto e' commesso in danno delle persone indicate nella citata disposizione, equivalendo detta espressione a "in confronto di" (Sez. 3, n. 2918 del 25/11/2020, dep. 2021, II., Rv. 280827). Cio' posto, il primo Giudice, quanto alla specifica aggravante di cui al n. 7 cit., contestata anche all'odierno ricorrente, non ha operato distinzioni di sorta al riguardo. Da un lato (pag. 84) ha affermato che "ogni imputato aveva una ragazza con la quale si interfaccia va maggiormente e nei confronti della quale si svolgeva il ruolo di protettore (la (OMISSIS) per (OMISSIS), la (OMISSIS) per (OMISSIS), la (OMISSIS) per (OMISSIS) e cosi' via)"; dall'altro, il Tribunale reggino ha osservato che "lo sfruttamento delle stesse era complessivo e unitario, frutto di una operazione condivisa e di un'attivita' coordinata dell'intera associazione. Gli imputati si recavano infatti presso l'aeroporto di Catania per prelevare le ragazze raccordandosi fra di loro. Le ragazze erano inoltre gestite, accompagnate e controllate in occasione del lavoro di tutti gli imputati". In ragione di cio', "che vi fosse un'organizzazione che agiva in via sistematica e' riscontrato anche dalla capacita' di gestione dei momenti patologici e dai numerosi contatti tra tutti gli imputati. E' possibile rilevare che l'appartenenza degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) anche all'associazione determina necessariamente la consapevolezza, da parte degli stessi, di partecipare ad una organizzazione che aveva quale finalita' non gia' lo sfruttamento di una sola ragazza, ma di una pluralita' di persone, peraltro diverse nel tempo e via via coinvolte dai vari imputati". 9.1.2. Per quanto poi riguardava il trattamento sanzionatorio, la pena era determinata "nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ad anni 5 di reclusione ed Euro seimila di multa (capo b); nei confronti di (OMISSIS) ad anni 5 mesi sei di reclusione ed Euro 7000 di multa (pena base per il reato aggravato di cui al capo b anni 5 e 6000 Euro di multa, aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo c), riqualificato ecc.". 9.1.3. Nel dispositivo, infine, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano dichiarati responsabili del reato di cui al capo B) dell'imputazione, con esclusione dell'aggravante di cui alla L. n. 75, articolo 4, n. 1, nonche' (quanto a (OMISSIS) e (OMISSIS)) di quella di avere commesso il fatto su persona sottoposta a limitazione della liberta' personale. A sua volta il (OMISSIS) era condannato per il capo C) in continuazione col capo B), con l'aggravante di cui all'articolo 4 n. 7 cit.. 9.1.4. Cio' posto, va infine ricordato che nei confronti di tutti gli imputati di cui al punto 9.1.2., in quanto meri partecipi, era stato dichiarato non doversi procedere in ordine al reato associativo di cui al capo A) perche' estinto per prescrizione. 9.1.5. Alla stregua di quanto analiticamente ricordato, non si ravvisa alcuna differenza tra le posizioni di detti soggetti quanto alla specifica aggravante di cui all'articolo 4, n. 7 cit., l'unica distinzione essendo legata invece alla posizione degli imputati in relazione al ruolo rivestito nella contestata associazione per delinquere, con riferimento al (OMISSIS) nonche' a (OMISSIS) e (OMISSIS) (v. anche infra). In proposito, infatti, e' sufficiente leggere le pagine della prima sentenza dedicate al ricorrente, protettore di una ragazza-fidanzata e comunque coinvolto anche nell'arrivo di altra ragazza all'aeroporto di Catania, scalo dove in precedenza era giunto lo stesso (OMISSIS) accolto da altri soggetti della consorteria. Da un lato l'elenco delle ragazze-fidanzate e' per definizione esemplificativo ("e cosi' via", v. sub 9.1.1.), dall'altro non sono esplicitate ragioni - letta tra l'altro la motivazione nella sua interezza - per distinguere la posizione dello (OMISSIS), soggetto violento e "temuto da tutti i rumeni", rispetto agli altri soggetti ritenuti meri partecipi dell'associazione, nei riguardi dei quali il reato associativo era stato appunto dichiarato estinto per prescrizione (laddove invece altri imputati erano stati al riguardo assolti nel merito). Allo stesso tempo il trattamento sanzionatorio si e' rivelato identico, atteso che la pena base del (OMISSIS) per il reato "aggravato" di cui al punto b), ed espressamente aggravato a norma dell'articolo 4, n. 7 cit., era la medesima per tutti gli associati "semplici" cui era stata contestata la medesima aggravante, ossia anni cinque di reclusione ed Euro seimila di multa (v. sub 9.1.2.). 9.1.6. In definitiva la Corte territoriale, contrariamente ai rilievi del ricorrente e ben lungi dal ripetere pedissequamente la motivazione del primo Giudice - cui comunque si e' richiamata - e cola' adagiarsi, ha in effetti dato altresi' conto del pieno coinvolgimento dell'imputato nell'attivita' di organizzazione e sfruttamento della prostituzione, dal momento che era tra i soggetti che si recavano in Catania e si occupavano del trasporto delle ragazze (tra cui (OMISSIS) e (OMISSIS)). Ed in proposito l'aggravante in questione e' applicabile a tutte le ipotesi di reato previste dall'articolo 3 della legge e prescinde dall'elemento cronologico della simultaneita' della prostituzione di piu' donne, essendo sufficiente che la attivita' sia esplicata o contestualmente nei confronti di due o piu' prostitute, ovvero in successione temporale nei riguardi di una o dell'altra (Sez. 3, n. 26197 del 20/05/2015, Paliotti e altri, Rv. 264110). 9.1.7. L'impugnazione, complessivamente intesa, si rivela pertanto manifestamente infondata. 10. Ricorso (OMISSIS). 10.1. In ordine al primo motivo di censura, esso si e' risolto al piu' nel generico richiamo di una serie di principi, in se' astrattamente condivisibili, circa i contenuti che dovrebbe avere la motivazione del provvedimento giurisdizionale. In particolare, il ricorrente ha in ogni caso inteso - tra l'altro in maniera del tutto aspecifica e quindi gia' di per se' inammissibile - dolersi della mancata considerazione da parte della sentenza impugnata dei propri rilievi circa la partecipazione alla contestata associazione a delinquere (per vero il reato e' stato dichiarato estinto per prescrizione gia' dal Tribunale di Reggio Calabria nei riguardi dell'imputato, mero partecipe). Laddove e' nozione comune che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilita' per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attivita' ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorieta' o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (ad es. Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, Culicchia, Rv. 259445; Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013, Rizzo e altro, Rv. 256202; cfr. ad es. anche Sez. 3, n. 12731 del 18/12/2020, dep. 2021, Ferri, Rv. 281569). Ed al riguardo il motivo tace del tutto. 10.2. Eguali vizi inficiano il secondo motivo di impugnazione, laddove e' parimenti censurata l'affermata partecipazione del ricorrente all'associazione a delinquere, mentre doveva ritenersi la sussistenza quantomeno di un ragionevole dubbio sulla ricostruzione dei fatti, tale da inficiare il giudizio di colpevolezza, mentre comunque la sentenza si era limitata ad affastellare una serie di elementi fornendo motivazione illogica e contraddittoria. Al riguardo, infatti, anzitutto il principio secondo cui la condanna puo' essere pronunciata solo se l'imputato risulta colpevole al la' di ogni ragionevole dubbio implica, in caso di prospettazione di un'alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta, e su cui e' fondata la condanna in modo da far risultare la non razionalita' del dubbio derivante dalla prospettazione alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Guernelli e altri, Rv. 259204; Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647). Ed in proposito alcuna differente ipotesi plausibile risulta formulata. Del pari, quanto alla pretesa illogicita' motivazionale, alcunche' risulta concretamente allegato. 10.3. Quanto al terzo motivo, esso risulta ancor meno comprensibile in quanto, in relazione al tentativo di violenza sessuale aggravato, replica integralmente le censure di cui al secondo motivo di doglianza, altresi' facendo riferimento al ruolo di "promotore" che nulla ha a che vedere con la fattispecie contestata. 10.4. In ordine infine al quarto motivo di censura, e' nozione consolidata che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (in specie e' stato cosi' ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato)(Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). Infatti, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549). Allo stesso tempo, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo (a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62-bis, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato)(ex plurimis, Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489). La Corte territoriale, per un verso, ha ribadito gravita' delle condotte ed intensita' del dolo; in ogni caso ha allegato la carenza di elementi idonei ad una valutazione favorevole, e il ricorrente non si e' neppure confrontato con siffatta ulteriore ratio decidendi. Evidente pertanto, anche per tale ricorrente, la manifesta infondatezza dell'impugnazione. 11. Ricorsi (OMISSIS). 11.1. In relazione al primo motivo di doglianza, questa Corte di legittimita' ha anzitutto piu' volte ribadito che sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). 11.1.1. Vero e' altresi' che il ruolo di partecipe o anche di capo dell'associazione non implica l'automatica responsabilita' per i delitti compiuti dagli appartenenti al sodalizio, anche se riferibili all'organizzazione e inseriti nel quadro del programma criminoso, in quanto dei reati-fine rispondono soltanto coloro che, materialmente o moralmente, hanno dato un contributo effettivo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all'attuazione della singola, specifica, condotta criminosa, dovendosi escludere qualsiasi forma di responsabilita' anomala da posizione o da "riscontro ambientale" (Sez. 2, n. 36251 del 24/11/2020, Morelli, Rv. 280315; Sez. 6, n. 20994 del 28/03/2003, C., Rv. 226278, proprio in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, finalizzata prevalentemente allo sfruttamento della prostituzione di donne straniere introdotte clandestinamente in Italia). In specie, e contrariamente ai rilievi dei ricorrenti che in effetti non si sono posti a confronto col percorso argomentativo, le sentenze di merito hanno dato conto delle concrete condotte poste in essere dai ricorrenti al fine di esercitare costante controllo sulle ragazze che facevano entrare nel territorio dello Stato, organizzandone il lavoro e curandone la resa economica, appianando le controversie e, in parte, facendo leva su malati sentimenti di affetto per legarle ancor piu' all'attivita' di meretricio in loro favore. Laddove, in definitiva, alla sentenza impugnata e comunque alle decisioni del merito viene ascritta al piu' una motivazione erronea e non certamente viziata, tenuto conto che i ricorrenti hanno semmai lamentato proprio le valutazioni che sono state tratte dal materiale istruttorio (cfr. pag. 3 ricorso), cosi' intendendo porre a diretto e inammissibile contatto questo Giudice di legittimita' col materiale istruttorio. Va da se' che la doglianza esula dal perimetro del giudizio di cassazione. 11.2. In relazione a questo secondo motivo, in tema di attenuanti generiche e' sufficiente il richiamo a quanto gia' considerato sub 10.4., atteso che in ogni caso i ricorrenti non si sono confrontati con la seconda autonoma ratio decidendi quanto alla carenza di elementi positivi di valutazione, con la conseguente inammissibilita' della censura siccome formulata. In relazione poi alla dosimetria della pena, non e' necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato cosi' ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288), laddove invero e' necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (cfr. Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro e altro, Rv. 271243). In specie, tenuto conto della forbice edittale tra quattro e dodici anni di reclusione, la pena di anni sei di reclusione (e di Euro ottomila di multa) si colloca ampiamente entro la misura media e - in ogni caso - lo scostamento dal limite inferiore di legge e' stato anche giustificato dall'intensita' del dolo anche in ragione della protrazione delle condotte. In tal senso e' stato anche fornito implicito ma sicuro riferimento di congruita' al trattamento sanzionatorio siccome inflitto, che all'evidenza non poteva dirsi sproporzionato tenuto conto del contenuto della contestazione giudiziale. 12. Ricorso (OMISSIS). 12.1. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, attesa l'identita' delle censure. Fermo e incontestato invero il principio indicato sub 11.1.1., e' stato dato ampio e diffuso conto nella sentenza impugnata delle ripetute condotte poste in essere dall'odierno ricorrente il quale, nell'ambito del sodalizio creatosi in particolare con i fratelli (OMISSIS), ha svolto proprio quei concreti compiti di ingerenza nella gestione delle prostitute, di controllo e di agevolazione nel meretricio di costoro anche approfittando del proprio lecito lavoro di operatore ecologico, che gli consentiva altresi' di mettere in guardia le ragazze - piu' d'una, con un rapporto che non si limitava quindi alla propria "fidanzata" (OMISSIS) - in caso di sopralluoghi di polizia. In definitiva anche in tal caso, invocando illogicita' della motivazione, viene al contrario inammissibilmente sollecitato un altro grado di giudizio di merito. 12.2. In ordine al terzo motivo di ricorso la Corte territoriale ha comunque inteso attribuire prevalenza, con motivazione certamente non illogica ed ancor meno manifestamente illogica, alle negative valutazioni su condotta dell'imputato e intensita' del dolo (peraltro palesando comunanza di valutazioni rispetto ai fratelli (OMISSIS), la cui posizione e' stata pressoche' costantemente associata proprio al (OMISSIS) nell'ambito dell'intero giudizio). In relazione infine alla dosimetria della pena, vanno integralmente richiamate le considerazioni svolte sub 11.2. 13. Le impugnazioni siccome proposte, alla stregua dei rilievi analiticamente richiamati, sono pertanto manifestamente infondate. Ne consegue pertanto l'inammissibilita' dei ricorsi. 13.1. Tenuto altresi' conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue a carico dei ricorrenti, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. COSTANTINI Antonio - rel. Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata in (OMISSIS); avverso la sentenza del 24/05/2022 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Antonio Costantini; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Epidendio Tomaso, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi; lette le conclusioni del difensore Avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento; lette le conclusioni del difensore della parte civile (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha richiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) e (OMISSIS), per mezzo dei rispettivi difensori, ricorrono avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze che ha confermato la decisione del Tribunale di Livorno che aveva condannato gli imputati alla pena di due anni e mesi otto di reclusione ciascuno in ordine ai reati di cui agli articoli 110 e 572 e, la sola (OMISSIS), per i delitti di cui agli articoli 582 e 585 in relazione all'articolo 576 c.p., comma 1, nn. 1 e 5. Nell'ambito della presente vicenda processuale i due ricorrenti sono accusati di aver posto in essere ripetute condotte violente, minacciose e' offensive ai danni di (OMISSIS) e (OMISSIS) - genitori di (OMISSIS) disinteressandosi totalmente del loro stato di salute, mostrandosene infastiditi e insultandoli, abusando della loro condizione di fragilita' e pretendendo di essere da loro mantenuti economicamente, nonche' atteggiandosi a padroni della casa dell'anziana coppia in cui erano stati accolti, cosi' ingenerando una situazione di terrore e vessazione continua. (OMISSIS) e', inoltre, accusata di aver cagionato, in due diverse occasioni ed al fine di commettere il reato di maltrattamenti di cui sopra, un lieve trauma cranico e un infrazione del setto nasale a (OMISSIS) - nipote dell'anziana coppia trasferitasi nell'abitazione dele persone offese per aiutarli e prendersene cura - ed una frattura vertebrale unita a contusioni multiple a (OMISSIS) che, durante uno di tali episodi si era frapposta tra le due per aiutare la nipote aggredita. 2. Avverso detta decisione (OMISSIS) deduce vizi di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione all'articolo 572 c.p.. I giudici di merito - secondo la difesa - hanno fondato la responsabilita' in merito al delitto di maltrattamenti nei confronti del padre facendo riferimento a generici richiami a condotte ingiuriose e al disinteresse mostrato dal ricorrente verso il genitore, omettendo di compiere una puntuale ricostruzione delle concrete condotte poste in essere anche sotto il profilo della cronologica loro incidenza, necessaria a verificare se queste possedessero la vessatorieta' e l'abitualita' idonee ad integrare il reato di maltrattamenti o fossero, invece, meramente episodiche. La Corte territoriale ha omesso di confrontarsi con le dichiarazioni dei testi favorevoli alla difesa - quali quelle rese da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' dalla stessa (OMISSIS) - che hanno dato conferma della sporadicita' delle condotte ingiuriose del ricorrente nei confronti del padre. 3. (OMISSIS), per il tramite del proprio difensore Avv. (OMISSIS), con un unico motivo di ricorso, deduce vizi di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione agli articoli 572, 582 e 585 con riferimento all'articolo 576 c.p., comma 1, nn. 1 e 5. La sussistenza delle contestate aggravanti in ordine ai delitti di lesioni e' stata motivata in maniera illogica visto che le condotte violente serbate dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) e della (OMISSIS) costituivano condotte eccentriche rispetto al delitto di maltrattamenti ai danni delle anziane parti offese, dovendo le stesse ritenersi episodiche e traendo origine dalla percezione della ricorrente di scorrettezze perpetrate in danno dei figli; cio' implica che le lesioni in argomento non fossero finalizzate alla commissione di vessazioni nei confronti dei suoceri, difettando del necessario coefficiente psicologico solo apoditticamente affermato essere sussistente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile, mentre quello di (OMISSIS) e' fondato limitatamente alle aggravanti di cui' all'articolo 576 c.p., comma 1, nn. 1 e 5, dovendo essere, per il resto, rigettato. 2. Quanto al ricorso di (OMISSIS), che limita le censure alla parte della decisione che ha ritenuto sussistente la responsabile in ordine ai maltrattamenti ai danni dell'anziano padre, deduzione che la difesa afferma sia stato superficialmente superato, i Giudici di merito hanno argomentato in ordine alla stessa doglianza. Deve ribadirsi l'ormai pacifico principio di diritto secondo cui deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilita' delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericita' delle doglianze che, cosi' prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (tra le tante, cfr. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608). Il Collegio di merito, non si e' limitato a richiamare genericamente la decisione di primo grado, ma ha fatto espresso riferimento a tutti gli elementi che portavano a ritenere che la condotta vessatoria, realizzatasi all'interno del nucleo familiare di origine del (OMISSIS) in cui il medesimo era stato accolto dagli anziani genitori perche' mossi a compassione dalle richieste del figlio e della nuora, era rivolta, non solo nei confronti della madre, ma anche del padre che proprio durante tale forzosa e ormai non piu' tollerata convivenza era costretto a letto per la frattura al femore. La Corte di merito, infatti, in risposta alla specifica deduzione ha evidenziato il complessivo contesto di riferimento, richiamando tutte le dichiarazioni rese dalla madre, da (OMISSIS) e dai numerosi operatori socio assistenziali che, a vario titolo hanno potuto direttamente accertare la consistenza delle condotte vessatorie di entrambi i ricorrenti rivolte in maniera continuativa nei confronti della madre e del padre ormai allettato a seguito di una caduta; hanno posto in rilievo come condotte violente e minacciose fossero state rivolte anche nei confronti di (OMISSIS), nipote della anziana coppia - che si era trasferita presso l'abitazione e di fatto l'unica persona che si prendeva cura del padre del ricorrente -, che era stata costretta a trasferirsi, a seguito delle minacce di incendio della camera in cui era alloggiata, nella stessa camera della anziana coppia e, per timori di violenze, costretta a cambiare la serratura della porta di accesso alla stanza da letto. La Corte territoriale, facendo pertinente rinvio alla decisione di primo grado che aveva ripercorso con puntualita' e precisione il contenuto delle dichiarazioni rese dalle numerose persone sentite (sia durante le indagini con acquisizione consensuale dei verbali, sia nel corso del dibattimento) rende precisa motivazione su tale aspetto: mette in evidenza come proprio le condizioni ormai gravi del genitore avessero portato il ricorrente ad intensificare le condotte vessatorie nei confronti di costui, visto come ostacolo all'impossessamento dell'abitazione, tanto da spingersi ad intimare alla madre di raddoppiare la quantita' di medicinale prescritto dai sanitari; in conseguenza di tali reiterate richieste l'anziana donna aveva temuto per un uso improprio del farmaco tanto da ritenere necessario nasconderlo per il nutrito timore in ordine alla incolumita' del marito. La decisone spiega come tale rischio fosse stato ben compreso, non solo da entrambi i genitori, ma anche da tutti i soggetti che - a vario titolo - avevano avuto modo di entrare in contatto con l'anziana coppia, tanto da temere per costoro gravi ripercussioni a causa delle condotte di entrambi i ricorrenti; significativa e' la parte della decisione che mette in evidenza come tutti i testi, oltre a rappresentare le singole condotte vessatorie, si riferivano indistintamente ad entrambi i genitori quali vittime dell'azione del figlio, in concorso con la compagna. I Giudici di merito hanno, altresi', smentito la ricostruzione alternativa prospettata dal ricorrente secondo cui le condotte realizzate costituissero banali discussioni connesse alla convivenza forzata; hanno effettuato un complessivo apprezzamento della condotta vessatoria realizzata nello stesso contesto abitativo da entrambi i ricorrenti, facendo rilevare come il nucleo formato da (OMISSIS), dalla moglie ed dai figli minori fossero semplici ospiti nella abitazione dei genitori, circostanza trascurata dal (OMISSIS). All'inammissibilita' del ricorso del (OMISSIS) consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall'articolo 616 c.p.p., comma 1. 3. Il motivo di ricorso di (OMISSIS), nella parte in cui censura le ritenute aggravanti di cui all'articolo 585, con riferimento all'articolo 576 c.p., comma 1, nn. 1 e 5, contestate per le lesioni di cui ai capi 2 e 3 e' fondato. Ed invero, le imputazioni riguardano le lesioni personali che la ricorrente aveva provocato in due occasioni a (OMISSIS), nipote degli anziani genitori dei ricorrenti, ed in una di esse a (OMISSIS), allorche' la prima era intervenuta per contenere le azioni dei figli piccoli della (OMISSIS) (non rileva in questa sede se fondatamente o meno); in una di tali occasioni, (OMISSIS), madre del (OMISSIS), si intrometteva per dividere i contendenti e tutelare la (OMISSIS) dall'aggressione della (OMISSIS), riportando delle serie lesioni. 3.1. Cio' premesso, deve rilevarsi che anche quella parte della giurisprudenza di legittimita' (ormai maggioritaria) che ammette la coesistenza dell'aggravante della connessione teleologica per le lesioni in caso di concorso formale con il reato di maltrattamenti in famiglia, evidenzia la necessita' di una specifica finalizzazione dell'un reato alla realizzazione dell'altro (Sez. 6, n. 14168 del 22/01/2020, Z., Rv. 278844). Per giurisprudenza costante, infatti, ai fini della configurabilita' della circostanza aggravante della connessione teleologica, di cui all'articolo 61 c.p., n. 2, e' sufficiente (ma anche necessario) che la volonta' dell'agente sia diretta alla commissione del reato-fine e che a tale scopo egli si sia servito del reato-mezzo (Sez. 5, n. 38399 del 10/07/2017, E F., Rv. 271211). Anche l'orientamento piu' favorevole all'astratta coesistenza tra concorso formale e connessione teleologica non perde di vista la specifica finalita' che la volonta' dell'agente deve perseguire nel contesto di una condotta sostanzialmente unitaria. Nello stesso senso, infatti, in termini piu' generali (cfr. Sez. 5, n. 34504 del 12/10/2020, H., Rv. 280122 - 02), si e' espressa questa Corte allorche' ha rilevato - in conformita' con il principio sopra richiamato - che pur non essendo necessaria per la sua ipotizzabilita' una alterita' di condotte, deve comunque, sussistere la specifica finalizzazione dell'un reato alla realizzazione dell'altro. La configurabilita' dell'aggravante del nesso teleologico in caso di concorso formale tra reati e' stata, infatti, ammessa da questa Corte (avuto riguardo al delitto di lesioni ed a quello di stalking, cfr. Sez. 5, n. 38399 del 10/7/2017 E F., Rv. 271211; per il delitto di lesioni e quello di rapina, cfr. Sez. 2, n. 29486 del 19/5/2009, Kotbani, Rv. 244434) a prescindere dal carattere unitario o meno delle condotte criminose, o dalla contestualita' di queste ultime, reputando sufficiente che la volonta' del soggetto agente sia diretta alla commissione del reato - fine e che a tale scopo egli si sia servito del reato-mezzo. L'unica verifica che va svolta, pertanto, e' quella soggettiva sulla sussistenza della finalizzazione della condotta del reato di lesioni alla realizzazione di quello di maltrattamenti, sotto il profilo del coefficiente psicologico. 3.2. Proprio la verifica del profilo soggettivo del caso sottoposto a scrutinio porta a ritenere insussistente la connessione teleologica, tenuto conto della eccentricita' delle vicende legate a dissapori tra la ricorrente, che non tollerava intromissione nel rapporto con i figli, e la (OMISSIS), che era evidentemente interessata alla tutela dei medesimi ed alla tranquillita' degli anziani zii. Quanto alle lesioni nei confronti della (OMISSIS), e' proprio il mancato inserimento della condotta in quella pur abitualmente posta in essere dalla ricorrente ai danni degli anziani genitori, che porta ad escludere, come invece apoditticamente affermato dalla Corte territoriale, che la volonta' della (OMISSIS) fosse diretta alla commissione dei maltrattamenti e che a tale scopo costei si fosse servita della condotta tesa a cagionare lesioni alla parte offesa, affermazione che risulta distante dalla genesi della vicenda. Quanto alle lesioni nei confronti della anziana suocera, intervenuta in detto contesto, la distanza rispetto alla contestata aggravante risulta ancora piu' marcata allorche', impregiudicato l'elemento soggettivo delle lesioni non messo in discussione, la condotta si palesi eccentrica rispetto alla non certo scontata reazione della vittima nell'azione di difesa della nipote; solo a seguito di tale intervento l'anziana donna pativa le lesioni causate da une spinta, condotta estranea al contesto maltrattante pur adeguatamente valorizzato dai giudici di merito. 3.3. Per le stesse ragioni non sussiste l'aggravante ex articolo 576 c.p., comma 1, n. 5. 3.3.1. L'aggravante viene in rilievo allorche' il fatto sia commesso in occasione di taluno dei delitti ivi indicati, ove il sintagma della norma deve essere inteso come "fatto di reato commesso in occasione della realizzazione dell'altro reato", non potendo assumere certo rilevanza il dato meramente spaziale. 3.3.2. Analogamente e' a dirsi in ordine al dato esclusivamente cronologico della condotta allorche', come nel caso di specie, si e' in presenza di un reato a natura abituale, fattispecie che non sempre aiuta ad individuare una condotta contestuale penalmente significativa. Ed infatti, e' proprio il carattere della abitualita' del reato di maltrattamenti che consente la coesistenza di periodi di tempo in cui non si realizza alcuna condotta ne' singolarmente ne' complessivamente significativa, potendosi alternare periodi di relativa calma, ad altri in cui la condotta assume quel carattere vessatorio che, solo allorche' rivesta il carattere della abitualita', puo' integrare la fattispecie. Ed infatti la natura abituale del reato comporta che l'eventuale interruzione della condotta vessatoria assuma rilevanza solo laddove la stessa risulti cessata per un consistente lasso di tempo (cfr., Sez. 6, n. 56961 del 19/10/2017, F., Rv. 272200 - 01, decisione che ha evidenziato che allorche' la serie di fatti costituenti maltrattamenti si esaurisca e, dopo un notevole intervallo temporale, ne inizi un'altra contro lo stesso soggetto passivo, si e' in presenza di due autonomi reati di maltrattamenti, eventualmente uniti dal vincolo della continuazione ove sussista un medesimo disegno criminoso), con conseguente possibilita' che tra un'azione e l'altra possano inserirsi condotte che, pur penalmente rilevanti, non rappresentino l'occasione in cui e' in corso la realizzazione del reato. 4. Infondata risulta, invece, la parte del ricorso della (OMISSIS) che, rivolgendo censure alla parte della decisione che ha ritenuto sussistente le aggravanti di cui all'articolo 585, con riferimento all'articolo 576 c.p., comma 1, nn. 1 e 5, attraverso il richiamo ai motivi di gravame (pag. 3 secondo capoverso), finisce con il minimizzare la condotta posta in essere attingendo al nucleo della ritenuta integrazione del delitto di maltrattamenti, delitto che trova ampia e logica motivazione nella decisione impugnata per come evidenziato con riferimento alla posizione del (OMISSIS) e che riguardavano, parimenti, la condotta della (OMISSIS). 5. Ferme restando le contestazioni in ordine al delitto di cui ai capi b) e c) alla luce della proposta querela da parte della (OMISSIS) e della (OMISSIS) del 17 luglio 2019, la realizzazione delle lesioni per ragioni estranee ai rapporti tra nuora e suocera e la loro esclusiva causa individuata nella non tollerata intromissione della (OMISSIS) nella gestione dei figli, comporta l'annullamento della decisione impugnata quanto alle contestate aggravanti ex articolo 576 c.p., comma 1, nn. 1 e 5. Il Collegio di merito provvedera' a rideterminare il relativo aumento di pena in ordine ai reati-satellite contestati che tenga conto dell'elisione di dette aggravanti. 6. Deve essere, altresi', disposta la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, (OMISSIS), ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con riferimento al ricorso di (OMISSIS) limitatamente alle aggravanti di cui all'articolo 576 c.p., comma 1, nn. 1 e 5 e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze per la rideterminazione della pena; rigetta nel resto il ricorso. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, i ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, (OMISSIS), ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. BELMONTE Maria Tere - rel. Consigliere Dott. MOROSINI Elisabetta Mari - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nonche' dalle parti civili: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); nonche' dal responsabile civile: MINISTERO dell'INTERNO; avverso la sentenza del 10/12/2020 della CORTE di APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BELMONTE Maria Teresa; Udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VENEGONI Andrea che ha concluso per l'accoglimento del terzo motivo delle parti civili, con annullamento della relativa statuizione civile, e rinvio al giudice civile competente per valore, con ogni conseguente statuizione, riportandosi alla requisitoria depositata. L'avvocato MENALLO Francesco, difensore delle parti civili, conclude - come da memoria che deposita, unitamente a nota spese - per l'annullamento parziale della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, dichiarando il Comune di (OMISSIS) responsabile civile, in solido con l'imputato e con il Ministero dell'Interno, dei danni patiti dalle parti civili, con condanna anche al pagamento in solido della gia' liquidata provvisionale; L'avvocato FERRANTE, per il ricorrente responsabile civile Ministero dell'Interno, conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso presentato. L'avvocato BELLAVISTA Mario, per il responsabile civile Comune di (OMISSIS) (non ricorrente), conclude per l'accoglimento del ricorso proposto dal responsabile civile Ministero dell'Interno; rigetto dei restanti ricorsi. L'avvocato DI BENEDETTO, difensore dell'imputato (OMISSIS), dopo aver lungamente illustrato alcuni aspetti del ricorso depositato, ne chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del Tribunale di Palermo del 12 marzo 2019, l'allora sindaco di (OMISSIS), (OMISSIS), e' stato riconosciuto colpevole dei delitti di cui agli articoli 328 e 586 c.p. perche', con condotta omissiva, protrattasi dal marzo 2012 al 10 giugno 2013 (data di cessazione delle funzioni di Sindaco) - consistita nell'avere omesso di adottare misure idonee a garantire le minime condizioni di sicurezza del tratto del porto di (OMISSIS) denominato banchina "(OMISSIS)" aveva cagionato la morte di due minorenni, (OMISSIS) e (OMISSIS) che, nella tarda sera del (OMISSIS), introdottisi in una autovettura che il proprietario aveva lasciato, parcheggiata, con le chiavi all'interno, nell'area portuale, per imperizia nella guida del (OMISSIS), che effettuava una improvvida manovra in retromarcia, erano precipitati in mare, perdendo la vita. Il Tribunale ha condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia (mesi otto di reclusione per il delitto di cui all'articolo 328 c.p. e anni due di reclusione per il reato di cui all'articolo 586 c.p.), nonche', in solido con il responsabile civile Comune di (OMISSIS), al risarcimento del danno subito dalle parti civili (i genitori di (OMISSIS)), da liquidarsi separatamente, con provvisionale di Euro 100.000,00 in favore di ciascuno, a carico dell'imputato e del responsabile civile. Il Tribunale, inoltre, assolveva l'imputato dal reato a lui ascritto al capo a), limitatamente alla condotta compresa tra l'agosto 2009 e il febbraio 2012, ed escludeva la responsabilita' del Ministero dell'Interno (anch' esso partecipe al processo quale responsabile civile), ritenendo che non sussistessero, in capo al Sindaco di (OMISSIS), i presupposti di fatto perche' potesse agire ex articolo 54 del Testo Unico degli Enti Locali (T.U.E.L.), avendo il Tribunale ritenuto che la condotta omissiva fosse inquadrabile nell'esercizio delle funzioni di amministratore comunale e non di ufficiale di Governo. 1.1. La Corte di appello di Palermo, sul gravame dell'imputato, del Comune di (OMISSIS) e delle parti civili, con la sentenza impugnata, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, revocando le statuizioni civili a carico del Comune di (OMISSIS) e condannando il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., in solido con l'imputato, al risarcimento del danno subito dalle parti civili, e al pagamento della provvisionale gia' determinata in primo grado. La Corte di appello ha, infatti, ritenuto che, nella situazione data, quale emersa dall'istruttoria dibattimentale, il Comune di (OMISSIS) non avesse gli strumenti ordinari per fronteggiare la situazione di pericolo che viene in rilievo, mentre il (OMISSIS), quale Sindaco e Ufficiale del Governo, consapevole della sussistenza, sul territorio da lui amministrato, di una situazione di pericolo grave e irreparabile per la pubblica impunita', da fronteggiare con urgenza (perche' il rischio paventato poteva concretizzarsi in qualsiasi momento), dovesse agire con i poteri residuali extra ordinem a lui attribuiti dall'articolo 54, comma 4 T.U.E.L.. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), l'Avvocatura Distrettuale dello Stato, nell'interesse del Ministero dell'Interno, le costituite parti civili, (OMISSIS) e (OMISSIS), quali genitori del defunto (OMISSIS). 3. L'avvocato Messina Salvatore, nell'interesse di (OMISSIS), svolge cinque motivi. 3.1. Con il primo motivo, denuncia inosservanza degli articoli 516 - 521 - 522 c.p.p. dal momento che, a fronte di una contestazione, sub A, che, in entrambi i capi di imputazione, contiene espresso riferimento alla ordinanza n. 93/2009 della Capitaneria di Porto di Palermo, per delineare la condotta omissiva del Sindaco, in relazione alla quale si e' espresso il Tribunale, la Corte di appello, invece, ha disapplicato quella ordinanza e ha configurato un fatto diverso a carico dell'imputato, facendo riferimento alla mancata adozione di ordinanze extra ordinem ai sensi dell'articolo 54 T.U.E.L.. 3.2. Con il secondo motivo, deduce erronea applicazione dell'articolo 328 c.p. e dell'articolo 54 T.U.E.L.. Il Sindaco, infatti, non aveva alcuna competenza sull'area in cui si e' verificato il sinistro, a differenza dei casi esaminati dal Consiglio di Stato nelle sentenze citate dalle Corte di appello, che risultano, quindi, inconferenti. D'altro canto, la consolidata giurisprudenza individua quattro presupposti alla cui cumulativa presenza e' subordinato il potere di provvedere ai sensi dell'articolo 54 cit.: contingibilita', necessita', urgenza, temporaneita'. La contingibilita' e' esclusa dalla stessa Corte di appello, che qualifica la situazione critica della banchina quale "atavico problema", privo, dunque, del requisito dell'eccezionalita'; quanto alla necessita', intesa come inefficienza e inutilita' dei mezzi ordinari apportatati dall'ordinamento, la legge attribuiva alla Regione Sicilia poteri di intervento assai piu' efficaci che, infatti, vennero posti in essere pochi mesi dopo l'evento, con la ristrutturazione dell'intera area portuale. Neppure e' ravvisabile l'urgenza, dal momento che la situazione di pericolo sussisteva, praticamente immutata, dal 2009; il requisito della temporaneita', strettamente correlato alla eccezionalita' dell'intervento extra ordinem, presuppone il pericolo effettivo della configurabilita' di una fattispecie concreta non tipizzata dalla legge, tale da giustificare la deviazione dal principio di tipicita' degli atti amministrativi. 3.2.1. Inoltre - sostiene la Difesa - il fatto contestato all'imputato non ha gli estremi oggettivi e soggettivi del delitto di omissione di atti di ufficio. Sotto il primo profilo, manca una espressa richiesta di intervento, e anche l'indirizzo che individua il rifiuto anche nella mera inerzia, richiede comunque "una inerzia sostanziale impositiva dell'atto, resa evidente da fatti oggettivi posti all'attenzione del soggetto obbligato a intervenire". Nel caso di specie, non sussistevano ne' la competenza del Sindaco ne' il termine di comporto o di decadenza; anche a volere ritenere la competenza del sindaco a ricevere l'ordinanza n. 93/2009, non vi fu omissione, giacche', come affermato dal Tribunale, per il primo periodo, l'Amministrazione comunale si attivo' predisponendo misure a tutela della pubblica incolumita', da cui e' derivata la parziale assoluzione pronunciata dal primo giudice; quanto al periodo successivo al febbraio 2012, la stessa Corte di appello ha evidenziato "l'impossibilita' per il Comune di (OMISSIS) di fronteggiare la situazione di pericolo con strumenti ordinari", salvo poi a procedere a una integrazione del capo di imputazione con il riferimento all'omesso ricorso all'articolo 54 T.U.E.L.. Con riguardo all'elemento soggettivo, la Difesa rileva l'erronea applicazione della norma penale, sia sotto il profilo del dolo che dell'errore su norma extrapenale. Sulla scia della giurisprudenza di legittimita', si sottolinea come il dolo del delitto in discorso richieda sia la consapevolezza che l'atto da compiere sia espressione del potere della pubblica amministrazione e non estraneo all'attivita' istituzionale, sia la volonta' che, non compiendo l'atto, si agisca indebitamente e cioe' in violazione dei doveri imposti al p.u. Tuttavia, - si rappresenta - nessuno prospetto' mai al Sindaco il possibile ricorso all'articolo 54, cosicche' deve escludersi la consapevolezza di agire contra jus. D'altro canto, viene in rilievo, nella specie, anche un errore su norma extrapenale, concretizzatosi in un errore sul fatto costituente reato, non essendosi l'imputato rappresentato di omettere un atto del proprio ufficio, quanto, piuttosto, di agire secondo legge coinvolgendo immediatamente le pubbliche amministrazioni competenti. 3.3. Il terzo motivo denuncia vizio della motivazione per travisamento della prova. Premette la Difesa che, in assenza di critica argomentata, da parte della sentenza impugnata, la parziale assoluzione pronunciata dal Tribunale in riferimento al primo segmento temporale del reato di cui all'articolo 328 c.p. ha autorita' di cosa giudicata, in tal senso, contestando la validita' della affermazione che il Sindaco fosse da tempo consapevole della situazione di pericolo. La Corte di appello e' incorsa nel travisamento della prova e, al contempo, nell'omessa valutazione della prova, giacche' ha inserito in motivazione un'informazione rilevante (situazione di pericolo risalente al 2009) che non e' nel processo, e, per altro verso, ha tolto una informazione che e' nel processo (l'avere il Sindaco adempiuto alle prescrizioni dell'ordinanza n. 93/2009). 3.4. Con il quarto motivo, correlato al terzo, ci si duole della manifesta illogicita' della motivazione, in punto di elemento soggettivo, sostenendosi che il (OMISSIS) potesse, al piu', essere consapevole della (nuova) situazione di pericolo, senza tuttavia essersi rappresentato la possibilita' di ricorrere all'articolo 54 cit.. Cosicche', non e' ravvisabile una persistente e consapevole inerzia omissiva, ricorrendo piuttosto un errore sulla situazione di fatto. 3.5. L'ultimo motivo attinge il delitto di cui al capo B), in punto di sussistenza del nesso causale, laddove la Corte di appello, facendo ricorso alla verifica del c.d. comportamento alternativo lecito, sarebbe pervenuto alla illogica conclusione che, se fossero state rispettate le prescrizioni indicate nella sentenza impugnata, il duplice evento mortale non si sarebbe certamente verificato. Si sostiene da parte della Difesa, infatti, che solo la chiusura totale della banchina al traffico veicolare e alla sosta avrebbe impedito l'evento, opzione che avrebbe, tuttavia, comportato la conseguente chiusura dei collegamenti dell'isola con la terraferma. D'altro canto, i due giudici di merito non concordano neppure sulla individuazione del provvedimento omesso, facendo riferimento, il Tribunale, alle note della Capitaneria di Porto del 2012, e la Corte di appello alle ordinanze di cui all'articolo 54 T.U.E.L.. 3.5.1. Ancora, con riferimento al paradigma della prevedibilita' in concreto dell'agente reale declinato dalle Sezioni Unite con riguardo alla c.d. culpa in re illicita, di cui l'articolo 586 c.p. e' espressione - si osserva che, certamente, in astratto, era prevedibile che le criticita' presenti nell'area portuale potessero provocare la caduta in mare di veicoli in transito; tuttavia, nessuno fece presente in concreto l'urgenza di predisporre un transennamento, e, d'altro canto, lo stato di pericolo e' stato eliminato a distanza di tre anni dal tragico evento, con una spesa sostenuta dalla Regione nell'ordine di centinaia di migliaia di Euro. In ogni caso, si sostiene che la condotta imprudente e imperita dei due ragazzi e' causa sopravvenuta sufficiente da sola a cagionare l'evento. 3.6. La Difesa di (OMISSIS) ha depositato motivi aggiunti. 3.6.1. Con riguardo alle omissioni che sarebbero seguite all'ordinanza del 2009 ed alla nota del 2012, il (OMISSIS) e' stato assolto gia' dal Tribunale, limitatamente alla condotta compresa tra l'agosto 2009 e il febbraio 2012", con la formula "perche' il fatto non sussiste". La pronuncia assolutoria non e' stata oggetto di impugnazione ed ha acquisito l'autorita' di cosa giudicata. Per converso, il (OMISSIS) e' stato ritenuto dal Tribunale responsabile della residua condotta indicata relativa all'omesso adempimento di quanto richiesto con le note della Capitaneria di Porto di (OMISSIS) del 6.3.2012 e del 29.3.201. In violazione dell'articolo 521 c.p.p., l'imputato e' stato condannato (in grado di appello) per un fatto diverso da quello contestato. 3.6.2. Con riguardo all'orientamento giurisprudenziale secondo cui non rileverebbe, al fine di escludere la possibilita' di attivare i poteri extra ordinem, la circostanza che la situazione di pericolo fosse risalente nel tempo, esso, oltre a far riferimento -come gia' dedotto - a situazioni differenti da quella qui in esame (e segnatamente, a materie di specifica competenza comunale), e' tutt'altro che univoco. Si cita la recente pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. 5, 6.6.2019-10.6.2019, n. 3887), che ha rilevato come sia, al contrario "... giurisprudenza pacifica se non opinione comune, che tali atti possono essere emessi per porre rimedio ad una situazione eccezionale di pericolo..." ed e' pertanto certamente "improprio" l'uso "di uno strumento d'eccezione per sanare una situazione risalente negli anni". In secondo luogo, la Corte sembra ignorare del tutto il presupposto della contingibilita', che deve sempre accompagnare quello dell'urgenza. 3.6.3. Con ulteriore argomentazione, la Difesa richiama l'orientamento di legittimita' che ha chiarito come, pur essendo sufficiente, ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 328 c.p., il dolo generico, "l'avverbio "indebitamente", inserito nel testo della disposizione, qualificando l'omissione di atti di ufficio come reato ad antigiuridicita' cosiddetta espressa o speciale, connota l'elemento soggettivo (...) per sottolineare la necessita' della consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti" (Cass. Pen., Sez. 6, 15.6.2021-9.9.2021, n. 33565). 3.6.4. E' stata anche depositata una memoria difensiva di replica alle conclusioni del P.G, con cui, ribadendo le osservazioni gia' svolte, la Difesa del (OMISSIS) conclude per l'accoglimento del ricorso e, in subordine, per la declaratoria di prescrizione di entrambi i reati. 3.7. L'avvocato Di Benedetto ha depositato memoria scritta di replica alle conclusioni del Procuratore Generale, insistendo nei motivi di ricorso. 4. Nell'interesse del Ministero dell'Interno, l'Avvocatura distrettuale dello Stato articola tre motivi. 4.1. Con il primo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 54 in ordine alla ritenuta sussistenza dei presupposti di operativita' della predetta norma, derivante da condotta omissiva dell'imputato, errando la sentenza impugnata - nell'ottica del ricorrente nel ritenere la qualifica soggettiva di Ufficiale di Governo in capo al (OMISSIS), non sussistendo i presupposti di fatto perche' possa affermarsi il ricorso alla extrema ratio costituita dai provvedimenti contingibili e urgenti. Nel caso di specie, non sono rinvenibili ne' l'urgenza ne' la contingibilita', richiamandosi il pacifico orientamento che non consente l'adozione di ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti (C.d.S. n. 774/2017). Nel caso di specie, la situazione concreta verificatasi presso la banchina portuale di (OMISSIS) rientrava nella ordinaria amministrazione dell'ente locale, o nelle competenze regionali o dell'Autorita' marittima, come chiarito dalla stessa Corte di appello. Del resto, i provvedimenti adottati dall'Autorita' Marittima rientrano non gia' nella categoria delle ordinanze extra ordinem ma in quella degli atti necessitati, essendo la situazione pericolosa da rimuovere consolidata nel tempo, ben nota a tutti gli enti coinvolti da epoca risalente, e adeguatamente fronteggiabile mediante il ricorso a strumenti ordinari di amministrazione attiva, come ritenuto anche dal Tribunale di prime cure. Si richiamano orientamenti della giurisprudenza amministrativa in merito alla natura dei poteri extra ordinem come strumenti residuali e assoggettati a particolari e tassativi presupposti (qui insussistenti) apprestati dall'ordinamento giuridico in deroga al principio costituzionale di legalita' dell'azione amministrativa, in ragione del carattere eccezionale della situazione da regolare, nonche' il pronunciamento della Corte costituzionale (sentenza 07 aprile 2011 n. 55) che ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'articolo 54, comma 4 cit. nella parte in cui riconosce il potere del Sindaco di adottare ordinanze "anche non contingibili e urgenti" al fine di pervenire o eliminare gravi pericoli per l'incolumita' pubblica. 4.2. Con il secondo motivo, sono denunciati vizi della motivazione, erronea e contraddittoria, laddove, dopo avere individuato in capo ad altri soggetti istituzionali (Regione, Autorita' Marittime) competenze e poteri di gestione dell'area in questione, la sentenza impugnata ha escluso che il Sindaco fosse dotato di strumenti di intervento ordinari, e riconosciuto in capo a quest'ultimo, quale ufficiale di Governo, nell'inerzia degli altri enti, il potere - dovere di attivarsi per ovviare a situazioni contingibili e urgenti integranti un pericolo per la pubblica incolumita', in presenza, tuttavia, di una situazione consolidata nel tempo e niente affatto straordinaria, e senza considerare che la stessa Autorita' Portuale avrebbe potuto attivarsi autonomamente ai sensi del codice della navigazione, ripristinando l'interdizione all'accesso e alla sosta su tutta la banchina (OMISSIS). Inoltre, il transito e la sosta sulla zona 2 erano consentiti solo per un breve arco temporale, ed erano esigibili, dall'ente locale, i servizi di gestione e vigilanza sul transito e la sosta nell'area portuale, per mezzo della competente Polizia Municipale. In sintesi, il Sindaco, al pari di tutti gli altri enti coinvolti a vario titolo nella vicenda, avrebbe potuto agire esclusivamente mediante la adozione di ordinari strumenti di amministrazione attiva. 4.3. Con il terzo motivo, sono denunciati, ancora, inosservanza e erronea applicazione di norme di legge sostanziale e processuale oltre che costituzionali, con riferimento al riconoscimento della responsabilita' risarcitoria in capo allo Stato piuttosto che al Comune di (OMISSIS), in conseguenza della erronea affermazione che ne' il Sindaco ne' gli altri enti coinvolti avessero poteri ordinari di intervento, mentre il Sindaco quale ufficiale di Governo avrebbe potuto e dovuto intervenire ai sensi dell'articolo 54 TUEL. Vengono richiamati i piu' recenti approdi giurisprudenziali che considerano la responsabilita' da reato, ai sensi dell'articolo 185 c.p., una fattispecie tipica, in considerazione del fatto che la fonte produttiva dell'obbligazione risarcitoria e' costituita dal reato e non gia' dall'illecito civile sovrapponibile che, invece, ai sensi dell'articolo 2043 c.c., costituisce un fatto atipico. Quanto alla responsabilita' della P.A. in caso di reato commesso dal proprio dipendente o funzionario elettivo, essa e' pacificamente considerata una responsabilita' diretta della P.A. in forza del rapporto organico che lega il funzionario all'ente. Altrettanto pacificamente, si ritiene che, in caso di adozione di atti da parte del sindaco quale ufficiale di Governo, l'imputazione allo Stato degli effetti dell'atto dell'organo del Comune ha natura puramente formale, nel senso che il Sindaco non diviene, per questo, organo dell'amministrazione dello Stato, ma resta incardinato nel complesso organizzativo dell'ente locale. Quindi, egli, anche quando opera come organo dello Stato, agisce nel quadro organizzatorio dell'ente comunale, con conseguente responsabilita' di tale ente locale. Come affermato ripetutamente dalla giurisprudenza maggioritaria, la legittimazione passiva spetta al Comune e non anche alla Amministrazione statale (C.D.S. sez. 2, n. 4183 del 01/07/2020; nonche' cfr. Sez. Un. civ. n. 11851/1991). 5. Le parti civili costituite, assistite dall'avvocato Menallo Francesco, si affidano a tre motivi. 5.1. Con il primo, denunciano violazione dell'articolo 581 c.p.p., comma 1, giacche' in nessuno degli appelli proposti e' stata affrontata la questione della responsabilita' civile del Comune di (OMISSIS); d'altro canto, la Corte di appello ha dichiarato inammissibile l'appello del Comune di (OMISSIS) in punto di responsabilita' penale dell'imputato; in conseguenza, si e' formato il giudicato della sentenza di primo grado laddove ha affermato la responsabilita' civile solidale del Comune di (OMISSIS). Da qui la richiesta di cassare senza rinvio la sentenza d'appello nella parte in cui esclude la responsabilita' civile solidale del Comune di (OMISSIS), unitamente all'imputato ed al Ministero dell'Interno. 5.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione delle norme previste dal codice della navigazione e dal Codice della strada e dai rispettivi regolamenti di esecuzione. Sostiene la Difesa ricorrente che, secondo le disposizioni del codice della strada, spetta al Comune il controllo della viabilita' nell'area portuale, trattandosi di porto aperto al territorio, sprovvisto di barriere di inibizione del traffico veicolare. Nella specie, in assenza di soluzione di continuita' tra la strada comunale che conduce all'area portuale e quella interna al porto, su cui la Capitaneria aveva ordinato la apposizione della segnaletica relativa al divieto di sosta e di transito, spettava al Comune la apposizione della stessa e la vigilanza sulla corretta osservanza di prescrizioni e divieti. 5.3. Con il terzo motivo, si denuncia erronea applicazione degli articoli 50 e 54 T.U.E.L., e dello statuto comunale di Ustica, evidenziando la Difesa ricorrente come il presupposto di fatto perche' possano ravvisarsi le competenze quale ufficiale di Governo, e' la carica di Sindaco, quest'ultimo essendo il garante dei cittadini amministrati, in virtu' di una posizione di garanzia attribuita dalla legge. 5.4. Nelle memorie scritte presentate dalle parti civili si conclude chiedendo, in parziale riforma della sentenza impugnata, di dichiarare il Comune di (OMISSIS) responsabile civile, in solido con l'imputato ed il Ministero dell'Interno, dei danni tutti patiti dalle parti civili; e per l'effetto, estendere al Comune di (OMISSIS) la condanna all'erogazione, in solido con l'imputato e il Ministero dell'Interno, della provvisionale gia' liquidata, oltre alle spese di tutti i gradi del giudizio, rimettendo le parti innanzi al Giudice civile per la liquidazione totale del risarcimento del danno. 6. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, concludendo per l'infondatezza di tutti i ricorsi, ad eccezione di quello delle parti civili, per cui ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata con riguardo alle statuizione relativa alla esclusione della responsabilita' civile del Comune di (OMISSIS), chiedendo annullarsi la relativa statuizione con rinvio al giudice civile competente per valore. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi non sono fondati. Tuttavia, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente al reato di o' cui al capo A), perche' estinto per intervenuta prescrizione. 1.1. Dalla ricostruzione dei giudici di merito, emerge che il fatto si verifico' in un'area - la banchina "(OMISSIS)" del Porto di (OMISSIS) - costituita da un manufatto artificiale che non poggia sulla terraferma, ma si prolunga sul mare poggiando su piloni che insistono sul fondo marino. In tale area, il transito e la sosta erano stati oggetto di dettagliata regolamentazione per effetto della ordinanza n. 93 del 20/08/2009 emessa dalla Capitaneria di Porto di Palermo, la cui inosservanza e' contestata all'imputato, (OMISSIS), quale Sindaco di (OMISSIS) del tempo. 1.1. Dalle fonti di prova, dichiarative e documentali, e' emerso, in particolare, che, almeno a partire dal 2006, l'intera area portuale denominata (OMISSIS), di cui la banchina "(OMISSIS)" costituisce solo una parte, presentava vari profili di criticita' strutturale, dovuti all'azione delle frequenti mareggiate, tanto che, con ordinanza n. 3/2006 del 12/01/2006 la Capitaneria di Porto di Palermo aveva interdetto l'accesso e il transito sulla banchina per ragioni di pubblica incolumita'; d'altro canto, lo stesso imputato aveva adottato l'ordinanza sindacale n. 66 del 28/11/2008, con cui aveva disposto la riduzione del traffico veicolare nelle aree portuali, consentendovi l'accesso solo per ragioni legate allo svolgimento di attivita' lavorative, per il rifornimento del carburante nei giorni stabiliti, e per la fruizione dei mezzi di trasporto marittimo. L'inibizione al traffico veicolare nelle aree portuali era stata poi estesa fino alla totale interdizione della viabilita' (con apposizione di un cancello nella strada di accesso chiuso con una catena e un lucchetto) salvo eccezioni e previa revoca della ordinanza n. 66/2008 per effetto delle ordinanze n. 3 del 26/02/2009 e 13 del 27/09/2009, a firma dell'imputato. Con tali provvedimenti, era stata anche disposta la allocazione della segnaletica verticale della cui esecuzione era stata incaricata la Polizia Municipale dell'isola. In seguito alle lamentele dei cittadini e degli operatori turistici, per i disagi alla viabilita' e alle difficolta' a raggiungere il porto dal centro abitato, e su sollecitazione della stessa amministrazione comunale (fax n. 3732 del 22/06/2009), nel 2009, la Capitaneria di Porto di Palermo aveva consentito la riapertura parziale della banchina, con ordinanza n. 93/2009, con cui vennero regolamentati il transito e la sosta all'interno della suddetta porzione demaniale marittima. Con tale ordinanza, l'area della banchina "(OMISSIS)" veniva suddivisa in tre zone: nella zona 1, era consentito esclusivamente il transito (e non la sosta degli automezzi per la movimentazione dei passeggeri da e per il Porto di (OMISSIS)); nella zona 2, era consentita anche la sosta per un tempo non superiore a 30 minuti ed esclusivamente in concomitanza con arrivo e partenza dei passeggeri dei veicoli marittimi; una terza zona, tratteggiata, veniva interdetta sia al transito che alla sosta. A garanzia del rispetto di tali limitazioni e divieti, con la predetta ordinanza, veniva fatto obbligo al Comune di (OMISSIS) di "installare idonea segnaletica verticale e/o orizzontale e di delimitare opportunamente il tratto di banchina interdetta con idonei elementi di interdizione e di segnalazione, anche notturna". Con specifico riferimento alla zona 2 - nel quale si e' verificato il sinistro che e' costato la vita ai due giovani - si imponeva al Comune di "installare, sul ciglio della stessa, opportune protezioni per evitare il pericolo di caduta in mare, lasciando comunque lo spazio sufficiente al fine di consentire il posizionamento dei cavi di ormeggio e la movimentazione dei passeggeri" di unita' eventualmente autorizzate ad attraccare lungo la banchina. L'ordinanza attribuiva al Comune il compito di vigilare mediante proprio personale, sul transito dei mezzi durante i periodi di apertura dell'area e di verificare il rispetto delle limitazioni alla viabilita', nonche' del divieto di accesso da parte di terzi alla zona interdetta. In seguito a tale ordinanza, il Comune di (OMISSIS) provvedeva a installare alcuni new jersey in plastica riempiti di acqua che, tuttavia, si rivelavano inadeguati, come segnalato dalla Guardia Costiera al Comune il 25/10/2010, auspicando il posizionamento di "ulteriori mezzi di protezione atti a garantire una adeguata delimitazione dell'area". Ben presto, con le prime mareggiate i new jersey si disperdevano in mare. Si susseguivano due note della Guardia Costiera, in data 6 marzo 2012 e 29 marzo 2012 che segnalavano al Comune la necessita' di provvedere con urgenza alla predisposizione di lavori di messa in sicurezza delle aree portuali in questione, a cui faceva seguito, in data 12 aprile 2012, l'iniziativa del sindaco di (OMISSIS) di promuovere una conferenza dei servizi aperta ai competenti assessorati regionali, alla Capitaneria di Porto e alla Prefettura per esaminare le problematiche del Porto di (OMISSIS); l'iniziativa lasciava, tuttavia, la situazione sostanzialmente inalterata, giacche' nessuna protezione veniva realizzata ne' alcun provvedimento volto alla rimozione della situazione di pericolo veniva adottato da alcuna delle autorita' coinvolte. In tale contesto, si sono verificati i fatti che hanno condotto a morte i due giovani. 1.2. Al (OMISSIS) sono stati, dunque, contestati i reati di cui agli articoli 328 e 586 c.p., per avere, nella sua qualita' di Sindaco di (OMISSIS) per il periodo dal 20 agosto 2009 al 10 giugno 2013, omesso e, comunque, implicitamente rifiutato un atto dell'ufficio che, per ragioni di sicurezza pubblica, doveva essere compiuto senza ritardi, con riferimento all'accesso e al transito nella banchina (demanio marittimo) "(OMISSIS)" del Porto di (OMISSIS), e, segnatamente, per avere omesso le specifiche condotte elencate nell'imputazione sub A); con il capo B, e' contestato il delitto di cui all'articolo 586 c.p., perche', commettendo il delitto di cui all'articolo 328 c.p., e quindi, per colpa consistita nella descritta omissione, integrante il reato sub A), l'imputato concorreva a cagionare, quale conseguenza non voluta dell'omissione, il decesso dei minori (OMISSIS) e (OMISSIS), che precipitavano in mare dalla banchina anche per l'assenza di qualsiasi protezione o barriera. Le parti civili costituite nel procedimento (congiunti di una delle vittime) richiedevano in primo grado la citazione in giudizio anche del Ministero dell'Interno, quale responsabile civile, giacche' i fatti contestati al (OMISSIS), quale Sindaco, erano stati commessi anche nella veste di Ufficiale del Governo. 1.3. Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 09/09/2019, esclusa la responsabilita' civile del Ministero dell'Interno, dichiarava (OMISSIS) colpevole del reato di cui all'articolo 328 c.p. (capo A), limitatamente alla condotta omissiva perdurata dal marzo 2012 al 10 giugno 2013, avendo ritenuto che, a seguito della ordinanza n. 93/2009, l'amministrazione aveva adottato inizialmente le misure indicate a tutela della pubblica incolumita' dalla Capitaneria di Porto, mediante la allocazione di barriere di protezione (new jersey), cosi' attuando una forma di adempimento ritenuta "rilevante per escludere, limitatamente a quel segmento temporale della vicenda, la configurabilita' del reato omissivo"; lo riteneva, altresi', colpevole del reato sub B). 1.4. Nel riformare parzialmente la decisione del Tribunale, in punto di responsabilita' civile, la Corte di appello ha osservato che l'ente titolare dell'area in questione (banchina artificiale denominata (OMISSIS)) e' la Regione Sicilia, che ne ha pure le competenze e gli oneri di gestione; che la gestione delle strade comunali, compresa quella che congiunge il capoluogo del Comune con l'area portuale, e', invece, di spettanza del Comune; mentre, la gestione delle Aree portuali e la regolamentazione della circolazione al loro interno, sia dei veicoli giunti da terra che di quelli che provengono dal mare, spetta all'Autorita' Marittima. Ha, quindi, escluso che spettasse al Comune di (OMISSIS) la predisposizione, nell'ambito del Porto e sulla banchina (OMISSIS), di idonee opere di protezione volte ad evitare la caduta accidentale in mare di persone o mezzi, non trattandosi di area comunale, e non avendo titolo la Capitaneria e la Guardia Costiera per imporre al Comune di (OMISSIS) la realizzazione di determinate opere e prendere provvedimenti funzionali a impedire la concretizzazione del pericolo ravvisato; la Corte di appello ha ritenuto, a questo punto, la conseguente illegittimita' delle disposizioni contenute nell'ordinanza n. 93/2009, emanata dall'Autorita' Marittima, che ha, quindi, disapplicato, tuttavia, rilevando, che, pur non avendo l'ordinanza n. 93/2009 e le note del marzo 2012 della Capitaneria di Porto di Palermo alcuna valenza precettiva nei confronti dell'Amministrazione comunale di Ustica, esse assumono rilievo come documenti, noti al (OMISSIS) gia' prima dell'agosto 2012, che mettevano in evidenza una situazione di grave, irreparabile e imminente pericolo per la pubblica incolumita'. L'imputato, secondo la Corte di appello, pur non avendo strumenti ordinari per fronteggiare la situazione di pericolo, consapevole della stessa, tuttavia, "avrebbe potuto e dovuto, per garantire le minime condizioni per una fruizione in sicurezza dell'area in questione", adottare ordinanze contingibili e urgenti ai sensi dell'articolo 54 T.U.E.L., che attribuisce al Sindaco - quale ufficiale del Governo un potere residuale extra ordinem, fondato sui presupposti dell'urgenza e della necessita'. La Corte di appello ha anche individuato le alternative condotte lecite e specifiche che l'imputato avrebbe dovuto adottare, ivi compresa quella estrema della chiusura dell'accesso all'intera banchina, ripristinando la situazione antecedente alla ordinanza n. 93/2009, che avrebbe consentito di evitare la concretizzazione del rischio paventato dalla predetta ordinanza. In sostanza, "il (OMISSIS) doveva e poteva esercitare il potere di ordinanza ex articolo 54 TUEL che gli spettava quale Ufficiale del Governo, mentre la persistente inerzia omissiva e ingiustificata di un atto dovuto si risolve - per costante giurisprudenza - in un rifiuto implicito idoneo a configurare il reato di cui all'articolo 328 c.p.", avendo, infine, la Corte di appello ritenuto rispettato il perimetro del capo di imputazione, che contesta al (OMISSIS) (anche) "di non avere proceduto con l'urgenza richiesta dal caso, all'adozione delle indefettibili, necessarie e orami indilazionabili azioni per garantire le minime condizioni di sicurezza delle aree di che trattasi". 1.4.1. Con riguardo al reato di cui al capo B), la Corte di appello ha ravvisato il nesso causale tra la condotta omissiva del (OMISSIS), reato presupposto, e la morte dei due giovani, che costituisce la concretizzazione del rischio che la condotta doverosa avrebbe dovuto evitare, ritenendo l'evento poi concretizzatosi (caduta accidentale in mare, di notte, di un'auto con passeggeri a bordo) prevedibile ed evitabile, sia alla luce dei provvedimenti autoritativi che si erano susseguiti, sia anche per l'assenza di illuminazione e vigilanza sulla banchina, in tal senso sussistendo una colpa in concreto dell'imputato, consapevole di tutte tali circostanze. Quanto alla condotta colposa del (OMISSIS) e a quella imprudente delle due vittime, la Corte di appello ha escluso che esse si configurino quali eccezionali ed anomale, tanto da renderla imprevedibile, e da spezzare il nesso causale tra l'omissione dell'imputato e il decesso delle vittime; ha, infine, ritenuto superfluo l'esperimento giudiziale richiesto dal Comune di (OMISSIS). In sintesi, "il Comune di (OMISSIS), in quanto tale, non aveva i poteri e la competenza per intervenire su quell'area, mentre il Sindaco aveva il potere di intervenire (esclusivamente) utilizzando il suo potere riconosciutogli dall'articolo 54 T.U.E.L. quale ufficiale di Governo", e, poiche' il potere di ordinanza extra ordinem appartenente al Sindaco e' espressione di prerogative statali, la Corte di appello ha ravvisato la responsabilita' dei danni derivanti dall'esercizio (o dal mancato esercizio) di detti poteri in capo allo Stato, non gia' al Comune, annullando le statuizioni civili poste in primo grado a carico del Comune di (OMISSIS), che ha, invece, ascritto al Ministero dell'Interno, in solido con l'imputato. 2. Prendendo le mosse dal primo motivo del ricorso di (OMISSIS) (e dal correlato primo motivo aggiunto) - con cui si sostiene che l'imputato sarebbe stato condannato sulla base di un titolo diverso da quello oggetto del capo di imputazione e riconosciuto dalla sentenza di primo grado - la deduzione si rivela infondata, giacche', oltre all'accusa di non avere adempiuto all'ordinanza n. 93 del 2009, nell'imputazione elevata al capo A, vi e' un chiaro riferimento alla condotta successiva al 2012, che e' quella per cui (OMISSIS) e' stato condannato, laddove e' accusato di non avere dato riscontro, quale Sindaco, anche con azioni pratiche, alla nota della Capitaneria del 29.3.2012 di "procedere, con l'urgenza richiesta dal caso, all'adozione delle indefettibili, necessarie e oramai indilazionabili azioni per garantire le minime condizioni di sicurezza elle aree di che trattasi (quali ad esempio la posa di protezioni o barriere atte ad evitare cadute accidentali in mare di persone o mezzi)" e ad una nota di un consigliere comunale di "conoscere lo stato delle banchine". Questo il complessivo perimetro accusatorio delineato dal capo di imputazione, in cui appare evidente come l'accusa ruoti intorno al nucleo fondamentale costituito dalla contestazione della mancata adozione di provvedimenti al configurarsi di quella particolare situazione di fatto da cui scaturiva l'obbligo giuridico di agire, ed entro il quale si colloca perfettamente il percorso logico - giuridico della sentenza di appello, che, appunto, ha contestato al (OMISSIS), quale Sindaco e ufficiale di Governo, la conoscenza di una situazione di pericolo ufficializzata in una nota della capitaneria e in una interpellanza comunale, di non avere adottato alcun provvedimento, nonostante quei documenti consacrassero per iscritto la sua conoscenza di una situazione di pericolo ben definita, anche attraverso la individuazione delle concrete misure da attuare. 2.1. E' opportuno ricordare come la ragione fondamentale che sostanzia il principio di cui all'articolo 521 c.p.p. e' quella di consentire all'imputato il pieno dispiegarsi del suo diritto a difendersi, che sarebbe vanificato ove la condanna intervenisse per un fatto non contestato e su cui non si e' instaurato contraddittorio nel corso del giudizio (ex pluribus v. Sez. 2, sent. n. 11459 del 10/03/2015, Tribuzio, Rv. 263306; Sez. 3, sent. n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866; Sez. 6, sent. n. 34879 del 10/01/2007, Sartori e altri, Rv. 237415), in tale contesto essendosi affermato che non sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza laddove l'imputazione sia rimasta anche formalmente inalterata e le specifiche occasioni prese in considerazione dalla Corte di merito per valutare la sussistenza dell'omissione penalmente rilevante erano tutte a conoscenza dell'imputato fin dalla fase successiva all'articolazione formale dell'accusa e da cui ha potuto ampiamente difendersi (sez. 6, n. 1657 del 12/11/2019, dep. 2020, Rv. 277587). 2.2. Alla luce di tale principio, puo' agevolmente essere affrontato anche il rilievo difensivo con cui ci si duole che la sentenza di appello avrebbe riconosciuto colpevole il sindaco quale ufficiale di governo ex articolo 54 TUEL, senza alcun riferimento a tale specifica funzione. Anche qui il motivo non coglie nel segno, perche', gia' in linea generale e astratta, laddove il capo di imputazione chiama in causa il ruolo di "sindaco", che include in se' diverse funzioni, da vertice dell'amministrazione comunale a ufficiale di governo, non puo' non ritenersi - in assenza di ulteriori specificazioni che ne delimitino anche la responsabilita' correlandola all'una piuttosto che all'altra funzione - che questo riferimento includa, per sua natura, anche la qualita' di ufficiale di governo, in quanto connessa ex lege a quella carica, ai sensi dell'articolo 54 T.U.E.L. D'altro canto, almeno per la condotta contestata dopo il 2012, il nucleo fondamentale dell'accusa e' rappresentato dalla mancata adozione di provvedimenti al configurarsi di quella particolare situazione di fatto, nota al (OMISSIS), da cui scaturiva l'obbligo giuridico di agire. Il riferimento e' - dunque - non solo al ruolo di "vertice dell'amministrazione comunale", ma anche a quello di "ufficiale di Governo", dovendosi interpretare il significato complessivo del capo di imputazione nel senso che l'imputato, quale Sindaco e ufficiale di Governo, pur a conoscenza di una situazione di pericolo ufficializzata in una nota della capitaneria e in una interpellanza comunale, non ha fatto uso di tutti i suoi poteri per farvi fronte. Inoltre, deve essere sottolineato che, nella specie, il tema della rilevanza del ruolo del Sindaco quale ufficiale di governo era gia' stato trattato nel giudizio di primo grado, in contraddittorio con l'imputato, come emerge chiaramente dalla sentenza, che da' conto di avere scrutinato tale profilo, cosicche' il tema non era estraneo alla difesa dell'imputato. Ne' e' rilevante che la fonte dell'obbligo giuridico (l'articolo 54 cit.) non sia stata esplicitamente richiamata nel capo di imputazione, ove si consideri che in tema di colpa per omissione non si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando, fermo restando il fatto storico contestato, consistente nell'omissione del comportamento dovuto, in sentenza sia stata individuata una diversa fonte della posizione di garanzia che non abbia comunque inciso in concreto sul diritto di difesa (sez. 4 n. 4622 del 15/12/2017, dep. 2018, rv. 271948); se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, e' consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro, Rv. 260161; Sez. 4, n. 19028 del 01/12/2016, dep. 2017, Casucci, Rv. 269601). Dunque, anche sotto tale profilo, non puo' dirsi consumata una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, non essendo intervenuta la condanna per un fatto non contestato e su cui non si e' instaurato contraddittorio nel corso del giudizio; qui, si e' avuta soltanto una diversa interpretazione - nei due gradi di merito - delle norme che vengono in rilievo, ma lo scrutinio si e' manifestato in relazione alla medesima situazione di fatto, ben nota all'imputato, che ha avuto ampio spazio difensivo nel giudizio. 3. E' infondato il secondo motivo di ricorso, che dubita della sussistenza dei presupposti per l'esercizio del potere extra ordinem ex articolo 54 del Testo Unico degli Enti locali, oltre che della stessa configurabilita' del delitto di omissione di atti di ufficio, difettando, nell'ottica difensiva, sia l'elemento oggettivo che quello soggettivo. 3.1. Con riguardo alla struttura del reato di cui all'articolo 328 c.p., comma 1, la giurisprudenza di legittimita' e' ferma nel ritenerlo reato a consumazione istantanea (Sez. 6, sent. n. 43903 del 13/07/2018, Mango, Rv. 274574; Sez. 6, sent. n. 27044 del 19/02/2008, Mascia, Rv. 240979; Sez. 6, sent. n. 35837 del 26/04/2007, Civisca, Rv. 237706; Sez. 6, sent. n. 12238 del 27/01/2004, PG in proc. Bruno ed altri, Rv. 228277), che puo' palesarsi sotto forma di rifiuto implicito ovvero di persistente inerzia omissiva (Sez. 6, sent. n. 47531 del 20/11/2012, Cambria, Rv. 254039; Sez. 6, n. 10051 del 20/11/2012, dep. 2013, Nole', Rv. 255717; Sez. 6, sent. n. 7766 del 09/12/ 2002, dep. 2003, PM in proc. Masi, Rv. 223955) a fronte di un'urgenza sostanziale (Sez. 4, sent. n. 17069 del 16/02/2012, Ranasinghe Arachchige Samudri e altri, Rv. 253067) o di una situazione che qualifichi l'atto omesso come dovuto (Sez. 6, n. 33857/14 cit.; Sez. 6, n. 13519 del 29/01/2009, Gardali e altri, Rv. 243684). Secondo il consolidato canone ermeneutico di questa Corte, il rifiuto di un atto d'ufficio si verifica, dunque, non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un'urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell'atto, in modo tale che l'inerzia del pubblico ufficiale assuma, per l'appunto, la valenza del consapevole rifiuto dell'atto medesimo (Sez. 6, n. 4995 del 07/01/2010 Rv. 246081). Piu' volte la giurisprudenza, anche recentemente, ha ribadito il principio che il delitto di cui all'articolo 328 c.p., comma 1 e' integrato ogni qualvolta si configuri una situazione di fatto che qualifichi l'atto omesso come dovuto (sez. 6, n. 1657 del 12/11/2019, dep. 2020, Rv. 277587), per cui la persistente inerzia a fronte di segnalazioni della necessita' di intervento (e va ricordato che, nella specie, vi erano l'ordinanza n. 93 del 2009 e la nota del 29/03/2012, che evidenziavano la situazione di pericolo e richiedevano interventi urgenti) e' idonea ad integrare il reato (cfr. Sez. 4, n. 17069 del 16/02/2012, Rv. 253067 - 01 in una fattispecie relativa all'omesso impedimento della viabilita', da parte del capo del Genio civile di un comune, su percorsi costituenti alveo naturale di due fiumi, omissione da cui derivava, a seguito di un forte piovasco, un'onda di piena che travolgeva le automobili in transito con il conseguente decesso dei passeggeri). Come e' stato precisato da Sez. 6, n. 33857 del 07/05/2014, Rv. 262076, il delitto di omissione di atti d'ufficio e' un reato di pericolo la cui previsione sanziona il rifiuto non gia' di un atto urgente, bensi' di un atto dovuto che deve essere compiuto senza ritardo, ossia con tempestivita', in modo da conseguire gli effetti che gli sono propri in relazione al bene oggetto di tutela. Invero, ai fini penalistici, che qui rilevano, il rifiuto deve essere "indebito", e questo vuoi dire che il rifiuto penalmente significativo non puo' riguardare un atto discrezionale, ma deve riferirsi ad un atto dovuto, imposto al pubblico funzionario da una norma imperativa immediatamente precettiva, di rango primario o addirittura di rango costituzionale, che imponga di provvedere per la tutela di specifici beni ritenuti meritevoli di tutela. 3.1.1. Posto, quindi, che la "doverosita'" dell'atto da compiere esclude dall'ambito di applicazione della norma gli atti rientranti nell'ambito della discrezionalita' amministrativa, siffatta situazione di doverosita' e' ravvisabile nel caso di specie, dal momento che esisteva un provvedimento a monte - indirizzato al Sindaco, in cui il pericolo era stato specificamente individuato con una indicazione dettagliata anche delle misure necessarie - e che, alla posizione di Sindaco, sono riconducibili anche le funzioni di ufficiale di Governo, con il conseguente potere - dovere di intervento ex articolo 54 T.U.E.L.. 3.2. Non coglie nel segno neppure la deduzione relativa all'elemento soggettivo, giacche', ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 328 c.p. e' sufficiente il dolo generico, in quanto l'avverbio "indebitamente", inserito nel testo della disposizione, qualificando l'omissione di atti di ufficio come reato ad antigiuridicita' cosiddetta espressa o speciale, connota l'elemento soggettivo, non nel senso di comportare l'esigenza di un dolo specifico, ma per sottolineare la necessita' della consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti (Sez. 6, n. 33565 del 15/06/2021 Rv. 281846 - 01 Conf. Sez. 6, n. 2274 del 15/11/1984, dep. 1985, Rv. 168219-01). Consapevolezza che, come si vedra', deve essere senza meno ravvisata in capo al (OMISSIS). 3.3. Occorre, ora, considerare che, ai fini della integrazione del reato di rifiuto e omissione di atti d'ufficio in relazione alla mancata adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente, che qui viene in rilievo, si afferma in giurisprudenza che e' necessario, da un lato, l'accertamento della sussistenza di una situazione di grave pericolo per l'incolumita' pubblica, cioe' dello specifico presupposto oggettivo suscettibile di far scattare l'obbligo di attivazione del pubblico funzionario istituzionalmente preposto alla funzione di controllo delle fonti di pericolo che possono incombere sulla sicurezza pubblica, identificato appunto nel sindaco; dall'altro lato, che sia effettivamente ravvisabile, da parte del pubblico ufficiale, un indebito e colpevole rifiuto di adottare l'atto del proprio ufficio che, per ragioni di sicurezza pubblica, deve essere compiuto senza ritardo (Sez. 6, n. 33857/2014 city. La giurisprudenza ha, altresi', chiarito che "nelle ordinanze contingibili ed urgenti ai sensi dell'articolo 54, comma 2 TUEL, rientra una tipologia di provvedimenti amministrativi aventi un contenuto non previamente determinabile e quindi di atti del tutto atipici ed eccezionali che presuppongono una situazione di estrema gravita' dipendente dai fattori piu' disparati i quali, pero', non possono ricondursi solo a fenomeni di dimensioni bibliche (quali terremoti, frane, valanghe, inondazioni, etc), bensi' anche ad eventi piu' modesti, ma comunque idonei a porre in pericolo l'incolumita' di un numero indeterminato di persone" (Sez. 4, n. 46400 del 20/11/2015 n. m.). 3.3.1 Con riferimento ai requisiti dell'intervento disciplinato dall'articolo 54 TUEL, la vicenda processuale in scrutinio impone di verificare, in primo luogo, se la incontestata situazione di pericolo per la pubblica incolumita' - preesistente alla tragica fatalita' della notte del (OMISSIS) - in cui versava l'area della banchina portuale di (OMISSIS), "connessa al fatto (tra l'altro) che la banchina medesima era lontana dal centro urbano, priva di illuminazione e priva di protezioni che impedissero al caduta accidentale in mare dei veicoli in circolazione", e che fu alla base delle rigide prescrizioni di cui all'ordinanza della Capitaneria di porto n. 93/2009, fosse nota all'imputato. La Corte di appello ha valorizzato, sotto tale profilo, plurimi indicatori fattuali: l'interrogatorio reso dallo stesso (OMISSIS), da cui emerge che egli, gia' nel 2009, quando era sindaco da tempo, fosse consapevole del deficit di sicurezza della banchina che aveva portato la Capitaneria di porto all'adozione della ordinanza n. 93/2009, tanto da avere continuato a segnalare la situazione fino all'aprile 2012, epoca in cui aveva promosso una Conferenza dei servizi tra le Autorita' coinvolte nella gestione dell'area; le note della Guardia Costiera del marzo 2012, che indicavano la presenza di una grave situazione di pericolo sulla banchina, dove non solo non erano state installate idonee protezioni per evitare la caduta in mare di uomini e mezzi, ma erano stati portati via anche i new jersey in plastica precedentemente installati; la percepibilita', da parte di chiunque, della situazione di pericolo, come evidenzia la segnalazione fatta sia alla Guardia Costiera che all'U.T.C. da (OMISSIS), padre di una delle vittime, quando, nel 2009, aveva avuto incarico dall'amministrazione comunale di eliminare il cancello che chiudeva al transito veicolare la banchina (OMISSIS), in esecuzione dell'ordinanza n. 93/2009; la circostanza che lo stesso (OMISSIS) si spostasse abitualmente tra (OMISSIS) attraversando la zona 2 della banchina (OMISSIS), e, dunque, fosse bene a conoscenza dello stato della banchina. "In definitiva, ben prima del tragico accadimento del (OMISSIS) il (OMISSIS) era consapevole che sulla zona 2 della banchina "(OMISSIS)" era presente una situazione di pericolo per la pubblica incolumita' - del tutto analoga a quella presente al momento dell'emanazione dell'ordinanza della capitaneria di Porto n. 93/2009 ed evidenziata nell'ordinanza stessa - che poteva concretizzarsi in qualsiasi momento (e per questo vi era urgenza di provvedere per ovviare alla situazione medesima) a causa dell'assenza di illuminazione e dell'assenza di dispositivi di protezione che vitassero la caduta accidentale i mare di persone e/o veicoli, nonche' era consapevole che nessun soggetto stesse prendendo provvedimenti - anche tampone - per evitare che quel pericolo si concretizzasse, come poi avvenuto quel fatale (OMISSIS)" (sentenza impugnata pg. 8). Da tutti tali elementi i giudici di merito hanno inferito, in maniera logica e plausibile, il convincimento della conoscenza, in capo al (OMISSIS), della situazione di pericolo in cui versava da tempo l'area in questione, e della necessita' e urgenza di mettere in atto interventi immediati, stante la gravita' della situazione per la incolumita' delle persone, rispetto alla quale e' stata riscontrata una prolungata inerzia del Sindaco, dopo l'iniziale attivazione rivelatasi, tuttavia, inidonea. 3.3.2. Posto, quindi, che la consapevolezza in capo al (OMISSIS), quale sindaco del tempo, della situazione di pericolo, quanto ai presupposti per l'intervento extra ordinem disciplinato dall'articolo 54 del T.U.E.L., viene motivatamente tratta dalle emergenze probatorie senza vizi logici, va evidenziato che, nella giurisprudenza di questa Corte (sez. 4, n. 58243 del 26/9/2018, Rv. 274950), si riconosce che il sindaco, in base agli articoli 50 e 54 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, e' titolare di una posizione di garanzia a tutela dell'incolumita' pubblica in quanto, pur essendo privo di poteri di concreta gestione, deve svolgere un ruolo di vigilanza e controllo sull'operato dei suoi dirigenti, e dispone di mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad impedire eventi dannosi nonche' del potere sostitutivo di intervento nelle situazioni contingibili e urgenti (conf. Sez. 4 n. 20050 del 12/11/2016; Sez. 4 n. 13775 del 16/02/2011 Rv. 250130). Va, poi, ricordato l'approdo delle Sezioni Unite civili, le quali hanno affermato che "il Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 54, comma 4, attribuisce al sindaco il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumita' pubblica e la sicurezza urbana. Queste possono essere adottate per fronteggiare situazioni impreviste e non altrimenti fronteggiabili con gli strumenti ordinari e presuppongono necessariamente situazioni, non tipizzate dalla legge, di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, avuto riguardo, soprattutto, all'impossibilita' di utilizzare i rimedi di carattere ordinario apprestati dall'ordinamento". (Sez. U -, n. 20680 del 09/08/2018 (Rv. 650273 - 02). In motivazione, l'autorevole Consesso di legittimita' ha precisato che (pg. 7) "Tali provvedimenti possono peraltro essere adottati dal sindaco solamente quando si tratti di affrontare situazioni di carattere eccezionale e impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumita', per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall'ordinamento giuridico: tali requisiti non ricorrono, di conseguenza, quando le p.a. possono adottare i rimedi di carattere ordinario (Cons. St. 20 febbraio 2012 n. 904)" ricordando come "le ordinanze sindacali, che non si collocano in uno schema normativo gia' tracciato dalla legge, devono essere basate su esigenze di intervento effettivamente contingibili e urgenti, e devono comunque essere proporzionate ai problemi rilevati nell'analisi della situazione di fatto (T.a.r. Lombardia 10 novembre 2011 n. 1553; Cons. St. 8 febbraio 2005 n. 323), e come "La giurisprudenza ha piu' volte precisato che il Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 54 ha determinato un allargamento delle ordinanze contingibili ed urgenti che possono essere emesse non solo per motivi di sicurezza pubblica, ma anche e soprattutto al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumita' dei cittadini, ritenendo perfettamente legittimo un intervento sindacale che ordini l'esecuzione di attivita' od opere che prevengano il degrado di un bene. In questo senso, gli stessi magistrati di Palazzo Spada hanno puntualizzato che l'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente attribuito al sindaco presuppone la necessita' di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale e imprevedibili (indipendentemente dal mero dato temporale, atteso che la situazione di pericolo, quale ragionevole probabilita' che l'evento dannoso accada, puo' protrarsi anche per un lungo periodo, senza cagionare il fatto temuto: cfr. Cons. St. 4 febbraio 1998 n. 125; in tal senso anche Cass. Sez. Un. 17 gennaio 2002 n. 490), cui non si potrebbe far fronte col ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (pg. 10). Dunque, la giurisprudenza ravvisa i presupposti per l'intervento di cui all'articolo 54 TUEL anche in una situazione meramente contingente e nota da tempo, idonea pero' a determinare un pericolo per l'incolumita' pubblica, ed ha anche chiarito, come si e' gia' ricordato, che nelle ordinanze contingibili ed urgenti ai sensi dell'articolo 54, comma 2 TUEL, rientra una tipologia di provvedimenti amministrativi aventi un contenuto non previamente determinabile e quindi di atti del tutto atipici ed eccezionali che presuppongono una situazione di estrema gravita' dipendente dai fattori piu' disparati i quali, pero', non possono ricondursi solo a fenomeni di dimensioni bibliche (quali terremoti, frane, valanghe, inondazioni, etc), bensi' anche ad eventi piu' modesti, ma comunque idonei a porre in pericolo l'incolumita' di un numero indeterminato di persone (Sez. 4, n. 46400 del 20/11/2015). Avuto riguardo al tenore delle norme che disciplinano le ordinanze contingibili e urgenti, e in particolare ai termini "gravi pericoli che minacciano l'incolumita' pubblica" ed "emergenza" (Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 54, comma 4), non puo' esservi dubbio che il sindaco sia tenuto ad emettere un provvedimento siffatto, allorche' sussista la necessita' di neutralizzare una eccezionale, imminente ed improcrastinabile situazione di pericolo per un pubblico interesse, non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento giuridico. Ed emerge chiara l'infondatezza della contestazione, proveniente anche dal ricorso del Ministero dell'Interno, che il Sindaco non avesse la qualita' di ufficiale di governo e non potesse agire ai sensi dell'articolo 54 TUEL (che e' la ragione per la quale e' stato ritenuto responsabile civilmente il Ministero), perche' non sussistevano i presupposti per agire ai sensi di tale disposizione, in particolare, la presenza di un fatto eccezionale e straordinario che comporti pericolo di danno imminente, al quale non si puo' fare fronte con gli strumenti ordinari. Invero, va considerato che, secondo l'interpretazione che ne hanno dato le Sezioni Unite civili di questa Corte, piu' avanti richiamate, l'urgenza si configura allorquando emerga la necessita' di intervenire con immediatezza e senza possibilita' di differimento dell'intervento, a causa di un effettivo e irreparabile pericolo per l'incolumita' pubblica, non altrimenti eliminabile, cosicche' puo' affermarsi, in sintesi, che l'urgenza e' rappresentata dall'impellenza di intervenire e non dall'imprevedibilita' dell'evento (T.A.R. Campania, Napoli, 5, 3 marzo 2015, n. 1367), valutazione questa rimessa alla discrezionalita' dell'Autorita' procedente. La contingibilita' e', invece, rappresentata dall'imprevedibilita' dell'evento dannoso da affrontare, che impedisce di ricorrere agli ordinari strumenti apprestati dall'ordinamento. La giurisprudenza ha inteso l'imprevedibilita' non in senso assoluto, ma in senso relativo, non rilevando l'accidentalita' in senso stretto dell'evento, quanto l'intensita' con cui lo stesso si manifesta e il suo livello di gravita'; quindi, anche in presenza di situazioni di pericolo note da tempo non e' inibito il ricorso al potere di ordinanza, se la necessita' di intervenire si manifesta successivamente e non sussista altro rimedio efficace per eliminare il danno o limitarne gli effetti. La gia' citata Sez. 4, n. 46400 del 20/11/2015, come si e' visto, ha precisato che il rifiuto di un atto d'ufficio si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un'urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell'atto, in modo tale che l'inerzia del pubblico ufficiale assuma, per l'appunto, la valenza del consapevole rifiuto dell'atto medesimo. Si puo' ritenere, quindi, che, nella specie, sussistessero le condizioni per l'adozione di un'ordinanza contingibile e urgente per fronteggiare nell'immediato, in attesa di apporre rimedi strutturali, una situazione di pericolo che si era aggravata a seguito della dispersione delle cautele adottate in un primo momento. E puo' affermarsi che l'inerzia prolungata del Sindaco di (OMISSIS) - sia quale vertice dell'amministrazione che come ufficiale di governo - integri l'omissione idonea alla configurazione del delitto di cui all'articolo 328 c.p.. 4. Per quanto finora gia' osservato, non ha, pertanto, alcun pregio la deduzione difensiva veicolata con il terzo motivo di ricorso nell'interesse del (OMISSIS), giacche' la Corte di appello ha tratto il convincimento della conoscenza piena da parte dell'imputato della situazione di pericolo - da cui originava il dovere giuridico di intervenire, come si e' gia' detto - da dati probatori legittimamente presenti nel compendio processuale, rispetto ai quali del tutto irrilevante si profila la circostanza che egli sia stato assolto in relazione a un segmento iniziale della condotta, per avere dato adempimento alle prescrizioni della ordinanza n. 93/2009: cio' che rileva nel presente scrutinio e' che la situazione di pericolo fosse chiara e nota a tutti gli interlocutori istituzionali coinvolti, e all'imputato, in particolare, fin dal 2009, nessuna sostanziale modifica dello stato dei luoghi essendo intervenuta fino all'agosto 2012, salva la allocazione dei new jersey in plastica, ben presto rimossi dal mare. In tal senso, deve essere interpretato il richiamo all'ordinanza del 2009 ed alla condotta fino a febbraio 2012, non quale incidentale sindacato sull'assoluzione pronunciata dal Tribunale con riguardo a un primo segmento della condotta, quanto per porre in luce il diverso comportamento del sindaco dinanzi al medesimo problema nei due ambiti temporali in questione, in cui l'ordinanza assume valenza di un mero "fatto" dimostrativo della conoscenza del problema fin da epoca antecedente al 2012. Non sono, dunque, ravvisabili le denunciate aporie sul punto. 5. Il quarto motivo e' manifestamente infondato perche' l'"errore" che viene invocato nel motivo (il fatto, cioe', che il ricorrente, pur consapevole della situazione di pericolo, non si fosse rappresentato la possibilita' di ricorrere all'articolo 54 TUEL, cosi' da escludere il dolo del reato) non e' un errore di fatto, ma, invece, un errore di diritto, irrilevante, dal momento che l'erronea valutazione o interpretazione di una norma extrapenale (in base alla quale l'agente ritenga insussistente un suo dovere funzionale) si risolve in un errore sulla legge penale, che non discrimina (Sez. 6, n. 1211 del 09/10/1972 (dep. 1973) Rv. 123164), non potendo avere efficacia scusante, al pari dell'errore sulla legge penale vera e propria. 5.1. Si distingue, infatti, in giurisprudenza, tra norme extrapenali non integratrici del precetto, ossia disposizioni destinate, in origine, a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiamate, neppure implicitamente, dalla norma penale, e norme extrapenali integratrici del precetto, che, essendo in esso incorporate, sono da considerarsi legge penale, per cui l'errore su di esse non scusa, ai sensi dell'articolo 5 c.p., salvo che si tratti di errore inevitabile, conformemente al dictum di Corte Cost. 24-3- 1988, n. 364. Queste ultime sono quelle leggi extrapenali integratrici, che concorrono, con la norma incriminatrice, alla definizione del singolo tipo di illecito, integrandone la descrizione legale, mediante l'aggiunta o la specificazione di elementi da intendere come essenziali; o che contribuiscono, in vario modo e in diversa misura, a determinare il contenuto del comando o del divieto (Cass., Sez. 5, del 01/07/1975, Sala, Rv. 132026); o che, anche se non richiamate espressamente da una norma penale, la integrano logicamente (Cass. Sez. 3, 30-6-1972, Lovatelli, Rv. 122205) o, infine, che vengono attratte nell'ambito di una norma penale, per effetto di un rinvio recettizio (Cass., Sez. 6, 11-12-1970, Funaro, Rv. 116579). E vi sono, invece, leggi extrapenali non integratrici, le quali non aggiungono o specificano nulla al tipo di illecito, non lo arricchiscono di alcun contenuto, non contribuiscono ad esprimere il senso del divieto. Soltanto l'errore che cade sulle norme non integratrici esclude il dolo, trattandosi di errore sul fatto, a norma dell'articolo 47 c.p., comma 3, (ex plurimis, Cass., Sez. 5, 20/02/2001, Martini; Sez. 5, 11/01/2000, Di Patti; Sez. 6, 18/11/1998, Benanti), non anche quello che cade su norme integratrici. Queste ultime, infatti, inserendosi nel precetto, ad integrazione della fattispecie criminosa, concorrono a formare l'obiettivita' giuridica del reato, con la conseguenza che l'errore che ricade su di esse non puo' avere efficacia scusante, al pari dell'errore sulla legge penale vera e propria (Cass., Sez. 4, del 30/10/2003, n. 14819 Rv. 227875). In quest'ottica, si e', in giurisprudenza, ritenuto che le disposizioni legislative che disciplinano l'operato e i doveri dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio hanno natura di norme extrapenali integratrici (Cass., Sez. 6, 18-11-1998, Benanti), onde l'errore su di esse non assume efficacia scriminante, risolvendosi in ignoranza di legge che, pur non avendo carattere penale, e' richiamata e recepita dalla legge penale e, in definitiva, in un errore sull'antigiuridicita' della condotta (Cass., Sez. 4, 20/4/1983, Bruno, Rv. 160995). Poiche', dunque, le leggi che stabiliscono i doveri dei pubblici ufficiali integrano il precetto della norma che prevede il reato di omissione di atti d'ufficio, alla loro erronea interpretazione non puo' essere applicata la disciplina dettata dall'articolo 47 c.p., comma 3, poiche' l'articolo 328 c.p. recepisce ogni violazione delle regole riguardanti l'attivita' dei singoli pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio (Cass., Sez. 6, 28/06/1989, Giordano, Rv. 181944). Non vi e' alcun dubbio, allora, che, tra le norme che disciplinano l'attivita' dei pubblici ufficiali, rientri il disposto dell'articolo 54 T.U.E.L. che costituisce, in capo al Sindaco, quale Ufficiale di Governo, il potere dovere di adottare "con atto motivato provvedimenti, contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumita' pubblica e la sicurezza urbana". L'ignoranza del contenuto precettivo della suddetta norma si risolve, cioe', in ignoranza della legge penale, alla quale non puo' in alcun modo annettersi efficacia esimente, non trattandosi certamente, in considerazione della chiarezza della norma e della qualificazione tecnico-professionale di un pubblico ufficiale, per di piu' con funzioni apicali, di una disposizione la cui ignoranza possa essere considerata inevitabile (Sez. 6, n. 25941 del 31/03/2015, Rv. 263808). 6. E' infondato anche il quinto motivo, che si risolve in una prospettazione del tutto congetturale. Le Sezioni Unite "Ronci", nell'esaminare in via generale la natura e l'ambito della responsabilita' prevista dall'articolo 586 c.p., dopo avere ricordato come, secondo unanime orientamento, morte o lesioni devono comunque costituire una conseguenza non voluta, e quindi non devono essere sorrette da alcun coefficiente di volonta', nemmeno nel grado minimo del dolo eventuale, giacche' in tal caso l'agente risponde anche dell'ulteriore delitto di omicidio volontario o di lesioni volontarie in concorso con il delitto inizialmente voluto (Sez. 1, 19.6.2002, Persechino; Sez. 1, 21.12.1993, Rodar, m. 197756; Sez. 1, 3.6.1993, Piga, m. 195270; Sez. 1, 11.10.1988, Scavo, m. 182196; Sez. 1, 13.10.1097, Lollo, m. 178194; Sez. 3, 13.11.1985, Salvo, m. 171945; Sez. 2, 6.11.1984, Frisina, m. 167810; Sez. 4, 20.12.1984, Boncristiano, m. 169186), nello scrutinare la natura e il criterio di imputazione della responsabilita' per la morte o le lesioni non volute ai sensi dell'articolo 586 c.p., hanno considerato che la Corte costituzionale ha esplicitamente affermato che si pone in contrasto con l'articolo 27 Cost. la previsione sia di una responsabilita' oggettiva pura o propria sia del principio qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu. Il principio invero, richiede, come requisito subiettivo minimo di imputazione, la colpa dell'agente in relazione a tutti gli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie, o quanto meno agli elementi piu' significativi di essa, ed impedisce di addebitare all'agente anche gli ulteriori eventi che a lui non sono rimproverabili. Questo perche' - continua la sentenza Ronci - "In definitiva, secondo la Corte costituzionale, non vi e' posto nel nostro ordinamento per una terza forma di responsabilita' colpevole, diversa da quella dolosa o colposa, e quindi la colpevolezza non potrebbe essere sostituita, a discrezione del legislatore, da altri elementi, quale il rischio da attivita' totalmente illecite. Ne consegue che l'unica interpretazione conforme al principio costituzionale di colpevolezza e' quella che richiede, anche nella fattispecie dell'articolo 586 c.p., una responsabilita' per colpa in concreto, ossia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilita' ed evitabilita', in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosita' peri beni della vita e dell'incolumita' personale, intrinseca alla consumazione del reato doloso di base". Ha poi precisato che "Ora, secondo l'opinione piu' diffusa, la colpa "normale" consiste nella realizzazione di un fatto non voluto, rimproverabile al soggetto per la violazione di una regola di diligenza (di prudenza, di imperizia), che discende da una valutazione positiva di prevedibilita' e di evitabilita' della verificazione dell'evento.... Tale valutazione, sempre secondo la tesi piu' diffusa, deve essere compiuta con un giudizio di prognosi postuma, collocandosi in una prospettiva ex ante, cioe' riferita al momento in cui e' avvenuto il fatto, da svolgersi in concreto, secondo il punto di vista di un omologo agente modello, ossia di un agente ideato mentalmente come coscienzioso ed avveduto che si trovi nella concreta situazione e nel concreto ruolo sociale dell'agente reale. Anche in ambito illecito, pertanto, occorre pur sempre che il fatto costitutivo del reato colposo sia una conseguenza in concreto prevedibile ed evitabile dell'inosservanza di una regola cautelare." (Sez. Un. Ronci in motivazione). Dunque, ai fini della imputazione della conseguenza ulteriore non voluta di un reato-base doloso, la colpa non puo' essere presunta in forza della sola violazione della legge incriminatrice del reato doloso. Occorre, invece, che l'agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma che incrimina il delitto base, e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali, richiedendosi una valutazione positiva di prevedibilita' ed evitabilita' in concreto dell'evento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tenendo peraltro conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto. Si dovra', pertanto, verificare se, dal punto di vista di un agente modello, nella situazione concreta, risultava prevedibile l'evento morte come conseguenza della condotta illecita tenuta dall'agente. 6.1. A tali coordinate ermeneutiche si e' conformata la Corte di appello. Nel compiere il giudizio controfattuale sull'idoneita' di una misura che il sindaco avrebbe dovuto adottare, secondo il criterio dell'"id quod plerumque accidit", i Giudici distrettuali hanno compiutamente individuato i comportamenti alternativi leciti che, se posti in essere, avrebbero scongiurato, con elevato grado di certezza, l'evento infausto (pg. 18), evento che ha costituito la concretizzazione del rischio che la condotta doverosa avrebbe dovuto evitare. Si legge in sentenza che "la norma violata dall'imputato con il reato presupposto - omettendo di adottare un'ordinanza contingibile e urgente per salvaguardare esigenze di pubblica incolumita' - aveva, nel caso di specie ed in concreto, proprio un'intrinseca natura cautelare volta ad impedire lo specifico evento (caduta accidentale di un'auto in mare con pregiudizio per i passeggeri) che poi purtroppo si e' concretizzato (anche) a causa della condotta omissiva dell'appellante"(pg. 18). E quanto l'evento (caduta accidentale in mare, di notte, di un'auto con i passeggeri ancora a bordo) fosse prevedibile e inevitabile, la Corte lo spiega bene: l'imputato era ben consapevole della assenza di illuminazione sulla banchina, della carenza di vigilanza e della mancanza di barriere volte ad evitare la caduta accidentale in mare di mezzi e persone, anche in virtu' dell'allarme emanato sia dalla Capitaneria di porto che dalla Guardia Costiera, provvedimenti e note conosciuti all'imputato, circa il pericolo derivante dalla fruizione della banchina in quelle peculiari condizioni di scarsissima sicurezza, in assenza di adeguati provvedimenti, specificamente paventando il rischio concreto di caduta accidentale in mare, come si e' poi verificato. In sintesi, annota la Corte di appello, "poiche' il (OMISSIS) era consapevole della pericolosita' dell'area in oggetto e poiche' aveva poteri che non ha usato idonei ad ovviare (in modo contingibile e urgente) alla medesima situazione di pericolo poi tragicamente concretizzatasi, sussiste anche una colpa in concreto a suo carico (negligenza)". 6.2. Non ha pregio neppure la prospettata interruzione del nesso causale in ragione della condotta imprudente e imperita delle due giovani vittime. Anche tale aspetto e' stato correttamente scrutinato dalla Corte di appello, efficacemente osservando come il pericolo di caduta accidentale in mare, indicato da piu' fonti, presupponesse, in qualche modo, un significativo apporto di imprudenza o imperizia da parte di qualcuno (di chi cade e di chi determina la caduta di altri), e considerando che, proprio perche' tutti gli attori della vicenda (OMISSIS) incluso) avevano ben chiara la esistenza di un pericolo concreto e la consapevolezza che si dovesse fare qualcosa per impedire la caduta accidentale in mare di mezzi e persone dalla banchina in questione, essi precedevano la possibilita' di una qualche condotta imprudente di qualche utente della sede stradale della banchina, altresi' sottolineando come l'imprudenza altrui sia di norma prevedibile, tanto piu' in un caso in cui le misure da adottare erano finalizzate proprio ad ovviare a prevedibili condotte imprudenti altrui. Ecco, quindi, che, in presenza di tali condizioni, la Corte di appello ha coerentemente concluso nel senso che "la condotta dei due giovani non puo' ritenersi assolutamente eccezionale e anomala, tanto da renderla imprevedibile ne' puo' seriamente sostenersi (nulla infatti depone in tal senso) che i due giovani avessero deliberatamente deciso in mare per autodeterminazione dolosa", giacche' "il triste evento verificatosi rientra comunque nel rischio che si voleva, poteva e doveva evitare", su di esso non incidendo il maggiore o minore coefficiente di colpa della vittime. 6.2.1. Invero, giova ricordare che, secondo costante orientamento giurisprudenziale, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalita' sono sia quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta dell'agente, sia quelle che, pur inserite nel processo causale ricollegato a tale condotta (attiva od omissiva), si connotino per l'assoluta anomalia ed eccezionalita', collocandosi al di fuori della normale, ragionevole, probabilita' (Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, Rv. 271846 - In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata, che aveva escluso l'interruzione del nesso causale tra la condotta colposa dell'imputato, consistita nell'aver spostato a motore spento un'autovettura in discesa senza freno a mano, e la morte della vittima, travolta dal veicolo, essendo prevedibile sia che il veicolo potesse andare ad urtare le persone presenti sulla sua traiettoria, sia che taluno potesse incautamente tentare di interromperne la marcia venendo travolto). Conformemente, Sez. 4, n. 43168 del 21/06/2013, Rv. 258085, in una fattispecie di omicidio colposo per l'annegamento di un bambino di eta' inferiore ai tre anni, addebitato al gestore di una piscina con acquascivolo che non aveva dotato la struttura di adeguata recinzione ne' di un efficiente servizio di sorveglianza, si e' ritenuto che non potessero essere qualificate come evenienze eccezionali e imprevedibili ne' la sottrazione del minore al controllo dei genitori, ne' il colpevole difetto di sorveglianza di questi ultimi). Insomma, ai fini dell'apprezzamento dell'eventuale interruzione del nesso causale tra condotta ed evento, il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento si riferisce non solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, ma anche a quello di un processo non completamente avulso dall'antecedente, e pero' caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta (Sez. 2, n. 17804 del 18/03/2015 Rv. 263581; conf. Sez. 4, n. 25689 del 03/05/2016, Rv. 267374). In sintesi, e' configurabile l'interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta, con la conseguenza che, in tema di rapporto di causalita', non puo' ritenersi causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento neppure il comportamento negligente di un soggetto che trovi la sua origine e spiegazione nella condotta colposa altrui (Sez. 4, n. 18800 del 13/04/2016 Rv. 267255). 6.2.2. E' di tutta evidenza, allora, che se l'effetto interruttivo del nesso causale puo' essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante e' chiamato a governare, questo e' cio' che non si e' verificato nel caso di specie, per le ragioni che si sono ampiamente esposte, e per come ha correttamente valutato la Corte territoriale, che ha escluso che la condotta imprudente e imperita delle due vittime - che avrebbe in ipotesi potuto evitare la progressione della serie causale innescata dalla condotta omissiva del (OMISSIS) - possa costituire causa sopravvenuta da sola sufficiente ad interrompere il rapporto condizionalistico tra la condotta di quest'ultimo e l'evento finale, sostenendo che il decesso dei due giovani ha costituito - per le modalita' in cui e' avvenuto - la concretizzazione proprio del pericolo determinato dalla condotta omissiva, e negando che i successivi accadimenti - in specie l'essersi messi alla guida di un'auto senza possedere la patente - abbiano generato un rischio inedito rispetto a quello originariamente determinato dall'imputato. Dunque, la sentenza impugnata ha congruamente ravvisato il nesso causale e dato atto della concretizzazione del rischio che la condotta doverosa avrebbe evitato, dal momento che la situazione di pericolo rappresentata negli anni era proprio quella collegata ad accessi indiscriminati alla banchina, cosicche' le misure da intraprendere (come fu gia' nel 2009-2010) non potevano che andare in quella direzione, che, del tutto logicamente, avrebbe impedito che potesse verificarsi la medesima situazione che si e' configurata nella specie, e cioe' che una persona potesse accedere liberamente alla banchina in auto, abbandonare il veicolo sul posto ed allontanarsi, cosi' come, quanto ai ragazzi, accedervi liberamente a piedi. La Corte di appello ha svolto un'indagine completa della fattispecie in esame, che l'ha portata, sulla base di un ragionamento inferenziale del tutto coerente con i richiamati principi e fondato sugli elementi di fatto evidenziati, a ravvisare la colpa in concreto dell'agente, in assenza di cause autonome interruttive del nesso causale, e a ritenere l'evento razionalmente prevedibile ed evitabile nella situazione concreta nella quale l'imputato si e' trovato ad agire. 7. Non sono fondati i ricorsi del responsabile civile - Ministero dell'Interno - e delle parti civili. 7.1. Va premessa la ammissibilita' del ricorso delle parti civili, ai sensi dell'articolo 576 c.p.p., esso avendo riguardo, in senso ampio, all'azione civile, laddove si consideri che la sentenza impugnata ha revocato in parte le statuizioni civili, pur confermando la responsabilita' dell'imputato. 7.2. Va, quindi, disattesa la doglianza con la quale le parti civili denunciano violazione dell'articolo 581 c.p.p., comma 1, invocando la formazione del giudicato della sentenza di primo grado in tema di responsabilita' civile solidale del Comune di (OMISSIS), dal momento che il giudizio di impugnazione si e' formato con riguardo sia alla responsabilita' penale dell'imputato, sia in relazione alla natura della responsabilita' civile, che, in quanto correlata alla peculiare posizione funzionale del Sindaco, la Corte di appello ha ritenuto di ravvisare in capo al (OMISSIS) esclusivamente nella sua qualita' di Ufficiale di Governo, conseguentemente escludendo la responsabilita' del Comune di (OMISSIS). E, invero, l'appello del Comune di (OMISSIS) venne dichiarato inammissibile dalla Corte di appello - non gia' con riguardo alla questione della responsabilita' civile dell'imputato - ma con esclusivo riferimento alla quantificazione della pena, aspetto in relazione al quale il Comune non poteva vantare piu' alcun interesse, una volta che la sentenza impugnata, ferma la responsabilita' dell'imputato, aveva, invece, escluso la responsabilita' dell'ente locale ai fini civilistici. Piu' che essersi formato il giudicato sulla responsabilita' civile del Comune di (OMISSIS) per mancanza di motivi specifici di appello, (essendovi una espressa statuizione sul punto della sentenza impugnata, proprio revocando le pronunce civili sul presupposto che il comune non possa considerarsi responsabile civile), come si e' gia' premesso, la questione appare ammissibile come oggetto di ricorso ad opera delle parti civili. 7.3. Con riferimento ai motivi con cui si contesta che il Sindaco avesse la qualita' di ufficiale di governo e potesse agire ai sensi dell'articolo 54 TUEL, ritenendosi insussistenti i presupposti per agire ai sensi di tale disposizione, e si ritiene viziata la motivazione della sentenza impugnata, si e' gia' detto al par.3 e ad esso conviene richiamarsi. 7.4. Con riguardo, invece, al profilo della responsabilita' civile (terzo motivo di entrambi i ricorsi), si osserva come da tempo la giurisprudenza civile abbia chiarito che il potere del Sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti ai fini di pubblico interesse costituisce manifestazione di prerogative statali, delle quali il sindaco e' partecipe nella veste di ufficiale di governo; ne consegue che dei danni derivanti ai privati dall'esercizio (o dal mancato esercizio) di tali poteri risponde lo Stato e non il Comune, anche se il sindaco si sia avvalso dell'opera di organi interni del comune, ed anche se il sindaco si sia avvalso per l'esecuzione materiale dell'opera di un'impresa all'uopo designata, del tutto estranea alla organizzazione dell'ente territoriale (Sez. 3, n. 13077 del 14/07/2004 (Rv. 574586), ancorche' nel provvedimento siano implicati interessi locali, poiche' il Sindaco agisce quale ufficiale di governo, sicche' dei danni derivanti dall'esercizio di tale potere risponde lo Stato (Sez. 1, n. 17715 del 06/08/2014 (Rv. 632526); conf. Sez. 1, n. 6293 del 16/03/2007 (Rv. 596088). 8. E' parzialmente fondata l'eccezione di prescrizione. In particolare, considerando le date di commissione dei due reati contestati: capo A) commesso fino al (OMISSIS); capo B) commesso in data (OMISSIS), e tenuto conto delle interruzioni che il corso della prescrizione ha subito sia durante il giudizio di primo grado, che nel processo dinanzi alla Corte di appello, pari a complessivi giorni 204, il reato di cui al capo A) risulta prescritto in data 02 luglio 2021. In particolare, devono essere considerati i seguenti periodi di sospensione: - dall'11/04/2917 al 27/06/2017, per rinvio dovuto all'astensione dei difensori (giorni 77); - dal 20/11/2018 al 22/01/2019, per rinvio dovuto all'astensione dei difensori (giorni 63); - dal 09/03/2020 all'11/05/2020 sospensione da Cvid-19 (giorni 64). 9.1. Diversamente, per quanto attiene al delitto di cui al capo B), il termine prescrizionale, in caso di morte di piu' persone, come nel caso di specie, e' quello di quindici anni (pari alla pena massima edittale comminata dall'articolo 589 c.p.p., u.c.), che, all'evidenza, non risulta ancora maturato. 10. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata agli effetti penali, relativamente al reato di omissione di atti di ufficio, sub A), perche' estinto per intervenuta prescrizione, con eliminazione della relativa pena, pari a mesi otto di reclusione. Nel resto, i ricorsi dell'imputato, delle parti civili e del Ministero dell'Interno devono essere tutti rigettati. Consegue al rigetto, ex lege, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, mentre l'imputato e il responsabile civile Ministero dell'Interno vanno altresi' condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel giudizio di legittimita' dalle parti civili, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, limitatamente al reato di cui al capo a), perche' il reato e' estinto per prescrizione, ed elimina la relativa pena di mesi otto di reclusione. Rigetta nel resto i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato e il responsabile civile Ministero dell'Interno alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro 6.000, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VIRGILIO Biagio - Primo Presidente f.f. Dott. TRAVAGLIONO Giacomo - Presidente di Sez. Dott. SESTINI Danilo - Consigliere Dott. FERRO Massimo - Consigliere Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. MANCINO Rossana - Consigliere Dott. NAZZICONE Loredana - Consigliere Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA Sul ricorso n. 9652-2021 proposto da: (OMISSIS) S.P.A., in persona del l.r.p.t., rappr. e dif. dall'avv. (OMISSIS) (OMISSIS), elettera dom. in (OMISSIS), come da procura in calce all'atto; - ricorrente - Contro MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, MINISTERO DELLA SALUTE, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI-DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE, in persona dei Ministri e Presidenti p.t., rappr. e dif. dall'Avvocatura generale dello Stato (OMISSIS) presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco p.t., rappr. e dif. dall'avv. (OMISSIS) (OMISSIS); -controricorrenti- COMMISSARIO DI GOVERNO delegato ex OO.O.C.M. 3849-2010 e 3891-2010, REGIONE CAMPANIA, CITTA' METROPOLITANA DI NAPOLI, AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTALE CAMPANIA, SOTTOSEGRETARIO DI STATO EX Decreto Legge n. 90/2008 CONV. IN L. 123-2008, COMMISSARIO AD ACTA PROVINCIA DI NAPOLI EX ART. 2 O.P.C.M. 16.7.2008, N. 3693; -intimati- per la cassazione della sentenza TSAP 11.11.2020, n. 119-2020; lette le memorie delle parti, gia' depositate per l'adunanza del 21.6.2022; vista l'ordinanza interlocutoria 23 giugno 2022, n. 20237-2022 delle Sezioni Unite; letta la ulteriore memoria della ricorrente (OMISSIS) s.p.a.; udita la relazione della causa svolta nella udienza pubblica del 10.1.2023 dal consigliere relatore Dott. Massimo Ferro. udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale Carmelo Sgroi, che ha concluso, conformemente a propria memoria, per il rigetto del ricorso; uditi i difensori delle parti, nelle persone degli avvocati (OMISSIS) per la ricorrente e (OMISSIS) dell'Avvocatura dello Stato, per i controricorrenti; FATTI DI CAUSA 1. (OMISSIS) S.P.A. impugna la sentenza TSAP 11.11.2020, n. 119 del 2020 che ne ha respinto la domanda di annullamento di: a) decreto n. 4557/QDV/DG/B del 6 maggio 2008 con cui il Ministero dell'Ambiente aveva adottato le determinazioni conclusive gia' fatte proprie il 26.3.2008 dalla conferenza di servizi e relative al sito di bonifica d'interesse nazionale ‘(OMISSIS)' ed in particolare ove si chiedeva alla societa' entro 10 giorni idonei interventi di messa in sicurezza d'emergenza (m.i.s.e.) delle falde acquifere contaminate, secondo la nota della Provincia di Napoli e sulla base di risultanze tratte da campioni del sito ‘(OMISSIS)'; b) la nota n. 28168/QdV/DI/VI-VII del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) con cui il 16.12.2008 si chiedeva alla societa' di attivare subito, con riguardo alla discarica, interventi di messa in sicurezza della falda con restituzione dell'esito entro 30 giorni; c) atto n. 31816 MATTM 9/22.12.2010 (e del Comm. Governo 2010/6270) con cui le si ingiungevano misure di prevenzione, messa in sicurezza e bonifica dei suoli e della falda delle aree del perimetro di (OMISSIS) entro 20 giorni, a pena di interventi sostitutivi in danno ex Decreto Legislativo n. 152 del 2006 con iscrizione di onere reale sull'immobile e l'accertamento del danno ambientale; 2. a tenore della sentenza del TSAP n. 119-2020: a) a seguito di gara per l'affidamento del servizio di smaltimento con impianto di produzione di combustibile derivato da rifiuti (CDR) e di altro dedicato alla produzione con CDR di energia elettrica per la provincia di Napoli, il Commissario governativo delegato dal Min. Interno aggiudico' il servizio ad un'ATI, con capogruppo (OMISSIS) s.p.a. (con ordinanza 20.3.2000, n. 54), venne concluso il contratto il successivo 7 giugno 2000 e, con autorizzazione commissariale, la societa' (OMISSIS) s.p.a. costrui' nel 2001 con gestione fino al 2003 la discarica per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani (RSU), nel Comune di (OMISSIS), alla (OMISSIS), sito di stoccaggio dei rifiuti raccolti; b) da accertamenti nel 2003-2004 dell'ARPA regionale condotti su uno dei pozzetti (n. 3) approntati per l'ispezione dello stato della falda acquifera a valle emersero il superamento dei valori-limite di plurime sostanze inquinanti e alte concentrazioni nocive, con riferimento all'invaso, contaminato da RSU e rifiuti anche speciali stoccati in superficie e peggioramento dei fattori, nel tempo, anche dei rilievi di pozzetto a monte (n. 1); c) i contratti stipulati dalla struttura commissariale, ai sensi del Decreto Legge 30 novembre 2005, n. 245 articolo 1, (conv. nella l. 27.1.2006, n. 21), vennero risolti, con mantenimento provvisorio delle imprese affidatarie del servizio fino alla consegna degli impianti ai nuovi gestori; d) a seguito dell'accertamento di ulteriori sforamenti dei valori consentiti in acqua di falda (CSC, concentrazioni soglia di contaminazione), la provincia di Napoli il 13.3.2008 chiese a (OMISSIS) le misure di prevenzione, contestate dalla societa', finche' il MATTM ne dispose l'approntamento, con prescrizione di messa in sicurezza di emergenza (m.i.s.e.), per il citato sito di (OMISSIS); e) (OMISSIS) impugno' avanti al TAR Lazio (con primo ricorso R.G. 7434-2008) la citata statuizione invocando vizi procedurali (omesso avvio del procedimento con partecipazione, in difetto di urgenza qualificata), l'estraneita' alla vicenda dell'applicato Decreto Legislativo n. 3 aprile 2006, n. 152, articolo 242 e la erroneita' delle misure assunte, la violazione anche istruttoria delle norme del citato Decreto Legislativo n. 152 del 2006, l'estraneita' del titolo ad ottemperare, essendo (OMISSIS) la proprietaria non responsabile del danno ambientale, l'omessa dovuta identificazione del responsabile della contaminazione (da comunicarsi anche al proprietario non responsabile), l'estraneita' ad ogni responsabilita' dovendo gli eventi ricondursi a fenomeni d'inquinamento non repentini ma diffusi in zona, l'assenza di emergenza ex articolo 240 comma 1 lettera m) e t) Decreto Legislativo n. 152 del 2006; f) (OMISSIS) impugno' poi, con motivi aggiunti, la ordinanza MATTM del 16.12.2008 con cui era prescritta la messa in sicurezza della falda e la trasmissione dei ‘risultati di caratterizzazione' dell'area, invocando: i) che la precedente conferenza di servizi non l'aveva previsto nel piano, avendo il MATTM confuso la (OMISSIS) con altro sito gestito da (OMISSIS) nel territorio del comune di (OMISSIS); ii) ancora il vizio di avvio del procedimento, il difetto d'istruttoria, l'omessa identificazione del responsabile, l'omesso esame della documentazione della ricorrente a difesa, l'assenza di ogni responsabilita' e comunque dell'urgenza; g) il rigetto da parte del TAR della domanda cautelare, veniva poi riformato dal Consiglio di Stato, che con ordinanza n. 3223 del 2009 disponeva il riesame delle cause di inquinamento e del soggetto obbligato alla decontaminazione, mentre un nuovo ordine congiunto di MATTM e commissario di governo del 9.12.2010 ingiungeva a (OMISSIS) di provvedere entro 20 giorni, a pena di esecuzione in danno ed iscrizione di onere reale sul terreno, provvedimento parimenti impugnato ancora in G.A. con altro atto avanti allo stesso TAR, prospettando: i) il limite del giudicato cautelare e il difetto di motivazione sugli atti inadempiuti; ii) la violazione della norma sulla custodia ex articolo 2051 c.c. non avendo piu' (OMISSIS) la disponibilita' dell'area e l'insussistenza di ogni responsabilita' aquiliana ex articoli 2043, 2050 e 2051 c.c., non essendo (OMISSIS) ormai ne' titolare ne' detentrice del sito; iii) la mancanza di inadempimento colpevole e di ogni presupposto, inclusa l'urgenza; iv) l'omessa identificazione del responsabile; h) in prosieguo, (OMISSIS) impugno' con un terzo atto anche una nuova relazione depositata dal MATTM su ordine del TAR, protestando - tra l'altro - l'erroneo utilizzo per relationem di documenti acquisiti in processo penale, il difetto di contraddittorio e di autonoma valutazione delle P.A., la compresenza in fatto di altri e risalenti fattori inquinanti; i) il TAR alfine declino' la giurisdizione con sentenza 26.6.2012, n. 5831, in favore del TSAP, avanti a cui la causa e' stata riassunta; 3. la sentenza ha cosi' ritenuto: a) il difetto di legittimazione passiva di MISE e Min. Salute; b) la precisazione che oggetto del giudizio riassunto era l'impugnativa del decreto MATTM 4557/QDV/DG/B del 6 maggio 2008, che approvava le prescrizioni di cui al verbale della conferenza di servizi decisoria relativa al sito ‘(OMISSIS) ed (OMISSIS)' del 28 marzo precedente, inclusi i piani di caratterizzazione trasmessi dalla stessa (OMISSIS), provvedimento ed atti contestati avanti al TAR Lazio con il ricorso 7434-2008 e come atto per motivi aggiunti ai ricorsi RG 10397/2007 e 10398/2007, a loro volta (impugnazioni) appartenenti ad un separato contenzioso, relativo ai tre siti gestiti dalla ricorrente (discarica (OMISSIS), discarica (OMISSIS) e impianto produzione combustibili da CDR (OMISSIS)) con esito favorevole, avendo il Consiglio di Stato (pronuncia VI Sezione 29 agosto 2018, n. 5076) escluso ogni responsabilita' di (OMISSIS) e potendo invece la P.A. ricorrere ad altri metodologie indiziarie per individuare il probabile autore dell'inquinamento, cui connettere piano di caratterizzazione e attuazione; c) (OMISSIS) aveva peraltro, benche' non obbligata, volontariamente effettuato il piano di caratterizzazione dell'area di discarica, sia pur cautelativamente e senza acquiescenza ai provvedimenti impugnati avanti al G.A.; d) con il ricorso principale ed i suoi motivi aggiunti, (OMISSIS) professa l'assenza di motivazione negli atti circa la contaminazione in falda e le attivita' d'impianto quando avviate dalla societa', condividendo il TSAP le conclusioni del Consiglio di Stato pur rese su fattispecie sostanziale identica, circa il difetto di una ‘seria dimostrazione che il processo d'inquinamento dei terreni sia iniziato con l'insediamento in loco di (OMISSIS) s.p.a.'; e) tuttavia, anche sul proprietario o detentore qualificato di un sito grava l'onere di m.i.s.e., nel contesto di prevenzione e riparazione del danno ambientale, con i limiti del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 240 comma 1 lettera l) e dunque senza finalita' sanzionatoria o ripristinatoria, cosi' prescindendo dall'accertamento di dolo o colpa ma come misura di precauzione, conformemente al principio ‘chi inquina paga' del diritto UE che, in tema, neppure richiede l'elemento soggettivo, ma solo esige la materiale causazione del danno o del pericolo ambientale; f) la conclusione, secondo la ratio della direttiva 2004/35/CE, e' una linea guida di responsabilita' anche oggettiva (pur se non di posizione), con il richiamo al principio di ragionevole proporzionalita', per tutte le ipotesi in cui, come nel caso del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articoli 242 comma 2 e 244 comma 1, l'ordinamento non faccia riferimento a dolo o colpa, nonche' l'applicabilita' alla fase prescrittiva e di individuazione del soggetto, secondo il criterio della viciniorita' qualificata al bene colpito; g) nella vicenda, ben dunque poteva (OMISSIS), grazie ai pozzetti-spia in situ e la sua capacita' di gestione e mitigazione dell'inquinamento, efficacemente intervenire in via cautelare ponendo in sicurezza l'impianto, costituendo la stessa attivita' di caratterizzazione spontanea un anticipo dell'apporto collaborativo tra privato e P.A. nella gestione della crisi ambientale; h) gli atti impugnati, a propria volta, prescindevano da un accertamento di dolo o colpa di (OMISSIS), cosi' come dall'utilizzo della perizia in parallelo processo penale a carico, avendo la conferenza di servizi approvato il piano di caratterizzazione di (OMISSIS) e confermato l'urgenza di provvedere, con le prescrizioni impartite e il superamento dell'esigenza di avvio del procedimento; i) allo stesso esito occorre giungere con riguardo all'impugnata nota ministeriale 28168/2008, la quale, sull'inerzia di (OMISSIS), non le attribui' una responsabilita' causativa dell'inquinamento, bensi' l'applicabilita' nel caso dei poteri sostitutivi ministeriali, secondo il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 252 comma 5 finalizzato all'agire tempestivo di soggetto e P.A. prossimi alla contaminazione, senza mutare i piani della responsabilita', nemmeno in senso oggettivo e senza impedimento, nella circostanza e per (OMISSIS), di far constatare i dati, confutando quelli di (OMISSIS) o della Provincia; l) nessuna violazione del giudicato cautelare sussisteva anche quanto alla nota congiunta 31816 e prot. 6270 del 2010 di MATTM e commissario di governo delegato con l'invito e diffida a provvedere alla m.i.s.e., stante l'inerzia di (OMISSIS) e la "evidente probabilita' oggettiva della contaminazione dell'acqua di falda", poiche' il Consiglio di Stato aveva disposto la verifica delle cause dell'inquinamento e del soggetto obbligato alla decontaminazione, mentre la diffida volgeva ad accertare gli elementi inquinanti esistenti nel sito della (OMISSIS), oggetto di intestazione proprietaria e titolarita' dello smaltimento dei rifiuti, dunque e tra l'altro anche in custodia; m) quanto, infine, all'avversato incombente istruttorio statuito verso le P.A. con ordinanza 1260 del 2011, ne era chiara la portata fin dalla conferenza di servizi del 28.3.2008, cio' giustificando ogni motivazione per relationem degli atti stessi, tanto piu' che non risultavano preclusioni ad accedere al parallelo processo penale per prelevarvi, da parte di (OMISSIS), quanto serviva alla difesa e che il perito della Procura della Repubblica non aveva proceduto a nuovo esame dell'acqua di falda, ma solo elaborato un documento, sulle analisi di (OMISSIS) 2003-2005 e poi del 2010, dati noti a (OMISSIS), mentre il superamento dei valori-soglia era stato condotto da (OMISSIS), ma su (OMISSIS) ricorrevano solo i presupposti per la caratterizzazione d'urgenza ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 240 e non l'accertamento della responsabilita' della ricorrente; 4. (OMISSIS) ricorre con nove motivi per la cassazione della sentenza; resistono con controricorso il Comune di (OMISSIS), che chiede la declaratoria di inammissibilita' ovvero la reiezione del ricorso e MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, MINISTERO DELLA SALUTE, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI-DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE che ne chiedono la inammissibilita' (per difetto della esposizione di motivi di giurisdizione), la dichiarazione di difetto di legittimazione passiva di MISE e Min. Salute, comunque la reiezione; 5. all'esito dell'adunanza camerale del 21 giugno 1022, queste Sezioni Unite, con ordinanza interlocutoria n. 20237 del 23 giugno 2022, hanno rinviato la causa a nuovo ruolo - per la trattazione in pubblica udienza - involgendo la contestazione nella vicenda del principio ‘chi inquina paga' di cui alla Direttiva 2004/35/CE e comunque di ogni responsabilita' ambientale, anche a titolo oggettivo o prescindendo da una condotta causativa del danno, in capo al proprietario/gestore richiesto di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza, in difetto della individuazione del responsabile della potenziale contaminazione; 6. il Procuratore Generale, come anticipato nelle conclusioni scritte, ha chiesto il rigetto del ricorso di (OMISSIS) ritenendo in principalita' che, sul tema e per il principio di sussidiarieta' tra i due livelli, il vuoto di spazio regolatorio proprio del diritto Europeo possa essere colmato dal diritto nazionale, in coerenza con il Trattato e senza conflitti con la direttiva 2004/35/CE. RAGIONI DELLA DECISIONE Considerato che: 1. con i primi due motivi s'invoca una pluralita' di violazioni del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (articoli 240, 242, 245, 252), oltre al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articoli 17, 15 DM 471-1999, contestando per un verso l'applicazione alla vicenda del principio ‘chi inquina paga' e dunque ogni responsabilita' in capo al proprietario/gestore di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza (m.i.s.e.) e, dall'altro, l'erronea mancata individuazione del responsabile della potenziale contaminazione; 2. con il terzo e quarto motivo si deduce la violazione degli articoli 2050 e 2051 c.c. e 240 e s. codice ambiente per errata applicazione delle norme sulla responsabilita' da custodia o da posizione, essendo la seconda disciplina speciale rispetto a quella civilistica, ne' sussistendo alcuna presunzione di responsabilita'; 3. con il quinto motivo si invoca l'omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, avendo (OMISSIS) lasciato il sito due anni prima della diffida congiunta MATT-commissario governativo del 2010; 4. con il sesto e settimo motivo si denuncia la sentenza per omessa comunicazione ex l. n. 241 del 1990, articolo 7 dell'avvio del procedimento culminato nell'imposizione di m.i.s.e., carenza d'istruttoria con il Ministero - MISE e difetto di motivazione, errore nell'individuazione del sito e confusione tra soggetti interessati e proprietario; 5. con l'ottavo motivo s'invoca la violazione dell'articolo 2697 c.c., non avendo il TSAP valorizzato la consegna da parte di (OMISSIS) degli impianti ai commissari ad acta, circostanza desumibile da quanto prodotto; 6. con il nono motivo si deduce la violazione della l. n. 241 del 1990, articoli 21-septies, 242 codice ambiente, 133 c.p.a. e la elusione del giudicato, costituito dalla pronuncia del Consiglio di Stato che aveva con l'ordinanza n. 3223 del 2009 ordinato alla P.A. di verificare le cause dell'inquinamento e cosi' accertarne il responsabile; 7. in via preliminare, va dato atto che il difetto di legittimazione passiva di MISE e Min. Salute, pronunciato dal TSAP (pag.10) non appare specificamente impugnato da (OMISSIS), cio' rendendo superflua, per difetto d'interesse, l'eccezione reiterata in controricorso dagli enti, nella unitaria costituzione; 8. premettono inoltre queste Sezioni Unite che il ricorso va esaminato, in parziale contrarieta' rispetto all'eccezione di pregiudiziale inammissibilita' complessiva formulata nell'unitaria difesa dell'Avvocatura dello Stato, secondo il criterio per cui e' vero che "l'ambito del sindacato del Tribunale superiore delle acque pubbliche, qualora sia chiamato a pronunciarsi in unico grado sulla legittimita' dei provvedimenti amministrativi impugnati, e' limitato all'accertamento dei vizi possibili dello svolgimento della funzione pubblica, compresi quelli denotati dalle figure sintomatiche dell'eccesso di potere; esso attiene quindi alla verifica della ragionevolezza e proporzionalita' della scelta rispetto al fine e non si estende alle ragioni di merito, dovendosi arrestare dinanzi non solo alle ipotesi di scelte equivalenti ma anche a quelle meno attendibili, purche' congruenti con il fine da raggiungere e con le esigenze da governare" (Cass. s.u. 11291-2021); e pur tuttavia, con riguardo alle decisioni rese, in sede di giurisdizione amministrativa, dal TSAP nelle materie di cui all'articolo 143 del Regio Decreto n. 1775 del 1933 "il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione e' esperibile, oltre che per i vizi indicati dall'articolo 201 del citato regio decreto (incompetenza ed eccesso di potere), per ogni violazione di legge, sostanziale e processuale, e non per soli motivi inerenti alla giurisdizione, essendo tale limitazione operante, a norma della Cost., articolo 111 unicamente per le pronunce del Consiglio di Stato e della Corte dei conti" (Cass. s.u. 7833-2020, 2155-2021, 35008-2022); 9. i primi due motivi, afferenti nel loro insieme alla piu' corretta individuazione degli strumenti di diritto pubblico diretti alla protezione ambientale, sono fondati; e' in primo luogo non controverso, secondo l'accertamento del TSAP, che in capo a (OMISSIS), come deciso dal giudice amministrativo in controversia analoga (Consiglio di Stato n. 5076 del 2018, per fattispecie praticamente identica, pag.12), non sia intervenuta la dimostrazione, ad opera delle competenti P.A., di alcuna correlazione causale tra l'attivita' svolta in situ e - per via di percolazione dei rifiuti trattati - la determinazione contaminativa del sottosuolo in punto di falda acquifera; e' piu' chiara invece, in secondo luogo, l'opzione interpretativa seguita dal TSAP assumendo le misure di messa in sicurezza d'emergenza come prescrizioni del diritto domestico rientranti tra quelle cautelari, cioe' in un contesto di prevenzione e riparazione anticipatoria del danno ambientale che ne ha giustificato, in sentenza, la ascrivibilita' anche a chi - come (OMISSIS) - non era ne' imputabile colpevolmente dell'azione inquinante, ne' in provata assunzione di condotta causalmente determinativa dell'inquinamento stesso; il titolo che allora, in terzo luogo, ha giustificato per il TSAP la legittimita' delle citate prescrizioni, pur nel formale distanziamento dalla responsabilita' da posizione, e' consistito in una peculiare relazione qualificata con il sito (da cui possono scaturire i danni all'ambiente, pag.13), operando decisivamente la proprieta' o la detenzione qualificata; infine, in quarto luogo, tale lettura di responsabilita' oggettiva e' stata ritenuta, nella pronuncia, adeguata alla ragionevole proporzionalita' discendente dalla Direttiva 2004/35/CE, secondo un criterio-guida rivolto alla legislazione nazionale pur non espressa ne' quanto alle prescrizioni ne' circa il soggetto destinatario delle stesse; 10. la seconda asserzione, nel richiamo ad un indirizzo interpretativo stabile in materia, denuncia in realta' un riferimento solo parziale e comunque non condivisibile, tenuto conto del formante giurisprudenziale che, progressivamente ed invece, si e' venuto a sedimentare anche in senso contrario proprio nel dialogo fra la giurisprudenza nazionale, non solo amministrativa e quella Europea attorno al principio chi inquina paga; per come il diritto domestico risulta intermediato dai precetti unionali (in primo luogo la Direttiva 2044/335/CE) non e' infatti possibile rinvenire nello stesso codice dell'ambiente alcun obbligo diretto ed esplicito del proprietario, ove non sia autore della condotta contaminante, ad adottare interventi di messa in sicurezza di emergenza, ne' essi possono transitare tra le misure di precauzione o special-preventive a prescindere dall'accertamento della responsabilita' e finendo cosi' con il mutarsi, in capo al descritto soggetto, in concorrente e sostanziale obbligo di provvedere alla bonifica dell'area interessata; 11. la disciplina multilivello in tema di prevenzione e riparazione del danno ambientale procede invero, con accelerazioni adeguatrici non sempre progressive, dall'applicazione interna - oltre che dell'obiettivo-valore dello sviluppo sostenibile, basato anche su tutela e miglioramento della qualita' dell'ambiente, cosi' l'articolo 3 comma 3 Trattato UE - di due principi gia' presenti nel Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (ora articolo 191 TFUE) per cui la politica dell'Unione contribuisce a perseguire, tra gli altri, salvaguardia, tutela e miglioramento della qualita' dell'ambiente, protezione della salute umana, utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali (comma 1), cosi' mirando a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversita' delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione e fondandosi sui principi della precauzione e dell'azione preventiva... della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonche' sul principio "chi inquina paga" (comma 2); la conseguente Direttiva 21 aprile 2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio (2004/35/CE) si e' proposta di far applicare alle legislazioni nazionali la prevenzione e la riparazione del danno ambientale secondo il ripetuto principio "chi inquina paga" (articoli 1 e 7, All. II), coerentemente con lo sviluppo sostenibile, sancendo che l'operatore la cui attivita' ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sara' considerato finanziariamente responsabile in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale (cons. 2), dunque privilegiando nettamente l'obiettivo della eliminazione in natura del danno ambientale rispetto alla prospettiva risarcitoria (per equivalente) e fissando una funzionalita' altrettanto chiaramente imperniata sulla rilevanza anche giuridica delle attivita' professionali che presentano un rischio per la salute umana o l'ambiente (cons. 8); ne deriva cosi' che e' l'operatore che provoca un danno ambientale o e' all'origine di una minaccia imminente di tale danno a dover di massima sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione, mentre il costo dell'intervento di supplenza dell'autorita' competente andrebbe posto a carico dell'operatore, includendo il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente (cons. 18 e secondo la definizione dell'articolo 2 comma 16); a sua volta, e' netta la definizione dell'operatore (articolo 2 comma 6), quale soggetto che esercita o controlla un'attivita' professionale o al quale sia delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attivita'; 12. imporre al soggetto inquinatore l'obbligo di riparare il danno o, in alternativa, quello di tenere indenne la comunita' territoriale che l'abbia evitato o rimosso, significa pertanto addossare - non in chiave etica ma di efficacia, come rilevato nell'analisi economica di tale sistema - le esternalita' negative (conseguenti alla produzione o al commercio di beni e servizi) a carico del soggetto cui sia riferibile l'attivita', evitando alterazioni di mercato (per qualita' dei prodotti e livelli di concorrenza), senza oneri per la collettivita' ovvero costi assunti in via definitiva dall'ente pubblico; viene cosi' scongiurato ogni scenario di alternativa monetizzazione dell'inquinamento, disincentivato dallo scaricarsi sui soli prezzi, senza altri interventi ed invece declinandosi il principio riassuntivo ‘chi inquina paga' nella riparazione piu' diretta del danno ambientale (nei contesti di acque, terreno e biodiversita', i soli dell'articolo 2 Direttiva), ad opera dell'autore (operatore in attivita' classificata pericolosa o terzo imputabile ad altro titolo) o, in sua vece e con recupero dei costi, a cura dell'ente pubblico; 13. il criterio d'imputazione della responsabilita' proprio della Direttiva e' invero ricavabile per un verso dalla sua valorizzazione di tipo oggettivo, la piu' efficace a tutela dell'ambiente e tuttavia con la possibilita', permessa agli Stati membri, di mediare le esigenze dello sviluppo economico, costruendo modelli di responsabilita' mista, come forme eccezionali di esonero se il danno e' riconducibile ad una terza fonte e nonostante ogni misura di sicurezza o per effetto di un ordine dell'autorita' (articolo 8 comma 3); parimenti, rileva il principio della colpa del soggetto agente, come previsto dall'articolo 8, comma 4 lettera a) e b), per il quale l'operatore puo' essere escluso dal sostenere i costi delle azioni di riparazione assunte secondo la Direttiva se provi che non gli sia attribuibile un comportamento doloso o colposo; per altro verso, e pertanto, ai sensi dell'articolo 3 e per quanto qui d'interesse, la mancata elencazione di un'attivita' professionale tra quelle pericolose determina che il danno o la sua minaccia implichino una responsabilita' solo ai sensi di un preciso criterio d'imputazione psicologico della relativa condotta, nell'ulteriore presupposto di una prova del nesso causale tra attivita' svolta dall'operatore, come in premessa definito dalla Direttiva e percio' individuabile e danno ambientale; 14. il testo del Decreto Legislativo n. 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell'ambiente), anche a seguito di due procedure d'infrazione comunitaria (comunicazione del 31.1.2008 e parere del 26.1.2012) volte a superare il rilievo interno ancora proprio del rimedio della riparazione pecuniaria e le ambiguita' sulla responsabilita' colposa, ha dunque previsto, in pressoche' adesivo allineamento alla citata direttiva, le reazioni ordinamentali al danno ambientale come effettivo ripristino (riparazione primaria) o, a seguire, riparazione complementare e compensativa conformemente ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonche' al principio "chi inquina paga" (articolo 3ter); la stessa Corte di cassazione se ne e' occupata (nelle pronunce 9012 e 16806 del 2015) innanzitutto chiarendo detti criteri risarcitori; cosi', la riparazione primaria, ha lo scopo di riportare le risorse e/o i servizi naturali danneggiati alle condizioni originarie; quella complementare, ove essi non tornino alle condizioni originarie, tende a compensare il mancato ripristino completo delle risorse e/o dei servizi naturali danneggiati; la riparazione compensativa pareggia la perdita temporanea di risorse dalla data di verificazione del danno a quella in cui la riparazione primaria non abbia prodotto un effetto completo; ma la definitiva armonizzazione della disciplina italiana rispetto a quella UE ha reso esplicito il conseguente principio per cui "non residua alcun danno ambientale economicamente quantificabile e quindi risarcibile - ne' in forma specifica, ne' a maggior ragione per equivalente - ogniqualvolta, avutasi la riduzione al pristino stato, non persista la necessita' di ulteriori misure sul territorio reso oggetto dell'intervento inquinante o danneggiante, soltanto il costo (ovvero il rimborso) delle quali potra' essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti: misure che vanno ora tutte verificate alla stregua della nuova normativa", con l'importante applicazione officiosa e retroattiva ai giudizi pendenti per fatti anteriori proprio della onnicomprensivita' del nuovo criterio riparatore a superamento di quello per equivalente (conf. Cass. 14935/2016; cosi' anche Cass. 8662-2017 e Cass. 5705-2013 sui criteri di liquidazione del danno); 15. per l'articolo 311 cod. amb. viene dunque fissata la responsabilita' oggettiva di chi gerisce specifiche attivita' professionali elencate e quella imputabile e soggettiva (per colpa o dolo) in capo a chiunque altro cagioni un danno ambientale (comma 2); l'azione di risarcimento del danno ambientale, inteso come bene pubblico di carattere unitario, costituente autonomo diritto fondamentale, diverso dalla salute, di rilievo costituzionale, oggetto di tutela da parte del giudice ordinario (Corte costituzionale 210 del 1987; 233 del 2009; 85 del 2013) diviene cosi' un'azione di reintegrazione in forma specifica, di competenza esclusiva del Ministero dell'ambiente; a sua volta, l'articolo 298bis distingue, nell'applicazione del codice, danno ambientale o minaccia imminente risalenti ad una delle attivita' professionali (dell'all. n. 5 della Parte Sesta, che include la gestione dei rifiuti) ovvero ad un'attivita' diversa, per la seconda richiedendo il caso di comportamento doloso o colposo (comma 1 lett.b); per "operatore", poi, l'articolo 302 comma 4, intende qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un'attivita' professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attivita', compresi il titolare del permesso o dell'autorizzazione a svolgere detta attivita'; in adesione testuale al dettato della Direttiva, l'articolo 308 esclude a carico dell'operatore i costi delle azioni di precauzione, prevenzione e ripristino adottate conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta se egli puo' provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno: a) e' stato causato da un terzo e si e' verificato nonostante l'esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee; b) e' conseguenza dell'osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorita' pubblica, diversi da quelli impartiti a seguito di un'emissione o di un incidente imputabili all'operatore (comma 4); inoltre, l'operatore non e' tenuto a sostenere i costi delle azioni di cui al comma 5 intraprese conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta... qualora dimostri che non gli e' attribuibile un comportamento doloso o colposo e che l'intervento preventivo a tutela dell'ambiente e' stato causato da: a) un'emissione o un evento espressamente consentiti da un'autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari recanti attuazione delle misure legislative adottate dalla Comunita' Europea di cui all'allegato 5 della parte sesta... applicabili alla data dell'emissione o dell'evento e in piena conformita' alle condizioni ivi previste; b) un'emissione o un'attivita' o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un'attivita' che l'operatore dimostri non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell'emissione o dell'esecuzione dell'attivita'. (comma 5); resta impregiudicata la responsabilita' e l'obbligo risarcitorio del trasgressore interessato (comma 6); 16. a queste ipotesi di esimenti (cui si aggiungono le calamita' naturali, il conflitto armato) va accostato il pari valore che viene assunto dal cd. inquinamento diffuso, una circostanza che tendenzialmente elide il nesso di causalita' tra attivita' e danno e dunque esclude l'attualita' del principio ‘chi inquina paga'; gia' nella considerazione di CGUE del 9 marzo 2010 in C378-08, tuttavia, la constatazione dell'assenza nella Direttiva 2004/35/CE di un criterio univoco per accertare la catena causale fra danni e attivita' di plurimi operatori, aveva indotto il giudice Europeo a riconoscere da un lato la discrezionalita' degli Stati membri nel ricostruire la predetta relazione (da determinarsi in sede nazionale quale strumento di necessaria attuazione delle norma Europea, § 55,65), eventualmente conferendo significativita' alla vicinanza dell'attivita' dell'operatore all'area incisa ovvero alla corrispondenza tra sostanze inquinanti rinvenute e quelle del processo produttivo, anche con ricorso (cosi' C.d.S., sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1742) a presunzioni secondo il criterio del ‘piu' probabile che non' (peraltro superabili dal soggetto inciso); e tuttavia, dall'altro lato, tale pregnanza deve pur sempre rispondere al bisogno di fissare l'obbligo di riparazione (cioe' la piu' matura reazione ordinamentale al danno o al pericolo di danno) secondo il contributo causale comunque accertato nel produrre il pregiudizio ambientale o la relativa minaccia (§ 54,57,64), cosi' come - in attuazione della vigenza temporale della Direttiva - occorre che l'evento o l'accidente siano successivi al 30 aprile 2007 ovvero anteriori ma non ultimati negli effetti; ne consegue che a maggior ragione va esclusa una indicazione comunitaria alla riparazione del danno - almeno e gia' per questa via - a carico di chi non abbia svolto l'attivita' professionale di operatore, bensi' venga chiamato a rispondervi nella veste di titolare di diritti dominicali o addirittura, come nel caso, con nesso eziologico escluso dallo stesso giudice dell'accertata condotta, non potendo la mera enunciazione di indizi di posizione, per un'attivita' non classificata dallo stesso Decreto Legislativo n. 152 del 2006 a rischio d'inquinamento, sostituire di per se' la prova del predetto necessario nesso causale; 17. proprio la cit. CGUE 9 marzo 2010 aveva gia' ed infatti chiaramente precisato che spetta all'autorita' ricercare preventivamente l'origine dell'accertato inquinamento, disponendo "di un potere discrezionale in merito alle procedure e ai mezzi da impiegare, nonche' alla durata di una ricerca siffatta" e dovendo pero' dimostrare "in base alle norme nazionali in materia di prova, l'esistenza di un nesso di causalita' tra l'attivita' degli operatori cui sono dirette le misure di riparazione e l'inquinamento" (§70); parimenti, una lettura di pur intensa oggettivita' del principio ‘chi inquina paga' quale voluto dal legislatore Europeo, collegando i costi di riparazione ambientale all'attivita' produttiva inquinante, tende a svalutare altre forme relazionali meramente indirette, imperniate ad esempio sull'appropriazione dei vantaggi economici permessi al soggetto per la sua posizione non di sfruttamento dei beni e dunque con attivita' condotta sugli impianti, bensi' di mero diritto sul sito su cui essi insistono; la nozione di operatore di cui all'articolo 2 comma 6 Direttiva appare invero sufficientemente chiara nel suo collegamento ad una attivita', esercitata o controllata o anche alla titolarita' di un potere economico pero' decisivo sul funzionamento tecnico dell'iniziativa; 18. per quanto detto, e richiamando nella sua interezza l'articolo 191 comma 2 TFUE, una lettura coordinata del principio ‘chi inquina paga' ne esige la declinazione integrata con quelli di precauzione e dell'azione preventiva, nonche' della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, potendo cosi' fungere il primo non solo da criterio selettivo della responsabilita', ma anche - come invocato in dottrina - quale limite alla discrezionalita' dei pubblici poteri, tutte le volte in cui si intenda limitare attivita' potenzialmente inquinanti e al fine di tutelare l'ambiente; la conseguente affermazione di un equilibrio che giustifichi in modo proporzionale la stessa limitazione della liberta' economica, in ragione degli obiettivi non altrimenti perseguibili, oltre a giustificare procedimenti a base partecipativa dei soggetti incisi dai provvedimenti dell'autorita' pubblica e a porne le ragioni di una necessaria motivazione, interferisce pertanto sul perimetro di discrezionalita' applicativa che, nella materia, la stessa Direttiva altresi' consente agli Stati membri; 19. come chiarito dalla Corte Giustizia nella successiva, e parimenti fondamentale, sentenza 4 marzo 2015 (in C-534/13 (MATTM c. Fipa Group s.r.l.), la citata Direttiva "non osta a una normativa nazionale... la quale, nell'ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest'ultimo le misure di riparazione, non consente all'autorita' competente di imporre l'esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale e' tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorita' competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l'esecuzione di tali interventi" (cosi' poi ancora CGUE ordinanza 6 ottobre 2015, in C-592-13); accogliendo l'articolazione interrogativa del Procuratore Generale, va valutato allora quale sia lo spazio d'intervento del diritto nazionale che, salvaguardato espressamente dal giudice unionale ove sia scelta una soglia bassa di reattivita' verso il proprietario non responsabile dell'inquinamento, ospiti invece, ed all'opposto, una legislazione piu' restrittiva, secondo l'opzione esplicitamente consentita dall'articolo 16 Direttiva; la norma infatti ha cura di precisare che non preclude agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni piu' severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, comprese l'individuazione di altre attivita' da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione previsti dalla presente direttiva e l'individuazione di altri soggetti responsabili; 20. si tratta tuttavia di una clausola di salvaguardia, ispirata al principio di correlazione "chi inquina paga" e che deriva dalla traslazione dell'articolo 191, comma 2, TFUE, per il quale la politica dell'Unione in materia ambientale mira a un livello elevato di protezione e pero' si limita a definire gli obiettivi generali, mentre l'articolo 192 TFUE affida al Parlamento Europeo e al Consiglio dell'Unione Europea, che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria, il compito di decidere le azioni da avviare al fine del raggiungimento di detti obiettivi (cosi', proprio CGUE C-534/13, § 39-40); la stessa citata pronuncia, peraltro, precisa per un verso che i privati non possono sottrarsi all'applicazione di una normativa nazionale impositiva di oneri ambientali se non sia applicabile nessuna normativa dell'Unione adottata in base all'articolo 192 TFUE, cosi' come lo stesso articolo 191 comma 2 nemmeno puo' pero', per altro verso, essere invocato dalle "autorita' competenti in materia ambientale per imporre misure di prevenzione e riparazione in assenza di un fondamento giuridico nazionale" (§ 41); 21. se dunque il presupposto di tale assetto e' che il principio "chi inquina paga" puo' trovare applicazione nelle controversie domestiche nei limiti in cui e' attuato dalla Direttiva, cioe' l'atto adottato dagli organi deliberanti dell'Unione, va considerato che tale operativita' presuppone il confronto con alcune circostanze storiche che pero', nella specie di causa, ne escludono l'integrale assunzione; infatti, ratione temporis, l'esito e' di esclusione applicativa stando alla stessa CGUE in C-534/13 per la quale "dall'articolo 17, primo e secondo trattino... letto in combinato disposto con il suo considerando 30, risulta che tale direttiva si applica unicamente al danno causato da un'emissione, un evento o un incidente verificatosi il 30 aprile 2007 o dopo tale data quando tale danno derivi vuoi da attivita' svolte in tale data o successivamente ad essa, vuoi da attivita' svolte precedentemente a tale data ma non terminate prima di essa" (§ 44); questo primo fattore appare contraddetto dall'accertamento, non specificamente contestato in giudizio, per cui (OMISSIS) e' rimasta nel sito di discarica dal 2001 con gestione sino al 2003, poi detenendolo a titolo provvisorio, per effetto della risoluzione contrattuale ai sensi del Decreto Legge n. 245 del 2005, articolo 1 "fino alla consegna degli impianti ai nuovi gestori" (pag.5); 22. si puo' altresi' aggiungere che, per quanto l'articolo 193 TFUE consenta che I provvedimenti di protezione adottati in virtu' dell'articolo 192 non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore... compatibili con i trattati.... notificati alla Commissione, nemmeno il riepilogo dei principi dell'articolo 192, comma 2, anch'esso aperto alla ricognizione di misure efficaci, sia sul piano territoriale che temporale, giustifica quella parte della sentenza impugnata che assume direttamente da tali norme ispiratrici e quale primario il valore della responsabilita' ambientale in termini anche oggettivi ed in capo a soggetto proprietario non autore della condotta inquinante; quei principi, per come posti, esigono piuttosto che gli interventi delle P.A., di prevenzione ed immediata misura, trovino diretta ed esaustiva coerenza in un'interpretazione appunto diretta e derogatoria del codice nazionale in materia, cioe' "un fondamento giuridico nazionale" (CGUE C-534/13, §41); la ragionevole proporzionalita' di cui discorre la sentenza TSAP (pag.13), al di fuori di condizionalita' per colpa o dolo del fatto causativo e di finalita' sanzionatorie, manifesta infatti un incerto e poco chiaro richiamo valoriale alla responsabilita' ambientale oggettiva che sarebbe in generale configurata dalla Direttiva 2004/35/CE; si tratta tuttavia di una semplificazione ermeneutica, tradendo la pronuncia impugnata il diverso precetto concessivo posto dalla Direttiva e per il quale, come visto, sono perseguibili disposizioni piu' severe, ma per attivita' e soggetti ivi configurati, pur avendo allora di mira il legislatore nazionale l'effettivita' del risultato protettivo ambientale, da perseguire, specie se in situazione d'urgenza; 23. e' infatti gia' dubbio che la citata relazione con il diritto nazionale (secondo la rubrica dell'articolo 16 Direttiva) consenta de plano che la prevenzione e la riparazione del danno ambientale, in caso di estensione della responsabilita' eventualmente scelta da uno Stato membro, trascini con se' per le fattispecie nazionali cosi' individuate gli stessi principi della Direttiva o non implichi, piuttosto e soltanto, essa non ostacolando regimi piu' gravi, la possibilita' per gli ordinamenti di mere discipline aggiuntive a quelle di necessaria armonizzazione, sempre allo scopo di realizzare un quadro piu' efficace di prevenzione e riparazione del danno ambientale e pero' nel rispetto del principio ‘chi inquina paga' (secondo l'articolo 1, richiamato nel testo dal perimetro concessivo dell'articolo 16); non casualmente la disposizione relazionale, a titolo di esempio chiaro per comprendere il punto di caduta della normazione piu' severa consentita, enuncia la possibile fissazione di altre attivita' da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione, locuzione che, per quanto priva dell'aggettivazione professionale di cui agli articoli 2 comma 7 e 3 comma 1 lettera a) e b), confligge con una nozione statica di rapporto con l'area da parte del soggetto che, essendone solo proprietario e non esercente iniziativa alcuna, difficilmente rientra nell'ipotizzato perimetro estensivo lasciato agli Stati membri dall'articolo 16; parimenti, il principio ‘chi inquina paga' condiziona altresi' la eventuale individuazione di altri soggetti responsabili, cui ancora la disposizione rimanda, ove manchi una connessione dinamica con la produzione del danno ambientale, per la cui prevenzione e riparazione non appare invocabile un legame piu' immateriale e non anche dispositivo rispetto all'attivita' esercitata o esercitabile sull'area interessata; 24. in sequenza, va pertanto chiarito se l'interpretazione dell'assetto normativo italiano, alfine conseguente alla progressiva armonizzazione con la Direttiva 2004/35/CE e in se' considerata sia di per se' idonea, per elementi istituzionali originari ed aggiuntivi rispetto al diritto UE, a giustificare una responsabilita' del proprietario in quanto tale; allo stato, il confronto va reso rispetto alla giurisprudenza sia civile che amministrativa la quale tuttavia ha spesso escluso, dal diritto ambientale italiano, la sussistenza in via automatica, a titolo di responsabilita' oggettiva per fatto altrui, di una responsabilita' del proprietario dell'area inquinata e da bonificare, se non si dimostri che questi abbia provocato o contribuito a provocare il danno ambientale; in particolare, con le pronunce n. 21 del 2013 (dell'Adunanza Plenaria) e Sez. VI del 5 ottobre 2016, n. 4099 e 4119, il Consiglio di Stato ha precisato che il Ministero non puo' imporre al proprietario di un'area contaminata (non responsabile dell'inquinamento) l'obbligo di eseguire le misure di messa in sicurezza di emergenza (m.i.s.e.) e di bonifica, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto previsto dall'articolo 253 cod. amb. in tema di oneri reali e privilegi speciali immobiliari (rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorita' competente nei limiti del valore di mercato del sito determinato dopo l'esecuzione); il proprietario, in tale quadro, e' tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione idonee a contrastare un evento che abbia creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile, secondo il canone causale civilistico, di verificazione di un danno sanitario o ambientale al fine di impedire o minimizzare tale minaccia; a sua volta, infatti, l'Amministrazione ha l'obbligo di effettuare le indagini volte all'identificazione del soggetto responsabile dell'evento di contaminazione che diffida a provvedere agli interventi di risanamento (articolo 244), cosi' che al soggetto estraneo alla contaminazione viene soltanto richiesto l'assolvimento di uno specifico obbligo di comunicazione quando riscontri la presenza (attuale o potenziale) di contaminazione (articolo 245, comma 2), mentre l'obbligo di facere rispetto agli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale e' limitato all'adozione delle misure di prevenzione che sono funzionali al contrasto nell'immediato del potenziale verificarsi di un danno sotto il profilo ambientale e sanitario (articolo 245, comma 1); quando ne' il responsabile ne' altro soggetto interessato intervengono, le opere sono eseguite d'ufficio dall'amministrazione competente in loro danno (articolo 250), mentre - come anticipato - al proprietario incolpevole (come per altro soggetto interessato non responsabile della contaminazione) viene comunque riconosciuta la facolta' di eseguire volontariamente gli interventi di bonifica (articolo 245, comma 1) al fine di limitare le conseguenze patrimoniali che derivano dall'imposizione degli oneri reali sul bene immobile contaminato (‘pesi' iscritti ai registri immobiliari, dopo l'approvazione del progetto di bonifica, indicati nel certificato di destinazione urbanistica ex articolo 253, comma 1, cosi' che il bene circola come proprieta' in tali termini gravata e proprio la previsione di un onere reale qualifica l'obbligazione del soggetto come un solvere piu' che un facere) e del privilegio speciale immobiliare per le spese sostenute (articolo 253, comma 2), che altrimenti graverebbero sul fondo quando gli interventi sono eseguiti in danno (articolo 250); il proprietario incolpevole risponde, in ogni caso, nei limiti del valore di mercato dell'area bonificata, per come risultante dagli interventi (articolo 253, comma 4), in forza di specifico provvedimento in cui l'amministrazione giustifichi l'impossibilita' di accertare l'identita' del soggetto responsabile ovvero l'impossibilita' di esercitare azioni di rivalsa nei confronti di tale soggetto o comunque la loro infruttuosita' (articolo 253, comma 3); 25. a tale assetto, come detto, si e' pervenuti in forza della citata progressiva armonizzazione legislativa e, poi, all'esito di una serrata dialettica tra la giurisprudenza amministrativa e quella comunitaria in ordine alla portata del principio ‘chi inquina paga'; nel frattempo, la disciplina domestica si e' arricchita di fattispecie d'intervento, variamente dettagliate dalle norme tecniche di corredo e ricostruite nelle sedi giudiziali, per le quali - in questa causa - anche il Procuratore Generale, con riguardo alle m.i.s.e., ha chiesto ridefinirsi un ambito di compatibilita' ovvero inclusione nel piu' vasto genus delle misure preventive o precauzionali a dispetto di una opposta appartenenza, evocata dalla ricorrente e semmai, a quelle di riparazione (per la Direttiva) o gia' di ripristino (per il codice ambientale); nella prima opzione, la misura, per il suo connotato oggettivo emergenziale, s'imporrebbe in termini di attuazione immediata anche a carico del proprietario incolpevole, tenuto ad adottarla e cosi' a contribuire a prevenire il pregiudizio, evitando la sopportazione solo successiva dell'onere di rimborso delle spese del ripristino ambientale officioso, laddove tale gravame andrebbe a conformare il bene, secondo un vincolo sulla proprieta' tanto piu' coerente oggi con l'emersione costituzionale esplicita dell'ambiente come valore tutelato (Cost., articolo 9) e limite di svolgimento e indirizzo dell'iniziativa economica (Cost., articolo 41); a questa stregua, cui presta adesione -per quanto sintetica- la sentenza impugnata, le norme contemplanti il proprietario, come gli articoli 245 e 244 cod. amb., dovrebbero essere rilette come un coinvolgimento per un verso doveroso (di ogni comunicazione alla P.A. del superamento attuale o altamente possibile delle CSC, le concentrazioni di soglia di contaminazione) per l'attuazione, senza distinzione, di tutte le misure di prevenzione (stante il richiamo all'articolo 242) e, per altro, pienamente partecipativo all'intero iter dell'intervento preventivo (cosi' trovando spiegazione la notifica, appunto anche al proprietario, della m.i.s.e. imposta al responsabile autore materiale); 26. va innanzitutto osservato, per il contesto di lettura residua da affrontare, che il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, attuando gli obblighi di risultato stabiliti dalla Direttiva 2004/35/CE, realizza comunque una legge speciale, tendenzialmente regolativa delle fattispecie di responsabilita' per danni all'ambiente ed invero lo stesso articolo 298bis comma 1, come visto e cosi' fissando un principio generale, ha riguardo ad una nozione di attivita' e, poi, rinvia al sistema della prevenzione e del ripristino ambientale (titolo II parte Sesta), anche per qualsiasi minaccia imminente di danno grave, nonche' alla nozione di operatore (con invarianza soggettiva anche per il titolo III, intestato al risarcimento del danno ambientale); si tratta dunque di quelle due nozioni che, gia' prima facie, impongono uno scrutinio degli adempimenti ipoteticamente gravanti sul proprietario incolpevole che non puo' focalizzarsi, come pur suggerito nella requisitoria, sulla mera portata sostanziale di una misura d'intervento, la cui astratta applicabilita' a qualunque soggetto, proprio perche' attivita' pratica, appare dallo stesso codice in realta' chiaramente intermediata di necessita' dalla previsione soggettiva che, nei testi citati ed almeno, correla l'operatore ad una determinata iniziativa economica/attivita' sull'area, cosi' imputando in modo diverso la compromissione delle matrici ambientali; questa seconda tesi, cui le Sezioni Unite prestano qui adesione, emerge nella sua maggiore plausibilita' proprio dall'adeguamento graduale della giurisprudenza amministrativa a quella comunitaria, agevolando la prima e da oltre un decennio, nonostante oscillazioni, la ricognizione di un formante che, selettivamente, si da' carico di non despecializzare le molte e distinte fattispecie del codice ambientale; in tal modo, viene evitato che una riqualificazione oggettiva nei termini della sola funzionalita' di una qualunque misura volta a fronteggiare il danno ambientale imminente o attuale traghetti, nella disciplina italiana, una nozione cosi' lata di responsabilita' incolpevole e di posizione da svuotare il margine identitario del piu' sicuro raccordo tra azione contaminante e riparazione alla base del principio per cui ‘solo chi inquina paga'; 27. a tale regola comunque deve prestare ossequio anche una disciplina domestica piu' severa e che pero' non intenda dilatare senza confini il precetto, cosi' come solennemente l'apertura del titolo V (bonifica di siti contaminati) afferma in esordio all'articolo 239; cosi' che il testo del successivo articolo 245 (incluso nel titolo), nel dettare gli Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione per un verso fa salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242, mentre, quanto al proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC), prescrive in via primaria un ben diverso obbligo di 1) comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e poi di 2) attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242; per il primo obbligo, il codice e' coerente con la considerazione istruttoria e notiziale che deve curare l'autorita' competente secondo l'articolo 6 comma 4 Direttiva, avendo a mente le persone sul cui terreno si dovrebbero effettuare le misure di riparazione; per il secondo obbligo, si tratta di un rinvio, in realta', ad un sistema organizzativo (procedure operative ed amministrative) contemplanti innanzitutto e quale soggetto destinatario diretto il ben diverso responsabile dell'inquinamento, tenuto in modo piu' stringente e sempre, ai sensi dell'articolo 242, e gia' nelle prime 24 ore, alle misure necessarie di prevenzione e poi in prosieguo ad altri interventi; il richiamo e' dunque ad una procedura (dettata primariamente per altra tipologia soggettiva) ed esso non innova, quanto al proprietario incolpevole, le misure che potrebbero essergli imposte, perche' viene mantenuta per questi la formula delle misure di prevenzione; l'articolo 245, cosi' precisato ed in secondo luogo, non vanifica la analitica distinzione - valevole proprio ai fini dell'applicazione dell'intero titolo V - ospitata, quanto alle varie misure, dal precedente articolo 240, che definisce le misure di prevenzione (lettera i), riparazione (lettera l), messa in sicurezza d'emergenza (lettera m) e poi operativa (lettera n) e permanente (lettera o); 28. in particolare, la m.i.s.e. si definisce come ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lettera t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente (lettera m), articolo 240 comma 1 cod. amb.); a sua volta la anteriore lettera i) ancora dell'articolo 240 definisce invece le misure di prevenzione come le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia; inoltre, con riguardo allo stato di conservazione di una specie, anche l'articolo 302 comma 8 cod. amb., nel riprendere piu' da vicino la nozione di misure di prevenzione dell'articolo 2 comma 10 Direttiva, le ridefinisce come quelle prese per reagire a un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente di danno ambientale, al fine di impedire o minimizzare tale danno; la non assimilabilita' delle m.i.s.e. alle misure di prevenzione, nonostante anche le prime possano materialmente assolvere ad una finalita' di contenimento del danno ambientale, sembra allora e con evidenza correlarsi al fatto che solo le seconde - significativamente all'inizio dell'elenco delle iniziative perseguibili - implicano un danno ancora non presente, su tale senso convergendo le formule della minaccia imminente, il rischio sufficientemente probabile, lo scenario di un futuro prossimo, insieme alle nozioni di impedimento al realizzarsi della minaccia; 29. la m.i.s.e., invece, appare giustificata all'altezza di condizioni di emergenza (ex lettera t), cioe' con eventi verificatisi e dunque necessita' di interventi) tali da imporre, finalisticamente, il contrasto ad eventi di contaminazione repentini, dunque con pregiudizio ambientale in itinere, per il quale la misura volge al contenimento, a limitare la diffusione delle relative sorgenti, ad impedire contatti con altre matrici contaminative del sito, in attesa di bonifica o messa in sicurezza di la' da venire ma di cui la m.i.s.e. stessa mostra di essere gia' una prima parte; ne' puo' essere accolta l'assimilazione della m.i.s.e. alla piu' ampia categoria della prevenzione, secondo lo sbrigativo inciso di pag. 13 della sentenza o anche in base alla piu' argomentata tesi sostenuta dal Procuratore Generale (pag.10 memoria), sul presupposto di un'identica funzionalita' strumentale rispetto al danno ambientale, poiche' tale tratto, da un canto, non spiega la cesura concettuale rispetto alla riparazione (lettera l) articolo 240 codice) e alle varie misure di messa in sicurezza (lettera m), n) e o) articolo cit.) che paiono accomunate dal presupposto di un fenomeno di danno gia' iniziato e non solo temuto; d'altro canto, la circostanza per cui la condizione di emergenza (lett.t) imponga una strutturazione provvisoria della misura denuncia, anch'essa, non solo un'ontologica distinzione rispetto ai presupposti di un'azione preventiva (per sua natura anteriore al danno-fenomeno) ma nemmeno puo' dirsi ‘strumentale ad interventi successivi', tant'e' che la citata lettera m) espressamente li ipotizza siccome eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente, con cio' ammettendo che una pronta ed efficace m.i.s.e. possa avere pertanto assunto ben ipotizzabile piena portata bonificatrice; in questo senso, non va ragionevolmente escluso, stando alla sequenza progressivamente grave delle misure di cui all'articolo 240 cod. amb., che gia' una m.i.s.e. di successo, a danno in corso, esaurisca l'intervento come operazione necessaria e anche definitiva, connotandosi allora anche la immediatezza su piano diverso rispetto alla prevenzione; la descritta esigenza classificatoria e distintiva risulta invero e semmai acuita e non scoraggiata, per quanto complessa, dalla proliferazione denominativa degli istituti regolati ulteriormente dallo stesso cod. amb. che ora prevede, tra gli Allegati al Titolo V della parte Quarta (2000) Allegato 3 - Criteri generali per la selezione e l'esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza (d'urgenza, operativa o permanente), nonche' per l'individuazione delle migliori tecniche d'intervento a costi sopportabili, la figura della messa in sicurezza d'urgenza (non contemplata all'articolo 240) e ne descrive gli interventi siccome mirati a rimuovere le fonti inquinanti primarie e secondarie, ad evitare la diffusione dei contaminanti dal sito verso zone non inquinate e matrici ambientali adiacenti, ad impedire il contatto diretto della popolazione con la contaminazione presente; 30. orbene, al di la' dei limiti di armonizzazione della disciplina sulla bonifica dei siti contaminati con quella sul danno ambientale e della incertezza propria di un'indubbia proliferazione degli interventi, tecnici e di prescrizione amministrativa, sono enucleabili taluni elementi tipizzanti e distintivi; tra essi, l'immediatezza (entro 24 ore) e l'entita' molto limitata (per complessita' tecnica e onere economico) degli interventi di prevenzione, che anche il proprietario incolpevole deve porre in atto, in presenza di una minaccia imminente di danno ambientale, ancora non verificato (per la ristrettezza temporale confliggente con un'analisi scientifica esaustiva), ma che risulta come evidenza immediatamente riconoscibile, nonche' ed invece la tempestivita' della m.i.s.e., quale intervento progressivamente necessario ed urgente che solo il responsabile della contaminazione deve realizzare, in caso di potenziale o accertato superamento delle CSC nell'ambito della disciplina sulla bonifica, in attesa delle ulteriori attivita' (caratterizzazione, eventuale bonifica/messa in sicurezza operativa e ripristino ambientale), previste dalle procedure contenute nella parte IV del codice dell'ambiente; 31. coerentemente con tali premesse, parte della giurisprudenza amministrativa - in adesione a dottrina maggioritaria - ha sovente escluso un coinvolgimento coattivo del proprietario, per il fenomeno di inquinamento non ascrivibile alla sua sfera, dalle attivita' di rimozione, prevenzione e messa in sicurezza di emergenza (Consiglio di Stato, VI, 7 novembre 2016, n. 4647; 9 febbraio 2016, n. 550; 10 settembre 2015, n. 4225); in precedenza, in molte occasioni le amministrazioni - specie nei contesti di difficolta' di istruttoria completa e adeguata verifica sull'origine della contaminazione, con la impossibilita' di selezione certa del responsabile dell'inquinamento - per non dover far fronte ai costi, anche ingenti, del risanamento ambientale, hanno esteso gli obblighi esigibili dal proprietario incolpevole, imponendogli l'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale ed una parte delle pronunce dei giudici amministrativi aveva asseverato tale estensione; si trattava invero di contrasti, culminati nella sottoposizione, da parte dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e nel corso del 2013, di due rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia (13 novembre, n. 25 e 25 settembre, n. 21) interrogata sulla ostativita' o meno dei principi dell'Unione Europea in materia ambientale ad una normativa, come ricostruita, che - in caso di accertata contaminazione del sito e impossibilita' di individuare il soggetto responsabile ovvero ottenere da quest'ultimo l'esecuzione degli interventi di riparazione - non consenta alla P.A. di imporre l'esecuzione delle misure di sicurezza d'emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile, prevedendo, a suo carico, solo una responsabilita' patrimoniale limitata al valore del sito dopo l'esecuzione degli interventi di bonifica; e' all'esito di questa complessa elaborazione che la CGUE (nella cit. pronuncia 4 marzo 2015 in C-534/13, resa su ordinanza C.d.S. 8 luglio 2013), ha chiarito che la Direttiva 2004/35/CE deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale... la quale, nell'ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest'ultimo le misure di riparazione, non consente all'autorita' competente di imporre l'esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale e' tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorita' competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l'esecuzione di tali interventi; la rimessione e' evidentemente avvenuta nella ostensione di un indirizzo, poi ripreso dai precedenti sopra segnalati ed altri anteriori e poi di autoconformazione (C.d.S., sez. VI, 18 novembre 2011, n. 2376; C.d.S., sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885; C.d.S., sez. II, 30 aprile 2012, parere n. 2038; e poi C.d.S., sez. V, 7 giugno 2017, n. 2724; con aperture C.d.S., sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089; C.d.S., sez. VI, 7 novembre 2016 n. 4647; C.d.S., sez. VI, 5 ottobre 2016, n. 4099; C.d.S., sez. V, 30 luglio 2015, n. 3756), di continuita' rispetto alla "unica interpretazione compatibile con il tenore letterale delle disposizioni in esame" (Ad. plen., 13 novembre 2013, n. 25; C.d.S., Ad. plen., 25 settembre 2013, n. 21); 32. la descritta ricostruzione dell'istituto, a sua volta, appare recepita in altra piu' recente giurisprudenza amministrativa, per quanto non univoca, come precisato nella pronuncia del Cons. Stato, Sez. VI, 4 agosto 2021, n. 5742 per la quale l'Amministrazione non puo' imporre al proprietario di un'area inquinata, che non sia anche l'autore dell'inquinamento, l'obbligo di realizzare le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, di cui all'articolo 240, comma 1, lettera m) e p), cod. amb., in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall'articolo 253, in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare, tale essendo la netta distinzione tra la figura del responsabile dell'inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione; cosi' che, come ancora ribadito, il proprietario ‘non responsabile' dell'inquinamento e' tenuto, ai sensi dell'articolo 245, comma 2, ad adottare le misure di prevenzione di cui all'articolo 240, comma 1, lettera i), ma non le misure di messa in sicurezza d'emergenza e bonifica di cui alle lettera m) e p) (per Cons. Stato, Sez. V, 29 dicembre 2021, n. 8702); altre pronunce, tuttavia, pur generalmente negando che a carico del proprietario incolpevole possano essere addossati oneri di bonifica (stante la rispettiva natura sanzionatoria), ammettono, con il richiamo al principio di precauzione, l'inerenza anche delle misure di messa in sicurezza d'emergenza tra quelle preventive, potenzialmente gravanti sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente solo perche' egli e' tale senza necessita' di accertarne il dolo o la colpa (Cons. Stato, Sez. IV, 12 luglio 2022, n. 5863 e 5864; Cons. Stato, Sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3426); viene al contempo ribadito che il vigente quadro normativo nazionale non ammette peraltro un criterio di imputazione basato sulla responsabilita' di posizione a carico del proprietario incolpevole, restando escluse ipotesi di responsabilita' svincolata persino da un contributo causale alla determinazione del danno (Cons. Stato, Sez. V, 7 marzo 2022, n. 1630); 33. per parte sua, questa Corte, applicando la Direttiva 2004/35/CE ed i suoi principi derivati nel cod. amb., in una vicenda afferente ai compiti attribuibili al titolare di una concessione di derivazione di acque ad uso irriguo, ha ritenuto - in sede di analogo scrutinio di una pronuncia del TSAP - che legittimamente rientrano in un'attivita' di prevenzione quelle, con i correlativi costi, di monitoraggio della qualita' delle acque e le operazioni di sospensione della captazione, ove sia rilevato un superamento della CSC, ma va escluso che allo stesso soggetto, "in quanto sicuramente non responsabile del potenziale inquinamento, possa prescriversi, come invece fatto... nel provvedimento impugnato, di adottare tecniche di rimozione dei fattori inquinanti"; cio' laddove esse, "in quanto implicanti misure di riparazione primaria, debbono far carico unicamente al responsabile della contaminazione, ove individuato, in forza del principio "chi inquina paga"" (Cass. s.u. 25039-2021); 34. ai fini di causa, rilevano conseguentemente le ulteriori affermazioni della cit. CGUE 4 marzo 2015: a) uno dei presupposti essenziali per l'applicazione del regime di responsabilita' istituito dalla Direttiva e' l'individuazione di un operatore che possa essere qualificato come responsabile (§49); b) spetta in linea di principio all'operatore all'origine del danno ambientale prendere l'iniziativa di proporre misure di riparazione che egli reputi adeguate alla situazione ed e' al medesimo che l'autorita' competente puo' imporre di adottare le misure necessarie (§50), soggetto che l'autorita' ha l'obbligo di individuare (§51); c) censendo le attivita' diverse da quelle professionali (ai sensi dell'articolo 2 comma 6 e 7) l'obbligo dell'autorita' competente di accertare un nesso causale si applica, come nel regime di responsabilita' ambientale oggettiva degli operatori, anche per la responsabilita' ambientale soggettiva da dolo o colpa dell'operatore di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettera b) (§55-56), mentre se non puo' essere dimostrato alcun nesso causale tra il danno ambientale e l'attivita' dell'operatore, tale situazione rientra nell'ambito dell'ordinamento giuridico nazionale (§59); d) l'articolo 16 della Direttiva prevede, conformemente all'articolo 193 TFUE, la facolta' per gli Stati membri di mantenere e adottare disposizioni piu' severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, compresa, in particolare, l'individuazione di altri soggetti responsabili, ma a condizione che tali misure siano compatibili con i Trattati (§61); 35. l'ultima asserzione, per quanto circoscritta ad una condizionalita' particolarmente sintetica e pero' netta, espone cosi' il monito, rivolto agli ordinamenti degli Stati membri, di non supportare innanzitutto sistemi amministrativi in cui sia direttamente la condotta delle autorita' ad imporre regimi piu' stringenti, vale a dire misure diverse da quelle di prevenzione nei confronti del proprietario incolpevole, essendo l'eventuale previsione di spettanza del solo legislatore; se gia' tale indicazione soddisfa garantisticamente un requisito di tassativita' della responsabilita' ambientale in capo al soggetto non autore del danno, il profilo selettivo che la sostiene puo' agevolare, ermeneuticamente, anche l'indagine sulle norme positive che, come nel nostro ordinamento, lascino il dubbio di fattibilita' dell'estensione - all'insegna dei principi di precauzione, azione preventiva e correzione in via prioritaria alla fonte, oltre che del principio ‘chi inquina paga' - di una diversa regola attrattiva; proprio l'intima correlazione del principio da ultimo descritto (di sicura impostazione nella Direttiva) con gli altri di codificazione italiana ex articoli 3ter e 301 cod.amb. e con anticipazione programmatica all'articolo 191 par.2 Trattato CE, che dunque non dovrebbero con esso entrare in collisione, induce - anche per questa via - a risolvere l'interrogativo evitando che l'instaurazione di obblighi piu' restrittivi sia perseguita, oltre che con scarsa chiarezza di fattispecie nelle rispettive misure, conducendo ad una possibile sostituzione generalizzata all'effettivo responsabile del danno del diverso soggetto-proprietario non colpevole; ne consegue che considerare le misure di messa in sicurezza di emergenza alla stregua di una sottoclasse delle misure di prevenzione espone ad un contrasto con la stessa sentenza CGUE del 4 marzo 2015 posto che tale assimilazione produrrebbe l'effetto di imporre, nella sostanza, un obbligo di riparazione di un danno gia' in essere a carico di un soggetto non responsabile della contaminazione che l'ha determinato; 36. osserva altresi' il Collegio che, non dissimilmente, anche la Direttiva 2008/99/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 19 novembre 2008 sulla tutela penale dell'ambiente fissa l'esigenza di sanzioni maggiormente dissuasive per le attivita' che danneggiano l'ambiente, le quali generalmente provocano o possono provocare un deterioramento significativo (cons. 3, articolo 3); si tratta di locuzione piu' volte ripetuta, come per il caso di qualsiasi azione che provochi il significativo deterioramento di un habitat all'interno di un sito protetto (articolo 3 comma 1 lettera h) e risulta coerente anche quando responsabilizza le persone giuridiche per carenze nella sorveglianza o nel controllo in relazione causale con la commissione di un reato (articolo 6 comma 2); 37. a propria volta, un quadro altrimenti vago circa l'accertamento di quali siano gli obblighi di bonifica stabiliti per legge o per ordine dei giudici e delle amministrazioni costituisce circostanza ostativa ad un corretto funzionamento circolare del sistema delle tutele ambientali, posto che esso appare oggi presidiato altresi' penalmente, con l. 22 maggio 2015, n. 68 e tra i reati mediante la fattispecie di omessa bonifica; secondo l'articolo 452terdecies c.p. la punizione, salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, concerne la condotta di chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un'autorita' pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi; ne discende come una puntuale definizione degli obblighi da attribuire al responsabile della contaminazione e, rispettivamente, al proprietario incolpevole, agevoli il percorso ricognitivo, con le distinte responsabilita', altresi' di un assetto dell'intera materia meglio e doverosamente predicibile; 38. in precedenza, e come accennato, gia' CGUE 9 marzo 2010, in C-378/08 (investita da TAR Sicilia, con decisione 5 giugno 2008), aveva rinviato al diritto nazionale, per le ipotesi di responsabilita' ambientale non direttamente previste dalla Direttiva, aprendo alla possibile desumibilita' del nesso causale (per l'inquinamento a carattere diffuso) dalla relazione fra operatore e sito, ma imponendo, con la doverosa sussistenza del requisito perche' voluto dal principio ‘chi inquina paga', la plausibilita' degli indizi che diano fondamento alla presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attivita'; con cio', era affermata la imprescindibilita' dell'accertamento del nesso causale; 39. i principi cosi' emersi, per come qui riassunti e a loro volta, scongiurano poi il dubbio di perplessita' costituzionale, pur alla stregua della novellazione della Cost., articoli 9 e 41 attuata con la L. 11 febbraio 2022, n. 1; quanto al primo, non appare allo stato irragionevole il sistema distributivo della responsabilita' ambientale tuttora vigente, imperniato proprio sul perseguimento della riparazione e fino alla estrema attuazione dell'intervento pubblico sostitutivo rispetto all'inerzia o non individuazione del responsabile, quest'ultimo censito in base all'attivita' potenzialmente contaminante o al nesso causale di altre parimenti interferenti; quanto alla seconda disposizione, la perplessita' appare superabile gia' in ragione del dato testuale che, disciplinando i limiti - oggetto di riserva di legge - dell'iniziativa economica, contraddice un ipotizzabile immediato richiamo altresi' ad una situazione soggettiva non contraddistinta da attivita' a quella riconducibile, posta la staticita' della condizione giuridica del proprietario in quanto tale; in realta', la riserva di legge non solo orienta ad una soluzione coerente con il precetto del giusto processo ex Cost., articolo 111 comma 1, ma risulta ricompresa, ai fini di causa, nella matrice legale di ogni prestazione ex Cost., articolo 23 oltre che nella latitudine dei limiti gravanti sulla proprieta' ex Cost., articolo 42 concorrendo ad innalzare, con la certezza del diritto, e dunque sicurezza della medesima decisione anche amministrativa per casi uguali, la cennata prevedibilita' della stessa decisione giudiziaria; 40. infine, la specialita' della disciplina applicata neutralizza altresi' la portata attribuita in sentenza (pag. 14) alla attivita' di ‘caratterizzazione' spontanea perseguita dalla ricorrente, posto che l'erroneita' del complesso ordine d'intervento impartito a (OMISSIS), mediante gli atti unitariamente impugnati, travolge i connotati dell'inadempimento, non facendo valere la P.A. la circostanza in termini di obbligazione quanto piuttosto di ‘anticipazione di quell'apporto collaborativo tra privato e P.A. nella gestione dello stato di crisi ambientale'; si tratta di un titolo giustificativo che viene meno in ragione dell'accoglimento dei primi due motivi, apparendo erronea la richiesta di m.i.s.e. a carico di soggetto provatamente estraneo ad un nesso causale con l'inquinamento ed altresi' assente una comprovata ricerca del responsabile dell'inquinamento, cui era comunque tenuta l'amministrazione; 41. il terzo e quarto motivo, per un profilo risultano assorbiti, ove la sentenza, erroneamente e come visto, ascrive al proprietario incolpevole una responsabilita' oggettiva che prescinde dal nesso causale, oltre che dall'elemento soggettivo; per altro profilo, le censure sono fondate, trascurando la sentenza che l'inapplicabilita' degli articoli 2050-2051 c.c. - al di la' della non perspicua portata argomentativa assunta dal relativo richiamo nella ratio decidendi di pag. 19 - discende direttamente dalla natura interamente speciale propria del codice dell'ambiente; si e' cioe' di fronte, dopo l'introduzione della Direttiva 2004/35/CE, ad un corpo normativo appositamente dedicato, come chiarito in dottrina, alla tutela dell'illecito ecologico, ormai slegato dal sistema regolativo dell'illecito civile ordinario di cui agli articoli 2043 e s. c.c., come si evince dalla minuta descrizione tanto del regime di responsabilita' quanto dei soggetti responsabili - e tra essi, primariamente, gli operatori professionali - e soprattutto del perimetro di applicazione della disciplina, il quale viene escluso nei casi di fenomeni naturali di carattere eccezionale, incontrollabili o inevitabili; ne discende l'insussistenza di una comunanza operativa fra il regime di responsabilita' per danno ambientale di cui alla Parte VI cod. amb. e quello per cose in custodia di cui all'articolo 2051 c.c., mentre la nozione di attivita' pericolosa dell'articolo 2050 c.c. appare piuttosto trasfigurata nel codice, per altri fini, nella nozione di attivita' professionale di cui all'articolo 298bis; anche la giurisprudenza amministrativa, valorizzando i compiti di realizzo delle opere di bonifica in capo alle amministrazioni e nella prospettiva dell'attribuzione ad esse del privilegio sul fondo a carico del proprietario incolpevole, ha escluso il possibile ricorso alla responsabilita' da custodia a carico di costui (Consiglio di Stato Sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 56 e Sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2376; con chiarezza rinviando ad una nozione di sussidiarieta', Consiglio di Stato, Sez. V, 30 luglio 2015, n. 3756); 42. la Corte di cassazione, a propria volta, oltre che nella fattispecie della derivazione idrica di cui alla cit. Cass. s.u. 25039/2021, gia' aveva trattato la questione chiarendo che la disciplina applicabile alla vicenda (interventi diretti alla tutela dell'integrita' dell'ambiente lagunare attraverso azioni di disinquinamento, bonifica e/o messa in sicurezza dei siti) pur non dovendo essere individuata in quella di cui al Decreto Legislativo n. 2 aprile 2006, n. 152, priva di carattere retroattivo, ma nell'articolo 17 del Decreto Legislativo n. 22 aprile 1997, n. 22 (vigente al momento dei fatti), era anch'essa ispirata al comune principio per cui l'obbligo di adottare le misure idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento e' a carico di colui che di essa sia responsabile per avervi dato causa (secondo la formula "chi inquina paga"); per cui anche per Cass. 17045/2018 in capo al proprietario non autore della violazione andava escluso l'obbligo di provvedere direttamente alla bonifica, diversa essendo la facolta' di intervenire volontariamente per evitare le eventuali conseguenze derivanti dai vincoli gravanti sull'area (con argomenti gia' in Cass. 5705 del 2013); stante il tenore dell'accoglimento dei motivi trattati, risultano assorbiti i restanti; 43. conclusivamente, il ricorso va accolto, con riguardo ai primi quattro motivi, restando assorbiti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al TSAP, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del procedimento. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso, quanto ai primi quattro motivi, con assorbimento dei restanti, cassa e rinvia al TSAP, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del procedimento.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere Dott. PELLECCHIA Antonella - rel. Consigliere Dott. PORRECA Paolo - Consigliere Dott. GORGONI Marilena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 833/2020 proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS) che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS); - intimata - e contro (OMISSIS) Spa, in persona Amministratore Delegato e Legale Rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS) che la rappresenta e difende; - controricorrente - nonche' da: (OMISSIS), in persona del Direttore Generale, elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS) che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS); - controricorrente incidentale - contro (OMISSIS) S.p.a.; - intimata - e contro (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS) che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), (OMISSIS); - controricorrenti - avverso la sentenza n. 1758/2018 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 19/11/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/10/2022 da PELLECCHIA ANTONELLA; udito l'Avvocato Fassio Paolo Emanuele per delega orale; udito l'Avvocato (OMISSIS); udito l'Avvocato (OMISSIS); udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale PEPE ALESSANDRO, che ha chiesto l'inammissibilita' o rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato. FATTI DI CAUSA 1. Nel 2005, (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali esercenti la responsabilita' genitoriale sulla figlia minore (OMISSIS), convennero in giudizio, innanzi al Tribunale di Brescia, la Regione Lombardia e il Commissario Liquidatore della disciolta USSL 19 di Len, di cui faceva parte il presidio ospedaliero di Orzinuovi (USSI. 42), al fine di ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, determinati dall'omessa individuazione, durante la gravidanza della Rodella, della gravissima malformazione (spina bifida) da cui era affetto il feto, con conseguente impedimento alla scelta di procedere all'aborto terapeutico, possibile se si fosse data tempestiva comunicazione della malformazione. Esposero gli attori che la figlia (OMISSIS) era nata il (OMISSIS) affetta da mielomeningocele localizzato in regione lombosacrale e che nel corso della gravidanza, nello specifico tra la diciannovesima e la ventunesima settimana di gravidanza la gestante si era sottoposta a controlli ginecologici ed esami ecografici presso la USSL 42, senza che i sanitari riscontrassero la grave malformazione. Si costituirono in giudizio la Regione Lombardia, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, e l'Azienda Ospedaliera, la quale contesto' il fondamento della domanda e chiese l'autorizzazione a chiamare in causa le proprie compagnie assicuratrici della r.c., (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS) S.p.a. (ora (OMISSIS) S.p.a.), nonche' dei sanitari avvicendatisi nel caso della signora (OMISSIS), da cui chiese di essere manlevata nell'ipotesi di condanna. Si costitui' in giudizio la Compagnia assicuratrice, contestando la responsabilita' dell'Azienda ospedaliera e il danno, nonche' eccependo la limitata entita' del proprio massimale. Si costituirono infine i medici chiamati in causa, per eccepire la carenza di giurisdizione del giudice ordinario, a fronte della competenza esclusiva della Corte dei Conti Regio Decreto n. 1214 del 1934, ex articolo 52 e dell'articolo 103 Cost.. Con sentenza ex articolo 281 sexies c.p.c. n. 369/2008, il Tribunale dichiaro' l'estinzione del rapporto processuale tra gli attori e la Regione Lombardia, per intervenuta rinuncia agli atti del giudizio nei confronti della stessa Regione da parte degli attori, nonche' la carenza di giurisdizione per il giudizio di regresso promosso dall'Azienda Ospedaliera nei confronti dei medici. La causa fu istruita mediante ctu medico legale per l'accertamento della responsabilita' dei sanitari, poi oggetto di un successivo approfondimento da parte di un altro perito. La prima ctu affermo' che, in astratto, la patologia di cui era risultata affetta la minore poteva essere diagnosticata durante la gravidanza attraverso l'esame ecografico e che il periodo in cui erano state effettuate le indagini ecografiche, compreso tra la diciannovesima e la ventiduesima settimana, era l'epoca migliore per lo studio della colonna, raggiungendo l'esame, se condotto con la dovuta perizia, una sensibilita' diagnostica del 90%. La seconda ctu ritenne che, in mancanza delle registrazioni delle operazioni eseguite, non era possibile procedere ad una valutazione dell'operato dei sanitari nel caso concreto (che dipendeva non solo dal grado tecnologico del macchinario ma anche dall'estensione dell'indagine e dal tempo dedicato all'esame) e concluse che, sulla base dei dati statistici ricavabili in letteratura, la possibilita' di rilevare la malformazione del feto erano percentualmente uguali alla possibilita' di non rilevarla. Il Tribunale adito, con la sentenza n. 1758/2018, dichiarato il difetto di legittimazione attiva di (OMISSIS), rigetto' nel merito la domanda promossa in proprio dai genitori della minore, accertando la correttezza dell'operato professionale dei medici. 2. La Corte d'appello di Brescia con la sentenza n. 1758/2018, depositata il 19 novembre 2018, ha confermato il rigetto della domanda risarcitoria, pur sulla scorta di una diversa motivazione. Diversamente dal Tribunale, la Corte territoriale ha ritenuto che, essendo possibile nel 50% dei casi la percezione tramite ecografia della malformazione da cui era affetta (OMISSIS), era onere della USL provare di aver fatto il possibile per adempiere alla prestazione. Nel caso di specie, i sanitari non avrebbero fornito una simile prova, mancando sia la registrazione delle specifiche attivita' seguite dai sanitari sia la prova della congruita' delle immagini acquisite durante lo svolgimento delle ecografie. Ne' sarebbe stata rilevante la circostanza che il centro dove erano state eseguite le ecografie era di primo livello, essendo la struttura sanitaria cd il medico obbligati a informare la paziente della possibilita' di ricorrere a centri di piu' elevata specializzazione. L'omessa indicazione dell'esigenza di un ulteriore esame in un centro di piu' elevata specializzazione avrebbe generato nella paziente la ragionevole convinzione della sufficienza delle indagini espletate. Tuttavia la Corte ha evidenziato che era onere degli attori provare la sussistenza delle condizioni per l'esercizio dell'aborto terapeutico, ovvero, da un lato, che la conoscenza delle effettive condizioni del feto avrebbe determinato l'insorgenza di un pericolo di grave danno alla salute della donna (tale da giustificare l'interruzione di gravidanza) e, dall'altro lato, che la donna, ove informata, avrebbe effettivamente esercitato l'aborto. I giudici dell'appello hanno ritenuto provato, seppure in via indiziaria, il primo requisito, avendo il CTU accertato ex post un danno biologico del 15% a carico della (OMISSIS) come conseguenza della nascita di (OMISSIS) ed essendo molto piu' probabile che non che tale danno si sarebbe anticipato se la comunicazione della malformazione fosse stata tempestivamente data. La Corte di Brescia ha invece ritenuto che non fosse stata data la prova del secondo requisito, non essendo possibile dedurre che, all'informazione sulla gravita' della malattia sarebbe, come conseguenza automatica, seguita la decisione di abortire. Al riguardo, i giudici di secondo grado hanno evidenziato che gli attori non avevano fornito alcun elemento indiziario tale da far ritenere che l'interruzione di gravidanza sarebbe stata la scelta concretamente fatta dalla (OMISSIS) se avesse tempestivamente saputo. Infatti le indagini eseguite dall'appellante non erano specificamente dirette a conoscere eventuali malformazioni del feto, ma indagini di routine. Ne' vi erano prove circa la manifestazione, da parte della (OMISSIS), della volonta' di abortire in caso di accertamento di gravi malformazioni del feto, non essendo state riproposte in appello le istanze di prova testimoniale dirette a provare tale circostanza. Neppure era stato dedotto un precario stato di salute psichico della signora durante la gravidanza. In assenza di allegazioni di fatti o dichiarazioni da cui inferire la volonta' abortiva della (OMISSIS) alla conoscenza della malformazione (questione che in appello non era neppure stata trattata) non sarebbe stata ammissibile una consulenza tecnica diretta ad accertare una simile volonta' ipotetica, la quale, senza tali elementi, non avrebbe potuto in alcun modo indicare quale sarebbe stata la scelta. Secondo la Corte la complessita' delle reazioni umane di fronte ad eventi anche drammatici, oltre che il rifiuto di logiche eugenetiche, non consente di fare ricorso ad alcun automatismo, che finirebbe per porre a carico di singoli sanitari, anziche' della collettivita', l'assistenza di coloro che per una qualsiasi ragione non sono nati sani. 3. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, i signori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 3.1. Resistono con controricorso l'Azienda Socio-Sanitaria Territoriale del Garda, la quale propone ricorso incidentale condizionato basato su tre motivi, e la (OMISSIS) S.p.a. 3.2. "Tutte le parti hanno depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 4. Ricuso principale. 4.1. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti principali lamentano, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita' della sentenza in relazione all'articolo 115 c.p.c., al principio di non contestazione, definitivamente recepito nell'ordinamento per effetto della sentenza delle Sezioni Unite n. 761 del 2002, nonche' agli articoli 167 comma 1 e articolo 116 c.p.c. La Corte d'appello avrebbe illegittimamente affermato il mancato assolvimento dell'onere di provare il fatto psichico consistente nella volonta' dell'attrice di abortire alla notizia della grave malformazione fetale. Al riguardo, i giudici di secondo grado avrebbero omesso di considerare che la convenuta non aveva specificamente e tempestivamente contestato la sussistenza di tale volonta', la quale aveva formato oggetto di espressa allegazione nell'atto di citazione e su cui erano stati anche articolati due capitoli di prova orale. Solo con la comparsa conclusionale, l'Azienda ospedaliera avrebbe per la prima volta eccepito che l'attrice doveva fornire la prova del fatto che essa, ove informata, avrebbe effettivamente optato per l'interruzione della gravidanza. Tale eccezione sarebbe fondata su allegazioni e argomenti addotti oltre i termini di preclusione e quindi inammissibile, con la conseguenza che sopravvivrebbe la sostanziale non contestazione, da parte della Azienda sanitaria convenuta, della sussistenza della volonta' dell'attrice di interrompere la gravidanza nel caso di notizie di malformazioni del nascituro. Nell'atto di appello la questione non sarebbe stata trattata (e i pertinenti capitoli di prova non sarebbero stati riproposti) in quanto ritenuta implicitamente superata dalla sentenza del Tribunale. Infatti poiche' tale questione aveva natura pregiudiziale - come riconosciuto anche dall'Azienda sanitaria convenuta che, sull'assenza di prova dell'effettiva volonta' di abortire nella situazione data, aveva formulato eccezione di inammissibilita' della domanda per mancanza dei presupposti - il Giudice di primo grado, essendosi pronunciato sulla condotta medica, doveva aver previamente ed implicitamente ritenuto sussistenti tutti i presupposti della domanda risarcitoria. In ogni caso, in sede di risposta all'appello incidentale formulato sul punto dall'Azienda ospedaliera, gli odierni ricorrenti avevano richiamato le allegazioni formulate in primo grado, sottolineando che le stesse non erano state contestate da parte convenuta. La Corte d'appello avrebbe inoltre omesso di considerare che dalla prima ctu emergeva la ferma volonta' del padre di ricorrere all'aborto terapeutico, e che quindi non sarebbe stato pensabile, in mancanza di specifici argomenti contrari, che la madre avrebbe comunque voluto proseguire la gravidanza nonostante il sentimento contrario del marito convivente. Infine, la Corte di merito avrebbe pure tralasciato la relazione peritale di parte, richiamata anche nella prima ctu, dalla quale sarebbe emersa la certezza dell'opzione abortiva nel caso di conoscenza della malformazione del feto. 4.1.1. Il motivo e' infondato, Occorre premettere che, benche' l'articolo 115 c.p.c., comma 2, non trovi applicazione ai giudizi instaurati prima dell'entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 - come il presente giudizio, instaurato con atto di citazione notificato il 30 dicembre 2005 - il principio di non contestazione e' applicabile anche ai giudizi antecedenti alla L. n. 69, avendo questa recepito il previgente principio giurisprudenziale in forza del quale la non contestazione determina effetti vincolanti per il giudice, il quale deve ritenere sussistenti i fatti non contestati, astenendosi da qualsivoglia controllo probatorio in merito agli stessi (Cass. civ., Sez. III, 20/12/2021, n. 40756; Cass. civ. 27 febbraio 2020, n. 5429). Trattandosi di giudizio instaurato prima dell'entrata in vigore della nuova disposizione, resta peraltro ferma l'acquisizione della giurisprudenza nel senso che la mancata contestazione dei fatti costitutivi della domanda vincola il giudice a ritenerli sussistenti soltanto se si tratti di fatti primari (cioe' costitutivi, modificativi, impeditivi od estintivi del diritto fatto valere in giudizio dall'attore o dal convenuto che agisca in riconvenzionale), mentre i fatti secondari - vale a dire quelli dedotti in mera funzione probatoria - possono essere contestati in ogni momento e dunque anche per la prima volta nel giudizio di appello, alla stessa stregua delle eccezioni in senso lato (cfr. Cass. Sez. Un. 761 del 2002 e, ex multis, Cass. civ. n. 2040 del 2019 e Cass. civ. n. 32403 del 2019). La giurisprudenza ha poi precisato che l'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte e dedotti nel processo, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. civ., Sez. Lavoro, ord. n. 2174 del 1 febbraio 2021; Cass. civ., Sez. Lavoro, n. 87 del 4 gennaio 2019; Cass. civ., Sez. III, n. 3576 del 13 febbraio 2013; Cass. civ., Sez. III, n. 14652 del 18 luglio 2016). Nel caso in esame risulta evidente che l'allegazione della ricorrente relativa al fatto che la Rondella, ove messa a conoscenza della malformazione del feto, avrebbe certamente optato per l'interruzione della gravidanza, non rientrava nella sfera di conoscibilita' della struttura sanitaria e della compagnia assicuratrice di quest'ultima, con la conseguenza che non si poteva imporre loro di assumere una specifica posizione sulla predetta allegazione. Allo stesso modo, sia l'Azienda sanitaria convenuta, sia la compagnia assicuratrice non avrebbero potuto contestare specificamente le circostanze dedotte dai ricorrenti al fine di provare l'esistenza della volonta' della (OMISSIS) di abortire, consistenti nelle confidenze fatte da quest'ultima ad amici e familiari. Si tratta di fatti secondari, come tali non soggetti, secondo l'orientamento sopra riportato, all'obbligo di tempestiva contestazione. Pertanto, non essendo applicabile il principio di non contestazione, non poteva ritenersi pacifica, e avrebbe dovuto formare oggetto di prova, la circostanza che la (OMISSIS), laddove informata dell'esistenza di malformazioni del feto, avrebbe effettivamente esercitato l'opzione abortiva. Correttamente quindi la sentenza impugnata ha rigettato la domanda risarcitoria del danno da nascita indesiderata, rilevando la mancanza di prova in ordine ad uno degli elementi costitutivi della fattispecie. Ne' tale prova poteva desumersi, come sostengono i ricorrenti, dalle relazioni peritali richiamate (la prima ctu e la perizia di parte a cui la (OMISSIS) si era sottoposta prima dell'inizio del giudizio), che si limitano a descrivere lo stato psichico dei coniugi Massetti dopo la nascita della bambina, ma non chiariscono (e non potrebbe essere diversamente) quale sarebbe stata la loro scelta nel caso in cui fossero stati messi a conoscenza della malformazione del feto. 4.2. Con il secondo motivo del ricorso principale, si lamenta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita' della sentenza in relazione agli articoli 343 e 346 c.p.c., articoli 112 e 345 c.p.c., nonche' articolo 342 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 2. L'appello incidentale proposto dall'Azienda sanitaria sarebbe stato viziato, difettando del requisito essenziale, previsto dall'articolo 342 c.p.c., comma 1, n. 1, della indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado. Pertanto, essendosi il giudice pronunciato implicitamente sulla sussistenza, nel caso di specie, di tutti i requisiti per l'esercizio dell'aborto terapeutico e mancando una valida impugnazione sul punto, risulterebbe definitivamente accertato il requisito della sicura volonta' abortiva della (OMISSIS) nell'ipotesi di conoscenza di malformazioni del nascituro. Ne' la Corte avrebbe potuto rilevare d'ufficio la mancanza di tale requisito, in mancanza di specifiche allegazioni e produzioni documentali tempestivamente introdotte in giudizio da parte della convenuta. 4.2.1. Il motivo sarebbe inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto i ricorrenti non indicano in quale sede, nel giudizio di secondo grado, avrebbero eccepito l'inammissibilita' dell'appello ex articolo 342 c.p.c., comma 1, n. 1. Ma ove si potesse passare all'esame del motivo esso sarebbe comunque infondato. In primo luogo, diversamente da quel che sostengono i ricorrenti, sull'esistenza dei requisiti legittimanti l'aborto terapeutico non si era formato alcun giudicato. Infatti il Tribunale si era limitato a rigettare la domanda risarcitoria da nascita indesiderata sulla scorta dell'assenza del diverso e concorrente presupposto della colpa dei sanitari, senza che cio' implicasse alcuna pronuncia implicita sulla effettiva possibilita' e volonta' da parte della (OMISSIS) di interrompere la gravidanza a fronte della conoscenza di malformazioni del feto. Inoltre, l'appello incidentale era privo dei vizi (tardivamente) dedotti, potendosi da esso evincere sia le censure mosse alla sentenza (l'omessa pronuncia sull'esistenza dei presupposti per l'esercizio dell'aborto terapeutico) sia la decisione che si voleva ottenere dalla Corte d'appello (il rigetto della domanda risarcitoria del danno da nascita indesiderato). In ogni caso, anche se l'appello incidentale fosse stato inammissibile, il giudice, nell'esercizio della sua potestas decidendi, avrebbe comunque dovuto rilevare, indipendentemente dall'iniziativa della controparte, la presenza o la mancanza degli elementi caratterizzanti l'efficacia costitutiva della pretesa risarcitoria, cio' attenendo all'obbligo di esatta applicazione della legge (Cass. 20/08/2003, n. 12265; Cass. 22/03/2007 n. 6945). 4.3. Con il terzo motivo del ricorso principale, si eccepisce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita' della sentenza in relazione all'articolo 112 c.p.c., articoli 2043 2049, 2059 c.c., per non aver provveduto in ordine alla domanda di risarcimento dei danni derivanti agli attori dalla violazione dell'obbligo di corretta e tempestiva informazione sulle risultanze dell'ecografia, nonche' dalla lesione del diritto della (OMISSIS) all'autodeterminazione, con relativa ripercussione negativa sulla persona del marito. danno da nascita desiderata avrebbe rappresentato solo una parte della domanda risarcitoria dei coniugi (OMISSIS), avendo gli stessi prospettato anche il danno da mancata corretta informazione in ordine alle malformazioni del feto. Tale danno si sarebbe risolto, oltre che nella devastante sorpresa della grave condizione invalidante di (OMISSIS), anche in un danno di natura psichica di entrambi i genitori, con rilevanti aspetti negativi sulla vita anche relazionale degli stessi, che costituivano ulteriore e diversa conseguenza rispetto a quella dell'impedimento all'interruzione della gravidanza. 4.3.1. Il motivo e' fondato. Questa corte intende dar seguito all'orientamento ormai consolidato che ha riconosciuto l'autonoma rilevanza ai fini della eventuale responsabilita' risarcitoria della mancata prestazione del consenso da parte del paziente, e che ha espressamente ritenuto che la violazione da parte del medico del dovere di informare il paziente puo' causare due diversi tipi di danno: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonche' un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale diverso dalla lesione del diritto alla salute. Cio' e' a dirsi nell'ottica della legittima pretesa, per il paziente di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze dell'intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso che la nostra costituzione sancisce il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell'integrita' della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive. Ad una corretta e compiuta informazione consegue, difatti: a) Il diritto, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico; b) la facolta' di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari; c) la facolta' di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrono maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze post operatorie; d) il diritto di rifiutare l'intervento o la terapia e/o di decidere consapevolmente di interromperla; e) la facolta' di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell'intervento, ove queste risultino, sul piano post operatorio riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili (per il medico) quanto inaspettate (per il paziente) a causa dell'omessa informazione (Cass. 7248/2018). Il danno da lesione dell'autodeterminazione e' stato riconosciuto come danno risarcibile in via autonoma rispetto a quello biologico con riferimento a fattispecie di omessa tempestiva diagnosi di patologie ad esito comunque infausto. In presenza, dunque, di colpevoli ritardi nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l'area dei danni risarcibili non si esaurisce nel pregiudizio recato alla integrita' fisica del paziente, ma include la perdita di un "ventaglio" di opzioni, con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima, ovvero "non solo l'eventuale scelta di procedere (in tempi piu' celeri possibili) all'attivazione di una strategia terapeutica, o la determinazione per la possibile ricerca di alternative d'indole meramente palliativa, ma anche la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico senza ricorrere all'ausilio di alcun intervento medico in attesa della fine". Tali principi, mutatis mutandis, possono ritenersi in astratto applicabili anche quando l'omessa diagnosi non riguarda una patologia ad esito infausto, bensi', come nella specie, una malformazione del feto. In questo caso, i danni risarcibili potrebbero consistere nella perdita della possibilita' di optare per l'interruzione della gravidanza (sussistendone i presupposti legittimanti), ma anche nell'impossibilita' di assumere una serie di altre scelte finalizzate a prepararsi ad affrontare l'evento temuto (la nascita del bambino affetto dalla malformazione), come ad esempio il ricorso per tempo ad una psicoterapia o la tempestiva organizzazione della vita in modo compatibile alle future esigenze di cura del figlio. In tema di responsabilita' del medico chirurgo, la diligenza nell'adempimento della prestazione professionale deve essere valutata assumendo a parametro non la condotta del buon padre di famiglia, ma quella del debitore qualificato, ai sensi dell'articolo 1176 c.c., comma 2, con la conseguenza che, in presenza di paziente con sintomi aspecifici, il sanitario e' tenuto a prenderne in considerazione tutti i possibili significati ed a segnalare le alternative ipotesi diagnostiche (Cfr. Cass. 30999/2018). Inoltre in tema di responsabilita' medica, il sanitario che formuli una diagnosi di normalita' morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l'obbligo d'informare la paziente della possibilita' di ricorrere ad un centro di piu' elevato livello di specializzazione, in vista dell'esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti (Cass. 30727/2019). Al riguardo la prova, pur se incombente sulla parte attrice, lamentandosi la mancata informazione da parte del medico, non puo' che essere di natura presuntiva quanto al grave pericolo per la salute psichica della donna che costituisce la condizione richiesta dalla legge per l'interruzione di gravidanza (Cass. 15386/2011). Ad una corretta informazione consegue la facolta' di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell'intervento, ove queste risultino, sul piano post operatorio riabilitativo, particolarmente gravoso e foriere di sofferenze prevedibili quanto inaspettate per il paziente a causa dell'omessa informazione. I,a Corte territoriale ha omesso di applicare i predetti principi nella sentenza impugnata nonostante i ricorrenti abbiano sollevato la questione relativa alla violazione del consenso informato e del diritto all'autodeterminazione (cfr. pag. 39 ricorso principale). Inoltre, lo sconvolgimento emotivo al momento della nascita e' provato dal riconoscimento di un danno biologico del 15% (insorto posi partunt) della madre/che e' stata privata del diritto non di abortire, ma anche di prepararsi consapevolmente ad una nascita malformata con violazione del diritto di autodeterminazione. Pertanto il giudice in sede di rinvio applichera' al caso di specie i predetti principi. 5. Ricorso incidentale condizionato. 5.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale, l'Azienda socio-sanitaria lamenta, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli articoli 1218, 1167 e 2697 c.c., nonche', in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell'articolo 132 c.p.c.. La Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che, essendovi secondo i ctu, il 50% di possibilita' di cogliere la malformazione tramite l'esame ecografico, allora la Azienda sanitaria avrebbe dovuto provare di aver fatto il possibile. Il giudice di secondo grado avrebbe omesso di considerare che il Tribunale, sulla scorta delle risultanze delle ctu, aveva accertato la prova positiva del proprio adempimento e che pertanto l'Azienda sanitaria non aveva alcun onere di dimostrare la non imputabilita' dell'evento. Inoltre sarebbe apoditticamente e illogicamente motivata la sentenza nella parte in cui afferma che la struttura ospedaliera richiesta di un esame ecografico sul feto sarebbe sempre e comunque tenuta a indirizzare la gestante verso centri specializzati. In realta', la giurisprudenza riconosce un tale obbligo da parte della struttura sanitaria solo nel caso in cui essa assuma una prestazione diagnostica pur non disponendo di attrezzature all'uopo adeguate. Inoltre, nel caso di specie, l'attrice non aveva lamentato di essere affetta da particolari patologie e di essersi rivolta all'Azienda sanitaria per una prestazione diagnostica specialistica, in relazione alle quali le attrezzature utilizzate si sarebbero rilevate inadeguate, ma ha solo allegato di aver svolto prestazioni diagnostiche di routine durante la gravidanza. 5.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, si lamenta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. 194 del 1978, articoli 6 e 7. La Corte d'appello avrebbe errato nel riconoscere provata la sussistenza di un pericolo di danno grave alla salute della donna, quale presupposto legittimante dell'esercizio dell'aborto terapeutico. Innanzitutto, secondo la ricorrente incidentale, il danno biologico riscontrato ex post dal ctu sulla Rondella (pari al 12-13%) sarebbe di modesta entita'. In ogni caso, la giurisprudenza di legittimita' ha ripetutamente affermato che la verifica dell'esistenza - all'epoca dell'assunto diritto all'interruzione di gravidanza - del grave pericolo per la salute della donna va condotta ex ante, mentre il danno che si e' effettivamente verificato successivamente non puo' avere valore decisivo, ma solo indiziario. Nel caso di specie, invece, i giudici dell'appello avrebbero attribuito valore decisivo al danno biologico accertato ex post dal ctu, in assenza di altri elementi indiziari, mai neppure allegati dalla controparte. 5.3. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, si lamenta la nullita' della sentenza ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione dell'articolo 132 c.p.c. L'assunto secondo cui le risultanze della c.t.u. confermerebbero ex post il grave danno alla salute della donna sarebbe motivato in modo del tutto illogico ed incoerente si' da integrare una motivazione apodittica ed illogica. Contrariamente a quanto affermato dalla Corte d'appello, la Corte di cassazione non avrebbe mai avallato, al fine di accertare il requisito della sussistenza del grave pericolo alla salute della donna, il ricorso alla situazione accertata successivamente alla nascita del bambino malformato. Il precedente richiamato dalla sentenza impugnata si limiterebbe infatti ad affermare che l'onere di prova di tale requisito puo' essere assolto tramite presunzioni. Inoltre l'affermazione per cui il danno biologico accertato ex post "si sarebbe semplicemente anticipato se la comunicazione della malformazione fosse stata tempestivamente data" appare del tutto arbitraria e basata su una mera opinione del giudicante. 6. I primi due motivi sono assorbiti dal rigetto del primo e secondo motivo del ricorso principale. 6.1. Il terzo motivo del ricorso incidentale e' inammissibile. Si richiede infatti una rivalutazione dei dati fattuali e in particolare probatori, il cui giudizio rimane nella piena discrezionalita' del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimita'. 7. Pertanto, la Corte rigetta i primi due motivi del ricorso principale, accoglie il terzo motivo, cassa in relazione la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d'Appello di Brescia in diversa composizione personale. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. 7.1. Infine, poiche' il ricorso e' stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto - ai sensi della L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1-quater del testo unico, (e mancando la possibilita' di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) - della sussistenza dell'obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione. P.Q.M. la Corte rigetta i primi due motivi del ricorso principale, accoglie il terzo motivo, cassa in relazione la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d'Appello di Brescia in diversa composizione personale. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato articolo 13, comma 1-bis.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente Dott. CRISCUOLO Anna - rel. Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/03/2022 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Anna Criscuolo; sentite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Picardi Antonietta, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; sentito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha depositato dichiarazione di rinuncia alla prescrizione proveniente dal ricorrente e ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Decidendo in sede di rinvio, disposto dalla Seconda Sezione di questa Corte con sentenza n. 7809 del 4 dicembre 2019, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di assoluzione emessa il 12/01/2017 all'esito di giudizio abbreviato dal G.u.p. del Tribunale di Asti, appellata dal P.m., ha dichiarato (OMISSIS) responsabile del reato di cui all'articolo 56 c.p. e Decreto Legislativo n. 231 del 2007, articolo 55 e, riconosciute le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di mesi 4 di reclusione e 1.200 Euro di multa, concessi i doppi benefici. All'imputato si addebita di aver tentato piu' volte di utilizzare le carte di credito, provento di furto in danno di (OMISSIS), per prelevare contante mediante piu' operazioni presso sportelli bancomat senza, tuttavia, riuscirvi a causa del blocco automatico conseguente al ripetuto errato inserimento dei codici, segnalato al titolare del conto corrente. Nel prendere atto dei rilievi di questa Corte, che aveva censurato la precedente sentenza di appello per mancanza di motivazione rafforzata e di un puntuale confronto con gli elementi posti dal primo giudice a base del giudizio assolutorio, la Corte di appello ha dapprima proceduto alla rinnovazione istruttoria mediante audizione della persona offesa (OMISSIS) e della sua convivente (al fine di acquisire piu' precise informazioni sul furto del portafogli, sulla tempistica dei tentativi di prelevamento e sul rinvenimento del portafogli sotto lo zerbino della sua abitazione), del figlio dell'imputato (OMISSIS) (al fine di comprendere quanto accaduto, mentre attendeva in macchina il padre) e della ex moglie dell'imputato nonche' all'esame dell'imputato, per poi procedere, esaminate le memorie difensive, a destrutturare la sentenza di primo grado e, delimitato il perimetro del giudizio di rinvio al reato di indebito utilizzo di carte di credito, essendo preclusa ogni valutazione in merito al reato di furto, dichiarato non procedibile per mancanza di querela, ha, in primo luogo, escluso la sussistenza della situazione di pericolo per il figlio, descritta dall'imputato nell'interrogatorio reso dopo la chiusura delle indagini e ritenuta integrare lo stato di necessita', posto dal primo giudice a base dell'assoluzione, non avendone trovato conferma nelle testimonianze del figlio e della ex moglie. La Corte di appello ha, quindi, fondato l'affermazione di responsabilita' dell'imputato sui seguenti elementi: a) le risultanze dei filmati estrapolati dal sistema di videosorveglianza posto presso lo sportello Bancomat della Banca Popolare di Milano, che lo riprendevano mentre tentava in piu' occasioni di prelevare denaro previa consultazione di numerosi foglietti in orari compatibili con le segnalazioni pervenute alla persona offesa e riportate in denuncia; b) il mancato rilevamento della presenza di altri soggetti nei pressi, nonostante l'ampio raggio delle riprese; c) la tranquillita' dell'imputato; d) la consultazione di piu' foglietti prima di digitare i codici; e) la ripetizione dell'operazione dopo nuova consultazione dei foglietti, trattandosi di elementi inconciliabili con la versione dell'imputato, secondo la quale sarebbe stato costretto ad effettuare prelevamenti con le carte e i codici annotati sui fogli consegnatigli da due uomini, uno dei quali posizionatosi presso il lato passeggero della sua autovettura, occupato dal figlio, che lo aveva indotto a temere per l'incolumita' del ragazzo. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore del (OMISSIS), che articola sette motivi. 2.1 violazione degli articoli 62 e 63 c.p.p., articolo 350 c.p.p., comma 7, articolo 357 c.p.p., comma 2, lettera b), articolo 191 c.p.p. nonche' mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'utilizzabilita' della relazione a firma del Maggiore Segreto del 14 luglio 2016. La Corte di appello, senza pronunciarsi sul punto, ha ammesso alcune domande all'imputato su detta relazione, l'ha utilizzata e posta a base della motivazione per escludere la sussistenza dello stato di necessita'. Si obietta che le argomentazioni della Corte di appello sono errate, in quanto la relazione e' affetta da inutilizzabilita' patologica, atteso che quando rese le dichiarazioni al suo superiore il (OMISSIS) era gia' indagato e di cio' il Maggiore Segreto era a conoscenza, risultando dalla stessa relazione, successiva all'avvio delle indagini. Le dichiarazioni sono inutilizzabili perche' ricevute dal superiore in violazione dei divieti e delle garanzie previste dagli articoli 62 e 63 c.p.p. e la versione resa non puo' considerarsi riferita al di fuori di ogni contesto procedimentale. Neppure possono ritenersi dichiarazioni spontanee ex articolo 350 c.p.p., comma 7, non risultando dalla relazione, redatta quale nota interna riservata circa sei mesi dopo il colloquio, la precisa indicazione del giorno e dell'ora in cui sarebbe avvenuto il colloquio, sicche' la mancata verbalizzazione e sottoscrizione costituisce violazione dell'articolo 357 c.p.p., comma 2, lettera b) e rientra nell'inutilizzabilita' di cui all'articolo 191 c.p.p. Il documento non puo' valere come testimonianza indiretta del militare per violazione degli articoli 62 e 63 c.p.p. e articolo 195 c.p.p., comma 4, non essendo le dichiarazioni avvenute al di fuori di ogni contesto procedimentale, in quanto nel gennaio 2016 il (OMISSIS) era gia' indagato e invitato a rendere l'interrogatorio al P.m. Cio' nonostante, la Corte di appello ha ritenuto utilizzabile la dichiarazione del (OMISSIS) in quanto l'imputato avrebbe accettato di rendere dichiarazioni su tale prova contraria prodotta dal P.m., ma si ribadisce che l'inutilizzabilita' patologica che colpisce dette dichiarazioni e' rilevabile in ogni stato e grado del processo ed e' relativa ad un elemento probatorio utilizzato dalla Corte di appello per riformare la sentenza di primo grado e per escludere la scriminante di cui all'articolo 54 c.p.. 2.2 erronea applicazione della sentenza di questa Corte di cassazione in relazione all'articolo 648 c.p., comma 2, e articolo 627 c.p.p., comma 3, in relazione all'articolo 624 c.p.. Si sostiene che poiche' questa Corte ha annullato con rinvio la precedente sentenza di appello per mancanza di motivazione rafforzata, ritenendo assorbiti gli altri motivi di gravame, sulle censure formulate non solo in relazione all'affermazione di responsabilita', ma anche in relazione alla derubricazione del reato di ricettazione in furto, non si e' formato alcun giudicato interno, a differenza di quanto affermato in sentenza. 2.3 Inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 54 c.p. e vizi della motivazione per avere la Corte di appello escluso lo stato di necessita' in base ad argomentazioni erronee. Si assume che se e' vero che lo stato di necessita' non puo' essere invocato a favore di colui che ha un particolare dovere di esporsi al pericolo, come sostenuto dalla Corte di appello, e' altresi' vero che la scriminante si applica se colui su cui grava un particolare dovere giuridico agisce in stato di necessita' per salvare terze persone e nel caso di specie il (OMISSIS) ha agito per salvaguardare l'incolumita' del figlio. Quanto alla tesi esposta in sentenza secondo la quale, derivando il pericolo da un'offesa ingiusta altrui avrebbe legittimato la legittima difesa e non lo stato di necessita', si afferma che il pericolo attuale che legittima la reazione in stato di necessita' puo' provenire anche dalla condotta di un terzo, sicche' e' errata la valutazione della Corte, che non ha tenuto conto dei presupposti applicativi della scriminante di cui all'articolo 54 c.p.. 2.4 Vizi della motivazione in ordine alla responsabilita' dell'imputato, inosservanza dell'obbligo di motivazione rafforzata e omessa valutazione di prove ritenute decisive dal primo giudice o di prove acquisite nel giudizio di rinvio, che avrebbero condotto all'assoluzione dell'imputato ed erronea applicazione degli articoli 52- 54 c.p.. La Corte di appello ha ritenuto utilizzabile la dichiarazione mendace resa al Maggiore Segreto, sebbene affetta da inutilizzabilita' patologica per quanto esposto in precedenza, senza confrontarla con il restante materiale probatorio per valutarne la verosimiglianza. Infatti, dalla testimonianza del (OMISSIS) e della (OMISSIS), moglie separata del (OMISSIS), risulta che i due non si sono mai conosciuti; che il portafoglio fu rubato al (OMISSIS) da ignoti e non dall'imputato, con conseguente inesistenza dell'accusa di furto, e fu riportato dal (OMISSIS) a casa del (OMISSIS) grazie ad informazioni assunte presso l'Anagrafe. La versione resa dall'imputato al suo superiore e' incompatibile con le dichiarazioni del (OMISSIS), della (OMISSIS), moglie della persona offesa, e della (OMISSIS), in quanto se i testimoni non si conoscono e' impossibile che il (OMISSIS) fosse stato a casa della (OMISSIS) e che li' il (OMISSIS) avrebbe rubato il portafoglio della vittima e utilizzato il bancomat per renderli inservibili e vendicarsi della moglie. Quanto alla inattendibilita' della versione dell'imputato per contrasto con le dichiarazioni del figlio e della moglie separata, si obietta che la Corte ha valorizzato un passaggio delle dichiarazioni del figlio, senza considerarle nella loro interezza e senza tener conto delle precedenti dichiarazioni rese al G.u.p., sicche' la testimonianza e' stata valutata in modo parziale e apoditticamente la Corte ha ritenuto non rilevanti le contestazioni ex articolo 500 c.p.p. per la sicurezza mostrata dal teste, invece, mostratosi incerto nei ricordi a causa del tempo trascorso. Inoltre, contrariamente a quanto riportato in sentenza, l'imputato nell'interrogatorio aveva affermato di aver visto il soggetto postosi a fianco della portiera della autovettura ove era seduto il figlio, ma non aveva sostenuto di aver pensato che il malvivente avesse parlato con il figlio, bensi' di averglielo chiesto solo perche' il ragazzo glielo aveva accennato. Illogicamente la Corte ha ritenuto poco comprensibile la decisione dell'imputato di non raccontare a nessuno l'accaduto, invece, giustificata dal timore per l'incolumita' del figlio di cui i malviventi conoscevano il luogo di residenza. Altrettanto illogica e' la motivazione resa relativamente alla testimonianza della moglie perche' la Corte non tiene conto del clima familiare dopo la separazione e non considera la spiegazione del timore per l'incolumita' del figlio fornita nell'interrogatorio. Assertiva e' l'affermazione che non tutti gli sportelli bancomat sono assistiti da sistemi di registrazione, trattandosi di circostanza che si scontra la prassi e con l'argomento utilizzato in sentenza, richiamando la mancanza di sistema di videosorveglianza presso l'agenzia Unicredit dove fu effettuato il prelievo con la carta prepagata, invece, esistente come risulta dalla risposta dell'istituto alla richiesta del difensore. La Corte di appello ha ritenuto irrilevante la restituzione del portafoglio al (OMISSIS) presso il nuovo indirizzo, considerata un post factum, invece, valorizzata dal primo giudice quale elemento logico di ulteriore conferma che il (OMISSIS) aveva agito sotto minaccia dei due malviventi, altrimenti non si sarebbe esposto al rischio di essere scoperto. La Corte ha reso una motivazione apparente poiche' non ha detto nulla delle ulteriori condotte non addebitabili all'imputato, ma a terzi, ne' ha valutato il documento proveniente dalla Banca Cassa di Risparmio di Asti da cui emerge che non e' stata rilevata la presenza del soggetto investigato nei pressi dello sportello automatico o nelle immediate adiacenze. Si contesta la mancanza di motivazione rafforzata per non avere la Corte di appello chiarito perche' sia preferibile la versione resa dall'imputato al proprio superiore rispetto a quella resa nell'interrogatorio; ha utilizzato argomenti contraddittori e illogici, ricavando dalle riprese lo stato d'animo del (OMISSIS), sebbene il viso sia ripreso solo per pochi secondi; ha valorizzato l'assenza di altre persone, evidentemente postesi in condizione di non essere riprese e non ha tenuto conto che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, dal video risulta che l'imputato ha girato la testa verso la propria autovettura in due occasioni a riprova della sussistenza della situazione di pericolo descritta. 2.5 Erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2007, articoli 56 e 55 mancata derubricazione nel reato di cui all'articolo 635 c.p. e mancata assoluzione nonche' vizi cumulativi della motivazione. Non sussiste il reato contestato mancando nella condotta del (OMISSIS) la finalita' di profitto sia secondo la versione dell'imputato, in quanto si sarebbe limitato a fingere di assecondare le richieste dei malfattori, digitando codici errati e confidando nel blocco delle carte di credito, sia secondo la versione resa al superiore, in quanto aveva solo intenzione di bloccare le carte per fare un dispetto al nuovo compagno della ex moglie; in ogni caso la condotta potrebbe al piu' integrare il reato di danneggiamento, ormai depenalizzato. 2.6 Inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 131-bis c.p. e vizi di motivazione per insussistenza di danni, patrimoniali e non, diversi dal mero blocco delle carte di credito; per mancata considerazione dell'incensuratezza dell'imputato, del comportamento successivo al reato con restituzione del portafoglio al (OMISSIS) e dell'occasionalita' del fatto. 2.7 Inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 62 n. 4 c.p. e vizi di motivazione per avere la stessa persona offesa escluso che nel proprio portafoglio vi fossero bigliettini con annotazione dei codici delle due carte di credito utilizzate dall'imputato, mentre vi era quello della carta prepagata utilizzata dai malviventi per prelevare 50 Euro. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e, in mancanza della dichiarazione dell'imputato di rinuncia alla prescrizione, presentata in udienza, l'esito del processo sarebbe stato obbligato ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., risultando ormai maturato il termine di prescrizione del reato. E', pertanto, imposto l'esame approfondito dei motivi di ricorso. Il primo, il terzo e il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente, in quanto con varie declinazioni affrontano sempre lo stesso tema ovvero l'attendibilita' della versione resa dall'imputato nell'interrogatorio dell'aprile 2016, ritenuta credibile dal primo giudice, che su di essa aveva fondato il giudizio assolutorio, e l'inverosimiglianza della versione resa al suo superiore Maggiore Segreto, trasfusa nella relazione del 14 luglio 2016, affetta da inutilizzabilita' patologica. 2. Il primo motivo, con il quale si denuncia l'inutilizzabilita' di detta relazione, e' infondato. A differenza di quanto sostenuto nel ricorso, la Corte di appello non ha affatto posto a fondamento della decisione la versione resa dall'imputato al Maggiore Segreto, trasfusa in detta relazione, avendo fondato il giudizio di responsabilita' sui dati oggettivi, tratti dalle immagini dei filmati del sistema di videosorveglianza posto nei pressi dello sportello bancomat ove furono effettuati i tentativi di prelevamento. Tuttavia, poiche' la Corte di appello ha utilizzato la relazione solo quale ulteriore elemento di conferma dell'inattendibilita' della versione "ufficiale" resa dall'imputato, il tema va affrontato, non senza rilevare che: a) questa Corte nella sentenza rescindente non ha dichiarato l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni spontanee rese dall'indagato, benche' fosse oggetto del primo motivo di ricorso; b) l'eccezione si fonda su un'erronea impostazione, in quanto la relazione viene collocata nell'ambito del procedimento, mentre la stessa non ha una simile valenza. Lo si ricava testualmente dalla circostanza che si tratta di una nota interna, riservata, diretta al Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Asti, redatta dal Maggiore Segreto sei mesi dopo la notificazione dell'invito a comparire inviato dalla Procura della Repubblica di Asti al (OMISSIS) per rendere interrogatorio, nella quale il Segreto riferiva cio' che aveva appreso dal (OMISSIS), il quale aveva inteso rendergli la sua versione dei fatti nel gennaio 2016. Dal documento prodotto dalla difesa e allegato al ricorso (allegato n. 3) emerge che nella nota il Maggiore Segreto dava atto che, dopo aver appreso dell'invito a comparire recapitato al (OMISSIS) in qualita' di persona sottoposta ad indagini, questi si era presentato nel suo ufficio e gli aveva chiesto la disponibilita' ad ascoltare la sua versione dei fatti per i quali era indagato. Risulta, pertanto, indubbio che il (OMISSIS) si presento' spontaneamente e altrettanto spontaneamente intese rendere spiegazioni e offrire la sua versione dei fatti al suo superiore, che non lo aveva convocato, non era in alcun modo coinvolto nelle indagini, delegate alla Polizia di Stato, non era incaricato di notificare l'invito a comparire o di assumere l'interrogatorio, sicche' non vi e' ragione di ritenere la relazione inserita nel contesto procedimentale e di ritenere inutilizzabili le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) in quella occasione. E', quindi, fuorviante la prospettazione difensiva a fronte di dichiarazioni rese spontaneamente nel corso di un colloquio informale, frutto di un'autonoma iniziativa del (OMISSIS), al di fuori del procedimento e, pertanto, non verbalizzate. Ma, quand'anche si volesse considerarle nel senso prospettato dalla difesa, le dichiarazioni non sarebbero inutilizzabili secondo l'orientamento di questa Corte che reputa utilizzabili nella fase procedimentale, e, dunque, nell'incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta, le spontanee dichiarazioni rese dall'indagato, in assenza del difensore e senza gli avvisi ex articolo 64 c.p.p., alla polizia giudiziaria e non verbalizzate, purche' emerga con chiarezza che l'indagato abbia scelto di renderle liberamente ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione (Sez. 2, n. 22962 del 31/05/2022, Nacchia, Rv. 283409; Sez. 3, n. 15798, del 30/04/2020, Rv. 279422; Sez. 4, n. 45582, del 28/10/2021, La Corte ed altro, n. m.; Sez. 1, n. 36842, del 14/04/2021, Pizziconi, n. m.; Sez. 1, n. 28975, del 22/04/2021,L, n. m.; Sez. 2, n. 16382, del 18/03/2021, Canino, n. m.). E cio' in quanto l'articolo 350 c.p.p., comma 7, ne limita l'inutilizzabilita' esclusivamente al dibattimento. Ne' puo' risultare operante il divieto di testimonianza degli ufficiali di p.g. sulle dichiarazioni spontanee rese dall'indagato, previsto dall'articolo 62 c.p.p., per essere il divieto circoscritto alle dichiarazioni rese nel corso del procedimento, in cio' dovendo ritenersi inclusi i soli casi in cui le dichiarazioni dell'indagato o dell'imputato vengano assunte in occasione del compimento di uno specifico atto del procedimento, sia esso un interrogatorio o un esame o un altro atto, e vengano ricevute da uno dei soggetti investiti di una qualifica processuale- ivi inclusa quella di ufficiale o agente di polizia giudiziaria - per una ragione connessa al procedimento: quindi, il divieto non opera al di fuori del contesto procedimentale relativo al fatto addebitato (Sez. 5, n. 38457 del 17/05/2019, Archinito, Rv. 277093; Sez. 1, n. 15760 del 20/01/2017, Capezzera, Rv. 269574). Ne deriva che dalla mera pendenza del procedimento a carico del ricorrente nel momento in cui rese la sua versione dei fatti al superiore non possono derivare le conseguenze invalidanti evocate dalla difesa, specie laddove si consideri che l'imputato nel corso dell'esame ha accettato di rispondere a domande sul contenuto della relazione, consentendo di utilizzarla quale elemento probatorio (pag. 21 sentenza impugnata), sebbene nei limiti di cui si e' detto in precedenza. 3. Alla luce dei rilievi di questa Corte, la Corte di appello si e' attenuta ai principi dettati in tema di motivazione rafforzata, secondo i quali la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l'insostenibilita' sul piano logico e giuridico degli argomenti piu' rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 2006, Aglieri, Rv. 233083). Cio' ha fatto la Corte di appello, non limitatasi a sovrapporre la propria valutazione a quella del primo giudice, ma confrontandosi con tutte le argomentazioni utilizzate dal primo giudice, che aveva accordato credito alla versione resa dall'imputato nell'interrogatorio successivo all'avviso ex articolo 415-bis c.p.p. e aveva ritenuto scriminata la condotta per avere egli agito in stato di necessita', dimostrando l'incongruenza logica e la fallacia del ragionamento probatorio e giuridico svolto dal G.u.p. sia in base ad elementi non attentamente considerati, sia in base alle risultanze della rinnovazione istruttoria disposta. 3.1 Il primo giudice aveva ritenuto credibile che l'imputato, ufficiale della Guardia di Finanza, consapevole della presenza di telecamere nei pressi dello sportello bancomat e, quindi, certo di essere ripreso, fosse stato costretto ad effettuare prelevamenti di contante con le carte di credito consegnategli insieme ad alcuni foglietti con l'annotazione di codici da due malfattori, uno dei quali si era posto vicino alla sua autovettura lato passeggero ove sedeva il figlio e, accortosi che agivano in concorso, avendo notato lo scambio di occhiate tra i due, aveva temuto per l'incolumita' del figlio. Secondo il narrato del (OMISSIS), il complice gli aveva intimato di effettuare prelievi con le due carte e i codici scritti su due foglietti, ma egli aveva digitato volutamente codici errati in modo da causare il blocco delle carte e, recuperato il portafoglio in cui il malfattore aveva riposto le carte, strappandoglielo dalle mani non appena aveva visto il complice allontanarsi dall'auto, lo aveva poi restituito al titolare, individuato mediante i documenti di identita' custoditi nel portafoglio e tramite ricerche anagrafiche, grazie alle quali aveva individuato il nuovo indirizzo. Dal figlio aveva appreso che lo sconosciuto avvicinatosi all'autovettura aveva fatto commenti sulla felpa indossata dal ragazzo, che recava la scritta del suo paese e tale circostanza aveva consolidato i suoi timori, in quanto i malfattori conoscevano il luogo di residenza del figlio. Il primo giudice aveva ritenuto la versione dell'imputato credibile e confermata dalle dichiarazioni del figlio; non provato che egli fosse l'autore del prelievo di 50 Euro con la carta prepagata, non rinvenuta insieme al biglietto con annotazione del pin nel portafogli restituito al (OMISSIS), a riprova del fatto che la stessa non era mai venuta in possesso dell'imputato, che altrimenti l'avrebbe restituita; inutilizzabile la relazione a firma del Maggiore Segreto, nella quale questi dava atto che nel corso di un colloquio il (OMISSIS) gli aveva riferito di aver rinvenuto il portafogli del (OMISSIS) nel giubbotto prelevato per errore a casa della ex moglie, trattandosi della testimonianza indiretta di un ufficiale di polizia giudiziaria in ordine a dichiarazioni ricevute dall'indagato, non verbalizzate e relative alle ragioni per le quali il (OMISSIS) era stato destinatario dell'invito a comparire per rendere interrogatorio, quindi, affette da inutilizzabilita' patologica; inverosimile che il (OMISSIS) avesse agito nella consapevolezza di essere ripreso dalle telecamere senza travisarsi, rischiando il posto di lavoro ed esponendosi al rischio di essere scoperto, restituendo il portafogli al (OMISSIS). Aveva, pertanto, ritenuto scriminata la condotta per avere l'imputato ritenuto sussistente un pericolo attuale e incombente per l'incolumita' del figlio, integrante lo stato di necessita' oggettivo o quantomeno erroneamente, ma incolpevolmente, ritenuto tale. 3.2 Opposta la valutazione della Corte di appello, che ha ritenuto errato il ragionamento del primo giudice sulla sussistenza della scriminante, in quanto fondato unicamente sulle dichiarazioni dell'imputato, per il quale, peraltro, la scriminante non opera proprio per la qualita' e le funzioni svolte ex articolo 54 c.p., comma 2. In particolare, la Corte di appello ha censurato l'affidamento riposto dal G.u.p. solo sulla parola dell'imputato, senza considerare altri elementi di natura soggettiva, quali quelli ricavabili dalla versione resa al suo superiore, e di natura oggettiva, risultanti da un piu' approfondito esame dei filmati del sistema di videosorveglianza collocato presso la (OMISSIS) ove erano stati effettuati i tentativi di prelevamento. Correttamente la Corte territoriale ha considerato necessaria l'esistenza di riscontri oggettivi ai fini della sussistenza dell'esimente, dovendo il giudice verificare se la situazione oggettiva legittimava, anche putativamente, la condotta antigiuridica, non essendo sufficiente l'allegazione da parte dell'imputato dell'erronea supposizione della sussistenza di tale causa di giustificazione, che deve basarsi non gia' su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, bensi' su dati di fatto concreti, tali da giustificare l'erroneo convincimento di trovarsi in tale stato (Sez. 4, n. 2241 del 16/10/2019, dep. 2020, PG c/Zito, Rv. 277955). E' noto, peraltro, che ai fini dell'integrazione dell'esimente di cui all'articolo 54 c.p., e' necessario che il pericolo di un danno grave alla persona sia attuale ed imminente o, comunque, idoneo a fare sorgere nell'autore del fatto la ragionevole opinione di trovarsi in tale stato, non essendo all'uopo sufficiente un pericolo eventuale, futuro, meramente probabile o temuto; deve, inoltre, trattarsi di un pericolo non altrimenti evitabile e, al riguardo, l'operativita' della scriminante non puo' essere applicata sulla base di fatti sforniti di riscontri oggettivi e accertati in via presuntiva. L'analisi e' stata, pertanto, condotta in tale direzione, cercando riscontri della versione dell'imputato nelle dichiarazioni del figlio e dalla ex moglie, ma l'indagine ha avuto esito negativo. La Corte di appello ha, infatti, ritenuto che le dichiarazioni rese dall'imputato nell'interrogatorio e nel corso dell'esame non avessero trovato conferme nelle dichiarazioni rese dal figlio e dalla ex moglie nel giudizio di appello, risultando, anzi, contrastanti con la versione difensiva del (OMISSIS), atteso che il figlio aveva dichiarato: di essersi accorto della presenza di un uomo nei pressi dell'autovettura lato passeggero, che gli aveva fatto domande sulla maglietta indossata, facendo riferimento a (OMISSIS) ovvero alla sua citta'; di non saper precisare se il padre potesse aver visto la scena e, quando il padre era salito in macchina, non gli aveva chiesto nulla di quanto era accaduto. Tale versione e' stata ritenuta quella piu' credibile, risultando coerente con la situazione descritta dall'imputato e con l'affermazione di non aver visto l'uomo posto vicino all'auto parlare con il figlio, essendo logico che la sua attenzione fosse assorbita dal complice che gli aveva intimato di effettuare le operazioni allo sportello, sicche' non aveva motivo di pensare ad una situazione di rischio per il figlio. La Corte ha, inoltre, aggiunto che la versione del ragazzo era corroborata da un altro argomento logico, atteso che se lo sconosciuto gli avesse rivolto la parola avrebbe potuto rischiare di spaventarlo e di indurlo a chiedere aiuto al padre, cosi' da compromettere il buon esito dell'operazione illecita in corso. Dal rilievo accordato alla dichiarazione resa dinanzi alla Corte dal ragazzo ormai maggiorenne e' stata coerentemente desunta l'insussistenza della situazione di pericolo incombente per l'incolumita' del figlio descritta dall'imputato e della preoccupazione per la perdurante situazione di pericolo cui questi sarebbe stato esposto in ragione del fatto che i malviventi ne conoscevano il luogo di residenza, non essendovi alcun riscontro oggettivo del pericolo e del timore avvertito. Con valutazione lineare e logica e' stata ritenuta incompatibile con l'asserito allarme conseguente all'episodio la circostanza che il (OMISSIS) non ne avesse fatto parola con alcuno e che non avesse informato della situazione di pericolo in cui versava il figlio neppure la ex moglie, cui il ragazzo, all'epoca minorenne, era affidato in via esclusiva, ne' risultava verosimile che la donna non avesse chiesto spiegazioni all'ex marito, unico a potergliele fornire, quando il figlio era stato citato a comparire dinanzi all'autorita' giudiziaria. 3.3 Le obiezioni difensive dirette a censurare la mancata considerazione dei rapporti tesi tra i coniugi separati si infrangono contro la valutazione espressa in sentenza (pag. 24), laddove si evidenzia l'insostenibilita' della versione resa dalla donna, tanto da apparire una madre inadeguata a tutelare il figlio da situazioni di pericolo addirittura riconducibili all'ex coniuge con il quale i rapporti erano conflittuali, e analogamente si reputa non plausibile la versione dell'imputato, secondo la quale avrebbe evitato di coinvolgere la ex moglie nel controllo del figlio; in quanto incompatibile con la situazione di pericolo cui riteneva che questi fosse esposto. Inconciliabilita' resa ancor piu' evidente dalla vaghezza e genericita' delle cautele e delle precauzioni, asseritamente adottate per esercitare una vigilanza discreta sul figlio, atteso che nel corso dell'esame l'imputato non era stato in grado di chiarire quali precauzioni e per quale periodo di tempo le avesse adottate per prevenire le supposte ritorsioni dei malfattori. Analoga sorte spetta alla censura relativa alla valorizzazione parziale delle dichiarazioni del figlio dell'imputato, per avere la Corte trascurato quelle rese in precedenza e il decorso del tempo, a fronte delle considerazioni espresse in sentenza, laddove si valorizza la mancanza di esitazioni del dichiarante e la maggiore compatibilita' logica delle dichiarazioni rese dinanzi alla Corte di appello con la situazione descritta dall'imputato e con quella ripresa dalle telecamere. In base all'analitico e coordinato esame di tutti i suddetti elementi la Corte di appello ha ritenuto infondati i timori dell'imputato e smentita la descritta situazione di pericolo integrante lo stato di necessita', quantomeno putativo, che aveva fondato l'assoluzione. 3.4 Anche la censura relativa alla mancata considerazione della possibilita' che lo stato di necessita' possa essere integrato anche quando il pericolo sia stato determinato da un'offesa ingiusta altrui, e' infondata, atteso che e' ben vero che lo stato di necessita' puo' essere determinato dall'altrui minaccia, di cui all'articolo 54 c.p., comma 3, che, senza annullare la capacita' di autodeterminazione dell'agente, lasci un margine di scelta tra il subire il male minacciato o compiere l'azione illecita perche' costretto dall'altrui minaccia e che in tale ipotesi il pericolo attuale puo' essere inteso come non imminente, ma perdurante, tale da potersi verificare in un futuro prossimo, ma la scriminante non e' applicabile nei casi in cui il soggetto avrebbe potuto sottrarsi alla minaccia, ricorrendo alla protezione dell'autorita' (Sez. 3, n. 15654 del 02/02/2022, Lomurno, Rv. 283168) e nel caso di specie, come gia' detto, correttamente la Corte territoriale ha escluso l'operativita' dell'esimente per l'imputato che ha il dovere di esporsi al pericolo. Il ricorrente era, quindi, tenuto a reagire nei confronti dei malfattori e a non assecondarne le richieste per reagire, secondo la sua versione, solo dopo i due tentativi falliti. Risulta, pertanto, non illogico il rilievo della Corte di appello circa la necessita' di verifica dei presupposti della diversa scriminante di cui all'articolo 52 c.p. da parte del primo giudice. 4. Parimenti infondate sono le censure articolate con il quarto motivo, che schermano una rilettura del fatto secondo la prospettazione difensiva, fondata sulla sussistenza di una situazione di pericolo, ritenuta inesistente dai giudici di appello per mancanza di elementi oggettivi che potessero determinare nel ricorrente il giustificato convincimento che il figlio fosse esposto ad un pericolo presente e incombente. Come gia' detto, la Corte di appello ha fondato l'affermazione di responsabilita' su elementi oggettivi, ricavati dall'esame dei filmati estrapolati dal sistema di videosorveglianza sito nei pressi dello sportello bancomat ove furono effettuati i tentativi di prelievo. Il motivo e' diretto a sostenere la tesi difensiva con argomentazioni in fatto, trascurando il dato essenziale valorizzato in sentenza (pag. 29) ovvero l'assenza di altre persone nell'ampio raggio di ripresa delle telecamere poste all'esterno della (OMISSIS), che inquadravano la zona, le autovetture parcheggiate e l'intera azione dell'imputato; dai filmati risultava, inoltre, che l'imputato era tranquillo e non aveva mai rivolto lo sguardo verso il malfattore o verso la sua autovettura, non cogliendosi alcun segno di preoccupazione nella condotta. La sentenza riporta la descrizione del comportamento dell'imputato tratta dall'informativa di p.g. e giustifica la valutazione del comportamento, sottolineando l'incompatibilita' della versione resa con quanto osservato, rilevando che se fosse stata vera la versione dell'imputato, egli non avrebbe avuto bisogno di consultare i foglietti consegnatigli dal presunto malfattore ne' li avrebbe consultati nuovamente dopo essersi allontanato per pochi metri senza essere avvicinato da nessuno prima di riprovare ad effettuare una nuova operazione. Dunque, nessuna traccia di presenze minacciose e di malfattori, che controllassero lui e il figlio; ne' a diversa conclusione puo' giungersi sulla scorta del rilievo difensivo, secondo il quale i terzi si sarebbero posti in condizione di non essere ripresi, trattandosi di lettura alternativa affidata alla parola dell'imputato. Ne' la versione dell'imputato puo' risultare confermata dalla circostanza che in due occasioni avrebbe girato la testa verso la sua autovettura, sia perche' la rotazione della testa sarebbe avvenuta per pochissimi secondi, come indicato nello stesso ricorso, ma, soprattutto, perche' si tratta di circostanza dedotta solo nel ricorso e di cui si chiede, inammissibilmente, la verifica direttamente a questa Corte mediante l'esame del video. 4.1 Speciosa e' l'obiezione circa la non rilevabilita' dello stato d'animo del ricorrente dalle riprese del volto, avendo la Corte valorizzato il comportamento e non le espressioni del viso; speciosa e' anche la dedotta erroneita' dell'affermazione della Corte circa l'inesistenza di un sistema di videosorveglianza presso il bancomat dell'Unicredit ove era stato effettuato l'indebito prelievo di 50 Euro dalla carta ricaricabile sottratta al (OMISSIS), in quanto l'argomento non e' l'unico su cui si fonda la contestazione della considerazione del primo giudice sul punto. E' vero che la sentenza da' atto che non vi era alcun sistema operativo presso lo sportello in oggetto, mentre dall'informativa allegata al ricorso risulta che le immagini delle telecamere di sorveglianza non erano piu' disponibili, ma da tale circostanza puo' trarsi una considerazione che ugualmente inficia il ragionamento del primo giudice, atteso che il sistema di videosorveglianza puo' non essere attivo e le riprese sono di norma cancellate dopo un breve lasso di tempo; ne deriva che la presenza di un sistema di videosorveglianza non priva di rilievo l'argomento utilizzato dai giudici di appello. Deve, peraltro, rilevarsi che l'indebito prelievo effettuato presso l'Unicredit non e' oggetto di addebito, sicche' non puo' trarsi un argomento a favore da un fatto che e' fuori dalla imputazione. 4.2 Specioso e' anche il riferimento agli accertamenti compiuti presso la CRA di Asti, atteso che dalla nota prodotta dalla difesa (allegato 25) risulta lo stesso dato contenuto nell'informativa di p.g. (allegato 19) ovvero che il responsabile dell'Ufficio sicurezza della CRA di Asti aveva comunicato che le immagini delle telecamere site nei pressi delle agenzie n. (OMISSIS) e (OMISSIS), ubicate in p.zza (OMISSIS) nell'arco di tempo indicato dalla persona offesa nella denuncia non avevano ripreso il soggetto investigato ne' erano state registrate operazioni sospette, in contrasto con le immagini riprodotte a pag. 2 dell'informativa del 12 gennaio 2015, allegata al ricorso (a11.19), dalle quali risulta che alle ore 14.47 il soggetto ripreso, poi identificato nel ricorrente, si allontanava in direzione dell'agenzia (OMISSIS) della CR di Asti tenendo in mano le carte di credito e i foglietti senza riuscire ad effettuare il prelievo. 4.3 Come gia' detto, proprio per la ordinaria presenza di sistemi di videosorveglianza nei pressi degli sportelli bancomat con certezza di essere ripreso durante i tentativi di prelievo il primo giudice aveva ritenuto irragionevole che l'imputato avesse agito a viso scoperto, traendone ragione di conferma della versione dell'imputato di aver agito sotto minaccia per tutelare l'incolumita' del figlio, ma l'argomento e' stato ritenuto non dirimente dalla Corte di appello, che con motivazione non illogica ha rilevato sia che non sempre i sistemi sono operativi, sia che l'imputato aveva, comunque, accettato il rischio di essere ripreso, atteso che nella prima versione resa al Maggiore Segreto aveva dichiarato di aver deciso di utilizzare le carte rinvenute nel portafoglio prelevato a casa della ex moglie, digitando pin errati allo scopo di bloccarle, in tal modo privando di rilievo l'argomento principale utilizzato dal primo giudice. La valutazione e' contrastata dalla difesa, che nuovamente insiste sulla inutilizzabilita' della relazione del Maggiore Segreto e sulle dichiarazioni testimoniali che ne provano l'assoluta inattendibilita', in quanto il (OMISSIS) e la ex moglie non si conoscevano e, pertanto, non poteva essere vera la versione resa al superiore. L'obiezione trascura che dalla ricostruzione contenuta in sentenza, fondata sulle riprese e sulle incongruenze dichiarative prima indicate, si ricava che la versione resa dal ricorrente al suo superiore, completamente diversa e resa appena dopo l'avvio delle indagini, ignorando la composizione del compendio probatorio, non e' stata utilizzata dalla Corte di appello se non quale ulteriore elemento di conferma della inattendibilita' della versione ufficiale resa dall'imputato. Ne deriva che la suddetta relazione non ha nella valutazione della Corte di appello la centralita' che la difesa le assegna, stante la decisivita' delle risultanze dei filmati, che smentiscono la versione dell'imputato e insieme agli altri elementi esaminati dalla Corte di appello hanno consentito di escludere la sussistenza di una situazione di pericolo rilevante ai sensi dell'articolo 54 c.p. o articolo 52 c.p. con valenza scriminante della condotta illecita posta in essere dal ricorrente. 4.4 Anche la censura relativa alla restituzione del portafogli al (OMISSIS) e' infondata, risultando corretta la valutazione della Corte di appello perche' si tratta di condotta successiva alla consumazione del reato, non valutabile quale elemento probatorio e risultando priva di rilievo ai fini della configurabilita' del reato la scelta dell'imputato di restituire il portafogli, rischiando persino un'accusa di furto o di ricettazione qualora fosse stato trovato in possesso di un bene di provenienza illecita. A tal proposito la difesa trascura del tutto la acuta considerazione della Corte di appello in ordine alla misteriosa ragione che spinse il (OMISSIS) a svolgere accertamenti sulla effettiva residenza del (OMISSIS), dal momento che dai documenti risultava il vecchio indirizzo e le pratiche per il cambio di residenza erano ancora in corso, trattandosi di rilievo di non secondaria importanza, che segnala un ulteriore profilo opaco nella versione del ricorrente. 5. E', invece, inammissibile il secondo motivo per manifesta infondatezza, avendo la Corte di appello correttamente ritenuto preclusa ogni decisione sul reato di furto semplice, cosi' riqualificato il fatto originariamente contestato come ricettazione dal precedente giudice di appello, che aveva dichiarato non doversi procedere per mancanza di querela, stante la natura processuale di detta pronuncia, non impugnata dal P.m. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo i quali il difetto di una condizione di procedibilita' impedisce ogni valutazione di merito sul fatto oggetto di imputazione, non trovando applicazione la regola stabilita dall'articolo 129 c.p.p. per la mancata costituzione di un valido rapporto processuale (Sez. 3, n. 43240 del 06/07/2016, 0., Rv. 267937, ove si afferma che il difetto della condizione di procedibilita' (nella specie, querela), impedendo la valida costituzione del rapporto processuale, inibisce ogni valutazione del fatto imputato e preclude, quindi, la pronuncia di proscioglimento, secondo la regola della prevalenza, per evidenza della causa di non punibilita' nel merito. Peraltro, la questione non era devoluta nel precedente ricorso per cassazione (punto 4, allegato 9), in quanto la difesa del ricorrente si limitava a prendere atto della riqualificazione del fatto in furto semplice e della dichiarazione di non doversi procedere per la rilevata mancanza di querela ed a richiedere, per l'imputazione residua, l'applicazione dell'articolo 131 bis c.p., dunque, senza contestare alcunche' ne' dolersi della pronuncia sul fatto come riqualificato, sicche' non residuava sul punto alcuno spazio decisionale rimesso al giudice del rinvio. Nella memoria depositata nel giudizio di rinvio (allegato 16, pag. 16) la difesa chiedeva che il reato di cui all'articolo 648 c.p. fosse riqualificato in quello di cui all'articolo 624 c.p. e, escluse le aggravanti di cui all'articolo 625 c.p., n. 2 e articolo 61 c.p., n. 2, si pronunciasse sentenza di non doversi procedere per mancanza di querela (pag. 16-17 memoria, allegato 16), pronuncia gia' emessa nel precedente giudizio di appello e di cui la sentenza impugnata da' atto, correttamente ritenendola coperta da giudicato per le ragioni illustrate. 6. Ugualmente infondato e' il quinto motivo alla luce del comportamento dell'imputato ripreso dalle telecamere, in quanto le immagini danno conto della consultazione di fogli prima di inserire le carte nello sportello per effettuare il prelievo. Va ribadito che la Corte di appello ha fondato la decisione sui filmati, che smentiscono la versione resa dall'imputato nell'interrogatorio e dimostrano il concreto utilizzo delle carte di credito e i reiterati tentativi di prelievo. La prospettazione difensiva e' infondata anche alla luce dell'orientamento di questa Corte che per la configurabilita' del reato di indebita utilizzazione di una carta di credito a fini di profitto, da parte di chi non ne sia titolare, reputa irrilevante l'effettivo conseguimento del profitto e non necessario il verificarsi di un danno, non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine (Sez. 5, n. 5692 del 11/12/2018, dep. 2019, S., Rv. 275109). Nella stessa linea si e' affermato che il reato e' ravvisabile anche nell'ipotesi in cui l'utilizzazione di una carta bancomat, di provenienza furtiva da parte di chi non e' in possesso del codice PIN, e' effettuata mediante la digitazione casuale di sequenze numeriche presso uno sportello di prelievo automatico di denaro, senza ottenere alcun prelievo di denaro (Sez. 5, n. 17923 del 12/01/2018 PG in proc. Pasquale, Rv. 273033). 7. Inammissibile per genericita' e manifesta infondatezza e' il motivo con il quale si contesta la mancata applicazione della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131 bis c.p. a fronte della completa motivazione resa in sentenza, che, all'esito di una valutazione complessiva dell'azione delittuosa, valorizza la non occasionalita' della condotta per la ripetitivita' delle operazioni, la provenienza furtiva delle carte di credito e la gravita' del fatto, dunque, con giudizio che rispetta il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale ai fini della configurabilita' della causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto, prevista dall'articolo 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuita' richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita' della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita' della condotta, del grado di colpevolezza desumibile da esse e dell'entita' del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). 8. E', invece, fondato l'ultimo motivo con il quale si denuncia il vizio di motivazione relativo al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4. La motivazione resa, che valorizza la natura plurioffensiva del reato, non e' corretta, in quanto superata dai principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 24990 del 30/01/2020, Dabo, Rv. 279499) secondo i quali la circostanza attenuante del danno di speciale tenuita' e' applicabile ad ogni tipo di delitto commesso per motivi di lucro, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, purche' la speciale tenuita' riguardi congiuntamente l'entita' del lucro perseguito o effettivamente conseguito e dell'evento dannoso o pericoloso, con la precisazione che detto ultimo elemento comprende qualsiasi offesa penalmente rilevante, purche' essa, come concretamente accertata, si riveli di tale particolare modestia da risultare "proporzionata" alla tenuita' del vantaggio patrimoniale che l'autore del fatto si proponeva di conseguire o ha in effetti conseguito. Alla luce dell'accertamento condotto in sentenza con riguardo sia ai motivi a delinquere (lucro perseguito), al profitto (lucro conseguito) sia all'evento (dannoso o pericoloso) del reato, la speciale tenuita' rilevante ai fini dell'applicazione dell'attenuante nel caso di specie puo' riconoscersi, avuto riguardo al mancato conseguimento del profitto e alla mancata indicazione di qualsiasi parametro di valore (mancata indicazione del livello massimo di disponibilita' o di prelevamento possibile per ogni operazione), che qualifichi l'offesa in senso contrario. Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata sul punto, ma l'annullamento puo' disporsi senza rinvio, potendo in questa sede rideterminarsi la pena che, per effetto del riconoscimento dell'attenuante in oggetto nella massima estensione, va rideterminata in mesi due e giorni venti di reclusione ed Euro 80 di multa. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente all'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4 che riconosce e per l'effetto ridetermina la pena in mesi due e giorni venti di reclusione ed Euro 80 di multa. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 154 ter disp. att. c.p.p..

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