Sentenze recenti decoro architettonico

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 882 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ma. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Um. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti della signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Sa. Co. e Sa. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ge. So. in Roma, via (...); del signor -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e della signora -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore all'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Carmelina Addesso e uditi per le parti l'avvocato Gi. Ma. Mi., l'avvocato Um. Ga. e l'avvocato Sa. Fa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'odierno appellante chiede la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. -OMISSIS-del 14 dicembre 2021 che ha respinto il ricorso proposto per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato da Roma Capitale in relazione all'istanza/diffida del 2 febbraio 2021, volta a sollecitare l'esercizio da parte dell'amministrazione dei poteri di vigilanza previsti dall'art. 27 del d.P.R. n. 380/01 sulle opere eseguite nella proprietà dei signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, confinante con la propria. 1.1 Il TAR adito respingeva il ricorso perché dalla documentazione depositata in giudizio dall'amministrazione, a seguito di richiesta istruttoria, emergeva che i poteri di vigilanza sulle opere dei confinanti erano stati effettivamente esercitati, così come sollecitato dal ricorrente. 2. Con l'appello in trattazione il signor -OMISSIS-chiede la riforma della sentenza per "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19 della legge n. 241/90, 27 del DPR n. 380/01 e 31 e 117 c.p.a.", deducendo che gli atti depositati in giudizio, alcuni dei quali di natura meramente istruttoria (sopralluoghi), non recavano alcuna verifica delle plurime illegittimità evidenziate nella diffida e non potevano costituire, di conseguenza, l'esito del procedimento di vigilanza. Ripropone, inoltre, ai sensi dell'art. 31, comma 3, c.p.a., le censure relative all'illegittimità dei lavori eseguiti non esaminate dal TAR. 3. Si sono costituiti in giudizio Roma Capitale e la signora -OMISSIS-che hanno insistito per la reiezione del gravame. 4. In vista dell'udienza di trattazione le pari hanno depositato memorie, insistendo nelle rispettive difese. La signora -OMISSIS-ha, inoltre, depositato in data 28 maggio 2024 l'atto notarile di trasferimento della proprietà dell'immobile per cui è causa in esecuzione degli accordi di negoziazione assistita in materia di separazione e di divorzio. 5. All'udienza del 28 maggio 2024, previa discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. In via preliminare, deve esse accolta l'eccezione di inammissibilità della documentazione tardivamente depositata dall'appellata in data 28 maggio 2024, formulata dal difensore dell'appellante in sede di discussione orale. 6.1 Il Collegio ne dispone, di conseguenza, lo stralcio dagli atti del giudizio. 7. Premesso quanto sopra, l'appello è infondato. 8. Con il primo motivo di appello il ricorrente deduce che il giudice di primo grado è incorso in errore nel ritenere che l'amministrazione avrebbe fornito riscontro alle plurime istanze/diffide dallo stesso presentate mediante il compimento degli atti depositati in giudizio nelle date del 3 settembre e 24 settembre 2021 e che tali atti avrebbero esaurito le verifiche richieste, volte unicamente all'esercizio dei poteri di vigilanza ex art. 27 e non a quelli di cui all'art. 19 della legge n. 241/90. 8.1 Espone che, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, con le istanze del 5/03/2018 e del 24/04/2018 ha diffidato l'amministrazione all'annullamento in autotutela della DIA presentata dai signori -OMISSIS-e che con l'istanza del 2/02/2021 ha sollecitato la risposta alle precedenti diffide, risultate sino ad allora inesitate. In ogni caso, gli atti depositati in data 3 settembre 2021 non costituiscono espressione del potere di vigilanza ex art. 27 d.p.r. 380/2001 poiché con essi Roma Capitale, lungi dal procedere ad una verifica puntuale dei plurimi profili di illegittimità evidenziati nelle diffide, si è limitata ad un'attività istruttoria interna, svolgendo alcuni sopralluoghi a cui è seguita l'irrogazione di sanzioni. Del pari inidonei a superare l'inerzia dell'amministrazione sono gli atti depositati in data 24 settembre 2021, mai comunicati all'interessato, atteso che: i) la nota prot. CF/113759 del 23.5.2019 redatta dal Responsabile dell'Ufficio Ispettorato Edilizio del Municipio V e diretta al Reparto Edilizia della Polizia Locale di Roma Capitale reca un mero "parere" di mancato contrasto con la normativa urbanistico-edilizia, senza chiarire il percorso logico-giuridico seguito per confutare tutte le argomentazioni esposte dal ricorrente; ii) la nota prot. n. 29329 del 25.2.2021, con cui il Municipio prende posizione sulla denuncia-querela proposta dall'odierno ricorrente, si limita ad affermare che i titoli edilizi presentati dai signori -OMISSIS-(la DIA del 2017 e la successiva variante del 2018) "sono stati oggetto di verifica da parte di questo ufficio e dichiarati conformi alla normativa urbanistico/edilizio vigente, con nota prot. CF 113750 del 23/05/2019"; iii) la nota prot. 30916 del 14 febbraio 2018 aveva inibito l'attività degli appellati per carenze documentali in attesa dell'integrazione che non è mai stata effettuata; iv) la nota prot. CF/113329 del 5.6.2018 è semplicemente il seguito della precedente e si limita a disporre la sospensione dei lavori in attesa del nulla osta della soprintendenza e della ASL, ma non affronta i plurimi vizi evidenziati dall'odierno appellante. Non v'è, dunque, alcun documento, tra quelli depositati in data 24 settembre 2021, che possa costituire - alla luce del contenuto concreto - il provvedimento conclusivo del procedimento avviato con l'istanza/diffida datata 02/02/2021 di esercizio dei poteri previsti dagli artt. 19 l. 241/90 e 27 d.p.r. 380/01. 9. Le censure sono infondate. 10. Si osserva, preliminarmente, che con le istanze/diffide del 5 marzo e del 19 aprile 2018, a cui fa rinvio la diffida da ultimo presentata in data 2 febbraio 2021, l'appellante, dopo aver richiamato l'art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, ha sollecitato l'amministrazione all'annullamento in autotutela della DIA, oltre che della CILA, per falsa rappresentazione dei presupposti nonché per i plurimi profili di illegittimità ivi evidenziati, sostanzialmente coincidenti con quelli oggetto del secondo motivo di appello. 10.1 Dal tenore letterale delle istanze sopra richiamate non emerge con chiarezza il tipo di potere che l'amministrazione è sollecitata ad attivare, se di repressione dell'abuso per opere realizzate sine titulo o di annullamento in autotutela dei titoli edilizi rilasciati (con riguardo alla DIA, esercizio dei poteri di cui all'art. 19 comma 4 l. 241/1990). 10.2 Trova conferma, nel caso di specie, la non agevole distinzione tra controllo del territorio e controllo sulla legittimità dei titoli, già messa in luce da questa Sezione, la quale ha rilevato come essa "chiara a livello teorico, finisce per debordare in molteplici ambiti chiaroscurali di non agevole collocazione dogmatica" (Cons. Stato, sez. II, n. 9415 del 2.11.2023). Si tratta, in ogni caso, di una distinzione che "il Comune è chiamato a fare, così da distinguere i profili di illegittimità, rilevabili ex post nei limiti dell'autotutela, da quelli di illiceità, stigmatizzabili in qualunque momento (...)" (sent. cit.). 11. Dalla documentazione versata in atti emerge che, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, l'amministrazione si è attivata in riscontro alle diffide presentate mediante verifiche sia sulle opere in corso di realizzazione, svolgendo sopralluoghi in cantiere culminati con l'adozione di provvedimenti sanzionatori e di sospensione dei lavori, sia sui titoli edilizi presentati di cui è stato escluso il contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia. 11.1 Sul punto, giova ripercorrere brevemente le circostanze di fatto, così come emergenti dagli atti di giudizio: -a seguito dell'avvio dei lavori da parte dei controinteressati in assenza della prescritta cartellonistica, con un primo esposto del 21/12/2017 il ricorrente sollecitava l'U.O. V Gruppo Prenestino a verificare la legittimità dei lavori edilizi. In data 04/01/2018, il personale di Polizia Municipale effettuava, quindi, un primo sopralluogo nell'unità immobiliare, accertando che erano in corso d'opera lavori di manutenzione straordinaria in forza della Cila prot. 230583/17 presentata presso la Direzione Tecnica del V Municipio; -a seguito di accesso agli atti, l'interessato presentava due ulteriori esposti in data 5 marzo e 19 aprile 2018 con cui, evidenziando plurimi profili di illegittimità dei titoli e delle opere (violazione della l.r. 21/2009 per l'acceso ai benefici del Piano Casa, mancanza del consenso dell'istante all'aggravamento della servitù di passaggio e di quello dei condomini per le opere che incidono sul decoro architettonico del fabbricato, falsa/omessa dichiarazione del progettista in ordine ai vincoli paesaggistici regionali e alla conformità degli interventi alla normativa sanitaria, violazione del d.lgs 42/2004 e della normativa sanitaria per gli interventi in corso di esecuzione sulla base della CILA) diffidava l'amministrazione a disporre: i) l'immediata sospensione delle opere in corso nella proprietà ; ii) l'annullamento della DIA del 5 marzo 2017 e della CILA del 13 dicembre 2017, ritenute illegittime sotto i plurimi profili indicati; iii) la segnalazione della violazione di legge alle competenti autorità ministeriali e regionali preste alla tutela dei vincoli; - l'amministrazione disponeva ulteriori sopralluoghi all'esito dei quali adottava: i) la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela della CILA con contestuale richiesta di integrazione documentale e dichiarazione di inefficacia, nelle more, della CILA medesima nonché il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria (doc. 12 e 13 deposito appellante); ii) il provvedimento di sospensione di tutte le opere sino all'ottenimento del nulla osta della Soprintendenza e della Asl competente (doc. 17); - ottenuto parere favorevole della Soprintendenza Archeologica dei Beni Culturali, i controinteressati presentavano, in data 24 luglio 2018, una variante alla DIA del 4 maggio 2017, corredata degli elaborati grafici e progettuali, del parere favorevole della Soprintendenza, del pagamento degli oneri concessori e della relazione tecnica asseverata, in cui veniva specificato che "la volumetria e le superfici, risultanti dagli elaborati e dalle tabelle allegate, rimanevano immutati rispetto a quelli presentati unitamente alla pregressa Dia prot. n. 74692 del 4.5.2017" e che "venivano ampliate due finestre dell'edificio esistente (...) modo da soddisfare la richiesta di nulla osta sanitario rispettando il rapporto aero-illuminante come da normativa di settore e regolamentare vigente". In data 17 gennaio 2019 il Dipartimento di programmazione ed attuazione urbanistica - Ufficio autorizzazioni paesaggistiche - rilasciava nulla osta all'esecuzione delle opere (doc. n. ri 15, 16 e 17 fascicolo primo grado controinteressato); - a seguito di un nuovo esposto del ricorrente del 9 maggio 2019, veniva eseguito un nuovo sopralluogo a cui seguiva il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria per la mancata esposizione del cartello, mentre la legittimità dei titoli edilizi veniva confermata dall'amministrazione con nota prot. n. CF/113759 del 23/5/2019 (doc. 24 e 25 deposito appellante); - infine, con nuova diffida del 2 febbraio 2021 l'interessato richiamava i plurimi profili di illegittimità già indicati nelle precedenti diffide, sollecitando nuovamente l'amministrazione all'adozione dei conseguenti provvedimenti di legge. Ad essa faceva seguito la nota del 25 febbraio 2021, diretta alla Legione Carabinieri Lazio, con cui l'amministrazione confermava che la DIA del 2017 e la successiva variante del 2018, agli atti dell'ufficio, erano stati oggetto di verifica e dichiarati conformi alla normativa urbanistico/edilizia con nota del 25 marzo 2019. 12. La documentazione sopra richiamata conferma come dagli esposti presentati dal ricorrente è scaturita un'attività di verifica la quale, lungi dal risolversi in meri atti istruttori e interlocutori, è sfociata in provvedimenti di irrogazione delle sanzioni per le illegittimità riscontrate in sede di sopralluogo, nell'avvio del procedimento di annullamento in autotutela della CILA e nel provvedimento si sospensione della DIA, questi ultimi poi superati dalla presentazione della DIA in variante. 12.1 Le disposte verifiche hanno condotto, inoltre, alla conferma della legittimità dei titoli edilizi con provvedimento del 25 marzo 2019, richiamato dal successivo provvedimento del 25 febbraio 2021: il primo atto, lungi dal risolversi in un mero "parere", come ritenuto dal ricorrente, costituisce, invece, il provvedimento conclusivo dell'attività di verifica dei titoli edilizi, mentre il secondo è meramente confermativo del primo. Come osservato dalla Corte costituzionale (sent. 153/2020), "il fatto che l'amministrazione, su sollecitazione dei controinteressati, abbia positivamente riscontrato la legittimità delle opere si traduce in un diniego che, secondo le regole generali, non poteva che essere impugnato con l'ordinaria azione di annullamento" (punto 6.1). 13. Non convince l'assunto difensivo secondo cui gli atti sopra indicati non sarebbero idonei a superare l'inerzia dell'amministrazione, atteso che nessuno di essi fornisce puntuale riscontro alle molteplici illegittimità analiticamente illustrate negli esposti: siffatti profili afferiscono, infatti, al contenuto dei provvedimenti, investendo le modalità concrete del potere di controllo e verifica che, in ogni caso, è stato effettivamente esercitato. 14. Per le medesime ragioni, l'omessa comunicazione degli atti in questione all'istante, certamente rilevante ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, non fa venir meno, sul piano naturalistico prima ancora che giuridico, l'attività di verifica svolta in concreto e sfociata nei provvedimenti sopra richiamati. 15. Non appare pertinente, al riguardo, il richiamo dell'appellante (memoria di replica del 7 maggio 2024) al precedente di questa Sezione n. 3597 del 22 aprile 2024 che riguarda la diversa questione della configurabilità o meno dell'interesse ad agire di alcuni condomini avverso il silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza/diffida presentata in relazione ad opere che incidono sulla cosa di proprietà comune, laddove, nel caso di specie, il TAR ha, comunque, riconosciuto l'interesse ad agire del ricorrente, respingendo la relativa eccezione formulata dalla controinteressata e dal comune (cfr. pag. 5 e pag. 6 della sentenza impugnata). 16. Meritano, quindi, condivisione le conclusioni a cui è pervenuto il giudice di primo grado, il quale ha osservato che il contenuto dell'istanza del 2 febbraio 2021, gli accertamenti svolti dall'ente ai fini della verifica di legittimità dei titoli edilizi e i relativi esiti, dimostrano che l'amministrazione non è rimasta inerte, ma ha esercitato i propri poteri di vigilanza, ritenendo che le opere edilizie, afferenti l'immobile dei controinteressati, siano in realtà pienamente conformi e rispondenti ai titoli in discussione. 17. Per le ragioni sopra indicate il primo motivo di appello deve essere respinto con conseguente inammissibilità del secondo motivo con cui il ricorrente ripropone le censure afferenti alla natura abusiva delle opere contestate, già formulate in primo grado ai sensi 31, co. 3, c.p.a e non esaminate dal TAR. 18. La soccombenza dell'appellante ne giustifica la condanna, a favore di Roma Capitale, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in dispositivo. Sussistono, invece, giustificati motivi per disporre la compensazione con l'appellata costituita, signora -OMISSIS-. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento a favore di Roma Capitale delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Spese compensate con l'appellata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Manzione - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Stefano Filippini - Consigliere Valerio Valenti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5709 del 2017, proposto da Be. Ul. quale Titolare della Ditta "Ba. Pr. di Be. Ul.", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Ch., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ma. Ch. Mo. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Or., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Li. Ra. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima n. 00018/2017, resa tra le parti, concernente 1) - ordinanza di "ingiunzione per la demolizione di opere abusive eseguite in difformità del permesso di costruire disposta nei confronti del signor Be. Ul." numero 42 del 25/03/2014; 2) - ordinanza di "divieto di prosecuzione dell'attività e rimozione degli effetti prodotti dalla scia presentata per attività di somministrazione di alimenti e bevande" numero 51 del 2/04/2014 Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato dal Comune di (omissis) il 30\10\2017: Appello incidentale avverso la sentenza del T.A.R. per le Marche n. 18/2017 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2023 il Cons. Ulrike Lobis e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in esame, parte ricorrente ha appellato la sentenza n. 18/2017 del Tar per le Marche concernente il rigetto del gravame proposto dalla stessa parte per ottenere l'annullamento (i) dell'ordinanza di "ingiunzione per la demolizione di opere abusive eseguite in difformità del permesso di costruire disposta nei confronti del signor Be. Ul.", numero 42 del 25 marzo 2014, con cui il Responsabile Area 4 del Comune di (omissis) ha ordinato al ricorrente la demolizione delle seguenti opere: (a) ampliamento porticati (logge) delle dimensioni di ml. 2,45 X ml. 2,80 e ml. 9.09 X ml. 3,50 e ml. 3,50 X ml. 3,50; (b) aumento dell'altezza del manufatto e precisamente di ml. 1,11 al colmo da ml. 5,21 a ml. 6,32, mentre all'imposta l'altezza è stata aumentata da ml 2,80 a m. 3,35 e da ml. 3,96 a ml. 4,65, realizzando inoltre un solaio intermedio a quota ml. 3,10; (c) tamponamento della superficie aperta lato sud con pannelli in legno. Mentre in assenza del titolo autorizzativo risulta realizzato un manufatto in legno delle dimensioni di ml. 2,00 X 2,00 con una altezza di ml. 2,20"; (ii) dell'ordinanza di "divieto di prosecuzione dell'attività e rimozione degli effetti prodotti dalla scia presentata per attività di somministrazione di alimenti e bevande", numero 51 del 2 aprile 2014 con cui e stato ordinato il divieto di prosecuzione dell'attività e rimozione degli effetti prodotti dalla SCIA presentata in data 06.02.2014 prot. n. 2758 dal signor Be. Ul., in qualità di titolare della ditta individuale Be. Ul. "Ba. Pr." con sede legale in Via (omissis), per lo svolgimento dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande nell'area attrezzata a verde pubblico compresa tra Via (omissis) e Via (omissis) di questo Comune a seguito convenzione del 19.03.2010, modificata il 03 aprile 2012, per tutte le motivazioni indicate in premessa; (iii) del diniego del rilascio di agibilità parziale limitatamente alla Zona Commerciale escludendo dalla stessa la loggia realizzata nel fianco est del fabbricato, Prot. n. 04686 del giorno 1 marzo 2014 recante la seguente motivazione: "In relazione alla richiesta di agibilità prot. n. 2563 del 04/02/2014, si precisa che la stessa risulta carente della firma del richiedente e priva della documentazione di rito, inoltre poiché la S.V. ha inoltrato richiesta in qualità dei titoli abilitativi rilasciati, fra cui il permesso di costruire in sanatoria richiesto in data 12.06.2012, il quale risulta denegato, si comunica che l'istanza non è accogliibile e pertanto verrà archiviata"; (iv) dell'accertamento eseguito dal Comando Polizia Municipale rilasciato il 7 aprile 2014. 1.1. Il. Sig. Be. è titolare di una concessione per la gestione di una porzione di area attrezzata a verde pubblico nel Comune di (omissis). La relativa convenzione è stata firmata dalle parti in data 19.3.2010. 1.2. La concessione prevede la costruzione di una struttura amovibile (tipo chiosco) chiudibile, da destinare all'attività di somministrazione di alimenti e bevande ai sensi della L.R. n° 30/2005 con contestuale rilascio dell'autorizzazione. 1.3. Il ricorrente, con riferimento a tale immobile, il 12 giugno 2012 ha presentato presso lo sportello unico per l'Edilizia del Comune, ai sensi dell'articolo 10 e 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, una richiesta di permesso a costruire in sanatoria per la "realizzazione di una loggia aperta su tre lati ed una maggiore altezza di un chiosco per la somministrazione di alimenti e bevande sito in Zona Industriale (omissis) a (omissis) (FM)". 1.4. Dopo il preavviso di diniego emesso il 30 agosto 2012, l'Amministrazione comunale ha respinto l'istanza con il provvedimento prot. 10440 del 26/27 aprile 2013. 1.5. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento con autonomo ricorso R.g. n. 516/2013 definito con la sentenza del T.a.r. per le Marche n. 17/2017 oggetto anch'essa di gravame. 1.6. Successivamente in data 14 novembre 2013 ha presentato una "richiesta di permesso a costruire in sanatoria con adeguamento" che, a suo dire, avrebbe comportato l'esecuzione di opere capaci di far rientrare l'immobile nelle dimensioni della superficie esterna occupata così come statuito dal T.a.r. e dalle prescrizioni del bando e su di essa il Comune non si sarebbe pronunciato. 1.7. Inoltre, in data 4 febbraio 2014 il ricorrente ha chiesto il rilascio del certificato di agibilità parziale limitatamente alla zona commerciale, escludendo quindi la loggia realizzata nel fianco est del fabbricato. 1.8. In data 6 febbraio 2014, ha poi presentato una segnalazione certificata d'inizio attività (SCIA) per l'avvio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande nell'area commerciale, il cui esercizio non avrebbe interferito con la loggia asseritamente abusiva. 1.9. L'amministrazione comunale ha denegato l'agibilità con provvedimento datato 1 marzo 2014 prot. 04684 oggetto di impugnazione. Successivamente sono stati adottati dal Comune di (omissis) i seguenti provvedimenti, anch'essi oggetto di gravame di primo grado: - ordinanza nr. 42 del 25 marzo 2014, recante ingiunzione per la demolizione di opere abusive eseguite in difformità del permesso di costruire. Oltre all'ampliamento realizzato con la loggia e al solaio abitabile intermedio (già oggetto del diniego di sanatoria) sono stati ritenuti abusivi anche il tamponamento della superficie aperta al lato sud dell'edificio con pannelli in legno e la costruzione, in assenza di un titolo autorizzativo, di manufatti in legno delle dimensioni di 2 mt x 2 x 2.20. - ordinanza nr. 51 del 2 aprile 2014, notificata nella stessa data, recante divieto di prosecuzione dell'attività e rimozione degli effetti prodotti dalla SCIA presentata per attività di somministrazione di alimenti e bevande. 1.10. Con il ricorso al Tar l'odierna parte appellante aveva dedotto l'illegittimità degli atti e provvedimenti impugnati, con il quale si lamentava: i) con riferimento all'ordinanza 42 del 25 marzo 2014, - di avere presentato una nuova richiesta di permesso di costruire per adeguarsi alle prescrizioni della p.a; l'amministrazione, a conoscenza dei lavori relativi alla loggia, non avrebbe mai adottato l'ordinanza di sospensione lavori o l'avvio del procedimento. Inoltre sarebbe decorso il termine previsto per il consolidamento del titolo edilizio; insisteva altresì sulla legittimità della loggia, la computabilità del solaio come volume tecnico e affermava la legittimità del tamponamento con pannelli in legno del lato sud dell'edificio e della costruzione di un ulteriore manufatto in legno. ii) con riguardo al divieto di prosecuzione dell'attività di somministrazione e al diniego di agibilità parziale, affermava che sulla relativa SCIA si sarebbe formato il silenzio assenso, che non mancherebbe il richiesto titolo abilitativo edilizio e che le motivazioni del diniego non sarebbero comunque condivisibili. All'esito del giudizio di prime cure il Tar con la sentenza qui impugnata, ha accolto il ricorso in parte e per l'effetto annullato, nei limiti indicati in motivazione, l'ordinanza n. 51 del Comune di (omissis) del 2 aprile 2014 e il diniego di agibilità prot. 04684 del 1 marzo 2014 prot. 04684; ha respinto per il resto il ricorso, ritenendo in particolare - per quanto riguarda l'ordinanza n. 42/2014, che la questione della loggia era già stata oggetto di valutazione nell'ambito del ricorso n. 516/2013 - non rilevante l'eventuale conoscenza da parte del Comune dell'opera asseritamente abusiva prima della conclusione dei lavori; non sussiste alcun onere dell'amministrazione di fare precedere l'ordinanza di demolizione dall'ordine di sospensione dei lavori e neanche, trattandosi di atto vincolato, dall'avviso di inizio del procedimento - che con riferimento al conseguimento del titolo edilizio non vi sono elementi testuali per sostenere che la sottoscrizione della convenzione equivalesse a rilascio del titolo - non condivisibili le censure che affermano la legittimità delle altre opere di cui è ordinata la rimessione in pristino; per quanto riguarda la loggia e il solaio abitabile, il Tribunale si è già pronunciato riguardo il ricorso 516/2013 - che riguardo il tamponamento del lato sud con pannelli, la tamponatura di una tettoia (indipendentemente dai materiali utilizzati) costituisce intervento produttivo di volumi che necessita di titolo edilizio - che il manufatto di 2 mt x 2, realizzato in assenza di titolo autorizzativo, è di dimensioni rilevanti e risulta adibito a magazzino, e non rientra nella limitativa previsione dei "4 giochi per bambini a norma CE" prevista dalla Convenzione del 19.3.2010" - che sull'istanza di accertamento di conformità presentata il 14.11.2013, al momento dell'adozione dell'ordinanza di demolizione si era formato il silenzio rigetto ai sensi dell'articolo 36 DPR 380/2001. Parte ricorrente non ha impugnato tempestivamente il diniego implicito ma lamenta che l'ordinanza di demolizione sia stata adottata in pendenza della richiesta di accertamento di conformità, censura che, non è quindi fondata" - che "in relazione al diniego di agibilità, sussistessero apprezzabili profili di fumus quantomeno in relazione alla dedotta mancata richiesta di integrazioni istruttorie prima della conclusione negativa del procedimento, peraltro avviato dall'interessato per l'ottenimento di un'agibilità parziale, ovvero limitata alle sole superfici ritenute conformi al permesso di costruire e non oggetto di provvedimenti repressive - che la mancata sottoscrizione e le carenze documentali della richiesta di agibilità presentata il 4 febbraio 2014 non esimessero il Comune da valutare la domanda con eventuale richiesta di regolarizzazione e integrazione documentale così come il riferimento, contenuto nella motivazione, alla mancanza dei titoli abilitativi non tiene conto della natura parziale della richiesta, limitata alle parti non abusive. - che riguardo all'ordinanza 51/2014, sulla segnalazione certificata di inizio attività (somministrazione di alimenti e bevande) non si è formato alcun silenzio assenso, dato che con nota 3574 il 17 febbraio 2014 è stata richiesta dal Comune la regolarizzazione della pratica sotto il profilo urbanistico (la Scia è stata presentata in data 6.2.2014) - che l'ordinanza n. 51/2014 e il diniego di agibilità n. 4684/2014 devono essere annullati, limitatamente alla parte in cui non valutano, in contraddittorio con il ricorrente, la possibilità di concedere l'agibilità e di somministrare alimenti e bevande limitatamente alla parte conforme al titolo edilizio 2. Avverso la sentenza di primo grado parte appellante ha formulato 4 motivi di appello: (1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 13 lett. c) del regolamento edilizio e della convenzione - illegittimità del diniego e dell'ingiunzione di demolizione - violazione e falsa applicazione dell'art. 3 lett. e.6 del d.p.r. n. 380 del 2001 i in tema di pertinenze - eccesso di potere per violazione di legge ed eccesso di potere; (2) Con riferimento al solaio: Illegittimità dell'ordinanza di demolizione - eccesso di potere (3) Con riferimento ai pannelli ed al manufatto in legno: Illegittimità dell'ordinanza di demolizione - eccesso di potere (4) Accoglimento della domanda risarcitoria. 2.1. Il Comune di (omissis) si è costituito chiedendo il rigetto dell'appello. Ha proposto appello incidentale al fine di censurare la sentenza laddove sosteneva che il Comune di (omissis) avrebbe dovuto valutare, in contraddittorio con il ricorrente, la possibilità di concedere un'agibilità parziale ovvero limitata alle sole superfici ritenute conformi al permesso di costruire e non oggetto di provvedimenti repressivi. 2.2. Le parti, in vista dell'udienza di discussione, hanno depositato memorie difensive e di replica. 2.3. All'udienza del 16.2.2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 3. L'appello principale è infondato. Con il primo motivo di appello (rubricato: Violazione e falsa applicazione dell'art. 13 lett. c) del regolamento edilizio e della convenzione - illegittimità del diniego e dell'ingiunzione di demolizione - violazione e falsa applicazione dell'art. 3 lett. e.6 del d.p.r. n. 380 del 2001 i in tema di pertinenze - eccesso di potere per violazione di legge ed eccesso di potere) l'appellante censura la pronuncia laddove ha statuito che "Non sono altresì condivisibili le censure che affermano la legittimità delle altre opere di cui è ordinata la rimessione in pristino. Per quanto riguarda la loggia e il solaio abitabile, il Tribunale si è già pronunciato riguardo il ricorso 516/2013", riproponendo tutte le censure fatte valere nel procedimento sub RG 516/2013, sostenendo che l'opera in esame costituirebbe una semplice "loggia". In particolare, l'appellante sostiene che la questione del loggiato posto sul lato est andrebbe affrontata sulla base delle definizioni contenute nella "nuova stesura" dell'articolo 13 lett. c) del Regolamento Edilizio Comunale di (omissis) il quale, ai fini della distinzione fra porticato e logge aperte definisce come "porticato "una porzione del piano terreno di un fabbricato aperta almeno su un lato, lungo il quale appositi pilastri sorreggono i volumi abitabili dei piani superiori", mentre definisce come loggia un "organismo architettonico addossato ad un edificio o arretrato rispetto alla facciata, aperto su uno o due lati, con apertura a tetto o a terrazza o a balcone o sormontato da altra loggia". Sulla base della qualificazione dell'opera in discussione desunta dal citato articolo 13 lett. c) ed in relazione alla sua specifica funzionalizzazione, il Comune avrebbe potuto e dovuto rilasciare il permesso in sanatoria, trattandosi - ai fini del calcolo della superficie utile lorda e della superficie minima assentibile - di intervento indifferente sia rispetto al Regolamento Edilizio che alla convenzione. Se il ricorrente avesse realizzato un portico ovvero una veranda, avrebbe dovuto rispettare i parametri previsti dalla convenzione, ossia la realizzabilità di una superficie al chiuso di 70 mq ed un'eventuale porticato o veranda di 30 mq; ma siccome ha realizzato una "loggia aperta" che secondo la definizione data dallo stesso Regolamento Edilizio del Comune di (omissis) e dalla giurisprudenza, è una copertura aperta su tre lati e siccome non era vietata dalla convenzione e dal bando, la loggia sarebbe stata assentibile ed indifferente ai fini del calcolo sia delle superfici che delle volumetrie. Deduce, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 comma 1, lett. e.6 del D.P.R. n. 380/2001 in tema di pertinenze, sostenendo che l'opera rappresenti tutti i connotati della pertinenza, in quanto l'opera eseguita non sarebbe destinata ad una finalità residenziale, non ha un autonomo valore commerciale e non è suscettibile di autonoma utilizzazione rispetto al bene principale, avendo solamente la funzione di ombreggiare e riparare lo spazio sottostante. 3.1. Il Collegio ritiene infondato il primo motivo di appello in quanto le argomentazioni dedotte con riferimento ai parametri edilizi ed urbanistici ed al concetto di loggia indicate dall'appellante non sono in grado a smentire le puntuali e logiche ragioni indicate dal Giudice di prime cure a fondamento del rigetto del ricorso. 3.2. Infatti, la convenzione per la concessione in gestione dell'area attrezzata a verde pubblico del 19.3.2010, stipulata tra l'appellante ed il Comune, prevede esplicitamente nell'art. 3 la possibilità di costruire una struttura amovibile (tipo chiosco) chiudibile da destinare all'attività di somministrazione di alimenti e bevande ai sensi della L.R. n. 30 del 2005, della superficie massima al chiuso di 70 mq e di un porticato o di una tettoia per un massimo di 30 mq, per cui le costruzioni effettuate dall'appellante, sia con riferimento al chiosco ove è stato realizzato un sottotetto abitabile con altezza interna superiore a 1,50 m, sia con riferimento alla loggia realizzata su una superficie esterna di 75 mq, hanno superato le dimensioni massime consentite dalla convenzione, rispettivamente hanno violato la prescrizione contenuta nella convenzione sulla destinazione del chiosco all'attività di somministrazione di alimenti e bevande. 3.3. Siccome nel caso concreto, sulla base di un bando pubblico è stata stipulata una convenzione tra l'amministrazione pubblica e la parte appellante concernente l'uso di un area attrezzata a verde pubblico, sono vincolanti e prevalenti le prescrizioni e pattuizioni ivi contenute sia per quanto riguarda la natura della superficie coperta all'esterno del chiosco, identificata nella convenzione con porticato o veranda, sia per quanto riguarda l'estensione massima della superficie esterna da occupare. Pertanto, in merito alle possibilità di utilizzo e di costruzione su tale area sono del tutto irrilevanti le deduzioni della parte appellante sia con riferimento alla asserita superiorità, nella gerarchia delle norme, del Regolamento edilizio rispetto al bando e alla convenzione, sia con riferimento alle differenze tra porticato e loggia, in quanto le prescrizioni contenute nella convenzione circa la natura della superficie coperta all'esterno del chiosco, identificata nella convenzione con "porticato o veranda" e le prescrizioni contenute nella convenzione circa la superficie massima, sono prevalenti e vincolanti e non possono essere violate. 3.4. Quindi, nel caso concreto, avendo l'appellante costruito una loggia aperta su una superficie esterna di 75 mq e non, come previsto nella convenzione, una veranda o un porticato con una superficie massima di 30 mq assentita dall'art. 3 della convenzione, raddoppiandone l'estensione rispetto a quella convenzionata, il Collegio, contrariamente all'assunto dell'appellante, ritiene che nel caso concreto non si tratta di intervento indifferente rispetto alle prescrizioni contenute nella convenzione e nel relativo bando e che quindi non si tratta di intervento compatibile con la convenzione, per cui il Comune ha correttamente denegato la sanatoria richiesta dalla parte appellante, in quanto la sanatoria sarebbe stata in evidente contrasto con quanto stabilito nella convenzione e nel bando. 3.5. Del pari non sono convincenti in fatto ed in diritto le affermazioni dell'appellante con riferimento alla sostenuta violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 comma 1, lett. e.6 del D.P.R. n. 380/2001 in relazione alla loggia ritenuta non sanabile da parte del comune. Nel caso concreto, come correttamente rilevato dal Giudice di prime cure con valutazione e motivazione logica, solamente ove la conformazione e le ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione, gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi (non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito), possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire. 3.6. Tenuto conto della dimensione della superficie occupata, sono del tutto destituite le censure mosse dalla parte appellante con riferimento all'asserita natura pertinenziale della loggia, in quanto, per pacifica giurisprudenza "Il collegamento tra pertinenza e bene principale non può essere, peraltro, apprezzato sul piano soggettivo, avuto riguardo al tipo di destinazione che il proprietario ha inteso imprimere nel caso concreto, dovendo sussistere un "oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce" (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 giugno 2020, n. 3634). 3.7. Le argomentazioni a tal uopo contenute nella sentenza n. 17/2017, alla quale il Giudice di primo grado fa riferimento, sono anche integralmente conformi a quanto stabilito da questa Sezione con la propria sentenza n. 694/2017 con riferimento al concetto di pertinenza urbanistica: "La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (cfr. Cons. St., Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615)" 3.8. Sono quindi destituiti di fondamento gli argomenti dell'appellante posti a sostegno del primo motivo di appello. 4. Con il secondo motivo di appello, formulato con riferimento al solaio, l'appellante censura l'illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere. L'appellante, riportandosi a giurisprudenza sul soppalco (che sarebbe figura in sostanza coincidente con quella in esame) e sul vano tecnico, sostiene l'erroneità della sentenza laddove parla di una potenziale sfruttabilità del vano ai fini residenziali. A tal uopo l'appellante argomenta che il solaio non sarebbe utilizzabile da parte degli avventori del locale che non possono accedervi in quanto sarebbe costituito da un controsoffitto chiuso, accessibile tramite una botola, nel quale sarebbero stati collocati la caldaia e gli impianti delle macchine necessarie per far funzionare i frigoriferi e gli altri elettrodomestici destinati all'esercizio dell'attività di ristorazione. Secondo l'appellante, ci si troverebbe in presenza di intervento che rientra nel concetto di attività edilizia libera, trattandosi di un volume tecnico, chiuso e non computabile ai fini della volumetria consentita. 4.1. L'argomentazione non convince. Dalla documentazione fotografica depositata dalla stessa parte appellante si ritiene non poter escludere la destinazione ad uso abitabile del sottotetto come costruito dalla parte appellante, dotato di finestre sui lati est ed ovest e consistente in una altezza interna tra 1,5 m e 3,10 m (cfr. allegato 5 della parte ricorrente in primo grado, tavole e sezioni del progetto in sanatoria; fotografie di cui all'allegato 6). Considerate le caratteristiche costruttive del sottotetto si ritiene del tutto inconferente la giurisprudenza sui soppalchi e sui vani tecnici riportata dalla parte appellante a sostegno della propria tesi sulla erroneità della sentenza appellata in tale punto. 4.2. A prescindere dalla circostanza che l'appellante non ha indicato alcun plausibile motivo per il quale non sarebbe stato possibile allocare altrove la caldaia e gli impianti delle macchine necessarie per far funzionare i frigoriferi e gli altri elettrodomestici destinati all'esercizio dell'attività di ristorazione, non convince comunque la tesi avversaria circa la natura di vano tecnico del sottotetto, in quanto, come statuito dal questa Sezione con decisione del 17 febbraio 2022, n. 1184 " si definisce tecnico il volume non impiegabile né adattabile ad uso abitativo e comunque privo di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché strettamente necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi ragione, all'interno dell'edificio (Consiglio di Stato, Sez. VI n. 7584 del 2021; Sez. VI, n. 3318 del 2021; Sez. II n. 5940 del 2021). Tali possono essere, in via esemplificativa, quelli connessi alla condotta idrica, termica, all'ascensore e simili (Consiglio di Stato, Sez. II n. 7357 del 2021, Sez. V, n. 3059 del 2016, Sez. VI n. 175 del 2015). Solo alle predette condizioni tali volumi non vanno computati nel calcolo della volumetria massima consentita, in quanto per definizione essi non generano autonomo carico urbanistico (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4358 del 2020)". 4.3. Infatti, ai fini di fare rientrare il sottotetto de quo nella nozione di vano tecnico, le caratteristiche costruttive, la presenza di finestre sui lati est ed ovest e le dimensioni sia di superficie che volumetriche del sottotetto, ma anche la circostanza che gli impianti ivi collocati occupano solo una minima parte della superficie complessiva del sottotetto, non si attagliano alle definizioni sopra riportate sui vani tecnici. Inoltre, come correttamente osservato dal Giudice di prime cure, la non accessibilità diretta del sottotetto è di rilievo, in quanto si tratta di accorgimento facilmente rimuovibile. Sono pertanto, destituite di fondamento le doglianze ed affermazioni dedotte dalla parte appellante a sostegno di questo motivo di appello. 4.4. Infine, va confermata la statuizione del Giudice di primo grado anche con riferimento alla non contraddittorietà del provvedimento impugnato con la delibera di consiglio comunale 230/2010, laddove statuisce che l'esclusione dei volumi tecnici e dei servizi obbligatori dalla superficie massima realizzabile, prevista dalla delibera del consiglio comunale n. 230/2010 riguarda il caso in cui le opere abbiano effettivamente le caratteristiche del "volume tecnico", circostanza che, come evidenziato ai precedenti punti, non si riscontra nel caso in esame. 4.5. Conclusivamente va rigettato anche il secondo motivo di appello in quanto evidentemente infondato. 5. Con il terzo motivo d'appello (rubricato: Con riferimento ai pannelli ed al manufatto in legno: Illegittimità dell'ordinanza di demolizione - eccesso di potere), parte appellante censura la pronuncia nella parte in cui tratta il tamponamento del lato sud con pannelli e il manufatto di 2 mt x 2 realizzato in assenza di titolo autorizzativo. In merito al tamponamento della superficie aperta lato sud con pannelli in legno realizzata in assenza del titolo autorizzativo l'appellante eccepisce che le opera non costituirebbe un tamponamento né un manufatto, ma una semplice apertura scorrevole "a fisarmonica", completamente apribile, fatta di pannelli in alluminio per riparare i tavoli. Sostiene che questa opera fosse prevista nel bando e che sarebbe stata installata in sostituzione dei teli presenti in precedenza che si erano lacerati. Di conseguenza non risulterebbe pertinente il riferimento alla sentenza del T.a.r. Marche, Sez. I, 13 gennaio 2012, n. 39 citata nella sentenza, secondo la quale "La tamponatura, con pannelli in vetro, di una precedente tettoia con conseguente realizzazione di una veranda e correlato aumento di volumetria deve essere qualificata, ai sensi dell'art. 3, d.P.R.6 giugno 2001 n. 380, come ristrutturazione edilizia in quanto comporta, in conseguenza dell'aumento di volumetria correlata, la realizzazione di un organismo diverso dal precedente per struttura e destinazione; un intervento del genere, pertanto, deve essere assentito con permesso di costruire", poiché questa si riferisce ad un caso diverso rispetto a quello in esame. Sostiene che nella fattispecie in esame non vi sarebbe stata alcuna tamponatura né aumento di volumetria. Deduceva inoltre che il "manufatto in legno delle dimensioni di ml. 2,00 X 2,00 con una altezza di ml. 2,20" non sarebbe altro che uno dei quattro giochi per bambini che l'appellante era obbligato ad installare temporaneamente sul posto senza essere stabilmente infisso al suolo, perché prescritti dal bando il cui vano, in assenza dei piccoli fruitori, viene utilizzato per ricoverarvi gli altri attrezzi ludici. Non corrisponderebbe al vero l'affermazione che questo sarebbe di rilevanti dimensioni (in quanto è di 4 metri quadrati) e, ad ogni modo, si tratterebbe di una struttura leggera, semplicemente appoggiata al terreno, amovibile senza fondamenta e tale da non costituire un'apprezzabile trasformazione del territorio circostante, essendo oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze transeunti, collegate all'attività esercitata sul posto. 5.1. Le doglianze non hanno pregio. Il Collegio premette che la nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico - edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie; infatti è irrilevante che le dette opere siano realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, laddove comportino la trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2003, n. 419) e ciò anche se ciò avvenga con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 28 giugno 2019 n. 4449). 5.2. Per quanto concerne la chiusura di un balcone mediante l'installazione di una struttura a vetri, formata da pannelli frangivento in vetro, rotabili su se stessi e scorrevoli su binari, questa Sezione con decisione del 24.01.2022, n 469 ha statuito che con riferimento ad "interventi costruttivi volti a chiudere un'area aperta e delimitata, pertinenziale all'appartamento di proprietà, consistente in un balcone ovvero in una loggia ovvero ancora portici o porticati attraverso la installazione di pannelli in vetro, si è affermato che l'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un'area (un porticato, ma analogamente, ad avviso del Collegio, la questione può essere posta per balconi o logge) che si presenti aperta su tre lati, determina, senz'altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria e ciò perché l'intervento va riguardato dall'ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria, sia che ciò consegua alla chiusura su tutti i lati, sia che ne implichi anche la copertura, pure con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili (cfr., in tal senso, con specifico riferimento ai porticati ma, per quanto si è sopra detto, analogamente riferibile alla chiusura di logge o di balconi, Cons. Stato, Sez. II, 27 giugno 2019 n. 4437 e Sez. V, 5 maggio 2016 n. 1822)". 5.3. Ad avviso del Collegio, il concetto della soprariportata decisione n. 469/2022 è senza dubbio sovrapponibile al caso qui in esame, che per le sue caratteristiche costruttive, anche se consistenti nella completa amovibilità della partizione tramite impacchettamento, si pone, nel concreto, in una dimensione, edilizia e giuridica, analoga rispetto alle consuete vicende legate alla chiusura con pannelli in vetro di portici, porticati, logge, balconi, balconate; ciò in quanto la chiusura con vetrate dell'area corrispondente alla loggia, sebbene dette vetrate siano richiudibili "a pacchetto"(cfr. fotografie, allegato 11 della parte ricorrente; fotografie doc. 3 del Comune, depositato il 31.5.2014) costituisce un'area abitabile rispettivamente utilizzabile ai fini ristorativi, per la conformazione tecnica dell'opera e per il risultato che emerge a seguito della installazione. Tale avvenuta realizzazione di un vano aggiuntivo mediante tamponatura di un'area non può neppure qualificarsi come pertinenza in senso urbanistico, in quanto integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 26 marzo 2018 n. 1893). 5.4. Anche per quanto riguarda la realizzazione del manufatto in legno delle dimensioni di 2 mt x 2 realizzato in assenza di titolo autorizzativo ed usato come magazzino, valgono le sopra esposte considerazioni in diritto sulla nozione di costruzione ai fini del rilascio della concessione edilizia. Infatti, contrariamente all'assunto dell'appellante, dalla documentazione fotografica e dalla convenzione emerge che il manufatto in legno delle dimensioni di mt 2x2 e dell'altezza di 2,2 mt, oggetto dell'ordinanza n. 42/2014, non fa parte dei giochi per bambini che il ricorrente era obbligato ad installare, in quanto non rientrante nelle strutture elencate al punto 3.3. della convenzione (doc. 9 depositato dalla parte ricorrente in primo grado) che prescriveva l'installazione di n. 4 giochi per bambini a norma CEE, di n. 6 panchine finalizzate alla fruizione dell'area verde circostante; n 5 punti luce per l'illuminazione; n 4 porta rifiuti. Lo stesso appellante dichiara che il manufatto viene usato come magazzino per il ricovero di attrezzi ludici, escludendo quindi la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze eccezionali. L'art. 3, punto e5), d.P.R. 380/2001 include tra le opere di "nuova costruzione" "l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore". Ne consegue la correttezza dell'ordinanza impugnata n. 42/2014 che ha ordinato la demolizione del manufatto eseguito in assenza di permesso di costruire. 5.5. Conclusivamente, per quanto esposto e ritenendo assorbiti tutti gli ulteriori argomenti di doglianza non espressamente esaminati, sulla base delle statuizioni contenute nei precedenti punti, l'appello principale deve essere respinto; dal rigetto di ogni domanda di annullamento discende conseguenzialmente il rigetto della domanda risarcitoria, concernente gli investimenti effettati nella costruzione del manufatto, indicati in circa 150.000,00 euro. 6. Il Collegio passa all'esame dell'appello incidentale proposto dal Comune di (omissis) al fine di censurare la sentenza laddove sosteneva che il Comune di (omissis) avrebbe dovuto valutare, in contraddittorio con il ricorrente, la possibilità di concedere un'agibilità parziale ovvero limitata alle sole superfici ritenute conformi al permesso di costruire e non oggetto di provvedimenti repressivi. Il Comune sostiene che tale dictum del Giudice di primo grado sarebbe errato per violazione ed errata applicazione della normativa in materia di agibilità degli edifici (art. 24 d.P.R. 380/01), nonché per mancata valutazione di elementi fattuali e di presupposti acquisiti al procedimento amministrativo, per violazione dell'art. 6 l. n. 241/90 e dei principi in tema di atto amministrativo e di elementi essenziali dello stesso. Secondo il Comune, il Collegio di primo grado avrebbe totalmente disatteso le risultanze fattuali della presente controversia e osserva come già in primo grado si sarebbe evidenziato come il Comune di (omissis) non avesse alcun obbligo di notiziare il ricorrente del fatto che la sua richiesta di agibilità prot. 2563/14 risultasse priva della firma e della documentazione di rito Nella fattispecie in esame il T.a.r. in particolare non ha considerato che con nota n. 3574/14 il Comune di (omissis) ha invitato il ricorrente a regolarizzare la documentazione e a conformare alla normativa vigente la sua attività . Per quanto concerne il divieto di prosecuzione dell'attività di cui all'ordinanza n. 51/14, il Comune ritiene debba essere evidenziato che lo stesso sarebbe stato fondato su validi presupposti in quanto detta procedura richiede la conformazione dell'attività alla normativa vigente e quindi, in particolare, a quella edilizia. A tale fine sarebbero stati decisivi i due documenti, ossia la nota n. 3574/14 e il verbale sopralluogo Vigili Urbani n. 5233/14. Secondo il Comune, il Giudice di prime cure non avrebbe preso in considerazione questi documenti rilevanti, ed in particolare la nota n. 3574 del 17/2/14 con la quale si comunica al sig. Be. Ul. ai sensi dell'art. 7 legge 241/90 la richiesta di conformazione della SCIA alla normativa urbanistica. Ne conseguirebbe quindi che il ricorrente è stato notiziato del fatto che la sua pratica anche sotto il profilo urbanistico non era conforme e che quindi avrebbe dovuto regolarizzarla nel termine indicato. Ciò non è accaduto e quindi le doglianze del ricorrente circa il formarsi del silenzio-assenso e circa una mancanza di collaborazione fra cittadino e istituzioni sono prive di pregio. La nota prot. 3574/14 avrebbe il duplice effetto di interrompere ai sensi dell'art. 19 comma 3 L. 241/90 il termine per il formarsi del silenzio-assenso e in secondo luogo costituirebbe la comunicazione circa la sussistenza di carenze della procedura urbanistica con invito a conformare l'attività . Nonostante il ricorrente avesse avuto la possibilità di regolarizzare la documentazione e conformare alla normativa vigente la sua attività, ciò non sarebbe accaduto; risulterebbe dal sopralluogo dei Vigili Urbani n. 5233/14 che sussistevano le difformità rispetto al permesso di costruire rilasciato al ricorrente e indicate nell'ordinanza di demolizione n. 42/14. Per questi motivi sarebbero prive di pregio le argomentazioni che il Giudice di prime cure pone a fondamento della sua decisione: a) anche in carenza di sottoscrizione della richiesta di agibilità vi era l'obbligo del Comune di richiedere la regolarizzazione e integrazione documentale; b) la non conformità ai titoli abilitativi non sarebbe stata formulata in contraddittorio con il ricorrente e comunque non avrebbe tenuto contro della natura parziale della richiesta di agibilità, limitata In secondo luogo il diniego di agibilità sarebbe stato motivato anche sulla circostanza dell'assenza dei titoli abilitativi e quindi dell'abusività della struttura. Per il Comune, quanto affermato dal Giudice di prime cure in merito al fatto che il Comune avrebbe dovuto valutare, in contraddittorio con il ricorrente, la possibilità del rilascio di un'agibilità parziale limitata alle parti non abusive, si pone in contrasto con il principio codificato in giurisprudenza secondo il quale "La conformità dei manufatti alle norme urbanistico - edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli artt. 24 comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 e 35 comma 20, l. n. 47 del 1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico - edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata". Inoltre, il dictum del Giudice di primo grado si porrebbe anche in contrasto con l'art. 24 comma 4 bis lett. a) del d.P.R. n. 380/01 sotto un duplice presupposto. L'art. 24 ammette la possibilità del rilascio di un'agibilità parziale anche su singole porzioni della costruzione purché funzionalmente autonome. Nella fattispecie detto presupposto sarebbe stato assente poiché gli abusi riscontrati, e cioè il sottotetto abitabile e la loggia, costituiscono un unicum rispetto alla costruzione di cui si chiede l'agibilità . Gli abusi incidono su parti della struttura inscindibilmente connesse con le parti conformi e da ciò ne conseguirebbe l'impossibilità del rilascio di un'agibilità parziale. 6.1. L'appello incidentale è fondato. Per quanto concerne la richiesta di abitabilità parziale presentata dalla parte appellante principale in data 4.2.2014, si rileva che il Comune, con lettera del 1.3.2014, prot 4686 ha comunicato al richiedente che la domanda era stata presentata sprovvista della firma del richiedente e priva della documentazione di rito, per cui il Collegio ritiene, contrariamente al Giudice di prime cure, che tale comunicazione costituiva la comunicazione della necessità di regolarizzare la firma mancante e di integrare la documentazione ai fini del rilascio della abitabilità . L'appellante principale, che aveva ricevuto tale comunicazione in data 4.3.2014 (doc. 2 del Comune depositato il 31.5.2014) non ha provato di aver dato seguito a tale comunicazione, per cui non si può fare alcun rimprovero al Comune. 6.2. Ad ogni modo - tenuto presente che il sig. Be. Ul. nell'esecuzione dei lavori per la costruzione del chiosco ha eseguito opera abusive (loggia, sottotetto del chiosco) per le quali nel 2012 era stato negato il rilascio della sanatoria - per quanto concerne l'ordinanza n. 51 /2014 di divieto di prosecuzione dell'attività, il Collegio non condivide la statuizione del TAR che il Comune di (omissis) avrebbe dovuto valutare, in contraddittorio con il ricorrente in primo grado, la possibilità di concedere un'agibilità parziale ovvero limitata alle sole superfici ritenute conformi al permesso di costruire e non oggetto di provvedimenti repressive, in quanto mancavano i presupposti ai fini di una tale valutazione. 6.3. Infatti, dal testo dell'ordinanza impugnata emergono chiaramente le motivazioni sulle quali il Comune ha basato l'ordinanza di divieto, ed in particolare - la comunicazione del Comune prot. 3574 del 17.2.2014, emanata nel corso dell'istruttoria della segnalazione certificata di inizio attività, presentata dal sig. Be. Ul. in data 6.2.2014, con la quale il Comune ha comunicato al sig. Be. Ul. ai sensi dell'art. 7 legge 241/90 la richiesta di conformazione della SCIA alla normativa urbanistica, specificando che "la SV può provvedere a conformare alla normativa ovvero regolarizzare la pratica sotto il profilo urbanistico come indicato nel precedente punto dandone dimostrazione allo scrivente Ufficio entro e non oltre il termine di 60 (sessanta) giorni dal ricevimento della presente" - la comunicazione del Comune di (omissis) del 1.3.2014 con la quale è stato comunicato al sig. Be. Ul. che la domanda di rilascio del certificato di agibilità del 4.2.2014 era stata presentata sprovvista della firma del richiedente e priva della documentazione di rito - l'ordinanza n. 42 del 25 marzo 2014 che ha disposto nei confronti del sig. Be. Ul. la demolizione di opere abusive eseguite in difformità del permesso di costruire. 6.4. Pertanto, essendo il sig. Be. Ul., con nota prot. 3574 del 17.2.2014 stato messo al corrente del fatto che la sua pratica sotto il profilo urbanistico non era conforme e che quindi, ai fini dell'esercizio dell'attività, avrebbe dovuto regolarizzare la conformità urbanistica come indicato nella lettera del 17.2.2014 e essendo il sig. Be. Ul. stato reso edotto con nota del 1.3.2014 di aver presentato la domanda di agibilità senza firma e senza documentazione di rito e infine considerato che il 25.3.2014 è stata emessa l'ordinanza di demolizione n. 42/2014 delle opere abusive non regolarizzate dal sig. Be. Ul., il provvedimento n. 51/2014, con il quale è stata vietata la prosecuzione dell'attività e con il quale sono stati rimossi gli effetti prodotti dalla SCIA presentata per l'attività di somministrazione di alimenti e bevande, risulta corretta e legittima. 6.5. Per quanto concerne il divieto di prosecuzione dell'attività di cui all'ordinanza n. 51/14 va evidenziato che lo stesso è fondato su validi presupposti in quanto detta procedura richiede la conformazione dell'attività alla normativa vigente e quindi, in particolare, a quella edilizia e di conseguenza il possesso del certificato di agibilità dei locali. Ai sensi dell'art. 24 comma 1, t.u. 6 giugno 2001 n. 380 il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, ma tale accertamento fa proprio anche l'integrale conformità delle opere realizzate al progetto approvato dal punto di vista dimensionale, prestazionale e delle prescrizioni urbanistiche ed edilizie come attestato dalla licenza di abitabilità . Al tempo stesso l'accertamento della piena conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie ed alle prescrizioni del permesso di costruire, nonché alle disposizioni di convenzione urbanistica, costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità (tra tante, Consiglio di Stato sez. IV, n. 5523, del 21 novembre 2013; Sez. IV, 24 ottobre 2012, n. 5450). Orbene, tenuto conto di quanto appena esposto in merito al certificato di agibilità, contrariamente all'assunto del Giudice di primo grado, il Collegio ritiene che nel caso concreto, tenuto conto degli abusi edilizi, concernenti sia l'interno del chiosco (sottotetto reso abitabile) che l'esterno (loggia), non sussistevano i presupposti per il rilascio di un certificato di agibilità parziale, mancando il presupposto della funzionalità autonoma delle parti della costruzione. 6.6. Nel caso concreto detto presupposto non sussisteva in quanto gli abusi riscontrati, e cioè il sottotetto abitabile e la loggia, costituiscono un unicum rispetto alla costruzione di cui è stata chiesta l'agibilità . Gli abusi incidono su parti della struttura inscindibilmente connesse con le parti conformi e da ciò ne consegue l'impossibilità del rilascio di un'agibilità parziale. 6.7. In conclusione nella fattispecie, stante gli abusi esistenti e il diniego del rilascio di permesso di costruire a sanatoria, il Comune non aveva la possibilità di rilasciare un'agibilità parziale, per cui è erronea la sentenza impugnata laddove ha accolto sul punto il ricorso del sig. Be. Ul. affermando la necessità del Comune di (omissis) di rideterminarsi su tale aspetto. 6.8. Di conseguenza va accolto l'appello incidentale ed in parziale riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso in primo grado sul punto. 7. Le spese seguono la soccombenza, in virtù del principio di cui all'art. 91 c.p.c., per come richiamato espressamente dall'art. 26, comma 1, c.p.a., di talché l'appellante sig. Be. Ul. quale titolare della ditta "Ba. Pr. di Be. Ul." va condannato alla rifusione delle spese di lite in favore dell'appellato Comune di (omissis), liquidate in Euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori come per legge. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, - Respinge l'appello principale del sig. Be. Ul. quale titolare della ditta "Ba. Pr. di Be. Ul.. -Accoglie l'appello incidentale del Comune di (omissis) l'appello e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado sul punto. Condanna l'appellante sig. Be. Ul. quale titolare della ditta "Ba. Pr. di Be. Ul." alla rifusione delle spese di lite in favore dell'appellato Comune di (omissis), liquidate in Euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Alessandro Maggio - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Ulrike Lobis - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIUSTI Alberto - Presidente Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. FALASCHI Milena - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - Consigliere Dott. CAPONI Remo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 35724/2018, proposto da: (OMISSIS), domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avv. (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS), domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avv. (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA n. 6512/2018, depositata il 16/10/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2022 dal cons. REMO CAPONI. Lette le conclusioni del P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale ROBERTO MUCCI, che ha concluso per il rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA La controversia ha ad oggetto il rispetto delle distanze legali delle costruzioni in edificio condominiale. Nel 2004 (OMISSIS), condomina, conveniva dinanzi al Tribunale di Latina, Sezione distaccata di Gaeta, (OMISSIS), altro condomino (nonche' proprietario di fabbricato latistante), per l'accertamento dell'illegittimita' della costruzione di un balcone con sporto, a causa d'inosservanza delle distanze legali, e della infissione di travi di sostegno nel muro di proprieta' dell'attrice, per la condanna alla riduzione in pristino e al risarcimento dei danni. In prime cure le domande venivano rigettate e le spese di lite compensate. L'attrice proponeva appello principale, mentre il convenuto indirizzava il proprio appello incidentale contro il capo relativo alla compensazione delle spese. In parziale accoglimento dell'appello principale, e' stata accertata l'illegittimita' della costruzione del balcone, condannato il convenuto a demolirlo nei limiti e con le modalita' indicate nella c.t.u., nonche' a rifondere le spese del doppio grado di giudizio. Ricorre in cassazione il convenuto con sei motivi, illustrati da memoria. Resiste l'attrice con controricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - Con il primo motivo si censura che la Corte di appello abbia accertato l'illegittimita' della costruzione del balcone per lesione del decoro architettonico e diminuzione di luce e aria alla proprieta' dell'attrice, senza che tali causae petendi fossero allegate nel giudizio di primo grado, in quanto la domanda di demolizione del balcone era fondata soltanto sull'inosservanza delle distanze legali e la lesione della proprieta' esclusiva in capo all'attrice del muro dove e' stato installato lo sporto del balcone. Nei termini del convenuto, parte ricorrente, si lamenta il vizio di "extra/ultra petizione, avendo la Corte pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere da parte attrice con la proposizione della domanda e comunque su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili di ufficio" (si deduce violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c.). Con il secondo motivo si reitera la sostanza del primo motivo, sotto il profilo dell'inammissibilita' delle domande nuove in appello (si deduce violazione dell'articolo 163 c.p.c., comma 2, articoli 112, 183, e 345 c.p.c.). I primi due motivi sono da esaminare congiuntamente. Essi non sono fondati. Dall'esame dell'atto di citazione risulta che l'attrice ha adito il Tribunale per l'accertamento dell'illegittimita' del balcone con sporto realizzato dal convenuto che ha "violato tutte le limitazioni legali relative alle distanze" rispetto alla proprieta' dell'attrice, "alterando i diritti dell'istante", e "pregiudicato le parti di proprieta' comune" (p. 2 ss.). Costei ha domandato poi l'accertamento dell'illegittimita' dell'innesto di travi a sostegno di tale manufatto nella sua proprieta' esclusiva, senza autorizzazione, in violazione delle limitazioni legali relative alle distanze. L'attrice ha domandato infine la riduzione in pristino e la condanna al risarcimento dei danni alla sua proprieta' esclusiva e all'intero edificio. Dinanzi a una domanda complessa di questo tenore, che invoca il rispetto delle distanze legali nelle costruzioni in funzione di una tutela pienamente ripristinatoria, sia della proprieta' esclusiva che delle parti comuni in un edificio condominiale, il giudice - lungi dal violare il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (articolo 112 c.p.c.) - e' tenuto a verificare la sussistenza delle violazioni sotto ogni profilo, secondo le norme giuridiche applicabili d'ufficio (iura novit curia). E' pertanto irrilevante che la domanda giudiziale, dopo aver conferito lineamenti cosi' ampi alla richiesta di tutela, non abbia nominato espressamente ogni specifica conseguenza sanzionatoria discendente dalla violazione delle prescrizioni sulle distanze (cfr. Cass. 3889/2017). A tale principio della giurisprudenza di legittimita', la Corte di appello si e' attenuta laddove ha dichiarato l'illegittimita' del manufatto per violazione delle distanze legali, oltre che per lesione del decoro architettonico e diminuzione di luce e aria in danno della proprieta' dell'attrice. Scrive la Corte di appello: la costruzione realizzata dal convenuto "si appalesa illegittima alla luce delle risultanze istruttorie non solo per la violazione delle distanze minime, ma anche per il superamento dei limiti consentiti dall'articolo 1102 c.c." (cfr. sentenza, p. 3) e precisa che "il giudicante di prime cure ha errato nel ritenere non applicabile al caso in esame i limiti imposti dalla normativa codi-cistica in tema di distanze e dall'articolo 1102 c.c. che risultano nella specie violati in maniera chiara ed incontrovertibile" (cfr. sentenza, p. 4). In conclusione, il primo e il secondo motivo sono rigettati. 3. - Con il terzo motivo si fa valere l'ingiustizia della sentenza per non avere la Corte d'appello tenuto nel debito conto le conclusioni della c.t.u. di primo grado oltre a non aver motivato la decisione di non disporre una nuova c.t.u., nonche' perche' avrebbe accolto la domanda dell'attrice soltanto sulla base di fotografie dello stato dei luoghi senza che sulle sue doglianze si fosse formata alcuna prova (si deduce omissione circa fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione fra le parti). Del terzo motivo e' dichiarare l'inammissibilita', perche' chiede alla Corte di sovrapporre il proprio apprezzamento dei risultati dell'istruzione probatoria a quello proprio del giudice di merito, che non presenta profili sindacabili in sede di giudizio di legittimita'. Il giudice di merito che - come nel caso di specie - fondi il proprio apprezzamento su alcune prove piuttosto che su altre non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere esplicitamente ogni singolo elemento probatorio o a confutare ogni singola deduzione che aspiri ad una diversa ricostruzione della situazione di fatto rilevante. In tal modo sono da ritenersi disattesi i rilievi che, sebbene non menzionati, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. L'apprezzamento del giudice di merito e' censurabile in sede di legittimita' solo nel caso in cui la motivazione sia talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l'iter logico seguito dal giudice, mentre non vi e' spazio per una critica ad opera del ricorrente che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente ricostruzione dei fatti. Sui limiti del sindacato ex articolo 360 c.p.c., n. 5 si rinvia a Cass. SU 8053/2014. In conclusione, il terzo motivo e' inammissibile. 4. - Con il quarto motivo si censura che la Corte di appello abbia ritenuto le disposizioni sulle distanze fra costruzioni applicabili anche a un edificio condominiale e non derogabili dalle norme relative alle cose comuni di cui all'articolo 1102 c.c. (si deduce violazione dell'articolo 1102 c.c., in relazione agli articoli 905 e 907 c.c.). Con il quinto motivo si censura che la Corte di appello non abbia considerato che le proprieta' dell'attrice e del convenuto confinano con la pubblica via, per cui la costruzione di balconi e sporti in tali edifici non e' soggetta al rispetto della distanza minima ex articolo 905 c.c., comma 2 (si deduce appunto la violazione dell'articolo 905 c.c.) Il quarto e il quinto motivi possono esaminarsi congiuntamente. Il quarto e' infondato; del quinto e' da dichiarare l'inammissibilita'. Il quarto motivo non e' fondato, poiche' le norme sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei rapporti tra unita' immobiliari in un edificio condominiale. Infatti, in linea di principio l'articolo 1102 c.c. non deroga al disposto dell'articolo 907 c.c. Tale e' l'orientamento della giurisprudenza di legittimita' (cfr. tra le altre Cass. 15186/2011), dal quale la sentenza impugnata non si e' discostata. Del quinto motivo e' da dichiarare l'inammissibilita', poiche' non coglie la ratio decidendi, che si fonda non solo sull'inosservanza delle distanze, ma anche sul superamento dei limiti d'uso delle parti comuni nell'edificio condominiale: "la costruzione realizzata da parte appellata si appalesa illegittima alla luce delle risultanze istruttorie non solo per la violazione delle distanze minime, ma anche per il superamento dei limiti consentiti dall'articolo 1102 c.c. (cfr. sentenza, p. 3). In conclusione, il quarto motivo e' infondato, il quinto motivo e' inammissibile. 5. - Con il sesto motivo si censura il capo sulle spese, nell'auspicio che il ricorso abbia successo. Pertanto, esso non e' fondato e va rigettato. 6. - L'inammissibilita' o infondatezza di ogni motivo su cui il ricorso si fonda determina l'infondatezza di quest'ultimo nel suo complesso. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Inoltre, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater si da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell'ulteriore somma pari al contributo unificato per il ricorso a norma dell'articolo 1 bis, stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 2.500,00, oltre a Euro 200,00 Euro per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge. Sussistono i presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell'ulteriore somma pari a quella dovuta per il ricorso, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI La Corte, composta dai sigg. Magistrati Dott. Maria Teresa Spanu Presidente Dott. Cinzia Caleffi Consigliere Dott. Cristina Fois Consigliere - relatore ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella (...)sa civile di 2°grado iscritta al n. 13 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2020, promossa da (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, dall'Avv. (...), come da procura in atti; APPELLANTE CONTRO Condominio (...) - Alghero - già via (...), in persona dell'amministratore in carica sig. (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...), come da procura in atti; APPELLATO oggetto: condominio Conclusioni delle parti: Per l'appellante: "1) ogni avversa istanza, eccezione, deduzione, conclusione respinta; - in via (...)telare: 2) sospendere l'efficacia esecutiva dell'ordinanza appellata ex art. 283 c.p.c. per i motivi meglio esposti in narrativa; - in via principale: 3) riformare interamente l'ordinanza appellata per i motivi meglio sopra esposti e per l'effetto: - in via preliminare, dichiarare improcedibile l'avverso ricorso per mancato esperimento del tentativo di mediazione ovvero, in subordine, sospendere la procedura con invito alle parti a provvedere ad effettuare il tentativo di mediazione; - nel merito, rigettare le avverse domande perché infondate in fatto e in diritto, per le ragioni meglio esposte in narrativa; 4) con vittoria di spese e competenze di lite dei due gradi di giudizio; - in via subordinata, previa conversione del rito in ordinario, con fissazione di udienza ex art. 183 c.p.c. ovvero con modalità equipollenti tali da ripristinare le garanzie difensive delle parti violate in primo grado: 5) ogni avversa istanza, eccezione, deduzione, conclusione respinta; 6) riformare interamente l'ordinanza appellata per i motivi sopra esposti e per l'effetto: - nel merito, rigettare l'avverso ricorso perché infondato in fatto e in diritto, per le ragioni meglio esposte in narrativa; 7) con vittoria di spese e competenze di lite dei due gradi di giudizio" Per l'appellata: "Ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinte; 2) confermarsi l'ordinanza emessa in data 11/12/2019 dal Tribunale di Sassari all'esito del procedimento n. 727/2019 e per l'effetto condannarsi (...) alla demolizione dell'opera edilizia realizzata senza autorizzazione del condominio, con rimessione in pristino stato della facciata dell'edificio condominiale; 3) Con vittoria di spese e compensi del presente grado di giudizio da determinarsi secondo i parametri di cui al DM 55/2014." MOTIVI IN FATTO E DIRITTO Il Condominio di Alghero, Via (...), in persona dell'amministratore in carica, conveniva in giudizio con rito sommario dinanzi al Tribunale di Sassari il condomino (...), allegando l'illegittimità delle opere realizzate dal (...) senza l'autorizzazione dell'assemblea nell'immobile di sua proprietà, consistite della parziale chiusura in muratura del balcone dell'appartamento, domandandone la riduzione in pristino. Ad avviso del condominio l'intervento realizzato nel balcone di proprietà esclusiva si poneva infatti in contrasto sia con il regolamento condominiale - che vietava qualsiasi modifica del fabbricato che ne pregiudicasse le strutture portanti e/o l'aspetto architettonico nonché la chiusura di balconi e terrazze - che con gli artt. 1121 e 1122 c.c. che vietano le modifiche che pregiudicano il decoro architettonico dell'edificio. Il (...) si costituiva in giudizio ed eccepiva in via pregiudiziale l'improcedibilità della domanda per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, nel merito respingeva le avverse allegazioni. Negava, infatti, che l'intervento eseguito sul balcone di proprietà esclusiva, peraltro autorizzato dalle competenti autorità amministrative e paesaggistiche e conforme alla più recente legislazione del Piano Casa, alterasse l'aspetto architettonico del palazzo. Il tribunale, senza dar corso ad ulteriore attività istruttoria, con ordinanza in data 11/12/2019, ritenuto inutile l'esperimento della mediazione a fronte della inconciliabile contrapposizione di interessi tra le parti, accoglieva la domanda proposta dal Condominio e ordinava al (...) la rimessione in pristino della facciata mediante demolizione dell'opera realizzata. Il primo giudice riteneva infatti che l'opera, pacificamente non autorizzata dall'assemblea, alterasse l'estetica del fabbricato laddove ampliava i volumi riducendo i vuoti dei balconi, ed era in ogni caso contraria all'art. 11 del regolamento condominiale contrattuale che vietava qualsiasi modifica senza autorizzazione dell'assemblea, indipendentemente dal pregiudizio estetico. Avverso l'ordinanza ha proposto appello il (...): con il motivo sub i) ha reiterato l'eccezione d'improcedibilità per omesso esperimento del tentativo di mediazione e la richiesta di conversione del rito; ii) nel merito, ha contestato la natura illegittima dell'opera realizzata con riferimento all'aspetto e al decoro architettonico del fabbricato. Ha resistito il condominio, concludendo per l'integrale conferma della sentenza con vittoria delle spese di lite. La causa, istruita con documenti e consulenza tecnica d'ufficio, all'udienza indicata è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe trascritte, previa assegnazione di termini per lo scambio di scritti conclusionali. Con i primi due motivi l'appellante reitera, in rito, la violazione della disciplina sulla mediazione obbligatoria e dell'art.702 ter c.p.c. sulla conversione del rito sommario in rito ordinario, sollecitando a tale ultimo proposito la concessione di termini per il deposito di memorie ex art. 183 c.p.c. Ebbene, nessuna delle due censure è meritevole di accoglimento, nel senso che alla regressione del giudizio, addirittura ad una fase precedente alla sua stessa proposizione alla quale lo riporterebbe l'invocata statuizione d'improcedibilità, osta il fatto che sulla controversia si sono ormai svolte ben due fasi di merito, così che la sua regressione dinanzi al mediatore sarebbe in contrasto con la stessa ratio deflattiva del contenzioso che ha ispirato la legge sulla mediazione obbligatoria. A maggior ragione nel giudizio d'appello, nel quale la mediazione è solo facoltativa. Secondo Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 25155 del 10/11/2020 "in tema di mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ma l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza; ove ciò non avvenga, il giudice d'appello può disporre la mediazione, ma non vi è obbligato, neanche nelle materie indicate dallo stesso art. 5, comma 1-bis, atteso che in grado d' appello l'esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice, ai sensi dell'art. 5, comma 2". Allo stesso modo, la mancata conversione del rito sommario in rito ordinario non è motivo di rinvio del giudizio in primo grado con concessione di termini per le memorie previste dall'art. 183 co. 6 c.p.c.. Non è un caso che alla sommaria istruzione e trattazione del rito sommario ex art. 702 bis faccia da pendant proprio la possibilità per il giudice d'appello di ammettere nuovi mezzi istruttori quando li ritenga indispensabili per la decisione, con un sostanziale recupero in appello della fase istruttoria compressa nel primo grado. Che è esattamente quanto accaduto nel caso di specie, stante l'espletamento in appello di ctu per verificare l'impatto dell'opera realizzata dal (...) sull'aspetto e sul decoro architettonico dell'edificio. Nel merito, con il motivo sub iii) il (...) censura la valutazione di illegittimità dell'ampliamento compiuta dal Tribunale sia con riferimento alle norme del codice civile in materia di innovazioni che alle norme del regolamento. Il motivo è fondato per le ragioni di seguito indicate. La chiusura in muratura realizzata dal (...) di una porzione del terrazzo non riguarda infatti esclusivamente la proprietà individuale, ma nella misura in cui altera l'estetica del fabbricato incide anche su un bene comune e incontra certamente il limite dell'art. 1122 c.c.. Nel caso di specie la possibilità di apportare modifiche alle proprietà individuali con ripercussioni sui beni comuni è anche disciplinata espressamente dall'art. 11 del regolamento. Che è la norma invocata dal Condominio a sostegno della radicale illegittimità del manufatto, riconosciuta anche dal tribunale in sentenza. Il primo giudice, senza entrare nel merito della tipologia d'intervento eseguito dal (...) e del suo impatto con l'aspetto e il decoro architettonico dell'edificio, ha ritenuto infatti che vi fosse nel regolamento un espresso divieto contrattuale, pertanto impegnativo per tutti i condomini per il solo fatto del richiamo del regolamento condominiale contenuto nei rispettivi atti di acquisto, violato dal fatto in sé della realizzazione dell'opera, indipendentemente da un giudizio di valore condotto alla stregua dei concetti di aspetto e decoro architettonico. Ora, tale soluzione non convince la Corte per una duplice ragione. Se l'art. 11 reg. dovesse essere inteso come espressione di un divieto di apportare qualsiasi modifica nelle singole proprietà individuali, inciderebbe sul contenuto del diritto di proprietà e costituirebbe pertanto un peso sostanziale riconducibile alla figura delle servitù, con le quali condividerebbe il particolare regime formale, anche ai fini dell'opponibilità ai terzi acquirenti. Non è contestato infatti che il (...) abbia acquistato l'appartamento da Fara Antonietta e non dall'originario costruttore. Al riguardo la giurisprudenza della Corte di Cassazione è ormai assestata (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 24526 del 09/08/2022) nel ritenere che "la previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche e non delle obbligazioni "propter rem", difettando il presupposto dell'"agere necesse" nel soddisfacimento d'un corrispondente interesse creditorio; ne consegue che l'opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l'indicazione, nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659, comma 1, n. 2, e 2665 c.c., non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21024 del 18/10/2016). Sul punto non sfugge alla Corte che, oltre a non essere stata prodotta la nota di trascrizione del regolamento, nella nota di trascrizione dell'atto di compravendita intercorso tra il (...) e la Fara l'unico limite alla proprietà esclusiva espressamente indicato è quello di destinazione dell'immobile ad uso diverso da quello previsto nel regolamento, non anche il divieto di apportare qualsiasi modifica alla proprietà individuale, compresa la chiusura di balconi e terrazze dell'edificio. Da ciò consegue che la relativa limitazione, contenuta nel regolamento, ma non espressamente trascritta, non potrebbe essere opposta al terzo acquirente per mancanza di forma. A tale rilievo non osta, poi, il fatto che la parte abbia sollevato la relativa eccezione soltanto in appello. Come affermato dalla Cassazione (cfr per tutte Cass. sentenza n. 6769 del 19/03/2018) "la questione relativa alla mancata trascrizione in un'apposita nota di una clausola del regolamento di condominio contenente limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, ed alla conseguente inopponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti, non costituisce oggetto di un'eccezione in senso stretto, quanto di un'eccezione in senso lato, sicché il suo rilievo non è subordinato alla tempestiva allegazione della parte interessata, ma rimane ammissibile indipendentemente dalla maturazione delle preclusioni assertive o istruttorie". In realtà la clausola del regolamento, lungi dall'imporre uno specifico peso reale sulle singole proprietà individuali, non fa che ribadire il generale principio codicistico che le modifiche apportate alla proprietà individuale sono consentite nei limiti in cui non pregiudicano la staticità del fabbricato (ipotesi chiaramente esclusa nel caso in oggetto) nonché l'aspetto (art. 11 reg.) e il decoro architettonico dell'edificio (art. 1121 c.c.). Secondo Cass. sent. n. 14607/2012 "in tema di condominio è illegittimo l'uso particolare o più intenso del bene comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., ove si arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio condominiale". "Aspetto" e "decoro" architettonico sono dunque i parametri alla cui stregua condurre l'indagine sul carattere consentito o vietato dell'opera realizzata dal (...), pacificamente consistita nell'ampliamento dei volumi dell'appartamento (secondo il vigente Piano Casa) mediante chiusura in muratura di una porzione del balcone dell'unità immobiliare. Ora, da un'indagine puramente visiva delle fotografie prodotte dal condominio e allegate alla ctu la modifica apportata dal (...) si presenta perfettamente mimetizzata, a maggior ragione se si ha riguardo alla disomogeneità tra vuoti e pieni derivante dal posizionamento delle tende solari nelle altre logge presenti in facciata. Inoltre, ad annullare quasi completamente l'impatto visivo della modifica contribuisce la conservazione della balaustra del balcone con muretto in laterizi rossi e ringhiera in ferro per l'intera lunghezza, mentre l'apertura della porta finestra è stata sostituita dalla finestra dell'ampliamento, così che ad uno sguardo puramente frontale del prospetto, come raffigurato dal ctu a pag. 10 dell'elaborato, l'ampliamento è difficilmente individuabile. Si tratta delle medesime conclusioni cui è arrivato il ctu. L'ausiliario della Corte, dopo aver ricostruito il tessuto urbano-periferico nel quale si inserisce il fabbricato condominiale ed evidenziato che la parete interessata dalla modifica prospetti su uno stretto vicolo chiuso, di viabilità esclusivamente locale (al servizio delle sei unità edilizie presenti), e la modifica, peraltro interessante il primo piano, non sia immediatamente visibile per chi transita sulla via, in quanto coperto dal muro di confine e dalla sovrastante siepe di recinzione, ha escluso qualsiasi incidenza negativa sia sul contesto paesaggistico che sull'aspetto architettonico dell'edificio. A tale ultimo riguardo, che è anche quello che maggiormente interessa in questa sede, l'architetto Dettori, con argomentazioni immuni da vizi logici, che si condividono pienamente, ha escluso un'apprezzabile incidenza dell'intervento sull'aspetto architettonico dell'edificio, facendo osservare come l'opera non crei alcun momento di rottura o disarmonia dell'estetica del fabbricato, nella quale s'inserisce perfettamente grazie alle attenzioni progettuali adottate: materiali e cromatismi dell'ampliamento sono uniformi rispetto a quelli presenti nel resto dell'edificio e sono stati evitati accuratamente materiali dissonanti; il nuovo volume risulta arretrato di 20 cm. rispetto al filo esterno della facciata, facendo percepire in questo modo invariata la grande apertura della loggia e mantenendo pertanto invariata la logica compositiva e formale del prospetto laterale; l'eventuale presenza di una tenda solare verticale (peraltro già esistenti negli appartamenti soprastanti e nella restante porzione del balcone del (...)) maschererebbe del tutto l'ampliamento rendendo analoga la loggia del (...) alle restanti logge (cfr. relazione c.t.u.). Alla luce di tali considerazioni l'opera, rispettosa dell'aspetto e del decoro architettonico dell'edificio, costituisce legittimo uso della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c. con conseguente infondatezza della domanda di riduzione in pristino proposta dal condominio. Le spese di lite, liquidate nei parametri medi dello scaglione di riferimento, seguono la soccombenza e sono pertanto poste a carico del condominio. PQM la Corte definitivamente decidendo, in riforma dell'ordinanza pronunciata ai sensi dell'art. 702 ter c.p.c. dal Tribunale di Sassari in data 11 dicembre 2019 nel procedimento iscritto al n. 727/2019 R.G., 1) rigetta la domanda proposta dal Condomino di Alghero, Via (...); 2) condanna il Condomino di Alghero, Via (...), alla rifusione in favore dell'appellante delle spese di entrambi i gradi del giudizio, che liquida in complessivi Euro 7.616 ed Euro 9.991 per compensi professionali, rispettivamente del primo e del secondo grado del giudizio, oltre spese di ctu nella misura liquidata, spese esenti e accessori di legge. Così deciso in Sassari, nella camera di consiglio del 25 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5705 del 2017, proposto da Be. Ul. quale titolare della ditta "Ba. Pr. di Be. Ul.", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Ch., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ma. Ch. Mo. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Or., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Li. Ra. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima n. 00017/2017, resa tra le parti, concernente il ricorso avverso il diniego di concessione in sanatoria permesso n. 45/11 "Costruzione Chiosco per la somministrazione di alimenti e bevande" da eseguirsi in Strada (omissis) del Comune di (omissis) (FM) Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2023 il Cons. Ulrike Lobis e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in esame, parte ricorrente ha impugnato la sentenza n. 17/2017 del TAR per le Marche, concernente il rigetto del gravame proposto dalla stessa parte per ottenere l'annullamento (i) del provvedimento prot. 10440 (pratica edilizia n. 99) del 26/27 aprile 2013, con cui il Responsabile Area 4 del Comune di (omissis) ha respinto: "la domanda di permesso di costruire in variante a sanatoria del perm. 45/11 "costruzione chiosco per la somministrazione di alimenti e bevande" presentata dalla ditta "Ba. Pr....."; (ii) dell'articolo 3 della "convenzione per la concessione in gestione dell'area attrezzata a verde pubblico, compresa tra Via (omissis), il Ristorante "il Me." e Via (omissis) per esercitare l'attività di somministrazione di alimenti e bevande" sottoscritta dalle parti il 19 marzo 2010 e del bando relativo, nella parte in cui prevede che la "struttura amovibile" ivi prevista debba avere "le seguenti caratteristiche massime superficie massima al chiuso mq 70; - eventuale porticato o veranda per un massimo dí mq 30"; (iii) di tutti gli atti preordinati, coordinati, presupposti, connessi o conseguenti, tra cui le risultanze dell'istruttoria tecnica menzionata nel diniego ed il preavviso di diniego Prot. 20056 del 30 agosto 2012. 1.1. In particolare l'odierno appellante è titolare di una concessione per la gestione di una porzione di area attrezzata a verde pubblico nel Comune di (omissis). La relativa convenzione è stata firmata dalle parti in data 19.3.2010. 1.2. La concessione prevede la costruzione di una struttura amovibile (tipo chiosco) chiudibile, da destinare all'attività di somministrazione di alimenti e bevande ai sensi della L.R. n° 30/2005 con contestuale rilascio dell'autorizzazione. 1.3. Con riferimento a tale immobile, l'odierno appellante ha presentato il 12 giugno 2012 presso lo sportello unico per l'Edilizia del Comune, ai sensi dell'articolo 10 e 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, una richiesta di permesso a costruire in sanatoria per la "realizzazione di una loggia aperta su tre lati ed una maggiore altezza di un chiosco per la somministrazione di alimenti e bevande sito in Zona Industriale (omissis) a (omissis) (FM)". 1.4. Dopo il preavviso di diniego emesso il 30 agosto 2012, l'Amministrazione comunale ha respinto l'istanza con il provvedimento prot. 10440 del 26/27 aprile 2013 in quanto l'intervento superava le dimensioni massime di superficie coperta consentite dalla convenzione e prevedeva la creazione di un solaio abitabile, che determinava un aumento di superficie. 1.5. Con il ricorso al Tar l'odierna parte appellante aveva dedotto l'illegittimità del diniego deducendo - la violazione e la falsa applicazione dell'art. 13 del regolamento edilizio comunale, - la violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 1, lett. e.6), del d.p.r. n. 380 del 2001 in tema di pertinenze, - la violazione dell'articolo 3 della Convenzione del 19.3.2010, dell'articolo 2, comma 4, del medesimo d.p.r. n. 380, degli articoli 6 e 10 bis della legge n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per contraddittorietà della motivazione. - Il ricorrente notava inoltre, con un'ulteriore censura, che con delibera di giunta comunale del 12.11.2002 sarebbe stato riconosciuto come la volumetria massima indicata nel bando di gara e nella relativa convenzione non comprenda i volumi tecnici e servizi obbligatori. 1.6. All'esito del giudizio di prime cure il Tar ha respinto la censura in quanto: - l'articolo 3 del bando di assegnazione e della relativa convenzione firmata dal ricorrente fanno un chiaro riferimento all'installazione di una struttura amovibile, e nell'articolo 2, punto e), del bando sono specificate le dimensioni della superficie coperta, che deve avere la superficie massima al chiuso di mq 70 ed eventuale porticato o veranda per un massimo di mq 30; - non si tratta di costruzioni su un suolo di proprietà privata, ma su un terreno oggetto di concessione, che non può che essere governato dalla relativa convenzione la quale limita la superficie coperta, oltre all'edificio, ad una veranda di 30 mq; - considerata l'esistenza di una concessione e della relativa convenzione, sono del tutto irrilevanti le considerazioni di parte ricorrente relative alla superiorità, nella gerarchia delle norme, del Regolamento edilizio rispetto al bando e alla convenzione. La superficie prevista nell'accordo non può quindi essere ampliata, non rilevando le differenze dedotte nel ricorso tra porticato e loggia - in proporzione alla superficie occupata dall'edificio, un'addizione di 40 mq di superficie coperta non può ritenersi irrilevante, tenendo conto delle superfici assentite dal progetto. È stato, infatti, precisato in giurisprudenza che gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi (non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito), possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione, e non nel caso in cui le loro dimensioni siano di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono. E' irrilevante il carattere pertinenziale, che va ovviamente valutato in relazione alle dimensioni dell'edificio principale; - con riguardo al quarto motivo, la parziale inosservanza dell'art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 (riguardo alla violazione relativa alla realizzazione del solaio) non potrebbe comunque determinare l'annullamento del provvedimento impugnato, dovendosi fare applicazione all'art. 21 octies, comma 2, prima parte, che esclude l'annullabilità dell'atto impugnato qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento medesimo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; - nel caso in esame il solaio, con altezza interna superiore a 1,50mt, non può essere considerato come volume tecnico, dato che, come condivisibilmente affermato in giurisprudenza, un volume realizzato a copertura d'un fabbricato o ha la natura e le caratteristiche d'un sottotetto di per sé non abitabile e destinato a servire come minimo volume tecnico per copertura ed isolamento dell'edificio, oppure non è che una mansarda, anche potenziale, in quanto dotato di significativa altezza media rispetto al piano di gronda; nell'un caso, s'avrà un mero vano strumentale alla buona funzionalità dell'edificio, nell'altro, un vano avente una materiale potenzialità di sfruttamento a fini abitativi. La non accessibilità diretta del sottotetto non modifica il giudizio, in quanto si tratta di accorgimento facilmente rimuovibile; - nella fattispecie, posto il carattere vincolato del diniego rispetto alla mancanza dei presupposti richiesti dalla normativa, risulta manifesto che il provvedimento oggetto del ricorso di primo grado non avrebbe potuto assumere se non un contenuto sfavorevole al ricorrente; -per quanto riguarda la presunta contraddittorietà del provvedimento impugnato con la delibera di consiglio comunale 230/2010, in tutta evidenza l'esclusione dei volumi tecnici e dei servizi obbligatori dalla superficie massima realizzabile, prevista dalla delibera citata, riguarda il caso in cui le opere abbiano effettivamente le caratteristiche del "volume tecnico", circostanza che non si verifica nel caso in esame. 2. Avverso la sentenza di primo grado parte appellante ha formulato i seguenti motivi di appello: (1) Primo motivo di appello: violazione e falsa applicazione dell'art. 13 lett. c) del regolamento edilizio e della convenzione - illegittimità del diniego della sanatoria - violazione e falsa applicazione dell'art. 3 lett. e.6 del d.p.r. n. 380 del 2001 i in tema di pertinenze - eccesso di potere per violazione di legge ed eccesso di potere (2) Secondo motivo di appello con riferimento al solaio - illegittimità del provvedimento impugnato - eccesso di potere (3) Terzo motivo di appello con riferimento alla domanda di risarcimento del danno. 2.1. Il Comune si è costituito con memoria depositata il 4.10.2017, chiedendo il rigetto dell'appello. L'Amministrazione ha evidenziato l'inconferenza del richiamo operato da parte appellante ai parametri edilizi e di qualificazione giuridica della "loggia" ritenendo rilevante nella fattispecie la circostanza che il Comune di (omissis) ha posto a gara pubblica e poi sottoscritto la convenzione relativamente a un manufatto che doveva avere le seguenti caratteristiche massime: superficie al chiuso mq 70, eventuale porticato o veranda mq 30 (art. 3 convenzione e art. 2 bando di gara). Diversamente opinando e seguendo l'impostazione della parte appellante, l'intera gara pubblica ne risulterebbe inficiata poiché altri soggetti avrebbero potuto partecipare sul presupposto che il manufatto e l'area circostante potevano essere notevolmente ampliati. Secondo il Comune, nella fattispecie l'area esterna risultava avere, a seguito dell'abuso del ricorrente, un'estensione più che raddoppiata rispetto a quella convenzionata (75 mq in luogo dei 30 mq previsti). Per quanto concerne il secondo motivo, e cioè quello relativo al solaio abitabile, il Comune ritiene priva di fondamento l'argomentazione dell'appellante secondo cui questo deve essere considerato volume tecnico, poiché ciò che rileva è che detto sottotetto è stato realizzato dal ricorrente con tutte le caratteristiche di un piano abitabile e quindi come tale lo stesso non può essere considerato volume tecnico. L'Amministrazione chiedeva, infine, il rigetto dell'istanza risarcitoria per mancanza della prova circa la sussistenza degli elementi previsti dall'art. 2043 c.c. e in quanto è del tutto priva di riscontro probatorio la quantificazione del danno presunto. 2.2. In vista dell'udienza di discussione, le parti hanno depositato memorie difensive e di replica. 2.3. All'udienza del 16.02.2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 3. L'appello è infondato. Con il primo motivo di appello (rubricato: violazione e falsa applicazione dell'art. 13 lett. c) del regolamento edilizio e della convenzione - illegittimità del diniego della sanatoria - violazione e falsa applicazione dell'art. 3 lett. e.6 del d.p.r. n. 380 del 2001 in tema di pertinenze - eccesso di potere per violazione di legge ed eccesso di potere) parte appellante sostiene che la questione del loggiato posto sul lato est andrebbe affrontata sulla base delle definizioni contenute nella "nuova stesura" dell'articolo 13 lett. c) del Regolamento Edilizio Comunale di (omissis) il quale, ai fini della distinzione fra porticato e logge aperte definisce come porticato "una porzione del piano terreno di un fabbricato aperta almeno su un lato, lungo il quale appositi pilastri sorreggono i volumi abitabili dei piani superiori", mentre definisce come loggia un "organismo architettonico addossato ad un edificio o arretrato rispetto alla facciata, aperto su uno o due lati, con apertura a tetto o a terrazza o a balcone o sormontato da altra loggia". Sulla base della qualificazione dell'opera in discussione desunta dal citato articolo 13 lett. c) ed in relazione alla sua specifica funzionalizzazione, il Comune avrebbe potuto e dovuto rilasciare il permesso in sanatoria, trattandosi - ai fini del calcolo della superficie utile lorda e della superficie minima assentibile - di intervento indifferente sia rispetto al Regolamento Edilizio che alla convenzione. Se il ricorrente avesse realizzato un portico ovvero una veranda, avrebbe dovuto rispettare i parametri previsti dalla convenzione, ossia la realizzabilità di una superficie al chiuso di 70 mq ed un'eventuale porticato o veranda di 30 mq; ma siccome ha realizzato una "loggia aperta" che secondo la definizione data dallo stesso Regolamento Edilizio del Comune di (omissis) e dalla giurisprudenza, è una copertura aperta su tre lati e siccome non era vietata dalla convenzione e dal bando, la loggia sarebbe stata assentibile ed indifferente ai fini del calcolo sia delle superfici che delle volumetrie. Deduce, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 comma 1, lett. e.6 del D.P.R. n. 380/2001 in tema di pertinenze, sostenendo che l'opera rappresenti tutti i connotati della pertinenza, in quanto l'opera eseguita non sarebbe destinata ad una finalità residenziale, non ha un autonomo valore commerciale e non è suscettibile di autonoma utilizzazione rispetto al bene principale, avendo solamente la funzione di ombreggiare e riparare lo spazio sottostante. 3.1. Il Collegio ritiene infondato il primo motivo di appello in quanto le argomentazioni dedotte con riferimento ai parametri edilizi ed urbanistici ed al concetto di loggia indicate dall'appellante non sono in grado a smentire le puntuali e logiche ragioni indicate dal Giudice di prime cure a fondamento del rigetto del ricorso. 3.2. Infatti, la convenzione per la concessione in gestione dell'area attrezzata a verde pubblico del 19.3.2010, stipulata tra l'appellante ed il Comune, prevede esplicitamente nell'art. 3 la possibilità di costruire una struttura amovibile (tipo chiosco) chiudibile da destinare all'attività di somministrazione di alimenti e bevande ai sensi della L.R. n. 30 del 2005, della superficie massima al chiuso di 70 mq e di un porticato o di una tettoia per un massimo di 30 mq, per cui le costruzioni effettuate dall'appellante, sia con riferimento al chiosco ove è stato realizzato un sottotetto abitabile con altezza interna superiore a 1,50 m, sia con riferimento alla loggia realizzata su una superficie esterna di 75 mq, hanno superato le dimensioni massime consentite dalla convenzione, rispettivamente hanno violato la prescrizione contenuta nella convenzione sulla destinazione del chiosco all'attività di somministrazione di alimenti e bevande. 3.3. Siccome nel caso concreto, sulla base di un bando pubblico è stata stipulata una convenzione tra l'amministrazione pubblica e la parte appellante concernente l'uso di un area attrezzata a verde pubblico, sono vincolanti e prevalenti le prescrizioni e pattuizioni ivi contenute sia per quanto riguarda la natura della superficie coperta all'esterno del chiosco, identificata nella convenzione con porticato o veranda, sia per quanto riguarda l'estensione massima della superficie esterna da occupare. Pertanto, in merito alle possibilità di utilizzo e di costruzione su tale area sono del tutto irrilevanti le deduzioni della parte appellante sia con riferimento alla asserita superiorità, nella gerarchia delle norme, del Regolamento edilizio rispetto al bando e alla convenzione, sia con riferimento alle differenze tra porticato e loggia, in quanto le prescrizioni contenute nella convenzione circa la natura della superficie coperta all'esterno del chiosco, identificata nella convenzione con "porticato o veranda" e le prescrizioni contenute nella convenzione circa la superficie massima, sono prevalenti e vincolanti e non possono essere violate. 3.4. Quindi, nel caso concreto, avendo l'appellante costruito una loggia aperta su una superficie esterna di 75 mq e non, come previsto nella convenzione, una veranda o un porticato con una superficie massima di 30 mq assentita dall'art. 3 della convenzione, raddoppiandone l'estensione rispetto a quella convenzionata, il Collegio, contrariamente all'assunto dell'appellante, ritiene che nel caso concreto non si tratta di intervento indifferente rispetto alle prescrizioni contenute nella convenzione e nel relativo bando e che quindi non si tratta di intervento compatibile con la convenzione, per cui il Comune ha correttamente denegato la sanatoria richiesta dalla parte appellante, in quanto la sanatoria sarebbe stata in evidente contrasto con quanto stabilito nella convenzione e nel bando. 3.5. Il Collegio osserva infine che è del tutto infondata ed inconferente al caso concreto il motivo della parte appellante secondo la quale "il Comune, se avesse voluto censurare l'inadempimento del concessionario negli obblighi previsti dalla concessione, avrebbe dovuto far qualcosa di diverso e cioè attivarsi per provocare la risoluzione della concessione ossia, nello specifico, promuovere l'Arbitrato previsto dall'articolo 13 della convenzione", in quanto nel caso concreto si tratta del diniego della domanda di sanatoria presentata dallo stesso appellante e non invece di questioni concernenti l'inadempimento di obblighi contrattuali da parte del privato, fonte di eventuale risoluzione della convenzione. 3.6. Del pari non sono convincenti in fatto ed in diritto le affermazioni dell'appellante con riferimento alla sostenuta violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 comma 1, lett. e.6 del D.P.R. n. 380/2001 in relazione alla loggia ritenuta non sanabile da parte del comune. Nel caso concreto, come correttamente rilevato dal Giudice di prime cure con valutazione e motivazione logica, solamente ove la conformazione e le ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione, gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi (non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito), possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire. 3.7. Tenuto conto della dimensione della superficie occupata, sono del tutto destituite le censure mosse dalla parte appellante con riferimento all'asserita natura pertinenziale della loggia, in quanto, per pacifica giurisprudenza "Il collegamento tra pertinenza e bene principale non può essere, peraltro, apprezzato sul piano soggettivo, avuto riguardo al tipo di destinazione che il proprietario ha inteso imprimere nel caso concreto, dovendo sussistere un "oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce" (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 giugno 2020, n. 3634). 3.8. Le argomentazioni a tal uopo contenute nella sentenza impugnata sono anche integralmente conformi a quanto stabilito da questa Sezione con la propria sentenza n. 694/2017 con riferimento al concetto di pertinenza urbanistica: "La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (cfr. Cons. St., Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615)" 3.9. Sono quindi destituiti di fondamento gli argomenti dell'appellante posti a sostegno del primo motivo di appello. 4. Con il secondo motivo di appello, formulato con riferimento al solaio, l'appellante censura l'illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere. L'appellante, riportandosi a giurisprudenza sul soppalco (che sarebbe figura in sostanza coincidente con quella in esame) e sul vano tecnico, sostiene l'erroneità della sentenza laddove parla di una potenziale sfruttabilità del vano ai fini residenziali. A tal uopo l'appellante argomenta che il solaio non sarebbe utilizzabile da parte degli avventori del locale che non possono accedervi in quanto sarebbe costituito da un controsoffitto chiuso, accessibile tramite una botola, nel quale sarebbero stati collocati la caldaia e gli impianti delle macchine necessarie per far funzionare i frigoriferi e gli altri elettrodomestici destinati all'esercizio dell'attività di ristorazione. Secondo l'appellante, ci si troverebbe in presenza di intervento che rientra nel concetto di attività edilizia libera, trattandosi di un volume tecnico, chiuso e non computabile ai fini della volumetria consentita. 4.1. L'argomentazione non convince. Dalla documentazione fotografica depositata dalla stessa parte appellante si ritiene non poter escludere la destinazione ad uso abitabile del sottotetto come costruito dalla parte appellante, dotato di finestre sui lati est ed ovest e consistente in una altezza interna tra 1,5 m e 3,10 m (cfr. allegato 5 della parte ricorrente in primo grado, tavole e sezioni del progetto in sanatoria; fotografie di cui all'allegato 6). Considerate le caratteristiche costruttive del sottotetto si ritiene del tutto inconferente la giurisprudenza sui soppalchi e sui vani tecnici riportata dalla parte appellante a sostegno della propria tesi sulla erroneità della sentenza appellata in tale punto. 4.2. A prescindere dalla circostanza che l'appellante non ha indicato alcun plausibile motivo per il quale non sarebbe stato possibile allocare altrove la caldaia e gli impianti delle macchine necessarie per far funzionare i frigoriferi e gli altri elettrodomestici destinati all'esercizio dell'attività di ristorazione, non convince comunque la tesi avversaria circa la natura di vano tecnico del sottotetto, in quanto, come statuito dal questa Sezione con decisione del 17 febbraio 2022, n. 1184 " si definisce 'tecnicò il volume non impiegabile né adattabile ad uso abitativo e comunque privo di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché strettamente necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi ragione, all'interno dell'edificio (Consiglio di Stato, Sez. VI n. 7584 del 2021; Sez. VI, n. 3318 del 2021; Sez. II n. 5940 del 2021). Tali possono essere, in via esemplificativa, quelli connessi alla condotta idrica, termica, all'ascensore e simili (Consiglio di Stato, Sez. II n. 7357 del 2021, Sez. V, n. 3059 del 2016, Sez. VI n. 175 del 2015). Solo alle predette condizioni tali volumi non vanno computati nel calcolo della volumetria massima consentita, in quanto per definizione essi non generano autonomo carico urbanistico (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4358 del 2020)". 4.3. Infatti, ai fini di fare rientrare il sottotetto de quo nella nozione di vano tecnico, le caratteristiche costruttive, la presenza di finestre sui lati est ed ovest e le dimensioni sia di superficie che volumetriche del sottotetto, ma anche la circostanza che gli impianti ivi collocati occupano solo una minima parte della superficie complessiva del sottotetto, non si attagliano alle definizioni sopra riportate sui vani tecnici. Inoltre, come correttamente osservato dal Giudice di prime cure, la non accessibilità diretta del sottotetto è di rilievo, in quanto si tratta di accorgimento facilmente rimuovibile. Sono pertanto, destituite di fondamento le doglianze ed affermazioni dedotte dalla parte appellante a sostegno di questo motivo di appello. 4.4. Infine, va confermata la statuizione del Giudice di primo grado anche con riferimento alla non contraddittorietà del provvedimento impugnato con la delibera di consiglio comunale 230/2010, laddove statuisce che l'esclusione dei volumi tecnici e dei servizi obbligatori dalla superficie massima realizzabile, prevista dalla delibera del consiglio comunale n. 230/2010 riguarda il caso in cui le opere abbiano effettivamente le caratteristiche del "volume tecnico", circostanza che, come evidenziato ai precedenti punti, non si riscontra nel caso in esame. 4.5. Conclusivamente va rigettato anche il secondo motivo di appello in quanto evidentemente infondato. 5. Sulla base delle statuizioni contenute nei precedenti punti, l'appello deve essere respinto; dal rigetto di ogni domanda di annullamento discende conseguenzialmente il rigetto della domanda risarcitoria, concernente gli investimenti effettati nella costruzione del manufatto, indicati in circa 150.000,00 euro. 6. Conclusivamente, per quanto esposto e ritenendo assorbiti tutti gli ulteriori argomenti di doglianza non espressamente esaminati, che il Collegio ha ritenuto irrilevanti ai fini della decisione o comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso da quella assunta, l'appello deve essere respinto per i motivi indicati, con assorbimento di ogni altra questione. 7. Le spese seguono la soccombenza, in virtù del principio di cui all'art. 91 c.p.c., per come richiamato espressamente dall'art. 26, comma 1, c.p.a., di talché l'appellante sig. Be. Ul. quale titolare della ditta "Ba. Pr. di Be. Ul." va condannato alla rifusione delle spese di lite in favore dell'appellato Comune di (omissis), liquidate in Euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori come per legge. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l'appello. Condanna l'appellante sig. Be. Ul. quale titolare della ditta "Ba. Pr. di Be. Ul." alla rifusione delle spese di lite in favore dell'appellato Comune di (omissis), liquidate in Euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Alessandro Maggio - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Ulrike Lobis - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Felice - Presidente Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. FALASCHI Milena - rel. Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. AMATO Cristina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 15559-2018 proposto da: CONDOMINIO DI (OMISSIS) - (OMISSIS), in persona dell'Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall'avvocato (OMISSIS) del foro di (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato agli indirizzi PEC del difensore iscritto nel REGINDE; - ricorrente - contro (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS) del foro di (OMISSIS), come da procura speciale in calce al controricorrente, ed elettivamente domiciliati agli indirizzi PEC del difensore iscritto nel REGINDE; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 477-2018 della Corte di appello di Bari, pubblicata il 15 marzo 2018 e notificata in pari data; udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 7 dicembre 2022 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Tommaso Basile, che ha concluso per il rigetto del ricorso; sentito l'avvocato (OMISSIS), per parte ricorrente e l'avvocato (OMISSIS), per parte resistente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 22 ottobre 2007 il Condominio di (OMISSIS), sito in (OMISSIS) evocava - dinanzi al Tribunale di Foggia - (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita' di comproprietarie, per parti ben definite, di appartamento posto al piano attico dello stabile, chiedendone la condanna alla rimozione di una veranda realizzata nella loro abitazione in violazione degli articoli 1127 e 1120, comma 2 c.c., nonche' del regolamento condominiale e dello stesso atto di acquisto del bene. Esponeva il Condominio che la (OMISSIS) aveva chiesto ed ottenuto, con delibera del 20.09.2000, dall'assemblea condominiale autorizzazione alla installazione di una pensilina a parziale copertura del proprio terrazzo a livello; che successivamente la medesima condomina aveva provveduto al frazionamento dell'appartamento ricavandone due unita' immobiliari, una delle quali era stata ceduta alla figlia, (OMISSIS), e che in seguito le convenute avevano tamponato la pensilina in questione realizzando una veranda, con struttura in vetro e muratura, e con copertura non piu' in lamiera grecata (come autorizzata dall'assemblea condominiale) ma in polistrato, in tal modo aumentando il volume abitabile. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della (OMISSIS) e della (OMISSIS), le quali in via subordinata chiedevano condannarsi il Condominio al risarcimento dei danni subiti a causa dell'ingiustificata pretesa attorea, il giudice adito, con sentenza n. 610 del 2013, svolta dal Condominio ulteriore domanda in via subordinata di condanna delle convenute al pagamento di un indennizzo per la sopraelevazione realizzata, istruita la causa con c.t.u., rigettava la domanda attorea principale e dichiarava inammissibile quella subordinata, regolava le spese di lite in conseguenza. In virtu' di rituale impugnazione interposta dal Condominio, la Corte di appello di Bari, nella resistenza delle appellate, rigettava l'appello e per l'effetto confermava la decisione gravata. A sostegno della decisione adottata il giudice dell'impugnazione rilevava che il manufatto oggetto di causa sebbene fosse stato realizzato dalle appellate in difformita' di quello assentito dall'assemblea condominiale, non alterava in alcun modo l'aspetto architettonico ed il decoro dell'edificio, come emergeva chiaramente dall'accertamento tecnico e dalle foto allegate. Infatti, pur vero che il manufatto era visibile dalla parte posteriore rispetto al prospetto del Condominio, tuttavia era evidente che sarebbe stato altrettanto visibile e con analogo ingombro qualora fosse stato realizzato con una diversa copertura o non fosse stata chiusa a vetri. Condivideva, pertanto, la decisione del giudice di prime cure che aveva ritenuto che il manufatto non pregiudicasse l'aspetto esteriore dell'edificio condominiale, inserendosi i materiali utilizzati perfettamente nell'architettura dell'edificio. Ne' sussisteva la paventata situazione di pericolo per avere il c.t.u. accertato, attraverso l'espletamento di prove di carico, che "la verifica di tipo statico dei carichi ammissibili sul solaio" rientrava nei parametri di ammissibilita', non condivisibili le contestazioni della parte appellante al riguardo, circa la normativa sulla sicurezza sismica, che oltre ad essere inammissibili perche' non formulate in sede di note critiche alla c.t.u., erano state correttamente superate dall'ausiliario del giudice proprio alla luce delle verifiche tecniche effettuate. Infine il manufatto non incideva in alcun modo, per come realizzato, sull'aria e la luce dei piani sottostanti. Condivideva, da ultimo, anche la pronuncia di inammissibilita' della ulteriore domanda del Condominio (definita "riconvenzionale") per tardivita'. Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bari ha proposto ricorso l'originario attore, sulla base di cinque motivi, cui hanno resistito con controricorso le (OMISSIS)- (OMISSIS). Posto in discussione il ricorso per la decisione allo stato degli atti all'udienza pubblica del 7 dicembre 2022, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, conv. in L. n. 176 del 2020, in prossimita' della quale e' stata depositata dal sostituto procuratore generale, Dott. Tommaso Basile, memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto del ricorso, parte ricorrente ha formulato istanza di discussione orale della controversia. CONSIDERATO IN DIRITTO Per un'ordinata trattazione occorre esaminare preliminarmente le eccezioni di inammissibilita' dedotte nel controricorso per violazione dei principi di autosufficienza e di specificita' del ricorso, nonche' dell'articolo 366, comma 1 nn. 3 e 6 c.p.c.. Le eccezioni sono infondate. Come statuito da questa Corte, "il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformita' ai principi di chiarezza e sinteticita' espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda "sub iudice" posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimita' una concisa rappresentazione dell'intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell'ambito della tipologia dei vizi elencata dall'articolo 360 c.p.c.; tuttavia l'inosservanza di tali doveri puo' condurre ad una declaratoria di inammissibilita' dell'impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l'intelligibilita' delle censure mosse alla sentenza gravata, cosi' violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell'articolo 366 c.p.c." (Cass., Sez. Un., n. 37552 del 2021). Si e' anche precisato che non e' causa di inammissibilita' l'inserimento nel corpo del ricorso di copie fotostatiche o scannerizzate di atti relativi al giudizio di merito, qualora la riproduzione integrale di essi sia preceduta da una chiara sintesi dei punti rilevanti per la risoluzione della questione dedotta (v. Cass., Sez. Un., n. 4324 del 2014). Il ricorso in esame contiene una adeguata esposizione dei fatti di causa e delle questioni giuridiche sollevate nonche' la trascrizione dei motivi di appello formulati avverso la decisione del giudice di prime cure; comprende, inoltre, ampie argomentazioni sui dedotti vizi di violazione delle norme specificamente invocate. Si sottrae pertanto alle censure mosse ai sensi del citato articolo 366 c.p.c.. D'altra parte, anche il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), quale corollario del requisito di specificita' dei motivi - anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 - non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, cosi' da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non puo' pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all'interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (cosi' Cass., Sez. Un., n. 8950 del 2022; v. anche Cass. n. 12481 del 2022); requisiti nella specie rispettati. Venendo al merito, con il primo motivo il Condominio lamenta la violazione, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, degli articoli 112 e 324 c.p.c. ovvero per nullita' della sentenza per omessa pronuncia sul primo motivo di appello circa la violazione dell'articolo 1127 c.c. in relazione al divieto posto dal titolo e all'accertamento con effetto di giudicato della sopraelevazione, oltre a vizio di motivazione (Cost., articolo 111 e 132 c.p.c. in relazione all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Ad avviso del Condominio, in realta' la delibera condominiale del 20.09.2000 presa in esame era stata assunta, con tutte le riserve e con esclusione di qualche condomino, al solo fine di ovviare alle lamentate infiltrazioni di acqua piovana nelle giornate ventose, come evidenziato nella relazione tecnica allegata alla medesima quale parte integrante, tanto che consenti' di realizzare "una pensilina amovibile, a parziale copertura del terrazzo a livello della (OMISSIS), in lamiera grecata zincata poggiante su una struttura in canne di ferro leggera", in quanto essendo aperta e poggiante su modeste canne di ferro, senza opere strutturali di base e di tamponamento, non avrebbe inciso sull'architettura od estetica del fabbricato, o comunque avrebbe avuto un impatto lievissimo. Insiste il Condominio che il divieto di modificare in qualunque modo l'architettura dell'edificio o di effettuare opere aggiuntiva, previsto dall'articolo 7 del regolamento condominiale, integrava di per se' un divieto di modificare l'originario assetto architettonico dell'edificio. Sicche' essendo vietata la sopraelevazione, il manufatto realizzato e' da ritenersi illegittimo oltre i limiti autorizzati, in deroga a tale divieto (semplice tettoia), per cui anche la sola violazione della delibera giustifica la richiesta di riduzione in pristino. Il motivo e' fondato. La realizzazione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) nell'area sovrastante il fabbricato da parte del proprietario dell'ultimo piano dell'edificio Va disciplinata alla stregua dell'articolo 1127 c.c.. Ai fini dell'articolo 1127 c.c., la sopraelevazione di edificio condominiale e', infatti, costituita dalla realizzazione di nuove costruzioni nell'area sovrastante il fabbricato, per cui l'originaria altezza dell'edificio e' superata con la copertura dei nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le nuove fabbriche (Cass. 24 gennaio 1983 n. 680; Cass. 10 giugno 1997 n. 5164; Cass. 24 ottobre 1998 n. 10568; Cass. 7 settembre 2009 n. 19281; Cass. 15 giugno 2020 n. 11490). Nella definizione enunciata dal massimo consesso di questa Corte (Cass., Sez. Un., 30 luglio 2007 n. 16794), la nozione di sopraelevazione ex articolo 1127 c.c. comprende, peraltro, non solo il caso della realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche quello della trasformazione dei locali preesistenti mediante l'incremento delle superfici e delle volumetrie, seppur indipendentemente dall'aumento dell'altezza del fabbricato. Non vi e' sopraelevazione, viceversa, agli effetti dell'applicabilita' della richiamata disposizione, in ipotesi di modificazione solo interna ad un sottotetto, contenuta negli originari limiti strutturali, delle parti dell'edificio sottostanti alla sua copertura. Tanto chiarito, la lettura della sentenza mostra che la Corte di merito ha escluso l'illegittimita' della sopraelevazione, rilevando che la nuova costruzione era stata eretta sul lastrico di proprieta' esclusiva delle resistenti, sostenendo inoltre che, in tale ipotesi, sebbene l'opera realizzata dalle condomine, costituita da una struttura chiusa, sostenuta da montanti in ferro e coperta con âEuroËœlamiera zincata coibentata' e chiusa âEuroËœcon una vetrata realizzata con dei profilati in alluminio con vetro camera del tipo con apertura scorrevole e rimovilibi', non fosse conforme a quella autorizzata dal condominio con la deliberazione assembleare del 20.09.2000 (realizzazione di una tettoia in âEuroËœmateriale removibile, poggiante su una âEuroËœstruttura in canne di ferro leggere' "al solo fine di ovviare alle lamentate infiltrazioni di acqua piovana nelle giornate ventose"), tuttavia non ha ritenuto di disporre la rimozione richiesta in quanto l'opera non altera l'aspetto architettonico ed il decoro dell'edificio, come si evinceva dalle fotografie allegate. La pronuncia si pone in evidente contrasto con l'orientamento costante di questa Corte e con il chiaro disposto dell'articolo 1127, comma 2 e terzo c.c., secondo cui la sopraelevazione non e' ammessa, non solo se le condizioni statiche dell'edificio non la permettono, ma anche se risulti lesiva dell'aspetto architettonico dell'edificio ovvero risulti necessaria l'autorizzazione dei condomini. Il Giudice distrettuale non poteva considerare legittima la costruzione senza - di fatto - valutarne oltre all'impatto sull'aspetto architettonico dell'edificio in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell'immobile (Cass. n. 17350 del 2016; Cass. n. 10048 del 2013; Cass. n. 2865 del 2008), anche alla luce delle previsioni del regolamento condominiale di natura contrattuale, eventualmente piu' restrittive (Cass. n. 7398 del 1986; piu' di recente: Cass. n. 14898 del 2013; Cass. n. 1748 del 2013; Cass. 10848 del 2019). E' costante l'orientamento di questa Corte (in termini, Cass., Sez. Un., n. 10934 del 2019) secondo cui un regolamento di condominio cosiddetto "contrattuale", ove abbia ad oggetto la conservazione dell'originaria "facies" architettonica dell'edificio condominiale, comprimendo il diritto di proprieta' dei singoli condomini mediante il divieto di qualsiasi opera modificatrice, stabilisce in tal modo una tutela pattizia ben piu' intensa e rigorosa di quella apprestata al mero "decoro architettonico" dagli articoli 1120 comma 2 (nella formulazione, qui applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220), e 1138, comma 1 c.c., con la conseguenza che la realizzazione di opere esterne integra di per se' una modificazione non consentita dell'originario assetto architettonico, che giustifica la condanna alla riduzione in pristino in caso di sua violazione. La Corte di appello non ha tuttavia compiuto alcun accertamento sul punto, omettendo di valutare se l'intervento delle condomine poteva ritenersi vietato alla luce della clausola contenuta nell'articolo 9 del regolamento condominiale, di cui alla previsione dell'atto di acquisto del 19.09.1979. L'accertamento della Corte di appello non risulta quindi completo, avendo ignorato un profilo di fatto rilevante ai fini della decisione da prendere, puntualmente rappresentato dalla parte attrice, considerata peraltro la diversita' sostanziale dell'opera realizzata (vano chiuso) rispetto a quella autorizzata con la delibera assembleare del 20.09.2000 costituita da una pensilina amovibile del tutto aperta. Il motivo merita pertanto di essere accolto. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione - ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - degli articoli 1127, comma 1 e 3 e 1120, comma 2 c.c. in relazione al divieto di alterazione dell'aspetto architettonico, di quello estetico e del decoro, imposto anche dal titolo di acquisto e dal regolamento contrattuale, oltre ad omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, e vizio di motivazione in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4 per motivazione illogica o perplessa. Con il terzo motivo il Condominio deduce la violazione degli articoli 1127, comma 2, 1120, 2727 - 2729 c.c., L. n. 64 del 1974 e Decreto Ministeriale n. 16.01.1996 in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3; violazione della Cost., articoli 111, comma 6 e 132, comma 2 n. 4 c.p.c. in relazione all'articolo 360 n. 3 e n. 4 per motivazione perplessa od illogica; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 5. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 1127, comma 4 c.c. in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche' degli articoli 99 e 183 c.p.c. in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4; motivazione omessa od apparente in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4 con riferimento al rigetto della domanda subordinata di indennita' di sopraelevazione sul presupposto che fosse tardiva in quanto proposta alla prima udienza di trattazione, senza tenere conto che era conseguenza della riconvenzionale e delle eccezioni avversarie. Con il quinto motivo il Condominio si duole della violazione dell'articolo 92 c.p.c. in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4 in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio ovvero motivazione perplessa od illogica in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4. I restanti quattro motivi sono assorbiti per effetto dell'accoglimento del primo motivo di ricorso, essendo rimesso al giudice di rinvio il compito di riesaminare le questioni sollevate, previo accertamento della legittimita' della sopraelevazione. Conclusivamente, il ricorso va accolto e cassata la sentenza impugnata con rinvio alla stessa Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che provvedera' al riesame della vicenda alla luce dei principi sopra illustrati. In sede di rinvio si provvedera' alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita'. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla medesima Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Felice - Presidente Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. FALASCHI Milena - rel. Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. AMATO Cristina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 6346-2018 proposto da: (OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentate e difese, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall'avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio del difensore; - ricorrenti - contro (OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS), come da procura speciale notarile Dott. (OMISSIS) rep. n. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio del difensore; - controricorrente - avverso la sentenza n. 7463/2017 della Corte di appello di Roma, pubblicata il 27 novembre 2017 e notificata in data 22 dicembre 2017; udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 7 dicembre 2022 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Tommaso Basile, che ha concluso per il rigetto del ricorso; sentito l'avvocato (OMISSIS), per parte ricorrente e l'avvocato (OMISSIS), per parte resistente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 23 novembre 2006 la (OMISSIS) s.p.a., nella qualita' di proprietaria dell'intero stabile sito in (OMISSIS), fatta eccezione dell'appartamento sito al piano (OMISSIS), evocava - dinanzi al Tribunale di Roma - (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietarie della predetta abitazione, esponendo che le stesse avevano realizzato sulla terrazza di copertura del fabbricato un manufatto che occupava una superficie superiore ai 20 mq di proprieta' esclusiva delle medesime, cosi' invadendo parte del terrazzo comune in violazione del diritto di pari uso degli altri condomini ex articolo 1102 c.c., oltre ad essere in contrasto rispetto alle distanze legali e creando una servitu' sul bene comune; deturpava, altresi', il decoro architettonico del fabbricato, per essere stata la veranda realizzata in uno stile diverso da quello della costruzione originaria, costituendo anche una minaccia per la stabilita' dello stabile; infine, ostruiva il normale deflusso delle acque meteoriche e la pulizia del terrazzo, impedendo la visuale ad altro edificio di proprieta' della stessa societa' attrice; chiedeva, pertanto, in via principale, la condanna delle convenute alla eliminazione del manufatto in muratura, in ferro e vetro, costruito sul terrazzo di copertura del fabbricato; in via subordinata, la loro condanna alla riduzione delle dimensioni del manufatto in modo che lo stesso non fuoriuscisse dalla proprieta' di terrazza esclusiva delle convenute, pari a mq. 20 su 100; ovvero la condanna delle stesse ad arretrare il manufatto in questione e, in ogni caso, al risarcimento dei danni. Instaurato il contraddittorio, resistevano la (OMISSIS) e la (OMISSIS), eccepito il difetto di legittimazione passiva dalla seconda per essere solo stata per un breve periodo comodataria del bene, mentre la prima assumeva, nel merito, di avere da tempo immemore (ai fini dell'usucapione) utilizzato detta porzione di terrazzo a seguito dei lavori eseguiti dalla stessa societa' attrice nell'anno (OMISSIS), oltre a svolgere domanda riconvenzionale per avere l'attrice installato sul terrazzo condominiale un'apparecchiatura motocondensante e per essersi appropriata di una porzione del terrazzo comune accorpandola all'appartamento int. (OMISSIS) di proprieta' della societa', per cui chiedeva il rilascio della porzione e la rimozione di entrambe le opere. Il giudice adito, con sentenza n. 14348 del 2012, accoglieva le domande attoree e per l'effetto condannava la (OMISSIS) e la (OMISSIS) alla rimozione del manufatto realizzato sul terrazzo di copertura, oltre al risarcimento dei danni liquidati in Euro 5.000,00 oltre accessori, rigettata la riconvenzionale. In virtu' di rituale impugnazione interposta dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), la Corte di appello di Roma, nella resistenza della societa' appellata, rigettava l'appello e per l'effetto confermava la decisione gravata. A sostegno della decisione adottata il giudice dell'impugnazione, condividendo le affermazioni del giudice di prime cure, rilevava che il manufatto oggetto di causa era stato realizzato con materiali e colori che lo rendevano immediatamente evidente come corpo estraneo alla costruzione originale, rendendolo visibile anche dalla viabilita' circostante in considerazione peraltro della volumetria; con la conseguenza che l'unico rimedio possibile appariva la rimozione del manufatto. Ne' le appellanti avevano fornito prova rigorosa che la (OMISSIS) e i suoi danti causa, (OMISSIS) e (OMISSIS), avevano utilizzato in modo pieno ed esclusivo la porzione di terrazza di proprieta' condominiale, area sulla quale peraltro fino agli anni (OMISSIS)-(OMISSIS) erano stati posti la cabina idrica e le fontane. Trovando applicazione nella specie l'articolo 1102 c.c., comma 2, il comproprietario poteva usucapire la res communis solo dimostrando di avere goduto del bene in modo inconciliabile con la possibilita' del godimento altrui, per cui doveva essere ritenuta irrilevante l'eccezione di decadenza formulata dall'appellata ma non riproposta in sede di conclusioni nell'atto di appello, anche se in verita' ribadita come doglianza in modo esplicito nel corpo dell'atto. Pure infondato era il motivo relativo al risarcimento dei danni liquidati in via equitativa, senza alcuna prova data del danno derivato dall'alterazione del decoro architettonico, ricomprendendo comunque l'accertata occupazione sine titulo di porzione comune della terrazza in via esclusiva. Per la cassazione della sentenza della Corte di appello capitolina hanno proposto ricorso le originarie convenute, sulla base di otto motivi, cui ha resistito la (OMISSIS) con controricorso. Posto in discussione il ricorso per la decisione allo stato degli atti all'udienza pubblica del 7 dicembre 2022, ai sensi DEL Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv. in L. n. 176 del 2020, in prossimita' della quale e' stata depositata dal sostituto procuratore generale, Dott. Tommaso Basile, memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto del ricorso, parte ricorrente ha formulato istanza di discussione orale della controversia. Parte ricorrente ha curato il depositato anche di memoria ex articolo 378 c.p.c. CONSIDERATO IN DIRITTO Occorre premettere per un'ordinata trattazione che la deduzione di inammissibilita' dei motivi di ricorso, escluso il n. 4, formulata nel controricorso verra' esaminata nell'ambito di ciascun mezzo. Venendo al merito, con il primo motivo la (OMISSIS) lamenta la violazione e la falsa applicazione, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell'articolo 2909 c.c. in riferimento al giudicato di cui alla sentenza del Pretore di Roma n. 3491 del 27.05.1996 per non avere l'ausiliario del giudice tenuto conto di siffatto pronunciamento per un raffronto da un punto di vista tecnico e materiale del manufatto de qua pur essendo lo stesso ubicato nel medesimo luogo in cui insiste quello oggetto della controversia. E' stato il giudice del gravame a desumere, secondo una propria valutazione, una diversita' assoluta dei due manufatti, valorizzando un'unica frase contenuta nella relazione tecnica del c.t.u., verifica dunque non suffragata dai necessari riscontri. Peraltro, in siffatta pronuncia intervenuta in giudizio possessorio, il Pretore aveva analiticamente esaminato anche le modalita' di verifica della presunta lesione del decoro architettonico concentrata sul medesimo ambiente di riferimento (edificio e terrazza), ossia con una valutazione di confronto con lo stato di quest'ultimo, sicche' non si poteva negare a priori una qualche incidenza senza una doverosa verifica, che nella specie non sarebbe stata fatta. Il motivo e' manifestamente infondato. Occorre premettere che la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui, il giudicato formatosi sulla domanda possessoria, quale quella su cui ha pronunciato il Pretore di Roma, e' privo di efficacia nel giudizio petitorio come quello odierno, avente a oggetto l'accertamento del diritto delle ricorrenti a mantenere sulla terrazza di copertura del fabbricato condominiale le costruzioni in contestazione, in quanto il possesso utile alla realizzazione delle stesse deve avere requisiti che non vengono in rilievo nei giudizi possessori. Nel giudizio possessorio l'accoglimento della domanda prescinde dall'accertamento della legittimita' del possesso, perche' e' finalizzato a dare tutela a una mera situazione di fatto avente i caratteri esteriori della proprieta' o di un altro diritto reale, sicche' l'accoglimento della domanda prescinde dall'accertamento della legittimita' del possesso (Cass. 16 aprile 2019 n. 10590; Cass. 5 ottobre 2009 n. 21233). Tanto premesso, quanto alla doglianza concernente la valutazione della relazione di consulenza da parte del giudice, osserva il Collegio che se il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, puo' ben fare ricorso alle conoscenze specialistiche che abbia acquisito direttamente attraverso studi o ricerche personali (Cass. 26 giugno 2007 n. 14759), a fortiori non gli puo' essere precluso l'esame diretto della documentazione a sua volta esaminata dal consulente, vigendo il principio judex peritus peritorum, per cui il giudice di merito puo' disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella relazione dal consulente tecnico d'ufficio, e cio' sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca a esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche, con l'unico onere di un'adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto. (Cass. 7 agosto 2014 n. 17757). Ed e' quanto e' occorso nella specie in cui la Corte, nel condividere il convincimento del giudice di prime cure, che a sua volta aveva recepito le conclusioni dell'ausiliare nominato, ha evidenziato che il manufatto in contestazione altera la fisionomia generale del fabbricato sia per la scelta del colore (verde) sia per i materiali utilizzati (struttura metallica composta di pannelli e montanti di colore verde, con ampie superfici vetrate) per la sua realizzazione che "lo rendono immediatamente evidente come corpo estraneo alla costruzione originale", tanto da renderlo "ben visibile dalla viabilita' circostante ed il suo impatto visivo e' legato alla tipologia e colori dei materiali scelti nonche' alla sua volumetria". Dunque, la Corte distrettuale ha apprezzato gli elementi di giudizio raccolti dal c.t.u. e riportati nella relazione, tanto da richiamarla in piu' parti (v. pagine 5, 7 e 9 della perizia), ritenendoli piu' convincenti rispetto agli ulteriori prospettati dalle convenute/appellanti ai fini della valutazione della lesione del decoro architettonico dell'edificio. Alla luce delle considerazioni che precedono deve rilevarsi che la Corte territoriale non si e' affatto astenuta dall'effettuare una valutazione di confronto con lo stato complessivo dei luoghi, come sostenuto dalle ricorrenti, laddove deducono che non si sarebbe tenuto conto della lesione del decoro architettonico concentrata sul medesimo ambiente di riferimento, tanto da avere effettuato una comparazione anche con il manufatto realizzato dalle stesse ed esaminato nel giudizio pretorile ("struttura di metallo che sorregge una tenda" o come orditura in profilati metallici scatolari con soprastante tendone). La Corte, tenendo conto degli accertamenti tecnici evidenziati dal c.t.u., ha fornito di detti elementi una congrua valutazione ai fini qui rilevanti, correlandola alla situazione concreta. Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione di norme, per essersi il Giudice del gravame uniformato ai principi esposti da questa Corte come sopra illustrati, argomentata peraltro l'adesione prestata dalla Corte di Roma alle conclusioni peritali quale giudice di merito, con valutazione che non puo' essere sindacata in sede di legittimita' invocando dalla Corte di cassazione nella sostanza un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in maniera da pervenire ad una nuova validazione e legittimazione dei risultati dell'espletata consulenza tecnica d'ufficio. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione - ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - dell'articolo 1120 c.c. e dell'articolo 1127 c.c. per avere la Corte distrettuale espresso una valutazione netta di violazione del decoro architettonico, come contemplato dall'articolo 1120, in asserita adesione al c.t.u. di primo grado, senza tenere in alcun conto la nozione di decoro architettonico espressa dall'articolo 1127 c.c., comma 3. Ad avviso delle ricorrenti, infatti, l'occupazione della zona di terrazza di proprieta' comune sarebbe di soli mq. 1,30 o addirittura di mq. 1, come rilevato dallo stesso ausiliario, per cui la questione del decoro avrebbe dovuto essere trattata alla luce del concetto di una vera e propria sopraelevazione, per essere stato il manufatto realizzato sostanzialmente sulla loro proprieta' esclusiva e al di sopra del loro appartamento. Di qui la nozione attenuata di decoro architettonico. Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 1120 c.c. ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stata valutata dal giudice di appello, sulla base delle conclusioni del c.t.u., il decoro architettonico senza tenere in alcun conto le altre opere presenti sulla medesima terrazza pur rilevate dall'ausiliario ma non esaminate ritenendole al di fuori del quesito posto dal giudice. Dunque, ad avviso delle ricorrenti sarebbe mancato da parte del giudice quella valutazione complessiva necessaria per la verifica dell'alterazione del decoro architettonico. I due motivi vanno esaminati contestualmente, stante la loro connessione oggettiva, che attiene al punto nodale della controversia relativo al pregiudizio dell'ornato. Essi sono infondati anche se occorre procedere alla correzione ex articolo 384 c.p.c., comma 4 della motivazione in punto di diritto. E' noto come l'articolo 1127 c.c. sottopone il diritto di sopraelevazione del proprietario dell'ultimo piano dell'edificio ai limiti dettati dalle condizioni statiche dell'edificio che non la consentono, ovvero dall'aspetto architettonico dell'edificio stesso, oppure dalla conseguente notevole diminuzione di aria e luce per i piani sottostanti. L'aspetto architettonico, cui si riferisce l'articolo 1127 c.c., comma 3, quale limite alle sopraelevazioni, sottende, peraltro, una nozione sicuramente diversa da quella di decoro architettonico, contemplata dagli articoli 1120, comma 4, 1122, comma 1, e 1122-bis c.c., dovendo l'intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore. Il giudizio relativo all'impatto della sopraelevazione sull'aspetto architettonico dell'edificio va condotto, in ogni modo, esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell'immobile condominiale, e verificando altresi' l'esistenza di un danno economico valutabile, mediante indagine di fatto demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimita', se, come nel caso in esame, congruamente motivato (cfr. Cass. 28 giugno 2017 n. 16258; Cass. 15 novembre 2016 n. 23256; Cass. 24 aprile 2013 n. 10048; Cass. 7 febbraio 2008 n. 2865; Cass. 22 gennaio 2004 n. 1025; Cass. 7 febbraio 1998 n. 1297; Cass. 27 aprile 1989 n. 1947). D'altro canto, questa Corte ha anche affermato che le nozioni di aspetto architettonico ex articolo 1127 c.c. e di decoro architettonico ex articolo 1120 c.c., pur differenti, sono strettamente complementari e non possono prescindere l'una dall'altra, sicche' anche l'intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, si' da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterarne le linee impresse dal progettista (Cass. 23 luglio 2020 n. 15675; Cass. 12 settembre 2018 n. 22156; Cass. 25 agosto 2016 n. 17350). Ora, perche' rilevi la tutela dell'aspetto architettonico di un fabbricato, agli effetti, come nella specie, dell'articolo 1127 c.c., comma 3, e non gia' dell'articolo 1120 c.c., comma 2, erroneamente indicato dalla Corte distrettuale, che in tal senso va corretta, non occorre neppure che l'edificio abbia un particolare pregio artistico, ma soltanto che questo sia dotato di una propria fisionomia, sicche' la sopraelevazione realizzata induca in chi guardi una chiara sensazione di disarmonia. Percio' deve considerarsi illecita ogni alterazione produttiva di tale conseguenza, anche se la fisionomia dello stabile risulti gia' in parte lesa da altre preesistenti modifiche, salvo che lo stesso, per le modalita' costruttive o le modificazioni apportate, non si presenti in uno stato di tale degrado complessivo da rendere ininfluente allo sguardo ogni ulteriore intervento. Cio' premesso, la Corte di Roma - in conformita' ai principi sopra ricordati - ha riconosciuto che la sopraelevazione realizzata dalla condomina (OMISSIS), anche all'esito delle modifiche apportate dopo la prima realizzazione del manufatto nel 1976, rivelasse carattere pregiudizievole per l'aspetto architettonico complessivo dei fronti dell'edificio, ai sensi dell'articolo 1127 c.c., in particolare per l'alterazione del decoro avendo creato un volume uniforme di colore verde contrastante con le tinte dell'edificio, oltre che per la modifica dei rapporti volumetrici dell'ultimo piano, giacche' eseguita con materiali difformi da quelli del prospetto sottostante. In tal modo, la sentenza impugnata ha fornito una motivazione adeguata e pienamente condivisibile alla stregua del comune senso estetico, sottolineando come il manufatto disperdesse quella uniformita' che attribuisce all'edificio un aspetto ancora ordinato e dignitoso. La preesistenza di modifiche gia' apportate, dedotta nel terzo motivo di ricorso, anche con le opere realizzate sul lastrico di opere da parte di altri condomini, non rende certamente ex se' ininfluente la lesione attribuita al manufatto eretto dalla (OMISSIS) e non ne possono percio' costituire valida giustificazione. Come affermato da questa Corte (v. in termini, Cass. 22 ottobre 2021 n. 29584), il concetto di "aspetto architettonico", come tutti quelli elaborati dalle scienze idiografiche (qual e' appunto l'architettura), che non poggiano su leggi generalizzabili, ma studiano oggetti singoli, non e' connotato dall'assolutezza dell'inferenza induttiva tipica delle scienze che, al contrario, elaborano frequenze statistiche direttamente rilevanti per l'accertamento del fatto litigioso. Si tratta, percio', di nozione che la legge configura con disposizione delineante un modulo generico, il quale richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante l'accertamento della concreta ricorrenza, nella vicenda dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo, ponendosi sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. Il giudice d'appello, pur non ricostruendo i rapporti tra i due criteri, ha comunque posto alla base della propria decisione parametri ben piu' ampi rispetto alla alterazione qualsiasi dell'aspetto del Condominio, cioe' della pur minima variazione dello stesso, rilevando come la realizzazione del manufatto contestato, dati i materiali utilizzati, i suoi caratteri strumentali di stabilita' e inamovibilita', nonche' le sue dimensioni notevoli e la sua incidenza sul volume del fabbricato, abbia realizzato una significativa alterazione dell'aspetto architettonico, con accertamento di merito non censurabile - per quanto sopra detto - in sede di legittimita'. Con il quarto motivo le ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell'articolo 112 c.p.c. per avere la Corte di merito omesso di pronunciare non solo sulla domanda principale di avere realizzato il manufatto sulla propria area, ma anche a voler ritenerne l'implicito rigetto, non avrebbe tenuto conto di quella subordinata che chiedeva la determinazione della esatta misurazione della porzione di terrazza condominiale occupata con il manufatto medesimo. Con il quinto motivo le ricorrenti denunciano ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1120 e 1127 c.c. per avere la Corte di merito statuito per la demolizione integrale dell'opera in luogo di rimedi meno gravi e invasivi, come l'arretramento del manufatto per 1 mq circa, ossia per la parte che il c.t.u. ha accertato ingombrare la terrazza comune. Con il sesto motivo le ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per omesso esame della medesima circostanza di cui al mezzo n. 5, ossia di soluzioni di ripristino alternative alla demolizione in coerenza con la violazione in concreto riscontrata dal c.t.u., tenendo conto che l'ausiliare aveva rilevato la necessita' dell'arretramento del manufatto con la sua ricostruzione nei limiti dei confini della proprieta' esclusiva delle ricorrenti e con tipologia di colori e di materiali conformi allo stile del fabbricato. Con il settimo motivo viene denunciata ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 1102 c.c., comma 2 per avere la Corte di merito ritenuto che la condotta delle condomine ricorrenti di occupazione in via esclusiva di una porzione del terrazzo comune di solo 1 mq integri una inconciliabilita' con il godimento da parte degli altri condomini. Gli ultimi quattro motivi vanno esaminatati unitariamente per la intima connessione argomentativa che li avvince. Essi sono infondati. Al giudizio formulato dalla Corte in ordine al pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio, il quarto motivo deduce due profili di illegittimita', che attengono alla omessa pronuncia su due diverse domande, per non avere la corte a tal fine considerato la domanda subordinata di esatta misurazione della porzione di terrazza condominiale occupata con il manufatto. Premesso che le censure in esso sollevate non investono direttamente la ratio della sentenza impugnata, che ha disposto la rimozione dell'opera, e precisato che la misurazione dello spazio occupato e' stato ampiamente documentato ("dalla sovrapposizione della planimetria catastale del 1976 e la planimetria dello stato attuale si osserva che la struttura realizzata dalle convenute occupa una parte della terrazza comune"), ad integrazione della motivazione fornita dalla sentenza impugnata, la cui statuizione finale va senz'altro condivisa, merita rilevare che la domanda proposta dalla (OMISSIS), diretta in sostanza ad ottenere una misura alternativa alla rimozione del manufatto dalla stessa realizzato sul terrazzo del fabbricato, non tiene conto della valutazione operata dal Giudice di merito secondo cui la sola riduzione in pristino della copertura originaria costituiva rimedio per poter porre riparo alla lesione del decoro architettonico (v. pag. 4 secondo cpv della sentenza impugnata), che non poteva essere diversamente eliminata, basandosi la tutela apprestata allo schema di una negatoria servitutis, per essere stata creata un'illegittima servitu' a carico di una proprieta' condominiale ma in favore di una proprieta' esclusiva attigua appartenente alle stesse ricorrenti. Il rigetto del quarto motivo conduce a ritenere inammissibili le restanti censure che rimangono superate dalle considerazioni appena svolte per l'assorbente considerazione che la valutazione che la Corte di appello e' stata chiamata a formulare ed ha svolto aveva ad oggetto non il manufatto, in se' considerato, ma la sua incidenza sul terrazzo di copertura dell'edificio, quale bene comune e struttura che contribuisce a delineare l'aspetto architettonico del fabbricato. In conclusione, il ricorso va rigettato. Ne consegue la condanna delle ricorrenti in solido al pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo. Poiche' il ricorso e' stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e' rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti in solido alla rifusione in favore del controricorrente delle spese di legittimita' che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MESSINI D'AGO. P. - Presidente Dott. BORSELLINO M. Daniela - Consigliere Dott. COSCIONI Giuse - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere Dott. SARACO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/11/2021 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE COSCIONI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale FULVIO BALDI, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; udito il difensore del ricorrente Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso, chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata previa derubricazione del reato in quello previsto dall'articolo 392 c.p.; in subordine annullamento con rinvio. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto, con sentenza dell'8 novembre 2021, confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui (OMISSIS), era stato ritenuto responsabile di estorsione consumata e tentata ai danni di (OMISSIS). 1.1 Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando l'insussistenza dell'elemento materiale e psicologico del reato di estorsione: il giudice di primo grado (alle cui motivazioni aveva rinviato la Corte di appello) aveva escluso aprioristicamente che l'Avv. (OMISSIS), avesse il convincimento, pur se erroneo, che le cause da lui paventate alla parte civile fossero invece fondate e che la denunciante non avesse motivo di accusarlo ingiustamente: quanto ai due episodi relativi alla installazione della ventola di un condizionatore da parte della (OMISSIS) sulla facciata di via (OMISSIS) dello stabile sito all'angolo con via (OMISSIS), del tutto legittimamente l'avvocato (OMISSIS), quale comproprietario dello stabile, aveva il ragionevole convincimento che tale installazione potesse nuocere seriamente al decoro architettonico del palazzo centenario, ed era falso quanto dichiarato dalla (OMISSIS) che vi fossero numerosi condizionatori installati sulla facciata di tale stabile; ad ulteriore riprova che (OMISSIS) fosse convinto in qualita' di condomino della piena legittimita' delle proprie richieste, il difensore ricorda che lo stesso aveva effettivamente citato la (OMISSIS), dinanzi all'organismo di conciliazione del tribunale di Taranto nel 2017; in merito a quest'ultimo episodio il difensore rileva sia come la (OMISSIS), non fosse mai comparsa in tale procedura (segno evidente che la stessa era ben consapevole che l'installazione in questione avrebbe seriamente nuociuto al decoro architettonico dello stabile), sia come in ogni caso la richiesta dell'avvocato (OMISSIS) di una somma di 1.000 Euro in cambio di una risoluzione bonaria della questione non poteva certamente integrare una condotta estorsiva. Quanto all'episodio relativo a (OMISSIS), del tutto legittimamente l'avvocato (OMISSIS), in qualita' di difensore del soggetto, aveva richiesto una somma di denaro a titolo di definizione bonaria di una lite mediante un accordo di natura transattiva, circostanza questa frequentissima nella prassi; peraltro della somma di denaro non c'era alcun riscontro agli atti, avendo (OMISSIS) negato in sede di interrogatorio che la (OMISSIS), gli avesse dato del denaro; la Corte di appello, in maniera del tutto contraddittoria, prima aveva ritenuto attendibile la (OMISSIS) e poi aveva riconosciuto il risentimento da lei nutrito nei confronti dell'avvocato (OMISSIS). Quanto all'episodio relativo ai lavori di ristrutturazione del palazzo, a riprova della fondatezza del convincimento di (OMISSIS) secondo il quale tali lavori erano irregolari, il difensore rileva come la (OMISSIS), aveva stranamente opposto il proprio diniego all'accesso agli atti richiesto dall'avvocato (OMISSIS), nonostante tale documentazione fosse decisiva al fine di stabilire se i lavori di ristrutturazione che la (OMISSIS), avrebbe dovuto eseguire,menzionati al capo a) di imputazione, fossero davvero regolari, come affermato dal pubblico ministero, ovvero fossero sprovvisti di idonea autorizzazione e quindi abusivi, con conseguente fondatezza delle conseguenze penali minacciate dall'avvocato (OMISSIS), bollate sommariamente come infondate; in ogni caso, per ritenere configurato il dolo del delitto di estorsione, presupposto necessario e' il convincimento che chi avanza la pretesa di denaro sia consapevole della sua assoluta infondatezza sul piano giuridico, altrimenti la condotta e' da ricondurre nell'alveo del reato di cui all'articolo 393 c.p.; cio' premesso, era pacifico che le richieste dell'Avv. (OMISSIS) avrebbero potuto formare oggetto di azione giudiziaria. 1.2 II difensore lamenta l'inosservanza e/o erronea applicazione dell'articolo 603 c.p.p. e la mancanza, contraddittorieta' e/o manifesta logicita' della motivazione con riferimento alla ritenuta non necessita' della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale: si faceva in particolare riferimento all'ascolto di (OMISSIS), ed alla acquisizione presso il Comune di Taranto delle eventuali richieste relative ai lavori di ristrutturazione che la (OMISSIS) avrebbe dovuto eseguire; ne' valeva ad escludere la necessita' della rinnovazione dell'istruttoria in appello la circostanza che l'imputato (OMISSIS), aveva chiesto di essere giudicato con rito abbreviato. 1.3 Il difensore rileva infine che la Corte di appello aveva confermato la sentenza di primo grado, che aveva inflitto una pena detentiva pari al minimo edittale ed una pena pecuniaria pari al triplo del minimo edittale, senza alcuna motivazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 1.2 Relativamente alle censure di cui al ricorso, si deve ribadire che secondo il consolidato e condivisibile orientamento di legittimita' (per tutte, Sez. 4 n. 15497 del 22/02/2002 Ud. (dep. 24/04/2002), Rv. 221693; Sez. 6 n. 34521 del 27/06/2013 Ud. (dep. 08/08/2013), Rv. 256133), e' inammissibile per difetto di specificita' il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello, senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtu' delle quali i motivi di appello non siano stati accolti. Si e', infatti, esattamente osservato che "La funzione tipica dell'impugnazione e' quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilita' (articoli 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione e', pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioe' con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta" (in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013 Ud. (dep. 21/02/2013), Rv. 254584). Nel caso in esame, il ricorso ripropone le medesime questioni gia' sollevate in appello, per cui non si confronta assolutamente con la motivazione della Corte territoriale, che ha risposto a tutte le eccezioni, evidenziando in particolare che non vi era alcuna censura rispetto al contenuto delle intercettazioni riportate nella sentenza di primo grado, dalle quali risultava che le ripetute richieste di denaro formulate dall'imputato erano sempre fatte in modo che non restasse traccia delle stesse e che non potessero essere viste da nessuno, circostanza gia' di per se' inconciliabile con una presunta convinzione di esercitare un proprio diritto; la Corte di appello ha anche chiarito perche' non vi fosse alcun diritto azionabile da (OMISSIS), posto che l'installazione di una ventola per condizionatore sulla facciata comune era perfettamente lecita e che appariva inverosimile che vi fosse stato un diverbio tra la (OMISSIS) e (OMISSIS), da lui rappresentato; sul primo punto, corretta e' l'osservazione secondo cui l'eventuale diritto al risarcimento del danno per l'installazione della ventola spettava al condominio, e non certo al singolo condomino; tali osservazioni consentono di ritenere inapplicabile l'articolo 393 c.p., tanto piu' nel caso in esame in cui l'imputato svolge la professione di avvocato, e quindi dovrebbe essere bene al corrente di quali pretese siano azionabili in giudizio. 1.2 Premesso, inoltre, che il giudice di appello che intende respingere una specifica richiesta di parte di rinnovazione del dibattimento ha l'obbligo di dare conto dell'assenza di decisivita' degli incombenti proposti e cioe' della loro inidoneita' ad eliminare contraddizioni nei dati gia' raccolti o ad inficiarne la loro valenza (Cass. sez. 5 n. 15606 del 03/12/2014, dep. 2015, Rv. 263259; Cass. sez. 6 n. 1249 del 26/09/2013, dep. 2014Rv. 258758), si deve rilevare che la Corte territoriale ha motivato la decisione di non rinnovare l'istruttoria dibattimentale alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata, con motivazione perfettamente logica e quindi esente da censure. 1.3 Quanto alla dosimetria della pena, e' vero che "in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, nel caso in cui, per la violazione ascritta all'imputato sia prevista una pena congiunta, il giudice che, fissando in prossimita' del c.d. minimo edittale la pena detentiva, ritenga di irrogare invece la sanzione pecuniaria in misura apprezzabilmente superiore al cd. medio edittale, e' tenuto ad esporre diffusamente le ragioni di tale seconda determinazione" (Sez. 3, n. 25556 del 05/04/2019, Leone, Rv. 276010), ma la Corte di appello ha motivato sul punto evidenziando la "tutt'altro che scarsa proclivita' al delitto dell'imputato e la particolare insidiosita' delle sue condotte" (pag. 7 sentenza impugnata). 2. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile; ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonche' - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' - al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 3.000,00 cosi' equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti; l'inammissibilita' del ricorso si estende, ai sensi dell'articolo 585 c.p.p., comma 4, ai motivi nuovi presentati con le note di udienza: infatti, si deve ribadire che "l'inammissibilita' dei motivi originari del ricorso per cassazione non puo' essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l'imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione" (Sez.5, n. 48044 del 02/07/2019, Di Giacinto, Rv. 277850). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - Presidente Dott. MOCCI Mauro - Consigliere Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. PAPA Patrizia - Consigliere Dott. TRAPUZZANO Cesare - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso (iscritto al N. R.G. 8588-2019) proposto da: Cooperativa (OMISSIS) a r.l. (C.F.: (OMISSIS)), in persona del suo legale rappresentante pro - tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall'Avv. (OMISSIS), nel cui studio in (OMISSIS), ha eletto domicilio; - ricorrente - contro Condominio (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), in persona del suo amministratore pro - tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall'Avv. (OMISSIS), nel cui studio in (OMISSIS), ha eletto domicilio; - controricorrente - e (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) - intimati - avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma n. 5336-2018, pubblicata il 2 agosto 2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23 marzo 2023 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano; lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mauro Vitiello, che ha richiesto il rigetto del ricorso per l'inammissibilita' del primo, secondo, terzo, quarto, quinto e ottavo motivo nonche' per l'infondatezza del sesto, settimo e nono motivo. FATTI DI CAUSA 1.- Con ricorso depositato il 24 settembre 2002, ai sensi dell'articolo 703 c.p.c., l'amministratore giudiziario - nominato con decreto del 4 luglio 2002 - del Condominio di via (OMISSIS) adiva il Tribunale di Roma e, per l'effetto, chiedeva che il Condominio fosse reintegrato nel pieno ed esclusivo possesso dell'area condominiale interessata dall'esecuzione dei lavori di costruzione di un'autorimessa interrata pluripiano, commissionati dalla Cooperativa (OMISSIS) a r.l., lamentando l'intervenuto spoglio violento ed arbitrario posto in essere dalla Cooperativa ed invocando il conseguente ordine di sgombero del cortile e la restitutio in integrum dei luoghi. Al riguardo, deduceva che la Cooperativa, in violazione del dettato di cui all'articolo 1120 c.c., aveva utilizzato aree di proprieta' ed esclusivo possesso del Condominio per la realizzazione di 136 box auto da assegnarsi ai componenti della suddetta Cooperativa, numero inferiore a quello dei comproprietari pro indiviso delle aree suddette, atteso che non tutti i condomini avevano aderito alla Cooperativa, sicche' i non aderenti sarebbero stati esclusi dall'utilizzazione delle aree sulle quali risultavano essere titolari del diritto di proprieta' e godimento. Si costituiva in giudizio la Cooperativa (OMISSIS) a r.l., la quale contestava la fondatezza della domanda di spoglio avversaria, esponendo che l'assemblea condominiale, con delibera del 7 maggio 1993, aveva autorizzato i lavori in questione e validamente approvato la realizzazione del parcheggio sotterraneo, in integrale ottemperanza alle disposizioni legislative vigenti, sicche' era del tutto assente, nella condotta della Cooperativa, sia l'elemento oggettivo dello spossessamento violento o clandestino, sia l'elemento soggettivo dell'animus spoliandi affinche' fosse integrata la fattispecie di spoglio, atteso che per anni vi era stata una continua ed ininterrotta informazione e collaborazione tra Cooperativa e Condominio sull'andamento delle attivita' preliminari e sullo stato di attuazione del progetto. Nel corso del giudizio intervenivano alcuni condomini, sia con interventi ad adiuvandum, sia con interventi ad opponendum. Prima della conclusione della fase sommaria, il Condominio chiedeva altresi' che fosse risarcito il danno conseguente allo spoglio perpetrato. A conclusione della fase interdittale, con ordinanza del 10 maggio 2003, il Tribunale adito accoglieva la spiegata azione possessoria di reintegrazione e, per l'effetto, ordinava alla Cooperativa la sospensione dei lavori e la riduzione in pristino dello stato dei luoghi. L'ordinanza interdittale era confermata dall'ordinanza collegiale del 12 gennaio 2004, emessa a conclusione del sub-procedimento di reclamo proposto dalla Cooperativa. Nel corso della fase del merito possessorio, erano acquisiti documenti, erano escussi i testimoni ammessi ed era espletata una consulenza tecnica d'ufficio. Quindi, al termine della fase di merito, con sentenza n. 5473-2007, depositata il 15 marzo 2007, il Tribunale adito confermava l'accoglimento della domanda possessoria di cui all'ordinanza conclusiva della fase interinale e, in accoglimento della domanda di risarcimento dei danni, condannava la Cooperativa al pagamento, in favore del Condominio, della somma di Euro 46.000,00. 2.- Con atto di citazione notificato il 30 aprile 2008, proponeva appello la Cooperativa (OMISSIS) a.r.l., la quale lamentava l'insussistenza dello spoglio dedotto per carenza sia dell'elemento oggettivo dello spossessamento, obbligatoriamente connotato dai necessari requisiti della violenza e/o della clandestinita', sia dell'elemento soggettivo dell'animus spoliandi e, quindi, chiedeva di essere reimmessa nella detenzione dell'area, onde consentirle di procedere all'esecuzione dei lavori, con la condanna del Condominio al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della lesione subita nella legittima detenzione della predetta area. Si costituiva nel giudizio di impugnazione il Condominio di (OMISSIS), che chiedeva il rigetto dell'impugnazione spiegata. Decidendo sul gravame interposto, la Corte d'appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l'appello e, per l'effetto, confermava integralmente la pronuncia impugnata. A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte di merito rilevava, per quanto qui interessa: a) che vi era la legittimazione dell'amministratore condominiale, il quale aveva agito motu proprio conferendo mandato ad litem, senza ottenere alcuna ratifica assembleare del proprio operato, poiche' la domanda proposta consisteva in un'azione di spoglio e, dunque, doveva annoverarsi tra le azioni a carattere conservativo che rientravano tra le attribuzioni dell'amministratore; b) che, nel merito, agli atti vi era solo una delibera del 7 maggio 1993 - il cui contenuto era stato, peraltro, ribadito da altra delibera dell'anno 2002 -, in cui si affermava esclusivamente che vi era un'area o uno spazio condominiale tale da consentire la costruzione di parcheggi; c) che dette delibere nulla aggiungevano e, dunque, non prevedevano un'esplicita autorizzazione della Cooperativa ad acquisire il possesso dell'area medesima e a procedere all'attuazione dei lavori, ne' le delibere indicate avevano approvato un progetto dei lavori o un preventivo di spesa, o avevano esaminato offerte pervenute da ditte appaltatrici o avevano scelto la ditta alla quale affidare i lavori; d) che l'occupazione e la trasformazione dello spazio in contestazione da parte della Cooperativa - soggetto di diritto del tutto diverso e distinto dal Condominio e del quale, per di piu', molti condomini non facevano parte - erano illegittime, in quanto l'assemblea condominiale non aveva approvato l'esecuzione dei lavori di costruzione dei box, ne' un progetto dei lavori e un preventivo di spesa, ne' la scelta di una specifica ditta alla quale appaltare i lavori, ne' aveva conferito alla Cooperativa il mandato rivolto a scegliere la ditta alla quale appaltare detti lavori, secondo un progetto deliberato dall'assemblea e una spesa assentita dall'assemblea medesima; e) che, pertanto, si era perfezionato lo spoglio, come correttamente ritenuto dal Tribunale. 3.- Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, la Cooperativa (OMISSIS) a r.l. Ha resistito con controricorso l'intimato Condominio (OMISSIS). 4.- Il Pubblico Ministero ha formulato per iscritto le sue conclusioni, come riportate in epigrafe. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.- In primo luogo, si da' atto che la costituzione di un nuovo difensore della Cooperativa ricorrente, nella persona dell'Avv. (OMISSIS) - in aggiunta al difensore originariamente nominato -, come da "comparsa di costituzione di nuovo difensore", con procura in calce, depositata il 17 marzo 2023, e' inammissibile (e conseguentemente e' inammissibile la stessa memoria illustrativa da questi esclusivamente sottoscritta e depositata in pari data, ai sensi dell'articolo 378 c.p.c.). Infatti, nel giudizio di cassazione - diversamente rispetto a quanto avviene con riguardo ai giudizi di merito - la procura speciale non puo' essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poiche' l'articolo 83, comma 3, c.p.c., nella versione ratione temporis vigente, nell'elencare gli atti a margine o in calce ai quali puo' essere apposta la procura speciale, individua, con riferimento al giudizio di cassazione, soltanto quelli suindicati. Pertanto, se la procura non viene rilasciata su detti atti, e' necessario che il suo conferimento si realizzi nella forma prevista dal comma 2 del citato articolo 83, cioe' con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l'indicazione delle parti e della sentenza impugnata. A quest'ultima conclusione deve pervenirsi anche con riferimento all'ipotesi in cui sopraggiunga la sostituzione (o l'aggiunta) del difensore nominato con il ricorso (o controricorso), non rispondendo alla disciplina del giudizio di cassazione, dominato dall'impulso d'ufficio a seguito della sua instaurazione con la notifica e il deposito del ricorso (o controricorso) e non soggetto agli eventi di cui agli articoli 299 e ss. c.p.c., il deposito di un atto redatto dal nuovo difensore, su cui possa essere apposta la procura speciale (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2554 del 27/01/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 1896 del 23/01/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 1462 del 18/01/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 20692 del 09/08/2018; Sez. U, Sentenza n. 16962 del 27/06/2018; Sez. 3, Sentenza n. 18323 del 27/08/2014; Sez. 5, Ordinanza n. 7241 del 26/03/2010; Sez. 3, Sentenza n. 4337 del 23/02/2010; Sez. 3, Sentenza n. 13086 del 05/06/2007). Precisamente, per i giudizi introdotti prima del 4 luglio 2009, tra cui rientra quello di specie - instaurato, in primo grado, con ricorso depositato il 24 settembre 2002 -, non opera la novella di cui alla L. 18 giugno 2009, articolo 45 - che ha, tra l'altro, modificato l'articolo 83, comma 3, c.p.c., estendendo le ipotesi in cui puo' essere rilasciata la procura a margine o in calce anche alla memoria di nomina di nuovo difensore -, ai sensi delle disposizioni transitorie di cui all'articolo 58 della citata legge. Per l'effetto, resta ferma la nomina dell'originario difensore, con la relativa elezione di domicilio. 1.1.- Sempre in via preliminare, devono essere affrontate - e respinte - le eccezioni pregiudiziali sollevate dal Condominio controricorrente. Anzitutto, e' eccepita l'inammissibilita' del ricorso per difetto di notifica, unitamente all'atto introduttivo, della procura speciale (e cio' perche' il documento in formato pdf che avrebbe dovuto riportare la procura, allegato alla notifica effettuata a mezzo PEC, conteneva, invece, una seconda copia del ricorso), sicche' sarebbe esclusa l'anteriorita' del conferimento del mandato difensivo rispetto alla notifica dell'atto introduttivo del giudizio di legittimita'. L'eccezione e' destituita di fondamento, in quanto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 366 e 369 c.p.c. vigenti ratione temporis, benche' difetti la notifica della procura unitamente al ricorso, l'indicazione, nell'epigrafe della copia notificata del ricorso introduttivo del giudizio di legittimita', della procura speciale rilasciata in calce al difensore individuato e la sua produzione - al momento del deposito dell'originale del ricorso - non importano alcuna inammissibilita', potendo desumersi da tali elementi, con ragionevole certezza, che il mandato sia stato conferito prima della notificazione dell'atto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 35466 del 19/11/2021; Sez. U, Ordinanza n. 17866 del 23/07/2013; Sez. 1, Sentenza n. 14967 del 02/07/2007; Sez. 3, Sentenza n. 6169 del 22/03/2005; Sez. 1, Sentenza n. 17406 del 30/08/2004). Cio' vale anche allorche' la notifica del ricorso sia avvenuta a mezzo PEC: anche in tal caso, infatti, essendovi il riferimento ad una procura incorporata nell'atto di impugnazione (recte rilasciata in calce al ricorso), essa si presume rilasciata anteriormente alla notifica dell'atto che la contiene, sicche' non rileva, ai fini della verifica della sussistenza della procura, la sua mancata riproduzione o segnalazione nella copia notificata, essendo sufficiente, per l'ammissibilita' del ricorso per cassazione, la sua presenza nell'originale. 1.2.- Ancora, non puo' essere dichiarata l'inammissibilita' del ricorso per mancata indicazione, nell'epigrafe del ricorso, degli ulteriori destinatari dell'azione di legittimita', oltre al Condominio. E tanto perche' risulta inequivocabilmente che il ricorso e' stato proposto anche contro i condomini intervenuti nel giudizio di merito (in appello), emarginati nell'epigrafe della pronuncia impugnata e a cui e' stata diretta la notificazione del ricorso. Il che e' desumibile dall'espresso riferimento, nel corpo del ricorso, ai condomini intervenuti ad adiuvandum e ad opponendum. Ora, ai sensi dell'articolo 366 c.p.c., il ricorso per cassazione e' inammissibile solo qualora manchi o vi sia incertezza assoluta sull'identificazione delle parti contro cui esso e' diretto; ai fini dell'osservanza della norma predetta, non e' necessario che le relative indicazioni siano premesse all'esposizione dei motivi di impugnazione o che siano altrove esplicitamente formulate, essendo sufficiente, analogamente a quanto previsto dall'articolo 164 c.p.c., che esse risultino in modo chiaro e inequivoco (e non, dunque, ingannevole), anche se implicitamente, dal contesto del ricorso, nonche' dal riferimento ad atti dei precedenti gradi di giudizio, da cui sia agevole identificare con certezza la parte intimata. Ne consegue che - sebbene il vizio consistente nell'omessa indicazione nel ricorso della parte nei cui confronti e' proposto non sia sanato dalla relazione di notificazione, che e' la dichiarazione dell'ufficiale giudiziario descrittiva dell'operazione di conoscenza avente ad oggetto il documento incorporante il ricorso da notificare, ed e', quindi, atto da quest'ultimo soggettivamente ed oggettivamente distinto (Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 22046 del 26/09/2013; Sez. 2, Sentenza n. 19286 del 07/09/2009) -, nella fattispecie, i chiari riferimenti contenuti nel corpo del ricorso, unitamente ai riferimenti di cui alla sentenza impugnata, consentivano di individuare agevolmente gli altri destinatari del giudizio di legittimita'. 2.- Tanto premesso, con il primo motivo la ricorrente eccepisce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita' della sentenza o del procedimento, in relazione alla Cost., articoli 111, comma 6, e 24, 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., con conseguenti effetti restitutori e risarcitori, per carenza di motivazione ovvero per motivazione solo apparente, per avere il Giudice d'appello omesso di illustrare e confutare le critiche mosse dall'appellante avverso la statuizione di primo grado. Secondo l'istante, il Giudice del gravame avrebbe sviluppato le argomentazioni confutative dell'appello nella sola pagina n. 4 della sentenza impugnata, con considerazioni meramente assertive e apodittiche, prive di contenuto motivazionale, senza esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado con riguardo ai motivi di impugnazione proposti. 3.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1168 c.c., per avere la Corte territoriale ravvisato nella condotta della Cooperativa gli estremi per la configurazione della fattispecie di spoglio, sia sotto il profilo oggettivo dello spossessamento connotato dai requisiti alternativi della violenza o della clandestinita', sia sotto il profilo soggettivo dell'animus spoliandi. Sotto il profilo oggettivo, l'istante obietta che non avrebbe potuto configurarsi una lesione del potere di fatto in ragione dell'edificazione di un parcheggio interrato, volto all'utilizzazione innovativa e migliorativa del sottosuolo, essendo tale destinazione finalizzata all'ottimizzazione di un'area comune altrimenti non utilizzabile; e cio' anche a vantaggio dei condomini che non fossero stati soci della Cooperativa, essendo stato stabilito che vi fosse la possibilita' per ciascun condomino di concorrere alle spese di esecuzione e manutenzione dell'opera realizzata. Tanto piu' che - ad avviso della ricorrente -, con successiva delibera condominiale del 18 dicembre 2009, sarebbe stata approvata nuovamente la realizzazione di posti auto e box nel sottosuolo condominiale, deliberazione avverso cui sarebbe stata disattesa l'impugnazione proposta da un condomino per asserito difetto di un valido quorum funzionale, con sentenza del Tribunale di Roma del 30 gennaio 2013, in quanto nella fattispecie nessuna preclusione sarebbe stata frapposta, nei confronti dei condomini dissenzienti dal progetto di edificazione del parcheggio interrato, alla fruizione comunque dello spazio comune attraverso la postuma adesione al progetto e l'acquisizione di un box o posto auto. Sempre sul piano oggettivo, l'istante rileva che il posizionamento del cantiere nel febbraio 2002 non avrebbe integrato uno spoglio, in quanto si sarebbe trattato di opera meramente temporanea, attiva solo per il tempo necessario al completamento dei lavori. Quanto al requisito della clandestinita', esso sarebbe stato escluso dalla condizione di conoscenza dell'intervento atto alla realizzazione dell'autorimessa sotterranea, anche con riferimento all'installazione del cantiere e alla programmazione dell'inizio delle opere di costruzione. Sarebbe stata altresi' esclusa la ricorrenza del requisito della violenza, in quanto la delibera del 7 maggio 1993 avrebbe affidato alla costituenda Cooperativa l'incarico di costruire i parcheggi, sicche' la detenzione dell'area in favore di quest'ultima sarebbe stata legittima, in quanto appunto diretta a soddisfare gli interessi e la volonta' del Condominio. Per le stesse ragioni, la ricorrente esclude che vi fossero gli estremi dell'animus spoliandi, in quanto la Cooperativa avrebbe agito nella piena consapevolezza che il Condominio in quanto tale condividesse l'esecuzione dei lavori e ne seguisse l'andamento e lo stato di realizzazione, anche durante la fase di preparazione. 4.- Con il terzo motivo la ricorrente censura, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 122 del 1989, articolo 9, comma 3, per avere il Giudice del gravame interpretato la legge Tognoli in termini ostativi ad una decisione maggioritaria dell'assemblea condominiale volta alla realizzazione dei parcheggi sotterranei (e avendo ritenuto, per contro, che si esigesse una deliberazione assunta all'unanimita' dei condomini), cosi' vanificando ogni possibilita' di applicazione e di concreta operativita' della predetta legge. Ad avviso dell'istante, requisito necessario per il legittimo inizio dei lavori atti alla realizzazione di un'autorimessa sotterranea multipiano sarebbe consistito nella verifica tecnica che tali opere non recassero pregiudizio alla stabilita' e alla sicurezza del fabbricato, non ne alterassero il decoro architettonico e non rendessero alcuna parte dell'edificio inservibile all'uso e al godimento anche di un solo condomino, essendo nella fattispecie assicurata anche ai condomini dissenzienti la possibilita' di realizzare in futuro, nella zona comune rimasta libera, analogo parcheggio pertinenziale della propria unita' immobiliare, in modo da garantire a tutti il godimento del sottosuolo, secondo la sua normale destinazione. 5.- Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1102 c.c., in relazione agli articoli 1139 e 1120, secondo e comma 5, c.c. nonche' alla L. n. 122 del 1989, articoli 9 e 1121 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che i partecipanti al Condominio, quali soci della Cooperativa, avessero alterato la destinazione della parte di sottosuolo condominiale interessata dalla costruzione dell'autorimessa e modificato la destinazione del suolo adibito a cantiere, impedendo cosi' ai condomini non iscritti alla Cooperativa di poter usufruire della cosa comune secondo il loro diritto. Per converso, secondo la ricorrente, l'area interrata destinata a parcheggi sarebbe stata, fino ad allora, inutilizzata, sicche' la destinazione programmata avrebbe potuto qualificarsi in termini di naturale, quasi intrinseca, finalizzazione del sottosuolo. Al contempo, neanche sarebbe stata modificata la destinazione del suolo adibito a cantiere, atteso che l'occupazione temporanea del relativo spazio sarebbe stata funzionalmente necessaria e strumentale all'esecuzione dei lavori e comunque di durata definita. Inoltre, non sarebbe stato impedito ai condomini non iscritti alla Cooperativa di fruire comunque della cosa comune, poiche' questi ultimi avrebbero conservato - decidendo di concorrere alle spese di costruzione ed a quelle di manutenzione - la facolta' di divenire proprietari di un box ovvero, a loro semplice scelta, di un posto auto, in piena armonia con il disposto legislativo. 6.- Con il quinto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e segnatamente la mancata valutazione di accadimenti storici dirimenti e della documentazione probatoria, da cui sarebbe stato possibile acclarare la piena conoscenza, da parte del Condominio, dei lavori in controversia, la sua approvazione per comportamento concludente nonche' la piena condivisione di intenti tra la Cooperativa e il Condominio. Nel dettaglio, dai verbali di assemblea, dagli avvisi ai condomini da parte dell'amministratore, dalle relazioni tecniche, dagli studi di fattibilita' e dalle perizie sarebbe risultato che era stato il Condominio ad incaricare la Cooperativa dello svolgimento dei lavori di esecuzione dell'autorimessa sotterranea, sicche' esso ne avrebbe condiviso perfettamente modalita' di azione e finalita'. 7.- Con il sesto motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita' del procedimento e della sentenza per mancanza della legittimazione processuale dell'amministratore del Condominio ad agire ai sensi dell'articolo 703 c.p.c., in contrasto con la volonta' dell'assemblea condominiale validamente manifestatasi nella delibera del 5 dicembre 2002, anche in relazione alla violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1130, nn. 1 e 4, c.c. e 81 c.p.c., necessitando l'azione di reintegrazione nel possesso, anche a difesa delle parti comuni, proposta dall'amministratore giudiziario, della preventiva autorizzazione o della successiva ratifica dell'assemblea condominiale. E anche qualora si fosse ritenuta la legittimazione dell'amministratore a spiegare l'azione di spoglio, tale legitimatio ad causam, seppure astrattamente ipotizzabile, sarebbe stata esclusa in concreto, in ragione della volonta' di desistere dall'azione di spoglio manifestata dall'assemblea condominiale, dapprima, nella riunione del 18 ottobre 2002 e, poi, nella seduta straordinaria del 5 dicembre 2002. 8.- Con il settimo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita' della sentenza e del procedimento per mancanza della legittimazione processuale dell'amministratore del condominio con riferimento all'azione giudiziale di risarcimento dei danni, esperita in assenza di autorizzazione o ratifica dell'assemblea condominiale, in materia non rientrante nelle proprie attribuzioni, in relazione alla violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1130 e 1131 c.c.. Sul punto, l'istante osserva che l'amministratore avrebbe esercitato, unitamente all'azione di reintegrazione nel possesso, peraltro fuori dai termini di legge, la tutela risarcitoria per la lesione del potere di fatto sulla cosa comune, azione, quest'ultima, non diretta alla conservazione della res e quindi rientrante nell'esclusiva disponibilita' dei singoli condomini. 9.- L'ottavo motivo del ricorso investe, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita' del procedimento e della sentenza, per non avere la Corte distrettuale rilevato, ex officio, la nullita' della sentenza di primo grado in ordine al capo relativo alla condanna della Cooperativa al risarcimento dei danni in favore del Condominio, in quanto si sarebbe trattato di pronuncia resa extra petita partium, non essendo stato chiesto il risarcimento nel ricorso introduttivo del giudizio, ma solo tardivamente in corso di causa, anche in relazione alla violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c.. Piu' specificamente, la ricorrente obietta che l'amministratore condominiale avrebbe dovuto proporre la domanda risarcitoria contestualmente alla proposizione della domanda di reintegrazione nel possesso ovvero avrebbe dovuto introdurre un autonomo giudizio, e non gia' spiegare tale domanda nel corso della fase sommaria del procedimento interdittale. 10.- Il nono e ultimo motivo del ricorso concerne, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita' della sentenza e del procedimento per mancanza dell'autorizzazione o della ratifica dell'assemblea condominiale quanto al conferimento dell'incarico al procuratore costituito del Condominio (in realta', procuratore del solo amministratore), anche in relazione alla violazione e/o falsa applicazione degli articoli 75 e 81 c.p.c.. Sul punto, la ricorrente ritiene che la sentenza d'appello abbia erroneamente avvalorato la sussistenza della legitimatio ad processum dell'amministratore, nonostante il mancato deposito della ratifica dell'assemblea condominiale in ordine al mandato difensivo conferito al procuratore nominato dall'amministratore medesimo. 11.- E' pregiudiziale lo scrutinio del sesto, settimo, ottavo e nono motivo, che attengono rispettivamente ai profili processuali della legittimazione ad causam dell'amministratore condominiale a proporre la domanda di reintegrazione nel possesso del bene comune e la consequenziale domanda risarcitoria, della tardivita' della domanda di risarcimento proposta nel giudizio possessorio e della necessita' che alla nomina del difensore dell'amministratore provvedesse l'assemblea condominiale. 12.- Il sesto motivo e' infondato. Ed invero, l'amministratore condominiale - quand'anche di nomina giudiziale - e' legittimato, senza necessita' di autorizzazione dell'assemblea dei condomini, a promuovere l'azione di reintegrazione avverso la sottrazione, ad opera di taluno dei condomini, di una parte comune dell'edificio al compossesso di tutti i condomini (situazione alla quale deve essere equiparata la condotta di spoglio realizzata da terzi, ai sensi dell'articolo 1131 c.c.), perche' tale azione, essendo diretta a conservare l'esistenza delle parti comuni condominiali, rientra tra le attribuzioni dell'amministratore ex articolo 1130, n. 4, c.c. (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25782 del 13/11/2020; Sez. 2, Sentenza n. 7063 del 15/05/2002; Sez. 2, Sentenza n. 6190 del 03/05/2001; Sez. 2, Sentenza n. 4117 del 14/05/1990; Sez. 2, Sentenza n. 6593 del 11/11/1986; Sez. 2, Sentenza n. 3510 del 28/05/1980). 12.1.- Non rileva l'asserita volonta' espressa dal Condominio (attraverso le delibere assembleari indicate, adottate a maggioranza, senza peraltro che ne sia stato riportato il puntuale contenuto) di desistere dall'azione possessoria gia' intrapresa (quindi, successivamente alla sua proposizione), peraltro con l'opposizione dei condomini intervenienti nel giudizio possessorio. E tanto perche' l'assemblea dei condomini e' legittimata a rinunciare all'azione proposta dal condominio verso terzi solo con riferimento alle controversie per le quali ha esercitato il potere di autorizzazione dell'amministratore ad agire in giudizio per l'esercizio di diritti che, ancorche' riferiti alle parti comuni dell'edificio condominiale, non rientrano nella rappresentanza giudiziale attiva attribuita all'amministratore dall'articolo 1131 c.c. (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 5645 del 21/02/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 23254 del 20/08/2021; Sez. 2, Sentenza n. 10865 del 25/05/2016). Solo per gli atti che non rientrano fra le sue attribuzioni, come l'esercizio delle azioni reali, l'amministratore del condominio non e' legittimato a proporre le corrispondenti controversie nei confronti dei singoli condomini o di terzi contro la volonta' dell'assemblea (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 23190 del 23/10/2020; Sez. 2, Sentenza n. 11688 del 16/10/1999; Sez. 2, Sentenza n. 4530 del 16/04/1993). Non puo', invece, l'assemblea incidere in termini abdicativi (anziche' ampliativi) - oltre i limiti delle proprie attribuzioni ex articolo 1135 c.c. - sulle attribuzioni demandate all'amministratore, in forza di un potere discrezionale da questo autonomamente esercitabile ex articoli 1130 e 1131 c.c.. Sicche' la facolta' dell'amministratore di rappresentare il condominio, nell'ambito delle attribuzioni conferitegli ex lege a norma dell'articolo 1130 c.c., non puo' soffrire limitazione ne' per volonta' dell'amministratore ne' per deliberazione dell'assemblea - e a fortiori non puo' costituire oggetto di deroga mediante il regolamento di condominio ex articolo 1138, comma 4, c.c. - (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6697 del 13/06/1991; Sez. 2, Sentenza n. 1068 del 09/04/1968). E, in specie, l'esercizio, ad opera dell'amministratore, con riferimento a parti condominiali, delle azioni possessorie - in quanto tendenti, per definizione, al recupero o al mantenimento del godimento della cosa, sottratto illecitamente o molestato dal terzo - non e' subordinato ad autorizzazione dell'assemblea, ne' puo' da questa essere escluso o limitato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 369 del 20/01/1982; Sez. 2, Sentenza n. 3561 del 11/12/1972). Con la conseguenza che l'amministratore non aveva l'obbligo di eseguire le deliberazioni assembleari che prevedevano una deroga dalle attribuzioni stabilite per legge a suo favore, ne' ha perso la legittimazione processuale attiva in conseguenza dell'adozione di dette delibere. 13.- Anche la settima censura e' infondata. E cio' perche' la domanda di risarcimento danni e' stata proposta, relativamente al merito possessorio, in ragione della natura bifasica del procedimento possessorio (all'epoca connotato dal requisito della necessaria instaurazione del merito possessorio), in via consequenziale e in connessione con la domanda di reintegrazione nel possesso, appunto per ottenere il ristoro per equivalente dei pregiudizi provocati dalla condotta di spoglio contestata. Si tratta, dunque, di risarcimento dei nocumenti afferenti allo stesso comportamento di spoglio, avverso il quale e' stata chiesta la tutela in forma specifica, mediante reintegrazione. Ebbene, l'articolo 1130 c.c., nel disciplinare le attribuzioni dell'amministratore del condominio, non puo' essere inteso nel senso di limitare gli atti conservativi che l'amministratore deve compiere (ex articolo 1130, n. 4, c.c.) ai soli provvedimenti cautelari, ma comprende tutto cio' che mira all'integrita' delle cose comuni. Pertanto, l'amministratore del condominio puo' agire senza autorizzazione dell'assemblea non solo per proporre le azioni nunciatorie o possessorie o altre azioni conservative in via d'urgenza, ma anche per ottenere il risarcimento del danno cagionato alle parti comuni dello stabile condominiale, allorche' tale danno si concreti nelle spese occorrenti per la rimessione delle cose nel pristino stato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2127 del 29/01/2021; Sez. 2, Sentenza n. 23065 del 30/10/2009; Sez. 2, Sentenza n. 10474 del 22/10/1998; Sez. 2, Sentenza n. 1154 del 22/04/1974; sulla legittimazione dell'amministratore all'esercizio dell'azione di risarcimento del danno cagionato alle parti comuni dell'edificio nel caso di rovina di questo o gravi vizi di costruzione che ne mettano in pericolo la sicurezza, ai sensi dell'articolo 1669 c.c., Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 31/01/2018; Sez. 2, Sentenza n. 17038 del 03/08/2007; Sez. 2, Sentenza n. 17484 del 01/08/2006; Sez. 2, Sentenza n. 8294 del 30/07/1999; Sez. 2, Sentenza n. 2775 del 28/03/1997; Sez. 2, Sentenza n. 5613 del 18/06/1996; Sez. 2, Sentenza n. 3366 del 23/03/1995; Sez. 2, Sentenza n. 1912 del 09/03/1985; Sez. 2, Sentenza n. 152 del 19/01/1985). Cosicche' la tutela risarcitoria trova la propria causa nella lesione del possesso sulla cosa comune, alla cui salvaguardia l'amministratore e' legittimato - alla stregua delle attribuzioni che gli sono riconosciute per il compimento degli atti conservativi -, senza l'autorizzazione assembleare, il che giustifica la congiunta proposizione della domanda di riparazione del pregiudizio per equivalente, volta comunque a sanare le conseguenze dello spoglio perpetrato. D'altronde, la conclusione emarginata non determina alcuna contraddizione alla luce della discriminazione tra tutela in forma specifica del bene comune mediante sua restitutio in integrum e azione risarcitoria connessa alla lesione di tale bene, poiche' in entrambi i casi l'amministratore e' legittimato ad agire in giudizio, in ragione delle sue attribuzioni, alla stregua dello stretto vincolo di dipendenza funzionale che ricorre tra l'atto conservativo e la tutela ristoratoria. In conseguenza, in ordine all'azione risarcitoria, la proposizione e' preclusa all'amministratore, in difetto di mandato rappresentativo dei singoli condomini, solo allorche' le azioni risarcitorie vertano sui soli danni subiti dalle unita' immobiliari di proprieta' esclusiva dei condomini (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2786 del 31/01/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 3846 del 17/02/2020; Sez. 2, Sentenza n. 217 del 12/01/2015; Sez. 2, Sentenza n. 22656 del 08/11/2010), e non gia' dai beni comuni rispetto ai quali e' stata invocata la reintegrazione nella signoria di fatto. 14.- L'ottava doglianza e' infondata. E cio' perche' la proposizione della domanda risarcitoria connessa alla lesione del possesso e' riservata alla fase del merito possessorio, sicche' detta azione non e' tardiva ove sia spiegata nel corso della fase sommaria e fino al momento della prosecuzione del procedimento possessorio nella fase a cognizione piena, come e' accaduto nel caso di specie (secondo le stesse deduzioni della Cooperativa ricorrente, la domanda risarcitoria e' stata proposta dal Condominio con le note di replica depositate il 27 marzo 2003, prima della pronuncia dell'interdetto avvenuta il 10 maggio 2003). Infatti, ove il soggetto leso che invochi la tutela possessoria intenda ottenere la condanna dell'autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, le questioni inerenti alle pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio a cognizione piena (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20635 del 30/09/2014; Sez. U, Sentenza n. 1984 del 24/02/1998; Sez. 2, Sentenza n. 1030 del 10/02/1984; Sez. 2, Sentenza n. 889 del 06/02/1984), sicche' e' sufficiente che siffatta domanda accessoria sia proposta prima dell'introduzione di tale fase, l'unica deputata alla correlata decisione sulla connessa pretesa ristoratoria. Proprio la circostanza che la cognizione sulla domanda risarcitoria, conseguente alla lesione del possesso, fosse riservata alla fase del merito possessorio giustificava la sua proposizione prima che fosse aperta detta fase (nella fattispecie introdotta in via automatica e non gia' eventuale, in ragione del regime processuale vigente ratione temporis dell'articolo 703 c.p.c.). 15.- Anche la nona censura e' infondata. Ed infatti, per quanto anzidetto esaminando il sesto e settimo motivo, l'amministratore era legittimato a proporre l'azione di reintegrazione nel possesso ex articolo 1168 c.c. e l'accessoria domanda risarcitoria - quali atti conservativi rientranti nelle sue attribuzioni ex articolo 1130, n. 4, c.c. -, senza alcuna autorizzazione o successiva ratifica assembleare. A fronte di questa legittimazione, l'amministratore di condominio, per conferire procura al difensore al fine di costituirsi in giudizio nelle cause che rientrano nell'ambito delle proprie attribuzioni, non necessita di alcuna autorizzazione assembleare (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 7884 del 19/03/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 12806 del 14/05/2019; Sez. 2, Sentenza n. 10865 del 25/05/2016; Sez. 2, Sentenza n. 13504 del 03/12/1999). 16.- A questo punto devono essere esaminati gli ulteriori motivi articolati dalla ricorrente, secondo l'ordine da questi prospettato. 17.- Il primo motivo e' infondato. Si premette che ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimita' ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quando essa, benche' graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche' recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cosi' da non attingere la soglia del "minimo costituzionale" richiesto dalla Cost., articolo 111, comma 6, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le piu' varie, ipotetiche, congetture (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020; Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020; Sez. 6-5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). Nella fattispecie, una volta escluso - secondo la stessa prospettazione della ricorrente (che evoca la sussistenza di considerazioni meramente assertive e apodittiche nella sola pagina n. 4 della pronuncia) - che la motivazione sia completamente assente gia' sul piano materiale e grafico, con la conseguente violazione degli articoli 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c., neanche puo' ritenersi che le argomentazioni addotte, sebbene succinte, non consentano di individuare il percorso logico seguito per addivenire alla conferma del rigetto dell'azione possessoria di spoglio. In proposito, la sentenza d'appello - dopo aver precisato che ricorre la legittimazione dell'amministratore a proporre l'azione di reintegrazione nel possesso, rientrando tale azione nell'ambito degli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio, che rientrano nelle attribuzioni spettanti all'amministratore - ha avvalorato la tesi del Giudice di prime cure sull'integrazione dei presupposti costitutivi dello spoglio nel possesso realizzato dalla Cooperativa, alla stregua del contenuto della delibera richiamata del 7 maggio 1993. Segnatamente la Corte di merito ha evidenziato che l'esecuzione dei lavori sulle parti comuni dell'edificio, per la realizzazione di un'autorimessa interrata pluripiano, con l'occupazione degli spazi interni al cortile condominiale per l'installazione del cantiere, non e' stata supportata da alcuna deliberazione autorizzativa, avendo la delibera indicata del 7 maggio 1993 - il cui contenuto e' stato ripreso da altra delibera dell'anno 2002 - semplicemente dato atto dell'esistenza di un'area o di uno spazio condominiale tale da consentire la costruzione di parcheggi, senza avere conferito alcuna autorizzazione alla Cooperativa - dotata di propria soggettivita' giuridica, distinta da quella dei condomini che vi hanno partecipato - per l'occupazione di dette aree e per l'attuazione dei lavori di realizzazione dell'autorimessa. Riferimenti, questi, che giustificano la sussistenza di uno spoglio. 18.- La seconda censura e' infondata. Essa muove, infatti, da un presupposto erroneo, ossia dalla circostanza - confutata dalla pronuncia impugnata - che la deliberazione condominiale del 7 maggio 1993 avesse autorizzato la Cooperativa a detenere l'area e a curare l'esecuzione dei lavori per la costruzione di un'autorimessa sotterranea multipiano. Per converso, la Corte d'appello ha puntualizzato - senza che il rilievo sul punto sia stato adeguatamente confutato - che siffatta delibera si era limitata a prevedere genericamente che uno specifico spazio condominiale potesse essere destinato alla costruzione di parcheggi, senza alcun riferimento alla Cooperativa e senza alcuna autorizzazione all'esecuzione dei lavori. Con l'ulteriore precisazione, peraltro, che la Cooperativa era stata costituita solo da alcuni condomini e non da tutti i condomini facenti parte del Condominio e che l'autorimessa sotterranea programmata avrebbe consentito il parcheggio delle sole autovetture dei partecipanti alla Cooperativa. Ne' la delibera richiamata aveva individuato un progetto di esecuzione dell'opera e la ditta appaltatrice cui affidare i lavori. Secondo l'assunto della Corte distrettuale (non efficacemente smentito dall'istante), l'evocata delibera si e' limitata ad attestare che l'area esistente tra gli edifici che costituiscono il condominio di (OMISSIS) e' di estensione tale da consentire la costruzione di parcheggi sotterranei da destinare a pertinenze delle singole unita' immobiliari. 18.1.- Ne consegue che lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprieta' esclusiva ad uno dei condomini, va considerato di proprieta' comune, per il combinato disposto degli articoli 840 e 1117 c.c., sicche', ove il singolo condomino (o, come nella fattispecie, un terzo in rappresentanza di alcuni di essi) proceda, senza il consenso degli altri partecipanti, a scavi in profondita' del sottosuolo, cosi' attraendolo nell'orbita della sua disponibilita' esclusiva, si configura uno spoglio denunciabile dall'amministratore con l'azione di reintegrazione (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 29925 del 18/11/2019; Sez. 2, Sentenza n. 6154 del 30/03/2016; Sez. 3, Sentenza n. 15383 del 13/07/2011). Allo stesso modo, l'occupazione di uno spazio comune - con l'installazione del cantiere funzionale all'esecuzione dei lavori -, sebbene limitata temporalmente alle esigenze di realizzazione dell'opera indicata, integra lo spossessamento del bene condominiale, poiche', senza il consenso degli altri condomini ed in loro pregiudizio, ha determinato la stabile alterazione o la violazione dello stato di fatto o della destinazione della cosa comune, impedendo o restringendo il godimento spettante a ciascun possessore pro indiviso sulla cosa medesima, in modo da sottrarla alla sua specifica funzione. Sicche' sono esperibili le azioni a difesa del compossesso per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato, allo scopo di trarne quella utilitas alla quale la cosa era asservita prima della contestata modificazione (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 7748 del 05/04/2011; Sez. 2, Sentenza n. 16496 del 05/08/2005; Sez. 2, Sentenza n. 13747 del 20/09/2002; Sez. 2, Sentenza n. 2947 del 11/03/1993; Sez. 2, Sentenza n. 432 del 28/01/1985). In merito, si evidenzia che per la configurabilita' dello spoglio non e' necessario che la privazione del possesso abbia carattere definitivo o permanente, essendo sufficiente che si manifesti con carattere duraturo, ossia che essa non si riveli di per se' come mero impedimento di natura provvisoria o transitoria, ma si presenti come destinata a permanere per una durata apprezzabile di tempo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18227 del 10/09/2004; Sez. 2, Sentenza n. 7887 del 28/09/1994; Sez. 2, Sentenza n. 4628 del 20/04/1993; Sez. 2, Sentenza n. 730 del 18/02/1977), cosi' come accade nel caso di posizionamento di un cantiere edile, con occupazione stabile dell'area interessata, allo scopo di realizzare un'opera di una certa consistenza (nel caso di specie, un'autorimessa sotterranea multipiano). 18.2.- D'altronde, il fatto che l'occupazione dell'area comune e l'inizio dei lavori di realizzazione di un'autorimessa sotterranea multipiano siano avvenuti senza l'autorizzazione del Condominio integra il requisito della violenza dello spoglio, per la cui sussistenza, ai fini dell'esperimento della tutela possessoria, non e' necessario che questo sia stato compiuto con forza fisica o con armi, essendo invece sufficiente che sia avvenuto senza o contro la volonta' effettiva, o anche solo presunta, del possessore, allo scopo di sottrarne il possesso ed impedirne l'esercizio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26985 del 02/12/2013; Sez. 2, Sentenza n. 11453 del 30/08/2000; Sez. 2, Sentenza n. 1577 del 13/02/1987; Sez. 2, Sentenza n. 3896 del 29/06/1985; Sez. 2, Sentenza n. 1101 del 23/02/1981). Nessun rilievo puo' avere in proposito l'evocata delibera condominiale del 18 dicembre 2009. In disparte il fatto che di tale delibera non e' stato riportato lo specifico contenuto e che la relativa deduzione integra una circostanza nuova, in ogni caso, essa e' stata adottata in epoca di molto successiva alla perpetrazione dello spoglio denunciato e, dunque, non incide, per definizione, sull'esclusione della violenza. 18.3.- Ne' l'animus spoliandi e' escluso dalla circostanza che il fine della immutazione sia quello di consentire o rendere piu' agevole allo spoliator l'utilizzazione del sottosuolo in favore dei condomini aderenti alla Cooperativa, posto che l'elemento soggettivo si consacra nella consapevolezza dell'autore dello spoglio di agire contro la volonta' espressa o presunta del spoliatus (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21613 del 28/07/2021; Sez. 2, Sentenza n. 14797 del 14/06/2017; Sez. 2, Sentenza n. 16236 del 25/07/2011; Sez. 2, Sentenza n. 2316 del 31/01/2011; Sez. 2, Sentenza n. 13270 del 09/06/2009; Sez. 2, Sentenza n. 7994 del 25/08/1997). 18.4.- In ultimo, in difetto di alcuna autorizzazione del Condominio, nei confronti della Cooperativa, ad utilizzare l'area comune e a realizzare i parcheggi sotterranei, non ricorre il consenso, espresso o tacito, del possessore allo spoglio, idoneo a scriminare la condotta lesiva (sotto il profilo della violenza) ovvero ad escludere l'elemento subiettivo, poiche', ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, si presume la volonta' contraria del possessore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22174 del 07/12/2012; Sez. 2, Sentenza n. 2525 del 21/02/2001; Sez. 2, Sentenza n. 1204 del 13/02/1999; Sez. 2, Sentenza n. 3291 del 10/04/1996). 19.- Il terzo motivo e' inammissibile. La sua articolazione non coglie, infatti, la ratio decidendi della pronuncia impugnata, che non ha affatto argomentato la ricorrenza dello spoglio in forza di una delibera autorizzativa adottata a maggioranza, anziche' all'unanimita', bensi' alla stregua della carenza di alcuna autorizzazione conferita con la delibera del 7 maggio 1993, che si limitava a prevedere la possibile costruzione di parcheggi sullo spazio comune. 20.- Anche la quarta doglianza e' infondata. E cio' perche', per quanto anzidetto, lo spoglio e' stato perpetrato per difetto, a monte, di alcuna delibera autorizzativa in favore della Cooperativa. A fronte della previsione degli interventi per la realizzazione dei parcheggi, secondo le maggioranze prescritte dalla L. n. 122 del 1989, articolo 9, primo e comma 3, (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20254 del 18/09/2009; Sez. 2, Sentenza n. 5369 del 14/06/1997), la deliberazione del 7 maggio 1993 non autorizzava la Cooperativa ad acquisire la detenzione dell'area, ne' a procedere ai relativi lavori. D'altronde, la sentenza impugnata ha ulteriormente specificato che la medesima delibera non approvava un progetto dei lavori, non approvava un preventivo di spesa, non esaminava le offerte pervenute dalle ditte appaltatrici e non sceglieva la ditta alla quale affidare i lavori. Ha aggiunto la pronuncia che l'occupazione e la trasformazione dello spazio in questione erano avvenute a cura della Cooperativa, quale soggetto di diritto del tutto diverso e distinto dal Condominio, rilevando altresi' che alcuni dei condomini non ne facevano parte. 21.- Il quinto mezzo di critica e' inammissibile. Esso - sebbene non ricada nella preclusione di cui all'articolo 348-ter, comma 5, c.p.c., atteso che la citazione introduttiva del giudizio d'appello e' stata notificata in data antecedente all'11 settembre 2012 (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11439 del 11/05/2018; Sez. 6-L, Ordinanza n. 24909 del 09/12/2015; Sez. 5, Sentenza n. 26860 del 18/12/2014) -, nondimeno si riferisce genericamente a documenti di cui non e' specificato il contenuto, ai fini di poterne vagliare la portata decisiva rispetto all'asserito consenso manifestato dal Condominio all'esecuzione dei lavori a cura della Cooperativa (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). Ne' risulta che, in ordine al contenuto di tali documenti, le parti abbiano discusso in corso di causa. A fortiori, il consenso scriminante dello spoglio, demandato all'apprezzamento del giudice di merito, deve essere, per quanto anzidetto scrutinando il secondo motivo, univoco e concludente, ossia incompatibile con la volonta' di far valere il diritto o il fatto illecito, e non gia' equivoco, gravando sull'autore dello spoglio l'onere della prova di tale consenso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8486 del 22/06/2000; Sez. 2, Sentenza n. 6104 del 05/12/1985; Sez. 2, Sentenza n. 471 del 07/02/1975; Sez. 2, Sentenza n. 1699 del 17/05/1969; Sez. 2, Sentenza n. 51 del 10/01/1964; Sez. 2, Sentenza n. 1890 del 12/07/1963), univocita' che non e' dato desumere dagli elementi indicati dalla ricorrente. 22.- In definitiva, il ricorso deve essere respinto. Le spese e i compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione: rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

  • IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA SETTIMA SEZIONE CIVILE composta dai magistrati: Maria Rosaria Rizzo Presidente Paola Agresti Consigliere Maria Speranza Ferrara Consigliere rel. SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 5506/2022 R.G.A.C.C., trattenuta in decisione il 25.01.2023 e vertente TRA (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Roma, Via (...), scala E, interno 13, presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende per procura in atti - APPELLANTE - E (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Roma, (...), presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende per procura in atti - APPELLATA - oggetto: appello di (...) nei confronti di (...), avverso la sentenza, resa tra le parti, dal Tribunale Ordinario di Civitavecchia, n. 1424/2021, in data 31.03.2022, a definizione del giudizio recante n.r.g. 3689/2016, promosso da (...) nei confronti di (...) - Domanda di riduzione in pristino - IN FATTO E IN DIRITTO I fatti di causa sono riportati, come di seguito, nella sentenza impugnata. " (...) (...), proprietaria di un appartamento sito nel Condomino di Santa Marinella, via (...) palazzina 7, numero interno 2, adiva il Tribunale chiedendo la condanna di (...), proprietaria del sovrastante immobile, alla rimozione di pannelli fotovoltaici installati sul tetto comune, a sua insaputa e senza essere autorizzata dal Condominio. Deduceva altresì che detta installazione aveva determinato gravi problematiche alla sua casa a causa della presenza di volatili che avevano trovato rifugio nella parte sottostante l'impianto, sporcando l'ingresso della sua abitazione e rendendo i luoghi insalubri. (...) si costituiva in giudizio eccependo l'improcedibilità della domanda, la prescrizione dalla richiesta risarcitoria e l'insussistenza del nesso di causalità tra installazione dei pannelli e danni lamentati dall'attrice. Concesse le memorie istruttorie la causa, ritenuta la causa documentalmente, veniva rinviata all'udienza di discussione del 16 gennaio 2019 nella quale il giudice, con provvedimento in pari data, rimetteva le parti in istruttoria per produzione documentale. L'ordinanza non veniva comunicata. Fissata nuova udienza, la causa veniva trattenuta in decisione in data 29.7.2021 all'esito del deposito delle note di trattazione scritta ed avendo entrambe le parti manifestato interesse alla definizione del giudizio, senza concessione dei termini attesa l'istruttoria documentale e gli atti conclusivi già depositati ". La sentenza impugnata ha definito, come di seguito, la controversia. " (...): Rigetta la domanda; Compensa integralmente tra le parti le spese processuali". Di seguito, le ragioni della decisione. - La eccezione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura di media conciliazione non ha pregio: la procedura di mediazione, pur introdotta dopo la iscrizione della causa a ruolo, ed è stata definita, con verbale "negativo" del 31.3.2017, dunque in data precedente la udienza di prima comparizione (03.05.2017) cui la controversia era stata differita dal 22.2.2017. - La eccezione di nullità della procedura di mediazione perché introdotta dinanzi a organismo territorialmente incompetente è stata proposta solo con le memorie istruttorie, dunque è tardiva. - Non è fondata l'eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza della domanda: l'atto di citazione e la memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. n. 1 "sono chiari nell'individuare l'oggetto della controversia che concerne la dedotta illegittima installazione di impianti fotovoltaici sull'intera superficie del tetto in comunione tra le parti, con richiesta di rimozione degli stessi e la domanda risarcitoria riferita ai danni provocati dai volatili". - Ai sensi dell'art. 1102 c.c. "ciascuno condominio può servirsi del bene comune con l'obbligo di non alterarne la sua naturale destinazione o impedire agli altri condomini di farne parimenti uso, non dovendo essere alterato il rapporto di equilibrio tra i proprietari. - L'art. 1122 bis c.c., introdotto dalla L. 220/2012 prevede, quale norma speciale rispetto alla fattispecie di carattere generale, l'opportunità di installare impianti fotovoltaici per il contenimento di consumo energetico che, laddove non comporti modificazioni di parti comuni, non necessita di preventivo consenso da parte dell'assemblea. Tale speciale disposizione, vuole favorire la produzione alternativa di energia elettrica e parte attrice non prova che l'installazione dell'impianto, da parte della (...), le impedisce di fare parimenti uso della cosa comune, interesse, per latro, indicato dalla (...) come meramente potenziale e non attuale. Lo stesso consulente parla della avvenuta installazione di otto pannelli che prendono buona parte della superficie della falda e, anche dalla documentazione fotografica in atti (in particolare dalla foto aerea) si rileva che il tetto è occupato solo in parte dai pannelli." - Non vi è prova del danno da illecito utilizzo: non vi è prova del nesso causale tra installazione dei pannelli e sporcizia provocata dai volatili, avendo, parte attrice, articolato, sul punto, una sola prova di tenore generico. - La reciproca soccombenza è giusta ragione di compensazione delle spese di lite. Con l'atto di appello, (...) rassegna le seguenti conclusioni. " In via principale: 1) affermare la violazione da parte dell'appella dell'art. 1102 c.c. e 1122 bis c.c. avendo istallato sulla quasi totalità del tetto, senza il consenso della comunista, impianti fotovoltaici che ne impediscono l'uso del tetto da parte dell'appellante e per l'effetto riformare la sentenza impugnata, in accoglimento dei motivi di ricorso, condannare la signora (...) alla rimozione, con spese esclusivamente a suo carico, dei pannelli solari istallati nella parte di solaio di proprietà dell'appellante, nonché a risarcire i danni emergenti dovuti all'indebita occupazione e al ripristino della situazione quo ante; condannare la convenuta al risarcimento dei danni patiti dalla parte attrice da valutarsi equitativamente. Con vittoria le spese competenze e onorari per il doppio grado di giudizio 2) In via istruttoria: Si reiterano le istanze istruttorie formulate nel primo grado di giudizio, di cui all'atto di citazione alle memorie istruttorie ex art. 183 c.p.c. ivi comprese quelle ritenute inammissibili dal Giudice di prime cure perché generiche e/o documentali e/o valutative, ritenendo questa difesa che le stesse siano invece utili a fondare la riforma della sentenza quivi impugnata. Con condanna dei convenuti degli onorari e delle spese dei due gradi di giudizi oltre oneri di legge". (...) resiste all'impugnazione e rassegna le seguenti conclusioni." (...) voglia dichiarare inammissibile e comunque rigettare integralmente, perché destituito di fondamento giuridico e fattuale, l'appello proposto (...) con conseguente conferma della decisione impugnata. Con vittoria di spese e compensi di giudizio ". (...) propone, sotto la rubrica "ERRATA INTERPRETAZIONE DELLE PROVE DOCUMENTALI", censure che hanno ad oggetto la decisione, sia nella parte in cui esclude che l'uso del bene comune fatto dalla parte appellata sia preclusivo di pari uso da parte dell'appellante e rigetta la domanda risarcitoria. A tal fine allega la errata interpretazione delle norme richiamate in sentenza, che richiedono, in ogni caso, l'autorizzazione della occupazione del bene comune da parte del condominio o almeno della appellante, co-utilizzatrice; la errata valutazione delle risultanze istruttorie (CTU e documentazione fotografica) dalle quali emerge la pressoché integrale occupazione del bene comune con i pannelli fotovoltaici in oggetto; la errata valutazione delle allegazioni di controparte in punto di configurabilità del danno, risultando ammessa la allegata nidificazione dei piccioni seppure con il tentativo di contrasto mediante la installazione di reti dirette ad impedirla. La appellata eccepisce la inammissibilità dell'appello ex art. 342 c.p.c. e ex art. 348 c.p.c.; la inammissibilità delle richieste istruttorie, rinunciate; la infondatezza delle censure. Sulla eccezione ex art. 342 c.p.c.. La eccezione va disattesa. Invero nell'atto di appello risultano sufficientemente specificati le parti della sentenza oggetto di censura e i motivi dell'impugnazione. L' appello è ammissibile. Tale è, infatti, l'appello che esponga il punto sottoposto a riesame, in fatto ed in diritto, in modo tale che il giudice sia messo in condizione (senza necessità di esplorare, in assenza di parametri di riferimento, le vicende processuali) di cogliere natura, portata e senso della critica, non occorrendo che l'appellante alleghi e, tantomeno, riporti analiticamente le emergenze di causa rilevanti, le quali risultino investite ed evocate non equivocamente dalla censura, diversamente da quel che è previsto per l'impugnazione a critica vincolata (Cass. n. 7675 del 19/03/2019) Sulla eccezione ex art. 348 c.p.c.. La trattazione nel merito dell'appello esclude la fondatezza dell'eccezione avanzata dalla Banca ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c.. Istanze istruttorie dell'appellante. "Nel giudizio di appello la parte può chiedere l'ammissione di prove nuove, ai sensi dell'art. 345 cod. proc. civ., ma non anche riproporre istanze istruttorie espressamente o implicitamente disattese dal giudice di primo grado, senza espressamente censurare - con motivo di gravame - le ragioni per le quali la sua istanza è stata respinta, ovvero dolersi della omessa pronuncia al riguardo" (Cass. 26-1-2006, n. 1691). "Allorché il giudice di primo grado abbia rigettato l'ammissione di una deduzione istruttoria, ritenendola irrilevante in quanto attinente ad un fatto incontroverso, l'appellante ha l'onere di censurare la statuizione di rigetto dell'istanza istruttoria con uno specifico motivo di gravame, non essendo sufficiente che egli impugni la sentenza, lamentando l'omessa pronuncia su domande e l'errata valutazione del materiale probatorio da parte del primo giudice, perché quello d'appello debba necessariamente compiere un nuovo apprezzamento discrezionale della complessiva rilevanza delle richieste istruttorie disattese in primo grado" (Cass. 22-1-2018, n. 1532). Nel concreto le istanze devono ritenersi rinunciate dinanzi al primo giudice in quanto non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni né con le note conclusionali depositate. Tale considerazione è assorbente. Giova aggiungere che le conclusioni istruttorie non sono sorrette da uno specifico motivo di appello. Nel merito delle censure. Quanto alla mancata comunicazione della installazione e alla mancata autorizzazione. L'art. 1122 bis. c.c., introdotto dalla legge n. 220 del 2012, (rubricato "Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili), prevede, al comma 2, che "(è) consentita l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato. Al comma 3, l'articolo in esame afferma: "(q)ualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi. L'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al quinto comma dell'articolo 1136, adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio e, ai fini dell'installazione degli impianti di cui al secondo comma, provvede, a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto. L'assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali". Il quarto comma del medesimo art. 1122 bis c.c. precisa, infine, che non sono soggetti ad autorizzazione gli impianti destinati alle singole unità abitative. La installazione dell'impianto al servizio della singola unità immobiliare deve avvenire nel rispetto della destinazione delle cose comuni, della tutela del diritto d'uso di ciascun condomino, del minor pregiudizio per le parti condominiali o individuali, della salvaguardia della stabilità, della sicurezza e del decoro architettonico dell'edificio. Condizione normativa perché, dunque, possano venire in rilievo attribuzioni dell'assemblea in ordine alla installazione, da parte di un singolo condomino, di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, è che l'intervento renda "necessarie modificazioni delle parti comuni", nel qual caso, similmente a quanto dispone l'art. 1122, comma 2, c.c., è stabilito che l'interessato ne dia comunicazione all'amministratore, il quale possa così riferirne in assemblea perché siano adottate le eventuali iniziative conservative volte a preservare l'integrità delle cose comuni. (Cass.1337/2023). La (...) non ha provato, e in vero neppure allegato, che la posa in opera dei pannelli in oggetto abbia apportato modifiche alla cosa comune (lesione del decoro architettonico dell'edificio; compromissione della stabilità o della sicurezza del fabbricato; alterazione della destinazione della cosa comune) e il tetto condominiale interessato dai lavori continua ad assolvere la naturale funzione di copertura dello stabile. A ciò consegue che la realizzazione dell'impianto non richiedeva alcuna preventiva autorizzazione. Quanto alla occupazione del tetto "comune" in misura tale da non consentire un pari utilizzo da parte dell'appellante. In tema di condominio negli edifici, qualora il proprietario di un'unità immobiliare agisca in giudizio per ottenere l'ordine di rimozione di un manufatto realizzato sulle parti comuni, il superamento dei limiti del pari uso della cosa comune, di cui all'art. 1102 c.c., che impedisce la modifica apportata alla stessa da un singolo condomino, si configura come un fatto costitutivo, inerente alle condizioni dell'azione esperita, sicché, a norma dell'art. 2697, comma 1, c.c., deve essere provato dallo stesso comproprietario attore, mentre la deduzione, da parte del convenuto, della legittimità della modifica costituisce un'eccezione in senso improprio, che, rilevabile dal giudice anche d'ufficio, non comporta alcun onere probatorio a carico del convenuto medesimo (Cass. n. 5809 del 22/02/2022). La nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l'art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, atteso che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica, solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (Cass. n. 18038 del 28/08/2020) La tutela riconosciuta all'uso paritetico della cosa comune deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell'utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che, in via meramente ipotetica e astratta, essi ne potrebbero fare. Al di fuori di tale coinvolgimento, si applica l'art. 1102 c.c., secondo cui ciascun condomino può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, sicché, fermi i due limiti di cui sopra, senza instaurare il dibattito assembleare, il condomino è legittimato ad installare, in base all'art. 1122-bis c.c., un proprio impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili. L'art. 1122-bis c.c., concedendo la possibilità al condomino di installare pannelli fotovoltaici senza la necessità di ottenere il preventivo consenso dell'assemblea, si pone sulla falsariga di quanto disposto dall'art. 1102, comma 1, c.c., di cui la prima norma costituisce un'ipotesi applicativa. Non rileva la possibilità materiale di installare l'impianto sul terrazzo di proprietà privato adiacente alla porzione di immobile di cui la (...) è proprietaria esclusiva in quanto la esistenza di un luogo privato alternativo su cui è astrattamente possibile installare l'impianto (ammesso che tale possibilità fosse in concreto praticabile) non limita il possibile uso della parte comune (il tetto). Quanto alla installazione di una opera di eguali dimensioni da parte della appellante. Anche in ragione della risalenza, nel tempo, della installazione, avvenuta nel corso dell'anno 2008, e della assenza anche di sole allegazioni attoree nel senso della concreta volontà di procedere alla installazione di analogo impianto, prospettata come mera possibilità futura, deve ritenersi, allo stato, non ragionevole la prova di un interesse al pari utilizzo del tetto comune da parte della (...) che, sostanzialmente, intende ottenere un accertamento solo "di principio" e dunque non meritevole di tutela. Giova precisare che l'impianto non occupa tutta la superficie del tetto e non vi sono specifiche allegazioni sulla estensione del tetto comune e dell'impianto in oggetto e, dunque, in ordine allo spazio in concreto libero dalla installazione. Per altro verso, in ragione della evoluzione della tecnologia dalla epoca della installazione dell'impianto da parte della (...), i pannelli fotovoltaici di ultima generazione hanno una potenza di picco maggiore, dunque una maggiore efficienza e necessitano di minore spazio per il raggiungimento degli obbiettivi neppure allegati dalla (...). Al fine di dimostrare la impossibilità del pari uso, avrebbe dovuto far riferimento prima di tutto alle dimensioni del tetto; all'ingombro dell'impianto esistente; alla misura della parte di tetto libera dall'impianto; alle dimensioni dell'impianto che ella stessa intenderebbe montare che presumibilmente è inferiore rispetto a quello , di più risalente tecnologia, installato dalla (...) e tale difetto di allegazione non consente di ritenere la non realizzabilità di un impianto di pari potenza da parte della appellante, fermo restando che non vi è allegazione o prova in ordine alla seria intenzione di procedere ad installazione analoga. Quanto alla domanda risarcitoria. La (...), con la comparsa di costituzione e risposta, ha opposto, per contrastare la spontanea nidificazione dei volatili, di aver adeguato l'opera mediante la installazione di reti metalliche che precludono l'accesso, dei volatili, alla intercapedine esistente tra la superfice del tetto e i pannelli installati nonché di aver provveduto alla pulizia del guano. Tali allegazioni, per parte confortate da documentazione fotografica, non sono state oggetto di tempestiva e specifica contestazione da parte della (...) che, con le memorie depositate ai sensi dell'art. 183 VI comma c.p.c. n.1, non ha preso posizione sul punto. A ciò consegue che, diversamente da quanto sostenuto dall'appellante, le difese della convenuta non consentono di ritenere provata la pretesa risarcitoria. Spese di lite Seguono la soccombenza e si liquidano ex dm 55/2014, come da dispositivo (valore della causa: indeterminabile e bassa complessità; compensi minimi in ragione della semplicità delle questioni trattate; esclusa la fase istruttoria che non c'è stata). Sanzione processuale. Trattandosi di causa iscritta a ruolo successivamente al 31 gennaio 2013, occorre dare atto del fatto che sussistono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater del DPR n.115/2002 come introdotto dall'art. 1, comma 17, L.n.228/2012, per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato. P.Q.M. Il Collegio, definitivamente pronunciando sull'appello come in atti proposto da (...) nei confronti di (...), avverso la sentenza, resa tra le parti, dal Tribunale Ordinario di Civitavecchia, n. 1424/2021, in data 31.03.2022, a definizione del giudizio recante n.r.g. 3689/2016, promosso da (...) nei confronti di (...), ogni diversa istanza disattesa, così provvede: - Rigetta l'appello. - Condanna (...) a rifondere, a (...), le spese di lite che liquida, in euro 3.473,00 per compensi oltre a rimborso forfettario (15%), IVA e CPA come per legge. - Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater del DPR n.115/2002 come introdotto dall'art. 1, comma 17, L.n.228/2012, per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato. Roma, 5 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Corte D'Appello di Roma SETTIMA SEZIONE R.G. 8257/2018 La Corte D'Appello di Roma, SETTIMA SEZIONE, in persona dei magistrati: Dottor Franco Petrolati Presidente Dr.ssa Assunta Marini Consigliere Avv. Paolo Caliman G.ce Ausiliario Rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II grado tra (...) (cf. (...)), residente in Roma alla Via (...), rappresentato e difeso, per mandato in calce al ricorso in appello, dagli Avv.ti El.Fa. (c.f. (...)) ed Or.Gi. (c.f. (...)) presso il cui studio in Roma, Via (...), elettivamente domicilia; pec (...) e (...); Appellante principale e CONDOMINIO VIA (...) 41, Roma (c.f. (...)), in persona dello Amministratore in carica Cr.Ra., elettivamente domiciliato in Roma, Viale (...), presso lo studio dell'Avv. To.Ac. (c.f. (...)) che lo rappresenta e difende, giusta mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta; pec (...); Appellato - Appellante Incidentale RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con sentenza n. 11351/2018, nel procedimento RG. 19366/2015, il Tribunale di Roma, Sez. V Civile, ha emesso il seguente dispositivo: "P.Q.M. Il Giudice Unico, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione respinta, così provvede: Accerta e dichiara, ex art. 1102c.c., il diritto dell'attore di aprire nel muro di recinzione che separa il cortile condominiale dal giardino di sua proprietà, a sue esclusive spese, un cancello pedonale largo 80 cm circa, sulla parte sinistra della vasca che orna il cortile stesso, con divieto di alterare e/o modificare l'aiuola rialzata e la vasca ornamentale così come posizionati nel vialetto condominiale; Annulla la delibera condominiale del 9.01.2015, punto 1 dell'ODG, ove l'assise condominiale esprime parere contrario all'apertura del cancello pedonale per violazione dell'art. 1102 c.c.; Condanna il Condominio di Via (...) 41, in persona dell'amministratore pro tempore, alla refusione delle spese di giudizio che liquida in favore dell'attore, (...), in complessivi Euro 2650,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Roma il 04/06/2018. f.to. Il Giudice". La vicenda che ha dato origine alla lite ha avuto il seguente svolgimento: (...), quale proprietario dell'appartamento al piano terra, int. 1, sito in Roma alla Via (...) 41, con atto di citazione notificato in data 19.03.2015, conveniva in giudizio Il Condominio medesimo perché venisse accertato e dichiarato il diritto ad aprire, a sue esclusive spese, nel muro di recinsione che separa il proprio giardino dal cortile condominiale, un cancello pedonale largo circa cm.80 sulla sinistra della vasca che orna il cortile; conseguentemente che venisse annullata la delibera condominiale del 9.01.2015 nella parte in cui si esprimeva parere contrario alla apertura di detto cancello. Si costituiva il Condominio in atti chiedendo il rigetto delle domande, infondate in fatto e diritto. Effettuata istruttoria documentale, la causa veniva rinviata per la trattazione orale, ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., all'udienza del 04.06.2018, con termine per note conclusive. Seguiva sentenza gravata. Ha proposto appello (...), come in atti, contestando la sentenza di primo grado sotto vari profili e chiedendone la riforma con vittoria di spese. Si costituiva il Condominio, come in atti, chiedendo il rigetto dell'appello principale e la riforma della sentenza di primo grado e formulando appello incidentale in merito alla concessa autorizzazione all'apertura di un varco di passaggio nel cortile condominiale per alterazione del decoro architettonico; il tutto con vittoria di spese diritti ed onorari. All'udienza telematica del 01.02.2023 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata riservata in decisione ai sensi dell'art. 190 cod. proc. civ., con i termini di gg. 20 per il deposito delle comparse conclusionali e di ulteriori giorni 20 per le memorie di replica. L'appellante ha formulato il seguente motivo d'appello l'appellante si duole che il Tribunale dopo aver annullato la delibera condominiale del 09.01.2015, laddove il Condominio esprimeva parere contrario all'apertura del cancello pedonale per violazione dell'art. 1102 cc., disponeva: "accerta e dichiara ,ex art. 1102 cc., il diritto dell'attore ad aprire nel muro di recinzione che separa il cortile condominiale dal giardino di sua proprietà, a sue esclusive spese, un cancello pedonale largo 80 c.m. circa, sulla parete sinistra della vasca che orna il cortile stesso, con divieto di alterare e/o modificare l'aiuola rialzata e la vasca ornamentale così come posizionati nel vialetto condominiale"; disposto che, pur autorizzando l'apertura del cancello per il passaggio, di fatto lo rende impossibile, se non viene parimenti autorizzato l'arretramento dell'aiuola rialzata, posizionata sul lato sinistro del cortile condominiale, a m. 1,50 dal realizzando cancello. La Corte osserva che l'apertura di un varco d'accesso nell'area condominiale, può essere autorizzato a patto che non alteri la destinazione delle parti comuni, non impedisca ad altri di farne pari uso, ex art. 1102 c.c., e rispetti il decoro architettonico e la stabilità del fabbricato. Osserva inoltre che, come rilevato dall'appellante principale, non è possibile realizzare il varco d'accesso senza disporre l'arretramento di circa un metro della aiuola condominiale, con conseguente alterazione del decoro architettonico; in tal senso la prevalente giurisprudenza, tra le altre Sentenza della Cassazione n. 10350 del 11/05/2011: "Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione". L'appello principale va quindi disatteso con il conseguente accoglimento dell'appello incidentale e per l'effetto la totale riforma della sentenza di primo grado. La Corte quindi condanna la parte appellante principale, risultata soccombente, al pagamento delle spese del doppio grado a favore della parte appellata Condominio, appellante incidentale. Le spese di primo grado vengono liquidate, secondo il DM 55/2014 vigente all'epoca, nonché il valore della lite di Euro 3.500,00, in complessivi Euro 2.430,00 oltre Euro 150,00 per spese e spese generali; mentre le spese di questo grado, attesa la mancanza di specifiche questioni di fatto e diritto e la non particolare complessità, l'esame degli scritti difensivi e l'attività svolta dalle parti, vanno determinate, in base al DM 147/2022, in Euro 2.915,00 per competenze, oltre Euro 350,00 per spese (visto il pagamento del contributo unificato), spese generali IVA e CPA come per legge, con la condanna della parte appellata al pagamento delle spese di lite a favore della parte appellante. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell'appellante principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il gravame. P.Q.M. La Corte d'Appello, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) nei confronti del Condominio in Roma alla Via (...) 41, in persona dell'Amm.re in carica, e dell'appello incidentale proposto dal Condominio, in atti, avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 11351/2018 così provvede: 1) Rigetta l'appello principale. 2) Accoglie l'appello incidentale, formulato dal Condominio, in atti, e per l'effetto condanna la parte appellante principale, (...), al pagamento, in favore della parte appellata Condominio di via (...) n. 41, Roma, come in atti, al pagamento delle spese del doppio grado. Le spese del presente grado del giudizio, liquidate in Euro 2.915,00, oltre Euro 350,00 per spese, oltre 15% per spese generali, I.V.A. qualora dovuta e c.p.a. come per legge; quelle di primo grado in complessivi Euro 2.630,00 di cui Euro 2.430,00 per compensi, Euro 200,00 per spese, oltre spese generali IVA e CPA come per legge. 3) Dichiara la parte appellante principale tenuta al versamento dell'ulteriore somma pari all'ammontare del contributo unificato dovuto. Così deciso in Roma il 23 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. FALASCHI Milena - rel. Consigliere Dott. VARRONE Luca - Consigliere Dott. TRAPUZZANO Cesare - Consigliere Dott. POLETTI Dianora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso (iscritto al N. R.G. 23380-2017) proposto da: (OMISSIS) s.r.l. (C.F.: (OMISSIS)), in persona del suo amministratore e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtu' di procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avv.ti Laura Marras e Daniele Cirulli e con questo elettivamente domiciliata in Roma, via Lucrezio Caro, n. 50; - ricorrente - CONTRO CONDOMINIO DI (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), in persona dell'Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, in virtu' di procura speciale posta in calce al controricorso, dall'Avv. Francesco Luoni e con questo elettivamente domiciliato in Roma, via Vitelleschi, n. 26; - controricorrente - avverso la sentenza della Corte di appello dl Roma n. 2313-2017, pubblicata il 7 aprile 2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 ottobre 2022 dal Consigliere relatore Milena Falaschi; lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Tommaso Basile, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza n. 2137 del 2011 il Tribunale di Roma - pronunciando sulle domande proposte dal Condominio in (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., le accoglieva parzialmente, accertando e dichiarando l'illegittimita' dell'apposizione delle due canne fumarie a servizio del locale di proprieta' della convenuta, con conseguente condanna della stessa al ripristino dello stato dei luoghi mediante loro rimozione, rigettata la domanda di risarcimento dei danni e condannata la convenuta alla refusione delle spese di lite. Sul gravame interposto dalla (OMISSIS) la Corte di appello di Roma, nella resistenza del Condominio, con sentenza n. 2313 del 2017 (pubblicata il 7 aprile 2017), rigettava l'appello e condannava parte appellante al pagamento delle spese di lite del secondo grado. La Corte capitolina confermava la sentenza del primo giudice nella parte in cui aveva ritenuto ammissibile nel presente giudizio - sulla base del principio del "libero convincimento del giudicante" e delle "prove atipiche" l'acquisizione della c.t.u. espletata in diverso processo (di natura possessoria), recante R.G. n. 63465-2005, svoltosi sempre dinanzi al Tribunale di Roma fra il Condominio appellato e il dante causa della (OMISSIS) s.r.l., concernente l'apposizione delle medesime canne fumarie, stante l'identita' di oggetto fra i due giudizi, per essere pacificamente riconosciuto al giudice di merito di avvalersi anche di prove raccolte in diverso processo, sia pure pendente fra parti diverse, fatta salva l'ipotesi in cui l'assunzione della prova non fosse avvenuta aggirando preclusioni o divieti sanciti da norme processuali o sostanziali e fermo l'obbligo di motivazione adeguata. Nel caso di specie, aggiungeva la Corte territoriale, la citata c.t.u. della procedura possessoria era stata espletata quando i termini di cui all'articolo 183, comma 6, c.p.c., concessi nel processo de quo, erano gia' scaduti. Quanto al lamentato difetto di legittimazione attiva del Condominio, la Corte territoriale rilevava che, a differenza di quanto dedotto, il Tribunale aveva ravvisato il sia pure parziale difetto di legittimazione processuale dell'attore in primo grado con riferimento alla tutela del c.d. diritto di veduta violata nei confronti dell'immobile del solo condomino (OMISSIS), mentre per le restanti domande concernenti la tutela e il decoro dell'edificio, l'utilizzo della cosa comune e l'incolumita' dei condomini, nonche' la tutela e la sicurezza dello stabile, vi era la piena legittimazione all'azione del Condominio. Infine, relativamente all'asserita violazione dell'articolo 1102 c.c., il giudice di secondo grado rammentava che non vi erano i presupposti per l'applicazione della norma invocata, come accertato sulla base della c.t.u. e delle fotografie acquisite dal giudice di merito, cui era rimesso tale accertamento insindacabile in sede di legittimita'. Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma proponeva ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, la societa' (OMISSIS), cui resisteva con controricorso al Condominio. In prossimita' della pubblica udienza il Sostituto Procuratore, Dott. Tommaso Basile, ha depositato una relazione con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto del ricorso. Parte ricorrente ha curato anche il deposito di memoria ex articolo 378 c.p.c.. CONSIDERATO IN DIRITTO Con il primo motivo parte ricorrente lamenta - ai sensi dell'articolo 360, comma 1, n. 4, c.p.c. - la nullita' della sentenza e del procedimento per violazione dell'articolo 183, comma 6, n. 2, c.p.c., dell'articolo 2697 c.c., nonche' dei principi di difesa e del contraddittorio di cui alla Cost., articoli 24 e 111, comma 2, e 6 Cedu. Piu' esattamente, con tale censura la societa' ricorrente afferma che la causa era stata decisa, sia in primo che in secondo grado, sulla base di una consulenza tecnica d'ufficio espletata in un diverso giudizio al quale la stessa societa' era rimasta del tutto estranea, e, peraltro, acquisita nel presente processo oltre i termini processuali per l'istruttoria. Il motivo e' privo di pregio giuridico, in quanto il giudice di primo grado - come correttamente rilevato dalla Corte di appello - poteva legittimamente avvalersi degli esiti probatori della relazione peritale svolta dal c.t.u. nel giudizio possessorio (R.G. n. 63465-2005) introdotto dallo stesso Condominio nei confronti della dante causa della ricorrente, la quale aveva provveduto alla realizzazione e alla posa in opera delle canne fumarie per cui e' controversia. Infatti, questa Corte (Cass. 4 marzo 2002 n. 3102) ha chiarito che "nei poteri del giudice in tema di disponibilita' e valutazione delle prove rientra quello di fondare il proprio convincimento su prove formate in altro processo, quando i risultati siano acquisiti nel giudizio della cui cognizione egli e' investito, potendo le parti che vi abbiano interesse contrastare quei risultati discutendoli o allegando prove contrarie", cosi' come ha pure precisato che "il giudice di merito e' libero di formare il proprio convincimento sulla base di accertamenti compiuti in altri giudizi fra le stesse parti od anche fra le altre parti" (Cass. 17 gennaio 1995 n. 478; idem Cass. 20 gennaio 1995 n. 623). Inoltre la sentenza in scrutinio ha rilevato che la consulenza tecnica espletata nel diverso giudizio, su impulso del giudice del possessorio, era stata formata e comunque depositata e sottoposta a discussione nel contraddittorio delle parti dopo che nel presente processo erano scaduti i termini concessi ai sensi dell'articolo 183 c.p.c. ovverosia dando atto che si trattava di accertamento formatosi dopo che nel presente processo erano maturate le preclusioni a nuove prove. In tal modo risulta rispettato peraltro anche il precetto di cui all'articolo 345, comma 3 c.p.c., che consente in appello l'acquisizione di nuovi documenti a condizione che la parte dimostri di non averli potuti produrre prima per essersi formati successivamente alla introduzione del giudizio. La Corte territoriale, inoltre, nella valutazione della consulenza tecnica espletata nel procedimento possessorio ha dimostrato di essere a conoscenza della necessita' di adeguato scrutinio delle risultanze delle indagini peritali, non recependole acriticamente. In tal modo la sentenza in scrutinio ha dato corretto seguito all'orientamento giurisprudenziale di legittimita' secondo cui "Il giudice civile puo' utilizzare come fonte del proprio convincimento anche gli elementi probatori raccolti in un giudizio penale, ed in particolare le risultanze della relazione di una consulenza tecnica esperita nell'ambito delle indagini preliminari, soprattutto quanto la relazione abbia ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i giudizi" (v. in termini, Cass. 2 luglio 2010 n. 15714). L'orientamento, risalente ma immutato (Cass. 20 dicembre 2001 n. 16069), afferma che "Il giudice di merito, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, oltre che utilizzare prove raccolte in altro giudizio tra le stesse o altre parti, puo' anche avvalersi delle risultanze derivanti da atti di indagini preliminari svolte in sede penale, le quali debbono, tuttavia, considerarsi quali semplici indizi, idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio e la cui concreta efficacia sintomatica dei singoli fatti noti deve essere valutata - in conformita' alla regola in tema di prova per presunzioni - non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva in base ad un apprezzamento, che, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico, non e' sindacabile in sede di legittimita' (Cass. n. 1404 del 2001). Di conseguenza, anche una consulenza tecnica disposta dal P.M. in un procedimento penale, una volta che essa sia stata ritualmente prodotta dalla parte in un giudizio civile, puo' essere liberamente valutata come elemento indiziario idoneo alla dimostrazione di determinati fatti (ancorche' la valutazione che se ne deve fare non puo' non tener conto che essa si e' formata, eventualmente, senza il contraddittorio delle parti del giudizio civile e che non risulta sottoposta al vaglio del giudice del dibattimento)". Nella specie, dalla motivazione della sentenza impugnata risulta che il giudice di appello ha valutato - al pari del giudice di prime cure - la consulenza tecnica espletata nel giudizio possessorio, necessariamente acquisita dopo il suo deposito in siffatto giudizio avvenuto dopo i termini di cui all'articolo 183, comma 6 c.p.c. erano scaduti, correlandola all'identita' dell'oggetto fra i due giudizi (ossia la struttura di due grandi canne fumarie), e giungendo alla conclusione, non correttamente censurata in questa sede, del raggiungimento della prova in tema di lesione del decoro dell'edificio e del pericolo alla sicurezza dei condomini per essere le stesse dello spessore di circa 35 cm. di diametro ciascuna e volgenti verso l'alto per diversi metri lungo la facciata interna dello stabile, oltre a fuoriuscire per una parte al di sopra di esso. Inoltre l'installazione della struttura aveva determinato un pericolo alla sicurezza dei condomini con riferimento al punto di affaccio dal cortile interno. La Corte distrettuale ha, dunque, fatto buon governo delle risultanze probatorie, pervenendo correttamente all'accoglimento della domanda del Condominio. Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia - ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - la nullita' della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex articolo 112 c.p.c. e per difetto assoluto e/o apparenza della motivazione in violazione della Cost., articolo 111, comma 6, e degli articoli 132, comma 2, n. 4, e 156, comma 2, c.p.c., con riguardo alla asserita violazione del principio del contraddittorio dedotta con il primo motivo in appello e sulla quale, a detta della (OMISSIS)s.r.l., la Corte territoriale non avrebbe argomentato, con riferimento alle circostanze di cui al primo mezzo, sulla violazione del diritto del contraddittorio. Del pari non puo' trovare ingresso il secondo motivo. L'omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, puo' essere utilmente prospettata solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto. Tale vizio, pertanto, dev'essere escluso in relazione al caso in cui ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della domanda proposta (Cass. n. 264 del 2006; Cass. n. 3435 del 2001), cosi' come dev'essere escluso nel caso in cui sussista la decisione, implicita o esplicita, da parte del giudice sulla domanda ma sia priva di (idonea) motivazione: l'omessa pronuncia su una domanda ritualmente introdotta in giudizio, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra, infatti, un difetto di attivita' del giudice di secondo grado che si distingue dal vizio di omessa motivazione il quale, al contrario, presuppone che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza ma l'abbia risolta senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione resa al riguardo (Cass. n. 22759 del 2014, in motiv.; Cass., Sez. Un., n. 23071 del 2006; Cass. n. 1755 del 2006; Cass. n. 5444 del 2006, in motiv., per la quale "la differenza fra l'omessa pronuncia di cui all'articolo 112 c.p.c. e l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui al n. 5 dell'articolo 360 c.p.c. si coglie... nel senso che nella prima l'omesso esame concerne direttamente una domanda od un'eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d'appello uno dei fatti costituitivi della "domanda" di appello), mentre nel caso dell'omessa motivazione l'attivita' di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l'eccezione direttamente, bensi' una circostanza di fatto che, ove valutata avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un'eccezione e, quindi su uno dei fatti c.d. principali della controversia..."; Cass. n. 17580 del 2014, per la quale non e' configurabile il vizio di omessa pronuncia quando una domanda, pur non espressamente esaminata, debba ritenersi - anche con pronuncia implicita - rigettata perche' indissolubilmente avvinta ad altra domanda, che ne costituisce il presupposto e il necessario antecedente logico-giuridico, decisa e rigettata dal giudice). Nel caso in esame, come visto con riferimento al primo mezzo, la corte d'appello ha ritenuto ammissibile "la richiesta" con la quale l'appellato ha chiesto l'acquisizione agli atti della consulenza tecnica di ufficio espletata nel giudizio possessorio volta a determinare la illegittimita' della posa in opera delle canne fumarie, in tal modo esplicitamente ed inequivocamente pronunciandosi sulla richiesta, ammissibilita' condivisa anche dal giudice di appello. Con il terzo motivo, la societa' ricorrente si duole - ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - della nullita' della sentenza per ultrapetizione in violazione dell'articolo 112 c.p.c., con riguardo alla legittirnazione attiva del Condominio, attenendo le domande ad interessi dei singoli condomini. Il motivo e' infondato. Le questioni poste con l'azione giudiziaria intrapresa dall'amministratore concernevano la installazione sulla facciata interna dello stabile di canne fumarie poste a servizio del locale di proprieta' della (OMISSIS) ed il conseguente risarcimento, perche' avrebbe arrecato danno al decoro architettonico del Condominio e alla sicurezza dei condomini. Occorre aver riguardo al combinato disposto degli articoli 1130 e 1131 c.c. La prima norma, al punto 4 - che viene in rilievo con il ricorso - fa obbligo all'amministratore di "compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio" (cfr Cass., Sez. Un., n. 18311 del 2011). Nei limiti di questa attribuzione, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e puo' agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi. Secondo l'interpretazione di questa Corte, iil legislatore ha inteso riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell'integrita' dell'immobile (Cass. n. 8233 del 2007), cioe' ad atti meramente conservativi. Resta esclusa la possibilita' di esperimento di azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarita' o al contenuto di diritti su cose e parti dell'edificio (Cass. n. 3044 del 2009; Cass. n. 5147 del 2003). Orbene, dalla sentenza impugnata emerge che nel caso di specie la domanda di maggior rilievo riguardava la installazione di canne fumarie sulla facciata dello stabile condominiale. Con la conseguenza che il giudice di merito non e' incorso nel denunciato vizio di falsa applicazione di legge, avendo correttamente sussunto la fattispecie nel disposto dell'articolo 1130 n. 4 c.c. Il Condominio ha infatti agito per difendere il mantenimento dell'integrita' materiale delle facciate, di pertinenza del fabbricato, stravolte dalla nuova installazione. Per proporre tale azione, definita "di ripristino" e quindi non di accertamento dei diritti dominicali, non era necessario mandato di tutti i condomini, potendo l'amministratore agire ex articolo 1130 c.c., n. 4, e articolo 1131 c.c. (v. Cass., Sez. Un., 18331/11 cit.; piu' di recente, Cass. n. 3846 del 2020). Con il quarto punto, parte ricorrente afferma - ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - la nullita' della sentenza e del procedimento per violazione degli articoli 1130 e 1131 c.c. e dell'articolo 182 c.p.c., per aver la Corte distrettuale mancato di ravvisare che l'Amministratore di Condominio era carente della legittimazione ad agire, non essendo stato prodotto il verbale dell'assemblea di conferimento dei poteri. Alla luce di quanto esposto con riferimento al terzo mezzo, e' privo di pregio giuridico anche il quarto mezzo potendo in siffatta situazione l'Amministratore agire anche senza il mandato da parte dei condomini con azione per il rispristino dei luoghi e il risarcimento del danno nei confronti dell'autore dell'opera denunciata e dell'acquirente della stessa (v. in termini, Cass. n. 16230 del 2011). Con il quinto ed ultimo motivo, la (OMISSIS) s.r.l. ritiene - ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - che la sentenza impugnata sia nulla per violazione degli articoli 1102 e 1120, e per motivazione apparente ed illogica, con conseguente violazione degli articoli 111, comma 6, Cost., 132, comma 2, n. 4, e 156, comma 2, c.p.c., avendo il giudice dell'appello fornito una motivazione solo apparente e comunque illogica in ordine alla censurata violazione dei principi che regolano l'uso della cosa comune, ai sensi dell'articolo 1102 c.c.. Il mezzo e' inammissibile prima che infondato. La Corte d'appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito, la illegittimita' dell'esecuzione delle opere in oggetto perche', violando il decoro dell'edificio per l'utilizzo improprio della cosa comune (parete interna dello stabile) e l'incolumita' dei condomini, come evidenziato nella CTU e nella documentazione fotografica, sarebbe risultata mutata la struttura architettonica dell'edificio. La ricorrente contesta che non sarebbe alcuna modificazione rilevante del bene comune e comunque rientrante nei limiti di cui all'articolo 1102 c.c.. Ora, la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l'articolo 1102 c.c., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo (dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facolta' di trarre dalla cosa comune la piu' intensa utilizzazione), implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali inforrnati al principio di solidarieta', il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Il proprietario di vani terranei di un edificio in condominio non puo', percio', eseguire modificazioni della facciata in modo tale che l'utilizzazione della cosa comune risulti alterata nella sua destinazione e sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (v. di recente, Cass. 6 maggio 2021 n. 11870; ma gia', Cass. 18 febbraio 1998 n. 1708; Cass. 14 dicembre 1994 n. 10704; Cass. 17 luglio 1962 n. 1899). L'accertamento del superamento dei limiti imposti dall'articolo 1102 c.c. al condomino, che si assuma abbia alterato, nell'uso della cosa comune, la destinazione della stessa, ricollegandosi all'entita' e alla qualita' dell'incidenza del nuovo uso, e' comunque riservato al giudice di merito e, come tale, non e' censurabile in sede di legittimita' per violazione di norme di diritto. Del resto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che e' quello che lamenta la ricorrente, non da' luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In conclusione il ricorso va rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo. Poiche' il ricorso e' stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e' rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione integralmente rigettata, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese di legittimita' che liquida in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1-qualer, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1 comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO Sezione Terza Civile nelle persone dei seguenti magistrati: dr.ssa Irene Formaggia Presidente dr.ssa Maura Caterina Barberis Consigliere rel. dr.ssa Maria Carla Rossi Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 2680/2021 promossa in grado d'appello da (...) (C.F: (...)) rappresentato e difeso dell'Avv. (...) ed elettivamente domiciliato in Milano presso lo studio sito in (...), come da procura in atti. - appellante - contro CONDOMINIO DI MILANO, (...), (C.F: (...)) - appellato contumace - OGGETTO: appello avverso la sentenza resa nel procedimento recante n. R.G. 13492/2020 dal Tribunale di Milano n. 6022/2021 pubblicata in data 06.07.2021 e notificata in data 20.07.2021, in materia di "Comunione e condominio, impugnazione di delibera assembleare - spese condominiali". CONCLUSIONI: per (...): "Voglia l'Ecc.ma Corte d'Appello adita, contrariis reiectis: - IN VIA PREGIUDIZIALE E CA UTELARE sospendere e/o revocare la provvisoria esecutorietà della sentenza n. 6022/2021, pubblicata il 06/07/2021, Repert. n. 5947/2021 del 08/07/2021, resa dal Tribunale di Milano, Sezione Tredicesima Civile, Giudice Dott. Pietro Paolo Pisani, nel giudizio rubricato al n. di R.G. 13492/2020, notificata in data 20.07.2021, ivi impugnata per i motivi tutti meglio dedotti nel presente atto; - NEL MERITO accogliere per i motivi tutti dedotti in narrativa il proposto appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza n. 6022/2021, pubblicata il 06/07/2021, Repert. n. 5947/2021 del 08/07/2021, resa dal Tribunale di Milano, Sezione Tredicesima Civile, Giudice Dott. Pietro Paolo Pisani, nel giudizio rubricato al n. di R.G. 13492/2020, accogliere le conclusioni avanzate in prime cure nel merito e in via principale che qui si riportano: "previa ogni necessaria declaratoria in fatto e in diritto, nel merito - accertare e dichiarare l'annullamento e/o la nullità della delibera assunta all'esito dell'Assemblea del Condominio di (...) in Milano del 16.11.2017 in relazione ai punti VI. (e VIII.) impugnati, per tutti i motivi esposti in narrativa; - il tutto con vittoria di onorari, 15% di spese generali, spese e accessori come per legge", con richiesta di dichiarare tardivo ed inammissibile l'intervento ad adiuvandum del condomino (...). Con ogni più ampia riserva di ulteriormente dedurre e produrre. Con vittoria di spese e onorari anche del presente giudizio di appello" RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE La presente controversia prende origine dalla impugnativa, proposta dal Sig. (...), della delibera assembleare del Condominio di (...), dinanzi al Giudice di Pace di Milano, per la sua asserita nullità e/o annullabilità con riferimento ai punti n. VI e VIII del suo O.d.g. aventi ad oggetto rispettivamente la decisione di: "affittare l'ex canna di caduta rifiuti al locale (...) per Euro 1.200,00 all'anno affinché possa inserirvi una canna fumaria" e di approvare "il conto consuntivo 2016/2017 per Euro 131.816,17 e la sua ripartizione". Iscritto il procedimento a ruolo con il n. R.G. 25626/2018, si costituiva in giudizio il Condominio di Viale Papiniano, 57 (d'ora innanzi solo "Condominio") e spiegava intervento il singolo condomino (...), ad adiuvandum del Condominio. Il Giudice di Pace di Milano, con sentenza n. 12412/2019, dichiarava la propria incompetenza per materia in favore del Tribunale di Milano e concedeva all'attore il termine di legge per la riassunzione della causa. L'attore provvedeva ritualmente alla riassunzione del giudizio solo nei confronti del Condominio, chiedendo in ogni caso dichiararsi l'inammissibilità dell'intervento spiegato dal condomino (...) e riproponendo solo la domanda relativa al punto VI dell'O.d.g. assembleare. Il Condominio, tempestivamente costituitosi, contestava tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, in quanto ritenuto infondato in fatto ed in diritto, chiedendone l'integrale rigetto. All'esito della prima udienza venivano rigettate le richieste di mezzi istruttori e ritenuta la causa matura per la decisione, precisate le conclusioni, la causa veniva rinviata ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. con termine per il deposito di note conclusionali. A seguito dei depositi e della discussione orale il Giudicante pronunciava la sentenza n. 6022/2021 con cui rigettava tutte le domande dell'attore; condannava lo stesso a corrispondere al convenuto Condominio le spese e competenze di lite e di mediazione, liquidate in Euro.4.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% dei compensi ed a cpa e Iva di legge. Noè Ambrogio proponeva appello chiedendo la riforma della sentenza impugnata, come da conclusioni riportate in epigrafe, citando in giudizio sia il Condominio che ad (...) (a quest'ultimo notificando l'atto d'appello personalmente). Il Condominio non si costituiva, al pari di (...): dichiarata la loro contumacia e la causa matura per la decisione, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ordinari per il deposito degli scritti difensivi finali. Con unico motivo di appello, articolato in più punti, l'appellante censura l'inclusione della fattispecie de qua nelle materie in cui sarebbe ammissibile una deliberazione condominiale assunta a maggioranza semplice a norma dell'art. 1102 c.c. In particolare, secondo la prospettazione di parte appellante, il Giudice di prime cure non avrebbe considerato che la 'condotta caduta rifiuti' rappresenta un bene comune potenzialmente funzionante, anche se non utilizzata per la chiusura temporanea degli sportelli. Il suo diverso utilizzo (allocazione di una canna fumaria) rientrerebbe pertanto nelle modifiche previste dall'art. 1120 c.c. e, pertanto, approvabili solo con le maggioranze di cui all'art. 1136 c.c., vale a dire due terzi del valore del condominio: il Tribunale avrebbe d'altronde trascurato il fatto che la modifica renderebbe impossibile l'utilizzo del bene comune da parte di qualsiasi condomino (essendo il kebab (...) estraneo al condominio), il pregiudizio da ciò derivante alla sicurezza dello stabile (alla luce al disposto dell'art. 1117 ter c.c., ultimo comma che vieta le modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterino il decoro architettonico, considerato che la delibera era stata assunta senza che fossero state nemmeno indicate le caratteristiche della canna fumaria) e la contrarietà di quanto autorizzato con la delibera all'art. 5 del regolamento condominiale (divieto di occupazione degli enti comuni, anche in via temporanea). In via preliminare, va rilevato come la sentenza di primo grado non sia stata resa nei confronti di (...). Questo, come si è detto, era infatti intervenuto ad adiuvandum del Condominio nella prima fase (avanti il Giudice di Pace) del giudizio di primo grado, senza che la causa fosse poi stata riassunta nei suoi confronti avanti al Tribunale (come ben possibile, non trattandosi di litisconsorte necessario): ne discende l'irrilevanza della irrituale notifica dell'atto d'appello eseguita allo stesso personalmente, mentre la revoca della sua dichiarazione di contumacia è la conseguenza necessaria del difetto della sua qualità di parte. Nel merito, è opportuno innanzitutto ricordare che "costituisce innovazione ex art. 1120 cod. civ. non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite una diversa consistenza materiale, ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 cod. civ., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ." (Cass. n. 945 del 2013; Cass. n. 240 del 1997; Cass. n. 2940 del 1963). Il contenuto della delibera in oggetto non consiste nell'approvazione di innovazioni o nell'impedimento al diritto dei condomini di beneficiare del servizio comune di smaltimento dei rifiuti attraverso la condotta in questione, in quanto tale servizio risulta ormai dismesso da diversi anni, in virtù di precedente delibera condominiale mai impugnata e di conseguente sigillatura delle aperture per lo scarico dei rifiuti. Pertanto, può dirsi rientrante nella competenza dell'assemblea il potere di deliberare a maggioranza la destinazione di un bene comune, allo stato in alcun modo utilizzato e di cui è stata definitivamente abbandonata la funzione originaria. La locazione per l'inserimento di una canna fumaria è del tutto rispettosa del principio di uso paritetico dei beni comuni, assicurando a tutti i condomini la percezione del canone di affitto pari ad euro 1.200,00, da suddividersi fra gli stessi: tutto ciò in difetto di qualsiasi possibilità di uso diverso prospettata dall'appellante. L'art.5 del Regolamento condominiale, poi, attiene all'ipotesi di mera occupazione da parte di chiunque di aree comuni, all' evidenza diversa da quella in cui tale occupazione avvenga sulla base di un titolo autorizzativo proveniente dalla stessa assemblea condominiale. Quanto alla paventata pericolosità dell'installazione della canna fumaria nel cavedio adibito al servizio rifiuti, è evidente che a ciò il conduttore debba procedere nel rispetto delle regole dell'arte e delle norme legali e regolamentari vigenti, cosicché tale condizione deve considerarsi automaticamente inserita nel contratto. L'appello deve pertanto essere respinto: la contumacia dell'appellato esclude qualsiasi statuizione in punto di spese processuali. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 6022/2021 pubblicata in data 6 luglio 2021, così provvede: - Dichiara non costituito il rapporto processuale con (...) e revoca la sua dichiarazione di contumacia; - rigetta l'appello; - nulla per le spese; - dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte appellante, dell'ulteriore importo pari al contributo unificato versato ex. art. 13 comma 1 quater DPR 30.05.2002 n. 115. Così deciso in Milano il 20 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE STEFANO Franco - Presidente Dott. SESTINI Danilo - Consigliere Dott. GIANNITI Pasquale - rel. Consigliere Dott. VALLE Cristiano - Consigliere Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 27065-2021 proposto da: (OMISSIS) S.r.l. in persona dell'Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore, (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS); -ricorrenti - contro (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS). che lo rappresenta e difende; -controricorrente - avverso l'ordinanza n. 7293-2021 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 16/03/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/12/2022 dal Consigliere Gianniti Pasquale; udito il Procuratore generale in persona del Sostituto Anna Maria Soldi che si e' riportata alle conclusioni scritte insistendo per la declaratoria di inammissibilita' o comunque per il rigetto del ricorso; uditi gli Avvocati (OMISSIS) per delega e (OMISSIS), che hanno insistito nell'accoglimento delle conclusioni rassegnate nei rispettivi atti difensivi. FATTI DI CAUSA 1. Nell'anno 2005 (OMISSIS) - dopo essere divenuto comproprietario di un complesso residenziale facente parte di un palazzo degli inizi del secolo scorso sito in (OMISSIS) (avendone acquistato l'ala sud, che si apriva, insieme con l'ala est e con quella ovest, tra loro collegate, su una corte interna comune, alla quale si accedeva mediante due scale interne) - ha (insieme al (OMISSIS) s.r.l., di cui egli era amministratore unico) avviato lavori di) ristrutturazione della porzione acquistata, al fine di trasformarla in una struttura alberghiera. 2. (OMISSIS), proprietario di diverse unita' immobiliari facenti parte dello stesso palazzo, sul presupposto che il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) avevano portato avanti i lavori senza preoccuparsi di mettere in sicurezza la struttura adiacente di sua proprieta', si e' rivolto al Tribunale di Catania, chiedendo: a) condannarsi i convenuti, in solido tra loro, previo accertamento della loro responsabilita', al pagamento delle somme necessarie ad eseguire gli interventi indispensabili per porre rimedio ai danni alle strutture di varie parti dell'immobile ed al ristoro di tutte le voci di danno materiale e morale acce'rtati nel corso di causa; b) dichiararsi la illegittima mutatio soci e, di conseguenza, ordinare la rimozione dell'impianto di condizionamento, con ripristino dello status quo ante, mediante ricostituzione del tetto originariamente spiovente coperto da tegole di cotto siciliano; c) accertarsi la lesione del decoro architettonico, dell'estetica e dell'architettura generale del fabbricato e, quindi, ordinare ai convenuti il ripristino della facciata nello status quo ante; d) condannarsi i convenuti alle riparazioni necessarie alla messa in sicurezza dell'edificio danneggiato. A fondamento delle domande dispiegate l' (OMISSIS) deduceva, in particolare, che il (OMISSIS): aveva demolito le preesistenti strutture interne portanti, cosi' compromettendo la staticita' dell'intero edificio; aveva alterato il decoro architettonico, modificando l'originario assetto volumetrico dei piani (avendo realizzato un nuovo piano, trasformato il tetto, prima spiovente e rivestito di cotto siciliano, in una terrazza d'uso esclusivo); aveva creato una botola sul tetto condominiale, che aveva permesso l'infiltrazione di acqua piovana ed aveva creato gravi lesioni e fessurazioni al palazzo ed alla bottega locata da tale (OMISSIS), con le vibrazioni emesse dagli escavatori. I convenuti, nel costituirsi, oltre ad eccepire la nullita' della domanda per la genericita' della sua formulazione, deducevano che: a) l'ala sud del fabbricato, acquistata dal (OMISSIS), era distinta e separata dagli immobili dell' (OMISSIS); b) detta ala era stata concessa poi in comodato al (OMISSIS), il quale aveva eseguito nel pieno rispetto del permesso di costruire, delle autorizzazioni degli enti preposti e delle regole d'arte gli interventi di miglioramento sismico di ristrutturazione dell'immobile per realizzarvi' una struttura alberghiera quattro stelle; c) l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione ben lungi dal danneggiare aveva anzi migliorato la staticita' ed il decoro degli immobili dell' (OMISSIS) o delle porzioni immobiliari in comproprieta'. La causa veniva istruita con c.t.u., il quale depositava relazione nella quale: - premetteva di non essere in possesso di documentazione fotografica rappresentativa dello stato preesistente dei prospetti esterni (stato che dunque era rimasto ignoto al processo); - affermava di avere accertato che i lavori di miglioramento sismico e ristrutturazione denunciati non avevano in alcun modo minato la staticita' delle unita' immobiliari dell' (OMISSIS), non avevano ad esse arrecato alcun danno (essendo le lesioni riscontrate riconducibili alla vetusta', all'assenza di manutenzione e ai vizi di costruzione) e non avevano leso il decoro architettonico dell'edificio (accertato inesistente fin dall'origine, in difetto di una unicita' architettonica tra le varie porzioni dell'edificio, pur unitariamente realizzato, e comunque in difetto di un decoro architettonico del contesto urbanistico in cui l'edificio insisteva). Il c.t.u., chiamato a chiarimenti, confermava le proprie conclusioni con una articolata consulenza integrativa, ma il giudice di primo grado riteneva di rinnovare la consulenza. Quest'ultima confermava integralmente le conclusioni rassegnate dalla precedente (sia in punto alla inesistenza di danni strutturale che in punto di inesistenza di lesione al decoro architettonico) ed escludeva che l'edificio avesse natura unitaria sin dall'origine (tanto sul piano strutturale che su quello architettonico). II Tribunale di Catania, con sentenza n. 1085 del 2012, riteneva infondate le doglianze attoree, ed, in particolare, non provato il nesso -di causalita' tra le opere di ristrutturazione ed i danni lamentati dall'attore; qualificava inammissibili le domande articolate dall' (OMISSIS) per la prima volta con la comparsa conclusionale; giudicava sussistente un unico fatto generatore di danni risarcibili, perche' imputabile ai lavori di ristrutturazione (ossia l'apertura di una botola in una porzione del tetto del corpo scala comune, gia' spontaneamente rimossa, che aveva cagionato i danni da infiltrazione riscontrati nell'appartamento di proprieta' dell' (OMISSIS), quantificati in Euro 800,00); ed infine riteneva che responsabile di detto unico fatto fosse la societa' (OMISSIS), unica committente ed esecutrice dei lavori di ristrutturazione di cui l'apertura della botola faceva parte (e, quindi, non anche (OMISSIS)). 3.Avverso detta sentenza l' (OMISSIS) proponeva appello. Gli appellati, convenuti in primo grado, si costituivano, eccependo in via preliminare l'inammissibilita' del gravame per violazione dell'articolo 342 c.p.c. e l'intervenuto giudicato interno per difetto di impugnazione di taluni capi della sentenza di primo grado, contestando nel merito fondatezza di ciascun motivo di impugnazione. Il (OMISSIS) proponeva "anche" appello incidentale condizionato, chiedendo la riforma della sentenza nella parte in cui il giudice di primo grado aveva: a) rigettato l'eccezione di nullita' della domanda attorea per violazione del disposto dell'articolo 163, comma tre, nn. 3 e 4 c.p.c.; b) posto in essere una complessa serie di accertamenti istruttori in violazione del principio dispositivo e delle norme di ripartizione dell'onere di allegazione e prova; c) ammesso c.t.u. tecnica esplorativa in difetto di puntuale allegazione dei fatti costitutivi della domanda; d) disposto la sua condanna al risarcimento dei danni causati dalla botola realizzata sul tetto, nonostante il difetto di prova del nesso causale tra la realizzazione della botola e le infiltrazioni di acqua piovana riscontrate nell'immobile dell' (OMISSIS); e) espresso un generico parere sulla fondatezza delle domande nuove dichiarate inammissibili, formulate da parte attrice in comparsa conclusionale. La Corte d'Appello di Catania con sentenza n. 2274-2017, emessa in parziale riforma della sentenza 1085-2012 del giudice di primo grado, condannava il (OMISSIS) e il (OMISSIS), in solido tra loro. a) a pagare all' (OMISSIS) la somma di Euro 4.600, a titolo di risarcimento del danno per lesioni al vano scala ed agli immobili di sua proprieta'; b) a rimuovere il casotto posto sulla terrazza del tetto di copertura dell'ala sud dell'edificio; c) a ridurre in pristino il prospetto lato via (OMISSIS) in conformita' al suo aspetto originario risalente a prima delle variazioni non autorizzate. 4. Avverso la sentenza della Corte territoriale il (OMISSIS) S.r.l. e il (OMISSIS) proponevano ricorso a questa Corte, affidandosi a 14 motivi, ai quali resisteva con controricorso il Signor (OMISSIS). Questa Corte, con l'ordinanza n. 93-2001, rigettava il ricorso (dichiarando inammissibili alcuni motivi ed infondati gli altri), condannando i ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controparte e dando atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato. 5. Avverso la suddetta ordinanza hanno proposto ricorso per revocazione il (OMISSIS) srl ed il (OMISSIS), articolando due motivi di revocazione. Ha resistito con controricorso l' (OMISSIS). In vista dell'odierna udienza pubblica, il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso, mentre la Difesa dei ricorrenti con memoria ha insistito nell'accoglimento dello stesso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) chiedono la revocazione dell'ordinanza impugnata per due motivi. 1.1. Con il primo motivo prospettano quale errore di fatto l'omessa pronuncia sul tredicesimo motivo di ricorso (che viene integralmente trascritto in nota a pagina 20 del ricorso). Sostengono che questa Corte, dopo aver enunciato la natura del vizio ex articolo 360 c.p.c., n. 5, ha integralmente confuso (sostituendolo) il contenuto del tredicesimo motivo (che aveva ad oggetto il capo di sentenza che aveva accolto la domanda di risarcimento in forma specifica, ordinando la riduzione in pristino delle opere ritenute lesive del decoro architettonico) con il contenuto del quattordicesimo motivo (che hanno integralmente trascritto in nota alla pagina 16 del ricorso e che aveva ad oggetto il capo della sentenza che aveva parzialmente accolto la domanda di risarcimento danni per equivalente cagionati da infiltrazioni, fessurazioni e lesioni agli immobili dell'attore e che era stato articolato in forza di un diverso vizio di legittimita'). Rilevano che con il tredicesimo motivo del ricorso ordinario avevano denunciato il vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte accolto parzialmente la domanda di risarcimento del danno in forma specifica, ex adverso proposta, omettendo l'esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, integrati dagli accertamenti percipienti dei due c.t.u.; mentre con il quattordicesimo motivo del ricorso ordinario avevano denunciato il vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 3 (per violazione e falsa applicazione dell'articolo 342 c.p.c., nonche' degli articoli 2043, 1223 e 2056 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c.). Secondo la tesi sostenuta dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) nel ricorso ordinario (e riproposta di riflesso nel ricorso per revocazione), la Corte territoriale, con il passo che viene integralmente riportato alle pagine 13 e 14, aveva giudicato le innovazioni idonee a ledere il decoro architettonico solo perche' integravano una modifica. E tanto aveva fatto, in quanto avrebbe argomentato esclusivamente sulla base della mera lettura delle conclusioni peritali, senza considerare i fatti accertati che i consulenti percipienti avevano invece posto alla base delle conclusioni. Al contrario, secondo gli odierni ricorrenti, la Corte territoriale: - se, rispetto alle modifiche apportate al tetto dell'ala sud, non avesse omesso l'esame degli accertamenti percipienti dei due c.t.u. (e cioe' non avesse omesso di considerare che: non era stato provato lo stato preesistente dei prospetti esterni, cui ancorare la valutazione sulla dedotta lesione del ricorso architettonico; era stata accertata la presenza, "nel medesimo ambito edificatorio, di palesi disuniformita' urbanistiche idonee a incidere sullo stato di decoro e di equilibrio estetico che presentava l'immobile prima della innovazione contestata"; era stato accertato che la modifica del tetto in terrazza era invisibile dall'esterno, mentre la tettoia di copertura dell'impianto di condizionamento era visibile dalla corte interna dell'edificio e dall'esterno soltanto a distanza ed esclusivamente dal prospetto sud di proprieta' di (OMISSIS); il fatto che era stato accertato il mantenimento degli elementi architettonici e delle linee estetiche fondamentali della porzione sommitale del fabbricato) - avrebbe dovuto certamente concludere (al pari del giudice di primo grado) che la tettoia dell'impianto di condizionamento sulla terrazza dell'ala sud dell'edificio era innovazione non idonea ad incidere sul decoro architettonico preesistente; - se, rispetto alle modifiche apportate al prospetto est di via (OMISSIS), non avesse omesso l'esame degli accertamenti percipienti dei due c.t.u. - (e cioe' non avesse omesso di considerare che: non era stato provato lo stato di decoro e di equilibrio estetico che presentava l'immobile prima dell'innovazione contestata; era stata accertato che non esisteva una uniformita' strutturale preesistente tra le diverse ali dell'edificio atteso il particolare andamento livello metrico; non esisteva neppure una uniformita' architettonica preesistente delle tre facciate esterne) - avrebbe dovuto certamente concludere (al pari del giudice di primo grado) che le modifiche apportate al prospetto di via (OMISSIS) erano innovazione non idonea a ledere alcun decoro. Sempre secondo la tesi dei ricorrenti, questa Corte, nella ordinanza impugnata con il ricorso per revocazione, nel pronunciare su detto tredicesimo motivo, - con passaggio argomentativo che e' stato integralmente trascritto a p. 15 - ha sostituito il contenuto del quattordicesimo motivo al contenuto del tredicesimo motivo e lo ha quindi definito in modo di conseguenza incoerente con il vizio di omesso esame denunciato. Tanto si dovrebbe desumere dal fatto che la Corte: a) ha affermato che i fatti decisivi per il giudizio, di cui era stato denunciato l'omesso esame, non erano stati indicati, mentre lo erano; b) ha affermato che i ricorrenti avevano denunciato la violazione dell'articolo 342 c.p.c., mentre tale censura era stata formulata soltanto nel motivo quattordicesimo; c) ha affermato che i ricorrenti avevano dedotto che il giudice di merito non avrebbe dovuto porre le denunciate infiltrazioni e fessurazioni in nesso di relazione causale con i lavori di ristrutturazione, mentre una simile censura era stata da essi articolata soltanto nel quattordicesimo motivo. In definitiva, secondo parte ricorrente, per effetto di mera svista, il motivo tredicesimo non sarebbe stato oggetto di decisione, mentre il motivo quattordicesimo sarebbe stato oggetto di una doppia (errata) decisione. 1.2. Con il secondo motivo di revocazione i ricorrenti prospettano quale errore di fatto l'omessa pronuncia sul dodicesimo motivo di ricorso (integralmente trascritto alle pagine 35-43 del ricorso per revocazione), che era connesso al tredicesimo e tale da richiedere un esame congiunto. Premettono che con il dodicesimo ed il tredicesimo motivo dell'originario ricorso avevano denunciato due diversi vizi di legittimita' (rispettivamente la violazione dell'articolo 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti) in relazione al medesimo capo della sentenza della Corte territoriale (quello in cui, si ribadisce, la corte aveva parzialmente accolto la domanda di risarcimento del danno in forma specifica, ordinando la riduzione in pristino delle opere ritenute lesive del decoro architettonico). Sostengono che questa Corte nella ordinanza impugnata, dopo aver enunciato la natura del vizio ex articolo 360 c.p.c., n. 4 (e cioe' nullita' della sentenza per difetto di motivazione), âEuroËœnon ha percepito le univoche conclusioni dei due c.t.u.. Osservano che dette conclusioni: erano state espressamente riportate nel dodicesimo motivo, ma sono state immotivatamente disattese nella ordinanza impugnata, che le ha erroneamente ritenute integrate da diverse "risultanze istruttorie" (neanche succintamente rappresentate), con la conseguenza che la Corte di legittimita' ha cosi' ritenuto inammissibile il motivo sul presupposto che parte ricorrente aveva con esso sottoposto al suo vaglio un inammissibile riesame della quaestio fatti. Rilevano che con il dodicesimo motivo del ricorso ordinario avevano denunciato il vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 4 (per nullita' della sentenza per violazione della Cost., articolo 111 e dell'articolo 132 comma 2 n. 4 c.p.c.) nella parte in cui la Corte territoriale aveva parzialmente accolto la domanda avversaria di risarcimento del danno in forma specifica, dissentendo dalle univoche conclusioni dei due consulenti nominati in primo grado, ma senza specificatamente rappresentare ne' le ragioni della propria competenza tecnica ne' le ragioni tecniche o probatorie del loro dissenso. In definitiva, secondo la tesi dei ricorrenti, questa Corte, nella ordinanza impugnata con il ricorso per revocazione, nel pronunciare su detto dodicesimo motivo, - con passaggio argomentativo che hanno integralmente trascritto a p. 33 - avrebbe commesso l'errore percettivo di confondere le univoche conclusioni delle due c.t.u., che erano state disattese dalla Corte territoriale, con imprecisate ulteriori "risultanze istruttorie" (in realta' inesistenti), finendo cosi' con l'omettere il richiesto controllo in ordine all'insussistenza delle motivazioni tecniche per le quali la Corte territoriale aveva dissentito dalle univoche conclusioni delle due c.t.u.. 2. Il ricorso e' inammissibile, in quanto entrambi i motivi di ricorso sono estranei al parametro dell'errore revocatorio di fatto, rilevante ai sensi dell'articolo 391 bis c.p.c.. 2.1. Puo' essere qui utile ripercorrere in sintesi i tratti essenziali dell'istituto e della relativa disciplina giuridica, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte. L'articolo 391-bis c.p.c. stabilisce che "Se la sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione e' affetta (...) da errore di fatto ai sensi dell'articolo 395, numero 4), la parte interessata puo' chiederne (...) la revocazione". Quest'ultima disposizione prescrive che "Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione (...) se la sentenza e' l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa" e precisa che "Vi e' questo errore quando la decisione e' fondata sulla supposizione di un fatto la cui verita' e' incontrastabilmente esclusa, oppure quando e' supposta l'inesistenza di un fatto la cui verita' e' positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso, se il fatto non costitui' un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare". La giurisprudenza di legittimita' ha perimetrato l'errore di fatto, tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l'errore di fatto riguarda solo l'erronea presupposizione dell'esistenza o dell'inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti e integri gli estremi dell'error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all'ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, âEuroËœriconducibile all'ipotesi della violazione (vedasi tra le tante Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994 e sent. ivi cit. a § 3.4; conf. Cass., Sez. U., 27/12/2017, nn. da 30995 a 30997). Resta, quindi, esclusa dall'area del vizio revocatorio la sindacabilita' di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perche' siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., n. 30994/2017, cit.). In estrema sintesi, il combinato disposto di cui all'articolo 391-bis ed all'articolo 395 n. 4) c.p.c. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l'errore di diritto sostanziale o processuale e l'errore di giudizio o di valutazione. 2.2. Orbene, nel caso di specie, la Corte, nella ordinanza impugnata, dopo aver ricostruito i fatti di causa (pp.2-5) e dopo aver motivatamente respinto le eccezioni di inammissibilita' formulate da entrambe le parti (pp. 5-6), nelle pagine successive (pp. 6-21) ha scrutinato ciascuno dei quattordici motivi; e, in particolare, alle pagine 19-20 ha scrutinato i motivi dodicesimo e tredicesimo, che lo stesso ricorrente (p. 2) indica tra di loro connessi e quindi tali da richiedere un esame congiunto. Precisamente, la Corte, in sede di esame del ricorso ordinario, introduttivo del giudizio di legittimita' concluso con la qui gravata ordinanza: a) alla pag. 19, ha ritenuto l'inammissibilita' del dodicesimo motivo, poiche' volto in sostanza ad ottenere la sollecitazione ad un riesame della ricostruzione' dei fatti operata dal giudice di merito proprio con riferimento alla domanda di risarcimento del danno in forma specifica avente ad oggetto il pregiudizio al decoro architettonico, sostenendo che, se anche la parte avesse invocato la violazione dell'articolo 360 c.p.c. n 5, il motivo sarebbe stato comunque inammissibile, poiche' non rientrante nel paradigma della norma stessa; b) alla pag. 20, ha ritenuto l'inammissibilita' del tredicesimo motivo perche', ha rilevato che esso svolgeva una serie di argomentazioni sulle risultanze istruttorie tecniche e ne sollecitava l'apprezzamento per criticare la sentenza impugnata. Non rileva che nell'ordinanza impugnata la Corte, scrutinando i motivi dodicesimo e tredicesimo, abbia impropriamente affermato che "i fatti omessi" non erano stati neppure indicati, con altrettanto improprio riferimento all'articolo 342 c.p.c. ed alle denunciate infiltrazioni e fessurazioni. Infatti - fermo restando, in via generale ed astratta, che l'errata considerazione ed interpretazione dell'oggetto di ricorso integra (non un errore di fatto revocatorio, ma) un errore di giudizio (e, quindi, di diritto) - la Corte, dopo essere stata impegnata in un articolato complesso argomentativo nella disamina dei precedenti undici motivi (da meta' di pagina 6 a meta' circa di pagina 19), nello scrutinare il motivo dodicesimo ed il motivo tredicesimo, indicati (si ribadisce) come connessi dallo stesso ricorrente, ha comunque compiuto sul loro contenuto sostanziale una valutazione giuridica, sulla quale in sede revocatoria non e' consentito ritornare. 2.3. Parte ricorrente in sede di memoria, nel contestare le conclusioni del Procuratore generale di questa Corte, ha affermato âEuroËœche un eventuale provvedimento, favorevole alla controparte; l'avrebbe costretta a rivolgersi alla Corte di giustizia Europea. Osserva il Collegio che, con riguardo al sistema delle impugnazioni, come gia' rilevato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza n. 30994-2017, non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell'appello e del ricorso per cassazione. D'altronde, quanto all'effettivita' della tutela giudiziaria, occorre considerare che anche la giurisprudenza Europea e quella costituzionale riconoscono la necessita' che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilita' del diritto e dei rapporti giuridici, nonche' l'ordinata amministrazione della giustizia (Corte giusta., 03/09/2009, Olimpiclub; 30/09/2003, Kobler; 16/03/20016, Kapferer; conf. Corte EDU, 28/07/1998, Omar c. Francia; 27/03/2014, Erfar-Avef c. Grecia; 03/07/2012, Radeva c. Bulgaria); il che convalida il contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimita' ai soli casi di "sviste" o di "puri equivoci" senza che rilevino errori di valutazione (Corte Cost. n. 17/1986, n. 36/1991, n. 207/2009; conf. Cass., Sez. U., n. 30994/2017, cit.), complessivamente intesi. Dunque, non soltanto quella letterale e quella sistematica, ma anche l'interpretazione (costituzionalmente, comunitariamente e convenzionalmente) orientata degli articoli 391-bis e 395 n. 4) c.p.c. porta a non ammettere la revocazione delle decisioni di legittimita' della Corte di cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali), oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di precedente controversia, rispondendo la "non ulteriore impugnabilita' in generale" all'esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale e della CEDU, di conseguire l'immutabilita' e definitivita' della pronuncia all'esito di un sistema variamente strutturato (Cass., 29/04/2016, n. 8472). In definitiva, occorre qui ribadire che il carattere d'impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta l'inammissibilita' di ogni censura ivi non compresa (Cass. n. 9865-2014). Pertanto, in applicazione dei criteri appena ricordati, le doglianze proposte col ricorso per revocazione non possono essere ricondotte entro il perimetro dell'articolo 391 bis c.p.c.. 4. Alla inammissibilita' del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute da parte resistente in relazione al presente giudizio, nonche' la declaratoria, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dei presupposti processuali per il versamento a carico di parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato articolo 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315). P.Q.M. La Corte: - dichiara inammissibile il ricorso; - condanna la parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.700 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge; - da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a nórma del comma 1-bis del citato articolo 13, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI CATANZARO SEZIONE PRIMA CIVILE Procedimento n. 507/2019 R.G. La Corte di Appello, riunita in camera di consiglio con modalità telematiche e così composta: dott. Antonio Rizzuti - (Presidente); dott.ssa Beatrice Magarò - (Consigliere); dott.ssa Anna Maria Torchia - (Consigliere); ha pronunciato la presente SENTENZA Nella causa civile n. 507/2019 del ruolo generale degli affari civili contenziosi, avente ad oggetto oneri condominiali, vertente tra: 1) (...), nata a Fi. il (...) (codice fiscale (...)), rappresentata e difesa, come da procura rilasciata a margine dell'atto introduttivo del primo grado di giudizio, dall'avv. Ma.Mi., elettivamente domiciliata in Catanzaro, alla via (...), presso il suo studio professionale; Appellante. e 2) Condominio di via (...) di C. (codice fiscale (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore; (...) (codice fiscale (...)); (...) (codice fiscale (...)), (...) (codice fiscale (...)); I.C. (codice fiscale (...)); C.I. (codice fiscale (...)); (...) (codice fiscale (...)), (...) (codice fiscale (...)) e (...) (codice fiscale (...)). Appellati non costituiti in giudizio. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Il giudizio dinnanzi al Tribunale civile di Catanzaro Con atto di impugnazione di delibera assembleare, notificato il 20.3.2013, (...), proprietaria di alcune unità abitative nel Condominio di via C. n. 13 di C., conveniva il suddetto Condominio dinanzi al Tribunale civile di Catanzaro, chiedendo, in via preliminare, la sospensione dell'esecutività della delibera condominiale del 19.2.2013 e, nel merito, la declaratoria di nullità ovvero l'annullamento della delibera condominiale medesima rispetto al primo (in parte qua), secondo, terzo e quarto punto dell'ordine del giorno e, in subordine, la condanna del Condominio al risarcimento dei danni derivanti dal mancato risparmio fiscale, tenendo altresì indenne la (...) da qualsiasi esborso. In particolare, l'attrice - dopo avere premesso che l'assemblea di condominio, in seconda convocazione, aveva deliberato sui primi quattro punti posti all'ordine del giorno, concernenti, rispettivamente: 1) l'approvazione del bilancio consuntivo per l'anno 2012 ed il relativo piano di riparto delle spese; 2) la nomina dell'amministratore; 3) l'approvazione del bilancio preventivo per l'anno 2013 ed il relativo piano di riparto delle spese; 4) l'esame della nota dell'avv. (...) e le determinazioni da intraprendere (in ordine alla lamentata attività abusiva della (...), consistita nell'installare un contatore dell'(...) su di una parete condominiale); e che l'assemblea aveva approvato i punti 1, 2 e 4, con voto contrario della (...), mentre aveva omesso di nominare l'amministratore, per ritenuto difetto del quorum necessario, in ordine al punto n. 2 - affermava che la delibera assembleare impugnata fosse invalida sotto diversi profili. Sosteneva, segnatamente, che: 1) con riguardo al punto primo dell'ordine del giorno, l'amministratore di condominio aveva fatto eseguire lavori di natura straordinaria all'impianto elettrico, senza alcuna preventiva autorizzazione, integrando la violazione della disposizione normativa di cui all'art. 1135, comma IV, c.c., sicché la relativa determinazione assembleare, nella parte in cui aveva approvato il rendiconto dei lavori indicati come "messa a norma impianto elettrico 2012", inserito capziosamente come voce di spesa nel riparto consuntivo della gestione ordinaria del 2012, doveva ritenersi illegittima; del resto, la (...) non era stata in grado di constatare l'effettività del problema e di scegliere ditte e preventivi ed aveva, altresì, perso la possibilità di accedere ai benefici fiscali, cosicché aveva diritto ad essere sollevata dall'esborso della somma pari ad Euro 30,69 e, al contempo, ad ottenere il risarcimento per il mancato sgravio fiscale del 50%, di cui avrebbe potuto beneficiare; 2) quanto, invece, al secondo punto dell'ordine del giorno della delibera, avente ad oggetto la nomina di un nuovo amministratore, la delibera stessa era, anche sotto questo aspetto, invalida, giacché, nel caso di specie, la mancata nomina del nuovo amministratore aveva trovato causa nell'uso distorto del criterio della maggioranza; infatti, l'assemblea non avrebbe dovuto deliberare facendo applicazione del criterio normativo richiesto dall'art. 1136 c.c., atteso che, nel caso del Condominio convenuto, un 1/3 dei condomini, ossia (...) e (...), deteneva 618 millesimi e, quindi, la maggioranza assoluta dei millesimi, ma non delle teste, con la conseguenza che tutti gli altri condomini non avrebbero potuto raggiungere almeno la metà del valore dell'edificio; quindi, avrebbe dovuto prevalere la maggioranza assoluta dei millesimi e, di conseguenza, avrebbe dovuto considerarsi valida la nomina ad amministratore del dott. (...); 3) in riferimento al terzo punto dell'ordine del giorno, avente ad oggetto l'approvazione del bilancio preventivo, la relativa determinazione assembleare doveva ritenersi invalida, giacché detta attività non rientrava tra le competenze dell'amministratore uscente e non ricandidatosi, dovendo quest'ultimo provvedere, esclusivamente, alla gestione ordinaria; 4) infine, in merito al quarto punto dell'ordine del giorno, l'assemblea aveva illegittimamente deliberato che venisse formulata all'(...) la richiesta di spostamento del contatore di proprietà della (...) dalla facciata dell'edificio condominiale, prendendo in esame, esclusivamente, la nota dell'avv. (...), presentata per conto del condomino (...); lo spostamento del contatore, in realtà, costituiva attività illegittima, poiché la (...), in qualità di condomina, aveva il diritto di utilizzare i beni comuni, comprese le facciate esterne dell'edificio, senza impedire il pari uso degli altri condomini, come, del resto, avveniva, essendo presenti sulle facciate comuni parabole e tubature del gas; oltretutto, la posizione di detto contatore era stata decisa dall'(...), proprietario del contatore medesimo, sulla base dei protocolli interni del suddetto ente; discendeva che la delibera doveva essere annullata anche sotto questo aspetto ovvero, in subordine, quanto meno, doveva essere riconosciuta l'esenzione della (...) da eventuali costi di rimozione o di nuova installazione. Concludeva come sopra indicato (cfr. l'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado). Instaurato il contraddittorio, si costituiva nel giudizio, con comparsa di costituzione e risposta del 6.5.2013, il C.D.V.C. n. 13 di C., in persona dell'amministratore e legale rappresentante pro tempore, il quale chiedeva, preliminarmente, il rigetto dell'istanza di sospensione formulata dall'attrice e, in via principale, la declaratoria di inammissibilità della domanda della (...), con condanna della stessa al risarcimento dei danni per vere intentato una lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. Il Condominio, in particolare, sosteneva che: 1) la messa a norma degli impianti elettrici era necessaria a garantire la sicurezza degli impianti stessi, sicché l'amministratore non poteva certamente sottrarsi a tali adempimenti, considerato, per di più, che aveva agito nell'esercizio dei poteri conferitigli dalla legge, potendo, in virtù della previsione normativa di cui all'art. 1130 c.c., svolgere attività in ordine all'uso delle cose comuni e alla prestazione dei servizi nell'interesse comune; peraltro, l'intervento di messa a norma dell'impianto era stato, più volte, sollecitato dagli stessi condomini e non costituiva, quindi, una sua personale iniziativa; la domanda risarcitoria, formulata dall'attrice per la mancata fruizione dello sgravio fiscale, era del tutto pretestuosa, considerati i costi necessari e l'esiguità del risparmio sulla quota di parte attrice, dell'ammontare pari ad Euro 30,69; 2) quanto alla contestazione relativa alla mancata nomina di nuovo amministratore, la relativa delibera era da considerarsi valida, attesa l'osservanza del criterio normativo di cui all'art. 1136, comma quarto, c.c.; 3) in ordine, invece, alla eccepita illegittimità dell'approvazione del bilancio preventivo per l'anno 2013, presentato all'assemblea dall'amministratore uscente, quest'ultimo, in ragione dell'istituto della prorogatio, doveva garantire la continuità dell'amministrazione sino alla nomina di un nuovo amministratore, con la conseguenza che la delibera di approvazione del bilancio preventivo del 2013 era valida; 4) infine, con riguardo alla eccezione sollevata dalla (...), avente ad oggetto la illegittimità dello spostamento del contatore dell'impianto fotovoltaico di sua pertinenza, la relativa delibera era stata adottata in ottemperanza alle maggioranze ed alle prescrizioni previste dalla legge; in particolare, il contatore era stato posto, dalla (...), del tutto arbitrariamente, sulla facciata condominiale, ossia in assenza di autorizzazione dei condomini e di delibera assembleare; del resto, la realizzazione dell'impianto e il posizionamento del contatore, rientrando tra le innovazioni, soggiacevano alla disciplina di cui all'art. 1120 c.c.. Premesso questo, il Condominio riteneva altresì che sussistevano i presupposti per la condanna dell'attrice al risarcimento dei danni per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., considerata la pretestuosità della domanda avanzata dalla stessa e l'esiguità dell'importo che le era stato richiesto, quale quota per i lavori condominiali effettuati. Concludeva come sopra trascritto (cfr. la comparsa di costituzione e risposta del Condominio). Successivamente, con ordinanza del 1.10.2013, depositata in cancelleria in pari data, il Tribunale sospendeva l'esecuzione della Delib. del 19 febbraio 2013, limitatamente al punto quarto dell'ordine del giorno, relativo allo spostamento del contatore dell'(...), ritenendo sussistente il rischio di pregiudizio grave e irreparabile. Con la medesima ordinanza, concedeva i termini per la presentazione delle memorie di cui all'art. 183, comma VI, c.p.c. (cfr. l'ordinanza citata). Con le suddette memorie, le parti ribadivano e precisavano le proprie argomentazioni e, in particolare, con la memoria ex art. 183, comma VI, n. 2, c.p.c., (...), depositata nuova documentazione ad integrazione della precedente e formulava richiesta di espletamento della c.t.u. tecnica; mentre il Condominio, dal canto suo, con la memoria di cui all'art. 183, comma VI, n. 3, c.p.c., contestava la rilevanza della documentazione prodotta dalla (...), sebbene valorizzando, a suo favore, le rappresentazioni fotografiche dalla stessa allegate (cfr. le memorie citate). All'udienza del 24.10.2014, parte attrice depositava, quale documento sopravvenuto, la delibera assembleare del 10.10.2014, per mezzo della quale non aveva trovato conferma la nomina dell'amministratore uscente, rilevando che l'assemblea versava in situazione di stallo, per cui formulava al giudice richiesta di pronunciarsi in favore della prevalenza del criterio della maggioranza assoluta o, comunque, di emettere pronuncia in ordine alla nomina dell'amministratore. Il Tribunale, rilevato che il procedimento per la nomina di amministratore aveva carattere di volontaria giurisdizione e ritenuta sufficientemente istruita la causa, fissava l'udienza per la precisazione delle conclusioni (cfr. l'ordinanza del 24.10.2014). Quindi, dopo che la causa era stata assegnato in decisione all'udienza del 22.4.2016 e, poi, rimessa sul ruolo, all'udienza del 20.7.2018, veniva, definitivamente, trattenuta in decisione (cfr. gli atti del giudizio di primo grado). 2. La sentenza del Tribunale di Catanzaro, emessa all'esito del giudizio di primo grado Con sentenza n. 1421 del 2018, emessa il 26.7.2018 e pubblicata il 30.7.2018, nell'ambito del procedimento iscritto al n. di r.g.a.c. 1153/2013, il Tribunale di Catanzaro così definiva il giudizio di primo grado: rigettava la domanda proposta da (...) e condannava quest'ultima al rimborso delle spese legali in favore del Condominio di via (...). In particolare, il Tribunale affermava che l'azione intrapresa da (...) nei confronti del Condominio per invalidare la delibera condominiale del 19.2.2013 non era fondata e doveva, pertanto, essere respinta. In particolare, il giudice rilevava, quanto al punto numero uno dell'ordine del giorno, che stato approvato dall'assemblea in modo legittimo, dato che la messa a norma degli impianti elettrici costituiva, certamente, attività inderogabile e urgente, ai sensi dell'art. 1135 c.c., oltre che sollecitata, per di più, dai condomini stessi, cosicché l'amministratore di condominio non poteva sottrarsi alla sua esecuzione. Parimenti, a giudizio del Tribunale, la decisione di cui al punto numero due dell'ordine del giorno era stata presa correttamente, facendo applicazione del criterio normativo, sicché la nomina del nuovo amministratore non poteva perfezionarsi, per mancato raggiungimento del quorum necessario. Quanto alla contestazione sollevata dall'attrice in ordine alla decisione dell'assemblea sul terzo punto dell'ordine del giorno (relativo alla approvazione del bilancio preventivo per l'anno 2013), il giudice ne rilevava l'infondatezza, considerato che i poteri dell'amministratore uscente erano prorogati in attesa della nomina di un nuovo amministratore. Infine, con riguardo all'ultima contestazione sollevata dalla (...) rispetto al punto numero quattro dell'ordine del giorno (avente ad oggetto lo spostamento dalla parete condominiale del contatore dell'(...) collegato all'impianto fotovoltaico della (...)), il Tribunale affermava che parte attrice non aveva provato quanto genericamente asserito "in merito all'obbligatorietà della collocazione del contatore sul lastrico solare e non su altra parte dell'edificio". Inoltre, il giudice di primo grado rigettava la domanda di parte attrice avente ad oggetto il rimborso di quanto pagato a seguito dell'approvazione della delibera e la relativa domanda di risarcimento del danno. Infine, regolava le spese di lite secondo il criterio della soccombenza, rilevando, peraltro, che non sussistevano i presupposti per accogliere la domanda del Condominio di condanna della (...) al risarcimento del danno per avere intentato una lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., in quanto generica e priva di riscontro probatorio. 3. Il giudizio di impugnazione dinanzi alla Corte di Appello di Catanzaro Avverso la sentenza n. 1421/2018, emessa il 26.7.2018 e pubblicata il 30.7.2018, del Tribunale civile di Catanzaro, proponeva impugnazione davanti a questa Corte di Appello (...), con atto di citazione notificato il 4.3.2019 al procuratore del Condominio costituito nel giudizio di primo grado ed ai singoli condomini, chiedendo, in parziale riforma della sentenza impugnata e previa sospensione della sua provvisoria esecutorietà, di annullare la delibera condominiale del 19.2.2013 in relazione all'intero quarto punto dell'ordine del giorno (relativo allo spostamento del contatore (...) dal muro condominiale). Segnatamente, l'odierna appellante - dopo avere descritto lo svolgimento del procedimento di primo grado di giudizio e rilevato, al fine di evidenziare la parziale cessazione della materia del contendere, che, nelle more, da un lato, a seguito della modifica dell'art. 1129 c.c., era venuta meno la necessità di nominare un amministratore del condominio, trattandosi di condomini in numero inferiore a otto; dall'altro, il Tribunale di Catanzaro, appositamente adito per la nomina giudiziale dell'amministratore, aveva rigettato la domanda, rilevando l'illegittimità della prorogatio dei poteri del precedente amministratore - precisava che intendeva prestare acquiescenza ad alcuni capi della sentenza e che era suo interesse appellare, esclusivamente, la decisione del Tribunale in merito al punto numero quattro dell'ordine del giorno della delibera assembleare impugnata, relativa allo spostamento del contatore dell'(...), nonché il capo di sentenza concernente la regolazione delle spese del primo grado di giudizio. Chiarito questo, precisava che: era proprietaria esclusiva del lastrico solare del palazzo di cui si tratta, oltre che di altri lastrici solari, sui quali aveva installato pannelli solari secondo le norme vigenti, per il cui utilizzo, tuttavia, occorreva un autonomo contatore che l'(...) aveva installato all'esterno del palazzo, posizionandolo sulla parete laterale dell'edificio condominiale; tuttavia, l'avv. (...), per conto del condomino tale (...), aveva inviato una nota all'amministratore e alla (...), lamentando l'installazione dei pannelli fotovoltaici sul lastrico solare e il posizionamento del relativo contatore sul muro del palazzo; per questa ragione, l'amministratore aveva inserito, al quarto punto dell'ordine del giorno dell'assemblea di condominio del 19.2.2013, proprio l'esame della nota del suddetto avvocato e delle determinazione da assumere; quindi, nell'ambito dell'assemblea del 19.2.2013, la (...) era intervenuta personalmente e producendo, anche, dichiarazioni scritte, al fine di affermare il suo diritto di utilizzare le parti comuni dell'edificio, al pari di tutti gli altri condomini, senza arrecare, chiaramente, alcun pregiudizio; all'esito dell'assemblea, era stata deliberata, a maggioranza e con il voto contrario della (...), la decisione di chiedere all'(...) di effettuare lo spostamento di detto contatore dal muro condominiale, posizionandolo nella proprietà esclusiva dell'odierna appellante, dando mandato all'amministratore per attivare la relativa procedura. L'appellante, quindi, lamentava, in primo luogo, il travisamento dei fatti da parte del Tribunale, giacché, contrariamente a quanto ritenuto, il contatore non era posizionato sul lastrico solare, bensì sulla facciata esterna laterale dell'edificio condominiale (per come, del resto, risultava evidente dalle fotografie prodotte in allegato alla memoria ex art. 183, comma sesto, n. 2 c.p.c.), sicché la (...), diversamente da quanto affermato dal giudice, non aveva alcun onere di prova in ordine alla obbligatorietà della collocazione del contatore sul lastrico solare. Premesso questo, l'odierna appellante ribadiva le ragioni di merito dell'impugnazione della delibera condominiale, con cui era stato deciso lo spostamento del contatore, adducendo, in sintesi, che: il posizionamento dello stesso sul muro esterno del Condominio non creava alcun disagio ovvero problema di sorta al bene comune, poiché aggettava sulla proprietà privata dell'interessata, sicché l'unico utilizzo della (...) era consistito nell'impiego del muro esterno condominiale; tale uso, oltre ad essere del tutto lecito, non determinava l'esclusione del godimento di altri condomini; oltretutto, detto specifico posizionamento era stato imposto dall'(...), in ottemperanza ai protocolli interni, ed era il più conveniente, giacché doveva essere visibile e raggiungibile dall'(...), indipendentemente dalla presenza della (...) che risiedeva a Pisa; per di più, dalla previsione normativa di cui all'art. 1102 c.c. poteva agevolmente evincersi che l'apposizione dei contatori costituiva applicazione pratica di detta norma; in definitiva, l'uso della cosa comune, da parte della (...), era avvenuto nell'esercizio dei poteri e nel rispetto dei limiti stabiliti dall'art. 1102 c.c., sicché l'apposizione del contatore doveva ritenersi legittima; discendeva, allora, che la delibera impugnata era illegittima, non avendo, peraltro, neppure, offerto indicazioni in ordine alla proprietà esclusiva della (...) ove avrebbe dovuto essere posizionato il contatore. Inoltre, la (...) censurava la sentenza del Tribunale di Catanzaro, anche, sotto il profilo della regolazione delle spese legali del giudizio di primo grado, atteso che il giudice, a suo dire, aveva erroneamente ritenuto l'attrice soccombente, a seguito di una erronea interpretazione dei fatti ed all'omesso esame dei documenti prodotti in merito alla decisione sul punto quattro dell'ordine del giorno, presa dall'assemblea di condominio con la delibera impugnata. Inoltre, secondo l'odierna appellante, anche in relazione agli altri capi della sentenza (concernenti i primi tre punti all'ordine del giorno, non più oggetto di controversia), in realtà, il giudice non si era avveduto della cessata materia del contendere, derivante dalla modifica normativa apportata all'art. 1129 c.c. e dall'ordinanza del Tribunale resa nell'ambito del procedimento di volontaria giurisdizione, avente ad oggetto la nomina dell'amministratore del Condominio, sicché - avendo la (...) impugnato la delibera condominiale al fine di far cessare la prassi dell'ex amministratore di scegliere, a discapito dei condomini, imprese di sua fiducia - una volta cessato dalla carica l'amministratore, era venuto meno anche l'interesse alla decisione, fatta eccezione per la parte riguardante la delibera dell'assemblea di condominio sul punto quattro dell'ordine del giorno. Concludeva, quindi come trascritto in epigrafe (cfr. l'atto di appello). Nessuno si costituiva per gli appellati. All'udienza del 15.10.2019, la Corte di Appello, sciogliendo la riserva presa in ordine alla verifica del contraddittorio e alla istanza di parte appellante di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 283 c.p.c., accertava, da un lato, l'integrità del contraddittorio - avendo l'appellante notificato l'atto di appello tanto al procuratore del Condominio costituito nel giudizio di primo grado, quanto ai singoli condomini - e dichiarava, dall'altro lato, inammissibile l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata, giacché era volta alla sospensione non già della pronuncia contenuta nella sentenza stessa, ma della delibera di assemblea (cfr. l'ordinanza citata). Nel frattempo, verificatasi la nota emergenza sanitaria, connessa alla diffusione del virus Covid-19, venivano adottate le norme volte a contenere tale diffusione, tra cui quelle di natura processuale, contenute, essenzialmente, nell'art. 83 del D.L. n. 18 del 2020, per come convertito in legge e modificato e, successivamente, nell'art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020. Pertanto, l'udienza di precisazione delle conclusioni, fissata, da ultimo, per il 21.6.2022, veniva tenuta mediante trattazione scritta (con il deposito di note con modalità telematiche, prima dell'udienza fissata), secondo le disposizioni di cui all'art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020, nel frattempo entrato in vigore, a norma del quale il giudice può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, previa comunicazione alle parti, almeno trenta giorni prima della data fissata per l'udienza, che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte e assegnazione alle parti stesse di un termine fino a cinque giorni prima della predetta data per il deposito delle note scritte, salva la facoltà di ciascuna delle parti di presentare istanza di trattazione orale entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento, cosicché, con decreto del Presidente di sezione, veniva disposta la trattazione della causa tramite deposito in via telematica di note scritte. All'udienza del 21.6.2022, dunque, la causa veniva assegnata a sentenza, con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali ed eventuali note di replica (cfr. gli atti del giudizio di appello). MOTIVI DELLA DECISIONE Occorre preliminarmente dichiarare la contumacia del Condominio di via (...), 13 e dei singoli condomini, (...) ed altri, che, sebbene ritualmente citati in giudizio, non si sono costituiti. In particolare, deve considerarsi regolare la notificazione nei confronti del Condominio, appellato principale, avvenuta presso il procuratore costituito del giudizio di primo grado. In effetti, anche volendo ipotizzare che, a seguito della modifica dell'art. 1129 c.c., sia cessata l'efficacia della nomina dell'amministratore non confermato nell'incarico (trattandosi di condominio con non più di otto condomini e, come, tale, non obbligato a nominare un amministratore ex art. 1129 c.c., nel testo attualmente vigente), devono applicarsi i consolidati principi giurisprudenziali sulla ultrattività del mandato difensivo, con la conseguenza che la notificazione dell'appello deve considerarsi regolare e che sarebbe stato onere del procuratore del Condominio rilevare, con formale dichiarazione in udienza o da notificare all'altra parte, l'eventuale causa di interruzione, conseguente alla cessazione dell'incarico dell'amministratore (cfr., ad esempio, Cass. sez. II, n. 27302/2020). Ad ogni modo, l'appellante ha proceduto a notificare l'appello, anche, ai singoli condomini, in tal modo, sanando ogni ipotetico difetto di contraddittorio. Premesso questo, appare opportuno, preliminarmente, illustrare la trattazione scritta dell'udienza di precisazione delle conclusioni e chiarire l'oggetto del giudizio di appello. 1. La trattazione scritta dell'udienza di precisazione delle conclusioni Come già esposto nella illustrazione dello svolgimento del processo, l'udienza di precisazione delle conclusioni del 21.6.2022 si è svolta con trattazione scritta (ossia mediante il deposito, con modalità telematiche, di apposite note delle parti contenenti istanze e conclusioni), ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020, contenente disposizioni volte a contenere gli effetti della diffusione del virus "Covid 19". 2. L'oggetto del giudizio di appello Richiamata la trattazione relativa allo svolgimento del processo e, in particolare, il contenuto della sentenza di primo grado ed i motivi di appello, è opportuno evidenziare che l'oggetto del giudizio di appello è costituito, essenzialmente: 1) dalla questione della invalidità o meno della delibera assembleare del 19.2.2013, limitatamente alle decisione dell'assemblea condominiale, in ordine al punto numero quattro dell'ordine del giorno, relativo allo spostamento dalla parete esterna dell'edificio condominiale del contatore dell'(...), collegato all'impianto fotovoltaico della (...), avendo il Tribunale rigettato l'impugnazione della delibera con decisione censurata dalla (...); 2) dalla regolamentazione delle spese del primo grado di giudizio, poste dal Tribunale a carico dell'odierna appellante con decisione dalla stessa contestata; 3) dalla regolamentazione delle spese del presente grado di giudizio. Non sono stati oggetto di impugnazione e, quindi, sono da considerarsi passati in giudicato, invece, i seguenti capi di sentenza: a) la statuizione in ordine alle contestazioni della medesima delibera dell'assemblea condominiale concernenti il punto numero uno dell'ordine del giorno (relativo all'approvazione dei lavori di messa in sicurezza degli impianti elettrici); b) la statuizione resa in ordine alle contestazioni sollevate in merito al punto due dell'ordine del giorno, afferente alla nomina di un nuovo amministratore di condominio; c) la statuizione resa in ordine alle contestazioni sollevate al punto numero tre dell'ordine del giorno, afferente all'approvazione del bilancio preventivo dell'anno 2013, presentato dall'amministratore uscente e non ricandidatosi; d) la statuizione resa in ordine alla domanda di parte attrice volta al rimborso delle spese sostenute per la realizzazione dei lavori di manutenzione degli impianti elettrici ed alla relativa domanda di risarcimento del danno. 3. Il merito. Conviene trattare le questioni sollevate con l'appello (ossia la domanda di annullamento della delibera assembleare del 19.2.2013, limitatamente alla decisione relativo al punto n. 4 dell'ordine del giorno, e la regolamentazione delle spese del giudizio di primo grado) separatamente. 3.1. Sulla domanda di annullamento della delibera assembleare del 19.2.2013, limitatamente al numero quattro dell'ordine del giorno Come già illustrato nel corso dello svolgimento del processo, (...) si duole della decisione del Tribunale di Catanzaro, nella parte in cui ha rigettato la domanda dell'attrice, avente ad oggetto l'annullamento della delibera condominiale del 19.2.2013, limitatamente al punto numero quattro dell'ordine del giorno, afferente allo spostamento del contatore dell'(...) (collegato all'impianto fotovoltaico appartenente alla (...)) e collocato sulla parte esterna condominiale, sulla base di un'erronea ricostruzione ed interpretazione dei fatti di causa e degli elementi probatori prodotti in giudizio. Il motivo di appello proposto dalla (...) è fondato e merita l'accoglimento, dovendosi sul punto riformare la sentenza del Tribunale di Catanzaro per i motivi di seguito esposti. In primo luogo, appare opportuno osservare che, per come è pacifico e, del resto, documentato (cfr., in particolare, la documentazione fotografica prodotta e la nota dell'avv. (...), presa in esame nel corso della riunione assembleare del 19.2.2013), il contatore dell'(...), collegato agli impianti fotovoltaici dell'odierna appellante, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, è collocato su una parete esterna dell'edificio condominiale e non già sul lastrico solare - peraltro, di esclusiva proprietà della (...) - sul quale sono posti, invece, i pannelli dell'impianto, collegati al contatore oggetto di contestazione. Consegue che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, la (...) non aveva l'onere di provare l'obbligatorietà del posizionamento del contatore sul lastrico solare, giacché la domanda, proposta da quest'ultima nel giudizio di primo grado, era volta a dimostrare, piuttosto, l'illegittimità dello spostamento dalla parete condominiale, per come deliberato dall'assemblea. Chiarito questo in ordine alla ricostruzione del fatto, l'appello, nella parte in cui, lamenta la mancata declaratoria di invalidità della delibera condominiale nella parte in questione, deve essere accolto. In effetti, il Condominio di via (...), costituitosi nel primo grado di giudizio, non ha offerto alcun elemento probatorio a sostegno della pretesa lesione del decoro architettonico dell'edificio ovvero della sua stabilità o sicurezza rispetto al collocamento del contatore sulla facciata esterna, non essendo sufficiente, a tal fine, la nota, presa in esame nell'ambito della riunione assembleare, dell'avv. (...), inviata per conto del condomino tale (...) - allegata in atti - poiché espressiva di una mera preoccupazione personale che non trova, tuttavia, riscontro obiettivo e non è in grado di giustificare, quindi, la determinazione scaturita dall'assemblea del 19.2.2013. Né le rappresentazioni fotografiche prodotte in giudizio dalla (...) e valorizzate dal Condominio allo scopo di provare la necessità dello spostamento del contatore (cfr. la memoria ex art. 183, comma IV, n. 3), hanno valenza dimostrativa in ordine alla lesione del decoro architettonico o alla stabilità dell'edificio, dando semplicemente contezza del posizionamento del contatore, peraltro, con limitato ingombro, sulla parte inferiore di una parete laterale esterna dell'edificio, all'interno di un'apposita vetrata di limitato spessore e con cornice di colore analogo a quello del fabbricato. In definitiva, il posizionamento del contatore usato dalla (...), oltre a non impedire l'uso delle parete condominiale agli altri condomini a fini analoghi, non risulta comportare rischi per la stabilità o la sicurezza del fabbricato né incongruenze rispetto allo stile del fabbricato (alquanto semplice) o disarmonie architettoniche rispetto alla fisionomia dell'edificio, cosicché tale collocamento del contatore non costituisce attività illecita ovvero arbitraria, rientrando, al contrario, nella facoltà, riconosciuta al condomino dall'art. 1102 c.c., di uso della cosa comune. Peraltro, dall'esame degli elementi acquisti nel corso del giudizio di primo grado, non sono state riscontrate neppure prescrizioni regolamentari, tese a vietare ovvero imporre un determinato tipo di uso dei beni comuni. Infine, al contrario di quanto sostenuto dal Condominio nel corso del giudizio di primo grado, il posizionamento del contatore sulla parete condominiale non costituisce, ai sensi dell'art. 1120 c.c., una innovazione e, quindi, non necessita di una preventiva autorizzazione assembleare, atteso che, come noto, l'innovazione consiste in opere di trasformazione in grado di incidere sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione; caratteristiche queste che, per nozioni di logica ed esperienza, non possono essere ricondotte al mero posizionamento di un contatore su di una parete condominiale. Peraltro, occorre osservare, sotto il profilo del vizio da cui è affetta la delibera condominiale - limitatamente alla parte oggetto di contestazione - che la stessa è annullabile ai sensi dell'art. 1137 c.c., non ravvisandosi, invece, un vizio di nullità. Sotto questo profilo, secondo un principio ormai consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità, in tema di condominio degli edifici, l'azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., mentre la categoria della nullità ha un'estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell'oggetto in senso materiale o giuridico - quest'ultima da valutarsi in relazione al "difetto assoluto di attribuzioni" -, contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all'"ordine pubblico" o al "buon costume" (cfr. in particolare Cass. civ., s.u., n. 9839 del 2021). Ebbene, con specifico riguardo al caso di specie, dal verbale della Delib. del 19 febbraio 2013 si evince che l'assemblea ha deliberato di "dare mandato all'amministratore di notificare all'(...) la richiesta di spostamento del contatore relativo al fotovoltaico chiedendo che questo venga installato nella proprietà esclusiva della (...)" (cfr. verbale allegato in atti). Dunque, l'assemblea condominiale ha deliberato nell'ambito delle attribuzioni conferitele dalla legge in ordine all'uso dei beni comuni - considerata la collocazione del contatore in contestazione sulla parete condominiale - operando, quindi, non in carenza di potere (escludendo un determinato uso da parte di un condomino della cosa comune, senza disporre un divieto assoluto di tale uso), ma, piuttosto, esercitando detto potere in modo distorto, atteso che il mero posizionamento di un contatore sulle pareti esterne dell'edifico rientra nelle facoltà del condomino, in ordine alla migliore e razionale utilizzazione della cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c. Premesso quanto esposto, dall'accoglimento del motivo di appello proposto da (...) discende l'annullamento della delibera condominiale del 19.2.2013 limitatamente al punto numero quattro dell'ordine del giorno. 3.2. Sulla regolazione delle spese legali del primo grado di giudizio. Come già esposto, (...) censura la sentenza del Tribunale di Catanzaro anche in ordine al capo relativo alla regolazione delle spese legali del primo grado di giudizio. Secondo l'appellante, il giudice di primo grado ha erroneamente condannato l'attrice al rimborso delle spese legali in favore del Condominio, in ragione della errata ricostruzione e interpretazione del fatto, in particolare, in relazione al punto numero quattro della delibera impugnata. Inoltre, a suo dire, la condanna alle spese sarebbe ingiusta, anche, in ordine agli altri capi della sentenza, giacché il giudice non si è avveduto della cessata materia del contendere derivante dalla modifica normativa apportata all'art. 1129 c.c. e dall'ordinanza del Tribunale resa nell'ambito del procedimento di volontaria giurisdizione, avente ad oggetto la nomina dell'amministratore del Condominio, sicché - avendo la (...) impugnato la delibera condominiale, al fine di far cessare la prassi dell'ex amministratore di scegliere, a discapito dei condomini, imprese di sua fiducia - una volta cessato dalla carica l'amministratore, era venuto meno anche l'interesse alla decisione, fatta eccezione per il punto quattro dell'ordine del giorno ed alla relativa parte della delibera impugnata. La censura è fondata limitatamente al primo aspetto, atteso che l'accoglimento dell'appello in ordine alla parte di delibera condominiale avente ad oggetto il punto n. 4 dell'ordine del giorno comporta una reciproca, per quanto parziale, soccombenza delle parti che giustifica una corrispondente parziale compensazione delle spese di lite (si cui v. infra). Quanto al secondo aspetto, la censura non merita l'accoglimento. In effetti, l'odierna appellante ha limitato la sua impugnazione, esclusivamente, alla statuizione della sentenza di primo grado resa in ordine alle contestazioni sollevata sul punto numero quattro dell'ordine del giorno oggetto della Delib. del 19 febbraio 2013, più volte citata, senza, quindi, impugnare anche le altre statuizioni di rigetto rese dal giudice di primo grado, con la conseguenza che, rispetto a queste ultime, la soccombenza (ossia il rigetto nel merito della sua domanda) si è cristallizzata ed è cosa giudicata. Peraltro, anche volendo trascurare tale assorbente circostanza, deve escludersi che la cessazione dell'incarico dell'amministratore del condominio abbia determinato la cessazione della materia del contendere, atteso che l'impugnazione della delibera condominiale, prescindendo dalla intenzioni soggettive e dagli scopi reconditi della (...), aveva ad oggetto determinate statuizioni dell'assemblea di condominio, la cui efficacia non è certo venuta meno (l'approvazione del bilancio consuntivo per l'anno 2012 ed il relativo piano di riparto delle spese; la mancata nomina di un nuovo amministratore; l'approvazione del bilancio preventivo per l'anno 2013 ed il relativo piano di riparto delle spese). Premesso questo, la prevalente soccombenza di (...) (in relazione a tre importanti decisioni della assemblea di condominio sul totale di quattro) giustifica, in parziale riforma del capo si sentenza sul punto, la compensazione, nella misura di un quarto, delle spese legali del primo grado di giudizio, già liquidate dal Tribunale nell'intero, con condanna di (...) al rimborso, in favore del Condominio di Via (...), dei restanti tre quarti. 3. Sulle spese del presente grado di giudizio. Con riguardo alle spese del giudizio d'appello, la parziale reciproca soccombenza delle parti (della (...) in ordine alla pronuncia sulle spese del giudizio di primo grado) giustifica la compensazione tra le parti nella misura di un terzo delle spese legali del presente grado di giudizio, con condanna del Condominio appellato al rimborso dei restanti 2/3 nei confronti dell'appellante, in virtù della prevalente soccombenza. Tenuto conto del valore della controversia e della concreta attività difensiva svolta, oltre che dei parametri della tariffa forense (D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 37 del 2018), le spese del presente grado di giudizio sono liquidate, nell'intero, in complessivi Euro 690,00 per onorari (euro 150,00 per la fase di studio della controversia; Euro 150,00 per la fase introduttiva; Euro 180,00 per fase istruttoria e di trattazione ed Euro 210,00 per la fase di decisione), nonché in Euro 147,10 per spese vive documentate, oltre accessori di legge. Quanto ai rapporti processuali con i singoli condomini, rimasti estranei, personalmente, alla controversia (riguardate il condominio nel suo complesso), le spese processuali del giudizio di appello possono essere compensate per intero. Conseguono le statuizioni di cui al dispositivo. P.Q.M. La Corte di Appello di Catanzaro, definitivamente pronunciando, sull'appello proposto da (...), avverso la sentenza n. 1421/2018, emessa dal Tribunale civile di Catanzaro in data 26.7.2018 e pubblicata in data 30.7.2018, all'esito del procedimento n. 1153/2013 r.g.a.c., disattesa ogni altra istanza, eccezione o domanda, in parziale riforma della sentenza impugnata, così provvede: - dichiara la contumacia del Condominio di via (...) di C. e di (...) ed altri; - annulla la delibera condominiale del 19.2.2013, limitatamente alla decisione sul punto numero quattro dell'ordine del giorno; - compensa per un quarto le spese del primo grado di giudizio, liquidate nell'intero dal Tribunale, e condanna (...) al pagamento, in favore del Condominio di via (...) di C., dei residui tre quarti; - compensa nella misura di un terzo le spese del presente grado di giudizio, liquidate nell'intero in Euro 690,00 per onorari ed Euro 147,10 per spese vive, oltre accessori di legge, e condanna il Condominio di via (...) di C. al rimborso dei restanti due terzi nei confronti di (...); - compensa per intero le spese del giudizio di appello quanto rapporti processuali relativi ai singoli condomini sopra indicati. Così deciso in Catanzaro il 19 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2023.

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