Sentenze recenti decoro architettonico

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI NAPOLI SESTA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, in persona del Giudice, Salvatore Di Lonardo, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 36103/2018 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2018; avente ad OGGETTO: "impugnazione delibera assembleare condominiale"; vertente TRA (...) entrambi rappresentati e difensi dall'Avv. (...); E (...), in persona del proprio amministratore, ing. (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...); CONCLUSIONI Come in atti. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (...) premesso di essere proprietari dell'unità (...), hanno impugnato la delibera assunta in seconda convocazione dall'assemblea condomini ile in data 15.10.2018, limitatamente all'approvazione del progetto per l'installazione dell'impianto ascensore ed al conseguente affidamento dell'appalto alla ditta (...). Tale deliberato è stato approvato da venti condomini (su ventiquattro), per un totale di 833,64 millesimi, con voto contrario degli attori. Nel processo si è costituito il convenuto (...), il quale - con istanza reiterata nella propria comparsa conclusionale depositata il 5 dicembre 2023 - ha chiesto, in via pregiudiziale, di dichiarare "l'improcedibilità della domanda giudiziale per genericità ed indeterminatezza della domanda formulata con l'esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, per l'asimmetria e la diversa causa petendi tra dette domande". La questione è stata già decisa con ordinanza del 3 maggio 2019, nella quale si legge testualmente: "ritenuta infondata l'eccezione del Condominio convenuto relativa alla improcedibilità della domanda per l'asserita genericità ed asimmetria della stessa rispetto alla domanda oggetto dell'esperito tentativo obbligatorio di mediazione, in quanto, il verbale di chiusura della seconda procedura di mediazione, recante la data del 7.12.2018, indica espressamente l'oggetto della procedura de qua, "Impugnativa delibera assembleare", nonché le ragioni della pretesa, richiamando proprio il punto 1 dell'ODG relativo alla convocazione della assemblea condominiale del 15/10/2018, in cui si decideva e si votava a favore della installazione dell'impianto elevatore della quale discutono gli odierni attori, agendo in giudizio con la impugnazione della relativa delibera ("Impugnativa delibera assembleare del 15.10.2018 in quanto il punto 1 dell'odg che prevede l'installazione dell'ascensore viola le norme del c.c. e del regolamento condominiale che regolano la proprietà privata dei condomini"). Pur a prescindere dal valore sostanziale, di ordinanza o di sentenza, che si voglia riconoscere al suindicato provvedimento, lo stesso merita di essere qui integralmente condiviso, non avendo la parte, peraltro, prospettato argomentazioni che possano indurre a defletterne. Per ciò che concerne, invece, il merito del processo, il primo motivo di impugnazione attiene alla violazione degli artt. 3 e 17 del regolamento condominiale, i quali, però, non assumono nessuna rilevanza rispetto all'oggetto del deliberato: l'art. 3 si limita ad indicare le cose di proprietà comune; l'art. 17, invece, indica divieti del tutto estranei alla fattispecie in esame. In realtà, le disposizioni del regolamento condominiale sono richiamate perché gli attori ritengono violata la procedura prevista dall'art. 1117 ter c.c. Si legge in citazione: "Il (...) ha violato gli artt. 3 e 17 del predetto regolamento dove rispettivamente vengono individuate le parti comuni e posti i divieto al loro ingombro. Questo poiché l'art. 1117 ter c.c. al comma terzo prevede, a pena di nullità, che nella convocazione devono indicarsi le parti comuni oggetto dell'installazione ovvero del progetto esecutivo dell'impianto e la convocazione di tutti coloro che hanno diritti su quelle parti indivise". Ritiene questo Giudice che l'art. 1117 ter del codice civile è norma non applicabile nella fattispecie in esame; considerato, peraltro, che l'installazione dell'ascensore all'interno del (...), è opera favorita dal legislatore (arg. sulla base della legge n. 13/89). Nella piena consapevolezza delle difficoltà interpretative poste dalla summenzionata norma - in rapporto con la diversa disciplina dettata dal successivo art. 1120 per le innovazioni - deve ritenersi che, così come sostenutosi da una parte della dottrina, l'art. 1117 ter "riguarda particolari e complesse fattispecie condominiali di modifiche di destinazione d'uso che impongono, per soddisfare esigenze di interesse condominiale, all'assemblea di adottare delibere con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quinti del valore dell'edificio. Ad un primo esame del nuovo art. 1117 ter si possono, quindi, configurare limitate ipotesi di applicazione (ad esempio, installazione di una piscina, di un campo di tennis o di calcio nell'area comune, modifica della destinazione pertinenziale dei locali adibiti ad alloggio del portiere, accorpamento di più edifici in un unico condominio). Non possono certamente farsi rientrare nella ipotesi di modificazione delle destinazioni d'uso da approvare con la maggioranza (quasi bulgara) dei quattro quinti le delibere di installazione ... di un ascensore...". Per vero, altra diversa opinione dottrinale individua in maniera precisa le differenze tra le "modifiche alla destinazione d'uso", di cui si occupa l'art. 1117 ter cit., e le "innovazioni tradizionali" disciplinate dall' art. 1120, le quali si distinguono, non solo per un aspetto formale (le differenti maggioranze prescritte), ma per il loro contenuto, "vale a dire per la possibilità di incidere sul godimento delle cose comune da parte dei singoli": "mentre le innovazioni tradizionali incontrano la barriera insuperabile della intangibilità del godimento da parte dei singoli, la circostanza che le modifiche alla destinazione d'uso possano privare dell'uso alcuni condomini si spiega con il contenuto di questi mutamenti, che non alterano la morfologia delle cose: vale a dire, che non alterano la struttura (materiale) di esse, ma afferiscono al solo godimento. L'ammissibilità delle modifiche alla destinazione d'uso, che rendono inservibili le parti comuni a taluni condomini, non raffigura una svista, o una contraddizione. Inserito nel sistema, il nuovo assetto si presenta come una scelta non irrazionale". La dottrina in esame, per meglio esplicitare il proprio pensiero, propone il seguente esempio: "la trasformazione del cortile in parcheggio per assegnare i posti auto ai condomini; oppure, con la stessa finalità, lo scavo del sottosuolo nel cortile per ricavare i box per le auto. Nel primo caso, la maggioranza qualificata può validamente deliberare, anche se la delibera rende impossibile l'uso di taluni condomini, perché i posti auto non risultano sufficienti, trattandosi di decisione che non incide sulla sostanza della cosa comune e che, pertanto, può essere rivista con diversa assegnazione dei posti auto, per sorteggio o con uso turnario. Nel secondo caso, invece, poiché l'entità materiale della res viene ad essere alterata in modo conclusivo, quando alcuni partecipanti vengono esclusi le innovazioni non possono essere approvate dalla maggioranza". All'evidenza, a prescindere dall'adesione all'uno o all'altro degli indirizzi suesposti, l'art. 1117 ter c.c. è norma estranea al caso in esame, rispetto al quale trova applicazione il regime delle innovazioni tradizionali e, pertanto, salvo quanto previsto con riferimento alle maggioranze contemplate dalla legge speciale, l'installazione di un ascensore a servizio di un edificio che in precedenza ne era sprovvisto deve essere astrattamente deliberata dall'assemblea con le maggioranze di cui agli artt. 1120, co. 1, e 1136, co. 5, c.c.; dunque, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio. Peraltro, si è evidenziato come alla stregua di una lettura costituzionalmente orientata e in applicazione sia del principio di solidarietà condominiale che della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità 13 dicembre 2006, ratificata con l. 3 marzo 2009 n. 18, la deliberazione di installazione di ascensore con una maggioranza inferiore a quella prescritta dall'art. 1120, comma 1, c.c. è valida anche in mancanza di specificazione del fine di eliminazione delle barriere architettoniche ai sensi dell'art. 2 l. n. 13 del 1989 e, altresì, in assenza di disabili nell'edificio, in quanto nella stessa è immanente la finalità legittima di consentire l'accesso ai portatori di handicap senza difficoltà in tutti gli edifici e non solo presso la propria abitazione, essendo ostativo non il mero disagio bensì solo l'inservibilità della cosa comune al godimento e uso anche di un solo condomino, intesa come concreta inutilizzabilità secondo la sua naturale fruibilità, con la salvaguardia comunque del decoro architettonico e la sicurezza da valutare, però, nella loro essenzialità ed incidenza negativa non minimale (Cass. 18334/2012). Vieppiù, trattandosi di impianto suscettibile di utilizzazione separata, lo stesso può essere attuato anche a cura e spese di uno o di taluni condomini soltanto (con i limiti di cui all'articolo 1102), salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuente (...) settembre 2017 n. 2071). Ulteriore motivo di impugnazione attiene alla mancanza del quorum richiesto dall'art. 1120 del codice civile. Trattasi, però, di motivo inammissibile, in quanto così genericamente dedotto: "è bene precisare che venivano conteggiati nella votazione anche condomini non interessati all'installazione ed esclusi dalla relativa ripartizione della spesa per la quota di pagamento. In effetti, il totale dei millesimi a favore dell'installazione dell'ascensore e paganti sono 606,58 per quindici condòmini su ventiquattro, salvo errori ed omissioni. Ordunque, ai fini del quorum necessario per votare tale innovazione mancano i millesimi richiesti dall'art. 1120 c.c. relativo alle innovazioni". Tale affermazione non consente - in difetto di ulteriori precisazioni - di smentire il diverso quorum di 861,29/1000 indicato nella delibera. Infine, gli attori si dolgono della lesione che il progetto del nuovo ascensore arreca alla loro proprietà. Nello specifico, l'impianto di cui trattasi, così come deliberato dall'assemblea, deve essere realizzato all'esterno, sul prospetto Nord - Ovest, nel retro dell'edificio (...) sull'area attualmente adibita a giardino, come meglio si evince dalla foto che segue. (...) e (...) denunciano la violazione delle distanze, in ragione della contiguità dell'ascensore alla finestra della loro cucina, e si lamentano della conseguente perdita di luce che ne seguirebbe, laddove venisse realizzato l'impianto, oltre che delle inevitabili immissisioni rumorose. Peraltro, considerato il punto di primo imbarco dell'ascensore, gli attori lamentano la violazione della loro privacy "il vano ascensore sarebbe prospeciente alla finestra dell'appartamento e, dunque, condomini e visitatori, nell'uso dell'ascensore, potrebbero guardare direttamente all'interno della abitazione, determinando un'invasione della privacy della famiglia (...) e condizionando così la libera vivibilità della loro quotidianità domestica". Infine, si legge in citazione che "i sigg. (...) ..., vedrebbero decrescere il valore economico del loro appartamento a causa dell'installazione dell'ascensore, oltre che per immissioni di rumori, vibrazioni, cattivi odori, problematiche termiche e onde elettromagnetiche, anche per il fatto che la loro proprietà è sita al pianterreno dello stabile". In alternativa, (...) e (...) hanno proposto una diversa collocazione dell'ascensore, sul lato Sud -Est del fabbricato, ove si trova l'ingresso della scala I. Rispetto a tali specifiche doglianze è stato nominato un CTU, al quale, tra gli altri accertamenti, è stato dato l'incarico di "verificare se il progetto alternativo prospettato dagli attori rappresenti valida alternativa sotto tutti i punti di vista anche in merito alle doglianze articolate rispetto al progetto del condominio". Sul punto, l'odierno giudicante ritiene di dover condividere quanto affermato dal (...): non è consentito in tal sede sindacare il merito della scelta tra l'uno o l'altro progetto, potendosi solo verificare la legittimità della volontà assembleare; per il che deve senz'altro escludersi che sia ravvisabile il vizio di eccesso di potere denunciato in citazione. Venendo all'impianto ascensore deliberato dall'assemblea, il CTU ha accertato che: - a) "la distanza tra la parete esterna della cabina ascensore e il filo esterno parete del vano finestra dell'ambiente cucina asservito all'appartamento posto al piano ammezzato di proprietà (...) è pari a ml = 2,92"; - b) "l'impianto ascensore previsto, del tipo panoramico con castelletto metallico e pannellature in cristallo di sicurezza trasparente, produce una minore luminosità sull'apertura del vano finestra "fi" dell'ambiente cucina asservito all'appartamento dei ricorrenti come segue: Sulla finestra "fi" la proiezione dell'impianto elevatore su tale vano incide per una larghezza pari a ml = 0,30 e, considerando la larghezza di apertura del vano, pari a ml 1,30, si ha una luminosità ridotta pari al 23%". Infine, il CTU ha verificato che l'impianto non rispetta le condizioni di accessibilità e di imbarco diretto per i disabili previste dalla legge 13/89. Orbene, poiché il nuovo ascensore deve essere realizzato all'esterno del fabbricato, con una struttura avente una propria consistenza, lo stesso non può essere considerato - come vorrebbe parte convenuta - un "volume tecnico" sottratto al rispetto delle distanze legali (si veda, Cass. 34461/2023, che ha ritenuto di dover correggere la motivazione della decisione impugnata ex art. 384 c.p.c., u.c., in quanto il dispositivo adottato era giustificato non in ragione della qualificazione dell'ascensore e della sua struttura prefabbricata di metallo e vetro come volume tecnico, ma in base alla normativa in tema di abbattimento delle barriere architettoniche). Conseguentemente, alla luce delle verifiche compiute dal CTU, può dirsi accertato che l'ascensore oggetto del deliberato assembleare, in quanto collocato a distanza inferiore a tre metri rispetto alla finestra del vano cucina degli attori, viola l'art. 907 c.c., quale norma applicabile anche nei rapporti tra condomini di un edificio (Cass. n. 10563 del 2001 e Cass. n. 23023 del 2000). Né, tale violazione può dirsi giustificata dalla normativa in materia di abbattimento delle barriere architettoniche, non risultando rispettate le relative condizioni di legge (non rilevano, rispetto alla decisione da assumere in questa sede, le eventuali conseguenze derivanti dagli incentivi del superbonus di cui fa menzione il convenuto nei propri atti difensivi). Orbene, non essendo l'impianto ascensore destinato all'abbattimento delle barriere architettoniche, la violazione della distanza prevista dall'art. 907 c.c. determina l'illegittimità della delibera assembleare, posto che se non possono essere lesi da delibere dell'assemblea condominiale, adottate a maggioranza, i diritti dei condomini attinenti alle cose comuni, a maggior ragione non possono essere lesi, da delibere non adottate all'unanimità, i diritti di ciascun condomino sulla porzione di proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative. Né l'ascensore può essere considerato impianto indispensabile per un'effettiva abitabilità dell'appartamento, non avendo la medesima funzione degli impianti di luce, acqua, riscaldamento e similari, rispetto ai quali pure si ammette - in determinati limiti - la possibilità di derogare alla normativa sulle distanze. La delibera assembleare deve, per tale ragione, essere dichiarata nulla. In considerazione del fatto che non tutti i motivi di impugnazione si sono rivelati fondati, le spese di lite, ivi comprese quelle afferenti alla doppia fase cautelare, possono essere parzialmente compensate tra le parti. La compensazione va disposta nella misura del 30%, anche con riguardo all'espletata CTU, il cui costo risulta interamente anticipato in via provvisoria dagli attori nella misura di euro 3.924,63. Tra le spese di lite da liquidarsi in tal sede rientrano certamente quelle afferenti alla fase cautelare della sospensione della delibera (da determinare tenendo conto del risultato complessivo della causa, indipendentemente dalle ragioni specifiche del subprocedimento), ma non possono considerarsi quelle relative alla mediazione svoltasi con riguardo ad altra e diversa delibera assembleare. Devono essere riconosciute, invece, le spese inerenti alla seconda procedura di mediazione, recante la data del 7.12.2018, strumentalmente collegata al presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, in persona del Giudice, Salvatore Di Lonardo, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: - a) dichiara la nullità della delibera impugnata; - b) compensa per il 30% le spese di lite e pone il rimanente 70% a carico del convenuto, (...), che in tal parte liquida nella misura di euro 3.215,96 per esborsi (ivi comprese le spese di CTU) ed euro 7.700,00 per compenso professionale (di cui: euro 4.900,00 per il giudizio di merito; euro 1.050,00 per la fase di mediazione; euro 1.750,00 per la fase cautelare), oltre rimborso spese generali (15%), IVA e CPA come per legge. Così deciso il 23 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2999 del 2020, proposto da Ditta Sp. di Ca. Pe., Ditta St. di Ca. Bo., in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, Mi. Pe., rappresentati e difesi dall'avvocato Fr. Lo., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Cl. in Roma, viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Em. Ca., con domicilio eletto presso lo studio An. Ma. in Roma, via (...); nei confronti Ro. Ma., An. Or., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda n. 990/2019 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Davide Ponte; nessuno è comparso per le parti costituite in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Mi. Te.". Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in esame l'odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 990 del 2019 del Tar Friuli Venezia Giulia, di rigetto dell'originario gravame; quest'ultimo era stato proposto dalla medesima parte istante al fine di ottenere, in via principale, l'annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale n° 81 del 3.10.2016 avente ad oggetto "variante alle N.T.A. del P.R.G. di (omissis) ai sensi dell'art. 18 della L.R. 23 aprile 2004 n. 11 e per la tutela del decoro architettonico e degli allineamenti dei fronti edificati nelle strade e piazze pubbliche con destinazione commerciale al piano terra". In particolare, le parti originarie ricorrenti agivano in qualità di proprietari di unità immobiliari a destinazione commerciale allocate in area interessata dalle previsioni della citata variante che hanno vietato la realizzazione di interventi edilizi al piano terra in sopravanzamento rispetto al fronte attuale lungo l'intera estensione, da ambo i lati, di sette strade principali e piazze del territorio di (omissis), nonché lungo tutte le "strade laterali che si innestano nelle direttrici indicate al comma precedente", al dichiarato fine di salvaguardare "l'integrità dei fronti edificati esistenti" e "in conseguenza della normativa statale e regionale c.d. "Piano Casa"". 2. La domanda principale è stata respinta. Inoltre, il Tar ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il primo ricorso per motivi aggiunti avverso la deliberazione consiliare n° 118 dd. 29.12.2016 avente ad oggetto "variante parziale al P.R.G. di (omissis) ai sensi dell'art. 18 della L.R. 23 aprile 2004 n. 11 e per la tutela del decoro architettonico e degli allineamenti dei fronti edificati nelle strade e piazze pubbliche con destinazione commerciale al piano terra, controdeduzione alle osservazioni ed approvazioni pubblicata all'Albo pretorio online in data 11.1.2017", nonché dichiarato improcedibile il secondo ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento di archiviazione della domanda di autorizzazione paesaggistica ex ad. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42/2004, emesso dal Comune il 20.7.2017 prot. n. 20339. 3. In sede di appello, venivano dedotti i seguenti motivi di gravame: - violazione e falsa applicazione di legge degli artt. 1, 4, e 7 della l. 1150/1942, nonché 1, 2 e 7 della l.r. 11/2004 e 3 e 42 TUEL, mancato rilevamento dei vizi di sviamento di potere, di adozione di una variante "ad personam", dei principi della funzione urbanistica, e dell'assenza di un interesse generale, travisamento di fatto; - mancato rilevamento dei vizi di eccesso di potere per falsità di presupposto, illogicità, incongruenza e contraddittorietà manifesta, difetto di istruttoria e carenza di motivazione, nonché disparità di trattamento, travisamento di fatto; - violazione e falsa applicazione di legge degli artt. 1, comma 2, e 9, comma 1, lett. c), l.r. 14/2009 e s.m.i., mancato rilevamento dei vizi di difetto di motivazione ed eccesso di potere per difetto istruttoria circa il requisito della "incompatibilità assoluta"; - violazione e falsa applicazione di legge degli artt. 3, 12, 13, 14, 17 e 18 della l.r. 11/2004 e s.m.i., mancato rilevamento della violazione dei "livelli di pianificazione" e della contraddittorietà con il P.A.T.; - violazione e falsa applicazione di legge dell'art. 42 Cost., dell'art. 11, c. 1, D.P.R. n° 380/2001, e dell'art. 21 L. R. n° 11/2004, mancato rilevamento dell'illegittima istituzione implicita di obbligo di comparto fuori dai casi di legge e senza perimetrazione; della mancata definizione degli ambiti e dei criteri della "deroga" consentita con atto di governo; del vizio di difetto di motivazione, violazione e falsa applicazione di legge dell'art. 42 TUEL, mancato rilevamento della creazione di una nuova prerogativa Consiglio Comunale; - violazione e falsa applicazione di legge degli artt. 3 della l. 241/1990 e 17 l.r. 11/2004, mancato rilevamento del difetto di motivazione e dell'indeterminazione/inintelligibilità dei disposti prescrizionali; - violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l. 241/1990, mancato rilevamento del difetto di motivazione, dell'assenza dei criteri generali e informatori della variante, nonché dell'illogicità manifesta dell'estensione della variante; - violazione e falsa applicazione di legge dell'art. 18, comma 4, l.r. 11/2004, mancato rilevamento del vizio di eccesso di potere e difetto di motivazione delle controdeduzioni alle osservazioni urbanistiche; - violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell'art. 35, comma 1, lettera c), c.p.a. e dell'art. 100 c.p.c. per erronea dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, nonché dell'art. 146, comma 4, d.lgs. 42/2004; - riproposizione dei motivi di cui al secondo ricorso per motivi aggiunti. 4. Il Comune parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello. Alla pubblica udienza di smaltimento dell'8 maggio 2024 la causa passava in decisione. 5. Oggetto controverso della sentenza impugnata è, in via principale, la variante urbanistica che ha introdotto nel piano regolatore vigente ratione temporis l'articolo 10-bis NTA che, sotto la rubrica "Decoro architettonico ed allineamenti" e "al fine di uniformare l'arredo urbano ed il decoro architettonico delle strade che formano l'asse commerciale di (omissis)", ha così disposto: "per ragioni di uniformità dell'arredo urbano e di decoro architettonico, si considerano come ambiti di integrità dei fronti edificati esistenti, gli spazi pubblici e privati antistanti gli edifici posti lungo le seguenti strade e piazze pubbliche: 1) Viale (omissis), 2) Viale (omissis) (fino alla (omissis)), 3) Corso (omissis) (da Via (omissis) a Piazzale (omissis)), 4) Passeggiata (omissis) (da Corso (omissis) a Via (omissis)), 5) Piazza (omissis), 6) Piazza (omissis), 7) Viale (omissis)" (comma 1); analogamente, sono "ambiti di integrità dei fronti edificati esistenti" anche "gli spazi pubblici e privati antistanti gli edifici posti lungo i fronti delle strade laterali che si innestano nelle direttrici indicate al comma precedente"; a questi fini, e nelle strade indicate, sono vietati "gli interventi edilizi al piano terra in sopravanzamento rispetto al fronte attuale" quale ""specifica norma di tutela" ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera c) della lr n. 14/2009 e s.m.i."; nelle strade laterali che si innestano sulle sette direttrici principali indicate, invece, il divieto può essere derogato, purché "l'ampliamento in progetto riguardi contemporaneamente ed uniformemente l'intero fronte dell'edificio interessato, previa determinazione del consiglio comunale che si esprime in base ad una motivata relazione". Le parti originarie ricorrenti sono titolari di negozi situati al piano terra del condominio "Pe.", all'angolo fra Viale (omissis) e Via (omissis), lese dalla deliberazione impugnata in via principale in quanto in data 23.8.2016 avevano formulato istanza di ampliamento verso il fronte stradale, in deroga ai sensi della disciplina regionale applicativa del c.d. piano casa. 6. L'appello è infondato, risultando pienamente condivisibili le considerazioni poste a base della sentenza impugnata. 7. In relazione al primo motivo di appello, con cui si reitera il vizio dedotto in termini di variante ad personam, vanno ribaditi alcuni principi generali, rilevanti anche per le restanti censure. 7.1 Se in astratto le scelte effettuate dall'Amministrazione in sede di pianificazione urbanistica costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità se non per profili di manifesta illogicità ed irragionevolezza, il conseguente principio secondo cui l'onere di motivazione gravante sull'Amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico o di una sua variante è di carattere generale e deve ritenersi soddisfatto con l'indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e specifica, subisce però un'attenuazione quando si tratti di previsioni interessanti la pianificazione di un'area determinata o di aree specifiche o quando si ledono legittime aspettative dei privati (Consiglio di Stato, sez. VI, 10/06/2021, n. 4454). 7.2 Peraltro, nella fattispecie sub iudice, l'onere motivazionale a suffragio della scelta pianificatoria di escludere la realizzazione di interventi edilizi in sopravanzamento rispetto al fronte attuale degli edifici esistenti lungo una serie di arterie comunali, deve ritenersi assolto in modo congruo e logico e con sufficiente grado di specificità . Infatti, nella gravata deliberazione comunale viene evidenziato con chiarezza il fine di realizzare obiettivi di interesse generale, consistenti nella preservazione del decoro architettonico delle aree interessate dalla variante, concernenti non una sola ma diverse aree, individuate in dettaglio a fini di chiarezza. 7.3 Quindi, la determinazione urbanistica di fondo, se per un verso risulta espressamente basata sull'obiettivo di garantire l'uniformità dell'arredo urbano e di decoro architettonico, in specifica valutazione conseguente agli effetti di una innovazione normativa di impatto peculiare sul contesto urbano di riferimento (il c.d. piano casa) - con ciò evidenziando una coerenza allo stato di fatto e di diritto, senza alcun travisamento -, per un altro verso appare estesa oltre i soli immobili delle parti istanti, con una valenza più ampia, del tutto coerente alla natura pianificatoria della variante stessa. 7.4 Il richiamo al dibattito consiliare ed ai singoli specifici progetti non incide sulla sussistenza dei predetti presupposti di coerente motivazione e valutazione, ma semmai conferma la sussistenza di una specifica istruttoria, basata correttamente sulla situazione in atto nelle aree interessate, senza che gli stralci evocati siano assurti alla veste di motivazione della variante. 8. In relazione al secondo motivo di appello, concernente la presunta inutilità e tardività della variante, sulla scorta dei principi predetti la censura è infondata, sia per il carattere permanente del potere pianificatorio, che anzi logicamente si muove anche sulla scorta dell'analisi derivante dall'impatto di elementi esogeni e di evoluzione del contesto di riferimento, di fatto e di diritto, sia per l'irrilevanza della paventata già avvenuta compromissione. A quest'ultimo riguardo, fermi i consolidati limiti di sindacabilità delle scelte di merito di pianificazione, l'eventuale parziale compromissione a maggior ragione conforta la scelta di intervento compiuta dagli organi comunali. 9. In relazione al terzo motivo di appello, concernente la violazione della disciplina in tema di "piano casa", assume rilievo dirimente la natura peculiare della normativa evocata. 9.1 La norma richiamata (art. 9 l.r. 14 del 2009) così statuisce: "gli interventi previsti dagli articoli 2, 3, 3-ter, 3-quater e 4 non trovano applicazione per gli edifici....c) oggetto di specifiche norme di tutela da parte degli strumenti urbanistici e territoriali che non consentono gli interventi edilizi previsti dai medesimi articoli 2, 3, 3-ter, 3-quater e 4". 9.2 Invero, se da un canto la previsione non è tale da escludere la permanenza del generale potere pianificatorio, da un altro canto la stessa natura di variante operante per una serie predeterminata di vie e quindi di edifici appare coerente alla indicazione normativa. In ogni caso, quest'ultima va intesa in termini coerenti alla riconosciuta (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 28/07/2022, n. 6637) natura straordinaria degli interventi consentiti dalle norme sul c.d. "Piano casa", soggetti a disciplina speciale, come tali oggetto di stretta interpretazione; in tale ottica, pertanto, le limitazione individuate a livello pianificatorio non possono essere intese in termini riduttivi, come deriverebbe dall'accoglimento dell'opzione oggetto di deduzione di parte appellante. 10. In reazione al quarto motivo di appello, relativo all'incompetenza del p.r.g. rispetto al p.a.t., la deduzione si scontra con il carattere generale del piano regolatore, oggetto di articolazione normativa regionale che non ne muta la natura di principio, nonché con il carattere della stessa previsione, con cui il Comune si è limitato a disciplinare le modalità di intervento edilizio in determinate aree del territorio, precludendo interventi in avanzamento sul fronte stradale, disciplinando quindi modalità costruttive limitate, in espansione, in termini coerenti al contesto di riferimento ed agli obiettivi urbanistico edilizi perseguiti. 11. Tali considerazioni vanno estese al quinto motivo di appello, con cui infondatamente parte appellante evoca un vincolo di inedificabilità assoluta. Peraltro, è proprio della pianificazione urbanistica comunale l'effetto, conseguente alla disciplina di zonizzazione e di attuazione, di porre dei limiti alla potestà edificatoria, come avvenuto nel caso di specie. 12. In relazione al sesto motivo di appello, in materia di comparto edificatorio e di incompetenza consiliare, si ribadisce la dedotta illegittimità della previsione pianificatoria impugnata, laddove si differenzia il trattamento degli edifici prospettanti sulle strade "laterali" ivi consentendovi ampliamenti purché riguardanti contemporaneamente ed uniformemente l'intero fronte edilizio interessato e preventivamente sottoposti a parere positivo del Consiglio comunale. 12.1 In proposito, per un verso appare fondata l'eccezione di inammissibilità per difetto di interesse, riproposta dal Comune, in quanto l'annullamento selettivo delle due previsioni speciali contestate col sesto motivo porterebbe solo a una riespansione del divieto generale di ampliamento, con conseguente assenza di interesse rispetto ad un peggioramento della disciplina, come effetto dell'eventuale accoglimento in parte qua. 12.2 Per un altro verso, il motivo è comunque infondato in relazione al presunto comparto, di cui mancano i presupposti. Come noto, il comparto edificatorio costituisce, di norma, uno strumento urbanistico di terzo livello - finalizzato a rendere possibile l'edificazione privata attraverso la formazione di consorzi tra proprietari rappresentanti un'elevata percentuale del valore dell'intero comparto, nonché l'espropriazione delle aree appartenenti ai proprietari non aderenti - che presuppone la già intervenuta approvazione non solo dello strumento urbanistico generale, ma anche dei relativi strumenti attuativi. Nel caso di specie la previsione in esame integra una modifica allo strumento generale, senza alcun carattere espropriativo per i non aderenti, che si limita a circoscrivere gli effetti di una regola costruttiva dettata a tutela del decoro urbano, definendone l'operatività in termini di ragionevole bilanciamento con la permanenza di possibilità edificatorie. 12.3 Per ciò che concerne infine la competenza, il Consiglio comunale è il titolare del potere principale in ambito urbanistico, quale titolare della adozione e della approvazione degli strumenti urbanistici, sia in generale (art. 42 comma 2 lett b, t.u. enti locali), sia in dettaglio con riferimento ad esempio ai permessi di costruire in deroga (cfr. ad es. art. 14 t.u. edilizia). 13. In relazione al settimo motivo di appello, concernente la genericità dei concetti e l'assenza di supporti grafici esplicativi, alla condivisione delle considerazioni svolte dai Giudici di prime cure, si accompagna la constatazione per cui la censura è contraddetta in radice dall'esame delle precedenti deduzioni, da cui emerge con chiarezza la portata e la lesività della disciplina in contestazione. 13.1 Nel merito, la portata dispositiva contestata appare di estrema chiarezza, in quanto vieta qualsiasi ampliamento al piano terra verso il fronte stradale tutelato, senza distinzioni di secondo grado e senza necessità quindi di alcun supporto grafico; ciò in coerenza rispetto alla corretta qualificazione della variante come "normativa, ossia diretta alla modifica delle NTA del piano regolatore e non anche dell'assetto urbanistico del territorio. 14. Le considerazioni sin qui svolte, in specie con riferimento alla adeguatezza della motivazione, vanno estese all'ottavo motivo di appello, nonché al nono. A quest'ultimo riguardo, se in linea generale le osservazioni costituiscono un mero apporto collaborativo (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 12/05/2016, n. 1917), nel caso di specie risultano essere state esaminate e respinte, sulla scorta della medesima chiara motivazione posta a fondamento della previsione contestata. 15. Il rigetto dei vizi di censura, riproposti sotto le vesti di motivi di appello e la conseguente condivisibilità delle conclusioni formulate dal Tar in relazione all'inammissibilità degli ulteriori motivi aggiunti ed all'improcedibilità del ricorso avverso l'archiviazione dell'autorizzazione, comporta altresì l'inammissibilità dei motivi riproposti. 16. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 17. L'appello va pertanto respinto. 18. Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori dovuti per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024, svoltasi in collegamento telematico, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 226 del 2020, proposto dai signori En. Pe. e Za. di Pe. En., rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Gu., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia, contro il Comune di (omissis), in persona della Commissione Straordinaria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Na. Po., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...), per la riforma della sentenza del T.a.r. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 336 del 16 maggio 2019, resa inter partes, concernente un diniego di concessione per occupazione di suolo pubblico. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), in persona della Commissione Straordinaria; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, c.p.a.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il consigliere Giovanni Sabbato e presente l'avvocato Gu.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso n. 448 del 2017, proposto innanzi al T.a.r. Reggio Calabria, il signor En. Pe., nella qualità di titolare dell'impresa individuale "Za.", aveva chiesto l'annullamento della nota prot. n. 850 del 29.05.2017 del Comune di (omissis), comunicata in pari data, con la quale l'Ente, confermando i motivi ostativi, già preannunciati ai sensi dell'art. 10-bis della L. n. 241/1990, al rilascio della concessione in occupazione relativamente alle superfici indicate in domanda, dichiarava la propria indisponibilità "ad assentire l'occupazione della rimanente superficie da lei richiesta (pedana in ferro e piano calpestato in legno della superficie di mq 9.89 totali) nonché dell'area per l'installazione del gazebo allo stato non assentibile unicamente per la mancata allegazione del nulla osta paesaggistico e, in ogni caso, salve ed impregiudicate eventuali richieste di acquisizioni di pareri o nulla osta occorrenti sulla base delle due future richieste". 2. A sostegno del ricorso, precisato che l'oggetto della domanda di concessione riguardava uno spazio pubblico comunale di fronte all'esercizio commerciale bar gelateria di cui è titolare, aveva dedotto che l'Amministrazione era caduta in errore nel ritenere che il rilascio della concessione di occupazione permanente dell'area pubblica in prossimità della fontana avrebbe inciso sulla visibilità e la fruibilità della stessa nonché sulla transitabilità pedonale. Nemmeno vi sarebbe stata alcuna violazione del d.P.R. n. 31/2017 e sarebbe anzi stato violato l'art. 10 del nuovo Regolamento Comunale T.o.s.a.p. che subordinerebbe al preventivo ottenimento dell'autorizzazione paesaggistica non il rilascio della concessione, bensì la sua esecuzione. 3. Nella resistenza del Comune di (omissis), il Tribunale adì to ha così deciso il gravame al suo esame: - ha respinto il ricorso; - ha condannato parte ricorrente alle spese di lite (Euro 2.000,00). 4. In particolare, il Tribunale ha escluso, alla luce della documentazione in atti, qualsiasi travisamento dei fatti circa l'incidenza dell'occupazione sui beni comuni, in quanto: - "il manufatto non rientra (...) tra quelli per i quali il D.P.R. n. 31/2017 consente l'esclusione dal rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, non risultandone comprovata la facile amovibilità, né che non siano realizzati con strutture stabilmente infisse al suolo"; - per la realizzazione del gazebo "non può operare la deroga di cui al richiamato articolo 2 del D.P.R. 31/2017, il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica deve necessariamente precedere la concessione di occupazione dell'area". 5. Avverso tale pronuncia il signor Pe. ha interposto l'appello in trattazione, notificato il 12 dicembre 2019 e depositato il 9 gennaio 2020, lamentando, attraverso due motivi di gravame (pagine 7-13), quanto di seguito sintetizzato: I) il Tribunale avrebbe dovuto rilevare che non vi è alcuna interferenza delle opere oggetto di autorizzazione rispetto alla fruizione della fontana ed il T.a.r. avrebbe errato nel valutare ed apprezzare la, semplicemente affermata, importanza storica ed artistica della fontana stessa, non documentata dall'Amministrazione comunale; II) il T.a.r. avrebbe errato anche in ordine alla contestata necessità di munirsi, preventivamente, di autorizzazione paesistica per la posa in opera del gazebo, trattandosi di opera precaria essendo semplicemente ancorata al suolo con bulloni e quindi facilmente smontabile e rimovibile. 6. L'appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell'impugnata sentenza, l'accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l'annullamento degli atti con lo stesso impugnati. 7. In data 17 febbraio 2020 il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio al fine di chiedere il rigetto dell'avverso gravame. 8. In data 2 febbraio 2024 parte appellata ha depositato memoria insistendo per il rigetto del gravame. 9. La causa, chiamata per la discussione all'udienza straordinaria del 6 marzo 2024, è stata trattenuta in decisione. 10. L'appello è infondato. 10.1. Come evidenziato da parte appellante nelle sue premesse in fatto, il Comune di (omissis) negava il rilascio di una concessione in occupazione permanente, della durata di cinque anni, di uno spazio pubblico comunale di fronte all'esercizio commerciale bar gelateria di cui il medesimo è titolare. Le questioni sollevate da parte appellante, come traspare da quanto dianzi esposto, vertono sui profili fattuali della vicenda di causa, in quanto involgono l'effettiva incidenza delle opere sulla fruizione della fontana e la rilevanza costruttiva del gazebo. 11. Per tali ragioni i motivi d'appello sono suscettibili di essere esaminati congiuntamente disvelandosi infondati per le seguenti ragioni: - dalla documentazione agli atti del giudizio di prime cure emerge con evidenza il notevole impatto che deriva dall'intervento richiesto da parte appellante; - in particolare, dalla documentazione fotografica prodotta dal Comune in prime cure (allegato n. 3), ove sono raffigurate le aree occupate dalla società e quelle che intende occupare, si evince il notevole impatto visivo e funzionale che le opere in progetto avrebbero ove realizzate; - il gazebo, da una parte, e la pedana, dall'altra, andrebbero infatti ad incidere sulla latistante fontana in maniera chiaramente pregiudizievole ai fini della sua fruibilità visiva ed ostacolando il transito pedonale in un punto particolarmente trafficato; - il pregio architettonico che l'Amministrazione assegna alla fontana è di immediata percezione per le sue stesse caratteristiche estetico-monumentali oltre che per la sua posizione nevralgica nell'assetto territoriale del Comune; - non convince quindi quanto dedotto da parte appellante laddove esclude l'impatto estetico prodotto dalla presenza dei tavoli e della struttura per la loro consistenza e per il fatto che la fontana "rimane libera su due (lati) e completamente visibile dal lato strada"; - così pure non assume il rilievo auspicato da parte appellante il fatto che si tratterebbe di una fontana di recente edificazione, in quanto, a prescindere dalla sua effettiva o meno rilevanza storica, è il suo stesso pregio architettonico oltre che la sua collocazione nell'assetto viabilistico ad imporre l'esigenza di assicurarne la piena fruibilità visiva; - invero, fermo restando che l'esatto apprezzamento dell'incidenza estetica di un erigendo manufatto (così come la sua ricaduta economica sulla collettività, pure valorizzata dall'appellante) è affidata alle valutazioni di stampo discrezionale riservate all'Amministrazione, occorre ribadire che le considerazioni a base dell'atto impugnato non appaiono censurabili in considerazione delle caratteristiche dei luoghi, tanto più che risponde a oggettivi criteri di razionalità valorizzare l'impatto estetico delle opere in relazione a ciascuno e non soltanto ad alcuni dei lati della fontana, collocata peraltro in uno snodo stradale, come detto, particolarmente trafficato; - né possono assumere rilievo in questa sede le considerazioni di parte appellante afferenti alle conseguenze economiche del provvedimento impugnato in prime cure anche in ragione del ridimensionamento della clientela, postulando l'illegittimità dell'atto che invece, per le ragioni evidenziate, è da escludere; - nemmeno risulta fondato quanto dedotto al fine di escludere la necessità di munirsi, preventivamente, di autorizzazione paesistica per la posa in opera del gazebo; - sul punto, parte appellante, dopo aver valorizzato l'intervento del legislatore con il d.P.R. 31/2017 laddove "ha eliminato il c. d. elemento temporale essendo, oggi, del tutto irrilevante la circostanza che l'opera debba soddisfare una esigenza di pochi giorni o mesi, l'unico elemento degno di attenzione è quello strutturale al fine di qualificare l'opera come precaria o meno" (cfr. atto d'appello, pagina 12), sostiene che proprio le caratteristiche strutturali del gazebo consentirebbero di escludere la sua rilevanza paesaggistica essendo previsto in profilato metallico (acciaio) ed assicurato al suolo mediante bulloni metallici così da risultare facilmente amovibile; - giova però sottolineare al riguardo che il passaggio motivazionale che connota l'atto impugnato in prime cure, afferente appunto al gazebo in questione, si fonda sulla presa d'atto delle sue caratteristiche dimensionali, pari a mq. 49,07 e quindi senz'altro significative, e sul richiamo alla disciplina di cui al d.lgs. n. 42/2004 laddove prevede che "il rilascio di concessioni per occupazioni di suolo pubblico permanente o temporanee ma superiori a 120 gg., con installazione di strutture provvisorie, è subordinato alla preventiva acquisizione del nulla osta paesaggistico da parte della Città Metropolitana di Reggio Calabria"; - ne consegue che le deduzioni di parte appellante non sono calibrate rispetto al quadro motivazionale dell'atto impugnato e sono pertanto prive di attitudine patologica, alla luce di quanto statuito dall'art. art. 45, comma 1, del citato decreto laddove prevede che il competente Ministero ha "facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro"; - non vanno ad ogni modo trascurate le caratteristiche dimensionali e strutturali del manufatto in progetto siccome assumenti quei profili di stabilità e impatto visivo che impongono l'intervento dell'Autorità preposta alla tutela del paesaggio in un punto dell'assetto viario peraltro di particolare rilievo del Comune di (omissis), di notorio interesse turistico. 12. Tanto premesso, l'appello deve essere respinto. 13. Le spese di giudizio, stante la particolarità della vicenda sul piano fattuale, possono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 226/2020), lo respinge. Spese di grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024 svoltasi in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall'art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante "Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia", convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Sabbato - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE di APPELLO di NAPOLI VI sezione civile composta dai magistrati: 1) dr.ssa (...) D'(...) - Presidente 2) dott. (...) - (...) 3) dr.ssa (...) - (...) rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello iscritta al N. (...) R.G.A.C. per l'anno 2016, riservata in decisione all'udienza a trattazione scritta del 23.11.2023 (svolta con le modalità previste dall'art. 127ter cpc), vertente TRA (...) ((...)), rappresentato e difeso in giudizio, per mandato in atti, dall'avv. (...) presso il cui studio in Napoli, viale (...) n. 80, è elettivamente domiciliato; (...)# ((...)), rappresentato e difeso in giudizio, per mandato in atti, dall'avv. (...) presso il cui studio in Napoli, via (...) n. 394, è elettivamente domiciliato; Oggetto: appello contro la sentenza del Tribunale di Napoli n. ex/2015, pubblicata in data (...). CONCLUSIONI: come da note scritte autorizzate per l'udienza cartolare del 23.11.2023, da intendersi qui richiamate e trascritte. IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione notificato in data (...), (...) evocava in giudizio, innanzi al tribunale di Napoli, (...) per sentir accertare l'illegittima realizzazione, da parte del convenuto, di un'opera abusiva, non autorizzata, sul lastrico-terrazzo condominiale, che recava nocumento alla statica del fabbricato e alla sicurezza dei condomini, deturpando altresì il decoro architettonico dell'edificio; per l'effetto, chiedeva di condannare il convenuto alla rimozione dell'opera ed al ripristino dello stato dei luoghi nonché al risarcimento dei danni quantificati in Euro 15.000,00, ovvero, in subordine, al pagamento di identica somma a titolo di indennità ex art. 1127 c.c.. Con vittoria delle spese, da distrarre in favore del difensore antistatario. A sostegno della pretesa, l'attore esponeva di essere proprietario di due immobili siti in Napoli alla via (...) n. 29 (identificati al (...) al foglio 13, part. 127, sub. 11, cat. (...) e al foglio 13, part. 127, sub. 12, cat. (...)), in virtù di testamento olografo pubblicato il (...) per notaio (...) allegato alla dichiarazione di successione n. 1341 volume 4544; che nel novembre del 1990, il convenuto (...) proprietario dell'immobile sito al quarto piano del medesimo edifico (identificato al (...) al foglio 13, part. 127, sub. 24), aveva costruito un manufatto abusivo della metratura di circa 15 mq sul lastrico-terrazzo di copertura del fabbricato, posto a livello del suo appartamento, con conseguente aumento di volumetria dello stesso; che tale manufatto, non costruito a regola d'arte, pregiudicava la sicurezza del fabbricato, deturpando l'aspetto e il decoro architettonico dell'intero edificio; che l'opera abusiva modificava anche l'originario percorso delle acque piovane, costituendo la principale causa delle infiltrazioni verificatesi negli immobili esclusivi e nelle pareti condominiali; che, quanto realizzato concretizzava una costruzione sopra il lastrico - terrazzo a livello solare comune condominiale e tale circostanza autorizzava di per sé ogni singolo condomino ad attivarsi giudizialmente al fine di ottenere la rimozione delle opere abusivamente realizzate e il risarcimento del danno, atteso che in siffatto modo viene alterata la destinazione della cosa comune e si attrae, in contrasto con l'art. 1102, nella proprietà esclusiva un bene di uso condominiale. Radicata la lite, si costituiva in giudizio, con comparsa depositata in data (...), (...) contestando fermamente l'avversa pretesa, eccependo preliminarmente la maturata prescrizione atteso che, per stessa ammissione attorea, l'opera de qua sarebbe stata realizzata 20 anni addietro, nel lontano mese di novembre 1990. Nel merito, evidenziava come la domanda, oltre ad essere generica, fosse totalmente infondata, perché basata sull'erroneo assunto che la costruzione avrebbe impegnato un'area condominiale, laddove, di contro, si trattava di area di esclusiva proprietà e pertinenza del (...) Concludeva, pertanto, per l'integrale rigetto delle pretese attoree, inammissibili e improcedibili, anche in ragione della maturata prescrizione, ed in ogni caso infondate. Con vittoria delle spese di lite, con attribuzione al difensore antistatario. Esaurita l'attività istruttoria, con la resa dell'interpello deferito al convenuto e l'espletamento di CTU tecnica, la lite veniva definita con sentenza n. ex/2015, pubblicata in data (...), con cui il tribunale di Napoli così statuiva: "a) rigetta la domanda attorea; b) condanna l'attore alla refusione, in favore del convenuto, delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, IVA e (...) se dovute, come per legge, con attribuzione in favore dell'avv. (...) dichiaratosene anticipatario; c) pone definitivamente a carico dell'attore le spese di (...) con obbligo di refusione in favore del convenuto di quanto eventualmente da quest'ultimo anticipato a titolo provvisorio". Rilevava, infatti, il primo giudice che: "(...) la condominialità dell'area sulla quale è stato realizzato il manufatto in questione, devono essere rigettati i capi principali della domanda attorea avente ad oggetto la richiesta di ripristino dello status quo ante e del risarcimento dei danni patrimoniali asseritamente subiti nonché quello, articolato in via subordinata, di pagamento di una indennità ex art. 1127 c.c., tutti comunemente fondati sul presupposto assertivo, risultato infondato, di contitolarità dell'area del detto terrazzo. A voler, poi, qualificare quest'ultima richiesta come riferita all'ipotesi alternativa di costruzione del manufatto su area di proprietà esclusiva del convenuto, l'attore, divenuto condomino per effetto di acquisto mortis causa avvenuto nell'anno 2004, allorché il manufatto de quo, asseritamente integrante una sopraelevazione agli effetti in esame, era stato, a suo stesso dire, già realizzato dal convenuto, non è legittimato alla pretesa economica vantata, in applicazione del principio secondo cui avente diritto all'indennità prevista dall'art. 1127 quarto comma c.c. è colui che rivestiva la qualità di condomino al tempo della sopraelevazione od i suoi successori secondo le regole che disciplinano la successione nei diritti di credito, non colui che, come nella specie, sia divenuto successivamente proprietario della singola unità immobiliare (Cass. Civ. 1263/1999)". (...) tale sentenza, non notificata, con atto di citazione notificato in data (...), proponeva appello (...) contestando al tribunale: 1) di aver giudicato la lesione al decoro architettonico e alla statica dell'edificio esclusivamente sulla base di un esame, peraltro carente e parziale, della (...) omettendo di considerare le prove documentali allegate e le risultanze del CTP dell'attore; 2) di aver omesso di valutare fatti decisivi ai fini della decisione, in violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc, rendendo una motivazione illogica ed erronea in relazione al rigetto dei capi principali della domanda attorea aventi ad oggetto la richiesta di ripristino dello status quo ante e del risarcimento dei danni patrimoniali subiti; 3) di aver reso una motivazione insufficiente in relazione alla lesione del decoro architettonico dell'edificio condominiale; 4) di non essersi pronunciato sulla lesione della statica dell'edificio e sul divieto di sopraelevazione contenuto nell'atto di vendita; 5) di aver reso una pronuncia erronea ed illogica anche in relazione alla presunta illegittimità dell'attore alla pretesa economica vantata. Concludeva, pertanto, chiedendo alla Corte adita, previa sospensione dell'efficacia esecutiva della pronuncia gravata ed in parziale riforma della stessa, di: "1) accertare e dichiarare che il manufatto abusivo non è stato costruito a regola d'arte e crea nocumento alla statica e alle strutture del fabbricato, alla sicurezza dei condomini e di terzi, nonché deturpazione del decoro architettonico e dell'uniformità del fabbricato; 2) per l'effetto condannare il signor (...) alla rimozione delle opere abusive realizzate e alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi". Con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio. In via istruttoria, e da ultimo con le note scritte autorizzate depositate il (...), chiedeva disporsi la rinnovazione delle indagini peritali al fine di effettuare una valutazione in toto sulla lesione del decoro architettonico; in subordine, rinviarsi la causa per discussione e chiarimenti sulla espletata CTU in giudizio di primo grado. Si costituiva in giudizio, con comparsa depositata in data (...), l'appellato (...) concludendo per l'integrale rigetto dell'avverso gravame, inammissibile in rito per difetto di specificità, in violazione dell'art. 342 cpc, oltre che infondato nel merito, con conseguente conferma della sentenza impugnata e vittoria delle spese del grado, con aggravio ex art. 96 cpc, da distrarre in favore del difensore antistatario. Preso atto della rinuncia all'istanza di sospensiva, la causa, assegnata (in data (...)) all'odierno relatore, dr.ssa (...) per surroga del relatore originario, dr.ssa (...) all'udienza cartolare del 23.11.2023, sulle conclusioni rassegnate dalle parti nelle rispettive note scritte autorizzate, veniva riservata in decisione, previa concessione dei termini di legge ex art. 190 cpc per il deposito degli scritti difensivi. ******* I. Va preliminarmente osservato, in rito, che, come da annotazione telematica, il fascicolo d'ufficio di primo grado risulta interamente digitalizzato, il che consente l'esame di tutti gli atti e verbali di causa di prime cure. Par.. Sempre in rito, si osserva che l'impugnazione, tempestivamente proposta, soddisfa il requisito formale prescritto dall'art. 342 c.p.c., nella formulazione ratione temporis applicabile, essendo stati individuati i passi della motivazione della sentenza gravata sottoposti a critica ed illustrata la diversa ricostruzione dei fatti prospettata dall'appellante, che, in definitiva, ha rappresentato alla corte un contenuto completo delle proprie censure sì da permettere il raffronto immediato fra le motivazioni della pronuncia impugnata e le motivazioni addotte nell'atto di appello. Invero, per ormai consolidato insegnamento giurisprudenziale, "gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata"(Cass., Sez. Unite, 2017/n. 27199; nello stesso senso, da ultimo, Cass., Sez. Unite, 2022/n. (...)). In altri termini, occorre, ed è per altro verso sufficiente, che il giudice del gravame, come verificatosi nella specie, sia posto in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, e che l'appellante dimostri di aver compreso le ragioni del primo giudice e indichi il perché queste siano censurabili, senza che sia preteso il rispetto di particolari forme sacramentali o comunque vincolate. II. Nel merito, l'appello è infondato e va rigettato, senza necessità di procedere ad alcun supplemento istruttorio, all'evidenza superfluo alla luce delle considerazioni che ci si accinge a precisare. Par.. In via preliminare, a mente del disposto dell'art. 329, comma 2, cpc ("(...) parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate"), si osserva che, in assenza di gravame sul punto, vi è acquiescenza sul capo della sentenza impugnata che esclude la natura condominiale della porzione di lastrico su cui fu eseguito il manufatto oggetto di causa, con conseguente formazione del giudicato interno sul punto. Invero, come affermato dalla Suprema Corte: "La parte rimasta, in tutto o in parte, soccombente, ove non proponga impugnazione della sentenza che la pregiudica, assume un comportamento incompatibile con la volontà di far valere, nel giudizio di impugnazione, la relativa questione - anche se a carattere pregiudiziale (che dà luogo ad un capo autonomo della sentenza e non costituisce un mero passaggio interno della decisione di merito, come si desume dall'art. 279, comma 2, nn. 2 e 4, c.p.c.) - in tal modo prestandovi acquiescenza, con le conseguenti preclusioni sancite dagli artt. 324 e 329, comma 2, c.p.c." (Cass. n. 4908/2017). Par.. (...) quanto precede, per ragioni di pregiudizialità logicogiuridica, va innanzitutto esaminato il secondo motivo di doglianza, con cui l'appellante lamenta l'errore del tribunale per aver ritenuto che le domande principali (di ripristino dello status quo ante e di risarcimento dei danni patrimoniali subiti) fossero state formulate dal (...) a tutela della qualità di condòmino comproprietario dell'area sulla quale era stato realizzato il contestato manufatto e, conseguentemente, subordinate all'accertamento della natura condominiale di detta area. Assume, in contrario, che il primo giudice non aveva considerato l'ambito oggettivo del giudizio, così come delineato nell'atto di citazione introduttivo, conseguentemente errando nel non esaminare le richieste attoree, che rigettava senza fornire alcuna motivazione, tanto più che il (...) ben poteva richiedere il ripristino dello status quo ante ed il risarcimento dei danni patrimoniali subiti nonostante il manufatto fosse stato costruito su lastrico solare di proprietà esclusiva del (...) (cfr. pagg. 14-17 dell'appello). (...) è infondato. Invero, il tribunale, dopo aver diffusamente motivato sulle ragioni che lo portavano a ritenere che la porzione di terrazzo sulla quale era stato realizzato il contestato manufatto fosse di proprietà esclusiva del (...) (pagg. 2-5), accertamento (come detto) coperto da giudicato, evidenziava che: "Del tutto irrilevante è poi, agli effetti della tutela privatistica invocata dall'attore, che il manufatto de quo sia stato realizzato in assenza delle autorizzazioni amministrative prescritte, atteso che le violazioni urbanistiche ed edilizie nella presente sede non rilevano di per sé, ma solo in quanto da esse siano scaturite violazioni di diritti riconosciuti dalle norme poste a presidio dei rapporti tra privati", statuendo dunque che: "(...) la condominialità dell'area sulla quale è stato realizzato il manufatto in questione, devono essere rigettati i capi principali della domanda attorea avente ad oggetto la richiesta di ripristino dello status quo ante e del risarcimento dei danni patrimoniali asseritamente subiti nonché quello, articolato in via subordinata, di pagamento di una indennità ex art. 1127 c.c., tutti comunemente fondati sul presupposto assertivo, risultato infondato, di contitolarità dell'area del detto terrazzo". In tal senso depone, infatti, l'atto di citazione introduttivo del giudizio, con cui l'attore fondava le sue pretese sul preliminare accertamento della natura condominiale del terrazzo (accertare e dichiarare che il (...) ha effettuato un'opera abusiva, non autorizzata, sul lastricoterrazzo condominiale), deducendo, in particolare, che: "quanto realizzato concretizza una costruzione sopra il lastrico-terrazzo a livello comune condominiale e tale circostanza autorizza di per se ogni singolo condomino ad attivarsi giudizialmente al fin di ottenere la rimozione delle opera abusivamente realizzate e il risarcimento del danno, atteso che in siffatto modo viene alterata la destinazione della cosa comune e si attrae, in contrasto con l'art. 1102 c.c., nella proprietà esclusiva un bene di uso condominiale" (cfr. pag. 2 della citazione). Il che qualifica indubbiamente l'azione attorea come rivolta all'ottenimento della (...) tutela della qualità di condomino, comproprietario dell'area, asseritamente di natura condominiale, su cui veniva realizzato dal (...) il contestato manufatto. Impostazione mantenuta ferma nel corso di tutto il giudizio di prime cure, nonostante il (...) avesse tempestivamente eccepito la proprietà esclusiva dell'area in contestazione, sempre fermamente contestata dal (...) che incentrava (...) la sua difesa proprio sulla dedotta natura condominiale dell'anzidetta area. Ne costituiscono chiara riprova le richieste istruttorie formulate dall'attore (volte a provare il pregresso utilizzo condominiale del terrazzo occupato dal (...) con la struttura abusiva; cfr. memoria depositata il (...), nel secondo termine ex art. 183, co. 6, cpc), le stesse obiezioni svolte dal suo consulente di parte, arch. A.C. (con cui si cercava, invano, di dimostrare, con documentazione tardivamente prodotta dal tecnico, che non vi era alcuna riserva di proprietà del lastrico in favore dell'originaria proprietaria del fabbricato, (...) invitandosi contestualmente il CTU ad estrarre presso l'archivio notarile tutti gli atti di vendita effettuati da (...) al fine di avere conferma dell'assenza della riserva di proprietà), nonché le deduzioni svolte in udienza (cfr. in particolare, verb. d'udienza dell'8.11.2013) e, per finire, negli scritti difensivi ex art. 190 cpc (con i quali si insisteva nell'accoglimento della domanda attorea, sull'assunto della natura condominiale del terrazzo occupato dal (...) chiedendosi, in subordine, di rimettere la causa sul ruolo ed ammettere la prova testimoniale ... diretta ad accertare l'utilizzo condominiale del lastrico, prima della costruzione su di esso del manufatto abusivo, e in via ancora subordinata, se ritenuto necessario, volere incaricare il CTU di verificare l'assenza negli atti di vendita degli immobili del riferimento alla riserva di proprietà del lastrico ai sensi dell'unanime orientamento della cassazione). Evidente, dunque, che la causa petendi dedotta in prime cure si fondava proprio sulla natura condominiale del lastrico occupato dal convenuto, non avendo il (...) mai precisato (pur potendolo fare) di voler coltivare la domanda principale anche nella diversa ipotesi in cui l'anzidetta porzione di lastrico fosse risultata di proprietà esclusiva del (...) prospettando difatti tale volontà solo in sede di gravame, ove (mutato l'originario difensore) mutava (...) l'impostazione originaria, come eccepito dall'appellato sin dalla sua costituzione (cfr. pagg. 9-10 della comparsa di costituzione). Rilevava, infatti, il (...) che: "la gravata sentenza è diretta conseguenza della netta impostazione della domanda attorea e, per l'effetto, del vincolo che ne è derivato sul (...) Si vuole dire cioè, come peraltro già dedotto in precedenza, che è stato proprio l'attore, odierno appellante, a presupporre (...) la sicura condominialità dell'area del lastrico solare su cui è stato realizzato il manufatto in oggetto. Di modo che è stato proprio l'attore in qualche misura a condizionare l'accoglimento, anzi l'ammissibilità delle pretese avanzate al previo accertamento di tale presupposto. Al punto da condizionare in tal senso anche l'istruttoria del (...) Prova ne è, infatti, la disposta CTU (...) dove il Tribunale ha espressamente subordinato lo sviluppo dei quesiti per così dire tecnici, al previo accertamento da parte dell'ausiliare che l'area di sedime non fosse di esclusiva titolarità del convenuto, ovvero condominiale", ulteriormente evidenziando, nella conclusionale del 22.1.2024 (pag. 3), che: "come indirettamente ammesso anche da controparte che, per un verso non ha impugnato il capo della gravata decisione affermativa della titolarità in capo al (...) della porzione di terrazzo su cui insiste il contestato manufatto, determinandone per questa parte il passaggio in giudicato, dall'altro, pur di superare l'impasse, si è visto costretto ad un altrettanto inammissibile (...) di cui al motivo svolto alle pag. 14 a 17 del gravame, laddove ha malamente tentato di contestare che l'azione intrapresa presupponesse la condominialità dell'area, mentre, invece, come si è visto e dimostrato, è esattamente su tale qualificazione che si è fondata la citazione, al punto, si ripete, da non aver nemmeno contestato l'eccezione in proposito sollevata da parte convenuta e soprattutto dall'aver assolutamente prestato acquiescenza alla decisione del giudice di condizionare l'espletamento della CTU - e, pertanto, l'esito del giudizio - alla verifica di tale profilo". Par.. Ad ogni buon conto, ed in tal senso si integra la motivazione della pronuncia gravata, anche a voler ritenere (e non si può) che il (...) avesse agito "in giudizio al fine di ottenere una pronuncia per accertare e dichiarare che il manufatto abusivo non è stato costruito a regola d'arte e crea nocumento alla statica e alle strutture del fabbricato, alla sicurezza dei condomini e di terzi, nonché deturpazione del decoro architettonico e dell'uniformità estetica del fabbricato", prescindendo dalla natura condominiale o meno del lastrico, chiedendo, per l'effetto, la condanna del "(...) alla rimozione delle opere abusive realizzate e alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi", la pretesa attorea non avrebbe potuto in ogni caso trovare accoglimento, non essendovi la benché minima prova, che spettava all'istante fornire, che l'opera realizzata dal (...) sul terrazzo a livello di sua esclusiva proprietà (che, nel regime delle sopraelevazioni ex art. 1127 c.c., è equiparato, in relazione alla sua funzione di copertura dell'edificio, al lastrico solare; Cass. n. 7678/1999), creasse un effettivo pregiudizio all'aspetto architettonico o alla statica del fabbricato, emergendo, piuttosto, il contrario dalla CTU espletata in prime cure. Par.. Invero, contrariamente a quanto dedotto con il primo, il terzo ed il quarto motivo di doglianza, da trattare congiuntamente perché involgenti l'esame della stessa questione relativa alla lesione al decoro architettonico e alla statica del fabbricato, del cui omesso e/o errato esame si lamenta l'appellante, osserva la corte che il CTU nominato in prime cure, ing. M. Be., al fine di rappresentare al giudicante un quadro più completo della situazione, escludeva, con condivise e motivate argomentazioni, che la realizzazione del contestato manufatto - realizzato (lo si ribadisce) circa venti anni prima dell'instaurazione del giudizio (nel novembre 1990, a detta dello stesso attore) - comportasse un pericolo di statica o un pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio. Sotto il primo profilo, infatti, l'ing. Be. evidenziava: "Per quanto concerne la situazione lamentata di fatto dall'attore il sottoscritto C.T.U. rileva che l'incidenza del manufatto sulla statica dell'edificio può essere ritenuta trascurabile in quanto si tratta di un limitato ampliamento di un corpo di fabbrica preesistente, con una copertura in lamiera coibentata (e quindi leggera) ed il lato frontale chiuso con infisso in alluminio. Il sottoscritto non ritiene, inoltre, che le eventuali infiltrazioni di acqua negli immobili e nelle pareti condominiali, lamentate dell'attore, siano da addebitarsi alla modifica del percorso delle acque pluviali poiché il foro di scolo che si trova nel terrazzo prospiciente il manufatto permette che queste confluiscano nelle pluviali di scarico del lastrico di copertura (cfr. all. n. 5 foto nn. 13, 14, 15, 16 e 17) con ragionevole certezza riprendendo il percorso di scolo originario". Del pari, quanto al decoro architettonico dell'edificio, il CTU chiariva che: "(...) l'originaria destinazione ad edilizia popolare degli edifici della zona in cui si trovano i luoghi di causa e che il fabbricato in cui si trova l'appartamento del dott. (...) è di tipo ordinario, privo di particolare pregio artistico e/o architettonico, il manufatto in questione incide, a parere dello scrivente, in modo irrilevante sull'estetica dello stabile; ciò in quanto si tratta di modesto ampliamento di un manufatto esistente, integrato nella costruzione originaria; peraltro va considerato che vi è analogo ampliamento nell'appartamento attiguo (all. n. 5 foto nn. 19 e 20) il che, di fatto, ripristina la simmetria architettonica dell'edificio". Risultanze minimamente scalfite, sotto il profilo tecnico, dalle generiche e indimostrate obiezioni del consulente attoreo, arch. A. Ca. (cfr. pagg. 5-6 della relazione a sua firma), sulle quali il CTU prendeva anche posizione (pag. 9 dell'elaborato), ribadendo le originarie conclusioni ed affermando che: "Il manufatto, realizzato in assenza di titoli autorizzativi, risulta di modesta entità, integrato nella struttura originaria e del tutto simile a quello realizzato nell'appartamento attiguo, a ripristinare una sostanziale simmetria dell'immobile. Non si ritiene, quindi, che esso incida né sulla statica del fabbricato né sul decoro architettonico dello stesso" (cfr. pag. 10 dell'elaborato). Par.. Peraltro, con riguardo al divieto di edificabilità sul terrazzo a livello per cui è causa, risultante dal titolo di proprietà del (...) osserva la corte come la questione è all'evidenza inammissibile, perché introduce un nuovo tema di indagine, mai tempestivamente prospettato dal (...) in prime cure, risultando l'anzidetto divieto esplicitato, per completezza di indagine, solo e per la prima volta dal (...) al precipuo fine di avvalorare la proprietà esclusiva del terrazzo in capo al convenuto (cfr. pag. 8 dell'elaborato, ove si legge: "A chiusura della presente relazione, il sottoscritto CTU ritiene di dover rendere edotto l'ill.mo Giudice di quanto possa essere utile "ai fini di giustizia" così come del resto richiesto in via residuale nel mandato conferitogli. In particolare, lo scrivente CTU ritiene di dover riferire che il manufatto per cui è causa risulta, per quanto accertato, sprovvisto di titolo autorizzativo ed edificato nonostante l'esplicito divieto ("(...) terrazzo non è edificabile (...)") riportato nell'atto di compravendita (all. n. 9). Ciò peraltro conferma che il lastrico fosse non già condominiale ma nella disponibilità della venditrice che, addirittura, alienandola pone un vincolo di inedificabilità"). E che il divieto di edificazione sia stato prospettato solo in appello come motivo di rimozione del contestato manufatto, si evince anche dalle controdeduzioni alla CTU svolte dal tecnico di parte attrice, arch. A. Camerino, che volendo affermare (a sostegno dell'originaria causa petendi del (...) la proprietà condominiale dell'area di lastrico su cui era stato realizzato il manufatto, individuava detta area in una porzione di lastrico diversa da quella acquistata dal (...) in proprietà esclusiva e sulla quale non poteva edificare (cfr. pag. 4 della relazione a firma del ctp, ove si legge: "(...) visione dei detti elementi e dallo stato dei luoghi (v. Planimetria) si evince che: - La porzione di terrazzo acquistata dal convenuto non era edificabile (v. atto notarile). - La porzione di terrazzo acquistata dal convenuto non è quella attualmente occupata dal manufatto di causa (peraltro abusivo), in ampliamento a nord del salotto dell'abitazione, ma è quella parte, di pari quadratura, situata a est del salotto convenuto (v. Planimetria Catastale e (...);", nonché pag. 6, ove si afferma: "Il manufatto realizzato dal convenuto sig. (...) insiste su un'area a nord diversa da quella acquistata con atto notarile"). Restano così superate tutte le obiezioni sollevate dall'appellante ed ogni ulteriore considerazione al riguardo appare davvero superflua. Par.. Con l'ultimo motivo di gravame, l'appellante contesta l'erroneità ed illogicità della pronuncia in relazione alla presunta illegittimità dell'attore alla pretesa economica vantata. Assume, in particolare, che la sentenza è errata nella parte in cui identifica le pretese economiche vantate dall'attore solo con l'indennizzo previsto dall'art. 1127 quarto comma c.c., avendo, di contro, il (...) chiesto in via principale la rimozione del manufatto ed il risarcimento dei danni, e solo in via subordinata l'anzidetto indennizzo, che, peraltro, chiedeva non in qualità di condomino, ma in qualità di erede della defunta madre (...) condomina allorché il manufatto abusivo veniva realizzato dal (...) Deduce, dunque, che, contrariamente a quanto rilevato dal primo giudice, essendo divenuto condomino per effetto di acquisto mortis causa, era pienamente legittimato a chiedere l'indennizzo ex art. 1127 c.c.. La doglianza va disattesa. Invero, premesso che il tribunale, contrariamente a quanto dedotto con l'atto di gravame, valutava tutte le pretese economiche (principali e subordinate) azionate dal (...) osserva la corte, in tal senso correggendo la motivazione della pronuncia in parte qua gravata, che, benché l'attore/odierno appellante debba ritenersi legittimato all'indennizzo ex art. 1127, comma 4, c.c., avendo fatto valere la sua qualità di erede della defunta madre (...) condomina all'epoca in cui venne realizzato il contestato manufatto, la pretesa economica avanzata in via subordinata andava e va in ogni caso rigettata perché all'evidenza generica e sfornita di supporto probatorio, ove si consideri, da un lato, che non risulta prodotto dall'istante (che ne aveva l'onere) il titolo di proprietà richiamato in citazione, ossia il testamento olografo con cui la defunta (...) gli avrebbe assegnato i due immobili (subalterni 11 e 12) siti in Napoli nell'edificio di via (...) n. 29 (cfr. fascicolo di parte di primo grado, al quale risulta allegata la sola denuncia di successione di (...) ininfluente ai fini in discorso, nonché atto di permuta intercorso tra soggetti estranei alla lite ed avente ad oggetto diverse unità immobiliari); dall'altro, che il (...) si limitava a quantificare l'indennità in misura pari al risarcimento richiesto (Euro 15.000,00), senza neanche precisare (né tanto meno provare) i millesimi a lui spettanti, pur trattandosi di indicazione necessaria per stabilire il quantum dovutogli ex art. 1127, comma 4, c.c. (com'è noto, infatti, l'indennità a carico del sopraelevante, determinata secondo gli specifici criteri stabiliti nell'anzidetta disposizione normativa, va ripartita tra i condomini in ragione della misura del diritto a ciascuno di essi spettante; cfr., in argomento, Cass. n. (...)/2022, anche in motivazione). (...) va dunque rigettato, con conseguente conferma della pronuncia impugnata con la suindicata parziale diversa motivazione. III. Le spese del grado seguono la soccombenza dell'appellante e si liquidano, avuto riguardo alla natura dell'affare, alle questioni trattate ed all'attività concretamente espletata, nella misura indicata in dispositivo, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014 e successive modifiche, con distrazione in favore dell'avv. (...) dichiaratosi antistatario. Non ricorrono i presupposti per la condanna dell'appellante per lite temeraria ex art. 96 cpc (neanche ribadita dal (...) in sede di precisazione delle conclusioni, con le note scritte del 20.11.2023). Sussistono, infine, i presupposti per il versamento, a carico dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, T.U. n. 115/02, come modificato dall'art. 1, comma 17, L. 228/12. P.Q.M. La Corte di appello di Napoli, VI sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto, con citazione notificata in data (...), da (...) nei confronti di (...) contro la sentenza del Tribunale di Napoli n. ex/2015, pubblicata in data (...), ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: 1) rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata con la su indicata parziale diversa motivazione; 2) condanna (...) al pagamento, in favore di (...) delle spese del grado, che si liquidano in Euro 3.500,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfettario per spese generali nella misura del 15% del compenso, Iva e Cpa come per legge, con distrazione in favore dell'avv. (...) dichiaratosi antistatario; 3) da atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento a carico dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERAMO La giudice onoraria presso il Tribunale di Teramo, dott.ssa (...), in funzione di giudice monocratica, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la sentenza che segue mediante lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e dritto della decisione facenti parte integrante del presente verbale di causa, sentenza riservata all'udienza dell'11 aprile 2024, nella causa civile iscritta al n.1833/2023 R.G.C.A. e vertente tra (...), residente in (...) elettivamente domiciliato in (...) alla (...) presso lo studio delle avv.te (...) e (...) che lo rappresentano e difendono giusta procura in calce all'atto di citazione del 12.7.2023- Opponente contro (...) in persona dell'amministratore p.t. (...) in persona del suo legale rappresentante dott. (...), con sede in (...) ivi elettivamente domiciliato alla (...), presso e nello studio dell'Avv. (...) che lo appresenta e difende giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta- Convenuto Nonché (...), residente in (...) Convenuta contumace. OGGETTO: impugnativa delibera condominiale. RAGIONI DI FATO E DI DIRITIO DELLA DECISIONE Con atto del 12.7.2023, il sig. (...) citava in giudizio il (...) in persona del suo amministratore pro tempore, formulando le seguenti conclusioni: "a) accertare e dichiarare la nullità delle delibere dell'Assemblea del (...) di (...) in data 8/6/2023 e in data 7/7/2023, ovvero pronunciare l'annullamento delle stesse per le causali tutte di cui alla narrativa, con ogni conseguente ed opportuna statuizione; b) in ogni caso, accertare e dichiarare e comunque pronunciare l'esclusione del sig. (...) dalla ripartizione delle spese e dal pagamento di quota con riferimento a lavori e interventi genericamente e/o illegittimamente deliberati, relativi a modificazioni e/o innovazioni di carattere voluttuario, insuscettibili di utilizzazione separata e/o con particolare gravosità della spesa in rapporto alle condizioni e all'importanza del fabbricato condominiale, con ogni conseguente ed opportuna statuizione in ordine all'imputazione di tutte le spese sui soli condomini interessati; c) con vittoria di spese e competenze di lite, rimborso forfettario del 15% sulle competenze, IVA e CPA come per legge.". A sostengo della domanda l'attore deduceva: di essere proprietario di una unità immobiliare facente parte di un fabbricato sito in (...) realizzato negli anni 1973-1976 e accatastato come "casalbergo"; che, attraverso varie delibere adottate, in date diverse, l'assemblea condominiale aveva deciso l'esecuzione di lavori finalizzati ad un "adeguamento" o "miglioramento" sismico, indicati dal tecnico ing. (...) senza la necessaria definizione degli interventi, delle modalità di esecuzione e dei relativi costi; che, con deliberazione in data 8.6.2023 l'assemblea condominiale aveva confermato "la volontà di procedere con i lavori progettati dall'ingegnere (...) e già approvati alle precedenti sedute" ed aveva invitato il tecnico a trasmettere un computo metrico definitivo "parzialmente modificato ed integrato con alcune lavorazioni che si rendono necessarie a seguito dei nuovi sopralluoghi effettuati e dalle verifiche sul cemento armato per poter procedere alla gara di affidamento lavori", precisando altresì che l'amministratore avrebbe provveduto "ad inviare la ripartizione delle spese e l'iban su cui versare la somma derivante dal primo computo salvo conguaglio con le modifiche al computo metrico proposte dall'ing. (...); che, con successiva deliberazione in data 7.7.2023, incurante della richiesta di rinvio della seduta formulata dall'attore e delle censure mosse, attraverso un elaborato di parte, all'opera professionale dell'ing. (...) l'assemblea aveva approvato a maggioranza "il progetto di sisma bonus ed il relativo computo", come predisposti dal tecnico ed inviati dall'Amministratore a tutti condomini con mail del 4.7.2023; di non aver partecipato alle assemblee, ma di aver espresso più volte il proprio dissenso all'effettuazione di lavori e alla realizzazione di opere in regime di c.d. super-bonus 110%; di aver attivato, contestualmente alla notifica dell'atto introduttivo, il procedimento di mediazione dinanzi all'Organismo di Mediazione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Teramo (Proc. N. 246/2023); che i motivi di impugnazione erano sostanzialmente: 1) nullità/annullabilità delle delibere in quanto concernenti decisioni su argomenti estranei all'ordine del giorno, eccesso di potere, violazione degli artt. 1136-1137 c.c. e 66 disp. att. c.c.; secondo le prospettazioni attoree, con la delibera in data 8.6.2023, l'assemblea aveva conferito un nuovo mandato all'ing. (...) per la predisposizione di un computo metrico "definitivo", modificato e integrato con ulteriori lavorazioni rese necessarie all'esito di nuovi sopralluoghi e nuove verifiche sul cemento armato, laddove l'avviso di convocazione prevedeva soltanto la comunicazione di aggiornamenti sui lavori "sisma bonus", sulla sanatoria del fabbricato condominiale e sui contenzioni in corso; con la successiva delibera del 7.7.2023, era stato conferito all'ing. (...) il nuovo incarico per la "sanatoria paesaggistica", laddove l'avviso di convocazione prevedeva soltanto l'esame e l'approvazione del progetto definitivo "sisma bonus"; 2) nullità/annullabilità delle delibere in quanto prive di oggetto e/o con oggetto impossibile, non determinato né determinabile, eccesso di potere, violazione dell'art. 1120 c.c.; con la delibera in data 8.6.2023 era stato affidato al tecnico un incarico assolutamente indeterminato (predisposizione di un computo metrico definitivo per i lavori di adeguamento o miglioramento sismico, modificato e integrato con "alcune lavorazioni"), senza un preventivo studio di fattibilità tecnico-giuridica, senza una descrizione dei lavori da progettare e delle varie soluzioni operative, senza indicazione delle modalità di svolgimento e dei diversi gradi di invasività anche sulle proprietà esclusive; con la successiva delibera del 7.7.2023, erano stati approvati elaborati progettuali e un computo metrico che prevedeva l'esecuzione di opere e lavori diversi rispetto a quelli già licenziati precedenza dall'assemblea condominiale (computo metrico approvato nella seduta del 5.4.2023), con ciò generando incertezza sui lavori effettivamente da eseguire e sui relativi costi; veniva inoltre lamentata la violazione degli artt. 1120 e 1121 c.c. posto che i lavori deliberati non erano stati indicati in modo specifico e che, trattandosi di innovazione voluttuaria (nel senso di non necessaria, non essendoci criticità strutturali e/o di sicurezza sismica nel fabbricato condominiale) o comunque comportante una spesa molto gravosa, la relativa deliberazione assembleare poteva considerarsi legittima soltanto nell'ipotesi in cui la maggioranza dei condomini che l'aveva deliberata o accettata avesse dichiarato di essere disponibile a sopportarne integralmente la spesa; 3) violazione degli artt. 1117 e 1135 c.c., violazione dell'art. 1117 ter c.c.; le tavole progettuali e il computo metrico approvati dall'assemblea condominiale nella seduta del 7.7.2023 lasciavano chiaramente intendere che i lavori riguardassero non soltanto le parti comuni dell'edificio, ma anche le porzioni di proprietà esclusiva dei singoli condomini, con la conseguenza che sarebbe stato necessario il consenso unanime di tutti i proprietari (che, nel caso di specie, non c'era stato); 4) violazione degli artt. 1120 e 1135 c.c.; con le delibere impugnate l'assemblea aveva approvato lavori di adeguamento o miglioramento sismico che avrebbero potuto pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio condominiale. Il (...) si costituiva in giudizio, contestando la domanda attrice e chiedendone l'integrale rigetto. Spiegava, in particolare, che le delibere impugnate presentavano un ordine del giorno completo e puntuale; che la volontà dell'assemblea condominiale era stata chiara ed univoca, dal momento che nella seduta deU'S.6.2023 era stata espressa la volontà di confermare i lavori già deliberati nella precedente riunione del 5.4.2023 e il tecnico era stato invitato a predisporre il computo metrico definitivo che sarebbe stato approvato (come in effetti era stato approvato) nella successiva seduta del 7.7.2023; che era stata adottata correttamente la decisione di approvare il progetto sisma bonus ed il relativo computo metrico delibera del 7.7.2023), nel rispetto delle prescritte maggioranze e dei quorum di costituzione dell'assemblea, rispondenti alla volontà della maggioranza dei condomini; che i verbali erano stati redatti in forma sintetica ma comunque completa e comprensibile; che la documentazione messa a disposizione di tutti i condomini prima della seduta del 7.7.2023 era dirimente e chiara; che i lavori deliberati erano comunque necessari, essendo l'immobile condominiale "affetto da problematiche strutturali che minano finanche la stabilità dell'intero edificio", paventando l'ing. (...) anche il "rischio crollo"; che gli interventi approvati dall'assemblea riguardavano soltanto le parti comuni, senza alcuna intromissione nelle proprietà esclusive; che la volontà espressa dalla maggioranza, secondo le previsioni di cui all'art. 119, comma 9 bis del D.L. n. 34/2020, vincolava necessariamente anche il condomino dissenziente; che, infine, la problematica del decoro architettonico era ancora di là da venire, posto che le decisioni assunte riguardavano s0ltanto aspetti "tecnici" e di sicurezza del fabbricato. Il (...) convenuto rassegnava le seguenti conclusioni: "Piaccia all'On. Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: 1) Rigettare la domanda attrice; 2) Condannare parte attrice al pagamento delle spese, diritti ed onorari del presente giudizio". Non si costituiva l'altra parte convenuta (a soli fini conoscitivi) sig.ra (...). Così costituitosi il contraddittorio, in corso di causa veniva instaurato procedimento ex (...) 1). Nominato il CTU nella persona dell'ing. (...) e sottoposti i quesiti suggeriti dalle parti (udienza del 31.7.2023), l'ausiliare provvedeva al deposito dell'elaborato definitivo in data 10.2.2024. La causa veniva istruita documentalmente (all'esito delle memorie e ex art. 171 ter c.p.c. depositate dalle parti; la difesa attorea produceva anche la documentazione comprovante il regolare espletamento e l'esito negativo del procedimento di mediazione) e perveniva all'udienza dell"11.4.2024 per la precisazione delle conclusioni e contestuale discussione orale. ln via preliminare si dichiara la contumacia della sig.ra (...), regolarmente citata e non costituita. In via preliminare e istruttoria, si dispone l'acquisizione e si dichiara la piena utilizzabilità, ai fini della, decisione dell'elaborato peritale acquisito nel procedimento ex artt. 696-696 bis c.p.c. in corso di causa. Nel merito, la domanda è fondata e va accolta nel senso e nei limiti di cui appresso. 1. In tema di condominio negli edifici, bisogna distinguere le delibere nulle da quelle annullabili: debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto; sono invece annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione (cfr., per tutte, Cass. Civ. S.U. n. 4806/2005; conf. Cass. Civ. n. 17014/2010; Cass. Civ. n. 27016/2011; si veda anche Trib. Roma 16/12/2020 n. 17997). Passando quindi all'esame dei motivi di impugnazione delle delibere assembleari oggetto di causa, in relazione alla prima censura svolta dall'attore bisogna innanzitutto premettere che la deliberazione assunta su argomento non compreso nell'ordine del giorno comunicato ai condomini (al pari della mancata comunicazione dell'ordine del giorno), in quanto vizio del procedimento collegiale comporta non la nullità, ma la semplice annullabilità delle delibere (cfr. Cass. Civ. n. 31/2000). Nella fattispecie concreta, sia la decisione di eseguire "ulteriori lavori", con conseguente incarico all'ing. (...) di redigere un nuovo computo metrico "definitivo" (delibera in data 8.6.2024) e sia la decisione di affidare al tecnico l'incarico per la "sanatoria paesaggistica" (delibera del 7.7.2023) non so io coerenti con l'ordine del giorno indicato nelle rispettive convocazioni, posto eh la seduta dell'8.6.2023 era finalizzata alla comunicazione di "aggiornamenti amministratore" sui lavori "sisma bonus", sulla sanatoria del fabbricato condominiale e sui contenziosi in corso, mentre la seduta del successivo 7.7.2023 era stata fissata soltanto per l'esame e l'approvazione del progetto definitivo. Nella prima delle riunioni sopra indicate, l'assemblea condominiale avrebbe dovuto valutare le notizie fomite dall'amministratore e sulla base di queste, ove emersa la necessità di assumere ulteriori decisioni sull'ampliamento o sulla modifica dei lavori già deliberati in precedenza, avrebbe dovuto rinviare ad una nuova seduta per dar modo a tutti i condomini di prendere cognizione delle circostanze riferite in sede assembleare ed assumere le conseguenti determinazioni (partecipare o non partecipare alla successiva assemblea, approvare o non approvare i nuovi interventi); né è possibile affermare che la decisione di eseguire ulteriori lavori sia consequenziale alle informazioni fomite nel corso della riunione, posto che in delibera si parla di "nuovi sopralluoghi effettuati" e di "verifiche sul cemento armato", ma non si spiega affatto quali siano stati gli elementi emersi da tali attività (peraltro genericamente indicate) e i motivi per i quali sia scaturita la necessità di procedere alla redazione di un computo metrico "definitivo", parzialmente modificato e integrato. Nella successiva seduta del 7.7.2023, nel corso della quale l'assemblea avrebbe dovuto discutere ed assumere decisioni sul nuovo computo metrico redatto dall'ing. (...) è stato attribuito al medesimo un incarico completamente diverso (per la "sanatoria paesaggistica") del quale non viene fatta menzione nell'ordine del giorno. È vero che, per garantire una partecipazione informata dei condomini all'assemblea, è sufficiente che nell'avviso di convocazione gli argomenti da trattare siano indicati nell'ordine del giorno in termini sintetici ed essenziali, tali da essere comprensibili, senza necessità di prefigurare lo sviluppo della discussione e il risultato dell'esame dei singoli punti da parte dell'assemblea (cfr. Trib. Vicenza 10.4.202 n. 631; Trib. Roma 9.10.2023 n. 14299), ma è altrettanto innegabile che l'ordine del giorno deve consentire a ciascun condominio di comprendere esattamente il tenore e l'importanza degli argomenti da trattare, in modo da poter ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia all'opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti (cfr.Trib. Firenze 27.1.2021 n. 167). Quindi, pur non essendo possibile prestabilire lo sviluppo e l'esito finale della discussione, l'ordine del giorno dovrebbe comunque delineare i confini di massima della delibera che l'assemblea può validamente assumere; possono considerarsi legittime decisioni strettamente consequenziali, ma non si può consentire all'assemblea condominiale di assumere, sempre e comunque, decisioni che si traducano in atti di straordinaria amministrazione e che comportino anche spese di rilevante importo (come nel caso di specie), se tutti i condomini non vengono preventivamente informati e messi in condizione di autodeterminarsi. Si deve concludere, pertanto, per l'annullabilità in parte qua di entrambe le delibere in contestazione (delibera 8.6.2023: conferimento incarico all'ing. (...) di redigere un nuovo computo metrico "definitivo"; delibera 7.7.2023: conferimento incarico allo stesso tecnico per la "sanatoria paesaggistica") in quanto adottate su argomenti che non erano all'ordine del giorno. 2. La prima censura non esaurisce i profili di illegittimità delle delibere in questione. Con specifico riferimento alla delibera assembleare in data 8.6.2023, risulta evidente come la stessa, pur esprimendo la naturale prosecuzione della volontà già espressa nella precedente seduta del 5.4.2023 (approvazione del primo computo metrico redatto dall'ing. (...) per intervento di "adeguamento" o "miglioramento" sismico del fabbricato condominiale), non abbia specificato alcunché sui nuovi sopralluoghi e sulle ulteriori verifiche sul cemento armato e, soprattutto, anche a voler soprassedere sull'opportunità cli mia qualche descrizione (anche sintetica) dei controlli asseritamente effettuati, non abbia neppure accennato ai risultati dei medesimi e alle necessità che ne sarebbero derivate, parlando genericamente di "modifica" e di "integrazione" del computo metrico già approvato con alcune "lavorazioni". Allo stato, tenuto anche conto delle difese svolte dal (...) convenuto (che non ha fornito elementi utili per delineare un contenuto della delibera assembleare più preciso rispetto a quello risultante dal verbale), non è dato sapere (non risulta neppure una descrizione di massima) quali siano le ulteriori lavorazioni ritenute necessarie dall'assemblea all'esito degli aggiornamenti forniti e discussi nella seduta dell'8.6.2023. Il verbale di assemblea costituisce il resoconto ufficiale della riunione di condominio; esso rappresenta una delle prescrizioni di forma che devono essere osservate al pari delle altre formalità richieste dal procedimento collegiale (avviso di convocazione, ordine del giorno, costituzione, discussione, votazione, ecc.) e la cui inosservanza importa l'impugnabilità della delibera, in quanto non resa in conformità alla legge (art. 1137 c.c.). Oltre agli elementi per così dire formali (luogo, data e ora di apertura dell'assemblea, ordine del giorno, indicazione dei condomini, indicazione del valore millesimale di ciascun partecipante all'assemblea, ecc.), il verbale deve contenere la sintesi della discussione e della decisione su ciascun argomento posto all'ordine del giorno. Pur non sussistendo prescrizioni vincolanti per la redazione del verbale assembleare (la disciplina è simile a quella del verbale di assemblea dei soci della società per azioni) e pur potendo essere predisposto in forma sintetica senza l'obbligatorietà del rispetto di schemi o forme, una volta che l'assemblea sia stata convocata, occorre dare conto, tramite la verbalizzazione, di tutte le attività compiute, anche se le stesse non si sono perfezionate o non sono state adottate delle deliberazioni, allo scopo di permettere a tutti i condomini, compresi quelle dissenzienti ed assenti, di controllare lo svolgimento del procedimento collegiale e di assumere le opportune iniziative e ciò proprio al fine di dare certezza a tutti i condomini della attività svolte durante l'assemblea (cfr. Cass. civ. n. 5014/1999; Trib. Taranto 15.3.2016 n. 903). È stato anche precisato che costituisce una garanzia per tutti i condomini la circostanza per cui il verbale contenga un compendio delle discussioni svolte nell'assemblea; tra l'altro, le delibere assembleari devono essere interpretate secondo canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 e segg. c.c., secondo il senso letterale delle affermazioni e, solo ove questo sia insufficiente, si può consentire il ricorso ad altri criteri interpretativi sussidiari indicati dalla legge, tra cui il comportamento delle parti e il principio della conservazione degli effetti dell'atto (cfr. Trib. Roma 5.8.2020 n. 11396, inedita). L'estrema genericità del verbale si traduce, in mancanza di ulteriori elementi utili a superare tale criticità, nel vizio di genericità della delibera assembleare. Trattasi, quindi, di deliberazione dal contenuto indeterminato e inattuabile, tant'è che, per quanto si dirà anche in prosieguo, il nuovo computo metrico approvato nella seduta del 7.7.2023 non è affatto integrativo rispetto a quello approvato con la delibera del 5.4.2023, ma è un documento attraverso il quale è stato sottoposto all'approvazione dell'assemblea un intervento completamente diverso e non è dato sapere se di questo si sia effettivamente discusso, sia pure a grandi linee, anche ella seduta dell'8.6.2023. Sotto tale profilo, la delibera in data 8.6.2023 deve essere annullata. 3. Nella seduta del 7.7.2023, l'assemblea condominiale ha approvato "il progetto sisma bonus ed il relativo computo", ovvero le tavole progettuali e il computo denominato "Computo metrico cerchiatura pilastri etc." inviati dall'amministratore a tutti i condomini con mail (posta ordinaria) in data 4.7.2023. Il tecnico ha proposto e l'assemblea ha approvato un intervento che prevede la "cerchiatura" dei pilastri con applicazione di barre di acciaio, inserimento di piastre in acciaio tra pilastri e travi oltre alla fasciatura antiribaltamento delle tamponature, per l'importo di Euro. 597.877,17 (e un totale, comprensivo di IVA, spese tecniche ed oneri di legge, pari ad Euro. 770.663,67). Come già anticipato, si tratta di lavori differenti rispetto a quelli elencati nel "Computo metrico Sisma Bonus No Eco" approvato dall'assemblea condominiale nella seduta del 5.4.2023 (sul punto, a parte le inequivoche risultanze istruttorie - è sufficiente mettere a confronto i due computi metrici -, deve essere anche considerata la completa assenza di contestazioni da parte del (...) a fronte delle allegazioni di parte attrice) e che comportano un costo sensibilmente superiore. Con riferimento alla delibera in data 7.7.2023 l'attore ha lamentato: a) la violazione degli artt. 1120 e 1121 c.c., trattandosi di innovazione di carattere voluttuario o con una spesa particolarmente gravosa in rapporto alle condizioni e all'importanza dell'edificio condominiale; b) la violazione degli artt. 1117 e 1135 c.c. per essere stati approvati interventi che non riguardano soltanto le parti comuni del fabbricato, ma anche le proprietà esclusive dei singoli condomini; c) la violazione degli artt. 1120 e 1135 c.c. per essere stati approvati interventi che possono pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio condominiale. Per quanto attiene al primo aspetto, bisogna preliminarmente stabilire se l'intervento approvato, sia che si tratti in un semplice intervento di "rinforzo locale" - punto 8.4.1 delle NTC 2018, D.M. 17.1.2018 in G.U. n. 42 in data 20.2.2018 -, sia che possa qualificarsi come "miglioramento sismico" - punto 8.4.2 delle NTC 2018 - (escludendo, invece, che si tratti di un vero e proprio "adeguamento" - art. 8.4.3 delle NTC 2018, come spiegato dal CTU ing. (...) nell'elaborato acquisito nel procedimento ex artt. 696-696 bis c.p.c. in corso di causa, le cui valutazioni e conclusioni vengono integralmente condivise in quanto congrue, coerenti ed immuni da vizi logici), possa o meno considerarsi come "necessario" in considerazione delle specifiche condizioni in cui versa il fabbricato, come descritte dal CTU. Sul punto, giova ricordare che l'innovazione voluttuaria è quella che non riveste carattere di necessità e non procrastinabilità; essa può comunque essere approvata dall'assemblea condominiale, ma anche laddove si tratti di innovazione favorita (per la quale, ai sensi del comma 2 dell'art. 1120 c.c., è sufficiente un quorum inferiore per la deliberazione), sarà comunque necessario rispettare il meccanismo disciplinato dall'art. 1121 c.c., distinguendo tra opere, impianti e manufatti suscettibili di utilizzazione separata (per quali il condomino dissenziente viene esonerato da qualsiasi contributo alla pesa) e opere, impianti e manufatti per i quali l'utilizzazione separata non è possibile e, quindi, l'innovazione è consentita soltanto nell'ipotesi in cui la maggioranza dei condomini che l'ha deliberata o accettata sia anche disposta a sopportarne integralmente la spesa. Ciò in quanto le innovazioni voluttuarie o gravose non costituiscono un tertium genus rispetto a quelle ordinarie (comma 1, art. 1120 c.c.) o a quelle favorite (comma 2, art. 1120 c.c.), ma la voluttuarietà o la gravosità sono caratteristiche che tutte le innovazioni (sia ordinarie che favorite) possono assumere in rapporto alla condizione e all'importanza dell'edificio. Anche i quorum deliberativi ridotti previsti dall'art. 119 del D.L. n. 34/2020, convertito in L. n. 77/2020, vanno necessariamente coordinati con la normativa codicistica relativa ai poteri o, meglio, alle attribuzioni, dell'assemblea condominiale (cfr., da ultimo, Tribunale di Teramo 19.3.2024 n. 311, inedita). Nella fattispecie che ci occupa, il CTU ing. (...) ha concluso che il complesso residenziale non presenta un quadro fessurativo apprezzabile riferito agli elementi strutturali del telaio resistente in cemento armato, né tantomeno cedimenti strutturali o gravi indebolimenti o pericolo di crollo imminente; l'ausiliare, inoltre, ha spiegato che sui fabbricati esistenti alla data di entrata in vigore delle NTC 2018 sono possibili lavori sia di miglioramento che di adeguamento sismico, secondo le citate NTC 2018 e su libera scelta dei proprietari, ma non sussiste alcun obbligo, con l'ulteriore conseguenza che non esiste un'attività "minima" da eseguire. Viene meno, quindi, la motivazione della delibera adottata dall'assemblea condominiale nella seduta del 5.4.2023 (intervento di sisma-bonus "assolutamente necessario per garantire l'agibilità dell'edificio nonché la sicurezza delle persone"), ripresa e confermata nelle successive delibere in data 8.6.2023 e 7.7.2023, non essendoci pericolo né per il fabbricato né per i suoi occupanti né per soggetti terzi. L'intervento (di rinforzo locale o di miglioramento sismico) non è quindi obbligatorio, né necessario né urgente. L'innovazione è voluttuaria o, più precisamente, deve ritenersi un'innovazione favorita (che può essere decisa con un quorum deliberativo ridotto, anche per effetto delle previsioni di cui all'art. 119 del D.L. n. 34/2020, convertito in L. n. 77/2020), ma con carattere voluttuario. Né si deve cadere nella tentazione di enfatizzare l'aggettivo "auspicabile" utilizzato dal CTU in riferimento all'intervento proposto dall'ing. (...) e approvato dall'assemblea condominiale: le innovazioni previste dal comma 2 dell'art. 1120 c.c., così come elle incentivate dalla normativa sul c.d. Superbonus 110%, sono tutte auspicabili perché finalizzate a migliorare le prestazioni energetiche e la risposta alle sollecitazioni sismiche di un patrimonio edilizio obsoleto, realizzato in (...), per la massima parte, in epoca antecedente ai primi provvedimenti normativi per il risparmio energetico e ben prima delle nuove regole tecniche per le costruzioni in zona sismica. Il favor verso questa tipologia di interventi è previsto dalla legge, ma questo non significa che siano state sovvertite e superate le regole civilistiche sui compiti e sulle attribuzioni dell'assemblea di condominio; detto in altri termini, l'approvazione può senz'altro intervenire con il quorum agevolato, ma restano fermi tutti gli ulteriori limiti ai poteri dell'assemblea condominiale. Va aggiunto, inoltre, che l'innovazione deliberata dall'assemblea condominiale nella seduta del 7.7.2023 comporta anche una spesa particolarmente gravosa, in rapporto alle condizioni e all'importanza del fabbricato condominiale. Risulta, infatti, dalla documentazione prodotta dall'attore (si veda, in particolare, la CILAS depositata al (...) con gli elaborati allegati) che l'intervento di cerchiatura dei pilastri e di fasciatura antiribaltamento delle tamponature, con un costo già aumentato dopo l'approvazione (si veda il computo metrico denominato "Sismabonus rev. 1 21.11.2023 Computo metrico cerchiatura pilastri etc. ("sismabonus")" approvato dall'assemblea nella seduta del 30.11.2023), comporterà per il fabbricato un beneficio limitatissimo, rappresentato dal passaggio di una sola classe di rischio sismico (dalla classe G alla classe F), ferma restando la necessità di eseguire tutti gli ulteriori interventi indicati come necessari dal CTU per la manutenzione straordinaria (che, come sottolineato dall'ausiliare, è cosa diversa rispetto al "miglioramento sismico"). Così l'intervento di rinforzo locale o di miglioramento sismico poteva essere deliberato dall'assemblea condominiale con la maggioranza concretamente espressa, ma doveva anche essere contestualmente manifestata la volontà dei condomini favorevoli a sostenere per intero la relativa spesa, escludendo dalla contribuzione i condomini dissenzienti. Tale passaggio è completamente mancato e, quindi, l'innovazione non può ritenersi consentita e la delibera in data 7.7.2023 deve essere annullata anche sotto tale profilo. Per i lavori già avviati (come risulta anche dalla CTU e dai relativi allegati), l'attore deve essere escluso dalla ripartizione delle spese e dal pagamento della quota corrispondente ai millesimi di proprietà, avendo formulato espressa domanda in tal senso. Infine, dall'esame delle tavole progettuali e del computo metrico approvati con la menzionata delibera in data 7.7.2023, dalla lettura dell'ordine di servizio n. 1 in data 21.11.2023 dell'ing. (...) e della (...) con i relativi allegati depositata presso il (...) (documenti prodotti dall'attore e non contestati dal (...) convenuto), risulta chiaramente che i lavori deliberati (intervento di rinforzo locale o di miglioramento sismico) coinvolgono non soltanto le parti comuni dell'edificio, ma anche le porzioni di proprietà esclusiva dei singoli condomini. In particolare, si legge nella CILA-Superbonus che i lavori "riguardano sia parti comuni di un fabbricato condominiale sia parti dell'immobile di proprietà di singoli condomini" (si veda a pag. 2); nella TAV 2A è riportata la pianta del piano rialzato del fabbricato e sono evidenziati i pilastri insistenti nell'unità immobiliare del sig. (...) sui quali dovrebbe essere realizzata la cerchiatura di rinforzo, ma in nessun elaborato e in nessun computo vengono descritti e quantificati i lavori commessi che dovranno necessariamente interessare l'appartamento al suo interno. Nell'"ordine di servizio" n. 1 del 21/11/2023, l'ing. (...) ha ordinato all'Amministratore di mettere a disposizione le singole unità immobiliari. Come recentemente statuito dall'intestato Tribunale in altra controversia, l'assemblea condominiale non può perseguire finalità extra-condominiali e neppure può occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva singoli condomini o a terzi, giacché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell'edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell'assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi. Invero, il potere deliberativo dell'assemblea in tanto sussiste in quanto l'assemblea si mantenga all'interno delle proprie attribuzioni, ove l'assemblea straripi dalle attribuzioni ad essa conferite dalla legge, la deliberazione avrà un oggetto giuridicamente impossibile e risulterà viziata da difetto assoluto di attribuzioni (Trib. Teramo n. 311/2024 cit.; conforme Trib. Cosenza 2.3.2023 n. 374). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che: "in tema di condominio di edifici, i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135 c.c.), non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive" (cfr. Cass. Civ. n. 5657/2015; nello stesso senso Cass. Civ. n. 14300/2020; Cass. Civ. n. 26468/2007). I poteri spettanti all'Assemblea possono essere esercitati solo in relazione alle cose comuni e debbono essere contenuti in limiti tali da non implicare una invasione nella sfera di proprietà esclusiva del singolo condomino. Le deliberazioni che dispongano innovazioni o lavori sulle porzioni di proprietà esclusiva non sono semplicemente annullabili, ma addirittura nulle. Come è noto, l'art. 119, comma 9 bis del D.L. n. 34/2020 (convertito in L. n. 77/2020) prevede che le decisioni per la realizzazione degli interventi agevolabili con il c.d. Super-bonus (Sisma-bonus ed Eco-bonus) possono essere approvati in assemblea condominiale con la maggioranza dei presenti che rappresentino almeno un terzo del valore dell'edificio. L'assemblea, tuttavia, ha il potere di deliberare a maggioranza solo per interventi che coinvolgono le parti comuni dell'edificio, ma non può decidere a maggioranza in merito ad interventi che coinvolgono le singole unità immobiliari in proprietà esclusiva; per ovviare a tale inconveniente e permettere quindi di effettuare interventi anche nei singoli appartamenti, è necessario il consenso unanime di tutti i proprietari. I pilastri e le facciate del fabbricato sono sicuramente parti comuni (art. 1117 c.c.), ma per deliberare legittimamente dei lavori su tali porzioni, laddove si debba intervenire anche nelle proprietà private dei singoli condomini è necessario il consenso degli interessati. La giurisprudenza, di legittimità e di merito, ha più volte affermato che la delibera con la quale, senza il consenso del proprietario esclusivo, venga approvata l'esecuzione di lavori (anche di carattere generale, nell'interesse dell'intero condominio) che incidono su le proprietà individuali, è affetta da nullità assoluta, deducibile in ogni tempo; è stato altresì precisato che la nullità sussiste anche nell'ipotesi in cui i lavori appaiano necessari ed urgenti perché, se manca il consenso del proprietario esclusivo, la valutazione delle condizioni che giustifica :io l'intervento del condominio sulla proprietà del singolo condomino, non può essere rimessa ad una delle due parti interessate, ma deve formare oggetto di apposito giudizio (cfr. Cass. Civ. n. 14300/2020 cit.; Cass. Civ. n. 4726/2016; Cass. Civ. n. 13116/1997; si vedano anche, con specifico riferimento ai lavori in regime di c.d. Superbonus 110%, Trib. Milano, Sez. XIII, Ord. 30/9/2021; Trib. Roma 16.10.2020 n. 17997). Nel caso di specie, non è mai stata espressamente sottoposta all'approvazione dei condomini la possibilità che i lavori in regime di c.d. Superbonus 110% (e, in particolare, di rinforzo locale o di miglioramento sismico) si estendessero anche alle parti private, limitandosi l'assemblea ad approvare il computo metrico predisposto dall'ing. (...) non risulta mai acquisito il consenso dei condomini ad intervenire sulle porzioni di proprietà esclusiva (il tecnico ha emesso un ordine di servizio per conseguire la disponibilità dei singoli appartamenti); vi è ferma opposizione da parte del condomino (...). Quindi, anche laddove possa (ipoteticamente) ravvisarsi una vera e propria necessità degli interventi di cui al computo metrico approvato con la delibera in data 7.7.2023 (necessità esclusa dall'elaborato peritale del CTU ing. (...), per poter eseguire i lavori all'interno delle proprietà esclusive di quei condomini che non hanno prestato il proprio consenso (manifestando il diniego in assemblea o attraverso la tempestiva impugnazione della delibera, come ha fatto il sig. (...), non è sufficiente la decisione adottata con il quorum ridotto di cui al D.L. n. 34/2020 (convertito in L. n. 77/2020), ma è necessaria una specifica pronuncia giudiziale. Ne consegue la radicale nullità della deliberazione del 7.7.2023 per violazione dell'art. 1135 c.c. e per difetto assoluto di attribuzioni. La nullità può essere affermata anche sotto un ultimo profilo. L'assemblea condominiale ha approvato il computo metrico predisposto dall'ing. (...) senza fare alcun cenno all'estetica del fabbricato, tenuto anche conto dell'esistenza di un vincolo paesaggistico (circostanza pacifica). La salvaguardia dell'euritmia e del decoro architettonico del fabbricato condominiale non può essere rinviata ad un momento successivo all'esecuzione dei lavori (di rinforzo strutturale o di miglioramento sismico), come sostenuto dal (...) ma deve necessariamente essere verificata e programmata ex ante (si pensi, ad esempio, all'inevitabile aumento della sezione dei pilastri in conseguenza dell'intervento di cerchiatura oppure alla riduzione della superficie dei balconi a seguito del posizionamento delle reti antiribaltamento), con indicazioni puntuali alla Ditta appaltatrice. La maggioranza semplice richiesta dalla vigente normativa per la deliberazione degli interventi di riqualificazione energetica e di adeguamento sismico non consente di approvare lavori ed opere che possano in qualche modo pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio condominiale. Secondo la S.C., il decoro architettonico corrisponde all'estetica complessiva data dall'insieme delle linee e strutture ornamentali che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico (cfr. Cass. Civ. n. 28908/2023; Cass. Civ. n. 23510/2023; Cass. Civ. Ord. n. 14598/2021; Cass. Civ. n. 18928/2020; Cass. Civ. n. 1286/2010). In buona sostanza, il decoro dell'edificio condominiale corrisponde al suo armonico aspetto esteriore, all'estetica del fabbricato. Il decoro architettonico non riguarda solamente i palazzi di pregio, potendosi trovare in ogni edificio nel quale possa individuarsi una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia. Esso costituisce un limite invalicabile alle opere che i condomini possono realizzare, sia sulle singole proprietà private e sia sulle parti comuni: il divieto di innovazioni lesive del decoro architettonico previsto dall'ultimo comma dell'art. 1120 c.c., è incondizionato e consente anche ad un solo condomino di esprimere il proprio dissenso e di agire per il ripristino delle caratteristiche originarie del fabbricato (cfr. Cass. Civ. n. 851/2007). L'esecuzione di lavori che alterano, ledono e comunque pregiudicano m modo significativo il decoro architettonico esistente "può essere validamente deliberata dall'Assemblea condominiale soltanto all' unanimità. Ma nel caso di specie, la problematica non è stata neppure affrontata, con il rischio concreto che, al termine dei lavori, i condomini non possano fare altro che constatare l'alterazione grave e ormai definitiva dell'euritmia del fabbricato, la cui sorte è stata, di fatto, illegittimamente decisa da soggetti estranei a) (...) Ogni altra questione rimane assorbita. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, in applicazione delle tabelle allegate al D.M. n. 55/2014 e ss.mm.ii., valore indeterminabile, tenendo conto della particolare complessità di tutte le questioni affrontate e del fatto che la fase istruttoria è da considerare assorbita dal procedimento di accertamento tecnico preventivo in corso di causa. P.Q.M. la giudice onoraria presso il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da (...) contro (...) e (...) disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, cosi provvede: -accoglie la domanda attrice e, per l'effetto, annulla le deliberazioni adottate dall'assemblea ordinaria del (...) di (...) dell'8.6.2023 -PUNTO 4 del verbale e dichiara la nullità delle deliberazioni adottate dall'assemblea straordinaria del medesimo (...) di (...) del 7.7.2023 - PUNTO 1 del verbale; -dichiara l'esclusione di (...) dalla ripartizione delle spese e dal pagamento di quota con riferimento agli interventi approvati con le deliberazioni adottate dall'assemblea straordinaria del (...) di (...) del 7.7.2023 (PUNTO 1 del verbale), in quanto relativi a innovazione di carattere voluttuario, insuscettibile di utilizzazione separata e con spesa gravosa in rapporto alle condizioni e all'importanza del fabbricato condominiale; -condanna il (...) di (...) alla rifusione delle spese e competenze di lite in favore dell'attore che liquida in complessivi Euro.12.831,00, di cui Euro.3.600,00 per competenze relative al procedimento ex artt. 696-696 bis c.p.c., oltre ad Euro.286,00 per rimborso spese non imponibili, Euro.8.400,00 per competenze relative al presente giudizio oltre ad Euro.545,00 per rimborso spese non imponibili, oltre al rimborso forfettario 15% sulle sole competenze, IVA e CPA come per legge; -pone definitivamente a carico del (...) le spese di CTU come liquidate in separato decreto; -nulla per la posizione della sig.ra (...) Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante allegazione al verbale di udienza odierna, in (...) l'11 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 255 del 2020, proposto da Sp. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cl. Co., Eu. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Cl. Co. in Roma, via (...); contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Se. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 06123/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Roberta Ravasio, in collegamento da remoto in videoconferenza ai sensi del combinato disposto del comma 4 bis dell'art. 87 c.p.a. e dell'art. 13-quater disp. att. c.p.; Dato atto che nessuno è comparso per le parti, che hanno depositato istanza di passaggio della causa in decisione, senza discussione; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. L'appellante società è titolare dell'attività di ristorazione condotta nel locale sito in Roma, Piazza di (omissis). 2. Con Determinazione Dirigenziale n. n. CA/3728/2018 del 28.11.2018 prot. n. CA/228967/2018 l'Amministrazione ha intimato alla società la rimozione di alcuni manufatti, e, precisamente: a) una insegna luminosa ml 6 per 1,20 con scritta: "AI SPAGHETTARI" e, b) una insegna a tavola pittorica ml 1,80 per 1,00 con scritta: "AI SPAGHETTARI DAL 1896 - VINERIA"; c) tre tende una di ml 7,60 con aggetto di ml 2,00; una di ml 1,80 con aggetto di ml 0,80; una di ml 4,40 con aggetto di ml 1,30.; a motivo dell'ordine di rimozione veniva indicata la assenza di qualsivoglia autorizzazione amministrativa e venivano richiamati gli artt. 82-84-99 del Regolamento Edilizio del Comune di Roma. 3. Avverso tale determinazione proponeva impugnazione la Società avanti al TAR per il Lazio, fondando il ricorso su una unica e articolata censura, con la quale rilevava che: a) l'insegna luminosa non sarebbe qualificabile come insegna d'esercizio, risalirebbe al 1950 e, comunque, non potrebbe essere rimossa senza autorizzazione della Soprintendenza in quanto apposta su un bene tutelato; b) l'insegna pittorica sarebbe posizionata all'interno dei sesti del locale e, comunque, sarebbe qualificabile come insegna d'esercizio e, come tale, non sarebbe soggetta ad autorizzazione; c) la tenda grande si troverebbe in loco sin dal 1950 e, quindi, non sarebbe soggetta ad autorizzazione al momento dell'installazione. 4. Con la sentenza in epigrafe indicata, pronunciata ai sensi dell'art. 60 c.p.a., il TAR ha respinto il ricorso. 5. Ha proposto appello la Società . 6. Roma Capitale si è costituita nel giudizio per resistere al gravame. 7. La causa è stata chiamata all'udienza straordinaria del 6 marzo 2024, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 8. Con unico motivo d'appello la Società "Sp. S.r.l." ha sostanzialmente riproposto i motivi originariamente articolati con il ricorso di primo grado. Ha quindi ribadito: che l'insegna luminosa è qualificabile come insegna d'esercizio e risale al 1950, ed era stata installata quando la normativa dell'epoca non prescriveva alcuna autorizzazione amministrazione, ragione per cui non potrebbe essere sanzionata con la rimozione, semmai solo con una sanzione pecuniaria per mancato pagamento della tassa sulla pubblicità ; che l'insegna luminosa è stata apposta in fregio a un immobile che solo in epoca successiva alla sua installazione è stato assoggettato a vincolo paesaggistico: la rimozione dell'insegna, dunque, dovrebbe essere autorizzata dalla Soprintendenza; che l'insegna pittorica è posizionata all'interno dei sesti del locale, e perciò solo sarebbe esente da tassazione e da autorizzazione; che l'insegna pittorica è, essa pure, qualificabile solo come insegna di esercizio, riportando solo il nominativo della società titolare e il luogo di esercizio; che la tenda più grande esiste in loco dagli anni Cinquanta, come dimostrato da una fotografia prodotta in atti. 9. Osserva il Collegio che l'atto d'appello sarebbe inammissibile per violazione del principio di specificità dei motivi d'appello, di cui all'art. 101: in particolare per la ragione che l'atto d'appello si risolve nella mera riproposizione delle censure articolate in primo grado, anziché in una critica delle argomentazioni utilizzate dal primo giudice nella sentenza appellata. 10. Ad ogni modo si può prescindere dall'indicata eccezione di inammissibilità, essendo l'appello infondato nel merito. 11. Rileva il Collegio, anzitutto, che l'ordinanza impugnata nel presente giudizio si fonda unicamente sulla circostanza che le insegne e le tende, collocate dalla appellante nell'area esterna al locale, e dunque verso la via pubblica, non sono assistite da alcuna autorizzazione: l'ordinanza, dunque, presuppone la necessità di una autorizzazione amministrativa per la collocazione dei manufatti in parola. 11.1. Sul punto la difesa dell'Amministrazione Comunale ha dedotto che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Società, il Comune di Roma ha adottato, con delibera di Consiglio Comunale n. 5261 del 1934, il Regolamento Edilizio ancora attualmente in vigore, il quale assoggettava ad autorizzazione la apposizione di insegne, mostre anche luminose, vetrine di botteghe e cartelli indicanti ditte ed esercizio di arti, mestieri, professioni e industrie (art. 82), la apposizione di tende aggettanti sul suolo pubblico (art. 88) nonché l'occupazione di spazio pubblico: stralcio di tali norma sono state prodotte in giudizio dalla difesa dell'Amministrazione. La difesa dell'Amministrazione, inoltre, ha richiamato l'art. 22 della L. n. 1089/39, che già fondava il potere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo storico-artistico di vietare la collocazione o l'affissione di insegne, manifesti e altri mezzi di pubblicità che avessero potuto danneggiare o compromettere il decoro di edifici. Inoltre, anche prima della entrata in vigore del D. L.vo 285/92, il D.P.R. n. 420/1959 (Regolamento di attuazione del Testo Unico in tema di circolazione stradale, approvato con D.P.R. n 393 /1959), all'art. 21, prescriveva l'autorizzazione per la posa, lungo le strade comunali, di qualsiasi cartello o mezzo pubblicitario, sia pure per motivi afferente la sicurezza nella circolazione stradale, e non già per motivi connessi al decoro degli edifici e alla tutela dei beni culturali. 11.2. E' dunque certo che anche in base alla normativa antecedente agli anni Cinquanta i cartelli e i mezzi pubblicitari erano soggetti ad autorizzazione, e la relativa apposizione in difetto di autorizzazione era sanzionata con la rimozione, sia a tutela del decoro architettonico degli edifici, sia a tutela della sicurezza stradale. Il potere di rimozione di insegne e cartelli collocati su edifici vincolati e sulle facciate prospicienti la via pubblica, trova oggi fondamento nell'art. 167 del D. L.vo 42/2004, nell'art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 e nell'art. 23, comma 13 bis del D. L.vo 285/92. 11.3. Costituisce un dato di fatto pacifico quello secondo cui le insegne e le tende collocate dalla appellante non risultano assistite da alcun tipo di autorizzazione. 11.4. Alla luce delle considerazioni svolte nei paragrafi che precedono risulta ininfluente, ai fini della decisione, la distinzione tra insegna pubblicitaria e insegna d'esercizio, posto che ambedue le le tipologie di insegne sono ormai soggette ad autorizzazione, e in difetto a rimozione, sia in base alle norme edilizie, sia in base alle norme sulla circolazione stradale. 11.5. Infondato, poi, è l'assunto di parte appellante secondo cui la rimozione dei manufatti in questione dovrebbe essere preventivamente autorizzata dalla Soprintendenza, sul presupposto che preesistevano al momento in cui l'edificio interessato é stato assoggettato a vincolo. Osserva il Collegio che l'appellante non ha fornito alcun elemento significativo dal quale si possa ricavare che nella decisione di vincolare l'edificio abbia svolto una particolare importanza l'insegna, o le insegne, in allora presenti: è utile sottolineare, a tale proposito, che il vincolo che viene in considerazione non riguarda specificamente l'attività di ristorazione svolta nei locali occupati dalla appellante, afferendo invece al complesso edificato del centro storico di Roma e, in particolare, del Rione Tr., dichiarato Sito dell'UNESCO. Non v'è dunque ragione per ritenere che anche le insegne, oggetto dell'ordinanza impugnata nel presente giudizio, siano tutelate dal vincolo e, come tali, siano rimovibili solo previa autorizzazione della Soprintendenza. Ad abundantiam va anche detto che l'appellante, in realtà, neppure ha dimostrato in modo rigoroso l'epoca di prima installazione dei manufatti, essendosi limitata a produrre una fotografia priva di data certa. 12. In conclusione l'appello deve essere respinto, con conferma dell'appellata sentenza. 13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento, in favore dell'Amministrazione resistente, delle spese relative al presente grado di giudizio, spese che si liquidano in Euro. 3.000,00 (tremila), oltre accessori, se per legge dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, celebrata in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall'art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante "Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia", convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Giovanni Tulumello - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonio Converti - gop - ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di 1° Grado iscritta al n. r.g. 974/2023 promossa da: (...), tutti elettivamente domiciliati a (...), nello studio degli Avv.ti (...) che li difendono e li rappresentano, sia separatamente che congiuntamente, come da mandati estesi in calce all'atto di citazione ATTORI contro (...), in qualità di amministratore del (...), residente in (...), rappresentato e difeso (...) ed elettivamente domiciliato nel suo studio in (...), come da procura estesa in calce alla memoria di costituzione CONVENUTO OGGETTO: (...), impugnazione di delibera assembleare - spese condominiale. CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da note di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato nelle forme di legge, gli odierni attori hanno evocato in giudizio il (...) in persona dell'amministratore p.t., invocando la nullità o l'annullamento delle deliberazioni assembleari del 25/10/2022 e 3/03/2023, con il favore delle spese di lite. Il (...), costituitosi mediante deposito di memoria difensiva in data 13/07/2023, ha resistito in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda e la conferma delle deliberazioni impugnate. La causa, istruita per tabulas, è pervenuta per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 19/12/2023, tenutasi con le modalità stabilite dall'art. 127 ter c.p.c. Preliminarmente, va osservato che il condominio convenuto è incorso nelle decadenze di cui all'art. 166 c.p.c., essendosi costituito oltre il termine ivi stabilito. Ed invero, il termine di 70 giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione (12/09/2023) è spirato in data 3/06/2023, posticipato al successivo 5/06/2023, ricadendo la prima data di sabato, mentre il (...) si è costituito in data 13/07/2023. Ciò posto, i motivi di impugnazione delle delibere assembleari oggetto di causa sono ì seguenti: 1) violazione dell'art. 1108 c.c. in riferimento all'art. 1139 c.c.- Nullità assoluta delle deliberazioni del 25/10/2022 e 3/03/2023, per mancanza del consenso di alcuni condomini all'esecuzione di opere anche sulle loro proprietà esclusive; 2) violazione dell'art. 1418 c.c., in riferimento agli artt. 1325 n. 3 e 1346 c.c. - Nullità della deliberazione del 3/03/2023 per indeterminatezza o indeterminabilità dell'oggetto del contratto di appalto sottoscritto dall'amministratore su mandato dell'assemblea; 3) annullamento della delibera del (...) del 3/03/2023 per eccesso di potere. Con riferimento al primo motivo di opposizione, gli attori deducono che con la delibera del 3/03/2023, l'assemblea dei condomini ha dato mandato all'Amministratore di sottoscrivere il contratto di appalto predisposto dall'Impresa Immobiliare (...) il cui art. 5.1 lettera "b" recita: "il Committente dichiara di essere stato autorizzato dai singoli condomini all'esecuzione dei lavori anche sulle rispettive parti private interessate dalle opere". All'art. 7.1, inoltre, è previsto che il "Committente deve provvedere, prima della data di inizio dei lavori, a far rimuovere, ovvero dotare di adeguata protezione, le cose proprie o di terzi poste nei luoghi interessati ai lavori (e quindi anche nelle proprietà esclusive) che possano intralciare l'esecutorie dei lavori stessi", mentre il successivo comma 2 stabilisce che, in difetto di quanto sopra, l'Appaltatore può provvedere direttamente ai suddetti adempimenti. Pur tuttavia, gli odierni attori dichiarano di non aver mai espresso il loro consenso all'esecuzione delle opere sulle loro proprietà esclusive, sia nell'adunanza del 25/10/2022, che in quella del 3/03/2023. Ciò posto, anzitutto, occorre premettere che gli attuali interventi normativi in tema di Superbonus prevedono forme incentivanti per il rifacimento delle facciate condominiali con abbattimento di almeno due classi energetiche. Al contempo, il Decreto Rilancio n. 34/2020 (convertito in L. 77/2020) ha previsto all'art. 119 comma 9 bis dei quorum deliberativi ridotti, prevedendo che gli interventi in tema di Superbonus richiedano la maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno 1/3 del valore dell'edificio. Tale normativa, tuttavia, va contemperata con la normativa codicistica relativa ai poteri, o meglio alle attribuzioni, dell'assemblea. Ed invero, l'assemblea dei condomini è, per definizione, competente a deliberare esclusivamente sulle parti comuni. I compiti o "le attribuzioni" dell'assemblea di condominio sono regolati dall'art. 1135 c.c. Rientra nei poteri dell'assemblea la nomina e la revoca dell'amministratore, l'approvazione del preventivo e del rendiconto consuntivo, le decisioni relative alla gestione dei beni condominiali ex art. 1117 c.c. Dunque, i compiti dell'assemblea rappresentano, contemporaneamente, anche i limiti dei poteri dell'assemblea; in altre parole, l'assemblea di condominio non ha poteri fuori dalla gestione dei beni condominiali. Per meglio dire, in materia di condominio, l'assemblea condominiale non può perseguire finalità extra-condominiali e neppure può occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi, giacché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell'edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell'assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi. Invero, il potere deliberativo dell'assemblea in tanto sussiste in quanto l'assemblea si mantenga all'interno delle proprie attribuzioni, ove l'assemblea straripi dalle attribuzioni ad essa conferita dalla legge, la deliberazione avrà un oggetto giuridicamente impossibile e risulterà viziata da difetto assoluto di attribuzioni (conforme Trb. Cosenza 2/03/2023 n. 374). Di talché, agli interventi sulle parti degli edifici di proprietà privata dei singoli condomini avrebbero richiesto l'approvazione dei singoli proprietari esclusivi, in virtù del metodo contrattuale sopra descritto. In applicazione di tale principio, infatti, le delibere assembleari lesive della proprietà privata sono viziate per "eccesso di potere" essendo in contrasto con l'art. 1135 c.c., in quanto l'assemblea condominiale eccede ì propri poteri interferendo con la proprietà delle singole unità immobiliari. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che: "in tema di condominio di edifici, i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135 c.c.), non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive" (Cass. Civ., sez. II, 20 marzo 2015 n. 5657, nello stesso senso Cass. civ., Sez. II, 8 luglio 2020, n. 14300; Cass. 14/12/2007, n. 26468, secondo cui "in tema di condominio, i poteri dell' assemblea condominiale possono invadete la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni sia a quelle esclusive, soltanto quando una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o in riferimento ai singoli atti o mediante approvazione del regolamento che la preveda, in quanto l'autonomia negoziale consente alle parti di stipulale o di accettare contrattualmente convenzioni e tegole pregresse che, nell'interesse comune, pongano limitazioni ai diritti dei condomini"). Da ciò ne discende che per deliberare lavori che prevedono interventi nelle proprietà private dei singoli condomini è necessario il consenso degli interessati, che, ad avviso dello scrivente, potrebbe dedursi anche dalla votazione da parte del singolo a favore dell'intervento, per cui è comunque opportuno evidenziare il voto contrario in sede assembleare. La delibera adottata in contrasto con la volontà di alcuni proprietari e che al contempo preveda lavori nella loro proprietà lesivi della stessa, secondo la giurisprudenza è quindi da considerarsi radicalmente nulla (in tal senso Cass. Sez. Unite 4806/2005, Cass 7042/2020; di recente, Ord. 13/12/2022 n. 36387) e, quindi, può essere impugnata anche dopo il decorso del termine di 30 giorni (termine di decadenza fissato per contestare le delibere annullabili e decorrente dall'assemblea per i presenti, dalla ricezione del verbale per gli assenti), ciò in applicazione del 2° comma dell'art. 1137 c.c. stabilisce che "Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudicatici chiedendone l'annullamento nel temine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberatone per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicatone della deliberatone per gli assenti". In siffatto contesto normativo e giurisprudenziale, con specifico riferimento ai lavori di straordinaria manutenzione c.d. "Superbonus 110%", vanno segnalate due pronunce di mento. Già nel 2020, infatti, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 17997 del 16 dicembre 2020, si è pronunciato sull'impugnazione della delibera inerente lavori condominiali che hanno interessato il risanamento delle facciate e delle coperture dell'immobile. La delibera impugnata predisponeva la realizzazione di un cappotto termico, che avrebbe però ridotto la superficie dei balconi e dei terrazzi di alcuni proprietari. In questo caso il Tribunale ha sancito la nullità della delibera impugnata perché appariva lesiva del diritto di proprietà dei condomini, andando ad incidere sulla riduzione della superficie utile (piano di calpestio dei balconi), avendo la stessa approvato "tout court" la realizzazione del cappotto termico con l'istallazione di pannelli isolanti e con spessore variabile senza la specifica indicazione nel capitolato delle modifiche da eseguire sui balconi di proprietà degli attori. Nella stessa direzione va pure l'ordinanza del Tribunale di Milano del 30 settembre 2021, che si è invece espressa sulle maggioranze che sarebbero necessarie se in un condominio, il cappotto termico andasse ad incidere sull'estetica e quindi sul decoro architettonico dell'edificio. Anche in questo caso il Tribunale, richiamando la Sentenza n. 18928/2020 della S.C., annullava la delibera condominiale rammentando che "L'installazione del cappotto termico che determini il cambiamento dell'estetica del fabbricato con il mutamento di colori, materiali e l'introduzione di nuovi elementi architettonici necessita dell'approvatone all'unanimità da parte dell'assemblea condominiale ai sensi dell'art. 1120, ultimo comma c.c. senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico". La corretta valutazione, quindi, della deliberazione assembleare suscettibile di nullità va effettuata sulla precisa classificazione dei lavori oggetto di intervento stando ben attenti a non sconfinare dalle attribuzioni proprie del condominio. Quest'ultimo, infatti, come sopra precisato, può occuparsi esclusivamente della gestione dei beni e servizi comuni e qualsiasi decisione che non attenga strettamente alla propria competenza risulta viziata da "difetto assoluto di attribuzioni determinando la nullità radicale della deliberazione decretando la possibilità, per il condomino dissenziente, di poter essere impugnata in ogni tempo. Alla luce dei suesposti principi, le deliberazioni impugnate sono radicalmente nulle in quanto affette da difetto assoluto di attribuzioni. Ed invero, nella prima deliberazione (25/10/2022), l'assemblea era chiamata a deliberare circa "l'esposizione e approvazione del progetto esecutivo degli interventi in "ecosismabonus". Appalto lavori. Discussione in mento e decisione da adottare". La delibera è stata adottata con voti favorevoli per 641 millesimi e 136 contrari, tra cui i condomini (...) oggi opponenti. Sul punto, va osservato, preliminarmente, che nessuna delle parti ha depositato in atti il progetto esecutivo approvato dall'assemblea del 25/10/2022, sicché non è possibile stabilire con precisione se in detto progetto fossero o meno previste lavorazioni nelle parti di proprietà esclusiva dei singoli condomini. Pur tuttavia, deve ritenersi che l'intervento riguardasse anche le parti di proprietà privata dei singoli condomini, in primis in quanto il condominio convenuto non ha contestato tale circostanza, ma l'ha addirittura implicitamente confermata, svolgendo specifica attività difensiva in mento e depositando in atti le dichiarazioni degli attori, alcuni dei quali hanno autorizzato preventivamente l'esecuzione dei lavori all'interno delle rispettive proprietà; in secondo luogo, ciò si evince dalla disamina della relazione tecnica di asseverazione allegata alla CILA n. 7/2022, in atti, dove vengono descritte lavorazioni che necessariamente si estendono alle proprietà private, non solo come interventi c.d. trainati, ma persino trainanti. Nel caso di specie, né la delibera del 25/10/2022 ha espressamente sottoposto all'approvazione dei condomini la possibilità che ì lavori del (...) si estendessero anche alle parti private, limitandosi ad approvare tout court il progetto esecutivo, né tale indefettibile presupposto può ritenersi superato dalla preventiva acquisizione di dichiarazioni con le quali ì condomini abbiano manifestato il loro consenso in mento, posto che il voto contrario espresso in assemblea equivale a revoca del consenso precedentemente manifestato. Per le medesime ragioni, anche la deliberazione del 3/03/2023 è affetta da nullità per difetto assoluto di attribuzioni. Tale vizio si è riverberato anche nel contratto di appalto stipulato dall'amministratore in esecuzione di tale ultima deliberazione, nel quale questi dichiarato, al punto G della premessa, che gli interventi di cui al contratto (dunque anche quelli che interessano le parti provate dei singoli condomini) sarebbero stati oggetto di deliberazione dell'assemblea condominiale, circostanza non evincibile dalla disamina della richiamata delibera, così come non risulta che l'assemblea abbia autorizzato l'amministratore, così come riportato al punto H delle premesse, ad adottare il regime dello sconto in fattura ex art. 121 co. 1 lett. a) D.L. n. 34/2020. In base a tali premesse, poi, all'art. 5, co. 1 lett. a) del contratto vi è scritto che l'amministratore all'assemblea del 25/10/2022 sarebbe stato autorizzato dai singoli condomini all'esecuzione dei lavori anche sulle rispettive parti private dalle opere. Ogni altra questione resta assorbita. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo in applicazione delle tabelle allegate al DM n. 55/2014 ss.mm.11., valore indeterminabile nella misura minima, attesa la non particolare complessità delle questioni affrontate ed esclusa la fase istruttoria. P.Q.M. il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice monocratico, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione reietta, definitivamente pronunciando, così decide: - in accoglimento della domanda, dichiara la nullità delle deliberazioni adottate dall'assemblea straordinaria del (...) in data 25/10/2022 e 3/03/2023 in quanto affette da difetto assoluto di attribuzioni; - condanna il (...) convenuto alla rifusione delle spese di lite in favore degli attori, che liquida in complessivi euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso contributo unificato, spese generali (15%), Iva, c.p.a. come per legge. Teramo, lì 16 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO SEZIONE OTTAVA CIVILE in persona del Giudice Unico, dr.ssa Marisa GALLO ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n.25094/2021 promossa da: (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (...), presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende giusta delega in atti - ATTRICE - - contro - (...), in persona dell'amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in (...), presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende giusta delega in atti - CONVENUTO - OGGETTO: impugnazione delibera condominiale MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione del (...), ritualmente notificato, la (...) ha convenuto in giudizio il (...) sito in (...) onde ottenere l'annullamento delle deliberazioni assunte in data (...) ai punti 1 e 2 dell'ordine del giorno, con cui l'assemblea approvava l'esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria della facciata interno cortile e la messa in sicurezza della stessa. Lamentava come il capitolato approvato dall'assemblea non fosse attendibile e come le delibere non avessero ad oggetto beni di proprietà comune condominiale, ma strutture (i modiglioni) di proprietà esclusiva dei singoli condomini. Costituendosi in giudizio il (...) contestava le domande avversarie, evidenziando inoltre come i modiglioni avessero una funzione estetica, oltre che strutturale, e fossero dunque di proprietà condominiale. Con ordinanza del (...) veniva disposta una consulenza tecnica d'ufficio volta a descrivere lo stato dei luoghi. Con note scritte dell'(...) la parte attrice produceva i verbali delle nuove deliberazioni assembleari assunte in data (...) e (...), sostenendo come di fatto le stesse avessero revocato quanto disposto nella delibera impugnata, con conseguente cessazione della materia del contendere. All'udienza del (...) la causa veniva trattenuta a decisione, previa assegnazione alle parti dei termini per il deposito di comparse conclusionale e memorie di replica. 1. Preliminarmente non può condividersi la tesi attorea, secondo cui sarebbe cessata la materia del contendere. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, "la cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conclusioni conformi in tal senso al giudice, potendo al più residuare un contrasto solo sulle spese di lite, che il giudice con la pronuncia deve risolvere secondo il criterio della cosiddetta soccombenza virtuale. Allorquando, invece, la sopravvenienza di un fatto, che si assume suscettibile di determinare la cessazione della materia del contendere, sia allegato da una sola parte e l'altra non aderisca a tale prospettazione, il suo apprezzamento, ove esso sia dimostrato, non può concretarsi in una pronuncia di cessazione della materia del contendere, ma, ove abbia determinato il soddisfacimento del diritto azionato con la domanda dell'attore, in una valutazione dell'interesse ad agire, con la conseguenza che il suo rilievo potrà dare luogo ad una pronuncia dichiarativa dell'esistenza del diritto azionato (e, quindi, per tale aspetto, di accoglimento della domanda) e di sopravvenuto difetto di interesse ad agire dell'attore in ordine ai profili non soddisfatti da tale dichiarazione, in ragione dell'avvenuto soddisfacimento della sua pretesa per i profili ulteriori rispetto alla tutela dichiarativa" (Cass. civ. Sez. II Sent., (...), n. 21757). Nella fattispecie in esame, non solo il convenuto non ha condiviso la prospettazione di parte attrice in ordine al mutamento della situazione sostanziale a seguito delle delibere assembleari dell'(...) e del (...) e, dunque, non può ritenersi che vi sia cessazione della materia del contendere, ma tali delibere, pur comportando nei fatti la revoca della decisione di dare esecuzione ai lavori di manutenzione straordinaria della facciata e di affidare l'incarico alla (...) non appaiono soddisfare integralmente le pretese attoree, con conseguente permanenza dell'interesse ad impugnare le delibere oggetto di causa. E' infatti evidente che la cessazione della materia del contendere, o la carenza, anche sopravvenuta, di interesse ad agire, sono ravvisabili "solo quando il secondo deliberato modifichi le decisioni del primo in senso conforme a quanto richiesto dal condomino che impugna e non anche quando reiteri o comunque adotti una decisione nello stesso senso della precedente, presupponendo la stessa il sopravvenire di una situazione che consenta di ritenere risolta o superata la lite insorta tra le parti, sì da comportare il venir meno dell'interesse a una decisione sul diritto sostanziale dedotto in giudizio" (cfr. Tribunale Torino Sez. VIII Sent., (...)). 2. Ciò premesso, la domanda attorea deve essere respinta. Come primo motivo di impugnazione l'attrice ha lamentato come i lavori per il rifacimento integrale della facciata interna dello stabile fossero stati deliberati per cifre esorbitanti e non corrispondenti ad un capitolato attendibile. Tali doglianze non rilevano ai fini dell'invocato annullamento della delibera. Come noto, "in tema di condominio, il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere assembleari non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l'assemblea, quale organo sovrano della volontà dei condòmini, ma deve limitarsi ad un riscontro di legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale, non è finalizzato a controllare l'opportunità o convenienza della soluzione adottata dall'impugnata delibera, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia o meno il risultato del legittimo esercizio del potere dell'assemblea" (cfr. ex multis Cass. n. 29619/2022; Cass. n. 15320/2022; Corte d'Appello Torino Sez. II Sent., (...)); inoltre, "il sindacato dell'autorità giudiziaria... può abbracciare anche l'eccesso di potere, purché la causa della deliberazione risulti - sulla base di un apprezzamento di fatto del relativo contenuto, che spetta al giudice di merito - falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso lo strumento di cui all'art. 1137 c.c. non è finalizzato a controllare l'opportunità o convenienza della soluzione adottata dall'impugnata delibera, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell'assemblea. Ne consegue che esulano dall'ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti la vantaggiosità della scelta operata dall'assemblea sui costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose e ai servizi comuni." (Cass. Ord. n. 20135 del (...)). 3. Con il secondo motivo di impugnazione, l'attrice ha lamentato come la delibera avesse ad oggetto beni non condominiali. Ha infatti evidenziato come i balconi fossero di proprietà esclusiva dei singoli condomini, ed insieme ad essi anche i modiglioni, in quanto elementi strutturali diversi da fregi, rivestimenti e particolari decorativi che partecipano al decoro architettonico della facciata. Anche sotto questo profilo l'impugnazione deve essere respinta per molteplici ragioni. In primo luogo, come evidenziato dal (...), nel corso dell'assemblea del Data3 veniva specificato come "il capitolato lavori e conseguentemente i preventivi non prevedono lavorazioni sui balconi di proprietà esclusiva (e nemmeno su quelli che fungono da accesso agli appartamenti), essendo previsti esclusivamente interventi sulla facciata e sui modiglioni in quanto parti strutturali". Le risultanze della CTU confermano inoltre la natura condominiale dei modiglioni oggetto di causa. Incaricata espressamente di verificare se essi servano al sostegno delle parti comuni del fabbricato (o comunque assolvano ad una funzione estetica), l'arch. (...) ha chiarito che "la funzione dei modiglioni è con certezza strutturale e non meramente estetica. Fungono da sostegno delle lastre in pietra che costituiscono la struttura orizzontale e di calpestio dei balconi sopradescritti e sono attaccate al muro di facciata (...). Essi sorreggono inoltre i montanti metallici delle ringhiere dei medesimi balconi, anche questi ancorati a muro, nella parte superiore. Per rispondere se servano pertanto al sostegno delle parti comuni del fabbricato o di proprietà esclusiva, bisogna vedere dove sono posizionati e considerare la loro funzione di supporto, non solo dei balconi ma anche delle ringhiere, considerate elemento di facciata con funzione di sicurezza" (pag. 6 CTU). Il CTU ha infine concluso che "i ballatoi del caso in oggetto sono, a giudizio della scrivente, da considerarsi necessari per l'esistenza del fabbricato, essendo destinati all'uso o al servizio di esso, per consentire l'accesso di buona parte delle u.i. che lo costituiscono", escludendo dalla funzione strutturale solo alcuni modiglioni, che sorreggono le parti di ballatoio ad uso esclusivo di una unità immobiliare (pag. 7 CTU). Non solo, dunque, la maggior parte dei modiglioni posizionati nella facciata interno cortile del (...) assolvono ad una essenziale funzione strutturale, e come tali costituiscono parti comuni del (...) ex art.1117 c.c., ma in ogni caso essi partecipano tutti di una funzione estetica per l'intero fabbricato condominiale. Come noto, la Corte di Cassazione opera una differenziazione tra i balconi e i rivestimenti degli stessi, precisando come "mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell'art. 1117 c.c., non essendo necessari per l'esistenza del fabbricato, né essendo destinati all'uso o al servizio di esso, i rivestimenti dello stesso devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono in concreto una prevalente, e perciò essenziale, funzione estetica per l'edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole (Cass. Sez. 2, Data 16 , n. 637; Cass. Sez. 2, (...), n. 14576; Cass. Sez. 2, (...), n. 6624; Cass. Sez. 2, (...), n. 30071)" (cfr. Cass. Ord. n. 10848/2020; Cass. n.4909/2020). Inoltre, le pronunce di legittimità sono chiare nell'affermare che "il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte o della parte sottostante della soletta dei balconi degli appartamenti di un edificio debbono essere considerati di proprietà comune dei condomini, in quanto destinati all'uso comune, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l'edificio, mentre sono pertinenze dell'appartamento di proprietà esclusiva quando servono solo per il decoro di quest'ultimo; conseguentemente, nel caso di distacco, per vizio di costruzione, del rivestimento o degli elementi decorativi predetti, l'azione di responsabilità nei confronti del costruttore è legittimamente esperita dal condominio, ai sensi dell'art. 1669 cod. civ., se il rivestimento o gli elementi decorativi abbia prevalente funzione estetica per l'intero edificio" (cfr. Cass. n. 12792/1992). In risposta alle osservazioni del consulente tecnico di parte attrice, l'arch. (...) con il proprio elaborato integrativo alla relazione preliminare del (...), ha ribadito come "il CTU non concorda con l'affermazione riguardo ai modiglioni "che si tratta di elementi in pietra senza alcun pregio architettonico e (...) privi di funzione estetica". Essi, infatti, oltre alla funzione primaria statica di sostegno hanno comunque una funzione estetica, in quanto elementi lavorati con un disegno curvo, come evidenziato anche dal CTP del (...)" (p. 1). Non possono condividersi i rilievi dell'attrice, secondo cui la funzione estetica, in quanto residuale, non sarebbe sufficiente a giustificare l'adozione di una delibera condominiale. Ciò che rileva non è tanto determinare se sia prioritaria la funzione strutturale o quella estetica, bensì stabilire se gli elementi decorativi adempiano prevalentemente alla funzione ornamentale dell'intero edificio o solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti. Nella fattispecie, la consulente ha chiaramente sottolineato come i modiglioni rivestano una funzione decorativa dell'intero edificio - e non solo dei singoli balconi - "in quanto elementi facenti parte di un'architettura storica dei primi del 900 e di un sistema costruttivo non contemporaneo" (cfr. pag. 2 elaborato integrativo della CTU). Alla luce di quanto sopra esposto deve dunque affermarsi la validità delle delibere impugnate. 4. Ad abundantiam, occorre evidenziare come parte attrice abbia svolto domanda di annullamento delle delibere impugnate, e non di nullità, come emerge dalle conclusioni rassegnate in atto di citazione, in memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., nelle note scritte ex art. 127 ter c.p.c. e nella comparsa conclusionale. Secondo la nota sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 9839/2021, "in tema di condominio degli edifici, l'azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., come modificato dall'art. 15 della l. n. 220 del 2012, mentre la categoria della nullità ha un'estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell'oggetto in senso materiale o giuridico - quest'ultima da valutarsi in relazione al "difetto assoluto di attribuzioni" -, contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all'"ordine pubblico" o al "buon costume" (Cass. n. 9839/2021). Nel caso di specie, alla prospettazione attorea avrebbe dovuto seguire una domanda di nullità, e non di annullamento, delle delibere, essendo in discussione il difetto di attribuzioni dell'assemblea condominiale a statuire in ordine a parti asseritamente di proprietà esclusiva dei singoli condomini; peraltro, neppure sarebbe stato possibile pronunciare d'ufficio la nullità, per rispetto del principio della domanda. Come chiarito da una recentissima pronuncia della Suprema Corte che, sebbene emessa in materia societaria, ben può trovare applicazione, per identità di ratio, anche alla materia condominiale, "il giudice, se investito dell'azione di nullità di una delibera assembleare, ha sempre il potere (e il dovere), in ragione della natura autodeterminata del diritto cui tale domanda accede, di rilevare e di dichiarare in via ufficiosa, e anche in appello, la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato; se, invece, la domanda ha per oggetto l'esecuzione o l'annullamento della delibera, la rilevabilità d'ufficio della nullità di quest'ultima da parte del giudice nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni dev'essere coordinata con il principio della domanda per cui il giudice, da una parte, può sempre rilevare la nullità della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato, in funzione del rigetto della domanda ma, dall'altra parte, non può dichiarare la nullità della delibera impugnata ove manchi una domanda in tal senso ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio che faccia seguito della rilevazione del giudice, dalla parte interessata" (Cass. Ord. n. 10233 del (...)). In conclusione, le domande attoree devono essere integralmente respinte. 5. Le spese di lite seguono la soccombenza e devono pertanto essere poste a carico della (...), in assenza di nota spese, si liquidano come in dispositivo, secondo i parametri medi previsti dal D.M. n. 147/2022 per le cause di valore indeterminabile ricompreso tra Euro 26.000,01 ed Euro 52.000,00. Vanno altresì poste definitivamente a carico dell'attrice le spese di CTU, già provvisoriamente liquidate in corso di causa. P.Q.M. Il Tribunale di Torino, definitivamente pronunciando, respinta o assorbita ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, respinge tutte le domande di parte attrice; condanna la (...) a rimborsare al (...) sito in (...),(...), le spese di lite, che liquida in Euro 7.616,00 per compenso, oltre 15% rimborso spese generali, CPA ed IVA ai sensi di legge; pone in via definitiva a carico dell'attrice le spese di CTU già liquidate in corso di causa, nei soli rapporti interni tra le parti. Così deciso in Torino l'1 marzo 2024. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6717 del 2017, proposto dal Condominio Lo. in Fi., in persona dell'Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Cl. Li., Pa. Ra., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Pa. Ra. in Roma, via (...); contro Comune di Lodi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Um. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Signor Al. Co., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Cl., con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via (...); sul ricorso numero di registro generale 6718 del 2017, proposto dal medesimo Condominio, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato; contro Signor Al. Co., come sopra rappresentato, difeso e domiciliato; Comune di Lodi, in persona del Sindaco pro tempore, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato; per la riforma quanto al ricorso n. 6717 del 2017: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per La Lombardia (sezione Seconda) n. 632/2017; quanto al ricorso n. 6718 del 2017: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per La Lombardia (sezione Seconda) n. 1211/2017. Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Lodi del signor Al. Co.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 4 dicembre 2023 il Cons. Raffaello Sestini e uditi per le parti gli avvocati Cl. Li., Um. Fa. e Al. Cl. in collegamento da remoto; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Vengono all'esame del Collegio due appelli concernenti gli sviluppi nel tempo di una medesima complessa vicenda contenziosa essenzialmente riferita ai rapporti di vicinato fra il ricorrente di primo grado, proprietario di una singola unità immobiliare di un edificio posto nel medesimo comprensorio, ed il Condominio odierno appellante, che era intervenuto ad adiuvandum in primo grado ed è legittimamente subentrato nel rapporto processuale in grado d'appello a seguito del conferimento del proprio immobile, da parte della Cooperativa edilizia ricorrente, ai singoli condomini, divenuti in tal modo contitolari delle parti comuni (il tetto) interessate dalle opere in contestazione. I due appelli possono pertanto essere agevolmente riuniti e decisi nel senso del riconoscimento della libertà privata volta ad ottenere, anche mediante soluzioni progettuali innovative e di green economy, la massima utilità dei propri beni edilizi nei soli limiti previsti dalla legge a tutela del superiore interesse ad un ordinato sviluppo urbanistico rispettoso dell'interesse pubblico generale della Comunità, restando preclusa ogni ulteriore o diversa considerazione soggettiva o "estetica" riferita ai rapporti proprietari di vicinato, che non possono motivare domande meramente emulatorie attinenti il predetto momento di controllo pubblico e che vengono, comunque, fatti salvi dall'attività provvedimentale degli uffici pubblici potendo trovare, se del caso, tutela davanti ad altro giudice. 2 - Le pregresse considerazioni si attagliano, come si vedrà, al contenzioso in esame, che prendeva avvio quando la Cooperativa Lo. in fi. s.c.a.r.l., proponeva ricorso contro il Comune di Lodi, con l'intervento ad adiuvandum del Condominio Lo. in Fi. e ad opponendum del signor Al. Co., per l'annullamento dell'ordinanza comunale n. 502 del 2 dicembre 2010 che, a seguito di esposti di terzi, le aveva intimato di rimuovere "la struttura pilastrata e coperta poggiante sopra parte dell'ultima soletta dell'edificio in adiacenza al corpo scale" ed il "rivestimento in gres porcellanato" dell'edificio in corso di costruzione. 2.1 - Tutte le parti producevano memorie e, a seguito dell'udienza pubblica del 28 febbraio 2017, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda dichiarava in parte improcedibile il ricorso per la cessazione della materia del contendere, in quanto medio tempore, in data 16 maggio 2013, il Comune di Lodi aveva rilasciato permesso di costruire in sanatoria quanto alla realizzazione di un locale tecnico sopra la copertura piana dell'edificio, e in parte lo respingeva, quanto all'ordine di remissione in pristino del rivestimento della facciata in gres porcellanato. Il Tribunale di primo grado riteneva, infatti, che l'applicazione di tale rivestimento fosse avvenuta in contrasto con l'art. 5.5 delle NTA del PEEP (omissis), condannando la società ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro. 1.500 in favore del Comune di Lodi. 2.3 - La predetta sentenza veniva impugnata dal Condominio Lo. in Fi. (interessando l'ordinanza di ripristino parti comuni dell'edificio) con il primo degli appelli indicati in epigrafe. 2.4 - Successivamente il signor Co. impugnava anche il sopra indicato permesso di costruire in sanatoria, che veniva annullato dal TAR all'esito di una complessa e articolata motivazione concernente la violazione della convenzione edilizia di riferimento, dopo aver riunito e dichiarato inammissibile -per profili sostanzialmente procedurali riferiti alle modalità di impugnazione degli effetti di una DIA- anche un ulteriore gravame del medesimo ricorrente avverso la successiva DIA presentata dalla Cooperativa "Lo. in fi." ed avente ad oggetto la realizzazione di un "tetto giardino" sulla sommità del medesimo immobile. 2.5 - In entrambi i giudizi d'appello si costituivano il Comune di Lodi e il sig. Al. Co. e vi era ampio scambio di memorie fra le parti. Il Condominio appellante chiedeva inoltre la trattazione congiunta dei due appelli. 3 - La domanda da ultimo indicata deve essere accolta, con la conseguente riunione dei due appelli, in ragione della loro identità soggettiva e della loro evidente connessione oggettiva. 4 - Con il primo dei due gravami in epigrafe, il Condominio appellante deduce in primo luogo che Il TAR di Milano ha omesso di delibare compiutamente il primo motivo di ricorso, con cui si è dedotta la formazione del silenzio assenso sulle denunce di inizio attività presentate dalla cooperativa ricorrente, sua dante causa, secondo la disciplina di cui all'art. 23, comma 1 del DPR n. 380/2001. 4.1 - Il TAR si sarebbe infatti limitato a statuire che l'art. 5.5 delle norme tecniche di attuazione dell'approvato PEEP prescriveva che "per gli edifici da realizzare sono (...) vincolanti i seguenti elementi compositivi, decorativi e di finitura, come indicati alla tav. 11 (...): utilizzo di intonaci esterni e tinteggiature tradizionali, in alcune parti con disegni a bugna orizzontale, non stilata" ritenendo che tale disciplina, "preordinata ad assicurare il decoro architettonico per tutti gli immobili inclusi nel piano", fosse stata "correttamente assunta dall'Amministrazione quale termine di paragone della conformità dei lavori eseguiti", senza che potesse peraltro rilevare la dedotta violazione dell'art. 34 del TU Edilizia, in quanto il procedimento ripristinatorio è stato condotto come se quanto realizzato fosse difforme dal titolo, mentre così non sarebbe. 4.2 - In secondo luogo l'appellante deduce l'erronea valutazione, da parte del TAR, del terzo mezzo di gravame, con il quale la Cooperativa ricorrente invocava l'illegittimità dell'ordinanza n° 502 in quanto la realizzazione di parte della copertura esterna in gres porcellanato doveva dirsi compatibile con l'art. 5.5 delle NTA del PEEP. Infatti, l'art. 5.5 del PEEP prescrive l'"utilizzo di intonaci esterni e tinteggiature tradizionali, in alcune parti con disegni a bugna orizzontale, non stilata". E quindi facoltizzerebbe l'uso, in alcune parti - nel caso odierno la parte inferiore dell'edificio - di disegni a bugna orizzontale, che ben possono essere ottenuti mediante l'uso di un rivestimento in pietra rustica, piana o liscia. L'opera sarebbe stata, perciò, eseguita correttamente poiché il rivestimento, nella parte bassa dell'edificio, è realizzato in piastrelle di gres ceramico (60 x 30 cm), sporgenti 0,7 centimetri dal muro, posate con il lato lungo parallelo al suolo in modo da realizzare, appunto, disegni a bugna orizzontale, non "stilata". Donde la conformità del rivestimento dei muri perimetrali dell'edificio. 4.3 - A tale ultimo riguardo il Comune replica, con propria memoria, che la sentenza appellata è meritevole di conferma in quanto la norma di piano invocata dal Comune di Lodi a sostegno del provvedimento impugnato in primo grado, impone l'utilizzo di "intonaci esterni e tinteggiature tradizionali" e quindi ciò che rileva nella fattispecie in esame non sarebbe il mero "disegno" (o effetto finale), come pretenderebbe controparte, ma la natura e consistenza del materiale utilizzato ed il gres porcellanato non rientrerebbe certamente tra i materiali tradizionali. 4.4 - Pertanto, conclude il Comune, posto che la norma di piano invocata a sostegno del proprio provvedimento impugnato in primo grado impone l'utilizzo di "intonaci esterni e tinteggiature tradizionali" diversi da quelli impiegati, il richiamato passaggio della sentenza impugnata sarebbe rilevante anche ai fini della valutazione dell'infondatezza del primo motivo d'appello, nella parte in cui contesta che il TAR abbia pronunciato "senza, tuttavia, nulla scrivere quanto ai poteri che spettano all'A.c. nel caso in cui l'intervento realizzato sia conforme alla DIA ma (in ipotesi) difforme dalle NTA del Piano attuativo" in quanto al contrario la sentenza di primo grado, nel rilevare che la difformità rispetto alla previsione della norma tecnica fosse "palese", avrebbe implicitamente, ma chiaramente, riconosciuto che, in quanto il contenuto tipico della DIA è l'asseverazione della conformità dell'intervento alla disciplina edilizia e urbanistica, ove la violazione della norma sia palese, vi è anche difformità dalla DIA stessa. Da qui il letterale e corretto richiamo all'art. 23, comma 1, del DPR 380/2001, da leggersi in combinato disposto con l'art. 21, comma 1, della Legge n. 241/90 e s.m.i., il cui secondo periodo espressamente dispone che: "in caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti". 4.5 - Analoghe considerazioni vengono svolte dall'interveniente sig. Al. Co., in qualità di proprietario di un appartamento nella palazzina adiacente, secondo il quale "non rileva la disciplina inerente il c.d silenzio assenso posto che nella fattispecie, la dichiarazione di conformità contenuta nella DIA era palesemente priva di fondamento". Infatti, secondo il signor Co. "come correttamente statuito dal Collegio di primo grado, la previsione è chiarissima nel vincolare il progettista rispetto ad alcuni elementi compositivi, decorativi e di finitura che non prevedono l'utilizzo del gres porcellanato come accaduto nel caso di specie". Il medesimo ritiene pertanto che il ricorso in appello sia da respingere "in quanto improponibile, inammissibile e, comunque, infondato", con ogni conseguente statuizione. 5 -Ai fini della decisione il Collegio, premessa la indubbia improcedibilità del ricorso di primo grado quanto alla copertura del tetto, stante il sopravvenuto provvedimento impugnato con l'altro ricorso di primo grado in esame, considera preliminarmente che il secondo motivo d'appello, come sopra sintetizzato, deve essere esaminato per primo alla stregua di un criterio di efficacia sostanziale della tutela giurisdizionale, in quanto il suo accoglimento statuirebbe la conformità del rivestimento utilizzato dal Condominio precludendo ulteriori atti del Comune al riguardo. 5.1 - Il motivo in esame risulta fondato sotto il profilo della irragionevolezza dell'intervento comunale alla stregua dei principi di sussidiarietà, di proporzionalità e di adeguatezza che devono guidare l''esercizio dei poteri autoritativi limitativi della sfera di libertà personale e imprenditoriale ai sensi degli artt. 2, 41, 42 e 97 della Costituzione e delle corrispondenti previsioni del Trattato UE. Il Comune può infatti conformare l'attività edilizia privata ai fini di sicurezza e salubrità dell'abitato, di decoro del contesto urbano e di tutela ambientale e paesaggistica, e quindi può certamente imporre, anche per immobili non sottoposti a specifico vincolo storico culturale, non solo regole costruttive ma anche standard stilistici ed estetici secondo modelli tradizionali volti a confermare l'identità del contesto urbano, ma non può sovrapporvi immotivate interpretazioni estetiche soggettive avulse dal contesto di riferimento né ostacolare (in mancanza di uno specifico vincolo in tal senso) la naturale evoluzione tecnico-scientifica dei materiali e delle lavorazioni. 5.2 - Il tale quadro, la previsione delle NTA, in quanto solo "preordinata ad assicurare il decoro architettonico per tutti gli immobili inclusi nel piano" è in questo caso rispettata mediante la resa estetica di "alcune parti" (quelle basse) della facciata "con disegni a bugna orizzontale non stilata" (motivo grafico del rivestimento a pietra non controverso fra le parti) secondo tecniche di "intonocazione e tinteggiatura "tradizionali", tecniche che, notoriamente, includono l'utilizzo di parti in pietra, soprattutto per gli angoli (notoriamente più esposti ad usura) e per le parti vicine al suolo (notoriamente più esposte all'umidità ) mediante pietra, tagliata e mantenuta allo stato naturale oppure ottenuta nella sua consistenza finale (così come accade per il gres porcellanato) mediante una terra cotta ad altissime temperature, ottenendosi in ogni caso un materiale, indipendentemente dalle sua modalità di preparazione (che non sono soggette a particolare vincolo -né potrebbero legittimamente esserlo in una libera economia di mercato), disponibile in plurime forme del tutto assimilabili, quanto a consistenza e aspetto estetico, alla pietra tradizionale, discendendone la palese irragionevolezza e l'indebita vessatorietà, apprezzabili da questo giudice indipendentemente da qualsiasi ambito di discrezionalità o di discrezionalità tecnica, della interpretazione data dal Comune alla prescrizione in esame. 5.3 - Come sopra indicato, l'accoglimento del secondo motivo d'appello rende non dirimente l'esame della prima censura, di ordine solo procedimentale, che risulta ugualmente fondata, ma il cui accoglimento, pur determinando ugualmente l'annullamento dell'atto impugnato in riforma dell'appellata sentenza, non potrebbe precludere un successivo motivato intervento in autotutela del Comune fondato sulla medesima pretesa difformità del rivestimento rispetto alle prescrizioni applicabili. La questione, per la sua rilevanza nel caso di specie, merita il seguente chiarimento: l'intervento pubblicistico impugnato in primo grado è intervenuto dopo il decorso del termine di legge che esaurisce lo spazio d'intervento del potere di controllo pubblico in sede di avvio dell'attività liberalizzata, fermi restando i poteri di controllo delle attività effettivamente svolte nel territorio a tutela della salute, della sicurezza e dell'ambiente. Ne consegue che al decorso del predetto termine l'Ente preposto (il Comune) potrà attivare il sopra richiamato potere di motivato intervento in autotutela previa ponderazione dei diversi interessi coinvolti, ma non potrà più intervenire sulla dichiarazione effettuata, salva la falsità degli atti (qui non solo non dimostrata ma neppure contestata), ovvero salvo che -alla stregua di un generale principio di buona fede e di tutela dell'affidamento- le omissioni o inesattezze della dichiarazione siano tali da aver precluso, alla stregua del principio costituzionale di buon andamento dell'amministrazione, un effettivo esercizio del potere di controllo entro il termine di legge, circostanza questa certamente assente nella fattispecie in esame, posto che la dichiarazione, pur attestando genericamente il rispetto delle prescrizioni comunali applicabili, evidenziava univocamente l'intenzione di utilizzare il tipo di rivestimento poi contestato dal Comune, ritenuto dallo stesso TAR "palesemente" difforme dalle prescrizioni ritenute applicabili e, quindi, facilmente rilevabile entro l'indicato termine di legge, che non può essere messo nel nulla salvo che le affermazioni, inesattezze o lacune della dichiarazione siano tali da impedire il tempestivo svolgimento del controllo pubblico. 6 - In conclusione, il primo degli appelli indicati in epigrafe risulta fondato con riferimento ad entrambi i motivi d'appello dedotti e deve essere pertanto accolto, discendendone per l'effetto, in riforma del capo della impugnata sentenza di primo grado, il parziale accoglimento nei termini sopraindicati del ricorso di primo grado, risultando il rivestimento utilizzato -e tardivamente contestato dall'amministrazione- pienamente compatibile con le prescrizioni sopra esaminate. La presente statuizione, al contrario, non incide sull'altro capo della impugnata sentenza di primo grado, che ha esattamente ritenuto il ricorso di primo grado improcedibile, in ragione del sopravvenuto rilascio del permesso di costruire in sanatoria, quanto alla realizzazione di un locale tecnico sopra la copertura piana del tetto dell'edificio. 7 - Il permesso di costruire da ultimo citato è stato impugnato, come sopra descritto, dal medesimo signor Co., che con ulteriore ricorso ha impugnato anche la successiva DIA dell'11 luglio 2013 presentata dalla Cooperativa "Lo. in fi." avente ad oggetto la "eliminazione del tetto a falde e la realizzazione di un tetto giardino". I due ricorsi sono stati riuniti e decisi dal TAR con la sentenza impugnata con il secondo degli appelli in epigrafe, che deve essere ora esaminato. 7.1 - In particolare, il secondo appello in epigrafe è riferito all'annullamento, da parte del TAR, del permesso in sanatoria rilasciato al medesimo condominio di cui al giudizio precedente per il locale tecnico sul lastrico solare. Il TAR, al contrario, con la medesima sentenza ha dichiarato inammissibile l'ulteriore ricorso avverso la successiva DIA volta alla realizzazione di un "tetto-giardino" sulla sommità del medesimo edificio. 7.2 - Il TAR ha accolto il primo ricorso sopraindicato con una complessa e articolata motivazione concernente la violazione della convenzione edilizia di riferimento. 7.3 - La predetta sentenza è stata appellata dal Condominio Lo. in Fi.. Il Comune di Lodi è intervenuto ad adiuvandum. Il signor Co., ricorrente vittorioso in primo grado in parte qua, si è costituito nel giudizio d'appello ad opponendum. Le parti hanno ulteriormente messo a punto le rispettive difese mediante lo scambio di plurime memorie. 8 - In particolare il Condominio appellante, con l'intervento ad adiuvandum del Comune di Lodi, deduce plurimi motivi d'appello: 8.1 - in primo luogo, si contesta il mancato accoglimento della propria eccezione di primo grado concernente l'irricevibilità del ricorso per tardività, avendo il giudice di prime cure assunto che il termine per l'impugnazione del permesso di costruire in sanatoria del 16 maggio 2013, rilasciato alla Cooperativa Lo. in fi., non sarebbe decorso fino all'accesso agli atti del 24 luglio 2013. A giudizio di parte appellante, al contrario, il ricorso avverso il permesso di costruire in sanatoria doveva essere notificato entro il termine di sessanta giorni dal rilascio del titolo. Sotto altro profilo, la decisione del TAR sarebbe erronea per la parte in cui ha affermato che "il sig. Co. ha dimostrato di aver appreso del rilascio del titolo in sanatoria soltanto il 24 luglio 2013, a seguito di accesso agli atti relativi all'immobile" in quanto si fonderebbe su di un documento depositato tardivamente rispetto all'udienza pubblica di trattazione del 15 gennaio 2016, a nulla rilevando l'intervenuto rinvio dell'udienza, su istanza della difesa dello stesso sig. Co., per consentire la trattazione congiunta con l'altro ricorso in epigrafe; 8.2 - si contesta, poi, la mancata valutazione dell'ulteriore eccezione di difetto di legittimazione attiva del ricorrente, in quanto lo stesso avrebbe comprovato la propria legittimazione mediante un deposito in atti irrimediabilmente tardivo dei documenti dai quali si sarebbe potuto evincere la vicinitas rispetto all'immobile cui si riferisce il permesso di costruire in sanatoria (certificato di residenza e copia dell'atto di acquisito); 8.3 - viene altresì dedotta la mancata considerazione dell'ulteriore eccezione di difetto di interesse all'annullamento del permesso di costruire in sanatoria del 16.5.2013, essendosi il TAR limitato ad un generico richiamo alla giurisprudenza che, in relazione all'impugnazione dei titoli edilizi, ritiene sufficiente il rapporto di vicinitas a fondare l'interesse al ricorso, senza peraltro esaminare il caso concreto; 8.4 - il TAR avrebbe comunque errato nel non accogliere il ricorso di controparte avverso la successiva DIA ed il silenzio provvedimentale formatosi su di essa, accogliendo però il precedente ricorso avverso il p.d.c. in sanatoria del 16.5.2013 senza accogliere l'eccezione di improcedibilità del Condominio, che sarebbe viceversa fondata, essendo stata la copertura dell'edificio, oggetto del permesso di costruire in sanatoria impugnato, successivamente modificata per effetto della citata successiva DIA dell'11 luglio 2013; 8.5 - infine, la sentenza appellata sarebbe erronea per la parte in cui ha accolto il primo motivo del ricorso di primo grado, in quanto il permesso di costruire in sanatoria impugnato legittimava la realizzazione di un locale tecnico, che avrebbe dovuto essere collocato dentro il sottotetto ma che, non essendo stato realizzato il sottotetto, si presentava quale volume autonomo ma solo quale locale tecnico destinato ad alloggiare gli impianti di ventilazione e quello solare termico, risultando escluso dal computo degli invocati parametri urbanistico-edilizi. 9 - Il signor Co., con proprie memorie, contesta puntualmente le sopra sintetizzate deduzioni. In particolare: 9.1 - quanto alla presunta tardività del proprio ricorso di primo grado, motivata dalla circostanza che il gravato permesso di costruire è stato rilasciato il 16 maggio 2013 ed il ricorso è stato notificato il 6 novembre 2013, il signor Co. evidenzia che l'eccezione è già stata sollevata nell'ambito del giudizio di primo grado e respinta dal TAR che, del tutto correttamente, ha ritenuto tempestivo il ricorso. avendo il ricorrente avuto conoscenza del gravato permesso solo successivamente alla sua emissione, precisamente in data 24 luglio 2013, e dovendosi computare la sospensione feriale dei termini, che, epoca del ricorso, giungeva sino al 15 settembre. Pretestuosa e infondata sarebbe l'ulteriore deduzione secondo cui il TAR avrebbe indebitamente affermato che "il sig. Co. ha dimostrato di aver appreso del rilascio del titolo in sanatoria soltanto il 24 luglio 2013, a seguito dell'accesso agli atti relativi all'immobile" in quanto fondata su un documento depositato tardivamente, posto che l'udienza di trattazione del 15 gennaio 2016 -cui si riferirebbe la tardività - fu poi rinviata e che, comunque, il deposito del documento si era reso necessario solo a seguito della eccezione formulata dalla odierna appellante solo e soltanto nella memoria conclusiva mentre la difesa comunale non aveva mai sollevato tale rilievo; 9.2 - quanto alla censura della pronuncia di primo grado per la parte in cui il TAR ha ritenuto comprovata la legittimazione attiva dell'odierno appellato mediante la produzione di documenti che sarebbero stati invece depositati tardivamente, il signor Co. ribadisce che l'udienza di trattazione del 15 gennaio 2016 fu rinviata al 28 febbraio 2017, risultando il deposito perfettamente in termini; 9.3 - quanto al terzo motivo di appello, volto ad eccepire la carenza di interesse in quanto il requisito della vicinitas non sarebbe di per sé sufficiente a radicare l'interesse all'impugnativa, il signor Co. evidenzia i profili che radicherebbero il proprio interesse, citando inoltre la giurisprudenza che, così come statuito dal Collegio di prime cure, ritiene sufficiente la vicinitas ai fini del radicamento dell'interesse a ricorrere (Cons. di Stato, Sez. IV, 13.7.2011, n. 4268; e, da ultimo, 9.4 - quanto al quarto motivo di appello, volto a far valere il sopravvenuto difetto di interesse in capo all'appellato in considerazione della successiva DIA dell'11 luglio 2013 che prevede la realizzazione di una copertura piana, evidenzia il signor Co. che il TAR ha ritenuto, del tutto correttamente, che la denuncia di inizio attività sopra citata fosse "un atto distinto e successivo rispetto al permesso di costruire in sanatoria", che non solo non esauriva l'interesse a far valere l'illegittimità del precedente diverso titolo, ma che, al contrario, ne subiva le conseguenza, non potendo la nuova DIA operare se non sul presupposto della legittimità dello stato di fatto preesistente; 9.5 - quanto, infine, al merito dell'appello, le prescrizioni tecniche degli strumenti urbanistici vigenti circa le coperture a falda in cotto degli edifici avrebbero dovuto precludere il rilascio dell'avversato titolo in sanatoria. 10 - Ai fini della decisione, deve essere in primo luogo evidenziata l'infondatezza del primo, del secondo e del quarto motivo d'appello, volti a far valere la mancata valorizzazione, da parte del TAR, delle eccezioni concernenti profili di inammissibilità del ricorso di primo grado che, in realtà, si rivelano insussistenti. In particolare: 10.1 - il ricorso di primo grado non era tardivo, in quanto il termine di impugnazione di 60 giorni del titolo edilizio decorre dal momento della conoscenza dell'atto gravato da parte del ricorrente e, nella fattispecie considerata, in difetto di una notifica o comunicazione dell'atto al potenziale controinteressato e non essendo stata neppure provata la presenza di mezzi di pubblicità sul cantiere idonei a generare una presunzione di conoscibilità del titolo, l'appellante non ha potuto dimostrare una conoscenza anticipata del titolo edilizio rispetto alla data di sua acquisizione mediante domanda di accesso agli atti. Neppure può rilevare, al fine di supportare l'eccezione procedurale in esame, la dedotta tardività del deposito degli atti relativi al predetto accesso, posto che l'invocato termine processuale per il deposito dei documenti, essendo potenzialmente limitativo di una piena tutela giurisdizionale, può trovare la propria ragione di essere -e deve pertanto essere interpretato- solo in relazione all'esigenza di garantire lo svolgimento di un giusto processo rispettoso delle prerogative di tutte le parti, di modo che il mancato rispetto del termine riferito allo svolgimento dell'udienza, con conseguente tardività del deposito, non poteva più avere alcun effetto a seguito del rinvio a nuova data che aveva consentito alle controparti un termine di valutazione ed eventuale risposta ampiamente superiore a quello minimo previsto, fermo restando che la circostanza dell'intervenuto accesso agli atti presso gli uffici comunali risultava comunque da atti pubblici facenti piena fede; 10.2 - ugualmente infondata è la documentata ma formalistica eccezione procedurale volta a contestare il difetto di legittimazione attiva del ricorrente a causa del tardivo deposito dei documenti volti ad attestarla (certificato di residenza e copia dell'atto di acquisito). Infatti, la legittimazione del ricorrente afferiva a sue specifiche qualità denotanti un suo non occasionale rapporto con il territorio interessato dall'intervento edilizio contestato, debitamente affermate in sede di impugnativa e risultanti da atti pubblici semplicemente depositati a comprova di una condizione di fatto e di diritto già sussistente al momento dell'impugnativa. Al riguardo, viene altresì in rilievo la sentenza di questa Sezione n. 8352 del 15 settembre 2023 (impropriamente richiamata del signor Co. con riferimento all'interesse ad agire anziché alla legittimazione al ricorso), la quale ha ritenuto che "nel caso in cui ad impugnare il titolo edilizio non sia il privato confinante (o un soggetto che si trovi in posizione analoga) il mero criterio della vicinitas in senso solo materiale non può di per sé radicare la legittimazione al ricorso" discendendone al contrario -osserva il signor Co., che nel caso di impugnativa avanzata dal proprietario confinante il requisito della vicinitas è di per sé sufficiente; 10.3 - infine, la dedotta improcedibilità discendente dalla successiva DIA è smentita dalla semplice considerazione che l'annullamento del permesso di costruire in sanatoria determinerebbe il carattere abusivo delle preesistenze sulle quali le opere oggetto di DIA erano destinate ad incidere, palesando delicati profili di legittimità del nuovo assetto edilizio del "tetto-giardino" che ha sostituto la precedente copertura sanata con il permesso di costruire in esame. 11 - A diverse considerazioni si presta la sopra esaminata eccezione di carenza di interesse del ricorrente in ragione del carattere solo emulativo del suo ricorso. 11.1 - In particolare il TAR, così come eccepito dal Condominio appellante, ha solo richiamato la giurisprudenza che ritiene di regola sufficiente, ai fini della impugnazione dei titoli edilizi, il rapporto di vicinitas del proprietario confinante. 11.2 - Il signor Co., nella consapevolezza della necessità di rapportare al caso concreto la predetta considerazione -riferibile in realtà alla legittimazione più che all'interesse- con proprie memorie ha sollevato in giudizio ulteriori profili di pregiudizio concreto, in termini di disparità di trattamento e di coerenza rispetto al contenuto della pianificazione attuativa approvata dalla stessa PA, di pregio estetico (le palazzine sono tutte uguali tranne quella del Condominio appellante che si inserirebbe in modo dissonante con il contesto) ed anche di possibilità di vendita avendo, certamente, gli appartamenti della palazzina con tetto a giardino maggiore attrattiva per un potenziale acquirente e potendo tale circostanza influire anche sul prezzo di compravendita degli immobili posti in prossimità . 11.3 - Il Condominio appellante, con propria memoria, replica che il Signor Co. in realtà ha prodotto solo il titolo di proprietà ed il certificato di residenza e nessun altro elemento atto a comprovare l'interesse alla proposizione del ricorso in primo grado secondo le previsioni dell'Adunanza plenaria n. 22 del 2021, secondo cui la vicinanza non basta, in automatico, a sorreggere l'azione, occorrendo una ragione plausibile, seria, percepibile per contestare il titolo che legittima l'edificazione nelle vicinanze. 11.4 - Il Comune di Lodi a tale ultimo riguardo richiama, con propria memoria, il principio della "ragione più liquida", nonché l'espressa previsione dell'art. 35 C.P.A., in base al quale il giudice dichiara, anche d'ufficio il ricorso inammissibile quando è carente l'interesse, con richiamo al disposto generale dell'art. 100 c.p.c. situazione che all'evidenza sussisterebbe nella presente fattispecie, in cui il ricorrente appare mosso da un interesse di mero fatto, ma non ha dedotto e comprovato nulla circa il pregiudizio subì to in ragione della realizzazione dell'edificio oggetto del provvedimento impugnato in primo grado. Al riguardo, il Comune richiama altresì la recente sentenza di questa Sezione n. 8290/2023 secondo la quale, ai fini del riconoscimento dell'interesse al ricorso, anche in campo edilizio, oltre alla mera vicinanza occorre che il ricorrente "dimostri il pregiudizio subito dalla realizzazione dell'intervento assentito e cioè in quale misura il provvedimento impugnato incida sulla posizione sostanziale dedotta in giudizio, determinandone una lesione effettiva, immediata ed attuale". 11.4 - Ai fini della decisione sul punto, considera il Collegio che il ricorrente in primo grado invoca la mera "vicinitas" dei due fabbricati ma non espone l'effettivo danno che subirebbe per effetto del dedotto mancato rispetto dell'art. 5.5. delle NTA del PEEP, norma che regola esclusivamente le caratteristiche della copertura dell'edificio e che non interferisce con le proprietà contermini. Vero è che in giudizio sono stati allegati alcuni possibili profili di pregiudizio concreto, in termini di disparità di trattamento e di coerenza rispetto al contenuto della pianificazione attuativa approvata dalla stessa PA e di pregio estetico (le palazzine sono tutte uguali tranne quella del Condominio appellante, che si inserirebbe in modo dissonante con il contesto). Restano però ignote le ragioni per le quali la diversità di copertura di una delle palazzine, per via della presenza sul lastrico solare -prima- di un locale tecnico per fonti rinnovabili e -poi- anche di una parte attrezzata a giardino, potrebbe assumere un carattere lesivo per il proprietario ed abitante di un appartamento sito in una diversa palazzina facente parte del medesimo comprensorio, posto che nulla si dice circa la visibilità del manufatto "incriminato" dalla strada o dalle finestre dell'appellato e circa la natura e la portata lesiva della sua "dissonanza" rispetto agli altri edifici ai fini della valutazione del valore dell'intero comprensorio (e quindi della propria palazzina) nell'ambito del paesaggio urbano di riferimento. 11.5 - In realtà la memoria del signor Co. espone un possibile profilo di pregiudizio valutabile anche economicamente, riferito alla "possibilità di vendita" del proprio appartamento ed alla sua quotazione di mercato, "avendo, certamente, gli appartamenti della palazzina con tetto a giardino maggiore attrattiva per un potenziale acquirente e potendo tale circostanza influire anche sul prezzo di compravendita degli immobili". 11.6 - Il Comune di Lodi con propria memoria contesta radicalmente tale assunto, peraltro ritenuto del tutto generico, evidenziando la sussistenza, nell'atto di assegnazione degli immobili del 14 gennaio 2011 (in atti nel giudizio) di una clausola che prevede un prezzo massimo, inferiore a quello di mercato, che potrà essere preteso dall'alienante in caso di vendita, essendo stati gli edifici costruiti da una cooperativa che poi ha assegnato i beni ai singoli soci in un'area PEEP. Pertanto, conclude il Comune, l'edificio dove è stata realizzata la copertura piana anziché in coppi, non potrà mai avere un valore commerciale libero maggiore di quello di pertinenza del ricorrente, fermo restando che, per comune esperienza, il ricorrente potrebbe al contrario beneficiare del fatto che nell'intorno vi siano palazzine "più belle". 12 - Indipendentemente dalle predette convincenti deduzioni del Comune, ritiene il Collegio che l'argomentazione di parte ricorrente riferita al danno che gli deriverebbe dalla maggiore "attrattività " della palazzina vicina tradisca il non consentito carattere meramente emulatorio del ricorso e comunque la eccepita insussistenza di un interesse a ricorrere meritevole di tutela. 12.1 - Infatti, escludendo che possa esservi stata una disparità di trattamento (non essendo mai stata la medesima richiesta di intervento edilizio proposta al Comune per la palazzina del ricorrente) e una lesione derivante dalla inosservanza delle regole negoziali di riferimento (non essendo affatto prevista una clausola di assoluta identità fra tutte le palazzine del comprensorio) e neppure incidendo la dedotta illegittimità sulla commerciabilità e sul valore dell'appartamento di proprietà del ricorrente (sito in altra palazzina), l'interesse dedotto si limiterebbe alla circostanza che l'atto avversato, accogliendo la domanda di intervento edilizio proposta dai privati interessati, avrebbe consentito di rendere più "attrattiva", e quindi più "bella", una altrui proprietà rispetto alla propria, avendo quindi avuto il solo torto di "premiare" lo spirito d'iniziativa e la volontà d'investimento economico (peraltro per interventi non ritenuti architettonicamente errati ed aventi un non contestato valore di tutela ambientale) quali espressione della libertà -costituzionalmente garantita- di altri privati cittadini, rispetto alla accondiscendenza al mantenimento delle condizioni preesistenti che ha riguardato la propria proprietà edilizia. 12.2 - La palese irragionevolezza della pretesa di limitare la libertà degli altri cittadini di investire sulle rispettive proprietà -senza accontentarsi di lucrare la loro rendita edilizia- e di contribuire in tal modo alla valorizzazione urbanistica ed edilizia del territorio, peraltro mediante interventi di tutela ambientale e di contrasto ai cambiamenti climatici, solo a causa della vicinitas con altra proprietà volontariamente mantenuta dai proprietari nello "status quo ante" e quindi destinata ad una minore "attrattività " rispetto alle aree e agli immobili così riqualificati, evidenzia la palese inesistenza di un interesse a ricorrere suscettibile di tutela da parte dell'ordinamento. 12.3 - Le pregresse conclusioni esimono, pertanto, il Collegio da ogni considerazione circa la ulteriore irragionevolezza della pretesa di ancorare lo sviluppo del territorio a parametri di mero mantenimento dell'esistente e ad astratte categorie soggettive (attrattività, bellezza...) prive di un reale ed oggettivo contenuto capace di limitare la libertà umana se non con riferimento al rispetto di beni espressamente tutelati e di puntuali vincoli, assenti nel caso in esame, posto che la prescritta uniformità della copertura mediante falde inclinate a coppi non poteva precludere né la realizzazione dei necessari locali tecnici per l'uso di fonti rinnovabili (in quanto non facenti parte della volumetria e della sagoma dell'edificio) né la successiva realizzazione di un giardino pensile, in quanto una tale possibilità era espressamente prevista da altra disposizione urbanistico-edilizia del medesimo Comune. 13 - Alla stregua delle pregresse considerazioni anche il secondo appello deve essere accolto con la conseguente dichiarazione, in riforma dell'appellata sentenza, della inammissibilità, per carenza d'interesse, del gravame accolto in primo grado, che pertanto non poteva -e non può ora- essere esaminato e deciso nel merito. 14 - Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo, nei rapporti fra la parte appellante e la odierna parte resistente, mentre possono essere compensate nei rapporti fra le predette parti e il Comune intimato. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sui due appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione li accoglie e per l'effetto, in riforma delle due sentenze appellate, in parte accoglie e in parte dichiara improcedibile il ricorso deciso dalla sentenza impugnata con il primo appello in epigrafe e dichiara inammissibile il ricorso deciso in senso favorevole dalla sentenza impugnata con il secondo appello indicato in epigrafe. Condanna l'odierno resistente signor Co. a rifondere al Condominio appellante le spese del doppio grado di giudizio, complessivamente liquidate in Euro 3.000,00, pari ad Euro 1.000,00 per il primo grado ed Euro 2.000,00 per il secondo grado, oltre ad IVA, CPA ed ulteriori oneri di legge ove previsti. Compensa le spese del doppio grado di giudizio con riferimento al Comune di Lodi. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2023, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Dario Simeoli - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VENEZIA SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. Paolo Filippone, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 5701/2021 R.G. promossa da: (...) (c.f.(...)), con l'avv.(...) attrice contro (...) (c.f.(...)), con l'avv.(...) convenuto RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato il (...) conveniva in giudizio il (...), corrente in (...) di cui l'attrice è condomina, chiedendo pronunciarsi la nullità e/o annullabilità della delibera adottata il (...), concernente le modalità di installazione di impianto fotovoltaico sul tetto condominiale, ed accertarsi il diritto dell'attrice all'installazione dell'impianto come richiesto con mail del (...). Secondo l'assunto attoreo, in particolare: - in data (...) l'assemblea condominiale deliberava di concedere a (...) (...) la possibilità di installare pannelli fotovoltaici a servizio della propria abitazione con un numero di moduli pari a 2.23 (corrispondente a 6.33 mq della copertura) in zona 13 prescrivendo che la stessa utilizzi gli spazi comuni, i criteri, le modalità e il numero di moduli espressamente indicati nella relazione O1 - il verbale riporta erroneamente il voto favorevole della condomina (...), rappresentata per delega dal marito T1 , nonostante il delegato avesse espresso la propria contrarietà alle modalità di installazione arbitrariamente indicate dall'assemblea; - l'assemblea non aveva il potere di prescrivere all'attrice le modalità ivi indicate per l'installazione degli impianti fotovoltaici, ex art. 1122 bis c.c., giacché l'intervento proposto dall'attrice prevede solo l'apposizione sul tetto di pannelli senza alcuna modifica delle parti comuni e, in ogni caso, difetta la maggioranza prescritta dall'indicata norma (maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio); - la decisione veniva assunta, inoltre, in difetto di adeguato contraddittorio, essendo l'attrice venuta a conoscenza della relazione tecnica commissionata dal (...) solo il giorno dell'assemblea; - le modalità autorizzate dall'assemblea, sulla scorta dell'indicata relazione tecnica, costituiscono sostanziale divieto all'installazione, giacché il numero di moduli assegnati all'attrice ed il loro posizionamento rendono sostanzialmente inutile l'installazione richiesta. Il (...) si costituiva ritualmente in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree e la conferma della piena validità della delibera impugnata. Il convenuto, in particolare, eccepiva il difetto di legittimazione ad impugnare in capo all'attrice, avendo la (...) 4) oggetto di impugnativa, e deduceva nel merito che le modalità di installazione pretese da par" attrice, implicanti modifica delle parti comuni, presentavano molteplici profili di problematicità riservando all'attrice la parte del tetto con maggiore potenzialità energetica, implicando sovraccarico dei solai e potenziali danni alle parti comuni) ed impedivano il pari uso del tetto condominiale da parte degli altri comproprietari che aspirassero ad analoga utilizzazione del bene comune. La causa, istruita documentalmente, è stata discussa all'udienza del (...), ex art. 281 sexies c.p.c., sulle conclusioni ivi precisate dalle parti. Le domande attoree sono infondate. Come rilevato dal (...) , l'attrice non è legittimata a far valere l'eventuale annullabilità della delibera, ex art. 1137 c.c., avendo espresso voto favorevole in assemblea. Dal verbale, infatti, risulta che le deliberazioni in ordine alle modalità di installazione dell'impianto fotovoltaico sono prese all'unanimità. L'attrice assume che il verbale non riporterebbe il voto contrario espresso in assemblea dal proprio delegato, deducendo sul punto capitoli di prova testimoniale. Tuttavia, come precisato in giurisprudenza, poiché il verbale assembleare deve rivestire forma scritta non è ammissibile la prova testimoniale finalizzata a dimostrare circostanze che non constino dal verbale stesso (si veda, in tal senso, Cass. n. 2101/97; più di recente, nella giurisprudenza di merito, Trib. Trani (...) n. 564; Trib. Ivrea (...) n. 27; Trib. Salerno sez. I (...) n. 4499). Sotto altro profilo, si osserva, la delibera impugnata non sembra essere affetta da motivi di nullità, vizio questo che, come precisato in giurisprudenza, può essere fatto valere anche dal condomino che abbia espresso voto favorevole. L'attrice deduce, sul punto, che la delibera sarebbe viziata da difetto assoluto di attribuzione in quanto, poiché l'art. 1122 bis, co. 2, c.c. consente al condomino l'installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto condominiale senza autorizzazione dell'assemblea, quest'ultima non avrebbe il potere di disciplinare le modalità di tale installazione. Facoltà, quest'ultima, ammessa solo nell'ipotesi di cui all'art. 1122 bis, co. 3, c.c., laddove si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, con quorum deliberativi, peraltro, che nel caso non risulterebbero rispettati. L'argomento non è convincente. Il (...) ha rilevato, innanzitutto, che l'intervento prospettato dall'attrice, prevedendo che i pannelli vengano ancorati e fissati alla falda del tetto condominiale, importerebbe una modifica delle parti comuni, di tal che l'assemblea sarebbe stata facoltizzata a disciplinare, come ha fatto, le modalità di esecuzione degli interventi e, sul punto, all'attrice sarebbe precluso censurare il difetto di quorum deliberativo siccome vizio implicante la mera annullabilità. La circostanza che il progetto di installazione proposto da parte attrice implichi modificazioni delle parti comuni, con conseguente applicabilità della previsione di cui all'art. 1122 bis, co. 3, c.c., sembra avvalorata, per facta concludentia della stessa condomina, dalla preventiva comunicazione dell'intervento, prima della sua esecuzione, all'amministratore (come prescritto dalla norma), per quanto l'attrice riconnetta ora a tale informativa l'esclusiva finalità di preservare i buoni rapporti condominiali. In ogni caso, si osserva, il potere dell'assemblea di disciplinare le modalità di esecuzione degli interventi, previsto dall'art. 1122 bis, co. 3, c.c., non sembra potersi limitare alla sola ipotesi in cui l'installazione dei pannelli comporti modificazioni delle parti comuni, riguardando anche il caso in cui si tratti di ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni per consentire agli altri condomini il pari uso della cosa comune per le stesse finalità. Lo si desume dal tenore letterale della norma, secondo cui: "qualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi. L'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al quinto comma dell'articolo 1136, adeguate modalità al tema tir e di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio e, ai fini dell'installazione degli impianti di cui al secondo comma, provvede, a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto. L'assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali". Nel caso, dunque, l'assemblea non è intervenuta per autorizzare la mera installazione dei pannelli fotovoltaici da parte dell'attrice ma per ripartire l'utilizzo del lastrico solare ai predetti fini con lo scopo di tutelare il pari uso spettante agli altri condomini ex art. 1102 c.c.. Una diversa interpretazione della norma condurrebbe alla conclusione, irragionevole, secondo cui il singolo condomino sarebbe legittimato, senza alcuna delibera assembleare ex art. 1122 bis, co. 3, c.c., ad occupare l'intero lastrico solare con propri pannelli fotovoltaici a discapito degli altri partecipanti e del loro diritto di pari uso della cosa comune. L'asserito mancato rispetto dei quorum prescritti dall'art. 11 36 c.c. per la corretta adozione della delibera impugnata, siccome vizio di annullabilità, non può essere fatto valere, come detto, dal condomino che ha espresso voto favorevole. Ogni altra questione può ritenersi assorbita. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, in conformità ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come integrato dal D.M. n. 147 del 2022, per le cause ricomprese nello scaglione di valore da Euro 5.200,00 ad Euro 26.000,00. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra diversa domanda ed eccezione respinta o assorbita: - rigetta le domande attorce (...) - condanna l'attrice alla rifusione delle spese di lite in favore del convenuto, che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, iva e cpa come per legge. Così deciso in Venezia il 29 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI NAPOLI SESTA SEZIONE CIVILE in persona del giudice istruttore in funzione di giudice monocratico, dott. Francesco Cislaghi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 11214/2023 r.g.a.c., avente ad oggetto: proprietà, vertente Tra (...), (CF (...)), residente in R. M. n. 34, rappresentato e difeso dall'avv. Ca.Ma., C.F. (...), nel cui studio in Napoli, via (...), ha eletto domicilio, p.e.c. (...) ATTORE E CONDOMINIO (...) o anche (...), in N., alla Via F. R. n. 34, codice fiscale: (...) in persona dell'Amministratore pro tempore Pa.Pi., avvocato, nato ad A. (C.) il (...) codice fiscale: (...), indirizzo pec: [email protected], autorizzato alla costituzione in giudizio con Delib. del 31 marzo 2023 - 01. verbale del 31.3.2023, rappresentato e difeso da se stesso e anche disgiuntamente dall'avv. An.Vi., codice fiscale: (...), numero di fax (...), indirizzo pec: (...), con studio in Napoli, al Viale Antonio Gramsci n. 18 e presso i quali elegge domicilio CONVENUTO RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 281 decies c.p.c. depositato in data 23/5/2023 (...), nella qualità di condomino del fabbricato in N. alla via F. R. n.34, conveniva in giudizio suddetto condominio al fine di ottenere la dichiarazione di nullità/annullamento della delibera condominiale del 10/2/2023, limitatamente al capo 3 dell'ordine del giorno, disciplinante la decisione di collocare una piccola rastrelliera per bici dietro l'ascensore; eccepiva preliminarmente l'annullabilità della delibera per genericità della medesima, in quanto mancante dell'indicazione dell'ingombro M. consentito alle biciclette, del numero di biciclette che vi possono entrare, dei limiti dello spazio occupabile, dell'eventuale turnazione tra i condomini; denunziava che le biciclette causavano l'imbrattamento delle pareti appena verniciate dell'androne, poichè le ruote delle biciclette, nel manovrare per entrare nello stretto vanno retro ascensore, urtavano inevitabilmente le pareti medesime, causando il degrado estetico dell'androne; eccepiva, altresì, la violazione dell'ultimo comma dell'art. 1120 c.c. perché trattavasi di innovazione lesiva del decoro dell'androne e introduttiva di un'area di deposito indiscriminato di biciclette ed altri veicoli assimilabili, in un punto estremamente visibile e posto proprio all'entrata dell'edificio. Esponeva altresì la ricorrenza di una fattispecie di una mutazione della destinazione di uso ex art. 1117-ter c.c. approvata senza la maggioranza e senza le formalità ivi prescritte. Si costituiva il condominio, che preliminarmente eccepiva che prima dell'instaurazione della mediazione le parti avevano perfezionato un accordo transattivo con lo scambio epistolare del 21/22 febbraio 2023, nel quale l'attore aveva dichiarato che non avrebbe impugnato la delibera ove il condominio avesse confermato l'interpretazione secondo la quale era autorizzato l'utilizzo dello spazio sul retro dell'ascensore solo per biciclette piccole non visibili dall'ingresso, missiva a cui faceva seguito l'adesione del condominio con pec in data 22.2.2023; sempre in via preliminare eccepiva la tardività dell'impugnazione; nel merito, chiedeva il rigetto della domanda. Il Tribunale osserva. L'art. 1117 ter c.c., ex novo introdotto dalla L. di Riforma n. 2207 del 2012, afferma che per esigenze di interesse condominiale, l'assemblea, con il voto favorevole dei 4/5 dei condomini ed almeno 4/5 delle quote millesimali, può modificare le destinazioni d'uso delle parti comuni, purché non si arrechi pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o non si alteri il decoro architettonico e previa particolare procedura di convocazione dell'assemblea c.d. aggravata. La norma pone fortissimi dubbi interpretativi in ordine all'espressione "mutamento di destinazione d'uso"; essa rimanda alla normativa urbanistica, nella quale l'espressione si applica per rilevare l'utilizzazione degli immobili ai fini della pianificazione urbanistica del territorio con la creazione delle c.d. categorie catastali. Si dubita, tuttavia, che il Legislatore abbia voluto riferirsi al profilo urbanistico, per cui tale espressione è stata utilizzata in senso atecnico, così riferendosi al mero mutamento della funzione/uso del bene. Si ritiene di poter escludere, poiché già la Giurisprudenza le aveva escluse e distinte dalle innovazioni in generale, tutte le modifiche di destinazioni che non siano sostanziali e radicali e che comportano un uso sì diverso del bene comune ma comunque compatibile con quello originario Inoltre, "In tema di condominio negli edifici, per innovazione in senso tecnico - giuridico, vietata ai sensi dell'art.1120 cod. civ., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto" (Corte di Cassazione, Sezione 2, Sentenza n. 15460 del 05/11/2002); "In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ex art. 1120 cod. civ., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 cod. civ., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ." (Corte di Cassazione, Sezione 2, Sentenza n. 240 del 11/01/1997); La Corte di Cassazione ha, altresì, stabilito che: "la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entità e alla qualità dell'incidenza della nuova opera, nel senso che per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento della cosa comune ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. In coerenza con tali principi, nel caso di specie, il modesto restringimento del viale di accesso, destinato al solo passaggio a piedi, è stato giustamente escluso dalla Corte d'appello dal novero delle innovazioni vietate, dato che esso non integra un'alterazione sostanziale della destinazione e della funzionalità della cosa comune, non la rende inservibile o scarsamente utilizzabile solamente per uno o più condomini, ma si limita a ridurre in misura modesta la sua funzione di supporto al transito pedonale nei confronti di tutti coloro che la utilizzano, lasciandone immutata la destinazione originaria. Con riferimento al caso di specie, in assenza nel Condominio de quo di una norma regolamentare che esplicitamente contempli o vieti un determinato uso per il bene comune, deve ritenersi che l'opera approvata nella delibera de qua non presenti le criticità denunziate da parte ricorrente sotto il profilo della violazione degli artt. 1117 ter o 1120 c.c. Invero, dall'esame dei rilievi fotografici prodotti dalle parti emerge una conformazione morfologica del bene comune che si presta alla destinazione di una parte limitata di esso al ricovero di biciclette in apposita rastrelliera. Infatti, l'androne condominiale, a seguito di una simile opera, non perderebbe la sua funzione di consentire l'accesso alle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva e di dare aria e luce. Inoltre, risulta significativo il dato della non contestazione della circostanza di fatto introdotta dal condominio relativa all'attuale utilizzo della piccola area interessata dalla rastrelliera come zona di ricovero di attrezzi funzionali alla balneazione. Né può dirsi che la rastrelliera comporterebbe un intervento modificativo eseguito sulle parti comuni di un edificio o su impianti o cose comuni che ne alteri l'entità materiale operandone la trasformazione, ovvero ne modifichi la destinazione di fatto, nel senso che detti beni, a seguito delle opere eseguite su di essi, presentino caratteristiche oggettive, abbiano una consistenza materiale o comunque siano utilizzati per fini diversi da quelli precedenti all'intervento, di guisa che le opere predette precludono la concreta utilizzazione della cosa comune in modo conforme alla sua naturale e precedente fruibilità, trattandosi invero di un'opera di limitate dimensioni e inerente uno spazio ben circoscritto e retrostante il vano ascensore (il che esclude anche una reale lesione del decoro del fabbricato). A ben vedere la delibera, essendo destinata non a consentire l'alterazione della consistenza materiale dell'androne o a destinare il medesimo a fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere, è tesa a una limitata modifica rispondente allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, ricorrendo quindi la fattispecie disciplinata dall'art. 1102 cod. civ., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ. Peraltro, l'apposizione di una rastrelliera, dettando ordine sul ricovero delle biciclette, sarebbe anche funzionale all'esigenza di evitare l'imbrattamento delle pareti, pure evidenziata dall'attore. Infine, la denunziata doglianza di genericità della delibera risulta superata dalla successiva Delib. del 3 novembre 2023, la quale, pur non determinando la cessazione della materia del contendere, ha precisato la volontà condominiale di limitare il ricovero alle sole bicilette per bambini e a delimitare lo spazio occupato al confine del vano ascensore. Pertanto, la Delib. del 23 febbraio 2023 è legittima, assorbita ogni altra questione sollevata dalla parte convenuta per il criterio della ragione più liquida. Le spese di lite seguono la soccombenza, tenuto conto del valore indeterminato della lite e della limitata attività processuale svolta. P.Q.M. Il Tribunale: a) Rigetta la domanda; b) Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della parte resistente, che liquida in Euro 3809,00, oltre rimborso spese forfettarie, cpa ed iva come per legge, con attribuzione ai procuratori antistatari. Così deciso in Napoli il 29 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE DI LATINA I SEZ. CIVILE in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Concetta Serino, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 2734 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno (...), trattenuta in decisione, con termine per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica, all'udienza del (...) TRA (...) , rappresentata e difesa, giusta procura in allegato all'atto di citazione, dall' avv. (...) ed elett.te dom.ta presso il suo studio in (...), (...), ATTRICE (...) E (...), rappresentati e difesi, giusta procura in atti, dall'avv. (...) ed elett.te dom.ti presso il suo studio in (...) in (...), CONVENUTI RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO (...) ha agito in giudizio deducendo di essere proprietaria di un appartamento in una piccola palazzina composta da 6 abitazioni sito in indiri_3 Lg_2 in cui sono proprietari di un appartamento al piano primo e relativa cantina anche i signori (...) e (...) dotato di un grande terrazzo che a cavallo degli anni 2019/2020 era stato chiuso con una vetrata, assentita dal (...) ma non autorizzata dai comproprietari della palazzina. Hanno dedotto, in particolare, che la completa chiusura del terrazzo modificava il prospetto dell'immobile determinando, anche, una modifica dei millesimi. Aggiungeva che i signori (...) e (...) sempre nello stesso immobile, sono altresì proprietari di una cantina il cui accesso era costituito da una porta piccola e bassa all'interno della quale vi erano dei gradini di accesso e che, sempre tra il 2019 e il 2020, avevano modificato l'accesso alla cantina aumentando la misura della porta e, occupando parte del camminamento condominiale che circondava il fabbricato, avevano edificato esternamente alla loro cantina, sul terreno di proprietà comune, una serie di gradini che consentivano un più comodo accesso alla cantina a fronte di un pregiudizio in termini di comodità e libero accesso al camminamento condominiale da parte di tutti gli altri e una grave limitazione di accesso alla sua proprietà esclusiva (box/deposito). Allegava che quanto indicato risultava in violazione del precetto di cui all'art. 1122 cc e dell'art. 1117 quater cc. Concludeva chiedendo: "Voglia il Tribunale adito, accertata la violazione del combinato disposto di cui agli artt. 1122 e 117 quater cc condannare i convenuti alla rimozione delle vetrate di copertura del terrazzo nonché alla restituzione della parte di corte occupata con condanna alla riduzione in pristino stato dei luoghi e risarcimento del danno. In subordine ove non, disposta la rimozione della vetrata, disporsi congruo risarcimento del danno nella misura che sarà provata in corso di causa o ritenuta di giustizia. Vinte le spese di causa". Si costituivano i convenuti (...) e (...), eccependo il difetto di legittimazione attiva dell'attrice, nonché la legittimità della vetrata, installata successivamente a regolare (...) ai sensi dell'art.22 del D.P.R. (...), n. 380 e elemento che accresceva il senso estetico ed architettonico dello stesso. Per quanto attiene le richieste inerenti la scalinata, asserivano di non aver occupato alcuna parte della corte condominiale, diversamente parte attrice che aveva realizzato una tettoia (totalmente abusiva) installando un pilastro in legno con base in cemento in prossimità dell'ingresso del suo locale commerciale di parte convenuta, con grave pregiudizio alla sua futura attività commerciale. Concludeva in tal modo: "1) dichiarare inammissibile la domanda di parte attorea stante la carenza della legittimazione ad agire; 2) in subordine rigettare le domande tutte formulate dell'attore in quanto infondate sia in fatto che in diritto per i motivi di cui in premessa e condannare, in ogni caso, parte attrice, alle spese, competenze ed onorari di causa.". Concessi i termini di cui all'art. 183 comma VI c.p.c., veniva disposta ed espletata consulenza tecnica d'ufficio. La causa, infine, veniva trattenuta in decisione, con termine per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica, all'udienza del (...). Ciò premesso, va detto che l'azione proposta da parte attrice sia da qualificarsi come finalizzata alla tutela delle cose comuni ex art. 1122 c.c. Tale ultima disposizione prevede che "nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio". Ebbene, deve rilevarsi come l'attrice deducano che (...) e (...) abbiano eseguito opere sulle parti comuni e sulla proprietà esclusiva che hanno determinato pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio. Quanto alla lesione del decoro architettonico dell'edificio, in punto di diritto, deve evidenziarsi che, per decoro architettonico, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica, fisionomia, senza che occorra che si tratti di edifici di particolare pregio artistico (cfr., in tal senso, da ultimo, Cassazione civile, sez. II, (...), n. 27551; nonché già Cassazione civile, sez. II, (...), n. 10513; Cassazione civile, sez. II, (...), n. 6496; Cassazione civile, sez. II, (...), n. 8381). Nel caso di specie l'attrice ha, tra l'altro, dedotto e allegato un pregiudizio specifico alle cose comuni per effetto della realizzazione delle opere da parte dei convenuti. Quanto, poi, alla facciata si osserva che la stessa, avente o meno valore architettonico o decorativo, costituisce parte presuntivamente comune dell'edificio condominiale, in quanto, al pari dei muri maestri, rappresenta "una delle strutture essenziali ai fini dell'esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato, sicché nell'ipotesi della condominialità del fabbricato, ai sensi dell'art. 1117, n. 1, c.c., ricade necessariamente fra le parti oggetto di comunione fra i proprietari delle diverse porzioni dello stesso e resta destinata indifferenziatamente al servizio di tutte tali porzioni" (Cass. n. 298/1977; n. 945/1998). Ne deriva che tutti i condomini hanno il diritto di usare la facciata, ex art. 1102 c.c., nel limite di consentire pari diritto agli altri condomini e senza alterarne destinazione d'uso e decoro. Ciò premesso, quanto alla legittimazione attiva dell'attrice, essa risulta provata dall'atto notarile di acquisto (cfr. all. 1 produzione attorea). Risulta anche provata la legittimazione passiva dei convenuti, non oggetto di contestazione. Ciò detto, quanto, invece, alla legittimazione dell'attrice ad agire per la tutela dei beni comuni si osserva che il carattere collettivo, non unitario, della personalità del gruppo dei condomini importa che ciascun membro, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera cosa, deve considerarsi legittimato ad agire o resistere in giudizio anche senza il consenso degli altri per la tutela della cosa comune nei confronti dei terzi o di un singolo condomino e senza la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti alla comunione (cfr. Tribunale Roma, Sez. V, sentenza del (...), Corte Appello Roma, Sez. III, sentenza del (...), Cassazione Civile, Sez. II, (...) n. 1011). Ebbene, alla luce di quanto sopra indicato, sussisteva la legittimazione della parte alle doglianze avanzate. Ciò premesso, quanto al merito va detto che l'assunto attoreo ha ricevuto conferma nel corso del giudizio. In particolare, quanto all'istruttoria svolta, parte attrice ha depositato rilievi fotografici dello stato dei luoghi attestanti le condizioni esterne della facciata al momento dell'introduzione del giudizio. I convenuti, inoltre, non solo non hanno negato, ma hanno ammesso l'esecuzione dell'opera in oggetto. Il ctu, nominato in corso di giudizio, ha, poi, accertato che i lavori eseguiti realizzano delle modifiche di una parte dell'edificio che alterano il rapporto originario dei singoli piani o appartamenti come stabilito all'art. 5 comma 2 del Regolamento di Condominio, che i lavori eseguiti con la SCIA che ha ottenuto l'Autorizzazione identificata come Pratica Edilizia N. 55/426 Prot. N. 3297 del (...) disattendono quanto previsto dal Regolamento di Condominio anche relativamente a quanto previsto dall'art. 6 ovvero che "Qualunque sia la natura delle opere da eseguirsi il condomino che vuole intraprenderle sia nell'interesse proprio che nell'interesse dell'intero condominio, deve ottenere la preventiva autorizzazione dell'assemblea, come prescritto dal primo comma dell'art. 1120 del Codice Civile", nonché all'Art. 7 comma d) che prevede che "E' tassativamente vietato ai condomini di fare qualunque modifica od innovazione alle cose comuni ed in genere ogni lavoro e variante che possa in qualunque modo avere attinenza con la struttura organica dell'edificio tanto da poterne menomare la statica, l'igiene o il suo aspetto architettonico sia interno che esterno senza il consenso dell'assemblea che potrà autorizzare l'innovazione o la modifica (anche con limitazioni o norme speciali)". Ha, poi, concluso affermando che di fatto le modifiche apportate dai convenuti all'immobile di loro proprietà consistenti nella chiusura parziale del terrazzo mediante la posa in opera di vetrate scorrevoli sia da considerare un intervento che ha alterato le linee architettoniche del fabbricato modificandone il disegno, nonché l'interazione tra gli elementi architettonici del fabbricato precedentemente assentita e le relazioni tra gli elementi tipologici pregressi. In ordine alle controdeduzioni di parte convenuta il medesimo consulente ha, poi, osservato che tali conclusioni sono confermate anche se, di fatto, si è in presenza di un fabbricato contraddistinto da caratteristiche tipologiche di tipo comune e di non particolare pregio architettonico rispetto al quale dovrebbero essere messe in atto opere di manutenzione volte a migliorare il decoro sia delle sue singole componenti che della globalità del suo aspetto esteriore, ponendosi come una "dissonanza" rispetto al linguaggio architettonico adottato per la realizzazione del fabbricato. Ebbene, quindi, i convenuti devono essere condannati alla immediata rimozione delle vetrate riconducendo la terrazza alla destinazione d'uso originaria. Sono, infatti, prive di pregio le eccezioni sulla CTU, in quanto basata su un completo ed esaustivo esame dei luoghi di causa e sufficientemente motivata. Va, poi, detto che le risultanze della CTU sono corroborate dai rilievi fotografici in atti, in cui è evidente la illegittimità delle opere realizzate. Peraltro, quanto affermato in ordine alla sussistenza dei titoli abilitativi, non appare rilevare ai fini del giudizio. L'eventuale titolo abilitativo inerisce ai rapporti tra Pubblica amministrazione e privato, in quanto quelli tra privato e privato sono regolati da norme diverse, le prime di carattere pubblicistico, le seconde jure privatorum, atteso che illegittimità dell'attività edilizia (verso la P.A.) e illiceità della condotta materiale (verso il proprietario) rispondono a funzioni e struttura ontologica diverse. I titoli abilitativi, infatti, inerendo al rapporto fra P.A. e privato esplicano i loro effetti soltanto sul piano dei rapporti pubblicistici-amministrativi, penali e/o fiscali e non hanno alcuna incidenza nei rapporti fra privati, lasciando impregiudicati i diritti di questi ultimi ove vogliano lamentare violazioni al proprio diritto di proprietà per effetto di opere, ancorché legittime dal punto di vista urbanistico, realizzate da altri condomini o proprietari di fondi finitimi. Per quanto innanzi detto, deve, quindi, accogliersi la domanda attorea e condannarsi i convenuti (...) e (...), alla immediata rimozione delle vetrate e al ripristino dello status quo ante. Quanto, invece, alla presenza nella corte condominiale di una scala con annesso piccolo pianerottolo che insiste su una porzione della corte (Sub) e permette l'accesso all'unità immobiliare individuata catastalmente al Fg (...) Part (...) Sub di proprietà dei Convenuti, il CTU ha ritenuto che la scala oggetto del quesito esiste probabilmente "da sempre" e altrettanto da sempre essa abbia occupato illegittimamente una porzione della corte condominiale, ma che parte convenuta, a seguito di quanto assentito con la SCIA precedentemente richiamata come dichiarato anche verbalmente durante lo svolgimento delle operazioni peritali, ha ulteriormente modificato lo stato dei luoghi, occupando una ulteriore porzione della corte condominiale ((...)) al fine di garantire un accesso più agevole all'unità immobiliare Sub , rendendo però ancora più disagevole la fruizione del percorso lungo la suddetta corte e la porzione di terreno del (...) (corte condominiale) occupata dalla scala che permette l'accesso al locale di proprietà dei Convenuti (attuale Sub) è stata sottratta alla corte condominiale a seguito del mancato rispetto di quanto previsto e graficizzato nell'elaborato rispetto al quale è stata rilasciata la Concessione Edilizia in (...)-1993. Ha, poi, indicato che essa limita di per sé quello che dovrebbe essere il normale utilizzo della corte di proprietà dell'attrice è da considerare non legittimato. Anche tale domanda va, dunque, accolta. Non può poi costituire motivo di rigetto della domanda attorea la dedotta illegittimità dell'opera realizzata dalla stessa attrice sulla base di quanto eccepito da parte convenuta sia in quanto alcuna domanda riconvenzionale sul punto è stata proposta sia in quanto seppur illegittima ciò non determinerebbe il venir meno della legittimità di quanto realizzato da parte convenuta. Quanto, invece, al risarcimento del danno, alcun pregiudizio viene allegato nell'atto di citazione in cui non si fa riferimento neanche ad alcuna richiesta risarcitoria salvo nelle conclusioni dell'atto stesso in cui la parte chiede il risarcimento del danno. Con le memorie ex art. 183 comma VI n. 1 e n 2 c.p.c. nulla viene aggiunto circa l'eventuale pregiudizio economico e l'allegazione del damo subito per effetto delle opere realizzate da parte convenuta. Tale domanda, quindi, è rimasta priva di concreto riscontro probatorio e alcuna non solo prova ma anche allegazione del pregiudizio subito per effetto dell'asserita deminutio al proprio diritto di proprietà è stata offerta dall'attrice. Né può neppure farsi luogo ad una liquidazione equitativa del danno, in quanto quest'ultima presuppone che, a monte, il giudice abbia accertato la sussistenza di un danno: si veda, in particolare, la giurisprudenza di legittimità sul punto, secondo la quale "la liquidazione equitativa del danno, ai sensi dell'art. 1226 c.c., presuppone che il pregiudizio economico del quale la parte reclama il risarcimento, sia certo nella sua esistenza ontologica, mentre se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa, non sottraendosi tale ipotesi all'applicazione del principio dell'onere della prova quale regola del giudizio, secondo il quale se l'attori non ha fornito la prova del suo diritto in giudizio la sua domanda deve essere rigettata" (Cassazione civile, sez. III, (...), n. 5375, ma si vedano anche Cassazione civile, sez. I, (...), n. 10850; Cassazione civile, sez. II, (...), n. 16202; Cassazione civile, sez. III, (...), n. 3327; Cassazione civile, sez. II, (...), n. 8711). Tale valutazione, infatti, da un lato, è subordinata alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata provare il danno nel suo preciso ammontare, e, dall'altro, presuppone già assolto l'onere della parte di dimostrare sia la sussistenza, sia l'entità materiale del danno (cfr. Cass. civ., sez. II, sent. 18.12002, n.16202; Cass civ., sez. II, sent. 28.62000, n.8795; Cass. civ. sez. III, sent. 25.91998, n. 9588; Cass. civ., sez. III, sent. (...), n. 7262). La parte danneggiata non è esonerata, quindi, dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l'apprezzamento equitativo sia per quanto possibile ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno stesso e la necessità della prova di un concreto pregiudizio economico sussiste anche nell'ipotesi di danno in re ipsa, in cui la presunzione si riferisce solo all'an debeatur e non anche all'entità del danno ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione dello stesso per equivalente pecuniario (Cass., sez. II, (...), n. 5551). È, quindi, necessario che chi agisce per la liquidazione del danno deduca e dimostri l'esistenza e la misura del pregiudizio effettivamente realizzatosi. L'ipotesi del danno "in re ipsa" appare, infatti, non coerente col sistema di responsabilità aquiliana tracciato dal legislatore del 1942, in cui il danno risarcibile è il c.d. danno conseguenza, ossia il pregiudizio causalmente connesso alla violazione di una situazione giuridica soggettiva ritenuta meritevole di tutela (in tal senso, si veda anche Corte Cost. (...), n. 372, nonché, in materia di danno non patrimoniale, Cass., Sez. Un., (...) nn. 26972-26975 e in materia di danno alla reputazione Cass. (...), n. 21740 e Cass. (...), n. 7211). Inoltre, il rimedio del risarcimento del danno mira, in generale, a garantire il ristoro integrale del pregiudizio sofferto in favore del danneggiato che, quindi, deve dare modo al giudice di valutare la consistenza e l'entità del danno subito. Ebbene, quindi, pur ammettendosi un danno "in re ipsa", difetterebbe nel caso di specie ogni allegazione e prova, anche solo a livello presuntivo, da parte del soggetto danneggiato, del danno sofferto. La domanda deve, quindi, essere rigettata. Le spese della presente procedura -liquidate come da dispositivo sulla base delle disposizioni di cui al decreto n. 54/14 e successive modifiche tenuto conto del valore e della natura e complessità della controversia, del numero e dell'importanza delle questioni trattate, dell'istruttoria svolta- seguono la soccombenza. Infine, le spese di CTU vanno poste definitivamente a carico delle parti convenute. P.Q.M. Il Tribunale di Latina, definitivamente pronunciando in persona della dott.ssa Concetta Serino, ogni ulteriore domanda ed eccezione disattesa, così provvede: - in accoglimento della domanda proposta da (...) condanna (...) e (...) (...) alla rimozione immediata della vetrata dal terrazzo e al ripristino dello status quo ante, nonché, accertata l'illegittima appropriazione di parte della corte condominiale di cui al fg. (...) p.lla (...) 169 sub. da parte dei convenuti, condanna gli stessi alla restituzione della parte di corte occupata e alla riduzione in pristino stato dei luoghi, - rigetta la domanda di risarcimento del danno proposta da parte attrice, - condanna (...) e (...) al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di parte attrice che liquida in Euro 291,00 per spese, Euro 900,00 per la fase di studio, Euro 750,00 per la fase introduttiva, Euro 1.600,00 per la fase istruttoria e Euro 1.700,00 per la fase decisoria, oltre a iva, spese generali e c.p.a., - pone le spese di entrambe le CTU definitivamente a carico dei convenuti. Latina, (...)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 967 del 2019, proposto da Condominio -OMISSIS- n. 7 - Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ca. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro -OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Pa. Fr. e Gi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Gi. Ma. in Roma, via (...); Municipio Roma XII, non costituito in giudizio; Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II-bis, n. 11758 del 4 dicembre 2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS- e -OMISSIS-, e di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 gennaio 2024 il Cons. Giovanni Tulumello e uditi per le parti gli avvocati Pa. Fr. e Ca. Ta.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Condominio appellante aveva installato una canna fumaria condominiale in base a dichiarazione di inizio di attività seguita da provvedimento di accertamento di conformità del 19 ottobre 2016 di Roma Capitale. Tale provvedimento è stato annullato dal T.A.R. del Lazio con sentenza n. 7862/2017 - su ricorso dei signori -OMISSIS- e -OMISSIS- - confermata in appello con sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4816/2019. Nelle more Roma Capitale riesaminava in autotutela la dichiarazione di inizio attività del 23 dicembre 2015, con provvedimento di accertamento di conformità del 19 dicembre 2017. Anche tale provvedimento veniva impugnato dai signori -OMISSIS- e-OMISSIS- davanti al T.A.R. del Lazio, che in accoglimento del ricorso lo annullava con sentenza n. 11758/2018. Tale ultima sentenza è stata impugnata nel presente giudizio con ricorso in appello dal Condominio -OMISSIS- n. 7. Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, i signori -OMISSIS- e Wa. Me.; si è altresì costituita in giudizio Roma Capitale, senza svolgere difese scritte. Con ordinanza n. 1011/2019 è stata respinta l'istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza gravata Il ricorso è stato definitivamente trattenuto in decisione all'udienza straordinaria del 10 gennaio 2024. 2. Il provvedimento in questione riguarda la legittimità del provvedimento di accertamento di conformità della canna fumaria condominiale: esso è stato impugnato dagli odierni appellati che si sono ritenuti lesi dalla posizione della canna fumaria, il cui sbocco, non essendo collocato sul tetto dell'edificio, bensì in prossimità di una finestra della propria abitazione, metterebbe a rischio la propria salute e impedirebbe il pieno utilizzo del bene immobile di proprietà, esposto anche a un sensibile deprezzamento economico. Il T.A.R., ritenuta la legittimazione attiva dei ricorrenti e la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia (in quanto relativa allo scrutinio della legittimità del provvedimento di accertamento di conformità urbanistico-edilizia del manufatto in questione, a tutela dell'interesse legittimo oppositivo dei ricorrenti), ha ritenuto fondato in via assorbente il terzo motivo del ricorso di primo grado, con cui si deduceva la violazione di numerose norme comunali e statali, tra cui l'articolo 64 del regolamento edilizio sanitario comunale, l'articolo 59 del regolamento generale edilizio comunale e l'articolo 5, comma 9, nella formulazione vigente, del d.p.r. n. 412 del 1993. Il T.A.R. è pervenuto a tale decisione a seguito di attività di verificazione, a seguito della quale è stato accertato che esistevano ben due possibilità alternative di collocazione, tali da non produrre le rilevate esternalità in danno dei ricorrenti. 3. Contro la sentenza di primo grado il condominio appellante ha dedotto le seguenti censure: A) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 64 del regolamento edilizio sanitario comunale, dell'articolo 59 del regolamento generale edilizio comunale, dell'articolo 5, 13 comma 9, del d.p.r. n. 412 del 1993, dall'art. 2, commi 1 e 2, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 551, dell'art. 34, comma 53, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, dell'art. 17-bis, comma 1, D.L. 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2013, n. 90"; B) "motivazione erronea della sentenza". C) "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873 e segg. c.c. e degli artt. 1027 e segg. c.c.". 4. I motivi di appello devono essere esaminati congiuntamente, in ragione della loro stretta connessione. Essi sono infondati. Il primo motivo di appello, relativo alla questione centrale (vale a dire, alla illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado per avere assentito un'opera "invasiva" rispetto alla proprietà degli odierni appellati quando erano tecnicamente possibili alternative prive di tali esternalità ), consta quasi esclusivamente del richiamo alle osservazioni critiche che nel giudizio di primo grado il consulente di parte ha rivolto, in argomento, alle conclusioni della verificazione, sulla base delle quali il primo giudice ha ritenuto fondato il ricorso. Orbene, tali osservazioni si risolvono in un infruttuoso tentativo di sostituzione del giudizio del tecnico di parte rispetto all'articolata e motivata conclusione del verificatore. La sentenza gravata, del resto, ha considerato in dettaglio la sussistenza di possibili alternative al percorso assentito con il provvedimento impugnato in primo grado: "Il verificatore, pur riconoscendo attendibile la relazione del tecnico condominiale nella parte in cui la vecchia canna fumaria è stata reputata inidonea allo smaltimento dei fumi e alla certificazione da parte di un tecnico qualificato, ha ritenuto invece inattendibile la relazione del tecnico condominiale in altre parti essenziali. Nello specifico, ha ritenuto di non poter condividere l'attestazione del tecnico sulla impossibilità di installare la nuova canna fumaria sulla facciata dell'edificio, così come ha ritenuto inattendibile la certificazione del tecnico nella parte in cui individua come unico punto possibile per l'installazione della canna fumaria quello riportato nel progetto oggetto di asseverazione. Ciò in quanto l'installazione di una nuova canna fumaria sulla facciata inciderebbe esclusivamente su strutture portanti secondarie dell'edificio, senza toccarne la struttura principale. Quindi, nulla impedirebbe sul piano tecnico lo sviluppo di un progetto per l'installazione di una nuova canna fumaria sulla facciata condominiale. In alternativa, il verificatore ha ritenuto ipotizzabile lo sviluppo di un progetto per il riutilizzo dell'originario percorso di evacuazione dei fumi, previa sostituzione della canna fumaria esistente e ridefinizione del cavedio di contenimento del tratto sub-orizzontale. Quest'ultima soluzione consentirebbe, oltretutto, la bonifica dell'edificio dal materiale eternit rilevato nella vecchia canna fumaria e consentirebbe il ripristino del camino verticale esistente che rappresenterebbe un elemento architettonico coerentemente integrato al progetto originario del manufatto, garantendone il decoro urbano. Le conclusioni del verificatore sono contestate dalla perizia di parte condominiale, ma non vi è ragione per discostarsene da parte del Collegio, tenuto conto della imparzialità dell'organo addetto alla verificazione e della coerenza logica della relazione del verificatore, sorretta da una attenta attività di analisi eseguita accedendo ai luoghi. Pertanto, aderendo alle conclusioni del verificatore, si deve ritenere che nella fattispecie non sussistono i presupposti per l'applicazione della deroga, prevista dall'articolo 5 del d.p.r. numero 412 del 1993, commi 9 bis e ter, rispetto alla regola generale, fissata dallo stesso articolo 5, comma 9, per cui gli impianti termici, quale quello connesso alla canna fumaria controversa, devono essere collegati a camini con sbocco sopra il tetto dell'edificio. La deroga risulta inapplicabile essendo smentito, dall'accertamento eseguito in sede processuale, il presupposto, ravvisato dall'amministrazione municipale in base ad una erronea asseverazione del tecnico progettista, per cui la canna fumaria controversa non avrebbe potuto essere collocata in un luogo diverso da quello nel quale si trova. Di conseguenza, l'accertamento di conformità deve essere ritenuto illegittimo, per travisamento dei fatti e pertanto, in accoglimento del proposto ricorso, deve essere annullato". 5. Ad avviso del Collegio, la verificazione eseguita nel corso del giudizio di primo grado risulta immune dai profili di censura dedotti nel ricorso in appello. Essa si fonda su considerazioni non illogiche od irragionevoli, e supportate da una valutazione più che plausibile. Il quesito demandato al verificatore riguardava la praticabilità tecnica di soluzioni alternative: l'appellante ne censura le conclusioni perché a suo dire tali alternative implicherebbero maggiori costi, ed il consenso di altri privati proprietari, nonché la costituzione di servitù di passaggio della canna fumaria. Simili argomenti esulano tuttavia dal perimetro dello scrutinio della legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, come delimitato dai motivi di ricorso. Tale provvedimento, infatti, risulta essere stato condizionato dall'affermazione di un presupposto risultato non veritiero, avendo il verificatore accertato la praticabilità tecnica di alternative tali da non pregiudicare l'interesse dei ricorrenti. Gli ulteriori profili utilizzati dall'appellante per criticare la sentenza gravata avrebbero dovuto essere considerati quali fattori ab origine condizionanti la scelta tecnica censurata dai ricorrenti, laddove invece - come correttamente rilevato dal primo giudice nella richiamata motivazione - è risultato erroneo "il presupposto, ravvisato dall'amministrazione municipale in base ad una erronea asseverazione del tecnico progettista, per cui la canna fumaria controversa non avrebbe potuto essere collocata in un luogo diverso da quello nel quale si trova". Risulta pertanto fondata la controdeduzione degli appellati secondo la quale "nel caso di specie non sussistono i presupposti per l'applicazione della deroga rispetto alla regola generale fissata dall'art. 5, comma 9, per cui gli impianti termici, quale è quello connesso alla canna fumaria controversa, debbono essere collegati a camini con sbocco sopra il tetto dell'edificio. Risulta quindi provata in sede processuale l'illegittimità dell'accertamento di conformità viziato da palese travisamento di fatti, con conseguente legittimità del suo annullamento, come disposto dalla sentenza gravata". 6. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Dalle considerazioni che precedono discende che l'appello è infondato e che va pertanto respinto, con conferma della sentenza di primo grado qui gravata. Sussistono, nondimeno, giusti motivi legati alla peculiarità della vicenda sottesa al presente contenzioso per disporre, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall'art. 26, comma 1, c.p.a, l'integrale compensazione delle spese del presente grado di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Sergio Zeuli - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Napoli, IV Sezione civile, nella persona della dott.ssa Manuela Robustella, Giudice unico, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 35933 del Ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2019, avente ad oggetto "altre rapporti condominiali", riservata per la decisione in data 14/11/2023, previa assegnazione di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di giorni venti per il deposito di memorie di replica TRA CONDOMINIO di VIA (...), in persona dell'amm.re pro tempore, c.f. (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'Avv. An.Cu., presso il cui studio elettivamente domicilia in Napoli, al Viale (...); ATTORE E Am.Pi., c.f. (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'Avv. Gi.De., presso il cui studio, sito in Napoli, alla via (...), elettivamente domicilia; CONVENUTO RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato alla controparte, il Condominio sito in N., alla Via (...), conveniva in giudizio Am.Pi., allegando: 1) che il convenuto era proprietario di un appartamento sito in N., alla via (...), 7 piano, interno 22, in atti meglio identificato, e della parte di lastrico solare sovrastante il suddetto appartamento; 2) che questi, dopo l'acquisto di tale bene, faceva realizzare, sulla porzione di lastrico solare di sua proprietà, una struttura in legno, collegata all'appartamento sottostante attraverso un'apertura nel solaio, mediante foratura dello stesso; 3) che tale opera veniva realizzata nonostante l'assemblea condominiale fosse contraria alla sua esecuzione; 4) che tali opere determinavano discontinuità nella impermeabilizzazione del lastrico, compromettendone la linearità e la continuità, causando un'anomalia nel regolare deflusso delle acque e determinando un'alterazione della funzione di copertura del lastrico stesso, come chiarito dalla relazione in atti. Il Condominio, pertanto, concludeva chiedendo di dichiarare la violazione, da parte di Am.Pi., delle obbligazioni "propter rem" di cui agli artt. 1102 e 1122 c.c. e, per l'effetto, di condannare lo stesso all'adempimento in forma specifica dell'obbligo di non fare, provvedendo alla rimozione del manufatto in legno e alla realizzazione di tutte le opere necessarie per ottenere il ripristino dello stato dei luoghi. Chiedeva, altresì, di condannare il convenuto al pagamento delle spese di lite, anche per la fase stragiudiziale e di mediazione, con attribuzione al procuratore antistatario. Con comparsa di costituzione e risposta, si costituiva Am.Pi., il quale contestava la domanda e ne chiedeva il rigetto. Deduceva la legittimità dell'opera realizzata ed evidenziava che la stessa non comportava alcuna diminuzione della funzione di copertura del lastrico solare, né un pregiudizio per la sua stabilità o un'alterazione del decoro architettonico. Evidenziava, altresì, che l'opera dallo stesso realizzata non costituiva un'innovazione vietata ai sensi dell'art. 1122 c.c., ma stante la proprietà esclusiva del lastrico solare, una mera modificazione del tetto comune all'edificio consentita, ex art. 1102 c.c.. Esaurita la fase istruttoria (consistita nello scambio delle memorie ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. e nell'espletamento della ctu), e precisate le conclusioni, all'udienza del 14.11.23, sostituita dal deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c., la causa veniva assegnata in decisione, previa assegnazione di giorni 60 per il deposito delle comparse conclusionali e di giorni 20 per il deposito delle memorie di replica. Tanto premesso, la domanda è fondata e trova accoglimento. Risulta, invero, circostanza pacificamente ammessa da tutte le parti in causa quella relativa all'avvenuta costruzione, da parte del convenuto, del manufatto in legno di cui all'atto di citazione. La parte istante, ha, inoltre, provato che la presenza di tale manufatto incide significativamente sul normale deflusso delle acque meteoriche, ostacolando il normale deflusso delle stesse verso l'imbocco della pluviale e provocando accumuli di acqua che ristagna. Tanto si desume inequivocabilmente alla luce della ctp e della fotografie alla stessa allegate, nonché in base alle risultanze della ctu. Invero, il consulente constatava che: "La struttura in elevazione realizzata dal convenuto... determina al suo ridosso ed in corrispondenza con la parte condominiale, un anomalo deflusso delle acque. Infatti, durante il secondo accesso previo innaffiamento della copertura, sì è potuto constatare un cattivo deflusso delle acque bianche, dipeso proprio da tale manufatto, realizzato dal convenuto. Tanto vero che nel corridoio condominiale 1.70 larghezza x 8,50 (vedi foto) quello che separa il torrino scale con la ringhiera metallica del convenuto, e a ridosso del corpo in elevazione, si creano ristagni di acqua che impediscono il normale deflusso delle acque condominiali; tuttavia, il cattivo deflusso delle acque non determina alcuna condizione di pericolo statico per il condominio ricorrente". Orbene, ritiene il Tribunale che l'utilizzo del lastrico di proprietà esclusiva, di per sé lecito, non possa avvenire in modo tale da arrecare pregiudizio alle parti comuni del bene, alla luce del generale divieto di cui all'art. 1122 c.c., a tenore della quale ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio. Applicando tali principi, pertanto, deve ritenersi che l'utilizzo del lastrico di proprietà esclusiva non possa in alcun modo danneggiare la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture condominiali (Cass. 24418/2018). Nel caso di specie, a prescindere dalla sussistenza di un pregiudizio statico, il cattivo deflusso delle acque ed il ristagno di acqua piovana sulle aree dell'intero lastrico, certamente incidono sulla funzione di copertura dello stesso, determinando anche un potenziale danno alla proprietà condominiale (e non alla sola proprietà del convenuto), poiché l'acqua, con il passare del tempo, certamente può danneggiare la guaina, così cagionando danni da infiltrazioni alla proprietà comune, con riferimento anche ai muri perimetrali e alle facciate. E' appena il caso di precisare come, nella presente sede, sia del tutto irrilevante ogni questione attinente alla legittimità urbanistica dell'opera. In accoglimento della domanda attorea, pertanto, va accertato che il manufatto oggetto di causa è stato costruito in violazione della disposizione di cui all'art. 1122 c.c.. Per l'effetto, il convenuto Am.Pi. va condannato alla rimozione del predetto manufatto ed al ripristino dello stato dei luoghi. Le spese di lite (anche relative al procedimento di mediazione) seguono la soccombenza del convenuto e vengono liquidate in dispositivo, alla luce dei parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014 (e successive modifiche), applicati alla luce del valore della lite (fino a 26.000,00 euro). In ordine alle spese vive, vengono riconosciute, a differenza di quanto richiesto nella nota prodotta dalla parte attrice, solo quelle effettivamente documentate. Si dispone l'attribuzione in favore dell'avv. An.Cu., antistatario. Le spese di ctu, liquidate in separato decreto, vanno definitivamente poste a carico della parte convenuta, secondo il medesimo criterio della soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Napoli, IV Sezione civile, in persona del Giudice Unico dott.ssa Manuela Robustella, ogni contraria istanza disattesa, così provvede: - in accoglimento della domanda attorea, accerta che il manufatto oggetto di causa (come identificato in citazione e nella ctu) è stato costruito da Am.Pi. in violazione della disposizione di cui all'art. 1122 c.c..; - condanna, per l'effetto, il convenuto Am.Pi. alla rimozione del predetto manufatto ed al ripristino dello stato dei luoghi; - condanna Am.Pi. al pagamento delle spese di lite sostenute dal Condominio di Via (...), N., che liquida in Euro 264,00 per spese vive ed Euro 5.511,00 per compensi, oltre spese generali al 15% dei compensi, iva e cpa, come per legge, con attribuzione in favore dell'avv. An.Cu.; - le spese di ctu, liquidate in separato decreto, vanno definitivamente poste a carico della parte convenuta. Così deciso in Napoli il 28 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Milano TREDICESIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del giudice Dott. Pietro Paolo Pisani ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 14059/2022 R.G. promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in(...) presso il difensore avv. (...) ATTORE contro (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in (...) presso il difensore avv. (...) (...) CONVENUTO - OGGETTO: impugnativa di delibera assembleare ex art. 1137, II comma c.c. - uso beni comuni e privati. - CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da verbale di causa del Data_3 ed in formato digitale depositate nel fascicolo telematico. SVOLGIMENTO IN FATTO DEL PROCESSO omissis ex art. 58 co. 2 L. 69/2009 e art. 132 c.p.c. novellato Per quanto riguarda domande, eccezioni e richieste conclusive delle parti, si rinvia agli atti processuali delle medesime ed ai verbali delle udienze, attesa la modificazione dell'art.132 n. 4 c.p.c. con la legge 69/2009, che esclude una lunga e particolareggiata esposizione di tutte le vicende processuali anteriori alla decisione. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La presente controversia prende origine dalla impugnativa della delibera assembleare del (...) del (...), convenuto, per la sua asserita nullità e/o annullabilità con riferimento al punto 6 del suo Odg., nella parte in cui nega l'autorizzazione all'attore di procedere all'installazione per motivi di sicurezza di grate sulle finestre dell'appartamento di sua proprietà poste sul lato strada al piano rialzato e prospicienti (...). Si costituiva il (...) convenuto contestando tutte le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto delle domande avversarie. All'esito della prima udienza venivano assegnati i termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c. e, depositate le memorie, all'esito venivano rigettate tutte le istanze istruttorie formulate in atti dalle parti e la causa, quindi, veniva rinviata per comparizione delle parti ed il tentativo di conciliazione. Svolto infruttuosamente l'incombente, la causa veniva rinviata quindi per la precisazione delle conclusioni ed all'esito della stessa, veniva poi rinviata ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c.. Oggi, all'esito della discussione orale, la causa viene decisa con lettura in udienza del dispositivo e di sintetica motivazione della presente sentenza ai sensi dell'art.281 sexies c.p.c.. Nel merito, va rilevato che parte attrice, a sostegno delle sue domande, ha allegato e provato, con copiosa documentazione anche fotografica, le seguenti circostanze: - è proprietario dell'appartamento posto al piano rialzato dello stabile del (...) convenuto in giudizio che ha due finestre prospicienti (...); - aveva sottoposto all'amministratore del (...) convenuto il progetto, con stato di fatto, prospetto e sezione, delle inferriate che aveva intenzione di installare sulle due finestre poste sul (...), ai fini della sicurezza degli occupanti l'appartamento di sua proprietà, rendendosi comunque, all'occorrenza, disponibile a concordare le forme più idonee delle inferriate stesse che l'assemblea avesse ritenuto opportune; - l'assemblea condominiale ordinaria del (...) veniva convocata per discutere e deliberare, tra gli altri, anche del seguente punto all'ordine del giorno: "6) La proprietà (...) chiede l'autorizzazione all'installazione di grate su finestre lato strada piano rialzato per motivi di sicurezza. Allegato disegno."; - l'assemblea negava l'autorizzazione richiesta. L'attore ha conseguentemente lamentato che: non aveva necessità di alcuna autorizzazione assembleare; inoltre che le inferriate oggetto di causa erano necessarie per la sicurezza degli occupanti dell'appartamento di sua proprietà; nonché, in ogni caso, che le stesse inferriate non avrebbero comportato una alterazione del decoro architettonico del fabbricato condominiale. Di contro il (...) convenuto ha eccepito che: - andava effettuata una valutazione comparativa degli opposti interessi costituiti dalla sicurezza del condomino, da un lato, e dalla compromissione del decoro architettonico, dall'altro; - il regolamento del condominio di (...) ai suoi articoli 4, lettera e) e 7 poneva una serie di limiti all'utilizzo delle cose comuni e alla loro modifica; - il diniego espresso dall'assemblea condominiale era motivato dalla temuta compromissione dell'estetica del fabbricato ovvero dall'alterazione della sua simmetria esteriore. Ha replicato l'attore sostenendo che: con l'installazione delle grate non sarebbe intervenuta alcuna lesione del decoro del fabbricato condominiale; le disposizioni regolamentari richiamate dal (...) a sostegno della legittimità della delibera impugnata sarebbero inapplicabili ai profili esterni delle finestre. E' principio fermo che il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere dell'assemblea di condominio edilizio non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo della discrezionalità di cui dispone l'assemblea, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità che si estende anche al riguardo dell'eccesso di potere, ravvisabile quando la causa della deliberazione sia falsamente deviata dal suo modo d'essere. Ma, anche in tale evenienza, il giudice non controlla l'opportunità o convenienza della soluzione adottata dall'impugnata delibera, ma deve solo stabilire se la delibera sia o meno il risultato del legittimo esercizio dei poteri discrezionali dell'assemblea (Cass. civ., Sez. II, (...), n. 10199; Cass. civ., Sez. II, (...), n. 14560; Cass. civ., Sez. II, (...), n. 3938; Cass. n. 731 del (...)). Ciò posto, nel merito delle doglianze dell'attore, va osservato quanto segue. In punto di diritto, nel caso in esame, vengono in rilievo le due differenti discipline dettate dagli articoli 1102 e 1120 c.c.. La Corte di Cassazione, anche da ultimo (Cassazione, sentenza 25790 del (...)), posto che il Codice civile stabilisce diverse limitazioni alle modifiche ed all'uso delle parti comuni, a seconda che vengono apportate dai singoli o deliberate dai partecipanti riuniti in assemblea, ha evidenziato che "l'art. 1102 c.c. e l'art. 1120 c.c. sono disposizioni non sovrapponibili, avendo presupposti ed ambiti di operatività diversi. Le innovazioni, di cui all'art. 1120 c.c., non corrispondono alle modificazioni, cui si riferisce l'art. 1102 c.c., atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, (...), n. 18052)". Per quanto riguarda poi la disciplina dell'articolo 1102 c.c. va osservato che tale norma è rivolta ad assicurare al singolo partecipante le maggiori possibilità di godimento della cosa comune condominiale e dunque lo legittima, - nel rispetto dei due limiti del divieto di mutarne la destinazione e di non impedire il pari godimento agli altri condomini secondo il loro diritto -, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità (Cfr.: Cassazione, sentenza 25790 del (...)). Detti principi vanno applicati alle opere di realizzazione delle inferriate oggetto di causa, che risultano quindi rientrare tra le modeste modificazioni previste dall'articolo 1102 cc, atteso che: - interesserebbero una estremamente limitata porzione della facciata condominiale e solo ai fini di un palese uso più comodo della stessa per l'utilità della proprietà privata del condomino attore; - il bene comune facciata condominiale manterrebbe comunque la sua funzione a servizio della collettività dei condomini pur dopo l'intervento oggetto di causa; - né è provato in atti che sarebbe impedito agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto a seguito della realizzazione delle inferriate in esame o che queste ultime determinerebbero una lesione della stabilità o sicurezza del fabbricato. Parte convenuta, però, eccepisce anche la esistenza di una disciplina regolamentare contrattuale che sarebbe ostativa alla installazione delle dette inferriate. Il Regolamento di condominio, pacificamente applicabile tra le parti, stabilisce quanto segue: art.4 lett. e): "É vietato: ... occupare, anche temporaneamente, i locali e gli spazi sia di uso che di proprietà comune, con costruzioni provvisorie con oggetti mobili di qualsiasi specie, erigere costruzioni, casotti od altro, anche di carattere provvisorio e nemmeno in via precaria, sui poggioli, formarvi truogoli o tenere vasi di grande capacità, depositarvi materiali od altro che impedisca la libera visuale ed in genere eseguire opere che possono compromettere la stabilità o alterare l'estetica del fabbricato o comunque arrecare danni"; art.7 : "É vietato fare varianti all'immobile che possano alterare l'estetica o la simmetria esteriore e per ogni altra variazione sostanziale, anche all'interno che possa compromettere la struttura organica ovvero la solidità o stabilità del fabbricato, si dovrà ottenere l'approvazione dell'assemblea dei condomini che delibererà, sentito il parere dell'ingegnere tecnico da esso esaminato". Come è noto, le norme di un regolamento di condominio aventi natura contrattuale possono legittimamente apportare esclusioni o restrizioni alle facoltà che, ordinariamente, competono ai singoli partecipanti relativamente alle parti comuni (Cass. civ. Sez. II, Sent. (...), n. 2422), perché l'art 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile (Cass. civ. Sez. II Sent., (...), n. 2114). Ciò posto va ritenuto che l'art. 7 del regolamento non è applicabile al caso in esame atteso che, ad una agevole lettura dello stesso e attesa la tipologia delle opere espressamente richiamate e qualificate come "varianti" si riferisce alle opere di "trasformazione" previste dall'art.1120 c.c. quando regolamenta le innovazioni della cosa comune e non a quelle oggetto di causa, che integrano invece quelle modeste modificazioni della cosa comune per un uso più comodo della stessa previste dall'art. 1102 c.c., come sopra rilevato e ritenuto. Invece deve ritenersi applicabile al caso in esame l'art.4 lett. e) posto che, ad una sua semplice lettura, esso risulta riferirsi proprio a quelle modeste modificazioni previste dall'articolo 1102 cc e, tra l'altro, vieta tutte quelle che arrechino pregiudizio a "l'estetica del fabbricato". La Corte di cassazione ha costantemente ribadito (cfr. da ultimo Cass. II, Ord. (...), n. 18928) il seguente principio di diritto: "Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione (Sez. 2, Sent. n. 10350 del 2011)". Ai fini della valutazione sul decoro della facciata dello stabile condominiale è del tutto irrilevante, e semmai fuorviante, ogni confronto con analoghe inferriate poste davanti a finestre di fabbricati diversi da quello condominiale, come richiede parte attrice, attesi i diversi e del tutto peculiari stili ed aspetti estetici che caratterizzano i vari fabbricati di (...), anche se limitrofi a quello del (...) convenuto. Invece dalla documentazione fotografica allegata in atti da entrambe le parti e relativa allo stabile condominiale emerge quanto segue: - la facciata condominiale sulla quale verrebbero installate le inferriate oggetto di causa è caratterizzata da una unitarietà di linee e di stile che la rendono un contesto armonico e omogeneo nelle sue linee architettoniche; - nella facciata condominiale oggetto di causa esistono già delle inferriate presenti su tutte le aperture sottostanti al piano dove sono poste le finestre dell'appartamento di parte attrice, lungo tutta la facciata condominiale, ma le stesse hanno forma e consistenza del tutto dissimili da quelle che l'attore si propone di realizzare, per quanto allegato in atti. Parte attrice eccepisce però che il decoro della facciata condominiale già sia stato leso in precedenza dalla presenza di tapparelle di diverse forme e colori ivi installate così da rendere irrilevante la eventuale lesione dello stesso decoro che deriverebbe dalla installazione delle proprie inferriate. Se è vero che al fine di valutare la sussistenza o meno della lesione del decoro architettonico di un fabbricato condominiale, in conseguenza di un intervento operato dal singolo condomino sulla struttura, deve tenersi anche conto delle condizioni nelle quali versava l'edificio prima del contestato intervento, va però detto che non è possibile comparare la installazione delle inferriate di parte attrice aventi forma e consistenza del tutto dissimili da quelle già preesistenti sulla stessa facciata, con eventuali altri interventi modificativi di diverso e del tutto peculiare contenuto quali il colore delle tapparelle in discorso. Invece il confronto tra le diverse inferriate, quelle preesistenti e quelle da installarsi, rende evidente la alterazione della unitarietà di linee e di stile della facciata che il regolamento condominiale e la delibera impugnata intendono salvaguardare e che, di contro, si determinerebbe con la installazione di quelle proposte dall'attore. Neppure rileva che altre modifiche eventualmente intervenute sulla facciata siano state consentite o tollerate pur in contrasto con il regolamento condominiale, atteso che quest'ultimo potrà sempre, eventualmente, essere fatto valere nelle sedi competenti. Così da doversi rigettare la eccezione sul punto. Va ancora ritenuto, poi, che a nulla rileva che le inferriate oggetto di causa sarebbero necessarie per la sicurezza degli occupanti dell'appartamento dell'attore, atteso che la modificazione della facciata, proprio per la suddetta difformità con le altre inferriate già presenti e la alterazione conseguente della unitarietà di linee e di stile della facciata condominiale, determinerebbe un pregiudizio estetico non modesto e dunque non trascurabile, che non verrebbe compensato dalla asserita utilità delle inferriate ai fini della sicurezza. Posto quindi che la tutela del decoro architettonico attiene a tutto ciò che nell'edificio è visibile ed apprezzabile dall'esterno, perché si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia, che contribuisce a dare ad esso una sua specifica identità, ne consegue che nel caso in esame e tenuto conto del dettato del regolamento condominiale e dei rilievi in fatto sopra svolti, deve ritenersi che la modifica dei profili esterni delle finestre ove verrebbero installate le inferriate oggetto di causa con le caratteristiche richieste in atti, inciderebbe sul decoro architettonico dell'intera facciata e conseguentemente che il condomino attore non può operare la stessa autonomamente senza la autorizzazione assembleare (cfr.: Cass. (...) n. 17398) che, dunque, è stata legittimamente negata. Nè parte attrice ha allegato elementi che consentano di rilevare un eventuale eccesso di potere nella decisione dell'assemblea condominiale su quanto oggetto di causa, atteso quanto sopra rilevato e ritenuto in punto di fatto e di diritto. Ciò posto, per quanto sopra rilevato e ritenuto, deve quindi rigettarsi la domanda dell'attore non essendo emersi in atti i profili di illegittimità sollevati avverso la delibera impugnata. Con assorbimento di ogni altra domanda, eccezione e istanza in atti, in applicazione del principio processuale della "ragione più liquida" (Cass. Sez. U, n. 9936 del (...); Cass. n. 12002 del (...); Cass. civ. Sez. V Ord., (...), n. 15008). Le spese e competenze del presente giudizio e della mediazione seguono la soccombenza, ai sensi dell'artt.91 c.p.c., e vanno poste a carico dell'attore ed a favore del convenuto (...) e, determinate sulla scorta dei parametri dettati dal D.M. Giustizia 55 del (...) come modificato con Decreto del (...) (...), n. 147, in considerazione del valore della domanda e della attività svolta, si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, ogni altra eccezione, domanda o istanza disattesa, rigettata o assorbita, così provvede, come in motivazione: - rigetta tutte le domande dell'attore (...). - Condanna l'attore (...) a corrispondere al (...) (...), (...), convenuto, in persona del suo amministratore pro tempore, le spese e competenze di lite e di mediazione, liquidate Euro.4.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi ed a cpa e Iva di legge. Sentenza immediatamente esecutiva come per legge e resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale. Milano (...).

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