Sentenze recenti deposito cauzionale

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere Dott. RICCIO Stefani - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); (OMISSIS), nata ad (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 23/06/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; letta la memoria dei difensori degli imputati contenente motivi aggiunti ed i relativi allegati; udita la relazione svolta dal Consigliere Stefania Riccio; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Perelli Simone, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS) e per l'annullamento con rinvio dei ricorsi nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS); udito l'avv. (OMISSIS) in sostituzione dell'avv. (OMISSIS) per l'Agenzia delle entrate, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi e la conferma delle statuizioni civili; uditi i difensori (OMISSIS), che hanno insistito per l'accoglimento dei ricorsi RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato quella con cui il Tribunale di Avellino, in data 29 gennaio 2020, aveva condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di anni tre di reclusione e (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di anni due di reclusione, previo riconoscimento in favore di queste ultime delle circostanze attenuanti generiche, ed aveva condannato gli imputati, in solido, al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite, Agenzia delle Entrate-Riscossione, in persona del legale rappresentante pro tempore, e Comune di Grottaminarda, in persona del Sindaco pro tempore, da liquidare in separato giudizio. Gli imputati sono stati ritenuti responsabili, in concorso, del reato di peculato perche', nelle qualita' di incaricati di pubblico servizio e di membri del consiglio di amministrazione di (OMISSIS) s.p.a. - societa' concessionaria del servizio di riscossione dei tributi nella provincia irpina avendo la disponibilita', in ragione dell'ufficio o servizio, delle somme versate dai contribuenti a titolo di imposta comunale sugli immobili (ICI) tramite bollettini postali, nonche' tramite modelli RAV ed F35, se ne appropriavano, specificamente riversando con ritardo o non riversando i relativi importi (come dettagliati in imputazione) negli anni dal 2004 al 2006 - previa rideterminazione, quanto all'ICI dovuta per l'anno 2004, nella differenza tra l'ammontare di Euro 18.724.324,29 e gli importi erogati a titolo di acconto - e ritenendo i versamenti effettuati dai contribuenti in eccedenza fino all'anno 2006. 2. Propongono ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS) con atto a firma del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con atto a firma dell'avv. (OMISSIS), articolando i motivi di seguito sintetizzati nei limiti strettamente necessari alla motivazione, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Motivi comuni a tutti i ricorsi. 2.1.1 Il primo motivo denuncia cumulativamente violazioni di legge e vizi di motivazione, per erronea applicazione del Decreto Legislativo 22 luglio 1999, n. 112, articolo 22, mancata rinnovazione della istruttoria dibattimentale e mancanza di motivazione in ordine alla indicazione dei ritardi relativi ai riversamenti dell'anno 2004. Erroneamente la Corte di appello ha considerato quale dies a quo del termine di dieci giorni per i riversamenti, stabilito dall'articolo 22 cit., quello di riscossione, ignorando il meccanismo delle anticipazioni previsto dalle convenzioni stipulate dalla societa' concessionaria con gli enti locali sulla base del protocollo d'intesa con Asco-Tributi, in forza del quale la prima anticipava ai comuni le somme riscosse dai contribuenti in ragione dell'80% del gettito del tributo dell'anno precedente, in due rate annuali, rispettivamente in misura del 45% entro il 5 luglio, e del 35% entro il 27 dicembre, mentre il residuo 20% era riversato con cadenza decadale dal momento in cui risultava contabilizzato un importo di riscossione superiore a quello anticipato. L'obbligo di riversamento, nel regime convenzionale, sorgeva solo dal momento in cui i versamenti superavano le anticipazioni gia' erogate. L'analisi dei consulenti del Pubblico Ministero, posta a base delle conformi decisioni di merito, e' inficiata, con riguardo a tali aspetti, da plurimi vizi metodologici. Nel dettaglio: -le date di ricezione dei modelli CH52, trasmessi da (OMISSIS) s.p.a., riepilogativi dei tributi riscossi per conto dei comuni, sono state individuate su base presuntiva, in relazione al dato statistico indicato da (OMISSIS) per il recapito della corrispondenza e non sono stati correttamente indicati i giorni di ritardo; - agli importi complessivi che (OMISSIS) s.p.a. avrebbe tardivamente riversato ai comuni, indicati dai consulenti, sono riferibili plurimi modelli CH52, rivenienti dalle plurime spedizioni effettuate dai centri postali di smistamento (CUAS) dislocati nella provincia irpina, per cui le date di spedizione e di ricezione non potevano essere assunte unitariamente; -non risultano scomputate dalle somme asseritamente riversate con ritardo le anticipazioni erogate e non e' dato conoscere l'ammontare delle appropriazioni. I medesimi vizi connotano la interpretazione delle tabelle allegate alla relazione di consulenza negli esempi di calcolo citati in sentenza. La Corte di merito non ha inoltre tenuto conto, ai fini dell'apprezzamento dei pretesi ritardi, dei tempi di lavorazione dei moduli CH52. Erroneamente e' stato ritenuto significativo di interversio possessionis il trasferimento delle somme ricevute dai contribuenti dal conto postale dedicato ad altri conti, il cui utilizzo e' stato consentito dalla intervenuta abrogazione del " Decreto Legge n. 88 del 1996, comma 2, articolo 5", i quali erano pur sempre intestati alla societa' concessionaria e produttivi di interessi in egual misura. Sotto altro profilo, ai fini della configurabilita' del peculato, il danaro riscosso, fino al pareggio con quello anticipato, non aveva connotazione pubblicistica, non essendo configurabile fino a tale momento alcun obbligo di riversamento. 2.1.2. Inosservanza ed erronea applicazione di legge, quanto al reato di peculato contestato per le annualita' 2005-2006, anche in relazione all'articolo 521 c.p.p.; mancanza di motivazione in ordine alle condotte appropriative relative alle medesime annualita'. E' stata inflitta condanna, quanto alle annualita' 2005-2006, per un fatto - il tardivo riversamento - diverso dall'appropriazione, oggetto di contestazione. La lavorazione dei bollettini di pagamento, dal 18 ottobre 2006, e' stata di fatto impedita dal sequestro dei supporti informativi nonche' dalla intervenuta cessione di (OMISSIS) s.p.a. a (OMISSIS) s.p.a., cui e' subentrata, da ultimo, (OMISSIS) s.p.a., avendo il riordino del sistema delle riscossioni imposto esigenze di rendiconto di carattere straordinario. E' stato valorizzato, come elemento dimostrativo di reita', l'ordine di servizio interno a (OMISSIS) nel 2005 (e dunque posteriore alla maggior parte dei fatti in addebito), con il quale si era stabilito che dovessero essere i funzionari ad autorizzare i riversamenti; li' dove tale disposizione organizzativa era intesa a definire unicamente un corretto riparto di responsabilita' tra livelli impiegatizi e dirigenziali, anche al fine di prevenire contestazioni di natura sindacale. 2.1.3. Violazione o erronea interpretazione dell'articolo 314 c.p. e vizio di motivazione in ordine ai versamenti eccedentari. Secondo la Corte di appello gli imputati sarebbero responsabili per non aver provveduto a restituire i versamenti effettuati in eccedenza dai contribuenti, li' dove nessuna normativa disciplinava, ai tempi, le modalita' e i termini di restituzione, che hanno trovato compiuta regolamentazione per effetto dell'inserimento, nel corpo dell'articolo 22 cit., del comma 1-bis, ad opera del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, articolo 83. Prima della novella, non essendo configurabile alcun obbligo restitutorio, quanto percepito in eccedenza da (OMISSIS) non era classificabile come pecunia publica, sicche' il trattenimento di relativi importi integrerebbe, al piu', un indebito arricchimento, di rilevanza solo civilistica. 2.1.4. Violazione o erronea interpretazione dell'articolo 314 c.p., con riguardo alla configurabilita' dell'elemento soggettivo del delitto di peculato, e contraddittorieta' della motivazione in relazione ai medesimi profili. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente il dolo in ragione del trasferimento in blocco delle somme riscosse dai contribuenti dal conto dedicato a diversi conti correnti intestati a (OMISSIS) s.p.a. e dalla gestione delle stesse somme uti dominus, anche mediante investimenti. Di contro, lo spostamento era consentito a seguito dell'abrogazione del "Decreto Legge n. 88 del 1996, articolo 5, comma 2". Non e' significativo di volonta' appropriativa, il preteso investimento di circa 500.000,00 Euro, trattandosi di un deposito cauzionale acceso a garanzia dell'Erario per la durata della concessione di riscossione, peraltro confluito nell'attivo di cessione della societa'. Per il resto, (OMISSIS) utilizzava il danaro dei versamenti ICI - costituente danaro privato, fino ad integrale compensazione delle anticipazioni - al solo scopo di garantirsi operativita'. 2.1.5. Vizi di motivazione in relazione alle statuizioni civili. La sentenza impugnata ha confermato la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili: 1) Agenzia delle Entrate, per avere la stessa dovuto provvedere alla restituzione dei versamenti eccedentari, non effettuata da (OMISSIS) s.p.a.; 2) comune di Grottaminarda, per il disagio creato all'ente locale dall'assenza di rendicontazione. Di contro, alcun pregiudizio e' derivato dai fatti in addebito ai detti enti, come emerso in istruttoria dibattimentale dalle deposizioni di: - (OMISSIS), designato amministratore delegato di (OMISSIS) s.p.a. da (OMISSIS) al momento dell'acquisizione della societa' irpina, il quale ha escluso di avere ricevuto lamentele o sollecitazioni legate al mancato o tardivo riversamento dell'ICI; - (OMISSIS), responsabile del settore Tributi del comune di Grottaminarda, il quale ha confermato essere avvenuti i riversamenti in maniera regolare e nel rispetto della convenzione. Inoltre: - non consta che Agenzia delle Entrate abbia provveduto alle restituzioni ai privati aventi diritto, ne' la relativa presa in carico e' stata mai allegata dalla costituita parte civile; - il comune di Grottaminarda non poteva avere incontrato difficolta' per la mancata rendicontazione, atteso che il "Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 304, articolo 10, comma 5" prevede che la formazione dell'anagrafe dei dati sia gestita dal consorzio ANCI/CNC per la fiscalita' locale, che raccoglie i dati dai concessionari per trasmetterli ai comuni, rendendoli disponibili sul sito www.fondazioneifel.it; 3. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS). 3.1. Violazione o erronea interpretazione dell'articolo 47 c.p., comma 3. L'utilizzo del danaro da parte dei concessionari prima del conguaglio, nella convinzione di poterne usare fino a concorrenza degli acconti effettuati in favore dei comuni, integra un errore di fatto su legge diversa da quella penale, ossia un errore su norma - non amministrativa di contabilita' ma - di natura convenzionale. 4. Ricorsi nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS). 4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla responsabilita' concorsuale delle ricorrenti. (OMISSIS) e (OMISSIS) non rivestono la qualifica di incaricate di pubblico servizio, ne' mai sono state partecipi del consiglio di amministrazione di (OMISSIS), alle cui dipendenze hanno lavorato con vincolo di subordinazione, in qualita' di socie di (OMISSIS) s.r.l., societa' cui erano state esternalizzate le lavorazioni. Non e' stato ricostruito un effettivo contributo causale, di natura materiale o morale, dalle stesse prestato alle condotte dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono per diversi aspetti inammissibili, ma complessivamente infondati, e vanno respinti. Sono invece fondati i ricorsi nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), nei confronti delle quali si impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, nei limiti e per le ragioni che saranno in seguito esposte. 2. Il primo motivo, comune a tutti i ricorsi, e' aspecifico perche' ripetitivo, e comunque infondato. 2.1. Il tema attiene, anzitutto, al regime normativo dei riversamenti da parte delle societa' concessionarie dei servizi di riscossione dei tributi. Le difese contestano la decorrenza del termine di dieci giorni previsto dal Decreto Legislativo n. 112 del 1999, articolo 22 per i riversamenti in favore degli enti impositori, individuata in sentenza nella riscossione del tributo, senza tener conto delle anticipazioni. Di contro, i Giudici di merito, le cui pronunce conformi si integrano in un unitario corpo argomentativo, hanno fatto buon governo della detta norma, la quale prevede in linea generale un termine decadale con dies a quo dalla riscossione, ma demanda a fonti di rango subprimario (un decreto interministeriale) di individuarne la decorrenza ove la riscossione avvenga per il tramite delle agenzie postali e delle banche. La sentenza impugnata ha considerato che i rapporti tra la maggior parte degli enti impositori e la societa' concessionaria dei servizi di riscossione dell'imposta comunale sugli immobili (ICI, in seguito soppressa come tale) erano regolati da convenzioni, nel quadro di un sistema di fiscalita' locale disegnato dal Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, basato sulla attribuzione agli stessi enti di potesta' regolamentare nella gestione delle proprie entrate; ed hanno compiutamente descritto il meccanismo, congegnato al fine di garantire una tempestiva acquisizione di flussi finanziari agli enti impositori, delle anticipazioni, le quali erano calcolate sul gettito del tributo dell'anno precedente ed erogate dai concessionari in due rate, con successivo conguaglio. Il termine di dieci giorni e' indicato nel protocollo d'intesa ANCI Asco Comuni del 1997, schema tipo su cui erano modellate le convenzioni singolarmente concluse con gli enti locali, le quali prevedevano una tempistica dei riversamenti mai superiore, talvolta inferiore e non risponde a verita' che nella sentenza impugnata ne sia stata individuata la decorrenza nelle date di riscossione dell'imposta. La Corte di appello ha spiegato come uno sfalsamento temporale tra la riscossione e il riversamento agli enti dei relativi proventi, fosse imposto dalla necessita', per il concessionario, di acquisire dagli uffici postali i modelli riepilogativi CH52 da cui evincere l'identificativo dei contribuenti, i tributi versati e i comuni a cui imputare i pagamenti (posto che le riscossioni, eseguite per conto dei diversi enti locali della provincia, confluivano tutte su un unico conto postale), per concludere infine - in perfetta coerenza con tali premesse - che detto termine decorresse dalla data di ricezione dei plichi, contenenti i predetti prospetti di sintesi, da parte della societa' concessionaria. Le censure svolte al riguardo dalle difese, benche' prospettate come vizio di motivazione, sono in realta' declinate in fatto ed ambiscono ad una alternativa lettura delle risultanze processuali, non consentita in questa sede. E' difatti granitico il principio per cui, nel vagliare il vizio di motivazione, questa Corte deve limitarsi a ripercorrere i passaggi argomentativi delineati nella sentenza impugnata e a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilita' di controllo della rispondenza della motivazione al contenuto delle correlative acquisizioni processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747). Le censure difensive investono, all'evidenza, il merito laddove: - contestano l'attendibilita' delle date di consegna dei plichi, verificate presso Ente Poste; il dato acquisito, al contrario, e' parametrato sui tempi medi di spedizione, valutato attendibile per avere trovato conferma nelle prove, anche testimoniali, assunte in dibattimento; - contestano la adeguatezza del detto termine in rapporto ai tempi occorrenti per la lavorazione delle reversali, senza tener conto delle significative anomalie rilevate dalla indagine dei consulenti della Pubblica Accusa, li' dove hanno evidenziato come le inadempienze siano state via via ingravescenti, fornendo elementi per ritenere che l'entita' dei ritardi (pari a 2/3 mesi nel 2004, cresciuti fino a 5 mesi nei periodi successivi, seguiti dalla totale assenza di versamenti da ottobre 2005 fino al momento in cui, nel novembre 2006, nell'imminenza del subentro di (OMISSIS) alla societa' concessionaria, furono definitivamente regolate le pendenze) sia stata non ragionevole, in rapporto alla limitata complessita' delle operazioni da compiere per imputare le riscossioni agli enti aventi diritto. In ogni caso, alla luce del quadro ricostruttivo tratteggiato in sentenza, un piu' analitico accertamento della tempistica delle ricezioni resta privo di decisiva rilevanza, essendosi accertato che la prassi operativa della societa' era di non protocollare tempestivamente i prospetti riepilogativi dei pagamenti e gli acclusi bollettini, ma di postergare la registrazione al protocollo dei plichi provenienti dagli uffici postali, modalita' organizzativa che non faceva emergere lo sforamento dei termini decadali imposti dalla legge o inferiori risultanti dalle convenzioni. Parimenti ininfluente, ai fini della determinazione delle somme oggetto di tardivo riversamento, e' l'accertamento dei termini e delle modalita' di conguaglio, atteso che il presupposto logico argomentativo da cui muovono i Giudici di appello, fondato sulle risultanze dell'indagine dei consulenti, e' che intanto venivano effettuati riversamenti, in quanto (OMISSIS) avesse verificato che le somme riscosse eccedevano quelle anticipate, e dunque previa detrazione di quanto necessario a coprire le anticipazioni e le commissioni. Alla luce di quanto precede, le censure relative alla erroneita' degli esempi citati in sentenza, volte a supportare, da parte della difesa, le lamentate lacune e incongruenze, non solo attengono al merito della decisione, ma non colgono nel segno perche' non evidenziano profili di portata decisiva. 2.2. In perfetta coerenza con tale premessa ricostruttiva, e' stata disattesa la domanda di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale - mediante nuovo esame dei consulenti di parte o conferimento di incarico peritale - stante l'irrilevanza dell'acquisizione di dati piu' analitici con riguardo alle modalita' di calcolo delle eccedenze da restituire sulle anticipazioni e delle relative scadenze, e di dati disaggregati per singoli comuni. Peraltro, e' il caso di precisare che, essendosi in sentenza ritenuta la unicita' del reato di peculato in addebito, con termine finale ad ottobre 2006, ed essendo stata inflitta una pena contenuta nel minimo edittale, non e' dato apprezzare - ne' la difesa lo ha evidenziato - un interesse concreto alla impugnazione, correlato ad una piu' dettagliata ricostruzione dei tempi e della misura dei ritardi, ne' al fine della determinazione del momento consumativo della condotta, ne' in relazione alla dosimetria della pena (posto che, in relazione alla mancata concessione degli elementi circostanziali, non vi e' motivo di ricorso). Al riguardo, giova ribadire che, nel giudizio d'appello, la rinnovazione prevista dall'articolo 603 c.p.p., comma 1, e' subordinata alla verifica dei presupposti individuati da tale norma, costituiti dalla incompletezza dell'indagine dibattimentale e dalla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti, secondo un accertamento che e' tuttavia rimesso alla valutazione del giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimita' se correttamente motivato (Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Leoni, 262620; Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, Ligresti, Rv. 229666). Ed e' principio di diritto parimenti consolidato che non possa dar luogo ad un vizio di mancata assunzione di una prova decisiva - e neppure a vizio di violazione di legge processuale in relazione all'articolo 507 c.p.p. - la mancata assunzione di una prova che sia stata sollecitata dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria officiosa e che sia stata da questi ritenuta non necessaria ai fini della decisione (ex plurimis, Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016 - dep. 2017, Fiaschetti e altro, Rv. 269270 - 01). 2.3. La doglianza per cui il danaro riscosso non costituiva pecunia publica fino ad integrale compensazione delle anticipazioni, di tal che non sarebbe nemmeno configurabile il delitto di peculato per il tardivo riversamento, ripropone a sua volta rilievi gia' svolti nei gradi di merito ed e' manifestamente infondata. Nella struttura della fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 314 c.p., il danaro oggetto di appropriazione non deve necessariamente appartenere alla pubblica amministrazione, stante l'ampiezza di latitudine della locuzione "denaro o altra cosa mobile altrui" contenuto nell'articolo 314 c.p., presupponendo invece la norma che l'agente pubblico ne abbia il possesso qualificato dalla ragione dell'ufficio o del servizio. E' stato ripetutamente spiegato dalla giurisprudenza di questa Corte che un possesso cosi' qualificato non e' solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi nel maneggio o nella disponibilita' della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (Sez. 6, n. 11741 del 27/01/2023, Abbondanza; Sez. 6, n. 33254 del 19/05/2016, Caruso, Rv. 267525; Sez. 6, n. 18015 del 24/02/2015, Ambrosio, Rv. 263278; Sez. 6, n. 12368 del 17/10/2012, dep. 2013, Medugno, Rv. 255998). Nella vicenda in esame, non e' dubbio che la disponibilita' delle somme riscosse a titolo di ICI sia stata acquisita in ragione del servizio espletato da (OMISSIS) s.p.a. quale agente di riscossione. Peraltro, invocando un meccanismo compensativo che ha fondamento nel regime convenzionale, si assume dai ricorrenti che gli importi riscossi fossero di spettanza della stessa societa' concessionaria fino a totale copertura delle anticipazioni; ma, cosi' opinando, il ricorso non si confronta con la sentenza che ha ritenuto, sulla scorta di quanto accertato in istruttoria, che le anticipazioni fossero gia' state recuperate al momento in cui venivano effettuati i riversamenti. Dunque, il danaro oggetto di riversamento aveva una inequivoca destinazione pubblicistica, trattandosi di importi dovuti agli enti a titolo di imposte, ed e' stato sviato dalle finalita' sue proprie. 2.3. Altro profilo posto in discussione dai ricorrenti attiene alla configurabilita' dei ritardi nei riversamenti quale elemento costitutivo oggettivo del reato loro ascritto. La sentenza impugnata richiama un precedente arresto in forza del quale integra il reato di peculato la condotta del pubblico agente che ritardi il versamento all'ente del danaro riscosso in ragione della funzione svolta oltre il ragionevole limite di tempo derivante dalla complessita' delle operazioni di versamento o dalla necessita' di attendere anche a doveri di ufficio di diversa natura (Sez. 6, n. 3601 del 14/01/2021; Baglivo, Rv. 280486, in fattispecie relativa ad un impiegato dell'ufficio anagrafe di un comune che si era appropriato delle somme consegnategli dai privati a titolo di diritti di segreteria sulle carte di identita' rilasciate, restituendole parzialmente solo dopo l'avvio di un procedimento amministrativo a suo carico). Tale pronuncia si pone in linea di continuita' con il consolidato orientamento per il quale e' ritenuta di valenza appropriativa la condotta di sottrazione della "res" alla disponibilita' dell'ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile (Sez. 6, n. 2963 del 29/11/2017, De Luca Rv. 272131, con riferimento alla riscossione delle tasse automobilistiche; Sez. 6, n. 15853 del 01/02/2018, Munafo', Rv. 272910 con riferimento alla rivendita di valori bollati; Sez. 6, n. 32058 del 17/05/2018, Locane, Rv. 273446 con riferimento all'omesso versamento delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno da parte del gestore di una struttura ricettiva residenziale), ovvero l'inosservanza del termine indicato dalla pubblica amministrazione con la intimazione inviata, per contestare e sollecitare il versamento delle somme dovute (Sez. 6, n. 31920 del 06/06/2019, Orsi, Rv. 276805, con riferimento a concessionario del servizio di ricevitoria del lotto). La difesa invoca, di contro, il principio di diritto per cui la condotta appropriativa dei proventi della riscossione si realizza non gia' per effetto della mera inosservanza del termine di adempimento, bensi' allorquando si determina la certa interversione del titolo del possesso, ossia allorche' il pubblico agente compia un atto di dominio sulla cosa, con la volonta' espressa o implicita di tenere questa come propria (Sez. 6, n. 16786 del 02/02/2021, Conte, Rv. 281335-02, con riferimento ad appropriazione del denaro riscosso dal notaio a titolo di imposte da riversare all'Erario; Sez. 6, n. 5233 del 19/11/2019, dep. 2020, Boggione, Rv. 278708). Pur essendo corretta la premessa argomentativa del ragionamento, la tesi difensiva ignora che, nella vicenda al vaglio, i Giudici di merito non hanno affatto ritenuto significativo di interversio possessionis il solo tardivo riversamento all'erario degli importi dovuti, per un tempo che ha comunque superato la soglia di ragionevolezza, tenuto conto della entita' del ritardo in rapporto alla limitata complessita' delle operazioni da compiere; sul punto la sentenza ha valorizzato, con argomenti non censurabili sotto il profilo della congruita' e della correttezza logico-argomentativa, quale elemento inequivocamente significativo di interversio, il trasferimento delle somme ricevute dai contribuenti ICI dal conto postale dedicato intestato a (OMISSIS) ad altri conti autonomamente produttivi di interessi - incrementi che la societa' ha potuto lucrare - e la mancanza di ogni preliminare e doverosa attivita' di rendiconto e verifica. Da tali conti, gli importi sono stati prelevati ed utilizzati per finalita' proprie della societa', sia pure correlate all'esercizio delle attivita' di riscossione (tra le quali la sottoscrizione di una polizza fideiussoria richiesta ai fini dell'esercizio della concessione). Questa Corte ha da epoca risalente spiegato come l'agente che riscuote denaro pubblico non possa utilizzarlo per fini propri, sia pure assumendo l'obbligo di erogare all'amministrazione l'equivalente, o scambiarlo con titoli di credito di sua pertinenza e che, in tali casi, non ha alcuna influenza, ai fini della rilevanza penale del fatto, l'intenzione di restituire le somme ne' la restituzione del tantundem, in quanto la lesione del bene giuridico si e' gia' verificata con l'appropriazione (Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244190; Sez. 6, n. 53125 del 25/11/2014, Renni, Rv. 261680 Sez. 6, n. 1256 del 03/11/2003, dep. 2004, Bosinco, Rv. 229766). Non e' poi corretto quanto riferito dalle difese sull'utilizzo consentito, da parte del concessionario di conti non dedicati, per effetto della intervenuta abrogazione del "Decreto Legge n. 88 del 1996, articolo 5, comma 2". Il decreto legge richiamato, decaduto per mancata conversione, ha introdotto disposizioni regolative della materia del demanio marittimo ad uso turistico-ricreativo, del tutto inconferenti rispetto alla vicenda processuale in disamina. Le difese hanno verosimilmente inteso riferirsi alla disposizione di cui al Decreto Legge 8 agosto 1996, n. 437, articolo 5, comma 2 conv. con modificazioni dalla L. 24 ottobre 1996, n. 556, che prevedeva l'obbligo per il concessionario di disporre delle somme giacenti sui conti correnti postali istituiti per il versamento dell'ICI esclusivamente a fronte del contestuale versamento dell'imposta a favore dei comuni, tramite postagiro presso le Sezioni di tesoreria provinciale dello Stato per i comuni in regime di tesoreria unica. In realta', la norma abrogata consentiva ai concessionari di riversare le somme riscosse anche tramite conto corrente postale, direttamente alle tesorerie comunali, senza passare per il tramite delle tesorerie provinciali dello Stato, ma nulla prevedeva a proposito dell'obbligo di tenere un conto apposito per le esigenze del servizio di riscossione. Un tale obbligo discende piuttosto dalla L. n. 504 del 1992, articolo 10 istitutiva dell'Imposta comunale sugli immobili, come ha ribadito la Corte di cassazione civile, nella sua massima espressione nomofilattica (pronunciatasi in relazione alla debenza di corrispettivi per i servizi di accensione e tenuta del conto corrente dedicato, nonche' alla incidenza del sistema di monopolio legale sull'obbligo a contrarre da parte dell'ente che espleta i servizi postali). In tale arresto si e' evidenziato come la disposizione richiamata "stabilisce che l'ICI deve essere corrisposta mediante versamento diretto al concessionario della riscossione o su apposito conto corrente postale intestato al concessionario stesso" sicche' "quest'ultimo e' obbligato all'accensione del conto corrente all'uopo destinato" (Sez. U civili, n. 7169 del 26/03/2014, Rv. 629693-01; nello stesso senso, si veda la recentissima Sez. 5, n. 36094 del 23/11/2021, Rv. 663055 02). Ad ogni buon conto, nella vicenda che occupa, non rileva tanto l'esistenza o meno di un obbligo giuridico, per il concessionario, di accendere il conto, quanto il dato oggettivo che detto conto esistesse e che il danaro sullo stesso accreditato venisse in automatico trasferito su altri conti; operazione che, da un lato, permetteva alla societa' di lucrare gli interessi maturati sulla relative giacenze (i quali, diversamente, sarebbero stati di spettanza dell'ente impositore, come e' dato argomentare dal Decreto Legge 8 agosto 1996, n. 437, articolo 5, comma 3, conv. in L. 24 ottobre 1996, n. 556, che ne prevedeva il versamento in favore degli enti destinatari proporzionalmente al gettito dell'imposta comunale spettante a ciascun ente); dall'altro ha consentito alla stessa di farne uso, uti dominus, cosi' sviandolo dalla sua destinazione pubblicistica, come dimostra l'assenza di preventiva contabilizzazione e verifica. Non vale osservare in senso contrario che i conti di destinazione fossero intestati alla medesima societa' concessionaria, essendo questa un ente privato di lucro, nel cui ambito i (OMISSIS) avevano un ruolo apicale ed una evidente cointeressenza, in quanto componenti del consiglio di amministrazione e soci. Come la sentenza ha correttamente precisato, la destinazione dei proventi della riscossione all'acquisto di una polizza necessaria per l'esercizio di tale attivita' ancor piu' dimostra come il danaro oggetto di riscossione sia stato confuso con risorse proprie della societa'. 3. Il secondo motivo di ricorso e' inammissibile. 3.1.Non sussiste il difetto di correlazione tra accusa e sentenza, lamentato dai ricorrenti sul presupposto che sia stata pronunciata condanna per un fatto il tardivo riversamento - diverso da quello - l'appropriazione - oggetto di contestazione. Invero, le condotte hanno un nucleo comune in quanto il ritardo e' ritenuto sintomatico di pur temporanea appropriazione, attesa la natura fungibile dei valori pecuniari. Il tema e' stato inoltre esplorato in tutte le sue implicazioni nel corso del dibattimento e i ricorrenti non hanno dedotto, quale conseguenza di tale pretesa discrasia, un qualsivoglia pregiudizio all'esercizio delle proprie prerogative difensive. E' principio consolidato di questa Corte, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619 - 01). In linea con questa consolidata impostazione, e' stato detto che non sussiste violazione del principio di correlazione cristallizzato dall'articolo 521 c.p.p. allorquando, in relazione a vicende obiettivamente complesse, la sentenza abbia affermato la penale responsabilita' dell'imputato sul fondamento di una ricostruzione dei fatti che sia stata arricchita e conformata - nella specifica vicenda, quanto ai soggetti coinvolti ed al ruolo di ciascuno - alla stregua degli elementi emersi in istruttoria, atteso che, ad assicurare l'esercizio in concreto del diritto di difesa, e' sufficiente che l'imputazione enunci in termini chiari gli elementi essenziali degli addebiti. (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 - 01). 3.2. La deduzione per cui l'omessa lavorazione delle reversali di pagamento, a partire dal mese di ottobre 2006, sarebbe dipesa da fatto non imputabile alla volonta' dei ricorrenti, siccome impedita dall'intervenuto sequestro dei relativi supporti informativi, nonche' dalle straordinarie esigenze di rendiconto correlate al subentro a (OMISSIS) s.p.a. dapprima di (OMISSIS) s.p.a., poi divenuta (OMISSIS) s.p.a., e' inconferente, quanto alla pronuncia ablativa, avuto riguardo al perimetro temporale della contestazione, mentre e' puramente assertiva, quanto alle esigenze di rendicontazione di eccezionale portata, alle quali in sentenza, senza illogicita', non si e' attribuita alcuna valenza impeditivi. 3.3. Ancora, hanno natura di censure in fatto e tendono ad un differente apprezzamento delle risultanze istruttorie - come detto, non consentito in questa sede - le deduzioni relative alla valenza dell'ordine di servizio del 2005, con il quale si era stabilito che dovessero essere i funzionari ad autorizzare i riversamenti. Tale ordine, in tesi accusatoria, condivisa nelle sentenze di merito, sarebbe dimostrativo di reita' posto che legittimava contestualmente il ritardo nei controlli, mentre, secondo le difese, era esclusivamente una disposizione organizzativa intesa a definire, anche al fine di prevenire contestazioni di natura sindacale, un corretto riparto di responsabilita' tra livelli impiegatizi e dirigenziali. La chiave di lettura alternativa offerta non giustifica la verificazione dei richiamati ritardi, cui era strettamente connessa la possibilita' di storno degli importi sui propri autonomi conti correnti, ed il lucro conseguente. 4. Il terzo motivo, relativo all'impossibilita' di configurare come ipotesi di peculato la ritenzione degli importi versati in eccedenza dai contribuenti, e' infondato. Le difese deducono, nella sostanza, che la Corte di appello abbia ritenuto la responsabilita' degli imputati senza considerare che la disciplina regolativa delle modalita' e dei termini di restituzione delle somme eccedentarie e' stata definita, in epoca successiva ai fatti, dal Decreto Legislativo n. 122 del 1999, articolo 22, comma 1-bis introdotto dal Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, articolo 83, e non potrebbe trovare applicazione retroattiva. Di qui l'assunto per cui non vi sarebbe stato, ai tempi, alcun obbligo restitutorio con riferimento a tali eccedenze. Di contro, la sentenza ha compiutamente spiegato come l'assunto che il danaro non costituisse pecunia publica muove da una non corretta analisi ricostruttiva della fattispecie incriminatrice del peculato, che non richiede affatto - per i motivi esposti al paragrafo n. 2.3. cui si rinvia - l'appartenenza della res oggetto di appropriazione alla pubblica amministrazione, ma solo la necessita' di una relazione funzionale, che si sia instaurata per ragioni di ufficio o servizio, che ne abbia reso possibile la appropriazione. L'assenza, ai tempi, di una compiuta disciplina delle procedure di restituzione, in seguito introdotta anche per regolare l'onere economico delle correlate attivita', non legittimava la societa' concessionaria a ritenere, e per giunta per importi considerevoli e via via ingravescenti, somme percepite in ragione delle attivita' di riscossione; risulta dalla relazione dei consulenti richiamata in sentenza, alle pagg. 12 e ss., che (OMISSIS) era perfettamente consapevole della eccedenza degli importi rispetto al debito tributario, somme che avrebbero dovuto confluire sui conti dell'ente impositore, in quanto soggetto in ultima analisi obbligato a valutare le eccedenze e a provvedere alle restituzioni. E' questione dunque diversa e non sovrapponibile, perche' inerente alla sola relazione civilistica tra (OMISSIS) s.p.a. e privati contribuenti, la possibilita' di ravvisare nella ritenzione di tali importi gli estremi di un indebito arricchimento, mentre la contestazione attiene all'appropriazione di somme acquisite solo in virtu' della funzione pubblica svolta, della cui restituzione l'amministrazione pubblica era responsabile. 5. Il quarto motivo, relativo alla non configurabilita' dell'elemento soggettivo del delitto di peculato, e' a sua volta inammissibile, perche' reiterativo di argomentazioni gia' sottoposte alla Corte di appello ed afferenti al merito. Con ragionamento esente da contraddittorieta', i Giudici di secondo grado hanno dedotto il dolo di peculato da una duplicita' di elementi, da leggere sinergicamente, in quanto significativi, nella loro coordinazione logica, di volonta' di interversione, quali: 1) il trasferimento in blocco delle somme percepite dai contribuenti, avvenuto a prescindere da qualsiasi contabilizzazione e verifica - attivita' doverose, trattandosi di riscossione nell'interesse altrui - dal conto dedicato a diversi conti correnti societari intestati a (OMISSIS) s.p.a.; 2) l'artificio della sistematica contabilizzazione in ritardo dei versamenti. Le modalita' di tali condotte, poste in essere a beneficio della societa', sia pure per garantirne l'operativita', sottendono una volonta' elusiva, a sua volta presupponente la consapevolezza della illiceita' di un diretto prelievo di quel danaro e dei relativi frutti civili, nonche' della illiceita' di non ragionevoli ritardi. 6. Le doglienze relative alle statuizioni civili sono inammissibili perche' in parte reiterative e comunque manifestamente infondate. E stata, invero, inflitta condanna solo generica al risarcimento dei danni - senza anticipazione di provvisionale - i cui presupposti fondativi sono stati correttamente individuati: 1) nella astratta potenzialita' lesiva del fatto; 2) nella esistenza di un nesso causale tra il fatto e il pregiudizio lamentato. Quest'ultimo e' stato coerentemente correlato: - quanto ad Agenzia delle Entrate, all'avere dovuto, tramite la societa' (OMISSIS), avviare le procedure di restituzione dei versamenti eseguiti dai privati sine titulo, non completate, nel periodo di interesse; - quanto al comune di Grottaminarda, all'assenza di rendicontazione, foriera di difficolta' per l'ente locale, per la impossibilita' di controllare la correttezza dell'operato del concessionario anche in relazione alla tempistica dei riversamenti dovuti al netto delle anticipazioni. Le censure fondate sui contenuti - peraltro parziali - delle deposizioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) sono declinate essenzialmente in fatto e comunque ininfluenti, in quanto la effettivita' e misura di tali pregiudizi saranno oggetto di valutazione nel separato giudizio civile. Quanto alla rendicontazione, la questione della esistenza di una anagrafe dati gestita dal consorzio ANCI/CNC per la fiscalita' locale, prevista dal Decreto Legislativo n. 504, articolo 10, comma 5, - e non 304 - del 1992 costituisce deduzione inammissibile perche' non devoluta in appello e, in ogni caso, infondata. La norma richiamata si limitava a prevedere che i dati di riscossione fossero trasmessi ai comuni e al sistema informativo del Ministero delle finanze e che l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) dovesse organizzare le relative attivita' strumentali e provvedere, attraverso l'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL), all'analisi dei bilanci comunali e della spesa locale; il che non esimeva la societa' dall'obbligo di rendicontazione correlato all'espletamento del servizio, che ha fondamento nel Decreto Legislativo n. 112 del 1999, articolo 23 in forza del quale "Il concessionario rende la contabilita' delle riscossioni mediante ruolo e conserva le posizioni dei singoli contribuenti anche con sistemi informatici; le modalita' e i termini sono individuati con decreto del Ministero delle finanze, di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica". 7. Inammissibile, perche' reiterativa e manifestamente infondata, e' la pretesa violazione dell'articolo 47 c.p., comma 3, lamentata nei ricorsi nell'interesse dei soli (OMISSIS), i quali deducono che integrerebbe errore di fatto su norma di natura non penale, bensi' convenzionale, la convinzione, avuta dai ricorrenti, di poter fare uso delle somme riscosse fino a concorrenza delle anticipazioni eseguite. La asserita mancata conoscenza, da parte di un operatore professionale, quale (OMISSIS), delle prescrizioni delle convenzioni, cadendo su norma integratrice del precetto, refluisce in errore sul precetto stesso e non e' idonea ad escludere il dolo ai sensi dell'articolo 5 c.p., non emergendo una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto di essa, che possa far ritenere l'ignoranza inevitabile. Deve invero considerarsi errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per legge diversa dalla legge penale, ai sensi dell'articolo 47 c.p., quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata neppure implicitamente (Sez. 6, n. 25941 del 31/03/2015, Ceppaglia, Rv. 263808 - 01). E del resto, come argomentato in sentenza senza contraddittorieta' ed aporie sul piano logico, il difetto di consapevolezza della altruita' del danaro e' smentito dalle condotte elusive poste in essere per farne uso, per le esigenze della societa', tale essendo l'artificio per registrare con ritardo al protocollo i plichi provenienti dai centri postali e il trasferimento in blocco delle somme su conti diversi da quello apposito, senza previamente rendicontare. 8. Appaiono fondati, di contro, i ricorsi formulati nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), quanto al difetto di motivazione in ordine alla ipotizzata responsabilita' concorsuale nel reato di peculato. La sentenza individua in termini del tutto generici i presupposti su cui va ricostruita in capo alle imputate la qualifica pubblicistica di incaricate di pubblico servizio, avendo evidenziato che le stesse operarono alle dipendenze di (OMISSIS) s.p.a., essendo socie - De Santis anche amministratore delegato - di (OMISSIS) s.r.l., ossia della societa' alla quale erano stati esternalizzati da (OMISSIS) s.p.a. i soli servizi di data entry relativi alla riscossione dell'ICI. Non sono illustrate, tuttavia, ne' le mansioni espletate per ritenerle compartecipi della attivita' di pubblico servizio di riscossione tout court, ne' le loro modalita' di interazione con la societa' concessionaria, alla cui compagine non consta che fossero intranee. Avrebbe dovuto essere meglio precisata l'affermazione, che si legge in sentenza, che si occupavano della gestione dei servizi, non essendosi indicato quali, e, quanto a (OMISSIS), che firmava gli ordini di pagamento a mezzo bonifico bancario, anche in tal caso, senza specificare di quali bonifici si trattasse. Neppure e' spiegato se vi sia stata compartecipazione delle imputate alla condotta appropriativa ascritta ai rispettivi coniugi, (OMISSIS) e (OMISSIS), non essendo stato ricostruito un contributo causale, di natura materiale o morale, alle stesse riferibile. Una condotta ausiliatrice da parte di (OMISSIS) parrebbe individuata nell'avere la stessa sottoscritto, unitamente ad altri, l'ordine di servizio del 13 ottobre 2005, con cui si era rimesso in esclusiva ai funzionari il potere di firma dei riversamenti. Ma se e' vero che, nella ricostruzione accusatoria, tale disposizione aveva stabilizzato il sistematico differimento nella lavorazione delle reversali, e' anche vero che, nella versione difensiva, essa era intesa a definire un corretto riparto di responsabilita' tra livelli impiegatizi e dirigenziali, onde prevenire contestazioni di natura sindacale; sicche' i Giudici di merito avrebbero dovuto precisare perche', da parte di (OMISSIS), estranea alla societa' concessionaria, e priva di una reale cointeressenza alla condotta appropriativa, l'avere sottoscritto tale atto sottendesse una finalita' agevolatrice dei ritardi nei riversamenti, e non invece un'esigenza di piu' razionale ripartizione delle attribuzioni tra dipendenti, nell'ambito della organizzazione delle prestazioni di lavoro. Per entrambe le imputate, la Corte di appello non spiega da quali elementi possa evincersi la consapevolezza in capo alle ricorrenti della condotta criminosa posta in essere dai (OMISSIS) e dell'apporto che, con il proprio operato, queste avrebbero dato ad essa, avendo costruito una sorta di responsabilita' da posizione, non accettabile se basata sul presupposto (implicito) che le ricorrenti non potessero non ignorare la circostanza, in ragione del vincolo di coniugio con i coimputati. Con le censure difensive la sentenza non si confronta e la motivazione risulta carente, dovendosene conseguentemente disporre l'annullamento per nuova valutazione, da operare alla luce delle considerazioni che precedono. 9. Quanto al regime delle spese, al rigetto dei ricorsi nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) segue la condanna dei medesimi al pagamento delle spese processuali, nonche' alla rifusione, con vincolo solidale, delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile Agenzia delle Entrate - Riscossione, costituitasi nel giudizio di legittimita', nella misura indicata in dispositivo, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Cort di appello di Napoli. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile Agenzia delle Entrate - Riscossione, che liquida in complessivi Euro 3.687, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 830 del 2023, proposto da E-D. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ce. Ca., Gi. De Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio As. Pr. St. Le. De Ve. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce Sezione Prima n. 1324/2022, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2023 il Cons. Maurizio Antonio Pasquale Francola e uditi per l'appellante l'avvocato Ma. Pe. per delega dell'avvocato Ce. Ca.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la E-D. S.p.A. impugnava gli atti con i quali il Comune di (omissis), in riferimento a talune concessioni demaniali marittime, ha preteso il pagamento tanto del canone demaniale per l'anno 2021 quantificato in Euro 2.500,00, quanto della conseguente imposta regionale aggiuntiva prevista dall'art. 16 L.R. n. 17/2015, oltre all'ulteriore somma occorrente per la ricostituzione del deposito cauzionale pari al doppio del canone dovuto. La E-D. S.p.A. domandava, infatti, l'annullamento dei predetti atti poiché, nella fattispecie, ricorrerebbero i presupposti per l'applicazione del canone di riconoscimento previsto dall'art. 39 co. 2 c.n. e dall'art. 37 co. 2 reg. esec. c.n. Con sentenza n. 1324/2022 pubblicata il 29 luglio 2022 e non notificata da alcuna delle parti in causa, il T.A.R. per la Puglia, sezione staccata di Lecce, Sez. I dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, spettando il sindacato sulla controversia al giudice ordinario, poiché l'oggetto del contendere era costituito dalla quantificazione del canone demaniale preteso in Euro 2.500,00 senza il coinvolgimento di alcuna spendita di potere autoritativo o discrezionale da parte dell'Amministrazione. Con ricorso in appello notificato il 23 gennaio 2023 e depositato il 30 gennaio 2023, E-D. S.p.A. domandava la riforma della predetta sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 133, co. 1, lett b) cod. proc. amm. in relazione all'art. 100, comma 4, d.l n. 104/2020, convertito dalla legge n. 126/2020, come modificato dall'art. 6 bis, comma 1, del d.l. n. 73/2021, convertito dalla legge n. 106/2021, ritenendo erroneo il difetto di giurisdizione rilevato dal primo giudice, poiché, diversamente da quanto considerato nella sentenza impugnata, nel caso di specie, non sarebbe in questione la mera quantificazione dell'indennità, bensì la qualificazione giuridica stessa del rapporto concessorio (relativo ad attività di pubblico interesse), come tale preliminare e sottostante rispetto alla determinazione del canone. Donde, la conclusione secondo cui la domanda, involgendo il rapporto concessorio, rientrerebbe nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo. Il Comune di (omissis) non si costituiva, nonostante la regolare notifica del ricorso in appello. Nella camera di consiglio del 18 aprile 2023, il Consiglio di Stato, dopo avere udito il procuratore dell'appellante come da verbale, tratteneva l'appello in decisione. DIRITTO L'appello è fondato. Come noto, in tema di concessione dei beni pubblici, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione a tutela di interessi generali; quando, invece, la controversia coinvolga la verifica dell'azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio sottostante, o quando investa l'esercizio di poteri discrezionali valutativi nella determinazione del canone, e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (sia nell'an che nel quantum), la stessa è attratta nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo (Cass., Sez. Un. 17 dicembre 2020, n. 28973). Con riguardo al caso in esame, dagli atti di causa emerge con chiarezza che l'oggetto del contendere non è costituito dalla mera determinazione del quantum degli oneri concessori dovuti, quanto piuttosto dalla necessità di definire la natura giuridica del rapporto concessorio, da cui poi discende, quale conseguenza, l'imputazione degli oneri e la loro misura, secondo le vigenti disposizioni normative. Costituisce, infatti, principio consolidato, oggetto di plurime pronunce della giurisprudenza amministrativa, conformi all'indirizzo delle Sezioni Unite della Cassazione, che la previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di concessioni di beni pubblici fa salva la competenza del giudice ordinario solamente ove si controverta su questioni di carattere meramente patrimoniale, con esclusione della qualificazione del rapporto concessorio (in tal senso Consiglio di Stato sez. VII, 11/01/2023, n. 375). Qualora, infatti, la determinazione del canone dipenda da una differente interpretazione ed una mutata classificazione della tipologia di occupazione, non può ritenersi che si controverta meramente sulla entità dei canoni dovuti, venendo in rilievo la qualificazione del tipo di utilizzazione delle aree concesse, con conseguente, ma solo conseguente, diversità di canone (Cassazione civile sez. un., 01/07/2010, n. 15644). Al riguardo, basti richiamare l'orientamento delle Sezioni Unite sulla rideterminazione dei canoni demaniali marittimi in ragione della similitudine con il presente contenzioso. Secondo, infatti, i precedenti della Suprema Corte richiamati dal Consiglio di Stato: "3. Sulla questione della spettanza della giurisdizione in caso di rideterminazione dei canoni demaniali marittimi in applicazione della l. n. 296/2006 è sufficiente richiamare: a) l'ordinanza delle Sezioni unite della Corte di cassazione 17 giugno 2010, n. 14614, da cui si desume che la previsione normativa secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di concessione di beni pubblici, non si estende alle controversie "concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi...." (art. 133, co. 1, lett. b), c.p.a., già art. 5, l. Ta.r.) va interpretata nel senso che la giurisdizione del giudice ordinario ha per oggetto le controversie di contenuto meramente patrimoniale, ovvero inerenti quantificazione e pagamento dei corrispettivi in questione, e purché non entri in discussione la qualificazione del rapporto concessorio, con esercizio di poteri discrezionali da parte dell'Amministrazione, dovendosi riconoscere in tal caso la cognizione del giudice amministrativo, in presenza sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi; b) l'ordinanza delle Sezioni unite della Cassazione 1° luglio 2010, n. 15644 secondo cui la rideterminazione del canone di occupazione di beni del demanio marittimo da parte dell'Autorità portuale, a seguito di una differente interpretazione e di una mutata classificazione della tipologia di occupazione, spetta alla giurisdizione amministrativa, presupponendo un provvedimento amministrativo con cui l'Autorità incide sull'economia dell'intero rapporto concessorio, attraverso l'esercizio di poteri autoritativi. 4. Anche la giurisprudenza della Sezione ha affermato che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo per il contenzioso relativo ai provvedimenti di rideterminazione del canone demaniale per le concessioni marittime, in applicazione dell'art. 1, co. 251, l. n. 27 dicembre 2006, n. 296, trattandosi non di mera quantificazione del canone, ma di integrale revisione previa ricognizione tecnico-discrezionale del carattere di pertinenze demaniali marittime delle opere, in precedenza realizzate dal concessionario, nonché in considerazione dell'inamovibilità, o meno, delle stesse; la rideterminazione degli equilibri dell'intero rapporto concessorio, a seguito dell'applicazione della nuova normativa, non può dunque che configurare una fattispecie rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo, in conformità ai principi in precedenza richiamati (Cons. St, sez. VI, 26 maggio 2010, n. 3348)" (Cons. St., Sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 787). Nel caso in esame l'oggetto del contendere è costituito dalla verifica di una corretta interpretazione e qualificazione del rapporto di concessione, da cui discendono conseguenze in tema di determinazione del canone, essendo quest'ultimo un aspetto subordinato e condizionato dal primo. Venendo, dunque, in rilievo la verifica dell'azione autoritativa della P.A. sull'economia dell'intero rapporto concessorio, il conflitto tra P.A. e concessionario si configura secondo il binomio potere-interesse (v. Cass. nn. 411 del 2007, 22661 del 2006). Pertanto, l'appello è fondato e va accolto. Come noto, laddove sussista la giurisdizione del g.a., declinata in primo grado dal Tar, il giudice di secondo grado non può che annullare la sentenza gravata, senza ulteriore trattazione della causa, (tra le tante, Consiglio Stato sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7510), poiché nel caso di erronea declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella sentenza di primo grado la causa deve essere rimessa al Tar, ai sensi dell'art. 105 c.p.a. (Consiglio di Stato sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6492). Pertanto, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio al giudice di primo grado, secondo le modalità di cui all'art. 105, comma 3, del codice del processo amministrativo, non potendo il Consiglio di Stato pronunciarsi nel merito (Consiglio di Stato sez. IV, 12/02/2013, n. 847). L'omessa costituzione in giudizio del Comune appellato giustifica l'irripetibilità delle spese processuali del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tar Puglia, sezione staccata di Lecce, dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza. Spese processuali del doppio grado di giudizio irripetibili. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Maurizio Antonio Pasquale Francola - Consigliere, Estensore Marco Valentini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASSANO Margherita - Presidente Agg. Dott. AMENDOLA Adelaide - Presidente Dott. DE CHIARA Carlo - Presidente Dott. MANZON Enrico - Consigliere Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere Dott. RUBINO Lina - Consigliere Dott. MARULLI Marco - Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 20607-2022 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI VENEZIA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce alle deduzioni difensive; - resistente - nonche' PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE CASSAZIONE ROMA; - intimato - avverso la sentenza n. 104/2022 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE di ROMA, depositata il 25/06/2022; Lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MARIELLA DE MASELLIS, che ha chiesto il rigetto del ricorso; Lette le memorie del ricorrente; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO. FATTI DI CAUSA 1. Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 104 del 25 giugno 2022, in accoglimento del ricorso del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati (COA) di Venezia, annullo' la decisione del Consiglio Distrettale di Disciplina del Veneto ed applico' all'avv. (OMISSIS) la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attivita' professionale per mesi sei in quanto ritenuto responsabile della violazione degli articoli 9 (ex 5,6,10), 30 (ex 41.1), 31.1 (ex 44) del CDF (Codice disciplinare forense) per non aver provveduto alla restituzione della somma di Euro 250.000,00, ricevuta in varie occasioni dalla cliente (OMISSIS) S.p.A., con la causale di deposito cauzionale a titolo fiduciario, all'amministratore nominato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo in data 16/5/2009, pur essendone stato richiesto in data 21/07/2009. Il procedimento disciplinare, che traeva origine dall'esposto presentato in data 1 dicembre 2009 da alcune societa' che lamentavano di aver versato al professionista le somme indicate e la cui restituzione era stata negata, aveva visto l'avv. (OMISSIS) sostenere che il diritto a trattenere le somme scaturiva dalla compensazione con propri controcrediti di natura professionale maturati nei confronti delle stesse societa'. Il procedimento pero' perveniva dinanzi alla CDD del Veneto solo nel dicembre del 2019, in quanto il procedimento era stato instaurato dapprima dinanzi al COA ed al CDD di Trieste. Nel corso del procedimento, l'avv. (OMISSIS) produceva altresi' una copia dell'accordo transattivo intervenuto nel giugno del 2016, e debitamente autorizzato dal GIP, con il quale la somma trattenuta era posta in compensazione con i crediti del professionista scaturenti da un provvedimento del Tribunale di Lucca. All'esito del dibattimento, il CDD del Veneto dichiarava la prescrizione dell'azione disciplinare, in mancanza di atti interruttivi intervenuti successivamente alla data dell'8 settembre 2009, allorche' il professionista aveva rifiutato la restituzione della somma adducendo la compensazione, data che si riteneva coincidesse con la cessazione della permanenza della condotta illecita. Il CNF riteneva che effettivamente ricorressero gli elementi per individuare la responsabilita' del professionista per l'illecito contestato, atteso che in base alle norme deontologiche lo stesso era tenuto alla restituzione dele somme ricevute a titolo di deposito fiduciario dalla cliente, non potendo addurre quale causa impeditiva la pretesa di compensare la somma ricevuta con propri crediti professionali, tuttavia dissentiva quanto alla sussistenza della prescrizione dell'illecito contestato. Ribadita la natura di illecito permanente per la condotta del professionista che trattenga indebitamente somme messegli a disposizione in via fiduciaria dal cliente, il CNF ricordava che, secondo la giurisprudenza di legittimita', si e' al cospetto di un illecito permanente, che non si esaurisce nella semplice percezione della somma, ma che si protrae nel tempo, in relazione al periodo in cui l'avvocato continui a trattenere la somma. Il termine di prescrizione, con la conseguente cessazione della permanenza, pero' iniziava a decorrere solo a far data dal giugno del 2016, allorche' a seguito di transazione, l'avv. (OMISSIS) aveva potuto lecitamente vantare un titolo per trattenere le somme, essendo in precedenza illecito il suo rifiuto di restituzione. Ne derivava altresi' che trovava applicazione la L. n. 247 del 2012, articolo 56 avuto riguardo alla data di cessazione della permanenza. Inoltre, dal giugno del 2016 erano intervenuti plurimi atti interruttivi della prescrizione, fra cui la notificazione della decisione impugnata, che avevano elevato il termine di prescrizione sino a quello massimo di sette anni e sei mesi, venendo quindi a maturare la prescrizione solo nel dicembre del 2023. La decisione del CDD doveva quindi essere annullata ed occorreva determinare la sanzione applicabile, sanzione che, avuto riguardo alla condotta illecita contestata, al grado dell'elemento psicologico, all'assenza di precedenti disciplinari, ed a tutti gli altri elementi da prendere in esame, il CNF individuava nella sospensione per mesi sei. 2. Avverso la sentenza era proposto ricorso per cassazione dall'avvocato sulla base di un motivo, illustrato da memorie. 3. Il ricorrente formulava istanza di sospensione dell'esecutivita' della decisione del Consiglio Nazionale Forense ai sensi della L. n. 247 del 2012, articolo 36, comma 6. 4. L'intimato Consiglio dell'ordine territoriale ha depositato atto di deduzioni difensive. 5. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e erronea applicazione del Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 51 nonche' della L. n. 247 del 2012, articolo 56. Assume il ricorrente che non intende formulare contestazioni quanto alla ricostruzione in fatto delle vicende disciplinari, come operata dal CNF, ma che piuttosto, pacifica la natura permanente dell'illecito contestato, consistente nella mancata restituzione di somme in precedenza ricevute dal professionista a titolo di deposito fiduciario, si palesa erronea l'individuazione del momento in cui sarebbe cessata la permanenza. Infatti, la giurisprudenza di legittimita' ha piu' volte affermato che il momento in cui cessa la permanenza dell'illecito coincide con quello dell'indebita appropriazione delle somme, e cioe' con il momento in cui il professionista nega il dritto del cliente alla restituzione della somma, affermando invece il proprio diritto a trattenerla. La soluzione sostenuta nella sentenza impugnata e' in contrasto con tale principio e denota l'illogicita' della decisione del CNF che ha, invece, fatto riferimento ad una soluzione nella quale la condotta del professionista assumeva rilievo anche penale, concretandosi nella commissione del reato di cui all'articolo 646 c.p.. Ne' poteva avere carattere distintivo il fatto che il ricorrente aveva opposto il diritto di compensare la somma con propri crediti professionali, poiche' in ogni caso il rifiuto di restituzione, ancorche' per tale causale, aveva interrotto la permanenza dell'illecito. Il dies a quo della prescrizione deve quindi individuarsi nella data dell'8 settembre 2009, allorche' venne rifiutata la restituzione della somma, ed in relazione a tale data l'illecito risulta prescritto, in assenza di successivi validi atti interruttivi nel quinquennio. 2. Non e' in discussione nella vicenda in esame la qualificazione come illecito permanente di quello oggetto di contestazione al ricorrente, ma si dibatte unicamente in merito all'individuazione del momento in cui sarebbe venuta meno la permanenza, con la conseguente individuazione del dies a quo della prescrizione. Il CNF ha fatto riferimento al momento in cui la somma sarebbe stata oggetto di lecita compensazione da parte del ricorrente, per effetto dell'accordo transattivo del giugno del 2016, con il quale e' stata debitamente autorizzata da parte del GIP la compensazione invocata dall'avv. (OMISSIS), in precedenza pero' in maniera illegittima, come appunto specificato nella sentenza impugnata (cfr. sul punto anche quanto argomentato in punto di pretesa di compensazione del professionista delle somme ricevute a titolo fiduciario dal cliente, da Cass. S.U. n. 11168/2022), ritenendo conseguentemente applicabile la disciplina in tema di prescrizione dettata dalla L. n. 247 del 2012, articolo 56. Pertanto, tenendo conto degli atti interruttivi posti successivamente in essere, ha concluso nel senso che la prescrizione massima di sette anni sei mesi e' maturata solo nel dicembre del 2023. Un diverso esito e' invece invocato dal ricorrente che invoca la tesi secondo cui la consumazione dell'illecito, con la cessazione della permanenza si realizza anche quando il professionista neghi la restituzione delle somme percette, sostenendo il diritto a trattenerle ovvero negandone la stessa ricezione. Tale momento andrebbe quindi fatto risalire all'8 settembre del 2009, e precisamente nel momento in cui l'avv. (OMISSIS), richiesto della restituzione delle somme, si oppose alla stessa sostenendo che aveva diritto a porle in compensazione con i suoi crediti professionali. Da tale precisazione, il ricorrente, richiamando il principio per cui, in tema di illecito disciplinare degli avvocati, il regime piu' favorevole di prescrizione introdotto dalla L. n. 247 del 2012, articolo 56 (che prevede un termine massimo di prescrizione dell'azione disciplinare di sette anni e sei mesi), non puo' essere invocato con riguardo agli illeciti commessi prima della sua entrata in vigore, attesa la loro natura amministrativa, ritiene che debba farsi applicazione del previgente termine di prescrizione quinquennale. Poiche', il momento di riferimento per l'individuazione del regime della prescrizione applicabile, nel caso di illecito punibile solo in sede disciplinare, rimane quello della commissione del fatto e non quello della incolpazione (Cass. S.U. n. 20383/2021; Cass. S.U. n. 23746/2020), nella fattispecie il termine di prescrizione e' quello quinquennale dettato dal Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 51 che pero' non e' stato interessato da atti interruttivi, con la conseguenza che l'illecito contestato risulta prescritto. Il Collegio ritiene che il motivo sia fondato. La condotta del legale che omette di restituire al cliente la somma versatagli in deposito fiduciario configura un illecito permanente, in relazione al quale il momento in cui cessa la permanenza coincide con il momento in cui il professionista, in costanza della prosecuzione del rapporto professionale, sollecitato alla restituzione, nega il diritto del cliente sulla somma e afferma il proprio diritto di trattenerla. Pertanto, e' da tale momento che inizia a decorrere il termine di prescrizione dell'illecito, in applicazione analogica dell'articolo 158 c.p. (Cass. S.U. n. 14233 del 08/07/2020; conf. Cass. S.U. n. 1822/2015; Cass. S.U. n. 5200/2019). Tale principio va peraltro coordinato con quanto sempre di recente affermato da queste Sezioni Unite secondo cui l'illecito disciplinare commesso dall'avvocato che si appropria in maniera truffaldina di una somma di denaro destinata a un suo cliente ha natura permanente e la sua consumazione si protrae, in mancanza di restituzione, fino alla decisione disciplinare di primo grado, dalla quale inizia a decorrere il termine prescrizionale massimo di cui alla L. n. 247 del 2012, articolo 56, comma 3, (Cass. S.U. n. 23239 del 26/07/2022, che in motivazione ha appunto richiamato i precedenti in tema di interruzione della permanenza per effetto del rifiuto di restituzione opposto dal difensore al cliente), essendo quest'ultima affermazione volta a porre un limite finale alla condotta illecita, sebbene il protrarsi del rapporto professionale renderebbe sempre attuale l'obbligo del professionista di mettere a disposizione le somme di spettanza del cliente. L'individuazione come momento finale della data di decisione disciplinare di primo grado mira, quindi, a porre un limite alla stessa permanenza, espressamente qualificato come alternativo, ma per le ipotesi in cui la detenzione della somma avvenga senza che vi sia stata un'esplicita affermazione del difensore di avere il diritto di trattenerla, nonostante le richieste del cliente, e cio' in quanto a diversamente opinare "...ne deriverebbe una - irragionevole, non prevista dalla legge - imprescrittibilita' dell'illecito stesso". Va, quindi, ribadito che la condotta appropriativa posta in essere dall'avvocato non si esaurisce nell'incasso delle somme di spettanza del cliente o nel trattenimento delle stesse, ma si protrae fino a quando le somme non siano messe a disposizione del cliente e non intervenga l'informazione da parte del professionista circa la ricorrenza delle situazioni che legittimano la restituzione (cfr. Cass. S.U. n. 5200/2019). La permanenza dell'illecito si verifica, inoltre, nella diversa ipotesi in cui l'avvocato, ritenendo sussistente il suo diritto a trattenere le somme, ometta di opporre formalmente al cliente il suo rifiuto alla restituzione, inerendo la restituzione stessa ai doveri scaturenti dal perdurante mandato professionale. Ne deriva che, ove vi sia stata la richiesta di restituzione ed il professionista si sia opposto, non e' possibile protrarre la permanenza dell'illecito sino alla data in cui le somme siano effettivamente restituite, posto che gia' in quel momento si e' resa evidente e conclamata la violazione disciplinare. Va, quindi, data continuita' a Cass. S.U. n. 1822/2015, che, in relazione ad una vicenda per molti versi analoga a quella in esame, ha affermato che la prescrizione dell'azione disciplinare per illecito permanente dell'avvocato decorre solo dalla cessazione della permanenza, sicche', in caso di omissione del rendiconto di un deposito fiduciario, non rileva il momento della revoca del mandato, che fa sorgere l'obbligo di rendiconto, ma il momento in cui il professionista nega il diritto del cliente sulla somma depositata, affermando il proprio diritto di trattenerla, e cio' in considerazione del fatto che, come riferito in ricorso, il ricorrente aveva negato la restituzione delle somme ai custodi giudiziari della societa' ex cliente, opponendo il diritto alla compensazione con un proprio credito professionale (e per l'impossibilita' di invocare tale istituto come giustificazione dell'omessa restituzione, si veda Cass. S.U. n. 11168/2022), reiterando analoga difesa anche nel giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo che l'amministratore giudiziario aveva ottenuto per la somma oggetto di causa (condotta questa che denota come ormai fosse irrimediabilmente venuto meno il rapporto fiduciario e fosse stata resa piu' che evidente la volonta' di negare il diritto alla restituzione vantato dalla ex cliente). Ne consegue altresi' che si palesa erronea la conclusione della decisione gravata che ha individuato come termine di cessazione della permanenza solo la conclusione della transazione del 2016, dovendosi invece, per quanto detto, far riferimento alla piu' risalente data di rifiuto della restituzione dell'8 settembre 2009. Ne discende poi che, avuto riguardo a tale ultima data, l'illecito risulta essersi prescritto, in assenza di atti interruttivi nel quinquennio successivo. In accoglimento del motivo, la sentenza impugnata deve quindi essere cassata senza rinvio, dovendosi dichiarare prescritto l'illecito disciplinare contestato. 3. La decisione del ricorso determina poi l'assorbimento della richiesta del ricorrente di disporre la sospensione dell'esecutivita' della decisione gravata. 4. In ragione della non univocita' degli orientamenti in punto di decorrenza della prescrizione per gli illeciti disciplinari permanenti, solo recentemente oggetto di maggiori chiarimenti, si ritiene che ricorrano i presupposti per compensare le spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata senza rinvio, dichiarando estinto per intervenuta prescrizione l'illecito disciplinare contestato; compensa le spese del presente giudizio.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Felice - Presidente Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - rel. Consigliere Dott. ROLFI Federico Vincenzo Amedeo - Consigliere Dott. CAPONI Remo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 14971/2019 R.G. proposto da: (OMISSIS) SPA, nella qualita' di mandataria con rappresentanza di (OMISSIS) s.p.a., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), che lo rappresenta e difende; - ricorrente - contro ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), che lo rappresenta e difende; - controricorrente - avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO ROMA n. 4765/2018 depositata il 11/07/2018. Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18/11/2022 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI. FATTI DI CAUSA 1. Il giudizio trae origine dall'opposizione proposta da (OMISSIS) s.p.a. avverso l'ordinanza ingiunzione dell'importo di Euro 949.087,68 per contributi di apertura scavi, determinati ai sensi del Regolamento Scavi del Comune di Roma, come da Det. Dirig. 5 marzo 2007, n. 400. 1.2. L'(OMISSIS) s.p.a. gestiva il servizio di distribuzione elettrica nel Comune Di Roma ed esercitava la funzione di posa in opera di elettrodotti e la loro manutenzione attraverso lo scavo sui terreni comunali. Nell'esecuzione di tali attivita', l'(OMISSIS) necessitava di concessione per l'occupazione di aree pubbliche e l'autorizzazione ad eseguire scavi sul suolo, provvedendo al ripristino dello stato dei luoghi al termine dei lavori. 1.3. All'epoca dei fatti era vigente il Regolamento Scavi del Comune di Roma n. 56/2002, che all'articolo 7 subordinava le autorizzazioni all'apertura di scavi al pagamento di un canone per l'occupazione di aree e spazi pubblici ed al versamento di una somma forfettaria per metro lineare di scavo, quale ristoro del degrado del corpo stradale e del sottosuolo ovvero per degrado dell'apparato radicale delle essenze arboree e vegetali. 1.4. L'opposizione dell'(OMISSIS) era fondata, in primis, sull'abrogazione dell'articolo 7 del Regolamento Scavi n. 56/2002 dalla Delib. Comunale 20 ottobre 2005, n. 260, che all'articolo 28, prevedeva testualmente che "i procedimenti in corso sono regolati secondo le disposizioni del presente Regolamento". 1.5. L'(OMISSIS) s.p.a dedusse, inoltre, l'illegittimita' del Regolamento n. 56/2002 in quanto imponeva una prestazione patrimoniale in assenza di una previsione di legge, in violazione dell'articolo 23 Cost., in quanto il Decreto Legislativo n. 447 del 1997, prevedeva solo il canone per l'occupazione di suolo pubblico ed il Decreto Legislativo n. 259 del 2003, vietava ulteriori oneri e canoni non previsti dalla legge. Secondo l'opponente, del Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 93, dispone espressamente che le pubbliche amministrazioni e gli enti locali non possono imporre per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica oneri o canoni che non siano stabiliti per legge, mentre l'articolo 7 bis del TUEL legittima l'applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie solo per la violazione delle disposizioni contenute nei regolamenti provinciali e comunali. 1.6. Ulteriore motivo di opposizione riguardava la nullita' e contrarieta' alla legge della pretesa comunale in riferimento agli oneri di degrado in quanto tali oneri costituirebbero una sorta di duplicazione del canone di occupazione di suolo pubblico. 1.7. L'opposizione venne rigettata dal Tribunale di Roma. 1.8. Propose appello l'(OMISSIS) spa, riproponendo la tesi secondo cui l'articolo 14 del Regolamento Scavi n. 56/2002 aveva introdotto autoritativamente una prestazione patrimoniale al di fuori di una espressa previsione normativa, in violazione dell'articolo 23 Cost., che vieta, in difetto di una fonte legislativa di rango primario, l'introduzione autoritativa da parte degli enti pubblici di prestazioni patrimoniali a carico dei cittadini. 1.9. La Corte d'appello di Roma, con sentenza dell'11.7.2018, confermo' la sentenza di primo grado. 1.10. La Corte di merito ritenne che la previsione di un corrispettivo in forma forfettaria per il degrado del manto stradale e del sottosuolo, prevista dall'articolo 7 del Regolamento n. 56/2002, configurasse una clausola penale, che predeterminava l'entita' del risarcimento dovuto al Comune in caso di riconsegna del bene privo della sua originaria integrita'. Poiche' l'(OMISSIS) operava in regime di concessione, l'obbligo previsto dall'articolo 7 del Regolamento Scavi aveva natura privatistica e si inseriva in un regolamento contrattuale accettato dalla societa' concessionaria. 1.11. Quanto all'applicabilita' del Regolamento Scavi n. 56/2002, in seguito all'abrogazione degli oneri di degrado da parte del Reg. n. 260/2005, la Corte ritenne che la nuova normativa regolamentare fosse applicabile ai procedimenti in corso e non ai procedimenti afferenti ad un'autorizzazione e ad uno scavo gia' chiesto e rilasciato per i quali vi era gia' stata la formazione del consenso. 2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l'(OMISSIS) s.p.a. sulla base di sei motivi. 2.1. Ha resistito con controricorso Roma Capitale. 2.2. Il Pubblico Ministero in persona del Dott. Fulvio Troncone ha chiesto il rigetto del ricorso. 2.3. In prossimita' dell'udienza, la ricorrente ha depositato memoria illustrative. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso per mancanza di sinteticita' e chiarezza, espressamente previsti dalla L. n. 197 del 2016, articolo 7 bis, che avrebbe introdotto tale preciso dovere processuale a carico delle parti mentre, nel caso di specie, il ricorso sarebbe articolato in cinquantasei pagine redatte con la tecnica dell'assemblaggio. 1.1. l'eccezione e' infondata. 1.3. La L. n. 197 del 2016, articolo 7 bis, e' applicabile al processo amministrativo ed ha la finalita' di assicurare la sinteticita' e la chiarezza degli atti di parte, anche in considerazione dell'avvio e dell'attuazione del processo amministrativo telematico. Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio amministrativo, le parti sono obbligate a redigere il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonche' le associazioni di categoria degli avvocati amministrativisti. 1.4. L'obbligo di sinteticita' e chiarezza non e' estraneo al giudizio di cassazione ma non ha carattere cogente se il ricorso, per quanto prolisso, si conformi ai requisiti previsti dall'articolo 366 c.p.c., e consenta di cogliere le censure alla sentenza impugnata. 1.5. Nel giudizio di cassazione, a differenza del processo amministrativo, le modalita' di redazione del ricorso sono state oggetto delle disposizioni contenute nel Protocollo siglato dalla Suprema Corte e il Consiglio Nazionale Forense nel 2015; dalla violazione delle regole per la redazione del ricorso per cassazione non derivano sanzioni di carattere deriva l'inammissibilita' del ricorso essendo detto Protocollo uno strumento di soft law (Cassazione civile sez. I, 06/09/2021, n. 24055; Cassazione civile sez. II, 03/09/2021, n. 23873) 1.6. Nel caso di specie, il ricorso, benche' si dilunghi per oltre cinquanta pagine, consente di ricostruire la complessa vicenda processuale nel suo sviluppo nei gradi di merito, di ricostruire le ragioni della decisione e di cogliere le censure al provvedimento impugnato, attraverso l'esame della normativa e della giurisprudenza. 2. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363 e 1382 c.c., della L. n. 689 del 1981, articolo 1 e dell'articolo 23 Cost., dell'articolo 25 C.d.S., articoli 65 e 67 del suo Regolamento di attuazione, articolo 38 e segg. del Decreto Legislativo n. 507 del 1993, del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 63, nonche' della L. n. 2248 del 1865, articolo 4 e articolo 5, all. E, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente contesta la decisione della Corte d'appello che ha ricondotto gli oneri di degrado nell'ambito di una clausola penale, con cui le parti avrebbero predeterminato l'entita' del risarcimento dovuto al Comune per la riconsegna del bene concesso privo della sua originaria integrita'. Discende da tale ragionamento la non riconducibilita' di tali prestazioni nell'ambito delle prestazioni patrimoniale imposta dalla Pubblica Amministrazione in quanto le somme oggetto dell'ordinanza-ingiunzione troverebbero conferma in una libera pattuizione contrattuale intervenuta fra il Comune di Roma e (OMISSIS) S.p.A., riconducibile ad una penale contrattuale. Nell'ottica del ricorrente, tale ricostruzione e' inficiata da un errore giuridico perche' gli oneri di degrado costituirebbero prestazioni patrimoniali unilateralmente e preventivamente imposte dall'ente comunale in base alle previsioni contenute nel Regolamento del Comune di Roma n. 56/2002. A tali risultati condurrebbe l'interpretazione degli articoli 7 e 14 del Regolamento Scavi, unitamente alle altre norme del regolamento che prevederebbero la possibilita' per il Comune di Roma di revocare o sospendere le autorizzazioni e, addirittura, di ritirare l'autorizzazione e provvedere d'ufficio alle opere di ripristino dello stato dei luoghi. La tesi secondo cui gli oneri di degrado non costituirebbero clausole penali ex articolo 1382 c.c., si evincerebbe dall'articolo 26 del contratto, che, nell'elencare le "penali di natura civilistica", non includerebbe gli oneri di degrado. Inoltre, l'attivita' di scavo, regolata dagli articoli 25-27 C.d.S. e dagli articoli 65-67 del suo Regolamento di Attuazione, comporterebbe l'automatica concessione dell'occupazione del suolo pubblico, sicche' gli oneri di degrado costituirebbero una duplicazione del COSAP. Ne consegue che la Corte d'appello avrebbe dovuto considerare gli oneri di degrado come prestazioni patrimoniali imposte dalla PA, sia sul piano genetico che su quello interpretativo e disapplicare il Regolamento perche' tali oneri sarebbero statio imposti in assenza di una norma di legge, in violazione dell'articolo 23 Cost. e della L. n. 689 del 1981, articolo 1. 2.1. Il motivo e' fondato. 2.2. Il punto centrale del motivo e' costituito dalla natura degli oneri di degrado e, conseguentemente, della debenza delle somme richieste ad (OMISSIS) s.p.a. dal Comune di Roma. 2.3. (OMISSIS) s.p.a. gestisce il servizio di distribuzione elettrica nel Comune Di Roma ed esercita la funzione di posa in opera di elettrodotti e della loro manutenzione attraverso lo scavo sui terreni comunali. Nell'esecuzione di tali attivita' l'(OMISSIS) necessita di concessione per l'occupazione di aree pubbliche e l'autorizzazione ad eseguire scavi sul suolo provvedendo al ripristino dello stato dei luoghi. 2.4. Appare opportuno esaminare la cornice legislativa nella quale si inserisce la vicenda processuale. 2.5. In forza del Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 25, comma 1 del C.d.S., chi intenda effettuare "attraversamenti od uso della sede stradale e relative pertinenze con corsi d'acqua, condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, sia aeree che in cavo sotterraneo, sottopassi e sovrappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti ed opere, che possono comunque interessare la proprieta' stradale", e' tenuto ad ottenere una "preventiva concessione dell'ente proprietario". 2.6. La necessita' di una concessione amministrativa per "eseguire i lavori per la costruzione e la manutenzione dei manufatti di attraversamento o di occupazione" della sede stradale o di sue pertinenze e' ribadita dal Decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, articolo 67, comma 5 (Regolamento di esecuzione e attuazione del nuovo C.d.s., il quale, a sua volta, stabilisce che tale concessione deve essere "accompagnata dalla stipulazione di una convenzione tra l'ente proprietario della strada concedente e l'ente concessionario", nella quale devono trovare regolamentazione le modalita' di utilizzo temporaneo del bene pubblico e di svolgimento dell'attivita' oggetto di concessione ("a) la data di inizio e di ultimazione dei lavori e di ingombro della carreggiata; b) i periodi di limitazione o deviazione del traffico stradale; c) le modalita' di esecuzione delle opere e le norme tecniche da osservarsi; d) i controlli ed ispezioni e il collaudo riservato al concedente; e) la durata della concessione; f) il deposito cauzionale per fronteggiare eventuali inadempienze del concessionario sia nel confronti dell'ente proprietario della strada che dei terzi danneggiati; g) la somma dovuta per l'uso o l'occupazione delle sedi stradali, prevista dall'articolo 27 del codice". 2.7. Detta normativa primaria non prevede i cosiddetti oneri di degrado. 2.8. Essi sono contemplati dall'articolo 7, lettera a, punti 3,5 e 6 dell'Allegato A del Regolamento Cavi Stradali del Comune di Roma n. 56/2002, che subordina le autorizzazioni all'apertura di scavi al pagamento di un canone per l'occupazione aree e spazi pubblici e ad un ulteriore importo, da versarsi in somma forfettaria per metro dalla Pubblica Amministrazione a titolo di ristoro per degrado dell'apparato radicale delle essenze arboree e vegetali. 2.9. L'articolo 14 del medesimo Regolamento prevede che "il mancato adempimento degli impegni assunti dalla Societa', ai sensi dell'articolo 7, lettera a), punto 4) entro trenta giorni dalla richiesta comportera' l'interruzione dell'applicazione della norma speciale; il rilascio di nuove autorizzazioni sara' subordinato al versamento anticipato, per ciascuna domanda, delle somme di cui all'articolo 7, lettera A). 2.10. Va evidenziato, per completezza, che il Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 63, prevede esclusivamente l'imposizione del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche e del Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 93, comma 2, dispone che le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. 2.11. Tali oneri non sono riconducibili ad una clausola penale. 2.12. Secondo l'insegnamento di questa Corte, la clausola penale svolge la funzione di risarcimento forfettario di un danno presunto; essa ha la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale e di stabilire preventivamente la prestazione cui e' tenuto uno dei contraenti in caso di inadempimento, indipendentemente dalla prova dell'esistenza e dell'entita' del pregiudizio effettivamente sofferto. 2.13. La pattuizione della clausola penale non esclude, infatti, la risarcibilita' del danno ulteriore, nel qual caso essa costituisce solo una liquidazione anticipata del danno, destinata a rimanere assorbita, ove sia provata la sussistenza di maggiori pregiudizi, nella liquidazione complessiva di questi, senza potersi con essi cumulare (Cass. Civ., Sez. III, 25 giugno 1963, n. 1720, Rv. 262635-01; Cass. Civ., Sez. II, 17 dicembre 1976, n. 4664; Cass. Civ., Sez. I, 22.6.2016, n. 12956) 2.14. La clausola penale presuppone quindi l'inadempimento della ditta appaltatrice mentre gli oneri di degrado non assolvono a tale funzione; essi vengono stabiliti in via forfettaria, a titolo di ristoro del degrado del corpo stradale, del sottosuolo e delle essenze vegetali indipendentemente dall'esistenza di un danno arrecato al concessionario. Detti oneri sono, infatti, preventivamente stabiliti con riferimento ai metri lineari di scavo eseguiti dall'(OMISSIS) s.p.a.. 2.15. Che gli oneri di degrado non abbiano natura contrattuale si ricava dall'articolo 26 del Regolamento n. 56/2002, che elenca le "penali di natura civilistica", dovute dalla concessionaria (OMISSIS) per vizi delle opere, per la sospensione dei lavori, per mancanza degli impegni assunti con i programmi quadrimestrali, per il ritardo nell'ultimazione dei lavori, per difformita' delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni e per altre ipotesi di inadempimento (pag. 26 del ricorso, in cui e' trascritta la citata norma regolamentare). 2.16. Nel minuzioso elenco delle "penali di natura civilistica" non sono inclusi gli oneri di degrado. 2.17. Alle penali enunciate dall'articolo 26 del Reg. 56/2002 - e non agli oneri di degrado - si riferisce la recente sentenza delle Sezioni Unite del 25.3.2022, n. 9775, con la quale e' stato riconosciuto il carattere privatistico delle stesse, riconducendole alla fattispecie della "concessione-contratto", che trova configurazione nella "convergenza di un negozio unilaterale ed autoritativo della Pubblica Amministrazione e di una convenzione attuativa (contratto, capitolato o disciplinare), fonte di obblighi e diritti reciproci dell'ente concedente e del privato concessionario (Cass. S.U. 19.2.1999, n. 79; Cass. Civ., Sez. I, 9.10.2019, n. 25380; Cass. Civ., Sez. I; 14.10.2019, n. 25949; Cass. Civ., Sez. I, 5.6.2020, n. 10738; Cass. Civ., Sez. I, 11.9.2020, n. 18904). 2.18.La figura della concessione-contratto e' caratterizzata dalla contemporanea presenza di elementi pubblicistici e privatistici, per effetto dei quali un soggetto privato puo' divenire titolare di prerogative pubblicistiche, mentre l'Amministrazione viene a trovarsi in una posizione particolare e privilegiata rispetto all'altra parte, in quanto dispone, oltre che dei pubblici poteri che derivano direttamente dalla necessita' di assicurare il pubblico interesse in quel particolare settore al quale inerisce la concessione, anche dei diritti e delle facolta' che nascono comunemente dal contratto, tra i quali puo' essere previsto anche quello di esigere dalla controparte il pagamento di una penale in caso l'inadempimento degli obblighi posti a suo carico. 2.19. Le clausole penali, cui fanno riferimento le Sezioni Unite nella sentenza citata, inserite nel regolamento pattizio attraverso un rinvio ricettizio all'articolo 26.5 del Regolamento Cavi, sono volte a tutelare l'ente concedente contro l'inadempimento o il ritardo nell'adempimento delle condizioni imposte alla societa' autorizzata allo scavo, nonche' a liquidare anticipatamente il pregiudizio dallo stesso derivante. In tali ipotesi, la clausola penale svolge una duplice funzione, quella di sanzione per l'interesse pubblico violato e quella piu' squisitamente civilistica di determinazione preventiva e consensuale della misura del risarcimento del danno derivante dall'inadempimento o dal ritardo nell'inadempimento. 2.20. Diversamente, gli oneri di degrado non sono legati alle prescrizioni sulle modalita' dello scavo, del ripristino e dei tempi per la restituzione dell'area ovvero ad un'attivita' che e' fonte di diritti ed obblighi delle parti nascenti dal contratto. 2.21. Essi costituiscono una prestazione patrimoniale imposta iure imperii dal Comune di Roma e, precisamente, dall'articolo 7 del Regolamento n. 56/2002, che subordina le autorizzazioni all'apertura di scavi al pagamento di un canone per l'occupazione delle aree e spazi pubblici ed al versamento di una somma forfettaria per metro lineare di scavo quale ristoro del degrado del corpo stradale e del sottosuolo ovvero per degrado dell'apparato radicale delle essenze arboree e vegetali. 2.22. Mentre il canone per l'occupazione di suolo pubblico e' previsto dal D.lgs. n. 446 del 1997, gli oneri di degrado sono stabiliti con atto regolamentare in contrasto con l'articolo 23 Cost., e con la L. n. 689 del 1989, articolo 1, che prevedono la riserva di legge per l'imposizione di prestazioni patrimoniali e per le relative sanzioni amministrative. 2.23. La pretesa comunale al versamento di una somma a ristoro dell'aumento delle spese di manutenzione del manto stradale e' illegittima in quanto l'articolo 23 Cost., prevede che "nessuna prestazione patrimoniale personale puo' essere imposta se non in base alla legge"; tali oneri non sono previsti da nessuna di legge e contrastano con il principio di riserva di legge sull'ordinamento finanziario degli enti locali disposto dal Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 149. 2.24. La giurisprudenza della Corte Costituzionale, a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso (Corte Costituzionale, 8 luglio 1957, n. 122), ha chiarito che e' ammissibile l'introduzione di oneri con atto autoritativo della pubblica amministrazione solo a condizione che sussista una previsione normativa che individui con precisone limiti e modalita' degli oneri. 2.25. L'ente locale non poteva istituire alcun tipo di entrata a proprio favore senza che questa fosse prevista espressamente in via legislativa mentre il Comune di Roma, con il citato Regolamento n. 56/2002 ha subordinato il rilascio del titolo autorizzatorio al previo versamento degli oneri di degrado, pena il mancato rilascio o la decadenza delle autorizzazioni stesse, necessarie all'esecuzione dei lavori. 2.26. Essi si atteggiano ad una sorta di indennizzo dovuto all'ente locale per gli asseriti maggiori oneri derivanti dagli interventi di scavo e per la corretta manutenzione del manto stradale, con riferimento ad un'attivita' che non ha ancora avuto compimento ed indipendentemente dall'esistenza di un danno per il suolo o le piante. 2.27. Poiche' la disposizione impugnata precostituisce, quindi, in modo forfettario, aprioristico e indeterminato la quantificazione di un danno, secondo i parametri di valutazione indicati dall'articolo 27 del Regolamento, sulla base dei metri lineari di scavo. 2.28. Quanto sopra considerato trova riscontro nel parere del Consiglio di Stato del 23.2.2022 nella causa n. 524/2021, che, decidendo sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalla (OMISSIS) s.p.a. contro il Comune di Frosinone per l'annullamento del Regolamento per l'esecuzione di opere comportanti la manomissione ed il ripristino dei sedimi stradali, nella parte in cui prevede un "onere aggiuntivo" a pretesa copertura delle spese di manutenzione per la ricostruzione, a regola d'arte, della sede stradale relative al deterioramento generale causato dagli interventi di manomissione, ha richiamato la propria giurisprudenza, secondo cui "il Comune non puo' subordinare il rilascio di concessioni per lo scavo al pagamento di oneri aggiuntivi (Consiglio di Stato, Sez. II, 13 luglio 2020, n. 4521). 2.29. Secondo il giudice amministrativo, nessun altro onere finanziario, reale o contributo puo' essere imposto, in conseguenza dell'esecuzione delle opere di cui al Codice o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva l'applicazione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del Decreto Legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, articolo 63. 2.30. La prestazione pretesa dell'ente Comunale va qualificata, secondo il Consiglio di Stato, come prestazione patrimoniale imposta, dal momento che gli obblighi pecuniari contestati derivano non gia' dal titolo civilistico, bensi' da una determinazione adottata unilateralmente dall'amministrazione, percio' illegittima (Consiglio di Stato, Sez. V, 7 maggio 2019, n. 2935; Consiglio di Stato, Sez. V, 26 2010, n. 3362; in materia di TLC, si vedano altresi' Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 marzo 2008, n. 1005, Sez. VI, 5 aprile 2006, n. 1775). 2.31. Poiche' l'ordinanza ingiunzione prevedeva una prestazione patrimoniale imposta in assenza di una norma primaria che la prevedesse, essa era illegittima. 2.32. ricorso va, pertanto accolto, e, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va accolta l'opposizione, con conseguente annullamento dell'ordinanza ingiunzione. 3. Vanno dichiarati assorbiti i restanti motivi. 4. La novita' della questione giustifica la compensazione integrale delle spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimita'. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito accoglie l'opposizione dell'(OMISSIS) s.p.a. avverso l'ordinanza ingiunzione emessa dal Comune di Roma Capitale. Compensa integrale delle spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere Dott. APRILE Ercol - rel. Consigliere Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/02/2022 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vincenzo Senatore, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' dei ricorsi; uditi l'avv. Cesare Gai, difensore del (OMISSIS); l'avv. Paolo Becatti, in sostituzione dell'avv. Paolo Barone, difensore del (OMISSIS) e del (OMISSIS); l'avv. Fabrizio Merluzzi, difensore dell' (OMISSIS); l'avv. Nicola Pisani e l'avv. Veronica Paturzo, difensore del (OMISSIS); l'avv. Paolo Becatti, anche in sostituzione del avv. Massimo Biffa, difensore del (OMISSIS); l'avv. Paolo Becatti, difensore dello (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Roma, in accoglimento della richiesta formulata dalle parti ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p., riformava parzialmente la pronuncia di condanna di primo grado rideterminando la pena per (OMISSIS) a titolo di aumento per la continuazione sulla pena inflitta con altra precedente sentenza irrevocabile; riformava parzialmente la stessa pronuncia di primo grado, escludendo l'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 4, e rideterminando la pena per (OMISSIS) e (OMISSIS); e confermava nel resto la medesima sentenza del 2 dicembre 2020 con la quale, all'esito di giudizio abbreviato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva condannato: - (OMISSIS) in relazione ai reati di cui agli articoli 74, commi 1, 2 e 3 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capo A), 110 c.p. e 73 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capi Al) e A2); - (OMISSIS) in relazione ai reati di cui agli articoli 74, commi 1, 2 e 3 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capo A), 110 c.p. e 73 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capo A2); - (OMISSIS) in relazione ai reati di cui agli articoli 74, commi 1, 2, 3 e 4 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capo A), 110 c.p. e 73 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capi A2) e A6); - (OMISSIS) in relazione ai reati di cui agli articoli 110 c.p. e 73 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capi B4) e B5), 110 e 512-bis c.p. (capo C3); - (OMISSIS) in relazione ai reati di cui agli articoli 74, commi 1, 2 e 3 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capo A), 110 c.p. e 73 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capi Al), A2), D5), D6) e D9); - (OMISSIS) in relazione ai reati di cui agli articoli 110 c.p. e 73 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capi A3) e A4), 110 e 512-bis c.p. (capo A10); - (OMISSIS) in relazione al reato di cui agli articoli 74, commi 1 e 2 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capo B); - (OMISSIS) in relazione ai reati di cui agli articoli 74, commi 1 e 2 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capo B), 110 c.p. e 73 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capo B4); - (OMISSIS) in relazione ai reati di cui agli articoli 74, commi 1, 2, 3 e 4 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capo A), 110 c.p. e 73 Decreto del Presidente della Repubblica cit. (capi A2). Rilevava la Corte territoriale come le risultanze processuali, in specie quelle desumibili dal contenuto delle conversazioni intercettate dagli inquirenti e da ulteriori atti di indagine, avessero confermato la sussistenza degli elementi costitutivi di due distinte associazioni per delinquere dedite al traffico di sostanze stupefacenti, la cui esistenza era stata gia' accertata con precedenti sentenze passate in giudicato. Una prima associazione, operante in epoca antecedente e successiva al novembre 2016, diretta da (OMISSIS), attiva nello smercio di rilevanti quantitativi di droga, soprattutto del tipo cocaina e hashish, nella zona di (OMISSIS), in alcune province della Sardegna e della Campania, e in altri luoghi, le cui iniziative, talora caratterizzate anche dall'aggravante della disponibilita' di armi, erano risultate gia' oggetto di altri processi penali; e una seconda, operante dal 2016 con perduranza, capeggiata dai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), dedita allo smercio di rilevanti quantitativi di stupefacente dei due tipi innanzi indicati nelle zona di (OMISSIS), sodalizio, anch'essa in parte interessata dalle indagini e da giudizi nell'ambito di altri procedimenti penali. Le imputazioni avevano, cosi', riguardato, oltre alle due fattispecie associative, specifici episodi di detenzione, trasporto, cessione o consegna di vari quantitativi di droga, nonche' alcuni specifici casi di trasferimento fraudolento di valori. Avverso tale sentenza della Corte di appello di Roma hanno presentato ricorso i nove imputati sopra elencati. 2. Con atto sottoscritto dai suoi difensori ha presentato ricorso (OMISSIS), il quale ha dedotto i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione agli articoli 192 c.p.p. e 74 Decreto del Presidente della Repubblica cit., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita', per avere la Corte di appello confermato la pronuncia di condanna di primo grado sia in ordine alla sussistenza del reato associativo, sia con riferimento alla responsabilita' dell' (OMISSIS) per tale delitto, benche' fosse risultato al piu' un concorso di persone nella commissione di singoli episodici illeciti (per il prevenuto riguardanti appena due episodi, per giunta uno dei quali concernente un'iniziativa assunta con un coimputato, (OMISSIS), assolto dal reato associativo); e, comunque, non fosse stato acquisito alcun elemento di prova circa l'esistenza di una stabile organizzazione costituita per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti, ne' della presenza di soggetti con ruoli e apporti alla realizzazione di un programma criminoso comune, ispirato da criteri di solidarieta', e neppure di specifici luoghi ove programmare ed eseguire quel programma delittuoso. 2.2. Violazione di legge, in relazione agli articoli 192 c.p.p., 73 e 80 Decreto del Presidente della Repubblica cit., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta', manifesta illogicita' e travisamento della prova, per avere la Corte territoriale confermato la sentenza di primo grado con riferimento al concorso nella commissione dei due reati-scopo, nonostante non fosse stato dimostrato che l' (OMISSIS) aveva fornito un contributo causale determinante rispetto alla commissione di uno di quei delitti e fosse stato, invece, comprovato un suo ruolo marginale in relazione all'altro illecito, avendo la Corte di merito male interpretato le prove acquisite con riferimento ad un episodio di recupero di stupefacente nella zona di Casalotti. 2.3. Violazione di legge, anche in relazione all'articolo 73, comma 3, Decreto del Presidente della Repubblica cit., per avere la Corte distrettuale negato all'imputato le circostanze attenuanti generiche, benche' le indagini a carico del prevenuto - soggetto incensurato avessero riguardato un breve arco temporale e attivita' marginali, e lo stesso non avesse poi posto ostacoli alla sua consegna dall'estero all'autorita' italiana; nonche' per avere disatteso la richiesta difensiva di esclusione dell'aggravante del suddetto articolo 73, comma 3, essendo stata esclusa la partecipazione ai fatti di (OMISSIS). 3. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha presentato ricorso (OMISSIS), il quale ha dedotto i seguenti motivi. 3.1. Violazione di legge, in relazione agli articoli 110 c.p. e 74 Decreto del Presidente della Repubblica cit., e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito confermato la pronuncia di condanna di primo grado circa l'esistenza del reato associativo e la partecipazione del (OMISSIS) a tale sodalizio, benche' questi fosse risultato coinvolto in un unico episodio delittuoso e non fosse stata comprovata una sua reale durevole affectio societatis, non potendo essere valorizzati a suo carico dati riguardanti altri imputati: con la conseguenza che le conclusioni formulate dai giudici di secondo grado erano risultate assertive e apodittiche, essendosi limitato il (OMISSIS) ad una mera opera di accompagnamento del (OMISSIS) senza alcun suo diretto coinvolgimento nelle fasi salienti degli incontri, ed avendo un tenore equivoco le conversazioni intercettate che lo avevano visto protagonista. 3.2. Violazione di legge, in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, per avere la Corte di appello negato all'imputato le attenuanti generiche e una riduzione della pena inflitta. 4. Con atto sottoscritto dal loro difensore hanno presentato ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno dedotto il vizio di motivazione, per mancanza e contraddittorieta', per avere la Corte di appello omesso di indicare le ragioni in base alle quali il (OMISSIS) dovesse essere considerato partecipe dell'associazione criminale in contestazione, limitandosi a sostenere che lo stesso "si fosse messo a disposizione" dei dirigenti di quel sodalizio: laddove le vicende nelle quali lo stesso era risultato coinvolto avevano al piu' dimostrato una compartecipazione nella commissione di singoli reati con il coimputato (OMISSIS). 5. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha presentato ricorso (OMISSIS), il quale ha dedotto i seguenti motivi. 5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicita', per avere la Corte romana confermato la condanna dell'imputato in relazione alle tre imputazioni addebitategli, benche' a carico del prevenuto fosse stato acquisito, per il capo B4), solo un generico riferimento ad una sua compresenza nella zona in cui si trovava il coimputato (OMISSIS) e fosse stata negata la riqualificazione dei fatti contestati in termini di lieve entita', anche in considerazione dell'incerto contenuto delle conversazioni intercettate; nonostante per il capo B5) fosse stata fatta una confusa sovrapposizione tra il tenore di distinti colloqui captati; e che per il capo C3) non fosse stata acquisita alcuna prova circa i rapporti di dare e avere tra gli (OMISSIS) e il (OMISSIS). 5.2. Violazione di legge, in relazione all'articolo 81 c.p., per avere la Corte di appello ingiustificatamente negato il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati oggetto del presente processo e quelli per i quali l' (OMISSIS) aveva riportato condanna con sentenza irrevocabile della medesima Corte del 17 luglio 2020. 5.3. Violazione di legge, in relazione all'articolo 62-bis c.p., per avere la Corte territoriale disatteso la richiesta difensiva di concessione delle attenuanti generiche e di riduzione della pena. 6. Con due distinti atti rispettivamente sottoscritti dai suoi difensori ha presentato ricorso (OMISSIS), il quale ha dedotto i seguenti motivi, cosi' sinteticamente indicati. 6.1. Violazione di legge, in relazione all'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica cit., e vizio di motivazione, per mancanza, apparenza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' (primo motivo dell'atto a firma dell'avv. Pisani; primo motivo dell'atto a firma dell'avv. Paturzo), per avere la Corte di appello confermato la condanna di primo grado del (OMISSIS) in relazione all'addebito per il reato associativo del capo A), nonostante non fosse stata provata l'esistenza di una sua affectio societatis ovvero di una sua condivisione del programma illecito di quella organizzazione, ne' di un suo contributo consapevole, stabile e causalmente rilevante alla vita della ipotizzata associazione dedita al narcotraffico: avendo le carte del processo escluso che il prevenuto conoscesse gli altri affiliati a quel sodalizio, sicche' egli era stato al piu' solo un concorrente nella commissione di altri singoli reati. Peraltro, il (OMISSIS) era risultato indagato anche in altro processo nel quale il considerato delitto associativo era stato ipotizzato a carico di altri soggetti, senza che al prevenuto fosse stata addebitata tale ipotesi di reato. 6.2. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' (secondo motivo dell'atto a firma dell'avv. Pisani; secondo motivo dell'atto a firma dell'avv. Paturzo), per avere la Corte territoriale disatteso la richiesta difensiva di riqualificazione del reato associativo ai sensi dell'articolo 74, comma 6, Decreto del Presidente della Repubblica cit., per essersi quel sodalizio occupato di episodi di spaccio di stupefacenti caratterizzati - in relazione ai mezzi, alle modalita' e alle circostanze dell'azione, alla limitatezza delle risorse impiegate e del contesto spaziale - da minima offensivita'. 6.3. Violazione di legge, in relazione all'articolo 192 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' (terzo motivo dell'atto a firma dell'avv. Pisani; terzo motivo dell'atto a firma dell'avv. Paturzo), per avere la Corte distrettuale confermato la sussistenza del reato del capo Al) sulla base della errata lettura delle intercettazioni telefoniche, il cui contenuto risulta inidoneo a dimostrare la responsabilita' del (OMISSIS) per la cessione di un quantitativo indeterminato di droga, comunque diverso da quello che era stato poi sequestrato al coimputato (OMISSIS). 6.4. Violazione di legge, in relazione all'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica cit., e mancanza di motivazione (quarto motivo dell'atto a firma dell'avv. Pisani; quinto motivo dell'atto a firma dell'avv. Paturzo), per avere la Corte di merito ingiustificatamente disatteso la richiesta difensiva di riqualificazione dei fatti contestati ai capi Al), A2), D5) e D6) in termini di fatti di lieve entita', in quanto relativi a quantitativi di stupefacente mai determinati nella loro entita' ponderale e neppure nella rispettiva percentuale di principio attivo presente in ciascuna partita. 6.5. Violazione di legge, in relazione agli articoli 192 c.p.p. e 73, commi 4 e 5, Decreto del Presidente della Repubblica cit., e vizio di motivazione, per mancanza e illogicita' (quinto motivo dell'atto a firma dell'avv. Pisani; quarto motivo dell'atto a firma dell'avv. Paturzo), per avere la Corte di secondo grado confermato la pronuncia di condanna con riferimento al reato del capo D9), senza considerare che le emergenze processuali non avevano provato che la droga oggetto dell'imputazione fosse cocaina e non anche hashish, come sostenuto dall'imputato, ovvero che il fatto non potesse essere qualificato come di lieve entita'. 6.6. Vizio di motivazione, per mancanza, apparenza e illogicita' (sesto motivo, erroneamente numerato come quinto, nell'atto a firma dell'avv. Pisani; sesto motivo, prima parte, dell'atto a firma dell'avv. Paturzo), per avere la Corte di appello negato all'imputato il sollecitato giudizio di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche sulla aggravante e sulla recidiva, senza spiegare le ragioni di tale scelta e, invece, operando un indeterminato riferimento alle caratteristiche dell'aggravante dell'articolo 74, comma 3, Decreto del Presidente della Repubblica cit.. 6.7. Violazione di legge, in relazione all'articolo 81 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza e illogicita' (settimo motivo dell'atto a firma dell'avv. Pisani; sesto motivo, seconda parte, dell'atto a firma dell'avv. Paturzo), per avere la Corte territoriale omesso di motivare le ragioni delle proprie scelte in ordine alla quantificazione delle pene stabilite per gli aumenti per i reati âEuroËœsatellite' posti in continuazione con il reato piu' grave. 6.8. Con memoria trasmessa via pec il 10 gennaio 2023, il cui contenuto e' stato poi ripreso nella discussione nel corso dell'odierna udienza, l'avv. Pisani ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata per consentire al proprio assistito di poter chiedere il concordato in appello ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p., facolta' il cui esercizio, in ragione del titolo del reato associativo contestatogli, gli era preclusa sulla base della disposizione del comma 2 di quell'articolo vigente all'epoca dello svolgimento del giudizio di secondo grado e che oggi gli sarebbe, invece, consentita sulla base del nuovo testo del considerato articolo 599-bis che ha visto il comma 2 abrogato dal Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 98, comma 1, lettera a), entrato in vigore il 30 dicembre 2022, giusta la previsione del Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199: abrogazione che, riguardando una norma di diritto processuale penale con effetti sostanziali, deve avere efficacia retroattiva ai sensi dell'articolo 2 c.p.. 7. Con atto sottoscritto dai suoi difensori ha presentato ricorso (OMISSIS), il quale ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli articoli 73 e 80 Decreto del Presidente della Repubblica cit., per avere la Corte la Corte territoriale, pur recependo la richiesta delle parti formulata con il concordato in appello, omesso di motivare in ordine alla correttezza della qualificazione giuridica dei fatti contestati al prevenuto. 8. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha presentato ricorso (OMISSIS), il quale ha dedotto i seguenti motivi. 8.1. Violazione di legge, in relazione all'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica cit., e vizio di motivazione, per mancanza, carenza, apparenza e travisamento della prova, per avere la Corte di appello confermato la condanna di primo grado in relazione al reato associativo del capo B), nonostante non fosse stata provata l'esistenza di una sua affectio societatis ovvero di una sua condivisione del programma illecito di quella organizzazione, ne' di un suo contributo consapevole, stabile e causalmente rilevante alla vita della ipotizzata associazione dedita al narcotraffico: avendo le carte del processo escluso che il prevenuto conoscesse altri presunti affiliati a quel sodalizio, sicche' egli era stato solo un soggetto che aveva operato in autonomia, limitandosi a frequentare alcuni coimputati ed altri soggetti, quali (OMISSIS) e (OMISSIS), nei confronti dei quali non era stato mosso alcun addebito. 8.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, per mancanza e carenza, per avere la Corte distrettuale negato all'imputato il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati oggetto del presente processo e quelli oggetto della sentenza irrevocabile emessa dalla Corte di appello in altro processo definito il 23 gennaio 2018. 9. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha presentato ricorso (OMISSIS), il quale ha dedotto i seguenti motivi. 9.1. Violazione di legge, in relazione agli articoli 192 c.p.p. e 74 Decreto del Presidente della Repubblica cit., e vizio di motivazione, per mancanza, illogicita' e apparenza, per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna in relazione al reato associativo del capo B) sulla base di elementi indiziari privi di inequivoca valenza dimostrativa e di una non corretta interpretazione del contenuto di captazioni telefoniche o ambientali. 9.2. Violazione di legge, in relazione all'articolo 62-bis c.p., e vizio di motivazione, per contraddittorieta' e illogicita', per avere la Corte distrettuale negato all'imputato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, beneficio invece concesso ad altri imputati; non potendo essere, a questi fini, valorizzato il fatto che il (OMISSIS) non abbia fornito un contributo alle indagini. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) sia inammissibile. 1.1. La doglianza difensiva riguardante la violazione di legge dedotta, in relazione all'articolo 192 c.p.p., nel primo e nel secondo motivo del ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilita', in quanto e' pacifico, nella giurisprudenza di legittimita', che la violazione degli articoli 192, 530 o 546 c.p.p., non comporta ex se la operativita' di alcune delle sanzioni processuali previste dall'articolo 606, comma 1, lettera c) dello stesso codice di rito, mentre in presenza di doglianze che riguardano la ricostruzione del fatto e non anche una reale assenza della motivazione, le relative questioni refluiscono nell'esame dei prospettati vizi di motivazione (in questo senso, tra le tante, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04). 1.2. Manifestamente infondate sono le ulteriori lamentate violazioni delle norme di diritto penale sostanziale. Questa Corte di cassazione ha reiteratamente chiarito, per un verso, che, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, l'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell'accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell'esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (cosi', tra le tante, Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, dep. 2019, Noure, Rv. 275550; Sez. 6, n. 18055 del 10/01/2018, Canale, Rv. 273008); e che, per altro verso, la commissione, in concorso con altri partecipi, di reati-fine dell'associazione, puo' integrare l'esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla partecipazione al reato associativo, suscettibili di essere superati solo con la prova contraria dell'assenza di un vincolo preesistente con i correi, fermo restando che, stante la natura permanente del reato associativo, detta prova non puo' consistere nella limitata durata dei rapporti con costoro (cosi', tra le molte, Sez. 3, Sentenza n. 20003 del 10/01/2020, Di Maggio, Rv. 279505-02; Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, Prota, Rv. 265346; Sez. 2, n. 5424 del 22/01/2010, Syndial, Rv. 246441). Di tali regulae iuris i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione nel caso di specie. In particolare - anche operando legittimante un rinvio al contenuto della conforme sentenza di primo grado (v. pagg. 44-45, sent. impugn.) - la Corte di appello ha evidenziato come le molteplici risultanze delle prolungate indagini svolte dai carabinieri, che aveva dato luogo a plurimi procedimenti penali, alcuni dei quali gia' definiti con sentenza di condanna irrevocabile, avessero comprovato l'esistenza, quanto meno nel periodo dal (OMISSIS) al (OMISSIS), di una ramificata organizzazione criminale diretta da (OMISSIS) dedita alla commissione di una pluralita' di reati inerenti alla compra-vendita, alla cessione e allo spaccio di rilevanti quantitativi di stupefacenti tanto di prima quanto di seconda tabella: sodalizio attivo principalmente nella zona di (OMISSIS), ma anche in altre zone della Sardegna e della Campania, caratterizzato dalla disponibilita' di molteplici contatti per il reperimento dei fornitori e per il successivo smercio delle droghe; di veicoli appositamente modificati per l'occultamento e il trasporto delle sostanze; di telefoni cellulari con schede dedicate o intestate a prestanomi da impiegare per le comunicazioni riservate tra i sodali; di appositi apparecchi per verificare l'eventuale presenza nelle auto di dispositivi gps per le intercettazioni delle comunicazioni in ambientale; nonche' di almeno tre immobili a (OMISSIS) (il bar (OMISSIS), l'appartamento di (OMISSIS) e l'autosalone della ditta (OMISSIS)) utilizzati dagli associati per incontrarsi, organizzare e coordinare le rispettive attivita'. Organizzazione i cui appartenenti avevano ruoli e compiti prestabili, le cui iniziative seguivano le direttive del capo (OMISSIS) (che si occupava di individuare i fornitori e gli acquirenti, di fissare i prezzi delle compra-vendite, di riscuotere i profitti, di raccogliere le informazioni raccolte dai partecipi e di risolvere contingenti problemi tra gli stessi, anche minacciando iniziative punitive a carico di singoli sodali) e le indicazioni di coordinamento di altri associati con ruolo di vertice, e che risultavano ispirate da un chiaro intento solidaristico, confermato dal fatto che, in caso di arresto di uno degli affiliati, l'associazione si faceva carico di fornirgli assistenza legale e di mantenente economicamente i rispettivi familiari (v., in particolare, pagg. 78-112, sent. primo grado). Quanto alla posizione dell' (OMISSIS) non e' riconoscibile alcuna inosservanza o erronea applicazione delle norme di diritto penale sostanziale allo stesso contestate nei plurimi capi d'imputazione addebitati, nell'avere la Corte di appello, nel rispetto di quei criteri interpretativi, confermato il concorso del prevenuto nella commissione di alcuni reati fine e la sua partecipazione all'associazione per delinquere in argomento. Le ulteriori questioni al riguardo poste con il ricorso in termini di violazione di legge refluiscono nell'esame dei denunciati vizi di motivazione. E' appena il caso di aggiungere che la questione relativa all'attenuante del concorso di minima importanza nella preparazione e nell'esecuzione dei reati fine e' stata posta per la prima volta solo con il ricorso per cassazione. 1.3. I motivi dedotti in termini di vizi di motivazione nel primo e nel secondo punto del ricorso sono inammissibili perche' presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. Come per la posizione di altri imputati del presente processo (per i quali pure valgono le valutazioni qui esposte), il ricorrente solo formalmente ha indicato vizi della motivazione della decisione gravata, ma non ha, invero, prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilita' delle premesse dell'argomentazione, irrazionalita' delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; ne' e' stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento. Il ricorrente si e' sostanzialmente limitato a criticare il significato che la Corte di appello di Roma aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante le indagini preliminari e, in specie, al tenore delle conversazioni tra presenti o telefoniche intercettate ed agli esiti delle ulteriori attivita' investigative svolte dagli inquirenti. E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un âEuroËœtravisamento delle prove', vale a dire una incompatibilita' tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione, sia stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di âEuroËœtravisamento dei fatti' oggetto di analisi, sollecitando un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale d'indagine, rispetto al quale e' stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell'ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente. Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio di diritto secondo il quale mentre e' consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di âEuroËœtravisamento della prova', che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non e' affatto permesso dedurre il vizio del âEuroËœtravisamento del fatto', stante la preclusione per il giudice di legittimita' a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', qual e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cosi', tra le tante, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099). Analogo discorso vale per l'interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle conversazioni intercettate, che e' questione di fatto, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimita' se - come nella fattispecie e' accaduto - la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (in questo senso, tra le tante, Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784; Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv. 254439; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724). La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede, infatti, una stringente e completa capacita' persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicita', avendo la Corte territoriale analiticamente spiegato quali fossero gli elementi di prova in base ai quali poter affermare la fondatezza dell'ipotesi accusatoria con riferimento alle imputazioni ascritte all' (OMISSIS). In particolare, rilevando come il concorso del predetto imputato nella commissione dei delitti addebitatigli ai capi Al) e A2) fosse stato dimostrato, oltre che dall'assenza di riscontri obiettiva alle tesi difensiva secondo cui la vendita avesse riguardato una vettura da trasportare in Campania, dal tenore delle captazioni che aveva comprovato il dispiegamento di numerose persone, il sequestro della droga avvenuto in danno del coimputato (OMISSIS) e il viaggio organizzato in Campania per il recupero del prezzo non pagato, nonche' il coinvolgimento nell'operazione di trasporto del rilevante quantitativo di stupefacente poi scoperto nella disponibilita' del corriere (OMISSIS) (v. pagg. 44-50, sent. impugn.; pagg. 42-77, sent. primo grado); e come l'adesione dell' (OMISSIS) all'associazione diretta dal (OMISSIS) fosse stata comprovata dal fatto che il primo era stato interessato dal (OMISSIS) per il recupero della droga ceduta al (OMISSIS), dando una immediata e pronta disponibilita', senza che gli venisse fornita alcuna particolare spiegazione su quello che doveva fare, per un incarico cosi' delicato per il sodalizio e fosse stato poi direttamente interessato alla iniziativa di invio di una ulteriore partita di stupefacente del gruppo in Sardegna; nonche' dalla circostanza che egli aveva usato in quelle occasioni un concordato linguaggio criptico al telefono con gli altri sodali, pure arrivando a lamentarsi di aver ricevuto un trattamento economico meno gratificante rispetto a quello assicurato agli altri compagni (v. pagg. 51-60, sent. impugn.; pagg. 139-140, sent. primo grado). 1.4. Generica e' la doglianza difensiva, formulata con il terzo motivo del ricorso, in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3, in presenza di una motivazione molto articolata contenuta nella sentenza di primo grado, idonea a comprovare la composizione quantitativa, superiore a dieci unita', dell'associazione diretta dal (OMISSIS) (v. pagg. 101-169), espressamente richiamata dalla sentenza impugnata (v. pag. 58): cio' anche in ragione dell'intervenuta definizione della posizione di altri associati in distinti processi (Sez. 6, n. 22091 del 25/02/2021, Ciccolella, Rv. 281517). 1.5. Per il resto il terzo motivo e' manifestamente infondato. Il ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalita' mediante le quali il giudice di merito aveva esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravita' effettiva del reato ed alla personalita' del reo. Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito aveva ritenuto ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche la posizione non marginale ma primaria dell' (OMISSIS) all'interno della organizzazione criminale piu' volte richiamata e l'assenza di alcun reale comportamento processuale positivo, trattandosi di parametri considerati dall'articolo 133 c.p., applicabile anche ai fini dell'operativita' dell'articolo 62-bis c.p.. 2. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 2.1. Il primo motivo del ricorso e' manifestamente infondato per le ragioni gia' ampiamente innanzi esposte nei punti 1.2 e 1.3. con riferimento all'esame di analoghe questioni poste da altro ricorrente, al cui contenuto e' sufficiente fare rinvio. E' doveroso aggiungere come la partecipazione del (OMISSIS) all'associazione per delinquere diretta dal (OMISSIS) e' stata desunta - con un percorso argomentativo giuridicamente corretto, che resta immune da vizi di manifesta illogicita' - oltre che dal concorso nello specifico delitto fine contestatogli al capo A2), dal fatto che al (OMISSIS) i responsabili del gruppo organizzato erano soliti affidare compiti esecutivi; dalla circostanza che allo stesso, disponibile anche a sostituire altri sodali, era stato affidato lo specifico compito di controllare, con apposite apparecchiature, gli abitacoli delle vetture usare dagli affiliati per garantire che nelle stesse non fossero stati collocati dispositivi di intercettazione; nonche' dal fatto di essersi mostrato perfettamente a conoscenza delle dinamiche dell'associazione e delle regole che ne governavano il funzionamento, tenendosi informato sui quantitativi e sulla natura degli stupefacenti commercializzati (con un esplicito riferimento, in una conversazione, alla cocaina) e sul sostegno legale ed economico di compagni arrestati, nonche' beneficiando della distribuzione dei proventi della vendita di quelle sostanze (v. pagg. 51-60, sent. impugn.; pagg. 140-149 sent. primo grado). 2.2. Generico e' il secondo motivo del ricorso, con il quale la difesa e' tornata a sollecitare, in maniera indeterminata, la concessione delle attenuanti generiche e una riduzione della pena. Il ricorrente si e' doluto della mancata risposta alle questioni che sul punto erano state poste nell'atto di appello, la cui lettura consente pero' di rilevare come quelle censure fossero strettamente connesse al ripetuto diniego di aver mai aderito ad una stabile organizzazione criminale: doglianze, tuttavia, con le quali non ci si e' realmente confrontati con la motivazione della sentenza gravata nella quale la Corte di appello aveva congruamente chiarito come i precedenti penali del (OMISSIS) e l'assenza di un suo specifico comportamento processuale positivamente valutabile, oltre che di altri elementi per lui concretamente favorevoli, ostassero all'accoglimento delle richieste difensive (v. pag. 77 sent. impugn.). 3. I ricorsi presentati nell'interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sono inammissibili. 3.1. Del tutto indeterminate sono le richieste per il (OMISSIS), menzionato nell'atto di impugnazione in maniera solo incidentale. 3.2. Le doglianze formulate in relazione alla posizione del (OMISSIS) sono manifestamente infondate e, comunque, inammissibili perche' formulate per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. Nella sentenza impugnata la motivazione relativa alla posizione di tale imputato e' tutt'altro che assente, e' adeguata e priva di incongruenze logiche, sicche' le censure prospettate dal prevenuto finiscono esclusivamente per attingere al fatto, sollecitando una rivalutazione delle emergenze processuali che non e' permessa nel giudizio di legittimita'. Richiamati i criteri ermeneutici enunciati in materia e innanzi esposti nel punto 1.2., va rimarcato come la Corte territoriale ha rappresentato i dati di prova a carico del ricorrente in maniera lineare ed immune da qualsivoglia vizio argomentativo: spiegando come il (OMISSIS) dovesse ritenersi stabile partecipe del sodalizio criminale diretto dal (OMISSIS) non solamente per avere concorso nella commissione di specifici reati fine realizzati in esecuzione del programma di quel gruppo organizzato (v. pagg. 47-50, sent. impugn.), ma anche per avere tenuto condotte probatoriamente sintomatiche di una sua piena adesione all'associazione: frequentando l'abitazione di (OMISSIS) luogo di ritrovo degli associati; partecipando alla riscossione dei proventi dello spaccio delle droghe e discutendo di taluni dissidi sorti tra gli appartenenti al gruppo; acquistando le schede telefoniche utilizzate dai sodali per le comunicazioni riservate; cooperando alla pianificazione di nuove iniziative delittuose, in specie presenziando ad un incontro organizzativo nel (OMISSIS) nel quale il (OMISSIS) si era apertamente vantato di essere gia' conosciuto nell'ambiente nel narcotraffico e di potere percio' pretendere un ruolo di maggior peso all'interno dell'associazione; nonche' dimostrando di essere pienamente rispettoso delle regole gerarchicamente imposte dai dirigenti di quel gruppo (v. pagg. 51-60, sent. impugn.; pagg. 150-155, sent. primo grado). 4. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) va accolto, sia pur nei limiti e con gli effetti di seguito precisati. 4.1. Alla luce dei criteri valutativi innanzi espressi nel punto 1.3, va detto come la sentenza impugnata ricostruisca in fatto le vicende oggetto dei capi d'imputazione B4), B5) e C3) con motivazione esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze processuali: sicche' possono ritenersi definitivamente acclarati sia il concorso dell' (OMISSIS) nella commissione della cessione di un imprecisato quantitativo di stupefacente materialmente riferibile al coimputato (OMISSIS) (episodio con riferimento al quale sono stati analiticamente indicati gli elementi indiziari che, letti in maniera collegata, permettono di porre in connessione gli spostamenti dei due predetti imputati) e nell'acquisto e rivendita di un ulteriore partita di 200 grammi di cocaina curate dallo stesso (OMISSIS) (che in una conversazione intercettata aveva collegato l'iniziativa alle direttive impartite da " (OMISSIS)") e da (OMISSIS) (che con l'altro aveva utilizzato per il trasporto una vettura facente parte del âEuroËœparco auto' nella disponibilita' degli affiliati al gruppo dell' (OMISSIS)); sia il concorso del ricorrente nell'operazione di intestazione fittizia della societa' (OMISSIS) curata dal (OMISSIS), condotta delittuosa, peraltro, ammessa da quest'ultimo imputato (v. pagg. 60-62, 69-71 sent. impugn.; pagg. 195-206, 240-252 sent. primo grado). I rilievi formulati - peraltro, in termini alquanto generici - al riguardo dal ricorrente si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all'iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, peraltro, vi e' puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli gia' sottoposti all'attenzione della Corte territoriale. 4.2. Alla luce delle considerazioni esposte nella sentenza impugnata, tutte tese a rimarcare la oggettiva gravita' delle condotte accertate e la negativa personalita' dell'imputato (v. pag. 78), non censurabili in questa sede appaiono le determinazioni della Corte di appello di disattendere le richieste difensive di concessione delle attenuanti generiche o dirette ad ottenere una ulteriore riduzione della pena: decisioni, peraltro, contestate dal prevenuto, con il terzo e ultimo motivo dell'atto di impugnazione, con argomenti molto generici. 4.3. E', invece, fondato il secondo motivo del ricorso. A fronte della richiesta formulata dalla difesa, con la quale era stata domandato il riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato associativo e gli altri delitti per i quali l' (OMISSIS) aveva gia' riportato condanna con la sentenza irrevocabile del 17 luglio 2020 della Corte di appello di Roma, e il reato di intestazione fittizia di valori oggetto del capo d'imputazione C3) contestato in questo processo, la risposta data dalla Corte territoriale e' contraddittoria: avendo riconosciuto in questo processo la continuazione tra il reato di intestazione fittizia e i due reati in materia di droga, contestati come commessi in attuazione del programma criminoso del sodalizio di cui l' (OMISSIS) era capo; ed avendo poi negato al prevenuto la sollecitata ulteriore applicazione dell'articolo 81 c.p. sul presupposto che l' (OMISSIS) avesse negato di aver reimpiegato nelle attivita' della (OMISSIS) i proventi del traffico di stupefacenti gestito dall'organizzazione da lui diretta, circostanza questa che la medesima Corte ha indicato, invece, come certamente provata dalle carte processuali (v. pagg. 71 e 78). La sentenza impugnata va, dunque, annullata su tale punto con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma che, nel relativo nuovo giudizio, porra' rimedio all'indicata incongruenza motivazionale. 5. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 5.1. Il primo motivo del ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilita' perche' in parte manifestamente infondato e in parte presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. Premesse che valgono per il (OMISSIS) le considerazioni generali gia' innanzi formulate nei punti 1.2. e 1.3. (valutazioni alle quali per comodita' espositiva e' possibile, dunque, fare rinvio), va rilevato come la motivazione contenuta nella sentenza impugnata risulti congrua e corretta, e resti immune da vizi di manifesta illogicita': avendo la Corte territoriale analiticamente spiegato come (in un contesto caratterizzato anche da molteplici ed articolate relazioni) l'adesione del (OMISSIS) all'associazione per delinquere contestata al capo A) fosse stata comprovata dal fatto che il suddetto - che aveva ammesso di essersi occupato della commercializzazione di sostanze stupefacenti, ma di aver svolto tale attivita' in autonomia e nel proprio esclusivo interesse - operava seguendo in maniera sistematica le indicazioni dei capi di quella organizzazione, in specie del (OMISSIS) e dei âEuroËœluogotenenti' di questo, ai quali dava conto del suo agire; concordando con gli altri sodali le modalita' di comunicazione con apparecchi comuni con schede riservate; discutendo con gli associati la programmazione di nuove iniziative delittuose in attuazione del programma comune, in particolare curando i rapporti con i fornitori di nuovi approvvigionamenti; svolgendo il ruolo di âEuroËœaccompagnatore' di altri affiliati per garantire quella affidabilita' che talora i dirigenti del gruppo avevano messo in discussione; occupandosi del prelievo dei proventi di precedenti cessioni di droga, anche fornendo la disponibilita' a partenze improvvise verso destinazioni lontane; interessandosi alla locazione dell'immobile di via (OMISSIS) utilizzato dagli associati come una delle basi della organizzazione; ed ancora, presenziando a riunioni nel corso delle quali era stato discusso come risolvere taluni dissidi sorti tra associati (v. pagg. 51-60, sent. impugn.; pagg. 78 e segg. sent. primo grado). 5.2. Le denunciate violazioni della norma processuale di cui al terzo e quinto motivo del ricorso sono prive di pregio per le ragioni gia' esposte nel punto 1.1, da intendersi qui integralmente riproposte. 5.3. Sono tutte in fatto, perche' finalizzate ad ottenere una diversa e alternativa lettura delle emergenze processuali, le censure formulate - nel secondo, nel terzo, nel quarto e nel quinto motivo del ricorso - in termini di vizio di motivazione; doglianze che, comunque, al pari delle dedotte violazioni di norme di diritto penale sostanziale prospettate negli stessi motivi, sono inammissibili per la genericita' del loro contenuto. Nella giurisprudenza di legittimita' si e' avuto modo ripetutamente di chiarire che il requisito della specificita' dei motivi implica o'non soltanto l'onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o piu' punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cosi', tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907). Nel caso di specie il ricorrente si e' limitato ad enunciare, in forma molto indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte territoriale, senza specificare gli aspetti di criticita' di passaggi giustificativi della decisione, cioe' omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza gravata: pronuncia nella quale erano stati analiticamente indicati gli elementi di prova e le ragioni per le quali dovesse essere esclusa la possibilita' di qualificare il reato associativo ai sensi dell'articolo 74, comma 6, Decreto del Presidente della Repubblica cit., avendo avuto quel sodalizio ad oggetto la commissione di singoli reati di estrema gravita' oggettiva, perche' sempre afferenti alla commercializzazione di rilevanti quantitativi di stupefacenti (per il prezzo pagato come corrispettivo, anche quando non era stato possibile stabilire con esattezza il valore ponderale della sostanza oggetto delle singole partite, oltre che la complessita' delle operazioni qualificate ogni volta da un ampio dispiegamento di uomini e mezzi), nessuno dei quali qualificabile come fatto di lieve entita' ovvero di ridotta portata offensiva; e fosse risultata pienamente dimostrata la colpevolezza del (OMISSIS) a titolo di concorso nella commissione dei reati fine ascrittigli, correttamente qualificati nei capi d'imputazione allo stesso addebitati (v. pagg. 46-59). 5.4. Il sesto motivo e' manifestamente infondato con riferimento sia alla riconosciuta aggravante di cui all'articolo 74, comma 3, Decreto del Presidente della Repubblica cit., per gli argomenti gia' esposti nel punto 1.4, da intendersi qui riproposti; sia al diniego di un diverso giudizio di bilanciamento tra circostanze attenuanti e aggravanti, avendo la Corte distrettuale congruamente spiegato come non vi fossero ragioni particolari per modificare le (gia' benevoli) determinazioni del giudice di primo grado in ordine al trattamento sanzionatorio, essendosi il (OMISSIS) limitato ad ammettere cio' che risultava probatoriamente gia' evidente a suo carico, senza mostrare alcuna reale forma di resipiscenza (v. pagg. 75-76). 5.5. Il settimo motivo del ricorso e' inammissibile perche' avente ad oggetto una questione proposta per la prima volta solo con il ricorso per cassazione. L'articolo 606, comma 3, c.p.p. prevede, infatti, espressamente come causa speciale di inammissibilita' la deduzione con il ricorso per cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello, situazione, questa, con la quale si e' inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello. 5.6. Manifestamente infondata e' la richiesta di annullamento formulata dal ricorrente con la memoria difensiva trasmessa il 10 gennaio 2023 e richiamata da uno dei due patrocinatori dell'imputato nel corso dell'odierna discussione orale. Va premesso come, in presenza di una verifica negativa di ammissibilita' dell'impugnazione, debba considerarsi preclusa la possibilita' di effettuare ulteriori indagini di merito quale quella sollecitata dalla difesa del (OMISSIS) con la memoria innanzi indicata. Tuttavia, essendo stata prospettata una possibile violazione del principio di legalita' della pena, e' opportuno esaminare comunque la tematica proposta, a tal fine rilevando come la stessa sia del tutto priva di pregio. Il Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 98, comma 1, lettera a), nota come âEuroËœRiforma Cartabia', entrato in vigore il 30 dicembre 2022 (giusta la previsione del Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199) ha abrogato il comma 2 dell'articolo 599-bis c.p.p. che escludeva la possibilita' per le parti di richiedere, nel corso del giudizio di secondo grado, di concordare sull'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi (indicando eventualmente al giudice la peni, sulla quale sono d'accordo laddove i motivi dei quali viene domandato l'accoglimento comportano una nuova determinazione della pena) nell'ambito dei processi nei quali l'imputato fosse stato chiamato a rispondere di reati di particolare gravita' oppure se il predetto fosse stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. L'eliminazione di tale preclusione ha comportato, dunque, che a partire dal 30 dicembre 2022 l'istituto del concordato in appello possa trovare applicazione in tutti i giudizi di secondo grado, indipendentemente dal titolo del reato oggetto del processo. E' di tutta evidenza come l'effetto abrogante, riguardando una disposizione di natura processuale, in mancanza di una apposita disciplina transitoria soggiaccia al principio "tempus regit actum": con la conseguenza che esso non puo' che aver prodotto i suoi effetti nei soli giudizi di appello che si sono svolti a decorrere dall'entrata in vigore della relativa norma abrogante, vale a dire a partire dal 30 dicembre 2022, senza possibilita' di una applicazione retroattiva nei processi nei quali il giudizio di secondo grado sia stato gia' definito. Non pertinenti sono i richiami, contenuti nella anzidetta memoria difensiva, agli orientamenti giurisprudenziali della Corte costituzionale rispettivamente in materia di giudizio abbreviato e di reati âEuroËœostativi' alla concessione dei benefici penitenziari. Quanto al rito abbreviato, e' noto come, a seguito delle modifiche della disciplina inerente alla instaurabilita' di tale giudizio speciale nei procedimenti aventi ad oggetto un reato punibile con l'ergastolo, la Corte di Strasburgo prima (C.eur.dir. uomo, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia) e la Corte costituzionale dopo (Corte Cost., sent. n. 201 del 2013; Corte Cost., sent. n. 57 del 2016) abbiano puntualizzato che le disposizioni che avevano regolato nel tempo in maniera diversa quella materia non potevano qualificarsi come norme di diritto processuale, soggette al principio "tempus regit actum", ma, per il fatto di attenere alla misura della pena da infliggere, erano norme con effetti di natura penale sostanziale, dunque soggette al divieto di retroattivita' della disposizione piu' sfavorevole, secondo i principi fissati dalla Cost., articoli 25 e 7 CEDU. Si tratta, pero', di pronunce che avevano propriamente riguardato un caso nel quale l'imputato aveva formulato una richiesta di ammissione al rito abbreviato in un momento in cui tale rito era ammissibile, che era stata rigettata sul presupposto che la norma sopravvenuta piu' sfavorevole potesse avere una efficacia retroattiva: situazione, dunque, ben diversa da quella esaminata nel caso di specie nel quale l'imputato non aveva affatto avanzato una richiesta di concordato durante il giudizio di appello che gli era stata rigettata, rispetto alla quale oggi avrebbe potuto astrattamente domandare una sorta di "restituzione nel termine" per presentare quella istanza. In altri termini, la sentenza impugnata venne emessa all'esito di un giudizio di secondo grado nel quale non vi fu alcuna violazione delle norme processuali all'epoca vigenti. In questo senso, la soluzione che si intende qui privilegiare e' in linea con l'orientamento della Corte costituzionale che, con riferimento ad una situazione analoga, ha gia' avuto modo di sottolineare come il principio di retroattivita' sancito dall'articolo 7 CEDU si riferisca al rapporto tra un fatto e una norma sopravvenuta, di cui viene in questione l'applicabilita': di talche' il riferimento a tale principio e' fuori luogo quando l'applicabilita' di un nuovo istituto processuale e' consentita nei processi aventi ad oggetti reati commessi prima della entrata in vigore della relativa disposizione, ma sia in concreto preclusa dal normale regime temporale della stessa norma processuale, che e' governato dal principio "tempus regit actum" derogabile esclusivamente da una eventuale norma transitoria (Corte Cost., sent. n. 240 del 2015). D'altro canto, il parallelismo con la disciplina del giudizio abbreviato non e' propriamente calzante, perche' la disposizione che regola tale rito speciale, nella parte in cui stabilisce ex lege una riduzione della pena in caso di condanna dell'imputato, ha una immediata e diretta rilevanza per i suoi effetti di natura penale sostanziale: caratteristica che e' assente nella disciplina del concordato in appello di cui all'articolo 599-bis c.p.p., che e' istituto piu' prettamente processuale, basato essenzialmente su una intesa tra le parti in ordine ai motivi finalizzata ad una possibile delimitazione del "thema decidendum" da devolvere all'esame del giudice dell'impugnazione; istituto nel quale difettano quei caratteri di "premialita'" sostanziale che qualificano tanto il rito abbreviato quanto il rito della applicazione della pena su richiesta delle parti di cui all'articolo 444 e segg. c.p.p. (in questi termini Sez. 5, n. 27626 del 23/05/2019, Arena, Rv. 276518; Sez. 4, n. 20112 del 29/03/2018, Nesturi, Rv. 272746; Sez. 1, n. 29531 del 15/11/2017, dep. 2018, Tricomi, non massimata, con riferimento ai ricorsi pendenti dopo la reintroduzione dell'istituto del concordato in appello di cui all'articolo 599-bis c.p.p. per effetto della L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1). Tale impostazione risulta coerente all'orientamento interpretativo offerto dalla giurisprudenza di legittimita' con riferimento all'applicazione nel tempo delle disposizioni aventi ad oggetto istituti di natura prevalentemente processuale, laddove sia assente una specifica disciplina transitoria: come e' accaduto, ad esempio, per l'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova del quale, in applicazione del principio "tempus regit actum", si e' esclusa l'operativita' nel caso in cui, al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina, sia gia' decorso il termine, previsto dall'articolo 464-bis, comma 2, c.p.p., per formulare la richiesta di ammissione (cosi' Sez. 6, n. 33660 del 13/10/2020, Ibnelaziz, Rv. 279926; Sez. 2, n. 26761 del 09/03/2015, Lariccia, Rv. 264221). In tale ottica, fuorviante appare il riferimento alla recente pronuncia della Corte costituzionale attinente alla riconsiderazione dell'ambito di applicazione dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario (Corte Cost., n. 32 del 2020), avente ad oggetto una disposizione concernente propriamente la fase della esecuzione della pena, modificata in epoca successiva alla data di commissione del reato per il quale e' intervenuta la condanna: contesto, dunque, concerne piu' propriamente la definizione dell'ambito di operativita' del principio di legalita' nella determinazione del trattamento sanzionatorio come previsto dal regime di accesso alle misure alternative alla detenzione in carcere vigente nel momento della commissione del reato, laddove tale regime risulti poi modificato da novelle adottate in epoca posteriore con una incidenza sostanziale sulla qualita' e quantita' della pena da eseguire. 6. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) non supera il vaglio preliminare di ammissibilita' in quanto finalizzato a mettere in discussione esclusivamente la correttezza della qualificazione giuridica di alcuni dei fatti oggetto di addebito. Nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione si e' reiteratamente chiarito che, in tema di concordato in appello, e' ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex articolo 599-bis c.p.p. che deduca motivi relativi alla formazione della volonta' della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati o alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p. e, altresi', a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalita' della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (cosi', tra le molte, Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M. Rv. 278170; Sez. 2, n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969). 7. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) va accolto per le ragioni e con le conseguenze di seguito puntualizzate. 7.1. Il primo motivo del ricorso, con il quale e' stata lamentata una violazione della norma incriminatrice contestata, oltre ai connessi vizi di motivazione, risulta, invero, avanzato per sollecitare un'inammissibile rilettura delle emergenze processuali dalle quali i giudici di merito, con un ragionamento immune da vizi di manifesta illogicita', percio' non censurabile in questa sede di legittimita', hanno tratto conferma della fondatezza dell'ipotesi accusatoria. In particolare, la Corte territoriale, rispondendo ai rilievi che sono stati riproposti pedissequamente con il ricorso, ha evidenziato come le carte del processo avessero dimostrato con chiarezza che l'adesione del prevenuto all'associazione per delinquere capeggiata dai fratelli (OMISSIS) era stata dimostrata dal fatto che lo stesso non solamente aveva custodito all'interno della sua abitazione di (OMISSIS) un rilevante quantitativo di cocaina, oltre ad una cospicua somma di denaro in contanti, ma si era interessato direttamente a definire la locazione all'interno dello stesso condominio di una seconda abitazione, intestando il relativo contratto ad un prestanome, prendendone in consegna le chiavi, versando personalmente il deposito cauzionale e pagando i canoni mensili: casa che era stata frequentata dagli altri associati ed utilizzata come luogo di stoccaggio e di custodia degli stupefacenti del sodalizio diretto dagli (OMISSIS). Eloquente, in tal senso, e' la conversazione intercettata in ambientale dagli inquirenti nel (OMISSIS), nel corso della quale (OMISSIS), commentando con il (OMISSIS) i problemi e le difficolta' che il gruppo aveva avuto a causa del rinvenimento degli stupefacenti all'interno di quei due appartamenti e dal conseguente arresto dello (OMISSIS), aveva finito per commentare che le conseguenze di quel "periodo nero" sarebbero ricadevano su tutti gli affiliati, perche' "...si vince e si perde quando giochi in squadra..." (v. pagg. 65-67 sent. impugn.; pagg. 208-209, 222, 235, sent. primo grado). La decisione dei giudici di merito si pone, dunque, in linea con l'indirizzo esegetico offerto in materia dalla Cassazione, secondo il quale integra la partecipazione ad una associazione per delinquere la condotta di colui che volontariamente ponga in essere attivita' funzionali agli scopi del sodalizio ed apprezzabili come concreto e causale contributo all'esistenza e al rafforzamento dello stesso, a prescindere dai motivi che lo hanno determinato ad agire in tal modo (Sez. 1, n. 17206 del 04/03/2010, Gallo, Rv. 247050); piu' in particolare, si e' detto che la sistematica, incondizionata, e consapevole messa a disposizione di propri locali ai componenti di un'associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, per consentirne l'utilizzo come base logistica ed organizzativa, integra una condotta di partecipazione all'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2, in quanto consente all'organizzazione di operare per realizzare il programma criminoso (Sez. 3, n. 38009 del 10/05/2019, Assisi, Rv. 278166). Situazioni, quelle descritte nelle precedenti pronunce di questo Supremo Collegio, nelle quali non e' stata ravvisata alcuna violazione del principio di tassativita' della fattispecie penale dovuta alla mancata puntuale descrizione, da parte del legislatore, delle possibili condotte partecipative di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74: atteso che - si e' detto - da un lato, i reati a forma libera sono pienamente compatibili con il principio di legalita', laddove sia, comunque, individuata, con sufficiente chiarezza e precisione, la lesione del bene giuridico sanzionata; dall'altro, la determinatezza dell'illecito era, nei casi analoghi a quello oggi in esame, assicurata dalla necessita' del vincolo associativo strumentale alla commissione dei delitti in materia di droga (in questo senso, tra le altre, Sez. 4, n. 22842 del 02/07/2020, Celano, non massimata). 7.2. Il secondo motivo del ricorso e' fondato. Nella giurisprudenza del Supremo Collegio si e' chiarito che, una volta che l'imputato abbia formulato uno specifico motivo di gravame sulla mancata applicazione della continuazione, il giudice dell'impugnazione ha l'obbligo di pronunciarsi sul tema di indagine devolutogli, per l'evidente ragione che al principio devolutivo e' coessenziale il potere-dovere del giudice del gravame di esaminare e decidere sulle richieste dell'impugnante: sicche', stante la correlazione tra motivi di impugnazione e ambito della cognizione e della decisione, non e' ammissibile che il giudice possa esimersi da tale compito, riservandone la soluzione al giudice dell'esecuzione e possa, cosi', sovrapporre all'iniziativa rimessa al potere dispositivo della parte la propria valutazione circa l'opportunita' di esaminare, o non, l'istanza dell'impugnante. Ne consegue che, qualora il giudice di appello abbia omesso di pronunciare sulla richiesta di continuazione formulata con specifico motivo di impugnazione, sussiste l'interesse dell'imputato al ricorso per cassazione per la mancata pronuncia sul punto (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216238). Principio di diritto, questo, che e' stato violato dalla Corte di appello di Roma nel momento in cui ha sostenuto per un verso, in forma molto generica, l'assenza di un qualsivoglia collegamento tra i reati oggetto del presente processo e quelli per i quali lo (OMISSIS) era stato gia' giudicato; e, per altro verso, che della questione della applicazione della disciplina della continuazione era "opportuno" che ad occuparsi fosse il giudice dell'esecuzione. La sentenza impugnata va, dunque, annullata per lo (OMISSIS) limitatamente all'applicabilita' dell'articolo 81 c.p. con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale che, nel nuovo giudizio su tale punto, si atterra' all'indicata regula iuris. 8. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 8.1. La violazione della norma di diritto penale processuale dedotta con il primo motivo e' manifestamente infondata per le ragioni gia' indicate, in sede di analisi di analoga questione posta da altro ricorrente, nel punto 1.1 al cui tenore si fa rinvio. 8.2. Lo stesso primo motivo del ricorso, nella parte in cui sono state dedotte la violazione della norma penale sostanziale in contestazione e i connessi vizi di motivazione, e' inammissibile perche' contenente censure, peraltro talora formulate in termini generici, chiaramente finalizzate a sollecitare una non consentita rilettura delle emergenze processuali, avendo la Corte territoriale adeguatamente giustificato e logicamente approfondito le ragioni per le quali il prevenuto dovesse ritenersi responsabile del delitto associativo ascrittogli. Richiamato quanto gia' esposto nell'esame di analoghe questioni poste da altri ricorrenti (v. supra i punti 1.2, 1.3 e 7.1), va rimarcato come i giudici di merito abbiano sottolineato che, nel generale contesto probatorio inerente alla operativita' del sodalizio criminale dedito al narcotraffico diretto dai fratelli (OMISSIS), la dimostrazione della responsabilita' del (OMISSIS) per l'adesione a quell'associazione era desumibile dal contenuto delle conversazioni registrate dagli investigatori e dagli esiti delle ulteriori indagini di polizia giudiziaria. Elementi di conoscenza che avevano consentito di accertare che - oltre a concorrere nella consumazione di due specifici reati fine (quello, per il quale l'odierno ricorrente e' stato gia' condannato in un separato procedimento, relativo all'acquisto, alla detenzione e al trasporto di una partita di 200 grammi di cocaina prelevata, nell'(OMISSIS), sulla base delle precise direttive impartitegli da (OMISSIS); nonche' quello, oggetto del presente processo, riguardante la consegna, nel (OMISSIS), di un imprecisato quantitativo di stupefacente effettuato sempre in base alle indicazioni del predetto (OMISSIS) - subito dopo l'arresto del (OMISSIS) in occasione del secondo dei menzionati episodi delittuosi, l' (OMISSIS) e gli altri sodali si erano attivati per garantire all'arrestato l'assistenza con un legale di loro fiducia: dato, questo, sintomatico di quello spirito solidaristico che qualifica il legame anche di chi ha garantito con la sua affectio societatis e una stabile e duratura disponibilita' a commettere reati in attuazione di un comune proposito delittuoso. A cio' si aggiunga che, nella circostanza dell'arresto di altro sodale, l' (OMISSIS) aveva discusso delle difficolta' contingenti del gruppo proprio con il (OMISSIS) (v., al riguardo, supra il punto 7.1) e con quest'ultimo aveva pure esaminato aspetti organizzativi e attuativi delle iniziative dell'associazione; e che, subito dopo la sua scarcerazione, l'odierno ricorrente era stato nuovamente contattato dagli (OMISSIS) per riprendere la sua attivita' all'interno del sodalizio, ricevendo una retribuzione a cadenza mensile, in specie occupandosi della distribuzione della droga in Sardegna (v. pagg. 61-65, sent. impugn.; pagg. 195-204, 234-235, sent. primo grado). 8.3. Generico e' il secondo motivo del ricorso, con il quale la difesa e' tornata a sollecitare, con il richiamo in forma indeterminata a non meglio accertate circostanze fattuali, la concessione delle attenuanti generiche e una riduzione della pena inflitta: senza, tuttavia, confrontarsi con la motivazione della sentenza gravata nella quale la Corte di appello aveva giustificato, in maniera legittima, la decisione di disattendere quelle istanze difensive in ragione della oggettiva gravita' dei fatti accertati, connessi alle dinamiche di un ambiente criminale, dei precedenti penali dell'imputato e dell'assenza di qualsivoglia elemento idoneo a dimostrare una sua resipiscenza ovvero un suo particolare atteggiamento leale o collaborativo (v. pag. 79). 9. Segue la condanna dei ricorrenti, il cui atto di impugnazione e' stato dichiarato inammissibile, al pagamento delle spese del procedimento e al versamento ciascuno di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente all'applicabilita' dell'articolo 81 c.p., e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte D'Appello di Roma VIII SEZIONE II collegio così composta: Giuseppe STAGLIANO' - Presidente Gemma CARLOMUSTO - Consigliere Caterina GARUFI - Consigliere est. riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di appello iscritta al n. 2417 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2016, decisa all'udienza collegiale del 9.2.2023 mediante lettura del dispositivo, e vertente TRA (...) e (...), elettivamente domiciliate in Roma, viale (...), presso lo studio dell'Avv. En.Ca. che le rappresenta e difende giusta procura in atti appellanti E (...) e (...), elettivamente domiciliati in Roma, via (...), presso gli avv.ti Ma.Ch. e Al.Fl., che li rappresentano e difendono come da procura in atti. appellanti in via incidentale OGGETTO: ripetizione di indebito- appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 20570/2015, pubblicata il 14.10.2015. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. (...) e (...), in qualità di eredi di (...), con gravame notificato il 23.2.2016 e depositato il 12.4.2016, chiedono la parziale riforma della sentenza Tribunale di Roma n. 20570/2015 che, in accoglimento dell'opposizione svolta da (...) e (...), nel proc. RG n. 78466/00, revocava il decreto ingiuntivo n. 20813/00 richiesto dal (...), articolando le seguenti censure. 1. a) Violazione dell'art. 115 c.p.c., per malgoverno delle prove e del principio di non contestazione. In sede monitoria, (...) aveva ingiunto a (...) e (...) il pagamento di complessive L. 30.798.252, a titolo di ripetizione di quanto corrisposto in eccedenza, nel periodo dal 1.08.1995 al 31.01.2000, rispetto al dovuto per indennità di occupazione (oltre rivalutazione monetaria, interessi legali delle singole scadenze al saldo e spese della procedura); somma comprensiva anche del deposito cauzionale versato da (...) all'inizio del rapporto locatizio instaurato nel 1987 con (...) e (...). Nel successivo giudizio di opposizione azionato da (...) e (...), il Giudice non riteneva adeguatamente provati i pagamenti fondanti il ricorso al provvedimento monitorio, ovvero le somme versate per l'occupazione, da parte del (...), dell'appartamento di proprietà di (...) e (...), nel periodo di interesse (agosto 1995/gennaio 2000). In senso critico, le appellanti segnalano la mancata contestazione da parte degli opponenti, nel corso del lungo giudizio di primo grado, della corresponsione da parte del (...) della somma mensile di L. 1.200.000 (euro 619,75), a titolo di indennità di occupazione dell'immobile oggetto di causa, tra il 1995 e il 2000, il cui versamento è stato dato anche per pacifico, in occasione della CTU di primo grado, senza che i consulenti negassero tale circostanza fattuale. In ogni caso, a riprova dell'avvenuto pagamento, le appellanti richiamano la documentazione già depositata in primo grado: le copie degli assegni, spediti mensilmente (allegato C); una lettera inviata da (...) alla B.R., nella quale l'Istituto di credito era sollecitato a pagare gli assegni, come effettivamente avvenuto il 28.5.1998 (allegato D). In aggiunta, detta documentazione è stata integrata dalle appellanti, in sede di gravame, con la copia di 20 raccomandate assicurate, per il periodo dal giugno 98 al gennaio 2000. Si segnala, inoltre, che nel fascicolo di controparte (allegato n. 4 del fascicolo di primo grado), l'estratto conto depositato documenta l'effettivo incasso da (...) e (...), al maggio 1998, di alcune indennità di occupazione. 1. b) Violazione dell'art. 112 c.p.c.. Ai fini della prova dei suddetti versamenti, il Giudice di prime cure ha ritenuto insufficienti gli assegni depositati da (...) in copia trattandosi di mere promesse di pagamento, in assenza di prova dell'incasso delle somme da parte dei beneficiari. Secondo gli appellanti, detto principio di diritto, pur affermato da giurisprudenza prevalente, nel caso di specie non può essere richiamato perché gli opponenti non hanno mai mosso obiezione specifica sull'avvenuto pagamento dell'indennità di occupazione. Poiché l'opposto (avente veste sostanziale di attore nel procedimento di opposizione) ha provato di aver inviato mensilmente agli opponenti, a mezzo raccomandata assicurata, gli assegni recanti la somma di L. 1.200.000, sarebbe stato onere di controparte dimostrarne il mancato incasso, mediante produzione in giudizio dei titoli in suo possesso ancora non presentati per il pagamento. 1. c) Si lamenta, altresì, la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2909 c.c. in relazione al contenuto dei giudicati intercorsi inter partes. Le appellanti censurano anche il profilo della decisione che disattendeva la richiesta di restituzione del deposito cauzionale. Non si tratterebbe di questione coperta da giudicato, in quanto nel procedimento R.G. n. 25625/95 avanti alla Pretura di Roma e nei giudizi di impugnazione susseguenti, era stata chiesta la ripetizione della sola quota parte del deposito costituente indebito in conseguenza della determinazione dell'equo canone, mentre, in questa sede processale, era stata chiesta la ripetizione del deposito residuo, legalmente dovuto ab origine in seguito all'intervenuto rilascio dell'immobile da parte del (...). 1.d) Violazione dell'art. 112 c.p.c. nonché del diritto di difesa in relazione alla dichiarata inammissibilità della eccezione diretta alla (eventuale) compensazione del credito rappresentato dalle spese di lite del giudizio R.G. n. 3127/12. Gli appellanti hanno lamentato, sin dalla memoria difensiva a seguito di riassunzione depositata in data 20.05.2014, di aver evidenziato l'eventualità di "operare le compensazioni dei rispettivi crediti alla luce dei giudicati intercorsi ", quindi, del tutto tempestivamente era stata richiesta la compensazione del credito rappresentato dalle spese di lite del giudizio R.G. n. 3127/12. In ogni caso, la fase della riassunzione non può aver determinato preclusioni temporali di sorta, atteso che fu lo stesso Giudicante, con ordinanze del 12.06.2014 e del 8.07.2014, ad invitare le Parti a depositare note aventi ad oggetto la precisazione delle domande. Concludono chiedendo: "A) Rigettare l'opposizione svolta dai Sigg. (...) e (...) avverso il decreto ingiuntivo n. 20813/00, R.G. n. 78466/00, poiché infondata in fatto ed in diritto e comunque non provata", e per l'effetto condannarli al pagamento in favore delle appellanti della somma, comprensiva del deposito cauzionale e degli interessi sullo stesso di "euro 25.434,72, oltre interessi sui soli indebiti dal 4.09.2015 al di del saldo, o a quella maggior o minar somma che sarà ritenuta di giustizia all'esito del giudizio, compensando eventualmente i crediti delle ricorrenti con quelli che risulteranno a favore dei resistenti"; B) "Confermare la gravata sentenza laddove rigetta le domande riconvenzionali avanzate dagli odierni appellati poiché infondate e/o inammissibili in quanto coperte da giudicato". Con vittoria di spese e compensi per il doppio grado di giudizio, da distrarre al difensore antistatario. 2. (...) e (...) propongono appello incidentale criticando, a loro volta, la sentenza di primo grado, per i seguenti profili. 2.a) Inammissibilità della domanda di ripetizione. Il Tribunale non avrebbe dovuto ritenere "ammissibile ed astrattamente fondata" la domanda proposta dal C.. Richiamando il diverso e originario giudizio azionato da (...) per l'accertamento dell'equo canone, nel cui ambito la Corte di Appello aveva riformato, con la sentenza n. 4059/01, il capo relativo alla data di scadenza del rapporto, (...) avrebbe potuto richiedere, in sede monitoria, unicamente la ripetizione degli indebiti versati dal 31.7.1995 al 31.10.1995 e non quanto corrisposto sino al rilascio dell'immobile, nel 2000. (...) nemmeno avrebbe potuto richiedere l'indebito tramite domanda riconvenzionale, trattandosi di questione inammissibile, in sede di opposizione, perché coperta da giudicato. Precisamente, l'ingiunzione richiesta da (...), all'origine, basandosi sulla decisione del Tribunale di Roma n. 7069 del 7.3.2000, intervenuta nell'originario giudizio sull'accertamento dell'equo canone, riguardava la ripetizione di canoni extralegali in ordine al contratto di locazione concluso con (...) e (...), sul presupposto che la scadenza di detto rapporto fosse da individuarsi al 30.10.1999; invece, la fine della locazione era poi stata anticipata dalla successiva sentenza della Corte d'appello n. 4059 del 2001 -ormai passata in giudicato- al 30.10.1995. 2. b) La decisione impugnata avrebbe errato anche nel ritenere coperta da giudicato "la pronuncia di rigetto della domanda di parte opponente volta al riconoscimento dell'indennità di occupazione tenuta in cale nei conteggi delle parti" di cui alle domande riconvenzionali ai punti 5 (mancata recezione dell'indennità di occupazione) e 6 (ritardata disponibilità del bene per la vendita) del ricorso in opposizione. La decisione n. 7069 del 7.3.2000 del Tribunale di Roma, pronunciata nel procedimento sull'accertamento dell'equo canone, aveva stabilito che, per il periodo successivo alla scadenza del contratto, i danni causati da (...) per tardivo rilascio andavano commisurati al 20% del canone dovuto a quella data, statuizione della sentenza che non era mai stata appellata e che, quindi, è passata in giudicato. Nel grado successivo di giudizio, la Corte d'Appello aveva rigettato l'appello dei locatori (...) e (...) (solo) in ordine alla richiesta di riconoscimento di maggior danno ai sensi dell'art. 1591 c.c. ovvero a titolo di differenza tra canone legale e canone di mercato. 2. c) Condanna della controparte al risarcimento del danno dovuto al rifiuto ingiustificato di (...) a consentire visite dell'immobile a terzi interessati all'acquisto. Si chiede la riforma della sentenza impugnata anche in parte qua, poiché i locatori hanno documentato (con alcune lettere che avevano inviato a (...) nel maggio 2000), l'esigenza di far visionare l'immobile, ancora occupato. Il rifiuto mosso all'epoca dall'occupante rappresenterebbe un illecito produttivo di un danno risarcibile per il ritardo nella vendita del bene, quantificabile equitativamente nella misura di Euro 2000,00. 2.d) Si chiede, infine, la condanna di controparte ex art. 96 c.p.c. C. aveva intentato il procedimento monitorio in difetto dei presupposti di legge, non essendo ancora scaduti i termini per l'appello della decisione del Tribunale di Roma n. 7069 del 7.3.2000, e, quindi, si reitera la richiesta di condanna per lite temeraria. Inoltre, (...) e (...) contestano l'appello principale, affermando di non aver mai ammesso, in sede processuale, di aver incassato le somme a titolo di indennità di occupazione da parte di (...), nel periodo giugno 1995-gennaio 2000, per l'importo mensile di L. 1.200.000. Detto pagamento a favore dei locatori non è adeguatamente documentato -come già affermato dal Giudice di prime cure-, né rappresenta un fatto pacifico, in base agli atti di causa. Vanno stralciati, poi, i documenti in copia depositati solo in questa sede processuale. Pertanto, gli appellanti incidentali hanno concluso chiedendo: in via preliminare, lo stralcio dei documenti prodotti in questo grado da parte appellante; in via principale, respingere l'appello principale confermando la revoca del decreto ingiuntivo opposto. In accoglimento dell'appello incidentale, chiedono: la condanna delle appellanti al risarcimento dei danni patiti per il rifiuto del conduttore di consentire la visita dell'immobile, liquidando i danni stessi nella misura di Euro 2000,00 o nella diversa somma ritenuta di giustizia anche equitativamente ex art. 1226 c.c.; condannare gli appellanti ex art. 96 c.p.c., liquidando i danni stessi nella misura di Euro 5000,00 o nella diversa somma ritenuta di giustizia anche equitativamente, ex art. 1226 c.c.; la condanna alle spese del presente giudizio e la condanna almeno parziale alle spese del giudizio di primo grado. La Corte, acquisito il fascicolo di primo grado, concedeva alle parti termine per note. Entrambe le parti hanno depositato note conclusive, nelle quali le medesime si riportano agli appelli appena sintetizzati. All'udienza del 9.2.2023 la causa è stata decisa come da dispositivo, cui è stata data lettura in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE 3. Preliminarmente, si rappresenta che non è stato gravato il capo della sentenza del Tribunale di Roma n. 20570/2015 che rigettava la domanda riconvenzionale svolta da (...) e (...), nel ricorso in opposizione, ai punti 1), 2) 3) e punto 4), relativamente alla richiesta di condanna di (...) al pagamento delle spese sostenute: per i consumi delle utenze (energia elettrica e telefono); per l'esecuzione forzata; per l'imposta di registrazione del contratto di locazione (nella misura della metà); nemmeno è stata riproposta dai predetti la richiesta di risarcimento del danno dovuto al mancato rinvenimento di alcuni mobili, al momento del rilascio del bene. Non sono state presentate doglianze nemmeno in ordine alla statuizione della decisione gravata che poneva a carico delle parti, nella misura del 50%, le spese della CTU. Detti profili, quindi, sono passati in giudicato. 4.Ciò posto, ai fini di un esame compiuto delle doglianze delle parti, si ricostruisce, in sintesi, l'articolata vicenda processuale oggetto del presente procedimento e quella originaria avente ad oggetto l'azione di accertamento di equo canone intentata da (...) nel 1995. In ordine al primo profilo citato, con ricorso depositato in data 08.02.2001, (...) e (...) proponevano opposizione avverso l'ingiunzione di pagamento provvisoriamente esecutiva n. 20813/00, R.G. n. 78466/00, emessa dal Tribunale di Roma su richiesta di (...) per l'importo di L. 30.798.252 (oltre rivalutazione monetaria, interessi legali dalle singole scadenze al saldo e spese della procedura), chiedendo di revocare il decreto ingiuntivo opposto e respingere ogni domanda proposta del (...), da dichiararsi inammissibile. In via riconvenzionale, gli opponenti chiedevano, altresì, la condanna di (...) al pagamento delle spese sostenute per i consumi delle utenze (energia elettrica e telefono), per l'esecuzione forzata e (nella misura della metà) per l'imposta di registrazione del contratto di locazione; chiedevano anche la liquidazione dei danni da ritardato rilascio del bene ex art. 1591 c.c., "pari alla differenza tra il canone di mercato pari a L. 2.100.000 e quello corrisposto di L. 1.2000,00", e dei danni provocati dal rifiuto ingiustificato di (...) a consentire visite a terzi interessati all'acquisto dell'immobile oggetto di causa; chiedevano, altresì, la liquidazione delle somme corrispondenti al valore di alcuni mobili non reperiti al momento del rilascio. Concludevano chiedendo, altresì, la condanna di controparte ex art. 96 c.p.c., per aver chiesto il decreto ingiuntivo in base a una decisione non definitiva. Si costituiva in giudizio (...), chiedendo la condanna degli opponenti al pagamento di quanto ingiunto in data 30.11.2000 e richiamando, a tal fine, la sentenza di primo grado del Tribunale di Roma n. 7069 del 7.03.2000 (invero ancora sub iudice, essendo stato presentato appello poco dopo la procedura monitoria). In base a quest'ultima pronuncia, l'opposto richiedeva agli opponenti: la restituzione delle somme percepite in eccedenza rispetto a quanto dovuto a titolo di indennità di occupazione, nel periodo 1.08.1995- 31.1.2000, avendo (...) pagato a (...) - (...) la somma mensile di Lire 1.200.000 mensili (euro 619,75), di gran lunga superiore a quanto accertato nel giudizio di accertamento dell'equo canone; chiedeva, altresì, la restituzione del deposito cauzionale, stante l'intervenuto rilascio dell'immobile dopo il 31.1.2000. Il Tribunale, nel giudizio di opposizione, sospendeva la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e, all'udienza del 29.03.2002, poiché la decisione n. 7069 del 7.03.2000 fondante l'ingiunzione di pagamento era stata impugnata, rilevata l'opportunità che il giudizio venisse sospeso in attesa della formazione del giudicato sulle questioni oggetto del giudizio R.G. n. 3410/00 pendente avanti alla Corte di Appello, sospendeva il procedimento. 4. a) A tale ultimo riguardo, nella diversa vicenda giudiziaria da cui trae origine quella qui vagliata (...), con ricorso presentato il 20.07.1995, in qualità di conduttore dell'immobile sito in R., Via della S. n. 6, aveva convenuto in giudizio innanzi alla Pretura di Roma i locatori (...) e (...) (odierni appellanti in via incidentale). Ciò al fine di accertare la locazione con destinazione abitativa (il contratto era stato concluso verbalmente) e l'equo canone, con condanna dei locatori alla restituzione delle somme percepite in eccedenza rispetto al canone legale stabilito dal Giudice, nonché alla restituzione del deposito cauzionale, con interessi e rivalutazione. Si costituivano in giudizio i convenuti (...) e (...), contestando il fondamento delle pretese, negando, in particolare, trattarsi di locazione ad uso abitativo ed avanzando domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno dovuto al ritardato rilascio del bene. Il Tribunale di Roma, con la già citata sentenza n. 7069 del 7.03.2000, accogliendo, in buona parte, la domanda di C.: qualificava il rapporto come locazione ad uso abitativo iniziata in data 1.11.1987; determinava l'equo canone, limitando la ripetizione degli indebiti -in ordine al sopravanzo tra quanto pagato e il canone individuato dal Giudice- al momento della proposizione della domanda (ovvero al 31.7.1995); quindi, condannava i locatori alla restituzione delle eccedenze per il periodo 1.11.1987-31.07.1995 per complessive L. 66.466.587 ed alla proporzionale restituzione del deposito cauzionale per L. 958.874, con rivalutazione ed interessi legali sugli importi rivalutati. Inoltre, dichiarava cessato il rapporto locatizio alla data del 30.10.1999 e condannava il conduttore (...) al rilascio dell'appartamento, fissando per l'esecuzione la data del 30.04.2000, condannandolo anche a corrispondere ai locatori, a titolo di risarcimento del danno da tardivo rilascio, una somma pari al 20% del canone corrisposto al 31 ottobre 1999. Rigettava la domanda riconvenzionale proposta dai locatori e li condannava al pagamento delle spese di lite. Detta sentenza era impugnata dai locatori (...) e (...) i quali, oltre a ribadire di non aver concluso con (...) un contratto di locazione a fini abitativi, chiedevano la revisione del canone di locazione individuato dal Giudice di prime cure e riproponevano la domanda di risarcimento del danno per mancato rilascio dell'appartamento da parte di (...), "da liquidarsi con un criterio diverso da quello indicato dal primo giudice e tenendosi conto della differenza tra canone di mercato e canone corrisposto". La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, pronunciava una prima sentenza non definitiva, la n. 4059/2001, dichiarando cessato il contratto di locazione ad uso di primaria abitazione alla data del 30.10.1995; stabiliva, altresì, che sul canone stabilito nella gravata decisione spettavano gli aumenti ex art. 23 L. n. 392 del 1978, sin dall'inizio del rapporto nel 1987; determinava, altresì, la percentuale d'aumento per il mobilio nella misura del 30%, (anziché del 25% come invece riconosciuto dal Tribunale), sulla base di quanto dedotto dai locatori (...) - M.; eliminava la statuizione della decisione di primo grado relativa alla rivalutazione della somma dovuta dai locatori. La stessa Corte territoriale, rimessa la causa in istruttoria per determinare quanto dovuto dai locatori e per un nuovo accertamento sulla loro domanda di risarcimento del danno, con la sentenza definitiva n. 1400/2003, condividendo il prospetto del CTU, individuava la somma dovuta dai locatori nella misura di Euro. 34.052,38, oltre interessi legali da ogni singolo pagamento al saldo e, giacchè (...) e (...), nel frattempo, avevano già corrisposto al (...) la somma individuata nella decisione di primo grado, ordinava la restituzione in favore degli stessi locatori delle somme pagate in eccedenza in esecuzione della sentenza gravata. Come preme evidenziare, la Corte rigettava, nel resto, l'appello di D. e (...). Tale pronuncia veniva ulteriormente impugnata, in sede di legittimità, dai locatori (...) e la Suprema Corte, con sentenza n. 8948/2008, accogliendo (solamente) il quarto motivo del ricorso principale avente ad oggetto la natura della somma data da (...) quale deposito cauzionale, cassava, limitatamente a tale capo, la sentenza, con rinvio alla Corte di Appello per verificare, in assenza di un contratto di locazione scritto, nel rispetto dell'onere probatorio, "in base a quali prove anche presuntive sia preferibile la tesi della natura del deposito cauzionale (?) o la diversa tesi della garanzia o corrispettivo dei commoda". La Corte di appello, nel successivo giudizio rescissorio, stabiliva che la somma versata dal (...) contestualmente alla stipula del contratto di locazione costituiva un deposito cauzionale, condannando gli appellanti (...) e (...) alle spese processuali, con la sentenza n. 3127/12 del 12.6.2012 non impugnata. 4.b) Venuta meno la causa di sospensione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, in data 11.3.2014 gli opponenti (...) e (...) notificavano l'atto di riassunzione del giudizio alle eredi di (...) (nel frattempo deceduto), reiterando le domande già formulate nell'atto di opposizione. In data 03.12.2014, il Tribunale, su richiesta di parte opposta, pronunciava l'interruzione del giudizio che veniva nuovamente riassunto dagli opponenti (...)-(...). Con memoria difensiva del 26.03.2015, si costituivano in giudizio le eredi, (...) e (...). Dopo aver espletato una CTU contabile avente ad oggetto il ricalcolo del credito delle opposte e la verifica dell'esistenza e dell'ammontare di quanto richiesto in via riconvenzionale dagli opponenti, il procedimento era deciso all'udienza del 14.10.2015. Nella decisione qui impugnata, il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo n. 20813/00 R.G. n. 78466/00, non ritenendo documentati i pagamenti delle indennità a titolo di occupazione da parte del C.. Rigettava nel resto. Compensava le spese di lite e poneva le spese della CTU nella misura del 50% a carico di ciascuna. 5. Ricostruiti i passaggi salienti della vicenda di interesse, a giudizio della Corte, l'appello principale presentato nell'interesse di C.P. e S. è meritevole di accoglimento per il profilo preponderante, inerente alla richiesta di ripetizione delle somme versate in sopravanzo rispetto a quanto dovuto a titolo di indennità di occupazione. 5.a) A tal riguardo, si rimarca che la già citata sentenza di questa Corte n. 1400/2003 accertava, in modo incontrovertibile, alcuni aspetti decisivi, tra i quali: la natura del contratto non scritto concluso nel 1987 tra (...)-M. e (...), quale locazione ad uso abitativo avente ad oggetto l'immobile sito in R., via della S. 6, di proprietà di (...) e M.; la data della cessazione del contratto di locazione, fissata al 30.10.1995; la somma risultante dall'eccedenza dei canoni percepiti dai locatori, individuata -a seguito di CTU-, tenuto conto del numero delle mensilità e del canone applicato per il periodo 1987-1995, in Euro 34.052,38, oltre interessi legali da ogni singolo pagamento al saldo. In questa sede, invece, è sottoposta all'attenzione della Corte la diversa e ulteriore richiesta di (...) di restituzione di quanto dal medesimo pagato, a titolo di indennità di occupazione, in eccedenza, con riguardo al periodo tra 1.8.1995 e il 31.1.2000. Ciò comporta l'ammissibilità della domanda di (...), perché nulla è stato accertato, nella vicenda processuale originaria, sulla somma pagata da (...), quale indennità di occupazione corrisposta ai (...) e (...) dal 1995 al 2000 in via sovrabbondante rispetto alla misura giudizialmente stabilita per l'ultimo canone locatizio versato. Anche la decisione n. 20570/2015 qui impugnata non aveva ritenuto coperta da giudicato la richiesta di ripetizione di (...), rigettandola, però, per il mancato idoneo assolvimento dell'onere in capo all'opposto di provare l'avvenuto pagamento delle somme versate mensilmente a titolo di indennità di occupazione. Condividendosi il primo motivo dell'appello principale (sub (...). a), la decisione, per tale profilo, va riformata, violando quanto previsto dall'art. 115 c.p.c. Infatti, nell'opposizione al decreto ingiuntivo, (...) e (...) non hanno mai contestato a (...) il mancato pagamento delle somme sulle quali si basava, per l'importo corrisposto in eccedenza, la richiesta di ripetizione di cui al decreto ingiuntivo. Gli opponenti, fin dall'inizio, hanno eccepito, in modo univoco, la (sola) inammissibilità della richiesta di ripetizione di dette somme pagate in eccedenza, senza mai smentire nello specifico l'elemento fattuale decisivo prospettato da (...) ovvero l'avvenuto versamento delle indennità, presupposto logico per chiedere la ripetizione del quantum pagato in eccedenza. Il pagamento delle indennità a titolo di occupazione, quindi, rappresenta un fatto storico non contestato nel presente procedimento, perché (...) e (...) non hanno mai messo in discussione, in modo unico e preciso, detta circostanza. Né in contrario può valere il mero richiamo operato dagli appellanti incidentali al ricorso in opposizione, laddove genericamente (pagg. 2 e 3) gli opponenti chiedevano la revoca del decreto ingiuntivo, giacchè i medesimi avrebbero dovuto prendere una posizione precisa e analitica, (eventualmente) negando i pagamenti a loro favore, tanto più che si trattava di un profilo di portata dirimente in giudizio. A conferma della correttezza di tale conclusione, si segnala che i giudici di legittimità, di recente (Cass. sent. del 27 giugno 2022, n. 20597), hanno affermato che, "nell'ambito dell'opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente (sostanziale convenuto), a fronte di una allegazione da parte dell'opposto (attore sostanziale) chiara e articolata in punto di fatto, ha l'onere ex art. 167 c.p.c. di prendere posizione in modo analitico sulle circostanze di cui intenda contestare la veridicità e, se non lo fa, i fatti dedotti dall'opposto-attore debbono ritenersi non contestati, per i fini di cui all'art. 115 c.p.c." Peraltro, dalle stesse produzioni dei locatori (...) e (...) emerge che i predetti avevano incassato, al maggio 1998, varie mensilità delle indennità di occupazione versate da (...), tenuto conto dell'estratto conto bancario agli atti (allegato n. 4 del fascicolo degli opponenti), a riprova della veridicità dell'assunto dell'opposto che, si ribadisce, non risulta contestato specificamente. Senza tener conto della documentazione integrativa depositata dalle appellanti (tardivamente) solo in sede di gravame, quanto esposto comporta l'accoglimento della richiesta di (...) di ripetizione della somma pagata in eccedenza, determinata da questa Corte in conformità alla disposizione di cui all'art. 1591 c.c., secondo la quale il conduttore in mora è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna. A tal riguardo, giova rammentare che la richiamata sentenza n.1400/2003 individuava, quale canone di locazione per la mensilità di agosto 1995, L. 598.282, secondo i calcoli del CTU condivisi dal Collegio in decisione, misura che già ricomprendeva la maggiorazione ex art. 23 L. n. 392 del 1978 e l'aumento del 30% per l'integrale arredamento dell'immobile. La Corte ritiene di determinare quanto dovuto agli appellanti nella misura complessiva di Euro 16.781,58, somma ottenuta sottraendo da quanto versato dal (...) (L. 1.200.000 ovvero Euro 619,75, per 54 mensilità, dal 1.8.1995 al 3.1.2000, per complessivi Euro 33.466,5), quanto avrebbe dovuto versare in base al canone di locazione accertato dalla richiamata sentenza n.1400/2003 per complessivi Euro 16.684,92. Nel dettaglio, per individuare il quantum che (...) avrebbe dovuto versare secondo le statuizioni della sentenza del 2003, si è proceduto a moltiplicare il canone della mensilità di interesse (agosto 1995), come stabilito nella richiamata decisione del 2003 in L. 598.282 (euro 308,98), per 54 mensilità (da a 1 agosto 1991 a 31 gennaio 2000), ottenendo la soma complessiva già riportata di Euro 16.684,92. Pertanto, la Corte accoglie, in parte qua, l'appello principale proposto (...) e (...) e, per l'effetto, condanna (...) e (...) al pagamento in favore di (...) e (...) di quanto pagato in eccedenza a titolo di indennità di occupazione, dal 1.8.1995 al 31.1.2000, per complessivi Euro 16.781,58, oltre interessi legali da ogni singolo pagamento fino all'effettivo soddisfo. 5.b) Risulta inammissibile, invece, perché coperta da giudicato, l'ulteriore censura relativa alla ripetizione del deposito cauzionale. Quanto versato da (...) a tale titolo era stato già preso in esame nella sentenza n.1400/2003, tanto che la somma versata quale deposito - visto l'avvenuto rilascio dell'immobile da parte del (...) già nel 2000- era stata ricompresa nel conteggio finale effettuato dal CTU, nel contraddittorio con le parti. La successiva sentenza della Corte di Appello di Roma del 3.7.2012, passata in giudicato il 3.10.2013 n. 3127/2012, si limitava a confermare la natura di deposito cauzionale della somma versata, a inizio rapporto locatizio, dal (...), rigettando la richiesta di riqualificazione di (...) e (...) in garanzia dei commoda. Fatto salvo quanto appena precisato, i residui motivi di appello sono da ritenersi assorbiti, poiché quanto appena statuito in questa sede rende ogni decisione sulle censure sub (...). b) e (...). c) superflua, per sopravvenuto difetto di interesse delle appellanti che, con la pronuncia sulla domanda assorbente sub (...).a), hanno conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno (cfr. fra le tante Cass. n. 13534/2018; Cass. n. 28995/2018; Cass. n. 2193/2020). 5.c) Non è fondata la censura sub (...).d) Non vi è stata alcuna violazione dell'art. 112 c.p.c. perché la domanda di eventuale compensazione del credito rappresentato dalle spese di lite del giudizio R.G. n. 3127/12 era stata presentata tardivamente dall'opposto, solo in data 20.05.2014. Il regime delle preclusioni di cui agli articoli 183 e 184 c.p.c. rende inammissibile detta domanda (v. Cass. civ., sez. I, del 30 ottobre 2013 n. 24486), come correttamente rilevato dal Giudice di prime cure. 6). L'appello incidentale è infondato. 6.a.) Non può condividersi la richiesta di declaratoria di inammissibilità della domanda di ripetizione di indebito di (...) di cui al motivo di appello sub (...).a). Come rilevato nella decisione di primo grado, il Tribunale di Roma, nel giudizio R.G. n. 25265/95, aveva esaminato la domanda di pagamento dei canoni alla data di deposito del ricorso ovvero al 20.07.95 senza mai pronunciarsi, nemmeno nelle successive fasi processuali, sui pagamenti effettuati fino al 2000 a titolo di indennità di occupazione. Come già chiarito sub (...).a), non vi è stato alcun accertamento sulla sussistenza del credito vantato da (...) con l'opposto decreto ingiuntivo in ordine ai pagamenti in eccesso di quanto dovuto a titolo di indennità di occupazione, dal 1.8.1995 al 31.1.2000, non essendosi formato giudicato sulle indennità pagate da (...) nel periodo successivo al 20.07.95, allorquando la locazione era venuta meno. 6.b.) Anche le richieste di condanna al risarcimento del maggior danno ex art. 1591 c.c. e del danno per ingiustificato rifiuto a consentire la visita dell'appartamento (di cui alle pagg. 9-11 del ricorso incidentale e già sintetizzate in precedenza, riportate sub (...).b e (...).c), non sono meritevoli di accoglimento. La Corte d'Appello, nella sentenza n. 1400/03, aveva già rigettato la domanda di risarcimento per ritardato rilascio dell'immobile. Precisamente, (...) e (...) avevano chiesto alla Corte di liquidare ex art. 1591 c.c. il maggior danno "nella misura della differenza tra il canone di mercato e quello corrisposto, a decorrere dalla data di scadenza del rapporto e la data di effettivo rilascio dell'immobile". La citata sentenza di questa Corte territoriale non aveva accolto l'istanza risarcitoria, capo della decisione che la Cassazione non ha riformato a seguito del ricorso presentato da (...) e (...) e che, quindi, allo stato, è incontrovertibile. Pertanto, risulta coperto da giudicato anche l'asserito danno dovuto dall'avere il conduttore impedito o non consentito visite alla casa da parte di terzi interessati all'acquisto dell'immobile, così impedendone o ritardandone l'alienazione. Su tali profili dell'appello incidentale va poi dato atto dell'assenza di prova adeguata fornita dalla parte, come evidenziato dal Giudice di prime cure nella decisione qui gravata e, ancora prima, dalla Corte di appello nella sentenza n. 1400/03 del 21.3.2003 (alle pagg. 3 e 4) perché, pur avendone l'onere, nulla hanno prodotto (...) e (...), sia in ordine al lucro cessante, che sui presunti danni di natura non patrimoniale e patrimoniale. Come preme rimarcare, per giurisprudenza pacifica il conduttore in mora nella restituzione della cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno ex art. 1591 c.c. richiedente, però, la specifica prova di una effettiva lesione del patrimonio del locatore (Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 18946/19, dep. il 16 luglio 2019). In conseguenza di quanto precede, neppure è consentita alla Corte la liquidazione equitativa del danno richiesta dalle parti nell'appello incidentale, posto che è pur sempre onere della parte istante dedurre e allegare quegli elementi che consentano una liquidazione del danno, astrattamente configurabile (v. Cass. 8854/12). La liquidazione equitativa, infatti, per non essere arbitraria, presuppone pur sempre la dimostrazione del danno nei suoi elementi come precisato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui "l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa?presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare" (ex multis v. Cass. 10607/2010). Né la liquidazione equitativa può supplire il mancato assolvimento dell'onere della prova gravante sulla parte (Cass. 13288/07). 6.c.) Infine, la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c.. di cui al motivo di appello 2.d), presentata per aver il (...) richiesto il decreto ingiuntivo e successivamente notificato il precetto ai locatori, pur pendendo appello avverso la sentenza di I grado, è assorbita da quanto già deciso nell'accogliere il ricorso principale per il profilo prevalente. 7. Atteso quanto innanzi, l'impugnata sentenza deve essere parzialmente riformata, nei termini finora esposti. In ordine alla ripartizione delle spese processuali, posto che, rispetto al decisum, il petitum oggetto dell'appello principale proposto da (...) e (...) è stato accolto nella misura preponderante (invero, le appellanti sono soccombenti, sostanzialmente, in ordine alla richiesta di ripetizione del deposito cauzionale avente valore inferiore al 10% rispetto alla somma loro liquidata a titolo di ripetizione) e considerata, altresì, l'integrale soccombenza degli appellanti incidentali (...) e (...) (che, invece, in primo grado avevano ottenuto la revoca del decreto ingiuntivo), gli opponenti, ex art. 91 c.p.c., sono condannati alla refusione delle spese processuali per entrambi i gradi di giudizio. Dette spese sono liquidate d'ufficio (in mancanza di notula) come in dispositivo, secondo i criteri di cui al vigente D.M. n. 55 del 2014 (e successivi aggiornamenti), in base ai valori minimi, per la modesta complessità della controversia. Inoltre, trattandosi di causa proposta dopo il 31.1.2013, sussistono i presupposti di cui all'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come introdotto dall'art. 1 comma 17 L. n. 228 del 2012, per il versamento, da parte delle appellanti, in solido tra loro, dell'ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando nella causa civile in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma n. 20570/2015, pubblicata il 14/10/2015: 1) accoglie parzialmente l'appello principale proposto (...) e (...) e condanna (...) e (...) al pagamento in favore di (...) e (...) di complessivi Euro 16.781,58, oltre interessi legali da ogni singolo pagamento fino all'effettivo soddisfo; 2) rigetta l'appello incidentale; 3) condanna (...) e (...) al pagamento delle spese processuali in favore di (...) e (...), da distrarre all'antistatario avv. En.Ca., liquidate, per il presente grado di giudizio, in Euro 3.200,00 per compensi oltre IVA, CPA e spese generali al 15% e, per il primo grado di giudizio, in Euro 2.540,00 per compensi oltre IVA, CPA e spese generali al 15%; 4) dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 1 c. 17 della L. n. 228 del 2012 per il versamento, da parte (...) e (...), dell'ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato. Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE TERZA CIVILE La Corte D'Appello di Milano, Terza Sezione Civile, in persona dei magistrati: Dott.ssa Licinia Petrella - Presidente Dott.ssa Maura Caterina Barberis - Consigliere Dott.ssa Isabella Ciriaco - Consigliere relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n. R.G. 1997/2022, promossa in grado d'Appello con ricorso depositato il 29.6.2022, notificato il 23.9.2022, avverso la sentenza del Tribunale di Milano emessa il 13 aprile 22 nella causa iscritta al N.RG 45225/2020, pubblicata il 13/04/2022, da (...) (C.F. (...) ), rappresentata e difesa, per procura in calce al ricorso ex art. 447 bis c.p.c. depositato in Primo Grado, dall'Avv. Gi.Mi. (C.F.: (...)) presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Milano Via (...); -appellante- CONTRO (...), (c.f. (...) ) con domicilio eletto presso lo studio dell'Avv. Susanna Rita Marangoni (c.f. (...) ) sito in Milano, Viale (...), che la rappresenta e difende come da procura in calce alla comparsa di costituzione in appello; -appellata- OGGETTO: appello in materia di contratto di locazione immobiliare ad uso abitativo. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Breve premessa storica dei fatti incontestati del giudizio. La causa verte su un contratto di locazione, stipulato in data 1.2.2014 tra (...) e (...), nella loro qualità di proprietari dell'immobile e locatori, e (...), in relazione all'unità immobiliare sita in S. D. M., Via G. (...) n. 71. In data 13.05.2014 i locatori donavano l'immobile alla figlia (...), la quale subentrava quale locatrice nel contratto in essere. A gennaio 2020, la conduttrice inviava comunicazione alla proprietà manifestando la volontà di rilasciare l'immobile locato entro il 30.03.2020. Stante la sopraggiunta pandemia da Coronavirus, la (...) di fatto riconsegnava l'immobile in data 9.05.2020 e nell'occasione veniva svolto il sopralluogo per verificare lo stato dell'immobile alla presenza di entrambe le parti e del marito della proprietaria. Secondo la prospettazione di parte appellante, durante il sopralluogo la proprietà aveva contestato alla conduttrice i danni riscontrati all'immobile e agli arredi, che erano stati poi comunicati all'agenzia immobiliare che aveva curato la locazione mediante invio, a mezzo posta elettronica, di un elenco analitico dei danni. Seguiva corrispondenza scambiata tra i legali delle parti, senza che venisse perfezionato alcun accordo sul punto. Quindi, con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., (...) adiva il Tribunale di Milano per sentire accertare e dichiarare i danni riscontrati al momento del rilascio nell'immobile locato a (...) con condanna della conduttrice al risarcimento degli stessi. Costituitasi, la resistente contestava quando dedotto dalla ricorrente chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, nell'ipotesi di accertamento di un credito in favore della ricorrente, di compensarlo con quanto dalla stessa versato al momento della sottoscrizione del contratto a titolo di deposito cauzionale, ammontante ad Euro 1.400,00. Il Tribunale, nella pronuncia emessa ha preliminarmente analizzato i principi in materia di riparto degli onere probatorio per le obbligazioni ex art. 1590 c.c., sottolineando che sul conduttore grava l'onere di restituire la cosa locata nel medesimo stato in cui l'ha ricevuta, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'ordinario uso della cosa in conformità del contratto e prova di non imputabilità a lui di ogni singolo danno riscontrato all'immobile locato al momento della riconsegna, mentre sul locatore grava il correlato onere -laddove lamenti l'esistenza di danni al momento del rilascio del bene- di provare che gli stessi non siano conseguenza dell'uso in conformità alla natura del bene, né del fisiologico deteriorarsi dei materiali soggetti ad usura. Partendo da tali principi il primo giudice ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente, ritenendo non provati i danni e la loro ascrivibilità all'utilizzo non conforme alla buona condotta da parte della conduttrice. In particolare, il giudice ha ritenuto che la produzione della comunicazione inviata all'agenzia immobiliare, munita di fotografie, con una prima stima dei danni, seguita dai preventivi per le riparazioni, non costituissero elementi atti a provare l'esistenza dei danni lamentati e loro ascrivibilità ad un uso anomalo del conduttore, "non avendo contestato per iscritto mediante un verbale di consegna del bene locato i singoli danni (docc. 8,11,12,13 fasc. ricorrente) e non avendo la parte "nemmeno, in prossimità della consegna, instaurato un giudizio di accertamento tecnico preventivo per verificare nell'immediatezza dei fatti e nel contraddittorio tra le parti la situazione dei luoghi". Ha concluso, quindi, il primo giudice col sottolineare che una tale disamina e conseguente quantificazione dei danni non potesse più svolgersi nel giudizio di merito in quanto "La produzione fotografica allegata dalla parte ricorrente, unitamente ai preventivi di spesa, non rende possibile una quantificazione e non perfeziona l'onere probatorio incombente sulla parte ricorrente (cfr. pag. 4 sent. imp.). Il Tribunale ha, inoltre, evidenziato che il locatore non poteva richiedere le spese di imbiancatura al conduttore, rientrando le spese di imbiancatura tra quelle a carico del locatore, ed ha condannato quest'ultimo a restituire il deposito cauzionale rilevando che "La somma trattenuta a titolo di deposito cauzionale, invece, andrà restituita, essendo comunque generica l'imputazione effettuata dalla ricorrente." Il giudice di primo grado ha, quindi, rigettato la domanda della parte ricorrente e in accoglimento della domanda riconvenzionale svolta dalla parte resistente ha condannato (...) alla restituzione in favore della (...) del deposito cauzionale versatole (pari ad Euro 1.400,00) oltre alla rifusione delle spese di lite a favore della parte resistente. Ha proposto appello (...) censurando la decisione del primo giudice laddove ha ritenuto non provati i danni lamentati e nella parte in cui ha accolto la domanda riconvenzionale svolta dalla (...). In particolare, l'appellante, partendo dai condivisi principi di diritto espressi dal giudice nella sentenza di primo grado quanto alla prova anche presuntiva derivante dall'art. 1590 comma 2 c.c. circa in buono stato manutentivo della cosa locata al momento della conclusione del contratto e al conseguente onere gravante sul conduttore di provare la non imputabilità a lui di ogni danno riscontrato all'immobile locato all'atto della riconsegna, ha denunciato l'erroneità delle conclusioni del primo giudice, contrarie alle pacifiche emergenze in atti. Nello specifico, l'appellante ha sostenuto essere pacifico, poiché mai contestato dalla (...), che tanto l'appartamento quanto i beni presenti all'interno di esso- analiticamente riportati nell'inventario dell'arredamento e suppellettili sottoscritto alla stipula del contratto-erano stati consegnati in buono stato manutentivo. A fronte di tale situazione, l'appellante aveva prodotto le fotografie "anch'esse non contestate, che mostravano chiaramente i danni arrecati sia all'appartamento che agli arredi - certamente non riconducibili al fisiologico deteriorarsi dei materiali soggetti ad usura - nonché i preventivi indicanti i costi per lenecessarie riparazioni e per i ripristini". Quindi, doveva ritenersi assolto l'onere probatorio incombente sulla (...), atteso che dalle fotografie non "contestate" né "disconosciute" poteva trarsi, secondo la prospettazione dell'appellante, la piena prova di tutto quanto era risultato essere gravemente danneggiato dopo la riconsegna dell'immobile. Di conseguenza, in tesi, sarebbe irrilevante il fatto sottolineato dal giudice che all'atto della riconsegna dell'appartamento la locatrice non avesse "contestato per iscritto, mediante verbale di consegna del bene locato i singoli danni", atteso che da tale omissione non poteva desumersi alcuna volontà abdicativa al diritto di chiedere giudizialmente il risarcimento. In merito alla quantificazione dei danni l'appellante ha dedotto di aver provato -mediante la produzione della documentazione fotografia ed i preventivi di spesa - l'esistenza dei danni, tra l'altro indirettamente riconosciuti anche dalla (...) che nelle sue difese aveva confermato lo stato di degrado dei locali ed arredi, assumendone però la preesistenza (senza tuttavia fornire alcuna prova in merito). L'appellante ha infine sostenuto di aver fornito, tramite i preventivi, una prima stima dell'ammontare dei danni, per la cui quantificazione definitiva aveva chiesto disporsi apposita CTU. (...) ha, quindi, denunciato l'erronea valutazione di tutte le emergenze e le richieste istruttorie da parte del primo giudice, con conseguente violazione del disposto di cui all'art. 115 c.p.c., anche per l'immotivato rigetto delle istanze, insistendo per l'ammissione dei mezzi istruttori richiesti sin dal primo grado. Con il secondo motivo d'appello, (...) ha contestato la pronuncia di condanna della locatrice alla restituzione del deposito cauzionale asseritamente richiesta in via riconvenzionale dalla conduttrice, mentre la (...) non aveva proposto alcuna domanda di restituzione della cauzione versata, bensì richiesto la sola compensazione, totale o parziale, della cauzione con il credito eventualmente accertato. L'appellante ha osservato, in primo luogo, che la cauzione di Euro 1.400,00 era stata consegnata, come espressamente indicato in contratto, a titolo di "?garanzia dello adempimento degli obblighi contrattuali" (cfr all.1, art. 13, fasc. I grado) pertanto detta somma era stata interamente assorbita dal debito contratto dalla sig.ra (...) per i canoni di locazione non pagati, avendo quest'ultima in prossimità del rilascio dell'immobile, cessato ogni versamento a tale titolo. In secondo luogo, l'appellante ha sottolineato che la (...) aveva proposto la sola domanda di compensazione e non di rimborso della cauzione e, quindi, "la domanda nei termini proposta era palesemente condizionata ad un eventuale accertamento positivo di un credito vantato dalla Ricorrente, come inequivocabilmente attestato dalle conclusioni da lei (...) svolte ("... in ipotesi di accertamento di un diritto di credito a favore di parte ricorrente compensarlo con quanto dalla stessa detenuto a titolo di deposito cauzionale pari ad Euro 1.400,00 versata alla sottoscrizione del contratto" (cfr. comparsa di costituzione primo grado, pag. 4). Orbene, posto che nessun credito in favore della Ricorrente era stato accertato, nessuna compensazione poteva essere effettuata e, men che meno, poteva essere disposta la restituzione della caparra in favore della (...), posto che quest'ultima non l'aveva mai richiesta." Di conseguenza, ha denunciato l'appellante, "La decisione assunta dal Tribunale è, quindi, affetta da vizio di ultra o extra petizione (art. 112 c.p.c.), che preclude al Giudice di pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero di decidere su questioni che non hannoformato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato". La difesa (...), infine, ha chiesto la condanna della (...) al pagamento in favore delle Casse ed Ammende dello Stato della somma pari al contributo unificato per non essersi quella presentata davanti all'Organismo di Mediazione, secondo lart. 8 comma 4 bis D.Lgs. n. 28 del 2010, oltre alla condanna ex art. 96 c.p.c. Si è regolarmente costituita l'appellata che, nell'opporsi all'appello, ha sottolineato che: i. alla riconsegna dell'immobile non è stato redatto apposito verbale attestante contestazioni o constatazioni di danni; ii. non è stato richiesto un accertamento tecnico preventivo in prossimità della riconsegna; iii. non è stata prodotta una sola fattura attestante lavori edili in corso di causa; iv. lo stato dei luoghi risulta modificato dal nuovo utilizzo che dell'immobile sta facendo un nuovo conduttore. Quanto al primo motivo d'appello, la difesa della (...) ha replicato di aver sempre contestato la presenza di qualsivoglia danno all'interno dell'abitazione locata ascrivibile alla conduttrice, come dimostra il contenuto del documento n. 9 di parte appellante consistente in una lettera inviata il 27.6.2020 dal difensore della (...) alla signora (...) di contestazione degli asseriti danni. L'appellata inoltre ha sottolineato l'inidoneità delle prove asseritamente fornite dei danni, consistenti in meri preventivi di spesa, neppure accompagnati da alcuna fattura comprovante eventuali lavori eseguiti, e nelle fotografie dalle quali l'eventuale CTU dovrebbe desumere la presenza dei danni e loro quantificazione, oltre l'inammissibilità delle prove testimoniali richieste basate su capitoli di prova valutativi o da provare documentalmente. (...) ha infine allegato che l'abitazione era stata riallocata sul mercato ben prima dell'introduzione del presente giudizio sicchè il bene, da un punto di vista giuridico, era all'evidenza immediatamente idoneo alla produzione di un frutto civile goduto dalla proprietaria. In merito al secondo motivo d'appello, l'appellata ha sottolineato che, una volta restituito l'immobile è illegittima la detenzione della cauzione da parte dell'appellante che non ha alcun titolo di ritenzione, né ha svolto alcuna domanda di accertamento dell'esistenza di un valido titolo per trattenere tali somme. Di contro, secondo l'appellata, la tempestiva formulazione della domanda riconvenzionale è idonea a contrastare la deduzione della controparte di voler trattenere il deposito cauzionale a compensazione dei canoni non corrisposti e giustifica la condanna della locatrice alla restituzione della somma, come correttamente pronunciata dal giudice di primo grado. All'udienza del 15.2.2023, esperito invano il tentativo di conciliazione delle parti, all'esito della discussione dei difensori, la Corte ha pronunciato la sentenza dando lettura in udienza del dispositivo. L'appellante ha proposto due motivi di appello. Con il primo motivo, (...) ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto: - non provato il danno "... perché parte ricorrente, mediante la produzione della comunicazione con l'elencazione analitica dei danni riscontrati, oltre all'allegazione di n. 4 preventivi pur nell'assenza di una quantificazione del danno, non ha fornito la prova dei danni lamentati e della loro ascrivibilità all'utilizzo non conforme alla buona condotta daparte della resistente, non avendo contestato per iscritto mediante un verbale di consegna del bene locato i singoli danni (docc. 8, 11, 12, 13 fasc. ricorrente)" (cfr. sent. imp. pag. 4); - non quantificato il danno in quanto "... a sostegno della propria domanda, la parte ricorrente ha allegato una comunicazione munita di foto inviata all'agenzia immobiliare, una prima stima dei danni ammontante ad Euro 6.400,00 e tre successivi preventivi per le riparazioni, a tratti sovrapponibili, per un importo di circa Euro 15.000,00, senza effettuare una quantificazione precisa del danni, demandandola all'accertamento in corso di processo mediante l'escussione tecnica dei testi" (cfr. sent. imp. pag. 3). Pertanto, "?la produzione fotografica allegata dalla parte ricorrente, unitamente ai preventivi di spesa, non rende possibile una quantificazione e non perfeziona l'onere probatorio incombente sulla parte ricorrente" (cfr. sent. imp. pag. 4). Sostiene l'appellante l'erroneità della pronuncia che non tiene conto delle effettive risultanze istruttorie e dell'avvenuto assolvimento dell'onere probatorio da parte della ricorrente in primo grado, atteso che dalle fotografie prodotte, non "contestate" né "disconosciute", emerge l'esistenza dei danni riscontrati all'appartamento, suppellettili e arredamento dopo la riconsegna degli immobili e la loro quantificazione di massima è desumibile dai preventivi pure prodotti. Dalla doglianza mossa emerge, innanzitutto che l'appellante non ha impugnato l'affermazione di principio fatta dal giudice in merito di riparto onere probatorio, per cui è incontestato spetti al locatore fornire la prova, oltre che dei danni lamentati, che gli stessi non siano conseguenza dell'uso in conformità alla natura del bene, né del fisiologico deteriorarsi dei materiali. La decisione del primo giudice, sul punto, è conforme ai principi espressi dalla consolidata giurisprudenza di legittimità: "In tema di risarcimento del danno per l'inadempimento o l'inesatto adempimento dell'obbligo del conduttore - previsto dall'art. 1590 c.c. - di restituire la cosa locata nel medesimo stato in cui l'aveva ricevuta, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della stessa in conformità del contratto, incombe sul locatore fornire la prova del fatto costitutivo del vantato diritto, e cioè il deterioramento intervenuto tra il momento della consegna e quello della restituzione dell'immobile, mentre sul conduttore grava l'onere di dimostrare il fatto impeditivo della sua responsabilità, e cioè che il deterioramento si è verificato per uso conforme al contratto o per fatto a lui non imputabile." (Cass. Ordinanza n. 6387 del 15/03/2018). Ed ancora, con la più recente Ordinanza n. 8526 del 06/05/2020, la Corte di Cassazione ha affermato: "L'inadempimento o l'inesatto adempimento dell'obbligazione contrattuale è di per sé un illecito, ma non obbliga l'inadempiente al risarcimento se, in concreto, non è derivato un danno al patrimonio del creditore, neppure nell'ipotesi disciplinata dall'art. 1590 c.c. Ne consegue che il conduttore non è tenuto al risarcimento se dal deterioramento della cosa locata, superiore a quello corrispondente all'uso della stessa in conformità del contratto, per particolari circostanze non è conseguito un danno patrimoniale al locatore". Orbene, nel caso di specie, la prova dei danni, in mancanza di verbale di consegna in cui le parti in contraddittorio abbiano attestato lo stato dell'immobile e mobilia, dovrebbe desumersi, secondo la tesi dell'appellante, dalla comunicazione email inviata dalla (...) all'agente immobiliare e dalle fotografie prodotte in atti. Esaminando gli atti e, in particolare, dai documenti prodotti, risulta che la conduttrice (...) ha pacificamente lasciato l'immobile locato il 9.5.2020; con la comunicazione inviata dalla (...) all'agente immobiliare l'11 maggio 2020, riportante come oggetto "relazione consegna appartamento Poasco", la locatrice ha segnalato che la casa era stata dipinta male, tanto che in alcuni punti era presente la muffa (seppure non visibile dalle fotografie, come riferito dalla (...) nella medesima email), che la casa era stata riconsegnata molto sporca; che alcune persiane non erano recuperabili e comunque erano deteriorate perché non erano stati svolti lavori di manutenzione negli anni; che la porta finestra della cucina e tutte le finestre non chiudevano bene e le zanzariere erano bucate o rotte. Nella medesima email la proprietaria riportava un elenco dei mobili ed elettrodomestici asseritamente danneggiati suddiviso per locali dell'appartamento (cfr. doc. 6 fasc. I grado (...)). A fronte dei danni così lamentati, l'odierna appellata, con lettera del proprio legale del giugno 2020 (sub. doc. (...) fasc. I gr. (...)) ha subito respinto ogni addebito replicando che in occasione del sopralluogo effettuato -nel contraddittorio tra le parti-per la riconsegna dell'immobile, volto proprio a verificare le condizioni dello stesso prima della riconsegna, nessuna eccezione o contestazione di vizi era stata sollevata alla conduttrice che aveva regolarmente riconsegnato il bene e relative chiavi. Solo successivamente la proprietaria aveva cercato ripetutamente la (...) per contestare gli asseriti vizi, mandando il preventivo per la riparazione dei danni pari a 6.400,00 Euro (cfr. doc. 8 fasc. I gr. (...)), tra i quali compariva anche la ritinteggiatura dell'immobile che la (...) aveva pacificamente fatto fare a proprie spese. Ancora dalle missive scambiate tra avvocati e prodotte in atti risulta che il legale della (...) aveva evidenziato che al momento della restituzione dell'immobile la locatrice aveva trattenuto la caparra corrisposta ad inizio locazione dalla conduttrice per provvedere a "piccoli lavori di rifacimento". (v. all.10 fasc. primo grado appellante). Ebbene, come detto, la prova dell'esistenza dei danni contestati alla locatrice e loro quantificazione dovrebbe desumersi dalla mail dell'11 maggio della (...) (con allegate fotografie dell'appartamento) e dai preventivi di spesa prodotti. Dalla lettura dell'indicata email e dai danni descritti, in particolar modo con riferimento alla denunciata presenza di muffa, sporcizia, ruggine, cattiva chiusura dei serramenti e generale deterioramento dei beni, emerge principalmente un generale stato di incuria della casa e i danni elencati appaiono ben compatibili con un'usura dei beni correlata ad un uso normale e continuato per anni dell'abitazione, mentre non vi sono elementi da cui poter evincere con la dovuta certezza un uso non conforme alla funzione propria dei beni o ad un ordinario deteriorarsi dei materiali soggetti ad usura. La prova dei lamentati danni non può essere validamente desunta neppure dalle fotografie prodotte dalla (...), dalle quali non possono trarsi elementi di valutazione precisi e concordanti anche ai fini di una ipotetica perizia, atteso che dalle sole immagini non si evince l'esistenza in sé dei danni, non è dato acquisire contezza della gravità e quindi rilevanza degli stessi, che dovevano essere allegati con precisione e dimostrati in termini di ragionevole certezza. Certamente non suppliscono la carenza probatoria i preventivi di spese prodotti dall'appellante, privi di qualsiasi requisito di autenticità e provenienza, non essendo neppure sottoscritti dai rappresentanti delle diverse ditte che li avrebbero redatti e, comunque, non comprovanti eventuali costi e spese sostenute dall'appellante per la rimozione dei denunciati vizi. Tra l'altro i preventivi di spese prodotti dall'appellante successivamente al primo elencano alcuni lavori non previsti nè segnalati nella prima comunicazione della (...), quale l'integrale rifacimento della cucina e del bagno e, quindi, neppure contestati tempestivamente alla (...). In conclusione, la domanda risarcitoria dell'appellante va rigettata, come correttamente sostenuto dal primo giudice perché manca la prova dei danni lamentati, della loro ascrivibilità all'utilizzo non conforme alla buona condotta della conduttrice, ma anche perché manca la prova che dal deterioramento della cosa locata, sia conseguito un danno patrimoniale al locatore, come sancito dalla Corte di Cassazione nella recente Ordinanza n. 8526 del 06/05/2020. Il tempo trascorso dalla riconsegna dell'immobile, in mancanza di un accertamento tecnico nell'immediatezza dei fatti, preclude la possibilità di effettuare allo stato eventuali verifiche sulle condizioni dello stesso, né sono ammissibili le prove testimoniali richieste in appello, vertenti su circostanze valutative o da provare documentalmente. Con il secondo motivo d'appello, l'appellante ha evidenziato l'erroneità della decisione del primo giudice che ha condannato (...) a restituire a (...) F. la somma da questa versata a titolo di deposito cauzionale in assenza di specifica domanda restitutoria della conduttrice. La doglianza è fondata e merita accoglimento. Se infatti è indiscutibile che al termine del rapporto locatizio, a seguito del rilascio dell'immobile locato, sorge in capo al locatore l'obbligo di restituire il deposito cauzionale e, ove il locatore trattenga la somma senza proporre domanda giudiziale per l'attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti o di importi rimasti impagati, il conduttore può esigerne la restituzione, tuttavia è imprescindibile che il conduttore, dal suo canto, richieda la restituzione del deposito cauzionale. Nel presente giudizio la conduttrice (...), convenuta in giudizio per l'accertamento dei danni riscontrati nell'immobile e relativo risarcimento, non ha richiesto la restituzione del deposito cauzionale ma ha solo richiesto la compensazione di quanto versato a titolo di cauzione con il credito eventualmente accertato a favore della locatrice. Pertanto, in accoglimento del motivo d'appello, la condanna di (...) alla restituzione di Euro 1.400,00 va riformata, poiché intervenuta in assenza di alcuna domanda restitutoria della (...). Va infine dichiarata inammissibile l'ulteriore domanda proposta dalla (...) di condanna dell'appellata al pagamento della sanzione stabilita dall'art. 4 bis del D.Lgs. n. 28 del 2010 per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, poiché attiene ad una sanzione prevista a favore dello Stato rimessa alla determinazione del giudice-se ne ravvisa i presupposti- in relazione alla quale la parte non ha alcun interesse alla relativa pronuncia e non si tratta di un'omessa pronuncia su una questione oggetto del contendere. Passando alle spese di lite, ritiene il collegio che, alla parziale riforma della sentenza di primo grado non debba seguire una riforma della sentenza di primo grado in punto di spese del giudizio, atteso che la condanna alla restituzione della cauzione è avvenuta su decisione assunta d'ufficio dal giudice. Quanto alle spese del presente grado, liquidate come in dispositivo, le stesse devono gravare sull'appellante sostanzialmente soccombente nel giudizio, poiché la statuizione della sentenza riformata non trovava causa in una domanda della controparte. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...)C.(...) avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 3400/2022, pubblicata in data 13/04/2022, così provvede: 1. In parziale riforma accerta l'assenza di domanda di restituzione del deposito cauzionale e annulla la relativa condanna; 2. condanna l'appellante al pagamento in favore della parte appellata delle spese del presente grado del giudizio, che liquida ai sensi del D.M. n. 147 del 2022 in complessivi Euro 3.011,00, di cui Euro 1.134,00 per la fase di studio, Euro 921,00 per la fase introduttiva ed Euro 956,00 per la fase decisionale, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Milano il 15 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2023.

  • La Corte d'Appello di Napoli sottolinea in sentenza come il mutuo sia un contratto reale che si perfeziona con la consegna dal mutuante al mutuatario (da intendersi non necessariamente come materiale e fisica traditio, rivelandosi all'uopo sufficiente il conseguimento della disponibilità giuridica da parte dello stesso mutuatario) di una determinata quantità di danaro, o di altre cose fungibili, e che implica l'assunzione, ad opera del secondo, dell'obbligo di restituire al primo altrettante cose della stessa specie e qualità (art. 1813 c.c.). L'uscita del denaro dal patrimonio dell'istituto di credito mutuante e l'acquisizione dello stesso al patrimonio del mutuatario costituisce effettiva erogazione dei fondi anche se la somma sia versata dalla banca su un deposito cauzionale infruttifero: il dato rilevante, infatti, è, come detto, che la somma sia messa a disposizione della parte mutuataria ed utilizzata per soddisfare esigenze e obbligazioni ad essa riferibili, che, in assenza di tale messa a disposizione, avrebbero dovuto essere soddisfatte con denaro proveniente dal patrimonio della mutuataria. Ciò anche in armonia con la progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e la loro sostituzione con annotazioni contabili, tenuto conto che, sia la normativa antiriciclaggio che le misure normative tese a limitare l'uso di contante nelle transazioni commerciali, hanno accentuato l'utilizzo di strumenti alternativi al trasferimento di danaro. Sul piano probatorio, l'onere della prova dell'erogazione della somma data a mutuo è assolto dall'istituto di credito mutuante mediante la produzione in giudizio dell'atto pubblico notarile di erogazione e quietanza, senza che sia necessario produrre anche gli estratti conto comprovanti l'erogazione delle somme mutuate. E così la banca mutuante, che chieda l'ammissione del proprio credito nel fallimento del mutuatario, assolve l'onere di provare la consegna del denaro mediante la produzione della quietanza di erogazione del mutuo e della contabile che attesta lo svincolo delle somme, riprodotte in un atto notarile. (Gi.Ca.)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI NAPOLI SEZIONE III CIVILE in composizione collegiale nelle persone di Dott.ssa Maria Silvana Fusillo Presidente Dott.ssa Regina Marina Elefante Consigliere Dott. Fernando Amoroso Giudice Ausiliario Rel./Est. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 1504/2017 del ruolo generale, promossa da (...) rappresentanti e difesi dall'Avv. (...), elettivamente domiciliati in (...), presso lo studio dell'Avv. (...); APPELLANTI contro (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...), presso il cui studio, in(...); APPELLATA - APPELLANTE INCIDENTALE Avverso la sentenza n. 1987/2016 del G.U. del Tribunale di Benevento, pubblicata in data 06.09.2016 e non notificata. RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. E' impugnata, con atto notificato il 06.03.2017, la sentenza evidenziata in epigrafe, con la quale il G.U. Tribunale di Benevento, adito dagli odierni appellanti, in opposizione a decreto ingiuntivo n. 703/2010 (per l'importo di euro 37.432,36), in parziale accoglimento dell'opposizione, ha revocato il provvedimento monitorio, condannando gli opponenti al pagamento, in favore della (...), "della somma a determinarsi previa riduzione del tasso di interesse per il primo trimestre del 2003 al tasso soglia prescritto per quel periodo" (V. dispositivo della sentenza impugnata). 2. Nell'originario ricorso monitorio la Banca istante aveva dedotto di essere creditrice degli ingiunti, quali garanti fideiussori (...) per esposizione in C/C, acceso dalla debitrice principale, dichiarata, nelle more del giudizio a quo, fallita. 3. Con l'opposizione, gli opponenti avevano eccepito usura, anatocismo e decadenza della ricorrente ex art. 1957 c.c. 4. Il Tribunale, qualificato il rapporto dedotto in lite come garanzia autonoma, sulla scorta degli esiti peritali, ha accolto l'eccezione di usura, limitatamente al primo trimestre 2003, e, revocato il decreto opposto, ha rinviato ad altra sede l'accertamento del credito vantato dalla Banca in danno degli opponenti, compensando integralmente tra le parti le spese di lite. 5. Con il gravame, sostanzialmente affidato ad un unico motivo, gli appellanti censurano la natura autonoma della garanzia prestata in favore (...), opponendo, tra l'altro, il giudicato della sentenza n. 722/2015 del Tribunale di Benevento, che, quanto al rapporto principale, rappresentato da C/C, ha accertato un credito della Società garantita, pari ad una somma di poco inferiore ai 60 mila euro. 5.1. Ha resistito l'appellata, che ha, a sua volta, spiegato gravame incidentale avverso la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto la sussistenza del fenomeno usurario, sia pure limitato al primo trimestre del 2003. Vinte le spese. 5.2. All'udienza del 26.10.2022, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti costituite, la causa veniva introitata a sentenza, con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di conclusionali e repliche. 6. L'appello principale è fondato. 6.1. Il Tribunale ha qualificato il contratto di garanzia dedotto in monitorio dalla Banca ricorrente, ancorché fidejussione omnibus, di natura autonoma rispetto all'obbligazione principale rinveniente da esposizione di C/C della Società garantita, atteso il tenore letterale dell'art. 8 del contratto dedotto in monitorio e per il quale i garanti erano tenuti a pagare "immediatamente" alla Banca "a semplice richiesta scritta". Dopo aver rilevato l'incompatibilità con la natura autonoma della garanzia di tutte le eccezioni sollevate dagli opponenti ed inerenti il rapporto sottostante (ivi compresa quella di anatocismo), ha ritenuto di accogliere solo quella avente ad oggetto la denunciata usura, limitandola, tuttavia, al primo trimestre del 2003. 6.2. Con il gravame, invece, gli appellanti sostengono l'esatto opposto, facendo leva sul fatto che la richiamata clausola non precludeva, in ogni caso, ai garanti di sollevare eccezioni, difettando dell'inciso "senza sollevare eccezioni, ovvero senza contestazioni, oppure ancora incondizionatamente" (V. pag. 7 dell'atto di appello). 6.3. La Corte non ritiene condivisibile l'ordito motivazionale con il quale il Tribunale ha inteso valorizzare la natura autonoma della garanzia prestata dagli odierni appellanti, in ragione delle seguenti considerazioni. 6.4. La Sezione, infatti, ha già avuto modo di rilevare che la c.d. "fidejussione omnibus", quale garanzia destinata alla copertura di plurimi rapporti inerenti altrettante obbligazioni principali, sia pure sino alla concorrenza di un limite massimo garantito (art. 1938 c.c.), difficilmente può integrare gli estremi di un contratto autonomo di garanzia (Corte d'App. Napoli, Sezione III, n. 3378/2022). 6.4.1. E' ben noto che le SS.UU., con la sentenza n. 3947/2010, con riferimento alla distinzione in generale fra fideiussione e garanzia autonoma, hanno inteso espressamente formulare un criterio direttivo per la qualificazione della garanzia con clausola "a prima richiesta" e/o "senza eccezioni", al fine di consentire, ex ante, la necessaria prevedibilità della decisione giudiziaria in caso di controversia, restringendo le maglie di aleatori spazi ermeneutici sovente forieri di poco comprensibili disparità di decisioni a parità di situazioni esaminate, sì da orientare l'interprete, in presenza di simili clausole, verso l'approdo alla autonoma fattispecie della (...), fatta salva la differente interpretazione risultante dal complesso delle clausole inserite nella convenzione negoziale (Cass. n. 27619/2020). La pronuncia, tuttavia, negli anni a seguire non è risultata di particolare ausilio, dal momento che la stessa giurisprudenza di legittimità, conformemente al principio per cui la qualificazione del rapporto si risolve in una "quaestio facti", si limita a confermare o annullare le decisioni di merito; mentre, queste ultime risultano piuttosto ondivaghe, nel senso che si registrano pronunce per le quali sarebbero necessarie, al fine della qualificazione della garanzia come autonoma, entrambe le clausole ("a prima richiesta" e "senza eccezioni"); altra parte della giurisprudenza ha invece dedotto che, a detto fine, sarebbe sufficiente la clausola "a prima richiesta" o, alternativamente e disgiuntamente, quella "senza eccezioni". Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto di aderire a quest'ultimo orientamento, valorizzando la presenza nel contratto dedotto in lite della sola clausola espressa "a prima richiesta" (V. pag. 2 della sentenza impugnata). 6.4.2. Il Collegio, ai fini della natura della "fidejussione omnibus", ritiene di valorizzare altri profili, primo, tra tutti, la causa, che, nel rapporto di garanzia di che trattasi, non può di certo identificarsi nella funzione cauzionale o indennitaria che è caratteristica della garanzia autonoma. La fideiussione, infatti, ha funzione "satisfattoria", nel senso che è diretta a garantire proprio l'adempimento dell'obbligazione del debitore principale, sia pure entro un tetto massimo garantito. La prestazione del fideiussore omnibus è omogenea qualitativamente a quella del debitore principale, impegnandosi il garante ad eseguire la medesima prestazione, pecuniaria, del debitore garantito. In base al principio della solidarietà, tipico della fideiussione, il creditore ha la possibilità di chiedere l'adempimento sia al debitore principale che al fideiussore, a partire dal momento in cui il credito è esigibile; la garanzia autonoma, invece, assiste normalmente prestazioni infungibili e può essere azionata solo all'esito dell'inadempimento del debitore principale, garantendo al beneficiario una sorta di risarcimento sotto forma di indennizzo o penale, per un importo che risulta, a priori, al momento della sottoscrizione della garanzia, già predeterminato. La fideiussione omnibus, invece, ha la funzione di assicurare al creditore la somma che effettivamente risulterà ex post, al termine dello svolgimento del rapporto, non pagata dal debitore principale, sia pure - si ribadisce - entro un tetto massimo pattuito (art. 1938 c.c.). Sono le stesse SS. UU., nella richiamata pronuncia del 2010, a precisare che "il contratto autonomo di garanzia ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che può riguardare anche un fare infungibile (quale è l'obbligazione dell'appaltatore), contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l'adempimento della medesima obbligazione principale e prestazione dovuta dal garante; inoltre, la causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l'elemento dell'accessorietà, è tutelato l'interesse all'esatto adempimento della medesima prestazione principale. Ne deriva che, mentre il fideiussore è un "vicario" del debitore, l'obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all'obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita (e non necessariamente sovrapponibile ad essa), perché non rivolta all'adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore". 6.4.3. Ulteriori elementi che militano nel senso di collocare la fideiussione omnibus fuori dall'ambito della garanzia autonoma, sono rappresentati: a) dal fatto che la fideiussione è normalmente ricevuta da una Banca (c.d. fideiussione attiva), mentre quella autonoma vede la stessa Banca nel ruolo di garante (c.d. fideiussione passiva); b) la fideiussione omnibus concerne obbligazioni future, mentre la garanzia autonoma accede ad obbligazioni contestuali all'assunzione della garanzia; c) la garanzia autonoma, nei rapporti garante-debitore principale, ha un carattere necessariamente oneroso, a differenza del carattere normalmente gratuito della fideiussione omnibus. 6.4.4. Quanto alle clausole solitamente inserite nelle fideiussioni omnibus, di deroga alle disposizioni codicistiche, è la stessa giurisprudenza di legittimità ad aver chiarito, a più riprese, come tali clausole, in sé considerate, siano compatibili con la fideiussione tipica, e comunque non tali da comportarne la trasformazione in garanzia autonoma. La clausola di pagamento "immediato e a prima richiesta", normalmente presente nel testo della garanzia, per quanto detto sopra avrebbe - alternativamente o cumulativamente secondo le varie interpretazioni - l'effetto di un esonero del creditore dall'onere della prova dell'inadempimento dell'obbligazione principale, di una deroga all'art. 1957 c.c. (nel senso di escludere la necessità di un'azione giudiziale per evitare la decadenza prevista dalla norma, essendo sufficiente una richiesta in forma scritta (Cass. 22346/2017) o di una clausola cosiddetta solve et repete, sul modello dell'art. 1462 c.c., che impone al garante l'obbligo del pagamento immediato della somma richiesta dal beneficiario, ma con riserva della sua facoltà di sollevare eccezioni nei confronti del creditore dopo il pagamento (Cass. n. 4446/2008). 6.4.5. Del resto, mette conto evidenziare che nel più volte richiamato arresto del 2010, le SS.UU. hanno scrutinato la fattispecie avente ad oggetto una polizza fideiussoria (fideiussione assicurativa collegata a un contratto di appalto, alternativa alla cauzione reale, e avente per oggetto un indennizzo pari al 10 per cento del valore di appalto); sicché, risultava del tutto ragionevole ritenere che la clausola "a prima richiesta" o "senza eccezioni" fosse sufficiente per qualificare la garanzia come autonoma, essendo coerenti con questa qualificazione il contenuto e la causa del contratto di garanzia. Attesa, invece, la funzione satisfattoria della fideiussione omnibus, quest'ultima rientrerebbe a pieno titolo proprio nella previsione della pronuncia n. 3947/2010, vale a dire di un contenuto della garanzia "dissonante" rispetto a una interpretazione della clausola "a prima richiesta" quale volta a staccare completamente l'obbligazione di garanzia dall'obbligazione principale. 6.4.6. Anche la c.d. clausola di sopravvivenza non intacca l'accessorietà dell'obbligazione del fideiussore rispetto al debito principale, dal momento che per effetto di tale clausola l'obbligo dei fideiussori di garantire la restituzione delle somme comunque erogate, anche se le obbligazioni garantite fossero dichiarate invalide, non comporta che il fideiussore non possa eccepire la validità dell'obbligazione garantita, ma soltanto che l'eventuale dichiarazione di nullità non può influire sull'obbligo di restituzione della sorte capitale effettivamente erogata. 6.4.7. Come pure, la clausola di deroga all'art. 1957 c.c. non comporta automaticamente la trasformazione in una garanzia di tipo autonomo: la deroga all'art. 1957 c.c. contenuta nell'atto di fideiussione non avrebbe rilievo decisivo per la qualificazione di un negozio come contratto autonomo di garanzia o come fideiussione, in quanto detta disposizione risponde a un'esigenza di protezione del fideiussore che prescinde dall'esistenza di un vincolo di accessorietà tra l'obbligazione di garanzia e quella del debitore principale (Cass. n. 28943/2017). A tal proposito, la Sezione ha già avuto modo di precisare che la c.d. nullità "speciale", di cui alla recente pronuncia a SS.UU. n. 41994/2021, delle tre clausole conformi al modello ABI dichiarate illecite dalla Autorità Garante (fra cui la clausola di deroga all'art. 1957 c.c.) discende dalla loro natura - in quanto attuative dell'intesa a monte vietata - di disposizioni restrittive, in concreto, della libera concorrenza, e non certo dalla effettuata deroga alle norme codicistiche in tema di fideiussione. 6.4.8. In ultimo, il c.d. patto di reviviscenza, con cui il fideiussore si impegna a rimborsare le somme che la Banca avesse incassato (dal debitore) per le obbligazioni garantite quando fosse tenuta a restituirle in seguito ad annullamento o revoca dei pagamenti stessi, comporta solo ad identificare l'oggetto dell'obbligazione fideiussoria come tuttora riferibile al rapporto principale, posto che questo non si è definitivamente estinto con un pagamento valido ed irrevocabile. 7. Ad avviso del Collegio non si palesa condivisibile neanche il rilievo del Tribunale inerente all'affermata incompatibilità tra la natura autonoma della garanzia e l'eccezione di anatocismo (V. pag. 2 della sentenza impugnata). E' pur vero che oggi, di per sé, il fenomeno dell'anatocismo, in presenza della pari capitalizzazione trimestrale degli interessi (sia debitori che creditori), non è più in assoluto vietato dall'ordinamento. Tuttavia, nel caso concreto, può esserne fatto un utilizzo distorto e deviato rispetto allo schema delineato dal Legislatore (e dal CICR, in seguito alla delibera del 09.02.2000), ed è per questo motivo che quando la capitalizzazione degli interessi viene predisposta in assenza delle condizioni che la legittimano, allora la stessa deve ritenersi vietata, e pertanto nulla. La Suprema Corte, infatti, afferma che anche il garante autonomo è "pienamente legittimato a sollevare, nei confronti della banca, l'eccezione di nullità della clausola anatocistica, allorquando essa non si fondi, come nella specie, su di un uso normativo (e non ricorrano, ovviamente, le altre condizioni legittimanti di cui all'art. 1283). Va evidenziato, del resto, che, se si ammettesse la soluzione contraria, si finirebbe per consentire al creditore di ottenere, per il tramite del garante, un risultato che l'ordinamento vieta" (Cass. n. 371/2018). 8. Nel merito delle eccezioni, il Collegio non può non prendere atto dell'intervenuto giudicato della sentenza n. 722/2015 del Tribunale di Benevento, che, non solo ha azzerato l'esposizione debitoria della (...) ma ha altresì riconosciuto, in favore della Curatela, un credito pari ad una somma di poco inferiore ai 60 mila euro. La Banca appellata, pur non contestando la fonte del credito accertato in capo alla Curatela della debitrice principale, vale a dire lo stesso rapporto di C/C dedotto in monitorio, ha tuttavia affermato che trattasi di credito imputabile a differente periodo rispetto al saldo ingiunto. Trattasi, tuttavia di deduzione che è rimasta ferma al profilo assertivo, della quale il Collegio, pertanto, non può tenere conto. In ogni caso, anche la ctu espletata in primo grado, a relazione del (...) ha concluso per la sussistenza di un credito, in favore della correntista, pari ad euro 19.375,80 (V. all. 13 del fascicolo di parte appellante). 9. Di conseguenza, la domanda avanzata in monitorio dalla Banca appellata va integralmente rigettata. 10. Va da sé il rigetto del gravame incidentale, ontologicamente incompatibile con l'accoglimento di quello principale. 11. All'accoglimento del gravame principale segue la condanna dell'appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che, tenuto conto del valore della controversia (...), dell'attività svolta dai procuratori delle parti (con esclusione della fase istruttoria in senso stretto, per il presente grado) e dei parametri (medi) di cui al D.M. n. 55/2014, quanto al primo grado, e di quelli di cui al D.M. n. 147/2022, per il presente, si liquidano come da dispositivo. 11.1. Stessa sorte per le spese di ctu liquidate in primo grado e che vanno definitivamente poste a carico della Banca appellata. 12. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, trattandosi di gravame proposto dopo il 30.01.2013, sussistono i presupposti dell'obbligo di versamento, a carico dell'appellante incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'appello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte d'Appello di Napoli, terza sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto, con atto notificato il 06.03.2017, da (...) nei confronti di (...), nonché sull'appello incidentale proposto da quest'ultima avverso la sentenza n. 1987/2016 del G.U. del Tribunale di Benevento, così provvede: - in accoglimento dell'appello principale ed in riforma integrale della impugnata sentenza, rigetta la domanda avanzata in monitorio dalla Banca appellata in danno degli odierni appellanti; - rigetta l'appello incidentale e condanna la Banca appellata al pagamento, in favore degli appellanti, delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida, quanto al primo grado, in complessivi euro 7.449,00, di cui euro 195,00 per spese, oltre rimborso forfettario al 15 per cento, Cassa Avv.ti ed IVA come per legge; e, quanto al presente grado, in complessivi euro 7.731,00, di cui euro 804,00 per spese, oltre rimborso forfettario al 15per cento, Cassa Avv.ti ed IVA come per legge; con distrazione in favore dell'Avv. (...), che ha reso dichiarazione di rito; - ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, trattandosi di gravame proposto dopo il 30.01.2013, dichiara la sussistenza dei presupposti dell'obbligo di versamento, a carico della parte appellante incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'appello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. Così deciso in Napoli l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere Dott. DI PISA Fab - rel. Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 23/02/2021 della Corte d'appello di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Sergio Di Paola; Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cuomo Luigi, che ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Ancona, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene ritenute di giustizia, ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, pronunciata nei confronti di (OMISSIS) dal Tribunale di Fermo in data 12 aprile 2019, per il reato di appropriazione indebita. 2. Propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato. deducendo, con il primo motivo, violazione della legge penale, in relazione agli articoli 1140 e 1385 c.c., e vizio di motivazione, illogica e contraddittoria, per aver ritenuto che la mancata restituzione della caparra confirmatoria versata dalla persona offesa al momento della conclusione del contratto, poi rimasto ineseguito, costituiva condotta penalmente rilevante, trattandosi invece di mero illecito civile poiche' la somma versata a titolo di caparra (peraltro sul conto corrente della concessionaria per la quale l'imputato svolgeva attivita' di mediazione) era entrata a far parte del patrimonio della parte che l'aveva ricevuta, non sussistendo quindi il presupposto del possesso nomine alieno della somma da parte del ricorrente. 2.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione, per contraddittorieta', per aver addebitato al ricorrente la condotta di interversione del possesso delle somme di denaro, pacificamente ricevute non dall'imputato ma dalla concessionaria con cui la persona offesa aveva stipulato il contratto. 2.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, per avere ritenuto che la mancata restituzione della somma, indipendentemente dalla qualificazione come deposito cauzionale o caparra confirmatoria, integra l'elemento oggettivo della fattispecie prevista dall'articolo 646 c.p.. 2.3. Con il quarto motivo si deduce ulteriore violazione di legge, in riferimento all'articolo 1140 c.c., poiche' il ricorrente non aveva mai avuto la possibilita' di conseguire il possesso delle somme versate dal promittente acquirente alla concessionaria. 2.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in relazione all'articolo 131 bis c.p., e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilita' del fatto di particolare tenuita'. 2.5. Con il sesto motivo si deduce violazione di legge, in relazione all'articolo 164 c.p., e vizio di motivazione circa il diniego della sospensione condizionale della pena. 3. La Corte ha proceduto all'esame del ricorso con le forme previste dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020, applicabili ai sensi del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, convertito, con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 1.1. Con i primi quattro motivi di ricorso, pur censurando plurime violazioni di legge, il ricorrente persegue il medesimo obiettivo, ossia quello di attaccare la sentenza censurando l'individuazione dell'elemento oggettivo del contestato delitto, perche' ancorata ad elementi fattuali che escluderebbero il dato della disponibilita' della somma di denaro da parte del ricorrente, oltre ad esser quei dati erroneamente qualificati dal punto di vista giuridico. La suggestiva enfatizzazione del versamento della somma da parte del promissario acquirente del veicolo, avvenuto sul conto bancario intestato alla concessionaria (indicata dall'odierno ricorrente), quale sicuro indice dell'ingresso nel patrimonio di un soggetto diverso dal ricorrente, non tiene conto della condizione puntualmente ricostruita dalle sentenze di merito; si e' evidenziato come la destinazione delle somme in favore della concessionaria di autoveicoli fosse stata espressamente richiesta e indicata dal ricorrente, che attraverso quell'operazione mirava a compensare gli ingenti debiti da lui contratti con il Passarelli, titolare della concessionaria, attraverso le provvigioni che gli sarebbero state riconosciute (pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata). Conseguentemente, la sicura appropriazione (realizzata impegnando somme inerenti ad una vicenda traslativa tra acquirente e venditore per finalita' del tutto diverse e incompatibili con il versamento del denaro operato dall'acquirente) rende ultronea ogni censura in punto di qualificazione del titolo in forza del quale le somme siano state versate. 1.2. Il quinto motivo di ricorso e' manifestamente infondato, poiche' la Corte territoriale ha indicato gli elementi oggettivi e soggettivi che ostavano al riconoscimento della causa di non punibilita' mentre il ricorrente reitera i medesimi argomenti gia' vagliati dalla sentenza impugnata, peraltro evocando la rilevanza di elementi fattuali successivi alla consumazione del reato (il recupero delle somme versate dalla parte acquirente) che non rilevano nella valutazione ex articolo 131 bis c.p. (Sez. 5, n. 660 del 02/12/2019, dep. 2020, P., Rv. 278555 - 01). 1.3. Il sesto motivo di ricorso e' del tutto generico nella formulazione e non si confronta con il dato obiettivo indicato dalla sentenza impugnata circa l'esistenza di precedenti ostativi alla concessione del beneficio. 2. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche', ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI FIRENZE TERZA SEZIONE CIVILE La Corte di Appello di Firenze, Terza Sezione Civile, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Simonetta Afeltra - Presidente dott.ssa Maria Teresa Paternostro - Consigliere dott. Antonio Picardi - Consigliere rel. all'udienza di discussione del 25.1.2023 ha pronunciato ex art. 437 cod. proc. civ., la seguente SENTENZA nel procedimento civile in grado di appello iscritto al n. 1668/2020 RG del ruolo generale degli affari contenziosi civili promosso da: (...), rappresentata e difesa dagli Avv.ti Fr.Ma. e Fr.Ba. in virtù di procura in atti APPELLANTE CONTRO (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Ia.To. in virtù di procura in atti APPELLATO AVVERSO la sentenza del Tribunale di Firenze n. 1452/2020 depositata in data 18.6.2020; all'udienza collegiale del 25.1.2023 la causa veniva posta in decisione sulle seguenti: SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato in data 12.10.2020, ritualmente notificato unitamente al pedissequo decreto di fissazione udienza, (...) conveniva in giudizio, dinanzi a questa Corte di Appello, (...), appellando la sentenza del Tribunale di Firenze n. 1452/2020, depositata in data 18.6.2020, che aveva così deciso: "CONDANNA (...) al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 15.000,00 a titolo di canoni di locazione non corrisposti, oltre interessi dalle singole scadenze al saldo, nonché della somma di Euro 10.200,00 a titolo di penale giornaliera per il mancato tempestivo rilascio dell'immobile alla scadenza; CONDANNA, altresì, (...) al pagamento, in favore di (...), della complessiva somma di Euro 42.391,65 oltre iva per il ripristino dell'immobile, da cui deve essere detratto il deposito cauzionale a suo tempo versato dal conduttore, oltre interessi, e della ulteriore somma di Euro 9.711,11 a titolo di spese per la gestione dell'immobile. RIGETTA la domanda riconvenzionale di parte opponente. CONDANNA altresì la parte opponente a rimborsare alla parte intimante le spese di lite, che si liquidano in Euro 8.030,00 per compensi ed in Euro 379,00 per esborsi, oltre i.v.a., c.p.a. e 15% per spese generali. Pone definitivamente a carico esclusivo della parte opponente le spese della CTU, già liquidate". 1 - Il giudizio di primo grado. 1.1. - Con atto di intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida, (...) conveniva in giudizio (...), esponendo: di essere proprietario di una villa ubicata in (...) a R., via di F., n. 22; che, con contratto del 16.12.2016, registrato il 28.11.2016, aveva concesso in locazione, per la durata di mesi diciotto (e, cioè, fino al 15.6.2018), il predetto bene a (...), al canone mensile di Euro 7.500,00; che la conduttrice si era resa morosa nel pagamento dei canoni di locazione dei mesi di maggio e giugno 2018, per complessivi Euro 15.000,00; che le parti avevano previsto che il mancato pagamento del canone costituiva motivo di risoluzione del contratto; che ogni sollecito di pagamento era risultato vano; chiedeva, quindi, di convalidare lo sfratto per morosità, ordinando alla convenuta l'immediato rilascio dell'immobile, dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice ed emettere decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per l'importo di Euro 15.000,00 oltre interessi legali; chiedeva, inoltre, la condanna della (...) al pagamento dei canoni a scadere nonché alla penale contrattualmente prevista di Euro 600,00 per ogni giorno di ritardo nel rilascio dell'immobile. 1.2. - Si costituiva in giudizio (...), non contestando l'esistenza della morosità e rilevando che, in data 2.7.2018, aveva proceduto alla riconsegna dell'immobile, ragion per cui chiedeva dichiararsi la cessazione della materia del contendere in merito alla domanda di risoluzione del contratto e di riconsegna del bene; contestava, inoltre, la domanda di pagamento della penale, sia perché non dovuta sia perché eccessiva e sproporzionata; infine, chiedeva, in via riconvenzionale, la restituzione del deposito cauzionale versato nella misura di Euro 24.000,00 e, quindi, in eccesso rispetto al limite di tre mensilità di cui all'art. 11 della L. n. 431 del 1998 (corrispondente ad un totale di Euro 22.500,00), ed anche perché il bene era stato riconsegnato in un uno stato conseguente ad un normale utilizzo. 1.3. - Disposto il mutamento del rito, in sede di memoria integrativa ex art. 426 c.p.c., il (...) richiedeva la condanna della (...) anche al pagamento della somma di Euro 46.072,08 per l'esistenza di danni accertati dopo il rilascio dell'immobile. 1.4. - Intanto, con atto di citazione notificato in data 16.10.2018, (...) aveva convenuto in giudizio (...) chiedendo, in relazione al medesimo contratto di locazione, la sua condanna al pagamento della somma di Euro 9.711,00, di cui affermava di essere creditore in forza di quanto pattuito dalle parti nel verbale di riconsegna dell'immobile del 2.7.2018, dove le stesse avevano dato atto dell'esistenza di alcune spese, afferenti all'utilizzazione del bene, che dovevano gravare sulla conduttrice (per la sostituzione di un vetro blindato, per la vuotatura delle fosse biologiche, per il costo dell'acqua potabile, per l'apertura e la manutenzione della piscina, per la pulitura del tetto, per l'assicurazione della casa, per la manutenzione del giardino e la rottura di un vaso). 1.5. - Disposta la riunione dei due giudizi, l'istruttoria si articolava nell'assunzione di prove documentali e nell'espletamento di c.t.u.. 1.6. - All'esito, il tribunale, nella impugnata sentenza, osservava, per quel che in questa sede ancora interessa: che, anche in considerazione di quanto stabilito dal codice del consumo, la clausola penale apposta ad un contratto di locazione abitativa non può superare il limite di cui all'art. 6, comma 6, della L. n. 431 del 1998, pari al 20% del canone dovuto al momento della cessazione del rapporto, seppure limitatamente ai periodi di differimento della esecuzione per rilascio di cui al comma 1, previsti nei Comuni caratterizzati da tensione abitativa, indicati all'art. 1 del D.L. 30 dicembre 1988, n. 551, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 1989, n. 61; che, per contro, al di fuori di tali periodi e, comunque, per le locazioni non abitative per le quali il detto limite del 20% non si applica, si riespande la disciplina ordinaria dell'art. 1591 c.c., con diritto del proprietario di richiedere il maggior danno in aggiunta al canone e, quindi, con piena operatività della clausola penale anche oltre il predetto limite, salvo il potere di riduzione di cui all'art. 1384 c.c.; che, pertanto, la clausola penale pattuita all'art. 3 del contratto di locazione era del tutto legittima in quanto non contrastante con l'art. 13 della L. n. 392 del 1978; che, inoltre, rispetto ad un canone di locazione di Euro 7.500,00, una penale giornaliera di Euro 600,00 e mensile di Euro 18.000,00, era da considerarsi equa e proporzionata, in quanto pari all'indennità di occupazione aumentata del 20% e, pertanto, conforme all'art. 6, comma 6, della L. n. 431 del 1998; che, quindi, la domanda di riduzione formulata dalla parte opponente doveva essere rigettata; che infondata era anche la domanda, proposta dalla (...), di restituzione del deposito cauzionale, sia perché il limite di cui all'art. 11 della L. n. 431 del 1998 (pari a tre mensilità) non trovava applicazione per le locazioni ad uso transitorio (come quella in esame), sia perché l'espletata c.t.u. aveva accertato l'esistenza nell'immobile, al momento del suo rilascio, di svariati danni, dipendenti da un uso improprio e dall'assenza di una sia pur minima manutenzione; che, tuttavia, dall'ammontare dei costi di ripristino accertati dal c.t.u. dovevano essere detratti quelli per la riparazione della facciata esterna (Euro 750,00) e per la verniciatura degli infissi (Euro 2.550,00 + Euro 3.300,00) - in quanto presumibilmente dovuti a caso fortuito o a vetustà e, quindi, da porre a carico del locatore che, a norma dell'art. 1575 c.c., ha l'obbligo di mantenere la cosa locata in stato da servire per l'uso convenuto - pervenendosi, così, ad un importo finale di Euro 42.391,65, da cui detrattare il deposito cauzionale a suo tempo versato; che, infine, per quanto riguardava la domanda proposta nel giudizio riunito, la (...) doveva essere condannata al pagamento delle spese alle quali si era contrattualmente obbligata, documentalmente provate per Euro 9.711,11. Le spese seguivano la soccombenza. 2 - Il giudizio di secondo grado. 2.1. - Avverso tale decisione proponeva appello (...) per i seguenti motivi: 1) il tribunale, nel condannare essa (...) al pagamento della penale, aveva erroneamente fatto riferimento, da un lato, al codice del consumo e, dall'altro, alla disciplina delle locazioni non abitative nonché all'art. 13 della L. n. 431 del 1998, norma, tuttavia, abrogata; inoltre, evidente era l'eccessività della penale, che non risultava neppure dovuta, anche in ragione del fatto che l'immobile era stato riconsegnato, dal conduttore, nella data (2.7.2018) concordata con il locatore e, peraltro, solo con 17 giorni di ritardo rispetto alle previsioni contrattuali; 2) il tribunale aveva errato nel condannare la convenuta al pagamento della somma di Euro 42.391,65, in quanto la domanda non risultava provata con riferimento né all'an né al quantum: (-) per quanto concerneva il primo profilo, il tribunale si era limitato a recepire acriticamente le risultanze della c.t.u. che, tuttavia, non potevano in alcun modo essere condivise; difatti, non solo il perito non aveva risposto alle osservazioni del c.t.p. della convenuta ma, inoltre, i presunti danni dallo stesso riscontrati sull'immobile erano senz'altro riconducibili al normale degrado d'uso del bene, tenuto conto della durata della locazione (5 anni) - in quanto era stata preceduta da altro contratto stipulato nel 2013 - e del fatto che il locatore non aveva provato un uso improprio da parte della conduttrice; peraltro, la maggior parte dei danni aveva una portata minimale e, comunque, afferiva anche a beni (giardino, cancello) condominiali che, quindi, non erano utilizzati soltanto dalla (...); per giunta, nel verbale di riconsegna dell'immobile non si faceva riferimento all'esistenza di danni, il che avrebbe dovuto indurre il tribunale a rigettare la domanda, anche perché gli stessi erano stati contestati solo dopo due settimane dalla riconsegna del bene mentre la c.t.u. si era svolta ad un anno di distanza; (-) per quanto riguardava il secondo profilo, la diversità delle condizioni attuali dell'immobile, rispetto a quelle esistenti all'inizio della locazione, era stata accertata dal c.t.u. con riferimento alle fotografie allegate al contratto, le quali, tuttavia, avevano scarsa portata probatoria a causa della scarsa chiarezza delle immagini riprodotte; inoltre, la pressoché totalità dei vizi e danni riscontrati era riferita a "sbeccature", "macchie" e piccole lesioni dell'intonaco o del pavimento: a fronte di ciò, il c.t.u. aveva erroneamente ritenuto necessario degli interventi che avessero ad oggetto l'intera superficie delle parti dell'immobile caratterizzate da tali fenomeni, anziché prevedere riparazioni circoscritte alla zona interessata; in proposito, aveva altresì errato il c.t.u. nel quantificare in modo molto elevato i costi di riparazione, sulla base del falso presupposto che l'immobile locato fosse di particolare pregio; 3) il tribunale aveva, poi, errato nel condannare la (...) al pagamento della somma di Euro 9.711,11, a titolo di spese per la gestione dell'immobile, in quanto: (-) aveva attribuito rilevanza unicamente ai documenti prodotti dall'attore a cui, però, non poteva essere attribuita alcuna rilevanza probatoria, perché relativi ad esborsi che non erano riferibili né al (...) né all'immobile in questione; (-) sulla base delle predetta documentazione, tali costi ammontavano ad Euro 6.743,50 e non ad Euro 9.711,11; (-) la documentazione era, comunque, inidonea a comprovare l'effettivo esborso; (-) le voci di spesa erano sovrapponibili a quelle già ricomprese al punto i) della c.t.u. (quantificate in Euro 7.232,00) ed oggetto di riconoscimento da parte del tribunale, con conseguente illegittima duplicazione della pretesa; 4) il tribunale aveva, infine, errato nel rigettare la domanda riconvenzionale proposta dalla (...), non considerando che il deposito cauzionale, ammontando ad Euro 24.000,00 superava il limite delle tre mensilità fissato dall'art. 11 della L. n. 392 del 1978; al riguardo, non assumeva rilevanza il fatto che si trattasse di locazione ad uso transitorio, dal momento che l'art. 41 della citata legge estendeva anche a tali rapporti il predetto limite; 5) dall'accoglimento dell'appello doveva discendere anche una nuova regolamentazione delle spese di lite. 2.2. - Radicatosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio (...), contestando integralmente il gravame del quale chiedeva il rigetto. 2.3. - Con ordinanza del 6.12.2022, la Corte rigettava l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza e, stante l'erronea introduzione della causa nelle forme ordinarie, disponeva il mutamento del rito, concedendo termine alle parti per la regolarizzazione degli scritti difensivi. 2.4. - La causa, quindi, è stata trattenuta in decisione all'udienza del 25.1.2023, tenutasi con le forme della trattazione scritta ai sensi e per gli effetti dell'art. 83 D.L. n. 18 del 1920 conv. in L. n. 27 del 1920 e succ. modif., in ragione dell'emergenza sanitaria da Covid 19, e conseguentemente, sulle conclusioni delle parti per come espressamente precisate e ribadite a seguito di (...) del 19 dicembre 2022, decisa con dispositivo depositato telematicamente (essendosi la Corte riunita in camera di consiglio telematica mediante collegamento da remoto attraverso l'applicativo MS Teams). MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, è da rilevare che l'eccezione di inammissibilità del gravame per pretesa violazione dell'art. 342 c.p.c., sollevata da parte appellata, si appalesa infondata, in quanto l'onere di specificità dei motivi di appello deve ritenersi assolto quando, anche in assenza di una formalistica enunciazione, le argomentazioni contrapposte dall'appellante a quelle esposte nella decisione gravata siano tali da inficiarne il fondamento logico giuridico (cfr. Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 18307 del 18/09/2015). In concreto, dalla lettura dell'atto è dato ricavare non solo le statuizioni oggetto di gravame ma anche in che termini è stata richiesta la modifica della valutazione operata dal giudice di primo grado: le censure formulate presentano un grado di contenuto critico sufficientemente articolato e si esprimono in termini di adeguata contrapposizione ai passaggi motivazionali della decisione impugnata. 1 - Ciò posto, il primo motivo di appello è fondato nei termini che seguono. 1.1. - La sentenza impugnata è senza dubbio errata nella parte in cui, nell'esaminare la questione circa l'applicabilità della clausola penale al contratto di locazione, fa riferimento, da un lato, alla inconferente disciplina del codice del consumo (peraltro, in assenza di qualsiasi motivazione e senza che le parti avessero minimamente accennato alla stessa) e, dall'altro, all'art. 6, comma 6, della L. n. 431 del 1998 che, come (contraddittoriamente) affermato dal primo giudice, concerne un diverso ambito di operatività (essendo la predetta norma destinata ad operare solo nel caso di sospensione della procedura esecutiva di rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo e situati in determinati comuni). 1.2. - Altrettanto erroneo è, poi, il riferimento alle locazioni ad uso non abitativo ed all'art. 13 della L. n. 431 del 1998, sia perché, nel caso in esame, si verte pacificamente in tema di locazione ad uso abitativo, sia perché la predetta norma disciplina la fattispecie, completamente esulante da quella per cui è causa, relativa ai criteri di calcolo della c.d. "superficie convenzionale". 1.3. - L'unica parte della gravata sentenza che è meritevole di condivisione è quella in cui si afferma la legittimità della pattuizione della clausola penale in un contratto di locazione, nell'ipotesi di ritardo nella restituzione del bene da parte del conduttore, salva la possibilità per il giudice di procedere alla sua riduzione ex art. 1384 c.c.. Invero, come affermato dalla Suprema Corte: "in tema di locazione abitativa, il conduttore in ritardo nella riconsegna dell'immobile è tenuto a norma dell'art. 1591 cod. civ. dalla data di cessazione legale del contratto, oltre al pagamento del corrispettivo convenuto, anche al risarcimento del maggior danno subito dal locatore, a titolo di responsabilità contrattuale per il ritardato adempimento - e pertanto, qualora questo danno sia stato determinato con apposita clausola penale, a corrispondere l'ammontare di detta penale - ancorché il ritardo sia dipeso da vicende dilatorie dovute a termini fissati in sentenza per la esecuzione e graduazione dello sfratto o a proroghe e sospensioni "ex lege" dello stesso, perché trattandosi di termini apposti alla esecuzione forzata e non all'adempimento, non fanno venir meno la mora e così la responsabilità del conduttore" (cfr. Cassazione civile, sentenza n. 9698 del 28/09/1998). 1.4. - Tuttavia, la sentenza torna a non essere condivisibile nella parte in cui il tribunale ha ritenuto di non avvalersi del potere di riduzione della penale. Al riguardo, giova considerare che "il criterio cui il giudice deve fare riferimento per esercitare il potere di riduzione della penale non è la valutazione della prestazione in sè astrattamente considerata, ma l'interesse che la parte secondo le circostanze ha all'adempimento della prestazione cui ha diritto, tenendosi conto delle ripercussioni dell'inadempimento sull'equilibrio delle prestazioni e della sua effettiva incidenza sulla situazione contrattuale concreta" (cfr. Cassazione civile, sentenza n. 15497 del 05/11/2002, in senso conforme anche Cass. civ. n. 7835/2006; 6158/2007; 10626/2007; 7180/2012). Ebbene, nel caso in esame, non vi è dubbio che la previsione di una penale di Euro 600,00, per ogni giorno di ritardo nella riconsegna dell'immobile, appaia eccessiva, laddove si consideri che, a fronte di un canone di Euro 7.500,00, la stessa, su base mensile, risulta corrispondere ad un importo di Euro 18.000,00. Ha, pertanto, sicuramente errato il tribunale - peraltro in difetto di qualsiasi motivazione - nel considerare congrua una penale pari al 240% del canone mensile. Ritiene, quindi, il Collegio di avvalersi del potere di riduzione d'ufficio previsto dall'art. 1384 c.c. e di ricondurre la penale all'importo di Euro 300,00 giornalieri, pari al 50% di quella convenuta in contratto. Pertanto, essendo pacifico il ritardo di diciassette giorni nella restituzione dell'immobile da parte della (...) (atteso che il contratto di locazione è venuto a scadenza il 15.6.2018 mentre la riconsegna è avvenuta il 2.7.2018, come da relativo verbale in atti), la stessa deve essere condannata al pagamento del minor importo di Euro 300x17=) 5.100,00. 1.5. - Al riguardo, non può essere condivisa la tesi dell'appellante secondo cui la predetta penale non sarebbe dovuta dal momento che la data di riconsegna sarebbe stata concordata dalle parti. Difatti, dallo scambio epistolare avvenuto, tra i legali delle parti, nei giorni precedenti la restituzione dell'immobile, si evince che il (...) si è limitato semplicemente a prendere atto della data di riconsegna fissata, unilateralmente, dalla (...), il che non consente di ritenere esistente alcun accordo intervenuto in merito (cfr. missiva del legale del (...) del 27.6.2018 con cui, nel rispondere a quella del difensore della (...) del 21.6.2018, veniva anche evidenziato il ritardo nella restituzione dell'immobile rispetto alle previsioni contrattuali). Innegabile, quindi, è la spettanza della penale, sia pure rideterminata, nell'ammontare, nei termini sopra esposti. 2 - Parzialmente fondato è, altresì, il secondo motivo di appello. 2.1. - Contrariamente a quanto (contraddittoriamente) evidenziato dal tribunale, deve escludersi che nel verbale di riconsegna dell'immobile il (...) e la (...) abbiano dato atto dell'inesistenza di danni arrecati dal conduttore. Difatti, nel predetto verbale, le parti, in conformità a quanto previsto dall'art. 5 (secondo capoverso) del contratto di locazione, facevano espressa menzione di un sopralluogo che, nello stesso giorno, si sarebbe dovuto svolgere tra i tecnici delle parti, all'evidente fine di accertare le condizioni dell'immobile, come dimostra pure il riferimento al giudizio ed al procedimento di mediazione pendente. 2.2. - Al riguardo, è opportuno rilevare come la difesa del (...) abbia prodotto, in allegato alla memoria integrativa del 19.12.2018 (depositata nel giudizio di primo grado) una consulenza di parte, datata 13.7.2018, che riporta proprio l'esito del sopralluogo del 2.7.2018, con allegata documentazione fotografica. In ordine a tale circostanza, parte appellante non ha mosso alcuna contestazione, con la conseguenza che alcuna rilevanza può attribuirsi al fatto che il Beccagli rappresentò l'esistenza di danni all'immobile, proprio sulla base della predetta consulenza, con mail del suo legale del 16.7.2018 e, quindi, a distanza di due settimane dal rilascio. Del resto, nella predetta comunicazione si dà atto del fatto che tale perizia era stata inviata al legale della (...) proprio il 13.7.2018, circostanza anch'essa rimasta incontestata. In ogni caso, la brevità del lasso di tempo intercorso tra la contestazione dei danni ed il rilascio dell'immobile - intervallato pure dall'esecuzione della predetta consulenza - induce ad escludere che, nel frattempo, l'immobile avesse potuto subire trasformazioni tali da incidere sull'attendibilità dei risultati della c.t.u.. 2.3. - Peraltro, l'appellante, pur deducendo l'inattendibilità della c.t.u. sia in ragione di tale (presunto) ritardo nella contestazione dei danni che del fatto che la stessa si svolse a distanza di un anno dalla restituzione dell'immobile, non ha neppure indicato quelle che, a suo dire, sarebbero state le effettive condizioni del bene al momento del rilascio (e, dunque, i punti di divergenza con quanto accertato dal c.t.u.). 2.4. - Sotto altro versante, non può la difesa della (...) sostenere l'inattendibilità delle risultanze dell'accertamento peritale, dal momento che le fotografie, riproducenti le condizioni dell'immobile al momento dell'inizio della locazione, sarebbero state scarsamente intellegibili. Al riguardo, omette l'appellante di considerare che, in allegato alla memoria integrativa del 19.12.2018, parte opposta (qui appellata) ha prodotto numerose fotografie (poi depositate anche in originale), di ottima qualità grafica, che attestano il buono stato dell'immobile al momento dell'inizio della detenzione da parte della (...), conformemente a quanto dichiarato dalla stessa all'art. 5 del contratto. Documentazione che, peraltro, non è stata contestata dall'odierna appellante e che, quindi, correttamente è stata utilizzata dall'ausiliario. 2.5. - Ciò posto, come affermato dalla Suprema Corte: "in tema di risarcimento del danno per l'inadempimento o l'inesatto adempimento dell'obbligo del conduttore - previsto dall'art. 1590 c.c. - di restituire la cosa locata nel medesimo stato in cui l'aveva ricevuta, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della stessa in conformità del contratto, incombe sul locatore fornire la prova del fatto costitutivo del vantato diritto, e cioè il deterioramento intervenuto tra il momento della consegna e quello della restituzione dell'immobile, mentre sul conduttore grava l'onere di dimostrare il fatto impeditivo della sua responsabilità, e cioè che il deterioramento si è verificato per uso conforme al contratto o per fatto a lui non imputabile" (cfr. Cassazione civile, ordinanza n. 6387 del 15/03/2018). Ebbene, è da ritenere che il (...), nel produrre la documentazione fotografica riproducente le condizioni dell'immobile al momento dell'inizio della locazione ed all'atto della sua cessazione (in allegato alla perizia del geom. (...)) abbia senz'altro assolto al suo onere probatorio. Del resto, mette conto di evidenziare come il c.t.u. non abbia accertato una modifica dello stato dell'immobile rispetto a quanto risultante al momento del rilascio da parte della (...), sicché, da questo punto di vista, la domanda deve ritenersi provata. Si tratta, a questo punto, di stabilire se il deterioramento, accertato dal c.t.u., sia riconducibile o meno al normale uso del bene, previsto in contratto, da parte del conduttore. 2.6. - In proposito, si deve rilevare come risulti errata l'impostazione del tribunale che ha posto a carico del conduttore "le macchie ed i graffi presenti sulle pareti, sui pavimenti e sulle porte dell'immobile, nonché le c.d. "sbeccature" di spigoli di pareti e di porte" perché "nonostante tali danni siano normalmente fatti rientrare nel normale degrado d'uso, nella specie devono reputarsi dipendenti da omessa piccola manutenzione a carico del conduttore" e perché "il conduttore si era contrattualmente obbligato ad eseguire, al momento della riconsegna dell'immobile, la verniciatura a calce delle pareti ove il locatore ne avesse ravvisato la necessità". 2.6.1. - Orbene, la prima parte della motivazione non può essere in alcun modo condivisa, perché non tiene conto del fatto che la norma dettata dagli artt. 1576, comma 1, e 1609 (secondo la quale le riparazioni di piccola manutenzione devono essere eseguite nel corso del rapporto, dal conduttore a sue spese), non comporta che il conduttore sia tenuto, al momento del rilascio, ad eliminare a sue spese le conseguenze del deterioramento subito dalla cosa locata per l'uso fattone nel corso della durata del contratto in conformità di questo e con l'impiego di una media diligenza, giacché il deterioramento derivato da tale uso si pone come limite all'obbligo del conduttore di restituire la cosa, al termine del rapporto, nello stato in cui l'aveva ricevuta (cfr. Cassazione civile, sentenza dell'8.2.1990, n. 880 la quale ha, inoltre, evidenziato che: "anche secondo le esemplificazioni scolastiche, scolorimento di pareti, scrostature screpolature ed infissi di chiodi concretano uno scadimento del bene riferibile ad un suo normale godimento"). 2.6.2. - Per quanto concerne la seconda, non è sufficiente che nel contratto il conduttore si fosse impegnato ad eseguire la tinteggiatura "con apposite malte ... entro la data di consegna, qualora il locatore ne ravvisi la necessità", sia perché non consta che, in costanza di rapporto, il locatore si sia mai avvalso di tale facoltà, sia perché "in tema di locazioni ad uso abitativo, la clausola che obbliga il conduttore ad eliminare, al termine del rapporto, le conseguenze del deterioramento subito dalla cosa locata per il suo normale uso (nella specie, ponendo a suo carico la spesa per la tinteggiatura delle pareti) deve considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 79 della L. n. 392 del 1978, perché, addossando al conduttore una spesa di ordinaria manutenzione che la legge pone, di regola, a carico del locatore, attribuisce a quest'ultimo un vantaggio in aggiunta al canone, unico corrispettivo lecitamente pattuibile a carico del conduttore" (cfr. Cassazione civile, sez. III, 13/11/2019, n.29329). 2.6.3. - Pertanto, essendo rimasto incontestato che tali deterioramenti rientrino nel normale uso dell'immobile - così come affermato dal tribunale - gli stessi non possono essere posti a carico del conduttore. Ne consegue che dagli interventi indicati dal c.t.u. devono espungersi tutti quelli consistenti in una semplice riverniciatura delle pareti e/o degli arredi per l'eliminazione di macchie, graffi e "sbeccature" (individuati dal c.t.u., nella sua relazione, sub (...), (...), (...), 8, 10, 11, 12, 13, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 22, 23, 26, 27, 29, 30, 31, 35), peraltro pure scarsamente percepibili nella documentazione fotografica allegata alla relazione peritale. Devono, altresì, escludersi anche le spese relative ai lavori eseguiti nel giardino, in quanto provati solo da una fattura (n. (...) del 4.12.2017) emessa in epoca antecedente alla cessazione della locazione e, quindi, suscettibile di assumere rilevanza solo nell'ambito di quelle spese di gestione di cui il (...) ha chiesto il rimborso nel giudizio successivamente riunito (e su cui si rimanda al 3). 2.6.4. - Per converso, deve riconoscersi il rimborso delle spese necessarie alle seguenti riparazioni, in quanto determinate da un uso del bene senz'altro eccedente il suo normale godimento da parte del conduttore: (a) della pavimentazione (sub n. (...),(...),(...),(...),(...),(...),(...),(...) della c.t.u.) pari ad Euro (3.267,90+1.115,10+800+895,50+446,25+900,50+3.735,60+1.990,80= 13.151,65 (oltre IVA); (b) della porta del locale disimpegno posto al primo piano (sub (...)) pari ad Euro 350,00 (oltre IVA); (c) della tappezzeria del guardaroba (sub (...)), del soggiorno (sub (...)), del salone (sub (...)), della sala da pranzo (sub (...)), della camera al primo piano (sub (...)) e della cucina (sub (...)), pari ad Euro 200+1.500+1.500+4.650+400+250= 8.500,00 (oltre IVA) (d) dei mobili della cucina (sub (...)), del locale disimpegno (sub (...)) e del salone (sub (...)), pari ad 250+1.380+250=) 1.880,00 (oltre IVA); (e) del cancello di ingresso (sub (...)) pari ad Euro 550,00 (oltre IVA); (f) del vetro della serra (sub (...)) pari ad Euro 500,00 (oltre IVA). Per un totale di Euro 24.931,65 (oltre IVA). 2.6.5. - In proposito, se è vero che il c.t.u. ha risposto in maniera non particolarmente esaustiva alle osservazioni del c.t.p. della (...), è altrettanto vero che quest'ultimo si è limitato a critiche molto generiche, non suffragate da alcun elemento di riscontro oggettivo, in ordine ai criteri seguiti dal c.t.u. nel procedere alla quantificazione dei suddetti importi, sicché le stesse non sono idonee a mettere in dubbio gli esiti dell'elaborato peritale. Pertanto, l'istanza di rinnovazione della c.t.u. deve essere disattesa. 2.6.6. - Del resto, rientra nelle nozioni di comune esperienza che l'entità dei costi di ripristino sia sensibilmente più alta, rispetto alla media dei prezzi di mercato, per gli immobili, quale quello in esame, di particolare valore (come desumibile dalla descrizione dello stesso fatta nel contratto di locazione, nonché dalle fotografie versate in atti e dall'ammontare del canone), tenuto conto della necessità di usare particolari materiali e di rendere le superfici, oggetto degli interventi di riparazione, il più possibile uniformi. Inoltre, con riferimento ai danni riscontrati sul cancello carrabile (le cui ante risultano piegate verosimilmente, secondo il c.t.u., a seguito dell'urto con un'autovettura) occorre evidenziare come l'ipotesi alternativa elaborata dal c.t.p. (difetto di progettazione della rampa di accesso all'immobile, con conseguente deflusso delle acque piovane e degli inerti a ridosso dello stesso) non sia stata in alcun modo dimostrata. Per converso, avendo la conduttrice, nel contratto di locazione, riconosciuto il buono stato dell'immobile è da presumere che anche il predetto cancello non presentasse alcun difetto e che, quindi, il danneggiamento si sia verificato proprio in costanza di rapporto. 2.6.7. - Infine, contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, non consta la natura condominiale di alcuno dei predetti beni, con la conseguenza che è da escludere che gli stessi possano essere stati utilizzati da terzi o che l'obbligo di riparazione possa gravare sulla (...) solo pro quota. 3 - Parzialmente fondato è anche il terzo motivo di appello 3.1. - Orbene, occorre in primo luogo rilevare che nel verbale di restituzione dell'immobile del 2.7.2018 le parti si davano reciprocamente atto "dell'esistenza di alcune poste di spesa relative all'utilizzo dell'immobile il cui esatto importo non è ad oggi ancora determinato in modo esatto e particolarmente: - sostituzione vetro blindato, vuotatura fosse biologiche, costo acqua potabile, apertura e manutenzione piscina, pulitura tetto, assicurazione casa, vaso rotto e manutenzione giardino". Ebbene, è indiscutibile che, attenendo tali spese all'utilizzo dell'immobile, le stesse non potevano che gravare sulla conduttrice. 3.2. - Inoltre, l'effettivo esborso risulta documentato dalle fatture e dalle polizze intestate al (...) e riportanti come indirizzo proprio (...) a R., via di F. n. 22, in cui è situato l'immobile locato. 3.3. - Ciò posto, l'appello risulta fondato nella parte in cui lamenta il riconoscimento, al (...), dell'importo di Euro 9.711,11 in luogo di quello corretto di Euro 7.232,00 risultante dalla somma delle predette fatture (il che trova riscontro pure nel calcolo eseguito dal c.t.u.). 3.4. - Invece, il gravame è infondato nella parte in cui è diretto a far valere la duplicazione della somma oggetto di condanna, dal momento che la stessa sarebbe stata inclusa anche tra le opere di ripristino individuate dal c.t.u.. Al riguardo, infatti, giova considerare come il tribunale, nel procedere alla quantificazione dei costi di ripristino, abbia, sia pure implicitamente, escluso la voce sub i) (relativa proprio alle spese sostenute dal (...)), in quanto la somma delle voci da a) ad h) corrisponde ad Euro 48.991,65 dalla quale deve essere detratta quella di Euro 6.600,00 (non riconosciuta dal primo giudice), pervenendosi così alla cifra di Euro 42.391,65 (corrispondente a quella liquidata dal tribunale per la riparazione dell'immobile). 4 - Infondato è, infine, il quarto motivo di appello. Difatti, la questione dell'inderogabilità o meno dell'art. 11 della L. n. 431 del 1998 (secondo cui il deposito cauzionale non può essere superiore alle tre mensilità), nella specie, non ha alcuna rilevanza pratica, laddove si consideri che l'ammontare del deposito cauzionale (pari ad Euro 24.000) risulta, comunque, inferiore alle somme che la (...) è tenuta a corrispondere al (...), con la conseguenza che opera la compensazione dalla stessa invocata. 5 - In definitiva, in parziale accoglimento dell'appello ed in parziale riforma della sentenza impugnata, (...) deve essere condannata al pagamento, a favore di (...), dei seguenti minori importi: (-) Euro 5.100,00 a titolo di penale; (-) Euro 24.931,65 (oltre IVA) a titolo di costi di ripristino; (-) Euro 7.232,00 (Iva compresa) a titolo di spese di gestione dell'immobile. Il tutto oltre interessi legali con decorrenza dalla domanda giudiziale, ed in aggiunta alla somma di Euro 15.000,00, già riconosciuta dal tribunale a titolo di canoni non pagati (capo non impugnato). Da tali somme, inoltre, deve essere detratto il deposito cauzionale a suo tempo versato dalla (...). 6 - In punto di spese, deve trovare applicazione, ai sensi dell'art. 336 c.p.c., l'orientamento della Suprema Corte secondo cui il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicché viola il principio di cui all'art. 91 cod. proc. civ., il giudice di merito che ritenga la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (Sez. 6 - L, ord. 18 marzo 2014, n. 6259, rv. 629993). 6.1. - Pertanto, considerato il parziale accoglimento dell'appello, si rivengono i presupposti per compensare per ½ le spese del doppio grado di giudizio, mentre il rimanente ½ deve esse posto a carico di (...), dal momento che la domanda proposta nei suoi confronti è risultata, sia pure in parte, fondata. 6.2. - Tali spese si liquidano secondo il computo che segue ex D.M. n. 55 del 2014, come modificato da ultimo dal D.M. n. 147 del 2022, 12, (valore Euro 26.000-52.000): A) spese del giudizio di primo grado: Fase di studio della controversia, valore medio: Euro 1.701,00 Fase introduttiva del giudizio, valore medio: Euro 1.204,00 Fase istruttoria/trattazione, valore medio: Euro 1.806,00 Fase decisionale, valore medio: Euro 2.905,00 Compenso tabellare: Euro 7.616,00 oltre Euro 379,00 per esborsi, 15% per rimborso forfetario, IVA e CAP come per legge. B) spese del giudizio di appello: Fase di studio della controversia, valore medio: Euro 2.058,00 Fase introduttiva del giudizio, valore medio: Euro 1.418,00 Fase decisionale, valore medio: Euro 3.470,00 Compenso tabellare: Euro 6.946,00, oltre 15% per rimborso forfetario, IVA e CAP come per legge. Si esclude la fase di trattazione in quanto non svolta. 6.3. - Le spese di c.t.u., infine, vengono poste per 1/3 a carico del (...) e per 2/3 a carico della (...) in considerazione degli esiti dell'accertamento peritale. P.Q.M. La Corte di Appello di Firenze, Sezione Terza Civile, riunita in Camera di consiglio telematica mediante collegamento da remoto attraverso l'applicativo MS Teams, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...), avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 1452/2020, depositata in data 18.6.2020, così provvede: 1) accoglie in parte l'appello e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna (...) al pagamento dei seguenti minori importi: (-) Euro 5.100,00 a titolo di penale; (-) Euro 24.931,65 (oltre IVA) a titolo di costi di ripristino; (-) Euro 7.232,00 (Iva compresa) a titolo di spese di gestione dell'immobile; il tutto oltre interessi legali con decorrenza dalla domanda giudiziale; 2) conferma, per il resto, l'impugnata sentenza; 3) compensa per 1/2 le spese del doppio grado di giudizio, ponendo il rimanente 1/2 a carico di (...) che, per l'intero, liquida: i) per il giudizio di primo grado, in Euro 379,00 per esborsi ed in Euro 7.616,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15%, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge; ii) per il giudizio di secondo grado, in Euro 6.946,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15%, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge; 4) pone le spese di c.t.u. per 1/3 a carico di parte appellata e per 2/3 a carico di parte appellante. Così deciso in Firenze il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SIANI Vincenzo - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. TALERICO Palma - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/10/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente Dott. SIANI VINCENZO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa ZACCO FRANCA; Il P.G. conclude chiedendo l'annullamento senza rinvio essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione. udito il difensore: L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, emessa il 15 ottobre 2021, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Napoli che aveva giudicato (OMISSIS) in ordine al reato di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 76, per non aver versato - nel termine di quindici giorni previsto dal provvedimento applicativo della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza della durata di anni due, mesi sei, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, misura applicata con il decreto dello stesso Tribunale di Napoli, notificato il 9 dicembre 2015 - la cauzione, quantificata nella somma di Euro 8.000,00. Il Tribunale aveva dichiarato l'imputato colpevole del reato ascrittogli e lo aveva condannato alla pena di mesi nove di arresto, approdo mantenuto fermo da parte dei giudici di secondo grado. 2. Avverso la sentenza suindicata il difensore di (OMISSIS) ha proposto ricorso chiedendone l'annullamento, con o senza rinvio, sulla scorta di due motivi. 2.1 Con il primo motivo si prospettano la violazione dell'articolo 125 c.p.p., Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 245, articoli 46 e 76 e Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 76, nonche' il corrispondente vizio di motivazione. La difesa evidenzia l'errore compiuto dalla Corte li' dove ha considerato priva di ogni valenza l'attestazione ISEE prodotta in atti sulla base della postulata ma contraria al richiamato quadro normativo - mancanza di sanzione relativamente alla falsita' nella corrispondente autocertificazione: si segnala, in particolare, la disciplina dettata dal D.P.C.M. 6 dicembre 2013, n. 159, articolo 10, che ha regolato la dichiarazione sostitutiva unica con espresso richiamo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, il conseguente rilievo dell'articolo 76 di quest'ultima fonte e, quindi, la rilevanza della disciplina sanzionatoria di cui all'articolo 483 c.p.. Il ricorrente, sul tema, ha inoltre puntualizzato il collegamento fra INPS e Agenzia delle Entrate per il controllo dei dati reddituali enunciati dal dichiarante. Di conseguenza - argomenta la difesa - la dequotazione dell'allegazione di impossidenza operata dai giudici del merito, quando hanno tolto ogni valore alla dichiarazione ISEE senza rispondere alle argomentazioni sviluppate dall'imputato, si e' risolta in una omessa pronuncia, senza che si fosse promosso ogni tipo di accertamento relativo agli elementi idonei a verificare l'effettivita' o meno dello stato di impossidenza allegato dall'obbligato. Secondo la difesa, in dipendenza di tale carente impostazione, la Corte territoriale e' pervenuta all'affermazione della responsabilita' dell'imputato sulla scorta di sole valutazioni presuntive, mentre il mancato pagamento della cauzione, nella misura imposta dell'importo di Euro 8.000,00 da versare entro quindici giorni, era stato causato dalle precarie condizioni economiche in cui versava tutta la famiglia di (OMISSIS), come esposta nella suddetta dichiarazione ISEE. 2.2. Con il secondo motivo, si denunciano la violazione degli articoli 62-bis e 133 c.p. e il vizio di motivazione in punto di confermato diniego delle attenuanti generiche. I giudici di appello, ad avviso della difesa, non hanno valutato la meritevolezza dell'imputato del corrispondente beneficio, alla stregua dei criteri fissati dal suddetto quadro normativo, e hanno cosi' omesso di motivare il rigetto in forza di un discorso giustificativo effettivo, e non con mere clausole di stile. 3. Il Procuratore generale ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, essendo spirato il termine di prescrizione del reato e non potendo ritenersi l'inammissibilita' del ricorso, ne' per manifesta infondatezza di tutti i motivi, ne' per altre ragioni. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto da (OMISSIS) non puo' ritenersi inammissibile, con specifico riferimento all'analisi del primo motivo, nella parte in cui ha censurato l'inadeguatezza della motivazione offerta nella sentenza impugnata circa la valutazione dell'impossidenza dedotta dall'imputato quale causa essenziale determinatrice del mancato tempestivo adempimento dell'obbligazione avente ad oggetto il pagamento della cauzione impostagli con l'applicazione della misura di prevenzione personale identificata in narrativa. 2. Sul tema, introdotto dall'imputato, della sua impossibilita' di far fronte nel termine di quindici giorni al versamento della cauzione impostagli, a causa della corrispondente impossidenza sua e dei componenti del suo nucleo familiare, allegazione seguita dalla produzione dell'attestazione ISEE inerente alla situazione di (OMISSIS) e della sua famiglia, la Corte territoriale, dopo aver osservato che, per l'esclusione dell'elemento soggettivo del reato di cui all'articolo 76 cit., deve sussistere una vera e propria impossibilita' di adempimento, non una mera difficolta' di adempiere, con la conseguente necessita' di acquisire la corrispondente, rigorosa prova dell'impossibilita' stessa, ha preso atto della documentazione prodotta dall'appellante, ma ne ha ritenuto la radicale irrilevanza osservando che l'attestazione ISEE deriva da un'autocertificazione la cui falsita' non da' luogo a qualsivoglia sanzione per il suo autore, sicche' - muovendo dall'assoluta assenza di prova del fatto impeditivo addotto e rilevando la carenza di richieste di dilazione o di rateizzazione di quell'obbligo di versamento - ha confermato l'approdo raggiunto dal Tribunale. 3. Il ragionamento svolto dalla Corte territoriale esige un necessario approfondimento, dovendo - sul tema in discussione - muoversi dal consolidato e qui riaffermato principio di diritto secondo cui l'impossibilita' economica di far fronte all'obbligo di pagamento della cauzione, imposta in sede di applicazione della misura di prevenzione personale, e' deducibile anche nel giudizio penale, ai fini della responsabilita' per il reato costituito dall'inosservanza di tale obbligo, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 76, comma 4, e incombe al giudice il dovere di accertare la reale condizione economica dell'imputato nel momento in cui si e' verificata l'inottemperanza, gravando su. quest'ultimo soltanto un onere di allegazione dei fatti che hanno impedito il pagamento (Sez. 5, n. 38310 del 05/07/2016, Passafiume, Rv. 267857 - 01; Sez. 1, n. 34128 del 04/07/2014, Paraninfo, Rv. 260843 - 01). Posto cio', costituisce snodo tale da esigere una precisa verifica quello relativo al fatto che i giudici di appello hanno affermato che sono mancate anche le allegazioni dell'impossibilita' di adempiere da parte dell'imputato e cio' hanno sostenuto mediante la - tanto recisa quanto priva di supporto esplicativo svalutazione delle risultanze dell'attestato ISEE prodotto dalla difesa. 3.1. Al riguardo, l'unica spiegazione fornita, inerente alla, ritenuta sostanzialmente nulla, valenza sullo stesso piano dell'allegazione, oltre che su quello della dimostrazione, del documento citato - in quanto le dichiarazioni poste alla base di esso, ove non veritiere, non sarebbero suscettibili di determinare alcuna sanzione a carico del responsabile - non puo' essere recepita in via immediata. Certo, avrebbe potuto sostenersi, con argomentazioni congruenti, che non bastava la produzione dell'attestato ISEE sul piano dimostrativo e che lo stesso documento anche sul piano dell'allegazione doveva essere coniugato con la deduzione di altri elementi: porne, invece, nel nulla la sua introduzione nella dialettica processuale senza offrire una concreta giustificazione della corrispondente opzione e limitandosi ad assumere, in modo tacitiano e senza coordinarsi con il suindicato quadro normativo, che tale autodichiarazione, se falsa, sarebbe restata priva di sanzione, ha concretato un tessuto argomentativo oggettivamente esile: e a fronte di esso la critica svolta dal ricorrente con il primo motivo, deve, quanto meno, escludersi sia manifestamente infondata. 3.2. Non si profilava, in particolare, suscettibile di essere cestinato senza un articolato vaglio l'argomento poi ribadito dalla difesa sulla base al quale il D.P.C.M. 6 dicembre 2013, n. 159, articolo 10 (Regolamento concernente la revisione delle modalita' di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente), afferente alla dichiarazione sostitutiva unica di cui si tratta: la norma stabilisce, fra l'altro, che il richiedente presenta un'unica dichiarazione sostitutiva in riferimento al nucleo familiare di cui all'articolo 3, ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni, concernente le informazioni necessarie per la determinazione dell'ISEE. E, considerati gli ambiti di applicazione dagli articoli 46 e 47, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, articolo 76, (norma, quest'ultima, che, al comma 1, stabilisce che chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico e' punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia), la rilevanza auto-certificativa dell'attestazione addotta da (OMISSIS) avrebbe meritato una congrua verifica argomentativa, la cui mancanza rende non manifestamente infondata la corrispondente censura qui prospettata dal ricorrente. Il primo motivo supera, dunque, il vaglio di ammissibilita', non potendo nemmeno considerarsi - la critica nello stesso contenuta - ictu oculi generica in relazione alla verifica dell'avvenuta, o meno, integrazione della fattispecie sostanziale contestata. 4. L'evidenziata situazione fa scaturire la conclusione che l'impugnazione non puo' dichiararsi inammissibile nel suo complesso e conduce all'ineludibile rilevazione della maturata prescrizione del reato oggetto di contestazione. Muovendo dal rilievo che la contravvenzione, per come contestata, ha conseguito il perfezionamento del suo profilo strutturale e la correlativa consumazione alla scadenza del termine stabilito dal provvedimento applicativo per il versamento della cauzione (in quanto la contravvenzione di inottemperanza all'ordine del tribunale di versare la cauzione, previsto dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, articolo 3-bis, comma 4, non ha natura di reato permanente, per cui, per individuare il dies a quo del termine di prescrizione, deve farsi riferimento alla data ultima entro cui il deposito cauzionale deve essere eseguito: Sez. 7, n. 34352 del 30/06/2016, Fascia, Rv. 267665 - 01; Sez. 6, n. 9219 del 16/02/2005, Gaglio, Rv. 230942 - 01), si osserva, enucleando i relativi dati dalle pacifiche constatazioni svolte nelle sentenze di merito, che il provvedimento di applicazione della misura di prevenzione era stato notificato a (OMISSIS) il 9 dicembre 2015, con la fissazione del termine di giorni quindici a decorrere da tale data affinche' il prevenuto provvedesse al versamento dell'importo cauzionale di Euro 8.000,00. Pertanto, la consumazione del reato contestato andava e va fissata al 24 dicembre 2015. Alla stregua del disposto degli articoli 157 e 161 c.p., contemplanti rispettivamente il termine ordinario e il termine massimo di prescrizione della contravvenzione oggetto di contestazione, si rileva che il termine prescrizionale massimo e' di cinque anni. Deve poi constatarsi che si sono determinate alcune sospensioni del suo decorso, vale a dire quelle dal 28 giugno al 7 dicembre 2017 (su istanza di parte), dal 7 dicembre 2017 all'11 gennaio 2018 (su istanza di parte), dal 9 marzo affili maggio 2020 (ai sensi del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27) e dal 23 ottobre 2020 al 15 ottobre 2021 (su istanza di parte), per complessivi 618 giorni. Quindi, computate queste sospensioni, il termine massimo di prescrizione dal 24 dicembre 2020 risulta essere stato prorogato al 4 settembre 2022. Il reato si e', dunque, prescritto: la valida instaurazione del rapporto impugnatorio impone di rilevare la causa estintiva del reato contravvenzionale contestato. Per altro verso, agli effetti di cui all'articolo 129 c.p.p., non risulta dagli atti la prova evidente che il fatto oggetto dell'incriminazione di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 76 non sussista, o non sia stato commesso o non costituisca reato, in ragione degli elementi accertati dalla pronuncia di merito. La declaratoria di estinzione del reato deve essere, allora, adottata in questa sede processuale, considerato anche che (OMISSIS) non ha esternato l'eventuale volonta' di rinunciare alla causa estintiva, avendo piuttosto la difesa tecnica invocato il proscioglimento pieno iure dell'imputato, senza che pero' se ne siano riscontrati i presupposti. 5. La sentenza impugnata va, di conseguenza, annullata senza rinvio per l'emersa prescrizione del reato oggetto di contestazione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche' il reato e' estinto per prescrizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabi - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 23/05/2022 del Tribunale di Roma, sezione riesame; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Maria Sabina Vigna; Sentita la requisitoria dei Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Morosini Piergiorgio, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. Udito il difensore, avvocato (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale del riesame di Roma ha confermato l'ordinanza del 29 aprile 2022, con la quale il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Latina ha applicato a (OMISSIS) la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai reati di turbata liberta' degli incanti (capo 1) e di trasferimento fraudolento di valori (capi 2 e 3). Il compendio investigativo, in ordine al capo 1), si fonda sulle denunce di (OMISSIS), la quale riferiva che: - si era aggiudicata, in quanto unica interessata, mediante gara pubblica gestita dalla societa' (OMISSIS), un immobile di proprieta' regionale in Sabaudia; - il 24 ottobre 2019 riceveva comunicazione di aggiudicazione provvisoria dell'immobile e, prima della data del rogito, depositava il saldo dell'intera somma; - avvicinandosi la data del rogito, aveva trovato difficoltoso accordarsi con la (OMISSIS); -nel corso del sopraluogo a (OMISSIS), scorgeva l'indagato urlare e reclamare il suo diritto sull'immobile. Nella stessa giornata la donna riceveva la telefonata del funzionario (OMISSIS), il quale proponeva la restituzione della somma di denaro ricevuta per evitare il rogito e le offriva un risarcimento di 20.000,00 Euro per il danno subito; -la (OMISSIS) non si presentava al rogito del 4 giugno 2020, ne' a quello successivo fissato per il 21 luglio 2020. Inoltre, la polizia giudiziaria accertava che (OMISSIS) e (OMISSIS) non avevano mai avuto un titolo legittimo per occupare l'immobile. Infatti, nella causa promossa dalla Regione Lazio e definita con sentenza del 2014, il giudice accertava l'occupazione abusiva da parte dei convenuti, ordinando agli stessi il rilascio in favore della Regione Lazio dell'immobile detenuto senza titolo. Il Collegio della cautela ha ritenuto che l'indagato, con la condotta tenuta il 29 maggio 2020, abbia influenzato l'andamento della procedura competitiva ad evidenza pubblica con il sistema dell'asta telematica notarile per la vendita dell'unita' immobiliare di Sabaudia, creando le condizioni per ostacolare la stipula del contratto di compravendita, che, in effetti, non fu piu' perfezionata. Ha ritenuto, inoltre, il Tribunale del riesame che la condotta tenuta da (OMISSIS) il (OMISSIS), alla quale si e' accompagnato anche il cambio della serratura, costituisse, a tutti gli effetti, una vera e propria minaccia. La (OMISSIS), infatti, denunciava che (OMISSIS), nel frangente, era molto agitato e urlava, aveva un atteggiamento irruento ed aggressivo, e che tale situazione l'aveva intimorita anche perche' era a conoscenza dei trascorsi problematici del predetto. Per quanto concernei capi 2) e 3) di incolpazione, il Collegio della cautela ha evidenziato che l'indagato e' stato destinatario della misura di prevenzione della sorveglianza speciale e che risulta che, a partire dal 2018, con finalita' elusiva, ha intestato fittiziamente a terzi una serie di asset patrimoniali nella sua disponibilita'. In particolare, ha intestato le quote della societa' immobiliare (OMISSIS), nella sua incontestata titolarita' di fatto, prima al socio unico, (OMISSIS), poi, dal 29 ottobre 2019, alla moglie (OMISSIS), quindi, a luglio 2020 e ad aprile 2021, ha, rispettivamente, venduto e donato a quest'ultima una serie di proprieta' immobiliari descritte nell'imputazione provvisoria sub 3). Il Tribunale del riesame ha ritenuto che, se l'odierno indagato era gia' stato giudicato in via definitiva socialmente pericoloso all'epoca delle intestazioni ascritte ai capi 2) e 3), era del tutto ragionevole che fosse animato dall'intento di mettere le proprie disponibilita' al riparo da altre analoghe iniziative ablatorie, essendosi in ipotesi reso autore a (OMISSIS) di un ulteriore episodio di estorsione e a (OMISSIS) della turbativa di cui al capo 1). Nel caso di specie era senz'altro prevedibile l'avvio di un nuovo procedimento per la applicazione di una misura di prevenzione. Il Tribunale ha, quindi, concluso che il fatto che l'indagato abbia operato i trasferimenti fittizi dopo la notifica della sentenza civile in data 13 luglio 2020, che lo condannava al pagamento di Euro 220.000,00 per l'illegittima occupazione dell'immobile aggiudicato alla (OMISSIS) per eludere il sequestro e il pignoramento dei beni, non esclude affatto che egli, secondo una valutazione ex ante, abbia agito anche perche' temeva che le sue nuove manifestazioni di pericolosita' sociale potessero dare avvio a un'ulteriore procedimento di prevenzione patrimoniale. 2. Avverso l'ordinanza, ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi: 2.1. Quanto al reato di cui al capo 1), il Tribunale assume erroneamente la natura provvisoria dell'aggiudicazione all'epoca dei fatti. L'ordinanza impugnata non tiene conto della allegazione difensiva con la quale si dimostra la assoluta definitivita' dell'aggiudicazione all'esito di ogni pretesa verifica. La stipula del contratto di compravendita non puo' confondersi con il momento della individuazione del concorrente aggiudicatario; in altri termini, il materiale trasferimento del bene posto all'asta appartiene al momento successivo: ogni condotta ricadente di seguito, a maturata e definitiva individuazione dell'aggiudicatario, era percio' da considerarsi successiva alla gara. Per quanto concerne, poi, la condotta di minaccia, la (OMISSIS) ha chiarito di non essere stata minacciata personalmente dall'indagato e che i timori erano nati dalla lettura delle cronache locali. Il Tribunale non si avvede della decisivita' della reputata fondatezza delle recriminazioni di (OMISSIS), che, il (OMISSIS), stante la mancata esecuzione della sentenza del 2014, che aveva accertato l'occupazione abusiva, assumeva di non essere mai stato destinatario di un formale ordine di sgombero. E' vero che la mancata esecuzione non legittimava (OMISSIS) a mantenere il possesso dell'immobile, ma e' anche vero che la mancata esecuzione della sentenza non legittimava l' (OMISSIS) a considerare il bene posto all'asta libero da beni e persone. Inoltre, la (OMISSIS) non desistette mai dall'acquisto dell'immobile, diffido' e intimo' azioni nei confronti dell' (OMISSIS), piuttosto che nei confronti di (OMISSIS). 2.2.Quanto ai capi 2) e 3) e' incontestabile che il 23 ottobre 2012 la Corte di appello di Roma abbia revocato la misura personale della sorveglianza speciale; e' dunque inesatto sostenere che l'indagato sia gia' stato giudicato in via definitiva socialmente pericoloso essendo vero che quel giudizio genero', piuttosto, la revoca della proposta della misura di sicurezza personale. La Corte ha ritenuto sussistente la pericolosita' sociale dell'indagato unicamente dal 2003 al 2006. Erroneamente il Tribunale del riesame ha operato una inaccettabile attualizzazione della stessa, ai fini di verifica del dolo specifico preteso. La valorizzazione del rinvio a giudizio del 9 novembre 2020, non ha sicuramente il pregio di generare la finalita' elusiva ben due anni prima; lo stesso dicasi avendo riguardo alla insussistente turbativa del (OMISSIS). Il Tribunale del riesame incorre in un vizio motivazionale laddove fa propria la reale finalita' elusiva dedotta dalla difesa, e cioe' quella tesa ad evitare pignoramenti successivi alla sentenza di sfratto, limitando, nel caso, la valutazione del tema alla possibile concorrenza di altra assorbente finalita', senza spiegare perche' quella dedotta dal difensore non possa essere l'unico vero scopo prefigurato cosi' al tempo dei trasferimenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per tutti i reati in contestazione e, pertanto, l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio; deve, conseguentemente, essere annullata anche l'ordinanza emessa il 29 aprile 2022 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Latina. 2. Quanto al reato di cui all'articolo 353 c.p., il nucleo della censura avanzata dal ricorrente attiene al fatto che la condotta accertata non era in alcun modo idonea ad influire su una gara che, ormai, era gia' definita con la assegnazione dell'immobile alla (OMISSIS). 2.Rileva il Collegio che, in effetti, dalla lettura della documentazione allegata dal difensore, risulta che: - il 25 settembre 2019, il notaio, preso atto della presentazione di una sola offerta da parte di (OMISSIS) ad un prezzo superiore al prezzo base, procedeva alla aggiudicazione provvisoria del lotto alla predetta; -il 27 settembre 2019 la (OMISSIS) inoltrava prontamente alla (OMISSIS) tutti i documenti compilati e firmati e la documentazione antiriciclaggio; - il 1 ottobre 2019 la (OMISSIS) comunicava che, non rilevando elementi ostativi all'aggiudicazione, la stessa veniva confermata; - nel corso dei mesi successivi la aggiudicataria versava le somme richiestele a titolo di deposito cauzionale, di acconto e di saldo prezzo. - in quel periodo e, quindi prima del giorno fissato per la stipula del rogito, l'indagato poneva in essere la condotta minacciosa, che, stando alla prospettazione accusatoria, turbo' l'incanto in questione, posto che non si arrivo' mai alla firma del rogito. 3. E' opportuno premettere che i principi di diritto piu' volte affermati in sede di legittimita' convergono nel ritenere configurabile il reato di turbata liberta' degli incanti in ogni situazione in cui vi sia una procedura di gara, anche informale e atipica, mediante la quale la P.A. proceda all'individuazione del contraente, nel senso che l'amministrazione si determina per la scelta del contraente allo scopo di selezionare la procedura piu' vantaggiosa per le proprie esigenze e piu' adeguata ai propri interessi orientati al buon andamento (Sez. 6, n. 44829 del 22/09/2004, Di Vincenzo, Rv. 230522; Sez. 6, n. 13124 del 28/01/2008, Mancianti, Rv. 239314; Sez. 6, n. 29581 del 24/05/2011, Tato', Rv. 250732). Il reato di cui all'articolo 353 c.p. si configura, inoltre, come reato di pericolo: non occorre invero che l'azione tipica determini un danno effettivo alla regolarita' della gara, ma e' sufficiente anche solo che essa produca un "danno mediato e potenziale", costituito dalla semplice "idoneita'" degli atti ad influenzare l'andamento della gara (tra le tante, Sez. 6, n. 10272 del 23/01/2019, Cesosimo, Rv. 275163), senza che sia necessario quindi dimostrare un'effettiva alterazione dei suoi risultati (Sez. 2, n. 43408 del 23/06/2016, Martinico, Rv. 267967). L'evento naturalistico del reato richiede infatti, oltre all'ipotesi dell'impedimento della gara o dell'allontanamento degli offerenti, che sia stato realizzato anche solo il turbamento della gara, situazione questa che e' integrata da una condotta che abbia anche soltanto influito sulla sua regolare procedura, alterandone lo svolgimento (in tal senso, il turbamento puo' consistere anche nello "sviamento" del regolare svolgimento della gara, tale da determinarne uno sviluppo anomalo). Onde evitare di conferire rilievo penale a qualsiasi "comportamento perturbatore", la condotta tipica deve essere idonea a ledere i beni giuridici protetti dalla norma, che si identificano non solo con l'interesse pubblico alla libera concorrenza, ma anche con l'interesse pubblico al libero "gioco" della maggiorazione delle offerte, a garanzia degli interessi della pubblica amministrazione (cosi', Sez. 6, n. 12821 del 11/03/2013, Adami, Rv. 254906; in senso conforme, tra tante, Sez. 2, n. 7013 del 05/11/2018, dep. 2019, Morabito, non mass.; Sez. 6, n. 2989 del 15/01/2019, Filippelli, non mass.). 3.1. Per quanto concerne, in particolare, il momento consumativo del reato, deve osservarsi che la norma dettata dall'articolo 353 c.p. configura, nelle sue varie ipotesi, condotte destinate a sfociare e a concludersi con il perfezionamento della gara. Si tratta di un atto formale, particolareggiatamente disciplinato dal diritto amministrativo, tanto e' vero che la stessa norma penale, volendo comprendere nella fattispecie anche quelle forme di attribuzione dei pubblici appalti che, pur prevedendo la concorrenza tra vari aspiranti, non vengano decise con una gara nei pubblici incanti, ha espressamente previsto l'ipotesi della licitazione privata per conto di una pubblica amministrazione. Se mai vi fosse bisogno di conferma che vada oltre l'inequivocabile significato letterale della norma incriminatrice, basterebbe considerare che la giurisprudenza costante del giudice amministrativo (per tutte, Consiglio di Stato, Sez. 5, n. 334 del 08/04/1997) ha stabilito che in materia di contratti della pubblica amministrazione, l'interesse a impugnare gli atti di gara sorge solo al momento dell'aggiudicazione, e fornisce percio' la controprova (desunta da norme dell'ordinamento di diversa natura, ma da utilizzare per l'individuazione di uno degli elementi oggettivi della fattispecie penale) che quello e' il momento formale da prendere in considerazione nella costruzione della fattispecie penalistica. D'altra parte, tutta la giurisprudenza penale, nella materia che interessa, pur facendo riferimento alla complessita' del procedimento di aggiudicazione e pur affermando la possibilita' che la condotta possa inerire all'uno piuttosto che all'altro dei momenti in cui il procedimento si concretizza, ha sempre come punto di riferimento finale la aggiudicazione della gara (Sez. 1, n. 46546 del 11/11/2005, Castiglione, Rv 232960). Non e' di aiuto, ai fini di una interpretazione di segno opposto, nemmeno la considerazione secondo la quale la giurisprudenza di questa Corte riconosce in taluni casi la possibilita' di interpellare il secondo classificato al fine di stipulare un nuovo contratto per il completamento dei lavori, alle medesime condizioni economiche gia' proposte in sede di offerta. Questa norma non sposta affatto in avanti il momento dell'aggiudicazione, anzi, interpretata correttamente, costituisce un'ulteriore conferma del fatto che l'aggiudicazione formale rappresenta il momento conclusivo della procedura, alla quale aggiunge, in forma derogatoria ed alquanto limitata, la possibilita' di scelta di un altro contraente, la cui concreta individuazione, pero', e' sempre frutto del momento formale della conclusione della gara, tanto che da qual momento se ne trae l'identificazione (il secondo classificato, anziche' il primo). I comportamenti successivi, pertanto, anche alla luce della normativa speciale che si va commentando, potranno eventualmente perseguire interessi anche ipoteticamente illeciti e quindi integrare, esistendone tutti gli altri presupposti, altri titoli di reato, ma non quello previsto dall'articolo 353 c.p. Nessun'altra interpretazione e' possibile, non solo per le ragioni di ordine letterale e sistematico accennate, ma anche perche' uno sforzo interpretativo che portasse a forzarne il significato finirebbe per risolversi in una interpretazione analogica della norma penale, non consentita in via di principio. Difatti, il decreto di trasferimento dell'immobile rappresenta una fase di completamento del procedimento amministrativo ormai estranea alla precedente fase della scelta del contraente che rappresenta l'oggetto della tutela offerta dalla norma di cui all'articolo 353 c.p.. 3.2. Cio' premesso, va osservato che i Giudici di merito non hanno fatto buon governo dei suddetti principi, avendo ritenuto che il momento consumativo del reato sia quello della stipula del contratto di compravendita, perche' solo allora si producono gli effetti traslativi. Si tratta di due momenti da tenere distinti, perche' nel primo viene individuato l'aggiudicatario della gara e nel secondo si verificano gli effetti contrattuali. La procedura pero', come sopra precisato, si chiude al momento della aggiudicazione ed e' quello il momento consumativo del reato, che prescinde dal trasferimento del bene. Le indebite pressioni del ricorrente non potevano, quindi, incidere in alcun modo sull'esito del procedimento amministrativo. La circostanza, riconosciuta da questa Corte, che i comportamenti integranti il reato di turbata liberta' degli incanti possono essere realizzati anche dopo l'aggiudicazione provvisoria, atteso che la stessa ha una valenza meramente endoprocedimentale (Sez. 6, n. 57251 del 09/11/2017, Vigato, Rv. 271727), non sposta i termini della questione, dal momento che anche per tale orientamento giurisprudenziale, la consumazione del reato coincide con il momento dell'aggiudicazione definitiva, che non e' di certo quello della stipula del contratto. In questo senso, va innanzitutto evidenziato che il termine "gara", impiegato dal legislatore, secondo l'accezione etimologica di comune uso, implica il riferimento ad una "competizione", sicche' risulta arbitrario delimitarne l'ambito di pertinenza a fasi anteriori alla definizione di quest'ultima. In linea con questa conclusione, la giurisprudenza, con riferimento agli incanti previsti dal codice di procedura civile, ha osservato che l'utilizzo, nell'articolo 353 c.p., del termine "gara" in luogo di "asta" e' "chiaramente indicativo dell'intenzione del legislatore di sanzionare non solo le turbative materiali allo svolgimento delle procedure di incanto, ma tutte le condotte tipiche che si inseriscono nell'ambito della procedura, falsandone l'esito". Con specifico riferimento alle procedure relative all'aggiudicazione dei contratti ad evidenza pubblica, poi, deve osservarsi che, anche secondo la giurisprudenza amministrativa, il procedimento di "gara" si conclude con l'aggiudicazione definitiva: e' costante, infatti, l'affermazione secondo cui l'impugnazione giurisdizionale dell'aggiudicazione provvisoria e' meramente facoltativa, "dato il carattere endoprocedimentale di detto atto" (cosi' Cons. Stato, Sez. IV del 07/11/2014, n. 5497; nello stesso senso, tra le altre, Cons. Stato, Sez. V del 08/09/2008, n. 4241). Nel caso in esame, in ogni caso, la condotta contestata all'imputato si era verificata successivamente all'aggiudicazione definitiva e quindi non e' in alcun modo configurabile il reato di cui all'articolo 353 c.p.. La condotta accertata non era idonea ad influire su una gara che, ormai, era gia' definita con la assegnazione dell'immobile alla (OMISSIS). Come si e' detto, il decreto di trasferimento dell'immobile rappresenta una fase di completamento del procedimento amministrativo ormai estranea alla precedente fase della scelta del contraente, che rappresenta, invece, l'oggetto della tutela offerta dalla norma di cui all'articolo 353 c.p.. 4. E' fondato anche il motivo di ricorso avente ad oggetto la sussistenza dei reati di cui all'articolo 512-bis c.p.. 4.1.11 delitto di trasferimento fraudolento di valori e' una fattispecie a forma libera che si concretizza nell'attribuzione fittizia della titolarita' o della disponibilita' di denaro o altra utilita' realizzata in qualsiasi forma. Il fatto-reato consiste nella dolosa determinazione di una situazione di apparenza giuridica e formale della titolarita' o disponibilita' del bene, difforme dalla realta', al fine di eludere misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando ovvero al fine di agevolare la commissione di reati relativi alla circolazione di mezzi economici di illecita provenienza (Sez. 1, n. 30165 del 26/04/2007, Di Cataldo, Rv. 237595). Quanto all'elemento soggettivo, il delitto in questione richiede che tutti concorrenti nel reato abbiano agito con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, per la cui prova in giudizio non e' sufficiente dar conto della fittizia attribuzione della titolarita' o disponibilita' di denaro, beni o altre utilita'. (Sez. 6, n. 34667 del 05/05/2016, Arduino, Rv. 267705; fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza di assoluzione dell'intestatario fittizio dei beni, ritenendo insufficiente la prova della sua consapevolezza circa l'appartenenza del titolare effettivo ad un sodalizio criminoso e della conseguente finalita' di eludere le disposizioni in materia di prevenzione patrimoniale). Al fine di bilanciare l'ampiezza e l'indeterminatezza dell'elemento oggettivo, la fattispecie criminosa in esame richiede, pertanto, il dolo specifico, consistente nella precipua finalita' di elusione delle misure di prevenzione patrimoniali, limite indefettibile che qualifica la condotta, differenziandola da una lecita simulazione di carattere civilistico. 4.2 Il Tribunale del riesame non ha dato corretta applicazione di tale regula iuris. Il provvedimento impugnato, analogamente all'ordinanza genetica che viene specificatamente richiamata, motiva, infatti, ampiamente in ordine al fatto che la gestione effettiva della societa' (OMISSIS) e di alcuni immobili dell'indagato rimaneva in capo allo stesso e quindi sull'elemento oggettivo del reato, ma non si sofferma sulla prova della consapevolezza in capo all'indagato della finalita' di eludere le disposizioni in materia di prevenzione patrimoniale. Mette conto rilevare, inoltre, che, sebbene la configurabilita' del reato di trasferimento fraudolento di valori non sia esclusa dal fatto che i beni del soggetto sottoposto o sottoponibile a una misura di prevenzione patrimoniale siano stati intestati fittiziamente a un soggetto per il quale opera la presunzione di interposizione fittizia ex L. n. 575 del 1965, articolo 2- ter - ora sostituita dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 26, comma 2 come modificato dal Decreto Legge n. 152 del 2021, tuttavia in questi casi la capacita' elusiva dell'operazione patrimoniale non puo' prescindere dall'apprezzamento di elementi di fatto ulteriori rispetto all'atto di trasferimento, che consentano la ricostruzione della fattispecie incriminatrice, non solo sul piano oggettivo, ma anche su quello soggettivo. E, del resto, la verosimile consapevolezza in capo all'indagato della inidoneita' della fittizia intestazione a eludere eventuali misure patrimoniali costituisce, ovviamente, un quid pluris di carattere liberatorio. Sul punto il Collegio della cautela e', invece, rimasto silente. Deve, infine, evidenziarsi che il Tribunale del riesame, allorche' ha riconosciuto che interesse primario degli sforzi di (OMISSIS) era anche quello di evitare pignoramenti a seguito della sentenza di sfratto, ha, in tal modo, ammesso che quella potesse essere la vera finalita' dell'intera operazione. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e quella emessa in data 29/04/2022 dal G.i.p. del Tribunale di Latina, disponendo la rimessione in liberta' di (OMISSIS). Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 626 c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D'ASCOLA Pasquale - Presidente Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. CRISCULO Mauro - Consigliere Dott. DONGIACOMO Giuseppe - Consigliere Dott. CAPONI Remo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 12166/2019 proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), domiciliati in Roma, presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrenti - contro (OMISSIS) s.r.l.; - intimata - avverso la sentenza del TRIBUNALE DI LECCE n. 962/2019, depositata il 14/3/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/06/2022 dal consigliere REMO CAPONI; udite le conclusioni del P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale CORRADO MISTRI, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; udito l'Avvocato (OMISSIS) per la parte ricorrente. FATTI DI CAUSA (OMISSIS) e (OMISSIS) impugnano in cassazione la sentenza che, in accoglimento dell'appello, ha ordinato a ciascuno di loro la restituzione della somma di denaro che costoro avevano versato, a titolo di deposito cauzionale (l'una di 4.890,00 Euro, l'altra di 3.400,00 Euro), all'atto del rilascio di due proposte di acquisto, ognuna delle quali avente ad oggetto un bene immobile da costruire, rivolte il 4/6/2013 dai (OMISSIS) alla (OMISSIS), odierna intimata in cassazione. I (OMISSIS) avevano adito l'autorita' giudiziaria in conseguenza della mancata stipula dei due preliminari di compravendita entro il termine del 31/12/2013. Il 2/1/2014 i (OMISSIS) ricevevano da (OMISSIS) una richiesta datata 4/12/2013 di concordare - nei successivi 5 giorni - un incontro per la stipula del preliminare. Con raccomandata dell'8/1/2014 i (OMISSIS) contestavano l'operato della societa' immobiliare, con particolare riferimento alla tardivita' dell'invito alla stipula, e chiedevano la restituzione delle somme. Nel 2004, il Giudice di pace di Lecce emetteva due corrispondenti decreti ingiuntivi aventi ad oggetto la condanna di (OMISSIS) alla restituzione. I decreti ingiuntivi venivano confermati in sede di giudizio di opposizione nel 2015. In secondo grado il Tribunale di Lecce revocava i decreti ingiuntivi, condannando i (OMISSIS) ad un rinnovato pagamento delle somme in controversia. Due sono i motivi che i (OMISSIS) affidano al loro ricorso in cassazione. La (OMISSIS) rimane intimata. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - Ragioni di priorita' logica suggeriscono di invertire l'esame dei due motivi e di anteporre una premessa. Il testo delle due proposte di acquisto e' redatto su formulari predisposti dalla (OMISSIS), nei quali, per quanto qui interessa, e' prevista la stipula dei contratti preliminari di compravendita entro il 31/12/2013, oltre alla seguente clausola n. 3: "(...) In caso di revoca della presente proposta e/o di rinuncia all'acquisto dell'immobile in oggetto, il sottoscritto riconoscera' all'Agenzia, a titolo distinto di penale e di rimborso per le spese sostenute, la somma di Euro 3.400,00 (Euro 4.890,00 per (OMISSIS))". Vi e' infine una clausola aggiunta di pugno, secondo la quale: "Nel caso in cui non dovesse partire il cantiere le somme versate a titolo di deposito cauzionale saranno restituite". Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si deduce violazione degli articoli 1453 e 1457 c.c. per avere il giudice d'appello ritenuto che: (a) il termine del 31/12/2013 non fosse essenziale; (b) che la clausola aggiunta di pugno non prevedesse alcun termine entro cui sarebbero dovuti iniziare i lavori; (c) il contratto non fosse da dichiarare risolto per inadempimento della (OMISSIS). 2. - Nei suoi vari profili, il secondo motivo esibisce ragioni d'inammissibilita' e d'infondatezza. Nel complesso e' infondato. Iniziando la disamina dal primo profilo (sub a), occorre muovere dall'orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'accertamento in ordine alla essenzialita' del termine per l'adempimento, ex articolo 1457 c.c., e' riservato al prudente apprezzamento del giudice di merito, che esamina le espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, la natura e l'oggetto del contratto, al fine di verificare se e' manifesta la volonta' delle parti di ritenere perduta l'utilita' economica dell'accordo dopo l'inutile decorso del termine. Tale volonta' non puo' essere desunta unicamente dall'uso di espressioni come "entro e non oltre" oppure "termine ultimo" (come parte ricorrente allega essere stato concordato nel caso di specie, cfr. ricorso, p. 9), riferite al tempo di esecuzione della prestazione. Infatti, deve profilarsi dall'oggetto del negozio o da indicazioni specifiche e circostanziate delle parti il fatto che costoro intendano considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l'utilita' ripromessa (cfr. Cass. 10353/2020). Proseguendo sulla direttrice segnata dall'orientamento giurisprudenziale sintetizzato nel capoverso precedente, con l'occhio rivolto al caso di specie, e' appena il caso di precisare che l'apprezzamento riservato al giudice di merito e' - per cosi' dire - di secondo grado: accerta e ricostruisce il comune apprezzamento che, al tempo della conclusione del contratto, le parti hanno compiuto nel senso del carattere essenziale che il rispetto tassativo del termine fissato per la prestazione assume nell'interesse di una di esse. Orbene, le pur perspicaci argomentazioni svolte dalla parte ricorrente per contestare l'accertamento giudiziale (ricorso, p. 7-11) muovono integralmente da una logica di apprezzamento unilaterale ad opera della parte beneficiata dalla fissazione del termine e non scalfiscono l'accertamento giudiziale che ha tratto correttamente ad oggetto la ricostruzione dell'apprezzamento comune delle parti al tempo della sottoscrizione della proposta irrevocabile, ricostruzione condotta attraverso un buon governo - sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici - degli orientamenti della giurisprudenza di legittimita', appena richiamati. Valga per tutte il richiamo alla seguente osservazione, svolta dal giudice di appello: "In particolare nella presente fattispecie si deve escludere che il termine indicato nella proposta fosse essenziale e' che, comunque, il suo decorso abbia fatto inesorabilmente venir meno l'interesse delle parti all'utilita' economica dell'operazione negoziale, in quanto in primis entro tale termine le parti avrebbero dovuto stipulare un mero contratto preliminare, mentre solo con la successiva stipulazione del contratto di compravendita avrebbero regolato in maniera definitiva i loro rapporti". In conclusione, il primo profilo del secondo motivo e' infondato. 3. - Passando ad esaminare il secondo profilo del secondo motivo, e' sufficiente richiamare integralmente le considerazioni svolte nel paragrafo precedente, per attestare l'incensurabilita' in questa sede del seguente accertamento compiuto dal giudice d'appello sulla clausola aggiunta in calce alla proposta di acquisto: "Innanzitutto si deve osservare l'assenza di qualsivoglia espresso riferimento nella clausola in esame ad un collegamento tra l'inizio del cantiere e la stipulazione del contratto preliminare, oltre che tanto meno qualsivoglia richiamo allo specifico termine del 31/12/2013 previsto per la stipulazione del preliminare stesso, mentre, d'altro canto, occorre invece rilevare come data la genericita' del tenore letterale della clausola in questione non si puo' che ritenere che la stessa sia stata aggiunta in coda alla proposta irrevocabile di acquisto come clausola di chiusura volta a garantire agli acquirenti che solo in caso di definitiva mancata attivazione del cantiere le somme corrisposte all'agenzia sarebbero state restituite". E' appena il caso di ribadire - proprio al cospetto di una citazione cosi' ampia della sentenza impugnata - che il compito di una corte di legittimita' non e' di condividere o fare proprio l'apprezzamento riservato al giudice di merito, ma unicamente di controllare che esso sia immune da vizi logici e giuridici. Un controllo che, nel caso di specie, si conclude nel senso della incensurabilita'. In conclusione, il secondo profilo del secondo motivo e' infondato. 4. - Il terzo profilo del secondo motivo e' articolato in questi termini: "comunque, ed anche indipendentemente dalla valutazione circa l'essenzialita' di quel termine, il Tribunale avrebbe dovuto accertare, ex articolo 1453 c.c., la risoluzione del contratto per inadempimento della (OMISSIS), e cio' proprio per i rilevanti interessi economici in gioco e lo squilibrato sinallagma contrattuale". A parte l'errore di qualificare come contratto una proposta irrevocabile, il profilo e' inammissibile per difetto di specificita' ex articolo 366 c.p.c., n. 4, perche' privo di censure articolate e circostanziate con riferimento ai luoghi salienti della sentenza impugnata che si intendono bersagliare. Anzi, esso e' inserito in modo parentetico nel contesto di argomentazioni rivolte a censurare la motivazione sull'essenzialita' del termine, gia' esaminata nei due paragrafi precedenti. In conclusione, il terzo profilo del secondo motivo e' inammissibile. 5. - Dalla infondatezza o inammissibilita' di ogni profilio di cui consta il secondo motivo segue il rigetto di quest'ultimo nel suo complesso. 6. - Con il primo motivo, proposto ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si deducono la violazione del Decreto Legislativo n. 206 del 2005, articolo 33, lettera e), articolo 18 comma 1, articolo 34, comma 5, nonche' omesso e/o insufficiente esame di fatti oggetto di discussione tra le parti per avere il giudice d'appello omesso di applicare alle proposte di acquisto de quibus la disciplina delle clausole vessatorie prevista dal codice del consumo. In particolare, la parte ricorrente censura la mancata applicazione delle seguenti previsioni: "(Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di): (...) e) consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se e' quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere" (articolo 33, lettera e); "Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l'onere di provare che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore". Il primo motivo e' da dichiarare inammissibile poiche' non bersaglia la ratio sottostante alla decisione del giudice d'appello, che si coglie invece con chiarezza nel brano seguente: "Si deve escludere che la mancata stipulazione del contratto preliminare entro il termine del 31/12/2013 ed anche il mancato avvio del cantiere dei lavori nello stesso termine possano giustificare la restituzione delle somme di Euro 4.890 ed Euro 3.400,00, atteso che il termine del 31/12/2013 non puo' ritenersi essenziale, la societa' immobiliare ha effettivamente invitato gli odierni opposti a procedere alla stipulazione del contratto preliminare proprio a ridosso della scadenza del termine e comunque non era stato previsto alcun specifico termine per l'attivazione del cantiere". Pertanto, il fondamento della condanna alla restituzione delle somme non e' l'accertamento del diritto a trattenerle definitivamente sulla base della clausola n. 3 delle proposte irrevocabili d'acquisto di cui e' lamentato il carattere vessatorio, bensi' l'accertamento che la restituzione delle somme ordinata dal giudice di primo grado e' priva di ragioni, poiche' il termine del 31/12/2013 non riveste carattere essenziale (come si e' avuto modo di constatare anteponendo l'esame del secondo motivo) e nessun termine e' stato previsto per l'avvio del cantiere. Detto altrimenti: alla stregua dell'apprezzamento del giudice d'appello, permangono le ragioni del versamento delle somme a titolo di deposito cauzionale concordato e attuato al momento della sottoscrizione delle due proposte irrevocabili di acquisto. Infatti, a fondamento della propria decisione, il Tribunale ha accertato che il termine del 31/12/2013 non riveste carattere essenziale e che nessun termine e' stato previsto per l'avvio del cantiere. Ancora in altri termini: secondo il giudice d'appello e' giuridicamente ancora in essere il rapporto che ha preso a svolgersi tra le parti sulla base della sottoscrizione delle proposte irrevocabili di acquisto. 7. - Se ne fosse bisogno, una conferma che e' questa la ratio decidendi della condanna alla restituzione e non gia' l'irrilevante clausola di cui i ricorrenti lamentano la vessatorieta', lo si desume dall'articolazione dei motivi d'appello. Infatti, la decisione del giudice d'appello si basa sull'esplicito accoglimento del secondo e terzo motivo d'appello, esaminati congiuntamente, mentre il quarto e' rimasto assorbito. Orbene, con il secondo motivo d'appello la (OMISSIS) deduceva che il giudice di primo grado aveva errato nel ritenere che la clausola aggiunta in calce alla proposta d'acquisto ponesse a carico della societa' immobiliare l'obbligo di restituire le somme gia' percepite nel caso in cui il cantiere non fosse partito entro il termine del 31/12/2013. Con il terzo motivo, l'appellante contestava che il predetto termine, fissato per la stipulazione del preliminare, fosse essenziale. Solo con il quarto motivo, in via subordinata, la societa' immobiliare deduceva che il giudice di primo grado avesse mancato di riconoscere in ogni caso il suo diritto a trattenere le somme in causa a titolo di penale e di rimborso spese ai sensi della clausola n. 3 delle proposte irrevocabili d'acquisto. Pertanto il primo motivo del ricorso in cassazione cade nel vuoto di decisione perimetrato dall'accoglimento del secondo e del terzo motivo d'appello e dall'implicito assorbimento del quarto motivo. In conclusione, il primo motivo e' inammissibile. 8. - L'inammissibilita' ovvero l'infondatezza di ciascuno dei due motivi su cui e' fondato il ricorso determina il rigetto del ricorso nel suo complesso. Poiche' la parte intimata non ha svolto attivita' difensiva nel presente giudizio, non vi e' luogo a provvedere su spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma - dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI MILANO SEZIONE III CIVILE Riunita in Camera di Consiglio in persona dei Signori Magistrati - Dott. Irene Formaggia - Presidente - Dott. Maria Grazia Federici - Giudice Consigliere - Dott. Giampiero Barile - Giudice ausiliario relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1892/2022 RG promossa, con ricorso depositato il 20.6.2022 e notificato il 28.6.2022, da (...) SRL, in persona del l.r.p.t. (C.F. (...)), con patrocinio dell'avvocato Bi.Ca. e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Via (...) contro (...) (C.F. (...)), con patrocinio degli avvocati Gi.Ve. e Es.Co. e domicilio eletto presso il loro studio in Milano, Viale (...). OGGETTO: altri istituti del diritto delle locazioni MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO E DIRITTO Con ricorso ex art. 447-bis c.p.c. (...), conduttrice dell'immobile sito in M. alla via S. M. del C. n. 10 in virtù di contratto di locazione commerciale stipulato il 4.8.2017 e registrato in pari data, ha convenuto in giudizio la società locatrice (...) S.r.l. (ora (...) SRL) chiedendo, previo accertamento della nullità per assenza di causa della clausola 15 del contratto inter partes concluso, la condanna di quest'ultima alla restituzione in proprio favore dell'importo già versato di Euro 42.700,00, nonché una riduzione del canone di locazione in ragione dell'emergenza dovuta alla pandemia di Covid-19. Costituendosi tardivamente in giudizio, la società convenuta ha contestato integralmente l'assunto avversario chiedendo, preliminarmente, la rimessione in termini e, nel merito, il rigetto della domanda avversaria. All'udienza del 16.12.2021, uditi i testimoni indicati da parte ricorrente ed espletato l'interrogatorio del legale rappresentante di (...) srl, sig.ra (...), il Giudice, respinta la richiesta di parte resistente di essere rimessa in termini, ha fissato per la decisione l'udienza al 30.05.2022. Con sentenza n. 4894/2022 il Tribunale di Milano ha condannato (...) S.r.l. alla restituzione a favore di (...) della somma di Euro 42.700,00, oltre interessi dalla data dei singoli versamenti al saldo. Rigettata ogni altra domanda, ha condannato (...) S.r.l. alla rifusione delle spese di lite come liquidate in dispositivo a favore di (...). Con ricorso in appello depositato il 20.6.2022, (...) S.r.l. ha interposto gravame avverso la suindicata sentenza chiedendone la parziale riforma. Ha chiesto di dichiararsi la validità giuridica della clausola contrattuale n. 15, con conseguente rigetto di ogni domanda formulata in primo grado dalla conduttrice (...), con vittoria delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio o, nel caso di rigetto dell'appello, con compensazione, integrale o parziale, delle spese afferenti il primo grado. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza di discussione, è stato notificato a parte appellata in data 28.6.2022. (...), costituendosi in giudizio con memoria difensiva depositata telematicamente il 5.1.2023, ha insistito per il rigetto dell'appello, poiché improcedibile e comunque infondato, per la conferma della sentenza impugnata e per la vittoria delle spese di lite. All'udienza del 18.1.2023, esperito senza esito il tentativo di conciliazione e dopo la discussione orale delle parti, il Collegio ha deciso la causa dando lettura del dispositivo allegato al verbale. Preliminarmente, quanto all'eccezione di inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c. formulata da (...), va osservato che, anche laddove si ammettesse la compatibilità di detta norma con il rito locatizio, ove la causa viene normalmente decisa alla stessa prima udienza, la relativa pronuncia può essere emessa soltanto in limine litis, quando l'impugnazione appaia "a prima vista" infondata, con eventualità di accoglimento ritenute ab origine pressoché impossibili in base ad un giudizio prognostico altamente probabilistico, ed in assenza di una ragionevole probabilità di accoglimento secondo una valutazione sommaria che porta a ravvedere un evidente insuccesso dell'appello; cosa, nella specie, non immediatamente percepibile avendo il Collegio proceduto alla discussione dalla causa entrando direttamente nel merito per giungere alla definizione definitiva. Sempre in via preliminare va dichiarata l'inammissibilità del giuramento decisorio deferito da parte appellante. L'art. 233 co. 1 c.p.c., pur consentendo il deferimento in qualunque stato della causa avanti al giudice istruttore - e dunque anche in appello -, ascrive la delazione del giuramento al ristretto novero degli atti espressamente riservati alla parte in persona, e dunque non rientranti tra i poteri del difensore tecnico ai sensi dell' art. 84, 1 co. c.p.c.. In particolare il giuramento decisorio deferito con atto processuale richiede la sottoscrizione della parte personalmente o del suo procuratore, che deve però essere munito di mandato speciale, a pena di inammissibilità (rif. in ultimo C. 17718/2020). Nel caso di specie il giuramento decisorio è stato deferito in sede di ricorso in appello che, tuttavia, non risulta sottoscritto personalmente dal legale rappresentante della società appellante, ma solo dal suo procuratore che, però, non è munito di mandato speciale. Nel mandato ad litem allegato, infatti, non è indicata la possibilità di deferire il giuramento decisorio, con la conseguenza che la relativa richiesta non può che considerarsi inammissibile. Tanto premesso e passando al merito, con il primo motivo di impugnazione, (...) srl ha censurato il Tribunale per aver ritenuto nulla la clausola 15 del contratto inter partes stipulato che prevedeva, in aggiunta al canone di locazione, il versamento di un indennizzo di Euro. 50.000,00 oltre iva "quale contributo per la consegna dell'immobile libero da vincoli di occupazione di terzi nonché quale fee di ingresso nel bene locato", senza considerare a) la riconducibilità del fee di ingresso alla volontà negoziale delle parti formatasi al momento della conclusione per iscritto del contratto di locazione commerciale registrato, b) la possibilità di prevedere contrattualmente ulteriori benefici per il locatore, c) la configurabilità della causa del fee di ingresso nello scambio tra il godimento immediato dell'immobile e la corresponsione dell'importo. Il motivo non ha pregio. Premesso il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui "in materia di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da abitazione, è nulla, ai sensi dell'art. 79 della L. 27 luglio 1978, n. 392, ogni pattuizione che consenta al locatore di pretendere dal conduttore un pagamento non giustificato dal sinallagma contrattuale" (tra le innumerevoli C. n. 20551/2014), il Tribunale si è correttamente soffermato sulla causa sottesa all'obbligo di versamento, a carico della conduttrice (...), dell'ulteriore corrispettivo indicato nella clausola 15 del contratto di locazione oggetto di causa. Partendo dalla lettura di tale clausola che, testualmente, così recita "quale contributo per la consegna dell'immobile libero da vincoli di occupazione di terzi, nonché quale fee di ingresso nel bene locato la parte conduttrice si impegna a versare in favore di parte locatrice la somma complessiva di Euro 50.000,00 oltre IVA ", va innanzitutto condivisa l'osservazione del primo decidente secondo cui la "consegna dell'immobile libero da vincoli di occupazione di terzi" integra un'obbligazione già ricompresa in quelle dettate a carico del locatore ex art. 1575 c. 1 n. 3 c.c. ed ex art. 1585 c. 1 c.c. con la conseguenza che essa non può ritenersi causa sottesa all'obbligo del versamento dell'ulteriore corrispettivo indicato nella clausola in contestazione. A ben vedere parte appellante concentra il suo motivo di gravame unicamente sulla dedotta interpretazione del cosiddetto "fee di ingresso" allegando che le ragioni economiche giustificative di tale corrispettivo sarebbero da individuarsi nella "fornitura dell'arredamento e locali in perfetto ordine per poter esercitare l'attività commerciale di vendita pubblico con immediatezza e senza ulteriori costi aggiuntivi". In disparte del rilievo secondo cui, notoriamente, la presenza di mobilio nell'immobile concesso in locazione, le rifiniture, le caratteristiche anche impiantistiche possono al più avere incidenza sull'ammontare del canone, giustificare la corresponsione di un deposito cauzionale o il rilascio di una garanzia, neppure risulta provato che la predisposizione dei locali sia stata richiesta dalla conduttrice G. o realizzata specificatamente per consentirne l'immediata operatività sul mercato essendo emerso, da un lato, che la ristrutturazione è avvenuta anni prima della stipula del contratto oggi in discussione e, dall'altro, che l'immobile fosse adibito alla vendita di abbigliamento femminile già dal 2012. Dalle allegazioni di parte attrice non emerge dunque la funzione economico-sociale sottesa al versamento di cui alla clausola in commento che pare tesa solo a mascherare un patto di maggiorazione del canone che, in quanto tale, è insanabilmente nullo, a prescindere dall'avvenuta registrazione. Né vale a scalfire tale conclusione l'argomentazione di parte appellante secondo cui la previsione di questo importo aggiuntivo rispetto al canone sarebbe legittimo in quanto frutto dell'autonomia contrattuale delle parti espressa al momento della conclusione del contratto scritto e registrato. In primo luogo, infatti, la L. 27 luglio 1978, n. 392, consente ai contraenti la libera determinazione del canone iniziale, ma vieta al locatore di pretendere il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di "buona entrata", trattandosi di voci prive di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale in quanto dirette ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni in materia. Né del resto assume rilievo la circostanza allegata dall'appellante secondo cui questa pattuizione risalirebbe al momento della sottoscrizione e registrazione del contratto, atteso il principio secondo cui "la sanzione di nullità sancita dall'art. 79 della L. n. 392 del 1978, tradizionalmente intesa come volta a colpire le sole maggiorazioni del canone previste "in itinere" e diverse da quelle consentite "ex lege", deve, invece, essere letta nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto" (C. SS.UU. n. 23601/2017). Passando alla censura sollevata da parte appellante nel secondo motivo di impugnazione attinente la regolamentazione delle spese processuali del primo grado di giudizio, si osserva. Come richiamato nelle premesse, nella domanda introduttiva del giudizio di primo grado, (...) ha chiesto la condanna della locatrice alla restituzione in proprio favore dell'importo versatole in forza della clausola 15 del contratto, pari ad Euro 42.700,00, nonché che fosse disposta una riduzione del canone di locazione in ragione dell'emergenza dovuta alla pandemia di Covid-19, così indicando il valore della controversia come indeterminabile. Il Tribunale, accolta la richiesta restitutoria della somma di Euro. 42.700,00, ha respinto la domanda tesa ad ottenere la riduzione del canone ritenendola generica. Ha dunque condannato (...) al pagamento delle spese processuali quantificate in Euro. 518,00 per spese ed Euro. 5.235,00 per compensi, oltre 15% spese generali ed oneri accessori come per legge. Il Tribunale ha quindi correttamente attribuito a carico di (...) le spese processuali agganciandosi allo scaglione da Euro. 26.000,01 a Euro. 52.000,00 e quindi rapportandosi valore del decisum (C. n. 3903/2016) ossia della domanda nella quale l'allora resistente è risultata soccombente, e non invece al valore della controversia indicato nell'atto introduttivo. Considerata la sua prevalente sostanziale soccombenza ed applicando i parametri tra i minimi ed i medi, il Tribunale è così giunto ad una liquidazione che questo Collegio ritiene equa e condivisibile tenuto conto della non particolare complessità delle questioni trattate. Alla luce di quanto sopra esposto, assorbita ogni altra argomentazione ed eccezione, la sentenza impugnata merita conferma. Per le ragioni che precedono, assorbita ogni altra deduzione ed argomentazione, l'appello va rigettato con condanna di (...) srl, giusto il principio della soccombenza sancito dall'art. 91 c.p.c., al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio che vengono liquidate come in dispositivo, avuto riguardo ai criteri indicati dal vigente D.M. n. 147 del 2022, con riferimento al valore della controversia e, attesa la media difficoltà delle questioni trattate, al valore medio per le tre fasi compiute, esclusa quella istruttoria di fatto non svoltasi, e dimezzando l'importo previsto per la fase decisionale in quanto semplificata dalla brevità e dal richiamo alle difese scritte. Si dà atto, ai sensi dell'art.13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte appellante, dell'ulteriore importo pari al contributo unificato versato. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) SRL contro (...) avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 4894/2022, pubblicata in data .30.5.2022, così provvede: 1) rigetta l'appello; 2) condanna l'appellante al pagamento in favore della parte appellata delle spese del presente grado di giudizio, che liquida ai sensi del D.M. n. 147 del 2022 in complessivi Euro 5.211,00, di cui Euro 2.058,00 per la fase di studio della controversia, Euro 1.418,00 per la fase introduttiva ed Euro 1.735,00 per la fase decisionale, oltre 15% per spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge; 3) dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo corrispondente al doppio contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 c. 1 quater, comma inserito dall'art. 1 c. 17 L. n. 228 del 2012 Così deciso in Milano il 18 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2023.

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