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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. MASINI Tiziano - rel. Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/07/2022 della CORTE APPELLO di ANCONA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere TIZIANO MASINI; Il procedimento e' stato trattato in forma cartolare, ai sensi dell'articolo 23, comma 8, Decreto Legge n. 137 del 2020, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e dell'articolo 16, comma 1, Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15. Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Dott.Giuseppe Riccardi, ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. Il difensore della parte civile, avv. (OMISSIS), ha fatto pervenire conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. Ritenuto in fatto La sentenza impugnata e' della Corte d'appello di Ancona, che ha confermato la pronuncia di condanna - inflitta dal tribunale di Ascoli Piceno - di (OMISSIS) per il reato di diffamazione, commessa con il mezzo di pubblicita' della bacheca (OMISSIS), ai danni di (OMISSIS), Presidente dell'Ordine dei giornalisti delle (OMISSIS), integrato dalla diffusione, tramite post, di espressioni denigranti e frasi ingiuriose nei confronti della persona offesa. 1.Con unico motivo di impugnazione, la difesa ha lamentato erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione, in quanto le espressioni utilizzate, per quanto "forti", non sarebbero state rivolte al (OMISSIS), costituitosi parte civile, ma all'intera categoria dei giornalisti, peraltro rappresentata, nella Regione (OMISSIS), dal Presidente (OMISSIS), nemmeno citato nelle parole oggetto dell'incriminazione; (OMISSIS) sarebbe stato destinatario di "parolacce" e di inviti a raccogliere la "sfida". Pertanto, la condotta addebitata all'imputato riguarderebbe una persona offesa "indeterminata" e sarebbe priva di rilievo penale. Considerato in diritto Il ricorso e' inammissibile, in quanto manifestamente infondato. 1.II limite all'esercizio del diritto di critica, tutelato dall'articolo 21 Cost., deve intendersi superato quando l'agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalita' di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato, giacche', in tal caso, l'esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell'ambito di una critica misurata ed obiettiva, sprofonda nel campo dell'aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta (Cass., sez. V, 20 gennaio 1984, Saviane, m. 163712; Cass. sez. 5, n. 7990 del 1998, Diaconale, Rv. 211482; Cass. sez. 5, n. 8898 del 2021, Rv. 280571, citata nella sentenza impugnata). Cio' che determina l'abuso del diritto e' la gratuita' delle aggressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione; e' l'uso dell'argumentum ad hominem, inteso a screditare il destinatario delle espressioni utilizzate mediante l'evocazione di una sua pretesa indegnita' o inadeguatezza personale. Chi adopera questo tipo di argomenti non puo' invocare il diritto di critica, perche' tende a degradare il confronto di idee e di progetti a uno scontro personale tra pregiudizi alimentati dalle contumelie, sottraendo ai destinatari del "messaggio" ogni possibilita' di serena e civile partecipazione ad esso. E dunque, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente e come correttamente affermato dalla Corte territoriale, il soggetto leso dalle esternazioni insultanti - sia pure in quanto rappresentante od esponente di un ordine professionale, a sua volta attaccato da proposizioni oggettivamente e profondamente offensive - e' menzionato espressamente nella persona di (OMISSIS), apostrofato con le parole "caro sig. (OMISSIS), lei potra' continuare a rompermi i coglioni con le sue denunce quanto cazzo gli pare, a me non me ne frega un emerito cazzo...quindi faccia pure le sue denunce e se ne vada egregiamente a fare in culo. Lei e tutto l'ordine dei giornalai che rappresenta. Detto questo me ne faccia un'altra e ve ne andate tutti a fare in culo perche' ripeto siete una marea di venduti leccaculo del potere, volete tapparmi la bocca ma non me la tapperete. Ripeto, andate tutti a fare in culo.". Non si tratta, pertanto, (solo) di isolate "parolacce" o di inviti "alla sfida", ma di inequivoche, rozze espressioni volte a screditare, con diretta incidenza sulla sua reputazione, l'attivita' professionale ed istituzionale della persona offesa, definita in modo sprezzante - tra gli altri come appartenente ad un ordine di "giornalai di merda" e incluso, in quanto tale, in una categoria di "venduti leccaculo del potere", con cio' avvilendone il ruolo a quello di un mero e servile esecutore dei comandi dei detentori del potere, subordinato al soddisfacimento di interessi personali, a costo di tradire la propria liberta' di coscienza. 2.Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso, conseguono la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non potendosi escludere profili di colpa nella formulazione dei motivi, anche al versamento della somma di Euro 3000 a favore della Cassa delle ammende. 3.L'imputato deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (la quale ha depositato una tempestiva memoria attraverso la quale ha contrastato la pretesa dell'imputato per la tutela dei propri interessi (cfr. Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716 e Sez. U n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino); spese che, tenuto conto della natura del processo e dell'opera prestata (studio e deposito di una articolata memoria) possono liquidarsi in complessivi Euro 3000, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle ammende. Condanna inoltre l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3000, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 13/01/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; lette le conclusioni del PG ANDREA VENEGONI, che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. I ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), con tre motivi di censura proposti dal difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), denunciano violazione dell'articolo 36 c.p.p. (primo motivo) nonche' degli articoli 41 e 331 c.p.p. (secondo e terzo motivo) in relazione all'ordinanza di inammissibilita' dell'istanza di ricusazione del giudice monocratico del Tribunale di Firenze, Dott.ssa (OMISSIS)" pronunciata dalla Corte d'Appello di Firenze con provvedimento de plano, emesso in data (OMISSIS). 1.1. In particolare, il primo argomento difensivo lamenta la mancata astensione, per imparzialita' ed asserita incompatibilita', del Presidente del Collegio d'appello che ha deliberato l'impugnata inammissibilita', il Dott. (OMISSIS), nonostante questi fosse stato destinatario, in passato, delle numerosissime lamentele proposte dai ricorrenti e da altri esponenti del "Gruppo voce al popolo", di cui essi fanno parte, senza aver mai preso provvedimenti per arginare presunti abusi che si perpetrerebbero presso gli uffici giudiziari fiorentini, e sebbene egli fosse stato gia' in precedenza componente del collegio che aveva deciso un processo simile (stesso pubblico ministero e stessa persona offesa) a carico di (OMISSIS), relativo sempre ad inesistenti condotte di diffamazione (il processo si e' concluso con una condanna, avverso la quale si e' proposta istanza di restituzione nel termine per impugnare, rigettata da un collegio ancora una volta presieduto dal Dott. (OMISSIS), con decisione annullata dalla Cassazione). 1.2. Il secondo motivo di censura eccepisce l'erroneita' della decisione di inammissibilita', per di piu' assunta de plano, nonostante la nutrita documentazione a sostegno e nonostante sia stato dato atto che, invece, e' stato acquisito il parere del Procuratore Generale, con violazione, quindi, del contraddittorio, cui non ha avuto accesso la difesa, non essendo stata comunicata alle parti la fissazione della camera di consiglio. Da tale deficit del contraddittorio deriverebbe, secondo il ricorso, la nullita' del provvedimento impugnato. 1.3. Infine, l'ultimo motivo di ricorso e' dedicato ad eccepire violazione dell'articolo 331 c.p.p. per l'omessa denuncia alla Procura della Repubblica competente, da parte del Dott. (OMISSIS), dei magistrati del suo ufficio ai quali sono state ascritte nell'istanza di ricusazione gravi condotte di reato. Sono state depositate note difensive in risposta alla requisitoria del PG 2. Il PG ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. 2.1. Il difensore del ricorrente ha depositato conclusioni scritte con le quali chiede l'accoglimento dei motivi di ricorso, contestando le conclusioni del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Il primo motivo di censura e' manifestamente infondato. Giova rappresentare che i ricorrenti premettono al ricorso la ricostruzione della vicenda giudiziaria cui sono sottoposti dinanzi al giudice monocratico di Firenze, Dott.ssa (OMISSIS), accusati del reato di diffamazione e altri reati, evidenziando che detto giudice avrebbe illegittimamente tenuto l'udienza di discussione, attivita' concorrente alla emissione della sentenza, nonostante il deposito dell'istanza di ricusazione; anzi, in quell'udienza ha sentito un teste consulente del pubblico ministero. Sotto tale preliminare aspetto, il ricorso incorre in un difetto di prospettiva ermeneutica. Infatti, l'istanza di ricusazione non ha effetto sospensivo del procedimento - che prosegue con il solo limite del divieto di pronunciare sentenza (v. Sez. 4, n. 36424 del 11/5/2001, Di Tarsia di Belmonte, Rv. 222723; vedi anche Sez. U, n. 23122 del 27/1/2011, Tanzi, Rv. 249735, in motivazione). Mentre, rientra nell'ambito del divieto, per il giudice ricusato, di pronunciare sentenza sino a che non intervenga l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione, ogni provvedimento che, comunque denominato, sia idoneo a definire la "regiudicanda", cui la dichiarazione di ricusazione si riferisce (cfr. ancora Sez. U Tanzi, cit., Rv. 249733): dunque, il perimetro del divieto normativo e' circoscritto ai soli provvedimenti definitori e non gia' all'attivita' processuale prodromica alla decisione, quale e' l'udienza di discussione, della cui celebrazione i ricorrenti si dolgono. 2.1. Quanto al profilo di ricorso dedicato ad eccepire la possibilita', per lo stesso giudice-persona fisica, di decidere procedimenti relativi al medesimo imputato, gia' giudicato in relazione a diversi fatti storici, si tratta di questione gia' affrontata e risolta in senso positivo dalla giurisprudenza di legittimita', anche quando vi sia connessione o collegamento tra diversi procedimenti a carico di uno stesso soggetto. Invero, e' consolidata la giurisprudenza di legittimita' secondo cui le norme che prevedono le cause di ricusazione sono norme eccezionali e, come tali, di stretta interpretazione, sia perche' determinano limiti all'esercizio del potere giurisdizionale e alla capacita' del giudice sia perche' consentono un'ingerenza delle parti nella materia dell'ordinamento giudiziario, che attiene al rapporto di diritto pubblico fra Stato e giudice; sicche' la mera connessione probatoria tra due procedimenti che non comporti una valutazione di merito svolta da uno stesso giudice sul medesimo fatto e nei confronti di identico soggetto non determina la sussistenza di un' ipotesi di ricusazione, non potendosi ritenere "pregiudicante" l'attivita' dei giudici ricusati che abbiano partecipato al collegio che ha valutato, in altro e diverso procedimento a carico dello stesso imputato, le stesse fonti di prova in relazione ad un diverso reato o comunque a diversi fatti (Sez. 6, n. 14 del 18/09/2013, dep. 2014, Mancuso, Rv. 258449; Sez. 5, n. 11980 del 07/12/2017, dep. 2018, Di Marco, Rv. 272845). In particolare, si intende riaffermare il principio secondo cui la valutazione espressa dal giudice in un provvedimento reso nell'ambito di un procedimento, ancorche' connesso o collegato a quello del quale e' investito, concernente lo stesso imputato ma un reato storicamente diverso, laddove funzionale all'esercizio della funzione decisoria, non costituisce indebita manifestazione del proprio convincimento, suscettibile di fondare una richiesta di ricusazione ex articolo 37 c.p.p., comma 1, lettera b), ne' essa da' luogo ad una situazione di incompatibilita' rilevante ex articolo 37 c.p.p., comma 1, lettera a) non potendo configurarsi, in assenza dell'identita' del fatto storico, alcuna compromissione del principio dell'imparzialita', inteso sia in chiave costituzionale che convenzionale (Sez. 5, n. 21146 del 7/2/2019, Giunchiglia, Rv. 275347; cfr. anche Sez. 5, n. 15201 del 10/02/2016, Acri, Rv. 266866; Sez. 3, n. 11546 del 19/02/2013, Frezza, Rv. 254760). E di recente, si e' anche osservata la compatibilita' con l'articolo 111 Cost., comma 2, dichiarando manifestamente infondata la relativa questione di legittimita' costituzionale proposta, del combinato disposto dell' articolo 34, comma 2, e articolo 37 c.p.p., comma 1, lettera b), nella parte in cui non prevedono, rispettivamente, l'incompatibilita' e la ricusabilita' del giudice che, in diverso procedimento, abbia gia' giudicato il medesimo imputato per un reato analogo e deciso identiche questioni giuridiche, non potendo configurarsi, in assenza dell'identita' del fatto storico "sub iudice", alcuna compromissione del principio dell'imparzialita', come inteso sia dalla giurisprudenza costituzionale che da quella convenzionale (Sez. 3, n. 387 del 8/11/2022, Di Blasi, Rv. 283917). Nel caso in esame, la stessa prospettazione dei ricorrenti, piuttosto generica, evoca semplicemente un'identita' soggettiva tra il giudice (OMISSIS), la persona offesa e l'imputato (OMISSIS), e non piu' che una sorta di "similitudine" tra processi, di per se' irrilevante, poiche' pur potendovi essere identita' di imputati, similitudine delle modalita' della condotta di reato contestata, identita' della persona offesa e delle fonti di prova, nondimeno la diversita' dei fatti esclude la sussistenza di una ipotesi di incompatibilita' idonea a fondare la ricusazione ai sensi della lettera a) dell'articolo 37 c.p.p. (e la diversita' dei fatti si evince dalla stessa sentenza richiamata dal ricorso come favorevole ai ricorrenti - Sez. 5, n. 8930 del 30/11/2020, dep. 2021 - anche se i reati contestati erano analoghi). Ancor piu' irrilevante, oltre che generica nella prospettazione, e' la denuncia di violazione dell'articolo 36 c.p.p. (e di conseguenza dell'articolo 37 del codice di rito) con riguardo alla mancata astensione del giudice (OMISSIS), cui viene addebitato di non aver preso provvedimenti, nella sua veste direttiva ed organizzativa, in relazione ad esposti depositati piu' volte dai ricorrenti e dall'associazione della quale fanno parte, contro magistrati fiorentini. L'articolo 40 c.p.p., poi, prevede espressamente che, sulla ricusazione di un giudice del Tribunale decida la Corte d'appello competente, mentre la declaratoria di inammissibilita' dell'istanza di ricusazione per manifesta infondatezza dei motivi si caratterizza per una sommaria delibazione che si arresta "in limine" rispetto all'ambito peculiare dello scrutinio di merito e che consiste in una verifica esterna di corrispondenza al modello legale, concernendo il sindacato del giudice la mera plausibilita', risultante "ictu oculi", dei motivi che sorreggono l'atto (Sez. 6, n. 37112 del 5/4/2012, Iannuzzi, Rv. 253462). Il tentativo dei ricorrenti e' quello di riscrivere, in ultima analisi, le vicende di fatto per le quali pende il processo penale in cui e' stata ricusata la Dott.ssa (OMISSIS). Le questioni di fatto evocate sono state enunciate in maniera di per se' inammissibile, poiche' assertiva, a volte anche perplessa ed esplorativa, ovvero aprioristicamente astiosa nei confronti dei magistrati fiorentini. gia' piu' volte coinvolti nelle denunce dei due ricorrenti. 3. Il secondo argomento difensivo e' anch'esso manifestamente infondato. I ricorrenti denunciano l'adozione della procedura "de plano" per la dichiarazione di inammissibilita' dell'istanza di ricusazione sotto diversi profili, ma gli argomenti di censura non colgono l'essenza della struttura normativa del giudizio di ricusazione, differente nelle forme e nei contenuti, secondo che si prospetti una decisione di inammissibilita', da adottare con ordinanza, ai sensi dell'articolo 41 c.p.p., comma 1, oppure un giudizio di merito sull'istanza di ricusazione, previsto dal comma 3 dello stesso articolo, quando non sussista una delle condizioni per decidere senza ritardo e senza contraddittorio in presenza. Ebbene, occorre ribadire che, in tema di ricusazione, ai fini della dichiarazione di inammissibilita' dell'istanza di ricusazione avanzata dall'imputato nei confronti dei componenti il collegio e fondata su motivi manifestamente infondati, e' legittima l'adozione della procedura "de plano", senza la partecipazione delle parti in camera di consiglio, previa fissazione di udienza e relativo avviso (Sez. 5, n. 43855 del 5/10/2005, Manzini, Rv. 233057; Sez. 3, n. 19964 del 29/3/2007, Stara, Rv. 236733). La procedura camerale, infatti, non comporta alcuna violazione del principio del contraddittorio, garantito dalla possibilita' di presentare deduzioni in forma scritta anche non in presenza delle parti. Inoltre, e' lo stesso articolo 41 c.p.p., comma 1, a prescrivere che il collegio designato per la ricusazione provveda a decidere "senza ritardo", mentre non vi sono richiami normativi alle forme dettate dall'articolo 127 c.p.p., a differenza di quanto previsto nel successivo comma 3, della medesima disposizione, relativo alla decisione di merito sulla ricusazione (vedi, in tema, Sez. 4, n. 42024 del 6/7/2017, Ventrici, Rv. 270770). Sulla seconda questione proposta con il motivo di ricorso in esame, poi, il Collegio richiama il condivisibile orientamento in base al quale, nel caso in cui la Corte di appello opti per l'adozione del procedimento "de plano" e, tuttavia, acquisisca, irritualmente, il non previsto parere del Procuratore Generale, l'omessa comunicazione di tale parere al ricusante e' causa di nullita', per violazione del principio del contraddittorio, solo ove esso abbia contenuto argomentativo e di tali argomentazioni la Corte abbia tenuto conto nel decidere, prevalendo altrimenti la necessita' di procedere senza ritardo alla decisione ex articolo 41 c.p.p., comma 1, (Sez. 2, n. 3045 del 24/10/2019, dep. 2020, Rv. 278658, in una fattispecie in cui la Corte ha escluso che ricorresse alcuna nullita', essendosi la Corte d'appello limitata a dare semplicemente atto nella decisione sulla ricusazione dell'esistenza del parere del Procuratore Generale). Le Sezioni Unite, del resto, hanno chiarito, sia pur in tema di revisione, che solo il parere "argomentativo" del pubblico ministero, che sia stato irritualmente acquisito ai fini della valutazione sull'ammissibilita' della richiesta, deve essere comunicato alla parte richiedente (Sez. U, n. 15189 del 19/1/2012, Dander, Rv. 252020). Nel caso degli odierni ricorrenti, il parere del Procuratore Generale presso la Corte d'appello concludeva per l'inammissibilita' dell'istanza, non essendo stati osservati i termini e le forme di cui all'articolo 38 c.p.p., enunciando, altresi', che i motivi apparivano manifestamente infondati, senza alcuna argomentazione specifica al riguardo. L'ordinanza impugnata si e' limitata a dare atto del parere, conforme ad una decisione gia' spiegata dai giudici nella parte motivazionale precedente, ed ha motivato solo in relazione alla manifesta infondatezza dei motivi, considerato che i provvedimenti adottati dal giudice ricusato erano ordinari provvedimenti processuali, dai quali non era dato arguire alcun motivo di astensione. Pertanto, il parere del Procuratore Generale non comunicato alla parte non ha avuto alcun peso sulla decisione ne' sulla sua motivazione, come evidentemente si desume dal testo dell'ordinanza impugnata, sicche' alcuna nullita' si e' generata dall'omessa sua comunicazione, dovendosi considerare il suddetto parere quale atto privo di alcuna incidenza nel processo decisorio che ha condotto al provvedimento sull'istanza di ricusazione. 4. La terza censura proposta dai ricorrenti e' generica, solo enunc:iativa e apodittica, a dispetto della consistente allegazione difensiva: si tratta di eccezione attinente alla condotta del Dott. (OMISSIS), assertivamente ritenuta omissiva rispetto all'obbligo di denuncia di altri colleghi del suo ufficio, sul presupposto indimostrato e vago di loro condotte irregolari, relativa ad aspetti e questioni che non si intersecano con il procedimento di ricusazione innestatosi su quello principale Evidente, pertanto, la sua inammissibilita'. 5. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonche', ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilita' (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000 P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. Scarl INI Enrico V.S. - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/06/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA BIFULCO; letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, Dott. Luigi Giordano, il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso. Ritenuto in fatto 1. In parziale riforma del provvedimento con cui il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile dei reati di cui agli articoli 81, 595, primo e comma 3, 660 c.p., per aver offeso la reputazione di (OMISSIS) (capo a), e dei reati di cui agli articoli 81, 595, comma 1, 660 c.p., per aver offeso la reputazione di (OMISSIS) (capo b), la Corte d'appello di Messina, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato non doversi procedere per il reato di cui all'articolo 660 c.p. perche' estinto per prescrizione, rideterminando la pena in mesi sette di reclusione, confermando nel resto la decisione di primo grado anche con riguardo alla condanna al risarcimento a favore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza, ha presentato ricorso l'imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), articolando le proprie censure nei motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1 Con il primo motivo, si deduce errata applicazione della legge penale, per avere la Corte territoriale ritenuto integrato il reato di diffamazione, anziche' quello di ingiuria, trascurando come, nel caso di specie, visto il mezzo di propalazione (social network WhatsApp, utilizzato con riferimento al gruppo denominato ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã‚ 'ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã‚¦ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¡ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¹ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEurošÃ‚¦"quelli del Cisl') dell'offesa, si fosse instaurato quel rapporto diretto tra offensore e offeso, che avrebbe consentito a quest'ultimo di interloquire in via immediata con l'offensore, a scopo difensivo. Pertanto, posto che il contestato reato di diffamazione doveva essere riqualificato ai sensi dell'articolo 594 c.p., e posto anche che il reato di ingiuria e' ormai depenalizzato, il ricorrente invoca l'assoluzione perche' il fatto non e' piu' previsto come reato. 2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 192 del codice di rito, per avere la Corte territoriale fondato il giudizio di responsabilita' penale dell'imputato sull'assunto, non provato, che i messaggi fossero stati inviati dal (OMISSIS). Nonostante la difesa avesse fatto presente al Giudice d'appello la necessita' di disporre il sequestro dello smartphone dell'imputato, al fine di verificare con certezza la provenienza effettiva dei messaggi offensivi da quel telefono cellulare, i Giudici d'appello hanno sorvolato su tale profilo, ritenendo provata la riconducibilita' dei messaggi all'imputato, dal momento che quest'ultimo mai ha negato di aver inviato i messaggi in questione. 2.3 Col terzo motivo, si eccepiscono le medesime censure in relazione al reato di cui al capo b) dell'imputazione. Piu' in particolare, si deduce violazione dell'articolo 120 c.p. per nullita' della querela sporta da (OMISSIS). Data la grave infermita' mentale da cui e' affetta quest'ultima, la querela avrebbe dovuto essere presentata dal genitore ovvero da un curatore speciale. Il Giudice del merito avrebbe errato nel ritenere applicabile l'articolo 122 c.p., poiche' il concorso formale di reato in danno di piu' persone, che connota il caso di specie, avrebbe reso la procedibilita' di ciascun reato condizionata alla querela di ognuna delle persone offese. 2.4 Col quarto motivo, si deduce violazione dell'articolo 124 c.p. per tardivita' della querela di (OMISSIS), presentata oltre un anno e due mesi dalla condotta contestata. Dalle deposizioni, in sede d'udienza, delle due p.o. e' impossibile individuare con precisione il momento a partire dal quale (OMISSIS) abbia avuto contezza del fatto. La difesa ritiene che la p.o. querelente non possa essere del tutto esonerata dall'onere di fissare, quantomeno con ragionevole precisione, il momento in cui si e' avuto cognizione del fatto. 3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'articolo 23, comma 8, Decreto Legge 28/10/2020, n. 137, conv. con L. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. Luigio'Giordano, il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso; si da' atto che la difesa delle parti civili, Avv. (OMISSIS), ha depositato conclusioni scritte e nota spese e che anche la difesa dell'imputato, Avv. Certo, ha depositato conclusioni scritte. Considerato in diritto 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato, perche' in palese contrasto con l'elaborazione giurisprudenziale di questa Corte relativa all'elemento distintivo tra il delitto d'ingiuria, depenalizzato ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera c), Decreto Legislativo n. 15 gennaio 2016, n. 7, e quello di diffamazione. Si e' chiarito, a tal proposito, che soltanto il requisito della contestualita' tra comunicazione dell'offesa e recepimento della stessa da parte dell'offeso vale a configurare l'ipotesi dell'ingiuria. In difetto di tale immediatezza, l'offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con piu' persone e non e' posto in condizione di interloquire con l'offensore (Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742 - 01); nel qual caso, si profila la diversa ipotesi della diffamazione. In base al medesimo requisito dell'immediatezza con cui l'offeso recepisca il messaggio - necessario affinche' possa profilarsi l'ipotesi dell'ingiuria anziche' quella della diffamazione - si e' ritenuto integrato "il delitto di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di piu' persone, nel caso di invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una "chat" condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell'immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito" (Sez. 5, n. 28675 del 10/06/2022, Ciancio, Rv. 283541-01). La giurisprudenza di questa Corte indicata dal ricorrente (Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, cit.: "integra il delitto di ingiuria aggravata dalla presenza di piu' persone, e non il delitto di diffamazione la condotta di chi pronunzi espressioni offensive mediante comunicazioni telematiche dirette alla persona offesa attraverso una video "chat", alla presenza di altre persone invitate nella "chat", in quanto l'elemento distintivo tra i due delitti e' costituito dal fatto che nell'ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, e' diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con piu' persone e non e' posto in condizione di interloquire con l'offensore": fattispecie in tema di "chat" vocale sulla piattaforma "Google Hangouts"") e' stata evocata in maniera del tutto inconferente, posto che, nel caso oggetto del presente ricorso, non gia' di comunicazione per mezzo di chat vocale si e' trattato, bensi' di comunicazione attraverso messaggi rivolti a un gruppo WhatsApp. In tale caso, viene a mancare il requisito dell'immediatezza della comunicazione, erroneamente invocato dal ricorrente. Per contro, la Corte territoriale ha operato buon governo dei suddetti orientamenti giurisprudenziali, evidenziando la modalita' temporalmente asincrona con cui i diversi componenti di un gruppo WhatsApp possono accedere alla lettura dei messaggi, a dispetto della definizione di tale forma di comunicazione come ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã‚ 'ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã‚¦ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¡ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEuro¦Ã‚¡ÃÆ'Æ'âââEurošÂ¬Ã…¡ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'†'ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‚ÃâEurošÃ‚¹ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬ÃâEurošÃ‚¦"messaggistica istantanea': tale aggettivo attiene, infatti, all'ordinaria trasmissione immediata del messaggio ma non implica affatto la contestuale ricezione, che dipende da numerosi, variabili fattori (il telefono potrebbe essere spento, potrebbe non essere collegato alla rete etc.). 2. Il secondo motivo e' manifestamente infondato, in quanto integralmente reiterativo della medesima censura dedotta in appello e gia' disattesa, in vista della genericita' della stessa, dalla Corte territoriale con argomenti dotati di ferrea logica e coerenti col disposto di cui all'articolo 192 del codice di rito, perche' basati su inequivoche evidenze documentali, testimonianze dei partecipanti al gruppo WhatsApp e s.i.t. acquisite col consenso delle parti. Giovera' dunque ribadire che, secondo la ferma giurisprudenza di questa Corte, e' inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione (cosi', tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838- 01). 3. Il terzo motivo e' infondato, avendo la difesa eluso l'effettivo e critico confronto con la motivazione resa, sul punto, dai Giudici d'appello, i quali hanno illustrato come, dalla querela presentata dalla madre di (OMISSIS) e acquisita al fascicolo, era chiaramente desumibile l'istanza di punizione nei confronti dell'imputato anche per le gravissime offese rivolte direttamente a (OMISSIS). Invero, dalla querela sporta da (OMISSIS), risulta quanto segue: "la esponente e' madre di una figlia con handicap mentale.... le frasi offensive profferite nei suoi confronti e per la sua disabilita' integrano gli estremi della discriminazione in quanto, ai sensi dell'articolo 2, n. 4, L. 67/2006, il comportamento di (OMISSIS) e' stato posto in essere anche per motivi connessi alla disabilita' e trattasi di un comportamento che viola la dignita' e la liberta' della persona disabile creando a suo carico un clima di umiliazione nella consapevolezza dell'incapacita' di quest'ultima di difendersi. Dichiara di sporgere formale denuncia, chiedendo la punizione ai sensi di legge nei confronti di (OMISSIS)". Dati tali presupposti, ritiene il Collegio che correttamente la Corte d'appello abbia ritenuto applicabile, al caso di specie, l'articolo 122 c.p., secondo cui il reato commesso in danno di piu' persone e' punibile anche se la querela e' proposta da una soltanto di esse. Peraltro, con valutazione che si sottrae a censure di illegittimita' o illogicita', la Corte territoriale ha ritenuto plausibile -sulla base sia della querela presentata da (OMISSIS) sia da quanto ribadito in dibattimento-che la ragazza abbia avuto contezza dei fatti dalla madre, sebbene non in tempo reale rispetto alla propalazione dei messaggi, non risultando infatti iscritta al gruppo WhatsApp attraverso cui sono state esternate le offese nei suoi confronti. 4. In disparte quanto rilevato a proposito del terzo motivo, si osserva che la infondatezza del quarto motivo, con il quale si denuncia l'intempestivita' della querela proposta da (OMISSIS), ha carattere assorbente. Ed invero, va ribadito che, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di querela, e' onere della parte che ne deduca l'intempestivita' fornire la prova di tale circostanza, sicche' l'eventuale situazione di incertezza deve essere risolta a favore del querelante (Sez. 2, n. 48027 del 18/10/2022, Spano', Rv. 284168 - 01). Orbene, il ricorrente sostiene che non sarebbe stata raggiunta la prova del momento in cui la (OMISSIS) ha avuto contezza dei messaggi diffamatori, in tal modo riconoscendo in termini espliciti di non avere assolto all'onere sopra indicato. In aggiunta a tali rilievi, si osserva che la valutazione di credibilita' delle dichiarazioni della (OMISSIS), quanto al fatto di non avere informato la figlia per diverso tempo ("quasi un anno"), non e' intaccata in alcun modo dal ricorso. 5. Il Collegio, pertanto, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n.196/03 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n.196/03 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/03/2022 della CORTE APPELLO di POTENZA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore KATE TASSONE che ha concluso chiedendo. udito il difensore. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Potenza riformava parzialmente in senso favorevole all'imputato, limitatamente alla dosimetria della pena, la sentenza con cui il tribunale di Potenza, in data 3.7.2019, aveva condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, in relazione al delitto ex articolo 595, comma 3, c.p., in rubrica ascrittogli, commesso in danno di (OMISSIS). La condotta attribuita all' (OMISSIS) consiste, in particolare, nell'avere immesso nel web attraverso il sito del social network (OMISSIS), un filmato da lui stesso realizzato, avente ad oggetto il vice-sindaco del comune di (OMISSIS), (OMISSIS), mentre utilizzava l'automobile di servizio del comune, immagini che l'imputato commentava sul proprio profilo (OMISSIS), utilizzando le espressioni riportate testualmente nel capo d'imputazione, ritenute offensive per la reputazione del (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, lamentando: 1) violazione di legge in punto di affermazione della responsabilita', non essendovi alcuna certezza in ordine alla riconducibilita' all' (OMISSIS) del "post" offensivo pubblicato sul suo profilo (OMISSIS), in quanto la corte territoriale ha omesso ogni verifica tecnica in ordine all'indirizzo IP da cui proveniva il messaggio ritenuto offensivo della reputazione della persona offesa, in mancanza della quale non puo' escludersi l'utilizzo del nickname del presunto autore del reato da parte dei terzi, senza tacere che la corte territoriale ha rigettato l'eccezione difensiva sul punto con motivazione del tutto apparente, non avendo fatto buon governo dei principi in tema di prova indiziaria in base ai quali ha ritenuto di poter ovviare alla mancanza del menzionato accertamento tecnico; 2) violazione di legge con riferimento al processo di acquisizione forense del materiale diffamatorio presente su (OMISSIS), che, nel caso in esame, e' avvenuto mediante il deposito della mera trascrizione su carta dei commenti incriminati, con conseguente inutilizzabilita' del materiale cartaceo, alla luce dell'articolo 260, comma 2, c.p.p., secondo cui le copie forensi devono essere eseguite adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione, con una procedura che assicuri la conformita' dei dati acquisiti a quelli originali e la loro immodificabilita'; 3) violazione di legge in punto di mancata applicazione dell'esimente del diritto di critica politica; 4) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, piuttosto che di semplice equivalenza, rispetto alla ritenuta circostanza aggravante di cui all'articolo 595, comma 3, c.p.p., nonche' di irrogazione di una pena detentiva, invece che di una pena pecuniaria. 3. Con requisitoria scritta del 17.2.2023, depositata sulla base della previsione dell'articolo 23, comma 8, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalita' di celebrazione e' stata specificamente richiesta da una delle parti, i cui effetti sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2022, per effetto dell'articolo 16, comma 1, del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione. Con conclusioni scritte del 28.2.2023, il difensore di fiducia dell'imputato, nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, insiste in via principale, per l'accoglimento del ricorso e, in subordine, aderisce alle conclusioni dell'organo della Pubblica Accusa. Con conclusioni scritte del 7.3.2023 il difensore di fiducia della costituita parte civile chiede la conferma della sentenza oggetto di ricorso e la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, come da allegata nota spese. 4. Il ricorso appare fondato solo in parte, con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio, e va, pertanto, accolto nei seguenti termini. 5. Inammissibile deve ritersi il primo motivo di ricorso, posto che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimita', infatti, e' precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', quale e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). La corte territoriale, del resto, con motivazione affatto apparente, manifestamente illogica o contraddittoria, ha risolto il tema della riconducibilita' del video diffamatorio, diffuso sulla pagina del soda network (OMISSIS) collegato all'account dell' (OMISSIS), sulla base delle dichiarazioni del teste (OMISSIS) (il quale ha riferito come "il suddetto video gli fosse stato inviato dallo stesso imputato sul sui account (OMISSIS)) e dell' (OMISSIS) medesimo, "che non ha disconosciuto di avere effettuato la ripresa e di averla commentata, postandola su internet", come del resto si evince dall'ulteriore circostanza, del pari evidenziata con logico argomentare dal giudice di secondo grado, che "il luogo in cui il Vice-sindaco stava effettuando il rifornimento di carburante era proprio una piazza del comune di (OMISSIS) intitolata a " (OMISSIS)" e l'imputato, nel video, rivendicava il proprio nome e cognome come quello attribuito alla piazza in questione, luogo in cui erano stati ripresi i fatti. Sicche' risulta dotata di intrinseca coerenza logica la motivazione con cui la corte territoriale ha rigettato la censura difensiva, volta a eccepire la mancanza di accertamenti sull'indirizzo IP (Internet Protocol) dell'utenza impiegata per la diffusione del video, evidenziandone l'inutilita', oltre che conforme ai condivisibili principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in subiecta materia. Si e', infatti, evidenziato che "la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimita' si attesta sulla riferibilita' della diffamazione anche su base indiziaria, a fronte della convergenza, pluralita' e precisione di dati quali il movente, l'argomento del forum su cui avviene la pubblicazione, il rapporto tra le parti, la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell'imputato, con utilizzo del suo nickname, anche in mancanza di accertamenti circa la provenienza del post di contenuto diffamatorio dall'indirizzo IP dell'utenza telefonica intestata all'imputato medesimo. Si e', inoltre, attribuito rilievo, assieme agli elementi indiziari sopra sottolineati, anche all'assenza di denuncia di cd. furto di identita' da parte dell'intestatario della bacheca sulla quale vi e' stata la pubblicazione dei post incriminati (cfr., Sez. 5, n. 45339-18 del 13/07/2018, Petrangelo, n. m.; Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep. 2016, Martinez, n. m.). Risponde, dunque, a criteri logici e a condivise massime di esperienza ritenere la provenienza di un post da un profilo (OMISSIS) proveniente dal profilo di un utente che ometta di denunciarne l'uso illecito eventualmente compiuto da parte di terzi" (cfr. Sez. 5, n. 24212 del 21.1.2021, n. m.). Sicche', non puo' essere esclusa la riferibilita' del fatto all'imputato, quando, come nel caso di specie, pur non essendo stati svolti accertamenti sull'indirizzo IP, risultano significativi elementi convergenti a suo carico quali la provenienza del post dal profilo (OMISSIS), collegato all'account del prevenuto, le dichiarazioni del teste (OMISSIS) e la stessa ammissione dell' (OMISSIS), nonche' la circostanza che il ricorrente non risulta abbia denunciato l'uso improprio del suo nickname, prendendo le distanze dalle affermazioni offensive in addebito. 6. Infondata appare la seconda censura difensiva, sulla quale bisogna soffermarsi, pur non essendo stata articolata con i motivi di appello, con essa deducendosi un vizio di inutilizzabilita', che puo' essere rappresentato anche per la prima volta in questa sede. Si tratta, in ogni caso, di censura infondata, sotto un duplice profilo. Da un lato, se e' vero, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita', che l'articolo 260, comma 2, c.p.p., si limita a richiedere l'adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformita' ed immodificabilita' delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza imporre misure e procedure tipizzate (cfr. Sez. 3, n. 37644 del 28/05/2015, Rv. 265180), e' altrettanto vero che l'eventuale inosservanza di tali misure e procedure non determina di per se' l'inutilizzabilita' dei dati informatici acquisiti, essendo sempre necessario dimostrare quanto meno l'esistenza di un concreto dubbio sulla conformita' e sulla modificabilita' delle copie estratte, rispetto agli originali, che, nel caso in esame, il ricorrente non ha fornito. D'altro lato, ritiene il Collegio di aderire a un recente orientamento della giurisprudenza di legittimita', secondo cui ai fini dell'utilizzabilita' della trascrizione delle conversazioni via "wathsapp" effettuata dalla persona offesa (ma ovviamente il principio e' applicabile con riferimento a ogni spazio telematico), la necessita' di acquisire il supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione deve essere valutata in concreto, tenendo conto della credibilita' della persona offesa e dell'attendibilita' delle sue dichiarazioni accusatorie. (Fattispecie in tema di atti persecutori, in cui la Corte ha affermato che correttamente il giudice di merito aveva ritenuto superflua la richiesta difensiva di accertamento tecnico e di estrazione dei dati del traffico telefonico delle utenze interessate, non essendovi ragione di dubitare dell'attendibilita' delle dichiarazioni della persona offesa in merito alla provenienza e al contenuto dei messaggi: cfr. Sez. 5, n. 2658 del 06/10/2021, Rv. 282771). Orbene nel caso in esame non e' stato sollevato alcun rilievo specifico sulla credibilita' personale della persona offesa ovvero sull'attendibilita' delle sue dichiarazioni, che hanno consentito di ricostruire i fatti, ovvero delle dichiarazioni del teste (OMISSIS), sicche' nessuna inutilizzabilita' per violazione di legge processuale penale e' configurabile in relazione alla utilizzazione ai fini della decisione della trascrizione cartacea delle frasi incriminate. 7. Infondato deve ritenersi il terzo motivo di ricorso. Non ignora, il Collegio, il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Sezione, secondo cui in tema di diffamazione, il rispetto della verita' del fatto assume, in riferimento all'esercizio del diritto di critica politica, un rilievo piu' limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor piu' quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non puo', per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (cfr. Cass., Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239; Cass., Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, Rv. 270284). Allo stesso tempo va, pero', rammentata la costante riflessione operata dalla giurisprudenza di legittimita', volta ad individuare i limiti interni alla scriminante di cui si discute, oltrepassati i quali la condotta oggettivamente contra legem posta in essere non puo' trovare giustificazione nell'esercizio del diritto di critica politica. Si tratta di un approdo interpretativo, che, nel corso degli anni, ha approfondito e sviluppato nelle sue diverse implicazioni, il fondamentale principio, secondo cui il limite immanente all'esercizio del diritto di critica e' essenzialmente quello del rispetto della dignita' altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l'utilizzo di argumenta ad hominem (cfr. Cass., Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239). Si e', cosi', affermato che sussiste l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica qualora l'espressione usata consiste in un dissenso motivato, anche estremo, rispetto alle idee ed ai comportamenti altrui, nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni non obiettive, purche' non trasmodi in un attacco personale lesivo della dignita' morale ed intellettuale dell'avversario (cfr. Cass., Sez. 5, n. 46132 del 13/06/2014, Rv. 262184). Pertanto l'esimente di cui si discute, che pure tollera l'uso di espressioni forti e toni aspri, non ricorre ove tali espressioni siano generiche e non collegabili a specifici episodi, risolvendosi in frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili (cfr. Cass., Sez. 5, n. 48712 del 26/09/2014, Rv. 261489; Sez. 5, n. 9566 del 16/12/2020, Rv. 280809). Tale e' la fattispecie che ci occupa, in considerazione della natura gratuitamente offensiva delle frasi profferite nei confronti della persona offesa ("nulla....solite porcherie di una serpe resuscitata), peraltro riferite a un episodio in cui il vice-sindaco aveva dimostrato come l'utilizzazione del veicolo, al rifornimento del quale presso una pompa di benzina era stato immortalato nel video incriminato, fosse consentito, in quanto funzionale allo svolgimento di un'attivita' istituzionale (cfr. p. 4 della sentenza oggetto di ricorso). 8. Fondato, invece, risulta l'ultimo motivo di ricorso. Come affermato, infatti, dalla giurisprudenza di legittimita', con orientamento costante e assolutamente condivisibile, e' legittima, in relazione all'articolo 10 Cedu, secondo un'interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, l'irrogazione di una pena detentiva, ancorche' sospesa, per il delitto di diffamazione commesso, anche al di fuori di attivita' giornalistica, mediante mezzi comunicativi di rapida e duratura amplificazione (nella specie "internet"), ove ricorrano circostanze eccezionali connesse alla grave lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza. L'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita', in particolare, a seguito della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, e' subordinata alla verifica della "eccezionale gravita'" della condotta, che, secondo un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, si individua nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi d'odio e di incitazione alla violenza ovvero in campagne di disinformazione gravemente lesive della reputazione della vittima, compiute nella consapevolezza della oggettiva e dimostrabile falsita' dei fatti ad essa addebitati (cfr. Sez. 5, n. 28340 del 25/06/2021, Rv. 281602; Sez. 5, n. 13993 del 17/02/2021, Rv. 281024). Siffatto profilo, nonostante la presenza di un motivo di appello con cui si chiedeva di rivisitare l'entita' del trattamento sanzionatorio, per adeguare l'entita' della pena alla gravita' del fatto, non e' stato minimante preso in considerazione dalla corte territoriale, che ha rideterminato in mesi due di reclusione la pena detentiva irrogata dal giudice di primo grado, senza procedere ad alcuna valutazione sulla necessita' di irrogare una pena detentiva, sia pure contenuta. Ne consegue che, sul punto, la sentenza va annullata con rinvio alla corte di appello di Salerno, che provvedera' a colmare l'evidenziata lacuna motivazionale, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati. Ai sensi dell'articolo 624, c.p.p., va dichiarato il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, con riferimento all'affermazione di responsabilita' dell' (OMISSIS), dovendosi, sul punto, rilevare che, tenuto conto dei periodi di sospensione del relativo decorso intervenuti nel corso del giudizio, il termine di prescrizione del reato per cui si procede, nella sua estensione massima, non risulta affatto perento. La parziale fondatezza dei rilievi difensivi, implica che, pur dovendosi rigettare nel resto il ricorso, l'imputato non sia condannato al pagamento delle spese processuali, laddove l' (OMISSIS), essendo soccombente sul punto dell'affermazione della sua responsabilita' per la condotta in addebito, deve, invece, essere condannato, conformemente alla richiesta formulata dalla parte civile, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio da quest'ultima, che si liquidano in complessivi Euro 3500,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto alla corte di appello di Salerno. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3500,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MARZO Giuseppe - Presidente Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/03/2022 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN IFATTO 1. Viene in esame la sentenza della Corte d'Appello di Reggio Calabria del 8.3.2022 che, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Reggio Calabria, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, nei confronti di (OMISSIS), in relazione ai reati di tentata sostituzione di persona (cosi' riqualificata l'imputazione originaria, che contestava l'ipotesi di reato consumata) e di atti persecutori commessi ai danni (OMISSIS), nonche' al reato di diffamazione commesso in concorso con (OMISSIS), venendo, invece, confermata la sua condanna agli effetti civili (quantificati in Euro 154.116,71). La vittima era stata posta al centro di una campagna persecutoria dall'imputato, suo collega di lavoro e, per un periodo di tempo, coinquilino, condotta con l'invio di email a contenuto diffamatorio a colleghi degli uffici regionali presso i quali lavorava, provenienti da un account artatamente creato dal ricorrente come riconducibile alla persona offesa: il profilo "fake" intestato a " (OMISSIS)". 2. Avverso la citata sentenza d'appello ha proposto ricorso soltanto (OMISSIS), tramite il difensore di fiducia, deducendo otto motivi di censura diversi, con i quali si duole della decisione sia agli effetti penali, puntando ad una sentenza di assoluzione nel merito, sia agli effetti civili. 2.1. Il primo argomento difensivo eccepisce vizio di incompetenza territoriale del Tribunale di Reggio Calabria per violazione degli articoli 8-9 e 16 c.p.p., in relazione al ritenuto, piu' grave reato previsto dall'articolo 612-bis c.p., che attrae la competenza anche delle altre due contestazioni minori (sostituzione di persona e diffamazione). La Corte di merito ha applicato il principio di Sez. 5, n. 16977 del 2020, secondo cui la competenza per territorio si determina, nel delitto di atti persecutori, in ragione del luogo in cui il disagio della persona offesa degenera in prostrazione psicologica. Tuttavia, il ricorrente evidenzia che la giurisprudenza richiamata fa riferimento al criterio del "luogo in cui il comportamento dell'agente diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio", solo successivamente enunciando il criterio, concorrente, indicato dalla sentenza impugnata; cio' elimina anche in radice il rischio di casualita' della scelta del giudice competente, altrimenti legato al luogo in cui la vittima accidentalmente si trovi quando quel comportamento assume i caratteri suddetti. Sarebbe stato, pertanto, competente il Tribunale di Catanzaro, luogo in cui si determinava la conclusione della sequenza di atti idonei a completare la consumazione del reato abituale di evento previsto dall'articolo 612-bis c.p., poiche' in tale citta' hanno sede gli uffici regionali presso i quali i due colleghi della ricorrente che hanno ricevuto le missive persecutorie/diffamatorie, secondo l'accusa, hanno aperto e letto le missive. Catanzaro, peraltro, e' anche il centro di riferimento delle difficolta' e dei disagi manifestati dalla persona offesa in conseguenza del delitto di stalking subito. Viceversa, a Reggio Calabria si sono soltanto consumate le conseguenze ultime del reato, con le visite mediche alle quali si e' sottoposta la vittima, una volta trasferitasi in quella citta', proprio in ragione delle condotte ascritte all'imputato. 2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 494 c.p., nonche' violazione dell'articolo 49 c.p., comma 2, unitamente al vizio di manifesta illogicita' della motivazione quanto alla valutazione delle prove per giungere all'affermazione di responsabilita' del ricorrente. La difesa eccepisce che il profilo "fake" era talmente grossolanamente creato (tra l'altro, con due immagini di profilo di persone diverse e due nomi differenti) da far difetto la necessaria offensivita' della condotta, ancorche' qualificata come tentativo di sostituzione di persona dal primo giudice, piuttosto che come reato consumato, tanto piu' che il delitto di cui all'articolo 494 c.p. non e' costruito come reato di pericolo, ma comporta l'inganno o il tentativo di inganno quale elemento della fattispecie legale. Fuori fuoco sarebbe, quindi, la valutazione dei giudici di merito riferita alla potenzialita' ingannatoria del profilo rispetto a chi non conoscesse bene la vittima del reato. In ogni caso, si denuncia "travisamento del fatto e della prova", in un processo di particolare complessita', poiche' di tipo "indiziario", nonche' mancato esame di una prova decisiva, quanto all'individuazione dell'imputato come autore delle condotte denunciate dalla persona offesa: non sarebbero sufficienti le testimonianze del teste Forgione, le cui dichiarazioni sono state sottoposte a dura critica nel ricorso, e gli altri dati di prova; dalla consulenza di parte dell'ing. (OMISSIS) e dalle indagini risultava che vi fossero stati tentativi di accesso anomalo al profilo da cui sono partite le frasi diffamatorie e persecutorie, sicche' sarebbe stato indispensabile disporre una perizia ex articolo 507 c.p.p. per accertare quali fossero le utenze telefoniche agganciate agli ID di provenienza degli accessi sul profilo fake, oggetto di contestazione. 2.3. Il terzo motivo di ricorso si incentra sulla contestazione delle prove di colpevolezza del ricorrente rispetto al reato di diffamazione, anche queste ritenute insicure, incerte nella attribuibilita' delle condotte di inoltro delle e-mail contenenti giudizi e valutazioni offensive nei confronti della vittima del reato. Si evidenzia l'insufficienza dei dati di prova messi insieme dalle due sentenze di merito, elencandoli e minuziosamente contestandoli, sottolineando, in particolare, come in nessuno dei supporti informatici sequestrati all'imputato siano state trovate le mail incriminate o le pagine word allegate a queste o le foto della vittima inviate a terzi. Si bollano, invece, come mere congetture le affermazioni del giudice di primo grado sulla possibilita' che l'imputato possa aver cancellato le tracce informatiche dei reati, tanto piu' che il consulente della difesa ha provato come non vi siano indizi dell'uso del programma "eraser" da parte del ricorrente, diversamente da quanto asserto dal consulente del pubblico ministero, ing. (OMISSIS). Vi sarebbe prova, peraltro, di una manipolazione della mail diffamatoria da parte di qualcuno prima dell'inoltro all'indirizzo mail di lavoro dei colleghi iella vittima e, infine, il pc del ricorrente poteva essere utilizzato anche da suo fratello, il che escluderebbe l'univoca riferibilita' delle condotte di reato tutte. 2.4. Il quarto motivo di censura denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla condanna dell'imputato, agli effetti civili, per il delitto di atti persecutori, contestando la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato: manca qualsiasi tipicita' fenomenica del delitto (pedinamenti, appostamenti, minacce, messaggi e telefonate reiterate). Semplicemente si sono sommate le poche condotte delle due contestazioni di tentata sostituzione di persona e di diffamazione e si e' ritenuto sussistente il delitto. Per questo, mancherebbe anche la prova del dolo del reato di stalking. 2.5. Il quinto argomento di censura denuncia violazione di legge quanto agli effetti civili: la consulenza della parte civile con cui si contestualizza il danno e la patologia psicologica da cui esso e' derivato, conseguenza della condotta delittuosa, non e' condivisibile nelle sue considerazioni tutte, ivi compresi i parametri utilizzati, che la difesa ritiene "oscuri" per giungere a quantificare la soglia del 35% di danno biologico (pari a 82.000 Euro, oltre ad un danno personalizzato di 54.000 Euro). Si ritiene, pertanto, che il giudice di merito avrebbe dovuto disporre perizia d'ufficio ovvero ridurre il danno. Inoltre, si chiede che la documentazione medica allegata alle conclusioni scritte della parte civile - disturbo post-traumatico da stress - in sede di discussione venga dichiarata inutilizzabile poiche' avrebbe dovuto essere acquisita, correttamente, come prova documentale ex articolo 234 c.p.p.. Si contesta, infine, anche la valenza delle dichiarazioni della persona offesa quanto al danno psicologico grave subito dai reati, mancando elementi di riscontro alle sue asserzioni sul disagio, sul mutamento delle abitudini di vita. Secondo la difesa, le condotte attribuite all'imputato giammai avrebbero potuto determinare siffatte, gravi conseguenze traumatiche, ma tale valutazione di idoneita', doverosa, e' stata omessa dai giudici di merito. 2.6. I motivi sesto e settimo sono dedicati a rappresentare meglio le denunce di inutilizzabilita' della documentazione prodotta dalla parte civile ed acquisita nel processo alle udienze del 26.6.2020 e 3.7.2020, in quanto non attinente al thema decidendum e depositata allo scopo di suggestionare negativamente i giudici sulla moralita' perversa del ricorrente, incline ai reati del tipo di quelli commessi (motivo 6); nonche' a denunciare l'omessa ammissione delle prove difensive a discarico, relative a tale produzione documentale (motivo 7). 2.7. Infine, l'ottavo motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale richiesta con l'atto di appello, avuto riguardo alla richiesta di perizia del pc del testimone (OMISSIS); la Corte d'appello ha rigettato la richiesta con una motivazione apparente di non necessita'. Si lamenta, altresi', la mancata adesione alla richiesta di verificare nuovamente in contraddittorio dibattimentale le conseguenze dannose lamentate dalla vittima del reato, attraverso testimonianze e/o perizia sulla persona offesa; nonche' la riferibilita' al ricorrente delle condotte delittuose (attraverso perizia sul pc del coimputato (OMISSIS), che aveva inoltrato la mail diffamatoria ricevuta dall'imputato, secondo la ricostruzione accusatoria; acquisizione dei tabulati del ricorrente, della vittima del reato e dello stesso (OMISSIS)). 3. Il PG Perla Lori ha chiesto, con requisitoria scritta, che sia dichiarata l'inammissibilita' del ricorso, il che, quindi, precluderebbe la rilevanza della questione di applicabilita' della nuova disciplina prevista dall'articolo 573 c.p.p., comma 1-bis. 3.1 Il difensore del ricorrente ha depositato memoria con conclusioni scritte in data 1.3.2023, con le quali, ribadendo le ragioni di ricorso, chiede l'annullamento della sentenza impugnata. 3.2. Il difensore della parte civile ha depositato memorie, conclusioni e nota spese. Nella memoria difensiva, si sottolinea che il ricorrente non ha rinunciato alla prescrizione, sicche' avrebbe dovuto limitarsi, quanto alla sua affermazione di responsabilita' ai fini civilistici, soltanto a rappresentare la sussistenza delle condizioni ex articolo 129 c.p.p.. Invece, il ricorso ed i motivi aggiunti sarebbero inammissibili poiche' con essi si deduce travisamento dei fatti e, in realta', si punta ad ottenere una nuova, diversa e piu' favorevole visione delle prove. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' complessivamente infondato. 2. I motivi che il ricorrente propone per denunciare l'erroneita' dell'affermazione di responsabilita' agli effetti penali, evocando, sostanzialmente, una soluzione (di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata) che determini la sua assoluzione nel merito (sicche' non viene in esame la nuova disciplina dell'articolo 573 c.p.p., comma 1-bis, sono reiterativi di argomenti gia' proposti al giudice d'appello, cosi' come e' ripetitiva ed aspecifica anche la questione di competenza territoriale, gia' adeguatamente superata dalla sentenza impugnata. 2.1. A dispetto della lunghezza argomentativa del ricorso, che per la gran parte e' ripetitivo dei contenuti dell'atto d'appello, ovvero e' incentrato su richiami giurisprudenziali di ordine generale relativi ai temi controversi, non vi e' confronto effettivo con le ragioni della decisione di secondo grado, che ha evidenziato correttamente, anzitutto, quanto alla questione di competenza territoriale (primo motivo di ricorso, peraltro privo di specifico interesse, considerata la pronuncia di prescrizione dei reati gia' intervenuta), come la stabile giurisprudenza di questa Corte regolatrice individui il criterio per la determinazione della competenza per territorio nel delitto di atti persecutori in relazione al luogo in cui il disagio acculato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'articolo 612-bis c.p. (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 16977 del 12/2/2020, S., Rv. 279178). Non trova riscontro, invece, la tesi del ricorrente che sostiene l'esistenza di un prioritario criterio di determinazione del locus del commesso delitto di stalking, rapportato al "luogo in cui il comportamento dell'agente diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio", locuzione tratta dalla sentenza Sez. 5, n. 3042 del 9/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278149, conforme alla giurisprudenza sopra citata, che ha inteso enunciare un'endiadi equivalente, nella sostanza, richiamando l'espressione citata dal ricorrente come omologa a quella, successiva ed ancor piu' esplicativa, del "luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'articolo 612- bis c.p.". Del resto, la conclusione cui giunge la richiamata giurisprudenza della Cassazione, in modo univoco, discende dalla natura del delitto di atti persecutori, che configura un reato abituale di danno "per accumulo", che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (cfr. ancora le richiamate pronunce n. 16977 del 2020 e n. 3042 del 2020, nonche' Sez. 5, n. 17000 del 11/12/2019, dep. 2020, A., Rv. 279081). Tale luogo e' stato correttamente individuato nella citta' di Reggio Calabria, in cui la ricorrente viveva stabilmente, al di la' del domicilio lavorativo, ed in cui, quindi, si e' disvelato il suo profondo disagio psichico, tale da determinare serie conseguenze sul suo stato di salute psicofisica, come si dira' piu' avanti. Deve ribadirsi, pertanto, che il delitto di atti persecutori configura un reato abituale di danno che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, sicche' la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'articolo 612-bis c.p.. 2.2. I motivi riferiti alla mancata rinnovazione istruttoria (motivo otto), alla qualita' della prova raccolta nel giudizio ed alla valutazione di essa si sostanziano in una inammissibile richiesta di nuovo esame nel merito di elementi indiziari precisi, coerenti tra loro, gravi nel condurre ad individuare l'imputato come colui che, legato alla vittima da un rapporto di amicizia di antica data, tanto da aver potuto condividere con lei l'appartamento nella citta' di Catanzaro, sede dell'ufficio ove entrambi lavoravano, ha improvvisamente ed inspiegabilmente cominciato ad assumere comportamenti distonici nei suoi confronti, costruendo un falso "account facebook", contattando il suo ex-fidanzato, diffamandola presso suoi colleghi, con l'invio di una email, dal contenuto scabroso nei riguardi della vittima, a (OMISSIS), coimputato, istigandolo ad inviarla a sua volta all'indirizzo d'ufficio, con conseguente accessibilita' dei colleghi della persona offesa. Il teste (OMISSIS), la cui attendibilita' e credibilita' sono state ampiamente argomentate dalla sentenza d'appello, ha offerto i necessari elementi per ricondurre al ricorrente il falso account della vittima, segnalando che e' stato lo stesso imputato a svelarsi dietro il profilo "fake" direttamente tradendosi (cfr. pag. 25 della sentenza impugnata). La prova documentale, costituita dalle conversazioni "facebook" tra il teste chiave e l'imputato, prodotte dalla parte civile in copia, e' stata legittimamente acquisita come tale ai sensi dell'articolo 234 c.p.p. (cfr. Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 265991; Sez. 3, n. 38681 del 26/4/2017, G., Rv. 270950; nonche', tra le altre, Sez. 6, n. 22417 del 16/3/2022, Sgromo, Rv. 283319); e la Corte territoriale ha spiegato, proprio facendo leva sulla completa ed affidabile acquisizione della conversazione incriminante come documento, le ragioni della inutilita' della rinnovazione istruttoria richiesta dal ricorrente, al centro anche del terzo e dell'ottavo motivo di ricorso, per questo manifestamente infondati con riguardo alla richiesta di perizia sul pc di (OMISSIS), alla ricerca di una prova negativa ed incerta, non potendo escludersi procedure di cancellazione della conversazione non rintracciabili. La riconducibilita' all'imputato delle email dal contenuto diffamatorio e lesivo della reputazione della vittima, del profilo facebook da cui sono partiti i contatti persecutori ed in relazione al quale e' configurato il reato di sostituzione di persona e' stata motivata attraverso il riferimento ad una prova si' indiziaria, ma affidabile e convincente, sia dal giudice di primo grado che da quello d'appello, sicche' i motivi di ricorso dedicati a contestare l'individuazione del ricorrente come autore dei reati sono manifestamente infondati, oltre che in fatto e rivalutativi. 2.3. Quanto alla configurabilita' dei reati, deve evidenziarsi come, ancorche' prescritti, le ragioni difensive obbligano il Collegio ad ingaggiare necessariamente un confronto multilivello sui temi proposti, alcuni non soltanto agli effetti civili, ma anche sul piano della inoffensivita' della condotta ex articolo 49 c.p. (cfr. il secondo motivo di censura); e tuttavia, le censure si mostrano ancora una volta reiterative e del tutto fuori fuoco. Ovviamente, alla luce dell'intervenuta prescrizione, il Collegio rammenta che, secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale (cfr. la sentenza n. 182 del 2021 Corte Cost.), il giudice penale, chiamato a verificare la sussistenza dell'illecito civile ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., comma 1, dovra' basarsi sulla regola di giudizio civilistica per la valutazione della responsabilita', vale a dire il canone valutativo del "piu' probabile che non", piuttosto che sul criterio penalistico dell'alto grado di probabilita' logica (ovvero dell'oltre ogni ragionevole dubbio"), sia pur riconoscendo la non piena sovrapponibilita' della fisionomia del giudizio relativo ai soli interessi civili svolto in sede penale rispetto a quello che si tiene dinanzi al giudice civile (cfr. Sez. 5, n. 4902 del 16/1/2023, Rv. 284101). a) Per il delitto di stalking, in relazione al quale si contesta, agli effetti civili, sia la sussistenza degli eventi del reato che la riconducibilita' delle condotte al paradigma normativo tipico, deve essere anzitutto ribadito che integra il delitto di atti persecutori la condotta di creazione di profili "social" e "account internet", falsamente riconducibili alla vittima, i contenuti dei quali si rivelino in grado di rappresentare quelle molestie reiterate nei suoi confronti descritte dalla disposizione dell'articolo 612-bis c.p. (cfr., per il principio generale, in una fattispecie parzialmente diversa: Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, dep. 2022, M., Rv. 282768), ovviamente se accompagnate, dal punto di vista soggettivo, dal dolo generico costituito dalla consapevolezza dell'idoneita' del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. Nel caso di specie, sicuramente tale consapevolezza emerge dalla ricostruzione dell'accaduto, della sua dimensione temporale e delle conseguenze gravi determinate sulla vittima della campagna persecutoria, che oltre ad essere stata costretta a mutare sensibilmente le proprie abitudini di vita, chiudendosi in una sorta di depressione, con allontanamento dal contesto sociale consueto, ha riportato gravi conseguenze psicologiche, accertate da documentazione medica, causate dall'ansia e dal timore derivati dalle azioni dell'imputato. Non vi e' dubbio che tali effetti, poi, integrino gli eventi previsti alternativamente dalla fattispecie di stalking: la Corte d'Appello ha messo in risalto - oltre alla progressiva perdita di capacita' sociale e di frequentazioni; oltre alle ripercussioni serissime sul lavoro, da cui si e' assentata lungamente, rischiando il licenziamento, proprio per la difficolta' a superare l'accaduto e ad incontrare il ricorrente - "tutta la sofferenza ed il paterna della persona offesa" emersi nel corso del processo in modo evidente, poiche' si e' accertato, con adeguata documentazione medica, che la vittima ha subito gravi traumi psichici, mai superati del tutto, tanto che, anzi, essi si sono trasformati da patologia psicologica da stress in conclamata malattia psichiatrica (cfr. pag. 30 della sentenza impugnata). Quanto alla direzione delle condotte persecutorie, non direttamente rivolte alla persona offesa, ma con destinatari terzi soggetti (noti o meno), si e' gia' condivisibilmente affermato che, in tema di atti persecutori, l'evento, consistente nell'alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell'ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro quest'ultima (Sez. 6, n. 8050 del 12/1/2021, G., Rv. 281081; vedi anche Sez. 5, n. 25248 del 12/5/2022, R., Rv. 283369), unitariamente inseriti nell'unica condotta persecutoria. Nel caso del ricorrente, egli ha comunicato con numerosissimi utenti "facebook", fingendosi la persona offesa, associando alla immagine di profilo proprio una fotografia di costei in costume da bagno e postando commenti e link di carattere erotico; ha contattato via "facebook" l'ex fidanzato della donna e via email i colleghi di lei, ancora una volta con contenuti di aperta lesivita' della sua reputazione ed a sfondo scabroso ed erotico (facendo apparire che ella si definisse come "troia"). Tali condotte, ancorche' solo indirettamente rivolte alla vittima, fanno di quest'ultima l'unico, reale bersaglio della campagna persecutoria, sicche' non vi e' dubbio che le molestie reiterate, generatrici d'ansia e timori gravi, siano indirizzate a lei, chiamata in causa nelle offese ripetute alla propria reputazione ed intimita'. Ne' puo' dubitarsi della tipicita' oggettiva di dette condotte a configurare il delitto di atti persecutori che, come noto, puo' essere ritenuto integrato anche in presenza di due sole condotte, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la "reiterazione" richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale (Sez. 5, n. 33842 del 3/4/2018, P., Rv. 273622). b) Per il delitto di tentata sostituzione di persona ex articolo 494 c.p., in relazione al quale la difesa invoca l'inidoneita' della formazione del falso profilo facebook a cagionare l'inganno, vi e' solo da segnalare l'aspecificita' del motivo, dal momento che la sentenza impugnata ha evidenziato, in risposta ad un'obiezione d'appello pressocche' identica, che solo chi conoscesse in modo particolarmente approfondito la personalita' della vittima avrebbe potuto non cadere nell'inganno (come infatti e' avvenuto per il suo ex fidanzato, dal quale e' partito l'allarme su quanto stava accadendo); diversamente gli altri terzi utenti, che non fossero a conoscenza del carattere e delle attitudini di vita della vittima. In via di principio, poi, ai fini della configurabilita' del reato in astratto, integra il delitto di sostituzione di persona la condotta di colui che crei ed utilizzi "profili social" e "account internet" servendosi dei dati anagrafici di altra persona, esplicitamente contraria, al fine di far ricadere su quest'ultima l'attribuzione delle connessioni eseguite in rete (Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, Rv. 282768-02). c) I motivi di ricorso, infine, proposti con riguardo alla configurabilita' stessa del reato di diffamazione (attraverso l'invio, prima ad una terza persona e poi, tramite questa, ai colleghi di lavoro della vittima, di una email offensiva della reputaz one di lei), sono tutti affrontati come critica rivalutativa delle prove, del tutto apodittica e funzionale a riscriverne il significato secondo un'assertiva quanto inammissibile prospettiva alternativa di merito. 2.4. I motivi di ricorso con cui si denuncia l'illegittima acquisizione di documentazione proveniente dalla parte civile in sede di discussione sono generici, poiche', nonostante le critiche al loro contenuto, non si deduce ne' il loro peso nell'economia della decisione impugnata, ne' quale fosse specificamente il contenuto criticato di essa, sul quale si era chiesta la prova a confutazione rifiutata. 2.5. Infondato e', infine, il motivo di ricorso sulla liquidazione del danno alla parte civile, quantificato nella cifra consistente gia' indicata, alla luce della puntuale, convincente motivazione del giudice di primo grado, cui la sentenza d'appello si e' motivatamente allineata: la depressione irreversibile, patologia gravemente invalidante della vita psicofisica della ricorrente, e' stata ampiamente spiegata e ricostruita dai giudici di merito, sulla base di dati oggettivi, costituiti anzitutto dalla documentazione medica acquisita. La quantificazione del danno morale, autonomo rispetto al danno biologico, cristallizza, poi, il peso di una sofferenza di natura interiore, su cui la motivazione del provvedimento impugnato si e' spesa molto, al di la' dell'innegabile dato medico, di preoccupante gravita', descrivendo il blocco emotivo in cui la vittima e' caduta, per molto in tempo in modo altamente invalidante, con un forte sentimento di disistima ed incapacita' di avere rapporti anche con i suoi familiari piu' stretti, per l'autocolpevolizzazione accertata come patologia" seguita alla consapevolezza di essere stata cosi' amica di una persona capace di farle cosi' male. Le ragioni cosi' dettagliatamente esposte, anzitutto dal punto di vista medico, sostengono la statuizione relativa al risarcimento del danno, nella sua adeguatezza, mentre i motivi di ricorso si velano, ancora una volta, in parte aspecifici e, infine, manifestamente infondati. 3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che si ritiene di liquidare in complessivi Euro 5.530. 3.1. Deve essere disposto, altresi', che siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 5.530, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - rel. Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/07/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO; Rilevato che il difensore della parte civile ha formulato tempestiva richiesta di discussione orale Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, da ultimo, in forza del Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199; Uditi in pubblica udienza: il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. Tassone Kate, che, riportandosi alla requisitoria trasmessa, ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; per la parte civile, l'Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), che ha concluso, per l'inammissibilita' del ricorso, depositando note spese; per l'imputata, l'Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), che, riportandosi alla memoria trasmessa, ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza deliberata, all'esito del giudizio abbreviato, il 19/11/2021, il Tribunale di Avellino dichiarava (OMISSIS) responsabile dei reati di atti persecutori e diffamazione ai danni del minore (OMISSIS), che aveva intrapreso un percorso di transizione finalizzato al mutamento di sesso, e con la continuazione, la diminuente del vizio parziale di mente equivalente alle contestate aggravanti e la riduzione per il rito, la condannava alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione e al risarcimento dei danni a favore della parte civile. Investita dall'impugnazione dell'imputata, la Corte di appello di Napoli, con sentenza deliberata il 14/07/2022, ha ridotto la pena irrogata ad anni 2 di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore Avv. (OMISSIS), articolando sei motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Il primo motivo denuncia violazione degli articoli 612-bis e 595 c.p. e vizi di motivazione. In modo illogico e contraddittorio e' stato ritenuto irrilevante quanto sostenuto nell'atto di appello a proposito del contesto ambientale in cui si verificarono i fatti, omettendo di considerare che proprio dalla nota dei servizi sociali del (OMISSIS), dalle sommarie informazioni rese da (OMISSIS) e dalle domande rivolte al perito dal giudice di primo grado si evinceva il collegamento tra le condotte ascritte all'imputata e vecchie diatribe personali e familiari tra la stessa e la cognata, come confermato dall'elaborato del perito (OMISSIS) che ha attribuito all'imputata un disturbo della personalita' orientata verso un'organizzazione di tipo borderline le cui manifestazioni patologiche risentono degli aspetti ambientali e relazionali. Risulta evidente che le reazioni dell'imputata sono dipese dagli stimoli delle condotte della persona offesa, che hanno ingenerato un risentimento dimostrato dalle plurime denunce della ricorrente, ritenute infondate o comunque irrilevanti in assenza di qualsiasi approfondimento o valutazione del dato probatorio, limitandosi a osservare che la reciprocita' delle condotte moleste non esclude il reato di atti persecutori, omettendo di valutare le censure formulate con l'atto di appello, che contenevano elementi di novita' rispetto a quelli esaminati e disattesi dal giudice di primo grado. Nonostante le denunce della ricorrente nei confronti della persona offesa e dei suoi familiari (in particolare, della madre), i giudici di merito hanno ritenuto i comportamenti di questi ultimi giustificati dallo stato di ansia e dalla situazione di vulnerabilita' rispetto all'imputata, laddove le conclusioni del perito (OMISSIS) danno atto del disturbo della personalita' dal quale e' affetta l'imputata, disturbo che colpisce soggetti il cui stile di vita e' caratterizzato da modalita' abnormi di risposta agli stimoli ambientali. La persona offesa ha assunto una posizione di ingiustificata predominanza e le reazioni dell'imputata si sono consolidate secondo un meccanismo di autodifesa, come osservato dalla consulente (OMISSIS) a proposito dell'episodio che vide l'imputata raggiunta da casa da un inviato della trasmissione "(OMISSIS)", che le contestava le condotte nei confronti della persona offesa, circostanza che le causo' una sofferenza psichica. 2.2. Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 42, 89, 612-bis, 595 c.p. e vizi di motivazione. La motivazione della sentenza impugnata sull'elemento psicologico si risolve in una mera clausola di stile, mentre le condotte dell'imputata sono espressione di una volonta' fuorviata da fattori esterni, incapaci di corroborare l'elemento soggettivo del reato, come rilevato anche dalla consulenza (OMISSIS). I giudici di merito avrebbero dovuto considerare che la persistenza di un proposito criminoso era stata concretamente influenzata da uno degli aspetti patologici correlati alla formazione o alla persistenza della volonta' criminosa, sicche', a causa del disturbo paranoideo, l'imputata ha sviluppato un'ossessione e la convinzione di essere vittima di una cospirazione o di una sorta di accanimento da parte della persona offesa e della sua famiglia. 2.3. Il terzo motivo denuncia violazione degli articoli 539 e 540 c.p.p. e mancanza di motivazione circa la prova del pregiudizio arrecato alla persona offesa, non essendo sufficiente in tale senso la certificazione rilasciata dal Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura dell'Ospedale di (OMISSIS). 2.4. Il quarto motivo denuncia violazione degli articoli 202, 203, 211 e 286 c.p. e vizi di motivazione. In modo illogico e contraddittorio la sentenza impugnata ha confermato la misura di sicurezza della liberta' vigilata violando la finalita' della prevenzione speciale, in quanto, come precisato dal perito, l'imputata doveva essere sottoposta a un trattamento terapeutico-riabilitativo. 2.5. Il quinto motivo denuncia violazione degli articoli 163 - 168, 62-bis 89, 612-bis c.p. e vizi di motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio, motivato in poche righe e senza dar conto dei vari elementi dedotti con l'atto di appello. 2.6. Il sesto motivo denuncia violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 82 e vizi di motivazione, in ordine alla "asimmetria" tra le somme liquidate a favore della parte civile e quelle riconosciute al difensore della ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso non merita accoglimento. 2. Il primo motivo non e' fondato, pur presentando plurimi profili di inammissibilita'. La Corte distrettuale ha, in primo luogo, richiamato gli esiti degli accertamenti disposti sui dispositivi (computer, telefono cellulare) in uso all'imputata e alla persona offesa. Quanto a quelli relativi all'imputata hanno consentito di accertare che dai profili Facebook alla stessa riconducibili erano partiti i messaggi offensivi indicati nelle numerose querele presentate dalla madre della persona offesa dal (OMISSIS) al (OMISSIS); rileva ancora il giudice di appello che a partire dal (OMISSIS) (ossia prima ancora delle denunce presentate dall'imputata) e fino a (OMISSIS), (OMISSIS) ha assunto costantemente un atteggiamento vessatorio e minaccioso nei confronti di (OMISSIS), non perdendo occasione per offenderlo e schernirlo sia di persona, sia con messaggi pubblicati sui profili social della persona offesa, con espressioni triviali aventi ad oggetto sempre di orientamenti sessuali del minore, tali da rendergli la vita impossibile e aggravare la sua gia' complicata condizione emotiva legata all'identita' sessuale e al difficile percorso di "transizione" di genere avviato con l'aiuto di una psicologa. Inoltre, le indagini informatiche hanno acclarato che i profili indicati dall'imputata come in uso alla persona offesa sotto mentite spoglie non hanno trovato alcun riscontro nei dispositivi in uso a (OMISSIS). Quanto alle condizioni psichiche dell'imputata, la Corte di appello di Napoli ha richiamato le convergenti conclusioni delle due perizie alle quali e' stata sottoposta l'imputata, entrambe concordi nel ritenerla affetta da disturbo della personalita' comportante un vizio parziale di mente, riconosciuto dalle conformi sentenze di merito. Il ricorso, per un verso, insiste (anche richiamando, in termini peraltro aspecifici, una serie di elementi) sul contesto ambientale - anche risalente nel tempo - in cui si svolsero i fatti e sul condizionamento dallo stesso esercitato sull'imputata, ma il rilievo, non trascurato dalla Corte di appello, non puo', come appunto osservato dalla sentenza impugnata, travolgere la valutazione fatta da ben due perizie che hanno riconosciuto il vizio (solo) parziale di mente della ricorrente. Per altro verso, il ricorso (anche in questo caso talora articolando deduzioni in termini aspecifici) fa leva sulla pretesa "predominanza" delle condotte della persona offesa che avrebbe generato un "meccanismo di autodifesa" dell'imputata di cui i fatti contestati sarebbero espressione. La tesi non si confronta con la complessiva ricostruzione offerta dalla sentenza impugnata, li' dove, tra l'altro, ha sottolineato come i fatti ascritti all'imputata precedano le sue stesse denunce nei confronti della persona offesa e come gli accertamenti di tipo informatico abbiano consentire di escludere che il minore abbia operato sotto mentite spoglie su profili allo stesso apparentemente non riconducibili. Del resto, la lunga teoria di atti persecutori attribuita dalle conformi sentenze di merito all'imputata non si esaurisce nell'ambito dei pur numerosi messaggi attraverso i social, ma ha visto, ad esempio, anche l'episodio del 01/12/2020, allorquando, in buona sostanza, l'imputata sterzo' bruscamente con l'auto in direzione della persona offesa fin quasi al punto di investirla. Nel complessivo ragionamento del giudice di appello, il riferimento all'orientamento della giurisprudenza di legittimita' che afferma la configurabilita' del reato di atti persecutori anche in caso di reciprocita' delle condotte moleste ha carattere sostanzialmente di "argomento di chiusura", sicche' le critiche ad esso rivolte dalla ricorrente non sono comunque idonee ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata. 3. Il secondo motivo e', invece, inammissibile, per tre ordini di ragioni. La Corte di appello, in estrema sintesi. ha motivato la riconoscibilita', in capo all'imputata, del dolo in relazione, ai plurimi, eterogenei, reiterarti in un ampio arco temporale atti persecutori (e diffamatori) valorizzando le indicazioni offerte dalle due perizie (OMISSIS) e (OMISSIS), che, pur registrando una situazione mentale dell'imputata dalla quale emergeva una capacita' di intendere e di volere grandemente scemata, delineavano una condizione tale da non escludere l'elemento soggettivo del reato. Il ricorso affida la critica alla motivazione della Corte di appello alle risultanze di una consulenza a firma della Dott.ssa (OMISSIS), dedotta in termini del tutto aspecifici, il che rappresenta il primo profilo di inammissibilita' del motivo. D'altra parte, attraverso il (generico) riferimento a tale elemento, unito al richiamo di un brano della perizia (OMISSIS), il ricorso si sottrae alla complessiva disamina critica del ragionamento del giudice del riesame e degli elementi su cui si fonda, risultando, sotto questo profilo, carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849). Infine, il riferimento - del tutto aspecifico, come si e' gia' rilevato - alla consulenza (OMISSIS), unito a quello alla perizia (OMISSIS), ma svincolato da qualsiasi disamina della perizia (OMISSIS), mettono in luce come le deduzioni della ricorrente, in realta', siano volte a sollecitare a questa Corte una rivisitazione del significato del compendio probatorio (o, meglio, di una parte di esso), laddove, come chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte, esula "dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe'). 4. Passando in ordine di priorita' logico-giuridica al quarto e al quinto motivo, entrambi afferenti ai capi penali, essi non meritano accoglimento. 4.1. Il quarto motivo e' inammissibile in quanto manifestamente infondato. La Corte di appello napoletana, ferma restando la necessaria rivalutazione dell'attualita' della pericolosita' sociale dopo l'esecuzione della pena e al momento dell'esecuzione della misura di sicurezza, ha diffusamente delineato il presupposto della liberta' vigilata, rimarcando che entrambi i periti hanno ritenuto la pericolosita' dell'imputata, risultante dalla violazione delle misure cautelari applicate con la reiterazione delle condotte persecutorie. Il ricorso fa leva sulla sottoposizione a un trattamento terapeutico-riabilitativo, ma trascura di considerare che, dopo le dimissioni del (OMISSIS), fu la stessa (OMISSIS) a disattendere il percorso di cura prescrittole. 4.2. Il quinto motivo non e' fondato. Le determinazioni inerenti al trattamento sanzionatorio (conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche e della prevalenza della diminuente del vizio parziale di mente, individuazione della pena-base del reato continuato) sono stata basate su plurimi argomenti, incentrati, soprattutto, sull'ingente numero di messaggi offensivi e di morte inviati alla persona offesa, sul rilevante arco temporale nel corso del quale si sono protratte le condotte persecutorie, l'insofferenza manifestata dall'imputata rispetto alle prescrizioni dell'autorita' giudiziaria. Nei termini indicati, il giudice di appello ha congruamente motivato le determinazioni del trattamento sanzionatorio (consistite anche in una sensibile riduzione della pena principale irrogata), laddove le doglianze della ricorrente risultano del tutto inidonee a disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilita', cosi' da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516). 5. Il terzo e il sesto motivo chiamano in causa le statuizioni civili della sentenza impugnata: entrambi non meritano accoglimento. 5.1. Il terzo motivo e' inammissibile, per carenza di correlazione tra le ragioni della sentenza impugnata (che ha messo in rilievo il grave pregiudizio patito dalla vittima a causa del lungo periodo in cui si svolsero le vessazioni, della minore eta' della stessa, della crisi di identita' e del percorso di "transizione" che stava attraversando, grave pregiudizio testimoniato dalla certificazione sanitaria attestante lo stato depressivo e di panico insorto nel minore) e quelli posti a fondamento dell'impugnazione. 5.2. Il sesto motivo e' generico, non essendo sostenuto dalla necessaria allegazione delle note spese presentata dalla parte civile a fondamento della richiesta liquidazione. 6. Pertanto, complessivamente considerato, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali. La minore eta' della persona offesa impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalita' e degli altri dati identificativi. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), parte civile nato a (OMISSIS); (OMISSIS), parte civile (OMISSIS); nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); inoltre: LEGA NORD PER L'INDIPENDENZA DELLA PADANIA; avverso la sentenza del 07/06/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ROSARIA GIORDANO; letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, Dott. GARGIULO RAFFAELE, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni del nuovo difensore delle parti civili, avv. (OMISSIS), il quale ha chiesto la rimessione del fascicolo alla Sezione civile competente, ai sensi dell'articolo 573 c.p.c., comma 1-bis; letta la memoria del difensore dell'imputato, avv. (OMISSIS), che ha chiesto la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'Appello di Brescia confermava la pronuncia di primo grado che aveva assolto (OMISSIS) dall'imputazione per il reato di diffamazione aggravata in relazione alla L. n. 47 del 1948, articolo 13 in quanto, nella propria qualita' di direttore responsabile del quotidiano "(OMISSIS)" di (OMISSIS), avrebbe omesso di esercitare il controllo di cui all'articolo 57 c.p. sui contenuti di tre articoli pubblicati in data (OMISSIS), lesivi della reputazione di (OMISSIS). 2. Avverso la richiamata sentenza della Corte d'Appello di Brescia propongono, con unico atto, ricorso per cassazione ai soli effetti civili le parti civili costituite, (OMISSIS) e (OMISSIS), mediante il comune difensore di fiducia avv. (OMISSIS), articolando tre motivi di impugnazione, di seguito riportati nei limiti previsti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all'articolo 51 c.p. assumendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato all'imputato la scriminante per l'esercizio dei diritti di cronaca e di critica. Lamentano in particolare che gli articoli, che avrebbero dovuto essere oggetto di una valutazione complessiva e non "atomistica" dai giudici di merito, avrebbero superato i limiti della continenza espositiva poiche' dalle modalita' di presentazione degli stessi (specie rispetto ai titoli, agli occhielli e alla foto pubblicate) sarebbe stata evidente la volonta' di veicolare il messaggio del coinvolgimento del (OMISSIS), leader di un importante partito politico, in pratiche concorsuali illecite a vantaggio della (OMISSIS), all'epoca dei fatti sua compagna. In sostanza i ricorrenti sottolineano che una suggestiva esposizione dei fatti, mediante l'uso di termini volti a sollecitare emotivamente il lettore e a fuorviare lo stesso, avrebbe finito con il ledere la loro reputazione. 2.2. Con il secondo motivo le parti civili denunciano, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione dello stesso articolo 51 c.p. quanto al presupposto della verita' del narrato che non potrebbe ritenersi integrato stante l'assunzione mediante una regolare procedura concorsuale della (OMISSIS) presso un'Azienda Sanitaria Locale e non gia' in ragione del suo rapporto personale con il leader della Lega, come si evinceva dagli articoli. 2.3. I ricorrenti, con il terzo motivo, deducono - per l'ipotesi di accoglimento dei primi due -ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione della L. n. 47 del 1948, articolo 13 in quanto l'imputato non e' stato considerato responsabile, nella sua qualita' di direttore della testata, per l'omesso controllo sugli articoli diffamatori pubblicati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I primi due motivi, che possono essere oggetto di valutazione unitaria, sono inammissibili per manifesta infondatezza, con conseguente assorbimento del terzo in quanto prospettato per la sola ipotesi di accoglimento degli altri. Occorre premettere che, in materia di diffamazione, questa Corte puo' conoscere e valutare l'offensivita' della frase che si assume lesiva della altrui reputazione, perche' e' compito del giudice di legittimita' procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialita' della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5, n. 19889 del 17/02/2021, Parrino, Rv. 281264 - 01; Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145 - 01; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284 - 01; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Fabrizio e altro, Rv. 256706; Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005, Travaglio, Rv. 233749). Tale delibazione che il giudice di legittimita' puo' e deve compiere anche quanto al profilo del dolo e della sussistenza della scriminante del diritto di cronaca o di critica, allorquando gli stessi elementi evidenziati nella sentenza impugnata depongano per il difetto della componente soggettiva del reato (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145 - 01). E' vero che la tutela dei diritti della personalita' ai sensi degli articoli 2 e 3 Cost., nonche' dei diritti riconosciuti dall'articolo 8 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nell'ambito del diritto al rispetto della vita privata dei soggetti sui quali vengono veicolate le informazioni giornalistiche deve essere sempre assicurata nel suo nucleo essenziale (si veda, tra molti precedenti, Chauvy e altri c. Francia, n. 64915/01, p. 70, in fine, CEDU 2004 VI). A tal fine, tuttavia, l'attacco alla reputazione di una persona deve raggiungere un certo livello di gravita', e deve essere effettuato in modo tale da arrecare pregiudizio al godimento personale del diritto al rispetto della vita privata (A. c. Norvegia, n. 28070/06, p. 64, CEDU 9 aprile 2009). In particolare l'articolo 10, comma 2 Convenzione Europea dei diritti dell'uomo prevede restrizioni ancora piu' limitate alla liberta' di espressione allorche' le informazioni e le opinioni riguardino il dibattito politico e le questioni di interesse generale (Siirek c. Turchia (n. 1) (GC), n. 26682 /95, par. 61, CEDU 1999-IV, Lindon, Otchakovsky-Laurens e July c.Francia (GC), n. 21279/02 e 36448/02, par. 46, CEDU 2007-IV, Axel Springer AG c. Germania (GC), n. 39954/08, par. 90, 7 febbraio 2012, e Morice, sopra citata, par. 125). Di conseguenza, un elevato livello di protezione della liberta' di espressione, che si accompagna a un margine di discrezionalita' particolarmente ristretto da parte delle autorita' degli stati membri, sara' di norma accordato quando le osservazioni formulate vedono su un argomento di interesse generale, quale e' senza dubbio - con riferimento alla fattispecie che ne occupa - quello che riguarda le eventuali interferenze del segretario di uno dei principali partiti politici per favorire la progressione in carriera di quella che era la sua compagna all'epoca dei fatti. Tali principi generali sono stati anche confermati, in ordine all'articolo 10 della Convenzione e alla liberta' di stampa, nella sentenza Satakunnan Markkinapórssi Oy e Satamedia Oy c. Finlandia ((GC), n. 931/13, parr. 125-128, 27 giugno 2017), ribadendo che la liberta' di espressione e' soggetta ad eccezioni, che richiedono tuttavia un'interpretazione restrittiva, e la necessita' di limitarla deve essere dimostrata in modo convincente (v. Von Hannover c. Germania (n. 2) (GC), nn. 40660/08 e 60641/08, p. 101, CEDU 2012, Couderc e Hachette Filipacchi Associe's c. Francia (GC), nn 40454/07, par. 88, CEDU 2015 (estratti), e Be'dat c. Svizzera (GC), 56925/08, par. 48, CEDU 2016): cruciale e' che la stampa svolga il suo indispensabile ruolo di " cane da guardia " (si veda Magyar Helsinki Bizotts4 c. Ungheria (GC), n. 18030/11, par. 165, 8 novembre 2016, CEDU 2016, con ulteriori riferimenti). Ovviamente la tutela accordata ai giornalisti dall'articolo 10 della Convenzione e' subordinata alla condizione che essi agiscano in buona fede, per fornire informazioni accurate e affidabili, in conformita' ai principi del giornalismo responsabile, che rinvia principalmente al contenuto raccolto e/o divulgato mediante mezzi giornalistici (Travaglio c. Italia, Prima Sezione, 24/01/2017, n. 64746/14, par. 36; Pentikinen c. Finlandia (GC), n. 11882/10, p. 90, CEDU 2015 e i ricorsi ivi citati). Nella giurisprudenza costituzionale e' stato, anche di recente, posto in rilievo che questioni come quelle oggi poste all'attenzione della Corte devono essere vagliate nell'ambito di un vero e proprio giudizio di bilanciamento tra valori contrapposti. Infatti, se e' vero che la liberta' di espressione, in particolare sub specie di diritto di cronaca e di critica esercitato dai giornalisti, costituisce pietra angolare di ogni ordinamento democratico, non e' men vero che la reputazione individuale e' del pari un diritto inviolabile, strettamente legato alla stessa dignita' della persona (Corte Cost., ord. n. 132 del 2020). Aggressioni illegittime a tale diritto compiute attraverso la stampa possono incidere grandemente sulla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime, con danni che sono suscettibili, oggi, di essere enormemente amplificati proprio dai moderni mezzi di comunicazione, che rendono agevolmente reperibili per chiunque, anche a distanza di molti anni, tutti gli addebiti diffamatori associati al nome della vittima. Questi pregiudizi debbono essere prevenuti dall'ordinamento con strumenti idonei, necessari e proporzionati, nel quadro di un indispensabile bilanciamento con le contrapposte esigenze di tutela della liberta' di manifestazione del pensiero, e del diritto di cronaca e di critica in particolare (Corte Cost. sent. n. 150 del 2021. Peraltro, e' proprio nel solco dei riferiti e generali principi, che si pone da lungo tempo la giurisprudenza di legittimita' nel richiedere, ai fini dell'operativita' della scriminante di cui all'articolo 51 c.p., che pur a fronte di una sostanziale corrispondenza in termini, almeno putativi, tra verita' dei fatti e del narrato e un interesse pubblico alla conoscenza di detti fatti, siano rispettati i limiti della continenza espositiva, finanche nell'esercizio del diritto di critica. In particolare, il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta - e cioe' strettamente funzionale alla finalita' di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione - e non puo' ritenersi superato per il solo fatto dell'utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno pero' anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866 - 01). 1.1. Indubbio l'interesse pubblico della collettivita' a conoscere le vicende oggetto degli articoli per cui e' processo considerato il ruolo politico rivestito dal ricorrente (OMISSIS), va considerata in primis la doglianza che attiene all'inoperativita', nella specie, dell'articolo 51 c.p. in virtu' della non verita' dei fatti pubblicati. Sotto questo profilo, il ricorso delle parti civili e' manifestamente infondato poiche', come ampiamente evidenziato gia' dalla sentenza di primo grado, dalla lettura degli articoli si evince che (OMISSIS) e' stata assunta presso la ASL a seguito di regolare concorso (sul quale, come riportato in uno degli articoli, il teste (OMISSIS) aveva chiesto chiarimenti ed aveva ottenuto conferma di detta regolarita'). Parimenti, sebbene la successiva nomina fiduciaria presso la segreteria dell'assessore alla Famiglia della Regione Lombardia non avesse determinato il raddoppio dello stipendio della ricorrente, sicuramente, come ammesso dalla stessa difesa della parte civile, vi era stato un incremento significativo del reddito per effetto della (legittima) chiamata su base personale. 1.2. Con riferimento, invece, alla dedotta violazione dei limiti dell'esimente del diritto di cronaca costituita dalla continenza, e' opportuno ricordare che essa si realizza quando il narrato trasmodi in un'incontrollata aggressione del soggetto, con l'utilizzo di termini gravemente infamanti e inutilmente umilianti (Sez. 5, n. 29730 del 04/05/2010, Rv. 247966 - 01), atteso che non puo' essere in alcun modo scriminato l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest'ultimo in quanto tale (Sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011, Rv. 250174 - 01). Cio' posto, detti limiti non appaiono superati nella fattispecie che ne occupa da nessuno degli articoli pubblicati sulla testata diretta dal (OMISSIS). La difesa delle parti civili denuncia invero il superamento dei limiti della continenza espressiva per la circostanza che, specie attraverso titoli ed occhielli "ad effetto", nonche' con la pubblicazione di una fotografia della (OMISSIS), gli articoli, pubblicati contestualmente, sarebbero stati volti a suggestionare i lettori rispetto a un'effettiva ingerenza illecita del segretario della Lega nella carriera della compagna. In realta', come si evince dalla lettura completa dei predetti articoli - ed e' stato correttamente evidenziato nelle decisioni di merito - gli stessi descrivono i fatti, nei limiti della continenza espressiva, ponendo peraltro a confronto le opinioni su di essi degli esponenti dei partiti politici contrapposti, sempre correttamente riportati con un "virgolettato", e dando conto anche delle dichiarazioni dello stesso (OMISSIS) sulla vicenda. Sicche' il motivo di ricorso non tiene conto del principio, piu' volte affermato da questa Corte, per il quale la valutazione della portata diffamatoria di un articolo giornalistico deve essere compiuta non avendo riguardo a quella che puo' essere l'impressione che ne tragga il lettore c.d. frettoloso (ossia colui il quale si limiti ad una veloce lettura del titolo, degli occhielli e simili), bensi' del lettore c.d. medio il quale esamini, senza particolare sforzo o arguzia, il testo dell'articolo e tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto complessivo della pubblicazione (ex plurimis, Sez.5, n. 14915 del 12/01/2023, non mass.; Sez. 5, n. 10967 del 14/11/2019, dep. 2020, Rv. 278790 - 01; Sez. 5, n. 19960 del 30/01/2019, Rv. 276891 - 01). 3. Alla dichiarazione di inammissibilita' segue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l'evidente inammissibilita' dei motivi di impugnazione non consente di ritenere i ricorrenti medesimi immuni da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilita' (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - rel. Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 24/02/2022 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO SGUBBI; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PASSAFIUME SABRINA, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio, con revoca delle statuizioni civili, in accoglimento del primo motivo di ricorso; lette le conclusioni della parte civile, che ha depositato nota spese. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento impugnato la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale capitolino con la quale, il 25 giugno 2019, (OMISSIS) e' stato condannato alla pena di giustizia per il delitto di diffamazione, nonche' al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile (OMISSIS), da liquidarsi in separato giudizio salva provvisionale di Euro 20.000. Il fatto e' contestato come commesso dal (OMISSIS), nella sua qualita' di avvocato che assisteva due sottufficiali dell'Arma dei Carabinieri, (OMISSIS) e (OMISSIS). Il primo, in particolare, era difeso dall'avvocato (OMISSIS) in un processo per falso e truffa, essendo sospettato di aver falsificato la firma di un superiore su un'istanza di annullamento di una multa per una violazione stradale, ed aveva l'interesse a dimostrare che, nell'ambito di indagini di polizia giudiziaria, fosse abituale o comunque diffuso l'utilizzo di autovetture private, senza necessita' di autorizzazione. Per tale ragione fu convocata dall'avvocato (OMISSIS) una conferenza stampa, allo scopo di reperire testimoni utili alla tesi del proprio cliente. Durante tale conferenza stampa, tenuta a (OMISSIS), fu pero' affrontato anche un argomento diverso, di ben maggior interesse per i giornalisti presenti, che gia' sapevano come il (OMISSIS) avesse denunciato alcuni superiori per averlo ostacolato nella ricerca di latitanti di mafia del calibro di (OMISSIS) e (OMISSIS). L'accusa mossa nei confronti dell'avvocato (OMISSIS), che nella predetta conferenza stampa diede conto ai giornalisti anche di un'ulteriore denuncia, presentata dal sottufficiale (OMISSIS) - pure suo cliente - e non conosciuta dai presenti, e' di aver nominativamente individuato nel generale (OMISSIS), odierna parte civile, il superiore gerarchico diretto cui si riferivano le pesanti doglianze dei propri clienti e di averle commentate, cosi' diffamando l'ufficiale. Questi, infatti, all'epoca dei gravi fatti riferiti da (OMISSIS) e (OMISSIS), era, con il grado di colonnello, il comandante del reparto cui i due sottufficiali erano addetti e che si dedicava, appunto, alla ricerca di pericolosi latitanti di mafia. Accusa analoga a quella per la quale e' tratto a giudizio il (OMISSIS) e' stata mossa a (OMISSIS) e (OMISSIS), ma essi sono stati assolti perche' e' stato ritenuto provato che il mandato da loro conferito al legale era solo quello di approfondire il tema di loro stretto interesse e, in ogni caso, che il nome di (OMISSIS) sia stato fatto solo dall'avv. (OMISSIS). Si e' proceduto anche nei confronti di numerosi giornalisti, tutti assolti all'esito del primo grado di giudizio. La Corte di appello ha poi respinto gli appelli delle parti civili ulteriori (gli altri "superiori" di (OMISSIS) e (OMISSIS), non indicati nominativamente), sicche' l'unico fatto-reato di cui ancora si discute e' quello ascritto all'avvocato (OMISSIS), che vede quale vittima il generale (OMISSIS). L'imputato ha rinunciato alla prescrizione del reato. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge: i giudici di merito avrebbero errato nell'applicazione dell'articolo 595 c.p., anzitutto perche' non si potrebbe ravvisare alcuna lesione della reputazione della persona offesa. L'imputato si sarebbe limitato a riferire il contenuto delle denunce presentate dai propri assistiti, senza esprimere giudizi e senza mai dare per assodato il loro contenuto. Per quanto riguarda la denuncia presentata da (OMISSIS), oltretutto, essa sarebbe stata gia' conosciuta dai giornalisti presenti, perche' diffusa dagli organi di informazione undici giorni prima. Inoltre, le affermazioni dell'avvocato (OMISSIS) sarebbero state genericamente riferite ai superiori dei propri clienti. L'individuazione del gen. (OMISSIS) e' avvenuta in risposta a diversa domanda di un giornalista, che chiedeva di sapere chi fosse il comandante di un determinato reparto: nel far cio', l'avvocato (OMISSIS) non avrebbe espresso alcun giudizio diffamatorio ne' attribuito alcunche' a quello specifico ufficiale. Del resto, aggiunge il ricorrente, e' significativo che i giornalisti che hanno speso il nome del (OMISSIS) siano stati assolti e sarebbe contraddittoria la decisione di non riservare anche a lui analogo trattamento. Il gen. (OMISSIS) e' stato nominativamente individuato solo quale comandante di un determinato reparto, e non quale destinatario delle denunce. Sul punto specifico, nell'ambito del medesimo motivo, il ricorrente deduce anche vizio di motivazione perche' la Corte di appello sarebbe incorsa in contraddizione nel giudicare "assai scarno" il tentativo dell'avvocato (OMISSIS) di precisare al giornalista che la risposta riguardava una domanda diversa rispetto al contenuto delle denunce: si tratterebbe, invece, di un aspetto essenziale per valutare correttamente la vicenda. L'avvocato (OMISSIS), in altre parole, non era mosso da intenti diffamatori come si desume dal fatto di non aver citato nominativamente altri superiori gerarchici dei propri assistiti: se ha citato (OMISSIS), e' stato solo in risposta ad una domanda che aveva tutt'altro contenuto e rispetto alla quale la replica era neutra. Infine, nell'ambito del medesimo motivo, il ricorrente denuncia erronea applicazione pure dell'articolo 51 c.p.: l'avvocato (OMISSIS) avrebbe agito nell'esercizio di una facolta' legittima prevista da una norma del codice deontologico forense (articolo 18) e comunque nell'esercizio del diritto di cronaca, costituzionalmente garantito e da non ritenersi riservato ai soli giornalisti. In ogni caso, avrebbe semplicemente espresso liberamente il proprio pensiero, senza travalicare alcun limite. 2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione: al secondo motivo di appello, inerente il difetto di prova dell'elemento soggettivo, la Corte di merito non avrebbe fornito alcuna risposta. 2.3. Con il terzo motivo deduce analogo vizio con riguardo al terzo motivo di appello, relativo all'operativita' della scriminante prevista dall'articolo 51 c.p.. 2.4. Con il quarto motivo deduce analogo vizio con riguardo al sesto motivo di appello, inerente le statuizioni civili: la provvisionale sarebbe stata determinata in una somma assai elevata, senza alcuna prova di una derivazione causale di qualsivoglia pregiudizio, nei confronti del gen. (OMISSIS), da parte della condotta ascritta al (OMISSIS), laddove la notizia della denuncia nei suoi confronti sporta da (OMISSIS) era gia' nota. 3. Il ricorso e' stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui alla L. n. 176 del 2020, al articolo 23, comma 8 e successive modifiche. Il Procuratore generale ha concluso per iscritto chiedendo l'annullamento senza rinvio, con revoca delle statuizioni civili, in accoglimento del primo motivo di ricorso. Ha concluso per iscritto anche la parte civile, che ha depositato un'articolata memoria corredata di nota spese. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. Il ricorrente non contesta, e non ha contestato nei giudizi di merito, due elementi di fatto che possono dirsi incontroversi: a) che sia mancata la prova degli ostacoli frapposti dai superiori gerarchici ai sottufficiali (OMISSIS) e (OMISSIS) nella loro attivita' di polizia giudiziaria volta alla cattura dei latitanti; b) che l'unico ad aver fatto il nome del gen. (OMISSIS), nel corso della conferenza stampa del (OMISSIS), sia stato proprio l'imputato. Quel che il ricorrente contesta (oltre che la motivazione sulle statuizioni civili, su cui si dira' in seguito) e' che le espressioni da lui usate siano diffamatorie, che vi sia stata da parte sua l'individuazione della persona oggetto delle accuse mosse da (OMISSIS) e (OMISSIS) (e non soltanto, invece, l'individuazione del responsabile di un reparto dell'Arma, in risposta ad una domanda di un giornalista, e senza alcun sottinteso o intento offensivo), che siano stati da parte sua travalicati i limiti della corretta esposizione di un pensiero; deduce, poi, che su tale ultimo aspetto come pure sulla sussistenza del dolo richiesto dalla norma incriminatrice, la motivazione della sentenza sia carente. 2. Certamente l'incriminazione della diffamazione costituisce una interferenza con la liberta' di espressione e quindi contrasta, in principio, con l'articolo 10 CEDU, a meno che non sia "prescritta dalla legge", non persegua uno o piu' degli obiettivi legittimi ex articolo 10, par. 2 e non sia "necessaria in una societa' democratica". In riferimento agli enunciati limiti, la Corte EDU ha, in varie pronunce, sviluppato il principio inerente la "verita' del fatto narrato" per ritenere "giustificabile" la divulgazione lesiva dell'onore e della reputazione: ed ha declinato l'argomento in una duplice prospettiva, distinguendo tra dichiarazioni relative a fatti e dichiarazioni che contengano un giudizio di valore, sottolineando come anche in quest'ultimo sia comunque sempre contenuto un nucleo fattuale che deve essere sia veritiero che oggettivamente sufficiente per permettere di trarvi il giudizio, versandosi, altrimenti, in affermazione offensiva "eccessiva", non scriminabile perche' assolutamente priva di fondamento o di concreti riferimenti fattuali. In tal senso, la Corte Europea si riferisce principalmente al diritto di critica, politica, etica o di costume e, in generale, a quel diritto strettamente contiguo, sempre correlato con il diritto alla libera espressione del pensiero, che e' il diritto di opinione, indicando quali siano i limiti da non travalicare nel caso di critica politica. Nella delineata prospettiva si pone, tra le altre, la sentenza CEDU Mengi vs. Turkey, del 27.2.2013, distinguendo tra statement of facts (oggetto di prova) e value judgements (non suscettibili di dimostrazione), rilevando come nel secondo caso il potenziale offensivo dell'articolo o dello scritto, nel quale e' tollerabile - data la sua natura - "exaggeration or even provocation", sia neutralizzato dal fatto che lo scritto si basi su di un nucleo fattuale (veritiero e rigorosamente controllabile) sufficiente per poter trarre il giudizio di valore negativo; se il nucleo fattuale e' insufficiente, il giudizio e' "gratuito" e pertanto ingiustificato e diffamatorio (si vedano in particolare, su questi concetti: Sez. 5, n. 11669 del 05/12/2022, dep. 2023, Abbate e Sez. 5, n. 32027 del 23/03/2018, Maffioletti). 3. Cio' premesso, ed esaminando congiuntamente il primo e il terzo motivo di ricorso, e' fuori discussione che le accuse, invero gravissime, mosse dai sottufficiali (OMISSIS) e (OMISSIS) sono rimaste indimostrate. Il "fatto" di aver subito pressioni od ostacoli da qualsivoglia superiore gerarchico nell'attivita' volta alla cattura dei piu' importanti latitanti di mafia (accusa gravissima ed infamante per un ufficiale o sottufficiale dei carabinieri, specie se con ruoli di comando), in particolare, e' rimasto privo di qualsivoglia dimostrazione. Difetta, dunque, il requisito della veridicita' di quel fatto e, pertanto, difetta la possibilita' stessa di invocare il diritto di critica, o in generale, il diritto di opinione. Nessuna contraddizione sussiste nell'aver ritenuto scriminato dal diritto di cronaca le affermazioni dei giornalisti, chiamati a rispondere solo per avere "rilanciato" dichiarazioni effettivamente pronunciate (appunto, dal (OMISSIS)). La motivazione resa dalla Corte di appello - che non si e' certo sottratta alla risposta ai motivi inerenti la responsabilita' e la sussistenza delle invocate scriminanti - non e' manifestamente illogica ed e' invece perfettamente consequenziale. Ne deriva una ricostruzione certa delle principali coordinate del fatto rispetto alle quali i giudici di secondo grado (come quello di primo) hanno fatto buon governo delle norme incriminatrici. Si verte, nel caso di specie, in un caso di c.d. "doppia conforme", dal momento che l'affermazione di responsabilita' del (OMISSIS) e' rimasta immutata nei due gradi di giudizio, e dunque le due sentenze di merito si integrano reciprocamente (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617; Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Nella sentenza di primo grado, alle pagine 16-17, e' riepilogato l'incipit della conferenza stampa di cui si discute: giunti i giornalisti nello studio dell'avvocato (OMISSIS), questi li ringrazia e precisa: "faccio una premessa, un'annotazione che... insomma potrei anche evitare, pero' non... son fatto cosi', non riesco a non parlare, a non dire qualcosa che sinceramente un po' mi sdegna, che e' il fatto che, appunto, alla fine notizie come queste vengano fondamentalmente ignorate - ovviamente non dai presenti, visto che siete qua... - e che si fatichi a parlare di... diciamo di questioni gravi come i carabinieri che dovrebbero indagare sulla ricerca di latitanti che sono latitanti da 20 anni o anzi da 40, alcuni, vengono ostacolati dai superiori e poi tutto questo, anziche' far sdegnare un paese, sembra una cosa normale". Ebbene, risulta del tutto evidente, in contrasto con quanto sostenuto nel ricorso, che l'avvocato (OMISSIS) si e' da subito lasciato andare ad un giudizio grave, gratuito e del tutto estraneo o quantomeno ultroneo rispetto al fine per il quale era stata convocata la conferenza stampa e per il quale i suoi clienti gli avevano conferito l'incarico. Da questo punto di vista, e' evidente l'infondatezza delle censure che ravvisano contraddittorieta' nella decisione di condannare il (OMISSIS) e assolvere i sottufficiali (posto che quanto dichiarato dal (OMISSIS) non e' attribuibile ai sottufficiali) e che invocano il codice deontologico forense in modo non corretto, dal momento che la difesa dei propri clienti non richiedeva assolutamente l'esposizione di giudizi di questo genere, estranei in particolare all'oggetto del processo nei confronti del (OMISSIS) ed estranei alle indagini difensive cui la conferenza stampa era funzionale. E' appena il caso di ricordare che l'articolo 18, comma 1, del codice deontologico forense, approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31 gennaio 2014 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 241 del 16 ottobre 2014, sotto la rubrica "Doveri nei rapporti con gli organi di informazione", recita: "Nei rapporti con gli organi di informazione l'avvocato deve ispirarsi a criteri di equilibrio e misura, nel rispetto dei doveri di discrezione e riservatezza; con il consenso della parte assistita, e nell'esclusivo interesse di quest'ultima, puo' fornire agli organi di informazione notizie purche' non coperte dal segreto di indagine". Dunque, l'avvocato (OMISSIS), in modo del tutto eccentrico rispetto agli scopi della conferenza stampa, al mandato ricevuto ed ai limiti imposti dal codice deontologico, si e' lasciato andare a giudizi personali gravissimi sull'operato dei superiori del (OMISSIS) e del (OMISSIS), riguardo ad aspetti tanto infamanti quanto non dimostrati. Ha rincarato tali giudizi attraverso il riferimento alla denuncia del (OMISSIS), non ancora presentata (v. pagina 22 della sentenza di primo grado) ed in ogni caso ignota fino a quel momento ai giornalisti presenti: denuncia che aveva l'effetto di rendere maggiormente plausibili, e quindi di rafforzare, le accuse del (OMISSIS) (accuse formalizzate in una denuncia) e dell'avvocato (OMISSIS) medesimo (accuse esposte nella conferenza stampa). Svolta questa premessa, e sollecitati dunque i giornalisti, l'avvocato ha indirizzato personalmente i sospetti sul (OMISSIS), in modo del tutto gratuito e altrimenti - senza le sue precisazioni - non automatico. Infatti i giornalisti, di fronte ad un'accusa rivolta ai "superiori" (il ricorrente ha sottolineato che, tra ufficiali e sottufficiali operanti a Palermo, erano numerose decine i superiori di (OMISSIS) e (OMISSIS)), hanno chiesto chi fosse il comandante provinciale, cioe' il vertice dell'Arma nel territorio, e l'avvocato (OMISSIS) non ha risposto a tale domanda fornendo quel nome, ma ha voluto precisare che l'accusa si riferiva ad un superiore diverso dal comandante provinciale. In tal senso, infatti, e' chiarissima la risposta alla domanda "Chi era il comandante provinciale dell'epoca-": "io lo riferisco come fatto storico chi era, poi, diciamo, non... non significa che... eccetera eccetera, credo... no, non il comandante provinciale, il comando del Nucleo operativo aveva dato queste indicazioni, nel senso di... ci riferiscono i denuncianti"; a questo punto, l'avvocato (OMISSIS) fa nome e cognome del generale (OMISSIS). Dunque, non coglie nel segno la doglianza del ricorrente laddove evidenzia che il nome del (OMISSIS) fu da lui indicato solo, in risposta ad una domanda dei giornalisti, quale comandante di un determinato reparto, senza collegare quel nome alla denuncia dei misfatti di cui discute. Al contrario, il ricorrente: - ha convocato i giornalisti nell'esercizio del diritto di difesa nell'ambito, in particolare, di un procedimento nel quale uno dei suoi clienti rispondeva di un'accusa precisa e, percio', gli aveva dato mandato di ricercare testimonianze su un argomento specifico (l'uso di autovetture private per attivita' d'istituto); - avuta la presenza dei giornalisti, ha denunciato un comportamento definito "grave", che gli provocava "sdegno", e che consisteva nell'ostacolo frapposto a valorosi carabinieri, da parte dei superiori, nella ricerca dei piu' pericolosi latitanti di mafia; - subito dopo, nel rispondere ad una domanda specifica (chi fosse il comandante provinciale), ha indicato espressamente il (OMISSIS) come il superiore diverso dal comandante provinciale e da qualunque altro superiore dei suoi clienti - di cui gli avevano riferito "i denuncianti". Dunque, pur con le cautele e le precisazioni che hanno accompagnato l'esternazione, e' stato il solo (OMISSIS), in modo del tutto gratuito, al di fuori del mandato professionale ricevuto ed esprimendo, tutt'al piu', un'opinione non richiesta e non fondata in fatto, ad individuare esattamente nel generale (OMISSIS) il destinatario di accuse gravissime, forse le piu' gravi per un ufficiale dei Carabinieri. 4. Non coglie nel segno nemmeno la doglianza, strettamente connessa, relativa all'omessa motivazione sul motivo di ricorso inerente il dolo (secondo motivo). La Corte di appello ha anzitutto dato conto del motivo di impugnazione (pagg. 2-3) ed in particolare dell'argomento secondo il quale la cautela che avrebbe accompagnato le esternazioni del (OMISSIS) sarebbe sintomatica della carenza dell'elemento soggettivo. Ebbene, riepilogate le coordinate essenziali del fatto, la Corte ha correttamente concluso nel senso che l'individuazione del (OMISSIS) quale responsabile delle attivita' di ostacolo alle indagini, era tutt'altro che "una voce dal sen fuggita", immediatamente corretta da formule di attenuazione (pag. 10 della sentenza di appello). La motivazione, dunque, e' stata fornita e non e' manifestamente illogica, alla luce della concatenazione dei fatti, come sin qui descritta. 5. La Corte di appello ha giustamente valorizzato la gravita' del pregiudizio subito dal generale (OMISSIS) dalle esternazioni del (OMISSIS) (pag. 11 della sentenza): si tratta delle accuse piu' gravi che si possano formulare nei confronti di un ufficiale dei Carabinieri che si trovi al comando di un reparto dedicato alla cattura dei latitanti. Cio' premesso, non vi sono profili di manifesta illogicita' nella motivazione in ordine alla provvisionale e non appare dirimente quanto osservato dal ricorrente circa il fatto che la notizia della denuncia da parte del (OMISSIS) fosse gia' nota da alcuni giorni, sicche' la conferenza stampa non avrebbe prodotto un autonomo pregiudizio in capo al (OMISSIS). La conferenza stampa ha avuto anzitutto l'effetto di rilanciare la notizia della denuncia del (OMISSIS). Soprattutto, l'ha corroborata e resa piu' credibile attraverso: a) la non richiesta indicazione circa un'altra denuncia di analogo tenore, non ancora formalizzata e comunque non nota ai giornalisti; b) l'ulteriore accreditamento della notizia diffamatoria attraverso le parole dell'avvocato, che si e' assunto la responsabilita' di far proprie tali pesanti accuse. Anche l'ultimo motivo di ricorso va dunque respinto. 6. Al rigetto del ricorso consegue ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 7. Il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile; spese che, tenuto conto della natura del processo e dell'opera prestata (studio e discussione in pubblica udienza) possono liquidarsi in Euro 3800 oltre accessori. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3800,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MARZO Giuseppe - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. CUOCO Michele - rel. Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 7 ottobre 2022 della Corte d'appello di Salerno; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere Dott. MICHELE CUOCO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. TASSONE KATE, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS), nell'interesse della parte civile, (OMISSIS), che deposita conclusioni, unitamente alla nota spese, alle quali si riporta; udito l'avv. (OMISSIS), che insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 7 ottobre 2022, la Corte d'appello di Salerno, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto (OMISSIS) responsabile del delitto di diffamazione aggravata, per aver pubblicato sul sito internet del quotidiano "(OMISSIS)" un commento offensivo dell'onore e della reputazione di (OMISSIS), suo collega presso l'ospedale di (OMISSIS). 2. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l'imputato, articolando tre motivi di censura. 2.1. Il primo deduce vizio di motivazione ed attiene ai criteri logici in forza dei quali la Corte territoriale ha ritenuto lo scritto riconducibile con certezza al ricorrente, nonostante il computer utilizzato per la redazione e l'invio del post fosse abbinato ad un indirizzo IP collegato ad un'utenza telefonica intestata alla moglie dell'imputato, anch'ella medico, e fosse utilizzato da tutti i familiari del ricorrente e dagli amici dei figli. 2.2. Il secondo deduce, invece, violazione dell'articolo 51 c.p., nella parte in cui la Corte territoriale non avrebbe ritenuto il fatto giustificato dall'esercizio del diritto di critica. Le esternazioni, sostiene la difesa, sarebbero state rese utilizzando un linguaggio intrinsecamente non offensivo e del tutto coerente con le finalita' dello scritto, diretto, in considerazione del ruolo ricoperto dall'imputato (anch'egli medico di quella struttura), a difendere l'intera categoria dalle precedenti dichiarazioni rese proprio dalla persona offesa. 2.3. Il terzo, in ultimo, attiene al trattamento sanzionatorio e censura la motivazione in forza della quale la Corte territoriale avrebbe escluso l'applicabilita' dell'articolo 131-bis c.p. (nonostante la particolare tenuita' del danno e il contesto all'interno del quale le esternazioni sarebbero maturate) e ritenuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante (malgrado le incongruenze motivazionali della sentenza di primo grado). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I fatti trovano la loro genesi, secondo la ricostruzione esposta nella sentenza impugnata, nella precedente pubblicazione di un articolo, sull'edizione on-line dello stesso quotidiano, nel quale si dava conto dei disservizi causati dall'assenza del medico di turno presso il reparto di malattie infettive dell'ospedale di (OMISSIS), ove nessuna assistenza era stata fornita ad un bambino ricoverato per varicella. In calce a tale articolo, fu scritto un post, nel quale si sosteneva, tra l'altro, che il Dott. (OMISSIS) non fosse uno specialista e tanto meno il primario; che gia' in passato avesse tentato di coprire le "sue magagne" incolpando suoi colleghi; che fosse "ignorante" e a lui stesso fosse da ricondursi la responsabilita' di quanto accaduto. All'individuazione dell'autore si era giunti sulla base degli accertamenti svolti dal personale della polizia postale, dai quali era emerso che il commento incriminato proveniva da un profilo denominato (OMISSIS) ed era stato inviato da un indirizzo IP collegato all'utenza telefonica intestata a (OMISSIS), moglie dell'imputato. 2. La difesa, per come si e' detto, contesta in primo luogo la certa riconducibilita' dello scritto al ricorrente. La censura e' inammissibile. E' pur vero che, alla luce del prospettato uso promiscuo del computer, sarebbe astrattamente stato possibile che altri potesse scrivere dei post, ma si tratta di una eventualita' che i giudici di merito hanno nella sostanza ritenuto smentita dalla logica correlazione dei fatti. Invero, il "dubbio ragionevole" di cui all'articolo 530 c.p.p., comma 1, invocato dal ricorrente, deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda che, alla luce delle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza, sia non un'astratta possibilita', ma un'eventualita' concretamente plausibile e suscettibile di essere argomentata con ragioni verificabili (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430). Ora, come razionalmente evidenziato dalla Corte territoriale, pur a fronte di un uso promiscuo del computer e, quindi, dell'astratta possibilita' di una diversa provenienza dello scritto, lo scopo del post era quello di smentire le illazioni contenute nell'articolo di giornale relativo al disservizio verificatosi presso il reparto malattie infettive dell'ospedale di (OMISSIS) (riferite implicitamente proprio al Dott. (OMISSIS)). E l'unico soggetto interessato e soprattutto a conoscenza delle vicende interne al reparto era quest'ultimo: non i figli, ne' la moglie che, per quanto medico, prestava servizio in altra struttura sanitaria. 3. Il secondo profilo di censura attiene alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato (quanto alla concreta offensivita' dello scritto) e della scriminante di cui all'articolo 51 c.p., ritenuta configurabile dalla difesa alla luce del ruolo ricoperto dall'imputato (quale medico in servizio presso lo stesso ospedale), della chiara finalita' perseguita (difendere l'intera categoria in conseguenza di precedenti dichiarazioni rese dalla stessa persona offesa) e della coerenza delle forme utilizzate e del contenuto intrinsecamente non offensivo. Le censure sono tutte manifestamente infondate. Ed invero, la condotta diffamatoria si sostanzia, nella sua oggettiva materialita', nella propalazione di notizie lesive della reputazione di un individuo, intesa come l'insieme delle qualita' morali, intellettuali e fisiche da cui dipende il valore della persona nel contesto sociale in cui vive. Tale condotta puo' essere giustificata dall'esercizio della libera manifestazione del proprio pensiero (posto a fondamento del diritto di critica), purche' si rispetti la veridicita' della notizia divulgata (in mancanza della quale la critica sarebbe pura congettura e mera occasione di dileggio e mistificazione) e vengano utilizzate forme espositive corrette, strettamente funzionali alle finalita' di disapprovazione, che non trasmodino nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione (Sez. 5, n. 43403 del 18/06/2009, Rv. 245098). Ebbene, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, il ricorrente non si e' limitato a contestare le accuse che gli venivano implicitamente mosse nel precedente articolo (peraltro senza alcun esplicito riferimento alla sua persona), ma ha rivolto nei confronti del Dott. (OMISSIS), che all'epoca era responsabile del reparto, frasi dal contenuto oggettivamente diffamatorio, contestandogli di non aver saputo diagnosticare la patologia della quale era affetto il paziente, definendolo espressamente ignorante e bugiardo e accusandolo di aver gia' in altre occasioni tentato di coprire le sue "magagne", accusando i sui colleghi. In questi termini, non solo emerge la concreta portata diffamatoria delle affermazioni (direttamente valutabile da questa Corte: Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Rv. 26128401; Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, Rv. 278145), ma difetta, indiscutibilmente, il requisito della continenza, condizione necessaria ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica. E' pur vero che, sotto tale profilo, il complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta puo' astrattamente legittimare l'utilizzo anche di toni aspri, forti e sferzanti, ma tale contesto, comunque, non puo' in alcun modo scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona in quanto tale (Sez. 5, n. 32027 del 23/03/2018, Rv. 273573). E le accuse rivolte al Dott. (OMISSIS) (nei termini in precedenza indicati), proprio perche' del tutto gratuite, non pertinenti al tema in discussione e assolutamente sproporzionate al fatto narrato ed al concetto da esprimere, travalicano indubitabilmente questi limiti, rendendo le affermazioni del tutto ingiustificate. 4. Residua l'ultimo profilo di censura, afferente, per come si e' detto, al trattamento sanzionatorio, nei suoi due profili della concreta determinazione della pena, alla luce del giudizio di bilanciamento, e dell'invocato riconoscimento della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p.. 4.1. Quanto al primo profilo, e' necessario rilevare, preliminarmente, come nella sentenza di primo grado non vi sia piena corrispondenza tra la motivazione (dove le circostanze attenuanti generiche vengono ritenuto equivalenti alla contestata aggravante e la pena risulta indicata in Euro quattrocento) e il conseguente dispositivo (dove, invece, il bilanciamento viene indicato in termini di prevalenza e la pena indicata in Euro seicento). A fronte di cio', la Corte territoriale ha ritenuto corretto indicare la pena irrogata in Euro 600 e il giudizio di bilanciamento in termini di prevalenza (coerentemente con quanto indicato in dispositivo). Cio' premesso, in linea generale, il contrasto tra dispositivo e motivazione non determina nullita' della sentenza, ma si risolve con la logica prevalenza dell'elemento decisionale su quello giustificativo, potendosi eliminare eventualmente la divergenza mediante ricorso alla semplice correzione dell'errore materiale della motivazione in base al combinato disposto degli articoli 547 e 130 c.p.p. (Sez. 5, n. 22736 del 23/03/2011, Rv. 250400). Il principio della prevalenza dell'elemento decisionale su quello giustificativo non costituisce, tuttavia, un canone interpretativo inderogabile, attesa l'ampia gamma dei contrasti che possono, in astratto, sussistere (Sez. 3, 25 settembre 2007, n. 38269, Rv. 237828; Sez. 4, 24 giugno 2008, n. 27976, Rv. 240379; Sez. 1, n. 37536 del 07/10/2010 Rv. 248543). Vi sono, infatti, alcuni casi in cui la divergenza dipende da un evidente errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo e l'esame della motivazione consente di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice per determinare la pena. In tali ipotesi, il contrasto e' solo apparente ed e' legittimo il ricorso alla motivazione per chiarire l'effettiva portata della decisione ed individuare l'errore, eliminandone gli effetti (Sez. 6, Sentenza n. 25704 del 23/05/2003 Rv. 226048). Ove, invece, tale processo ermeneutico non sia concretamente praticabile, la prevalenza non puo' che essere riconosciuta al dispositivo stesso, in quanto espressione dell'elemento decisionale. Ebbene, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, ricostruendo il processo decisionale seguito in primo grado dal Tribunale e integrando le indicazioni contenute nella parte motiva con quelle contenute nella parte dispositiva, senza, all'evidenza, modificare il trattamento sanzionatorio finale irrogato in primo grado. Ha, cosi' ritenuto di confermare la pena finale di Euro seicento di multa (indicata in dispositivo), essa stessa di poco superiore a quella minima edittale e il giudizio di bilanciamento (cosi' ritenendo le attenuanti prevalenti sull'aggravante contestata). Risulta, cosi', differente solo il procedimento attraverso il quale si e' giunti a tale determinazione, che nella parte motiva della decisione di primo grado, risulta incomprensibile e incoerente. E tanto da' conto della manifesta infondatezza della relativa censura sollevata dal ricorrente. 4.2. Residua l'ultima censura sollevata dal ricorrente, afferente, per come si e' detto, all'invocata causa di non punibilita'. In linea di principio, il giudizio sulla tenuita' del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita' della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita' della condotta, del grado di colpevolezza da essa desumibile e dell'entita' del danno o del pericolo cagionato (Sez. U., n. 13681, del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). Il giudice, tuttavia, accertato il reato, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi indicati nell'articolo 133 c.p., ma puo' limitarsi ad indicare quelli ritenuti piu' rilevanti o comunque prevalenti rispetto alle contrarie deduzioni difensive, essendo suo unico onere quello di offrire una motivazione logica e coerente con i dati richiamati. Ebbene, la Corte territoriale ha ritenuto che il fatto non fosse "particolarmente tenue" alla luce delle particolari modalita' della condotta e, segnatamente, della particolare efficacia diffusiva dello strumento utilizzato e della gravita' delle offese contenute nello scritto. La difesa, a fronte di questa motivazione, non ha dedotto profili di contraddittorieta' o manifesta illogicita', ma si e' limitata a prospettare una diversa valutazione dei fatti, dimenticando, tuttavia, che l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, limitato al solo riscontro dell'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, essendo precluso a questa Corte non solo la verifica dell'intrinseca adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, ma anche la possibilita' di rivalutare le risultanze processuali e sovrapporre il proprio apprezzamento a quello compiuto nel merito (ex multis, Sez. 6, n. 18081 del 14/04/2011). 5. In conclusione, il ricorso deve dichiararsi inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.600,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAPUTO Angelo - Presidente Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 23/06/2022 del TRIBUNALE di MODENA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MATILDE BRANCACCIO; letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale Dott. PERLA LORI, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Modena, quale giudice d'appello, ha confermato la sentenza di primo grado emessa dal Giudice di Pace di Modena il 22.10.2020, che ha condannato (OMISSIS) alla pena di 800 Euro di multa, in relazione al reato di diffamazione continuata ai danni di (OMISSIS), psicoterapeuta presso l'azienda ospedaliera di (OMISSIS), accusata in diverse missive indirizzate a piu' soggetti istituzionali, di pregiudizio, superficialita' e pressapochismo, nonche' di aver reso false dichiarazioni all'autorita' giudiziaria; l'imputato ha comunicato anche la denuncia sporta nei suoi confronti per i reati di falso ideologico ed abuso d'ufficio al direttore generale dell'ASL e ad altre autorita', non destinatarie dell'informazione, e, in una missiva, indirizzata ancora a soggetti istituzionali, l'ha equiparata a "(OMISSIS)", offendendone, in tutti i casi, l'onore ed il decoro. Alla base delle condotte risulta essere la contestazione dell'operato professionale della vittima, in un caso giudiziario problematico affidatole dal Tribunale per i minorenni e che vedeva l'imputato agire come avvocato difensore di una parte. 2. Ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro distinti motivi. 2.1. Il primo argomento di censura eccepisce vizio di motivazione manifestamente illogica quanto al tenore diffamatorio delle frasi contestate all'imputato, che sarebbero, invece, espressione di legittimo esercizio del diritto di critica, pertanto scriminate. 2.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce vizio di motivazione manifestamente illogica, quanto alla ritenuta inconfigurabilita' della causa di non punibilita' dell'articolo 598 c.p.: il giudice ha escluso l'applicabilita' della disposizione citata, evidenziando che la difesa prestata dal ricorrente sarebbe fuori dall'alveo di operativita' della norma, non suscettibile di applicazione analogica, laddove, invece, a giudizio della difesa, l'area di intervento della causa di non punibilita' ricomprenderebbe senza dubbio anche la difesa esercitata nell'ambito del procedimento dinanzi al Tribunale per i minorenni. 2.3. La terza censura propone vizio di motivazione carente e manifestamente illogica avuto riguardo alla richiesta di riqualificazione delle condotte nella tipicita' del reato di ingiuria aggravato, oggi depenalizzato. 2.4. Un'ultima eccezione riguarda il vizio di motivazione carente della sentenza impugnata, quanto alle disposte statuizioni civili: mancherebbe del tutto la risposta al motivo d'appello relativo al risarcimento dei danni, nonostante l'esplicita indicazione nell'atto di impugnazione di merito. Il Tribunale si e' limitato al mero richiamo dell'articolo 185 c.p., pur dando atto che la persona offesa aveva dichiarato di non aver subito conseguenze dannose, ipotizzando un automatismo tra reato e danno morale. 3. Il PG Perla Lori ha depositato requisitoria scritta con cui chiede l'inammissibilita' del ricorso. 3.1. La difesa della parte civile ha depositato conclusioni scritte, articolate, nel senso del rigetto del ricorso, chiedendo la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute nel giudizio nella misura di 2.316 Euro, oltre accessori di legge. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' complessivamente infondato. Occorre premettere che l'imputato era stato, nel periodo di accadimento dei fatti, l'avvocato difensore di una madre, al centro di un procedimento dinanzi al Tribunale per i minorenni, avente ad oggetto l'affido ed il diritto di incontro del figlio minore, il quale aveva mostrato, pur negli incontri "protetti" con la donna successivi al collocamento in una famiglia affidataria, un disturbo relazionale nei suoi confronti; attraverso le aspre critiche e gli attacchi ritenuti diffamatori, l'imputato ha inteso contestare il lavoro della psicologa (OMISSIS), che si occupava del caso e che riteneva "colpevole" di aver indotto l'autorita' giudiziaria ad assumere la decisione di interrompere anche gli incontri "protetti" tra madre e figlio. 2. La prima ragione difensiva, con cui si contesta la configurabilita' del reato di diffamazione, non puo' essere accolta poiche' le espressioni utilizzate dal ricorrente travalicano i confini della critica consentita, per tenore e contenuti, sicche' sono idonee ad integrare il delitto previsto dall'articolo 595 c.p.. In generale, il Collegio rammenta che l'esimente del diritto di critica postula, quale presupposto necessario, la verita' del fatto storico attribuito al diffamato, ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica (ex multis, soprattutto in tema di diffamazione a mezzo stampa, ma con valutazioni che possono, in linea generale, esportarsi alla critica in generale, cfr. Sez. 5, n. 40930 del 27/9/2013, Travaglio, Rv. 257794; Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, Coppola, Rv. 272432; Sez. 5, n. 34129 del 10/5/2019, Melia, Rv. 277002). Si e' consolidato, altresi', il condivisibile principio secondo cui l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta (continenza), strettamente funzionale alla finalita' di disapprovazione, e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione, sebbene essa non vieti l'utilizzo di termini che, pur se oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Sez. 5, n. 17243 del 19/2/2020, Lunghini, Rv. 279133; Sez. 5, n. 37397 del 24/6/2016, C., Rv. 267866; Sez. 5, n. 31669 del 14/4/2015, Marcialis, Rv. 264442; vedi da ultimo, in un'ipotesi peculiare, Sez. 5, n. 33115 del 14/10/2020, Fontana, Rv. 279965). Ebbene, nel caso di specie, non hanno trovato alcun riscontro di verita' le accuse di pregiudizio, superficialita' e pressapochismo mosse alla vittima, psicoterapeuta presso l'azienda ospedaliera di (OMISSIS), incaricata di seguire il nucleo familiare "problematico" ed accusata, in diverse missive indirizzate a piu' soggetti istituzionali, oltre che di ciarlataneria professionale (paragonata a "(OMISSIS)", per il suo orientarsi secondo dati non obiettivi), anche di aver reso false dichiarazioni all'autorita' giudiziaria (con la relativa comunicazione anche delle denunce penali sporte contro la persona offesa). La psicologa ha subito una verifica da parte dell'Azienda ospedaliera da cui dipendeva, che ha inteso testare il suo operato professionale, alla luce di quanto asserito dal ricorrente nelle lettere predette: tale verifica si e' conclusa con esiti positivi per la vittima del reato, che ha mantenuto, anzi, il suo incarico professionale, fino all'inserimento della madre del minore in comunita'; analogo esito favorevole ha visto il procedimento penale sorto in conseguenza della denuncia sporta nei confronti della persona offesa per i delitti di falso ideologico, abuso d'ufficio e false dichiarazioni all'autorita' giudiziaria: il procedimento, infatti, e' stato archiviato. Difetta, dunque, il profilo della verita' delle accuse rivolte alla vittima e ritenute diffamatorie e, d'altra parte, tali accuse - sotto il versante della "continenza" evidenziano una carica oggettivamente offensiva dell'onore e del decoro professionali della psicoterapeuta, bersaglio delle missive inviate dal ricorrente: accusarla di specifici reati, poi archiviati, e di dar vita a valutazioni non basate su dati oggettivi e scientifici, paragonandola ad un "(OMISSIS)", nonche' di giudicare la situazione problematica del nucleo familiare affidatole in verifica con superficialita', pressapochismo e pregiudizi verso la madre del minore, corrisponde senza dubbio alla tipicita' criminosa, senza poter ipotizzare la scriminante del diritto di critica. Invero, questa Corte regolatrice ha gia' affermato che l'esercizio del diritto di critica non trova posto quale scriminante del reato di diffamazione, nel caso in cui, senza che vi sia prova della verita' storica del fatto, si accusi di parzialita' una figura professionale che veda nell'indipendenza e nella rigorosa autonomia delle sue valutazioni la cifra portante del proprio lavoro: tale affermazione di principio e' valida nei confronti dei magistrati (cfr., da ultimo, Sez. 5, n. 45249 del 25/10/2021, Longo, Rv. 282379), cosi' come per ruoli di giudizio psicoterapeutico nell'ambito di procedimenti giudiziari, particolarmente delicati in ragione anche delle conseguenze che derivano dai loro accertamenti, i quali necessariamente devono essere fondati sul rigore scientifico e sull'imparzialita' (viceversa, condivisibilmente si e' ritenuto che non integri il reato di diffamazione l'uso di espressioni evocanti scarsa professionalita' da parte di pubblici amministratori tenuti a vigilare e resocontare dell'esecuzione di servizi pubblici da parte dei gestori incaricati: Sez. 5, n. 18799 del 6/2/2008, Santillo, Rv. 239824). In ogni caso, non potrebbero essere coperte dalla scriminante le accuse di reati, la temerarieta' delle quali l'imputato neppure si preoccupa di smentire, alla luce degli esiti dei procedimenti penale ed amministrativo aperti nei confronti della vittima. 3. Anche il secondo motivo di censura e' infondato. La natura giuridica dell'istituto previsto dall'articolo 598 c.p. e' al centro di una questione interpretativa dai contorni ancora non del tutto definiti; da coloro i quali ritengono che tale fattispecie configuri una causa di non punibilita', non idonea ad escludere l'illiceita' del fatto (cosi', parte della giurisprudenza - Sez. 6, n. 39934 del 30/09/2005, Ferrari, Rv. 233841; Sez. 5, n. 14542 del 7/3/2017, Palmieri, Rv. 269734; Sez. 5, n. 38424 del 17/5/2019, Pizzi, Rv. 277005 - e la dottrina dominante, che fanno leva sul dato letterale e sulla circostanza che il comma 2 della norma in esame prevede la possibilita' di applicare sanzioni all'autore della condotta) si distinguono quanti, invece, sostengono trattarsi di una vera e propria causa di giustificazione o scriminante, che esclude l'illiceita' del fatto ed e' ricollegabile all'esercizio del diritto di difesa, fondandosi, dunque, sull'articolo 24 Cost. e sull'articolo 51 c.p. (cfr., per tale tesi, la sentenza Sez. 5, n. 6701 del 8/2/2006, Massetti, Rv. 234008; anche Sez. 5, n. 8421 del 23/1/2019, Gigli, Rv. 275620 si esprime nel senso di configurare una scriminante nella previsione in esame; vedi anche Sez. 5, n. 45249 del 25/10/2021, Longo, Rv. 282379). Ma qualsiasi sia l'interpretazione della natura della disposizione in esame, le offese non punibili ai sensi dell'articolo 598 c.p. concordemente si ritiene che siano solo quelle che si riferiscono all'oggetto della causa, in modo diretto ed immediato, ed abbiano una qualche finalita' difensiva, siano cioe' funzionali alle argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l'accoglimento della domanda proposta, quand'anche non necessarie o decisive (oltre alla sentenza n. 14542 del 2017, cfr. Sez. 5, n. 8421 del 23/1/2019, Gigli, Rv. 275620). E soprattutto, la previsione di non punibilita' in argomento si riferisce alle "offese" che, nell'ambito di un contenzioso gia' esistente o che si incardini in esito all'atto che le contenga, vengano rivolte da un soggetto alla propria controparte, mentre ancora diversa e' la disciplina da riservare alle accuse potenzialmente calunniose, per le quali non puo' valere l'assunto di avere agito nell'espletamento di condotta difensiva (da ultimo, Sez.5, n. 32823 del 06/02/2019, Prin, Rv. 276773). La ratio della norma, infatti, si coglie nell'esigenza di assicurare la liberta' di discussione delle parti contendenti, anche nel caso di offesa non necessaria, ma che si inserisca nel sistema difensivo dei procedimenti con funzione strumentale (cfr. le sentenze della Corte costituzionale n. 128 del 1979 e n. 380 del 1999). Ecco allora che non sono coperte dalla previsione dell'articolo 598 c.p. le offese rivolte ad una psicoterapeuta, cui siano state demandate le verifiche utili alla decisione di un procedimento giurisdizionale per l'affido e il diritto di incontro relativi ad un minore, dal difensore della madre del minore, contenute in missive indirizzate a varie autorita' (tra queste, il giudice procedente) o a soggetti diversi dalle parti processuali, ancorche' interessati al giudizio (cfr., in tema, Sez. 5, n. 38424 del 17/5/2019, Pizzi, Rv. 277005; Sez. 5, n. 45173 del 22/5/2015, Rando, Rv. 265505). 4. E' inammissibile il terzo motivo di ricorso, che punta ad ottenere una riqualificazione piu' favorevole della condotta nella fattispecie, oramai depenalizzata, di cui all'articolo 594 c.p.. Invero, le missive offensive sono state inviate, oltre che alla diretta interessata, vittima del reato, anche ad una serie di destinatari diversi (il giudice titolare del procedimento minorile che vedeva coinvolta l'assistita dell'imputato; il direttore generale dell'ASL di (OMISSIS); il responsabile del servizio sociale del comune di (OMISSIS); l'assessore alle politiche sociali del suddetto comune). Come noto, la distinzione tra il reato di diffamazione e la fattispecie depenalizzata di ingiuria passa proprio dal discrimine dell'assenza dell'offeso, necessariamente insita nell'invio dei contenuti offensivi ad una pluralita' di destinatari, i quali normalmente recepiscono il senso diffamatorio delle missive in modo distinto, in tempi e luoghi diversi, senza la presenza della persona offesa. Questa Corte regolatrice ha gia' avuto modo di chiarire, con principio che il Collegio ribadisce, che la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralita' di destinatari, oltre l'offeso, non integra la fattispecie di reato, oramai depenalizzata, di ingiuria aggravata dalla presenza di piu' persone, bensi' il delitto di diffamazione, stante la non contestualita' del recepimento delle offese medesime (Sez. 5, n. 18919 del 15/3/2016, Lagana', Rv. 266827, nonche', per il caso di invio di e-mail, Sez. 5, n. 13252 del 4/3/2021, Viviano, Rv. 280814). 5. Manifestamente infondato e' l'ultimo argomento tra le censure difensive. Al di la' delle prospettazioni della persona offesa dal reato, cui si richiama il ricorrente, il giudice d'appello ha ritenuto evidente il danno morale da lei subito, considerati il tenore offensivo e nocivo delle espressioni rivolte soprattutto alla sua professionalita' e la loro diffusione, nonche' tenuto conto dei procedimenti, amministrativo interno e penale, aperti nei suoi confronti a causa del comportamento del ricorrente; e correttamente si e' chiarita l'irrilevanza del fatto che, in ragione dell'esclusione di qualsiasi profilo di responsabilita' della vittima all'esito di detti procedimenti, costei non abbia avuto conseguenze negative in termini lavorativi puramente patrimoniali, avendo conservato (ovviamente) il proprio impiego. Del resto, le e' stato liquidato il solo danno morale e non anche un danno patrimoniale. Le ragioni della sentenza impugnata sono perfettamente coerenti con la linea cruciale dell'orientamento interpretativo della Cassazione che il Collegio ritiene specificamente di confermare in materia e secondo cui e' legittimo il ricorso al notorio ed alle presunzioni nella prova del danno derivante da lesione alla reputazione veicolata attraverso mezzi diffusivi dei contenuti diffamatori, considerato che, in base alrid quod plerumque accidit", si puo' presumere che tale lesione abbia arrecato alla persona offesa una sofferenza morale meritevole di ristoro e che il relativo nesso causale sia, in tal caso, di tale evidenza da far si' che l'onere di motivazione da parte del giudice riguardo alla sussistenza di un danno morale risarcibile possa ritenersi soddisfatto attraverso il richiamo al contenuto e alle modalita' di diffusione delle affermazioni lesive (cosi', prendendo spunto da Sez. 5, n. 6481 del 28/10/2011, Sgarbi, Rv. 251944). 6. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato ed al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di cassazione dalla parte civile costituita, che liquida in Euro 2316 oltre accessori di legge. 6.1. Deve essere disposto, altresi', che siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 2.316,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MARZO Giuseppe - Presidente Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/12/2021 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI visti gli atti; il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI che ha chiesto l'annullamento senza rinvio agli effetti penali e con rinvio agli effetti civili. RITENUTO IN FATTO 1. Si impugna con ricorso per cassazione la sentenza della Corte d'Appello di Cagliari, Sez. distaccata di Sassari, del 15.12.2021 che ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Sassari, con cui (OMISSIS)i e' stato condannato, per il reato di diffamazione ai danni di (OMISSIS), alla pena di 600 Euro di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi separatamente, ed al pagamento di una provvisionale pari a 500 Euro. La diffamazione e' stata ritenuta configurabile in relazione ad alcune offese mosse alla vittima tramite frasi pubblicate sulla pagina facebook dell'imputato, accessibile ai soli "amici", ed in particolare relativamente ai soli epiteti di "mugheddosa" e "psicopatica del cazzo" rivolti alla vittima, in seguito all'accoglimento dell'eccezione di parziale nullita' per genericita' dell'imputazione, in sede di giudizio di primo grado. La vicenda si inserisce nel contesto di rapporti esacerbati tra l'imputato e la persona offesa, dovuti al fatto che (OMISSIS) aveva da tempo aperto, al piano terra dello stabile ove (OMISSIS) abitava al primo piano -di una corrispondenza, un locale che era solito programmare musica anche nelle ore notturne. Tale situazione aveva dato luogo a proteste, centinaia di segnalazioni e denunce nei suoi confronti, da parte della persona offesa, sfociate anche in un procedimento penale precedente, definito con prescrizione del reato. 2. Avverso la citata sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi di censura diversi, corrispondenti ai motivi d'appello. 2.1. Il primo argomento eccepisce manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato quanto all'affermazione di responsabilita' del ricorrente: non sarebbe provata la riferibilita' a questi degli scritti al centro del processo, acquisiti, peraltro, senza nessun crisma di veridicita', tramite fotocopie prodotte dalla parte civile. L'incertezza della provenienza degli "screenshot-facebook" acquisiti in fotocopia sarebbe causa anche della loro inutilizzabilita', in mancanza di un'acquisizione affidabile dei dati telematici, non effettuata in dibattimento; la sentenza impugnata ha anche confuso l'eccezione di inutilizzabilita' formulata dalla difesa dell'imputato con una deduzione di nullita', cosi' rispondendo attraverso un'argomentazione fuori fuoco. Infine, l'impossibilita' di accertare dettagli relativi alle pubblicazioni facebook, come ad esempio la data, impedirebbe anche di verificare la coerenza dell'imputazione con il tempo del commesso delitto e la tempestivita' della querela. 2.2. La seconda censura eccepisce violazione di legge e vizio di manifesta illogicita' della sentenza impugnata la' dove si e' discostata dal circoscritto perimetro dell'imputazione, disegnato dal parziale accoglimento dell'eccezione di nullita' dell'imputazione iniziale, ed ha esteso le sue valutazioni circa la sussistenza del reato di diffamazione anche ad altri fatti gia' esclusi dal tema processuale, facendo derivare dalla prova di queste una conferma della capacita' del ricorrente di commettere analoghe condotte di reato. 2.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata declaratoria di estinzione del reato prima della pronuncia d'appello, nonostante la richiesta in tal senso formulata dal Procuratore Generale. In particolare, si contesta alla sentenza impugnata di aver computato l'intervallo temporale che va dal 7.7.2020 al 18.9.2020, tra i periodi di sospensione del termine prescrizionale, grazie ai quali soltanto si e' potuti giungere ad una decisione nel merito del processo d'appello, nonostante il rinvio fosse stato richiesto elier ensore di parte civile e ad esso il difensore dell'imputato (come anche il PG) non aderito. Alcuna sospensione formale del termine prescrizionale e' stata disposta per detto periodo dal giudice di merito, ne' puo' far luogo del consenso mai prestato al rinvio l'aver, la difesa dell'imputato, depositato l'istanza di rinvio comunicatagli dal difensore della parte civile, per correttezza processuale. 3. Il PG Perla Lori ha chiesto, con requisitoria scritta, che sia dichiarata la prescrizione del reato, alla luce della non inammissibilita' del ricorso, quanto meno rispetto al primo motivo di censura dedotto, che meriterebbe un ulteriore approfondimento valutativo quanto all'eccezione di inutilizzabilita' della prova documentale costituita dalla stampa delle pagine web. Si e' chiesto, altresi', l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata agli effetti civili. 3.1 II difensore del ricorrente ha depositato conclusioni scritte con le quali, ribadendo ciascuna delle ragioni di ricorso, ha rappresentato, altresi', di aver tempestivamente formulato opposizione alla produzione in giudizio della documentazione della quale si contesta l'utilizzabilita', reiterando l'eccezione anche in sede di dibattimento e di discussione; nell'atto di appello e nella discussione finale di quel grado di giudizio. 3.2. Il difensore della parte civile ha depositato memorie con le quali chiede l'inammissibilita' del ricorso, che si risolve in una ripetizione dell'atto di appello, incorrendo nel vizio di genericita'; si chiede, altresi', la conferma delle statuizioni civili e la condanna alla rifusione delle spese dei giudizi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La sentenza impugnata va annullata senza rinvio, agli effetti penali, perche' e' estinto per prescrizione il reato di cui all'articolo 595 c.p., in relazione al quale il ricorrente e' stato condannato per l'imputazione come riqualificata e limitata a due sole delle espressioni offensive contestate. Rileva il Collegio che, in considerazione della non manifesta infondatezza del primo motivo dedotto dal ricorrente, nonche' del terzo motivo, il ricorso e' idoneo - diversamente dai casi di inammissibilita' per manifesta infondatezza delle censure - ad instaurare il rapporto di impugnazione, condizione che consente di rilevare d'ufficio ex articolo 609 c.p.p., comma 2, una causa di non punibilita' nelle more intervenuta, nel caso di specie costituita, appunto, dalla prescrizione del reato (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 e Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818, in motivazione). Deve essere rilevata, pertanto, la prescrizione del reato, essendo decorso il tempo massimo previsto dal legislatore per effetto del disposto degli articoli 157 e 161 c.p. dalla data del commesso reato, collocata al piu' al (OMISSIS), calcolati, altresi', i periodi di sospensione. Pertanto, in assenza di elementi che rendano evidenti i presupposti per un proscioglimento nel merito ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. (secondo quanto e' chiaramente evincibile dalla motivazione), deve accedersi ad una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali perche' il reato e' estinto per prescrizione. 2. La declaratoria di prescrizione, tuttavia, non esime il Collegio dall'esaminare il ricorso agli effetti civili, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., quanto alle sue ulteriori ragioni, essendo stato l'imputato condannato anche alle statuizioni civili in favore della persona offesa (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244273). Ed infatti, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale nei gradi di merito e' intervenuta condanna, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., il giudice d'appello e la Corte di cassazione sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili e, a tal fine, i motivi di ricorso proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato secondo quanto previsto dall'articolo 129 c.p.p. (cfr., per il giudizio d'appello, negli stessi termini, Sez. 5, n. 28289 del 6/6/2013, Cologno, Rv. 256283; nonche', tra le tante, in ordine al giudizio di legittimita', in motivazione: Sez. 1, n. 14822 del 20/2/2020, Milanesi, Rv. 278943 e Sez. 5, n. 26217 del 13/7/2020, G., Rv. 279598-02, nonche' Sez. 5, n. 28848 del 21/9/2020, D'Alessandro, Rv. 279599. Vedi in precedenza, altresi', Sez. 5, n. 5764 del 7/12/2012, dep. 5/2/2013, Sarti, Rv. 254965 - 01; Sez. 5, n. 14522 del 24/3/2009, Petrilli, Rv. 243343 - 01; Sez. 6, n. 21102 del 9/3/2004, Zaccheo, Rv. 229023 - 01). 2.1. Il primo motivo di ricorso e' infondato. La sentenza impugnata ha confermato la condanna dell'imputato decisa dal giudice di primo grado, valutando congrua la mole indiziaria acquisita per attribuirgli la paternita' dei post di facebook contenenti frasi offensive della reputazione della persona offesa, della cui rilevanza ai sensi dell'articolo 595 c.p. neppure il ricorrente dubita. Si eccepisce nuovamente da parte sua, cosi' come sostanzialmente nell'atto di appello, l'incertezza della provenienza degli "screenshot-facebook" acquisiti in fotocopia e, quindi, la loro inutilizzabilita', in mancanza di un'acquisizione affidabile dei dati telematici, non effettuata in dibattimento. La sentenza impugnata, a dispetto di quanto afferma il ricorrente, ha ben argomentato al riguardo (cfr. le pagine 12 e 13), confermando il quadro di prova basato sui numerosi e significativi elementi utilizzati per attribuire i post diffamatori all'imputato, derivati anche dalla personale osservazione dei testi di polizia giudiziaria, per alcuni aspetti: la diretta riferibilita' derivante dal richiamo del suo nome nelle pagine di provenienza dei post; le offese di tenore analogo pronunciate dall'imputato all'indirizzo della persona offesa o a terzi riferendosi a lei; il contesto di litigiosita' aspra tra i due, attestato dai numerosi interventi, nei mesi, da parte delle forze dell'ordine ed il movente, costituito dai dissidi per la rumorosita' del bar di cui e' titolare l'imputato nell'edificio di abitazione della vittima; la comparsa di molti post subito dopo le chiamate della persona offesa ai carabinieri, per denunciare il disturbo arrecatole dai rumori provenienti dal bar del ricorrente; l'assenza di denuncia sull'illecito utilizzo del profilo social da parte del ricorrente. Si tratta di dati affidabili, confortati dalla verifica di attendibilita' della persona offesa, attentamente vagliata dai giudici di merito, e dalla documentazione acquisita in fotocopia, determinante e legittimamente utilizzata. Infatti, costituisce una linea interpretativa da affermare specificamente - che si ispira al principio di atipicita' delle prove penali e del libero convincimento del giudice (articolo 189 c.p.p.) - quella che ritiene sia possibile ricostruire la riferibilita' della diffamazione al suo autore su base indiziaria, a fronte della convergenza, pluralita' e precisione di dati quali il movente; l'argomento trattato nella pubblicazione o il tenore dei contenuti offensivi; il rapporto tra le parti; la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell'imputato, con utilizzo del suo nickname, anche in mancanza di accertamenti informatici circa la provenienza del post di contenuto diffamatorio; l'assenza di denuncia di cd. furto di identita' da parte dell'intestatario della bacheca sulla quale vi e' stata la pubblicazione dei post incriminati (cfr., Sez. 5, n. 24212 del 21/1/2021, n. m.; Sez. 5, n. 45339 del 13/07/2018, Petrangelo, n. m.; Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep. 2016, Martinez, n. m.). Non puo' essere, pertanto, esclusa la riferibilita' del fatto diffamatorio all'imputato, solo perche', come nel caso di specie, non siano stati svolti accertamenti tecnici sui dati informatici, che non rivestono certo il valore di prova legale necessaria (cfr. Sez. 5, n. 2658 del 6/10/2021, dep. 2022, M., Rv. 282771), quando vi sia convergenza di altri, pregnanti elementi indiziari, del tipo di quelli appena sopra descritti. Sulla natura documentale delle fotocopie riproduttive degli screenshot contenenti i messaggi diffamatori postati in una pagina facebook, acquisibili, dunque, ex articolo 234 c.p., non vi e' dubbio, come desumibile anche da quanto affermato da questa Corte regolatrice gia' in passato (cfr. Sez. 3, n. 38681 del 26/4/2017, G., Rv. 270950), soprattutto con riguardo ai messaggi telefonici e via whatsapp, conservati nella memoria di un telefono cellulare, fattispecie analoga a quella in esame (v. Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 265991; Sez. 6, n. 1822 del 12/11/2019, dep. 2020, Tacchi, Rv. 278124; Sez. 6, n. 22417 del 16/3/2022, Sgromo, Rv. 283319). Assolutamente consolidata, poi, e' la tesi secondo cui il delitto di diffamazione possa essere commesso anche a mezzo di Internet, con uso dei social network (Sez. 1, n. 24431 del 28/04/2015, Rv. 264007) e secondo cui tale ipotesi integra la fattispecie aggravata di cui al comma 3 della norma incriminatrice (Sez. 5, n. 13979 del 25/1/2021, Chita, Rv. 281023; Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016, dep. 2017, Manduca, Rv. 269090; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Rv. 254044). 2.2. Il secondo motivo di censura formulato dal ricorrente e' manifestamente infondato e aspecifico perche' meramente reiterativo dell'identico motivo proposto in appello. La sentenza ha centrato il tema processuale della contestazione di reato per i due aspetti diffamatori dei post ed ha escluso espressamente la parte di contestazione riferita a condotte qualificabili piuttosto come minaccia e non diffamazione. L'emersione di frasi offensive ulteriori non rende nullo il capo d'imputazione perche' riferito solo ad alcune delle espressioni accertate (si veda, in un'ipotesi con punti di analogia, Sez. 3, n. 17829 del 5/12/2018, dep. 2019, Fina, Rv. 275455). 2.3. Infine, il terzo motivo di censura e' infondato. E' ben vero che il rinvio del dibattimento richiesto dalla parte civile non costituisce causa di sospensione del corso della prescrizione qualora la difesa dell'imputato non vi abbia espressamente acconsentito, limitandosi soltanto a "nulla opporre" alla richiesta di differimento (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 45126 del 22/10/2021, Campanile, Rv. 282219). Nel caso di specie, tuttavia, la Corte territoriale, esplicitamente confrontandosi con l'opzione di legittimita' richiamata, ha spiegato le ragioni in base alle quali ha ritenuto che il comportamento del difensore del ricorrente abbia avuto il significato di piena adesione all'istanza di rinvio della parte civile, poiche' egli non si e' limitato a non opporsi, ma si e' fatto portatore della richiesta proveniente dal collega non presente in udienza, depositandola e dimostrando adesione e consenso, attraverso la rappresentazione al giudice delle ragioni sottese all'istanza. Si applica, percio', in una fattispecie quale quella descritta, il principio di diritto secondo cui la richiesta di rinvio presentata dalla parte civile per qualsiasi causa (ivi compreso l'impedimento del difensore), qualora formulata congiuntamente o con l'esplicita adesione della difesa dell'imputato, comporta, in caso di accoglimento, la sospensione del corso della prescrizione per l'intero periodo di slittamento dell'udienza stabilito dal giudice (Sez. 5, n. 1392 del 15/12/2022, dep. 2023, Feligioni, Rv. 284045). Il termine di prescrizione, pertanto, giunge, comprese le sospensioni, a data successiva alla pronuncia d'appello (il 23.12.2021) e solo per la non manifesta infondatezza del ricorso in Cassazione, come si e' anticipato, deve rilevarsi l'estinzione del reato ex articoli 157 e 161 c.p., facendo salve le statuizioni civili, per le ragioni gia' esposte di rigetto complessivo delle censure agli effetti civili. 2.4. Al rigetto del ricorso agli effetti civili segue, peraltro, la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute per la rappresentanza e difesa nel presente giudizio dalla parte civile, determinabili in complessivi Euro 3.600, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.600, oltre accessori di legge

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. MICCOLI Grazia Ro - rel. Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dalla parte civile (OMISSIS) nata a (OMISSIS); nel procedimento a carico di: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/05/2022 del TRIBUNALE di VITERBO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Grazia Rosa Anna Miccoli; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Giuseppe Riccardi, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso; letta la memoria a firma dell'avv. (OMISSIS), difensore della ricorrente (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso; lette le memorie a firma degli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di (OMISSIS), con le quali e' stato richiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19 maggio 2022, il Tribunale di Viterbo, in funzione di giudice di appello, rigettando l'impugnazione proposta dalla parte civile, ha confermato la pronuncia di primo grado con la quale (OMISSIS) era stato assolto, in quanto non punibile ai sensi dell'articolo 598 c.p., dal reato di diffamazione nei confronti della ex moglie (OMISSIS). 2. Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso la parte civile, con atto sottoscritto dal difensore ed articolato nell'unico motivo qui di seguito sintetizzato a norma dell'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p.. Si denunziano violazione di legge e correlati vizi motivazionali in riferimento alla riconosciuta esimente di cui all'articolo 598 c.p.. Il giudice di appello ha ritenuto non sussistere in uno scritto difensivo dell'imputato l'intento accusatorio nei confronti della ex moglie, controparte nella controversia di separazione, poiche' l'obiettivo dell'atto era evidenziare l'inidoneita' della donna, quale genitore, a prendersi cura del figlio minorenne. La parte civile, pero', contesta l'applicazione dell'esimente, in quanto l'esposizione infedele operata dall'imputato integrerebbe gli estremi del reato di calunnia, essendo stata accusata del reato di abbandono di minori previsto dall'articolo 591 c.p., con consapevolezza della propria innocenza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. I giudici di merito hanno correttamente applicato l'articolo 598 c.p.. In proposito, va ricordato che, in tema di delitti contro l'onore, perche' possa ricorrere la scriminante prevista dall'articolo 598 c.p. (relativa alle offese eventualmente contenute in scritti presentati o discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori in procedimenti innanzi alla autorita' giudiziaria od amministrativa), e' necessario che le espressioni ingiuriose concernano, in modo diretto ed immediato, l'oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l'accoglimento della domanda proposta (Sez. 5, n. 8421 del 23/01/2019, Gigli, Rv. 275620; Sez. 5, n. 2507 del 24/11/2016, dep. 2017, Rv. 269075; Sez. 6, n. 14201 del 06/02/2009, Dodaro, Rv. 243832). Peraltro, l'esimente di cui all'articolo 598 c.p. -per il quale non sono punibili le offese contenute negli scritti e nei discorsi pronunciati dinanzi alle autorita' giudiziarie o amministrative non si applica allorche' l'esposizione infedele espressa con la consapevolezza dell'innocenza dell'accusato integri un fatto costitutivo di illecito penale (calunnia), essendo, in tal caso, del tutto irrilevante la circostanza di avere agito nell'espletamento di condotta difensiva (Sez. 5, n. 32823 del 06/02/2019, Rv. 276773 01; Sez. 5, n. 31115 del 30/06/2011, Rv. 250587). La sentenza in esame ha chiarito che le espressioni utilizzate dall'imputato nel proprio scritto difensivo concernevano in modo diretto ed immediato la controversia in tema di separazione intercorrente tra lo stesso e la moglie; esse, infatti, sono state proposte in maniera funzionale a sostegno della domanda con la quale era stata chiesta pronuncia di addebito della separazione alla donna e l'affidamento in via esclusiva del figlio minore al padre, in ragione della ritenuta incapacita' della madre di prendersene cura in modo adeguato. La natura calunniosa delle argomentazioni dello scritto difensivo e' stata pertanto esclusa dal Tribunale sulla base del tenore complessivo dell'atto, finalizzato a sostenere l'incapacita' genitoriale della donna, che avrebbe anteposto le proprie esigenze a quelle di assistenza del figlio minore, che sarebbe stato trascurato e non "abbandonato", condotta quest'ultima riconducibile nella fattispecie di cui all'articolo 591 c.p. e integrata solo da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumita' del soggetto passivo (Sez. 1, n. 5 del 11/05/2021 -dep. 03/01/2022- Rv. 282481). A fronte di un percorso motivazionale puntuale, congruo e non manifestamente illogico della sentenza impugnata (si vedano in particolare pagg. 3-4), le deduzioni proposte con il ricorso risultano aspecifiche e finalizzate ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito, con allegazioni di fatti afferenti alla "piena consapevolezza" da parte dell'imputato della "innocenza della ex consorte" (si veda in tal senso anche la memoria conclusiva depositata nell'interesse della ricorrente). 3. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. I rapporti tra le parti impongono l'oscuramento dei dati personali. PQM dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n.196-03, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/12/2021 della CORTE APPELLO di CATANZARO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione del Tribunale di Cosenza del 30.4.2018, con cui (OMISSIS) e' stato condannato alla pena di 7.200 Euro di multa, per alcune condotte di diffamazione, unificate dal vincolo della continuazione criminosa, commesse ai danni dei legali rappresentanti della societa' (OMISSIS) s.r.l. tramite la pubblicazione di scritti sulla sua pagina di profilo Facebook, che evocavano rapporti tra la ditta e "una serie di affiliati al clan (OMISSIS)", nonche' nei confronti del sindaco della citta' di Cosenza, accusato di essere stato appoggiato dal clan e di guidare, oggi, un comune "inginocchiato" alle esigenze di tale azienda e dei suoi referenti mafiosi. 2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo un unico motivo con cui evidenzia violazione di legge, avuto riguardo alla dichiarazione di assenza nei suoi confronti, emessa con ordinanza del 25.9.2017 dal giudice di primo grado, che ha ritenuto sufficiente la compiuta giacenza perfezionatasi all'indirizzo di residenza della notifica del decreto di citazione a giudizio e dell'ultimo verbale di udienza, ritenendo garantita l'effettiva conoscenza del processo dall'unica notifica effettivamente ricevuta a mani proprie dall'imputato nel procedimento: quella dell'avviso ex articolo 415-bis c.p.p.. La difesa rappresenta l'erroneita' di tale presupposto di conoscenza del processo, rappresentando che sulla cartolina di ritorno della notifica del decreto di citazione a giudizio, che non reca il nome della via o del numero civico, non risulta alcun CAD, ovvero l'attestazione del servizio postale da cui emerga che il ricorrente non si e' recato a ritirare il plico a lui diretto, sicche' e' attestata solo la spedizione del plico stesso. Insiste, altresi', sul fatto che nell'avviso non vi sia traccia del necessario avvertimento che, non comparendo nel giudizio, l'imputato sara' giudicato in assenza. 3. Il Sostituto Procuratore Generale Pasquale Serrao d'Aquino ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso, insistendo sulla valenza di conoscenza effettiva tratta dalla notifica a mani proprie dell'avviso di conclusione delle indagini ex articolo 415-bis c.p.p.. 3.1. Il difensore dell'imputato ha depositato conclusioni scritte con le quali contesta le conclusioni del PG presso la Cassazione, rifacendosi all'orientamento dettato dalla sentenza Sez. 6, n. 43140 del 19/9/2019, Shimi, Rv. 277210 (allegando anche una sentenza di assoluzione in favore dell'imputato, per fatti analoghi, non ancora passata in giudicato). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. 2. Le Sezioni Unite hanno affermato, in una fattispecie di restituzione nel termine per impugnare ex articolo 175 c.p.p., ma con principio dalla valenza generale, che l'effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di "vocatio in iudicium" sicche' tale non puo' ritenersi la conoscenza dell'accusa contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, fermo restando che l'imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza (Sez. U, n. 28912 del 28/2/2019, Innaro, Rv. 275716). Successivamente, si e' precisato che, in tema di rescissione del giudicato, l'incolpevole mancata conoscenza del processo non e' esclusa ne' dalla notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, dovendo tale conoscenza essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di "vocatio in iudicium", ne' dalla notifica a persona diversa dall'imputato, ma con esso convivente, del decreto di citazione a giudizio, non incidendo il sistema di conoscenza legale in base a notifiche regolari sulla conoscenza effettiva del processo (Sez. 6, n. 43140 del 19/9/2019, Shimi, Rv. 277210). Deve, pertanto, rilevarsi la nullita' della dichiarazione di assenza dell'imputato, perche' carente sotto il profilo della verifica del necessario presupposto dell'accertamento della conoscenza del processo o della colpevole volontaria sottrazione a detta conoscenza da parte dell'imputato; ed infatti, la dichiarazione di assenza nei suoi confronti, emessa con ordinanza del 25.9.2017 dal giudice di primo grado, e' stata pronunciata ritenuta sufficiente la compiuta giacenza perfezionatasi all'indirizzo di residenza della notifica del decreto di citazione a giudizio e dell'ultimo verbale di udienza, senza che vi sia la prova della effettiva ricezione da parte del ricorrente di tali atti o quantomeno del processo. Viceversa, si e' creduto di desumere l'effettiva conoscenza del processo dall'unica notifica effettivamente ricevuta a mani proprie dall'imputato nel procedimento: quella dell'avviso ex articolo 415-bis c.p.p.: tale prospettiva si pone in contrasto con le affermazioni nomofilattiche delle Sezioni Unite, che si sono confrontate con la giurisprudenza della Corte EDU, ricavando il principio gia' enunciato e la regola che l'effettiva conoscenza del processo puo' essere garantita soltanto dalla notifica effettiva di un atto di vocatio in ius, e non di un atto prodromico, quale e' l'avviso di conclusione delle indagini preliminari. Nel caso di specie, risulta che la cartolina di ritorno della notifica del decreto di citazione a giudizio (che non reca il nome della via o del numero civico) sia stata notificata per compiuta giacenza, senza che risulti la prova CAD (comunicazione di avvenuto deposito), sicche' e' attestata solo la spedizione del plico stesso ma non la sua ricezione. Ebbene, secondo l'orientamento giurisprudenziale da preferirsi, in tema di notificazioni a mezzo posta, la notifica dell'atto rifiutato dal destinatario o non consegnato per la sua temporanea assenza o per l'assenza o l'inidoneita' di altre persone legittimate a riceverlo, non si perfeziona con la spedizione della raccomandata contenente la comunicazione dell'avvenuto deposito dell'atto presso l'ufficio postale, ma solo con la sua ricezione da parte del destinatario (cfr., Sez. 5, n. 21492 del 8/3/2022, Diaz, Rv. 283429; Sez. 2, n. 13900 del 05/02/2016, Firenze, Rv. 266718; Sez. 2, Sentenza n. 24807 del 04/04/2019, Lupica, Rv. 276968; Sez. 3, Sentenza n. 36330 del 30/06/2021, Schweiggl, Rv. 281947). Principio questo che ha ricevuto l'autorevole avvallo delle Sezioni Unite civili, che hanno affermato come, qualora l'atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per temporanea assenza del destinatario stesso ovvero per assenza/inidoneita' di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento della procedura notificatoria puo' essere data dal notificante esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell'avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l'avvenuto deposito dell'atto notificando presso l'ufficio postale (c.d. CAD), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell'avvenuta spedizione della raccomandata medesima (Sez. U civ., n. 10012 del 15/04/2021, Rv. 660953). Il Collegio intendere recepire e dare seguito a tale ultimo orientamento, condividendone i fondamenti. Infatti, la mera spedizione dell'avviso non e' di per se' modalita' idonea ad informare l'imputato del deposito dell'atto (e dunque della possibilita' di prenderne effettiva conoscenza ritirandolo presso l'ufficio postale) se alla stessa non segue la ricezione dello stesso avviso da parte sua. 2.1. Ne consegue l'annullamento delle sentenze di primo e secondo grado ai sensi dell'articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera b), che richiama l'articolo 604 c.p.p., comma 5-bis, che a sua volta prevede nel caso di inosservanza delle disposizioni di cui all'articolo 420-quater, che il giudice dell'appello dichiari la nullita' della sentenza con trasmissione degli atti al giudice di primo grado. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Cosenza per l'ulteriore corso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/05/2022 della Corte d'appello di Salerno; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Gai Emanuela; letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Orsi Luigi, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 10 maggio 2022, la Corte d'appello di Salerno ha riformato parzialmente la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Salerno, rideterminando la pena in mesi 4 e giorni 15 di reclusione, condizionalmente sospesa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e del vincolo della continuazione, in relazione ai reati di diffamazione e di trattamento illecito dei dati, di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 595 c.p. e Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167, comma 1, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 1.1. Il Tribunale di Salerno aveva riconosciuto la penale responsabilita' della ricorrente in ordine ai reati di cui al capo d'imputazione sulla base di uno scritto pubblicato su un sito internet, a firma di (OMISSIS), contenente i dati personali di tutti i condomini dello stabile dove risiede la stessa imputata, con descrizione delle loro abitudini di vita, attribuzione di comportamenti non reali, stralci di cause civili ancora in istruttoria, utilizzando, inoltre, nel ricostruire le vicende condominiali, espressioni offensive quali l'attribuzione di caratteri di prepotenza, prevaricazione, invadenza, arroganza e avidita'. Alla luce di tali elementi probatori, il giudice di primo grado aveva ritenuto integrati i reati contestati, determinando la pena base in mesi 9 di reclusione, diminuita per le generiche a mesi 6 ed aumentata per la continuazione a mesi 7, condizionalmente sospesa, condannando inoltre l'imputata al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidare nella sede competente, oltre che al pagamento delle spese processuali. Il giudice dell'impugnazione, investito del giudizio a seguito dell'appello dell'imputata, ha confermato le statuizioni del Tribunale in ordine all'accertamento della responsabilita' penale dell'imputata, oltre che le statuizioni civili, riconoscendo, tuttavia, quanto alla determinazione della pena, la mancata individuazione del reato piu' grave da parte del giudice di primo grado. Sul punto, la Corte territoriale ha chiarito che, trattandosi di diffamazione semplice, di cui all'articolo 595 c.p., comma 1, risulta piu' grave il reato di trattamento illecito dei dati, di cui all'articolo 167, comma 1, del Codice privacy, punito con la reclusione da 6 mesi a 1 anno e 6 mesi di reclusione, ritenendo che la pena base debba essere determinata nella misura minima, alla luce della concreta gravita' del fatto, diminuita per le generiche a mesi 4 ed aumentata per la continuazione a mesi 4 e giorni 15 di reclusione. 2. Avverso la sentenza di appello ricorre per cassazione l'imputata, per il tramite dell'Avv. (OMISSIS), chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. Att. c.p.p., comma 1. 2.1. Con i primi due motivi di ricorso la difesa deduce l'erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione, di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in ordine al reato di trattamento illecito dei dati, di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167, comma 1. Quanto all'erronea applicazione della legge penale, sotto un primo profilo, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sussistente il delitto di trattamento illecito dei dati in assenza di alcuna prova circa il nocumento arrecato alla parte offesa. Diffondere qualita' del soggetto passivo, sostiene la difesa, non implica di per se' arrecare un danno, il quale, tra l'altro, deve afferire al bene giuridico tutelato dalla norma, ossia la riservatezza, per cui sarebbe illogico il riferimento della Corte all'utilizzo delle "espressioni squalificanti", da rivolgersi, piu' correttamente, al danno derivante dal reato di diffamazione. In ogni caso, prosegue la difesa, anche laddove si volesse ritenere sussistente una qualche forma di pregiudizio, la stessa non potrebbe che essere di lieve entita', in ragione della limitata diffusione, dunque insufficiente ad integrare la fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167, comma 1. Sotto altro profilo, il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere sussistente l'elemento psicologico del reato, atteso che l'unico intento dell'imputata sarebbe stato quello di condividere il proprio racconto, e non di arrecare un danno alla persona offesa, non potendosi dunque ritenere integrato il dolo specifico previsto dalla norma incriminatrice, in forza del quale e' necessario che il nocumento sia previsto e voluto dal soggetto agente come conseguenza della propria azione (Sez. 3, n. 40103 del 05/02/2015, Rv. 264798-01, Ciulla). Quanto al vizio di motivazione, la difesa censura la carenza, la contraddittorieta' e l'illogicita' dell'iter motivazionale seguito dal Collegio in ordine all'accertamento della responsabilita' penale dell'imputata per il reato di trattamento illecito dei dati. In primo luogo, il giudice di appello non motiva sul nocumento arrecato all'interessato, quale elemento costitutivo del reato, rispetto al quale la difesa evidenzia, tra l'altro, l'inidoneita' delle modalita' della condotta ad arrecare una lesione alla riservatezza, quale bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. I dati personali, infatti, sarebbero stati diffusi in forma di racconto di fantasia, non potendo, dunque, i destinatari avere contezza della veridicita' di tali dati ne' avere interesse a verificarne l'attendibilita'. La motivazione sarebbe, altresi', carente ed illogica in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico, laddove si fa riferimento soltanto all'utilizzo di espressioni squalificanti al fine di ritenere integrato il dolo specifico previsto dalla norma incriminatrice. 2.2. Con il terzo ed ultimo motivo di ricorso, la difesa deduce il vizio di motivazione, di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione al reato di diffamazione, di cui all'articolo 595 c.p.. La motivazione addotta dal giudice di seconde cure in ordine all'accertamento della penale responsabilita' dell'imputata per il reato di diffamazione sarebbe carente ed illogica laddove non vengono individuate le affermazioni lesive della reputazione, dell'onore e del decoro della parte offesa ne' il motivo per cui le stesse siano da considerarsi tali. La motivazione sarebbe, invece, del tutto assente con riferimento all'elemento psicologico del reato. Anche il dolo generico, che si sostanzia nella consapevolezza e volonta' della condotta delittuosa, deve essere rigorosamente provato ed esaustivamente motivato. 3. Il Procuratore Generale ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Il ricorso che proviene dalla Settima sezione non essendo stata rilevata una causa di inammissibilita', e' fondato nei termini di cui in motivazione. La sentenza impugnata muove da un errore in diritto sull'individuazione degli elementi costitutivi del reato di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167. L'articolo 167 del Decreto Legislativo n. 196 del 2003 (Codice privacy) e' stato modificato dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 101, recante "Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonche' alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)". La nuova disposizione di cui all'articolo 167 cosi' prevede: "1. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque, al fine di trarre per se' o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, operando in violazione di quanto disposto dagli articoli 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all'articolo 129 arreca nocumento all'interessato, e' punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi. 2. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque, al fine di trarre per se' o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, procedendo al trattamento dei dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2-sexies e 2-octies;, o delle misure di garanzia di cui all'articolo 2-septies ovvero operando in violazione delle misure adottate ai sensi dell'articolo 2-quinquiesdecies arreca nocumento all'interessato, e' punito con la reclusione da uno a tre anni. 3. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, la pena di cui al comma 2 si applica altresi' a chiunque, al fine di trarre per se' o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, procedendo al trasferimento dei dati personali verso un paese terzo o un'organizzazione internazionale al di fuori dei casi consentiti ai sensi degli articoli 45, 46 o 49 del Regolamento, arreca nocumento all'interessato". La previgente disposizione - per quanto qui rileva con riferimento al caso in esame - al comma 1 stabiliva: "1. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque, al fine di trarne per se' o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell'articolo 129, e' punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi". E, sempre con riferimento al caso in scrutinio, l'articolo 23, comma 1 disponeva che "il trattamento dei dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici, e' ammesso solo con il consenso espresso dell'interessato". A seguito della modifica, la disposizione di cui all'articolo 167, comma 1 cit. non fa piu' riferimento al trattamento, introduce l'elemento del danno all'interessato, danno all'interessato che connota anche il dolo specifico. Cio' posto, occorre ricordare che, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, nel reato di trattamento illecito di dati personali previsto dall'articolo 167 in esame, il nocumento e' costituito dal pregiudizio, anche di natura non patrimoniale, subito dalla persona cui si riferiscono i dati quale conseguenza dell'illecito trattamento (Sez. 3, n. 29549 del 07/02/2017, Rv. 270458 - 01). Il requisito del nocumento e', tuttora, richiesto, con l'ulteriore specificazione, rispetto al passato, che lo stesso deve essere arrecato all'interessato e costituisce elemento costitutivo del reato, conclusione cui era pervenuta la piu' recente giurisprudenza di legittimita' che aveva superato un risalente orientamento secondo cui il nocumento era condizione obiettiva di punibilita' anche se tale giurisprudenza aveva chiarito che l'omogeneita' del nocumento con l'interesse leso o concretamente messo in pericolo e la sua diretta derivazione causale dalla condotta tipica inducevano a qualificarlo non come elemento estraneo alla fattispecie criminosa, ma come elemento costitutivo della stessa. Riconosciutane, dunque, la natura di elemento costitutivo del reato, ad avviso della Corte, ai fini della punibilita' non e' sufficiente che il nocumento si ponga quale conseguenza non voluta, ancorche' prevista o prevedibile della condotta, essendo necessario che esso sia previsto e voluto dall'agente come conseguenza della propria azione o quanto meno previsto ed accettato in tutte quelle ipotesi in cui non si identifichi con il fine dell'azione stessa in quanto finalizzata, ad esempio, a trarre profitto dall'illecito trattamento dei dati (Sez. 3, n. 40103 del 05/02/2015, Ciulla, Rv. 264798 - 01). Nel caso in esame la sentenza impugnata, in continuita' con quella di primo grado, muove da un'errata qualificazione del "nocumento", quale condizione obbiettiva di punibilita', e pero' non contiene alcuna motivazione sulla sussistenza di tale elemento costitutivo del reato, essendosi limitata, a pag. 3, a valutare il profilo dell'intenzionalita' della condotta. Anche la motivazione in relazione alla sussistenza del reato di diffamazione non e' congrua non avendo la corte territoriale adeguatamente risposto alla censura difensiva. In presenza del rilevato vizio di motivazione la sentenza va annullata. L'annullamento va tuttavia disposto senza rinvio essendo nelle more del giudizio, maturata la prescrizione dei reati al 21/08/2022. La sentenza impugnata va, poi, annullata nella parte in cui ha condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita (OMISSIS), con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perche' i reati sono estinti per prescrizione. Annulla altresi' la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. BIANCHI Michele - Consigliere Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. CURAMI Micaela - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); e (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/09/2021 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Micaela Serena CURAMI; sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Guerra M., che ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilita' del ricorso; udita la parte civile, avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che ha concluso chiedendo la declaratori'a di inammissibilita' o rigetto del ricorso, depositando conclusioni e nota spese. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza n. 17749 emessa il 24 gennaio 2022 la Corte di Cassazione, Sezione quinta penale, annullava agli effetti civili, con rinvio al competente Giudice, la sentenza 31/01/2020 della Corte di Appello di Lecce che aveva assolto, per quanto di interesse, (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di diffamazione aggravata in danno di (OMISSIS), perche' il fatto non costituisce reato. 2. Hanno proposto ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'articolo 625-bis c.p.p. (OMISSIS) e (OMISSIS), a mezzo del difensore fiduciario procuratore speciale Avv. (OMISSIS), deducendo un errore di fatto in cui sarebbero incorsi i giudici di legittimita'. Dopo avere premesso, in tema di ammissibilita' del ricorso, come la pronuncia 15/09/2021 di questa Corte fosse idonea a radicare in capo ai ricorrenti la qualifica di condannati, avendone affermato la responsabilita', anche se ai soli fini civili, lamentano in sintesi i medesimi ricorrenti che i giudici di legittimita' sarebbero incorsi in errore, avendo omesso di operare la valutazione individuale delle responsabilita' degli stessi, chiamati a rispondere del reato di diffamazione aggravata ai danni del Procuratore della Repubblica di Brindisi, Dott. (OMISSIS), per avere scritto che il predetto "avrebbe trascorso una serata hard" con tre escort messe a disposizione dal faccendiere Tarantini; la Suprema Corte in particolare, nell'accogliere un motivo di ricorso avanzato dalla parte civile (OMISSIS) avverso la sentenza della Corte d'appello che li aveva assolti, avrebbe, con cio' incorrendo in errore percettivo, affermato la non veridicita' neppure putativa della notizia propalata nell'articolo, stante che la stessa fonte da cui la notizia era stata tratta dava conto dell'incertezza del fatto che (OMISSIS) si fosse intrattenuto dopo la cena con una delle escort. 3. La parte civile, (OMISSIS), ha depositato memoria difensiva con la quale ha chiesto declaratoria di inammissibilita' del ricorso o, in subordine, il suo rigetto. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso e' inammissibile, per difetto di legittimazione. Per giurisprudenza assolutamente costante e' inammissibile il ricorso straordinario, per errore materiale o di fatto, relativo a provvedimenti della Corte di cassazione diversi da quelli che rendono definitiva una sentenza di condanna, poiche' quel mezzo di impugnazione straordinaria e' ammesso solo a favore del condannato e l'articolo 625-bis c.p.p. ha natura di norma eccezionale, come tale insuscettibile di interpretazione analogica (Sez. Unite, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221281 01) 3. Contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, la sentenza emessa da questa Corte il 24 gennaio 2022, pronunciandosi su ricorso della sola parte civile avverso la pronuncia della Corte territoriale che aveva assolto, tra gli altri, gli odierni ricorrenti dal reato loro ascritto, non ha "affermato la responsabilita'" dei ricorrenti, ma si e' limitata ad annullare ai soli effetti civili la pronuncia, rinviando il giudizio al competente giudice civile. 4. Ne', per addivenire a differenti conclusioni, potrebbe ricorrersi a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., n. 28719 del 21/06/2012, Marani, Rv. 252695) in ordine alla ammissibilita' del ricorso straordinario proposto dall'imputato che, non condannato in sede penale, sia stato condannato al solo risarcimento dei danni in favore della parte civile, posto che a tale conclusione la Corte e' pervenuta restando sempre all'interno del perimetro testuale della norma, ritenendo infatti che la locuzione "condannato" debba comprendere, pena l'arbitrarieta' di una diversa opzione, anche la veste di condannato solo per gli interessi civili; al contrario, nella presente fattispecie, nessuna condanna e' stata pronunciata nei confronti degli istanti, nemmeno agli effetti civili. 5. In questo senso puo' rammentarsi la pronuncia di questa Corte, Sez. 3, n. 45031 del 24/04/2015 Cc. - dep. 10/11/2015, Rv. 265439 - 01, che, nell'affermare la legittimazione alla proposizione del ricorso straordinario, a norma dell'articolo 625-bis c.p.p., anche dell'imputato condannato al solo risarcimento dei danni in favore della parte civile, il quale prospetti un errore di fatto nella decisione della Corte di cassazione relativamente al capo concernente le statuizioni civili, ha dichiarato inammissibile il ricorso per errore di fatto avverso sentenza di annullamento, con rinvio, nella prospettiva degli effetti civili, di decisione assolutoria emessa in sede di merito. 4.In conclusione, il ricorso ex articolo 625-bis c.p.p. va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, della sanzione pecuniaria di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deve, infine, rilevarsi che, in caso di diffusione del presente provvedimento, devono essere omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi straordinari e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, i ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

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