Sentenze recenti diffamazione su Facebook

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - rel. Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/01/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAOLA BORRELLI; lette le conclusioni del Procuratore generale Dott. EPIDENDIO TOMASO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; lette le conclusioni dell'Avv. (OMISSIS), per il ricorrente, che ha insistito per l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. La pronunzia impugnata e' stata deliberata 1111 gennaio 2023 dalla Corte di appello di Catanzaro, che ha confermato la condanna di (OMISSIS) alla pena di 1000 Euro di multa per diffamazione ai danni di (OMISSIS). L'addebito concerne la pubblicazione, sulla testata on line "(OMISSIS)", di un articolo in cui si leggeva che " (OMISSIS) (....) rappresenta la tipica figura di opportunista cialtrone parassita meridionale, oggetto da sempre degli strali leghisti. Il (OMISSIS) avra' forse nascosto a (OMISSIS), ma non puo' farlo a noi, che e' un prenditore di soldi pubblici. Esattamente gli sono stati "regalati" circa 190 mila Euro di pubblico denaro alla regione per finanziare un'impresa turistico-sportiva fallimentare e fantasma, nel senso che nessuno l'ha mai vista". 2. Avverso detta sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione con il ministero del proprio difensore. 2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge processuale. 2.1.1. In primo luogo - assume il ricorrente - il decreto di citazione per il giudizio di primo grado sarebbe nullo per difetto di notifica, con conseguente nullita' della sentenza di primo grado. Poiche' la Corte di appello aveva risposto ad analogo motivo di appello sostenendo che i Carabinieri avevano notificato il decreto di citazione il 22 gennaio 2019 e che l'imputato si era rifiutato di ricevere "copia degli atti", la Procura della Repubblica avrebbe dovuto dimostrare che quest'ultima dizione si riferisse a copie conformi all'originale. 2.1.2. In secondo luogo, il decreto di citazione a giudizio sarebbe nullo perche' conteneva solo l'avviso che, non comparendo l'imputato, si sarebbe proceduto in sua assenza e non anche l'avvertimento delle garanzie di legge di cui agli articoli 420-bis e segg., previste a pena di nullita' dall'articolo 419 c.p.p., comma 7. Il Giudice di primo grado, errando, aveva dichiarato (OMISSIS) assente e non contumace. Prosegue il ricorrente sostenendo che sarebbe stato necessario applicare la disposizione di cui all'articolo 420-quater c.p.p. perche' il Tribunale avrebbe dovuto rinviare l'udienza e disporre che venisse effettuata notifica personale. Infine il ricorrente si duole dell'omessa risposta della Corte di appello all'eccezione di illegittimita' costituzionale, per contrasto con l'articolo 24 Cost., dell'articolo 552 c.p.p. nella parte in cui non e' stata modificato con l'espresso avvertimento che, qualora l'imputato non compaia, si applicheranno le disposizioni di cui agli articoli 420-bis c.p.p. e ss., e ribadisce anche l'eccezione di nullita' del decreto di citazione, dopodiche' scrive "si rinnova tale eccezione alla suprema Corte, considerando che il sottoscritto e' difensore di ufficio". 2.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia il vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera d). Nelle sentenze di merito non vi sarebbe riscontro alla documentazione prodotta dalla difesa - il BURC della regione Calabria - da cui si evincerebbe che il (OMISSIS) aveva ricevuto importanti finanziamenti pubblici, il che comproverebbe la verita' di quanto sostenuto, che era finalizzato non gia' ad aggredire la sfera personale della persona offesa, ma a fare luce sul modo di fare politica della (OMISSIS) in Calabria. Sussisterebbero tutti i requisiti della critica politica - verita', continenza e interesse pubblico - tanto che il pubblico ministero aveva chiesto l'assoluzione di (OMISSIS). 2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione quanto alla riconducibilita' del fatto all'imputato, la cui prova era stata tratta dalla deposizione del teste di p.g. (OMISSIS) e da quella della persona offesa. Il primo - si legge nel ricorso - e' detenuto dal primo settembre 2022 perche' coinvolto nell'ultimo blitz del Dott. (OMISSIS); la persona offesa, dal canto suo, avrebbe affermato il falso, in quanto non aveva mai parlato con (OMISSIS) su un telefonino, perche' l'imputato, per sua scelta, non ha mai posseduto un cellulare. A seguire, il ricorrente riporta un tratto della deposizione dell' (OMISSIS) quanto all'accertamento circa la paternita' del profilo Facebook del prevenuto che - si assume - non era stato accertato gli appartenesse effettivamente. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso - che concerne il lamentato difetto di notifica del decreto di citazione a giudizio per il primo grado - e' manifestamente infondato. Nell'ordine si esamineranno le singole censure. 1.1. Sulla mancanza di conformita' delle copie inviate per la notifica del decreto di citazione all'imputato, la verifica degli atti processuali - possibile in ragione della natura processuale della doglianza - ha consentito di rilevare che, a dispetto di quanto sostiene il ricorrente, le copie del decreto di citazione utilizzate per la notifica all'imputato contengono l'attestazione, apposta in calce, della conformita' all'originale con tanto di data e firma del Cancelliere Dott.ssa (OMISSIS). Peraltro il Collegio si chiede quale rilievo, in termini di mortificazione dell'idoneita' informativa dell'atto notificato, avrebbe l'eventuale difformita' dell'originale dalle copie se la notifica si era perfezionata per il rifiuto dell'imputato di ricevere l'atto, il che significa che questi non era mai entrato in possesso della copia a lui destinata del decreto da notificare. Tutto quanto sopra a voler tacer del fatto che la censura difetta anche di un difetto di prospettazione - che ne fa intuire la natura meramente esplorativa - giacche' il ricorrente non chiarisce quale sia la circostanza che lo induce a ritenere che le copie conformi estratte dall'originale e inviate per la notifica dalla Cancelleria fossero difformi dall'originale. 1.2. Il secondo segmento della censura - che concerne la pretesa carenza di avvisi essenziali nel decreto di citazione a giudizio - e' manifestamente infondato. 1.2.1. Il processo non andava rinviato ex articolo 420-quater c.p.p. perche' l'imputato, con il rifiuto di ricevere la notifica del decreto di citazione a giudizio, si e' volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento sicche' ricorre la condizione di cui all'articolo 420-bis c.p.p., comma 2. 1.2.2. In ordine alla mancata indicazione, nel decreto di citazione a giudizio, delle norme che regolano il processo in assenza, il Collegio osserva, innanzitutto, male indicazione non e' requisito del decreto di citazione a giudizio previsto a pena di nullita' del medesimo ai sensi dell'articolo 552 c.p.p., comma 2. Peraltro - si aggiunge - la sanzione di nullita' sarebbe in contrasto con quanto ripetutamente sancito dalla giurisprudenza di questa Corte a proposito di carenze ben piu' incisive di quella lamentata. Ci si riferisce all'orientamento, assolutamente maggioritario, che, prima dell'entrata a regime del processo in assenza, aveva escluso che fosse causa di nullita' del decreto che dispone il giudizio l'omesso avvertimento all'imputato che, non comparendo, sarebbe stato giudicato in contumacia, reputando che detto avvertimento non sia uno dei requisiti della citazione, riguardando le sole conseguenze derivanti dalla mancata comparizione (Sez. 2, n. 36097 del 14/05/2014, Diodato e altro, Rv. 260354; Sez. 2, n. 17760 del 19/04/2011, De Pasquale ed altri, Rv. 250254; cfr. anche Sez. 4, n. 27494 del 14/02/2017, Ferullo, Rv. 270706 sul decreto di citazione in appello). Tali considerazioni possono essere esportate anche al decreto di citazione diretta a giudizio e possono riguardare anche l'assenza. In definitiva, si e' sostenuto che l'indicazione ha un carattere meramente informativo e che non incide sulla vocatio in iudicium e sul concreto esercizio del diritto di difesa. Donde, questa Corte osserva che se, a detta conclusione, si e' giunti rispetto ad una anomalia piu' radicale di quella oggi lamentata, anche tenuto conto delle conseguenze della disciplina della contumacia, non si vede come la mancanza del mero riferimento agli articoli 420-bis c.p.p. e ss. (che regolano, appunto, il processo in assenza) possa nuocere all'esercizio del diritto di difesa dell'imputato laddove, peraltro, e' lo stesso ricorrente ad ammettere che vi era l'avviso che l'imputato, non comparendo, sarebbe stato giudicato in assenza. A questo proposito, il Collegio deve anche rimarcare la genericita' del ricorso, che non ha chiarito quale sia stato esattamente il vulnus derivato dalla mancata indicazione delle norme di legge che disciplinano l'assenza, interrogativo ancora piu' significativo laddove si tratta di un'indicazione di carattere tecnico e l'imputato era assistito da un difensore, senza che rilevi che si tratti di difensore di ufficio, laddove non risulta che non vi fossero contatti tra il medesimo e l'assistito o che vi fosse altra causa ostativa allo svolgimento della naturale funzione informativa e chiarificatrice rispetto ai risvolti tecnici del processo che anche il difensore di ufficio ha il dovere di svolgere. 1.1.3. L'eccezione di illegittimita' costituzionale e' manifestamente infondata in quanto, per le ragioni sopra esposte, la mancata previsione normativa dell'obbligo di inserire nel decreto di citazione a giudizio gli articoli di legge che riguardano il processo in assenza non determina alcun vulnus del diritto di difesa che possa rilevare ex articolo 24 Cost. ne' il ricorso, nel suo breve inciso sulla questione di legittimita' costituzionale, ha indicato elementi precisi per individuale l'effettivo momento di frizione della norma di cui all'articolo 552 c.p.p. con la predetta disposizione costituzionale. 1.1.4. Contrariamente a quanto assume il ricorrente, infine, egli doveva essere dichiarato assente e non contumace, dato che il processo di primo grado si e' svolto interamente dopo l'entrata in vigore della L. 28 aprile 2014, n. 67 (e non poteva essere altrimenti, dato che il fatto e' del 2016). 2. Il motivo con cui il ricorrente denunzia il vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera d) e' generico e versato in fatto perche': - lamenta genericamente una lacuna probatoria, adducendo circostanze di fatto che non risultano dalla sentenza impugnata, laddove la Corte di merito ha escluso che le informazioni esposte nell'articolo avessero trovato riscontro in dibattimento; - in ogni caso, concentra la sua attenzione solo sul tema della verita' del fatto affermato, ma ignora che la sentenza impugnata ha anche ragionato sulla mancanza di continenza, tema con cui il ricorso, a parte un generico proclama, non si confronta e che e' idoneo, di per se', ad escludere la configurabilita' della esimente del legittimo esercizio del diritto di critica, in quanto si tratta di un requisito che deve concorrere con quelli della verita' del fatto affermato e dell'interesse pubblico alla divulgazione della notizia. 3. Il terzo motivo di ricorso - che contesta la sentenza sotto il profilo del giudizio di riconducibilita' del fatto all'imputato - e' aspecifico e manifestamente infondato dal momento che la motivazione e' immune dal qualsivoglia vizio argomentativo poiche' ha razionalmente fondato la riferibilita' dell'articolo a (OMISSIS) sia sul fatto che il profilo Facebook di quest'ultimo recava il link per leggerlo, sia sulla circostanza che egli era il direttore responsabile di "(OMISSIS)" di cui "(OMISSIS)" era all'epoca un blog non registrato, sia sulla deposizione della persona offesa, che aveva rivelato di averne parlato con l'imputato al telefono. Le argomentazioni del ricorrente non affrontano criticamente la motivazione che ha composto i dati suddetti, ma fondano su dati di fatto che non emergono dalla sentenza impugnata e che, peraltro, non hanno alcun impatto sulla solidita' del ragionamento probatorio. A volersi soffermare sulla pretesa inaffidabilita' del contributo ricostruttivo del teste di p.g. (OMISSIS) (che, a detta del ricorrente, dopo aver deposto, sarebbe stato arrestato nell'ambito di un'ampia operazione contro la criminalita' organizzata), il Collegio si limita ad osservare che, quand'anche tale circostanza corrispondesse al vero, non si comprende -ne' il ricorso lo chiarisce - quali sarebbero le implicazioni rispetto alle attivita' investigative svolte da (OMISSIS) nel procedimento contro (OMISSIS). 4. All'inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, cosi' equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MARZO Giuseppe - Presidente Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/03/2022 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN IFATTO 1. Viene in esame la sentenza della Corte d'Appello di Reggio Calabria del 8.3.2022 che, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Reggio Calabria, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, nei confronti di (OMISSIS), in relazione ai reati di tentata sostituzione di persona (cosi' riqualificata l'imputazione originaria, che contestava l'ipotesi di reato consumata) e di atti persecutori commessi ai danni (OMISSIS), nonche' al reato di diffamazione commesso in concorso con (OMISSIS), venendo, invece, confermata la sua condanna agli effetti civili (quantificati in Euro 154.116,71). La vittima era stata posta al centro di una campagna persecutoria dall'imputato, suo collega di lavoro e, per un periodo di tempo, coinquilino, condotta con l'invio di email a contenuto diffamatorio a colleghi degli uffici regionali presso i quali lavorava, provenienti da un account artatamente creato dal ricorrente come riconducibile alla persona offesa: il profilo "fake" intestato a " (OMISSIS)". 2. Avverso la citata sentenza d'appello ha proposto ricorso soltanto (OMISSIS), tramite il difensore di fiducia, deducendo otto motivi di censura diversi, con i quali si duole della decisione sia agli effetti penali, puntando ad una sentenza di assoluzione nel merito, sia agli effetti civili. 2.1. Il primo argomento difensivo eccepisce vizio di incompetenza territoriale del Tribunale di Reggio Calabria per violazione degli articoli 8-9 e 16 c.p.p., in relazione al ritenuto, piu' grave reato previsto dall'articolo 612-bis c.p., che attrae la competenza anche delle altre due contestazioni minori (sostituzione di persona e diffamazione). La Corte di merito ha applicato il principio di Sez. 5, n. 16977 del 2020, secondo cui la competenza per territorio si determina, nel delitto di atti persecutori, in ragione del luogo in cui il disagio della persona offesa degenera in prostrazione psicologica. Tuttavia, il ricorrente evidenzia che la giurisprudenza richiamata fa riferimento al criterio del "luogo in cui il comportamento dell'agente diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio", solo successivamente enunciando il criterio, concorrente, indicato dalla sentenza impugnata; cio' elimina anche in radice il rischio di casualita' della scelta del giudice competente, altrimenti legato al luogo in cui la vittima accidentalmente si trovi quando quel comportamento assume i caratteri suddetti. Sarebbe stato, pertanto, competente il Tribunale di Catanzaro, luogo in cui si determinava la conclusione della sequenza di atti idonei a completare la consumazione del reato abituale di evento previsto dall'articolo 612-bis c.p., poiche' in tale citta' hanno sede gli uffici regionali presso i quali i due colleghi della ricorrente che hanno ricevuto le missive persecutorie/diffamatorie, secondo l'accusa, hanno aperto e letto le missive. Catanzaro, peraltro, e' anche il centro di riferimento delle difficolta' e dei disagi manifestati dalla persona offesa in conseguenza del delitto di stalking subito. Viceversa, a Reggio Calabria si sono soltanto consumate le conseguenze ultime del reato, con le visite mediche alle quali si e' sottoposta la vittima, una volta trasferitasi in quella citta', proprio in ragione delle condotte ascritte all'imputato. 2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 494 c.p., nonche' violazione dell'articolo 49 c.p., comma 2, unitamente al vizio di manifesta illogicita' della motivazione quanto alla valutazione delle prove per giungere all'affermazione di responsabilita' del ricorrente. La difesa eccepisce che il profilo "fake" era talmente grossolanamente creato (tra l'altro, con due immagini di profilo di persone diverse e due nomi differenti) da far difetto la necessaria offensivita' della condotta, ancorche' qualificata come tentativo di sostituzione di persona dal primo giudice, piuttosto che come reato consumato, tanto piu' che il delitto di cui all'articolo 494 c.p. non e' costruito come reato di pericolo, ma comporta l'inganno o il tentativo di inganno quale elemento della fattispecie legale. Fuori fuoco sarebbe, quindi, la valutazione dei giudici di merito riferita alla potenzialita' ingannatoria del profilo rispetto a chi non conoscesse bene la vittima del reato. In ogni caso, si denuncia "travisamento del fatto e della prova", in un processo di particolare complessita', poiche' di tipo "indiziario", nonche' mancato esame di una prova decisiva, quanto all'individuazione dell'imputato come autore delle condotte denunciate dalla persona offesa: non sarebbero sufficienti le testimonianze del teste Forgione, le cui dichiarazioni sono state sottoposte a dura critica nel ricorso, e gli altri dati di prova; dalla consulenza di parte dell'ing. (OMISSIS) e dalle indagini risultava che vi fossero stati tentativi di accesso anomalo al profilo da cui sono partite le frasi diffamatorie e persecutorie, sicche' sarebbe stato indispensabile disporre una perizia ex articolo 507 c.p.p. per accertare quali fossero le utenze telefoniche agganciate agli ID di provenienza degli accessi sul profilo fake, oggetto di contestazione. 2.3. Il terzo motivo di ricorso si incentra sulla contestazione delle prove di colpevolezza del ricorrente rispetto al reato di diffamazione, anche queste ritenute insicure, incerte nella attribuibilita' delle condotte di inoltro delle e-mail contenenti giudizi e valutazioni offensive nei confronti della vittima del reato. Si evidenzia l'insufficienza dei dati di prova messi insieme dalle due sentenze di merito, elencandoli e minuziosamente contestandoli, sottolineando, in particolare, come in nessuno dei supporti informatici sequestrati all'imputato siano state trovate le mail incriminate o le pagine word allegate a queste o le foto della vittima inviate a terzi. Si bollano, invece, come mere congetture le affermazioni del giudice di primo grado sulla possibilita' che l'imputato possa aver cancellato le tracce informatiche dei reati, tanto piu' che il consulente della difesa ha provato come non vi siano indizi dell'uso del programma "eraser" da parte del ricorrente, diversamente da quanto asserto dal consulente del pubblico ministero, ing. (OMISSIS). Vi sarebbe prova, peraltro, di una manipolazione della mail diffamatoria da parte di qualcuno prima dell'inoltro all'indirizzo mail di lavoro dei colleghi iella vittima e, infine, il pc del ricorrente poteva essere utilizzato anche da suo fratello, il che escluderebbe l'univoca riferibilita' delle condotte di reato tutte. 2.4. Il quarto motivo di censura denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla condanna dell'imputato, agli effetti civili, per il delitto di atti persecutori, contestando la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato: manca qualsiasi tipicita' fenomenica del delitto (pedinamenti, appostamenti, minacce, messaggi e telefonate reiterate). Semplicemente si sono sommate le poche condotte delle due contestazioni di tentata sostituzione di persona e di diffamazione e si e' ritenuto sussistente il delitto. Per questo, mancherebbe anche la prova del dolo del reato di stalking. 2.5. Il quinto argomento di censura denuncia violazione di legge quanto agli effetti civili: la consulenza della parte civile con cui si contestualizza il danno e la patologia psicologica da cui esso e' derivato, conseguenza della condotta delittuosa, non e' condivisibile nelle sue considerazioni tutte, ivi compresi i parametri utilizzati, che la difesa ritiene "oscuri" per giungere a quantificare la soglia del 35% di danno biologico (pari a 82.000 Euro, oltre ad un danno personalizzato di 54.000 Euro). Si ritiene, pertanto, che il giudice di merito avrebbe dovuto disporre perizia d'ufficio ovvero ridurre il danno. Inoltre, si chiede che la documentazione medica allegata alle conclusioni scritte della parte civile - disturbo post-traumatico da stress - in sede di discussione venga dichiarata inutilizzabile poiche' avrebbe dovuto essere acquisita, correttamente, come prova documentale ex articolo 234 c.p.p.. Si contesta, infine, anche la valenza delle dichiarazioni della persona offesa quanto al danno psicologico grave subito dai reati, mancando elementi di riscontro alle sue asserzioni sul disagio, sul mutamento delle abitudini di vita. Secondo la difesa, le condotte attribuite all'imputato giammai avrebbero potuto determinare siffatte, gravi conseguenze traumatiche, ma tale valutazione di idoneita', doverosa, e' stata omessa dai giudici di merito. 2.6. I motivi sesto e settimo sono dedicati a rappresentare meglio le denunce di inutilizzabilita' della documentazione prodotta dalla parte civile ed acquisita nel processo alle udienze del 26.6.2020 e 3.7.2020, in quanto non attinente al thema decidendum e depositata allo scopo di suggestionare negativamente i giudici sulla moralita' perversa del ricorrente, incline ai reati del tipo di quelli commessi (motivo 6); nonche' a denunciare l'omessa ammissione delle prove difensive a discarico, relative a tale produzione documentale (motivo 7). 2.7. Infine, l'ottavo motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale richiesta con l'atto di appello, avuto riguardo alla richiesta di perizia del pc del testimone (OMISSIS); la Corte d'appello ha rigettato la richiesta con una motivazione apparente di non necessita'. Si lamenta, altresi', la mancata adesione alla richiesta di verificare nuovamente in contraddittorio dibattimentale le conseguenze dannose lamentate dalla vittima del reato, attraverso testimonianze e/o perizia sulla persona offesa; nonche' la riferibilita' al ricorrente delle condotte delittuose (attraverso perizia sul pc del coimputato (OMISSIS), che aveva inoltrato la mail diffamatoria ricevuta dall'imputato, secondo la ricostruzione accusatoria; acquisizione dei tabulati del ricorrente, della vittima del reato e dello stesso (OMISSIS)). 3. Il PG Perla Lori ha chiesto, con requisitoria scritta, che sia dichiarata l'inammissibilita' del ricorso, il che, quindi, precluderebbe la rilevanza della questione di applicabilita' della nuova disciplina prevista dall'articolo 573 c.p.p., comma 1-bis. 3.1 Il difensore del ricorrente ha depositato memoria con conclusioni scritte in data 1.3.2023, con le quali, ribadendo le ragioni di ricorso, chiede l'annullamento della sentenza impugnata. 3.2. Il difensore della parte civile ha depositato memorie, conclusioni e nota spese. Nella memoria difensiva, si sottolinea che il ricorrente non ha rinunciato alla prescrizione, sicche' avrebbe dovuto limitarsi, quanto alla sua affermazione di responsabilita' ai fini civilistici, soltanto a rappresentare la sussistenza delle condizioni ex articolo 129 c.p.p.. Invece, il ricorso ed i motivi aggiunti sarebbero inammissibili poiche' con essi si deduce travisamento dei fatti e, in realta', si punta ad ottenere una nuova, diversa e piu' favorevole visione delle prove. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' complessivamente infondato. 2. I motivi che il ricorrente propone per denunciare l'erroneita' dell'affermazione di responsabilita' agli effetti penali, evocando, sostanzialmente, una soluzione (di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata) che determini la sua assoluzione nel merito (sicche' non viene in esame la nuova disciplina dell'articolo 573 c.p.p., comma 1-bis, sono reiterativi di argomenti gia' proposti al giudice d'appello, cosi' come e' ripetitiva ed aspecifica anche la questione di competenza territoriale, gia' adeguatamente superata dalla sentenza impugnata. 2.1. A dispetto della lunghezza argomentativa del ricorso, che per la gran parte e' ripetitivo dei contenuti dell'atto d'appello, ovvero e' incentrato su richiami giurisprudenziali di ordine generale relativi ai temi controversi, non vi e' confronto effettivo con le ragioni della decisione di secondo grado, che ha evidenziato correttamente, anzitutto, quanto alla questione di competenza territoriale (primo motivo di ricorso, peraltro privo di specifico interesse, considerata la pronuncia di prescrizione dei reati gia' intervenuta), come la stabile giurisprudenza di questa Corte regolatrice individui il criterio per la determinazione della competenza per territorio nel delitto di atti persecutori in relazione al luogo in cui il disagio acculato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'articolo 612-bis c.p. (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 16977 del 12/2/2020, S., Rv. 279178). Non trova riscontro, invece, la tesi del ricorrente che sostiene l'esistenza di un prioritario criterio di determinazione del locus del commesso delitto di stalking, rapportato al "luogo in cui il comportamento dell'agente diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio", locuzione tratta dalla sentenza Sez. 5, n. 3042 del 9/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278149, conforme alla giurisprudenza sopra citata, che ha inteso enunciare un'endiadi equivalente, nella sostanza, richiamando l'espressione citata dal ricorrente come omologa a quella, successiva ed ancor piu' esplicativa, del "luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'articolo 612- bis c.p.". Del resto, la conclusione cui giunge la richiamata giurisprudenza della Cassazione, in modo univoco, discende dalla natura del delitto di atti persecutori, che configura un reato abituale di danno "per accumulo", che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (cfr. ancora le richiamate pronunce n. 16977 del 2020 e n. 3042 del 2020, nonche' Sez. 5, n. 17000 del 11/12/2019, dep. 2020, A., Rv. 279081). Tale luogo e' stato correttamente individuato nella citta' di Reggio Calabria, in cui la ricorrente viveva stabilmente, al di la' del domicilio lavorativo, ed in cui, quindi, si e' disvelato il suo profondo disagio psichico, tale da determinare serie conseguenze sul suo stato di salute psicofisica, come si dira' piu' avanti. Deve ribadirsi, pertanto, che il delitto di atti persecutori configura un reato abituale di danno che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, sicche' la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'articolo 612-bis c.p.. 2.2. I motivi riferiti alla mancata rinnovazione istruttoria (motivo otto), alla qualita' della prova raccolta nel giudizio ed alla valutazione di essa si sostanziano in una inammissibile richiesta di nuovo esame nel merito di elementi indiziari precisi, coerenti tra loro, gravi nel condurre ad individuare l'imputato come colui che, legato alla vittima da un rapporto di amicizia di antica data, tanto da aver potuto condividere con lei l'appartamento nella citta' di Catanzaro, sede dell'ufficio ove entrambi lavoravano, ha improvvisamente ed inspiegabilmente cominciato ad assumere comportamenti distonici nei suoi confronti, costruendo un falso "account facebook", contattando il suo ex-fidanzato, diffamandola presso suoi colleghi, con l'invio di una email, dal contenuto scabroso nei riguardi della vittima, a (OMISSIS), coimputato, istigandolo ad inviarla a sua volta all'indirizzo d'ufficio, con conseguente accessibilita' dei colleghi della persona offesa. Il teste (OMISSIS), la cui attendibilita' e credibilita' sono state ampiamente argomentate dalla sentenza d'appello, ha offerto i necessari elementi per ricondurre al ricorrente il falso account della vittima, segnalando che e' stato lo stesso imputato a svelarsi dietro il profilo "fake" direttamente tradendosi (cfr. pag. 25 della sentenza impugnata). La prova documentale, costituita dalle conversazioni "facebook" tra il teste chiave e l'imputato, prodotte dalla parte civile in copia, e' stata legittimamente acquisita come tale ai sensi dell'articolo 234 c.p.p. (cfr. Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 265991; Sez. 3, n. 38681 del 26/4/2017, G., Rv. 270950; nonche', tra le altre, Sez. 6, n. 22417 del 16/3/2022, Sgromo, Rv. 283319); e la Corte territoriale ha spiegato, proprio facendo leva sulla completa ed affidabile acquisizione della conversazione incriminante come documento, le ragioni della inutilita' della rinnovazione istruttoria richiesta dal ricorrente, al centro anche del terzo e dell'ottavo motivo di ricorso, per questo manifestamente infondati con riguardo alla richiesta di perizia sul pc di (OMISSIS), alla ricerca di una prova negativa ed incerta, non potendo escludersi procedure di cancellazione della conversazione non rintracciabili. La riconducibilita' all'imputato delle email dal contenuto diffamatorio e lesivo della reputazione della vittima, del profilo facebook da cui sono partiti i contatti persecutori ed in relazione al quale e' configurato il reato di sostituzione di persona e' stata motivata attraverso il riferimento ad una prova si' indiziaria, ma affidabile e convincente, sia dal giudice di primo grado che da quello d'appello, sicche' i motivi di ricorso dedicati a contestare l'individuazione del ricorrente come autore dei reati sono manifestamente infondati, oltre che in fatto e rivalutativi. 2.3. Quanto alla configurabilita' dei reati, deve evidenziarsi come, ancorche' prescritti, le ragioni difensive obbligano il Collegio ad ingaggiare necessariamente un confronto multilivello sui temi proposti, alcuni non soltanto agli effetti civili, ma anche sul piano della inoffensivita' della condotta ex articolo 49 c.p. (cfr. il secondo motivo di censura); e tuttavia, le censure si mostrano ancora una volta reiterative e del tutto fuori fuoco. Ovviamente, alla luce dell'intervenuta prescrizione, il Collegio rammenta che, secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale (cfr. la sentenza n. 182 del 2021 Corte Cost.), il giudice penale, chiamato a verificare la sussistenza dell'illecito civile ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., comma 1, dovra' basarsi sulla regola di giudizio civilistica per la valutazione della responsabilita', vale a dire il canone valutativo del "piu' probabile che non", piuttosto che sul criterio penalistico dell'alto grado di probabilita' logica (ovvero dell'oltre ogni ragionevole dubbio"), sia pur riconoscendo la non piena sovrapponibilita' della fisionomia del giudizio relativo ai soli interessi civili svolto in sede penale rispetto a quello che si tiene dinanzi al giudice civile (cfr. Sez. 5, n. 4902 del 16/1/2023, Rv. 284101). a) Per il delitto di stalking, in relazione al quale si contesta, agli effetti civili, sia la sussistenza degli eventi del reato che la riconducibilita' delle condotte al paradigma normativo tipico, deve essere anzitutto ribadito che integra il delitto di atti persecutori la condotta di creazione di profili "social" e "account internet", falsamente riconducibili alla vittima, i contenuti dei quali si rivelino in grado di rappresentare quelle molestie reiterate nei suoi confronti descritte dalla disposizione dell'articolo 612-bis c.p. (cfr., per il principio generale, in una fattispecie parzialmente diversa: Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, dep. 2022, M., Rv. 282768), ovviamente se accompagnate, dal punto di vista soggettivo, dal dolo generico costituito dalla consapevolezza dell'idoneita' del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. Nel caso di specie, sicuramente tale consapevolezza emerge dalla ricostruzione dell'accaduto, della sua dimensione temporale e delle conseguenze gravi determinate sulla vittima della campagna persecutoria, che oltre ad essere stata costretta a mutare sensibilmente le proprie abitudini di vita, chiudendosi in una sorta di depressione, con allontanamento dal contesto sociale consueto, ha riportato gravi conseguenze psicologiche, accertate da documentazione medica, causate dall'ansia e dal timore derivati dalle azioni dell'imputato. Non vi e' dubbio che tali effetti, poi, integrino gli eventi previsti alternativamente dalla fattispecie di stalking: la Corte d'Appello ha messo in risalto - oltre alla progressiva perdita di capacita' sociale e di frequentazioni; oltre alle ripercussioni serissime sul lavoro, da cui si e' assentata lungamente, rischiando il licenziamento, proprio per la difficolta' a superare l'accaduto e ad incontrare il ricorrente - "tutta la sofferenza ed il paterna della persona offesa" emersi nel corso del processo in modo evidente, poiche' si e' accertato, con adeguata documentazione medica, che la vittima ha subito gravi traumi psichici, mai superati del tutto, tanto che, anzi, essi si sono trasformati da patologia psicologica da stress in conclamata malattia psichiatrica (cfr. pag. 30 della sentenza impugnata). Quanto alla direzione delle condotte persecutorie, non direttamente rivolte alla persona offesa, ma con destinatari terzi soggetti (noti o meno), si e' gia' condivisibilmente affermato che, in tema di atti persecutori, l'evento, consistente nell'alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell'ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro quest'ultima (Sez. 6, n. 8050 del 12/1/2021, G., Rv. 281081; vedi anche Sez. 5, n. 25248 del 12/5/2022, R., Rv. 283369), unitariamente inseriti nell'unica condotta persecutoria. Nel caso del ricorrente, egli ha comunicato con numerosissimi utenti "facebook", fingendosi la persona offesa, associando alla immagine di profilo proprio una fotografia di costei in costume da bagno e postando commenti e link di carattere erotico; ha contattato via "facebook" l'ex fidanzato della donna e via email i colleghi di lei, ancora una volta con contenuti di aperta lesivita' della sua reputazione ed a sfondo scabroso ed erotico (facendo apparire che ella si definisse come "troia"). Tali condotte, ancorche' solo indirettamente rivolte alla vittima, fanno di quest'ultima l'unico, reale bersaglio della campagna persecutoria, sicche' non vi e' dubbio che le molestie reiterate, generatrici d'ansia e timori gravi, siano indirizzate a lei, chiamata in causa nelle offese ripetute alla propria reputazione ed intimita'. Ne' puo' dubitarsi della tipicita' oggettiva di dette condotte a configurare il delitto di atti persecutori che, come noto, puo' essere ritenuto integrato anche in presenza di due sole condotte, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la "reiterazione" richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale (Sez. 5, n. 33842 del 3/4/2018, P., Rv. 273622). b) Per il delitto di tentata sostituzione di persona ex articolo 494 c.p., in relazione al quale la difesa invoca l'inidoneita' della formazione del falso profilo facebook a cagionare l'inganno, vi e' solo da segnalare l'aspecificita' del motivo, dal momento che la sentenza impugnata ha evidenziato, in risposta ad un'obiezione d'appello pressocche' identica, che solo chi conoscesse in modo particolarmente approfondito la personalita' della vittima avrebbe potuto non cadere nell'inganno (come infatti e' avvenuto per il suo ex fidanzato, dal quale e' partito l'allarme su quanto stava accadendo); diversamente gli altri terzi utenti, che non fossero a conoscenza del carattere e delle attitudini di vita della vittima. In via di principio, poi, ai fini della configurabilita' del reato in astratto, integra il delitto di sostituzione di persona la condotta di colui che crei ed utilizzi "profili social" e "account internet" servendosi dei dati anagrafici di altra persona, esplicitamente contraria, al fine di far ricadere su quest'ultima l'attribuzione delle connessioni eseguite in rete (Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, Rv. 282768-02). c) I motivi di ricorso, infine, proposti con riguardo alla configurabilita' stessa del reato di diffamazione (attraverso l'invio, prima ad una terza persona e poi, tramite questa, ai colleghi di lavoro della vittima, di una email offensiva della reputaz one di lei), sono tutti affrontati come critica rivalutativa delle prove, del tutto apodittica e funzionale a riscriverne il significato secondo un'assertiva quanto inammissibile prospettiva alternativa di merito. 2.4. I motivi di ricorso con cui si denuncia l'illegittima acquisizione di documentazione proveniente dalla parte civile in sede di discussione sono generici, poiche', nonostante le critiche al loro contenuto, non si deduce ne' il loro peso nell'economia della decisione impugnata, ne' quale fosse specificamente il contenuto criticato di essa, sul quale si era chiesta la prova a confutazione rifiutata. 2.5. Infondato e', infine, il motivo di ricorso sulla liquidazione del danno alla parte civile, quantificato nella cifra consistente gia' indicata, alla luce della puntuale, convincente motivazione del giudice di primo grado, cui la sentenza d'appello si e' motivatamente allineata: la depressione irreversibile, patologia gravemente invalidante della vita psicofisica della ricorrente, e' stata ampiamente spiegata e ricostruita dai giudici di merito, sulla base di dati oggettivi, costituiti anzitutto dalla documentazione medica acquisita. La quantificazione del danno morale, autonomo rispetto al danno biologico, cristallizza, poi, il peso di una sofferenza di natura interiore, su cui la motivazione del provvedimento impugnato si e' spesa molto, al di la' dell'innegabile dato medico, di preoccupante gravita', descrivendo il blocco emotivo in cui la vittima e' caduta, per molto in tempo in modo altamente invalidante, con un forte sentimento di disistima ed incapacita' di avere rapporti anche con i suoi familiari piu' stretti, per l'autocolpevolizzazione accertata come patologia" seguita alla consapevolezza di essere stata cosi' amica di una persona capace di farle cosi' male. Le ragioni cosi' dettagliatamente esposte, anzitutto dal punto di vista medico, sostengono la statuizione relativa al risarcimento del danno, nella sua adeguatezza, mentre i motivi di ricorso si velano, ancora una volta, in parte aspecifici e, infine, manifestamente infondati. 3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che si ritiene di liquidare in complessivi Euro 5.530. 3.1. Deve essere disposto, altresi', che siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 5.530, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - rel. Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/07/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO; Rilevato che il difensore della parte civile ha formulato tempestiva richiesta di discussione orale Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, da ultimo, in forza del Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199; Uditi in pubblica udienza: il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. Tassone Kate, che, riportandosi alla requisitoria trasmessa, ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; per la parte civile, l'Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), che ha concluso, per l'inammissibilita' del ricorso, depositando note spese; per l'imputata, l'Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), che, riportandosi alla memoria trasmessa, ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza deliberata, all'esito del giudizio abbreviato, il 19/11/2021, il Tribunale di Avellino dichiarava (OMISSIS) responsabile dei reati di atti persecutori e diffamazione ai danni del minore (OMISSIS), che aveva intrapreso un percorso di transizione finalizzato al mutamento di sesso, e con la continuazione, la diminuente del vizio parziale di mente equivalente alle contestate aggravanti e la riduzione per il rito, la condannava alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione e al risarcimento dei danni a favore della parte civile. Investita dall'impugnazione dell'imputata, la Corte di appello di Napoli, con sentenza deliberata il 14/07/2022, ha ridotto la pena irrogata ad anni 2 di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore Avv. (OMISSIS), articolando sei motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Il primo motivo denuncia violazione degli articoli 612-bis e 595 c.p. e vizi di motivazione. In modo illogico e contraddittorio e' stato ritenuto irrilevante quanto sostenuto nell'atto di appello a proposito del contesto ambientale in cui si verificarono i fatti, omettendo di considerare che proprio dalla nota dei servizi sociali del (OMISSIS), dalle sommarie informazioni rese da (OMISSIS) e dalle domande rivolte al perito dal giudice di primo grado si evinceva il collegamento tra le condotte ascritte all'imputata e vecchie diatribe personali e familiari tra la stessa e la cognata, come confermato dall'elaborato del perito (OMISSIS) che ha attribuito all'imputata un disturbo della personalita' orientata verso un'organizzazione di tipo borderline le cui manifestazioni patologiche risentono degli aspetti ambientali e relazionali. Risulta evidente che le reazioni dell'imputata sono dipese dagli stimoli delle condotte della persona offesa, che hanno ingenerato un risentimento dimostrato dalle plurime denunce della ricorrente, ritenute infondate o comunque irrilevanti in assenza di qualsiasi approfondimento o valutazione del dato probatorio, limitandosi a osservare che la reciprocita' delle condotte moleste non esclude il reato di atti persecutori, omettendo di valutare le censure formulate con l'atto di appello, che contenevano elementi di novita' rispetto a quelli esaminati e disattesi dal giudice di primo grado. Nonostante le denunce della ricorrente nei confronti della persona offesa e dei suoi familiari (in particolare, della madre), i giudici di merito hanno ritenuto i comportamenti di questi ultimi giustificati dallo stato di ansia e dalla situazione di vulnerabilita' rispetto all'imputata, laddove le conclusioni del perito (OMISSIS) danno atto del disturbo della personalita' dal quale e' affetta l'imputata, disturbo che colpisce soggetti il cui stile di vita e' caratterizzato da modalita' abnormi di risposta agli stimoli ambientali. La persona offesa ha assunto una posizione di ingiustificata predominanza e le reazioni dell'imputata si sono consolidate secondo un meccanismo di autodifesa, come osservato dalla consulente (OMISSIS) a proposito dell'episodio che vide l'imputata raggiunta da casa da un inviato della trasmissione "(OMISSIS)", che le contestava le condotte nei confronti della persona offesa, circostanza che le causo' una sofferenza psichica. 2.2. Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 42, 89, 612-bis, 595 c.p. e vizi di motivazione. La motivazione della sentenza impugnata sull'elemento psicologico si risolve in una mera clausola di stile, mentre le condotte dell'imputata sono espressione di una volonta' fuorviata da fattori esterni, incapaci di corroborare l'elemento soggettivo del reato, come rilevato anche dalla consulenza (OMISSIS). I giudici di merito avrebbero dovuto considerare che la persistenza di un proposito criminoso era stata concretamente influenzata da uno degli aspetti patologici correlati alla formazione o alla persistenza della volonta' criminosa, sicche', a causa del disturbo paranoideo, l'imputata ha sviluppato un'ossessione e la convinzione di essere vittima di una cospirazione o di una sorta di accanimento da parte della persona offesa e della sua famiglia. 2.3. Il terzo motivo denuncia violazione degli articoli 539 e 540 c.p.p. e mancanza di motivazione circa la prova del pregiudizio arrecato alla persona offesa, non essendo sufficiente in tale senso la certificazione rilasciata dal Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura dell'Ospedale di (OMISSIS). 2.4. Il quarto motivo denuncia violazione degli articoli 202, 203, 211 e 286 c.p. e vizi di motivazione. In modo illogico e contraddittorio la sentenza impugnata ha confermato la misura di sicurezza della liberta' vigilata violando la finalita' della prevenzione speciale, in quanto, come precisato dal perito, l'imputata doveva essere sottoposta a un trattamento terapeutico-riabilitativo. 2.5. Il quinto motivo denuncia violazione degli articoli 163 - 168, 62-bis 89, 612-bis c.p. e vizi di motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio, motivato in poche righe e senza dar conto dei vari elementi dedotti con l'atto di appello. 2.6. Il sesto motivo denuncia violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 82 e vizi di motivazione, in ordine alla "asimmetria" tra le somme liquidate a favore della parte civile e quelle riconosciute al difensore della ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso non merita accoglimento. 2. Il primo motivo non e' fondato, pur presentando plurimi profili di inammissibilita'. La Corte distrettuale ha, in primo luogo, richiamato gli esiti degli accertamenti disposti sui dispositivi (computer, telefono cellulare) in uso all'imputata e alla persona offesa. Quanto a quelli relativi all'imputata hanno consentito di accertare che dai profili Facebook alla stessa riconducibili erano partiti i messaggi offensivi indicati nelle numerose querele presentate dalla madre della persona offesa dal (OMISSIS) al (OMISSIS); rileva ancora il giudice di appello che a partire dal (OMISSIS) (ossia prima ancora delle denunce presentate dall'imputata) e fino a (OMISSIS), (OMISSIS) ha assunto costantemente un atteggiamento vessatorio e minaccioso nei confronti di (OMISSIS), non perdendo occasione per offenderlo e schernirlo sia di persona, sia con messaggi pubblicati sui profili social della persona offesa, con espressioni triviali aventi ad oggetto sempre di orientamenti sessuali del minore, tali da rendergli la vita impossibile e aggravare la sua gia' complicata condizione emotiva legata all'identita' sessuale e al difficile percorso di "transizione" di genere avviato con l'aiuto di una psicologa. Inoltre, le indagini informatiche hanno acclarato che i profili indicati dall'imputata come in uso alla persona offesa sotto mentite spoglie non hanno trovato alcun riscontro nei dispositivi in uso a (OMISSIS). Quanto alle condizioni psichiche dell'imputata, la Corte di appello di Napoli ha richiamato le convergenti conclusioni delle due perizie alle quali e' stata sottoposta l'imputata, entrambe concordi nel ritenerla affetta da disturbo della personalita' comportante un vizio parziale di mente, riconosciuto dalle conformi sentenze di merito. Il ricorso, per un verso, insiste (anche richiamando, in termini peraltro aspecifici, una serie di elementi) sul contesto ambientale - anche risalente nel tempo - in cui si svolsero i fatti e sul condizionamento dallo stesso esercitato sull'imputata, ma il rilievo, non trascurato dalla Corte di appello, non puo', come appunto osservato dalla sentenza impugnata, travolgere la valutazione fatta da ben due perizie che hanno riconosciuto il vizio (solo) parziale di mente della ricorrente. Per altro verso, il ricorso (anche in questo caso talora articolando deduzioni in termini aspecifici) fa leva sulla pretesa "predominanza" delle condotte della persona offesa che avrebbe generato un "meccanismo di autodifesa" dell'imputata di cui i fatti contestati sarebbero espressione. La tesi non si confronta con la complessiva ricostruzione offerta dalla sentenza impugnata, li' dove, tra l'altro, ha sottolineato come i fatti ascritti all'imputata precedano le sue stesse denunce nei confronti della persona offesa e come gli accertamenti di tipo informatico abbiano consentire di escludere che il minore abbia operato sotto mentite spoglie su profili allo stesso apparentemente non riconducibili. Del resto, la lunga teoria di atti persecutori attribuita dalle conformi sentenze di merito all'imputata non si esaurisce nell'ambito dei pur numerosi messaggi attraverso i social, ma ha visto, ad esempio, anche l'episodio del 01/12/2020, allorquando, in buona sostanza, l'imputata sterzo' bruscamente con l'auto in direzione della persona offesa fin quasi al punto di investirla. Nel complessivo ragionamento del giudice di appello, il riferimento all'orientamento della giurisprudenza di legittimita' che afferma la configurabilita' del reato di atti persecutori anche in caso di reciprocita' delle condotte moleste ha carattere sostanzialmente di "argomento di chiusura", sicche' le critiche ad esso rivolte dalla ricorrente non sono comunque idonee ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata. 3. Il secondo motivo e', invece, inammissibile, per tre ordini di ragioni. La Corte di appello, in estrema sintesi. ha motivato la riconoscibilita', in capo all'imputata, del dolo in relazione, ai plurimi, eterogenei, reiterarti in un ampio arco temporale atti persecutori (e diffamatori) valorizzando le indicazioni offerte dalle due perizie (OMISSIS) e (OMISSIS), che, pur registrando una situazione mentale dell'imputata dalla quale emergeva una capacita' di intendere e di volere grandemente scemata, delineavano una condizione tale da non escludere l'elemento soggettivo del reato. Il ricorso affida la critica alla motivazione della Corte di appello alle risultanze di una consulenza a firma della Dott.ssa (OMISSIS), dedotta in termini del tutto aspecifici, il che rappresenta il primo profilo di inammissibilita' del motivo. D'altra parte, attraverso il (generico) riferimento a tale elemento, unito al richiamo di un brano della perizia (OMISSIS), il ricorso si sottrae alla complessiva disamina critica del ragionamento del giudice del riesame e degli elementi su cui si fonda, risultando, sotto questo profilo, carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849). Infine, il riferimento - del tutto aspecifico, come si e' gia' rilevato - alla consulenza (OMISSIS), unito a quello alla perizia (OMISSIS), ma svincolato da qualsiasi disamina della perizia (OMISSIS), mettono in luce come le deduzioni della ricorrente, in realta', siano volte a sollecitare a questa Corte una rivisitazione del significato del compendio probatorio (o, meglio, di una parte di esso), laddove, come chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte, esula "dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe'). 4. Passando in ordine di priorita' logico-giuridica al quarto e al quinto motivo, entrambi afferenti ai capi penali, essi non meritano accoglimento. 4.1. Il quarto motivo e' inammissibile in quanto manifestamente infondato. La Corte di appello napoletana, ferma restando la necessaria rivalutazione dell'attualita' della pericolosita' sociale dopo l'esecuzione della pena e al momento dell'esecuzione della misura di sicurezza, ha diffusamente delineato il presupposto della liberta' vigilata, rimarcando che entrambi i periti hanno ritenuto la pericolosita' dell'imputata, risultante dalla violazione delle misure cautelari applicate con la reiterazione delle condotte persecutorie. Il ricorso fa leva sulla sottoposizione a un trattamento terapeutico-riabilitativo, ma trascura di considerare che, dopo le dimissioni del (OMISSIS), fu la stessa (OMISSIS) a disattendere il percorso di cura prescrittole. 4.2. Il quinto motivo non e' fondato. Le determinazioni inerenti al trattamento sanzionatorio (conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche e della prevalenza della diminuente del vizio parziale di mente, individuazione della pena-base del reato continuato) sono stata basate su plurimi argomenti, incentrati, soprattutto, sull'ingente numero di messaggi offensivi e di morte inviati alla persona offesa, sul rilevante arco temporale nel corso del quale si sono protratte le condotte persecutorie, l'insofferenza manifestata dall'imputata rispetto alle prescrizioni dell'autorita' giudiziaria. Nei termini indicati, il giudice di appello ha congruamente motivato le determinazioni del trattamento sanzionatorio (consistite anche in una sensibile riduzione della pena principale irrogata), laddove le doglianze della ricorrente risultano del tutto inidonee a disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilita', cosi' da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516). 5. Il terzo e il sesto motivo chiamano in causa le statuizioni civili della sentenza impugnata: entrambi non meritano accoglimento. 5.1. Il terzo motivo e' inammissibile, per carenza di correlazione tra le ragioni della sentenza impugnata (che ha messo in rilievo il grave pregiudizio patito dalla vittima a causa del lungo periodo in cui si svolsero le vessazioni, della minore eta' della stessa, della crisi di identita' e del percorso di "transizione" che stava attraversando, grave pregiudizio testimoniato dalla certificazione sanitaria attestante lo stato depressivo e di panico insorto nel minore) e quelli posti a fondamento dell'impugnazione. 5.2. Il sesto motivo e' generico, non essendo sostenuto dalla necessaria allegazione delle note spese presentata dalla parte civile a fondamento della richiesta liquidazione. 6. Pertanto, complessivamente considerato, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali. La minore eta' della persona offesa impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalita' e degli altri dati identificativi. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MARZO Giuseppe - Presidente Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/12/2021 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI visti gli atti; il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI che ha chiesto l'annullamento senza rinvio agli effetti penali e con rinvio agli effetti civili. RITENUTO IN FATTO 1. Si impugna con ricorso per cassazione la sentenza della Corte d'Appello di Cagliari, Sez. distaccata di Sassari, del 15.12.2021 che ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Sassari, con cui (OMISSIS)i e' stato condannato, per il reato di diffamazione ai danni di (OMISSIS), alla pena di 600 Euro di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi separatamente, ed al pagamento di una provvisionale pari a 500 Euro. La diffamazione e' stata ritenuta configurabile in relazione ad alcune offese mosse alla vittima tramite frasi pubblicate sulla pagina facebook dell'imputato, accessibile ai soli "amici", ed in particolare relativamente ai soli epiteti di "mugheddosa" e "psicopatica del cazzo" rivolti alla vittima, in seguito all'accoglimento dell'eccezione di parziale nullita' per genericita' dell'imputazione, in sede di giudizio di primo grado. La vicenda si inserisce nel contesto di rapporti esacerbati tra l'imputato e la persona offesa, dovuti al fatto che (OMISSIS) aveva da tempo aperto, al piano terra dello stabile ove (OMISSIS) abitava al primo piano -di una corrispondenza, un locale che era solito programmare musica anche nelle ore notturne. Tale situazione aveva dato luogo a proteste, centinaia di segnalazioni e denunce nei suoi confronti, da parte della persona offesa, sfociate anche in un procedimento penale precedente, definito con prescrizione del reato. 2. Avverso la citata sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi di censura diversi, corrispondenti ai motivi d'appello. 2.1. Il primo argomento eccepisce manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato quanto all'affermazione di responsabilita' del ricorrente: non sarebbe provata la riferibilita' a questi degli scritti al centro del processo, acquisiti, peraltro, senza nessun crisma di veridicita', tramite fotocopie prodotte dalla parte civile. L'incertezza della provenienza degli "screenshot-facebook" acquisiti in fotocopia sarebbe causa anche della loro inutilizzabilita', in mancanza di un'acquisizione affidabile dei dati telematici, non effettuata in dibattimento; la sentenza impugnata ha anche confuso l'eccezione di inutilizzabilita' formulata dalla difesa dell'imputato con una deduzione di nullita', cosi' rispondendo attraverso un'argomentazione fuori fuoco. Infine, l'impossibilita' di accertare dettagli relativi alle pubblicazioni facebook, come ad esempio la data, impedirebbe anche di verificare la coerenza dell'imputazione con il tempo del commesso delitto e la tempestivita' della querela. 2.2. La seconda censura eccepisce violazione di legge e vizio di manifesta illogicita' della sentenza impugnata la' dove si e' discostata dal circoscritto perimetro dell'imputazione, disegnato dal parziale accoglimento dell'eccezione di nullita' dell'imputazione iniziale, ed ha esteso le sue valutazioni circa la sussistenza del reato di diffamazione anche ad altri fatti gia' esclusi dal tema processuale, facendo derivare dalla prova di queste una conferma della capacita' del ricorrente di commettere analoghe condotte di reato. 2.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata declaratoria di estinzione del reato prima della pronuncia d'appello, nonostante la richiesta in tal senso formulata dal Procuratore Generale. In particolare, si contesta alla sentenza impugnata di aver computato l'intervallo temporale che va dal 7.7.2020 al 18.9.2020, tra i periodi di sospensione del termine prescrizionale, grazie ai quali soltanto si e' potuti giungere ad una decisione nel merito del processo d'appello, nonostante il rinvio fosse stato richiesto elier ensore di parte civile e ad esso il difensore dell'imputato (come anche il PG) non aderito. Alcuna sospensione formale del termine prescrizionale e' stata disposta per detto periodo dal giudice di merito, ne' puo' far luogo del consenso mai prestato al rinvio l'aver, la difesa dell'imputato, depositato l'istanza di rinvio comunicatagli dal difensore della parte civile, per correttezza processuale. 3. Il PG Perla Lori ha chiesto, con requisitoria scritta, che sia dichiarata la prescrizione del reato, alla luce della non inammissibilita' del ricorso, quanto meno rispetto al primo motivo di censura dedotto, che meriterebbe un ulteriore approfondimento valutativo quanto all'eccezione di inutilizzabilita' della prova documentale costituita dalla stampa delle pagine web. Si e' chiesto, altresi', l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata agli effetti civili. 3.1 II difensore del ricorrente ha depositato conclusioni scritte con le quali, ribadendo ciascuna delle ragioni di ricorso, ha rappresentato, altresi', di aver tempestivamente formulato opposizione alla produzione in giudizio della documentazione della quale si contesta l'utilizzabilita', reiterando l'eccezione anche in sede di dibattimento e di discussione; nell'atto di appello e nella discussione finale di quel grado di giudizio. 3.2. Il difensore della parte civile ha depositato memorie con le quali chiede l'inammissibilita' del ricorso, che si risolve in una ripetizione dell'atto di appello, incorrendo nel vizio di genericita'; si chiede, altresi', la conferma delle statuizioni civili e la condanna alla rifusione delle spese dei giudizi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La sentenza impugnata va annullata senza rinvio, agli effetti penali, perche' e' estinto per prescrizione il reato di cui all'articolo 595 c.p., in relazione al quale il ricorrente e' stato condannato per l'imputazione come riqualificata e limitata a due sole delle espressioni offensive contestate. Rileva il Collegio che, in considerazione della non manifesta infondatezza del primo motivo dedotto dal ricorrente, nonche' del terzo motivo, il ricorso e' idoneo - diversamente dai casi di inammissibilita' per manifesta infondatezza delle censure - ad instaurare il rapporto di impugnazione, condizione che consente di rilevare d'ufficio ex articolo 609 c.p.p., comma 2, una causa di non punibilita' nelle more intervenuta, nel caso di specie costituita, appunto, dalla prescrizione del reato (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 e Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818, in motivazione). Deve essere rilevata, pertanto, la prescrizione del reato, essendo decorso il tempo massimo previsto dal legislatore per effetto del disposto degli articoli 157 e 161 c.p. dalla data del commesso reato, collocata al piu' al (OMISSIS), calcolati, altresi', i periodi di sospensione. Pertanto, in assenza di elementi che rendano evidenti i presupposti per un proscioglimento nel merito ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. (secondo quanto e' chiaramente evincibile dalla motivazione), deve accedersi ad una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali perche' il reato e' estinto per prescrizione. 2. La declaratoria di prescrizione, tuttavia, non esime il Collegio dall'esaminare il ricorso agli effetti civili, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., quanto alle sue ulteriori ragioni, essendo stato l'imputato condannato anche alle statuizioni civili in favore della persona offesa (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244273). Ed infatti, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale nei gradi di merito e' intervenuta condanna, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., il giudice d'appello e la Corte di cassazione sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili e, a tal fine, i motivi di ricorso proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato secondo quanto previsto dall'articolo 129 c.p.p. (cfr., per il giudizio d'appello, negli stessi termini, Sez. 5, n. 28289 del 6/6/2013, Cologno, Rv. 256283; nonche', tra le tante, in ordine al giudizio di legittimita', in motivazione: Sez. 1, n. 14822 del 20/2/2020, Milanesi, Rv. 278943 e Sez. 5, n. 26217 del 13/7/2020, G., Rv. 279598-02, nonche' Sez. 5, n. 28848 del 21/9/2020, D'Alessandro, Rv. 279599. Vedi in precedenza, altresi', Sez. 5, n. 5764 del 7/12/2012, dep. 5/2/2013, Sarti, Rv. 254965 - 01; Sez. 5, n. 14522 del 24/3/2009, Petrilli, Rv. 243343 - 01; Sez. 6, n. 21102 del 9/3/2004, Zaccheo, Rv. 229023 - 01). 2.1. Il primo motivo di ricorso e' infondato. La sentenza impugnata ha confermato la condanna dell'imputato decisa dal giudice di primo grado, valutando congrua la mole indiziaria acquisita per attribuirgli la paternita' dei post di facebook contenenti frasi offensive della reputazione della persona offesa, della cui rilevanza ai sensi dell'articolo 595 c.p. neppure il ricorrente dubita. Si eccepisce nuovamente da parte sua, cosi' come sostanzialmente nell'atto di appello, l'incertezza della provenienza degli "screenshot-facebook" acquisiti in fotocopia e, quindi, la loro inutilizzabilita', in mancanza di un'acquisizione affidabile dei dati telematici, non effettuata in dibattimento. La sentenza impugnata, a dispetto di quanto afferma il ricorrente, ha ben argomentato al riguardo (cfr. le pagine 12 e 13), confermando il quadro di prova basato sui numerosi e significativi elementi utilizzati per attribuire i post diffamatori all'imputato, derivati anche dalla personale osservazione dei testi di polizia giudiziaria, per alcuni aspetti: la diretta riferibilita' derivante dal richiamo del suo nome nelle pagine di provenienza dei post; le offese di tenore analogo pronunciate dall'imputato all'indirizzo della persona offesa o a terzi riferendosi a lei; il contesto di litigiosita' aspra tra i due, attestato dai numerosi interventi, nei mesi, da parte delle forze dell'ordine ed il movente, costituito dai dissidi per la rumorosita' del bar di cui e' titolare l'imputato nell'edificio di abitazione della vittima; la comparsa di molti post subito dopo le chiamate della persona offesa ai carabinieri, per denunciare il disturbo arrecatole dai rumori provenienti dal bar del ricorrente; l'assenza di denuncia sull'illecito utilizzo del profilo social da parte del ricorrente. Si tratta di dati affidabili, confortati dalla verifica di attendibilita' della persona offesa, attentamente vagliata dai giudici di merito, e dalla documentazione acquisita in fotocopia, determinante e legittimamente utilizzata. Infatti, costituisce una linea interpretativa da affermare specificamente - che si ispira al principio di atipicita' delle prove penali e del libero convincimento del giudice (articolo 189 c.p.p.) - quella che ritiene sia possibile ricostruire la riferibilita' della diffamazione al suo autore su base indiziaria, a fronte della convergenza, pluralita' e precisione di dati quali il movente; l'argomento trattato nella pubblicazione o il tenore dei contenuti offensivi; il rapporto tra le parti; la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell'imputato, con utilizzo del suo nickname, anche in mancanza di accertamenti informatici circa la provenienza del post di contenuto diffamatorio; l'assenza di denuncia di cd. furto di identita' da parte dell'intestatario della bacheca sulla quale vi e' stata la pubblicazione dei post incriminati (cfr., Sez. 5, n. 24212 del 21/1/2021, n. m.; Sez. 5, n. 45339 del 13/07/2018, Petrangelo, n. m.; Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep. 2016, Martinez, n. m.). Non puo' essere, pertanto, esclusa la riferibilita' del fatto diffamatorio all'imputato, solo perche', come nel caso di specie, non siano stati svolti accertamenti tecnici sui dati informatici, che non rivestono certo il valore di prova legale necessaria (cfr. Sez. 5, n. 2658 del 6/10/2021, dep. 2022, M., Rv. 282771), quando vi sia convergenza di altri, pregnanti elementi indiziari, del tipo di quelli appena sopra descritti. Sulla natura documentale delle fotocopie riproduttive degli screenshot contenenti i messaggi diffamatori postati in una pagina facebook, acquisibili, dunque, ex articolo 234 c.p., non vi e' dubbio, come desumibile anche da quanto affermato da questa Corte regolatrice gia' in passato (cfr. Sez. 3, n. 38681 del 26/4/2017, G., Rv. 270950), soprattutto con riguardo ai messaggi telefonici e via whatsapp, conservati nella memoria di un telefono cellulare, fattispecie analoga a quella in esame (v. Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 265991; Sez. 6, n. 1822 del 12/11/2019, dep. 2020, Tacchi, Rv. 278124; Sez. 6, n. 22417 del 16/3/2022, Sgromo, Rv. 283319). Assolutamente consolidata, poi, e' la tesi secondo cui il delitto di diffamazione possa essere commesso anche a mezzo di Internet, con uso dei social network (Sez. 1, n. 24431 del 28/04/2015, Rv. 264007) e secondo cui tale ipotesi integra la fattispecie aggravata di cui al comma 3 della norma incriminatrice (Sez. 5, n. 13979 del 25/1/2021, Chita, Rv. 281023; Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016, dep. 2017, Manduca, Rv. 269090; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Rv. 254044). 2.2. Il secondo motivo di censura formulato dal ricorrente e' manifestamente infondato e aspecifico perche' meramente reiterativo dell'identico motivo proposto in appello. La sentenza ha centrato il tema processuale della contestazione di reato per i due aspetti diffamatori dei post ed ha escluso espressamente la parte di contestazione riferita a condotte qualificabili piuttosto come minaccia e non diffamazione. L'emersione di frasi offensive ulteriori non rende nullo il capo d'imputazione perche' riferito solo ad alcune delle espressioni accertate (si veda, in un'ipotesi con punti di analogia, Sez. 3, n. 17829 del 5/12/2018, dep. 2019, Fina, Rv. 275455). 2.3. Infine, il terzo motivo di censura e' infondato. E' ben vero che il rinvio del dibattimento richiesto dalla parte civile non costituisce causa di sospensione del corso della prescrizione qualora la difesa dell'imputato non vi abbia espressamente acconsentito, limitandosi soltanto a "nulla opporre" alla richiesta di differimento (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 45126 del 22/10/2021, Campanile, Rv. 282219). Nel caso di specie, tuttavia, la Corte territoriale, esplicitamente confrontandosi con l'opzione di legittimita' richiamata, ha spiegato le ragioni in base alle quali ha ritenuto che il comportamento del difensore del ricorrente abbia avuto il significato di piena adesione all'istanza di rinvio della parte civile, poiche' egli non si e' limitato a non opporsi, ma si e' fatto portatore della richiesta proveniente dal collega non presente in udienza, depositandola e dimostrando adesione e consenso, attraverso la rappresentazione al giudice delle ragioni sottese all'istanza. Si applica, percio', in una fattispecie quale quella descritta, il principio di diritto secondo cui la richiesta di rinvio presentata dalla parte civile per qualsiasi causa (ivi compreso l'impedimento del difensore), qualora formulata congiuntamente o con l'esplicita adesione della difesa dell'imputato, comporta, in caso di accoglimento, la sospensione del corso della prescrizione per l'intero periodo di slittamento dell'udienza stabilito dal giudice (Sez. 5, n. 1392 del 15/12/2022, dep. 2023, Feligioni, Rv. 284045). Il termine di prescrizione, pertanto, giunge, comprese le sospensioni, a data successiva alla pronuncia d'appello (il 23.12.2021) e solo per la non manifesta infondatezza del ricorso in Cassazione, come si e' anticipato, deve rilevarsi l'estinzione del reato ex articoli 157 e 161 c.p., facendo salve le statuizioni civili, per le ragioni gia' esposte di rigetto complessivo delle censure agli effetti civili. 2.4. Al rigetto del ricorso agli effetti civili segue, peraltro, la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute per la rappresentanza e difesa nel presente giudizio dalla parte civile, determinabili in complessivi Euro 3.600, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.600, oltre accessori di legge

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VILLONI O. - Presidente Dott. PACILLI G. A - Consigliere Dott. PATERNO' RADDUSA B. - Consigliere Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI - rel. Consigliere Dott. DI GIOVINE O. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso il decreto del 15/09/2022 della Corte di appello di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera Dott. Paola Di Nicola Travaglini; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Di Leo Giovanni, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con il provvedimento di cui in epigrafe, la Corte di appello di Bari ha confermato il decreto del Tribunale di Bari con il quale e' stata applicata a (OMISSIS) la misura della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per tre anni, con cauzione di Euro 3000. 2.Avverso detto decreto propone ricorso il difensore di (OMISSIS) con un unico motivo. Violazione di legge per omessa e manifesta illogicita' della motivazione, con riferimento al Decreto Legislativo n. 159 del 2011 e all'articolo 125 c.p.p., avendo fondato l'accertamento dell'attuale pericolosita' sociale del proposto su una presunzione, desunta dalla sola contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., cosi' disattendendo l'orientamento contenuto nella sentenza delle Sezioni unite n. 111 del 2017, senza ancorarla ad elementi concreti viste anche la sporadicita' delle condotte, connesse alle elezioni amministrative, e la loro cessazione al (OMISSIS). Peraltro, (OMISSIS) annovera un unico precedente specifico non aggravato dalla mafiosita' e non e' indagato per reati associativi o di allarme sociale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 2. E' opportuno ribadire che il perimetro del controllo affidato alla Corte di cassazione in materia di misure di prevenzione, personali o reali, e' ammesso solo per violazione di legge, cosi' dovendosi escludere dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimita' l'ipotesi del vizio di motivazione previsto dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), restando salva la sola denuncia della motivazione inesistente o meramente apparente poiche' qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246). Alla luce di questo delimitato ambito diventano improponibili, sotto forma di violazione di legge, non solo i vizi tipici concernenti la tenuta logica del discorso giustificativo, ma anche quelli espressi in termini di mancata considerazione di prospettazioni difensive quando queste, in realta', siano state prese in considerazione dal giudice o risultino assorbite dagli argomenti del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246), o comunque non siano potenzialmente decisive ai fini della pronuncia sul punto attinto dal ricorso (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mule', Rv. 279284; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, Caliendo, Rv. 270080). 2.La censura del ricorso, fondata sull'assenza dell'attualita' della pericolosita' sociale del proposto, va rigettata. La Corte distrettuale, con argomenti completi e logici, ha illustrato le ragioni giustificative della decisione dando conto degli elementi fattuali che consentono di inquadrare (OMISSIS) nella categoria della pericolosita' sociale qualificata di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, lettera b), alla luce: a) dell'essere stato rinviato a giudizio il 7 gennaio 2021 per reiterate condotte di diffamazione e minacce, aggravate dal metodo mafioso, con dirette video, effettuate via Facebook, ai danni di alcuni candidati al Consiglio comunale e alla carica di sindaco per le elezioni amministrative del Comune di Trinitapoli, commesse nel (OMISSIS); b) della sua contiguita' con soggetti gia' condannati per estorsione aggravata dal metodo mafioso, tra cui (OMISSIS), coinvolti in numerosi procedimenti di criminalita' organizzata e da ultimo sottoposti a misura cautelare pe il reato associativo con l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.; c) dell'essere stato vittima il (OMISSIS) di un attentato a (OMISSIS) mentre conduceva l'auto in cui il citato (OMISSIS) era stato ucciso con numerosi colpi di arma da fuoco; d) della condanna definitiva per il delitto di diffamazione, commesso il (OMISSIS). Nel decreto depositato il 31 gennaio 2021 dal Giudice di primo grado, in questa sede confermato, risulta che (OMISSIS) e' intraneo alla cosca mafiosa (OMISSIS)- (OMISSIS) e (OMISSIS). Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, la Corte di appello non ha in alcun modo fondato il proprio giudizio su generiche presunzioni, ma ha valutato la pericolosita' sociale qualificata di (OMISSIS) e il suo spessore criminale alla luce di specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto, nei termini richiesti dalla Corte di legittimita' (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271511). Infatti, l'attualita' della pericolosita' sociale del ricorrente si e' fondata sulla significativa vicinanza, se non contestualita' temporale, tra le azioni criminose e i contatti con pregiudicati per mafia ((OMISSIS)-(OMISSIS)) e la data di applicazione della misura di prevenzione da parte del Giudice di primo grado (31 gennaio 2021), nonche' sullo spessore criminale di (OMISSIS), che si e' reso protagoniste di reiterate condotte poste in essere con il metodo mafioso, in un breve e continuativo lasso di tempo, tanto da rendere del tutto irrilevante l'assenza di precedenti per reati aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1.c.p.. 4. Alla complessiva infondatezza del ricorso segue il rigetto dello stesso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. CANANZI Francesc - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 07/02/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere CANANZI FRANCESCO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore CERONI FRANCESCA che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito l'avvocato (OMISSIS) nell'interesse della parte civile (OMISSIS), che ha illustrato la memoria gia' depositata e ha depositato la nota spese, concludendo per l'inammissibilita' del ricorso, in subordine per il rigetto, con conferma delle statuizioni civili e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; lette la memoria depositata dall'avvocato (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente, con la quale il difensore ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza emessa il 7 febbraio 2022, confermava la sentenza del Tribunale di Cosenza, che aveva accertato la responsabilita' penale di (OMISSIS) che, in relazione ai delitti di diffamazione a mezzo del quotidiano "La Provincia di Cosenza" e a mezzo facebook in danno di (OMISSIS), condannava alla pena di mesi otto di reclusione, riconosciuta l'equivalenza delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, oltre che al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio. Al capo a) veniva contestato il delitto previsto dall'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 595 c.p., comma 3 e L. 8 febbraio 1948, n. 47, articolo 13 "perche', in tempi diversi, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con il mezzo della stampa, quale autore di articoli giornalistici pubblicati nei numeri di seguito indicati del quotidiano "La Provincia di Cosenza" e comunque nella qualita' di direttore responsabile del suddetto quotidiano con riferimento agli articoli giornalistici privi di firma, attribuiva al Sindaco di Cosenza (OMISSIS) fatti determinati lesivi della sua reputazione, non rispondenti al vero ed in particolare: - pubblicava, nel numero del 14.1.2015, sotto il titolo "I fratelli musulmani" una foto della persona offesa con la didascalia " (OMISSIS)", nonche' del fratello (OMISSIS) con la didascalia (OMISSIS), accanto alle fotografie dei fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), autori della strage terroristica avvenuta a (OMISSIS) ai danni della redazione del settimanale satirica (OMISSIS)", cosi' accostando, in maniera diffamatoria, la figura di (OMISSIS) a quella dei suddetti terroristi franco-algerini; - attribuiva, nel numero del (OMISSIS), alla persona offesa di essersi assegnato, di propria iniziativa un servizio scorta composto da Vigili Urbani del Comune di Cosenza, mentre, in realta', "un servizio di continuo e costante accompagnamento nell'ambito degli spostamenti dell' (OMISSIS) era stato disposto, a cura della locale Polizia Municipale, dal Prefetto di Cosenza in data 27.6.2013 nell'ambito dell'intensificazione delle misure di protezione del primo cittadino, contrariamente a quanto scritto dall'indagato; - attribuiva falsamente alla persona offesa condotte agevolatrici di eventuali illeciti dei suoi collaboratori scrivendo testualmente nel numero del 18.1.2015 del suindicato quotidiano: "...l'ipocrisia di gente che predica bene, ti fa la morale e poi spende 54 mila Euro sulle spalle dei cittadini per consentire, tra l'altro, al suo caposcorta di andare a puttane"; pubblicava, nel numero del 19.3.2015, l'articolo intitolato: "L'accordo di potere tra (OMISSIS) e i potenti "(OMISSIS)", in cui insinuava il perseguimento di interessi privati da parte dell' (OMISSIS) nell'amministrazione della âEuroËœres' pubblica, ed all'interno del quale erano contenute, fra l'altro, le seguenti espressioni diffamatorie della figura della persona offesa: "... Nomina dirigenti e affida incarichi al Comune e alla Provincia senza soluzione di continuita'. Un fiume di denaro pubblico che si riversa nelle tasche di soggetti che evidentemente hanno la potenzialita' di âEuroËœrecuperargli' un bel po' di voti per la sua missione impossibile: quella di rimanere a Palazzo dei Bruzi e quindi anche alla Provincia. Per dilapidare i fondi dello Stato e, magari, a riassestare le sue esangui casse.", "Indecoroso lo spreco di denaro pubblico di (OMISSIS) alla Provincia: 1 milione e mezzo di Euro all'anno per i "clienti."; - attribuiva alla persona offesa, nell'articolo del 21.3.2015 intitolato: "Palazzi Occhiuto. Una grande lobby di clientele e potere.", una gestione clientelare della Provincia e del Comune di Cosenza, fra l'altro scrivendo testualmente: "Mario usa la politica come ai tempi della prima Repubblica. Nomine e incarichi per avere consenso. La sua squadra e' formata da 42 clienti.". Al capo b) a (OMISSIS) veniva contestato il delitto previsto dall'articolo 595 c.p., commi 2 e 3, "perche' sul social network denominato "facebook", comunicando con piu' persone, offendeva la reputazione di (OMISSIS) utilizzando le seguenti espressioni oltraggiose ed ingiuriose: "Oggi il sindaco piu' squallido e viscido della storia di Cosenza si impossessera' del Castello dei cosentini per i suoi loschi interessi personali. In risposta alla vergognosa propaganda di questo mentecatto, che vorrebbe ancora ammorbarci con la sua falsita' e la sua continua ricerca di denaro per appianare i suoi debiti...". Con le aggravanti consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato, lesivo dell'altrui reputazione, commesso con un mezzo di pubblicita'. In localita' imprecisata il (OMISSIS)". 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di sei motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Il primo motivo deduce violazione di legge processuale e in particolare degli articoli 484 e ss. c.p.p. e articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c). Lamenta il ricorrente che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere infondato il motivo di impugnazione avente ad oggetto la circostanza che in primo grado il Giudice non dichiaro' l'apertura del dibattimento ne' provvide all'ammissione delle prove, impedendo l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato, tanto piu' che il difensore era nominato in sostituzione ex articolo 97 c.p.p., comma 4. Per altro l'imputato non aveva ricevuto notifica del decreto di citazione a giudizio. 4. Il secondo motivo deduce violazione dell'articolo 419 c.p.p., comma 7, in quanto la Corte di appello non ebbe a rilevare la nullita' dell'avviso dell'udienza preliminare che non indicava, in caso di mancata comparizione dell'imputato, l'applicazione delle disposizioni "di cui agli articoli 420-bis, 420-ter, 420-quater e 420-quinquies" bensi' l'espressione "avverte l'imputato che non comparendo sara' giudicato in assenza". 5. Il terzo motivo lamenta l'omessa notifica del decreto di citazione all'imputato, in quanto i Carabinieri notificarono solo due verbali relativi a due differimenti di udienza e non anche il decreto che dispone il giudizio. 6. Il quarto motivo deduce nullita' per omesso esame dell'imputato e omesso rinvio ai fini della discussione. 7. Il quinto motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla attribuzione del profilo facebook al (OMISSIS). Lamenta il ricorrente omessa motivazione della Corte di appello a riguardo, a fronte di una decisione della Corte di legittimita' che annullava con rinvio per il medesimo vizio in altro procedimento, in quanto non era sufficiente il nickname per l'identificazione, dovendo invece verificarsi l'indirizzo IP. 8. Il sesto motivo lamenta violazione di legge in relazione all'articolo 133 c.p., con riferimento alla circostanza che la Corte di appello avrebbe confermato la pena detentiva, erroneamente ritenendo che (OMISSIS) abbia istigato alla violenza e all'odio, in difformita' rispetto alla giurisprudenza convenzionale e di legittimita'. 9. Il ricorso e' stato trattato con intervento delle parti, avendo i difensori tempestivamente richiesto la discussione orale, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 202, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, articolo 94, come modificato dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. 10. L'avvocato (OMISSIS) ha poi richiesto per iscritto un breve rinvio per impedimento, ma la Corte ha ritenuto, come da ordinanza a verbale, non legittimo l'impedimento. L'avvocato (OMISSIS) concludeva comunque con memoria depositata. L'altra parte oralmente come indicato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' solo parzialmente fondato. 2. Preliminare e' la verifica della tempestivita' del ricorso per cassazione, questione posta dalla parte civile in sede di discussione. Va evidenziato come il ricorso sia tempestivo, in quanto la sentenza della Corte di appello, datata 7 febbraio 2022, risultava andare a scadenza dopo 90 giorni, quindi il 10 maggio 2022, essendo il giorno precedente festivo; da tale data il termine di 45 giorni per prestare l'impugnazione andava a scadere il 23 giugno 2022, ma il deposito del ricorso avveniva il giorno 22 giugno 2022, quindi tempestivamente. 3.. Quanto al primo motivo di ricorso la Corte di appello ha ritenuto a buona ragione che la mancata dichiarazione di apertura del dibattimento non integri alcuna nullita', essendo tale sanzione fondata sul principio di tassativita', escludendo per altro che abbia avuto incidenza sull'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato. La Corte territoriale dava atto che la difesa non ebbe a eccepire alcunche' a riguardo e che vi era stata la formale attivita' di assunzione dei mezzi di prova e, quanto alle questioni preliminari, evidenziava come la richiesta di riunione con altro procedimento fu formulata dal difensore prima dell'escussione dei testimoni, quindi ammessa, ma rigettata nel merito, non perche' tardiva. In vero infondata e' la doglianza ora proposta, in quanto la Corte territoriale ha correttamente escluso la sussistenza di alcuna nullita'. Trattandosi di dedotto error in procedendo ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), la Corte di Cassazione e' "giudice anche del fatto" e per risolvere la relativa questione puo', e talora deve necessariamente, accedere all'esame dei relativi atti processuali, esame che e', invece, precluso soltanto se risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicita' della motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) (Cass., Sez. Un. 31 ottobre 2001, Policastro, rv. 220092). Alcuna lesione e' derivata alla difesa dell'imputato dall'omessa dichiarazione di apertura del dibattimento, essendo stata consentita la questione preliminare in merito alla riunione ai sensi dell'articolo 491 c.p.p., comma 2. Sono poi utilizzabili, ai fini della decisione, le prove acquisite in dibattimento, anche in mancanza di una dichiarazione formale di apertura dello stesso, in quanto l'omissione di tale dichiarazione non da' luogo ad alcuna nullita' (Sez. 3, n. 9372 del 11/02/2020, D., Rv. 278403 - 01). Quanto alla doglianza relativa alla mancata ammissione dei mezzi di prova, la Corte di appello si e' confrontata con la doglianza formulata come segue: " ne' sono mai state ammesse liste e/o documentazione". Si tratta di una deduzione generica gia' in appello, rispetto alla quale la Corte territoriale ha dato ampia risposta. D'altro canto l'espressione aspecifica, senza alcun riferimento all'ordinanza di ammissione delle prove come prevista dall'articolo 495 c.p.p., ora formulata, viene smentita dalla circostanza che la documentazione venne acquisita nel corso del giudizio e che i testi furono escussi, senza che la difesa dell'attuale ricorrente ebbe a eccepire alcunche' a riguardo. Pertanto la natura aspecifica del motivo di appello ne determina la preclusione in cassazione. Infatti, l'appello, al pari del ricorso per cassazione, e' inammissibile per difetto di specificita' dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificita', a carico dell'impugnante, e' direttamente proporzionale alla specificita' con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato. (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 - dep. 22/02/2017, Galtelli, Rv. 26882201). Ne consegue che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non puo' formare oggetto di ricorso per cassazione, poiche' i motivi generici restano viziati da inammissibilita' originaria, quand'anche il giudice dell'impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022 Testa, Rv. 283808 - 01; conf. N. 1982 del 1999 Rv. 213230 - 01, N. 10709 del 2015 Rv. 262700 - 01). 4. Quanto al secondo motivo infondata e' la deduzione relativa alla nullita' del decreto per l'udienza preliminare, non contenendo esso l'indicazione che non comparendo si sarebbero applicate le disposizioni di cui agli articoli 420-bis, 420-ter, 420- quater e 420-quinquies c.p.p.. La Corte di appello correttamente rileva come l'imputato abbia avuto corretta informazione con l'avviso che il processo sarebbe continuato in absentia, tanto che la stessa difesa non ebbe a eccepire alcunche' in ordine alla dichiarazione di assenza dell'imputato. D'altro canto la Corte ha fatto buon governo delle norme invocate dal ricorrente, anche perche' la nullita' prevista dall'articolo 419, comma 7, prodotta dalla violazione dell'articolo 419 c.p.p., comma 1, deve ritenersi integrante una nullita' di ordine generale di carattere intermedio, che, in quanto tale, e' rilevabile se sollevata dalla parte interessata nella sua prima difesa relativa. Nel caso di specie non risulta che il difensore dell'imputato all'udienza del 18 aprile 2016 abbia eccepito alcunche'. A ben vedere, e in conclusione, la mera omissione delle norme di riferimento e' del tutto irrilevante ai fini della compiuta informazione sulle conseguenze della scelta processuale che egli intendesse operare, rimanendo dunque escluso che tale omissione infici la validita' del decreto (tra le altre, Sez. 5, n. 44652 del 2021, (OMISSIS), non massimata). 5. Il terzo motivo e' infondato in quanto, come osserva la Corte di appello, la notifica venne operata da parte dei Carabinieri che hanno dato atto di aver notificato anche il decreto che dispone il giudizio, come emerge dalla nota in atti. 6. Anche in merito al quarto motivo la Corte di appello evidenzia come non fu mai richiesto l'esame dell'imputato: a ben vedere, quand'anche fosse stato richiesto, l'assenza dell'imputato senza la prospettazione di un legittimo impedimento legittimava il giudice di primo grado a revocare l'ordinanza che ne aveva ammesso l'esame medesimo, come effettuato dal Tribunale di Cosenza all'udienza del 5 luglio 2018. Infatti, e' legittima la revoca dell'ordinanza di ammissione dell'esame dell'imputato, allorche' questo non sia comparso all'udienza stabilita per l'incombente senza addurre un impedimento ritenuto legittimo dal giudice (Sez. 1, n. 37283 del 24/06/2021, Bosco, Rv. 282009 - 01; conf. N. 40317 del 2006 Rv. 235110 - 01, N. 14914 del 2009 Rv. 244193 - 01), tanto piu' che, come osserva la Corte territoriale, l'imputato ben puo' presentarsi in appello e rendere dichiarazioni, a norma dell'articolo 523 c.p.p. (Sez. 2, n. 44945 del 11/10/2013, Mazzaferro, Rv. 257312 - 01), come ha osservato correttamete la Corte territoriale. Quanto al rigetto della istanza di sospensione del giudizio di primo grado per consentire la discussione al difensore in udienza successiva, la Corte di appello ha ritenuto legittima l'ordinanza di rigetto del Tribunale di Cosenza, che con adeguata motivazione evidenziava come la discussione fosse stata calendarizzata e non vi fossero ragioni per il differimento. A ben vedere in data 22 febbraio 2018 il Giudice monocratico differiva la trattazione per legittimo impedimento dell'avvocato (OMISSIS), calendarizzando per l'udienza del 5 luglio l'esame della persona offesa, l'esame dell'imputato e la discussione. In tale ultima data il rigetto dell'istanza di ulteriore rinvio era fondato sulla menzionata calendarizzazione, come anche per la circostanza che dall'esame della parte civile non fosse emerso alcunche' che giustificasse la sospensione del dibattimento. D'altro canto, l'articolo 477 c.p.p., comma 2, prevede che il giudice possa sospendere il dibattimento "soltanto per ragioni di assoluta necessita'", nel caso in esame in modo congruo valutate dal primo Giudice e confermate dalla Corte di appello, con motivazione non manifestamente illogica e rispondente al principio di concentrazione salvaguardato dall'articolo 477 c.p.p., comma 2. 7. Quanto al quinto motivo, relativo al capo b) dell'imputazione, la Corte di appello ha ritenuto idonea la prova per l'attribuzione dello scritto pubblicato attraverso il profilo facebook a (OMISSIS), escludendo dubbi in ordine alla attribuibilita'. Cio' per il riferimento nominativo a (OMISSIS) del profilo e per l'effigie fotografica dello stesso. E bene tale valutazione non risulta ne' contraddittoria ne' manifestamente illogica, anzi avendo la Corte territoriale ha richiamato a buona ragione Sez. 5., n. 24212 del 2021, che ha affermato che non vi e' dubbio che il delitto di diffamazione possa essere commesso anche a mezzo di Internet, con uso dei social network (Sez. 1, n. 24431 del 28/04/2015, Rv. 264007; Sez. 5, 28 ottobre 2011 n. 44126; Sez. 5, 17 novembre 2000, n. 4741; Sez. 5, 4 aprile 2008 n. 16262, 16 luglio 2010 n. 35511) e che tale ipotesi integra l'ipotesi aggravata di cui al comma 3 della norma incriminatrice (Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016, dep. 2017, Manduca, Rv. 269090; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Rv. 254044). Quanto alla riferibilita' della diffamazione riteneva questa Sezione che sia attribuibile il profilo facebook anche su base indiziaria, a fronte della convergenza, pluralita' e precisione di dati quali il movente, l'argomento del forum su cui avviene la pubblicazione, il rapporto tra le parti, la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell'imputato, con utilizzo del suo nickname, anche in mancanza di accertamenti circa la provenienza del post di contenuto diffamatorio dall'indirizzo IP dell'utenza telefonica intestata all'imputato medesimo. Si e', inoltre, attribuito rilievo, assieme agli elementi indiziari sopra sottolineati, anche all'assenza di denuncia di cd. furto di identita' da parte dell'intestatario della bacheca sulla quale vi e' stata la pubblicazione dei post incriminati (cfr., Sez. 5, n. 45339-18 del 13/07/2018, Petrangelo, n. m.; Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep. 2016, Martinez, n. m.). Pertanto corretta e' la decisione della Corte di appello, in quanto in linea con questi criteri logici e connessa a condivise massime di esperienza che comprovano la provenienza del post da (OMISSIS) che ha omesso di denunciare l'uso illecito eventualmente compiuto da parte di terzi. 8. Quanto al sesto motivo all'imputato e' stata inflitta la pena di mesi otto di reclusione. Va premesso che l'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita', a seguito della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, e' subordinata alla verifica della "eccezionale gravita'" della condotta, che, secondo un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, si individua nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi d'odio e di incitazione alla violenza (in relazione alla diffamazione a mezzo internet, Sez. 5 -, Sentenza n. 13993 del 17/02/2021, Scaffidi, Rv. 281024 - 01). La Corte costituzionale si e' poi interrogata sulla compatibilita' costituzionale del regime sanzionatorio delineato dall'articolo 595 c.p., comma 3, (che prevede la pena detentiva come alternativa a quella pecuniaria), offrendo una risposta positiva, seppur ristretta entro rigorosi limiti, che sono riferiti espressamente all'intera gamma delle ipotesi contemplate dalla norma, vale a dire ai casi in cui l'offesa e' stata recata col mezzo della stampa, con qualsiasi altro mezzo di pubblicita' ovvero in atto pubblico. In particolare, la Corte costituzionale ha precisato che l'inflizione della pena detentiva non e' incompatibile con le ragioni di tutela della liberta' di manifestazione del pensiero, nei soli casi in cui l'offesa si caratterizzi per la sua eccezionale gravita'. Il potere discrezionale che l'articolo 595 c.p. attribuisce al giudice, nella scelta tra la reclusione e la multa, dunque, deve essere esercitato tenendo conto dei criteri di commisurazione della pena di cui all'articolo 133 c.p., ma anche dei precisi limiti delineati dalla Corte costituzionale. Tanto premesso, va rilevato che, nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto sussistenti le eccezionali ragioni di gravita', giustificanti la pena detentiva, rispondendo allo specifico motivo di gravame relativo al trattamento sanzionatorio e rilevando come dalle parole utilizzate da (OMISSIS) traspaia istigazione all'odio e alla violenza, paragonando il sindaco (OMISSIS) ai terroristi islamici nell'ambito di una campagna di disinformazione sistematica e reiterata. A ben vedere la motivazione sul punto risulta non adeguata a adempiere ai predetti requisiti, in violazione dell'articolo 133 c.p., dovendo specificare il Giudice di merito, nell'esercizio della discrezionalita', quali siano specificamente le condotte di istigazione all'odio e alla violenza rivolte contro la persona offesa, con una attenta lettura dei messaggi che, certamente diffamatori, richiedono un quid pluris motivazionale per l'opzione della pena detentiva, in luogo di quella pecuniaria. In sostanza, occorre verificare se oltre la diffamazione vi sia anche un incitamento significativo a determinare il lettore a compiere un'azione violenta o a suscitare odio verso la persona offesa, con riferimento al contesto specifico ed alle modalita' del fatto, tenendo anche in conto del ruolo di sindaco della persona offesa che, come tale, non solo e' esposto all'esercizio del diritto di critica politica e alla satira, ma e' anche percepito dai consociati come esposto a critiche da parte degli avversari politici. Se questa e' la valutazione a farsi, e' evidente che si tratta di una decisione che, implicando giudizi concernenti il merito della regiudicanda, spetta al Giudice di merito, il quale dovra' decidere se la meritevolezza della pena detentiva, peraltro non condizionalmente sospesa. In caso contrario, eventualmente esercitando i poteri di ufficio ex articolo 597 c.p.p., u.c., il Giudice del rinvio dovra' rimodulare il trattamento sanzionatorio. 9. La sentenza, pertanto, sul punto, deve essere annullata, con conseguente rinvio al giudice di merito, al quale spetta la valutazione in ordine alla verifica dell'eccezionale gravita' della condotta e alla conseguente applicabilita' della pena detentiva. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina emessa in data 10/12/2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rossella Catena; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Paola Mastroberardino, che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni scritte dell'avv.to (OMISSIS), difensore e procuratore speciale della parte civile (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso, chiedendo la condanna alle spese; lette le conclusioni scritte dell'avv.to (OMISSIS) che, nell'interesse del ricorrente, insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Messina confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Messina in composizione monocratica, in data 14/10/2020, con cui (OMISSIS), era stato condannato a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, in relazione al reato di cui all'articolo 595 c.p., in Roccalumera, fino all'ottobre 2017. 2. (OMISSIS), ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), in data 22/11/2021, deducendo un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti di cui all'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p.: 2.1 violazione di legge, in riferimento all'articolo 595 c.p., comma 3, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) in quanto le frasi attribuite al ricorrente non hanno alcuna valenza offensiva ne' contenuto violento, costituendo espressioni dialettali usuali tra persone che sono in confidenza, come il ricorrente e la parte civile che, su Facebook avevano da tempo scontri verbali per ragioni politiche, come dimostrato dalla documentazione depositata nel corso del giudizio. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso di (OMISSIS), e' manifestamente infondato, per le ragioni di seguito illustrate. La vicenda riguarda le frasi pubblicate sulla pagina Facebook del gruppo "Roccalumera" dall'imputato, il quale apostrofava la persona offesa, (OMISSIS), con le frasi "Ignorante libero.... sia personalmente che politicamente... la verita' e' che sei tutto cretino... non arrivi a capire perche' sei ignorante libero.... si tu ca un maccaruni senza puttusu.... certe cazzate scrivile sul tuo sito.... Ciccio non tela prendere.... porta pazienza ma si vede che ti hanno classificato nella categoria sciacqua lattughe." La Corte di merito ha osservato come il contesto politico non giustificasse in alcun modo la valenza evidentemente denigratoria delle frasi utilizzate, anche in considerazione della circostanza che era risultato come il (OMISSIS) non perdesse occasione di intervenire, con espressioni offensive, per commentare qualsiasi esternazione del (OMISSIS), anche non inerente ad argomenti strettamente politici, apparendo gli interventi del tutto pretestuosi ed evidentemente finalizzati ad insultare pubblicamente il (OMISSIS), soggetto che il (OMISSIS) non conosceva neanche personalmente, tanto e' vero che la persona offesa aveva piu' volte diffidato l'imputato dal persistere nelle condotte. Infine, la sentenza impugnata ha specificato che non e' necessario, ai fini della diffamazione, che la persona offesa sia intimorita, e neanche che le frasi istighino o facciano riferimento alla violenza. Tanto premesso, appare evidente come i motivi di ricorso siano meramente reiterativi delle medesime doglianze gia' rappresentate in appello, e che, inoltre, essi non si confrontino affatto con la motivazione della sentenza impugnata, atteso che l'uso di forme verbali discutibili, di contenuto lesivo dell'onorabilita' del (OMISSIS), appare viepiu' evidente se del tutto decontestualizzato da un contesto di critica politica, escluso dalla Corte di merito e genericamente evocato dalla difesa. La pregressa conoscenza tra l'imputato e la persona offesa, peraltro, risulta incontestabilmente smentita dalla sentenza impugnata, circostanze in aperto contrasto con quanto sostenuto dalla difesa in ricorso. Infine, la motivazione della sentenza impugnata appare del tutto coerente con la giurisprudenza di legittimita', secondo cui il limite della continenza nel diritto di critica e' superato in caso di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato (Sez. 5, n. 320 del 14/10/2021, dep. 10/01/2022, Mihai Traian Claudiu, Rv. 282871; Sez. 5, n. 15089 del 29/11/2019, P.M. c. Cascio Antonino, Rv. 279084; Sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011, Dessi' e altro, Rv. 250174). Nel caso in esame, quindi, il contesto di contrasto politico appare del tutto genericamente evocato, e, in molti casi, del tutto escluso dalla sentenza impugnata, apparendo, quindi, le frasi e gli epiteti utilizzati non inquadrabili neanche in un contesto di contrapposizione politica, ne' di dileggio personale tra soggetti legati da vincoli di conoscenza, con conseguente piena integrazione della condotta di diffamazione. Va, infatti, rilevato che benche' determinati epiteti, quali quelli utilizzati dall'imputato, siano entrati nel linguaggio comune o rappresentino modalita' verbali colloquiali, nondimeno la loro valenza offensiva non e' stata vanificata dall'uso, ma semplicemente attenuata in riferimento, tuttavia, a contesti specifici - quali quelli di tipo colloquiale, personale, tra soggetti legati da vincoli di amicizia e simili -, dovendo ritenersi come la valenza denigratoria insita nel lemma lessicale si riespanda totalmente allorquando l'uso risulti del tutto gratuito, come verificatosi nel caso in esame. Dalla declaratoria di inammissibilita' del ricorso discende, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonche' alla alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 3.500,00 oltre oneri accessori. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3.500,00 oltre oneri accessori.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Consigliere Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/2/2022 della Corte d'appello di L'Aquila; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli; lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Francesca Loy, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni del difensore della parte civile avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di L'Aquila, in parziale riforma della pronunzia di primo grado ed in accoglimento dell'appello della parte civile, ha ritenuto, ai soli effetti civili, (OMISSIS) responsabile del reato di diffamazione aggravata commesso in danno di (OMISSIS) pubblicando sulla propria bacheca "Facebook" uno scritto offensivo dell'onore e della reputazione del medesimo e conseguentemente ha condannato l'imputata al risarcimento dei danni subiti dal (OMISSIS), liquidati equitativamente in Euro 5.000, nonche' alla refusione al medesimo delle spese sostenute nei due gradi del giudizio di merito. La Corte territoriale ha invece dichiarato inammissibile l'appello proposto agli effetti penali dal Procuratore Generale perche' presentato con modalita' non consentite. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputata che, con unico motivo, deduce erronea applicazione della legge penale. In tal senso la ricorrente lamenta il malgoverno dei consolidati principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimita' in merito al riconoscimento della scriminante dell'esercizio del diritto di critica politica, posto che la Corte avrebbe ingiustificatamente ritenuto le espressioni utilizzate nello scritto per definire il (OMISSIS) come una gratuita aggressione alla sua persona, senza considerare il contesto nel cui ambito lo scritto e' stato pubblicato, ossia una discussione di natura politica relativa all'operato dell'amministrazione comunale di Giulianova, di cui la persona offesa era il sindaco. Lo scritto era dunque diretto a censurare i comportamenti pubblici della presunta vittima, seppure con toni aspri, ma comunque compatibili con l'esercizio del diritto di critica politica. Erroneamente e comunque apoditticamente la sentenza impugnata avrebbe poi considerato, al fine di affermarne la natura diffamatoria, anche le ulteriori espressioni contenute nello scritto e dirette ad accusare di non meglio definite ruberie ai danni della cittadinanza gli amministratori comunali. Infatti gia' il giudice di primo grado aveva escluso la rilevanza di tale parte dello scritto in ragione della genericita' dell'indicazione dei destinatari delle suddette accuse. 3. Il difensore della parte civile ha depositato memoria con la quale ha eccepito l'intempestivita' del ricorso e comunque la sua inammissibilita', rilevando come le espressioni contestate travalichino i limiti della continenza necessaria per la configurabilita' dell'esimente del diritto di critica politica. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Anzitutto deve essere respinta l'eccezione di tardivita' del ricorso sollevata dal difensore della parte civile nella sua memoria. Dagli atti risulta infatti che il ricorso e' stato tempestivamente presentato il 29 giugno 2022 nella cancelleria del Tribunale di Teramo ai sensi dell'articolo 582 comma 2 c.p.p., rimanendo dunque irrilevante la data in cui lo stesso e' stato trasmesso a quella della Corte d'appello di L'Aquila. 3. Cio' premesso il ricorso e' comunque inammissfibile. 3.1 Oltre al pacifico fondamento costituzionale del diritto di critica, quale espressione della liberta' di manifestazione del pensiero (articolo 21 Cost.), e' opportuno rilevare, al riguardo, che il contenuto ed i limiti del diritto di critica si sono nutriti, soprattutto negli ultimi decenni, anche dell'elaborazione della giurisprudenza Europea della Corte EDU, la quale ha costantemente riconosciuto la liberta' di espressione come presupposto e chiave di volta di una societa' democratica, nonche' garanzia contro le ingerenze dell'autorita' pubblica, evidenziando la necessita' di evitare il rischio di effetto dissuasivo (c.d chilling effect) nell'esercizio, soprattutto (ma non solo), dell'attivita' giornalistica (Corte EDU, caso Bladet Tromso e Stensaas c. Norvegia, 20/5/1999; Corte EDU, Cumpa'na' e Mazare c. Romania, 17/12/2004; Corte EDU, Riolo c. Italia, 17/7/2008; Corte EDU, Gutie'rrez Sua'rez c. Spagna, 1/6/2010; Corte EDU, Belpietro c. Italia, 24/9/2013). Al riguardo, nella valutazione del tipo di espressione oggetto di controversia, assume altresi' rilievo la distinzione, elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per esaminare la buona fede ed il rispetto delle regole di prudenza e serieta' di colui che invoca la garanzia (con particolare riferimento ai giornalisti) -, tra fatti e i giudizi di valore: i fatti, a differenza delle opinioni, si possono provare, mentre per i giudizi di valore non e' possibile pretendere una verifica di conformita', che sarebbe in contrasto con la stessa liberta' di opinione (Corte EDU, Lingens c. Austria, 8/7/1986; Corte EDU, Grimberg c. Russia, 21/7/2005, § 29; Corte EDU" Peruzzi c. Italia, 30/06/2015, § 48). Tuttavia, anche i giudizi di valore devono fondarsi su una sufficiente base fattuale (Corte EDU, Jerusalem c. Austria, 27/2/2001, Ei 43; Corte EDU, GRA Stiftung gegen Rassismus und Antisemitismus c. Svizzera, 9/1/2018, §§ 51-80; Corte EDU, Perna c. Italia, 6/5/2003; Corte EDU, Riolo c. Italia, 17/7/2008; di recente, altresi', Corte EDU, Antunes Emidio e Soares Gomes da Cruz c. Portogallo, 24/9/2019, la quale ha ribadito che la liberta' di espressione gode di un elevato livello di protezione quando la manifestazione di opinione riguarda questioni di interesse pubblico, e ha inoltre sottolineato che al fine di identificare il livello di protezione della liberta' di espressione occorre considerare la differenza tra descrizione di fatti storici e espressione di giudizi di valore, dal momento che quest'ultimi non sono suscettibili di prova). 3.2 Coerenti a tale elaborazione sono i consolidati principi affermati da questa Corte ai fini della configurabilita' dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica invocata dalla ricorrente. In tal senso si e' sottolineato come la stessa trovi fondamento nell'interesse all'informazione dell'opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, rimanendo pero' necessario che l'elaborazione critica non sia avulsa da un nucleo di verita' ove la stessa si fondi su fatti storici e non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui (ex multis Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020, Capozza, Rv, 279909; Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, Coppola, Rv. 272432; Sez. 5, n. 7715 del 04/11/2014, dep. 2015, Caldarola, Rv. 264064; Sez. 1, n. 40930 del 27/09/2013 Travaglio, Rv. 257794Sez. 5, n. 11662 del 06/02/2007, Iannuzzi, Rv. 236362; Sez. 5, n. 19334 del 05/03/2004, Giacalone, Rv. 227754). Tuttavia il rispetto della verita' del fatto che ha costituito l'occasione per lo sviluppo della critica assume, in riferimento all'esercizio del relativo diritto, un rilievo piu' limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor piu' quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non puo', per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (ex multis Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, dep. 2017, Volpe, Rv. 270284; Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, Simeone, Rv. 249239; Sez. 5, n. 49570 del 23/09/2014 Natuzzi, Rv. 261340). In tal caso, il limite immanente all'esercizio del diritto di critica e', come detto, essenzialmente quello del rispetto della dignita' altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l'utilizzo di argumenta ad hominem (ex multis Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, Simeone, Rv. 249239). 4. La Corte territoriale, nel ribaltare il verdetto pienamente liberatorio del giudice di primo grado, si e' attenuta a questi consolidati principi. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente i giudici del merito hanno tenuto conto del contesto nel cui ambito lo scritto e' stato pubblicato, evidenziando pero' come alcune delle esternazioni della (OMISSIS) trascendano i limiti di continenza in grado di legittimare una seppur aspra critica politica. Valutazione che appare giustificata alla luce dell'utilizzo di epiteti come "scimmia" o "macaco ballerino" per definire la persona offesa, i quali si traducono in un tanto rabbioso quanto gratuito attacco alla persona del (OMISSIS), a maggior ragione perche' veicolati attraverso uno scritto "postato" da remoto e non gia', ad esempio, nel corso di una discussione tra persone presenti, e che in maniera apodittica il giudice di primo grado aveva ritenuto invece iscrivibili nell'ambito di operativita' dell'esimente. Se i contenuti descritti sono sufficienti a giustificare la decisione della Corte territoriale, non appaiono fondate nemmeno le critiche avanzate dalla ricorrente in riferimento alla ritenuta diffamatorieta' degli ulteriori passaggi dello scritto oggetto di contestazione. Ancora una volta coerentemente al contenuto dell'elaborato il giudice dell'appello ha ritenuto superficiale e frutto di una esasperata segmentazione dello stesso l'affermazione della pronunzia di primo grado per cui le indefinite accuse di "ruberie" mosse dall'imputata sarebbero state rivolte a non meglio precisati amministratori pubblici. Con motivazione logica la sentenza impugnata ha invece evidenziato che il complessivo contenuto dello scritto e la stretta correlazione tra le sue parti consenta di individuare la persona offesa tra i destinatari delle suddette accuse, posto che egli era all'epoca dei fatti al vertice dell'amministrazione comunale ed e' il terminale della contestazione sviluppata nella prima parte dello scritto. E non e' dubbio che anche tali accuse si pongano al di fuori del perimetro del legittimo esercizio del diritto di critica, attesa la generica evocazione di fatti illeciti in cui si sostanziano. 5. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila alla Cassa delle Ammende, nonche' alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in Euro 3.500, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.500,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATENA Rossella - Presidente Dott. MICCOLI Grazia - rel. Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/02/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Grazia Rosa Anna Miccoli; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Giuseppe Riccardi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l'avvocato Ippolita Naso, quale sostituto processuale dell'avv. Anna Lisa Mazzara e in difesa di (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso e depositato nota spese; udito l'avvocato Giovanni Pino, in difesa del ricorrente, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 14 febbraio 2022, la Corte di Appello di Messina ha confermato la pronuncia di primo grado con la quale (OMISSIS) era stato condannato per i reati di diffamazione e minaccia in danno dell'avv. (OMISSIS). Secondo l'imputazione il (OMISSIS), utilizzando il suo profilo social Facebook e riferendosi a dei fatti oggetto di un procedimento penale in corso, aveva offeso la reputazione dell'avv. (OMISSIS), definendolo "un povero idiota che ha l'abitudine di frugare nelle bacheche delle vittime dei suoi clienti e dei loro amici alla ricerca di immagini equivoche che possono influenzare o confondere un giudice od un pubblico ministero in udienza..."; nello stesso post era stato scritto: "Sarai pure laureato ma resti un litigatore per conto terzi, un avvocato che si rispetti non ha la tua pochezza morale, ne' tanto meno la tua disonesta' intellettuale.... ci vediamo in Tribunale..... ho tante cose da dire....posso solo anticiparti che non sara' indolore". 2. Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore ed articolato nei motivi qui di seguito sintetizzati a norma dell'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo di ricorso sono denunziati violazione di legge e conseguenti vizi motivazionali in riferimento all'affermazione di responsabilita' dell'imputato per il reato di diffamazione. Nonostante non sia emersa la prova che il profilo Facebook sul quale e' stato scritto il post diffamatorio e minaccioso fosse effettivamente riconducibile al (OMISSIS), la Corte territoriale ha confermato la penale responsabilita' ritenendo che fossero sufficienti le circostanze che lo stesso profilo riportasse il nome e il cognome dell'imputato e che a questi fossero note le vicende cui ha fatto riferimento il post. Sarebbe poi errata la decisione sull'oggettiva individuazione del soggetto a cui risulta riferibile il contenuto del post, sebbene il suo autore non avesse fatto specifico riferimento all'avv. (OMISSIS). 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, in considerazione dell'insufficienza del compendio probatorio. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denunziano violazione di legge e conseguenti vizi motivazionali in riferimento all'affermazione di responsabilita' dell'imputato per il reato di minaccia. In particolare, ci si duole della mancanza di motivazione circa l'idoneita' intimidatoria delle espressioni incriminate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere rigettato. 2. Il primo motivo e' pedissequamente reiterativo di analoghe doglianze proposte con l'atto di appello, disattese dalla Corte territoriale con argomentazioni in fatto e in diritto, puntuali e supportate da motivazione congrua e non manifestamente illogica. 2.1. Quanto alla riconducibilita' del post diffamatorio al ricorrente, la Corte territoriale ha precisato che "e' dato acquisito che il post fosse allocato su di un profilo nominativamente riferibile allo stato imputato, che fosse enucleante vicende e situazioni ben a conoscenza del (OMISSIS) e nelle quali egli, gia' indicato quale teste da escutersi, rivestiva un ruolo di un certo spessore -essendo coniuge della cugina della p.o. e quindi potenziale latore di informazioni sul contesto familiare- che facesse chiaro riferimento alla questione del rene leso alla (OMISSIS) (aspetto che certo non poteva essere a conoscenza di un "quisque de populo"), che accennasse ad una strategia difensiva in favore del preteso "orco", da parte del difensore di questi, che includeva anche il produrre in giudizio dati estrapolati dalla piattaforma "Facebook" e riferibili alle contrapposte parti, cosa che effettivamente l'Avv. (OMISSIS) aveva compiuto in fase processuale" (pag. 6 della sentenza). Nella sentenza, poi, sono state fatte ulteriori specifiche puntualizzazioni sulla vicenda, dando altresi' atto che l'imputato si era pure recato presso lo studio della persona offesa per chiedergli scusa per l'accaduto (pag. 7 della sentenza). Con tali articolate argomentazioni non si confrontano le doglianze proposte con il motivo di ricorso in esame, che, pertanto, risulta sul punto aspecifico. 2.2. Quanto sopra rilevato in ordine alla motivazione della sentenza impugnata, supportata da specifici riferimenti alle risultanze processuali e all'articolarsi delle vicende, consente di ritenere manifestamente infondate anche le doglianze che afferiscono alla oggettiva individuazione del soggetto offeso dal contenuto del post pubblicato dal (OMISSIS) sul suo profilo sul social Facebook (si vedano, in particolare, le puntualizzazioni in fatto a pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata). 3. Il secondo motivo e' del tutto generico, limitandosi a denunziare la violazione del principio "al di la' ogni ragionevole dubbio", in considerazione dell'asserita insufficienza del compendio probatorio. 4. Infondato e' il terzo motivo di ricorso con il quale si denunziano violazione di legge e conseguenti vizi motivazionali in riferimento all'affermazione di responsabilita' per il reato di minaccia. La Corte territoriale ha motivato correttamente sulla sussistenza dell'idoneita' intimidatoria delle espressioni, contenute nel post, "ci vediamo in Tribunale.... ho tante cose da dire...posso solo anticiparti che non sara' indolore". Ha rilevato la Corte di appello che "il riferirsi ad un luogo in cui l'agente avrebbe svolto esternazioni capaci di arrecare dolore al preciso soggetto destinatario dell'avviso ("ci vediamo...anticiparti"), per la valenza semantica delle espressioni usate (tese non ad illustrare eventuali ragioni di supporto alle avverse tesi processuali o a sconfessare eventuali linee defensionali gia' tracciate dal professionista preso di mira, ma a prospettargli "tout court" un doloroso danno) e per il pregresso contesto diffamatorio ed accusatorio, non puo' che voler significare e rappresentare l'intenzione di arrecare, a mezzo delle proprie future esternazioni in sede tribunalizia, danno e dolore al destinatario dell'avviso, rendendo tanto piu' inquietante la minaccia proprio per la sua genericita' e la sua prospettazione nell'ambito di una certamente ineludibile, doverosa ed inevitabile futura dialettica processuale" (pagg. 4-5 della sentenza). Si tratta di motivazione sufficiente e corretta in diritto, dovendo in proposito ribadirsi che, ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'articolo 612 c.p., che costituisce reato di pericolo, la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, sicche' non e' necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla liberta' morale della vittima, il cui eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio non influisce sulla sussistenza del reato, potendo eventualmente sostanziare una circostanza che ne diminuisca la gravita', come tale esterna alla fattispecie (ex multis, Sez. 5 n. 644 del06/11/2013 -dep. 10/01/2014- Rv. 257951). 5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, (OMISSIS), liquidate nella misura qui di seguito indicata in dispositivo. PQM Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge, in favore del difensore dichiaratosi antistatario. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identifiativi, a norma del Decreto Legislativo n.196 del 2003 articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. CATENA Rossella - rel. Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto, emessa in data 11/02/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rossella Catena; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Tassone Kate, che, riportandosi alle conclusioni gia' rassegnate ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 2020 e Decreto Legge n. 228 del 2021, articolo 16 ha chiesto l'annullamento senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione; udito il difensore di fiducia del ricorrente, avv.to Antonio Santoro, che si e' riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto confermava la sentenza del Tribunale di Taranto in composizione monocratica emessa in data 19/11/2020, che aveva condannato a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni ne confronti della parte civile, (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 595 c.p., in (OMISSIS). 2. In data 11/03/2022 (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to Antonio Santoro, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 violazione di legge, in riferimento agli articoli 157, 159 c.p., Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83 ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento alla prescrizione del reato maturata prima della pronuncia della sentenza di appello, in quanto non puo' essere calcolato, ai fini della sospensione della prescrizione, anche per pacifica giurisprudenza di legittimita', il rinvio concesso, all'udienza del 20/04/2017, sino all'udienza del 14/12/2017, pari a giorni 238, su istanza della difesa della parte civile, come risulta dal verbale di udienza allegato al ricorso; 2.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 595 c.p., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento alla sussistenza della diffamazione, atteso che la prassi di dimettersi dalla carica sindacale a seguito di promozione aziendale e' pacificamente vera, per cui del tutto incongrua e' la citazione della giurisprudenza di legittimita' operata dalla Corte territoriale, e la stessa frase incriminata risulta esercizio del legittimo diritto di critica. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso di (OMISSIS) e' fondato e va, pertanto, accolto. Senza alcun dubbio fondato e' il primo motivo di ricorso, in quanto il rinvio del dibattimento richiesto dalla parte civile non costituisce causa di sospensione della prescrizione qualora la difesa dell'imputato non vi abbia espressamente acconsentito, cosa che non risulta essersi verificata nel caso in esame (Sez. 3, n. 45126 del 22/10/2021, Campanile Rosa, Rv. 282219). Ne discende che la sospensione della prescrizione, dall'udienza del 20/04/2017 all'udienza del 14/12/2017, non vada affatto calcolata, per cui il reato risulta prescritto alla data del 31/08/2021, prima della pronuncia della sentenza impugnata, considerando, ai sensi dell'articolo 161 c.p.p., il termine massimo di prescrizione pari ad anni sette mesi sei, cui va aggiunto un periodo di sospensione dall'udienza del 26/05/2016 all'udienza del 20/04/2017 per astensione dei difensori. Cio' nondimeno, la costituzione di parte civile impone l'esame anche del secondo motivo di ricorso, che risulta parimenti fondato. Incontestata risulta - dalla motivazione delle sentenze di merito - la circostanza che la persona offesa, (OMISSIS), dipendente di (OMISSIS) s.p.a. e rappresentante sindacale unitaria, fosse stata promossa, per meriti lavorativi, a quadro di primo livello, il che aveva comportato, per consuetudine aziendale, le sue dimissioni dalla carica sindacale. In tale contesto il (OMISSIS), segretario provinciale della S.L.P. CISL, diffondendo un comunicato nell'ambito della predetta organizzazione sindacale, aveva - come si evince dal capo di imputazione - asserito come fosse discutibile che la rappresentante sindacale avesse deciso di presentare le dimissioni "in cambio" di una promozione aziendale, essendo altresi' discutibile che non fosse stata ancora sostituita in danno dei lavoratori; con un successivo post sul proprio profilo Facebook, inoltre, il (OMISSIS), aveva diffuso il seguente commento: "(OMISSIS): nasce un RSU, votato dai lavoratori, nominato coordinatore della propria sigla sindacale, grande voglia di fare, grandi parole, grandi promesse, mai mi dimettero', mai mi pieghero' all'azienda, spacco di qua, spacco di la'..... (OMISSIS): lo stesso RSU si dimette in cambio di una promozione...." La motivazione della sentenza impugnata si fonda sull'assunto che l'uso, per ben due volte, del termine "in cambio", evidenziasse il mercimonio della carica sindacale ricoperta, svenduta o scambiata dalla persona offesa in funzione della promozione. Osserva il Collegio che l'uso della locuzione "in cambio" da' conto, senza alcun dubbio, dell'avvicendamento nelle cariche e della sostituzione nei ruoli ricoperti dalla persona offesa, dapprima come rappresentante sindacale e, quindi, come dirigente aziendale, tanto e' vero che il primo comunicato del (OMISSIS) aveva posto l'accento sulla opinabilita' della prassi aziendale di presentare le dimissioni "in cambio" della promozione, affermando come non solo fosse discutibile tale prassi, ma anche la circostanza che la dirigente non fosse stata ancora sostituita nella carica sindacale, in danno dei lavoratori. Tale affermazione, nella misura in cui si riferisce ad una prassi sindacale circostanza mai contestata - rende evidente come non possa, secondo un evidente criterio logico, evocare un mercimonio - come affermato dalla sentenza impugnata - posto che proprio la sussistenza di una tale prassi sarebbe configgente con il sospetto di mercimonio; se, al contrario, ci si fosse trovati in presenza di una prassi di segno opposto e, quindi, di una condotta del tutto opposta alla prassi consolidata, l'uso della locuzione "in cambio" avrebbe, del tutto ragionevolmente, potuto evocare l'allusione ad un mercimonio. Non vi e' alcun dubbio, infatti, che la locuzione "in cambio", nel suo significato letterale e nell'ampia prassi linguistica in cui viene utilizzata, costituisca sinonimo di avvicendamento, scambio, sostituzione, indicando la funzione di rimpiazzare o sostituire qualcuno o qualcosa; non vi e' dubbio, parimenti, che tale espressione possa evocare anche un mercimonio, come sottolineato dalla Corte di merito, ma proprio l'uso polisemico della locuzione avrebbe imposto, sul punto, un maggiore approfondimento da parte dei giudici di merito, attraverso una piu' approfondita contestualizzazione della vicenda, alla luce dei canoni ermeneutici declinati da questa Corte. Premesso che, come noto, in tema di diffamazione rientra nella sfera del giudizio di legittimita' la valutazione dell'offensivita' della frase ritenuta lesiva (Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005, dep. 12/01/2006, Travaglio, Rv. 233749), nel caso in esame va, necessariamente, contestualizzato il legittimo esercizio del diritto di critica, di cui l'imputato e' titolare, alla luce della valutazione circa la continenza delle espressioni utilizzate. In particolare, quindi, l'esercizio del diritto di critica va riferito all'ambiente sindacale in cui esso era legittimamente esercitato dal (OMISSIS) - nella sua qualita' di segretario provinciale della sigla sindacale in riferimento ad una rappresentante della sigla medesima -, potendo esso, come altrettanto pacificamente ritenuto da questa Corte, sicuramente esplicitare un giudizio negativo riferito a specifiche vicende, attraverso l'uso di termini anche offensivi, purche' non trasmodanti in gratuita ed ingiustificata aggressione (Sez. 5, n. 17243 del 19/02/2020, Lunghini Claudio, Rv. 279133). Evidente, quindi, come la descritta contestualizzazione focalizzi la disapprovazione del (OMISSIS) su una prassi - ossia quella di determinare la dismissione della carica sindacale a seguito di una promozione aziendale - a cui la persona offesa si era adeguata, nonostante i propositi dalla stessa manifestati al momento della nomina a rappresentante sindacale. Proprio la sussistenza di tale prassi, pertanto, deve portare ad escludere l'evocazione di un mercimonio, nel caso in esame, nonostante la ripetizione della locuzione "in cambio". La portata diffamatoria di una frase, si ribadisce, deve essere valutata a prescindere da scorciatoie congetturali: il giudice di merito deve ancorare l'esegesi allo specifico contesto in cui le frasi sono state pronunciate, declinando la propria opzione semantica in maniera logica, che tenga conto di tutte le specifiche circostanze della vicenda, alla luce delle quali dimostrare la ragione che ha orientato la scelta del decidente per una piuttosto che un'altra significazione della locuzione utilizzata. Tale motivazione manca del tutto nella sentenza impugnata, che si e' limitata apoditticamente ad optare per una implicazione della locuzione "in cambio" riferendola ad un mercimonio, quest'ultimo per nulla evocato dal complessivo contenuto delle comunicazioni diffuse dal (OMISSIS). In ultima analisi, quindi, la pronuncia impugnata e' fondata sulla mera ripetizione della detta locuzione in due diversi comunicati, entrambi inseriti nel medesimo contesto di critica sindacale rivolta, principalmente, ad una prassi reiterata dalla condotta della persona offesa, la critica alla quale, quindi, appare focalizzata sull'aver aderito a tale prassi. In tal senso, ritiene il Collegio che non possa essere ravvisata la fattispecie di diffamazione, non evidenziando la condotta incriminata ne' un'aggressione gratuita alla sfera morale altrui ne' un dileggio o disprezzo personale, ma un legittimo esercizio del diritto di critica. La sentenza impugnata va, quindi, annullata senza rinvio perche' il fatto non costituisce reato, con conseguente revoca della statuizioni civili. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' il fatto non costituisce reato. Revoca le statuizioni civili.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PISTORELLI Luca - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - rel. Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS) avverso la sentenza del 02/12/2021 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCESCO CANANZI; lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. DI LEO GIOVANNI, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza emessa il 2 dicembre 2021, confermava la sentenza del Tribunale di Sondrio, che aveva accertato la responsabilita' penale di (OMISSIS), in relazione al delitto di atti persecutori, cosi' riqualificate le condotte originariamente contestate di diffamazione e minaccia aggravata. Ai fini della comprensione del motivo di ricorso di seguito illustrato va da subito riportata l'imputazione come formulata. La diffamazione veniva contestata come prevista dall'articolo 595 c.p., commi 1, 2 e 3, perche', attraverso il social network Facebook, comunicando con piu' persone, offendeva mediante l'attribuzione di un fatto determinato la reputazione del suocero (OMISSIS) e della cognata (OMISSIS) postando fotogrammi riproducenti i medesimi unitamente alle seguenti frasi: "uomo avvisato mezzo salvato, ora (OMISSIS) vedi di non fare lo stronzo con (OMISSIS)"; "e voila' un selfie con il mio (OMISSIS), lui si che e' della famiglia, mica come certi stronzi proprietari di quelle due auto dai colori inguardabili specie quella azzurra"; "meglio che mi diagnosticano un tumore senno' stavolta faccio una strage altro che ISIS, ma si puo' essere cosi' bastardo con una figlia e succube e sottomesso con l'altra"; "hai vinto 500 calci nei coglioni dai tuoi ex nipoti"; "O gente, guardatelo bene questo a modo suo e' un vero fenomeno tipo (OMISSIS)... la sua specialita'--- Riuscire in 15 anni a farsi odiare da Sua figlia (non la strega delle foto) e dai suoi nipoti per scelte discutibili..."; "L'altra volta l'hai schivata stavolta ti spolpo vivo e ti lascio tanti soldini cosi' avrai una lezione una volta per tutte, miserabile"; "Mi sa che questi due pelosi vanno piu' d'accordo di questi altri due... caro (OMISSIS) e mo' sono cazzi tua... Se fai lo stronzo con mia moglie ed i miei figli te la vedi con me e ne uscirai con il culo rotto. La partita inizia"; "Un'anticipazione del nuovo logo del (OMISSIS) sara' l'insieme di queste tre immagini vi piace---". Con l'aggravante di aver recato offesa a mezzo stampa e mediante l'attribuzione di fatti determinati. Commesso in (OMISSIS)". L'altra imputazione di minaccia aggravata in continuazione veniva contestata ai sensi dell'articolo 81 c.p. e articolo 612 c.p., commi 1 e 2, c.p., perche' con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in piu' occasioni, minacciava il suocero (OMISSIS) procurandogli un grave turbamento causato dal complesso delle circostanze e dalle particolari condizioni della parte offesa, prospettandogli un male ingiusto e/o addirittura la morte attraverso l'uso del social network Facebook postando le seguenti frasi: "Uomo avvisato mezzo salvato, ora (OMISSIS) vedi di non fare lo stronzo con (OMISSIS)"; "Meglio che mi diagnosticano un tumore senno' stavolta faccio una strage altro che ISIS. Ma si puo' essere cosi' bastardo con una figlia e succube e sottomesso con l'altra --"; "Hai vinto 500 calci nei coglioni dai tuoi ex nipoti"; "L'altra volta l'hai schivata, stavolta ti spolpo vivo e ti lascio tanti soldini cosi' avrai una lezione una volta per tutte miserabile"; "Mi sa che questi due pelosi vanno piu' d'accordo di questi altri due... caro (OMISSIS) e mo' sono cazzi tua... se fai lo stronzo con mia moglie ed i miei figli te la vedi con me e ne uscirai con il culo rotto. La partita inizia", ed inoltre recandosi piu' volte fuori la farmacia del predetto, dinnanzi alla vetrina, mimando nei suoi confronti il gesto di sparare. Commesso in (OMISSIS). Con la recidiva reiterata infraquinquennale ex articolo 99 c.p., comma 4, prima parte". Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di un unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Il motivo deduce violazione dell'articolo 111 Cost., articolo 521 c.p., comma 1, articolo 6, comma 3, lettera a) e b), CEDU. La Corte di appello avrebbe errato non accogliendo il motivo con il quale era stata dedotta la nullita' della sentenza di primo grado per violazione dell'articolo 521 c.p.p., comma 1, in quanto la riqualificazione operata dal Tribunale di Sondrio, che faceva rifluire le condotte di diffamazione e di minaccia aggravata continuata nella unica condotta di atti persecutori, avveniva direttamente con il dispositivo, senza che vi fosse la possibilita' previa di contraddittorio sul punto, con l'informativa richiesta dalla sentenza della Corte Edu, Sez. 2, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia. Il ricorrente lamenta di non aver potuto discutere fin dal primo grado rispetto alla diversa ipotesi di reato ritenuta ontologicamente assolutamente diversa rispetto agli originari fatti in contestazione. Da qui deriverebbe la nullita' anche della sentenza di appello, che motiva in ordine alla contestazione come riqualificata dal Tribunale di Sondrio. 4. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del Decreto Legge n. 127 del 2020, articolo 23, comma 8, - datate 30 ottobre 2022, con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. 5. Il ricorso e' stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 2021, articolo 7, comma 1. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Va premesso come la Corte di appello abbia fatto buon governo dei principi relativi ai casi di violazione dell'articolo 111 Cost. e articolo 6 CEDU, come asseritamente violati secondo la prospettazione del ricorrente. A ben vedere, infatti, l'osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l'imputato e' chiamato a rispondere, sancito dall'articolo 111 Cost., comma 3, e dall'articolo 6 CEDU, comma 1 e comma 3, lettera a) e b), cosi' come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c. Italia, e' assicurata anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l'imputato puo' comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione nell'ambito del giudizio di merito (Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019, D., Rv. 277948 - 01; Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012, dep. 2013, Manara, Rv. 254135 - 01; Sez. 6, n. 10093 del 14/02/2012, Vinci, Rv. 251961 - 01; Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, dep. 2013, Jovanovic, Rv. 254649 - 01). La giurisprudenza della Corte di Strasburgo e' pacificamente orientata nel senso per cui sussiste violazione del diritto di informazione dell'imputato solo se, nell'ambito dell'intera vicenda processuale, questi non sia stato messo nelle condizioni per svolgere le proprie difese in ordine alla operata riqualificazione e non gli sia stato dunque concesso un rimedio utile per accedere ad un giudice, che abbia il potere di sovvertire la decisione assunta precedentemente in difetto di informazione sul punto (Corte EDU sent. 1 marzo 2001, Dallos vs. Ungheria, Corte EDU 16 aprile 2002, Vaque Rafarticolo vs. Spagna, Corte EDU 6 giugno 2002, Feldman vs. Francia, Corte EDU 24 giugno 2004, Balette vs. Belgio, Corte EDU 24 gennaio 2006, Gouget e altri vs. Francia e Corte EDU 7 marzo 2006, Vesque vs. Francia). In tal senso alcuna violazione del diritto di difesa si e' consumata nel caso di specie, atteso che la riqualificazione sarebbe stata operata nel primo grado di giudizio e l'imputato ha dunque avuto la possibilita' di contestare la decisione dinanzi al giudice dell'appello, che concretamente ha sfruttato contestando con il gravame di merito la ritualita' del riconoscimento dell'aggravante. A tal riguardo, inoltre, deve rilevarsi come nessun esercizio del diritto di difesa e nessuna limitazione allo stesso e' stata dedotta, quanto al merito dell'accertamento di responsabilita', come conseguenza della riqualificazione, per quanto emerge dalla sentenza impugnata e dai motivi di censura ivi riportati e non contestati dalla difesa. Pertanto, il primo profilo della attuale censura non e' fondato. 3. Quanto all'ulteriore profilo, afferente alla violazione dell'articolo 521 c.p.p., occorre verificare se il principio della correlazione tra imputazione contestata e sentenza sia stato violato dal mutamento del fatto, per il quale occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 Carelli, Rv. 248051 - 01). D'altro canto gli elementi identificativi del fatto sono stati declinati da Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799 - 01 che ai fini della violazione del divieto di bis in idem ha affermato che l'identita' del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. Deve anticiparsi che alcuna radicale modifica del fatto e' conseguita alla riqualificazione dei due reati, di diffamazione e minacce. Le condotte, contestate in fatto nell'imputazione, sono certamente qualificabili come minacce gravi (capo 2) e molestie procurate anche a mezzo del social network Facebook (capo 1), qualificate in origine come diffamazione aggravata ai sensi dell'articolo 595 c.p., comma 3, sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicita'", poiche' la condotta in tal modo realizzata e' potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone (Sez. 5, n. 13979 del 25/01/2021, Chita, Rv. 281023 - 01; conf. N. 14391 del 2012 Rv. 252314 - 01, N. 24135 del 2012 Rv. 253764 - 01, N. 20038 del 2014 Rv. 259458 - 01). Quanto alle minacce, sono gia' costitutivamente previste dall'articolo 612-bis c.p.. Le condotte di diffamazione sono gia' state considerate dalla giurisprudenza di legittimita' quali molestie costitutive del reato previsto dall'articolo 612-bis c.p. (Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T., Rv. 262635 - 01), nonche' integranti l'elemento materiale del delitto di atti persecutori, allorche' si configurino come pubblicazione reiterata sui "social network" di foto o messaggi, aventi contenuto denigratorio della persona offesa, con riferimenti alla sfera della sua liberta' sentimentale e sessuale in violazione del suo diritto alla riservatezza (Sez. 5, n. 26049 del 01/03/2019, P., Rv. 276131 - 01); e anche atti persecutori sono stati ritenuti sussistenti nell'opera di reiterata delegittimazione della persona offesa, realizzata dal soggetto attivo, attraverso una serie protratta di condotte diffamatorie e moleste (nella specie, realizzate mediante attivita' di "volantinaggio", una video-intervista divulgata su "you-tube", la pubblicazione di un libro dal titolo "Toghe corrotte" e di numerosi "post" diffamatori su "social network" riguardanti un magistrato) che, lungi dall'integrare un mero esercizio delle facolta' connesse alla tutela giudiziaria dei propri diritti, configurano uno stillicidio persecutorio ai danni della persona offesa, costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita e sottoponendola ad uno stato di ansia e di turbamento determinato dalla costante paura di essere vittima di attivita' denigratoria (Sez. 5, n. 1813 del 17/11/2021, dep. 17/01/2022, Biundo, Rv. 282527 - 01). Tali essendo le condotte di minaccia e diffamazione, queste ultime quali molestie, deve evidenziarsi come in fatto al capo a) dell'imputazione, con indicazione del perdurare della condotta dal 20 agosto 2014 al 25 maggio 2015, come anche con il riferimento, nello stesso arco temporale, a minacce "in piu' occasioni", si integra la contestazione della condotta reiterata e, dunque, del delitto abituale quale e' quello di atti persecutori. Inoltre, elemento essenziale e' il nesso di causalita' fra le condotte di molestie e minacce e il perdurante stato di ansia e paura, che pure in fatto e' contestato con le minacce, con il riferimento al "procurare un grave turbamento". L'espressione, seppur non testualmente indicata dall'articolo 612-bis c.p., e' pero' ritenuta dalla giurisprudenza di legittimita' la condizione nella quale costantemente viene a trovarsi chi sia in stato grave di ansia o paura, tanto che (Sez. 5, n. 2555 del 18/12/2020, dep. 2021, Rv. 280172 - 01), in tema di atti persecutori, l'evento tipico del "perdurante e grave stato di ansia o di paura" consiste in un âEuroËœprofondo turbamento' con effetto destabilizzante della serenita' e dell'equilibrio psicologico della vittima. E' stato anche ritenuto - Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017, Rv. 269621 - 01 - che la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale âEuroËœturbamento psicologico', ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneita' a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui e' stata consumata. Della prova del âEuroËœturbamento psicologico', quanto al delitto di atti persecutori, trattano anche altre pronunce, rappresentandosi cosi' un consolidato orientamento giurisprudenziale che equipara il grave turbamento al perdurante stato di ansia e paura (Sez. 6, n. 23375 del 10/07/2020, M., Rv. 279601 - 01; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, G., Rv. 261535 - 01). Ne consegue che le condotte materiali, come contestate complessivamente nell'imputazione, risultano rispondenti alla fattispecie di reato di atti persecutori, cosi' come riqualificate dal Tribunale di Sondrio: alcuna diversita' del fatto si riscontra, nella decisione del Tribunale rispetto all'originaria imputazione, ne' alcuna lesione del diritto di difesa, in quanto su medesimi fatti, seppur diversamente qualificati, lo stesso imputato non solo e' stato sottoposto a interrogatorio, ma ha anche esercitato con l'appello pienamente il proprio diritto di difesa. Pertanto, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, in quanto il fatto storico ritenuto in sentenza non risulta oggettivamente diverso da quello contestato, difettando la trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali, senza che si sia ingenerata incertezza sull'oggetto dell'imputazione e alcun pregiudizio per il diritto di difesa (Sez. 5, n. 37461 del 22/09/2021, Ciotoracu, Rv. 281930 - 01), non risultando sussistere una relazione di eterogeneita' ed incompatibilita' fra i delitti di minacce e diffamazione e quello di atti persecutori, bensi' di assorbimento (sui criteri di eterogeneita' e incompatibilita' quali requisiti della trasformazione radicale, Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun, Rv. 281477 - 01; conf. N. 16900 del 2004 Rv. 228042 - 01, N. 35225 del 2007 Rv. 237517 - 01, N. 15655 del 2008 Rv. 239866 - 01, N. 41663 del 2005 Rv. 232423 - 01, N. 4497 del 2016 Rv. 265946 - 01, N. 33878 del 2017 Rv. 271607 - 01, N. 12328 del 2019 Rv. 276955 - 01). 4. Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente. 5. D'ufficio va disposto l'oscuramento dei dati personali, attesa la necessita' prevista dal Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, comma 2, di predisporre tale misura a tutela dei diritti e della dignita' degli interessati. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. BELMONTE Maria T. - rel. Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 29/06/2021 della CORTE di APPELLO di CALTANISSETTA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Maria Teresa BELMONTE; Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale, Dr. Serrao d'Aquino Pasquale, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. Letta la memoria dell'avvocato (OMISSIS), nell'interesse della parte civile (OMISSIS), che conclude per il rigetto del ricorso, chiedendo la liquidazione delle spese, come da nota spese allegata. Letta la memoria dell'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che insiste nei motivi di ricorso e conclude per l'accoglimento. Letta la memoria dell'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che insiste nei motivi di ricorso e conclude per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, emessa il 29/06/2021, la Corte di appello di Caltanissetta, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Enna - che aveva dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli del reato di diffamazione aggravata ai sensi dell'articolo 595 c.p., comma 2 e 3 a ciascuno rispettivamente ascritto, per avere offeso la reputazione di (OMISSIS), condannando ciascuno alla pena di Euro 600 di multa, e al risarcimento dei danni equitativamente determinati in Euro 12.000 cadauno, - ha revocato le statuizioni civili relative alla quantificazione equitativa del danno, rimettendo le parti dinanzi al Giudice civile per la determinazione, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 1.1. In particolare, ad (OMISSIS) e' contestato di avere reso dichiarazioni, pubblicate su diversi quotidiani nonche' sul proprio profilo facebook, offensive della reputazione di (OMISSIS), affermando, contrariamente al vero, che lo stesso "avesse effettuato farneticazioni e che avesse chiesto personalmente voti, in occasione della campagna elettorale ennese, nella centrale via Roma, e con la scorta al seguito" (capo A); mentre a (OMISSIS) e' contestato di avere postato un commento sul profilo facebook di (OMISSIS), con cui affermava, contrariamente al vero, che (OMISSIS) avesse "affidato incarichi legali esterni all'IRSAP contra legem, laddove faceva riferimento alla "condotta del geom. (OMISSIS) nell'affidare incarichi legali all'IRSAP esterni e soprattutto concentrati solo su alcuni Avvocati di stretta conoscenza"(capo B); fatti entrambi aggravati ai sensi dell'articolo 595 c.p., commi 2 e 3. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, per il tramite del rispettivo difensore di fiducia. 2.1. Nell'interesse di (OMISSIS) il difensore, avvocato (OMISSIS), svolge due motivi. 2.1.1. Con il primo, denuncia violazione dell'articolo 525 c.p.p., comma 2 rilevando che, nella intestazione della sentenza impugnata, sono indicati, quali componenti del collegio decidente, magistrati diversi da quelli risultanti dal verbale dell'udienza del 29 giugno 2021. 2.1.2. Con il secondo motivo, e' denunciata violazione degli articoli 595 e 51 c.p.. sostenendosi l'inoffensivita' della condotta del ricorrente, non emergendo il carattere denigratorio delle frasi incriminate, in relazione al contesto politico nel cui ambito si inseriva il "botta e risposta" tra antagonisti politici, l'on. (OMISSIS), deputato della Regione Sicilia, e la p.o. (OMISSIS), presidente dell'Irsap (ente pubblico regionale), incarico di nomina politica, essendo avvenuti i fatti durante la campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di (OMISSIS). Si segnala come l'espressione "rispetto alle farneticazioni del geom. (OMISSIS)" costituisse una replica a quanto affermato dal (OMISSIS) il (OMISSIS) in un comunicato stampa pubblicato sul giornale "(OMISSIS)". I fatti sono, dunque, sussumibili nel diritto di critica politica, di cui ricorrono tutti i presupposti, di verita', pertinenza, continenza, per come elaborati dalla giurisprudenza. 2.2. Nell'interesse di (OMISSIS), il difensore, avvocato (OMISSIS), svolge tre motivi. 2.2.1. Posto che al (OMISSIS) e' contestato di avere postato un commento sul profilo Facebook di (OMISSIS), con cui affermava, contrariamente al vero, che (OMISSIS) "avesse affidato incarichi legali esterni all'IRSAP contra legem", con il primo motivo, denuncia travisamento della prova circa la riconducibilita' del post incriminato all'odierno ricorrente, in assenza di accertamenti sull'indirizzo I.P. utilizzato per la pubblicazione del commento sul profilo Facebook di (OMISSIS), onde potere risalire con certezza alla attribuzione del commento all'imputato, che ne contesta la titolarita'. Ci si duole, inoltre, che la documentazione attestante la diffamazione sia stata prodotta su semplice stampa di carta. In ogni caso, mancherebbe l'offensivita' della condotta, in quanto non vi e' la attribuzione di una condotta contra legem, essendosi limitato il ricorrente a un generico riferimento "agli incarichi...soprattutto concentrati solo su alcuni avvocati di stretta conoscenza". D'altro canto, mancherebbe il requisito della comunicazione con piu' persone, atteso che il ricorrente si e' limitato a condividere un commento con il titolare della bacheca facebook, non potendo rispondere della altrui diffusione. In assenza di movente, si lamenta la decontestualizzazione della condotta rispetto alla competizione politica in corso. 2.2.2. Con il secondo motivo, si lamenta l'eccessiva severita' del trattamento sanzionatorio, essendo stata inflitta al (OMISSIS) la stessa pena dell' (OMISSIS), pur nell'evidente marginalita' del ruolo. 2.2.3. Con il terzo motivo si enuncia violazione dell'articolo 131 bis c.p., in presenza di persona incensurata, e di un fatto tenue. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono fondati, ricorrendo, nel caso in scrutinio, condotte scriminate ai sensi dell'articolo 51 c.p., in quanto rientranti nell'ambito del diritto di critica. 2. In primo luogo, e' manifestamente infondato il primo motivo del ricorso nell'interesse di (OMISSIS), dovendo darsi prevalenza al contenuto del verbale di udienza rispetto all'intestazione della sentenza, in caso di difformita' dei nominativi degli imputati, purche' - come e' nel caso di specie - i sottoscrittori della sentenza coincidano con i giudici che, secondo quanto risultante dal verbale, hanno deliberato. Trattasi, infatti, in tal caso, non di una nullita' assoluta ma di un mero errore materiale nella intestazione della sentenza e di una semplice irregolarita' formale, in quanto la reale situazione trova incontestabile riscontro e documentazione nelle risultanze del verbale del dibattimento (Sez. 3, n. 556 del 06/02/1996, Rv. 204707; conf. Sez. 2, n. 32991 del 24/06/2011, Rv. 251350; Sez. 5, n. 2809 del 12/11/2014 (dep. 2015) Rv. 262587). 3.E' parimenti infondata la doglianza nell'interesse di (OMISSIS), circa l'insufficienza probatoria della riconducibilita' del post all'imputato, dal momento che la Corte di appello ha ben illustrato (pg. 4 della sentenza) le ragioni che, sul piano logico, pur senza avere svolto accertamenti tecnici, conducono a ritenere che il commento in questione sia riconducibile al (OMISSIS). 4. Quanto al merito dei fatti, per come accertato dai giudici di merito, essi traggono origine dalle pubblicazioni da parte del Deputato regionale (OMISSIS), nei giorni 3 e (OMISSIS), su alcune testate giornalistiche siciliane, anche pubblicate online, nonche' sul proprio profilo facebook, le affermazioni gia' innanzi richiamate. Emerge, inoltre, anche per quanto dichiarato dallo stesso denunciante, che: (OMISSIS) era stato sostituito, nell'incarico di Dirigente generale dell' (OMISSIS), - a seguito di commissariamento dell'ente pubblico, correlato a vizi di gestione, - da (OMISSIS), nominato commissario straordinario; che lo stesso (OMISSIS), durante il periodo del Commissariamento aveva inviato plurime segnalazioni riguardanti la cattiva gestione della cosa pubblica da parte del suo predecessore; che, a seguito del rinvio a giudizio disposto nei confronti di (OMISSIS) per il reato di abuso di ufficio, questi rese le dichiarazioni incriminate alla stampa, in cui sottolineava di essere stato rinviato a giudizio, pur a fronte di una quantita' enorme di segnalazioni a suo carico, da parte del (OMISSIS), solo per quell'unico reato di cui all'articolo 323 c.p.; che, invece, secondo il (OMISSIS), si tratterebbe di affermazione non veritiera, dal momento che, presso la competente Procura della Repubblica erano in corso altre indagini per fatti analoghi, oltre a un giudizio per diffamazione, a carico di (OMISSIS). Secondo la parte civile, sarebbe falsa anche l'affermazione relativa alla passeggiata sul corso principale di (OMISSIS), a braccetto con una candidata, che il (OMISSIS) avrebbe effettuato il venerdi' precedente le elezioni comunali del 2015, perche' quel giorno egli si reco' a Caltagirone, ove ha sede l'Ufficio periferico dell'IRSAP per un incontro con gli industriali di quella localita', mentre giunse a (OMISSIS) e passeggio' da libero cittadino, a campagna elettorale chiusa, solo il sabato mattina, insieme alla sua amica, di cui ricorreva il compleanno. Neppure sarebbero giustificate le "farneticazioni" attribuite dall' (OMISSIS) al (OMISSIS), giacche' la questione della mala gestio dell'ente pubblico, dalla cui gestione l' (OMISSIS) era stato sollevato, era stata rilevata in provvedimenti del giudice amministrativo e dal Pubblico Ministero nella richiesta di archiviazione formulata in favore del denunciante, per fatti denunciati da (OMISSIS) l'8.8.2013. Sarebbe, inoltre, falso quanto dichiarato nel post di commento del (OMISSIS), circa i favoritismi del (OMISSIS) nelle nomine dell' (OMISSIS), durante la sua gestione, in quanto esse seguivano una predeterminata prassi, con intervento della persona offesa solo al momento della firma. In sostanza, nell'ottica del querelante, condivisa dai giudici di merito, la condotta degli imputati, volta a discreditare e delegittimare il (OMISSIS) davanti alla collettivita', denigrandone l'operato e l'attivita' zelante di denuncia delle gravi irregolarita' che riscontrava nei ruoli ricoperti dal 2009, sarebbero state originate dal rancore nutrito dall' (OMISSIS) nei confronti del (OMISSIS) sin dal 2009, quando aveva avviato il procedimento per la revoca del suo incarico di direttore generale del consorzio (OMISSIS) di (OMISSIS), nonche' dal timore che, dall'estesa e concreta azione di contrasto alle illegalita' nell'ambito della gestione del Consorzio, ove l' (OMISSIS) aveva ricoperti, per diversi anni, il ruolo gestionale di vertice (cfr. sentenza di primo grado pg. 14). 5. Cosi' ricostruiti i fatti, risultano manifestamente infondati i motivi, formulati nell'interesse di entrambi i ricorrenti, con i quali si invoca l'inoffensivita' del fatto, per l'insussistenza dell'offesa. Il carattere denigratorio delle affermazioni incriminate emerge, invece, ictu oculi dall'imputazione: sia laddove si attribuiscono alla p.o. "farneticazioni", sia quando lo si addita come un pubblico funzionario incline a favoritismi nel conferimento di incarichi professionali e, piu' in generale, a una strumentalizzazione privatistica della cosa pubblica. 5.1. Va, prima, ricordato, che, secondo incontrastato orientamento di legittimita', in materia di diffamazione, la Corte di cassazione puo' conoscere e valutare la frase che si assume lesiva della altrui reputazione perche' e' compito del giudice di legittimita' procedere, in primo luogo, a considerare la sussistenza o meno della materialita' della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (ex plurimis, Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005 (dep. 2006) Rv. 233749; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Rv. 256706; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014 Rv. 261284; Sez. 5 n. 2473 del 10/10/2019 (dep. 2020) Rv. 278145). 5.2.Tanto premesso, si osserva che il (OMISSIS) "farneticazione" indica vaneggiamento e delirio, rimandando, quindi, all'assenza di controllo razionale nell'eloquio. Quanto all'indicazione del (OMISSIS) come di persona che, nell'espletamento del proprio mandato di Presidente del Consorzio (OMISSIS), avrebbe nominato professionisti di sua conoscenza, la carica offensiva si rinviene nell'accusa di aver conferito un incarico, non nell'interesse dell'amministrazione comunale, venendo meno al dovere di imparzialita'. Detta affermazione, in quanto contenente una censura di carattere morale e giuridico-penale, risulta sicuramente lesiva del credito sociale di un uomo pubblico, con possibili ripercussioni negative sul piano giudiziario, e anche sotto il profilo professionale, dal momento che la presidenza dell' (OMISSIS) e' incarico di nomina politica. Analoghe considerazioni possono farsi quanto alla circostanza, pure riportata nell'imputazione sub a), che la passeggiata a (OMISSIS) fosse avvenuta con la scorta al seguito, evocando l'affermazione l'utilizzo improprio delle risorse personali ed economiche dell'amministrazione pubblica. 6. Sono, invece, fondati, i motivi con i quali si invoca l'esimente del diritto di critica, in maniera assorbente rispetto ai successivi, in ragione del chiaro contesto critico nel quale le espressioni incriminate si sono inserite, giacche', come detto, per un verso, l' (OMISSIS) era un consigliere regionale, mentre il (OMISSIS) ricopriva incarichi pubblici di nomina politica ( (OMISSIS) e (OMISSIS)); dall'altro, la necessaria contestualizzazione delle propalazioni porta a considerare che la disputa si e' svolta pubblicamente tra due esponenti politici o comunque posti al vertice di enti pubblici, peraltro in un periodo prossimo a una competizione elettorale locale, riferendosi, peraltro, le parti a opposti schieramenti politici. In tale ambito va, altresi', considerato che le dichiarazioni pubblicate dall' (OMISSIS) erano una replica alla notizia del rinvio a giudizio diffusa mediante una intervista rilasciata proprio dal (OMISSIS), 6.1. Invero, risultano indiscutibili e indiscussi alcuni dati storici: le dichiarazioni, dell' (OMISSIS) prima e del (OMISSIS) poi, sono intervenute immediatamente dopo la pubblicazione della notizia, a opera del (OMISSIS), del rinvio a giudizio del Deputato regionale (OMISSIS), per il delitto di abuso di ufficio, collegato alla sua precedente attivita' di Presidente dell' (OMISSIS); e' realmente avvenuta la "passeggiata" del (OMISSIS), unitamente a una candidata alle elezioni comunali, lungo il corso principale di (OMISSIS), il giorno prima delle elezioni, in un momento in cui, cioe', e' imposto dalla legge il "silenzio elettorale"; con riguardo all'accusa di favoritismi, la stessa persona offesa si e' limitata a ricostruire l'iter burocratico invalso presso l'amministrazione da lui presieduta, senza smentire che le nomine fossero intervenute in favore di avvocati di sua conoscenza. 6.2. In via generale, in tema di esimenti del diritto di critica e di cronaca, la giurisprudenza di questa Corte si esprime ormai in termini consolidati nell'individuare i requisiti caratterizzanti in 5 quelli a) dell'interesse sociale, b) della continenza del linguaggio e c) della verita' del fatto narrato, e, in tale ottica, ha evocato il parametro della attualita' della notizia: nel senso cioe' che una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicita' della condotta lesiva della altrui reputazione e' vista nell'interesse generale alla conoscenza del fatto ossia nella attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che ognuno possa fare liberamente le proprie scelte, in campi di interesse generale (Sez. 5, n. 39503 del 11/05/2012, Clemente, Rv. 254789; Sez 5 n. 48712 del 26/09/2014, Rv. 261489). 6.3. Con riferimento specifico al diritto di critica politica - che qui rileva - si osserva, nondimeno, che il rispetto della verita' del fatto assume rilievo limitato, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non puo', per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 -dep. 10/02/2011, Rv. 249239). Tale affermazione trova eco in una nota decisione della Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU, Sez. 2, 27/11/2012, Mengi v. Turkey, p.49), che distingue tra "giudizi di fatto" e di "valore", laddove, mentre l'esistenza del fatto puo' essere soggetta a prova, il giudizio di valore non puo' esserlo, poiche' la richiesta di dimostrare la verita' di un giudizio di valore determina un evidente effetto dissuasivo sulla liberta' di informare. Il limite immanente all'esercizio del diritto di critica e', pertanto, costituito dal fatto che la questione trattata sia di interesse pubblico e che comunque non si trascenda in gratuiti attacchi personali (Sez. 5, n. 4031 del 30/10/2013 - dep. 29/01/2014, Rv. 258674; Sez. 5, n. 8824 del 01/12/2010 - dep. 07/03/2011, Rv. 250218). Ove il giudice pervenga, attraverso l'esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest'ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti dell'esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione (Sez. 5, n. 2247 del 02/07/2004 (dep. 2005), Rv. 231269; Sez. 1, n. 23805 del 10/06/2005,Rv.231764). Nella liberta' di opinione - che e' configurata dalla CEDU come diritto, non a diffondere informazioni, ma ad esprimere opinioni e a trasmettere idee (articolo 10 par. 1), concetto che e' alla base della distinzione fra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, e che implica il divieto, per il legislatore nazionale, di richiedere la prova della verita' per le affermazioni che consistono in meri giudizi di valore, pur richiedendosi, comunque, che non siano del tutto svincolati da qualsiasi base fattuale - un posto di rilievo e' assegnato alla liberta' di dibattito politico o di pubblico interesse il cui esercizio - che avviene tradizionalmente attraverso il mezzo della stampa, ma oggi anche tramite l'uso degli altri media e di Internet - e' finalizzato a fornire al pubblico un mezzo per scoprire e formarsi un'opinione sulle idee e le attitudini dei rappresentanti politici. In quanto tale, la liberta' di dibattito di questioni di pubblico interesse e' il cuore della democrazia e rispetto ad essa il margine di apprezzamento degli Stati e' ristretto, (ex plurimis, Morice c. Francia (GC), n. 29369/10, § 125, CEDU 2015), vigendo, pertanto, un livello massimo di tutela. Infatti, per assicurare che tale dibattito si svolga il piu' liberamente possibile, la Corte Edu ammette in tale ambito il ricorso ad affermazioni esagerate, provocatorie e persino smodate. La liberta' di espressione esercitata attraverso il mezzo della stampa beneficia del livello massimo di tutela accordata dalla Convenzione perche' al diritto/dovere della stampa di diffondere informazioni e idee corrisponde il diritto del pubblico di riceverle, sebbene anche tale forma di espressione sia subordinata al presupposto che i giornalisti agiscano in buona fede, cioe' senza l'intento di denigrare, sulla base di una verifica delle fonti, al fine di fornire informazioni accurate e affidabili alla stregua dei principi etici del giornalismo. (Rumyana Ivanova c. Bulgaria (36207/03) 14 febbraio 2008,par. 58 ss.; Caso: Travaglio c. Italia (64746/14) 24 gennaio 2017). Va poi tenuto conto della perdita di carica offensiva di alcune espressioni nel contesto politico, in cui la critica assume spesso toni aspri e vibrati e del fatto che la critica puo' assumere forme tanto piu' incisive e penetranti quanto piu' elevata e' la posizione pubblica del destinatario (Sez. 5, n. 27339 del 13/06/2007, Rv. 237260): si intende dire che il livello e l'intensita', pur notevoli, delle censure indirizzate a mo' di critica a coloro che occupano posizioni di tutto rilievo nella vita pubblica, non escludono l'operativita' della scriminante, poiche' nell'ambito politico risulta preminente l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica (Sez. 5, n. 15236 del 28/01/2005, Ferrara, Rv. 232125). Di conseguenza, quanto maggiore e' il potere esercitato, maggiore e' l'esposizione alla critica, perche' chi esercita poteri pubblici deve essere sottoposto ad un rigido controllo sia da parte dell'opposizione politica che dei cittadini (Sez. 5, n. 11662 del 06/02/2007, Rv. 236362.) In sostanza, si ritiene che la nozione di "critica", quale espressione della libera manifestazione del pensiero, ampiamente ammessa dall'elaborazione giurisprudenziale, e che viene in rilievo nella fattispecie scrutinata, rimanda non solo all'area dei rilievi problematici, ma, anche e soprattutto, a quella della disputa e della contrapposizione, oltre che della disapprovazione e del biasimo anche con toni aspri e taglienti, non essendovi limiti astrattamente concepibili all'oggetto della libera manifestazione del pensiero, se non quelli specificamente indicati dal legislatore. I limiti sono rinvenibili, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nella difesa dei diritti inviolabili, quale e' quello previsto dall'articolo 2 Cost., onde non e' consentito attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell'espressione, ne' trasmodare nella invettiva gratuita, salvo che la offesa sia necessaria e funzionale alla costruzione del giudizio critico. (Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866). A differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si concretizza nella manifestazione di un'opinione (di un giudizio valutativo). E' vero che essa presuppone in ogni caso un fatto che e' assunto a oggetto o a spunto del discorso critico, ma, come si e' gia' ricordato e vale la pena sottolineare, il giudizio valutativo, in quanto tale, e' diverso dal fatto da cui trae spunto e, a differenza di questo, non puo' pretendersi che sia "obiettivo" e neppure, in linea astratta, "vero" o "falso". La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioe', normalmente, un contenuto di veridicita' limitato all'oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 del 14/02/2000, Rv. 216534), ma non puo' pretendersi che si esaurisca in essi. In altri termini, come rimarca la giurisprudenza CEDU, la liberta' di esprimere giudizi critici, cioe' "giudizi di valore", trova il solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un "sufficiente riscontro fattuale" (Corte Edu, sent. del 27.10.2005 caso Wirtshafts-Trend Zeitschriften-Verlags Gmbh c. Austria rie. N. 58547/00, nonche' sent. del 29.11.2005, caso Rodrigues c. Portogallo, ric. N. 75088/01), ma, al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, e' sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perche', se la materialita' dei fatti puo' essere provata, l'esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata (Corte EDU, sent. del 1.7.1997 caso Oberschlick c/Austria par. 33). Quanto al requisito della continenza, giova rammentare che essa concerne un aspetto sostanziale e un profilo formale. La continenza sostanziale, o "materiale", attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all'interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia. La continenza sostanziale ha, dunque, riguardo alla quantita' e alla selezione dell'informazione in funzione del tipo di resoconto e dell'utilita'/bisogno sociale a esso. Il requisito della continenza formale, che attiene alle espressioni attraverso le quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero, con la parola o qualunque altro mezzo di diffusione, di rilevanza e tutela costituzionali (ex articolo 21 Cost.), postula una forma espositiva corretta della critica - e cioe' astrattamente funzionale alla finalita' di disapprovazione - e che non trasmodi nella gratuita e immotivata aggressione dell'altrui reputazione. D'altro canto, esso non e' incompatibile con l'uso di termini che, pure oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, per non esservi adeguati equivalenti. Nell'ambito di siffatta operazione ermeneutica, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, occorre contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto spazio - temporale e dialettico nel quale sono state profferite, e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur forti e sferzanti, non risultino meramente gratuiti, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere (Sez. 5 n. 32027 del 23/03/2018, Rv. 273573). Cosi', si e' ravvisato il requisito della continenza, in relazione a espressioni inquadrate in un "botta e risposta" giornalistico, che tollera limiti piu' ampi alla tutela della reputazione (Sez. 5 n. 4853 del 18/11/2016, Rv. 269093; Sez. 1 n. 36045 del 13/06/2014 Rv. 26112). Compito del giudice e', dunque, di verificare se il negativo giudizio di valore espresso possa essere, in qualche modo, giustificabile nell'ambito di un contesto critico e funzionale all'argomentazione, cosi' da escludere la invettiva personale volta ad aggredire personalmente il destinatario (Sez. 5 n. 31669 del 14/04/2015, Rv. 264442), con espressioni inutilmente umilianti e gravemente infamanti (Sez. 5 n. 15060 del 23/02/2011, Rv. 250174). Il contesto dialettico nel quale si realizza la condotta puo', dunque, essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilita' delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non puo' mai scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest'ultimo in quanto tale (Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866). 6.4. Nell'ambito di tale perimetro valutativo, i giudici della Corte di Appello hanno relegato le espressioni utilizzate dall'imputato nell'area di quelle non dotate di continenza, avendo ravvisato un attacco personale alla dignita' morale e intellettuale della persona offesa, con valutazione che il Collegio non condivide. La Corte territoriale si e', infatti, discostata dalle richiamate coordinate ermeneutiche, configurando un superamento dei limiti del diritto di critica pur in presenza di un discorso critico a contenuto prevalentemente valutativo, sviluppatosi nell'alveo di una polemica intensa e dichiarata su temi di rilevanza sociale - come e' quello ravvisabile nel caso di specie, trattandosi di un confronto tra esponenti politici di diversa area, che attingeva le condotte di pubblici funzionari succedutisi nella amministrazione del medesimo ente pubblico - senza trascendere in attacchi personali, finalizzati all'unico scopo di aggredire la sfera morale altrui, giacche' la critica si e' sviluppata prendendo di mira la condotta di homo publicus della persona offesa, ne' riscontrandosi nelle parole incriminate che il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti siano stati strumentalmente travisati e manipolati. In particolare, come si e' gia' ricordato, quando il discorso critico ha una funzione prevalentemente valutativa, non si pone un problema di veridicita' di proposizioni assertive, e i limiti scriminanti del diritto di critica, garantito dall'articolo 21 Cost., sono solo quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione. Sicche', il limite all'esercizio di tale diritto deve intendersi superato solo quando l'agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalita' di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato, giacche', in tal caso, l'esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell'ambito di una critica misurata e obiettiva, trascende nel campo dell'aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta. Nella specie, pero', la Corte territoriale si e' discostata dagli illustrati principi e ha erroneamente escluso la sussistenza della scriminante in questione, poiche' non ha contestualizzato gli argomenti oggetto della disputa nell'ambito della polemica nella quale esso si inseriva - giacche' si discuteva della condotta pubblica di due esponenti dell'amministrazione cittadina (l' (OMISSIS) e' infatti un ente pubblico economico). Laddove, invece, la critica portata avanti dagli imputati e' interamente politica, diretta a contrastare le pubbliche e ripetute prese di posizione del (OMISSIS) rispetto alla pregressa gestione dell' (OMISSIS) da parte dell' (OMISSIS), e a porre in luce comportamenti del (OMISSIS) altrettanto discutibili, che, come premesso, sono risultati sostanzialmente veritieri. Non puo' ravvisarsi, cioe', nella condotta degli imputati, la gratuita' e l'idoneita' a esporre allo scherno pubblico il destinatario delle espressioni incriminate, in quanto non dirette alla persona, ma, piuttosto, alla attivita' pubblica posta in essere dal (OMISSIS), qui emergendo i piu' ampi confini che rilevano quando la critica colpisce persona ricoprente una funzione pubblica, peraltro, di vertice, nell'ambito di specifica comunita' territoriale, in base al gia' richiamato principio che, lo democrazia, a maggiori poteri corrispondono maggiori responsabilita' e l'assoggettamento al controllo da parte dei cittadini, esercitabile anche attraverso il diritto di critica. 6.5. Dunque, la critica non fu ne' gratuita ne' esorbitante, essendosi limitata a una censura polemica della condotta della persona offesa, oltre a essersi fondata su una rappresentazione veritiera dei fatti. L'analisi della valenza denigratoria non poteva restare avulsa dalla considerazione del complessivo contesto della vicenda. Il che rende configurabile l'esimente, non essendosi verificato nella vicenda in esame alcun attacco alla sfera personale del (OMISSIS), in quanto - come si e' detto - risulta rispettato il limite della valutazione oggettiva dei comportamenti tenuti dal pubblico amministratore locale, oltre a quello della pertinenza allo specifico tema. 6.6. Va, dunque, affermato che e' scriminata dall'esercizio del diritto di critica politica la condotta, potenzialmente diffamatoria, di diffusione con mezzo di pubblicita' elle notizie di avere cercato voti in campagna elettorale con la scorta al seguito e di favoritismi posti in essere da un amministratore pubblico a vantaggio di professionisti di sua conoscenza, nel conferimento di incarichi pubblici, sempre che dette notizie siano vere, si connotino di pubblico interesse e di continenza formale, non trasmodando la comunicazione in attacchi personali portati direttamente alla sfera privata dell'offeso e non sconfini nella contumelia e nella lesione della reputazione dell'avversario (cfr. Sez. 5, n. 41767 del 21/07/2009, Rv. 245430). 7.L'epilogo del presente scrutinio di legittimita' e' l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non essere i fatti punibili ai sensi dell'articolo 51 c.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. MICCOLI Grazia - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - rel. Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15 giugno 2022, della Corte d'appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere MICHELE CUOCO; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale LUCIA ODELLO che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni depositate il 23 dicembre 2022 dall'avv. (OMISSIS), nell'interesse della parte civile costituita. RITENUTO IN FATTO 1. Oggetto dell'impugnazione e' la sentenza con la quale la Corte d'appello di Milano ha confermato la condanna pronunciata in primo grado nei confronti di (OMISSIS) per il reato di diffamazione aggravata commessa ai danni di (OMISSIS). 2. Il ricorso si compone di tre motivi di censura, tutti formulati sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione. In particolare: 2.1. con il primo, si deduce la mancanza della necessaria condizione di procedibilita', dovendosi qualificare il verbale di ricezione di querela orale una mera denuncia, in quanto priva dell'esplicita manifestazione di volonta' di procedere in ordine al fatto denunciato. 2.2. Con il secondo, invece, si lamenta l'erronea qualificazione dei fatti oggetto della contestazione. Le frasi offensive, invero, sarebbero state pubblicate sulla pagina Facebook della stessa persona offesa e, quindi, rivolte direttamente a quest'ultima. La circostanza per cui queste fossero percepibili da una pluralita' di persone, integrando la sola aggravante di cui all'ultimo comma dell'articolo 594 c.p., non trasformerebbe l'ingiuria in diffamazione. 2.3. Il terzo, in ultimo, attiene all'invocata esimente della provocazione, esclusa, secondo la difesa, alla luce di un parziale travisamento del fascicolo del difensore e di un'errata valutazione della relativa produzione documentale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato Ai fini della validita' della querela presentata oralmente alla polizia giudiziaria, la manifestazione di volonta' della persona offesa di perseguire l'autore del reato e' univocamente desumibile dall'espressa qualificazione dell'atto, formato su richiesta della persona offesa, come "verbale di ricezione di querela orale" (Sez. 2, n. 9968 del 02/02/2022, Rv. 282816), attesa la sottoscrizione della persona offesa "previa lettura e conferma" (Sez. 5, n. 42994 del 14/09/2016, Rv. 268201). Circostanza, in concreto, riscontrabile documentalmente. 2. Il secondo motivo e', invece, infondato. Com'e' noto, l'elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione e' costituito dal fatto che nell'ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, e' diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con piu' persone e non e' posto in condizione di interloquire con l'offensore (Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Rv. 276502). Tant'e' che la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralita' di destinatari, oltre l'offeso, non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di piu' persone, bensi' quello di diffamazione, stante la non contestualita' del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa (Sez. 5, n. 18919 del 15/03/2016, Rv. 266827). La ricorrente deduce che le frasi offensive sarebbero state pubblicate sulla pagina Facebook della stessa persona offesa e, quindi, sarebbero state rivolte direttamente a quest'ultima. In cio' la necessaria qualificazione dei fatti in termini di ingiuria aggravata. La ricostruzione prospettata collide con la consolidata interpretazione offerta da questa Corte di legittimita', secondo cui l'offesa diretta a una persona "distante" costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario (Sez. 5, n. 13252 del 04/03/2021, Viviano, Rv. 280814). Cosicche', laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all'offeso e ad altre persone non contestualmente "presenti" (in accezione estesa alla presenza "virtuale" o "da remoto"), ricorreranno i presupposti della diffamazione (Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011, De Felice, Rv. 250459; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Nastro, Rv. 254044; Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017, Segagni, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, Badalotti, non massimata; Sez. 5., n. 311 del 20/09/2017, dep. 2018, Orlandi, non massimata; Sez. 5, n. 14852 del 06/03/2017, Burcheri, non massimata) Ebbene, alla luce di quanto osservato, proprio la natura, pacificamente, pubblica della bacheca ove le frasi sono state pubblicate permette di qualificare il fatto in termini di diffamazione aggravata ai sensi dell'articolo 595, comma 3, c.p., poiche' questa modalita' di comunicazione ha potenzialmente la capacita' di raggiungere un numero indeterminato di persone (non contestualmente presenti), perche' attraverso questa âEuroËœpiattaforma virtuale' gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un numero indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione (Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015 - dep. 01/03/2016, Martinez, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016, dep. 2017, Rv. 269090). 3. Il terzo motivo e', invece, in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato. E' inammissibile nella parte in cui, nel dedurre che la corte territoriale avrebbe omesso di motivare in ordine alla riferibilita' all'imputata dei post offensivi asseritamente pubblicati dalla persona offesa, rinvia genericamente al contenuto del fascicolo del difensore, senza offrire il concreto riferimento documentale. E' manifestamente infondata in quanto e' pur vero che ai fini dell'integrazione dell'esimente della provocazione, l'immediatezza della reazione deve essere intesa in senso relativo, avuto riguardo alla situazione concreta e alle stesse modalita' di reazione. Ciononostante, e' comunque necessario che tra l'insorgere della reazione e tale fatto sussista una reale contiguita' temporale, cosi' da escludere che il fatto ingiusto altrui diventi pretesto di aggressione alla sfera morale dell'offeso, da consumare nei tempi e con le modalita' ritenute piu' favorevoli (Sez. 5, n. 30502 del 16/05/2013, Rv. 257700). Ed in concreto e' incontestato che, quanto meno con riferimento ad un post, la distanza temporale e' di oltre un mese. 4. In conclusione, il ricorso devono essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali, oltre che alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte d'appello di Milano con separato decreto di pagamento, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 gli articoli 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia Rosa - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. PILLA Egle - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/11/2020 della CORTE APPELLO di MESSINA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. PILLA EGLE; Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Dr. PASSAFIUME SABRINA, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 4 novembre 2020 la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina dell'11 novembre 2019 nei confronti del ricorrente, con la quale l'imputato era stato condannato alla pena di mesi nove di reclusione condizionalmente sospesa in relazione al reato di cui all'articolo 595 c.p., comma 3 per la condotta di diffamazione posta in essere: - mediante pubblicazioni in data (OMISSIS) di frasi sul profilo facebook e riferite alla persona offesa (OMISSIS), commissario straordinario del comune di (OMISSIS), che si sarebbe mostrata accondiscendente ad una grave alterazione del risultato elettorale sul quale incombeva l'ipotesi del voto di scambio e che sarebbe stata collocata in quel comune da (OMISSIS), ex segretario provinciale del PD; - mediante pubblicazione in data (OMISSIS) sui siti on line "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" di ulteriori analoghe dichiarazioni, relative al suo contemporaneo ruolo di commissario di (OMISSIS) e di segretario comunale del comune di Torregrotta e della sua subalternita' alla persona che la aveva collocata a (OMISSIS), (OMISSIS). 2. Avverso la decisione della Corte di appello ha proposto ricorso il (OMISSIS), attraverso il difensore di fiducia, deducendo doglianze, di seguito enunciate nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Con l'unico motivo, articolato in piu' censure, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza della fattispecie di cui all'articolo 595 c.p., comma 3 e all'elemento soggettivo del reato. La Corte territoriale ha erroneamente applicato i principi giurisprudenziali in tema di diritto di critica giornalistica e politica. La sentenza impugnata non ha correttamente applicato siffatti principi affermando che sono state pronunziate espressioni gratuite e incontinenti, senza specificare quali, con una motivazione dunque carente. Ha ritenuto inoltre che fosse stato violato il parametro della verita' della notizia senza considerare che la critica politica non richiede siffatto requisito essendo sufficiente che il giudizio sia fondato su fatti oggettivi. L'imputato si e' limitato a criticare gli esponenti della Regione Sicilia che avevano scelto la (OMISSIS) come Commissario straordinario nel paese dove era stato Sindaco l'assessore (OMISSIS) che, unitamente alla moglie, anche ella segretaria comunale, frequentava la (OMISSIS). 2.2. Sotto un ulteriore profilo il ricorrente lamenta l'assenza dell'elemento psicologico dal momento che si era limitato a raccogliere giudizi ascoltando i cittadini e le notizie sussurrate e non aveva nessuna ragione personale per accusare la (OMISSIS) che peraltro non conosceva. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. La prima doglianza e' aspecifica. Occorre preliminarmente evidenziare che, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione puo' conoscere e valutare l'offensivita' della frase che si assume lesiva dell'altrui reputazione perche' e' compito del giudice di legittimita' procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialita' della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato. (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019 -dep. 2020- Rv. 278145) 1.1. La sentenza impugnata ha correttamente risposto alle censure mosse nell'atto di appello e riproposte in questa sede. La sentenza, con motivazione puntuale, esaustiva, ne' contraddittoria o manifestamente illogica (p.4), ha chiarito che le espressioni utilizzate dal (OMISSIS) (diffuse anche su siti-online) alludevano sia a presunte condotte illecite perpetrate dalla (OMISSIS), sia al fatto che la sua nomina quale Commissario Straordinario presso il Comune di (OMISSIS) era stata frutto di favoritismi. 1.2 La sentenza impugnata, quanto all'invocata scriminante del diritto di critica politica, ha operato buon governo dei principi di questa Corte, che esclude la configurabilita' della scriminante anzidetta quando la condotta dell'agente trasmodi in aggressioni gratuite, non pertinenti ai temi in discussione ed integranti l'utilizzo di "argumenta ad hominem", intesi a screditare l'avversario mediante la evocazione di una sua presunta indegnita' od inadeguatezza personale- come l'acquiescenza al voto di scambio e la incapacita' a occupare quel ruolo se non attraverso la intercessione di esponenti politici nel caso di specie - piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 dep. 2011,Simeone e altri). In particolare, rilevante ai fini della esclusione della esimente dell'esercizio di critica invocata e' la considerazione in base alla quale solo se colui, che criticando le altrui azioni, indica i fatti sui quali si fondano le sue affermazioni astrattamente lesive della reputazione della persona offesa, puo' pretendere una valutazione di proporzionalita' tra la lesivita' dello scritto diffamatorio e la gravita' dei fatti che lo hanno indotto a scrivere. Se i fatti che sorreggono l'offesa non risultano accertati, non e' possibile valutare l'offensivita' degli stessi con la impossibilita' di invocare l'articolo 51 c.p.. Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che "In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini della configurabilita' dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica, che trova fondamento nell'interesse all'informazione dell'opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, e' necessario che l'elaborazione critica non sia avulsa da un nucleo di verita' e non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui" (Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020 Rv. 279909). 2. Egualmente manifestamente infondata e' la seconda censura quanto al difetto di elemento psicologico. La scriminante putativa dell'esercizio del diritto di critica (o di cronaca) e' configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio (Cass., n. 51619 del 17/10/2017); circostanza, questa, della quale non solo non e' stata fornita alcuna prova, ma sono stati indicati elementi in senso contrario, avendo il ricorrente riferito di avere raccolto notizie tra i cittadini, eludendo dunque l'obbligo di attenta verifica dell'attendibilita' della fonte. 3. Alla inammissibilita' del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue altresi', a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilita' dei ricorsi, nella misura di Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAPUTO Angelo - Presidente Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dalla parte civile (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento a carico di: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 12/05/2022 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA BIFULCO; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. ssa Perla Lori, la quale ha chiesto l'annullamento dell'impugnata sentenza, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Ritenuto in fatto 1. In riforma della sentenza con cui il Tribunale di Varese aveva condannato (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 595, comma 3, c.p., alla pena di Euro 800 di multa e al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 2000, nei confronti della parte civile (OMISSIS), la Corte d'appello di Milano, con sentenza indicata in epigrafe, ha riqualificato il fatto ai sensi dell'articolo 594 c.p., assolvendo l'imputato perche' il fatto non costituisce piu' reato. Secondo il capo d'imputazione, (OMISSIS) offendeva la reputazione di (OMISSIS), perche', comunicando attraverso il soda network "Facebook" e pubblicando opinioni in un "post" pubblico dedicato ai problemi di viabilita' del comune di Luino, faceva espresso riferimento a deficit visivi della parte civile ("punti di vista, anche storta"... "mi verrebbe da scrivere la lince, ma ho rispetto per la gente sfortunata", con piu' "emoticon" simboleggianti risate), dileggiandola. 2. Avverso la sentenza indicata in epigrafe, ha presentato ricorso la parte civile (OMISSIS), per il tramite del proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), articolando le proprie censure in un unico motivo, col quale deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) del codice di rito, erronea applicazione della legge penale, oltre che vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale riqualificato il fatto alla luce dell'articolo 594 c.p. A parere della difesa, il presupposto da cui la Corte territoriale ha preso le mosse per fondare la propria decisione di riforma ("un deficit visivo non diminuisce il valore di una persona", p. 4 della motivazione dell'impugnata sentenza) sarebbe del tutto inidoneo a descrivere la condotta dell'imputato; condividere quel presupposto significherebbe, secondo la difesa, trascurare "i piu' precipui contenuti che caratterizzano la reputazione di una persona". Alla riqualificazione del fatto nella fattispecie d'ingiuria, la Corte d'appello sarebbe inoltre giunta sulla base di un ulteriore erroneo presupposto, vale a dire la possibilita', di cui la parte offesa poteva avvantaggiarsi, di replicare in via immediata alle espressioni offensive pubblicate su una chat. Cosi' argomentando, la Corte d'appello avrebbe pero' trascurato di considerare che i messaggi lesivi della reputazione del (OMISSIS) avevano intanto raggiunto non soltanto quest'ultimo, bensi' anche una moltitudine di persone, a nulla rilevando, dunque, che la parte offesa abbia avuto la possibilita' d'interloquire con l'imputato in quel contesto comunicativo. 3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'articolo 23, comma 8, Decreto Legge 28/10/2020, n. 137, conv. con L. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. ssa Perla Lori, la quale ha chiesto l'annullamento dell'impugnata sentenza, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Considerato in diritto 1. Il ricorso e' fondato. 2. La prima parte della succinta motivazione dell'impugnata sentenza risulta, invero, di non immediata comprensione. Coglie nel segno la difesa di parte civile nel rilevare l'incongruenza motivazionale nel punto in cui la Corte territoriale afferma, dapprima, che "l'imputato ha volto gravi offese alla parte civile, denigrandola per il deficit visivo", per poi ritenere, nell'immediato prosieguo della motivazione, che non vi sia stato pregiudizio per la reputazione del (OMISSIS), perche' "un deficit visivo non diminuisce il valore di una persona" e avendo l'imputato, con offese siffatte, "messo in cattiva luce se stesso". Allorche' il Giudice d'appello scrive che "un deficit visivo non diminuisce il valore di una persona", non e' dato comprendere se egli stia semplicemente esprimendo una affermazione di principio (condivisibile, ma priva di rilievo per il thema decidendum), oppure se, con quella frase, abbia inteso escludere la configurabilita' della diffamazione, intendendo forse alludere al fatto che il dileggio di una persona ipovedente non vale anche a scalfirne il valore e, quindi, a lederne la reputazione. In ogni caso, l'eccezione difensiva va condivisa, dacche' la condotta di chi metta alla berlina una persona per talune caratteristiche fisiche, comunicando con piu' persone, puo' certo considerarsi un'aggressione alla reputazione di una persona, come gia' statuito da questa Corte (Sez. 5, n. 32789 del 13/05/2016, Ceresa, Rv. 267399 - 01: integra "il reato di diffamazione il riferirsi ad una persona con una espressione che, pur richiamando un handicap motorio effettivo, contenga una carica dispregiativa che, per il comune sentire, rappresenti una aggressione alla reputazione della persona, messa alla berlina per le sue caratteristiche fisiche"; nella fattispecie la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione di condanna nei confronti del soggetto che, comunicando con piu' persone, qualificava la persona offesa nel contesto di una discussione come "la zoppetta""). Che la reputazione individuale (da non confondersi, naturalmente, con la mera considerazione che ciascuno ha di se' o con il semplice amor proprio, posto che il bene giuridico tutelato dalla norma di cui all'articolo 595 c.p. e' eminentemente relazionale, tutelando il senso della dignita' personale in relazione al gruppo sociale) sia "un diritto inviolabile, strettamente legato alla stessa dignita' della persona" e' stato ricordato, piu' di recente dalla Corte Cost., con sentenza n. 150 del 2021. Ed e' proprio la correlazione tra dignita' e reputazione a venire in rilievo nel caso di specie, posto che le espressioni adoperate dell'imputato sottendono una deminutio della persona offesa, che, in quanto ipovedente, non avrebbe dignita' di interlocuzione pari a quella degli altri utenti della piattaforma. La seconda parte della motivazione e' invece chiara nell'esporre le ragioni che hanno portato la Corte territoriale a ravvisare nella condotta del (OMISSIS) gli estremi del depenalizzato delitto d'ingiuria. Nondimeno, questo Collegio ritiene di disattendere la valutazione della Corte territoriale sul punto, ricordando che l'elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione e' costituito dal fatto che nell'ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, e' diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con piu' persone e non e' posto in condizione di interloquire con l'offensore (Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vicaretti, Rv. 276502). Nei casi in cui il limite tra ingiuria e diffamazione si fa piu' opaco, il punto, allora, e' capire se e quando l'offeso sia stato concretamente in condizioni di replicare. Se e' vero, come scrive il Giudice d'appello, che "la parte civile ha potuto ed era in grado di replicare alle offese, diffuse sulla chat", e' vero anche che tale possibilita' si e' data in un momento successivo alla pubblicazione delle offese sul soda network "Facebook". Pronunciandosi sul discrimine tra diffamazione e ingiuria in caso di offese espresse per il tramite di piattaforme telematiche con servizio di messaggistica istantanea e comunicazione a piu' voci ("Google Hangouts"), questa Corte ha chiarito che soltanto il requisito della contestualita' tra comunicazione dell'offesa e recepimento della stessa da parte dell'offeso (come, appunto, nel caso di messaggistica istantanea con annesso servizio di videochiamata e chiamate cd. VoIP -voce tramite protocollo internet) vale a configurare l'ipotesi dell'ingiuria. In difetto del requisito della contestualita', che non risulta in alcun modo emerso nel corso del processo (e che, in generale, va di volta in volta verificato, in relazione alle specificita' dei singoli casi), l'offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con piu' persone e non e' posto in condizione di interloquire con l'offensore (Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742 - 01: fattispecie in tema di "chat" vocale sulla piattaforma "Google Hangouts"); nel qual caso, si profila l'ipotesi della diffamazione. In considerazione dei tanti, possibili contesti (legati o non al progresso tecnologico) in cui un'espressione offensiva puo' esternarsi, puo' dunque osservarsi - parafrasando una decisione di questa Corte (Sez. 5, n. 38099 del 29 maggio 2015, Cavalli, n. m.) che "la diffamazione, avente natura di reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione ingiuriosa", a condizione che essi siano, in quel momento e in quel luogo (virtuale o non), in grado di difendersi. 3. Questo Collegio ritiene, pertanto, che la sentenza impugnata vada annullata limitatamente agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.