Sentenze recenti differenze retributive

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 18/10/2022 del TRIB. LIBERTA' di CATANZARO; udita la relazione svolta dal Consigliere GIORGIO POSCIA; ledelsentite le conclusioni del PG GIOVANNI DI LEO Il P.G. conclude chiedendo il rigetto del ricorso. Udito il difensore; L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di Catanzaro ha rigettato la richiesta di riesame proposta, ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., da (OMISSIS), avverso l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa citta' emessa in data 26 settembre 2022, con la quale era stata disposta nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere perche' gravemente indiziato di avere fatto parte di una associazione di stampo mafioso di tipo ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndranghetistico ex articolo 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 ed 8, operante nella Regione Calabria, nel territorio italiano ed all'estero, costituita da molte decine di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"locali' e ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"drine distaccate, allo scopo di commettere reati di materia di armi, esplosivi e munizionamento, contro la vita, il patrimonio e l'incolumita' individuale e, in particolare il commercio di sostanze stupefacenti, estorsioni, usure, furti, riciclaggio, esercizio abusivo di attivita' finanziaria, di acquisire direttamente ed indirettamente la gestione e/o il controllo di attivita' economiche nel settore edilizio, movimento terra e ristorazione, di acquisire appalti pubblici e privati, di ostacolare il libero esercizio del voto, procurare a se' e ad altri voti in occasione di competizioni elettorali e di conseguire per se' e altri vantaggi ingiusti, con l'aggravante di essere l'associazione armata, nonche' per commettere piu' delitti relativi alla organizzazione di traffici illeciti di rifiuti e alla commissione di reiterate truffe ai danni del Gestore del servizio energetico nazionale. Fatto aggravato dall'essere stato commesso per agevolare il sodalizio di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta denominato ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di Mesoraca' e le articolazioni ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndranghetistiche del crotonese, le quali monopolizzavano ed organizzavano il trasporto del legno cippato in violazione della normativa sui rifiuti, conferendo materiale non conforme in accordo con i responsabili delle strutture c.d. a biomassa. Nelle province di (OMISSIS) dal (OMISSIS). Con il ruolo per (OMISSIS), di capo cosca e, in quanto tale, di impartire ordini e direttive agli associati (capi 1 e 6). Il (OMISSIS), inoltre, e' indagato per il delitto di cui all' articolo 81, cpv. articolo 110, articolo 112, commi 1 e 2, articolo 452-quaterdecies, articolo 416-bis.1. c.p. perche', in concorso con gli altri indagati e previo accordo tra loro, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con piu' operazioni e attivita' continuative organizzate: gestivano, ricevevano, trasportavano e smaltivano materiale legnoso misto a scarti di segheria e altro materiale di risulta proveniente da tagli, sfalci e potature abusivi dagli stessi perpetrati e organizzati, intensivi, e per questo pericolosi per l'ambiente; gestendo il predetto materiale, "cippandolo" in piazzali dagli stessi allestiti, mischiando illecitamente con materiale di risulta, e conferendo il predetto materiale presso centrali a biomassa ubicate in territorio calabrese (Cutro, Strongoli, Crotone, Laino Borgo ed Ecosesto-Cosenzaa), anche per mezzo della redazione e predisposizione di falsa documentazione e false perizie di agronomi che attestavano diversa origine del materiale poi conferito in centrale biomassa (in tal modo facendo assumere al materiale la qualita' di rifiuto, non rientrando in tal modo, nella esclusione normativa di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2016, articolo 185, comma 1, lettera f); smaltivano quindi, i dirigenti e i responsabili delle centrali biomasse, l'ingente materiale come chips di legno vergine, bruciandolo per la produzione di energia elettrica incentivata per la quale le centrali sono destinatarie di fondi pubblici, con cio' guadagnandone l'ingiusto profitto costituito, altresi', da un agevole smaltimento dei rifiuti, un indebito incremento del volume di affari per i fornitori, determinato dal mischiare materiale legnoso vergine a scarti di segheria, lavori autostradali e/o sfalci e potature abusivi (capo 7). (OMISSIS), risulta indagato, in concorso con (OMISSIS), anche per estorsione aggravata ed illecita concorrenza (con l'aggravante del metodo mafioso) consistite nelle pressioni esercitate dal (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) - titolare di un esercizio di ristorazione -, per fargli smettere di offrire nel menu' piatti di carne perche' in concorrenza con il ristorante ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS)' di proprieta' (di fatto) del (OMISSIS) ed evidenziando, al riguardo, il forte disappunto del capo della ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale' per la suddetta circostanza (capi 15 e 16). Il predetto e' anche indagato, assieme al figlio (OMISSIS) e (OMISSIS), per il delitto di cui all' articolo 110, articolo 416-bis.1. e articolo 512 c.p. per avere attribuito fittiziamente a (OMISSIS), la titolarita' del locale ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS)' sito in localita' (OMISSIS), di fatto gestita dallo stesso assieme al figlio, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione e di agevolare la ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di Mesoraca'; fatto accertato in (OMISSIS) (capo 17). Egli e' indagato pure, sempre con il figlio (OMISSIS), per il reato previsto dall' articolo 110, articolo 81, comma 2, articolo 629, comma 2, con riferimento all'articolo 628, comma 3 nn. 1 e 3, articolo 416-bis.1. c.p., per avere, in concorso con il figlio, con una pluralita' di condotte esecutive del medesimo disegno criminoso, perpetrate anche in tempi diversi, compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco, a costringere (OMISSIS), cuoco gia' assunto ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"in nero' presso il locale ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS) a non esperire azioni giudiziarie al fine di ottenere i giusti emolumenti inerenti la propria mansione lavorativa. Cosi' procurandosi un ingiusto vantaggio con pari danno della persona offesa che avrebbe visto elise le proprie pretese lavoristiche. In particolare, sia (OMISSIS) che (OMISSIS), avevano contattato ripetutamente (OMISSIS), minacciandolo implicitamente di ritorsioni ed evocando il vincolo di intimidazione mafiosa loro derivato dall'essere rappresentanti apicali della consorteria di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta denominata ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di Mesoraca', appellandolo ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"infame' e rappresentategli espressamente frasi del tipo " se tu vuoi andare avanti... vai avanti tu che noi veniamo...",tutte dirette in modo non equivoco al fine di impedirgli di esperire ogni azione lavoristica. Con l'aggravante di avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. e, in ogni caso, per agevolare l'attivita' dell'associazione mafiosa denominata ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di Mesoraca'. Accertato in (OMISSIS) (capo 18 dell'imputazione provvisoria). Infine, (OMISSIS) e' indagato per il reato di associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articoli 74, commi 1, 2, 3 e 4, articolo 416-bis.1. c.p., con il ruolo di promotore della stessa e, in particolare, di supervisore dello spaccio nel territorio di Mesoraca, impartendo direttive circa l'approvvigionamento del narcotico ed il successivo trasporto in territorio estero, risolvendo le controversie insorte tra gli associati ed avendo il compito di avallare le movimentazioni finanziarie legate all'attivita' di narcotraffico. Fatti accertati in Mesoraca e territorio elvetico a partire dall'anno 2016 con condotte protrattesi sino all'attualita' (capo 20 dell'imputazione provvisoria) 1.1. Il Tribunale ha ritenuto che il complesso dei dati investigativi acquisti consentisse la integrale conferma della ordinanza genetica, sussistendo gravi indizi di colpevolezza a carico di (OMISSIS), per i reati sopra indicati, desunti dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali (ampiamente riportate nel provvedimento genetico del Giudice per le indagini preliminari), da quelle di osservazione, dai sequestri, dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia e dalle ulteriori attivita' di indagine; in forza di tali elementi, quindi, il Giudice del riesame ha evidenziato che le indagini espletate avevano accertato l'esistenza di un'organizzazione criminale di stampo ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndranghetistico operante nel territorio di Mesoraca e nei comuni limitrofi e dei reati fine di cui alla imputazione provvisoria. 1.2. Con riferimento al reato sub 1) il Tribunale del riesame ha osservato che l'esistenza e l'operativita' della c.d. ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di Mesoraca', con al vertice proprio l'indagato, e' stata confermata da numerosi provvedimenti giurisdizionali nonche' dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia (tra cui (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), ed altri ancora), i quali hanno descritto la rete di rapporti e le alleanze sul territorio della cosca di Mesoraca con le altre consorterie mafiose ed il suo inserimento all'interno della comunita' ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndranghetistica. Il principale ramo nel quale si sono incentrate le indagini ha riguardato le infiltrazioni della ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta nel redditizio settore delle energie rinnovabili e, in particolare, nel conferimento di legno c.d. ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"cippato' alle varie centrali a biomassa esistenti nel territorio calabrese come riferito, anzitutto, dai collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno confermato il ruolo di rilievo svolto in tale attivita' da (OMISSIS). Tali dichiarazioni, convergenti tra loro, sono state ritenute credibili, precise e puntuali circa le attivita' illecite svolte dalla ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di Mesoraca' nel legno ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"cippato' ed il ruolo di preminenza ricoperto, in tale ambito, da (OMISSIS). 1.3. Quanto al reato sub 7) il Tribunale ha confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sulla base, in particolare, di alcune intercettazioni dal cui contenuto si ricavava la diretta partecipazione dell'indagato nella gestione dei traffici con le direttive da lui impartite - a mezzo del figlio (OMISSIS), per amalgamare il ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"cippato' conforme a quello non conforme per poi conferire tutto alle centrali di biomassa. 1.4. Con riferimento al reato sub 17), sempre sulla base delle intercettazioni, sono stati desunti i gravi indizi di colpevolezza rispetto alla fittizia intestazione del locale ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS)' ad altro soggetto, considerato che l'indagato ed il figlio continuavano ad essere direttamente coinvolti nella gestione del locale medesimo anche successivamente alla sua cessione. 1.5. In ordine al reato sub 18) il Tribunale di Catanzaro ha confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dando rilievo al contenuto di due intercettazioni intercorse tra l'indagato, il figlio (OMISSIS) ed il cuoco (OMISSIS), nel corso delle quali i primi due avevano minacciato il terzo, il quale intendeva ottenere il pagamento del corrispettivo per la sua attivita' lavorativa svolta in favore dei predetti presso il ristorante sopra indicato. In particolare, dopo l'intervento del Ferrazzo padre il lavoratore aveva mutato il proprio atteggiamento e sostanzialmente non aveva piu' insistito nelle proprie pretese relative alle differenze retributive. 1.6. Con riferimento ai reati sub 15) e 16) i gravi indizi di colpevolezza sono stati desunti dall'intercettazione di un colloquio intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS), (titolare di un locale ristorante considerato in concorrenza con quello del (OMISSIS)), nel corso del quale era stata prospettata al (OMISSIS) l'impossibilita' di continuare ad offrire pietanze di carne nel proprio locale, proprio in quanto cio' era sgradito all'indagato che offriva analoghi prodotti nel suo locale (il ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS)'). 1.7. Rispetto alla sussistenza dell'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ed aggravata dal metodo mafioso, il Tribunale ha fatto proprie le relative considerazioni contenute nella ordinanza genetica. In particolare, ha ritenuto che i gravi indizi di colpevolezza rispetto ai fatti in contestazione si ricavavano dall'insieme delle intercettazioni ambientali e telefoniche, dalle attivita' di osservazione e pedinamento unitamente alle convergenti dichiarazioni di vari collaboratori circa la posizione di capo e promotore del (OMISSIS), anche dell'associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74. 1.8. Con riferimento, poi, alle esigenze cautelari il Tribunale ha osservato che, nella fattispecie, sussisteva la presunzione relativa di cui all'articolo 275 c.p.p., comma 3, e che, comunque, le modalita' e le circostanze delle azioni criminose sono indice di un elevato grado di serialita' e di professionalita' criminale dell'indagato. Il pericolo concreto di reiterazione del reato, legato al ruolo di capo indiscusso del sodalizio, agli stretti legami con gli altri associati ed al numero elevato dei reati per i quali si procede, ha fatto ritenere al Tribunale adeguata unicamente la misura cautelare della custodia in carcere. 2. Avverso la predetta ordinanza (OMISSIS), per mezzo dell'avv. (OMISSIS), propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo denuncia, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), c.p.p., violazione di legge e vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza per i reati di cui alla imputazione provvisoria poiche' il Tribunale avrebbe omesso di accertarne la sussistenza a suo carico fornendo, sul punto, una motivazione soltanto apparente. In sostanza, egli lamenta che l'ordinanza genetica prima e quella del Tribunale poi avrebbero fondato il giudizio di gravita' degli elementi indiziari essenzialmente sulla sola circostanza che (OMISSIS) e' ritenuto capo della c.d. ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di (OMISSIS)', senza fornire elementi individualizzanti al riguardo, considerato che egli unici episodi concreti richiamati sono quello dell'intestazione fittizia del locale ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS)', mentre per l'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti gli elementi indiziari sono stati ricavati da intercettazioni di colloqui tra terzi nei quali si fa riferimento al nome ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦" (OMISSIS)'. Inoltre, il ricorrente osserva che egli e' stato assolto da analoga imputazione nel 2010 e che gli unici reati fine sarebbero stati commessi nel 2014 e nel 2017 Il ricorrente osserva che l'attivita' commerciale nel settore del legno del figlio (OMISSIS) e' legittima, come anche che la titolarita' della ditta (OMISSIS) e' genuina e non fittizia; inoltre, lamenta il fatto che il Tribunale del riesame non abbia esaminato la documentazione da lui prodotta a conferma della legittimita' del materiale conferito nelle centrali a biomassa (ricerca della (OMISSIS)). Egli, quindi, osserva che la valutazione della gravita' indiziaria nei suoi confronti e' stata effettuata per presunzioni, poiche' sarebbe stato ritenuto - in modo apodittico - che l'attivita' economica sarebbe riconducibile alla ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta senza tenere conto, ad esempio, che il materiale da conferire come biomassa veniva acquistato dai (OMISSIS). 2.2. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione degli articoli 274 e 275 c.p.p. ed il relativo vizio di motivazione rispetto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla scelta della misura applicata nei confronti del (OMISSIS), tenuto conto che le condotte ascrittegli risalgono al 2017 e che non sussiste pericolo di reiterazione anche in considerazione del suo stato di salute. Quindi, rispetto alla esigenze di natura cautelare, le stesse sarebbero state desunte esclusivamente dalla presunta posizione di capo della cosca rimasta, pero',priva di riscontri indiziari. 3. Infine, nel corso della discussione in camera di consiglio, le parti hanno concluso nei termini sopra riportati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Deve, anzitutto, evidenziarsi che il ricorrente non ha sollevato specifiche censure rispetto ai capi della ordinanza impugnata che avevano confermato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, a suo carico, per i reati di cui ai capi 15), 16) 17) e 18) - intestazione fittizia, illecita concorrenza ed estorsioni, con le aggravanti del metodo mafioso- che pertanto restano estranei al presente giudizio, che deve quindi intendersi limitato ai reati sub 1), 6), 7) e 20). Cio' posto, si osserva che'(ricorso e' solo parzialmente fondato per le ragioni di seguito illustrate. 2. Con riferimento ai limiti del controllo di legittimita' sulle ordinanze cautelari questa Corte afferma principi consolidati e qui ribaditi. La verifica che viene compiuta in questa sede non riguarda la ricostruzione dei fatti, ne' puo' comportare la sostituzione dell'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilita' delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, dovendosi dirigere verso il controllo che il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l'hanno convinto della sussistenza o meno della gravita' del quadro indiziario a carico dell'indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l'apprezzamento delle risultanze analizzate (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000), nel provvedimento genetico, purche' le deduzioni difensive non siano potenzialmente tali da disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell'ordinanza applicativa della misura cautelare, non potendo in tal caso la motivazione per relationem fornire una risposta implicita alle censure formulate. All'esito del riesame dell'ordinanza applicativa di una misura cautelare, e' legittima la motivazione che richiami (o riproduca) le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato in assenza di specifiche deduzioni difensive, formulate con l'istanza originaria o con successiva memoria, ovvero articolate oralmente in udienza, tali da rendere funzionalmente inadeguata la relatio su cui il richiamo si e' basato (Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, Falduto, Rv. 272628; Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015, dep. 2016, Nappello, Rv. 265765). In questa prospettiva si puo' ritenere senz'altro legittima la riproposizione anche di parti del provvedimento applicativo nell'ordinanza resa all'esito del riesame, sempre che, tuttavia, tale tecnica espositiva sia affiancata dalla dovuta analisi dei contenuti e dall'esplicitazione delle ragioni alla base del convincimento espresso in sede decisoria (Sez. 2, n. 13604 del 28/10/2020, dep. 2021, Torcasio, Rv. 281127). 3. Fatta questa premessa, si rileva che - quanto ai reati sub 1) e 20) - le censure mosse dal ricorrente sono infondate con il conseguente rigetto del ricorso sul punto. L'ordinanza impugnata muove da alcune sentenze, dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, dalle intercettazioni telefoniche, ambientali, telematiche e dalle attivita' di osservazione e controllo; in particolare, il Tribunale di Catanzaro ha dato rilievo a quanto riferito da numerosi collaboratori rispetto alla composizione ed alla struttura gerarchica del sodalizio mafioso di Mesoraca al cui vertice siede proprio l'odierno ricorrente e del ruolo di capo indiscusso dal medesimo rivestito. Di tali dichiarazioni il collegio del riesame (condividendo le valutazioni dell'ordinanza genetica) ha vagliato attentamente, a tal fine anche incrociandole con le intercettazioni dei sodali, le caratteristiche e l'obiettiva consistenza, in tal modo sostanzialmente adempiendo all'obbligo di verifica della credibilita' del loro autore, e di intrinseca attendibilita' del narrato, le quali - cosi' come possono essere oggetto di apprezzamento unitario, non richiedendo il relativo percorso valutativo passaggi rigidamente separati (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145) - neppure necessitano di proclamazione ufficiale, purche' emerga che il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, abbia scrupolosamente saggiato l'affidabilita' della fonte. 3.1.Quanto ai riscontri suddetti, di natura individualizzante, circa l'appartenenza di (OMISSIS) all'associazione di cui all'articolo 416-bis c.p., (capo 1 dell'imputazione provvisoria) con il ruolo di capo indiscusso della ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di (OMISSIS)' e dei legami della stessa con gli altri sodalizi mafiosi delle zone limitrofe, l'ordinanza impugnata ne identifica plurimi. Anzitutto, le concordanti dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia dettagliatamente elencati (pagg. 14 e ss. dell'ordinanza impugnata), la disponibilita' di armi, le vari attivita' di intercettazioni dalle quali si e' avuta la conferma del clima di assoggettamento e di omerta' sul quale poteva contare il sodalizio capeggiato da (OMISSIS). Al riguardo e' stato dato rilievo alle intercettazioni riguardanti i reati sub 15), 16), 17) e 18) - che come visto non sono stati oggetto di specifiche censure dalle quali emerge il sicuro coinvolgimento del ricorrente nella vicenda della intestazione fittizia del locale ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS)' e della estorsione in danno del cuoco, il quale intendeva ottenere dai (OMISSIS), il pagamento di differenze retributive e che - una volta appresso dell'interessamente dell'odierno ricorrente - aveva deciso di non insistere nelle proprie rivendicazioni per l'evidente timore di possibili ritorsioni. Di analogo rilievo sono state considerate le intercettazioni riguardanti i reati sub 15) e 16), dalle quali era emerso che al titolare di un ristorante (tale (OMISSIS)) era stato richiesto da (OMISSIS) di non offrire sul menu' pietanze di carne per non porsi in concorrenza con il locale di fatto gestito da (OMISSIS); una volta appreso il coinvolgimento diretto dell'odierno indagato nella vicenda il (OMISSIS), aveva subito rinunciato a proporre la vendita di piatti di carne, consapevole delle eventuali ritorsioni e conseguenze da parte del sodalizio criminale qualora non avesse assecondato il volere del capo della cosca. Tali reati-fine risultano gia' in se' indizianti, per il ruolo preminente svolto dall'indagato e per le modalita' dell'azione, della sua appartenenza al clan ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndranghetistico con il ruolo di capo; inoltre, non appaiono isolati, ne' la gravita' indiziaria di appartenenza mafiosa si fonda solo sulle singole manifestazioni delittuose, ma sono piuttosto queste che si pongono come fondamentale riscontro di una diretta chiamata di reita' a tale titolo, gia' in se' circostanziata. 3.2. Con riferimento alla associazione di cui capo 20) della imputazione provvisoria l'ordinanza impugnata ha osservato che i gravi indizi di colpevolezza si desumono dalle convergenti dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia (elencati nelle pagg.42 e ss. del provvedimento del Tribunale), concordi nell'indicare proprio (OMISSIS) come colui che fornisce le indicazioni e le direttivi. agli associati rispetto all'acquisto ed alla cessione di sostanze stupefacenti di vaia natura. In particolare, il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto particolarmente significative le dichiarazioni rese da (OMISSIS), considerato che esse avevano trovato riscontro nelle indagini svolte, autonomamente dai Carabinieri del Nucleo investigativo di Crotone. Inoltre, lo stesso Tribunale ha fatto proprie le argomentazioni contenute nell'ordinanza genetica rispetto alla sussistenza dell'associazione elencando tutti gli elementi dai quali ha desunto, in modo non manifestamente illogico, la sussistenza della associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, e precisamente: 1) le dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, tutte convergenti rispetto alla operativita' della ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"locale' di (OMISSIS) in attivita' di traffico di sostanze stupefacenti; 2) l'esistenza di un gruppo organizzato comprovato dai continui e stabili contatti tra i medesimi soggetti e dallo scambio di direttive finalizzato proprio alla gestione della principale piazza di spaccio di (OMISSIS); 3) l'esistenza di una gerarchia con al vertice proprio (OMISSIS) al quale i vari sodali rendevano conto di tutte le problematiche legate all'attivita' di narcotraffico; 4) la suddivisione dei ruoli tra i vari associati; 5) l'elevato numero dei reati-fine accertati indicativo delle numerose e seriali condotte di cessioni di stupefacente nell'ambito del territorio anzidetto; 6) la disponibilita' dei luoghi per lo stoccaggio e l'occultamento delle sostanze stupefacenti, come ad esempio il terreno di (OMISSIS), dove sono stati rinvenuti vari grammi di cocaina; 7) la capacita' del gruppo di sopperire ai momenti di difficolta' e fibrillazione causati, ad esempio, dalla detenzione di uno degli associati; 8) la capacita' del sodalizio di alimentare costantemente il flusso di droga sul mercato; 9) l'esistenza di rotte commerciali estere per l'esportazione dello stupefacente; 10) il collegamento con la cosca mafiosa di (OMISSIS) come riferito dai collaboratori di giustizia e confermato dalla partecipazione alla associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, di esponenti della suddetta cosca, tra cui in particolare l'odierno ricorrente con ruolo di assoluto vertice. Il relativo compendio indiziario appare dunque ineccepibilmente valutato, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, nell'ordinanza impugnata, rispetto alla quale il ricorrente solleva censure generiche limitandosi a sostenere che gli indizi a suo carico non sarebbero individualizzanti ed a chiedere, quindi, una diversa (ed inammissibile in questa sede) valutazione degli elementi di natura indiziaria gia' coerentemente esaminati dal Tribunale di Catanzaro. Deve poi ribadirsi che e' insegnamento costante della Corte di legittimita' (ex pluribus, Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730) come sia a tal fine necessario che il giudice del riesame indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo cosi' l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non abbia rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale motivo. 3.3. Con riferimento alle censure riguardanti le esigenze cautelari e la adeguatezza della misura disposta nei confronti del ricorrente, si osserva che esse sono infondate. Come e' noto, infatti, in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato del reato di associazione mafiosa e di associazione Decreto del Presidente della Repubblica 309 del 1990, ex articolo 74, la presunzione relativa di pericolosita' sociale, di cui all'articolo 275 c.p.p., comma 3, come novellato dalla L. n. 47 del 2015, puo' essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice (presenti agli atti o addotti dalla parte interessata) emerga che l'associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l'organizzazione criminosa, sicche', in assenza di elementi a favore, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze cautelari (Sez. 5 -, Sentenza n. 45840 del 14/06/2018, Rv. 274180 - 02). Orbene, il ricorrente si limita a sostenere la insussistenza delle esigenze cautelari unicamente sulla base del decorso del tempo che pero' - in assenza di elementi circa la definitiva cesura dei legami con il gruppo mafioso - non appaiono sufficienti a tal fine, tenuto anche conto che egli e' a capo di entrambi i sodalizi criminali e che l'imputazione sub 20) e' fino all'attualita'. Deve poi aggiungersi che il ricorrente non deduce in modo specifico la incompatibilita' con il regime carcerario delle sue condizioni di salute non avendo articolato alcuna censura al riguardo. 4. Al contrario, risultano fondate le censure riguardanti i reati sub 6) e 7), vale a dire i delitti di cui all' articoli 416-bis, articolo 81, cpv. articolo 110, articolo 112, commi 1 e 2, articolo 452-quaterdecies, articolo 416-bis.1. c.p.. Invero, deve osservarsi che, in punto di gravita' indiziaria per i reati sopra indicati, assume assorbente rilievo la mancata considerazione della memoria difensiva con allegata una ricerca effettuata dall'Universita' (OMISSIS) (relativa proprio alla biomassa), prodotta alla udienza del 18 ottobre 2022 tenutasi davanti al Tribunale del riesame di Catanzaro, della quale pero' manca qualsiasi riferimento nel provvedimento impugnato nonostante riguardasse proprio la materia oggetto di imputazione provvisoria di cui ai capi 6) e 7). Sulla questione del mancato esame delle memorie difensive depositate davanti al Tribunale del riesame e dei limiti della deducibilita' del vizio in sede di legittimita' va richiamato e ribadito il principio gia' espresso da questa Corte, secondo cui "l'omesso esame di una memoria difensiva da parte del Tribunale del riesame in materia di misure cautelari reali puo' essere dedotto in sede di ricorso per cassazione ex articolo 325 c.p.p. soltanto quando con la memoria sia stato introdotto un tema potenzialmente decisivo ed il provvedimento impugnato sia rimasto sul punto del tutto silente" (Sez. 2, n. 38834 del 07/06/2019, Forzini, Rv. 277220). Si tratta di principio senz'altro suscettibile di estensione alla materia delle misure cautelari personali. Infatti, questa Corte ha, ulteriormente, precisato che "in tema di impugnazione di misure cautelari personali, l'omessa valutazione di una memoria difensiva da parte del giudice del riesame determina la nullita' del provvedimento nel solo caso in cui siano in essa articolate specifiche deduzioni che non si limitino ad approfondire argomenti a fondamento di quelle gia' prospettate ex articolo 309 c.p.p., comma 6, ma contengano autonome e inedite censure del provvedimento impugnato, che rivestano carattere di decisivita'" (Sez. 5, n. 11579 del 22/02/2022, Adiletta, Rv. 282972). 4.1. Altro arresto ha operato la precisazione secondo cui,"in tema di ricorso per cassazione, l'omesso esame di una memoria difensiva da parte del Tribunale del riesame non puo' essere dedotto in sede di legittimita', salvo che introduca temi nuovi e questioni diverse potenzialmente decisive, non sussistendo un'omessa valutazione quando gli argomenti in essa sviluppati, sui quali il provvedimento impugnato sia rimasto silente, siano smentiti dal complessivo impianto motivazionale, in quanto logicamente incompatibili con la ricostruzione accertata e la valutazione formulata" (Sez. 5, n. 5443 del 18/12/2020, dep. 2021, Bagala', Rv. 280670). In particolare, la seconda delle sentenze citate, alle quali si presta adesione, ha ricordato come l'omessa considerazione dei temi illustrati nella memoria difensiva, lungi da determinare una omessa pronuncia (nel quale caso il vizio sarebbe quello della nullita' del provvedimento impugnato), puo' determinare, invece, un vizio della motivazione laddove implichi l'esame di un argomento potenzialmente decisivo che, tuttavia, sia stato pretermesso. Dalla struttura disegnata dal codice di procedura penale relativamente al procedimento di riesame e' stato segnalato come la richiesta sia ammissibile anche quando venga omessa l'indicazione di alcun motivo e come sia consentita la presentazione di motivi inediti fino all'inizio della discussione. L'articolo 309 c.p.p., comma 9, impone, inoltre, al Tribunale di decidere anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza. Da cio' e' stato desunto che "nell'economia del giudizio di riesame le memorie tempestivamente presentate possono legittimamente assumere una funzione che trascende quella del mero sviluppo argomentativo delle deduzioni contenute nell'atto di impugnazione, traducendosi nell'effettivo strumento per veicolare queste ultime" (Sez. 5, n. 11579 del 2022). Occorre, dunque, avere riguardo al contenuto delle memorie per verificare se le stesse contengano deduzioni difensive potenzialmente destrutturanti rispetto all'impostazione del provvedimento impugnato o ulteriori rispetto a quanto illustrato con l'atto introduttivo del procedimento di riesame. 4.2. Nel caso di specie la ricerca depositata all'udienza di discussione riguardava proprio il concetto e la definizione d biomassa. Sono rimaste prive di risposta le sopra indicate deduzioni difensive; la pretermissione totale del dato informativo ritualmente introdotto dalla difesa determina il vizio di omessa motivazione eccepito con il relativo motivo di ricorso. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono, l'ordinanza impugnata deve quindi essere annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame, in piena autonomia decisionale, limitatamente ai reati di cui ai capi 6) e 7); il ricorso, invece deve essere respinto nel resto. La cancelleria curera' gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi 6) e 7) e rinvia per nuovo giudizio al riguardo al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7, Rigetta il ricorso nel resto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94, comma 1-ter, disp. att.c.p.p.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 18/10/2022 del TRIB. LIBERTA' di CATANZARO; udita la relazione svolta dal Consigliere GIORGIO POSCIA; sentite le conclusioni del PG GIOVANNI DI LEO; Il P.G. conclude chiedendo il rigetto del ricorso. Udito il difensore; L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di Catanzaro ha rigettato la richiesta di riesame proposta, ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., da (OMISSIS), avverso l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa citta' emessa in data 26 settembre 2022, con la quale era stata disposta nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere perche' gravemente indiziato di avere fatto parte di una associazione di stampo mafioso di tipo ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndranghetistico ex articolo 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 ed 8,. operante nella Regione Calabria, nel territorio italiano ed all'estero costituita da molte decine di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"locali' e ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"drine distaccate, allo scopo di commettere reati di materia di armi, esplosivi e munizionamento, contro la vita, il patrimonio e l'incolumita' individuale e, in particolare il commercio di sostanze stupefacenti, estorsioni, usure, furti, riciclaggio, esercizio abusivo di attivita' finanziaria, di acquisire direttamente ed indirettamente la gestione e/o il controllo di attivita' economiche nel settore edilizio, movimento terra e ristorazione, di acquisire appalti pubblici e privati, di ostacolare il libero esercizio del voto, procurare a se' e ad altri voti in occasione di competizioni elettorali e di conseguire per se' e altri vantaggi ingiusti, con l'aggravante di essere l'associazione armata. In particolare, il ruolo dell'indagato (soprannominato ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS)'), figlio del capo cosca (OMISSIS), era di controllare (assieme al fratello (OMISSIS)), il territorio, riferire al padre ed agli altri associati la presenza della Forze dell'ordine, organizzare spedizioni punitive nei confronti di soggetti recalcitranti, dirimendo eventuali contrasti tra gli affiliati e mantenendo il c.d. ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"buon ordine' nel territorio di Mesoraca, con l'accettazione delle regole di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta, il riconoscimento dei ruoli assegnati, il rispetto delle gerarchie e l'osservanza degli ordini e delle direttive impartiti dai vertici dell'organizzazione (capo 1). Il (OMISSIS), inoltre, e' indagato per il delitto di cui all' articolo 81, cpv. articolo 110, articolo 112, commi 1 e 2, articolo 452-quaterdecies, articolo 416-bis.1. c.p. perche', in concorso con gli altri indagati e previo accordo tra loro, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con piu' operazioni e attivita' continuative organizzate: gestivano, ricevevano, trasportavano e smaltivano materiale legnoso misto a scarti di segheria e altro materiale di risulta proveniente da tagli, sfalci e potature abusivi dagli stessi perpetrati e organizzati, intensivi, e per questo pericolosi per l'ambiente; gestendo il predetto materiale, "cippandolo" in piazzali dagli stessi allestiti, mischiando illecitamente con materiale di risulta, e conferendo il predetto materiale presso centrali a biomassa ubicate in territorio (OMISSIS)), anche per mezzo della redazione e predisposizione di falsa documentazione e false perizie di agronomi che attestavano diversa origine del materiale poi conferito in centrale biomassa (in tal modo facendo assumere al materiale la qualita' di rifiuto non rientrando in tal modo, nella esclusione normativa di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2016, articolo 185, comma 1, lettera f),); smaltivano quindi, i dirigenti e i responsabili delle centrali biomasse, l'ingente materiale come chips di legno vergine, bruciandolo per la produzione di energia elettrica ine'ntivata per la quale le centrali sono destinatarie di fondi pubblici, con cio' guadagnandone l'ingiusto profitto costituito, altresi', da un agevole smaltimento dei rifiuti, un indebito incremento del volume di affari per i fornitori, determinato dal mischiare materiale legnoso vergine a scarti di segheria, lavori autostradali e/o sfalci e potature abusivi. In particolare, (OMISSIS), quale formale titolare della ditta "F.K.E.' nonche' gestore delle attivita' della stessa (capo 7). Il predetto e' indagato poi per il delitto di cui all' articolo 110, articolo 416-bis.1. e articolo 512 c.p. per avere attribuito fittiziamente a (OMISSIS), la titolarita' del locale ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS)' sito in localita' (OMISSIS), di fatto gestita dallo stesso assieme al padre (OMISSIS), al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione e di agevolare la consorteria di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta denominata ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di Mesoraca'; fatto accertato in (OMISSIS) (capo 17). L'ultimo reato per il quale (OMISSIS) e' indagato e' quello previsto dall' articolo 110, articolo 81, comma 2, articolo 629, comma 2, con riferimento all'articolo 628, comma 3, nn. 1 e 3, articolo 416-bis.1. c.p. per avere, in concorso con il padre (OMISSIS), con una pluralita' di condotte esecutive del medesimo disegno criminoso, perpetrate anche in tempi diversi, compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco, a costringere (OMISSIS), cuoco gia' assunto ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"in nero' presso il locale ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS)' di (OMISSIS) a non esperire azioni giudiziarie al fine di ottenere i giusti emolumenti inerenti la propria mansione lavorativa. Cosi' procurandosi un ingiusto vantaggio con pari danno della persona offesa che avrebbe visto elise le proprie pretese lavoristiche. In particolare, sia (OMISSIS) che (OMISSIS) avevano contattato ripetutamente (OMISSIS), minacciandolo implicitamente di ritorsioni ed evocando il vincolo di intimidazione mafiosa loro derivato dall'essere rappresentanti apicali della consorteria di ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta denominata ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di (OMISSIS)', appellandolo ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"infame' e rappresentategli espressamente frasi del tipo " se tu vuoi andare avanti... vai avanti tu che noi veniamo..." tutte dirette in modo non equivoco al fine di impedirgli di esperire ogni azione lavoristica. Con l'aggravante di avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. e, in ogni caso, per agevolare l'attivita' dell'associazione mafiosa denominata ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di (OMISSIS)'. Accertato in (OMISSIS) (capo 18 dell'imputazione provvisoria). 1.1. Il Tribunale ha ritenuto che il complesso dei dati investigativi acquisti consentisse la integrale conferma della ordinanza genetica, sussistendo gravi indizi di colpevolezza a carico di (OMISSIS), per i reati sopra indicati,desunti dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali (diffusamente riportate ne(provvedimento genetico del Giudice per le indagini preliminari), da quelle di osservazione, da sequestri, dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia e dalle ulteriori attivita' di indagine; in forza di tali elementi, quindi, il Giudice del riesame ha evidenziato che le indagini espletate avevano accertato l'esistenza di un'organizzazione criminale di stampo ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndranghetistico operante nel territorio di Mesoraca e nei comuni limitrofi e dei reati fine di cui alla imputazione provvisoria. 1.2. Con riferimento al reato sub 1) il Tribunale del riesame ha osservato che l'esistenza e l'operativita' della c.d. ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di Mesoraca', con al vertice (OMISSIS), era stata confermata da numerosi provvedimenti giurisdizionali nonche' dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia (tra cui (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed altri ancora), i quali hanno descritto la rete di rapporti e le alleanze sul territorio della cosca di (OMISSIS) con le altre consorterie mafiose ed il suo inserimento all'interno della comunita' ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndranghetistica. Il principale ramo nel quale si sono incentrate le indagini ha riguardato le infiltrazioni della ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta nel redditizio settore delle energie rinnovabili e, in particolare, nel conferimento di legno c.d. ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"cippato' alle varie centrali a biomassa esistenti nel territorio calabrese come riferito, anzitutto, dai collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno confermato il ruolo di rilievo svolto in tale attivita' da (OMISSIS). Tali dichiarazioni, convergenti tra loro, sono state ritenute credibili, precise e puntuali circa le attivita' illecite svolte dalla ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di Mesoraca' nell'affare del legno ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"cippato' ed il ruolo di preminenza ricoperto, in tale ambito, da (OMISSIS). 1.3. Quanto al reato sub 7) il Tribunale ha confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sulla base, in particolare, di alcune intercettazioni dal cui contenuto si ricava la diretta partecipazione di (OMISSIS), nella gestione dei traffici con le direttive da lui impartite per amalgamare i(ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"cippato' conforme a quello non conforme, per poi conferire il tutto alle centrali di biomassa. 1.4. Con riferimento al reato sub 17) sempre sulla base delle intercettazioni sono stati desunti i gravi indizi di colpevolezza rispetto alla fittizia intestazione del locale ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS)' ad altro soggetto, considerato che l'indagato ed il padre continuavano ad essere direttamente coinvolti nella gestione del locale medesimo anche quando non ne erano piu' formalmente titolari. 1.5. In ordine al reato sub 18) il Tribunale di Catanzaro ha confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dando rilievo al contenuto di due intercettazioni intercorse tra l'indagato, il padre (OMISSIS) ed il cuoco (OMISSIS), nel corso delle quali i primi due avevano minacciato il terzo, che intendeva ottenere il pagamento del corrispettivo per la sua attivita' lavorativa svolta in favore dei (OMISSIS) presso il locale sopra indicato. In particolare, dopo l'intervento del (OMISSIS) padre, il lavoratore aveva mutato il proprio atteggiamento e sostanzialmente non aveva piu' insistito nelle proprie pretese. 2. Avverso la predetta ordinanza (OMISSIS), per mezzo dell'avv. (OMISSIS), propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo denuncia, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), c.p.p., violazione di legge e vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza per i reati di cui alla imputazione provvisoria, poiche' il Tribunale avrebbe omesso di accertare la loro sussistenza a suo carico fornendo, sul punto, una motivazione soltanto apparente. In sostanza, egli lamenta che l'ordinanza genetica, prima, e quella del Tribunale, poi, avrebbero fondato il giudizio di gravita' degli elementi indiziari essenzialmente sulla sola circostanza che egli e' figlio di (OMISSIS), ritenuto capo della c.d. ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di (OMISSIS), senza fornire elementi individualizzanti rispetto alla sua specifica posizione. Il ricorrente osserva che la sua attivita' commerciale nel settore del legno e' legittima e che la sua titolarita' della ditta F.K.E. e' genuina e non gia' fittizia; inoltre, lamenta il fatto che il Tribunale del riesame non abbia esaminato la documentazione da lui prodotta in udienza a conferma della legittimita' del materiale da lui conferito nelle centrali a biomassa (ricerca della Universita' Federico II di Napoli). Egli, quindi, osserva che la valutazione della gravita' indiziaria nei suoi confronti e' stata effettuata per presunzioni poiche' sarebbe stato considerato - in modo apodittico - che una attivita' economica come quella da lui svolta, puo' essere esercitata in Calabria unicamente dalla ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"ndrangheta e che il figlio del capo cosca non puo' che essere anche lui un mafioso. 2.2. Con il secondo lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione degli articoli 274 e 275 c.p.p. ed il relativo vizio di motivazione rispetto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla scelta della misura applicata nei suoi confronti, tenuto conto che le condotte ascrittegli risalgono al 2017, che egli e' incensurato e che - vista la sua eta' - egli non poteva far parte delle c.d. ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"mafie storiche' come invece indicato nell'ordinanza impugnata. Quindi, anche rispetto alla esigenze di natura cautelare, le stesse sarebbero state desunte esclusivamente dal fatto che egli e' figlio del presunto capo cosca. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Anzitutto, va evidenziato che il ricorrente non ha sollevato specifiche censure rispetto ai capi della ordinanza impugnata che avevano confermato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i reati di cui ai capi 17) e 18) - intestazione fittizia ed estorsione, entrambe con le aggravanti del metodo mafioso- che pertanto restano estranei al presente giudizio, che attiene quindi ai reati sub 1) e 7). Cio' posto, si osserva chericorso e' solo parzialmente fondato per le ragioni di seguito illustrate. 2.Invero, con riferimento ai limiti del controllo di legittimita' sulle ordinanze cautelari questa Corte afferma principi consolidati e qui ribaditi. La verifica che viene compiuta in questa sede non riguarda la ricostruzione dei fatti, ne' puo' comportare la sostituzione dell'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilita' delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, dovendosi dirigere verso il controllo che il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l'hanno convinto della sussistenza o meno della gravita' del quadro indiziario a carico dell'indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l'apprezzamento delle risultanze analizzate (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000), nel provvedimento genetico, purche' le deduzioni difensive non siano potenzialmente tali da disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell'ordinanza applicativa della misura cautelare, non potendo in tal caso la motivazione per relationem fornire una risposta implicita alle censure formulate. All'esito del riesame dell'ordinanza applicativa di una misura cautelare, e' legittima la motivazione che richiami (o riproduca) le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato in assenza di specifiche deduzioni difensive, formulate con l'istanza originaria o con successiva memoria, ovvero articolate oralmente in udienza, tali da rendere funzionalmente inadeguata la relatio su cui il richiamo si e' basato (Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, Falduto, Rv. 272628; Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015, dep. 2016, Nappello, Rv. 265765). In questa prospettiva si puo' ritenere senz'altro legittima la riproposizione anche di parti del provvedimento applicativo nell'ordinanza resa all'esito del riesame, sempre che, tuttavia, tale tecnica espositiva sia affiancata dalla dovuta analisi dei contenuti e dall'esplicitazione delle ragioni alla base del convincimento espresso in sede decisoria (Sez. 2, n. 13604 del 28/10/2020, dep. 2021, Torcasio, Rv. 281127). 3. Fatta questa premessa, si rileva che - quanto al reato sub 1) - le censure mosse dal ricorrente sono infondate con il conseguente rigetto del ricorso sul punto. L'ordinanza impugnata muove da alcune sentenze, dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, dalle intercettazioni telefoniche, ambientali, telematiche e dalle attivita' di osservazione e controllo; in particolare, il Tribunale di Catanzaro ha dato rilievo a quanto riferito da numerosi collaboratori rispetto alla composizione ed alla struttura gerarchica del sodalizio mafioso di (OMISSIS) al cui vertice si trova (OMISSIS) (padre di (OMISSIS)) e del ruolo ricoperto dall'odierno ricorrente nell'ambito della cosca medesima. Di tali dichiarazioni il collegio del riesame (condividendo le valutazioni dell'ordinanza genetica) ha vagliato attentamente, a tal fine anche incrociandole con le intercettazioni dei sodali, le caratteristiche e l'obiettiva consistenza, in tal modo sostanzialmente adempiendo all'obbligo di verifica della credibilita' del loro autore, e di intrinseca attendibilita' del narrato, le quali - cosi' come possono essere oggetto di apprezzamento unitario, non richiedendo il relativo percorso valutativo passaggi rigidamente separati (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145) - neppure necessitano di proclamazione ufficiale, purche' emerga che il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, abbia scrupolosamente saggiato l'affidabilita' della fonte. 3.1.Quanto ai riscontri suddetti, di natura individualizzante, circa l'appartenenza di (OMISSIS), all'associazione di cui all'articolo 416-bis c.p., l'ordinanza impugnata ne identifica plurimi; si tratta in particolare delle intercettazioni riguardanti i reati sub 17) e 18), dalle quali emerge il sicuro coinvolgimento del ricorrente nella vicenda della intestazione fittizia del locale ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"(OMISSIS)' e della estorsione in danno del cuoco, il quale intendeva ottenere dai (OMISSIS), il pagamento di differenze retributive. Tali reati-fine risultano gia' in se' indizianti, per il ruolo svolto dall'indagato e per le modalita' dell'azione, del vincolo associativo; inoltre, non appaiono isolati, ne' la gravita' indiziaria di appartenenza mafiosa si fonda solo sulle singole manifestazioni delittuose, ma sono piuttosto queste che si pongono come fondamentale riscontro di una diretta chiamata di reita' a tale titolo, gia' in se' circostanziata. Il relativo compendio indiziario appare dunque ineccepibilmente valutato, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, nell'ordinanza impugnata, rispetto alla quale il ricorrente solleva censure generiche limitandosi a sostenere che gli indizi a suo carico sarebbero fondati unicamente sul fatto che egli e' figlio del presunto capo cosca ed a chiedere, quindi, una diversa (ed inammissibile in questa sede) valutazione degli elementi indiziari gia' coerentemente esaminati dal Tribunale di Catanzaro. Deve poi ribadirsi che e' insegnamento costante della Corte di legittimita' (ex pluribus, Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, deo. 2015, Pirajno, Rv. 261730) come sia a tal fine necessario che il giudice del riesame indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo cosi' l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non abbia rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale motivo. 3.2. Con riferimento alle censure riguardanti le esigenze cautelari e la adeguatezza della misura disposta nei confronti del ricorrente, si osserva che esse sono infondate. Come e' noto, infatti, in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato del reato di associazione mafiosa, la presunzione relativa di pericolosita' sociale, come novellato dalla L. n. 47 del 2015, articolo 275 c.p.p., comma 3, puo' essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice (presenti agli atti o addotti dalla parte interessata) emerga che l'associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l'organizzazione criminosa, sicche', in assenza di elementi a favore, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze cautelari (Sez. 5 -, Sentenza n. 45840 del 14/06/2018, Rv. 274180 - 02). Orbene, il ricorrente si limita a sostenere la insussistenza delle esigenze cautelari unicamente sulla base del decorso del tempo, della sua incensuratezza e sulla sua giovane eta', che pero' - in assenza di elementi circa la definitiva cesura dei legami con il gruppo mafioso - non appaiono sufficienti a tal fine, tenuto anche conto che egli non e' indagato in quanto appartenente alla c.d. mafia calabrese ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"storica', ma alla c.d. ÃÆ'Æ'ÃâEurošÃ‚¢ÃÆ'¢âââEurošÂ¬Ã…¡ÃâEurošÃ‚¬ÃÆ'‹ÃâEuro¦"Locale di (OMISSIS)'. 4. Al contrario, risultano fondate le censure riguardanti il reato sub 7), vale a dire il delitto di cui all' articolo 81, cpv. articolo 110, articolo 112, commi 1 e 2, articolo 452-quaterdecies, articolo 416-bis.1. c.p.. Invero, deve osservarsi che, in punto di gravita' indiziaria per il reato sub 7), assume assorbente rilievo la mancata considerazione della memoria difensiva con allegata una ricerca effettuata dall'(OMISSIS) (relativa proprio alla biomassa); prodotta alla udienza del 18 ottobre 2022 tenutasi davanti al Tribunale del riesame di Catanzaro, della quale pero' manca qualsiasi riferimento nel provvedimento impugnato nonostante riguardasse proprio la materia oggetto di imputazione provvisoria di cui al capo 7). Sulla questione del mancato esame delle memorie difensive depositate davanti al Tribunale del riesame e dei limiti della deducibilita' del vizio in sede di legittimita' va richiamato e ribadito il principio gia' espresso da questa Corte, secondo cui "l'omesso esame di una memoria difensiva da parte del Tribunale del riesame in materia di misure cautelari reali puo' essere dedotto in sede di ricorso per cassazione ex articolo 325 c.p.p. soltanto quando con la memoria sia stato introdotto un tema potenzialmente decisivo ed il provvedimento impugnato sia rimasto sul punto del tutto silente" (Sez. 2, n. 38834 del 07/06/2019, Forzini, Rv. 277220). Si tratta di principio senz'altro suscettibile di estensione alla materia delle misure cautelari personali. Infatti, questa Corte ha, ulteriormente, precisato che, "in tema di impugnazione di misure cautelari personali, l'omessa valutazione di una memoria difensiva da parte del giudice del riesame determina la nullita' del provvedimento nel solo caso in cui siano in essa articolate specifiche deduzioni che non si limitino ad approfondire argomenti a fondamento di quelle gia' prospettate ex articolo 309 c.p.p., comma 6, ma contengano autonome e inedite censure del provvedimento impugnato, che rivestano carattere di decisivita'" (Sez. 5, n. 11579 del 22/02/2022, Adiletta, Rv. 282972). 4.1. Altro arresto ha operato la precisazione secondo cui: "in tema di ricorso per cassazione, l'omesso esame di una memoria difensiva da parte del Tribunale del riesame non puo' essere dedotto in sede di legittimita', salvo che introduca temi nuovi e questioni diverse potenzialmente decisive, non sussistendo un'omessa valutazione quando gli argomenti in essa sviluppati, sui quali il provvedimento impugnato sia rimasto silente, siano smentiti dal complessivo impianto motivazionale, in quanto logicamente incompatibili con la ricostruzione accertata e la valutazione formulata" (Sez. 5, n. 5443 del 18/12/2020, dep. 2021, Bagala', Rv. 280670). In particolare, la seconda delle sentenze citate, alle quali si presta adesione, ha ricordato come l'omessa considerazione dei temi illustrati nella memoria difensiva, lungi da determinare una omessa pronuncia (nel quale caso il vizio sarebbe quello della nullita' del provvedimento impugnato), puo' determinare, invece, un vizio della motivazione laddove implichi l'esame di un argomento potenzialmente decisivo che, tuttavia, sia stato pretermesso. Dalla struttura disegnata dal codice di procedura penale relativamente al procedimento di riesame e' stato segnalato come la richiesta sia ammissibile anche quando venga omessa l'indicazione di alcun motivo e come sia consentita la presentazione di motivi inediti fino all'inizio della discussione. L'articolo 309 c.p.p., comma 9, impone, inoltre, al Tribunale di decidere anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza. Da cio' e' stato desunto che "nell'economia del giudizio di riesame le memorie tempestivamente presentate possono legittimamente assumere una funzione che trascende quella del mero sviluppo argomentativo delle deduzioni contenute nell'atto di impugnazione, traducendosi nell'effettivo strumento per veicolare queste ultime" (Sez. 5, n. 11579 del 2022). Occorre, dunque, avere riguardo al contenuto delle memorie per verificare se le stesse contengano deduzioni difensive potenzialmente destrutturanti rispetto all'impostazione del provvedimento impugnato o ulteriori rispetto a quanto illustrato con l'atto introduttivo del procedimento di riesame. 4.2. Nel caso di specie la ricerca depositata all'udienza di discussione riguardava proprio il concetto e la definizione biomassa. Sono rimaste prive di risposta le sopra indicate deduzioni difensive; la pretermissione totale del dato informativo ritualmente introdotto dalla difesa determina il vizio di omessa motivazione eccepito con il relativo motivo di ricorso. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono, l'ordinanza impugnata deve quindi essere annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame, in piena autonomia decisionale, limitatamente al reato di cui al capo 7); il ricorso, invece deve essere respinto nel resto. La cancelleria curera' gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 7), e rinvia per nuovo giudizio al riguardo al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7. Rigetta il ricorso nel resto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALTERIO Donate - rel. Consigliere Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. MAGRO M.Beatrice - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la ordinanza in data 8.2.2023 del Tribunale di Cuneo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Valentina Manuali, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza in data 8.2.2023 il Tribunale di Cuneo, pronunciatosi a seguito di annullamento con rinvio disposto con sentenza del 25.10.2022 dalla Quarta Sezione di questa Corte - sul rilievo che non fossero state chiarite le ragioni per le quali il quantum confiscabile, pari ad Euro 250.000 e dunque notevolmente superiore rispetto a quello di cui all'imputazione, indicato in non meno di Euro 110.000, si rapportasse alle condizioni di sfruttamento dei lavoratori connotante il reato ex articolo 603-bis c.p. provvisoriamente contestatogli -, ha confermato il rigetto delle richieste di revoca o riduzione del sequestro preventivo. A fondamento della suddetta pronuncia il Tribunale ha precisato che le somme calcolate dall'Ispettorato del Lavoro a seguito del rinvio a giudizio del (OMISSIS), nel frattempo richiesto dal PM con provvedimento in data (OMISSIS), quali retribuzioni non versate alle persone offese, ammontavano ad Euro 448.292,79 e costituivano pertanto un importo di gran lunga superiore al valore di Euro 250.000 dell'immobile sequestrato, conferito dallo stesso indagato in sostituzione dei beni mobili originariamente attinti dalla misura cautelare, considerato che come precisato anche dalla sentenza rescindente non potevano comunque detrarsi dal profitto del reato le somme corrisposte ai dipendenti a titolo risarcitorio, stante la necessaria distinzione tra le restituzioni, facenti parte della posta risarcitoria, e l'elemento del profitto, integrato dai mancati versamenti delle retribuzioni, oggetto della disposta confisca. E poiche' ad integrare il profitto concorre altresi' l'ulteriore somma di Euro 209.145 non versato all'INPS, il valore del bene sequestrato deve ritenersi, secondo il Tribunale, del tutto proporzionato alle sottostanti esigenze cautelari. 2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all' articolo 627 c.p.p. e articolo 603 bis c.p. e al vizio motivazionale, che l'accertamento demandato dalla sentenza di annullamento al giudice del rinvio concerneva esclusivamente la condizione di sfruttamento dei lavoratori dipendenti tale da rendere ipotizzabile nei loro confronti il reato di cui all'articolo 603 bis c.p., nel qual caso soltanto le somme ad essi spettanti a titolo di differenze retributive avrebbero potuto ascriversi al profitto del delitto presupposto. Accertamento questo che invece risulta essere stato integralmente omesso dai giudici piemontesi, limitatisi a riferirsi al nuovo capo di imputazione, cosi' come riformulato contestualmente alla richiesta di rinvio a giudizio con l'aggiornamento dei relativi importi calcolati dall'Ispettorato del Lavoro di (OMISSIS). Fa tuttavia presente la difesa come tale aggiornamento costituisca un elemento sopravvenuto del tutto inutilizzabile in sede di rinvio sia perche' il giudizio di riesame e' necessariamente circoscritto alla valutazione delle acquisizioni coeve all'emissione dell'ordinanza coercitiva e delle sole sopravvenienze favorevoli all'indagato, sia perche' con riferimento al giudizio di rinvio in sede cautelare il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimita' non puo' fondarsi su elementi non presenti agli atti nella fase del merito. Ne consegue, secondo la difesa, che la condizione di sfruttamento delle persone offese diverse da quelle indicate nella originaria formulazione dell'imputazione, in relazione alla quale era stato ipotizzato un profitto non inferiore a 110.000 Euro, e tanto meno il reato di truffa ai danni dell'INPS, non oggetto di contestazione al momento del sequestro, non puo' ritenersi essere stata accertata facendo riferimento alla nuova prospettazione accusatoria, atteso che neppure il decreto di rinvio a giudizio e' preclusivo dell'accertamento del fumus commissi delicti in sede cautelare. 2.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, che le somme corrisposte alle persone offese fossero da detrarre nel calcolo del profitto confiscabile in forza di una non condivisibile interpretazione normativa dell'articolo 603 bis comma 2 che fa salvi i diritti della p.o. alle restituzioni e al risarcimento del danno, la cui quantificazione prescinderebbe da quanto corrisposto al danneggiato nel corso del procedimento. Assume invece che, come affermato per i diritti tributari, non possa essere confiscato un profitto che non e' piu' nelle mani del reo per essere stato restituito alla p.o., come avvenuto anche per le restituzioni all'INPS, altrimenti legittimandosi un'inammissibile duplicazione sanzionatoria: l'avallo normativo risiede secondo la difesa nel Decreto Legislativo n. 231 del 2000, articolo 19 comma 1, del tutto sovrapponibile all'articolo 603 bis c.p. che prevede in materia di responsabilita' degli enti che la confisca debba essere disposta soltanto per quella parte del profitto del reato presupposto non restituita al danneggiato. Diversamente opinando si perverrebbe ad una violazione dell'articolo 3 Cost, venendosi ad operare un'irragionevole disparita' di trattamento tra chi ha restituito il profitto che si vedrebbe privato due volte del medesimo importo, e chi non lo ha restituito che diverrebbe destinatario di un trattamento piu' favorevole, nonche' dell'articolo 117 Cost in relazione alla Direttiva 2012/29/EU, articoli 15 e 16 secondo cui gli Stati membri promuovono misure per incoraggiare l'autore del reato s prestare adeguato risarcimento alla vittima. 2.3. Con il terzo motivo lamenta la motivazione resa in forma soltanto apparente in ordine al periculum in mora rapportato alle differenze contributive e retributive inerenti ai lavoratori non ricomprese nell'elenco delle persone offese originariamente non ricomprese nell'elenco del capo di imputazione, sostenendo che il pericolo di dispersione della garanzia debba essere riferita al patrimonio dell'indagato, punto sul quale l'ordinanza impugnata resta del tutto silente CONSIDERATO IN DIRITTO Il primo motivo del ricorso deve ritenersi meritevole di accoglimento. Va premesso ai fini di un puntuale inquadramento delle questioni in contestazione che nei confronti di (OMISSIS), indagato, in qualita' di legale rappresentante della societa' agricola Europol, per il reato di cui all'articolo 603 bis c.p., il cui profitto era stato, stando alla contestazione provvisoria, quantificato in "non meno di Euro 110.000", e' stato disposto il sequestro preventivo di sedici veicoli a me allo stesso intestati unitamente a quattro autovetture nella titolarita' della societa' per un valore complessivo di Euro 254.800, beni che tuttavia, in accoglimento dell'istanza dello stesso indagato, sono stati sostituiti con un'unita' immobiliare di sua proprieta' del valore stimato in Euro 250.000 con provvedimento reso dal Tribunale del Riesame in data (OMISSIS). Tale ordinanza e' stata annullata dalla Quarta Sezione di questa Corte con sentenza pronunciata in data (OMISSIS) in ordine al quantum del profitto attinto dal sequestro essendosi ritenuto che, al di la' delle somme erogate motu proprio dal ricorrente al personale dipendente da inquadrarsi nell'ambito della restituzione e percio' da calcolarsi in conformita' al contratto di lavoro, il profitto confiscabile costituisca un'entita' a se' stante a determinare la quale concorrono - trattandosi del vantaggio economico derivante in via immediata e diretta dalla commissione dell'illecito - le somme non corrisposte ai lavoratori che abbiano effettuato prestazioni lavorative al di fuori del contratto in condizioni di sfruttamento. E' stato conseguentemente rilevato il vizio motivazionale non avendo il provvedimento impugnato chiarito come il maggior importo attinto dalla misura cautelare rispetto all'importo di Euro 110.000 indicato nell'editto accusatorio si rapporti alle condizioni di sfruttamento dei lavoratori, ne' specificato, nel far riferimento anche lavoratori diversi dalle persone offese, accezione quest'ultima nella quale andavano identificati i soggetti indicati nel capo di imputazione, se si trattasse di dipendenti sottopagati per i quali ricorressero le condizioni di sfruttamento di cui all'articolo 603 bis c.p.. Cio' premesso, deve rilevarsi come il provvedimento in esame si limiti a stigmatizzare come nel frattempo sia intervenuta la richiesta di rinvio a giudizio del (OMISSIS), formalizzata dal PM in data (OMISSIS), dove il capo di imputazione indica quali persone offese una pluralita' indeterminata di soggetti, oltre all'INPS nei confronti del quale l'Ispettorato del Lavoro ha calcolato quale importo complessivo delle somme non versate a titolo retributivo in Euro 448.292, reputando come tale somma fosse di per se' ampiamente superiore al valore di Euro 250.000 dell'immobile sequestrato. Orbene, non puo' ritenersi che il giudice del rinvio abbia integrato con tale argomentare le carenze segnalate dalla pronuncia rescindente, prestando pertanto apertamente il fianco alle censure difensive in ordine all'assunta violazione dell'articolo 627 c.p.p.. Va, invero, in primo luogo rilevato come la mera richiesta di rinvio a giudizio, cui non risulta abbia fatto seguito alcun ulteriore provvedimento, non contenga alcun vaglio dell'ipotesi accusatoria da parte del giudice, onde trattasi di un elemento sopravvenuto soltanto di parte, e comunque contenente elementi nuovi rispetto alla contestazione iniziale. Inoltre, neppure facendosi riferimento a detta richiesta, che secondo quanto afferma lo stesso Tribunale del riesame riguarda una pluralita' indeterminata di persone, puo' ritenersi chiarito a quali dipendenti si riferiscano le somme ulteriori rispetto all'importo indicato nell'imputazione originaria, in relazione alla quale e' stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca, e dunque se si tratti di persone diverse da quelle offese dal reato, ne' soprattutto se detti importi si rapportino alle condizioni di sfruttamento praticate dal datore di lavoro, nulla evincendosi sotto tale profilo dalle minori somme, correlate alle giornate lavorate, dichiarate all'INPS, nei confronti del quale e' ipotizzato il diverso reato di truffa aggravata. Deve infatti essere sottolineato che l'elemento costitutivo del reato in contestazione e' costituito da un quid pluris rispetto al mero inadempimento contrattuale, essendo necessario che le somme non corrisposte si colleghino alle condizioni di sfruttamento relative alla violazione di norme poste a tutela del lavoratore, quali quelle elencate dall'articolo 603 bis c.p., comma 2. Ove, infatti, si consideri che il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, e' costituito dal vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato, non puo' ritenersi che la motivazione resa dai giudici del rinvio offra l'evidenza del nesso di diretta derivazione causale tra il delitto in esame e il profitto monetario in relazione al maggiore importo attinto dalla misura cautelare rispetto a quello indicato nell'imputazione originaria. L'ordinanza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Cuneo - Sezione Riesame, restando gli ulteriori profili di censura assorbiti P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Cuneo. competente ai sensi dell'articolo 324 c.p.p., comma 5. motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI E. - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. PERROTTI Massim - Consigliere Dott. LEOPIZZI A - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/10/2021 della CORTE APPELLO di LECCE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALESSANDRO LEOPIZZI; sentite le richieste del PG Dr. BALDI FULVIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS), per il ricorrente, che si e' riportato ai motivi, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata; udito l'avv. (OMISSIS), per il ricorrente, che si e' riportato ai motivi, facendo rilevare l'intervenuta prescrizione. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22 ottobre 2021, depositata il 24 dicembre 2021, la Corte di appello di Lecce, in accoglimento dell'appello presentato dal Procuratore generale, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Brindisi del 18 dicembre 2017, nei confronti di (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 629 c.p., ha irrogato all'imputato, in aggiunta alla pena detentiva, la pena pecuniaria di Euro 400 e la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, confermando per il resto l'impugnata sentenza di condanna. La vicenda aveva per oggetto, secondo l'ipotesi accusatoria, l'estorsione realizzata da (OMISSIS), legale rappresentante di una societa' commerciale, in danno di (OMISSIS), dipendente della suddetta societa', costretto a sottoscrivere le buste paga relative ai mesi da giugno a settembre 2008, riportanti retribuzioni invece in realta' mai percepite, cosi' procurando alla societa' un ingiusto profitto con pari danno per il lavoratore. 2. (OMISSIS) ricorre per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo cinque motivi di ricorso, che qui si riassumono nei termini di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo, si lamenta la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, laddove si e' ritenuto sussistente un ingiusto profitto (e il conseguente danno per la persona offesa) a seguito della sola sottoscrizione da parte del dipendente delle buste paga "per ricevuta" e non per quietanza degli importi salariali ivi specificati. Nel primo caso, sostiene la difesa, non ci sarebbero effetti pregiudizievoli per la vittima, in quanto atto non equiparabile a una formale rinuncia alla retribuzione, ed errano i giudici di secondo grado nel ritenerla una "dichiarazione di valore probatorio" (ed ancor di piu' quando, in un passaggio - "non aveva ricevuto la quota parte di retribuzione (...), nonostante la sottoscrizione delle buste paga che di tale quota di retribuzione attestavano la consegna" - tale natura comunque le attribuiscono). Al piu', il fatto potrebbe, dunque, essere configurato come violenza privata. 2.2. Con il secondo motivo, sempre dolendosi della mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, si contesta la valutazione di sussistenza della minaccia. Da un lato, infatti, la Corte di merito, secondo la difesa, non analizza singolarmente e autonomamente le singole condotte che avrebbero integrato le due distinte minacce di non consegnare l'attestazione di servizio necessaria per ottenere un finanziamento e di procedere al licenziamento. Sul datore di lavoro, invero, non graverebbe alcun obbligo di rilasciare un simile documento e comunque la necessita' dell'attestazione al fine di accedere al prestito non era conosciuta dall'imputato; su questi due punti, pero' i giudici di appello non hanno preso posizione alcuna. D'altronde, le dichiarazioni dibattimentali di (OMISSIS) e del teste (OMISSIS) indicavano chiaramente come, in occasione dell'incontro presso lo studio del commercialista, si fosse parlato solo delle buste paga, senza accenni ad altra tipologia di documentazione. In ogni caso, non e' stata adeguatamente esplorata in punto di diritto la prospettazione difensiva secondo la quale il licenziamento era stato gia' programmato dal datore di lavoro, in conseguenza di attriti pregressi, e pertanto, in assenza di connessione con la vicenda delle buste paga, mancasse ogni connotazione di pretestuosita' della risoluzione del rapporto di lavoro e quindi la minaccia di un "male ingiusto". 2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., il travisamento della prova testimoniale. I giudici di merito avrebbero infatti escluso ogni rilievo alla deposizione dei testimoni (OMISSIS), commercialista del datore di lavoro, e D'Agnano, sua segretaria, che, in maniera precisa e argomentata, hanno contraddetto quanto riferito, al contrario in modo incerto, dalla persona offesa e da sua moglie in merito al colloquio durante il quale sarebbero state proferite le frasi minatorie (mentre invece in motivazione si e' affermato che (OMISSIS) ha riscontrato la versione offerta da (OMISSIS)). Risulterebbe priva di motivazione adeguata anche la valutazione di attendibilita' della persona offesa, da scrutinare con particolare attenzione, dal momento che, nel suo primo esame, non aveva fatto cenno alla minaccia di licenziamento, emersa solo in una deposizione successiva, ai sensi dell'articolo 507 c.p.p.. 2.4. Con il quarto motivo, si contesta la mancanza e illogicita' della motivazione, in merito alla mancata derubricazione, invocata nel gravame, dell'estorsione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Secondo la giurisprudenza di legittimita', infatti, si configurerebbe per l'appunto il delitto di ragion fattasi, se l'agente avesse usato minaccia nella convinzione, non meramente astratta ma ragionevole, anche se infondata, di tutelare una propria pretesa riconosciuta dall'ordinamento. 2.5. Il quinto motivo si incentra sulla mancata concessione dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4. La Corte avrebbe infatti escluso la modestia del danno patrimoniale asseritamente patito dalla persona offesa, individuando erroneamente la cifra complessiva di oltre Euro 11.000 che ricomprendeva voci retributive ulteriori rispetto a quanto qui rileva. 3. All'odierna udienza pubblica, e' stata verificata la regolarita' degli avvisi di rito; all'esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e il Collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso non e' fondato, nei termini di seguito specificati. 2. Risulta opportuno, preliminarmente, richiamare in sintesi la ricostruzione in fatto e in diritto della vicenda che qui occupa data dalla Corte di appello di Lecce, cosi' da chiarire, nella loro effettiva consistenza, le risposte offerte dai giudici di appello alle doglianze loro sottoposte con l'atto di gravame che, in questa sede, vengono sottoposte a molteplici censure. La motivazione della sentenza impugnata, in maniera coerente con l'imputazione ascritta formalmente all'imputato, da' conto di un'iniziale richiesta avanzata da (OMISSIS), dipendente di (OMISSIS) Srl, di vedersi corrispondere le differenze retributive a lui spettanti a carico del datore di lavoro in ragione del 40% della busta paga, in relazione al periodo di assenza dal lavoro in conseguenza di un infortunio. Questi importi non sono mai stati corrisposti. Solo successivamente, avendo bisogno di un'attestazione che comprovasse il rapporto di lavoro in atto al fine di accedere a un finanziamento, lo stesso (OMISSIS), su indicazione dello stesso (OMISSIS), si era recato dal commercialista della societa', il dottor Marraffa, per ottenerne il rilascio. Nello studio del professionista, fu informato dalla segretaria che l'attestazione era stata predisposta, ma che gli sarebbe stata consegnata soltanto previa sua sottoscrizione delle buste paga dei mesi in cui era stato assente. (OMISSIS), contattato telefonicamente, si era presentato sul posto ribadendogli il suddetto aut aut e aggiungendo con freddezza che, in caso di mancata firma, sarebbe stato licenziato. Stretto dalla necessita', (OMISSIS) sottoscrisse le buste paga, ricevendo ugualmente qualche giorno dopo la lettera di licenziamento (che, peraltro, e' poi stato dichiarato illegittimo dal giudice del lavoro, essendone stata riconosciuta la natura ritorsiva). L'oggetto della richiesta della persona offesa, non era stato, quindi, il rilascio delle buste paga, bensi' soltanto della documentazione necessaria per richiedere il prestito. L'imputato, ben consapevole di questa necessita', approfitto' della circostanza per minacciarlo, subordinando il rilascio di quanto necessario al dipendente alla sottoscrizione delle buste paga in cui era riportata la falsa attestazione della totale retribuzione del dipendente nei mesi di assenza dal lavoro per infortunio. A cio', si aggiunse anche l'ulteriore minaccia di licenziamento. Sotto queste pressioni, (OMISSIS) firmo' le buste paga. 3. Il primo motivo non e' fondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita', nel delitto di estorsione, l'elemento del profitto ingiusto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l'autore intenda conseguire e che non si colleghi ad un diritto ovvero sia perseguito con uno strumento antigiuridico o con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso (Sez. 2, n. 16658 del 31/03/2008, Colucci, Rv. 239780; cfr. anche Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, Fulco, Rv. 270209, secondo cui, qualora la minaccia sia diretta a costringere la vittima a rinunciare a una propria legittima aspettativa, il danno patrimoniale va inteso come danno futuro consistente nella perdita della possibilita' di conseguire un vantaggio economico; Sez. 2, n. 43769 del 12/07/2013, Ventimiglia, Rv. 257303, ha affermato che, nella nozione di danno, rientra qualsiasi situazione che possa incidere negativamente sull'assetto economico di un soggetto, comprese la delusione di aspettative e chances future di arricchimento o di consolidamento di propri interessi). In maniera coerente con queste premesse esegetiche, la Corte territoriale, nel caso di specie, ha riconosciuto, confermando il percorso logico seguito in primo grado, che la coartazione della volonta' della persona offesa e' stata efficacemente diretta a conseguire un risultato tangibile (e impossibile da ottenere se non con le reiterate minacce): la sottoscrizione da parte del lavoratore delle buste paga che indicavano la corresponsione, in realta' mai avvenuta, delle somme di spettanza del datore di lavoro durante il periodo di assenza per infortunio. I giudici di merito hanno chiaramente esplicitato come la disponibilita' in capo all'imputato, quale legale rappresentante della societa', di un simile documento avrebbe costituito un vantaggio non incolmabile, ma purtuttavia concreto, quale principio di prova a suo favore in un eventuale sede contenziosa o precontenziosa. (Peraltro, i fatti sopravvenuti, con il licenziamento comunicato a stretto giro e la causa civile che ne e' conseguita, pur definita poi con vittoria del dipendente, hanno confermato la concretezza e l'attualita' del profitto - intrinsecamente ingiusto - e del danno al momento della commissione del fatto, con evidenti potenziali utilita' e pregiudizio, rispettivamente, per le due parti contrattuali interessate.) 4. La premessa giuridica posta alla base del quarto motivo di ricorso e' - in astratto - corretta: il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-02; Sez. 2, n. 42940 del 25/09/2014, Conte, Rv. 260474). La sentenza di secondo grado, d'altronde, proprio ragionando in termini di dolo, in considerazione della dettagliata ricostruzione della vicenda storica in conformita' agli esiti dibattimentali (che fa chiarezza in ordine al reale svolgimento dei fatti e alle conseguenze che ne derivano in iure), ha individuato il fine avuto di mira da (OMISSIS) nel "perseguimento (...) dell'ingiusto profitto rappresentato dal mancato versamento della quota parte di retribuzione mensile al (OMISSIS) nel periodo di assenza dal lavoro per infortunio". Nessun dubbio che risulti cosi' integrato il delitto di estorsione: la prospettazione di esercitare un preteso diritto assume connotati minatori e dunque penalmente rilevanti quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, l'agente faccia uso del mezzo giuridico legittimo per conseguire uno scopo non consentito, quello di coartare la volonta' del debitore esecutato, per costringerlo a una prestazione non dovuta (Sez. 2, n. 14325 del 08/03/2022, Coppola, Rv. 282980, secondo cui integra il reato di estorsione la pretesa contrattuale azionata in giudizio per scopi eccentrici rispetto a quelli per cui il diritto e' riconosciuto e tutelato, o comunque non dovuti nell'an o nel quantum, onde conseguire un profitto contra ius; Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-02, ha precisato che, nell'estorsione, "l'agente non si rappresenta, quale impulso del suo operare, alcuna facolta' di agire in astratto legittima, ma tende all'ottenimento dell'evento di profitto mosso dal solo fine di compiere un atto che sa essere contra ius, perche' privo di giuridica legittimazione, per conseguire un profitto che sa non spettargli"). Il motivo e' dunque infondato. 5. Puo' affermarsi, quanto agli ulteriori motivi di ricorso, come l'apparato argomentativo posto a supporto della decisione di secondo grado sia congruo e aderente alle emergenze istruttorie. Il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, ripropone sovente le stesse questioni gia' devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese, con motivazione del tutto coerente e adeguata che non e' stata in alcun modo sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione, con conseguente aspecificita' dei motivi. 5.1. Al contrario delle doglianze del ricorrente, le condotte con cui (OMISSIS) ha minacciato (OMISSIS), sono state oggetto di un'attenta disamina - gia' parzialmente accennata - da parte della Corte (nonche', in precedenza, del Tribunale). La sentenza impugnata evidenzia, peraltro, come la prospettazione di un eventuale futuro licenziamento costituisca una "ulteriore minaccia", successiva alla prima (relativa invece al mancato rilascio di documentazione utile per la concessione da parte di terzi di un finanziamento) e in grado, sommandosi a questa, di coartare la sino ad allora titubante volonta' della persona offesa. A tal proposito, si puntualizza altresi' l'idoneita' minatoria - correttamente valutata con giudizio ex ante, nella sua obiettiva capacita' di aggredire la liberta' psichica della vittima - di quanto ventilato a (OMISSIS). Resta, quindi, affatto ultronea, oltre che completamente indimostrata, l'allegazione difensiva riferita a una gia' radicata intenzione del datore di porre fine al rapporto di lavoro. Esula da quanto consentito in questa sede di legittimita', a fronte delle lineari esplicazioni offerte dai giudici di merito, una rivalutazione, peraltro su punti tutt'altro che decisivi, di quanto dichiarato in dibattimento dai testimoni e persino dall'imputato. 5.2. Nel caso - come quello di specie - di cosiddetta "doppia conforme", il vizio del travisamento della prova, denunciato dal ricorrente nel suo terzo motivo, puo' essere dedotto, in relazione all'utilizzo di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva e solo nel caso in cui si rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi, Rv. 258438). La censura del ricorrente non si focalizza, in primo luogo, su una prova decisiva, dal momento che i giudici di merito hanno fondato le proprie valutazioni soprattutto sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, assoggettate a un controllo penetrante e rigoroso, ma che possono, come noto, ritualmente prescindere dalla necessita' di riscontri esterni. Sul punto, per completezza di esame, si nota come la Corte salentina abbia comunque preso in considerazione i tempi, le forme e il contenuto dei due esami a cui e' stato sottoposto (OMISSIS), rappresentando come costituisca un'evenienza fisiologica del processo la nuova audizione di un teste e dando logica spiegazione di eventuali incertezze, discrasie e cali di memoria, con il lungo lasso temporale intercorso rispetto allo svolgimento dei fatti; si e' aggiunto poi come il racconto di (OMISSIS) sia stato confermato innanzitutto dalla sentenza del Giudice del lavoro di Brindisi, oltre che da non poche fonti orali: non solo dalla coniuge, ma anche, in parte, dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) (pp. 7-10). Il giudice di primo grado, in ossequio all'immediatezza dell'oralita', aveva sottolineato altresi' "la serenita' dallo stesso dimostrata nel corso dell'esame testimoniale e del successivo ascolto dopo l'emissione dell'ordinanza ex articolo 507 c.p.p., evidenziat(e) dal contenuto stesso delle sue propalazioni"; la sentenza del Tribunale ha ricordato altresi' "l'evidente e singolare genericita', contraddittorieta' (intrinseca e rispetto alle dichiarazioni rese in fase di indagine) e intermittenza mnemonica dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) (...) le cui dichiarazioni, peraltro, non appaiono del tutto diverse da quelle rese dal (OMISSIS) e possono agevolmente conciliarsi". I rilievi del ricorrente, a fronte di cio', risultano viziati da un approccio esageratamente frazionato delle risultanze dibattimentali, attento a differenze marginali (e comunque giustificabili e giustificate) rispetto alla tranquillizzante visione d'insieme, e, soprattutto, presentano a questa Corte, sotto l'apparenza del vizio di motivazione, censure di mero fatto, non deducibili in questa sede e peraltro non attinenti ad aspetti essenziali idonei ad imporre diversa conclusione del processo. 5.3. Anche la censura relativa al mancato riconoscimento dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuita', non supera la soglia della ammissibilita', in quanto del tutto generica. Il ricorrente, infatti, prescinde del tutto dalla necessaria valutazione complessiva del danno, che costituisce un apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimita', se immune da vizi logico-giuridici. In primo luogo, infatti, l'impugnazione non tiene conto del costante orientamento interpretativo per cui, ai fini della configurabilita' dell'attenuante di cui all'articolo 62, n. 4, c.p., in relazione a delitti contro il patrimonio, occorre far riferimento a una valutazione il piu' completa possibile del danno complessivo cagionato alla persona offesa, senza avere riguardo soltanto al valore venale pressoche' irrisorio del corpo del reato, occorrendo far riferimento al danno complessivo (Sez. 2, n. 50660 del 05/10/2017, Calvio, Rv. 271695; Sez. 2, n. 3576 del 23/10/2013, dep. 2014, Annaro, Rv. 260021). D'altronde, l'alternativa irritualmente suggerita a questa Corte e' che la quantificazione monetaria operata dai giudici di appello (Euro 11.434,00) debba essere diminuita, detraendo "una serie di voci (...) ulteriori rispetto a quelle della contestazione di cui al presente processo e precisamente per "differenze retributive, lavoro straordinario, indennita' di preavviso, ferie non pagate e TFR" (cfr. pag. 1 della sentenza del Tribunale del Lavoro)", non solo postula importi di cui non specifica in alcun modo la consistenza, neppure allegando la pronuncia civile a cui fa cenno, ma non ha comunque riguardo alle specifiche condizioni di illiquidita' finanziaria della persona offesa (che, come aveva evidenziato il Tribunale, argomentando in merita all'efficacia coercitiva delle minacce di (OMISSIS), era pressato da difficolta' economiche e dalla non differibile esigenza di ottenere un prestito di denaro, non avendo percepito nei quattro mesi precedenti la quota di retribuzione che avrebbe dovuto pagargli il datore di lavoro - pp. 9-11). 6. Va, tuttavia, considerato, come sollecitato in udienza dalla difesa, che, anche tenuto conto dei periodi di sospensione della prescrizione (112 giorni, dal 27 settembre 2016 al 17 gennaio 2017, per rinvio richiesto dal difensore, piu' ulteriori 188 giorni, dal 13 giugno 2017 al 18 dicembre 2017, per rinvio per astensione dalle udienze), il termine massimo di prescrizione di dodici anni e sei mesi, ai sensi dell'articolo 157 c.p. e articolo 161 c.p., comma 2, e' venuto a maturare, dopo la pronuncia di appello, il 10 febbraio 2022. Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818), la non inammissibilita' del ricorso impone al Collegio di rilevare d'ufficio, ai sensi degli articoli 129 c.p.p. e articolo 609 c.p.p., comma 2, l'estinzione del reato per prescrizione intervenuta in data anteriore alla pronuncia della sentenza di legittimita'. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio, perche' il reato contestato e' estinto per intervenuta prescrizione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche' il reato e' estinto per prescrizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. DE SANTIS M. Anna - rel. Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. TURTUR M. Marzia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA Sui ricorsi proposti da: 1. (OMISSIS), n. a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), n. a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), n. a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo il 19/10/2021; dato atto che si e' proceduto a trattazione con contraddittorio cartolare, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8; visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del Cons. Anna Maria De Santis; letta la requisitoria del Sost. Proc. Gen., Dott. Raffaele Gargiulo, che ha concluso per l'annullamento con rinvio con riferimento alla posizione del (OMISSIS), in relazione al capo B) e per il rigetto nel resto; lette le conclusioni scritte rassegnate dai difensori delle pp.cc. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), corredate da nota spese; lette le conclusioni scritte rassegnate dai difensori di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1.Con l'impugnata sentenza la Corte d'Appello di Palermo riformava parzialmente la decisione del Tribunale di Marsala in data 11/9/2017 e assolveva gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dalle fattispecie di estorsione loro rispettivamente ascritte ai capi a) b) ed f) della rubrica limitatamente ad alcune delle pp.00., confermava nel resto l'affermazione di responsabilita' e rideterminava la pena in anni cinque, mesi quattro di reclusione ed Euro 300,00 di multa per (OMISSIS) e in anni tre, mesi sei di reclusione ed Euro 900,00 di multa per (OMISSIS), confermando nel resto. Riduceva, altresi', la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno morale in favore della p.c. (OMISSIS) e disponeva la condanna al risarcimento dei danni in favore della p.c. (OMISSIS), in forma generica con contestuale assegnazione di provvisionale. 2. Hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori degli imputati, i quali hanno dedotto: Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS). 2.1 la nullita' della sentenza per violazione di legge in relazione all'omessa pronunzia in ordine all'eccezione di inutilizzabilita' formulata all'udienza del 23/2/2017 con riguardo alle dichiarazioni rese in fase di indagini il (OMISSIS) da (OMISSIS), non allegate al fascicolo del P.M. e non depositate ex articolo 415 bis, comma 2, c.p.p. La difesa sostiene che la Corte di merito ha erroneamente rigettato l'eccezione d'inutilizzabilita' formulata dalla difesa in quanto il verbale di sit rese dalla (OMISSIS), per quanto confezionato in epoca anteriore alla data di conclusione delle indagini, non risulta essere stato depositato ed e' irritualmente confluito nel fascicolo a seguito di sollecitazione del legale della p.c. (OMISSIS), nonostante l'opposizione della difesa. Aggiunge il difensore che l'eccezione di inutilizzabilita' formulata nel corso dell'esame della teste non e' stata formalmente delibata dal primo giudice e la Corte d'Appello ha ritenuto di disattendere il gravame sul punto, pur dovendo ritenersi la prova testimoniale illegittimamente acquisita ex articolo 191 c.p.p. ed utilizzata in violazione dei diritti della difesa. La difesa rappresenta che ove dovesse ritenersi comunque resa l'ordinanza di rigetto dell'eccezione difensiva, la stessa risulterebbe affetta da nullita'; 2.2 la violazione dell'articolo 324 c.p.c., articolo 2909 c.c. e connesso vizio di motivazione in relazione alle statuizioni civili inerenti la p.c. (OMISSIS). La difesa deduce che la sentenza impugnata ha disatteso il gravame difensivo sul punto con motivazione apparente, ignorando la produzione difensiva relativa alla sentenza n. 1088/16 del 22/12/2016 della Corte d'Appello di Palermo. Sezione Lavoro, che -riformando la decisione di primo grado- ha rigettato tutte le domande proposte dalla (OMISSIS), coincidenti con quelle fatte valere nel giudizio penale. La Corte territoriale ha disatteso le doglianze difensive richiamando giurisprudenza di legittimita' che, al contrario, conforta le ragioni del ricorrente e ignorando che la sentenza del collegio del lavoro e' coperta da giudicato formale ai sensi dell'articolo 324 c.c. e l'accertamento ivi contenuto fa stato tra le parti. Aggiunge il difensore che nel giudizio lavoristico e' stata esclusa la sussistenza di un danno patrimoniale della (OMISSIS) derivato da asserite differenze retributive conseguenti al rapporto di lavoro subordinato intrattenuto con la (OMISSIS) srl negli anni 2005/2009 e nella specie risulta evidente l'identita' delle parti, del petitum, della causa petendi e del tempus rispetto all'azione introdotta nell'odierno processo. La difesa contesta la possibilita' di ravvisare una diversa causa petendi a fondamento della domanda risarcitoria in sede penale e sostiene che l'accertamento giudiziale in materia di lavoro circa la mancanza di danno patrimoniale avrebbe dovuto precludere il riconoscimento del danno morale alla p.c.; 2.3 la violazione dell'articolo 211 disp. att., articolo 75 c.p.p., commi 2 e 3, articolo 82 c.p.p., comma 2, e correlato vizio di motivazione in relazione alla richiesta di revoca tacita della costituzione di parte civile della (OMISSIS). Il difensore, premesso che il ricorso introduttivo della (OMISSIS) contro la (OMISSIS) e' stato presentato in data 6/10/2011 e la costituzione di parte civile della stessa e' stata effettuata nell'udienza preliminare del 17/12/2013, sostiene che la lettura coordinata delle disposizioni di cui all'articolo 75, comma 2, e articolo 82, comma 2, c.p.p. doveva condurre a ritenere revocata la costituzione di p.c. della (OMISSIS) nel momento in cui, costituendosi in giudizio nel processo penale, non rinunziava all'azione introdotta davanti al giudice civile; 2.4 la violazione degli articoli 190, 192, 238 bis c.p.p. e connesso vizio della motivazione. Secondo il difensore la sentenza impugnata e' viziata per aver trascurato la valutazione di plurime testimonianze addotte dalla difesa e dei giudicati civili, tra i quali, oltre la sentenza gia' richiamata n. 1088/16, quella relativa all'insussistenza di differenze retributive accertata nella causa promossa dal dipendente (OMISSIS). Il controllo sull'attendibilita' dei dichiaranti (OMISSIS) e (OMISSIS), trova un limite logico proprio negli accertamenti negativi in ordine alla fondatezza delle loro pretese operati in sede lavoristica mentre in ordine all'utilizzabilita' delle dichiarazioni della teste (OMISSIS) rilevano le eccezioni di inutilizzabilita' proposte. In ogni caso sia la (OMISSIS) che il marito hanno riferito che gli accordi retributivi e lavorativi furono presi prima di iniziare il rapporto di lavoro in modo assolutamente libero e la stessa teste ha riferito di aver fatto spesso ricorso ad anticipazioni sullo stipendio che le venivano regolarmente accordate. Quanto a (OMISSIS), lo stesso ha prestato la propria attivita' alle dipendenze dell'imputato per un brevissimo periodo e non ha riferito di minacce o pressioni sicche' la condanna per la fattispecie estorsiva ai danni dei predetti appare una forzatura. Aggiunge il difensore che tutti i testi, ad eccezione della (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno affermato che quanto percepito rispondeva alle ore lavorate e a quanto indicato in busta paga, che non erano stati costretti a firmare fogli relativi a falsi acconti, che abitualmente il pagamento dello stipendio avveniva mediante assegni e, quindi, con modalita' tracciabili, e che non avevano mai avuto problemi con l'imputato. In relazione ai testi d'accusa, rileva il difensore che gli stessi sono costituiti parte civile o figurano quali controparti nelle cause di lavoro, in quanto tali portatori di un interesse economico che imponeva un piu' rigoroso controllo di attendibilita' mentre la consulenza tecnica acquisita in atti nulla aggiunge al quadro probatorio; 2.5 la violazione degli articoli 190, 192 e 238 bis c.p.p. e connesso vizio di motivazione in relazione al capo b). Il difensore lamenta che l'affermazione di responsabilita' per i fatti di estorsione ascritti al capo b) fanno leva sulla qualifica del (OMISSIS), come amministratore di fatto del punto vendita (OMISSIS) gestito dalla societa' C&C, il cui amministratore di diritto e' stato assolto in primo grado. I giudici di merito, secondo il ricorrente non hanno spiegato le ragioni che sottendono la qualifica del prevenuto, mancando qualsiasi riferimento alla figura del ricorrente nelle deposizioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS). Ne' giustifica la qualifica di dominus della societa' gestrice il fatto che la moglie dell'imputato avesse veste di socia mentre risulta del tutto incongruo il riferimento della Corte di merito alle analogie rinvenibili rispetto ai fatti contestati ai capi a) e f). La Corte, inoltre, non ha composto l'insanabile contrasto che caratterizza le dichiarazioni dibattimentali del (OMISSIS), rispetto a quanto riferito in sede di indagini e ha reso una motivazione illogica in punto di attendibilita' del teste (OMISSIS). Infatti, i giudici di merito hanno attribuito credibilita' ad un soggetto portatore di interessi contrapposti che ha iniziato e proseguito in sede penale un'azione risarcitoria nei confronti del (OMISSIS) e di (OMISSIS), nonostante lo stesso sia stato risarcito, come da verbale di conciliazione del 30/4/2014 intervenuto tra il (OMISSIS) e la C&C in liquidazione, impegnandosi in quella sede a rinunziare a tutte le azioni nei confronti della societa'; 2.6 la violazione degli articoli 211 disp. att., 75, commi 2 e 3, 82, comma 2, cod.proc.pen e correlato vizio di motivazione, avendo i giudici di merito omesso di rilevare la revoca tacita della costituzione di parte civile di (OMISSIS), in quanto lo stesso aveva introdotto la causa di lavoro con ricorso del 2011 e si era costituito parte civile in sede di udienza preliminare il 17/12/2013, allorche' la causa di lavoro era gia' stata definita in primo grado; 2.7 la violazione degli articoli 190 e 192 c.p.p. e articolo 500 c.p.p., comma 2, e connesso vizio della motivazione in relazione al capo f) della rubrica. Secondo il difensore la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il delitto di estorsione ai danni delle pp.00. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), trascurando che le stesse hanno riconosciuto che erano solite ricorrere all'anticipazione di parte dello stipendio sicche' e' possibile che nel riferire di differenze retributive tra quanto risultante in busta paga e quanto effettivamente percepito non abbiano tenuto conto degli acconti. Aggiunge che i giudici d'appello hanno erroneamente ritenuto di poter conferire valore probatorio alle dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni e oggetto di conferma in dibattimento, pur trattandosi di atti utilizzabili esclusivamente ex articolo 500 c.p.p., comma 2, al fine di valutare la credibilita' del teste. Nella specie, peraltro, le dichiarazioni delle pp.00. appaiono poco attendibili in quanto caratterizzate da contestazioni e conferme scarsamente credibili; 2.8 l'erronea applicazione dell'articolo 629 c.p. e la manifesta illogicita' della motivazione. Il difensore sostiene che vertendosi in ipotesi di estorsione attuata nell'ambito di un rapporto contrattuale e' necessario che il male ingiusto prospettato sia correlato a un danno giuridicamente rilevante, non ravvisabile in assenza di un costringimento morale della vittima, insussistente nel caso del dipendente che, al fine di conseguire l'utilita' che gli deriva dalla conclusione di un contratto di lavoro subordinato, abbia liberamente deciso di aderire alle condizioni imposte dalla controparte, anche se vessatorie. Nella specie la circostanza che i dipendenti siano stati fin da subito informati dei termini economici del contratto che avrebbero sottoscritto risulta incontestata mentre i giudici di merito non hanno argomentato in ordine alla situazione di disoccupazione in cui versavano a fronte della quale l'opportunita' di lavoro offerta esclude un danno giuridicamente rilevante. Ne' persuade, secondo il ricorrente, l'argomento speso dalla Corte territoriale circa la disparita' di trattamento fiscale tra dipendenti, trovandosi solo i percettori di una retribuzione minore rispetto a quella indicata in busta paga costretti al pagamento di imposte per emolumenti mai percepiti. Aggiunge il difensore che, poiche' la minaccia si sarebbe concretizzata nella mancata assunzione e non anche nel licenziamento, dal verificarsi di questa condizione non sarebbe potuto derivare alcun nocumento alla posizione delle pp.00. ma solo la perdita di un'opportunita' di lavoro; 2.9 la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in quanto la Corte di merito ha negato le circostanze ex articolo 62 bis c.p., senza motivare in ordine alla rilevanza del precedente richiamato, senza tener conto del notevole ridimensionamento dei fatti e della rideterminazione del danno anche per effetto delle condotte riparatorie e risarcitorie sollecitate dall'imputato; 2.10 la violazione degli articoli 132 e 133 c.p. e articolo 111 Cost. e connesso vizio della motivazione in quanto la Corte di merito, a seguito delle pronunziate assoluzioni, ha rideterminato la pena in misura non congrua e senza motivare circa la scelta operata. In particolare la sentenza impugnata non ha tenuto conto del complessivo ridimensionamento dei fatti e, sotto il profilo della capacita' a delinquere, della circostanza che la (OMISSIS) ed altre pp.00. sono rimaste alle dipendenze del (OMISSIS), quale amministratore della (OMISSIS) fino al febbraio 2020. Gli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS) 4.L'inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 190 e 192 c.p.p., articolo 500 c.p.p., comma 2, e articoli 110 e articolo 629 c.p.; la mancanza o manifesta illogicita' della motivazione. I difensori sostengono che la Corte territoriale ha convalidato il giudizio di responsabilita' concursuale del prevenuto quale gestore del punto vendita in (OMISSIS) senza spiegare quale contributo il medesimo abbia fornito alla consumazione delle estorsioni in danno delle pp.00. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), trattandosi di un dipendente che si prestato talora a pagare le retribuzioni. La Corte ha, inoltre, svalutato il dato relativo alla prassi degli acconti sullo stipendio, confermata dalla pp.00., emergenza che non consente di escludere la possibilita' che i dichiaranti nel lamentare pretese differenze retributive non abbiano tenuto conto delle anticipazioni. I difensori contestano la ritenuta utilizzabilita' a fini probatori delle dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni, richiamando i contenuti delle deposizioni dei testi d'accusa e, in particolare, quelle del (OMISSIS), che aveva inizialmente ritrattato le accuse affermando di aver sempre ricevuto regolarmente lo stipendio. Inoltre, secondo il ricorrente gli esiti della consulenza tecnica acquisita in atti non si prestano a confermare la prospettazione accusatoria. I difensori argomentano, quindi, l'asserita insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di estorsione, sviluppando considerazioni sovrapponibili a quelle spese nel ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS), sub. 2.8, che devono intendersi qui richiamate; 4.1 la violazione degli articoli 629, 114 c.p., e correlato vizio di motivazione. Secondo il ricorrente sussistevano i presupposti per il riconoscimento della diminuente ex articolo 114 c.p. in considerazione del minimo contributo prestato alla realizzazione delle condotte; 4.2 la violazione degli articoli 132 e 133 c.p. e articolo 111 Cost. e connesso vizio di motivazione in quanto la Corte di merito a seguito dell'assoluzione pronunziata per le condotte in danno di (OMISSIS), ha rideterminato la pena in misura incongrua, senza motivare la scelta operata e trascurando il ridimensionamento della complessiva gravita' dei fatti e il perdurante stato di incensuratezza del ricorrente. L'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS). 5.La violazione ed erronea applicazione degli articoli 190,192,238 bis e 500 c.p.p. La mancanza e manifesta illogicita' della motivazione. Il ricorrente assume che il principale teste d'accusa, (OMISSIS), costituito parte civile, e' portatore di interessi antagonisti rispetto all'imputato con cui ha intrattenuto un rapporto conflittuale sicche' le sue dichiarazioni dovevano essere rigorosamente valutate e possibilmente riscontrate. I giudici di merito hanno ritenuto di rinvenire elementi di riscontro nelle dichiarazioni del (OMISSIS), il quale -tuttavia- in sede di indagini non aveva segnalato irregolarita' relative al rapporto di lavoro, senza che risultino chiarite le ragioni di simile contrasto mentre entrambi i dichiaranti hanno ammesso di aver fatto ricorso ad anticipazioni sullo stipendio. Quanto agli esiti della consulenza tecnica del P.m. acquisita agli atti, secondo il difensore, al di la' del riscontro di mere irregolarita' contabili, l'accertamento di un numero inferiore di ricevute d'acconto rispetto alla differenza tra retribuzioni e pagamenti riscontrati sarebbe sufficiente a disarticolare il costrutto accusatorio. Aggiunge che la sentenza impugnata ha reso una motivazione illogica in ordine all'attendibilita' del (OMISSIS), senza tener conto degli elementi di contrasto, quali l'accertata conciliazione intercorsa in sede lavoristica tra il dichiarante e la C&C in liquidazione, circostanza che ha condotto alla rivisitazione delle statuizioni civili, la cui mancata ostensione integra un comportamento illegittimo e fuorviante suscettibile di minarne l'attendibilita'. Deduce, inoltre, che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto la diversita' della causa petendi azionata in sede penale rispetto alla pretesa fatta valere in sede civilistica sulla base di una motivazione illogica, stante la coincidenza delle domande fatte valere nelle differenti sedi sicche' non appare giustificata la condanna, seppure generica, dell'imputato al risarcimento dei danni in favore del (OMISSIS), attesa l'efficacia preclusiva da riconoscere all'accertamento giudiziale effettuato in materia di lavoro; 5.1 la violazione dell'articolo 211 disp.att. articolo 75, commi 2 e 3, articolo 82 c.p.p., comma 2, e correlato vizio di motivazione in relazione al capo b) e con riferimento alla richiesta di revoca tacita della costituzione di p.c. del (OMISSIS). Il difensore sostiene che, avendo il (OMISSIS) introdotto la causa di lavoro nel 2011, costituendosi parte civile nel processo penale allorche' era stata emessa sentenza di primo grado, in considerazione dell'identita' dell'azione, lo stesso non avrebbe potuto nuovamente esercitarla in sede penale; 5.2 la violazione dell'articolo 629 c.p. e la manifesta illogicita' della motivazione. Il motivo e' testualmente riproduttivo delle censure svolte in relazione ai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), di cui ai par. 2.8 e 4, ultimo periodo, che qui vengono espressamente richiamati; 5.3 la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Secondo il ricorrente il mancato riconoscimento delle circostanze ex articolo 62 bis c.p., riposa sulla valorizzazione del precedente che milita a carico del ricorrente di cui, tuttavia, non si e' valutata la tenuita' e la datazione remota, nonostante la specifica devoluzione. Inoltre, i giudici d'appello, nell'escludere la ricorrenza di positivi elementi a favore del prevenuto, non hanno considerato il complessivo ridimensionamento dei fatti conseguente alle intervenute assoluzioni e ai risarcimenti disposti in sede civile o conciliativa; 5.4 la violazione degli articoli 132 e 133 c.p., e connesso vizio di motivazione. Il difensore lamenta che la sentenza impugnata, pur avendo assolto il (OMISSIS) dalle condotte estorsive in danno di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ha omesso di rideterminare la pena inflitta in primo grado. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I1 primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), reitera l'eccezione di inutilizzabilita' delle dichiarazioni predibattimentali della teste (OMISSIS), ed e' manifestamente infondato nonche' connotato da aspecificita' rispetto alle argomentazioni reiettive svolte dalla Corte di merito, con le quali il ricorrente non si rapporta in termini di puntualita' censoria. Infatti, la Corte territoriale ha rilevato che il primo giudice, nel corso dell'esame della teste, a seguito dei chiarimenti forniti dal P.m. circa l'originaria allegazione del verbale di s.i.t. alla comunicazione di notizia di reato del (OMISSIS), aveva dato atto della circostanza, consentendone l'utilizzo a fini di contestazione. Ha aggiunto che la circostanza che l'atto facesse parte del fascicolo messo a disposizione delle parti ex articolo 415 bis c.p.p., comma 2, emerge, altresi', dall'espresso richiamo del verbale nella lista testi e dall'elenco degli allegati all'informativa di P.g. acquisita all'udienza del 12/11/2015. Il mancato rinvenimento dell'atto nel fascicolo a disposizione del P.m. d'udienza, come correttamente ritenuto dei giudici di merito, appare di scarsa concludenza al fine della prova circa il mancato deposito dello stesso al termine delle indagini preliminari, attesa la pluralita' delle fonti che attestano il contrario, ne' alcuna inutilizzabilita' consegue alla messa a disposizione del verbale ad opera del legale della parte civile, che evidentemente ne aveva estratto copia dal compendio depositato, tanto piu' che alcuna contestazione risulta mossa dalla difesa in ordine ai contenuti dichiarativi nello stesso condensati. Per le anzidette ragioni appare destituita di fondamento anche la subordinata eccezione di nullita' formulata dal ricorrente. 2.11 secondo e terzo motivo che denunziano la nullita' della sentenza impugnata in relazione alle statuizioni civili in favore di (OMISSIS), per violazione dell'articolo 324 c.p.c. e articolo 2909 c.c. sono parimenti destituite di giuridico fondamento. L'assunto difensivo secondo cui l'introduzione in epoca anteriore alla costituzione di parte civile di un ricorso dinanzi la Sezione Lavoro del Tribunale di Marsala, avente ad oggetto il riconoscimento di differenze retributive, doveva ritenersi preclusiva dell'esercizio dell'azione civile in sede penale non puo', infatti, trovare concordi. 2.1 Questa Corte ha chiarito che il principio di autonomia e di separazione del giudizio civile da quello penale, posto dall'articolo 75 c.p.p., comporta che, qualora un medesimo fatto illecito produca diversi tipi di danno, il danneggiato puo' pretendere il risarcimento di ciascuno di essi separatamente dagli altri, agendo in sede civile per un tipo e poi costituendosi parte civile nel giudizio penale per l'altro (Sez. 2, n. 5801 del 08/11/2013, dep. 2014, Rv. 258201; n. 38806 del 01/10/2008, Rv. 241451 - 01). Inoltre, e' principio incontestato che la revoca della costituzione di parte civile, prevista per il caso in cui l'azione venga promossa anche davanti al giudice civile, si verifica solo quando sussiste coincidenza fra le due domande, ed e' finalizzata ad escludere la duplicazione dei giudizi (Sez. 2, n. 62 del 16/12/2009, dep. 2010, Rv. 246266-01;Sez. 4, n. 3454 del 19/12/2014,dep.2015, Rv. 261950-01; Sez. 5, n. 21672 del 16/02/2018, Rv. 273027-01). La Corte territoriale ha evidenziato che la (OMISSIS) si e' costituita parte civile in epoca successiva all'introduzione della causa di lavoro ma antecedente alla pronunzia di primo grado e ha correttamente ricostruito gli ambiti operativi degli articoli 75 e 82 c.p.p., affermando la giuridica insostenibilita' della tesi difensiva in ordine alla revoca implicita della costituzione. Ha aggiunto, inoltre, che nella specie non vi e' coincidenza delle azioni promosse, risultando diversi la causa petendi ed il petitum poiche' la (OMISSIS) ha agito in sede civile per il riconoscimento di differenze retributive mentre in sede penale la richiesta risarcitoria concerne i danni morali conseguenti alle minacce costrittive subite onde indurla ad accettare un trattamento economico deteriore. La differenza delle domande da' conto della manifesta infondatezza dei rilievi in ordine alla pretesa violazione del giudicato civile di cui alla sentenza n. 1088/16 della Corte d'Appello di Palermo, Sezione Lavoro. 3.Le censure relative all'asserita erronea valutazione della prova in relazione alle fattispecie sub a) (motivo quinto) hanno natura squisitamente fattuale e mirano ad una rivalutazione delle fonti dichiarative a fronte di una motivazione congrua e priva delle denunziate frizioni logiche. La Corte e' pervenuta ad esito assolutorio in relazione alle fattispecie estorsive le cui presunte vittime hanno in dibattimento negato di aver subito minacce dall'imputato al fine di accettare un trattamento economico inferiore rispetto a quello cui avevano diritto e di aver sottoscritto quietanze per importi maggiori rispetto a quelli effettivamente ricevuti ma ha, nel contempo, escluso ricadute di sorta sull'attendibilita' della (OMISSIS) in relazione alla quale ha confermato il giudizio di credibilita' soggettiva ed oggettiva gia' formulato dal primo giudice, persuasivamente confutando i rilievi formulati dalla difesa. I giudici territoriali hanno segnalato la convergenza del narrato della (OMISSIS), della p.c. (OMISSIS) e delle pp.00. (OMISSIS) e (OMISSIS); hanno escluso che dalle ricostruzioni dei dichiaranti siano emersi atteggiamenti di acrimonia o riferimenti intesi ad accentuare l'accusa nei confronti del prevenuto (pag. 9), negando che possano valere ad inficiare l'attendibilita' della (OMISSIS) le dichiarazioni di alcuni testi della difesa che ne hanno delineato il "cattivo carattere"; hanno evocato le identiche ed illecite modalita' operative poste in essere in diversi punti vendita in cui operava lo stesso prevenuto; hanno richiamato a conforto della prospettazione accusatoria gli esiti della consulenza del Dott. (OMISSIS), che ha esaminato la contabilita' aziendale con riferimento ai pagamenti delle retribuzioni ai dipendenti, riscontrando che le ricevute per acconti fuori busta, spesso prive di data, non erano riportate in contabilita' ed erano relative ad importi complessivamente inferiori alla differenza tra le retribuzioni dovute e i pagamenti riscontrati. 3.1 V'e' da aggiungere che l'accertamento effettuato in sede lavoristica, contrariamente a quanto assume il difensore, non vincola l'apprezzamento del giudice penale. La giurisprudenza di legittimita' ha al riguardo precisato, con affermazione che il Collegio condivide, che l'utilizzo delle sentenze irrevocabili, acquisite ai fini della prova dei fatti in esse accertati ex articolo 238 bis c.p.p., riguarda esclusivamente quelle rese in altro procedimento penale e non anche quelle rese in un procedimento civile, adottando i due ordinamenti processuali criteri asimmetrici nella valutazione della prova; pertanto le sentenze di un giudice diverso da quello penale, pur se definitive, non vincolano quest'ultimo, ma, una volta acquisite, sono dal medesimo liberamente valutabili (Sez. 5, n. 41796 del 17/06/2016, Rv. 268041- 01; n. 14042 del 04/03/2013, Rv. 254981-01; in materia di giudicato contabile, Sez. 6, n. 1893 del 06/10/2020, dep. 2021, Rv. 280586-01).). Si e' ulteriormente chiarito che, secondo il principio generale fissato dall'articolo 2 c.p.p., al giudice penale spetta il potere di risolvere autonomamente ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito e che l'unica disposizione che attribuisce espressamente "efficacia di giudicato" nel processo penale a sentenze extra-penali e' l'articolo 3 c.p.p., comma 4, con riferimento alla "sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza" (in motivazione, Sez. 3, n. 17855 del 19/03/2019, Rv. 275702-01). 4. Anche le censure in tema di riferibilita' soggettiva delle condotte e di valutazione della prova relative al capo b) non possono trovare accoglimento in quanto palesemente infondate. In particolare la Corte territoriale (pag. 11) ha dato conto degli elementi che fondano la qualifica di amministratore di fatto del (OMISSIS) in relazione al punto vendita di (OMISSIS). Infatti, secondo quanto riferito dalla (OMISSIS), il (OMISSIS), aveva aperto il punto vendita insieme al (OMISSIS), gia' alle dipendenze della (OMISSIS), e alla di lui moglie (OMISSIS), che le indagini hanno accertato rivestisse la carica di amministratrice della C&C, societa' gestrice dell'esercizio, di cui era socia anche la moglie del prevenuto. Il teste (OMISSIS) ha dal canto suo dichiarato che il (OMISSIS) si recava spesso presso il negozio, ove effettuava ispezioni ed impartiva disposizioni, esortando i dipendenti ad una maggiore produttivita', attivita' che implicano l'esercizio di funzioni direttive e di carattere gestorio. 4.1 Quanto all'attendibilita' del (OMISSIS), il collegio ha confermato la positiva valutazione del primo giudice, rimarcando che a conforto delle dichiarazioni rese si pone la deposizione di (OMISSIS), il quale ha riferito in termini perentori che entrambi erano stati vittime di continue minacce di licenziamento ove non avessero rinunziato alle pretese in ordine al pagamento degli emolumenti dovuti e alle ore di straordinario prestate. I giudici d'appello hanno, in dettaglio, escluso che il (OMISSIS) possa essere incorso in errore, non includendo nella retribuzione gli acconti percepiti, avuto riguardo al tenore delle dichiarazioni rese in sede dibattimentale circa la mancata corresponsione degli importi formalmente riportati in busta paga e alla firma di ricevute per importi maggiori di quelli percepiti, e hanno richiamato gli elementi di corroborazione che si traggono dalle identiche modalita' operative attuate dal (OMISSIS) negli altri punti vendita a lui riferibili e le emergenze della consulenza tecnica del Dott. (OMISSIS). Il difensore reitera, dunque, rilievi oggetto di adeguato scrutinio, incorrendo in aspecificita' laddove adduce a sospetto la testimonianza del (OMISSIS) alla luce delle dichiarazioni predibattimentali, trascurando che nel corso del controesame dibattimentale la difesa ha omesso di coltivare detto specifico versante e di saggiare le ragioni del teste (pag. 12). 4.2 Deve aggiungersi che alcun argomento a favore della difesa puo' trarsi dall'assoluzione del prevenuto dalle condotte ascritte in danno delle pp.00. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), trattandosi di soggetti mai assunti a s.i.t in fase di indagine e mai sentiti in dibattimento. Con riguardo all'avvenuta acquisizione in sede di riapertura dell'istruttoria dibattimentale del verbale di conciliazione tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS) in liquidazione, la Corte territoriale -pur dando atto della diversita' della causa petendi -ha prudenzialmente limitato la liquidazione ai soli danni morali, emettendo una condanna generica per i danni patrimoniali. La soluzione transattiva, a differenza di quanto assume la difesa, non si presta ad incidere sul giudizio di attendibilita' del (OMISSIS) ne' a fondare la richiesta di revoca implicita della costituzione ove si tenga conto anche della diversita' soggettiva dei destinatari delle richieste del predetto, la (OMISSIS) in liquidazione srl, societa' avente autonoma personalita' giuridica, nella causa civile, il (OMISSIS), in veste di amministratore di fatto nel processo penale. 5.Ad analoghi esiti deve pervenirsi in relazione all'ottavo motivo che censura la valutazione della prova in relazione al capo f) in quanto il ricorrente mira ad una rilettura delle dichiarazioni accusatorie delle pp.00. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), dei cui contenuti la Corte di merito ha dato atto al fine di escludere recisamente che i testi possano essere incorsi in errore circa le denunziate differenze retributive, non tenendo conto degli acconti percepiti. Ha al riguardo richiamato le dichiarazioni della (OMISSIS), la quale ha riferito di aver ricevuto gli acconti sulla busta paga solo allorche', essendosi rifiutata di sottoscrivere le buste-paga inveritiere e non avendo ricevuto i relativi assegni di minore importo, era stata costretta a ricorrere a delle anticipazioni che le venivano corrisposte in contanti; del (OMISSIS), che non ha fatto cenno ad acconti sulle retribuzioni e, quanto, al (OMISSIS) ha evidenziato che lo stesso, a seguito di contestazioni, ha confermato la ricostruzione conforme all'ipotesi accusatoria riferita in sede investigativa. 5.1 Deve in proposito osservarsi che la Corte di merito nella valutazione dei contenuti delle deposizioni testimoniali ha fatto corretta applicazione del principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimita' secondo cui le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni al testimone che siano state confermate, anche se in termini laconici, vanno recepite e valutate come dichiarazioni rese dal testimone direttamente in sede dibattimentale, poiche' l'articolo 500 c.p.p., comma 2, concerne il solo caso di dichiarazioni dibattimentali difformi da quelle contenute nell'atto utilizzato per le contestazioni (Sez. 2, n. 35428 del 08/05/2018, Rv. 273455-01; n. 17089 del 28/02/2017, Rv. 27009101; n. 13910 del 17/03/2016, Rv. 266445-01). 6. Destituite di giuridico fondamento s'appalesano le censure in punto di sussistenza dell'addebito ex articolo 629 c.p., le quale reiterano rilievi analiticamente scrutinati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla sentenza impugnata (pagg. 17-18). L'addebito condensato nelle incolpazioni e sottoposto a verifica nel processo concerne ipotesi estorsive consumate nel corso dell'esecuzione del rapporto di lavoro e concretizzatesi nella minaccia della perdita del posto di lavoro per costringere i dipendenti ad accettare un trattamento economico inferiore a quello cui avevano diritto in relazione al contratto stipulato e a sottoscrivere quietanze di pagamento per importi superiori a quelli effettivamente percepiti nonche' a firmare note di credito su anticipi dello stipendio, cosi' procurandosi l'ingiusto profitto pari agli importi non corrisposti con relativo danno per i lavoratori. La difesa muove dall'assunto che non sia ravvisabile un danno nei confronti dei dipendenti che hanno deciso "liberamente" di aderire alle condizioni imposte dalla controparte. 6.1 Non ignora il Collegio che la giurisprudenza di legittimita' ha in talune pronunzie affermato il principio secondo cui, in tema di estorsione, non integra il reato la condotta del datore di lavoro che, al momento dell'assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'opportunita' di lavoro, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d'opera sottopagate, non v'e' prova che l'ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione (Sez. 2, n. 21789 del 04/10/2018, dep. 2019, Rv. 275783 - 01; Sez. 6, n. 6620 del 03/12/2021, dep. 2022, Rv. 282903-01). Si tratta, tuttavia, di casi sensibilmente differenti da quelli a giudizio in cui la larvata minaccia si pone nella fase dell'assunzione laddove il datore di lavoro condizioni la stessa alla rinunzia a parte della retribuzione dovuta. La sentenza di questa Sezione n. 21789/2018, Rv. 275783 cit. ha precisato in motivazione che il reato di estorsione deve, invece, ritenersi sussistente nel caso in cui il datore di lavoro, nella fase esecutiva del contratto, corrisponda ai lavoratori, sotto minaccia della perdita del posto di lavoro, uno stipendio ridotto rispetto a quanto risultante in busta paga, essendo in tal caso evidente il danno recato ai predetti. Questa Corte con orientamento costante ritiene, infatti, che integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep, 2015, Rv. 261553 - 01; n. 11107 del 1472/2017, Rv. 269905-01; n. 50074 del 27/11/2013, Rv. 257984-01; n. 3724 del 29/10/2021, dep.2022, Rv. 282521-01). 7. Inammissibili per manifesta infondatezza s'appalesano i conclusivi motivi concernenti il diniego delle attenuanti genetiche e la misura della pena, avendo la Corte di merito (pag. 18) adeguatamente argomentato il rigetto dell'istanza difensiva, evocando non solo il precedente che milita a carico del ricorrente, ma segnalando, altresi', la mancata allegazione di elementi atti a giustificare l'invocata mitigazione sanzionatoria a fronte della gravita' e della protrazione temporale delle condotte contestate e ritenute. 8. Ad esiti di inammissibilita' per manifesta infondatezza deve pervenirsi in relazione al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). Infatti i rilievi in punto di valutazione della prova sono stati congruamente scrutinati e motivatamente disattesi dai giudici d'appello sulla scorta di un apparato giustificativo che non presta il fianco a censura per completezza e congruenza logica. La sentenza impugnata ha, in particolare, dato conto degli elementi probatori che accreditano il (OMISSIS), quale gestore del punto vendita di Contrada Spagnola, smentendo la prospettazione difensiva che lo vorrebbe mero dipendente, soggetto alle direttive del (OMISSIS); ha escluso, come gia' in precedenza segnalato, che le pp.00. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) siano incorse in errore nel riferire di differenze retributive, specificamente richiamando i passi dichiarativi di rilievo; ha evidenziato quali elementi di conforto alla prospettazione accusatoria le analoghe modalita' di gestione dei rapporti di lavoro da parte del (OMISSIS) in altri esercizi e gli esiti della consulenza (OMISSIS). Le questioni in questa sede riproposte dal difensore (in gran parte sovrapponibili a quelle dedotte nell'interesse del (OMISSIS) e delibate sub par.4) circa il contributo causale alle estorsioni, la pretesa violazione dell'articolo 500 c.p.p., comma 2, l'insussistenza dei requisiti costitutivi del delitto ex articolo 629 c.p., hanno carattere reiterativo e non si rapportano in termini di specificita' confutativa con il percorso argomentativo dei giudici di merito, che hanno affrontato e correttamente risolto i profili devoluti. 8.1 Destituite di giuridico fondamento s'appalesano i rilievi in ordine al denegato riconoscimento dell'attenuante ex articolo 114 c.p., avendo la Corte territoriale (pag. 21) evidenziato che il contributo causale dell'imputato alla consumazione degli illeciti non si presta ad essere qualificato in termini di trascurabile rilievo, avendo il medesimo agito nell'ambito del punto vendita quale alter ego del (OMISSIS), ricoprendo un ruolo ed esercitando prerogative nei confronti dei dipendenti insuscettibili di essere ricondotte al paradigma di un'efficienza causale pressoche' irrilevante nella dinamica delittuosa. 8.2 Le censure in punto di dosimetria della pena sono manifestamente infondate. Premesso che alcuna doglianza risulta formulata in sede d'appello avverso la dosimetria della pena, la sentenza impugnata ha ridotto la pena inflitta in primo grado eliminando parte dell'aumento operato a titolo di continuazione interna. La censura che denunzia il difetto di congruita' della riduzione non puo' trovare concordi ove si consideri che il Tribunale aveva inflitto per il delitto continuato sub f), concernente condotte estorsive in danno di quattro pp.00., riconosciute le attenuanti generiche, la pena di anni tre,mesi sette di reclusione ed Euro mille di multa, di cui mesi tre di reclusione ed Euro 200,00 di multa ex articolo 81 c.p., comma 2, In esito alla pronunziata assoluzione per il reato in danno di (OMISSIS), appare, dunque, del tutto proporzionata l'eliminazione di mesi uno di reclusione ed Euro 100,00 di multa quale aumento a titolo di continuazione sulla pena complessivamente inflitta. 9. Inammissibile s'appalesa anche il ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS). Le censure formulate nel primo motivo in punto di valutazione della prova risultano nella sostanza sovrapponibili a quelle svolte dal (OMISSIS) nel motivo sub 6) sicche', attesa l'identita' dei rilievi circa la dedotta violazione dell' articolo 238 bis, articolo 500 c.p.p., comma 2, articolo 629 c.p. nonche' in ordine all'attendibilita' dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) e all'asserita revoca tacita della costituzione di p.c. del primo, conviene richiamare le argomentazioni gia' svolte al riguardo al par. 4 e segg. Deve aggiungersi che la sentenza impugnata ha confermato con specifico riguardo alla posizione del ricorrente il giudizio di piena attendibilita' sia del (OMISSIS) che del (OMISSIS), negando dirimente capacita' confutativa ai rilievi della difesa, rimarcando la convergenza del narrato dei due dipendenti, il chiaro tenore delle dichiarazioni rese a riscontro dell'ipotesi d'accusa, la coerenza degli elementi riferiti con il complessivo quadro delle emergenze che attingono tutti i punti vendita gestiti dal (OMISSIS) e con gli esiti dell'espletata c.t. La difesa sollecita una rivalutazione del compendio probatorio preclusa in questa sede a fronte di un apparato reiettivo che non mostra aporie o illogicita' manifeste. 9.1 I giudici d'appello hanno motivatamente disatteso, con corretti argomenti giuridici, anche le censure relative alla asserita revoca tacita della costituzione di parte civile di (OMISSIS), evidenziando la diversita' della causa petendi, ed hanno ribadito la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto d'estorsione, revocata in dubbio dal difensore. Hanno, inoltre, disatteso la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche, evocando in senso ostativo non solo il precedente a carico del prevenuto ma anche le gravi modalita' dei fatti a giudizio e la protrazione temporale delle condotte, espressiva di particolare intensita' del dolo, esprimendo un giudizio aderente ai parametri di cui all'articolo 133 c.p. e non suscettibile di rivisitazione in questa sede in quanto adeguatamente giustificato. 10.II conclusivo motivo che lamenta la mancata riduzione della pena irrogata in primo grado per effetto delle intervenute assoluzioni in relazione alle estorsioni in danno di (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) e' inammissibile per difetto di interesse. Invero, il Tribunale di Marsala (pag. 18) ha determinato la pena, quantificandola ai minimi edittali, senza effettuare alcun aumento per la continuazione interna ("per il (OMISSIS), appare congrua la pena di anni cinque di reclusione ed Euro mille di multa") sicche' alcuna frazione di pena era scomputabile da quella irrogata e alcun concreto interesse puo' vantare il ricorrente alla doglianza, atteso il computo di favore del trattamento sanzionatorio operato in primo grado. 11. Alla luce delle considerazioni che precedono i ricorsi debbono essere dichiarati tutti inammissibili con condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria precisata in dispositivo, non ravvisandosi cause d'esonero. Ai prevenuti fanno, altresi', carico le spese di rappresentanza e difese delle costituite parti civili, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende nonche' alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida per ciascuna di esse in Euro 4.500,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA Sezione controversie lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie composta dai Sigg. Magistrati: DI SARIO dott.ssa Vittoria - Presidente rel. SELMI dott. Vincenzo - Consigliere CERVELLI dott. Vito Riccardo - Consigliere all'esito dell'udienza del 2.2.2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3345 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 vertente TRA (...) elett.te dom.to in Roma, piazza (...), presso lo studio dell'avv.to Ma.Co., che lo rappresenta e difende giusta procura in telematico APPELLANTE E AZIENDA (...) elett.te dom.to in Roma, via (...), presso lo studio dell'avv.to Da.Br. che la rappresenta e difende giusta procura in telematico APPELLATA Oggetto: appello avverso la sentenza n. 6236/2020 del Tribunale di Roma depositata il 12.10.2020 RAGIONI DELLA DECISIONE 1. (...), premesso di essere stato nominato "responsabile dell'area farmaceutica" con Delib. n. 9 del 3 aprile 2017 e quindi di avere così acquisito la qualifica dirigenziale, qualifica confermata, perché presupposta, dalla Delib. n. 10 del 3 aprile 2017 di nomina a interim di Direttore Generale dell'Azienda con attribuzione di un'indennità aggiuntiva temporanea e quindi di avere volto dal 10.4.2017 al 17.4.2019 le funzioni di direttore dell'area farmaceutica e di direttore generale, di avere quindi diritto al trattamento economico dirigenziale previsto dal CCNL dirigenti imprese di pubblica utilità e di avere subito un illegittimo svuotamento delle funzioni dell'area farmaceutica a decorrere dal 17.4.2019, data in cui aveva rassegnato le dimissioni da direttore generale, ha convenuto in giudizio la (...) - Azienda (...) rassegnando le seguenti conclusioni: ritenuta la qualifica dirigenziale assegnata al ricorrente ed il diritto dello stesso a percepire la correlata retribuzione prevista e disciplinata dal CCNL dirigenti pubbliche imprese, Voglia condannare (...) Azienda (...) ... : - al pagamento in suo favore della somma di Euro 58.542,48 oltre rivalutazione ed interessi a far tempo dalla domanda per tutte le causali di cui in premessa, salvo errori od omissioni, siccome somme già maturate; - a versare / rimettere al ricorrente la retribuzione mensile/ annuale prevista per i dirigenti di cui al CCNL Dirigenti imprese pubblica utilità per le mensilità di stipendio future successive al deposito del presente ricorso; - a rispettare la delibera di assegnazione dell'incarico di direttore del Servizio Farmaceutico e quindi le funzioni assegnate, ordinando a (...) per il mezzo del suo rappresentante legale di dismettere ogni condotta illecita, ostativa ed ostruzionistica; - al risarcimento dei danni per i comportamenti e le condotte denunciate in misura equitativa e comunque non inferiore alle mensilità di retribuzione a far tempo dal mese di aprile 2019. 1.1. Nella resistenza della (...), il Tribunale di Roma ha respinto integralmente il ricorso, condannando il ricorrente alla refusione delle spese di lite. 1.2. Il primo giudice: i) in via preliminare ha osservato che il ricorrente, avente la qualifica di Quadro Q1, in sede di conclusioni del ricorso non chiede di accertare e dichiarare il suo diritto al superiore inquadramento, ma dando per presupposto il diritto alla qualifica dirigenziale ("ritenuta la qualifica dirigenziale"), chiede la condanna della convenuta al pagamento delle relative differenze retributive; ii) quindi, richiamato il procedimento trifasico proprio delle controversie di inquadramento superiore, ha rilevato il difetto di allegazione in ordine alla declaratoria contrattuale con riferimento alla qualifica posseduta cosicchè la mera elencazione delle attività svolte dal ricorrente appare manchevole della ulteriore fase del raffronto con le stesse ai fini della sussunzione nel livello rivendicato. Di conseguenza sono da considerarsi irrilevanti le relative richieste istruttorie formulate dall'attore. Lo stesso infatti ha chiesto ammettersi la prova per testi su capitoli concernenti, appunto, lo svolgimento delle attività asseritamente corrispondenti al parametro superiore. Tuttavia, per le carenze allegatorie sopra enucleate, tale prova, quand'anche raggiungesse un risultato positivo, sarebbe incompleta, in quanto carente della fase di raffronto di cui si è detto ai fini del riconoscimento della invocata superiore sussunzione. Nel caso di specie, tra l'altro, la difesa della resistente ha contestato recisamente la sufficienza delle allegazioni di cui al ricorso rispetto al contenuto tipico della declaratoria contrattuale ed ha comunque in radice negato che la parte ricorrente abbia mai svolto mansioni corrispondential superiore livello invocato. Orbene, in ricorso non vi è alcuna deduzione sui contenuti tipici della declaratoria relativa alla qualifica posseduta in raffronto col livello invocato; quindi le mansioni, nello scarno contenuto che rimane esente da vizi di genericità dell'istanza istruttoria, che si affermano eseguite in ricorso non appaiono comunque congruenti rispetto alla superiore qualifica invocata, per cui la loro dimostrazione storica risulta irrilevante. Invero, l'indicazione da parte del ricorrente delle mansioni svolte si risolve in una elencazione di operazioni senza alcuna illustrazione ed esplicitazione chiarificatrice, in raffronto argomentato con la declaratoria invocata; iii) ha comunque osservato, in via dirimente e assorbente, che Dalla documentazione versata in atti dalla convenuta emerge che, con verbale dell'11-5-2017, le parti conciliavano in sede giudiziale la controversia promossa dal ricorrente nei confronti della (...) (procedimento rubricato al n. RG 6929/2015) avente ad oggetto il riconoscimento del diritto al livello Q1 (doc 4 fasc res). Nel corpo del verbale veniva dato atto della adozione delle delibere commissariali n. 9/2017 con cui il ricorrente veniva nominato responsabile dell'Area Farmaceutica e n. 10/2017 con cui il predetto veniva nominato direttore generale ad interim fino alla nomina del nuovo direttore generale. Ancora, al punto 2 del verbale si legge che il ricorrente "accetta l'incarico conferito quale responsabile per l'Area Farmaceutica nonché l'inquadramento quale quadro Q1 ritenendo entrambi perfettamente rispondenti e conformi al proprio profilo lavorativo, alle proprie competenze ed alla propria professionalità". Al successivo punto 6 le parti convenivano espressamente: "il dr (...) rinunzia esclusivamente verso e nei confronti di (...), a qualsiasi pretesa, azione, diritto, credito, indennizzo e/o risarcimento danno in qualsiasi modo connessi allo svolgimento del rapporto lavorativo con (...), (in via esemplificativa e non esaustiva: inquadramento superiore e relative differenze retributive, pretese retribuzioni e/o differenze retributive arretrate di qualsiasi genere, anche relative al T.F.R., al lavoro straordinario ed al lavoro supplementare, festivo, notturno, trattamenti di malattia, indennità sostitutiva di ferie non godute e del preavviso, asseriti premi, commissioni provvigioni e/o rimborsi spese di qualsiasi genere, incidenze di qualsiasi genere sulle competenze retributive dirette, indirette e differite, compreso il TFR, asserite differenze retributive a qualsiasi titolo, risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale e non, danno da mobbing, danno biologico, danno morale, danno esistenziale, danno da dequalificazione professionale, riqualificazione del rapporto, danno non patrimoniale e quant'altro, richiesta applicazione ccnl diverso da quello applicato, pretese relativa all'applicazione ccnl Farmacie speciali), dovendosi intendere che tutte le voci retributive anche accessorie e proprie del livello riconosciuto e dell'incarico ricevuto, salva l'anzianità in azienda, decorreranno dal 3 aprile 2017" Sulla base di quanto sopra riportatosi ritiene pertanto che le pretese azionate dal ricorrente con il presente giudizio siano precluse dalla intervenuta conciliazione; iv) infine, per completezza, ha aggiunto che con riferimento alle dimissioni dalla carica di direttore generale, asseritamente avvenute il 17 aprile 2019 (mancando ogni prova documentale al riguardo) ed alla imputabilità delle stesse alla condotta datoriale, deve ritenersi che, l'estrema genericità delleallegazioni nonché l'assenza di ogni prova in ordine al danno, determinino anche sotto questo profilo il rigetto della domanda. 2. Contro detta decisione ha proposto appello (...) lamentando: I) la violazione di legge: artt. 113 e 114 D.Lgs. n. 269 del 2000, art. 115 c.p.c.; difetto di motivazione/motivazione apparente; travisamento; errore, sostenendo, in sintesi, che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere necessario l'accertamento giudiziale del superiore inquadramento come dirigente, atteso che questo era stato già riconosciuto dal commissario straordinario con le nomine a Direttore dell'area farmaceutica e a Direttore generale; ha aggiunto che il Tribunale avrebbe "ignorato la disciplina statutaria in punto alle cariche dirigenziali come conferite e come espletate" e che le delibere commissariali avevano efficacia di prova fino a querela di falso, sicché il Tribunale negando il conferimento delle funzioni dirigenziali avrebbe violato le norme in rubrica indicate; II) la violazione degli artt. 11 e 12 dello statuto della (...), per non avere tenuto conto il Tribunale che la nomina a direttore generale e a direttore del servizio farmaceutico comportavano la nomina a dirigente, "senza alcuna ulteriore prova da fornire sul piano processuale"; III) la violazione dell'art. 244 c.p.c. per avere il Tribunale erroneamente ritenuto "mancante l'allegazione probatoria sulle mansioni svolte( allegazione invero perfettamente e compiutamente svolta, come riconosciuto dallo stesso estensore) solo perché non articolata anche sul preteso " raffronto" tra quelle svolte e quelle ritenute rivendicate ( pagina 7 rigo 18)", non tenendo conto che "il raffronto o "comparazione" è una valutazione, non un fatto storico suscettibile di prova"; ha aggiunto che la prova non era necessaria "in quanto le funzioni dirigenziali erano e sono state conferite siccome contenute nelle ridette delibere commissariali" e che comunque il Tribunale avrebbe dovuto comparare le attività risultanti dalla prova con le categorie astratte del CCNL dirigenti prodotto in atti; IV) l'insufficiente e contradditoria motivazione per avere il Tribunale pronunciato complessivamente e genericamente su entrambi gli incarichi, affermando "dapprima che l'articolazione istruttoria dell'attore sarebbe " estremamente generica", quindi nel capoverso successivo che essa conterrebbe una "mera elencazione di attività svolte dal ricorrente" e subito dopo che sarebbe mancante dell'articolazione del " raffronto". Al passo successivo ancora che " quand'anche raggiungesse un risultato positivo sarebbe incompleta", così non rendendo chiare le ragioni della decisione; V) l'errata impostazione della decisione, poiché il Tribunale "non doveva accertare alcunché ma soltanto dichiarare, per l'appunto ritenere e presupporre le cariche conferite per procedere alla declaratoria giudiziale del diritto alle retribuzioni dirigenziali"; VI) la violazione di legge: artt. 113 e 114 D.Lgs. n. 269 del 2000, art. 115 c.p.c.; difetto di motivazione/motivazione apparente; travisamento; errore riproponendo sostanzialmente le censure già sopra richiamate, ribandendo di non avere "richiesto un livello superiore" poiché egli era dirigente per nomina commissariale e quindi già in possesso della qualifica dirigenziale per avergliela conferita l'Azienda e il Tribunale avrebbe dovuto porre a fondamento della decisione tutta la documentazione acquisita agli atti; VII) Contraddittorietà - Travisamento - Violazione di legge: art. 2113 c.c. in riferimento all'art. 1965 c.c. ( transazione), Libro IV, Titolo II, Capo IV cod. civile - interpretazione del contratto - all'art. 1362 c.c. ( intenzioni dei contraenti) , 1363 c.c. ( interpretazione complessiva delle clausole), art. 1364 c.c. ( espressioni generali); art. 1366 c.c. ( interpretazione di buona fede); art. 1371 c.c. ( regole finali); errore, per avere il Tribunale errato nell'interpretazione del contratto di transazione, ricomprendendovi anche le domande e le pretese riguardanti le cariche dirigenziali di Direttore dell'Area farmaceutica e di Direttore Generale, mentre oggetto della transazione era stata solo la domanda di riconoscimento della qualifica di quadro di primo livello Q1/1Q di cui al ricorso rubricato RG n. 6929/2015, rimanendo all'evidenza estranea ogni futura pretesa considerato pure che il conferimento della qualifica dirigenziale era stato successivo; ribadisce che gli incarichi in questione presupponevano la qualifica dirigenziale; VIII) la violazione di legge / norma regolamentare cogente delegata: art. 3 CCNL Dirigenti Imprese Pubblica Utilità per avere il Tribunale erroneamente avallato "una pretesa convenzione tra le parti con le quali le medesime avrebbero stabilito per il dirigente una retribuzione inferiore al trattamento minimo complessivo di garanzia come previsto dalla norma"; IX) la violazione art. 112 c.p.c. corrispondenza tra chiesto e pronunciato; art. 115 c.p.c.; errore, travisamento e contraddizione per avere il Tribunale omesso la pronuncia sulla domanda risarcitoria da privazione e svuotamento del ruolo di Direttore dell'area farmaceutica; X) la violazione di legge: artt. 1 e 3 CCNL dirigenti imprese di pubblica utilità come integrato da accordo di rinnovo 18 dicembre 2015 per non avere riconosciuto il trattamento da dirigente 2.1. Si è costituita in giudizio (...) - Azienda (...) eccependo l'inammissibilità dell'appello sia ex art. 348 bis c.p.c. che ex art. 342 c.p.c. e comunque l'infondatezza dello stesso. 2.2. Previ gli incombenti di cui all'art. 437 c.p.c. la causa è stata discussa e decisa come da separato dispositivo. 3. Vanno preliminarmente disattese le preliminari eccezioni di inammissibilità sollevate dall'appellata. 3.1. Il gravame contiene una sufficiente critica delle ragioni della decisione, mentre ogni altra questione appartiene al merito, che deve essere comunque vagliato anche integrando le ragioni della decisione impugnata. 4. L'appello sebbene ammissibile è infondato e la gravata sentenza va confermata anche per le ragioni di seguito esposte. 5. I primi sei motivi di gravame, per come sopra enucleati e riassunti, possono essere trattati congiuntamente per evidente connessione e vanno disattesi. 5.1. Il (...) muove dall'errato presupposto, che emerge chiaramente dall'intera impostazione del gravame, per cui egli era già dirigente, qualifica che a suo dire gli sarebbe stata conferita con le delibere del 3 aprile 2017 di attribuzione della posizione di "responsabile dell'area farmaceutica" (Delib. n. 9 del 3 aprile 2017) e di Direttore Generale (Delib. n. 10 del 2017), sicché egli non aveva affatto chiesto il riconoscimento di un inquadramento superiore, come invece a suo dire erroneamente ritenuto dal Tribunale, che di contro si sarebbe dovuto limitare a prendere atto di detta qualifica, confermata dalle norme statutarie, essendo la domanda volta solo ad ottenere il dovuto e inderogabile trattamento economico previsto dal CCNL dirigenti delle imprese dei servizi di pubblica utilità. 5.2. Agli atti non vi è alcun documento che attesti l'attribuzione all'appellante della qualifica di dirigente né può ritenersi tale la documentazione richiamata dal predetto, che anzi smentisce una tale attribuzione. 5.3. Ed invero nella Delib. n. 9 del 3 aprile 2017 (doc.2) si legge espressamente che l'appellante viene nominato "Responsabile per l'Area Farmaceutica" e che in ragione di tale nomina allo stesso viene "riconosciuto l'avanzamento di carriera corrispondente all'inquadramento come Quadro Q1, qualifica apicale non dirigenziale". 5.4. La chiarezza e inequivocità della disposizione richiamata non necessita di altre osservazioni per escludere, diversamente da quanto ritenuto dall'appellante, che a questi fosse stata "già" attribuita dal Commissario straordinario la qualifica di dirigente. 5.4.1. Il (...) dal 3.4.2017 è stato inquadrato come quadro di 1 livello e non come dirigente, sicché il riconoscimento di tale superiore qualifica avrebbe richiesto un'espressa domanda giudiziale, che, per come afferma lo stesso gravame, non è stata proposta. 5.5. A diverse conclusioni non induce neppure la Delib. n. 10 del 2017 (doc. 3), sempre del 3 aprile 2017, che si limita a nominare il (...) "Direttore Generale, in via d'urgenza e ad interim fino alla nomina del nuovo Direttore Generale" senza affatto conferire al predetto la qualifica di dirigente. 5.5.1 Pertanto, anche con riferimento a tale incarico, a prescindere da ogni altra considerazione di seguito esposta, sarebbe stato necessario avanzare espressa domanda di riconoscimento di inquadramento superiore rispettando i conseguenti oneri di allegazione e prova. 5.6. Di contro il (...), in relazione ad entrambe le posizioni, senza avanzare alcuna specifica domanda di accertamento e riconoscimento della qualifica superiore, senza neppure preoccuparsi di differenziare dette posizioni nonostante le previsioni statutarie (una, infatti, costituisce una possibile e non obbligata articolazione dell'organizzazione aziendale l'altra costituisce un organo aziendale sottoposto a regolamentazione anche normativa per come di seguito esposto), si è limitato a una lunga e generica elencazione di compiti (punto 3.2 e punto 3.4. del ricorso introduttivo), priva di qualsiasi concreto riferimento fattuale e temporale e persino sprovvista del collegamento alla documentazione prodotta (allegati A e B costituiti da numerosi fogli che in assenza di deduzioni e del benché minimo riferimento non possono assumere rilievo né tantomeno lasciati all'incondizionato e autonomo vaglio del giudice fuori da ogni contraddittorio), senza preoccuparsi di illustrare la declaratoria contrattuale di inquadramento Q1 e senza neppure produrre il CCNL applicato al rapporto, producendo esclusivamente il CCNL per i dirigenti delle imprese dei servizi di pubblica utilità. 5.7. Trattandosi di contratto di diritto comune non può essere conosciuto d'ufficio e la mancata produzione, accompagnata persino dall'omessa trascrizione negli atti della declaratoria contrattuale propria dell'inquadramento Q1 (omissione persistente anche in questo grado), impedisce, anche a voler prescindere dall'assenza di un'espressa domanda di riconoscimento, di procedere a quell'accertamento trifasico, correttamente richiamato dal Tribunale, per cui il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell'accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini. (ex plurimis tra le più recenti Cass. n. 30580/2019). 5.8. Escluso documentalmente che l'appellante fosse in possesso della qualifica dirigenziale perché a lui già riconosciuta dalle delibere sopra richiamate, quindi smentito documentalmente il presupposto su cui poggia il gravame, il riconoscimento del trattamento retributivo proprio del dirigente previsto dal CCNL invocato avrebbe imposto la richiesta di riconoscimento di inquadramento superiore con l'allegazione e prova che i compiti svolti non potevano esseri ricompresi nella qualifica di inquadramento, oneri affatto adempiuti. 5.9. Tale conclusione, cui perviene sostanzialmente anche il Tribunale, non è inficiata dalle argomentazioni del gravame, che, oltre a muoversi dall'errato presupposto già sopra più volte evidenziato, vorrebbe far discendere il possesso della qualifica dirigenziale dalle norme statutarie, ribadendo la superfluità dell'accertamento giudiziario, accertamento invece necessario tenuto conto che tale qualifica è contestata dalla datrice di lavoro. 5.10 E comunque la prospettazione non è condivisibile atteso che lo statuto di (...) per quanto attiene al ruolo di "responsabile per l'area farmaceutica" si limita a stabilire che "Il Consiglio di Amministrazione-ove necessario- sul documento nomina per l'Area Farmaceutica un responsabile in possesso dei requisiti richiesti dalla L. 1 ottobre 1951, n. 1084 delegandogli i poteri necessari per l'esercizio delle attività ad esso affidate. Il responsabile dell'Area Farmaceutica opera, per le attività di sua competenza, di concerto con il Direttore Generale e nell'ambito delle direttive del Consiglio di Amministrazione" (art. 12). Lo statuto, all'evidenza, non si occupa di indicare la qualifica di inquadramento del "responsabile", sicché, contrariamente a quanto prospettato nel gravame, la norma statutaria non attribuisce automaticamente la qualifica dirigenziale a chi ricopre tale posizione. 5.11 Sarebbe stato onere dell'appellante, come già sopra evidenziato, agire in giudizio allegando e dimostrando che i compiti propri del responsabile del servizio farmaceutico esulavano dal livello Q1 di inquadramento, onere che si imponeva con rigore poiché la categoria dei quadri, per dettato legislativo (L. n. 190 del 1985), è costituita dai prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell'attuazione degli obiettivi dell'impresa e nella specie il livello Q1, per come si legge nella già richiamata Delib. n. 3 del 2017, rappresentava il livello apicale non dirigenziale. 5.12 Analoghe considerazioni - con qualche ulteriore precisazione riferita alla peculiarità della posizione in esame- devono svolgersi con riguardo alla posizione di Direttore generale, affidata all'appellante solo "in via d'urgenza e ad interim fino alla nomina del nuovo Direttore Generale all'esito di una procedura concorsuale" (Delib. n. 10 del 2017) e cessato per dimissioni il 17.4.2019. 5.13 Nella specie viene in rilievo il ruolo di organo aziendale, sicché la pretesa avrebbe imposto puntuali e circostanziate allegazioni e non la semplice elencazione delle attività che sarebbero state svolte senza neppure un confronto con i poteri affidati dallo statuto a tale organo (art. 11), senza considerare la particolarità dello stesso e senza tenere conto che si trattava di un incarico "ad interim" rispetto al quale la (...) ha dedotto che sostanzialmente le scelte erano rimaste in capo al commissario straordinario. 5.14 Va evidenziato che il (...) nel periodo in cui ha ricoperto l'incarico in questione ha comunque mantenuto quello di "responsabile del servizio farmaceutico" sicché per rivendicare la qualifica dirigenziale in relazione alla ulteriore posizione di Direttore generale avrebbe dovuto allegare e dimostrare di avere svolto tutti i compiti previsti dallo statuto ovvero che i compiti svolti nella veste di Direttore Generale erano stati prevalenti rispetto a quelli propri dell'inquadramento di appartenenza, che, si ricorda, era di quadro Q1. 5.15 Tale onere non è stato assolto in contrasto con il consolidato principio di diritto per cui in caso di mansioni promiscue occorre indagare sulla prevalenza, dal punto di vista quantitativo e/o qualitativo dei compiti assunti come svolti rispetto a quelli riferibili al livello ed alla qualifica superiori né può pretendersi che sia il giudice a operare un tale confronto in assenza di alcuna deduzione della parte, sulla quale, va ricordato, grava l'onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuta ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni della qualifica rivendicata rispetto a quella di appartenenza, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto. 5.16 Infine non può non osservarsi che il direttore di aziende municipali di gestione di farmacie comunali è figura espressamente prevista e regolata dalla legge (art. 4 R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578) e che la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che "con riferimento alla nomina dei direttori di aziende municipali di gestione di farmacie comunali, deve escludersi che l'art. 4, secondo e terzo comma, del R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578, che per tale nomina prevede il pubblico concorso, sia rimasto abrogato dall'art. 13 st. lav. e che l'esercizio di fatto protratto per un certo tempo delle relative mansioni possa comportare ai sensi di tale ultima disposizione la promozione automatica alla qualifica di direttore" (Cass. n. 7439/2000). 5.17 La peculiarità della posizione in discussione avrebbe richiesto ben altre allegazioni e deduzioni, assenti nel ricorso introduttivo e nel gravame, incentrati unicamente sull'errato presupposto di essere già in possesso della qualifica dirigenziale. 5.18 Le esposte argomentazioni sono sufficienti a disattendere le censure mosse sino da pg 11 a pg 20, censure che, a parte un non chiaro richiamo a disposizioni estranee alla materia del contendere (artt. 113 e 114 D.Lgs. n. 269 del 2000), addebitano alla gravata sentenza una confusione argomentativa affatto riscontrabile laddove questa ha evidenziato l'assenza di una domanda di accertamento giudiziale della qualifica superiore e comunque la carenza di allegazioni a supporto della stessa, allegazioni che non possono sostanziarsi, come vorrebbe invece l'appellante, nella mera elencazione di compiti senza alcuna deduzione rispetto alla pretesa avanzata. 5.19 Il gravame finisce anche per equivocare il tenore della decisione laddove questa non ha affatto respinto l'istanza di prova testimoniale "solo per omessa capitolazione del raffronto tra quelle (le mansioni n.d.e.) svolte e quelle ritenute rivendicate", ma la mancata ammissione è stata determinata dal difetto di allegazione in ordine alla declaratoria contrattuale con riferimento alla qualifica posseduta cosicchè la mera elencazione delle attività svolte dal ricorrente appare manchevole della ulteriore fase del raffronto con le stesse ai fini della sussunzione nel livello rivendicato, sicché per le carenze allegatorie sopra enucleate, tale prova, quand'anche raggiungesse un risultato positivo, sarebbe incompleta, in quanto carente della fase di raffronto di cui si è detto ai fini del riconoscimento della invocata superiore sussunzione. 5.20 L'evidenziata carenza resta confermata anche in questo grado non avendo il gravame fornito elementi per superarla, come già sopra evidenziato, sicché va confermato anche il rigetto della prova testimoniale. 5.21 Il Tribunale ha anche proseguito affermando che quindi le mansioni, nello scarno contenuto che rimane esente da vizi di genericità dell'istanza istruttoria, che si affermano eseguite in ricorso non appaiono comunque congruenti rispetto alla superiore qualifica invocata, per cui la loro dimostrazione storica risulta irrilevante, procedendo così a una valutazione di non rispondenza dei compiti elencati al profilo superiore senza che tale valutazione sia stata oggetto di puntuale e specifica censura, essendosi limitato il gravame ad affermare di non essere "in grado di verificare la correttezza del ragionamento", insistendo nell'affermare che la qualifica dirigenziale sarebbe stata "erroneamente definita invocata" e ciò sul presupposto, di cui più volte è stata sopra evidenziata l'erroneità, di essere già in possesso di tale qualifica. 6. L'errata impostazione e le lacune sopra evidenziate assumono maggior rilievo considerata la conciliazione giudiziale intervenuta tra le parti e oggetto del settimo motivo di gravame. 6.1. Per come accertato dal Tribunale, e per come risulta documentalmente provato, il (...) ha in precedenza agito in giudizio nel corso del 2015 rivendicando l'inquadramento superiore nella categoria (...) dal 2000 e nel corso di detto giudizio le parti hanno raggiunto un accordo proprio in ragione delle intervenute Delib. n. 3 del 3 aprile 2017 e Delib. n. 10 del 3 aprile 2017 già sopra esaminate. 6.2. Più chiaramente, per come emerge dal verbale di conciliazione giudiziaria dell'11.5.2017 prodotto in atti, al (...) in sede transattiva è stato riconosciuto l'inquadramento in Q1 a decorrere dal 3.4.2017 in ragione dell'affidamento allo stesso dell'incarico di "responsabile per l'area farmaceutica" e della nomina ad interim di direttore generale fino alla nomina di un nuovo direttore all'esito della procedura concorsuale. 6.3. Proprio a fronte del riconosciuto livello Q1, connesso all'attribuito incarico, il (...) ha espresso le rinunce elencate nel verbale, tra le quali significativamente quella "di nulla potere eccepire in qualsiasi altra sede giudiziale e non" in ordine all'incarico e all'inquadramento attribuiti, all'epoca "già in corso di svolgimento", come precisato nello stesso verbale, ritenendo sia l'incarico che l'inquadramento "perfettamente rispondenti e conformi al proprio profilo lavorativo, alle proprie competenze e alla propria professionalità" (cfr in particolare punti 1 e 2). 6.4. In sostanza il (...), con l'accordo in esame, ha accettato l'inquadramento in Q1, ritenendolo così rispondente alla posizione affidategli di responsabile dell'area farmaceutica, salvo poi agire in giudizio, in evidente contrasto con la richiamata conciliazione, assumendo di essere dirigente e di avere diritto al relativo trattamento economico. 6.5. Il ricorso introduttivo non contiene alcun riferimento all'accordo transattivo in esame né alcuna contestazione, sicché questo non può non assumere rilievo nella presente controversia, laddove è lo stesso appellante che ha accettato l'inquadramento contrattuale nella categoria dei quadri e le mansioni connesse, con impossibilità di poterli rimettere in discussione, così come sostanzialmente rilevato dal Tribunale. 6.6. L'accordo in esame, per come si evince dal contenuto dello stesso e per come eccepito da (...), è stato stipulato quando (11.5.2017) l'inquadramento e le mansioni erano state già assegnate e il corrispondente trattamento economico già in godimento (dal 3.4.2017 punto 6) tant'è che, come evidenziato, nel verbale se ne dà espressamente atto (punto 1) a significare che la conciliazione andava a chiudere non solo l'oggetto della lite instaurata dal (...) nel 2015 volta proprio ad ottenere l'inquadramento riconosciuto in via transattiva, ma anche ad evitare future liti sulla correttezza di detto inquadramento attesi i contrasti tra le parti su tale profilo del rapporto (l'accordo per prevenire liti future è espressamente contemplato dall'art. 1965 c.c.). 6.7. Ne consegue che, diversamente da quanto ritenuto nel gravame, la conciliazione preclude all'appellante di rivendicare un diverso inquadramento, come invece fatto in questa sede, soprattutto considerato che nulla è stato dedotto e contestato con riguardo a detto verbale transattivo (sicché nulla può essere rilevato d'ufficio) né sono state dedotte circostanze diverse e sopravvenute, essendosi limitata la parte ad assumere che con le più volte citate delibere, oggetto dell'accordo conciliativo, gli sarebbe stato conferito "l'incarico dirigenziale", circostanza affatto supportata da dette delibere. 6.8. Per quanto esposto l'azionata pretesa risulta infondata anche per tale autonoma ragione e il motivo volto a contestare il rilievo e l'interpretazione del Tribunale alla conciliazione giudiziale deve essere respinto. 7. La conferma del rigetto della pretesa dell'appellante di vedersi riconosciuta la qualifica di dirigente assorbe le altre questioni sollevate nei motivi già esaminati e nei motivi ottavo e decimo, volti a rivendicare il trattamento economico previsto dal CCNL dirigenti imprese pubblica utilità, fondati, si ripete, sull'erroneo presupposto di essere in possesso della qualifica di dirigente laddove l'appellata in nessun documento ha attribuito o comunque inteso attribuire tale qualifica. 7.1. Ne consegue che non può essere lamentata sic et simpliciter la violazione della disciplina collettiva. 7.2. In ordine alle pretese economiche va, altresì, osservato che per lo svolgimento del ruolo di Direttore generale l'atto di conferimento prevedeva il riconoscimento di "un'indennità aggiuntiva temporanea", "non eccedente la metà di quella attribuita quale superminimo al Direttore Generale cessato dall'incarico". 7.3. L'appellante non ha contestato di avere percepito detta indennità, che all'evidenza andava a compensare l'ulteriore attività temporaneamente richiesta da detto ruolo, né la congruità della stessa è stata messa in discussione, essendosi limitato il (...) ad assumere di avere invece diritto al trattamento da dirigente perché in detta nomina sarebbe insita detta qualifica. 7.4. Si è già sopra osservato come tale prospettazione non trovi conferma in atti, così come si è osservato che l'appellante si è limitato alla mera generica elencazione di compiti senza neppure confrontarli con le previsioni statutarie distinguendo adeguatamente quanto riconducibile all'uno o all'altro incarico (non essendo all'evidenza sufficiente la mera premessa "quale direttore dell'area farmaceutica ha svolto?" quale direttore generale ha svolto"), senza allegare prima e dimostrare dopo di avere concretamente assolto integralmente e in piena autonomia tutti i compiti propri del direttore generale, attese anche le contestazioni di (...), e senza avanzare alcuna diversa pretesa se non, si ribadisce, quella di essere considerato dirigente perché già in possesso di tale qualifica (così da precludere ogni altra pronuncia diversa da quella conseguente alla causa petendi e al petitum azionati). 8. Con il nono motivo di gravame l'appellante censura la gravata sentenza nella parte in cui ha respinto anche la domanda risarcitoria fondata sulla denunciata privazione e sul lamentato svuotamento del proprio ruolo di direttore dell'area farmaceutica. 8.1. Al riguardo non può non evidenziarsi l'assoluta genericità della domanda, la non corretta impostazione della stessa e, così come rilevato dal Tribunale, sebbene in una diversa prospettiva, l'assenza di prova del danno. 8.2. Ed invero il ricorso introduttivo sul punto muove dall'errato presupposto della "violazione della delibera di assegnazione della qualifica dirigenziale", delibera che, per come più volte evidenziato, non sussiste. 8.3. Ciò che però assume decisivo rilievo è l'assenza di allegazioni e deduzioni in punto di danno, essendosi limitato l'appellante a elencare i compiti dai quali sarebbe stato a suo dire esautorato e ad affermare di avere "diritto al risarcimento dei danni subiti a causa delle condotte illecite e contrarie a buona fede perpetrate in suo danno, a far tempo dal mese di aprile 2019, in quella misura che il Tribunale riterrà equo, anche in rapporto alla retribuzione prevista per la qualifica attribuita". 8.4. Per consolidata giurisprudenza di legittimità il danno derivante da demansionamento e dequalificazione professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma può essere provato dal lavoratore, ai sensi dell'art. 2729 c.c., attraverso l'allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, potendo a tal fine essere valutati la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione. 8.5. Nel caso di specie, però, manca la benché minima allegazione, avendo l'appellato trascurato di offrire qualsiasi elemento a supporto dell'azionata pretesa e non potendo tale lacuna essere colmata dall'intervento d'ufficio pena la violazione del principio della domanda e del contraddittorio. 8.6. Tra l'altro nella specie il periodo in discussione è brevissimo, intercorrendo tra la data dell'asserita privazione, 17 maggio 2019, e la data di deposito del ricorso (1.10.2019), non potendosi all'evidenza estendere oltre la domanda, sicché la prova dell'effettiva sussistenza di pregiudizi risarcibili, e prima ancora l'allegazione, si imponeva con maggior rigore. 8.7. Quanto esposto è sufficiente a confermare il rigetto della pretesa in esame. 9. Le spese del grado seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo. In considerazione del tipo di statuizione emessa, deve darsi atto che sussistono in capo all'appellante le condizioni oggettive richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta l'appello; condanna l'appellante a rifondere all'appellata le spese di lite del grado, liquidate in Euro 3.473,00 oltre rimborso al 15%, iva e cpa; in considerazione del tipo di statuizione emessa, si dà atto che sussistono le condizioni oggettive in capo all'appellante richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. Così deciso in Roma il 2 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Brescia, Sezione Lavoro, composta dai Sigg.: Dott. Antonio MATANO - Presidente rel. Dott. Giuseppina FINAZZI - Consigliere Dott. Silvia MOSSI - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa in grado d'appello con ricorso depositato in Cancelleria il 09/09/2022 iscritta al n. 200/2022 R.G. Sezione Lavoro e posta in discussione all'udienza collegiale del 23/02/2023 da (...), rappresentata e difesa dall'avv. Va.Ma. del foro di Bergamo domiciliatario giusta delega in atti RICORRENTE APPELLANTE contro (...) SRL in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Be. del foro di Forlì, domiciliatario giusta delega in atti. RESISTENTE APPELLATO In punto: appello a sentenza n. 448/2022 del Tribunale di Bergamo. FATTO E DIRITTO Con ricorso al Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, (...), dipendente a tempo parziale di (...) s.r.l., deducendo che la datrice di lavoro aveva illegittimamente variato l'orario di lavoro e la collocazione del turno di lavoro, chiedeva l'accertamento del proprio diritto a svolgere la prestazione lavorativa negli orari precedentemente osservati, come indicati nella lettera del 28.11.2005, e la condanna della società al pagamento della somma di Euro 589,12 a titolo di lavoro supplementare e al risarcimento del danno liquidato in via equitativa nella misura di Euro 5.000,00. La ricorrente, che osservava turni di lavoro non superiori a 6 ore giornaliere, lamentava che la società aveva introdotto una pausa non retribuita di 15 minuti e che la modifica dell'orario era illegittima perché non concordata e le procurava diversi problemi familiari, con ripercussioni negative sulla vita quotidiana. Con sentenza n. 448/22 il Tribunale respingeva il ricorso osservando che la pausa era stata introdotta in applicazione del regolamento aziendale che la società convenuta, cessionaria del ramo d'azienda presso cui era in forza la ricorrente, applicava a tutti i propri dipendenti, sia a tempo pieno che a tempo parziale; che la legge (art. 8 D.Lgs. n. 66 del 2003), seppure prevede l'obbligatorietà della pausa solo quando l'orario di lavoro giornaliero ecceda le 6 ore, tuttavia non esclude, né tanto meno vieta, la previsione di una pausa a prescindere dal limite delle 6 ore, e che l'introduzione di una pausa rappresenta un elemento migliorativo della vita del lavoratore; che la previsione della pausa non costituiva una variazione dell'orario di lavoro, posto che l'orario di lavoro effettivo era rimasto invariato; che la pausa non era connessa o collegata alla prestazione lavorativa ed era invece lasciata alla libera disponibilità dei lavoratori, cosicché era infondata la domanda di pagamento delle differenze retributive. La lavoratrice proponeva appello e, deducendone l'erroneità, chiedeva la riforma della sentenza. La società si costituiva chiedendo il rigetto dell'appello. All'esito della discussione, la causa era decisa come da dispositivo letto in udienza. Seguendo un esame logico-giuridico dei motivi, l'appellante (motivi 1 e 4) sostiene che il Tribunale non ha considerato che con l'introduzione della pausa il datore di lavoro ha violato l'art. 5, co. 2, D.Lgs. n. 81 del 2015, in forza del quale la collocazione temporale dell'orario concordata nel contratto non è modificabile unilateralmente dal datore di lavoro; ne consegue il diritto della lavoratrice a continuare svolgere la prestazione lavorativa secondo gli orari indicati nella lettera del 28.11.2005. L'appellante afferma che la sentenza è errata anche nella parte in cui ha affermato che l'orario di lavoro non è cambiato: infatti, con l'introduzione unilaterale della pausa il datore di lavoro ha modificato l'articolazione dell'orario di lavoro, allungando il "tempo turno complessivo" e sostiene che all'interno della scansione orarie concordata il datore di lavoro non può mutarne l'articolazione. Aggiunge (motivo 3) che, diversamente da quanto affermato dal primo giudice, la pausa di lavoro non costituisce una condizione di miglior favore per il lavoratore, come dimostrato dal fatto che l'introduzione della pausa ha arrecato alla lavoratrice un peggioramento della qualità della vita, attesa l'impossibilità di coniugare, a causa della modifica dell'orario, le esigenze di vita familiare con i ritmi di lavoro. Da ultimo (motivo 2), sostiene che non è vero che la pausa abbaia riguardato l'intero personale, essendo emerso che almeno una lavoratrice ((...)) non osservava la pausa. L'appello è fondato. Il supermercato presso cui è in forza la ricorrente è gestito a decorrere dal 10.2.2020 da (...) s.r.l. a seguito di cessione di ramo d'azienda intercorsa tra il gruppo (...) e il gruppo (...), che ha comportato il trasferimento di tutti i dipendenti addetti al punto vendita. La pausa in questione è prevista dal regolamento aziendale vigente presso ogni punto vendita (...) e tale regolamento è stato applicato a tutti rapporti di lavoro oggetto della cessione di ramo d'azienda. Per quanto di interesse, il regolamento prevede che "la pausa non costituisce lavoro effettivo e deve essere pertanto recuperata altermine del turno giornaliero di lavoro; la pausa è obbligatoria e sarà prevista di una durata di 15 minuti continuativi e non frazionati, per tutto il personale, indipendentemente dall'orario di lavoro contrattualmente previsto". Tale disposizione introduce una pausa diversa da quella prevista dalla legge, la quale prevede la pausa obbligatoria solo in caso di prestazione lavorativa superiore alle 6 ore giornaliere. Infatti, l'art. 8 D.Lgs. n. 66 del 2003 prevede: "1. Qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo. 2. Nelle ipotesi di cui al comma 1, in difetto di disciplina collettiva che preveda un intervallo a qualsivoglia titolo attribuito, al lavoratore deve essere concessa una pausa, anche sul posto di lavoro, tra l'inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a dieci minuti e la cui collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo". E' vero, come osservato dal primo giudice, che l'art. 8 non vieta la previsione di una pausa anche quando l'orario giornaliero non ecceda il limite legale delle 6 ore, ma tale affermazione deve essere vagliata alla luce dei limiti allo jus variandi del datore d lavoro propri della disciplina del contratto di lavoro a tempo parziale. Il rapporto di lavoro di (...) era a tempo parziale e al momento del trasferimento del ramo d'azienda l'orario di lavoro della lavoratrice era disciplinato dalla lettera 28.11.2005 con la quale l'allora datore di lavoro e la lavoratrice avevano concordato una prestazione di lavoro effettivo pari a 22.48 ore settimanali. In particolare, era prevista una prestazione giornaliera di 3.48 ore per 5 giorni, dal lunedì al sabato, articolata su 4 turni settimanali (il primo turno copriva le ultime ore serali di apertura del punto vendita: dalle 17.12/18.12 alle 21.00/22.00; il secondo turno le ore del tardo pomeriggio: dalle 15.12 alle 19.00; il terzo turno le ore del primo pomeriggio: dalle 13.12 alle 17.00; il quarto turno le ore della mattinata: dalle 7.12 alle 11.00). Ora, è noto che quando il contratto è a tempo parziale l'orario di lavoro, come concordato dalle parti al momento dell'assunzione (v. art. 5, co. 2, D.Lgs. n. 81 del 2015, norma sostanzialmente uguale all'art. 2, co. 2, D.Lgs. n. 61 del 2000), non è modificabile dal datore di lavoro. La giurisprudenza della Corte di Cassazione è consolidata nell'affermare che nei contratti di lavoro part time, la programmabilità del tempo libero (eventualmente in funzione dello svolgimento di un'ulteriore attività lavorativa) assume carattere essenziale e giustifica l'immodificabilità dell'orario da parte datoriale. Recentemente, in tal senso (v. Cass. 31349/21, in motivazione), la S.C. ha ribadito che nei contratti part-time "la programmabilità del tempo libero assume carattere essenziale che giustifica la immodificabilità dell'orario da parte datoriale per garantire la esplicazione di ulteriore attivitàlavorativa o un diverso impiego del tempo che la scelta del particolare rapporto evidenzia come determinante per l'equilibrio contrattuale". Ciò premesso, occorre precisare che l'espressione "orario di lavoro" indica sia la quantità della prestazione lavorativa dovuta, che la distribuzione di tale prestazione in un determinato arco temporale, vale a dire, la collocazione oraria della prestazione nell'arco temporale della giornata lavorativa, ossia il momento (il "da quandoa quando") in cui la prestazione deve essere svolta. Se così è, ne consegue che costituisce modifica dell'orario di lavoro anche la modifica della sola collocazione oraria della prestazione. Nella specie, la lavoratrice aveva diritto alla collocazione oraria prevista nella lettera 28.11.2005 (v. sopra). Orbene, con l'introduzione unilaterale della pausa obbligatoria, la società datrice di lavoro ha apportato una modifica, sia pur modesta, non alla durata dell'orario inteso come quantum della prestazione giornaliera (rimasta di 3.48 ore), bensì alla collocazione oraria della prestazione, in quanto, a causa della necessità di rispettare la pausa, il da quando a quando" rendere la prestazione della prestazione è stato modificato, atteso che l'uscita dal punto vendita ne risulta posticipata. E' vero che l'introduzione della pausa è, in astratto, una misura di favore per tutti i lavoratori, anche per quelli a tempo parziale, in quanto la pausa, in sé e per sé considerata, è un'interruzione del lavoro destinata al recupero delle energie psico-fisiche (si pensi a lavori gravosi o caratterizzati da modalità ripetitive), ma non può escludersi che, in concreto, per il lavoratore a tempo parziale la pausa possa risultare pregiudizievole, perché, allungando la permanenza del lavoratore sul posto di lavoro, può incidere negativamente sulla programmazione del tempo libero, la quale, secondo la S.C., costituisce la caratteristica essenziale del contratto part-time che giustifica l'immodificabilità dell'orario di lavoro. Alla luce delle considerazioni sino a qui svolte, deve affermarsi che la modifica della collocazione oraria introdotta con la pausa doveva essere concordata tra le parti (così, come era del resto era avvenuto con la lettera 28.11.2005, con la quale le parti modificavano l'orario precedente fissato nel 1999). Occorre a questo punto chiarire che nella specie non si trattava dell'obbligo di pattuire clausole elastiche (v. art. 6 D.Lgs. n. 81 del 2015), che servono per consentire al datore di lavoro temporanee ed eventuali modifiche della collocazione oraria e della durata, ma di modificare, una volta per tutte, la collocazione oraria, tenendo conto della durata della pausa. Vi era cioè la necessità di concordare una variazione dell'orario, tenendo peraltro della tutela offerta alla lavoratrice dall'art. 8, ult. co., D.Lgs. n. 81 del 2015, secondo cui "il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell'orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento". E' opportuno a questo punto ribadire che la modifica di cui è causa non costituisce però una modifica del quantum della prestazione, perché la durata della prestazione effettiva (3.48 ore giornaliere) non è mutata, con la conseguenza che non sussiste alcuna prestazione di lavoro supplementare. Né la pausa in questione può dirsi una di quelle interruzioni durante le quali i lavoratori devono comunque stare a disposizione del datore (prodromiche o accessorie alla prestazione), soggetti al potere di eterodirezione di questi (ed invero, nulla in proposito la lavoratrice ha mai dedotto). Si trattava, infatti, di una pausa di "non lavoro" destinata unicamente a recuperare le energie psico-fisiche e, pertanto, deve escludersi che il "tempo pausa" sia equiparabile a tempo di lavoro supplementare. Peraltro, va osservato che all'odierna udienza la difesa della lavoratrice ha rinunciato alla domanda di pagamento delle differenze retributive, avendo espressamente dichiarato di "aver rinunciato alla richiesta di pagamento dei tempi pausa imposti dal lavoratore", il che esime la Corte dal pronunciare il rigetto della stessa. Nei termini sino a qui descritti, la domanda volta ad accertare il diritto a continuare ad osservare l'orario indicato nella lettera 28.11.2005 è quindi fondata (anche a prescindere dalla questione relativa ad una lavoratrice che non avrebbe osservato la pausa, circostanza peraltro solo temporanea come chiarito dalla società). Resta la domanda di risarcimento dei danni, che la lavoratrice ha chiesto liquidarsi in via equitativa. La domanda è infondata, non sussistendo alcun pregiudizio risarcibile. Invero, tenuto conto che il ritardo nel ritirare al bambino sarebbe, eventualmente, al massimo di qualche minuto sull'orario di uscita dalla scuola e che tale inconveniente si verificherebbe solo per 1 su turno al mese su 4, deve escludersi l'esistenza di un effettivo pregiudizio alla vita familiare, trattandosi di una circostanza cui può facilmente ovviarsi (ad es. chiedendo l'intervento della scuola per un breve custodia o di un altro genitore), secondo quanto normalmente avviene in situazioni simili. La estrema modestia della modifica dell'orario non è sufficiente neppure per configurare apprezzabili difficoltà per l'organizzazione del pranzo e per l'assistenza ai compiti, pur in presenza di un disturbo dell'apprendimento del bambino. E anche la condizione di disabilità della figlia maggiore è situazione insufficiente a giustificare un risarcimento del danno, tenuto conto che nessuna circostanza concreta è stata dedotta per chiarire le maggiori difficoltà. In definitiva, non vi sono elementi per configurare un reale, ancorché minimo, peggioramento della qualità della vita. In conclusione, la sentenza va riformata secondo quanto specificato in dispositivo. La fondatezza solo parziale del ricorso proposto dalla lavoratrice consente di compensare per metà le spese di lite, condannando la società appellata alla rifusione della metà residua, liquidata come in dispositivo. P.Q.M. in riforma della sentenza n. 448/22 del Tribunale di Bergamo, dichiara il diritto di (...) a svolgere la prestazione lavorativa secondo l'orario specificato nella lettera 28.11.2005; respinge la domanda di risarcimento danni; dichiara compensate per metà le spese di lite e condanna la società appellata alla rifusione della metà residua, liquidata in Euro 2.500 per il primo grado e in Euro 2.000 per il secondo grado, oltre accessori come per legge. Così deciso in Brescia il 23 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE LAVORO nelle persone dei seguenti Magistrati: Dott.ssa Susanna MANTOVANI - Presidente rel. Dott.ssa Maria Rosaria C. - Consigliere Dott.ssa Laura BERTOLI - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 1065/22, est. Dott. Nicola Di Leo, discussa all'udienza collegiale del 22/2/23 e promossa DA (...) (c.f. (...) ), (...) (c.f. (...)), (...) (c.f. (...) ), (...) (c.f. (...) ) e (...) (c.f. (...) ), tutti rappresentati e difesi, per delega in calce al ricorso ex art. 414 c.p.c., dagli Avv.ti La.Si. e Gi.Va. di Milano, C.so di Porta Vittoria n. 32 presso i quali eleggono domicilio APPELLANTI CONTRO (...) S.p.A., alternativamente denominata (...) S.p.A. (c.f. e P.Iva (...)), in persona del Dott. (...), in virtù dei poteri conferiti con atto del (...) Rep. (...), Racc. (...), rappresentata e difesa per delega in calce dagli Avv.ti prof. Ma.Ma. e Do.De., elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv.to An.Qu. sito in Milano, Largo (...) APPELLATA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, con la sentenza n. 1065/22 rigettava il ricorso, compensando le spese di lite, proposto da (...) e da altri otto litisconsorti, tutti dipendenti di (...) s.p.a. con contratto full time o part time, dalle date e con gli inquadramenti rispettivamente indicati, quali operatori telefonici addetti al servizio 119 nel reparto (...), ricorso diretto ad ottenere, previa declaratoria di parziale nullità e/o inefficacia del paragrafo 4 dell'accordo aziendale stipulato il 27/3/13 tra la datrice di lavoro e CGIL, CISL e UIL, in forza del quale con decorrenza dall'1/7/13 l'attestazione di inizio della prestazione non avviene più attraverso "la strisciatura del badge personale di servizio negli appositi marcatempo situati al piano terra all'ingresso dell'edificio aziendale", bensì attraverso "la registrazione on line dei medesimi sui sistemi informatici aziendali, posti presso le proprie postazioni lavorative" - il pagamento delle somme quantificate per ciascuno di essi a titolo di differenze retributive per il lasso temporale intercorrente tra l'ingresso in azienda e l'inserimento delle credenziali di accesso nel pc da considerare quale effettivo tempo lavorato. Il giudice a quo osservava innanzi tutto (A) come nell'accordo impugnato (doc. 1 resistente) fosse previsto (punti 1 e 2) che la convenuta stava provvedendo all'accorpamento di diverse sedi, con conseguente esubero di personale attesa l'esigenza di riduzione dei costi totali, attraverso vari interventi, tra cui (punto 4) la nuova disciplina dell'orario di lavoro per il (...) finalizzata a rimodulare le modalità della prestazione degli addetti al reparto e che era altresì specificato che "il presente accordo costituisce un corpo unico ed inscindibile con gli accordi sottoscritti in pari data". Ciò premesso, riteneva (B) infondata la pretesa azionata, "in virtù del comportamento concludente dei ricorrenti che, non prestando un esplicito dissenso per diversi anni, dal 1/7/13 al deposito del ricorso, nei confronti dell'insieme delle pattuizioni suddette (ossia dei negozi "inscindibili" del 27/3/13) e, in particolare, specificatamente, neppure nei confronti delle clausole relative alle previsioni sull'orario di lavoro menzionate nel negozio in questione, hanno aderito, per acquiescenza, agli stessi. Infatti, giova rammentare come la Suprema Corte abbia precisato che "i contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell'azienda, anche se non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l'unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo a una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l'esplicito dissenso e potrebbero addirittura essere vincolati da un accordo sindacale separato" (Cass. n. 26509/2020). In questo senso, si deve osservare come le pattuizioni del 27/3/13, in assenza di dissenso esplicito dei lavoratori non iscritti ai sindacati stipulanti, siano venute a regolare pienamente il loro rapporto di lavoro. Viene, cioè, essere rilevante come, per oltre sette anni, i ricorrenti non abbiano espresso alcun dissenso (non dimostrato in alcun modo) nei confronti dell'accordo aziendale in questione. Infatti, pur avendo contestato (con dei volantini) l'accordo in parola l'organizzazione a cui aderiscono (doc. 15 ric.), non risulta che, poi, i dipendenti in questione abbiano esternato alcuna adesione al comunicato del proprio sindacato (o a iniziative dello stesso volte a rifiutare i patti in questione, come ad esempio potrebbe essere uno sciopero), ma emerge che, al contrario, per molti anni abbiano beneficiato, non rifiutandola, della piena applicazione di tutta la contrattualistica aziendale, approfittando dei suoi effetti anche favorevoli, incominciando dalla riduzione degli esuberi affrontata con gli stessi dalle parti collettive con gli strumenti delineati. In più, risulta pacifico che tali accordi hanno ricevuto continuativa attuazione: ad esempio, è stata applicata anche alla parte attorea, senza riserve, la disciplina sull'orario di lavoro settimanale per 38 ore e 10 minuti (in luogo di 40 ore di cui al C.C.N.L.). Pertanto, non avendo i lavoratori in questione manifestato alcun dissenso espresso e avendo anzi il loro comportamento concludente mostrato una acquiescenza circa il recepimento degli accordi aziendali del 23 marzo del 2013, che, come anticipato, si debbono considerare inscindibili nelle loro previsioni, sulla base dei principi affermati dalla Suprema Corte, è possibile, allora, affermare che pure il contratto collettivo aziendale impugnato trovi applicazione anche nei confronti dei medesimi". Il Tribunale di Milano ricordava, ad abundantiam (C), come, ai sensi dell'art.1, comma 1, del D.Lgs. n. 66 del 2003, fosse orario di lavoro "qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni"; che l'espressione "lavoro effettivo" doveva essere intesa "come sinonimo di prestazione lavorativa, comprendendovi anche i periodi di mera attesa o quelli nei quali non sia richiesta al lavoratore una attività assorbente, bensì soltanto un tenersi costantemente a disposizione del datore di lavoro; restano pertanto esclusi dal "lavoro effettivo" soltanto gli intervalli di tempo dei quali il lavoratore abbia la piena disponibilità" (così Cass. n. 15734/03); e come detta interpretazione fosse conforme alla Direttiva Comunitaria 93/104/CE del Consiglio Europeo del 23 novembre 1993 che, all'art. 2, n. 1 e 2, ha stabilito che si intende per "orario di lavoro" "qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali" e per "periodo di riposo" "qualsiasi periodo che non rientra nell'orario di lavoro". Affermava, pertanto, che l'assunto attoreo (illegittima esclusione ai fini della retribuzione del tempo necessario per giungere dai tornelli d'ingresso fino alla postazione davanti al computer ed all'accesso con le credenziali, poiché, quando in cui vi è il passaggio ai tornelli, si realizzerebbe una messa a disposizione delle energie lavorative un assoggettamento del dipendente al potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro) non era supportato da adeguata allegazione: "I dipendenti, infatti, si sono limitati ad affermare, genericamente, di essere sottoposti al potere direttivo del datore di lavoro sin dal momento in cui timbrano all'ingresso della struttura in cui svolgono la propria prestazione, senza specificare quale sarebbe la disciplina che vincolerebbe il loro tempo dal passaggio dei tornelli fino alla propria postazione. In particolare, non è stato allegato in alcun modo un divieto per gli stessi, durante il tragitto, di effettuare attività proprie e personali, come, ad esempio, parlare al telefono per fini privati, consultare Internet o colloquiare per ragioni diverse da quelle lavorative. Ugualmente, non è stato dedotto alcun tipo di potere direttivo che venga a conformare la loro prestazione in modo da renderla utile e funzionale per la produzione aziendale, in una modalità che ecceda il normale tragitto che qualunque dipendente deve effettuare per raggiungere il luogo dove effettivamente venga poi assoggettato alle direttive del datore di lavoro, cioè la propria postazione". (...), (...), (...), (...) e (...) denunciano l'erroneità della sentenza n. 1065/22 del Tribunale di Milano, affidandosi a due motivi. Con il primo ordine di censure (pag. 20 e seg.) impugnano per violazione di legge la ratio decidendi fondata sulla asserita inscindibilità degli accordi del 2013 e sulla asserita intervenuta acquiescenza. Rilevano di avere sottolineato (cfr. ricorso 414 c.p.c.) come la c.d. "timbratura in postazione" "vada ad incidere su diritti individuali indisponibili del lavoratori, poiché determina un ampliamento dell'orario di lavoro a parità di retribuzione, aggiungendo all'orario fissato dal ccnl una porzione iniziale e una finale (nonché una intermedia, all'inizio e alla fine nella pausa pranzo) non retribuita, in violazione, oltre che dell'art. 1 comma 2 lett. A D.Lgs. n. 66 del 2003, anche dell'art. 36 Cost.."; e come il sindacato S. cui sono iscritti non avesse sottoscritto detto accordo e si fosse sempre opposto alla sua applicazione, in particolare alla clausola in questione: "Il Giudice di I grado avrebbe dovuto in primo luogo e innanzitutto domandarsi e verificare se la clausola in questione, come dedotto, fosse contraria a norme imperative (art. 1 comma 2 lett. A D.Lgs. n. 66 del 2003, anche dell'art. 36 Cost.) e dunque nulla. Quindi: a) in caso affermativo non avrebbe dovuto nemmeno porsi un problema di "acquiescenza" e/o "esplicito dissenso" - in quanto una clausola "nulla" può essere impugnata in ogni momento e può essere rilevata anche d'ufficio dal Giudice - e avrebbe dovuto affrontare la questione della "inscindibilità" solo ai fini dell'estensione o meno della nullità all'intero accordo e/o all'insieme degli accordi, non potendo per contro inferirne, come ha fatto, il rigetto del ricorso; b) solo in caso negativo, avrebbe potuto porsi il problema dell'applicabilità della stessa e degli accordi agli attuali appellanti e dunque esaminare la questione della asserita inscindibilità e acquiescenza per comportamento concludente e asserito mancato esplicito dissenso all'insieme degli accordi." Ciò chiarito, ribadiscono la tesi articolata in primo grado ovvero che "la clausola impugnata è nulla perché in contrasto con il D.Lgs. n. 66 del 2003 che, nel dare attuazione alle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE (che ai sensi dell'art. 15 della prima Direttiva possono essere derogate dal legislatore nazionale e dalla contrattazione collettiva solo in senso più favorevole al lavoratore), ha dettato disposizioni dirette a regolamentare, nel rispetto dell'autonomia negoziale collettiva, i profili di disciplina del rapporto di lavoro connessi all'organizzazione dell'orario di lavoro, stabilendo all'art. 1, comma II, che deve intendersi per "(?) a) "orario di lavoro": qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni (...) b) "periodo di riposo": qualsiasi periodo che non rientra nell'orario di lavoro (...)" Richiamano giurisprudenza di merito (CA Ancona n. 13/22; CA MI n. 742/22; CA MI n. 782/22) e di legittimità (per tutte Cass. n. 27920/21) "che hanno dichiarato la nullità parziale dell'accordo in relazione alla clausola in questione per violazione di norme inderogabili di legge sull'orario di lavoro e sulla retribuzione (alleg.ti 29/34) e condannato (...) al pagamento delle differenze retributive per il lavoro maturato nel tempo intercorrente dalla strisciatura del badge all'ingresso della sede di lavoro all'accesso alla propria postazione di lavoro con inserimento della password e viceversa per l'uscita dal lavoro". Rilevano che "gli spostamenti dei ricorrenti dall'ingresso dell'edificio (ove vi sono i tornelli) per raggiungere la postazione di lavoro all'interno della sede aziendale e le operazioni propedeutiche di accensione terminale, inserimento password e numero matricola, clic su inizio e fine turno, inizio e fine pausa pranzo, spegnimento del computer, rientrano nell' "orario di lavoro", così come definito dalla normativa sopra richiamata e secondo l'interpretazione data dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria. Gli spostamenti e le operazioni sopra indicate sono infatti funzionali alla prestazione lavorativa che i ricorrenti devono svolgere: sono attività necessarie e imposte dal tipo di prestazione richiesta e, dunque, soggette all'eterodirezione del datore di lavoro con riguardo al tempo e al luogo di esecuzione." Sostengono altresì la erroneità della decisione "in considerazione dell'asserita inscindibilità della clausola rispetto all'insieme degli accordi del 2003 e dell'asserito mancato esplicito dissenso degli attuali appellanti a tutti gli accordi del 2013 sino al deposito del ricorso, circostanze che peraltro sono state contestate e si contestano integralmente. Infatti, la nullità per contrarietà a norma imperativa di un accordo sindacale o di una singola clausola può essere fatta valere in ogni momento dal lavoratore e il Giudice non può esimersi dal dichiararne la nullità (art. 1421 c.c.). L'eventuale rinuncia non potrebbe essere implicita e sarebbe nulla ex art. 2113 c.c.. L'inscindibilità può comportare l'estensione della nullità all'intero accordo, ma giammai può comportare il rigetto del ricorso o la sua inammissibilità (art. 1419 c.c.) ... T. non ha provato l'inscindibilità della clausola impugnata, ossia il fatto storico che le parti non avrebbero concluso il contratto sindacale e le altre intese del 2013 senza quella clausola (né ha invocato la nullità dell'intero contratto, come era suo onere ai sensi dell'art. 1419 c.c.). "L'inscindibilità" non discende affatto dal tenore del contratto e dalle altre intese del 2013 prodotte ex adverso; controparte, e il Giudice di prime cure, hanno confuso la "interconnessione" e/o "interdipendenza" tra le varie clausole di un contratto o di più contratti a latere, che è propria di tutte le clausole del contatto e degli eventuali contratti a latere, con il "carattere essenziale e determinante della clausola nella conclusione del contratto" stesso, che è cosa ben diversa e che deve essere rigorosamente provato dalla parte che lo adduce al fine di ottenere la declaratoria di nullità dell'intero contratto ... Né l'accordo aziendale in questione può ritenersi "accordo di prossimità", difettandone tutti i requisiti. La non opponibilità e/o inapplicabilità parziale dell'accordo, con riferimento alla clausola 4, ai ricorrenti comporta pertanto l'applicazione della normativa generale contenuta nel ccnl (...), secondo la quale l'orario di lavoro inizia e finisce nel momento del passaggio al tornello marcatempo posto in ingresso per il controllo delle presenze (v. art. 45 ccnl (...), alleg. 10), come avveniva per i ricorrenti prima del luglio 2013.." Con il secondo ordine di censure (pag. 35 e seg.) impugnano per omessa valutazione di circostanze decisive la ratio decidendi fondata sulla asserita insufficienza di allegazione e prova. Osservano che il Tribunale di Milano non ha considerato fatti incontroversi ovvero che "a) fino alla sottoscrizione dell'accordo sindacale del 27.3.2013, o meglio fino alla data del 30 giugno 2020 indicata nell'accordo medesimo, il lasso di tempo intercorrente tra la timbratura al tornello in ingresso e il log-on per tutti i lavoratori, compresi quelli addetti al caring service come gli appellanti, è sempre stato pacificamente considerato "orario di lavoro" e come tale retribuito; b) nessun mutamento vi è stato a decorrere dall'1.7.2013 nell'attività espletata dagli addetti al caring services, e così dagli appellanti, nel medesimo spazio temporale ... Tali circostanze ... valgono infatti come prova o quanto meno come presunzione della natura di "tempo lavoro" del periodo intercorrente tra la timbratura in ingresso al tornello e quella in postazione con il log-on, e così in uscita e in pausa pranzo, e delle attività in quell'arco temporale espletate. Ciò che esonera i ricorrenti dall'onere allegatorio e probatorio che invece il Tribunale pone a carico degli stessi. Gli odierni appellanti, infatti, non hanno chiesto che un determinato spazio temporale, con le connesse attività, mai considerato "tempo lavoro" e mai retribuito, da un certo momento in poi sia considerato tale. Al contrario gli odierni appellanti hanno chiesto che uno spazio temporale, con le connesse attività, da sempre considerato "tempo lavoro", continui ad essere considerato tale. Gli odierni appellanti avevano dunque in questa causa solo l'onere di allegare e provare lo spazio temporale e l'attività espletata dall'ingresso al tornello alla timbratura in postazione prima e dopo il luglio 2013, e il fatto che non vi fosse stato alcun mutamento nel concreto svolgersi degli stessi". Si riportando (pag. 48 e seg.) al ricorso ex art. 414 c.p.c. per il quantum deebatur rimasto assorbito, rinviando ai conteggi allegati, elaborati dal consulente del lavoro cui si sono rivolti (doc. n. 13 da A a F). (...) s.p.a. resiste in giudizio difendendo la pronuncia impugnata. Replica ai singoli motivi di appello, riproponendo la difesa formulata in primo grado e citando giurisprudenza di legittimità e di merito favorevole alla propria tesi. All'udienza del 22/2/23, all'esito della discussione orale delle parti, la causa è stata decisa con dispositivo pubblicamente letto. MOTIVI DELLA DECISIONE Non hanno proposto appello (...), (...) e (...) nei confronti dei quali la sentenza n. 1065/22 del Tribunale di Milano è passata pertanto in giudicato. Carenza di allegazione e prova ai fini dell'effettivo orario di lavoro (II motivo) Le doglianze sul punto colgono nel segno. Come correttamente messo in rilievo dalla difesa degli attuali appellanti, è un fatto pacifico che fino all'1/7/13, data di entrata in vigore del nuovo sistema di rilevazione delle presenze, il lasso di tempo intercorrente tra la timbratura in ingresso al tornello e l'accesso alla postazione (e viceversa) fosse considerato effettivo orario di lavoro e come tale retribuito, tanto è vero che è la stessa appellata ad evidenziare come la rimodulazione della prestazione degli addetti al reparto (...) sia stata disposta, insieme ad altri interventi (telelavoro per es.), proprio al fine di ridurre i costi aziendali. Gli attuali appellanti non erano perciò tenuti a dedurre e dimostrare la eterodirezione nell'arco di tempo impiegato per dette operazioni, appunto perché è incontestato che fosse considerato tempo di lavoro e in quanto tale compensato. Contrariamente, dunque, a quanto eccepito da parte appellata ("i ricorrenti non offrano alcuna concreta prova della attività pretesamente svolta tra l'ingresso nella sede di lavoro e l'avvio del proprio terminale con conseguente effettivo avvio della prestazione di lavoro" cfr. memoria ex art. 416 c.p.c.), si poneva a carico della predetta l'onere di dimostrare che gli stessi in quel lasso temporale erano liberi di autodeterminarsi ovvero non erano assoggettati al potere gerarchico, onere che non può ritenersi assolto ("con riguardo al computer, è vero che la disposizione aziendale è di lasciarli accesi, ma spesso, noi che facciamo il turno del pomeriggio in quanto a tempo parziale, li troviamo spenti perché magari quello del turno prima per fare in fretta a lasciare la postazione ha deciso di spegnere il computer. Infatti la procedura per la uscita dalla postazione può comportare del tempo, anche perché a volte computer si blocca e quindi a volte se uno deve prendere un treno può scegliere di spegnere il computer. Quanto, poi, all'arrivo al lavoro, a volte manca il mouse e scegliamo di cercarlo prima di iniziare il lavoro e registrarci. Nel weekend, poi, è un problema trovare la postazione e a volte l'ascensore presenta problemi perché bisogna attenderlo parecchio. Noi a tempo parziale non abbiamo la postazione fissa, a differenza di quelli a tempo pieno"; "i computer di norma dovrebbero essere tutti accesi, ma a volte li troviamo anche spenti. Ad ogni modo si impallano e così occorre spegnerli e poi riaccenderli per mettere le proprie credenziali. Capita anche di trovarli senza mouse o senza tastiera e occorre cercarli prima di iniziare a lavorare", così libero interrogatorio attuali appellanti alla udienza del 10/2/22 e del 22/2/22). *Inscindibilità accordi del 27/3/21 e acquiescenza (I motivo) Questa Corte territoriale si è già pronunciata sulla questione di cui è causa in fattispecie del tutto sovrapponibili alla presente (cfr. CA MI 782/22 rel. (...); CA MI 545/22 rel. (...); CA 524/2021 rel. (...); CA MI n. 560/21 rel. (...)). Il Collegio non ravvisa nuovi e decisivi argomenti che possano indurlo a discostarsi da tale condivisibile orientamento, che intende in questa sede integralmente richiamare ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c. "Come già evidenziato, pacificamente fino al luglio 2013, l'azienda registrava l'orario di entrata e di uscita mediante i tornelli marcatempo posti all'ingresso delle sedi di lavoro, facendo coincidere l'orario di lavoro con gli esiti di tali timbrature, mentre a seguito dell'accordo sindacale del27.3.2013 l'attestazione dell'inizio e della fine della prestazione di lavoro degli operatori e del personale di coordinamento avveniva "sulla propria postazione di lavoro mediante registrazione on line sui sistemi informatici aziendali". Ebbene, detto sistema di rilevazione dell'orario di lavoro contrasta con i principi dettati in materia di orario di lavoro, per come interpretati dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria. Ed infatti, come già evidenziato da questa Corte con la sentenza n. 524/21 che si condivide e si richiama ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., che si è pronunciata su questione analoga e che a sua volta ha condiviso la motivazione della sentenza n. 10/2020 della Corte di appello di Roma, che si è pronunciata su caso analogo, così come la sentenza n. 226/2019 della Corte appello di Ancona: "In ordine alla definizione dell'arco temporale definibile come orario di lavoro rilevante ai fini retributivi e contributivi, con riguardo al tempo che precede e segue la prestazione lavorativa, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, anche in vigore del R.D.L. 5 marzo 1923, n. 692, art. 3 a norma del quale "è considerato lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un'occupazione assidua e continuativa", non era precluso che il tempo necessario a porre in essere attività strettamente prodromiche a tale occupazione fosse da considerarsi lavoro effettivo e che esso dovesse essere, pertanto, retribuito ove tale operazione fosse diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero si trattasse di operazioni di carattere strettamente necessario ed obbligatorio per lo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass. 2015 n. 20694; Cass. 2013 n. 20714). Il D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, che, in attuazione della direttiva comunitaria 93/104/CE del 23 novembre in materia di orario di lavoro (e successivamente dalla direttiva 2003/88/CE) ha sostituito la precedente disciplina riaffermandone e specificandone i contenuti, stabilisce, sulla base delle indicazioni comunitarie, all'art. 1, comma 2, lett. a): "Agli effetti delle disposizioni del presente decreto si intende per a) orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni". Tale definizione dell'orario di lavoro ricalca l'art. 2 della direttiva 2003/88 (Definizioni) il quale prevede al punto 1: "Ai fini della presente direttiva si intende per "orario di lavoro": qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali". L'attuale nozione di orario di lavoro attribuisce un espresso e alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro e la formulazione è volutamente ampia e tale da includere nella nozione non solo l'attività lavorativa in senso stretto, ma anche le operazioni strettamente funzionali alla prestazione. A questo fine è necessario che il lavoratore sia "a disposizione" del datore di lavoro, cioè soggetto al suo potere direttivo e disciplinare (Cass. 2012 n. 1839; Cass. 2012 n. 1703). Secondo la giurisprudenza comunitaria, per valutare se un certo periodo di servizio rientri nella nozione di orario di lavoro, occorre stabilire se il lavoratore sia o meno obbligato ad essere fisicamente presente sul luogo di lavoro e di essere a disposizione di quest'ultimo per poter fornire immediatamente la propria opera (Corte Giust. Com. Eur, 9 settembre 2003, causa C-151/02, parr. 58 ss.). Tale orientamento consente di distinguere nel rapporto di lavoro una fase finale, che soddisfa direttamente l'interesse del datore di lavoro, ed una fase finale preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell'ambito della disciplina di impresa (art. 2104 c.c., comma 2) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria (Cass. 2015 n. 7396). Ne consegue che è da considerarsi orario di lavoro anche l'arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all'interno dell'azienda nell'espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro nonprovi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico (Cass. 2017 n. 13466, in applicazione di tale principio, la S.C. ha considerato orario di lavoro il tempo impiegato dai dipendenti di una acciaieria per raggiungere il posto di lavoro, dopo aver timbrato il cartellino marcatempo alla portineria dello stabilimento, e quello trascorso all'interno di quest'ultimo immediatamente dopo il turno; v. anche Cass. 2015 n. 20694)". Nel caso in esame, i dipendenti ... "dopo la registrazione ai tornelli all'ingresso dei singoli edifici, debbono accedere alla sala nei piani superiori alla quale sono assegnati, (...), raggiungere la postazione individuale o reperire una postazione libera, avviare il computer ed attendere il completamento della operazione, con l'apertura della apposita finestra per l'inserimento della propria password. A fine turno, dopo la chiusura registrata al terminale, sono tenuti (...) a compiere il tragitto inverso per l'uscita dall'edificio, passando attraverso il tornello azionabile con il badge. Vi è, quindi, un tempo di permanenza del lavoratore all'interno dei locali aziendali, sia in entrata che in uscita, considerato neutro in base all'accordo sindacale del 27.3.2013" - così come dal regolamento aziendale- "ai fini della determinazione dell'orario di lavoro, ma caratterizzato da una serie di operazioni ed incombenze ulteriori rispetto alla registrazione on line dalla postazione di lavoro. Tali attività sono da ritenersi accessorie e propedeutiche alla attività lavorativa in senso stretto svolta dagli appellanti, sia per quanto riguarda gli spostamenti all'interno dell'edificio, rispetto al momento della timbratura ai tornelli, (...), che per i tempi necessari per l'avvio del personal computer e accesso alla registrazione on line. Si tratta di un intervallo temporale strettamente collegato alla attività lavorativa che, ad avviso del Collegio, non può ritenersi estraneo alla prestazione e, quanto alla sussistenza della eterodirezione, come già detto "la presenza del dipendente in azienda determina la presunzione della sussistenza nel datore di lavoro del potere di disporre della prestazione lavorativa. Talché è orario di lavoro l'arco temporale comunque trascorso all'interno dell'azienda, a meno che il datore di lavoro non provi che il prestatore d'opera sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico" (Cass. 2017 n. 13465, cit.)". Nel caso in esame, del tutto speculare a quello esaminato con la sentenza richiamata, la società non ha assolto detto onere probatorio. La sussistenza dell'eterodirezione, senz'altro maggiormente evidente in relazione alle attività di registrazione e di disconnessione on line (attività che si svolgono in ambiente di lavoro; utilizzando software e hardware aziendali; seguendo protocolli e istruzioni definiti dall'azienda), si ravvisa anche per il tempo necessario per raggiungere, all'interno dell'edificio, la propria postazione lavorativa, e viceversa per raggiungere l'uscita, tant'è vero che al lavoratore è chiesto di segnalare il proprio ingresso e la propria uscita dall'edificio valendosi della macchina marcatempo. Ritenuta pertanto la nullità parziale del paragrafo 4 dell'Accordo collettivo del 27 marzo 2013 nella parte in cui prevede che "L'attestazione dell'inizio e della fine della prestazione di lavoro degli operatori e del relativo personale di coordinamento di (...) avverrà sulla propria postazione di lavoro mediante registrazione on line sui sistemi informatici aziendali. Tale modalità sarà operativa con decorrenza 1 luglio 2013 per consentire all'Azienda l'adeguamento dei sistemi con la nuova modalità di attestazione stessa", così come delle conformi previsioni del regolamento aziendale, devono essere accolte le domande formulate con il ricorso di primo grado. Sostiene la società che non si possa dichiarare l'inapplicabilità parziale della clausola in esame, essendo essa inscindibilmente correlata con l'intero accordo sindacale, tant'è vero che quest'ultimo non sarebbe stato sottoscritto senza la previsione della clausola sulle modalità della prestazione lavorativa. E' sufficiente osservare, per respingere detta doglianza, come la società non abbia fornito alcuna prova che senza detta clausola non avrebbe sottoscritto l'accordo. Né una simile condizione o previsione risulta specificata nell'accordo sindacale. Quanto alle differenze retributive rivendicate dai lavoratori, il Collegio ritiene corretta la quantificazione del tempo lavoro in oggetto nella misura di 14 minuti (5 minuti in ingresso, 5 minuti in uscita, 2 minuti in pausa pranzo in uscita e 2 minuti in pausa pranzo in ingresso) per ogni giorno lavorativo con riferimento a lavoratori che effettuano la prestazione lavorativa full time e di 10 minuti per ogni giorno lavorativo con riferimento a lavoratori che effettuano la prestazione lavorativa part time al 50% (?). Ed infatti, è la stessa società che ammette che la fase di log on richieda almeno 2 minuti. Conseguentemente detti minuti, ai quali si aggiungono minimo tre minuti che servono per raggiungere la postazione e viceversa l'uscita, portano alla quantificazione effettuata dagli appellati, corretta anche nei conteggi. Con specifico riferimento ai conteggi allegati dai lavoratori, va evidenziato come con la memoria di primo grado la società non abbia effettuato alcuna contestazione specifica, concentrandosi prevalentemente nel contestare la sussistenza del diritto rivendicato. Va poi respinta l'eccezione di prescrizione quinquennale dei crediti maturati anteriormente alla notifica del ricorso di primo grado. Premessa la genericità dell'eccezione formulata dalla società, il Collegio ritiene che la prescrizione non decorra in costanza di rapporto. Ed infatti, aderendo alle precedenti decisioni di questa Corte, richiamate anche ai sensi e per gli effetti di cui all'art.118 disp. att. c.p.c. (cfr.: Corte Appello Milano n. 379/19, n. 2048/19, n. 188/20, n. 322/20) si osserva "che, ai fini della decorrenza della prescrizione in materia di crediti da lavoro subordinato, la distinzione tra rapporti soggetti a tutela reale e rapporti non soggetti a tutela reale, riveste, anche nelle più recenti pronunce della Cassazione (cfr. Sez. L - Ordinanza n. 22172 del 22/09/2017; Sez. L, Sentenza n. 4351 del 22/02/2018; Sez. L Sentenza n. 19729 del 25/07/2018) un'importanza centrale. Infatti la decorrenza della prescrizione dal momento dell'insorgenza del diritto del lavoratore viene affermata dal Supremo Collegio con esclusivo riferimento ai rapporti assistiti dal diritto alla reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo. La ragione è nota. Si ritiene che in tali rapporti non vi sia una condizione c.d. di metus del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che lo induca, per timore di essere licenziato (senza possibilità di recuperare il posto di lavoro perduto), a non esercitare il proprio diritto. Non appare superfluo, sul punto, ricordare l'assetto normativo, determinato dalle pronunce della Corte Costituzionale n. 63/1966 e n. 174/1972, in forza del quale la prescrizione dei crediti retributivi non decorre durante il rapporto di lavoro, salvo che per i rapporti caratterizzati da c.d. "stabilità reale", ossia ai quali, in considerazione del requisito dimensionale, è applicabile l'art. 18 L. n. 300 del 1970.Con la prima delle citate pronunce, la Corte ha ritenuto che, in un rapporto non dotato della resistenza che caratterizzava invece il rapporto di pubblico impiego, il timore del recesso (cioè del licenziamento), spinge o può spingere il lavoratore a rinunciare ad una parte dei diritti. Secondo la Corte "In un rapporto non dotato di quella resistenza, che caratterizza invece il rapporto d'impiego pubblico, il timore del recesso, cioè del licenziamento, spinge o può spingere il lavoratore sulla via della rinuncia a una parte dei propri diritti; dimodoché la rinuncia, quando è fatta durante quel rapporto, non può essere considerata una libera espressione di volontà negoziale e la sua invalidità è sancita dall'art. 36 della Costituzione". E' stata quindi considerata determinante la situazione psicologica del lavoratore, che può essere indotto a non esercitare il proprio diritto per lo stesso motivo per cui molte volte è portato a rinunciarvi, cioè per timore del licenziamento; cosicché la prescrizione, decorrendo durante il rapporto di lavoro, produce proprio quell'effetto che l'art. 36 ha inteso precludere vietando qualunque tipo di rinuncia: anche quella che, in particolari situazioni, può essere implicita nel mancato esercizio del proprio diritto e pertanto nel fatto che si lasci decorrere la prescrizione. Con la sentenza n. 174/1972 la Corte Cost. ha poi ritenuto che, in caso di applicabilità dell'art. 18 St. Lav. si ha, come nel pubblico impiego, una vera stabilità; ha infatti al riguardo precisato che "una vera stabilità non si assicura se all'annullamento dell'avvenuto licenziamento non si facciaseguire la completa reintegrazione nella posizione giuridica preesistente fatta illegittimamente cessare", situazione di completa reintegrazione che non può essere ravvisata in tutti i casi (come quelli di applicazione della L. n. 604 del 1966) "per i quali le disposizioni sulla giusta causa non trovano applicazione; sicché per essi deve rimanere fermo il principio che vieta di far decorrere il termine di decadenza per le impugnative in materia di crediti da lavoro dipendente nel periodo di durata del rapporto, dovendosi il medesimo spostare alla fine di questo". La successiva giurisprudenza di legittimità si è adeguata, riscontrando il requisito della stabilità del posto di lavoro tutte le volte in cui, sul piano sostanziale, la disciplina del rapporto subordini il licenziamento a circostanze obiettive e predeterminate e, sul piano della tutela dei diritti, affidi al giudice il sindacato su tali circostanze con la facoltà di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo (Cass., S.U., 12.4.1976, n. 1268; Cass., 19.8,2011, n. 17399). Rimozione che, secondo la Cassazione, non può esaurirsi nella previsione di un risarcimento del danno ma deve concretizzarsi nell'ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (Cass., 23.6.2003, n. 9968; Cass., 20.6.1997, n. 5494; Cass., 13.9.1997, n. 9137). Il quadro normativo, rispetto alle citate pronunce della Consulta, è radicalmente mutato a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, che ha riformato l'art. 18 L. n. 300 del 1970, approntando un articolato sistema sanzionatorio nel quale la reintegrazione è stata fortemente ridimensionata, riservata ad ipotesi residuali, che fungono da eccezione rispetto alla tutela indennitaria. Il testo attualmente vigente dell'art. 18 L. n. 300 del 1970, a differenza di quello originario, prevede infatti la tutela reintegratoria solo per talune ipotesi di illegittimità del licenziamento (commi 1, 4, 7), mentre per altre fattispecie prevede unicamente una tutela indennitaria (commi 5 e 6); ne consegue che, nel corso del rapporto, il prestatore di lavoro si trova in una condizione soggettiva di incertezza circa la tutela (reintegratoria o indennitaria) applicabile nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, accertabile solo ex post nell'ipotesi di contestazione giudiziale del recesso datoriale. È pertanto ravvisabile la sussistenza di quella condizione di metus che, in base ai consolidati principi dettati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, esclude il decorso del termine prescrizionale in costanza di rapporto di lavoro. A supporto di questa soluzione va richiamato, altresì, l'orientamento giurisprudenziale che valorizza l'effettiva condizione del prestatore di lavoro subordinato, precisando che la decorrenza o meno della prescrizione nel corso del rapporto di lavoro va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo in relazione all'effettiva esistenza di una situazione psicologica di metus del lavoratore, e non già alla stregua della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto astrattamente regolare il rapporto, ove questo fosse sorto fin dall'inizio con le modalità e la disciplina che il giudice, con un giudizio necessariamente ex post, riconosce applicabili (Cass. S.U. 4942/12; Cass. 10 aprile 2000 n. 4520; nello stesso senso, ex plurimis, Cass. 23 gennaio 2009 n. 1717; Cass. 4 giugno 2014 n. 12553). Il Collegio, alla stregua di tali consolidati e condivisibili principi, ritiene che, a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012 all'art. 18 L. n. 300 del 1970, la prescrizione dei crediti retributivi non decorra in costanza di rapporto di lavoro, anche ove a questo sia applicabile l'art. 18 novellato, come nella presente fattispecie". Quest'ultima questione è stata recentemente risolta dalla Suprema Corte che con sentenza 6-9-2022, n. 26246 (seguita subito dopo da Cass., 20/10/2022, n. 30957 di identico tenore) ha statuito che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro. Conseguentemente la prescrizione dei crediti lavorativi decorre dalla conclusione del rapporto di lavoro anche per quei rapporti in cui trova applicazione l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. La Suprema Corte ha in particolare rilevato che "così ricostruito il quadro normativo, significativamente modificato rispetto all'epoca in cui la giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha individuato (ai superiori p.ti 4 e 4.1.) l'essenziale dato di stabilità del rapporto nella tutela reintegratoria esclusiva del L. n. 300 del 1970 art. 18, non pare che esso assicuri, sulla base delle necessarie caratteristiche scrutinate, una altrettanto adeguata stabilità del rapporto di lavoro. Sicchè, deve essere ribadito che la prescrizione decorra, in corso di rapporto, esclusivamente quando la reintegrazione, non soltanto sia, ma appaia la sanzione "contro ogni illegittima risoluzione" nel corso dello svolgimento in fatto del rapporto stesso: così come accade per i lavoratori pubblici e come era nel vigore del testo dell'art. 18, anteriore alla L. n. 92 del 2012, per quei lavoratori cui la norma si applicava. A questa oggettiva precognizione si collega l'assenza di metus del lavoratore per la sorte del rapporto di lavoro ove egli intenda far valere un proprio credito, nel corso di esso: caratterizzato dal regime di stabilità comportato da quella resistenza che assiste, appunto, il rapporto d'impiego pubblico. Non costituisce, infatti, garanzia sufficiente, ?, il mantenimento della tutela reintegratoria, tanto con la L. n. 92 del 2012 (art. 18, comma 1), tanto con il D.Lgs. n. 23 del 2015 (art. 2, comma 1), per il licenziamento (...) ritorsivo, sul presupposto di un motivo illecito determinante ai sensi dell'art. 1345 c.c. (non necessario per il licenziamento discriminatorio: Cass. 5 aprile 2016, n. 6575; Cass. 7 novembre 2018, n. 28453). Non si tratta, infatti, di enucleare una condizione non meramente psicologica (siccome dipendente da una percezione soggettiva), ma obiettiva di metus del dipendente nei confronti del datore di lavoro, per effetto di un'immediata e diretta correlazione eziologica tra l'esercizio obiettivamente inibito) di una rivendicazione retributiva del lavoratore e la reazione datoriale di licenziamento in ragione esclusiva di essa ?) con la possibilità per il lavoratore (...) di ottenere "una tutela ripristinatoria piena (certo essendo che se il licenziamento è invece fondato su giusta causa o giustificato motivo, oggettivi e insussistenti, e dunque su ragioni - veritiere - del tutto estranee alle rivendicazioni retributive avanzate dal dipendente, non si può configurare la situazione psicologica in questione). Un tale ragionamento reputa dotato di stabilità adeguata un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in assenza di una tutela reintegratoria nelle ipotesi diverse (...) di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in ragione di effettive ragioni organizzative e produttive dell'impresa, ovvero di licenziamento disciplinare, per grave inadempimento degli obblighi di diligenza e fedeltà del lavoratore, fino alla rottura irreversibile del rapporto di fiducia tra le parti. Ma il procedimento argomentativo si fonda sul presupposto (chiaramente esplicitato) che tali ragioni non mascherino in realtà ragioni ritorsive (eventualmente per rivendicazioni retributive in corso di rapporto), comportanti il ripristino della tutela reintegratoria, secondo l'insegnamento di questa Corte (Cass. 4 aprile 2019, n. 9468, in riferimento ad un'ipotesi di licenziamento intimato per giustificato motivo, in realtà per motivo illecito ai sensi dell'art. 1345 c.c.; Cass. 22 giugno 2016, n. 12898, in riferimento ad ipotesi di licenziamento intimato per giusta causa). Ebbene, esso rivela come l'individuazione del regime di stabilità sopravvenga ad una qualificazione definitiva del rapporto per attribuzione del giudice, all'esito di un accertamento in giudizio, e quindi necessariamente ex post: così affidandone l'identificazione, o meno, al criterio del "caso per caso", rimesso di volta in volta al singolo accertamento giudiziale (stigmatizzato al superiore p.to 6, in fine, per essere fonte di massima incertezza e di destabilizzazione del sistema). In via conclusiva, deve allora essere escluso, per la mancanza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e soprattutto di una loro tutela adeguata, che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, sia assistito da un regime di stabilità. Da ciò consegue, non già la sospensione, a norma dell'art. 2941 c.c. (per la tassatività delle ipotesi ivi previste e soprattutto per essere presupposto della sospensione la preesistenza di un termine di decorrenza della prescrizione che, esaurita la ragione di sospensione, possa riprendere a maturare), bensì la decorrenza originaria del termine di prescrizione, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012" (così CA MI n. 782/22 citata). Alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, dirimenti ed assorbenti di ogni altra questione, in riforma della sentenza n. 1065/22 del Tribunale di Milano, (...) s.p.a. deve essere condannata a pagare, per i periodi rispettivamente indicati, a (...) la somma lorda di Euro 4.043,51, a (...) la somma lorda di Euro 4.180,82, a (...) la somma lorda di Euro 1.184,36, a (...) la somma lorda di Euro 1.429,54 ed a (...) la somma lorda di Euro 1.715,05, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalle scadenze al saldo su tutte le somme, non essendoci specifiche contestazioni sui conteggi allegati (doc. 13 da A a F). In applicazione del principio secondo cui "il giudice che deve liquidare le spese processuali relative ad un'attività difensiva ormai esaurita (nella specie, con decisione nel merito), deve applicare la normativa vigente al tempo in cui l'attività stessa è stata compiuta, sicché, per l'attività conclusa nella vigenza del D.M. n. 127 del 2004, deve applicare le tariffe da questo previste e non i parametri sopravvenuti ai sensi dell'art. 41 del D.M. n. 140 del 2012" (così Cass. n. 2748/16; conf. Cass. n. 17577/18), le spese processuali vengono determinate ai sensi dei (...) ratione temporis vigenti, in base al valore della controversia, all'assenza della fase di istruttoria, nonché in applicazione della facoltà di riduzione del compenso in ragione delle condizioni soggettive delle parti e di aumentare il compenso per la pluralità degli appellanti. P.Q.M. In riforma della sentenza n. 1065/22 del Tribunale di Milano, condanna (...) s.p.a. a pagare a (...) la somma lorda di Euro 4.043,51, a (...) la somma lorda di Euro 4.180,82, a (...) la somma lorda di Euro 1.184,36, a (...) la somma lorda di Euro 1.429,54 ed a (...) la somma lorda di Euro 1.715,05, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dalle scadenze al saldo su tutte le somme. Condanna (...) s.p.a. alle spese processuali, che si liquidano in Euro 2.500,00 per il primo grado ed in Euro 2.700,00 per il secondo grado, oltre a spese generali, oneri ed accessori di legge. Così deciso in Milano il 22 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI CATANZARO SEZIONE LAVORO La Corte, riunita in camera di consiglio, così composta: dott. Emilio Sirianni - Presidente dott. Rosario Murgida - Consigliere dott.ssa Giuseppina Bonofiglio - Consigliere relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa in grado di appello iscritta al numero 1131 del ruolo generale affari contenzioni dell'anno 2020, vertente TRA (...) con l'avv.to VE.RO. appellante E (...) Appellato non costituito FATTO E DIRITTO Con il ricorso di primo grado (...) assumeva di aver prestato attività lavorativa alle dipendenze della ditta convenuta (...) dal 14.9.1999 al 26.7.2014 (dopo un primo periodo 1988/1992) con mansioni di vetraio; che l'orario di lavoro era 8,00/13,00 e 14,30/17,30 dal lunedì al venerdì; che da giugno 2010 il contratto era stato formalmente mutato da full-time a part-time, anche se l'orario di lavoro era restato il medesimo; che spettava l'inquadramento nel 4 livello CCNL settore (...); che aveva ricevuto somme inferiori a quelle spettanti. Chiedeva la condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive tra il trattamento economico goduto e quello effettivamente spettante, per complessivi Euro 69.122,95, ovvero ad altra e diversa somma di giustizia, oltre interessi e rivalutazione di legge dalla maturazione dei singoli crediti e sino al soddisfo. Nella resistenza della convenuta, il tribunale di Cosenza ha rigettato il ricorso per difetto di prova. Ha rilevato che "mancano elementi per sostenere l'applicabilità del CCNL indicato da parte ricorrente, dovendosi considerare che il contratto di assunzione richiama il diverso CCNL vetro artigiani e che la prevalenza dell'attività di commercializzazione del vetro, come affermata da parte ricorrente al fine di determinare l'applicabilità del CCNL che indica, è rimasta priva di compiuta allegazione e dimostrazione. Al riguardo, i testi escussi hanno riferito fondamentalmente solo di attività di lavorazione del vetro, alla quale, secondo le dichiarazioni rese, partecipava anche il titolare della ditta, mentre la prova per testi chiesta da parte ricorrente è inammissibile per mancata indicazione dei nominativi dei testi nell'atto introduttivo. Ha escluso l'utilizzabilità dei poteri officiosi del giudice ex art. 421 c.p.c.. Avverso tale decisione ha interposto gravame il ricorrente di primo grado ed ha lamentato la mancata ammissione della prova testimoniale da parte del nuovo giudice, subentrato al precedente, che, errando, aveva revocato l'ordinanza con cui era stata ammessa; ha richiamato la giurisprudenza di legittimità che consente di indicare i testimoni in assegnando termine. Ha reiterato, dunque, le istanze istruttorie e le conclusioni del ricorso di primo grado. Alla fissata udienza di discussione nessuno è comparso ed il Collegio ha deciso la causa come da separato dispositivo. 1. Il Collegio reputa che la disamina delle censure dell'appellante sia preclusa dalla preliminare constatazione che il ricorrente non ha documentato né ha chiesto di documentare - non comparendo - di aver notificato alla controparte l'atto di appello con il pedissequo decreto di fissazione dell'udienza. La notifica dell'appello non si rinviene nel fascicolo cartaceo, né risulta prodotta ed acquisita al fascicolo telematico. L'omessa notifica dell'atto di impugnazione determina l'improcedibilità dell'appello (cfr. ex multis Cass. SU 20604/2008 e, tra le più recenti, Cass. 6159/2018: "Nelle controversie di lavoro in grado d'appello, la mancata notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza determina l'improcedibilità dell'impugnazione, senza possibilità per il giudice di assegnare un termine perentorio per provvedervi ..."). 2.Nulla sulle spese stante la soccombenza dell'unica parte costituita. 3.Stante la declaratoria di improcedibilità dell'impugnazione, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso in appello, salva la verifica del presupposto soggettivo di esenzione (Cass. SU 4315/2020). P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...), con ricorso depositato in data 30.11.2020, avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza, giudice del lavoro, n. 118/2020, così provvede: 1) dichiara l'appello improcedibile; 2) non luogo a provvedere sulle spese del grado; 3) dà atto che, per effetto della odierna decisione, sussistono i presupposti di cui all'art. 13, c. 1 - quater, D.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento dell'ulteriore contributo unificato di cui all'art. 13, c. 1 - bis, D.P.R. n. 115 del 2002, salva esenzione se dovuta. Così deciso in Catanzaro il 16 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE LAVORO nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Silvia Marina Ravazzoni - Presidente est. dott.ssa Benedetta Pattumelli - Consigliere dott.ssa Giulia Dossi - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in grado di appello avverso la sentenza n. 152/22 del Tribunale di Busto Arsizio (est. dr.ssa Fedele), promossa da: (...), con gli avv.ti St.Bi. e St.Ba., elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Ba. in Besozzo (VA), via (...) PARTE APPELLANTE contro (...) SPA, con l'avv. Da.Za. elettivamente domiciliato presso il suo studio in 21100 - Varese (VA), Via (...), PARTE APPELLATA MOTIVI DELLA DECISIONE In fatto e in diritto Con sentenza n. 152/22 pubblicata il 27/04/22 il Tribunale Ordinario di Busto Arsizio, Sezione Lavoro, ha respinto il ricorso con il quale (...) chiedeva di accertare il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato intercorso con (...) spa nel periodo dal 1.1.2018 al 24.2.2021 con inquadramento nell'Ottavo Livello Quadro del CCNL tessili, di dichiarare la nullità del licenziamento e/o in subordine la nullità dello stesso per illegittimità della causa e conseguentemente condannare la predetta società al pagamento delle relative indennità di legge nella misura massima oltre all'obbligo di reintegro con pagamento delle mensilità maturate sino alla data della pronuncia giudiziale. Il Sig. (...) esponeva: - di essere stato dipendente della società (...) spa Italia dall'1/11/2013 al 31/12/2014; -di essere stato successivamente assunto- in qualità di General Manager nell'ambito dello sviluppo del settore Marketing- dalla (...) USA Corp. in North Carolina, controllata dalla (...) spa, per due anni, dal 2015 al 2017; - di essere stato richiamato in Italia e di aver lavorato per (...) spa dal 01/01/2018 al 31/12/2019 con la persistenza del contratto di dipendenza della controllata americana, e dal 07/01/2020 sino al 31/12/2020 con un contratto di consulenza aziendale, ma con l'intesa di trasformazione in contratto a tempo indeterminato per l'anno successivo; -da gennaio a fine febbraio 2021 senza alcun contratto fino alla data del licenziamento. Deducendo di aver prestato, sin dal 01/01/18 attività inquadrabile in un rapporto di lavoro subordinato in favore di (...) spa, all'VIII livello-quadro, e fornendo documentazione volta a dimostrare essenzialmente il suo stabile inserimento nell'organizzazione aziendale ( badge aziendale; organigramma che lo vedeva indicato nel settore vendite industriali; corrispondenza con la segreteria; mail di presentazione ai clienti da parte di personale dell'azienda; messaggi WhatsApp vari), in data 28/04/21 ha proposto ricorso. Costituitasi, (...) spa contestava in fatto ed in diritto quanto dedotto dal Sig. (...). Fallito il tentativo di conciliazione e omessa ogni attività istruttoria, il primo giudice, ritenendo la causa matura per la decisione, ha respinto il ricorso specificando che nessuno degli elementi documentali prodotti in giudizio dal ricorrente era adatto a fornire prova univoca del requisito della etero-organizzazione da parte del committente ex art. 2 D.Lgs. n. 81 del 2015 e, a maggior ragione, della subordinazione e che nessuno dei documenti prodotti era relativo all'anno 2018. In particolare, nella sentenza il giudice di prime cure ha esposto che: "non emerge in alcun modo che la società abbia definito tempi e modi della prestazione del ricorrente che risultava libero di organizzarsi per rendere il risultato richiesto. Non c'è un solo documento che evidenzi, al di là del raggiungimento dell'obiettivo, un vincolo in merito alle modalità di esecuzione della prestazione". A conferma di tale decisione ha precisato, inoltre, che le prove testimoniali indicate dal ricorrente, erano state dedotte su circostanze irrilevanti e non determinanti, mancando del tutto la necessaria delineazione delle concrete mansioni svolte da (...). Avverso la sentenza ha proposto appello il Sig. (...) insistendo in via principale per l'integrale riforma della sentenza di primo grado. L'appellante ha censurato la sentenza per i seguenti i motivi: - Per violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. con riferimento agli art. 2697 e ss. c.c. , errata valutazione delle risultanze di causa (...) contesta la mancanza totale di presa in considerazione da parte del giudice delle numerose produzioni documentali (tra l'altro mai contestate dalla società) dalle quali si evincerebbe in modo univoco che il rapporto di lavoro con la (...) spa, iniziato nel 2013 proprio come lavoro subordinato, era proseguito fino al febbraio 2021. Deduce che è fatto incontrovertibile che a far data dal 1.1.2018 è sussistente sia il vincolo della subordinazione che l'assenza di rischio economico; (...) è stato assegnatario di un'auto aziendale, un pc ed un telefono cellulare, un badge per la timbratura, una carta di credito ricaricabile ed un ufficio con una collaboratrice personale la quale a lui solo si riferiva per la richiesta di ferie, permessi e smart working. Evidenzia che lo stesso organigramma aziendale esposto in bacheca riportava esattamente la qualifica aziendale del dott. (...) quale responsabile nella casella "Vendite Industriali". Per quanto attiene poi la etero-organizzazione rileva che le prove documentali (e-mail e prove orali richieste in primo grado e non ammesse dal giudice) provano senz'altro che il dott. (...) operasse sempre e comunque nell'alveo degli obiettivi e dei clienti indicati dall'azienda a cui rispondeva e faceva capo. - Per violazione e falsa applicazione dell'art. 116, 421 e 437 c.p.c. con riferimento alle prove orali non ammesse L'appellante eccepisce la nullità per manifesta illogicità e contraddittorietà della decisione del giudice di primo grado di non ammettere le prove orali (tra l'altro con l'omissione di ogni riferimento alla richiesta di sottoporre ad interrogatorio il legale rappresentante della società) e la nomina del CTU necessario per far luce sui conteggi contestati dalla (...) Spa. - Le ulteriori domande C. contesta la statuizione contenuta nella sentenza "Il rigetto della domanda di accertamento della subordinazione assorbe ogni altra domanda formulata dal ricorrente" e reitera le domande proposte in primo grado e inevase dal giudice con la precisazione che la nullità/annullabilità del licenziamento rimane identica sia laddove si accolga la domanda principale con decorrenza del rapporto di dipendenza dal 1/1/2018 e sia la subordinata con decorrenza dal 1/1/2020. Rileva infatti che: se venisse dichiarata la NULLITA' del licenziamento orale e/o la mancanza di giusta causa/giustificato motivo, alla nullità consegue il diritto al pagamento dell'indennità massima di legge (non inferiore a 5 mensilità) oltre al pagamento delle retribuzioni dal giorno del licenziamento a quella della sentenza che ordina il reintegro ovvero in alternativa, a 15 mensilità dell'ultima retribuzione come richiesto dall'art.2 D.Lgs. n. 23 del 2015 (pari a Euro 6.885,62 lorde al mese).; se venisse dichiarato l'ANNULLAMENTO stante la mancata esplicitazione del giustificato motivo per cui l'azienda ha inteso risolvere il contratto ad nutum, sempre secondo l'art.1 D.Lgs. n. 23 del 2015 con l'annullamento spetterebbero all'ex lavoratore tutte le indennità previste dal Jobs Act applicabile ratione temporis, ossia non meno di 6 mensilità oltre alle 3 mensilità di preavviso previste dal vigente CCNL. Anche in questo caso l'ultima retribuzione da prendere come parametro è quella pagata a titolo di consulenza mensile dalla società che ammonterebbe ad Euro 6.885,62 lorde al mese. Sull'inquadramento, le differenze retributive e previdenziali e le spettanze di fine rapporto Rileva l'appellante che il profilo professionale del dott. (...) ricade nella declaratoria dell'ottavo livello quadro CCNL tessili con paga lorda contrattuale (come meglio enunciata nei conteggi sviluppati dal consulente di parte) pattuita tra l'altro anche dallo stesso datore di lavoro nel contratto in essere al 1/1/2018 data del trasferimento in Italia del dipendente (e cioè Euro 6.885,62 lorde al mese x 13 mensilità per un totale di Euro 89.513,00 annuo). I crediti spettanti al Dott. (...) ammontano quindi a: - Euro 13.771,24 (gennaio e febbraio 2020) - TFR che varia nel suo ammontare in base alla decorrenza del rapporto di lavoro (da una a tre mensilità), - Tredicesime mensilità che varia nel suo ammontare in base alla decorrenza del rapporto di lavoro (da una a tre mensilità), - Euro 14.336,59 (Istituti di fine rapporto e indennità di preavviso pari a 3 mensilità in ragione del livello ed anzianità). - obblighi derivanti dal pagamento degli istituti previdenziali In data 08/09/2022 si è costituita in giudizio la (...) SPA chiedendo il rigetto delle domande avversarie e la totale conferma della sentenza impugnata in quanto completa ed esauriente ed immune da vizi di natura logica o giuridica. Questi i punti sottolineati dalla società: - Sul vincolo di subordinazione - esclusione Il rapporto lavorativo del Sig. (...) era caratterizzato dall'assenza degli indici tipici che caratterizzano la subordinazione, e, al contrario, connotato dalla possibilità, per lo stesso, di assentarsi senza dover giustificare la propria assenza, di presenziare quando credeva, di relazionarsi sia di persona che a mezzo di altri strumenti, di condurre le trattative per il rinnovo dei contratti con i clienti in autonomia e di coordinarsi con gli obiettivi aziendali, ma gestendo l'attività in maniera autonoma. Parte appellante (come da suo onere di legge) non prova le mansioni che allega, non prova la qualifica, né l'orario di lavoro svolto. Sul punto, infatti, ribadisce che il ricorso presentava evidenti carenze con riferimento alle allegazioni, in particolar modo a sostegno del rapporto di subordinazione invocato dal lavoratore. Al contrario, con riferimento alla messaggistica dallo stesso prodotta (in particolare i messaggi scambiati con il Sig. (...)) si evince la completa autonomia del (...) e la totale assenza di eterodirezione da parte del Sig. (...). Per quanto riguarda i capitoli di prova sottolinea l'irrilevanza degli stessi, oltre alla loro totale genericità ed inammissibilità, in quanto formulati in modo da limitarsi a comprovare il contenuto di un documento. Si porta ad esempio il capitolo "è vero che il dott. (...) lavorava sotto le sue direttive in Italia?": è generico e valutativo, formulato in violazione dell'art. 244 c.p.c., non individuando alcun fatto specifico -dato empirico, concreto- che il teste potesse confermare, ma solo rimandando al teste una valutazione propria. - Sulle prove istruttorie avversarie (documentali e orali) Sostiene la società appellata che le prove documentali prodotte da controparte sono del tutto generiche ed irrilevanti. In particolare (...) non allega e non prova: -l' eterodirezione. L'appellante, a supporto dell'asserita subordinazione, produce solamente la messaggistica intercorsa con il sig. (...) che indica quale suo superiore gerarchico, ma dalla lettura di tale messaggistica non si evince affatto la subordinazione/ l'eterodirezione del sig. (...), in essa non si leggono ordini, direttive, nessuna imposizione da parte del sig. (...), anzi, si evince l'ampia autonomia decisionale che il sig. (...) aveva nella gestione del lavoro e tali messaggi provano unicamente un semplice coordinamento tra consulente e vertice - l'orario di lavoro effettivo svolto. (...) non dimostra nemmeno di aver avuto un orario di lavoro da rispettare, caratteristica tipica del rapporto di lavoro subordinato, unitamente all'obbligo di presenza. Non rendeva nemmeno conto dei periodi di assenza: poteva da solo determinare la quantità e la collocazione temporale della prestazione lavorativa, i giorni di lavoro, quelli di riposo e il loro numero, senza obbligo di presenza, senza necessità di giustificazione -Benefit dallo stesso ricevuti e Badge aziendale: contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, (...) spa ribadisce l'irrilevanza degli stessi, in quanto trattasi di elementi che non si pongono in necessario contrasto con un rapporto di consulenza; -Collaboratrice a lui assegnata: La società deduce che la sig.ra (...) non era affatto alle dipendenze del sig. (...), ella era la figura che forniva supporto in azienda nell'ambito della logistica. La sig.ra (...), difatti, nella email doc 8 che il ricorrente produce, non chiede il permesso/l'autorizzazione, ma si limita a informarlo circa la propria assenza ("oggi ho bisogno di") e, al contempo, il sig. (...) non procede ad autorizzarla, ma si rivolge al Dott. (...). -Organigramma: è irrilevante che (...) fosse indicato nell'organigramma aziendale, in quanto la funzione dello stesso era meramente esplicativa delle funzioni espletate da ogni figura aziendale. -Visita medica aziendale: secondo l'appellata non è elemento utile ad individuare la subordinazione, ma semmai indicativo dell'esigenza dell'azienda di accertarsi che chi accedeva ai locali godesse di uno stato di salute consono alle attività da svolgere. -Conteggi: l'appellata contesta i conteggi in quanto assolutamente generici e basati su allegazioni non corrispondenti a verità. Deduce che l'odierno appellante avrebbe dovuto produrre le buste paga, mese per mese, anno per anno, ossia un conteggio basato sulla qualifica che assume essere corretta e sull'orario svolto. Invece, il sig. (...), errando, ha preso come parametro base di riferimento per formulare i conteggi la retribuzione per l'attività svolta all'estero, sulla base del pregresso rapporto di lavoro - prove orali: (...) spa difende la decisione del giudice di prime cure relativa alla non ammissione delle stesse. I capitoli di prova prodotti da controparte sono da parte appellata definiti errati nella loro formulazione e pertanto in tale si oppone alla loro ammissione. All'udienza del 19 gennaio 2023, all'esito della discussione delle parti, la causa è stata decisa come da dispositivo trascritto in calce alla presente sentenza. L'appello è infondato e va rigettato, con conseguente conferma della sentenza n. 158/22 del Tribunale di Busto Arsizio Per quel che attiene al primo motivo di impugnazione, giova rammentare che perché sussista un rapporto di lavoro subordinato occorre "la prova dell'eterodirezione della prestazione lavorativa, ossia della soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che necessariamente implica l'inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro, mediante la messa a disposizione, in suo favore, delle proprieenergie lavorative ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui" (CDA Milano, est. dr.ssa Dossi sent. n.1918/2018) È quindi necessaria "una messa a disposizione delle energie lavorative e l'inserimento dell'attività della persona nell'organizzazione aziendale, con assoggettamento alle direttive e al potere disciplinare del datore" (Cass. Civ., Sez. Lav., 13 ottobre 2010, n. 21152). Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, "l'elemento tipico che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato è costituito dalla subordinazione, intesa ? quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento alle direttive dallo stesso impartite circa le modalità di esecuzione dell'attività lavorativa; mentre, è stato pure precisato, altri elementi - come l'assenza del rischio economico, il luogo della prestazione, la forma della retribuzione e la stessa collaborazione - possono avere solo valore indicativo e non determinante (v. Cass. n. 7171/2003)" (così, tra le più recenti, Cass. 14 giugno 2018, n. 15631). La Corte di Cassazione ha ulteriormente precisato che la "subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato" costituisce il principale elemento di caratterizzazione del rapporto di lavoro subordinato, ..." (Cass. Sez. L, 27.02.2007) La verifica circa la sussistenza di un obbligo di presenza e di un obbligo di rendere la prestazione lavorativa, al pari dell'assoggettamento ai poteri di controllo del preteso datore di lavoro, sono passaggi imprescindibili del procedimento logico-giuridico che porta alla qualificazione di un determinato rapporto in termini di autonomia o subordinazione. L'onere della prova sul punto era posto a carico del solo odierno appellante che non lo ha soddisfatto. Rileva in particolare il Collegio che (...) non ha allegato specifiche circostanze di fatto dalle quali possa fondatamente desumersi che le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa asseritamente resa in favore di (...) s.p.a. siano riconducibili alla tipologia del rapporto di lavoro subordinato. Quanto alla documentazione prodotta a sostegno della tesi della natura subordinata del rapporto, deve rilevarsi quanto segue. Il doc 3 (biglietto da visita) indica solo la qualifica attribuita a (...) "sales manager", ma nulla prova in ordine alla natura autonoma o subordinata del rapporto. I doc da 5 a 7 si riferiscono ai cd benefits attribuiti a (...) (auto, carta aziendale prepagata, badge,) ma non sono indicativi di un rapporto subordinato in quanto possono essere assegnati ai collaboratori. Il doc 8 contiene alcune comunicazioni inviate via mail dalla sig.ra (...) a (...) ma non sono indicative di un rapporto gerarchico tra i due. Al contrario le ultime due mail provano che la sigra (...) riportava sotto il profilo gerarchico al dott. (...) e non a (...): si legge infatti nella mail in data 9.11.2020 inviata da (...) a (...) (...) Dott. (...). Vorrei chiedere se possiamo autorizzare per la Sig.ra (...), visto il particolare momento, 4 giorni di Smart Working e 1 presenza ufficio. Il doc 9 è l'organigramma di (...) spa e riporta la posizione di (...) quale addetto alle vendite industriali, con riporto alla Direzione Generale. E' un dato di per sé neutro, che non individua la natura del rapporto di lavoro, ben potendo tale ruolo essere ricoperto sia da un dipendente sia da un lavoratore autonomo. Il doc 12 contiene messaggi whatsapp tra l'appellante e il sig. (...), direttore generale. In questi messaggi non si rinvengono tuttavia ordini specifici e direttive di un superiore. Il tono è sempre colloquiale, tipico di persone che lavorano insieme ma privo di imposizioni. Ricorrono espressioni di questo tipo: come va?", "buongiorno, oggi riusciamo a vederci per ?.? "possiamo parlare", "tutto ok?", "novità?", ma anche "oggi fate voi poi io passo a salutare", "mi tel quando vuole", "come vanno i progetti?", "come mai il fatturato 2019 più basso del 2018?", "quando ci vediamo?", "a che punto èla linea?", "cosa richiede la linea baby?", "ottobre mi sembra basso come mai?", "come vanno le nuove iniziative?", "SE ha bisogno ci sono", "come procediamo?" Occorre tuttavia anche evidenziare che vi sono messaggi che apertamente contrastano con il dedotto rapporto gerarchico "B. riusciamo a vederci alle 17 con il cavaliere per quella opportunità nella detergenza? Se vuole ci possiamo vedere prima io e lei così le espongo il progetto . Saluti D." In conclusione, certamente i documenti non costituiscono prova della dedotta eterodirezione. Allo stesso modo, le prove testimoniali offerte non presentano allegazioni specifiche in ordine alle modalità di esecuzione della prestazione, all'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, al potere direttivo e gerarchico esercitato dal datore di lavoro. Si tratta in prevalenza di richieste a conferma della documentazione illustrata, inidonee a dimostrare la natura subordinata del rapporto di cui si controverte, sicché appare incensurabile la decisione del primo giudice di non ammettere i mezzi istruttori articolati nel ricorso ex art. 414 c.p.c., in quanto aventi ad oggetto circostanze irrilevanti o non determinanti. Le circostanze capitolate a prova, infatti, risultano prive di efficacia dimostrativa in ordine all'elemento essenziale dell'assoggettamento dell'appellante all'altrui potere direttivo, organizzativo e disciplinare e comunque inidonee ad asseverare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti. Esclusa la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, il Collegio condivide le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale relativamente alla insussistenza nella fattispecie anche di un rapporto di collaborazione riconducibile al disposto di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 81 del 2015, a far data dall' 1.1.2018. La Suprema Corte ha statuito che "ai rapporti di collaborazione di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 81 del 2015, in un'ottica sia di prevenzione sia rimediale, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato quando la prestazione del collaboratore sia esclusivamente personale, venga svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi ed al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente, senza che il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta sia tenuto a compiere ulteriori indagini, né possa trarre, nell'apprezzamento di essi, un diverso convincimento dal giudizio qualificatorio di sintesi. In tema di rapporti di collaborazione ex art. 2 del D.Lgs. n. 81 del 2015, ai fini dell'individuazione della nozione di etero-organizzazione, rilevante per l'applicazione della disciplina della subordinazione, è sufficiente che il coordinamento imposto dall'esterno sia funzionale con l'organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione predisposta dal primo, inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione di impresa, costituendo la unilaterale determinazione anche delle modalità spazio-temporali della prestazione una possibile, ma non necessaria, estrinsecazione del potere di etero-organizzazione" (Cass. 24.1.2020, n. 1663). Secondo la Cassazione, quindi, si deve ritenere che possa essere ravvisata etero-organizzazione rilevante ai fini dell'applicazione della disciplina della subordinazione anche quando il committente si limiti a determinare unilateralmente il quando e il dove della prestazione personale e continuativa". Questa caratteristica, imposta dall'esterno, identifica la fattispecie della etero-organizzazione e di conseguenza l'applicazione "piena" delle tutele del lavoratore. Nella fattispecie, il Collegio condivide le puntuali osservazioni del primo giudice, il quale ha evidenziato che "Non emerge in alcun modo che il committente abbia definito tempi e modi della prestazione del ricorrente che risultava libero di organizzarsi per rendere il risultato richiesto. Non c'è un solo documento che evidenzi, al di là del raggiungimento dell'obiettivo, un vincolo in merito alle modalità di esecuzione della prestazione. La facoltà di usufruire della struttura aziendale, ivi compresa la segreteria, era già riconosciuta in contratto e non è stato in alcun modo provato che la presenza in azienda del ricorrente fosse frutto di una richiesta specifica del committente (sanzionata in caso di assenza) invece che di una scelta organizzativa dello stesso consulente. L'utilizzo di beni aziendali, auto, cellulare ecc. è elemento di per sè neutro in assenza di ulteriori indici; peraltro nel contratto del 2020 è previsto solo il rimborso spese." Per le ragioni esposte l'appello va respinto con integrale conferma della sentenza impugnata. Le spese di lite del grado seguono la soccombenza e si liquidano in conformità ai parametri di cui al D.M. n. 147 del 2022 nella misura di cui al dispositivo, oltre rimborso forfettario per spese generali (15%) ed oneri di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della reclamante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. Respinge il ricorso; condanna l'appellante a rimborsare alla controparte le spese di lite del grado che liquida in complessivi Euro 3.500,00 oltre oneri accessori di legge e spese forfettarie al 15%; ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Così deciso in Milano il 19 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Milano, sezione lavoro, composta da: Dott. Giovanni PICCIAU - Presidente Dott. Giovanni CASELLA - Consigliere rel. Dott.ssa Daniela MACALUSO - Giudice Ausiliario ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello avverso la sentenza n. 186/22 del Tribunale di Pavia, est. Dott.ssa Do.On., discussa all'udienza collegiale del 6/2/2023 e promossa DA (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Fr.Br., ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Pavia, Corso (...) APPELLANTE CONTRO (...), titolare dell'omonima impresa individuale, rappresentato e difeso dall'Avv. Ni.Vi., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Vigevano, Corso (...) APPELLATO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza n. 186/22 pubblicata il 18/05/22 il Tribunale Ordinario di Pavia, Sezione Lavoro (Dott.ssa (...)) ha respinto il ricorso promosso da (...) contro (...) agente monomandatario della SIAE e titolare di impresa individuale, condannando la ricorrente alla refusione delle spese di giudizio liquidate in Euro 2.000,00 oltre IVA e CPA. Con ricorso depositato in data 31/07/2019, (...) dichiarava di essere stata assunta da (...) in data 01/03/2016 tramite contratto part-time orizzontale di 20 ore settimanali (dalle 8:15 alle 13:15) stante le sue esigenze familiari di madre di due figli minori. Dichiarava che i rapporti con il datore di lavoro si erano "raffreddati" a seguito della presenza in azienda della nuova fidanzata di quest'ultimo, la quale, aveva immotivatamente sviluppato nei confronti della ricorrente una forte gelosia. Il Sig. (...) secondando l'atteggiamento persecutorio della propria fidanzata adottava strategia per indurre la ricorrente a dimettersi: prendendo la decisone unilaterale di ridurre l'orario di lavoro della stessa a sole 6 ore settimanali, da svolgersi nella fascia pomeridiana, impedendole così di accudire i propri figli, variando le sue mansioni e relegandole alle uniche attività di back office mentre in precedenza la ricorrente di fatto reggeva l'ufficio. Ravvisando in tali comportamenti misura irragionevole e persecutoria, generandole uno stato di ansia costante che l'aveva costretta, a fine marzo 2019, a dimettersi per giusta causa, adiva il Tribunale chiedendo la condanna del Sig. (...) al risarcimento dei danni derivanti dalla propria illegittima condotta e comunque la corresponsione delle retribuzioni omesse, oltre al Tfr e all'indennità di mancato preavviso. Si costituiva tardivamente il Sig. (...) contestando i fatti avversari e chiedendone il rigetto. Il giudice di prime cure, all'esito dell'esperita istruttoria, dichiarava infondato il ricorso dal momento che i testi escussi non avevano fornito prova di alcun atteggiamento persecutorio e/o vessatorio di (...) nei confronti della ricorrente e avevano confermato che i rapporti tra gli stessi si erano soltanto raffreddati dopo la comparsa della fidanzata del datore di lavoro. Pertanto, in assenza di accertamento dell'esistenza di atti persecutori posti in essere dal datore di lavoro il tribunale di prime cure rigettava la richiesta di danni non patrimoniali. Non sussisteva, per il giudice di prime cure, nemmeno la giusta causa di dimissioni a fronte dell'unilaterale riduzione di orario non accettata dalla ricorrente in quanto parte resistente, durante il periodo di malattia che aveva preceduto le dimissioni, aveva continuato a corrispondere lo stipendio previsto dal precedente orario part-time, dimostrando di non voler attuare la riduzione di orario in assenza di consenso della lavoratrice. In assenza della giusta causa di dimissioni risultava anche giustificata la trattenuta operata dal datore di lavoro per mancato preavviso e corretti i conteggi sulle spettanze retributive di parte resistente, dal momento che la ricorrente non aveva mai ripreso il lavoro dopo essersi posta in malattia il 12/09/2018. La Sig.ra (...) con atto depositato in data 15/11/22 ha proposto appello, insistendo per la riforma della sentenza di primo grado. Questi i motivi di appello: - Primo motivo d'appello. Sulla asserita mancata prova dell'atteggiamento persecutorio o comunque della violazione del dovere di protezione di cui all'art. 2087 c.c. Sussistenza di giusta causa di dimissioni per la violazione del dovere datoriale di protezione dell'integrità psicofisica della dipendente nell'esercizio delle mansioni e sul luogo di lavoro. Sul punto parte appellate denuncia la decisione del giudice dal momento che la stessa è stata presa in assenza di considerazione di quanto emerso dalle risultanze di causa. Le lamentele della Sig.ra (...), infatti, non riguardavano tanto "il raffreddamento" dei rapporti lavorativi con il Sig. (...) o il grado di persecutorietà degli stessi quanto l'atteggiamento omissivo e tollerante del datore di lavoro nei confronti di una forma di aggressione psicologica di cui l'appellante era vittima, proveniente da un soggetto estraneo al lavoro (fidanzata del Sig. M.), che era presenza fissa in azienda e fonte di continue vessazioni. Parte appellante insiste nell'affermare che il Sig. (...), avallando tali comportamenti intimidatori si era reso colpevole di violazione dei doveri di protezione richiesti dall'art. 2087 c.c. ponendo in essere una forma di inadempimento contrattuale idonea a giustificare le dimissioni ex art. 2119 c.c. Infatti, contrariamente a quanto dichiarato dal Giudice, dall'istruttoria era chiaramente emerso il colpevole atteggiamento del Sig. (...), che non era mai intervenuto per garantire serenità sul luogo di lavoro, come sarebbe stato suo dovere fare. Sull'asserita mancata prova dell'atteggiamento persecutorio. Sussistenza di elementi univoci che dimostrano l'intento di indurre la ricorrente alle dimissioni.Esercizio emulativo e abusivo, oltre che illegittimo, del potere datoriale di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali su orario e mansioni L'appellante ricorda ancora una volta tutti gli atteggiamenti posti in essere nei suoi confronti, da qualificarsi come chiari segni di una strategia attuata per allontanarla dal proprio posto di lavoro, poiché diventata un problema personale del titolare e della sua fidanzata: Nella sentenza infatti non viene fatto alcun cenno a tutto lo scambio di richieste e comunicazioni in merito alle condizioni lavorative sull'orario e sulla variazione delle mansioni, i quali se valutati globalmente contribuirebbero a costituire, oltre che un'autonoma ragione che giustifica le dimissioni, una ulteriore dimostrazione della reale intenzione del datore di lavoro che, non avendo valido motivo per licenziare la dipendente, aveva fatto in modo che fosse lei stessa a interrompere il rapporto di lavoro, dimettendosi. Ben conoscendo gli impegni familiari della sua dipendente il Sig. (...) sapeva che, andando a colpire le sue condizioni di lavoro, l'avrebbe messa in grande difficoltà e infatti sul punto parte appellante ricorda la lettera del 09/08/19, nella quale dapprima le veniva chiesto il passaggio dal regime a tempo parziale a quello a tempo pieno per poi, a seguito di sua accettazione (seppure a malincuore) cambiare di nuovo idea e ridurle ulteriormente l'orario (da 20 ore a 6), spostando inoltre la fascia oraria di impegno lavorativo al pomeriggio, ben sapendo la sua impossibilità ad accettare tale cambiamento. Questa fascia oraria per l'appellante non aveva alcuna logica e ragione di essere, posto che la mansione richiesta veniva ridotta alle solo funzioni di back office e dunque una mansione da svolgere indifferentemente in qualunque fascia oraria senza il vincolo imposto dagli orari di apertura al pubblico. Appare quindi per la stessa innegabile ed evidente che l'intento perseguito dal datore di lavoro, lungi dall' essere dettato da reali esigenze organizzative, era motivato esclusivamente dall'obiettivo di liberarsi definitivamente dell'appellante inducendola a desistere, data la scomodità dell'orario e la totale antieconomicità delle nuove condizioni contrattuali imposte. Carenza di motivazione della sentenza nella parte in cui ignora totalmente le conseguenze delle vicende di causa sotto il profilo della salute psicofisica della dipendente e la loro rilevanza ai fini della valutazione della sussistenza della giusta causa di dimissioni Lo stato psicoemotivo in cui versa l'appellante, indotto dalla stressante situazione lavorativa alla quale era stata sottoposta è stato provato dalla perizia del medico legale, nella quale si dava conto di una sintomatologia da disturbo dell'adattamento con ansia di grado non complicato, sintomatologia insorta già a giugno 2018. Da settembre 2018 il disturbo si era poi aggravato e, come riferisce il medico legale, "la signora andò incontro a un completo tracollo psicofisico con importante componente ansiosa e depressiva, con sintomi quali disturbi del sonno". - Secondo motivo d'appello. Sulla asserita insussistenza della giusta causa a fronte della unilaterale riduzione dell'orario di lavoro Il datore di lavoro, procedendo immotivatamente a mutare (ridimensionandolo) l'orario di lavoro dell'appellante ha violato la disciplina di legge e quella del CCNL degli Studi Professionali (fonte collettiva applicabile al caso in esame, per rinvio espresso nel contratto individuale). Il contratto individuale sottoscritto dalle parti, infatti, ricorda l'appellante, non aveva previsto espressamente alcuna clausola elastica o flessibile: il datore di lavoro non aveva perciò alcun diritto di imporre alla Sig.ra (...) una variazione dell'orario, e, men che meno, una riduzione e una modifica in senso peggiorativo delle sue condizioni di lavoro. Sul punto parte appellante impugna anche tale statuizione del giudice di prime cure: "Non sussiste la giusta causa di dimissioni neanche a fronte dell'unilaterale riduzione di orario non accettata dalla ricorrente: parte resistente durante il periodo di malattia che ha preceduto le dimissioni ha continuato a corrispondere lo stipendio previsto dal precedente orario part time così allo stato dimostrando di non voler attuare la riduzione dell'orario in assenza di consenso e quindi in conformità alla richiesta del legale di controparte" dal momento che il suddetto assunto era frutto di un'errata valutazione dei fatti operata dal tribunale. Infatti: la malattia, che, come noto, sospende la prestazione lavorativa, era intervenuta il 12-9-2019, il giorno dopo la comunicazione di riduzione dell'orario e prima che essa potesse spiegare i suoi effetti. Dunque, il datore di lavoro non aveva fatto in tempo ad attuare la sua disposizione di modifica dell'orario, né aveva potuto farlo, perché nel frattempo la Sig.ra (...) era in sospensione per malattia. Non aveva alcun valore concludente quindi osservare che le buste paga fossero parametrate sull'orario precedente alla modifica dal momento che tale fatto non era certo dipeso dal datore di lavoro, il quale non versa l'indennità di malattia, ma anticipa soltanto una indennità che è a carico dell'INPS. Una volta cessato il periodo di malattia, alla fine del mese di marzo 2019, preso atto che il datore di lavoro non aveva mai comunicato alcun ripensamento rispetto alla propria decisione e non aveva quindi nessuna intenzione di ripristinare le abituali condizioni di lavoro, l'appellante, provata emotivamente, si era vista costretta a dimettersi per giusta causa, ritenendo che non ci fossero le condizioni per riprendere anche solo provvisoriamente l'attività lavorativa alle condizioni attese al rientro sul posto di lavoro. - Terzo motivo di appello. Carenza di motivazione. Illegittimità ed erroneità della sentenza nella parte in cui giudica corretti i conteggi di parte resistente e respinge le domande di versamento delle differenze retributive dovute La Sig.ra (...) nel ricorso dava atto di avere ricevuto 2 bonifici dopo la cessazione del rapporto, di importo insufficiente non precisamente contestato perché non in possesso delle buste paga e del prospetto Tfr. Una volta presa visione delle buste paga le era stato possibile formulare dei rilievi puntuali, oggetto delle note di trattazione scritta depositate per l'udienza del 9-3-2021. Tali rilievi - ad avviso dell'appellante - sarebbero stati completamente ignorati dal Giudice che ha respinto la domanda di pagamento delle differenze maturate, ignorando addirittura l'esplicita ammissione della parte convenuta che aveva dichiarato di non aver correttamente versato l'importo dovuto a titolo di Tfr. L' appellante insiste quindi per il pagamento dei seguenti importi: Euro 379,00 sulla retribuzione di marzo 2019 Euro 64,27 ferie non godute Euro 12,25 ex festività non godute Euro 34,54 rol non goduti Euro 128,94 mensilità aggiuntive per 13ma e 14ma Euro 1428,22 restituzione indebita trattenuta indennità di preavviso e liquidazione medesimo importo a titolo di indennità ex art. 2119 c.c. Euro 191,45 a titolo di differenza sul tfr. Totale differenze dovute: Euro 2.238,67 (da pag. 23 a 25 riporta i conteggi effettuati per addivenire a tali importi: "Busta paga maggio: Ferie: nella busta di maggio manca un rateo mensile pari a 2,16 giornate e quindi spetta alla ricorrente a titolo di indennità per ferie non godute, non correttamente conteggiate nella busta paga di maggio, la somma di Euro 64, 27 (pari alla paga giornaliera di Euro 29,75 x 2,16). Per quanto riguarda le ex festività non godute manca un rateo, che è calcolabile moltiplicando 1,33 (ore) x paga oraria Euro 9,2097 = Euro 12,25 I Rol si bloccano invece a gennaio, mancano quindi nella busta paga di maggio i ratei maturati nel trimestre gennaio-marzo. Tenuto conto che il monte annuale spettante alla ricorrente, lavoratrice part time, è pari a 15 ore, ovvero pari al 50% del monte ore dovuto nel contratto full time che è di 30 ore, le differenze retributive dovute possono essere così calcolate: monte ore 15:12x3= 3,75 ore x Euro 9,2097 (paga oraria) = Euro 34,54 Anche sulla 13 ma e 14 ma manca un rateo nella busta paga di maggio. In particolare, se si tiene conto che un rateo di 13ma e di 14ma ammonta a 64,47 (ovvero è pari alla paga mensile part time di Euro 773,61 : 12= Euro 64,67), emerge la differenza tra quanto dovuto e quanto liquidato nell'ultima busta paga di maggio. Infatti, l'importo dovuto a titolo di 13ma sarebbe stato pari a Euro 193,40 a fronte di un percepito pari a 128,96. La differenza fra dovuto e percepito è pari a 64,47. Lo stesso dicasi per la 14ma in cui, a fronte di un dovuto pari a 580,21, è stato calcolato l'importo di 515,74, con una differenza pari a 64,47. Il totale dovuto alla ricorrente a titolo di differenza sulle mensilità aggiuntive è pari a Euro 128,94"). - Quarto motivo d'appello. Illegittimità della sentenza in punto condanna alle spese Nell'auspicata riforma della sentenza, parte appellante chiede la riforma della decisione anche in merito alla condanna alla refusione delle spese di lite. In data 24/01/2023 si è costituito in giudizio il Sig. (...) chiedendo il rigetto del ricorso avversario in quanto infondato e la conferma della sentenza impugnata. All'udienza di discussione la causa è stata decisa come da dispositivo in calce. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello è solo parzialmente fondato. L'appellante censura la sentenza qui impugnata per distinti ordini di ragioni: in primo luogo, per aver il Tribunale ritenuto insussistente l'atteggiamento persecutorio da parte del datore di lavoro, nonché della fidanzata di quest'ultimo, e, di conseguenza, per aver ritenuto non violato il dovere di protezione ex art. 2087 c.c.; in secondo luogo, per avere il Giudice ingiustamente dichiarato l'insussistenza della giusta causa delle dimissioni a fronte della unilaterale riduzione dell'orario di lavoro; in terzo luogo per aver il Tribunale giudicato corretti i conteggi di parte resistente e respinto le domande di versamento delle differenze retributive dovute; infine, per avere condannato l'odierna appellante a rifondere a (...) le spese di giudizio. 1. Per quanto attiene alle condotte asseritamente persecutorie poste in essere dal Sig. (...) e dalla fidanzata di quest'ultimo, questo Collegio non ritiene raggiunta la piena prova dei fatti allegati. Com'è noto, integra la nozione di mobbing la condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e consistente nel compimento di una pluralità di atti giuridici o meramente materiali ed eventualmente anche leciti, diretti alla persecuzione o all'emarginazione del dipendente, di cui viene lesa - in violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 c.c. - la sfera professionale o personale, intesa nella pluralità delle sue espressioni (sessuale, morale, psicologica o fisica). Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio unificante i singoli fatti lesivi, che rappresenta elemento costitutivo della fattispecie (vedi, ex plurimis, Cass., 17/02/2009, n.3785). Nella specie, come ritenuto dal Tribunale, non emergono frequenti comportamenti aggressivi posti in essere dal Sig. (...) e/o dalla sua fidanzata riconducibili alla fattispecie del mobbing o comunque tali da cagionare uno stato d'ansia che non consentisse la prosecuzione della prestazione lavorativa. Né può ravvisarsi nella specie un'ipotesi di straining, in quanto la Suprema Corte ha già affermato, con indirizzo cui il Collegio intende dare continuità, che lo straining altro non è se non una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie, azioni che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull'art. 2087 cod. civ., norma di cui da tempo è stata fornita un'interpretazione estensiva costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati dagli artt. 32,41 e 2 Cost. (v. Cass. 4 novembre 2016, n. 3291 e la recente Cass. 19 febbraio 2018, n. 3977). Nelle decisioni citate è stato precisato che non integra violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. l'aver qualificato la fattispecie come straining mentre in ricorso si sia fatto riferimento al mobbing, in quanto si tratta soltanto di adoperare differenti qualificazioni di tipo medico-legale, per identificare comportamenti ostili, in ipotesi atti ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato, essendo il datore di lavoro tenuto ad evitare situazioni "stressogene" che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio (sul punto, la già citata Cass. n. 3291/2016 e la più recente Cass. 29 marzo 2018, n. 7844). Invero, nella specie, non si ravvisano neppure queste caratteristiche attenuate poiché dall'istruttoria non è emersa alcuna condotta persecutoria, avendo i testimoni riferito solamente di un generale clima di "freddezza" sul luogo di lavoro (vedi (...)), mentre, in relazione alle condotte della fidanzata del Sig. (...), è emerso un solo episodio, ossia quello relativo alla corrispondenza whatsapp del 26/06/18, mentre non sono emerse altre condotte vessatorie poste in essere da quest'ultima sul luogo di lavoro. In assenza di condotte integranti la fattispecie del mobbing o dello straining, non si può nemmeno ritenere sussistente la violazione dell'art. 2087 c.c. da parte del datore di lavoro. Di conseguenza, tali condotte isolate non possono costituire giusta causa di recesso da parte dell'appellante. 2. Il secondo motivo di censura è meritevole di accoglimento. Come correttamente rilevato dall'appellante, e contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, la modificazione unilaterale dell'orario di lavoro, considerata unitamente al complessivo peggioramento delle condizioni lavorative della dipendente, costituisce giusta causa delle dimissioni di quest'ultima. Infatti, in data 9 agosto 2018, il Sig. (...) ha inviato ai propri dipendenti una missiva nella quale li invitava a prestare o meno la loro adesione alla modifica dell'orario di lavoro in orario full time (40 ore settimanale), chiedendo loro altresì di dare un riscontro entro il 24 agosto dello stesso anno. Con una lettera del 24 agosto 2018, la Sig.ra (...) ha richiesto al datore di lavoro ulteriori chiarimenti. Chiarimenti poi forniti dal Sig. (...) con una lettera del 3 settembre 2018, nella quale ribadiva la necessità organizzativa di adibire due lavoratori all'orario full time di 40 ore settimanali, indicando le mansioni richieste, e sollecitando una pronta risposta da parte della Sig.ra (...). Con lettera del 10 settembre 2018, la lavoratrice ha confermato la propria necessità di conservare il posto di lavoro, aggiungendo che, essendo comunque obbligata a mantenere l'impiego in ragione dei propri carichi familiari, avrebbe accettato, obtorto collo, la modificazione in aumento dell'orario di lavoro. Il giorno seguente, il datore di lavoro inviava una raccomandata a mano nella quale comunicava che, dal giorno 12/09/2018, l'orario di lavoro della Sig.ra (...) sarebbe stato di 6 ore settimanali (martedì e giovedì dalle ore 14,30 alle 17,30), con mansioni esclusivamente di back office e retribuzione riproporzionata al nuovo orario. Il 12 settembre 2018, la lavoratrice iniziava il periodo di malattia che sarebbe proseguito sino alla data delle dimissioni, formalizzate il 02.04.2019. Nel frattempo, veniva recapitata la missiva della dipendente, datata 18.09.2018, con cui manifestava la volontà di proseguire nel contratto part time, ovverosia quello di 20h all'epoca in vigore tra le parti. Dal 18 settembre non sono più seguiti scambi epistolari tra le parti. Alla luce del quadro appena ricostruito, emerge come la riduzione dell'orario di lavoro sia stata imposta unilateralmente dal datore di lavoro, poiché, a seguito della manifestata volontà della Sig.ra (...) di accettare il nuovo orario di 40h settimanali e dell'espresso rifiuto della successiva modifica in 6h settimanali, non ha più modificato la propria proposta, né ha dichiarato di accettare la controproposta della lavoratrice. In materia di part-time, l'art. 6 del D.Lgs. n. 81 del 2015 prevede che "il rifiuto del lavoratore di concordare una variazione dell'orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento". Tale norma afferma una regola già prevista dalla precedente normativa sul part-time, e fa da pendant all'art. 8 secondo cui "il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento". La ratio di queste disposizioni è facilmente identificabile. Qualunque mutamento dell'orario di lavoro - sia il passaggio da part-time a full time o viceversa, sia una variazione della fascia oraria del part-time - presuppone l'accordo tra le parti e, dunque, il consenso del lavoratore: consenso che non può essere estorto, né ottenuto dietro minaccia di licenziamento. Di riflesso, è sicuramente illegittimo, perché in contrasto con il divieto di cui si discute, il licenziamento che costituisce una ritorsione del datore di lavoro nei confronti del dipendente che ha rifiutato di aderire a una proposta di modifica dell'orario di lavoro. Ne consegue, quindi, che la pretesa del datore di lavoro di imporre unilateralmente la trasformazione del contratto part time senza il consenso del lavoratore integra un grave inadempimento e, come tale, giustifica senz'altro le dimissioni del lavoratore per giusta causa. Nella specie, l'imposizione unilaterale della modifica oraria, peraltro accompagnata dalla modifica in peius della retribuzione e dalla riduzione delle mansioni, giustifica senz'altro le dimissioni per giusta causa da parte della sig.ra (...). Inoltre, come correttamente individuato dall'appellante, il contratto individuale sottoscritto dalle parti non aveva previsto espressamente alcuna clausola elastica o flessibile: il datore di lavoro non aveva perciò alcun diritto di imporre alla sig.ra (...) una variazione dell'orario, e, men che meno, una riduzione e una modifica in senso peggiorativo delle sue condizioni di lavoro. Risulta inconferente l'eccezione di parte datoriale in base alla quale le dimissioni non sarebbero avvenute immediatamente dopo la condotta inadempiente del sig. (...) e, dunque, non sarebbero sorrette da una giusta causa. Invero, nella specie, le dimissioni sono state presentate immediatamente dopo il periodo di malattia, la quale, secondo consolidata giurisprudenza, costituisce causa di sospensione del rapporto di lavoro. In forza di tale effetto sospensivo, non possono essere considerate tardive le dimissioni che intervengano contestualmente allo spirare del termine della malattia. Va, infatti, rimarcato come la verifica inerente alla sussistenza del requisito della immediatezza, che condiziona la validità e tempestività delle dimissioni del lavoratore per giusta causa, da intendere - secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (vedi, da ultimo, Cass., 06/03/2020, n. 6437) - "in senso relativo" (Cfr. anche Cass., 11/12/2018, n. 31999, secondo cui il principio dell'immediatezza, che condiziona la validità e tempestività delle dimissioni del lavoratore per giusta causa, deve essere inteso in senso relativo e può essere, nei casi concreti, compatibile con un intervallo ragionevole di tempo). Per tali ragioni, sussiste la giusta causa delle dimissioni della sig.ra (...), in quanto presentate immediatamente dopo il periodo di malattia e a fronte dell'illegittima pretesa del datore di lavoro di imporre - per ritorsione - una riduzione unilaterale dell'orario di lavoro. Nessun comportamento concludente o acquiescente ha posto in essere la lavoratrice all'imposizione datoriale, reagendo, anzi, tempestivamente, alla modificazione oraria, opponendosi nel primo giorno utile (terminata cioè la malattia) a tale disposizione illegittima. La lavoratrice (vedi infra) ha quindi diritto alla restituzione indebita della trattenuta per l'indennità di preavviso e alla liquidazione del medesimo importo a titolo di indennità (ex art. 2119 c.c.). 3. Anche il terzo motivo di appello, in quanto consequenziale al secondo, merita accoglimento. La lavoratrice ha diritto di ricevere la piena retribuzione per tutto il periodo in cui è stata in malattia (comprensivo, quindi, di tutto il mese di marzo 2019), non potendo avere alcuna rilevanza il periodo di comporto in quanto il superamento di tale periodo, previsto dall'art. 2110 c.c., non costituisce un'autonoma causa di automatico e giustificato recesso, ma solo una condizione necessaria perché il datore di lavoro possa porre in essere un valido licenziamento. In assenza di un formale recesso intimato dal datore, il rapporto di lavoro non può dirsi affatto cessato. Poiché i calcoli effettuati dall'appellante - in parte non specificamente contestati, in parte non contestati in assoluto - si ritengono correttamente effettuati, l'appellato è tenuto a corrispondere alla Sig.ra (...) le seguenti somme: Euro 379,00 sulla retribuzione di marzo 2019; Euro 64,27 per ferie non godute; Euro 12,25 a titolo di ex festività non godute; Euro 34,54 per rol non goduti; Euro 128,94 a titolo di mensilità aggiuntive per 13ma e 14ma; Euro 1428,22 quale restituzione indebita trattenuta indennità di preavviso e liquidazione medesimo importo a titolo di indennità ex art. 2119 c.c.; Euro 191,45 a titolo di differenza sul tfr. 4. Vista la parziale reciproca soccombenza, l'appellato dev'essere condannato al pagamento delle spese del doppio grado nella misura del 50%, liquidate come da dispositivo, in ragione della controversia e delle tabelle dei compensi professionali di cui al D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, come modificato dal decreto 8-3-2018, n. 37. Considerato che per mero errore materiale nel dispositivo della sentenza si è fatto erroneamente riferimento all'"appellante" invece che all'"appellato" quale parte onerata al pagamento dell'importo complessivo di Euro 2.238,67 oltre accessori (rigo 14), nonchè quale parte condannata al pagamento delle spese del doppio grado nella misura del 50% (rigo 17), si procede - come consentito dalla giurisprudenza della Suprema Corte (vedi Cass. 11794/2021 e Cass. 5894/2012) - ad emendare tale errore materiale, disponendo che la parola "appellante", ripetuta due volte nelle righe 14 e 17, sia sostituita in entrambi i casi dalla parola "appellato". P.Q.M. In parziale riforma della sentenza n. 186/22 del Tribunale di Pavia, dichiara che la sig.ra (...) si è dimessa per giusta causa in conseguenza della illegittima variazione unilaterale dell'orario di lavoro; per l'effetto, dichiara che l'appellato è tenuto a corrispondere alla sig.ra (...) le seguenti somme: Euro 379,00 sulla retribuzione di marzo 2019; Euro 64,27 per ferie non godute; Euro 12,25 a titolo di ex festività non godute; Euro 34,54 per rol non goduti; Euro 128,94 a titolo di mensilità aggiuntive per 13ma e 14ma; Euro 1428,22 quale restituzione indebita trattenuta indennità di preavviso e liquidazione medesimo importo a titolo di indennità ex art. 2119 c.c.; Euro 191,45 a titolo di differenza sul tfr; condanna, pertanto, l'appellato a pagare alla sig.ra (...) l'importo complessivo di Euro 2.238,67 oltre interessi e rivalutazione come per legge; conferma le restanti statuizioni di merito della sentenza appellata; condanna, infine, l'appellato al pagamento delle spese del doppio grado nella misura del 50%, liquidate in tale quota in Euro 2.500,00 oltre spese generali ed accessori di legge, compensando tra le parti la restante quota. Così deciso in Milano il 6 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA Sezione controversie lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie composta dai Sigg. Magistrati: DI SARIO dott.ssa Vittoria - Presidente rel. SELMI dott. Vincenzo - Consigliere CERVELLI dott. Vito Riccardo - Consigliere all'esito dell'udienza del 9.2.2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3386 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 vertente TRA COMUNE DI ARDEA elett.te dom.to in Casarano (Le), via (...), presso lo studio dell'avv.to Gi.De. che lo rappresenta e difende giusta procura depositata in telematico APPELLANTE E (...) elett.te dom.to in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv.to Ma.Pi. che unitamente all'avv. Gi.An. la rappresenta e difende giusta procura depositata in telematico APPELLATA Oggetto: appello avverso la sentenza n.1218/2020 del Tribunale di Velletri depositata il 10.11.2020 e notificata via PEC l'11.11.2020 RAGIONI DELLA DECISIONE 1. L'arch. (...), premesso di essere dipendente del Comune di Ardea dal 2007 come Istruttore tecnico qualifica (...) e di essere stata designata come responsabile unico del procedimento di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche per il predetto ente giusta Det.Dirig. n. 72 del 5 aprile 2013, ha agito in giudizio chiedendo al giudice di accertare che le mansioni svolte erano inquadrabili nella superiore categoria (...) e conseguentemente di condannare il Comune di Ardea al pagamento delle differenze retributive tra quanto percepito con riguardo alla categoria (...) e quanto dovuto in ragione della superiore categoria (...), con condanna anche alla restituzione delle somme corrisposte da essa ricorrente per l'iscrizione al proprio albo professionale. 1.1. Nella resistenza del Comune di Ardea, il Tribunale di Velletri ha così disposto: -Accerta e dichiara che le mansioni svolte dall'Arch. (...) a seguito della sua designazione quale responsabile unico del procedimento di rilascio delle Autorizzazioni paesaggistiche per il Comune di Ardea dal 2013 al 2019 in poi, erano proprie della Categoria (...) del CCNL di riferimento. - Per l'effetto condanna il Comune resistente, in persona del Sindaco pro tempore, a pagare in favore della medesima (...) le differenze retributive derivanti dal raffronto tra la retribuzione da lei effettivamente percepita, riferita alla Categoria (...) del CCNL e quanto le sarebbe spettato in virtù delle mansioni svolte corrispondenti alla Categoria (...) del medesimo CCNL, nei limiti della prescrizione quinquennale (a decorrere dal 9.10.2014). - Rigetta la domanda di rimborso delle spese per l'iscrizione all'Albo del Architetti. - Condanna il Comune resistente, in persona del Sindaco pro-tempore, a rimborsare alla ricorrente le spese processuali che vengono liquidate in complessivi Euro 2.000,00, oltre IVA e CPA e spese generali come per legge, con distrazione in favore del procuratore che se ne dichiara antistatario. 1.2. Il primo giudice: i) ha premesso che "Diversamente, nel pubblico impiego contrattualizzato, lo svolgimento di mansioni proprie di una qualifica superiore rispetto a quella di inquadramento formale non attribuisce al dipendente il diritto alla promozione automatica, ma, in ogni caso, comporta, in forza del disposto dell'art. 52, comma 5, D.Lgs. n. 165 del 2001, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore", richiamando precedenti di legittimità in materia anche in ordine al procedimento trifasico di accertamento dello svolgimento di mansioni superiori; ii) ha evidenziato che "il Comune resistente non contesta specificamente le mansioni svolte in via di fatto dall'Architetto (...) quale responsabile del procedimento amministrativo per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche sub-delegate dalla Regione Lazio al Comune di Ardea, per come dalla stessa analiticamente descritte nel ricorso introduttivo del presente giudizio. Dette mansioni, inoltre, sono state pienamente confermate dalle dichiarazioni rese dai testimoni esaminati nel corso dell'istruttoria ossia (...), dipendente della Soprintendenza delle Belle Arti del Lazio presso l'Ufficio Territoriale di Latina (che dal 2013 al 2015 era territorialmente competente per il Comune di Ardea), e da (...), dal 2016 al 2017 Responsabile dell'Area Tecnica del medesimo Comune in cui sono ricompresi i Settori Urbanistico-Paesaggistico"; iii) richiamata la disciplina collettiva, ha disatteso la tesi del Comune per cui le attività connesse all'incarico sopra indicato dovevano comunque ritenersi proprie della Categoria (...) in cui era inquadrata la ricorrente, implicando il solo diritto a vedersi riconosciuta l'indennità di cui all'art. 17 co. 2 lett. f) del CCNL di riferimento per la speciale responsabilità -pari a Euro 400,00 annue e non lorde come sostenuto dal Comune convenuto- a norma del quale, ritenendo di contro li compiti svolti dal 2013 al 2019 propri della superiore categoria (...); iv) ha, quindi condannato il Comune al pagamento "delle differenze retributive derivanti dal raffronto tra la retribuzione da lei effettivamente percepita, riferita alla Categoria (...) del CCNL, e quanto invece le sarebbe spettato in virtù delle mansioni svolte corrispondenti alla Categoria (...) del medesimo CCNL, nei limiti della prescrizione quinquennale (9.10.2014) posto che è pacifico che nei rapporti di pubblico Impego contrattualizzato la prescrizione dei crediti maturati dal lavoratore decorre in corso del rapporto"; iv) ha infine respinto "la domanda di rimborso delle spese sostenute dalla ricorrente per l'iscrizione all'Albo professionale degli Architetti difettando la prova che l'iscrizione sia avvenuta al solo scopo di poter essere destinataria dell'incarico di responsabile unico del procedimento di rilascio delle Autorizzazioni paesaggistiche". 2. Contro detta decisione ha proposto appello il Comune di Ardea lamentando: I) l'omessa pronuncia sulla preliminare eccezione di nullità e/o inammissibilità del ricorso introduttivo per omessa notifica dei conteggi; II) omessa pronuncia sulla richiesta subordinata di esso Comune di defalcare dal dovuto quanto percepito dalla (...) ex art. 17 comma 2 lett. f del ccnl di riferimento ovvero condannarla al rimborso; III) la nullità e inopponibilità della documentazione prodotta dalla (...) in corso di causa e in specie della determina 78/2020, dell'avviso pubblico prot (...) e della successiva produzione del 26.2.2020 della determina n. 107/2020; IV) l'errata valutazione delle risultanze probatorie; V) la violazione dell'art. 112 c.p.c. e quindi il vizio di ultrapetizione per avere emesso il Tribunale una condanna generica. 2.1. Si è costituita in giudizio l'arch. (...) resistendo al gravame e chiedendone il rigetto. 2.2. Previ gli incombenti di cui all'art. 437 c.p.c. la causa è stata discussa e decisa come da separato dispositivo. 3. L'appello è infondato e deve essere respinto. 4. Preliminarmente va osservato che è coperta da giudicato interno, per omessa impugnazione, la statuizione con cui è stata respinta la domanda dell'arch. (...) volta ad ottenere il rimborso delle quote versate per l'iscrizione al proprio Albo professionale. 4.1. Parimenti coperta da giudicato interno è la ritenuta parziale prescrizione dei crediti anteriori al 9.10.2014. 5. Con il primo motivo il Comune censura la gravata sentenza per avere asserita omessa pronuncia sulla preliminare eccezione da esso avanzata di nullità e/o inammissibilità del ricorso per mancanza di conteggi analitici a cui, a suo dire, conseguirebbe l'indeterminatezza della domanda e la compressione del diritto di difesa, atteso anche il mancato deposito di buste paga. 5.1. Il motivo è palesemente infondato. 5.2. Con il ricorso introduttivo l'attuale appellata ha avanzato domanda di condanna generica al pagamento delle differenze retributive conseguenti al riconoscimento dello svolgimento di mansioni superiori sicché l'assenza di un conteggio di tali differenze non rappresenta una lacuna, tantomeno suscettibile di determinare le conseguenze prospettate dall'appellante. 5.3. Il nostro ordinamento non vieta domande e conseguenti pronunce di accertamento dell'an, tenuto conto che "il nostro ordinamento costituzionale e processuale è imperniato sui principi di libertà del diritto di azione (art. 24 Cost.), e la libertà del diritto di azione si manifesta ovviamente con la facoltà dell'attore di stabilire, in totale libertà, cosa chiedere, quanto chiedere e quando chiedere, con l'unico limite del divieto di abuso del diritto" (Cass. SU n. 29862/2022, cui si rinvia anche in ordine ai riferimenti ai vari principi stabiliti dal diritto comunitario, ovvero da norme interposte ai sensi dell'art. 10 Cost., che escludono che possa qualificarsi inammissibile una domanda ab origine limitata all'an debeatur"). 5.4. La richiesta di ammissione di una ctu ovvero di determinazione del quantum in corso di causa, pure contenute nel ricorso introduttivo, si appalesa mero refuso o comunque risulta affatto idonea a negare natura generica alla domanda formulata. 6. Con il secondo motivo il Comune appellante censura la gravata sentenza per avere a suo dire omesso di pronunciare sulla richiesta subordinata da esso avanzata di detrazione dal dovuto di quanto percepito dall'appellata ai sensi dell'art. 17 comma 2 lett. f ccnl e quindi della somma di Euro 400,00 annue (come accertato in sentenza e non contestato). 6.1. Anche tale motivo è infondato. 6.2. Il Tribunale ha condannato il Comune al pagamento "delle differenze retributive derivanti dal raffronto tra la retribuzione ... effettivamente percepita, riferita alla Categoria (...) del CCNL, e quanto invece.. sarebbe spettato in virtù delle mansioni svolte corrispondenti alla Categoria (...) del medesimo CCNL" ed è lo stesso Tribunale ad avere accertato che l'appellata aveva percepito per l'attività dedotta in giudizio, nel periodo in contestazione, l'indennità di cui all'art. 17 comma 2 lett. f citato, ritenuta però insufficiente a compensare lo svolgimento di mansioni superiori. 6.3. Ne consegue che laddove nella sentenza viene fatto rinvio alla retribuzione "effettivamente percepita" come (...) la stessa si intende riferita anche all'indennità in questione, poiché appartenente ai trattamenti retributivi propri della categoria di inquadramento, quindi (...). 6.4. In ordine alla richiesta di rimborso di detta indennità, difetta in primo grado la proposizione di domanda riconvenzionale, sicché sul punto nulla doveva statuire il primo giudice 7. Con il terzo motivo l'appellante denuncia la nullità e inopponibilità della documentazione depositata in corso di causa dalla (...) (in specie la determina n. 78/2020, l'avviso pubblico parere paesaggistico, l'ordine di servizio prot (...) e la determina n. 107/2020). 7.1. Il motivo va disatteso sul semplice rilievo che si tratta di documentazione neppure citata nella gravata sentenza, che non ha affatto fondato la decisione su detti documenti, sicché la doglianza risulta irrilevante. 7.2. Tra l'altro, e ad abundantiam, va evidenziato che si tratta di documentazione di formazione successiva all'instaurazione della lite e attinente all'oggetto della controversia, la cui produzione, pertanto, non è colpita dalle preclusioni di cui all'art. 414 c.p.c. 8. Con il quarto motivo il Comune censura la gravata sentenza per avere a suo avviso errato nella valutazione delle prove, ma anche questo motivo è infondato in tutte le sue declinazioni. 8.1. Contrariamente a quanto sostenuto nel gravame, il Comune non ha affatto puntualmente contestato le mansioni dedotte dalla (...) nel ricorso introduttivo per come emerge dalla mera lettura degli atti. 8.1.1. Ed invero la (...) ha dedotto che con determina n. 72 del 5.4.2013 era stata designata responsabile del procedimento amministrativo per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, vedendo così incrementare le proprie mansioni, cumulandosi il nuovo incarico agli originari compiti consistenti nel supporto all'Ufficio patrimonio per l'acquisizione degli immobili abusivi e all'Ufficio antiabusivismo, con i conseguenti sopralluoghi per i controlli, nella redazione delle istruttorie per i procedimenti oggetto di contenzioso al TAR e ai relativi rapporti con l'Ufficio legale. Più nello specifico la predetta ha dedotto di essersi occupata da sola, e in piena autonomia, di istruire le pratiche inerenti il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche per il Comune di Ardea che ha firmato quale R.U.P. sulla proposta e come Tecnico/Istruttore RUP sulla determina finale di parere, nonché di firmare i dinieghi di autorizzazione proponendo alla Soprintendenza i pareri di non conformità dell'intervento richiesto, compiti puntualmente descritti al capitolo 10) del ricorso, cui per brevità si rinvia. 8.1.2. A fronte di tale puntuali allegazioni il Comune, per come emerge dallo stesso gravame, si è limitato ad una contestazione assolutamente generica e di stile, affatto rispondente all'onere imposto dall'art. 416 c.p.c., non potendosi qualificare diversamente affermazioni quali "E' premessa la conoscenza del ricorso introduttivo che si impugna e contesta in ogni sua parte e/o punto (alcuno dei quali debba intendersi non espressamente contestato) siccome infondato in fatto ed in diritto nonché palesemente fantasioso" ovvero "Sicchè l'arch. (...), lungi dall'espletare mansioni inquadrabili nella superiore categoria (...), si è occupata, e si occupa, di quanto ordinariamente e strettamente connesso al ruolo di responsabilità affidatole venendo gratificata con l'indennità normativamente prevista", mentre le pagine 6 e 7 della memoria di costituzione sono riservate all'indennità di cui all'art. 17 ccnl già sopra citata a deduzione dei presupposti dell'inde 8.1.3. Ne consegue che correttamente il Tribunale ha ritenuto che "il Comune resistente non contesta specificamente le mansioni svolte in via di fatto dall'Architetto (...) quale responsabile del procedimento amministrativo per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche sub-delegate dalla Regione Lazio al Comune di Ardea, per come dalla stessa analiticamente descritte nel ricorso introduttivo del presente giudizio". 8.2. Il gravame prosegue riproducendo acriticamente il contenuto della propria memoria difensiva di prime cure e contestando la valutazione delle prove testimoniali con argomenti che non inficiano affatto l'operato del primo giudice. 8.2.1. Il Comune, infatti, cerca di sminuire la portata delle risultanze testimoniali senza seriamente confrontarsi con il tenore delle stesse e con la qualificata posizione dei testi. 8.2.2 Il Tribunale ha ritenuto le mansioni dedotte in ricorso, . 8.2.3. La valutazione operata dal Tribunale trova pieno riscontro nei verbali delle deposizioni, in cui si legge: che il teste O. ha dichiarato "Per quanto a mia conoscenza la ricorrente era la responsabile della paesaggistica del Comune di Ardea ed era nostro unico interlocutore. E' vero che la ricorrente svolgeva le mansioni che mi si leggono di cui al capitolo 10 del ricorso. In particolare la ricorrente redigeva la cd relazione istruttoria che si conclude con un parere positivo o negativo che la Soprintendenza poteva accettare o non accettare. Poteva altresì accadere che la Soprintendenza desse il proprio parere favorevole che l'art. (...) poteva disattendere per il contrasto con gli altri strumenti urbanistici territoriali. Se la Soprintendenza non dava il parere nei termini di legge acquistava rilievo esterno il parere della ricorrente. Per quanto a mia conoscenza la ricorrente decideva autonomamente. La ricorrente firmava anche le autorizzazioni ai fini paesaggistici o i provvedimenti di diniego. Secondo la normativa in vigore presso la regione Lazio ogni comune per ottenere la sub-delega paesaggistica deve avere un ufficio paesaggistico con un proprio responsabile distinto dall'ufficio urbanistica"; il teste (...) ha dichiarato: "La ricorrente era una delle risorse assegnate alla mia Dirigenza e assolveva in base ad una Determinazione del 2013 le funzioni relative alle autorizzazioni paesaggistiche quale unica addetta. Si occupava anche di alcune attività proprie dell'Ufficio Urbanistico in particolare le procedure per la demolizione delle opere edilizie abusive. E' vero che la ricorrente si occupava di tutte le attività elencate al capitolo 10 del ricorso. Io come Dirigente dell'Area Tecnica controfirmavo tutti i provvedimenti decisori (dinieghi e autorizzazioni ai fini paesaggistici) ma non avevo potere decisionale in quanto l'atto mi veniva trasmesso dopo che la Soprintendenza aveva espresso il suo parere. E' vero che era l'unica persona ad interloquire con gli uffici della Soprintendenza era l'Architetto M.. Può essere capitato che per istruire le pratiche a lei assegnate sia dovuta relazionare con alti Dirigenti del Comune". 8.2.4 Si tratta di dichiarazioni puntuali e circostanziate, rese da soggetti particolarmente qualificati, che proprio in ragione della loro posizione hanno potuto riferire in ordine agli effettivi compiti svolti dall'appellata, la cui decisiva rilevanza non può certo essere negata sostenendo che la deposizione del teste O. sarebbe priva di qualsiasi riscontro e valenza probatoria perchè provenienti da soggetto del tutto estraneo alle dinamiche sia organizzative che organiche del comune di Ardea, laddove, di contro, il teste era un diretto interlocutore della (...) e ben a conoscenza delle attività di quest'ultima. 8.2.5. Irrilevante, poi, la circostanza che fosse il teste (...) a controfirmare quale dirigente gli atti della (...), tenuto conto della posizione dal primo rivestita non certo rivendicata dalla seconda. 8.3. Confermata la corretta ricostruzione in fatto operata dal primo giudice delle mansioni svolte dall'appellata nel periodo in contestazione, occorre rilevare come il gravame ometta di impugnare espressamente, formulando puntuali critiche, i successivi decisivi passaggi della decisione e più esattamente laddove si legge che "Residua, dunque, da stabilire se le attività connesse all'incarico di cui si controverte siano proprie della Categoria (...) ovvero se siano da inquadrarsi nella Categoria (...) in cui era inquadrata la ricorrente, implicando l solo diritto in capo alla stessa a vedersi riconosciuta l'indennità di cui all'art. 17 co. 2 lett. f) del CCNL di riferimento per la speciale responsabilità -pari a Euro 400,00 annue e non lorde come sostenuto dal Comune convenuto- a norma del quale: 1. Le risorse di cui all'art.15 sono finalizzate a promuovere effettivi e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza e di efficacia degli enti e delle amministrazioni e di qualità dei servizi istituzionali mediante la realizzazione di piani di attività anche pluriennali e di progetti strumentali e di risultato basati su sistemi di programmazione e di controllo quali-quantitativo dei risultati. 2. In relazione alle finalità di cui al comma 1, le risorse di cui all'art. 15 sono utilizzate per: f) compensare l'eventuale esercizio di compiti che comportano specifiche responsabilità da parte del personale delle categorie B e C quando non trovi applicazione la speciale disciplina di cui all'art. 11, comma 3, del CCNL del 31.3.1999; compensare altresì specifiche responsabilità affidate al personale della categoria (...), che non risulti incaricato di funzioni dell'area delle posizioni organizzative secondo la disciplina degli articoli da 8 a 11 del CCNL del 31.3.1999 in misura non superiore a £. 3.000.000 lordi annui per le Regioni e2.000.000 per gli altri Enti; sino alla stipulazione del contratto collettivo integrativo resta confermata la disciplina degli artt.35 e 36 del CCNL del 6.7.1995 nonché dell'art. 2, comma 3, secondo periodo, del CCNL del 16.7.1996. La contrattazione integrativa decentrata stabilisce le modalità di verifica del permanere delle condizioni che hanno determinato l'attribuzione dei compensi previsti dalla presente lettera". Ebbene, a giudizio della scrivente l'assunto difensivo del Comune di Ardea appare infondato. Ed infatti, dalla piana lettura dell'art. 17 citato, tralasciando la circostanza che nel caso in esame l'indennità è stata pari a soli 400,00 Euro annui, si evince che i compiti che comportano specifiche responsabilità non possono che essere compiti propri della relativa Categoria professionale di appartenenza e non già estendersi fino allo svolgimento di fatto, in modo pieno e continuativo, di mansioni superiori. Ebbene, a tal fine è sufficiente procedere ad un raffronto tra le declaratorie delle due Categoria professionali. In base al CCNL di riferimento appartengono alla Categoria C "i lavoratori che svolgono attività caratterizzate da: Approfondite conoscenze mono specialistiche (la base teorica di conoscenze è acquisibile con la scuola superiore) e un grado di esperienza pluriennale, con necessità di aggiornamento; Contenuto di concetto con responsabilità di risultati relativi a specifici processi produttivi/amministrativi; Media complessità dei problemi da affrontare basata su modelli esterni predefiniti e significativa ampiezza delle soluzioni possibili; (...) organizzative interne anche di natura negoziale ed anche con posizioni organizzative al di fuori delle unità organizzative di appartenenza, relazioni esterne (con altre istituzioni) anche di tipo diretto. (...) con gli utenti di natura diretta, anche complesse, e negoziale". Al fine esemplificativo, viene individuato in questa categoria il "lavoratore che, anche coordinando altri addetti, provvede alla gestione dei rapporti con tutte le tipologie di utenza relativamente alla unità di appartenenza, il lavoratore che svolge attività istruttoria nel campo amministrativo, tecnico e contabile, curando, nel rispetto delle procedure e degli adempimenti di legge ed avvalendosi delle conoscenze professionali tipiche del profilo, la raccolta, l'elaborazione e l'analisi dei dati. Appartengono, ad esempio, alla categoria i seguenti profili: esperto di attività socioculturali, agente di polizia municipale e locale, educatore asili nido e figure assimilate, geometra, ragioniere, maestra di scuola materna, istruttore amministrativo, assistente amministrativo del registro delle imprese". Diversamente appartengono alla Categoria (...) "i lavoratori che svolgono attività caratterizzate da: E. conoscenze plurispecialistiche(la base teorica di conoscenze è acquisibile con la laurea breve o il diploma di laurea) ed un grado di esperienza pluriennale, con frequente necessità di aggiornamento; Contenuto di tipo tecnico, gestionale o direttivo con responsabilità di risultati relativi ad importanti e diversi processi produttivi/amministrativi; Elevata complessità dei problemi da affrontare basata su modelli teorici non immediatamente utilizzabili ed elevata ampiezza delle soluzioni possibili; (...) organizzative interne di natura negoziale e complessa, gestite anchetra unità organizzative diverse da quella di appartenenza, relazioni esterne (con altre istituzioni) di tipo diretto anche con rappresentanza istituzionale. (...) con gli utenti di natura diretta, anche complesse, e negoziale". A fine esemplificativo viene individuato in questa categoria il "lavoratore che espleta attività di ricerca, studio ed elaborazione di dati in funzione della programmazione economico finanziaria e della predisposizione degli atti per l'elaborazione dei diversi documenti contabili e finanziari. Il lavoratore che espleta compiti di alto contenuto specialistico professionale in attività di ricerca, acquisizione, elaborazione e illustrazione di dati e norme tecniche al fine della predisposizione di progetti inerenti la realizzazione e/o manutenzione di edifici, impianti, sistemi di prevenzione, ecc. Il lavoratore che espleta attività progettazione e gestione del sistema informativo, delle reti informatiche e delle banche dati dell'ente, di assistenza e consulenza specialistica agli utenti di applicazioni informatiche. Il lavoratore che espleta attività di istruzione, predisposizione e redazione di atti e documenti riferiti all'attività amministrativa dell'ente, comportanti un significativo grado di complessità, nonché attività di analisi, studio e ricerca con riferimento al settore di competenza. Fanno parte di questa categoria, ad esempio, i profili identificabili nelle figure professionali di: farmacista, psicologo, ingegnere, architetto, geologo, avvocato, specialista di servizi scolastici, specialista in attività socio assistenziali, culturali e dell'area della vigilanza, giornalista pubblicista, specialista in attività amministrative e contabili, specialista in attività di arbitrato e conciliazione, ispettore metrico, assistente sociale, segretario economo delle istituzioni scolastiche delle Province". A ciò si aggiunga che lo stesso Comune resistente nella nota prot. n. (...) del 4.03.2019 a cui era allegato il curriculum dell'Arch. (...) riconosce implicitamente che la ricorrente fosse in possesso di esperienza pluriennale". 8.3.1. All'omessa specifica impugnazione consegue la definitività del giudizio valutativo espresso dal Tribunale e quindi la sussunzione delle mansioni accertata nella superiore categoria (...). 9. Con l'ultimo motivo di gravame il Comune addebita al Tribunale la violazione dell'art. 112 c.p.c. per avere emesso una pronuncia di condanna generica. 9.1. Il motivo è palesemente infondato atteso che lo stesso appellante deve riconoscere che la domanda formulata era di condanna generica, valendo per il resto quanto già esposto al 5. 10. Le spese del grado seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 147 del 2022 10.1. In considerazione del tipo di statuizione emessa deve darsi atto che sussistono le condizioni oggettive in capo all'appellante richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta l'appello; condanna l'appellante a rifondere all'appellata le spese di lite del grado, liquidate in Euro 3.473,00 oltre rimborso al 15%, iva e cpa, da distrarsi; in considerazione del tipo di statuizione emessa, si dà atto che sussistono le condizioni oggettive in capo all'appellante richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. Così deciso in Roma il 9 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Corte D'Appello di Roma V Sezione Lavoro e Previdenza La Corte composta dai signori magistrati: dott. Stefano Scarafoni - presidente dott. Maria Antonia Garzia - consigliere dott. Fabio Eligio Anzilotti Nitto de' Rossi - consigliere rel. Il giorno 17/02/2023, nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1068 R.G. dell'anno 2021 vertente tra (...), con gli avv. M.Sa. e M.Ia., giusta procura in atti, appellante e (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con gli avv. F.Gi. e S.De., come da procura in atti, appellata e (...) S.R.L.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, contumace - appellata ha pronunciato la seguente SENTENZA Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 6511/2020 del 19/10/2020. FATTO E DIRITTO Con la sentenza di cui all'oggetto il tribunale di Roma, accertata l'esistenza di un rapporto di lavoro tra (...) e la (...) S.R.L.S., ha condannato quest'ultima a corrisponderle le differenze retributive ed il tfr maturati nel corso del rapporto svoltosi dal 10 aprile 2017 al 31 dicembre 2018, con mansioni di cameriera ai piani presso l'hotel (...) di Roma. Ha viceversa respinto la domanda di condanna formulata ai sensi dell'art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003 nei confronti della società (...) spa. Il giudice, ha accertato: - l'esistenza di un subappalto vietato tra la società (...) SRLS con la società (...) S.C.a R.L., quest'ultima appaltatrice del servizio di pulizia alle camere dell'hotel (...), gestito dalla (...); - l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, lo svolgimento delle mansioni e l'osservanza degli orari indicati nel ricorso introduttivo. Ciò accertato il giudice ha respinto la domanda proposta nei confronti della (...) poiché l'odierna appellante non avrebbe provato che la (...) facesse parte dell'elenco delle società consorziate con la (...) e che pertanto ella non avesse dato prova di essere stata adibita ai servizi concessi in appalto da (...) a (...) e che quest'ultima avesse ottenuto la prevista autorizzazione al subappalto. In buona sostanza il giudice di prime cure ha respinto la domanda proposta nei confronti della (...) spa per non avere la lavoratrice dimostrato di essere addetta proprio all'appalto stipulato tra quest'ultima e la (...). Avverso la suddetta sentenza proposto tempestivo appello la soccombente, la quale ha formulato i seguenti motivi di appello: 1) violazione e falsa applicazione dell'art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, poiché il giudice non ha considerato l'inderogabilità pattizia della responsabilità solidale prevista per detta norma e per avere omesso di considerare l'obbligo del committente di controllare i lavoratori impiegati nell'appalto. Inoltre il divieto di subappalto non esime da responsabilità il committente, poiché questi ha sempre il dovere di controllare i lavoratori che hanno accesso al luogo di lavoro e sono adibiti all'appalto; 2) violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c.: il tribunale ha erroneamente assegnato alla ricorrente l'onere di provare l'esistenza dell'autorizzazione al subappalto ossia della circostanza di aver lavorato alle dipendenze di una società consorziata del GSC servizi, onere che al contrario sarebbe spettato alla società committente? ; 3) erroneità della disposta condanna al pagamento delle spese di lite in favore della società committente: il giudice, sulla base della difficoltà di accertamenti in fatto, avrebbe dovuto ritenere sussistente una grave ragione per disporne la compensazione. Ha concluso chiedendo, in parziale riforma della sentenza impugnata, l'integrale accoglimento della domanda come formulata nel ricorso introduttivo del giudizio, vinte le spese del doppio grado. La appellata ha resistito al gravame, del quale ha domandato il rigetto facendo proprie le motivazioni della sentenza impugnata. La società (...) s.r.l.s. è rimasta contumace e nonostante la rituale notificazione del ricorso. All'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa mediante pubblica lettura del dispositivo. L'appello è fondato e merita accoglimento. Deve anzitutto essere respinta l'eccezione dell'appellata secondo la quale la (...) non avrebbe impugnato la parte della sentenza nella quale è stata affermata la mancanza di adibizione ai servizi concessi in appalto. Difatti puntuale censura si rinviene nel secondo motivo di appello, nel secondo paragrafo della pagina 4 del ricorso, sopra riassunto. Per il resto questa Corte non condivide le affermazioni che si leggono nella sentenza impugnata. Infatti dalla prova per testi è emerso quanto segue: - i fogli di lavoro mensili provano la durata del rapporto, le mansioni svolte, gli orari osservati, compreso lo straordinario; - il lavoro di cameriera ai piani si è svolto presso l'hotel (...), come confermano i suddetti fogli e le due testi escusse nel corso del giudizio di primo grado; - la durata del rapporto indicata in ricorso coincide con quella risultante dai fogli, ossia dal 10/4/2017 al 31/12/2018; - è pacifico che i fogli fossero compilati dalla governante, referente della appaltatrice (...) (cfr. n. 13, pag. 7 della memoria difensiva di appello). Osserva la Corte che, seppure nell'elenco delle consorziate della DSG non è ricompresa la società (...), è senz'altro vero che la (...) ha lavorato presso l'hotel della (...), con mansioni di cameriera ai piani, con le modalità e la durata di cui sopra. Conseguentemente sussistono le condizioni per desumere per presunzione l'esistenza di un subappalto di fatto con la (...), ossia quegli indizi gravi, precisi e concordanti dai quali desumere l'esistenza del fatto dedotto, anche se non documentato per iscritto. Se così non fosse non si potrebbe giustificare la presenza della (...) all'interno dell'albergo ed il suo inserimento sui fogli di lavoro, con annotazione dei giorni e degli orari osservati, sotto il controllo della governante referente della (...). E deve essere certamente escluso che la appellante sia stata presente a lavorare in albergo per puro caso, ovvero all'insaputa della responsabile della (...) e dei referenti dell'hotel. L'art. 29, 2 comma, nel testo vigente in relazione al periodo in cui si riferiscono i fatti di causa, così recita: "In caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datare di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento". L'art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003 citato regola la responsabilità solidale, nell'ambito dell'appalto di opere o servizi, a carico del committente per i crediti retributivi vantati dai lavoratori dipendenti verso il datore di lavoro-appaltatore e per le obbligazioni contributive di cui sono titolari gli enti previdenziali. Si tratta di una tutela che ha il suo antecedente nella più corposa garanzia dell'art.3 della L. n. 1369 del 1960 che prevedeva per gli appalti interni il regime di solidarietà e di parità di trattamento. La norma si traduce in un'obbligazione di garanzia prevista dalla legge, incentrata sulla previsione di un vincolo di solidarietà tra committente ed appaltatore, secondo un modulo legislativo che intende rafforzare l'adempimento delle obbligazioni retributive e previdenziali, ponendo a carico dell'imprenditore che impiega lavoratori dipendenti da altro imprenditore il rischio economico di dover rispondere in prima persona delle eventuali omissioni di tale imprenditore (cfr. Cass. 27382/2019). Conseguentemente nella fattispecie, sussistendo in fatto un subappalto ed il rapporto di lavoro all'interno dell'hotel da questa gestito, la (...) deve rispondere nella propria qualità di committente ai sensi dell'art. 29 sopra richiamato. Quanto all'eccezione relativa al tfr sollevata dall'appellata nella memoria difensiva nel corso del presente grado, devesi ribattere che il rapporto con la (...) è coinciso temporalmente con la durata dell'appalto, come emerge dai fogli di presenza precedentemente indicati. Pertanto non sussiste alcuna limitazione ed il tfr deve essere corrisposto per intero. In parziale riforma della sentenza impugnata, confermata del resto, la (...) deve essere condannata a pagare all'appellante la somma di Euro 7.989,61, oltre a rivalutazione monetaria secondo indici Istat annuali ed interessi legali sulle somme via via annualmente rivalutate dalle singole scadenze al saldo. Per la determinazione della somma sono stati utilizzati, previa detrazione di quanto anticipato precedentemente dalla (...), i conteggi allegati al ricorso, perché non oggetto di specifica contestazione. La riforma della sentenza determina l'assorbimento del motivo concernente la regolazione delle spese. Spese doppio del grado a carico della parte soccombente. Nulla sulle spese verso la contumace. P.Q.M. In accoglimento dell'appello, in parziale riforma della sentenza appellata, condanna la (...) S.P.A. a pagare all'appellante la somma di Euro 7.989,61, oltre a rivalutazione monetaria secondo indici Istat annuali ed interessi legali sulle somme via via annualmente rivalutate dalle singole scadenze al saldo; condanna entrambe le società convenute, in solido tra loro, al pagamento delle spese del doppio grado, liquidate, quanto al primo, in complessivi Euro 3.350,00 e, quanto al secondo, in complessivi Euro 2.600,00, oltre a spese generali al 15%, iva e cpa, tutte da distrarsi. Così deciso in Roma il 17 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SPIRITO Angelo - Primo Presidente f.f. Dott. MANNA Antonio - Presidente di Sez. Dott. DE MASI Oronzo - Consigliere Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere Dott. STALLA Giacomo Maria - Consigliere Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 18771-2017 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende; - ricorrente - (OMISSIS), in persona del Sovrintendente pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS); - controricorrente e ricorrente incidentale - avverso la sentenza n. 673-2017 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 14/02/2017. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/01/2023 dal Consigliere ANNALISA DI PAOLANTONIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale RITA SANLORENZO, che ha concluso per l'inammissibilita' della conversione in contratti a tempo indeterminato dei contratti a termine; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS). FATTI DI CAUSA 1. La Corte d'Appello di Roma ha respinto l'appello di (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso, proposto nei confronti della (OMISSIS), volto ad ottenere: l'accertamento dell'inefficacia dei termini apposti ai contratti di lavoro subordinato intercorsi fra le parti nell'arco temporale (OMISSIS); la dichiarazione della sussistenza di un unico rapporto a tempo indeterminato instauratosi con decorrenza dal (OMISSIS) o dalla diversa data ritenuta di giustizia; la condanna della resistente alla regolarizzazione del rapporto, al pagamento delle differenze retributive, da quantificare previa ricostruzione della carriera, al risarcimento del danno nella misura consentita della L. n. 183 del 2010, articolo 32. 2. L'originario ricorrente, a sostegno della domanda, aveva dedotto di essere stato ripetutamente assunto, con mansioni di macchinista ed inquadramento nel V livello del c.c.n.l. di settore, in relazione alla produzione di spettacoli, specificati nei contratti, che coincidevano, nella sostanza, con il "cartellone di attivita'" della stagione teatrale. Aveva aggiunto che la Fondazione non aveva precisato le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificavano il ricorso al rapporto a tempo determinato, nella fattispecie utilizzato pur a fronte di uno stabile inserimento nell'organizzazione produttiva del Teatro, reso evidente dal rilievo che le prestazioni avevano finito per interessare l'intero arco annuale. 3. La Corte territoriale ha fondato la pronuncia di rigetto dell'appello su una duplice ratio decidendi, perche', da un lato, ha escluso la genericita' delle causali indicate nei contratti e, quindi, l'eccepita nullita' delle clausole durata; dall'altro ha ritenuto, all'esito della ricostruzione del complesso quadro normativo, che non potesse essere accolta la domanda di conversione in contratto a tempo indeterminato, impedita, per i rapporti sorti a far tempo dal (OMISSIS), dal divieto di nuove assunzioni imposto della L. n. 266/2005, articolo 1, comma 595, dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 392, dall' articolo 3, comma 5, nonche' da norme successive, non applicabili ratione temporis alla fattispecie. 4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di due motivi. La Fondazione ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, affidato ad un'unica censura. 5. La Quarta Sezione di questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 10 giugno 2022 n. 18865, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza sulla questione della convertibilita' in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine con clausola di durata affetta da nullita' nelle ipotesi in cui la legislazione speciale, pur a fronte della natura privatistica del rapporto di lavoro, imponga un generalizzato divieto di assunzione a tempo indeterminato o subordini l'instaurazione del rapporto al previo superamento di procedure concorsuali o selettive. Il Primo Presidente ha disposto l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. 6. Le parti ed il Pubblico Ministero hanno depositato memoria nel rispetto del termine di cui all'articolo 378 c.p.c.. La Fondazione ha altresi' depositato copia del Protocollo d'intesa stipulato con l'Avvocatura Generale dello Stato il 26 giugno 2015 nonche' copia della delibera del Consiglio d'indirizzo del 23 giugno 2022, concernenti l'affidamento del patrocinio ad avvocati del libero foro nelle cause aventi ad oggetto controversie in materia di lavoro, previdenza ed assistenza. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso principale denuncia con il primo motivo, formulato ai sensi del n. 3 dell'articolo 360 c.p.c., la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, commi 1 e 2, e censura il capo della sentenza impugnata che ha escluso l'eccepita nullita' delle clausole di durata. Sostiene il ricorrente che la ragione di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo richiesta per la legittimita' dell'apposizione del termine al rapporto di lavoro non puo' coincidere con i "normali elementi identificativi e costitutivi" del contratto e, pertanto, l'onere di specificita' non puo' essere assolto mediante la sola indicazione del termine, della sede di lavoro e delle mansioni. Precisa che detto onere non e' soddisfatto neppure dall'elencazione degli spettacoli per i quali la prestazione e' richiesta, che vale solo a circoscrivere l'oggetto del contratto e non e' sufficiente a giustificare il ricorso all'assunzione a tempo determinato. Aggiunge che nella fattispecie la Fondazione si era riservata la facolta' di utilizzare il prestatore anche nella realizzazione di "ulteriori o diverse manifestazioni al momento non previste dalla programmazione ufficiale, in aggiunta o in sostituzione di quelle specificate" sicche', nella sostanza, l'assunzione a termine era stata disposta, in assenza di ragioni temporanee, per far fronte all'esigenza di realizzazione di tutti gli spettacoli organizzati dal datore, esigenza che dovrebbe essere assicurata da dipendenti a tempo indeterminato, stabilmente inseriti negli organici della Fondazione. Addebita, inoltre, alla Corte territoriale di avere richiamato, nella motivazione della pronuncia impugnata, anche il Decreto Legge n. 64/2010, articolo 3, comma 6, del, norma inapplicabile alla fattispecie, giacche' per il principio tempus regit actum la validita' della clausola appositiva del termine deve essere valutata in relazione alla disciplina vigente al momento dell'instaurazione del rapporto. 2. Con la seconda censura, ricondotta al vizio tipizzato dal n. 3 dell'articolo 360 c.p.c., il ricorrente principale denuncia la violazione del Decreto Legge n. 64/2010, articolo 3, comma 5, e, richiamati il principio di diritto enunciato da Cass. 19 maggio 2014 n. 10924 e la sentenza della Corte Costituzionale 1 dicembre 2015 n. 260, sostiene che la trasformazione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine con clausola di durata affetta da nullita' non e' impedita dalle leggi che negli anni hanno imposto divieti di assunzione, trattandosi di norme esterne alla fattispecie dedotta in giudizio, riguardanti il funzionamento e l'autorganizzazione del datore di lavoro, come tali inidonee ad incidere sul diritto soggettivo sorto in conseguenza di atti di gestione del rapporto privatistico. 3. Il ricorso incidentale condizionato addebita alla sentenza impugnata, con un unico motivo formulato ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione degli articoli 346, 434, 414 e 112 c.p.c.. Sostiene la Fondazione che la Corte distrettuale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l'appello perche', a fronte della pronuncia di rigetto del Tribunale, fondata solo sulla non convertibilita' del rapporto, il (OMISSIS) non aveva "riproposto ed articolato le domande contenute nel ricorso di primo grado assorbite dal Tribunale, aventi ad oggetto l'accertamento della nullita' del termine...". 4. Occorre in premessa rilevare che, secondo l'orientamento consolidato nella giurisprudenza della Sezione Lavoro, dal quale queste Sezioni Unite non hanno motivo di discostarsi, qualora venga dedotta in giudizio la nullita' della clausola di durata apposta al contratto a termine e si sia in presenza di una successione di norme nel tempo, occorre fare riferimento alla normativa vigente alla data della stipulazione del contratto e non a quella in vigore al momento della pronuncia accertativa, perche' la conversione del rapporto e' la conseguenza del vizio genetico attinente all'apposizione del termine e pertanto, sia ai fini della decisione sulla legittimita' della clausola sia in relazione agli effetti che dall'illegittimita' derivano, rileva il momento temporale in cui l'actum e' stato posto in essere dalle parti (Cass. 18 novembre 2009 n. 24330 e negli stessi termini, fra le tante, Cass. 6 settembre 2018 n. 21724, Cass. 10 ottobre 2018 n. 25080, Cass. 17 settembre 2020 n. 19418). Dal principio di diritto discende che, al fine di valutare la fondatezza del ricorso principale, occorre ricostruire la complessa normativa del rapporto di lavoro a tempo determinato alle dipendenze degli enti lirici, normativa connotata da specialita', rispetto a quella generale applicabile ai rapporti di diritto privato, sia con riferimento ai requisiti necessari per la valida apposizione del termine di durata, sia in relazione alle conseguenze che derivano dall'accertata nullita' della clausola appositiva del termine. 5. Qualche cenno va fatto in premessa alla disciplina settoriale dettata per i rapporti di lavoro alle dipendenze degli enti lirici nell'ordinamento pubblicistico, delineato dalla L. 14 agosto 1967 n. 800 che, affermato l'interesse generale dello Stato alla "formazione musicale, culturale e sociale della collettivita' nazionale" (articolo 1), aveva riconosciuto agli enti lirici autonomi ed alle istituzioni concertistiche assimilate la personalita' di diritto pubblico (articolo 5) ed aveva sottoposto detti enti alla vigilanza del Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Queste Sezioni Unite, pur in assenza di un'espressa qualificazione normativa in tal senso, avevano costantemente affermato la natura non economica di detti enti, desumendola dagli interessi perseguiti, dalla mancanza di finalita' di lucro, dal godimento di sovvenzioni e contributi pubblici, dalla presenza di entrate non destinate a remunerare fattori produttivi (cfr. Cass. S.U. 5 agosto 1977 n. 3519, Cass. S.U. 21 luglio 1978 n. 3630, Cass. S.U. 29 giugno 1984 n. 3838), sicche', ai fini del riparto di giurisdizione, avevano qualificato di impiego pubblico i rapporti di lavoro, sebbene gia' all'epoca instaurati su base contrattuale, nel rispetto della contrattazione collettiva di diritto comune (l. n. 800/1967, articolo 25) e di forme di collocamento speciale (l. n. 800/1967, articolo 47). Detta qualificazione veniva, poi, ribadita, sempre ai fini del riparto di giurisdizione, anche all'esito dell'entrata in vigore del Decreto Legge 11 settembre 1987 n. 374, articolo 3, che aveva esteso ai dipendenti degli enti lirici l'applicazione della normativa vigente per gli enti pubblici economici. Le Sezioni Unite, nell'escludere che l'intervento normativo avesse inciso sulla natura dell'ente e dei rapporti di lavoro, valorizzavano, da un lato, la progressiva accentuazione, rispetto all'impianto della disciplina originaria, degli interventi finanziari e dei controlli, anche sostitutivi, da parte dello Stato; dall'altro il principio di diritto secondo cui, salva espressa disposizione normativa derogatoria, la natura pubblica del rapporto di impiego e' correlata alla personalita' del datore di lavoro e non muta per il solo fatto che il rapporto medesimo sia costituito su base contrattuale e disciplinato da contratti privatistici (Cass. S.U. 28 ottobre 1993 n. 10705, richiamata, fra le altre, da Cass. S.U. 3 marzo 2010 n. 5029). 6. In quel contesto la giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S. 20 luglio 2006 n. 4602 e le pronunce ivi richiamate) aveva escluso l'invocata estensibilita' al personale degli enti lirici della disciplina dettata dalla L. 18 aprile 1962 n. 230, articolo 2 in tema di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato, reiteratamente prorogato, in rapporto a tempo indeterminato. A tal fine, oltre a ribadire il divieto di conversione gia' affermato, piu' in generale, per i rapporti di impiego pubblico, aveva fatto leva su specifiche disposizioni derogatorie emanate dal legislatore, il quale, all'evidente fine di contenere la spesa per il personale e di porre rimedio alla cronica situazione di dissesto delle finanze degli enti lirici, gia' con la L. 22 luglio 1977 n. 426 aveva, all'articolo 3, previsto: il principio del necessario pareggio di bilancio; il divieto di assunzioni di personale amministrativo, artistico e tecnico, "anche in adempimento di obblighi di legge", comportanti l'aumento del contingente in servizio alla data del 31 ottobre 1973 (comma 2); il divieto di "rinnovi dei rapporti di lavoro che, in base a disposizioni legislative o contrattuali, comporterebbero la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato" (comma 4). L'articolo 2 della L. 17 febbraio 1982 n. 43 aveva, poi, aggiunto, al richiamato articolo 3, il comma 5, secondo cui "le assunzioni attuate in violazione del divieto di cui al precedente comma sono nulle di diritto, ferma la responsabilita' personale di chi le ha disposte". L'inapplicabilita' agli enti lirici della citata L. n. 230 del 1962 nella sua interezza era stata, poi, sancita dall'articolo 9, comma 4, della L. 23 dicembre 1992 n. 498, che aveva anche previsto, per l'anno 1993, il divieto di assunzione di personale a tempo indeterminato ed aveva consentito solo a determinate condizioni il ricorso al rapporto a tempo determinato (Per il 1993, gli enti e le istituzioni di cui al comma 1 non possono assumere personale a tempo indeterminato, neanche in sostituzione di personale cessato dal servizio. Sono altresi' vietate assunzioni di personale a tempo determinato, salvo che si tratti di personale artistico e tecnico da impiegare per singole opere o spettacoli, o di personale tecnico, artistico e amministrativo addetto alla preparazione e allo svolgimento di festival estivi o all'aperto di fama internazionale che risultino realta' consolidate e con carattere di continuita'. Non si applicano le disposizioni della L. 18 aprile 1962, n. 230, e successive modificazioni.). Si trattava, quindi, di specifiche disposizioni impeditive della costituzione di rapporti a tempo indeterminato che, in ragione della loro specialita', la giurisprudenza amministrativa aveva valorizzato per affermare, in adesione a quanto statuito da queste Sezioni Unite, che, pur a fronte del rinvio contenuto nel Decreto Legge n. 374 del 1987, la permanenza della caratterizzazione non economica degli enti lirici e della natura stricto sensu pubblicistica del rapporto di lavoro, impediva l'estensione delle norme relative agli enti pubblici economici eccentriche rispetto alle disposizioni intese alla regolazione dei profili economici del rapporto stesso. Conclusivamente, gia' all'epoca, si era in presenza di un rapporto di lavoro per cosi' dire "ibrido", che presentava, cioe', elementi di diversificazione sia rispetto all'impiego pubblico tradizionale, perche' costituito su base contrattuale e disciplinato da contratti collettivi di natura privatistica, sia rispetto al rapporto di lavoro privato, in quanto la natura pubblica dell'ente e la disciplina settoriale impedivano l'estensione piena della disciplina privatistica, applicabile agli enti pubblici economici, solo apparentemente richiamata nella sua interezza dal Decreto Legge n. 374 del 1987. 7. Con il Decreto Legislativo n. 29 giugno 1996 n. 367 e' stato avviato il processo di trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato, del quale il legislatore ha previsto la doverosita' (articolo 1), rimettendone, pero', inizialmente l'attuazione ai singoli enti, nei termini e con le modalita' previste dagli articoli da 5 a 9 del decreto, e stabilendo che il riconoscimento della personalita' giuridica di diritto privato sarebbe stato conseguente all'approvazione della delibera di trasformazione da parte della competente autorita' di Governo (articoli 8 e 9). Il Decreto Legislativo n. ha previsto, come principio di carattere generale, che le fondazioni " sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo", principio, poi, ripreso, quanto al personale, dall'articolo 22 che, nel testo originario, al comma 1 prevede che " i rapporti di lavoro dei dipendenti delle fondazioni sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa e sono costituiti e regolati contrattualmente." ed ai commi successivi inserisce specifiche deroghe stabilendo: l'inapplicabilita' della L. n. 230 del 1962, articolo 2; l'applicabilita' dell'articolo 2103 c.c. solo a condizione che risulti superata la verifica di idoneita' professionale nelle forme stabilite dalla contrattazione collettiva; la riserva alla contrattazione collettiva della quantificazione del trattamento retributivo (Al personale artistico e tecnico della fondazione non si applicano le disposizioni della L. 18 aprile 1962, n. 230, articolo 2. L'articolo 2103 del codice civile si applica al personale artistico, a condizione che esso superi la verifica di idoneita' professionale, nei modi disciplinati dalla contrattazione collettiva. La retribuzione del personale e' determinata dal contratto collettivo nazionale di lavoro. Resta riservato alla fondazione ogni diritto di sfruttamento economico degli spettacoli prodotti, organizzati o comunque rappresentati, ed in generale delle esecuzioni musicali svolte nell'ambito del rapporto di lavoro.) 7.1. Al Decreto Legislativo n. 367 del 1996 ha, poi, fatto seguito il Decreto Legge 20 novembre 2000 n. 345, convertito dalla L. 26 febbraio 2001 n. 6, che, reiterando nella sostanza le disposizioni gia' contenute nel Decreto Legislativo n. 23 aprile 1998 n. 134, dichiarato incostituzionale per difetto di delega con sentenza 18 novembre 2000 n. 503, ha previsto la trasformazione ex lege degli enti lirici in fondazioni di diritto privato con decorrenza retroattiva dal 23 maggio 1998 e, quanto alla disciplina applicabile ai rapporti di lavoro instaurato dalle fondazioni, ha richiamato il precedente decreto n. 367 del 1996, aggiungendo solo minime specificazioni, non rilevanti in questa sede perche' relative al regime pensionistico ed assicurativo. A partire, dunque, dalla data sopra indicata la mutata natura del datore di lavoro (inizialmente pubblica e poi trasformata in personalita' giuridica di diritto privato) ha comportato la sottrazione dei rapporti di lavoro instaurati dagli enti lirici dall'area dell'impiego pubblico, con la conseguenza che e' mutato integralmente il sistema delle fonti, perche' se, in precedenza, secondo le indicazioni date dalla giurisprudenza citata al punto 6, era alla normativa dell'impiego pubblico che occorreva fare riferimento (in assenza di disciplina speciale), successivamente alla trasformazione l'applicabilita' di quest'ultima e' condizionata da un espresso richiamo, in difetto del quale trova applicazione la disciplina dell'impiego privato. 8. Di questo rapporto fra le fonti ha, evidentemente, tenuto conto il legislatore allorquando, con il Decreto Legislativo n. 368 del 6 settembre 2001, nel dare attuazione alla direttiva 1999/70/CE, ha riscritto la disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato, piu' volte, poi, modificata nel tempo, e, per quel che qui rileva, all'articolo 11, comma 4, ha previsto che "al personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicale previste dal decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, non si applicano le norme di cui agli articoli 4 e 5", ossia la disciplina della proroga, del rinnovo del contratto, della prosecuzione del rapporto oltre la scadenza del termine. Cosi' come, in precedenza, il Decreto Legislativo n. 367 del 1996, articolo 22, comma 2, aveva escluso l'applicazione della L. n. 230 del 1960, articolo 2, relativo ai medesimi istituti, con il Decreto Legislativo n. 368 del 2001 il legislatore delegato non ha inserito il personale delle fondazioni liriche nelle categorie sottratte, dall'articolo 10, all'applicazione dell'intero decreto, bensi' ha affermato l'inapplicabilita' delle sole disposizioni espressamente richiamate, con una tecnica legislativa che rende evidente la volonta' di ritenere per il resto applicabile il decreto. 9. Non dissimile e' stata la scelta del legislatore delegato in occasione della revisione della "disciplina organica dei contratti di lavoro..." approvata con il Decreto Legislativo n. 15 giugno 2015 n. 81. Anche in tal caso i rapporti intercorrenti con il personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicale di cui al Decreto Legislativo n. 367 del 1996 non sono stati sottratti alla disciplina privatistica nella sua interezza bensi', nella versione originaria, e' stata prevista l'inapplicabilita' delle sole disposizioni dettate dagli articoli 19, commi da 1 a 3, e 21, relativi, rispettivamente, alla durata massima del rapporto a tempo determinato ed alla disciplina delle proroghe e dei rinnovi. Il legislatore delegato ha ampliato il regime derogatorio rispetto all'analoga disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001 e nel far cio' ha, evidentemente, tenuto conto dello sviluppo della normativa settoriale verificatosi medio tempore. 10. Infatti con il Decreto Legge 30 aprile 2010 n. 64, articolo 3, convertito dalla L. 29 giugno 2010 n. 100, erano state dettate ulteriori disposizioni in materia di personale delle fondazioni lirico-sinfoniche e, quanto al rapporto di lavoro a tempo determinato, era stato previsto, al comma 6, che " Non si applicano, in ogni caso, alle fondazioni lirico-sinfoniche le disposizioni dell'articolo 1, commi 01 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.". Dalla comparazione fra il testo della norma in commento e quello del gia' richiamato Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 11, emerge evidente l'estensione della deroga contenuta in quest'ultima disposizione, perche', all'esito dell'intervento riformatore, la deroga stessa risulta, non piu' limitata alla sola disciplina delle proroghe e dei rinnovi, bensi' ampliata sino a ricomprendere anche parte dell'articolo 1 che, nel testo all'epoca vigente (antecedente alla modifica attuata dalla L. 28 giugno 2012 n. 92), sanciva, al comma 01, la regola secondo cui il contratto di lavoro e' stipulato, di regola, a tempo indeterminato, ed al comma 2 prevedeva che, a pena di inefficacia, l'apposizione del termine dovesse risultare da atto scritto, nel quale dovevano essere specificate le ragioni (tecniche, produttive, organizzative o sostitutive) del ricorso alla tipologia contrattuale. 11. Il medesimo articolo 3 stabiliva, inoltre, sempre al comma 6, che "Alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi la L. 22 luglio 1977, n. 426, articolo 3, quarto e comma 5, e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.". La disposizione, in parte qua, a partire da Cass. 26 maggio 2011 n. 11573, poi ripresa da Cass. 20 marzo 2014 n. 6547 e da altre successive conformi, era stata interpretata da questa Corte in senso restrittivo ed era stato escluso che la sanzione di nullita', prevista dal comma 5 (aggiunto dalla L. n. 43 del 1982), si riferisse a qualsivoglia contratto a tempo determinato stipulato in assenza delle condizioni di legge, essendo, invece, limitata ai soli rinnovi richiamati nel comma 4, al quale il comma 5 fa specifico riferimento. Il legislatore e', quindi, intervenuto nuovamente sul tema e, con il Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69, articolo 40, comma 1 bis, convertito dalla L. 9 agosto 2013 n. 98, ha previsto che "L'articolo 3, comma 6, primo periodo, del Decreto Legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle nome in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contratti". 11.1. La disposizione, espressamente qualificatasi interpretativa, e' stata dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi con sentenza n. 260 dell'11 dicembre 2015, con la quale la Corte, in sintesi, ha rilevato che il legislatore, estendendo il divieto di stabilizzazione sancito dalla L. n. 426 del 1997, articolo 3, comma 5, oltre il limite del rinnovo, aveva attribuito alla norma interpretata "un contenuto precettivo dissonante rispetto al significato della parola "rinnovi", accreditato da una costante elaborazione della giurisprudenza di legittimita'" e cosi' facendo aveva leso l'autonomo esercizio della funzione giurisdizionale, interferendo sui giudizi in corso, nonche' " l'affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica e le attribuzioni costituzionali dell'autorita' giudiziaria". 12. Nel dichiarare l'incostituzionalita' della norma interpretativa la stessa Corte Costituzionale ha dato atto, nella motivazione, delle disposizioni di carattere innovativo con le quali, in un disegno complessivo improntato all'esigenza di razionalizzare la spesa, il legislatore aveva accentuato, per le fondazioni lirico-sinfoniche, gli aspetti derogatori rispetto alla disciplina generale, sottraendo i rapporti a termine delle fondazioni medesime, oltre che al rispetto delle condizioni imposte per le proroghe ed i rinnovi, all'applicazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, commi 01 e 2 dell'articolo 1, nel testo all'epoca vigente. In questo contesto, sollecitata dalla domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata dalla Corte d'appello di Roma con ordinanza del 15 maggio 2017, e' intervenuta la Corte di Giustizia dell'Unione Europea che, con sentenza del 25 ottobre 2018, in causa C-331/17, Sciotto, sulla quale si tornera' in prosieguo, ha ritenuto contrastante con la clausola 5 dell'Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato " una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale le norme di diritto comune disciplinanti i rapporti di lavoro, e intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato tramite la conversione automatica del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato se il rapporto di lavoro perdura oltre una data precisa, non sono applicabili al settore di attivita' delle fondazioni lirico-sinfoniche, qualora non esista nessun'altra misura effettiva nell'ordinamento giuridico interno che sanzioni gli abusi constatati in tale settore.". 13. La pronuncia della Corte di Giustizia ha sollecitato un ulteriore intervento del legislatore che con il Decreto Legge 28 giugno 2019 n. 59, convertito dalla legge agosto 2019 n. 81, ha aggiunto all'articolo 29 del Decreto Legislativo n. 81 del 2015 i commi 3 bis e 3 ter, prevedendo la possibilita' per le fondazioni lirico-sinfoniche di ricorrere al contratto a termine, nel limite massimo di trentasei mesi, "in presenza di esigenze contingenti o temporanee determinate dalla eterogeneita' delle produzioni artistiche che rendono necessario l'impiego anche di ulteriore personale artistico e tecnico ovvero, nel rispetto di quanto previsto nel contratto collettivo di categoria, dalla sostituzione di lavoratori temporaneamente assenti", da indicare nell'atto scritto, richiesto a pena di nullita', "anche attraverso il puntuale riferimento alla realizzazione di uno o piu' spettacoli, di una o piu'' produzioni artistiche cui sia destinato l'impiego del lavoratore assunto con contratto di lavoro a tempo determinato" (comma 3 bis). E' stata, altresi', esclusa, dal comma 3 ter, la conversione in rapporto a tempo indeterminato del rapporto a termine stipulato in violazione delle norme inderogabili riguardanti la costituzione, la durata, la proroga o i rinnovi dei contratti ed e' stato testualmente previsto che in detti casi il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro resa in violazione di norma imperativa, con obbligo per la fondazione di agire nei confronti dei dirigenti, che abbiano agito con dolo o colpa grave, per il recupero delle somme pagate a tale titolo. In tal modo, quindi, quanto alle conseguenze della nullita' della clausola appositiva del termine, e' stata dettata una disciplina speciale derogatoria rispetto a quella prevista per l'impiego privato e nella sostanza sovrapponibile a quella prevista per l'impiego pubblico contrattualizzato del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, comma 5. 14. Il Decreto Legge n. 50 del 2019 ha contestualmente riformulato l'articolo 22 del Decreto Legislativo n. 367 del 1996 che, nel testo risultante all'esito della riscrittura, ribadisce, al comma 1, la natura privatistica dei rapporti instaurati dalle fondazioni lirico-sinfoniche ma inserisce anche, dal comma 2 ter al comma 2 decies, una serie di condizioni limitative delle facolta' assunzionali, a tempo determinato ed indeterminato, con obbligo per le fondazioni di rideterminazione delle dotazioni organiche. Il comma 2 prescrive per il reclutamento del personale il previo esperimento di procedure selettive pubbliche (Le fondazioni di cui all'articolo 1 e di cui alla L. 11 novembre 2003, n. 310 procedono al reclutamento del personale con contratti di lavoro a tempo indeterminato, previo esperimento di apposite procedure selettive pubbliche. Con propri provvedimenti, le fondazioni stabiliscono criteri e modalita' per il reclutamento del personale di cui al primo periodo nel rispetto dei principi, anche di derivazione Europea, di trasparenza, pubblicita' e imparzialita' e dei principi di cui all'articolo 35, comma 3, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165. In caso di mancata adozione dei suddetti provvedimenti, trova diretta applicazione il citato Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 35, comma 3. I provvedimenti di cui al secondo periodo sono pubblicati sul sito istituzionale della fondazione. In caso di mancata o incompleta pubblicazione si applicano il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, articoli 22, comma 4, 46 e 47, comma 2, e successive modificazioni) ed il comma 2 bis, oltre a devolvere alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione delle controversie sulla validita' di dette procedure, prevede la nullita' dei contratti stipulati in assenza delle stesse, ferma restando l'applicazione dell'articolo 2126 c.c. (Fermo quanto previsto dall'articolo 2126 del codice civile, i contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2, sono nulli. Sono devolute al giudice ordinario le controversie relative alla validita' dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale). La disciplina del reclutamento, quindi, e' stata dettata dal legislatore assumendo a modello di riferimento quella prevista dal Decreto Legislativo n. 19 agosto 2016 n. 175, articolo 19 per il personale delle societa' a controllo pubblico. 15. Cosi' come avvenuto per queste ultime (per le quali era intervenuto il Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112, articolo 18, convertito dalla L. 6 agosto 2008 n. 133), il previo esperimento di procedure selettive pubbliche era gia' stato previsto, per il reclutamento del personale a tempo indeterminato, dal Decreto Legge 8 agosto 2013 n. 91, articolo 11, convertito dalla L. 7 ottobre 2013 n. 112, che, nel dettare "Disposizioni urgenti per il risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche e il rilancio del sistema nazionale musicale di eccellenza", aveva limitato le capacita' di spesa e le facolta' assunzionali delle fondazioni e stabilito, al comma 19, che "Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le fondazioni lirico-sinfoniche e' instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure selettive pubbliche.". 16. Il Decreto Legge in commento, ispirato dall'intento di contenere i costi e di abbattere le spese attinenti al personale, era stato a sua volta preceduto da altri interventi normativi, tutti finalizzati al raggiungimento del medesimo obiettivo, con i quali era stato fatto divieto alle fondazioni di procedere a nuove assunzioni, per singole annualita' espressamente indicate nelle disposizioni di legge, salva la ricorrenza dell'autorizzazione rilasciata dal Ministero per i beni e per le attivita' culturali, previa verifica dell'assoluta necessita' dell'assunzione. Gia' la L. 31 marzo 2005 n. 43, di conversione del Decreto Legge 31 gennaio 2005 n. 7, aveva inserito nel testo del decreto l'articolo 3 ter che, per l'anno 2005, faceva divieto alle fondazioni lirico-sinfoniche di assunzione di nuovo personale a tempo indeterminato, fatta eccezione per le fondazioni che avevano raggiunto nell'anno precedente almeno il pareggio di bilancio ed a condizione che le assunzioni stesse avvenissero nei limiti della pianta organica e senza aggravamento della spesa (Per l'anno 2005, alle fondazioni lirico-sinfoniche e' fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. Fino al medesimo termine, il personale a tempo determinato non puo' superare il quindici per cento dell'organico funzionale approvato. Hanno comunque facolta' di assumere personale a tempo indeterminato, nei limiti delle rispettive piante organiche e senza nuovi oneri o maggiori oneri per la finanza pubblica, le fondazioni con bilancio verificato dell'anno precedente almeno in pareggio). Una disposizione ancor piu' limitativa era contenuta nell'articolo 1, comma 595, della legge finanziaria per l'anno 2006 (L. 23 dicembre 2005 n. 266), che prevedeva un divieto assoluto di assunzione a tempo indeterminato per gli anni 2006 e 2007 (Per gli anni 2006 e 2007 alle fondazioni lirico-sinfoniche e' fatto divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato. Fino al medesimo termine il personale a tempo determinato non puo' superare il 20 per cento dell'organico funzionale approvato). Il divieto veniva, poi, prorogato agli anni dal 2008 al 2010 dalla L. n. 244 del 24 dicembre 2007, articolo 2, comma 392, che consentiva solo l'instaurazione di nuovi rapporti, nei limiti delle vacanze della pianta organica, se autorizzati dal Ministero vigilante e finalizzati a sopperire a comprovate esigenze produttive (Ai sensi dell'articolo 1, comma 595, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, per gli anni 2008, 2009 e 2010 alle fondazioni lirico-sinfoniche e' fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. Possono essere effettuate assunzioni a tempo indeterminato di personale artistico, tecnico ed amministrativo per i posti specificatamente vacanti nell'organico funzionale approvato, esclusivamente al fine di sopperire a comprovate esigenze produttive, previa autorizzazione del Ministero vigilante. Per il medesimo periodo il personale a tempo determinato non puo' superare il 15 per cento dell'organico funzionale approvato.) Infine con l'articolo 3, comma 5, della gia' citato Decreto Legge n. 64 del 2010, da un lato, il divieto di nuove assunzioni veniva prorogato sino a tutto il 2012 (termine poi anticipato al 2011 dalla legge di conversione), con previsione dell'inefficacia anche delle procedure concorsuali in atto, fatte salve le assunzioni delle professionalita' artistiche indispensabili per l'attivita' di produzione degli spettacoli; dall'altro si stabilivano, a regime e a decorrere dall'anno 2013 (termine anticipato al 2012 dalla legge di conversione), limitazioni alle facolta' assunzionali, riconosciute solo nel rispetto del turn over e della compatibilita' di bilancio (A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2012, alle fondazioni lirico-sinfoniche e' fatto divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, nonche' di indire procedure concorsuali per tale scopo, fatto salvo che per quelle professionalita' artistiche, di altissimo livello, necessarie per la copertura di ruoli di primaria importanza indispensabili per l'attivita' produttiva, previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attivita' culturali. Le procedure concorsuali non compatibili con le disposizioni del presente decreto, in atto al momento della sua entrata in vigore, sono prive di efficacia. A decorrere dall'anno 2013 le assunzioni a tempo indeterminato, effettuate previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attivita' culturali, sono annualmente contenute in un contingente complessivamente corrispondente ad una spesa non superiore a quella relativa al personale cessato nel corso dell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unita' da assumere non potra' essere superiore a quello delle unita' cessate nell'anno precedente, fermo restando le compatibilita' di bilancio della fondazione). 17. Dalla ricostruzione del complesso quadro normativo si puo' trarre una prima conclusione, che e' poi quella dalla quale prende le mosse l'ordinanza interlocutoria gli interventi legislativi succedutisi nel tempo hanno progressivamente accentuato il carattere di specialita' della disciplina dettata per il personale delle fondazioni lirico-sinfoniche rispetto a quella dei rapporti di lavoro fra privati e di pari passo sono stati estesi agli enti lirici, pur se privatizzati, limiti analoghi a quelli imposti alle facolta' assunzionali delle pubbliche amministrazioni e delle societa' da queste ultime controllate. La trasformazione dell'ente pubblico in fondazione di diritto privato non ha risolto le aporie gia' emerse nella fase antecedente alla privatizzazione, atteso che la nuova qualificazione giuridica delle fondazioni ha lasciato immutati quegli aspetti della regolamentazione delle modalita' di funzionamento di detti enti che si giustificano solo in ragione degli interessi generali che, attraverso le fondazioni, lo Stato persegue, interessi che, a loro volta, danno ragione dell'impiego di capitale in prevalenza pubblico. Non a caso la Corte Costituzionale, chiamata a giudicare sul riparto di competenze fra Stato e Regioni in relazione alla normativa di revisione organica delle fondazioni dettata dalla Decreto Legge n. 64 del 2010, ha ritenuto che l'intervento attuato rientrasse nella materia "ordinamento ed organizzazione amministrativa dello Stato e degli altri enti pubblici", alla luce degli indici pubblicistici conservati dalle fondazioni anche all'esito della trasformazione, indici ravvisati nella preminente rilevanza dello Stato nei finanziamenti, nel conseguente assoggettamento al controllo della Corte dei Conti, nella previsione del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, nell'inclusione di detti enti fra gli organismi di diritto pubblico soggetti, all'epoca, al rispetto del Decreto Legislativo n. 163 del 2003 (Corte Costituzionale 21 aprile 2011 n. 153). Quegli aspetti evidenziati dal Giudice delle leggi giustificano, pur a fronte della qualificazione privatistica delle fondazioni e dei rapporti di lavoro dagli stessi instaurati, deroghe alla disciplina dettata per i rapporti fra privati, disciplina alla quale, secondo un meccanismo non dissimile da quello indicato dal legislatore e da queste Sezioni Unite in tema di societa' a controllo pubblico, occorre, si', fare riferimento, ma a condizione che non si rinvengano disposizioni speciali di settore o ragioni ostative di sistema (cfr. fra le tante Cass. S.U. n. 29078/2019, Cass. S.U. n. 21299/2017, Cass. S.U. n. 7759/2017, Cass. S.U. n. 26591/2016). 18. L'esame dei motivi posti dal ricorso principale va, dunque, condotto alla luce di quanto evidenziato in premessa. Il primo motivo del ricorso principale, che censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la legittimita' delle clausole appositive del termine, e' fondato. I contratti dei quali qui si discute hanno interessato l'arco temporale compreso fra il (OMISSIS) ed il marzo 2011 nella vigenza, sino all'entrata in vigore del Decreto Legge 30 aprile 2010 n. 64, della normativa richiamata al punto 8, ossia del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 11, che affermava l'inapplicabilita' al personale artistico e tecnico delle fondazioni delle sole disposizioni dettate dagli articoli 4 e 5 dello stesso decreto, e, di conseguenza, non derogava all'applicazione dell'articolo 1, commi 1 e 2, che, nel testo vigente sino all'entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, consentivano l'apposizione del termine di durata solo a fronte di esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive, che dovevano essere specificate per iscritto nel contratto. L'ordinanza interlocutoria richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza della Sezione Lavoro alla stregua del quale il legislatore, nel prevedere la specificazione della causale, ha imposto un onere di indicazione sufficientemente dettagliata delle ragioni del ricorso al rapporto a tempo determinato, onere che non e' soddisfatto dalla sola indicazione delle mansioni, del termine e dello spettacolo in relazione al quale la prestazione lavorativa e' richiesta, in assenza di qualsivoglia ulteriore precisazione in ordine allo scopo del contratto, alla temporaneita' delle esigenze che hanno reso necessario il ricorso all'assunzione a termine, alla professionalita' del soggetto assunto, ossia alla particolarita' dell'apporto lavorativo per ciascuno dei diversi spettacoli con riferimento a ragioni tecniche o artistiche (cfr. fra le tante Cass. 10 dicembre 2019 n. 32150; Cass. 7 marzo 2019 n. 6679 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione). Non sussistono ragioni per discostarsi dal richiamato orientamento che, per le fattispecie disciplinate dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001, ritiene non sufficiente, ai fini della specificazione della causale, la sola indicazione dello spettacolo o dell'opera alla cui realizzazione il contratto e' finalizzato, di per se' inidonea, rispetto ad un'attivita' che si caratterizza per essere finalizzata alla produzione in ogni stagione di una serie di rappresentazioni, a rendere evidenti le ragioni oggettive poste a fondamento del ricorso alla tipologia contrattuale del rapporto a tempo determinato. I precedenti citati non hanno mancato di richiamare l'interpretazione data alla clausola 5 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE dalla Corte di Giustizia la quale, proprio in relazione al settore che qui viene in rilievo, ha evidenziato che non e' consentita la rinnovazione del contratto a termine "per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti nelle istituzioni culturali di cui trattasi che rientrano nella normale attivita' del settore di attivita' delle fondazioni lirico-sinfoniche" (Corte di Giustizia 25 ottobre 2018, in causa C- 331/17, Sciotto, punto 49), essendo, invece, necessario, a fronte di una programmazione annuale di spettacoli, che risultino specificate le esigenze, di carattere provvisorio e non duraturo, assicurate attraverso il ricorso al lavoro a tempo determinato (punti 53 e 54). Si tratta di un'interpretazione del concetto di specificita' della causale, nel settore che qui interessa, che trova oggi riscontro nella riformulazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 29 ad opera del citato Decreto Legge n. 59 del 2019, non applicabile alla fattispecie ratione temporis, secondo cui il ricorso al contratto a termine e' consentito a fronte di esigenze contingenti o temporanee determinate dalla eterogeneita' delle produzioni artistiche e l'onere di specifica indicazione della causale deve essere assolto attraverso l'indicazione espressa di detta condizione, indicazione alla quale si deve accompagnare "anche" il puntuale riferimento alla realizzazione di uno o piu' spettacoli. La Corte territoriale, pertanto, e' incorsa nella denunciata violazione di legge, perche' ha espresso il giudizio di merito sulla specificita' delle causali indicate nel contratto muovendo da un'errata interpretazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1 nella parte in cui richiede che nell'atto scritto devono essere specificate le ragioni di cui al comma 1. 19. La fondatezza del primo motivo impone, seguendo l'ordine delle questioni, l'esame del ricorso incidentale condizionato proposto dalla Fondazione Teatro dell'Opera, che ha censurato la sentenza impugnata per non avere dichiarato l'inammissibilita' dell'appello. L'ordinanza interlocutoria, nel prospettare l'eventuale inammissibilita' dell'impugnazione incidentale, segue il medesimo iter argomentativo sulla base del quale Cass. 10 maggio 2022 n. 14839, Cass. 6 giugno 2022 n. 18127, Cass. n. 7 giugno 2022 n. 18321, pronunciando in fattispecie analoga a quella oggetto di causa, hanno dichiarato l'inammissibilita' delle impugnazioni proposte dalla (OMISSIS), perche' redatte, in violazione del disposto del Decreto Legge 24 novembre 2000 n. 345, articolo 1, da avvocato del libero foro in assenza della apposita motivata delibera, da sottoporre agli organi di vigilanza, richiesta dall'articolo 43 del R.d. 30 ottobre 1933 n. 1611. In quelle pronunce si richiama il principio di diritto affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 24876 del 20 ottobre 2017 (richiamata da Cass. 5 ottobre 2018 n. 24545, Cass. 13 dicembre 2021 n. 39430 e, in tema di fondazioni lirico sinfoniche, da Cass. 21 novembre 2018 n. 30118) e si sottolinea che quell'orientamento, sia pure in un contesto connotato dalla specialita' della normativa dettata per ADER del Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193, articolo 1, e' stato ribadito, al punto 28 della motivazione, da Cass. S.U. 19 novembre 2019 n. 30008. In quei giudizi, come si desume dalla narrativa dei fatti di causa e dallo sviluppo argomentativo delle decisioni, l'onere probatorio imposto dall'articolo 43 del richiamato R.d. non era stato assolto dalla Fondazione ricorrente, la quale, invece, in questa sede ha depositato, oltre alla deliberazione del Consiglio di indirizzo adottata a " sanatoria" il 23 giugno 2022, di per se' non rilevante in ragione dell'inapplicabilita' al giudizio di cassazione dell'articolo 182 c.p.c. (cfr. Cass. S.U. 21 dicembre 2022 n. 37434), il Protocollo di Intesa, sottoscritto il 26 giugno 2015 dall'Avvocatura Generale dello Stato e dal Sovrintendente dell'epoca, approvato in pari data dal Consiglio, che consente, all'articolo 9, in via generale l'affidamento ad avvocati del libero foro delle controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza, fatta eccezione per quelle che abbiano notevole rilevanza e possano avere riflessi sugli assetti organizzativi e finanziari della Fondazione. Trattandosi di atto formato in epoca antecedente al rilascio della procura speciale della cui validita' si discute, si dovrebbe allora valutare se la sua esistenza (in questo caso documentata e rispondente, come si legge nelle premesse della stessa convenzione, ad una prassi adottata dall'Avvocatura Generale per disciplinare le deroghe al carattere generale ed esclusivo del patrocinio) possa giustificare l'estensione, a tutti gli enti ammessi al patrocinio ex articolo 43 del R.d. n. 1611 del 1933 che abbiano stipulato analoga convenzione, del principio di diritto affermato da queste Sezioni Unite con la richiamata pronuncia n. 30008 del 2019, nella parte in cui afferma che "se, invece, la convenzione non riserva all'Avvocatura erariale la difesa e rappresentanza in giudizio, non e' richiesta l'adozione di apposita delibera od alcuna altra formalita' per ricorrere al patrocinio a mezzo di avvocati del libero foro" e ne trae l'ulteriore conseguenza della non necessita' della produzione, anche nel giudizio di legittimita', dell'atto deliberativo di conferimento dell'incarico, da adottare antecedentemente al rilascio della procura. Si tratta di questione che, oltre ad esulare da quelle che hanno determinato la rimessione a queste Sezioni Unite, non e' stata specificamente dibattuta dalle parti le quali, anche in sede di discussione orale, hanno affrontato tutte il merito dei ricorsi. A fronte del quadro venutosi a delineare, successivamente all'ordinanza di rimessione, quanto alla prospettata inammissibilita' in rito del ricorso incidentale, sta l'evidente infondatezza nel merito dell'impugnazione, per le ragioni di cui si dira' in prosieguo, sicche' ritengono le Sezioni Unite che si possa soprassedere dal pronunciare sull'applicabilita' o meno alla fattispecie dei principi di diritto enunciati dalle richiamate Cass. S.U. n. 24876/2017 e Cass. S.U. n. 30008/2019. Infatti, sebbene, in linea generale e nella normalita', l'articolo 276 c.p.c., comma 2, imponga al giudice di esaminare con priorita' le questioni pregiudiziali di rito rispetto a quelle di merito, non di meno non sono mancate pronunce di queste Sezioni Unite che, in ragione della peculiarita' delle fattispecie che venivano in rilievo, hanno ritenuto di poter superare quell'ordine, valorizzando il principio dell'evidenza (Cass. S.U. 8 maggio 2014 n. 9936, Cass. S.U. 8 novembre 2015 nn. 23542 e 23543 del 2015). 19.1. Come si e' anticipato il ricorso incidentale e' manifestamente infondato. Non integra violazione dell'articolo 112 c.p.c. la mancata pronuncia sull'eccezione di inammissibilita' dell'appello, perche' il vizio denunciato e' configurabile solo allorquando il giudice ometta di esaminare domande o eccezioni di merito (cfr. fra le tante Cass. 11 ottobre 2018 n. 25154 e Cass. 4 giugno 2021 n. 15613, che estende il medesimo principio al lodo arbitrale). L'omesso esame di una questione di carattere processuale non determina nullita' della sentenza ed assume rilievo solo se l'implicito rigetto dell'eccezione di rito integri un error in procedendo, ossia la violazione delle norme processuali delle quali, nel formulare l'eccezione, la parte aveva lamentato la violazione. Nella fattispecie l'errore denunciato, ossia la violazione degli articoli 434 e 346 c.p.c., non e' configurabile, atteso che la stessa ricorrente incidentale riconosce, nel corpo del motivo, che il Tribunale aveva ritenuto assorbente, per escludere la fondatezza del ricorso, l'inammissibilita' della domanda di conversione e, di conseguenza, non aveva pronunciato sull'asserita nullita' delle clausole di durata apposte ai contratti a tempo determinato intercorsi fra le parti. E' ius receptum l'orientamento secondo cui, qualora il giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato su una questione, avendola ritenuta assorbita, l'appellante puo' limitarsi a censurare specificamente il capo della decisione riguardante la questione assorbente ed e' tenuto solo a riproporre ex articolo 346 c.p.c. la domanda sulla quale non vi e' stata alcuna statuizione (cfr. fra le tante Cass. 20 dicembre 2021 n. 40833). La riproposizione e' libera nelle forme e va effettuata con modalita' tali da rendere evidente, nel particolare contesto dell'atto nel quale si inserisce, la volonta' di volere coltivare la domanda o l'eccezione, sicche' la stessa non richiede che nell'appello vengano riportati integralmente gli argomenti sui quali il giudice di primo grado non ha pronunciato, essendo sufficiente che risulti chiaro l'intento dell'appellante di ottenere una pronuncia sugli stessi, una volta che venga accolto il motivo attinente alla questione assorbente. Nel caso che ci occupa detta volonta' e' chiaramente espressa nelle conclusioni dell'atto di appello ed inoltre e' imprescindibile presupposto dei motivi di gravame formulati avverso il capo della sentenza che aveva rigettato la domanda di conversione. E' evidente, infatti, che quest'ultima domanda implica in se' la volonta' di coltivare in appello la richiesta di accertamento dell'illegittimita' del termine, in assenza del quale non avrebbe senso alcuno discutere di conversione, che necessariamente postula la nullita' della clausola di durata. 20. La fondatezza del primo motivo del ricorso principale e l'infondatezza del ricorso incidentale rendono necessario l'esame del secondo motivo, con il quale e' stata censurata da (OMISSIS) la seconda ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto non convertibile in rapporto a tempo indeterminato i contratti a termine stipulati, in assenza dei presupposti di legge, con le fondazioni lirico - sinfoniche. 20.1. Nel dare conto degli interventi normativi successivi alla trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato si e' gia' fatto cenno all'orientamento espresso dalla Sezione Lavoro sull'interpretazione del Decreto Legislativo n. 367 del 1996, articolo 22, nel testo originario, e del Decreto Legge n. 64 del 2010, articolo 3, comma 6. Secondo quell'orientamento, richiamato ed avallato dalla Corte Costituzionale nella motivazione della sentenza n. 260 del 2015, la privatizzazione degli enti lirici ha indotto, quale effetto, l'estensione della disciplina privatistica dei rapporti di lavoro, anche speciali, fatte salve le specifiche deroghe espressamente previste dal legislatore, deroghe che non possono essere tratte da disposizioni antecedenti alla trasformazione, ove non richiamate, in quanto dette disposizioni, intervenute in un diverso contesto, si devono ritenere abrogate per incompatibilita' con la nuova disciplina del rapporto privatizzato. Valorizzando il Decreto Legislativo n. 367 del 1996, commi 1 e 2 dell'articolo 22, che fissano, rispettivamente, in tema di rapporto a tempo determinato la regola e l'eccezione, nonche' il disposto del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 11, sono stati, dunque, enunciati, da Cass. 20 marzo 2014 n. 6547 e da numerose pronunce successive conformi, i principi di diritto riportati nell'ordinanza interlocutoria secondo cui: a) ai contratti del personale artistico sottoscritti prima della trasformazione degli enti lirici in fondazioni con personalita' giuridica di diritto privato (ovvero prima del 23 maggio 1998) sono inapplicabili le disposizioni della L. 18 aprile 1962, n. 230, e in particolare le norme sui rinnovi dei rapporti di lavoro (L. n. 426 del 1977, articolo 3, commi 4 e 5); b) successivamente alla trasformazione (a partire, dunque, dal 23 maggio 1998), e fino all'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, ai contratti di lavoro a termine stipulati con le fondazioni lirico-sinfoniche si applica la disciplina prevista dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, con l'unica esclusione costituita dell'articolo 2 legge cit., relativa alle proroghe, alla prosecuzione ed ai rinnovi dei contratti a tempo determinato, come stabilito dal Decreto Legislativo n. 29 giugno 1996, n. 367, articolo 22; c) dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 6 settembre 2001, n. 368, ai contratti di lavoro a termine stipulati dal personale delle fondazioni lirico-sinfoniche previste dal Decreto Legislativo n. 29 giugno 1996, n. 367, si applicano le disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 368 del 2001, con le uniche esclusioni costituite dall'articolo 4, relativo alle proroghe, e dall'articolo 5, relativo alle prosecuzioni ed ai rinnovi, come stabilito dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 11, comma 4; d) il Decreto Legge n. 30 aprile 2010, n. 64, articolo 3, comma 6, convertito in legge con modificazioni, con L. 29 giugno 2010, n. 100, nella parte in cui dispone che "alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi la L. 22 luglio 1977, n. 426, articolo 3, commi 4 e 5, e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 6 settembre 2001, n. 368", ha un valore meramente confermativo della inapplicabilita' ai rapporti in esame delle norme in tema di rinnovi dei contratti a tempo determinato, dovendosi intendere tale termine riferito alla continuazione del rapporto di lavoro dopo la sua scadenza e per un periodo superiore a quello indicato dal legislatore, la riassunzione del lavoratore effettuata prima della scadenza del periodo minimo fissato dalla legge, nonche', infine, il fenomeno delle assunzioni successive alla scadenza del termine e senza soluzione di continuita'. L'articolo 3 non riguarda invece i vizi afferenti alla mancanza dell'atto scritto e alla insussistenza delle ipotesi tipiche ovvero delle ragioni di carattere produttivo che legittimano l'apposizione del termine. Per i contratti stipulati nella vigenza del Decreto Legislativo n. 368 del 2001 si e', dunque, operata la distinzione fra il vizio genetico del rapporto, ravvisato in assenza di specificazione della causale e di insussistenza delle ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive, e quello derivante dal mancato rispetto della disciplina dettata dagli articoli 4 e 5 del decreto, in tema di prosecuzione, proroga e rinnovi. L'impossibilita' di convertire il rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato e' stata affermata in relazione alle sole fattispecie per le quali il legislatore ha espressamente previsto la deroga all'applicazione della disciplina ordinaria, disciplina che la Sezione Lavoro, quanto alle conseguenze della nullita' della clausola di durata, a partire da Cass. 21 maggio 2008 n. 12985 ha costantemente interpretato nel senso che, pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente l'insussistenza delle ragioni giustificative del termine, la nullita' della clausola di durata resta circoscritta a quest'ultima e determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in base ai principi generali in materia di nullita' parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonche' alla stregua dell'interpretazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1 alla luce della direttiva comunitaria 1999/70/CE e del sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato. 20.2. All'applicazione di detto ultimo principio non sono stati ritenuti ostativi ne' il divieto di assunzione a tempo indeterminato, che la disciplina settoriale snodatasi nel tempo ha imposto alle fondazioni liriche sinfoniche, in termini assoluti o relativi, ne' la previsione, contenuta nel Decreto Legge n. 91 del 2013, articolo 11, comma 19, secondo cui i rapporti di lavoro a tempo indeterminato con dette fondazioni si instaurano "esclusivamente" a seguito di procedure selettive pubbliche. Le richiamate conclusioni sono state ribadite, fra le tante, da Cass. 10 dicembre 2019 n. 32150 e da Cass. 11 dicembre 2019 n. 32420 che, riprendendo l'iter argomentativo gia' sviluppato nelle precedenti pronunce, hanno ritenuto le disposizioni dettate in materia di blocco delle assunzioni norme esterne alla fattispecie dedotta in giudizio, perche' riguardanti il funzionamento e l'autorganizzazione del datore di lavoro, con la conseguenza che le stesse, pur potendo incidere indirettamente sull'esistenza del rapporto invocata dal privato, non possono far degradare la posizione di diritto soggettivo sorta in conseguenza di atti di gestione del rapporto di tipo privatistico. Quanto agli adempimenti imposti per la costituzione del rapporto a tempo indeterminato si e' evidenziato che "la circostanza che le assunzioni avvengano di norma per concorso pubblico (disposizione ben diversa da quella di cui alla Cost., articolo 97) non pone limitazioni al giudice in caso di accertata sussistenza dei presupposti per la conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato". 20.3. L'ordinanza interlocutoria osserva che l'orientamento espresso in tema di rilevanza, ai fini dell'accertamento della costituzione fra le parti di un valido rapporto di lavoro a tempo indeterminato, della normativa settoriale che pone limiti alle facolta' assunzionali contrasta con i principi di diritto enunciati dalla Sezione Lavoro in fattispecie nelle quali, pur discutendosi di contratti a termine stipulati da enti diversi dalle fondazioni lirico sinfoniche, venivano comunque in rilievo disposizioni limitative o proibitive delle assunzioni a tempo indeterminato, imposte dal legislatore, statale o regionale, in relazione a rapporti che, seppure regolati in linea generale dal diritto privato in ragione della natura del datore di lavoro, sono riferibili a soggetti che impiegano nella gestione risorse pubbliche e, in ragione di cio', sono soggetti al controllo dell'amministrazione pubblica di riferimento, oltre che a quello contabile della Corte dei Conti. Richiama, in particolare, quanto all'incidenza del divieto di assunzione, l'orientamento, espresso da Cass. 9 gennaio 2019 n. 274 e da numerose pronunce successive conformi, sull'impossibilita' di convertire in rapporto a tempo indeterminato i contratti a termine stipulati dai (OMISSIS). Evidenzia, poi, che, in relazione all'incidenza della normativa inerente alle modalita' di costituzione dei rapporti a tempo indeterminato, a conclusioni diverse, rispetto a quelle espresse per le fondazioni lirico sinfoniche, la Sezione Lavoro e' pervenuta in fattispecie nelle quali veniva in rilievo la normativa, come si e' visto analoga se non sovrapponibile, dettata per regolare il reclutamento del personale delle societa' a controllo pubblico (orientamento inaugurato da Cass. 14 febbraio 2018 n. 3621 e poi ripreso e sviluppato da Cass. 23 luglio 2019 n. 19925, Cass. 11 febbraio 2022 n. 4571, Cass. 14 settembre 2022 n. 27126, Cass. 14 ottobre 2022 n. 30235). Sottolinea che quest'ultimo orientamento ha fatto leva sull'analogo principio affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza 9 marzo 2015 n. 4685 sugli enti pubblici economici della Regione Sicilia, con la quale la convertibilita' del rapporto, seppure privatistico, e' stata ritenuta condizionata dall'assenza di una disciplina di settore volta ad imporre per il reclutamento procedure concorsuali o selettive. Rileva, infine, che quelle pronunce hanno richiamato il principio, piu' generale, enunciato da queste Sezioni Unite con la sentenza 19 dicembre 2007 n. 26724 che, ribadita la rilevanza ai fini della cosiddetta nullita' virtuale della tradizionale distinzione fra norme di comportamento dei contraenti e norme di validita' del contratto, ha osservato, in motivazione, che nell'area delle norme inderogabili sono sicuramente ricomprese quelle disposizioni che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto. La questione posta dall'ordinanza interlocutoria, seppure prospettata in relazione alle fondazioni lirico sinfoniche, chiama, dunque, queste Sezioni Unite a pronunciare su un tema piu' generale, ossia sulla possibilita' di ritenere costituito fra le parti, come conseguenza dell'inefficacia o nullita' della clausola appositiva del termine, un valido rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in presenza di discipline settoriali che facciano divieto di instaurazione di detto rapporto o la subordinino al rispetto di forme di reclutamento finalizzate alla selezione dei piu' meritevoli ed alla verifica della sussistenza dei requisiti richiesti per l'assunzione. 21. Il tema si collega a quello, di respiro ancor piu' ampio, della nullita' contrattuale cosiddetta "virtuale", ossia non espressamente sancita dal legislatore, che rileva anche in ambito lavoristico. I principi affermati dalla citata Cass. S.U. n. 26724 del 2007 sono stati piu' di recente ripresi e sviluppati da queste Sezioni Unite con la sentenza 15 marzo 2022 n. 8472, che ha ribadito l'orientamento secondo cui la mancanza di una espressa sanzione di nullita' non e' decisiva per escludere che l'atto negoziale sia nullo, atteso che l'articolo 1418 c.c., comma 1, e' espressione di un principio di carattere generale, ed e' volto ad impedire che possano essere produttivi di effetti negozi giuridici posti in essere in violazione di norme imperative. Affermato che imperativita' della norma non e' sinonimo di inderogabilita', perche' solo la prima e' espressione di interessi pubblici fondamentali per l'ordinamento, le Sezioni Unite hanno ripercorso lo sviluppo giurisprudenziale che ha portato progressivamente a superare la tesi secondo cui l'invalidita' deve rimanere circoscritta al vizio o alla mancanza dell'elemento costitutivo della fattispecie negoziale, ossia al contenuto del negozio, ed hanno sottolineato che alla base del superamento del "dogma della fattispecie" sta l'esigenza di tutelare i preminenti interessi generali della collettivita', che la norma imperativa intende tutelare. Si e' detto, dunque, ed il principio e' stato poi ribadito da Cass. S.U. 16 novembre 2022 n. 33719, che "pur nel polimorfismo che caratterizza la nozione di nullita' negoziale, un elemento accomunante nella evoluzione giurisprudenziale si coglie nella tendenza attuale a utilizzare tale nozione - e quella di norma imperativa - come strumento di reazione dell'ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali", con la conseguenza che, come gia' avvertito da Cass. S.U. n. 26724 del 2007, ai fini dell'accertamento sulla sussistenza o meno della nullita' e sul carattere imperativo della norma, non sempre e' decisiva la tradizionale distinzione fra norme di comportamento e norme di validita', giacche' non di rado la tutela di interessi generali e fondamentali e' assicurata da disposizioni che non attengono al contenuto del regolamento contrattuale, bensi' riguardano elementi esterni al negozio. E' stato, quindi, affermato che e' ravvisabile la nullita' del contratto in tutti i casi in cui lo stesso, pur formalmente rispondente al tipo legale quanto ai requisiti richiesti dall'articolo 1325 c.c., "e' stato stipulato in situazioni che lo avrebbero dovuto impedire", evenienza, questa, che si verifica ogniqualvolta il legislatore faccia divieto di concludere il negozio o richieda la presenza di condizioni soggettive o oggettive per la sua stipulazione. 21.1. La tesi gia' accolta da queste Sezioni Unite, che deve essere qui ribadita, valorizza, dunque, i limiti posti dal legislatore all'esercizio del potere di autonomia dei privati e prospetta una ricostruzione dell'invalidita' che tiene conto delle indicazioni che si traggono dalla Cost., articolo 41, secondo cui l'iniziativa economica privata, pur libera, non puo' svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana. In quest'ottica sono da ricondurre alle norme imperative, che determinano nullita' ex articolo 1418 c.c., comma 1, oltre a quelle che fanno divieto assoluto di stipulazione del contratto, anche le disposizioni che, pur fissando apparentemente un obbligo di comportamento esterno alla fattispecie negoziale in senso stretto, limitano il potere di autonomia contrattuale e ne consentono l'esplicazione solo in presenza delle condizioni richieste, sempre che quest'ultime rispondano ad interessi pubblici fondamentali rispetto ai quali, secondo il bilanciamento operato dal legislatore, l'autonomia del singolo viene ad essere subvalente. 21.2. Queste Sezioni Unite non hanno mancato di sottolineare, ed il principio deve essere qui ribadito, che l'applicazione dell'articolo 1418 c.c., comma 1, in presenza di norma ritenuta imperativa in ragione degli interessi pubblici che la stessa tutela, non apre la strada alla discrezionalita' del giudice nell'individuazione di nuove ipotesi di nullita'. Occorre, infatti, che la norma abbia un contenuto specifico, preciso ed individuato; che la stessa non preveda specificamente altra sanzione per la sua violazione; che il giudizio sulla natura imperativa e sugli interessi che la disposizione mira ad assicurare venga espresso senza mai trascurare che il bilanciamento fra gli opposti interessi in gioco e' riservato al legislatore, il cui silenzio quanto alla sanzione, seppure non decisivo, non puo' essere ritenuto irrilevante e va sempre apprezzato dall'interprete. 22. Applicando detti principi alla fattispecie che qui viene in rilievo si deve affermare che e' affetto da nullita' ex articolo 1418 c.c., comma 1 il rapporto di lavoro a tempo indeterminato instaurato dalla fondazione lirico sinfonica in violazione dei divieti di assunzione imposti dalla normativa vigente ratione temporis o in assenza delle prescritte procedure selettive pubbliche richieste per la scelta del contraente. Si e' in presenza, infatti, di norme inderogabili, di contenuto specifico e ben individuato, imperative perche' dettate a tutela di interessi di carattere generale, non dissimili da quelli la cui realizzazione e' imposta alle amministrazioni pubbliche dall'articolo 97 Cost. e dalle disposizioni dettate per l'impiego pubblico contrattualizzato dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001. 22.1. Si e' gia' detto della particolare connotazione che le fondazioni liriche sinfoniche hanno in ragione delle finalita' alle stesse imposte dal legislatore delegato che, con l'articolo 3 del Decreto Legislativo n. 367 del 1996, ha indicato quale scopo quello, non di lucro, della diffusione dell'arte musicale, della formazione professionale dei quadri artistici e dell'educazione musicale della collettivita'. La presenza di un preminente interesse generale giustifica i limiti posti all'autonomia statutaria e gestionale delle fondazioni medesime, quali: la sottoposizione degli statuti al potere di approvazione del Ministero; la vigilanza da parte di quest'ultimo; il controllo della Corte dei Conti; l'obbligatorieta' delle procedure di risanamento del deficit disciplinate dal Decreto Legge n. 91 del 2013. Il Decreto Legislativo n. 376 del 1996 annovera lo Stato, le Regioni e i Comuni tra i soci di diritto della fondazione, dagli stessi finanziata in via prevalente attraverso il Fondo Unico per lo spettacolo ed i contributi locali; pone limiti alla partecipazione di fondatori privati, il cui contributo non puo' superare il 40% del patrimonio; stabilisce la necessaria rappresentanza in seno all'organo deliberativo dello Stato e della Regione, a prescindere dall'ammontare dei contributi dagli stessi versati; assegna la presidenza della fondazione al Sindaco del luogo dove ha sede l'ente. Si tratta di indici di una persistente rilevanza di tipo pubblicistico che hanno indotto la dottrina a ritenere l'intervenuta privatizzazione piu' formale che sostanziale e che sono stati valorizzati dalla Corte costituzionale nell'affermare che "la dimensione unitaria dell'interesse pubblico perseguito, nonche' il riconoscimento della "missione" di tutela dei valori costituzionalmente protetti dello sviluppo della cultura e della salvaguardia del patrimonio storico e artistico italiano, confermano, sul versante operativo, che le attivita' svolte dalle fondazioni lirico-sinfoniche sono riferibili allo Stato ed impongono, dunque, che sia il legislatore statale, legittimato dalla lettera g) del comma 2 dell'articolo 117 Cost., a ridisegnarne il quadro ordinamentale e l'impianto organizzativo." (Corte Cost. 21 aprile 2011 n. 153). Il limite posto alle facolta' assunzionali delle fondazioni e gli stringenti obblighi fissati in tema di determinazione delle dotazioni organiche disvelano un approccio di tipo pubblicistico alla questione del contenimento della spesa per il personale, reso necessario dalla situazione deficitaria delle fondazioni, tanto che i commentatori della normativa snodatasi nel tempo non hanno esitato nel definire anomala la disciplina che, pur a fronte dell'intervenuta attribuzione della personalita' giuridica di diritto privato, assegna al Ministero vigilante un penetrante potere di intervento, anche attraverso la riserva a quest'ultimo del potere di autorizzazione, in deroga, di nuove assunzioni. A fronte degli interessi di carattere generale che costituiscono il substrato e la ratio degli interventi normativi, non si puo', dunque, ritenere che le conseguenze della violazione del divieto di assunzione debbano rimanere circoscritte alla responsabilita' gestionale e contabile degli amministratori che quelle assunzioni hanno disposto perche', come gia' evidenziato da Cass. S.U. n. 26704 del 2007 " se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, e' la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullita' dell'atto per ragioni - se cosi' puo' dirsi - ancor piu' radicali di quelle dipendenti dalla contrarieta' a norma imperativa del contenuto dell'atto medesimo". 22.2. Analoghe considerazioni vanno espresse quanto all'obbligo imposto alle fondazioni di effettuare il reclutamento solo previo esperimento di procedure selettive pubbliche. Quell'obbligo, che come per le societa' controllate si lega al ruolo che in seno al soggetto privato svolge l'ente pubblico che ne assume il controllo o la vigilanza, si prefigge lo scopo di assicurare che le pubbliche amministrazioni agiscano nel rispetto dei principi indicati dalla Cost., articolo 97 anche allorquando il perseguimento degli interessi pubblici, che giustificano la partecipazione maggioritaria e di controllo alla persona giuridica di diritto privato, venga realizzato non direttamente dall'ente, ma per il tramite di un soggetto privato. Non a caso la Corte Costituzionale ha ritenuto (per le societa' a controllo pubblico ma sviluppando considerazioni che possono valere anche nella fattispecie) che i criteri di trasparenza, pubblicita' e imparzialita' per il reclutamento di personale debbano venire in rilievo anche rispetto all'agire delle pubbliche amministrazioni per mezzo di soggetti privati dalle stesse controllati (Corte Cost. n. 3 marzo 2011 n. 68). D'altro canto se, come gia' affermato da Cass. S.U. n. 33719 del 2022, il silenzio serbato dal legislatore sul vizio derivante dalla violazione della norma inderogabile va apprezzato dall'interprete e puo' essere indice del carattere non imperativo della disposizione, correlativamente si deve ritenere che qualora, a fronte di diversi orientamenti espressi sulla natura della norma e sulle conseguenze della sua violazione, il legislatore intervenga e sancisca la nullita' del contratto, quell'intervento, seppure successivo, deve orientare nella valutazione sul carattere imperativo o meno della disposizione che gia' in precedenza imponeva il medesimo requisito. Nella specie la sanzione della nullita' conseguente alla violazione delle procedure di reclutamento e' contenuta nel Decreto Legislativo n. 367 del 1996, articolo 22, comma 2 bis, come riformulato dal Decreto Legge n. 59 del 2019, e cio' conferma l'imperativita' del Decreto Legge n. 91 del 2013, articolo 11, comma 19, che l'ordinanza interlocutoria, sostanzialmente, prospetta. 23. Venendo alle conseguenze di quanto si e' sin qui detto sulla sorte dei rapporti a termine con clausola di durata affetta da nullita', ritengono le Sezioni Unite che il contrasto, fra i principi che sorreggono le decisioni, denunciato nell'ordinanza interlocutoria, debba essere risolto con l'affermazione della prevalenza delle disposizioni settoriali che vietano in assoluto l'instaurazione di rapporti a tempo indeterminato o ne consentono la stipula solo in presenza di requisiti oggettivi e soggettivi imperativamente richiesti dal legislatore. Quelle disposizioni, infatti, quanto agli effetti che producono sulla validita' del contratto, non possono restare circoscritte, come sostenuto dalla difesa del ricorrente anche nel corso della discussione orale, ai soli rapporti instaurati ab origine a tempo indeterminato, perche' la tesi predicata, che fa leva sul preteso diritto soggettivo alla conversione, finisce per ipotizzare che sia possibile che si produca, in conseguenza della sentenza accertativa della nullita' della clausola di durata, un effetto espressamente vietato dal legislatore. Si e' gia' richiamato al punto 20.1 il percorso argomentativo che la Sezione Lavoro, a partire da Cass. n. 12985/2008, ha seguito per affermare che, pur in difetto di una espressa previsione, nella vigenza del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, la nullita' originaria della clausola di durata, resta circoscritta a quest'ultima, con la conseguenza di determinare l'instaurazione fra le parti di un rapporto a tempo indeterminato. Quell'orientamento, consolidato nella giurisprudenza della Sezione Lavoro, valorizza il principio di carattere generale secondo cui il rapporto di lavoro si intende nella normalita' stipulato a tempo indeterminato, sicche' non puo' trovare applicazione nei casi in cui, per effetto di disposizioni speciali settoriali, la conclusione del rapporto a tempo indeterminato sia impedita in assoluto o sia subordinata alla ricorrenza di specifiche condizioni, imposte da norme imperative. Sia la conversione disciplinata dall'articolo 1424 c.c. sia quella, connotata da specialita', che tale si e' soliti definire in ambito lavoristico, presuppongono che l'atto posto in essere possa validamente produrre gli effetti di altro contratto, sicche' la stessa non puo' operare qualora quest'ultimo, a sua volta, si riveli affetto da nullita'. In tali casi, quindi, si e' in presenza di un contratto di lavoro nullo, rispetto al quale le tutele, sul piano del diritto interno, sono solo quelle assicurate dall'articolo 2126 c.c.. 24. Ne' si puo' sostenere che la conversione del rapporto a termine dovrebbe necessariamente derivare dalla necessaria conformazione al diritto dell'Unione ed in particolare alla clausola 5 dell'Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE. Precisato, in premessa, che la richiamata clausola viene in rilievo nei soli casi in cui si sia in presenza di una reiterazione abusiva del contratto, va detto che la Corte di Giustizia nella decisione del 25 ottobre 2018, in causa C-331/17, ha ribadito, ai punti 59 e 60 della motivazione, l'interpretazione consolidata secondo cui "la clausola 5, punto 2, dell'accordo quadro lascia, in linea di principio, agli Stati membri la cura di determinare a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato vadano considerati come conclusi a tempo indeterminato. Da cio' discende che l'accordo quadro non prescrive le condizioni in presenza delle quali si puo' fare uso dei contratti a tempo determinato (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, EU:C:2014:2401, punto 80, nonche' ordinanza dell'11 dicembre 2014, León Medialdea, C-86/14, non pubblicata, EU:C:2014:2447, punto 47). Tuttavia, affinche' una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che vieta, nel settore delle fondazioni lirico-sinfoniche, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all'accordo quadro, l'ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un'altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l'utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato (v., per analogia, sentenze del 14 settembre 2016, Martinez Andre's e Castrejana López, C-184/15 e C-197/15, EU:C:2016:680, punto 41, nonche' del 7 marzo 2018, Santoro, C-494/16, EU:C:2018:166, punto 34).". Ha, conseguentemente, ritenuto non conforme al diritto dell'Unione la richiamata normativa sul presupposto che, una volta esclusa la conversione, l'ordinamento nazionale non assicurerebbe alcuna misura idonea a sanzionare l'abuso (punto 62 ove si legge: " Ne deriva che l'ordinamento giuridico italiano non comprende, nel settore delle fondazioni lirico-sinfoniche, nessuna misura effettiva, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 60 della presente sentenza, che sanzioni l'utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato, e cio' sebbene il personale di tale settore, contrariamente ai lavoratori di cui trattasi nella causa che ha condotto alla sentenza del 7 marzo 2018, Santoro (C-494/16, EU:C:2018:166, punti 35 e 36), non abbia diritto all'attribuzione di un'indennita' ai fini del risarcimento del danno subito"). 24.1. In realta' la misura rimediale del risarcimento del danno e' riconosciuta dall'ordinamento nazionale in ogni ipotesi di responsabilita' contrattuale o extracontrattuale ed anche qualora venga in rilievo un contratto invalido (articolo 1338 c.c.). Il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni, nella parte in cui prescrive che "il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di norme imperative" (disposizione, questa, integralmente ripresa per i dipendenti delle fondazioni lirico sinfoniche dal Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 29, comma 3 ter, come modificato dal Decreto Legge n. 59 del 2019) e' specificazione di un principio di carattere generale, sicche' gli argomenti sulla base dei quali queste Sezioni Unite, con sentenza n. 5072 del 15 marzo 2016, hanno ritenuto necessaria, a fronte della legittima previsione della non convertibilita' dei rapporti a termine, un'agevolazione probatoria che conduca al riconoscimento ed alla liquidazione del "danno comunitario", necessari, in caso di reiterazione abusiva del contratto a tempo determinato, per conformare il diritto interno a quello dell'Unione, possono essere estesi anche alle fattispecie nelle quali la conversione, per la qualita' soggettiva del datore di lavoro e per la natura del rapporto del quale si discute, sia impedita da norme diverse dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, che nulla di specifico prevedano quanto alla pretesa risarcitoria. Merita condivisione l'orientamento espresso in tal senso dalla Sezione Lavoro (cfr. fra le tante Cass. 22 febbraio 2017 n. 4631; Cass. 26 febbraio 2020 n. 12876; Cass. 15 settembre 2020 n. 25625; Cass. 22 marzo 2022 n. 9372) secondo cui anche in caso di inapplicabilita' del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, le norme di diritto interno che disciplinano il risarcimento del danno vanno interpretate in conformita' al canone di effettivita' della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicche', mentre va escluso - siccome incongruo - il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, puo' farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all'articolo 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, (ora articolo 28 del Decreto Legislativo n. 81 del 2015) quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto. La Corte di Lussemburgo, chiamata a pronunciare sulla conformita' al diritto dell'Unione, del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, come interpretato da queste Sezioni Unite, ha evidenziato che "la clausola 5 dell'accordo quadro dev'essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un'indennita' volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensi', dall'altro, prevede la concessione di un'indennita' compresa tra 2,5 e 12 mensilita' dell'ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilita', per quest'ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno" anche facendo ricorso, quanto alla prova, a presunzioni (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C - 494/16 Santoro). Il riconoscimento del "danno comunitario", nei termini sopra indicati, comporta, dunque, la piena conformazione del diritto interno a quello unionale. 24.2. Infine va escluso che la ritenuta non convertibilita' dei rapporti a termine stipulati dalle fondazioni lirico sinfoniche possa essere ritenuta discriminatoria rispetto ai lavoratori dipendenti di datori di lavoro privati, ai quali l'ordinamento assicura la conversione del rapporto stesso, oltre all'indennita' onnicomprensiva prevista dalle disposizioni richiamate nel punto che precede. Bastera' al riguardo richiamare quanto sopra si e' detto circa la natura peculiare dei rapporti dei quali qui si discute, che si correla agli interessi di natura pubblica che permangono anche all'esito della trasformazione delle fondazioni in soggetti di diritto privato e che ab origine ha giustificato la disciplina settoriale dettata dal legislatore. Detti rapporti non sono, dunque, comparabili con quelli alle dipendenze degli altri datori di lavoro privati e, rispetto al tema che qui viene in rilievo, presentano, piuttosto, profili di affinita' al rapporto di impiego pubblico contrattualizzato, in relazione al quale la diversita' di tutela rispetto al settore privato non e' stata ritenuta ne' discriminatoria ne' in contrasto con i principi dettati dalla richiamata direttiva 1979/70/CE. 25. In via conclusiva il ricorso principale va accolto limitatamente al primo motivo e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'appello indicata in dispositivo che procedera' ad un nuovo esame, al fine dell'accertamento del diritto al risarcimento del danno comunitario, e si atterra' ai principi di diritto che, sulla base delle considerazioni sopra esposte, di seguito si enunciano: a) in caso di successione di leggi nel tempo la legittimita' della clausola di durata apposta al contratto a tempo determinato e le conseguenze che derivano dall'invalidita' della stessa devono essere valutate facendo applicazione della disciplina vigente al momento dell'instaurazione del rapporto; b) il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, impone di specificare nel contratto le ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive che giustificano l'assunzione a tempo determinato e detto obbligo di specificazione non puo' essere soddisfatto per le fondazioni lirico sinfoniche attraverso la sola indicazione dello spettacolo o dell'opera, non sufficiente, rispetto ad un'attivita' che si caratterizza per essere finalizzata alla produzione in ogni stagione di una serie di rappresentazioni, a rendere evidenti le ragioni oggettive del ricorso al rapporto a tempo determinato; c) nei casi di rapporto a tempo determinato con clausola affetta da nullita' l'instaurazione del rapporto a tempo indeterminato e' impedita dalle norme imperative settoriali, vigenti al momento della stipulazione del contratto, che fanno divieto assoluto di assunzione a tempo indeterminato o subordinano l'assunzione stessa a specifiche condizioni oggettive e soggettive, fra le quali rientra il previo esperimento di procedure pubbliche concorsuali o selettive; d) in caso di reiterazione di contratti a tempo determinato, affetti da nullita' perche' stipulati in assenza di ragioni temporanee, ove la conversione sia impedita dalle norme settoriali richiamate al punto che precede, vigenti ratione temporis, le disposizioni di diritto interno, che assicurano il risarcimento in ogni ipotesi di responsabilita', vanno interpretate in conformita' al canone dell'effettivita' della tutela affermato dalla Corte di Giustizia e, pertanto, al lavoratore deve essere riconosciuto il risarcimento del danno con esonero dall'onere probatorio nei limiti previsti dalla L. 4 novembre 2010 n. 183, articolo 32 (successivamente trasfuso nell'articolo 28 del Decreto Legislativo n. 15 giugno 2015 n. 81), ferma restando la possibilita' di ottenere il ristoro di pregiudizi ulteriori, diversi dalla mancata conversione, ove allegati e provati. 26. Alla Corte territoriale e' demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimita'. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente incidentale. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il primo motivo del ricorso principale e rigetta il secondo motivo. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo ed al ricorso accolto e rinvia alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita'. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del cit. articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosar - rel. Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 27/04/2022 del TRIB. LIBERTA' di CUNEO; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARIAROSARIA BRUNO; lette/sentite le conclusioni del PG Dr. MARILIA DI NARDO, che conclude per l'inammissibilita'; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di TORINO in difesa di: (OMISSIS); (OMISSIS) S.R.L.; Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con provvedimento del 27/4/2022, il Tribunale di Cuneo, decidendo ai sensi dell'articolo 322-bis c.p.p. sull'appello proposto da (OMISSIS) e dalla " (OMISSIS) s.r.l.", in persona del legale rapp.te (OMISSIS), avverso le ordinanze emesse dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cuneo in data 31/3/2022 e 12/4/2022, autorizzava la sostituzione dei beni mobili registrati sottoposti a sequestro preventivo con l'unita' immobiliare ad uso residenziale di proprieta' di (OMISSIS) sita nel Comune di (OMISSIS), in atti meglio individuata, disponendo lo svincolo dei beni mobili registrati sottoposti a sequestro preventivo disposto a fini di confisca ai sensi dell'articolo 603-bis 2 c.p.; rigettava nel resto le richieste degli appellanti di revoca o riduzione del sequestro preventivo in corso. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS). La difesa del ricorrente articola i seguenti motivi di ricorso. I) Erronea applicazione dell'articolo 603-bis c.p.; motivazione meramente apparente in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti. Sulla questione riguardante la sussistenza del fumus del reato, devoluta al Tribunale del riesame con motivo di appello proposto in data 8/4/22, l'ordinanza impugnata ritiene che gli "elementi nuovi" prodotti dalla difesa non abbiano modificato il quadro precedentemente definito, dovendo stimarsi l'illecito arricchimento da parte degli indagati nella misura di Euro 250.000, valore superiore a quello originariamente ipotizzato. Tale argomentazione si fonderebbe su una non corretta interpretazione degli elementi costitutivi del reato contestato, alla luce dell'interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimita', secondo cui tale fattispecie e' caratterizzata dallo sfruttamento dei lavoratori che abbia connotati di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione, resi manifesti da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione ad umilianti e degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (Sez.4, n. 49781/19). Nel caso di specie non si individuerebbero i profili indicati, riguardando la condotta ascritta al ricorrente minime differenze retributive, ascrivibili ad un'erronea qualificazione delle ore di straordinario. Sul punto, la valutazione del Tribunale del riesame sarebbe meramente apparente. L'ordinanza impugnata si limita infatti a richiamare, quale dato da prendere in considerazione ai fini della valutazione delle differenze retributive, l'importo complessivo pagato dall'indagato, pari ad Euro 250.000, per la regolarizzazione delle posizioni di tutti i lavoratori presenti in azienda con riferimento al periodo gennaio 2017-novembre 2021. Tale somma non puo' costituire ex se indice di sfruttamento dei lavoratori, posto che essa indica un dato complessivo, che si riferisce alle differenze retributive e contributive riscontrate in riferimento a tutti i lavoratori dell'azienda (e non solo alle 14 persone offese), per un lungo periodo di tempo, da gennaio 2017 a novembre 2021. Il dato da prendere in considerazione ai fini dell'accertamento del reato e' la differenza retributiva e contributiva concernente i singoli lavoratori per ciascun anno di lavoro. Deve essere considerata e valorizzata la relazione dell'Amministratore giudiziario, il quale riferisce della regolarita' contrattuale e retributiva di tutti i dipendenti, con l'unica eccezione delle ore di straordinario pagate come premi. L'errore in cui incorre il Tribunale del riesame e' evidente e conduce ad una non corretta applicazione della fattispecie in contestazione: si valorizza, ai fini dell'accertamento della condizione di sfruttamento dei lavoratori, l'illecito arricchimento (complessivo) dell'indagato e non, come sarebbe corretto, il pregiudizio singolarmente patito dai lavoratori. Come emerge dalla documentazione allegata alle istanze di revoca ovvero riduzione del sequestro presentate al G.i.p. competente il 30/3/22 e l'8/4/22, l'importo lordo della differenza retributiva comprensiva della maggiorazione per le ore di straordinario e' risultato, in media, pari a circa Euro 3.000 annui per ciascun lavoratore. La corretta valorizzazione di tale elemento probatorio conduce, contrariamente alla valutazione espressa dall'ordinanza impugnata, a ritenere non sussistente, allo stato, la condotta di reato contestata. II) Erronea applicazione dell'articolo 603-bis.2 c.p. in ordine alla determinazione del quantum confiscabile. Il Tribunale del riesame quantifica il profitto del reato - originariamente indicato in "non meno di 110.00 Euro" - in Euro 250.000, ritenendo tale somma "pari alle differenze retributive a suo tempo non corrisposte, ma riconosciute come dovute dagli stessi appellanti, e quindi all'illecito arricchimento del datore di lavoro" (pag. 9 ordinanza impugnata). Conseguentemente, afferma il Tribunale, "allo stato delle indagini vi e', pertanto, corrispondenza tra il "profitto" del reato ipotizzato e il valore dei beni mobili registrati sottoposti a vincolo (Euro 254.800,00, stando al prezzo "storico" di acquisto, risultante dal P.R.A.)" (pag. 9 ordinanza impugnata). L'ordinanza impugnata ritiene irrilevante, ai fini del mantenimento del sequestro, l'intervenuto pagamento da parte dell'azienda, dopo l'esecuzione del sequestro preventivo, delle differenze retributive spettanti ai lavoratori che si presume essere stati sfruttati, per un totale di Euro 250.000. Tale argomentazione, del tutto infondata, renderebbe manifesta la violazione dell'articolo 603-bis.2 c.p. e dei presupposti di applicabilita' della confisca obbligatoria del profitto del reato nella forma per equivalente. La confisca del profitto del reato ed il sequestro preventivo a questa finalizzato, secondo orientamento consolidato in sede di legittimita', "non puo' complessivamente eccedere nel "quantum" l'ammontare del profitto complessivo, non potendo avere un ambito piu' ampio di quello della successiva confisca" (Sez. 5, n. 19091/20). In ogni fase procedimentale occorre pertanto "verificare il rispetto del principio di proporzionalita' tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, al fine di evitare che la misura cautelare si riveli eccessiva nei confronti del destinatario: il sequestro non puo', infatti, riguardare beni di valore eccedente il profitto del reato" (Sez. IV, 16/12/2015, n. 4567/15; Sez. 3, n. 39091/13). In altri termini, in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, si impone l'esatto accertamento, allo stato degli atti, del profitto confiscabile (Sez. 3, n. 26450/16). Ai fini della determinazione del profitto confiscabile non puo' prescindersi dal considerare i pagamenti e le restituzioni eventualmente operate dall'indagato nelle more del procedimento, tali da elidere o ridurre il profitto confiscabile. Doveva essere considerato che la "Societa' (OMISSIS) s.r.l." ha provveduto a corrispondere a tutti i dipendenti le differenze retributive e contributive per complessivi Euro 250.000. La giurisprudenza di legittimita' con orientamento consolidato si e' espressa nel senso di ritenere che, in tali casi, il sequestro debba necessariamente ridursi della parte corrispondente al profitto del reato restituito nelle more del procedimento, in quanto, evidentemente, la confisca, cui e' finalizzata la misura cautelare, non potrebbe operare per la parte di profitto restituita "altrimenti determinandosi un'inammissibile duplicazione sanzionatoria" (Sez. 3, n. 8564/21) Cio' e' stato affermato in materia di reati tributari con riferimento al pagamento del debito tributario, anche parziale, ovvero alla riduzione di tale importo da patte dell'Amministrazione fiscale (ex multis, Sez. 3 n. 25992/21), ma anche in materia di riciclaggio. Ne consegue che nessun pregio puo' riconoscersi all'argomento utilizzato dal Tribunale del riesame, secondo cui "tale principio deve, invero, ritenersi valido solo in materia di reati tributari, in cui viene in considerazione esclusivamente l'interesse dell'Amministrazione finanziaria, e non anche nel caso in esame in cui sono implicati gli interessi dei lavoratori, quelli degli enti previdenziali, assistenziali ed assicurativi e in generale l'interesse dello Stato alla correttezza del mercato del lavoro all'osservanza della normativa giuslavoristica" (pag. 10 dell'ordinanza impugnata). Il Tribunale, come gia' l'ordinanza impugnata, equivocano sul concetto sanzionatorio della confisca per equivalente, equiparandola a tutti gli effetti ad una sanzione da aggiungersi alla pena edittale, prescindendo dalla restituzione del profitto. In nessun caso la natura (quantomeno parzialmente) sanzionatoria puo' valere a elidere il necessario nesso intercorrente tra misura ablativa e profitto del reato, come invece erroneamente argomenta il Tribunale del riesame. Cio' in quanto, come e' stato recentemente ribadito in sede di legittimita', "al di la' delle etichettature (..) emerge con chiarezza la funzione ripristinatoria della confisca di valore, che si risolve nell'apprensione di beni che non hanno alcun legame ne' immediato ne' pertinenziale con l'illecito, e che ha lo specifico fine di eliminare in capo all'autore del reato il valore corrispondente al profitto o al prezzo dell'illecito" (Sez. 2, n. 19645/21). In altri termini, dunque, non e' consentito equiparare la misura "ne' alla sanzione principale, in quanto e' assente la funzione repressiva tipica della pena, ne' alle sanzioni accessorie, non essendo riconoscibile la tipica funzione preventiva di tali sanzioni satellite. Si tratta infatti di misura "rigida" in quanto il quantum da confiscare non e' sottoposto a valutazioni discrezionali, ma dipende solo dall'accertamento del profitto e del prezzo del reato" (Sez. 2, n. 19645/2021, cit.). 3. Motivazione meramente apparente in ordine al periculum in mora. Con pronuncia n. 36959 del 24/6/21 le Sezioni Unite hanno ritenuto che il provvedimento di sequestro preventivo di beni ex articolo 321 c.p.p., comma 2, finalizzato alla confisca, sia questa facoltativa ovvero obbligatoria, debba contenere una concisa motivazione anche sul periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio. L'ordinanza impugnata recherebbe una motivazione sul punto meramente apparente e, pertanto, redatta in violazione di legge. 3. Il P.G., con requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. La difesa ha depositato, nei termini, apposita memoria, insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere parzialmente accolto nei termini di seguito precisati. 2. Ai fini di una migliore comprensione della vicenda che occupa occorre fare una breve premessa sugli sviluppi processuali che hanno connotato l'adozione del provvedimento di sequestro preventivo a carico del ricorrente. In data 26/11/2021 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cuneo disponeva, nell'ambito del procedimento a carico di (OMISSIS), indagato in concorso con altri dei reati di cui all'articolo 81 cpv. c.p., articolo 603-bis c.p., comma 1, nn. 1) e 2), comma 2 e comma 4, nn. 1) e 3), il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, ai sensi dell'articolo 603-bis 2 c.p., di numero 16 veicoli a motore intestati a (OMISSIS) e quattro autovetture intestate alla " (OMISSIS) S.r.l.", per un valore complessivo pari ad Euro 254.800, stando al prezzo di acquisto. Il profitto dell'ipotizzato reato era determinato, nella contestazione provvisoria, in "non meno di 110.000 Euro". In data 13 gennaio 2022, il (OMISSIS) avanzava istanza di dissequestro dei beni mobili registrati e di contestuale sottoposizione a vincolo di un bene immobile sito in (OMISSIS), del valore stimato di Euro 145.600,00. Detta istanza era respinta con provvedimento del 15/1/2022. Con successiva richiesta depositata il 14/2/2022 il ricorrente chiedeva la sostituzione del sequestro sui veicoli con il vincolo sulla somma di Euro 100.00,00, somma che la societa' avrebbe messo a disposizione con versamento su un libretto postale. Anche detta istanza era respinta dal G.i.p., il quale, nell'ordinanza emessa il 16/2/2022, osservava come "il dissequestro dei beni sia possibile soltanto in cambio di utilita' di equivalente valore". Avverso tale ordinanza il (OMISSIS) e la " (OMISSIS) S.R.L." proponevano appello innanzi al Tribunale del riesame in data 22/2/2022. Il gravame era rigettato con provvedimento del 16/17 marzo 2022 sul rilievo dell'inammissibilita' dei motivi, fondati su istanze non proposte avanti al Giudice a quo e sul rilievo che la somma offerta in sostituzione dei beni mobili registrati in sequestro era inferiore al valore complessivo di questi ultimi. Il G.i.p. presso il Tribunale di Cuneo era investito da due ulteriori istanze provenienti dal (OMISSIS) - che provvedeva a rigettare con ordinanze del 30 marzo 2022 e del 12 aprile 2022 - afferenti ad una richiesta di revoca o riduzione del sequestro preventivo o, in subordine, alla sostituzione dei beni mobili registrati sottoposti a vincolo con l'unita' immobiliare di cui si e' detto sopra. In seguito ad impugnazione dei due provvedimenti di rigetto da ultimo citati, il Tribunale del riesame, dopo avere riunito i procedimenti, in parziale accoglimento della domanda dell'appellante, disponeva, con la ordinanza per cui pende ricorso per cassazione, la sostituzione dei beni mobili registrati sottoposti a sequestro preventivo con l'unita' immobiliare ad uso residenziale di proprieta' dell'indagato (OMISSIS), sita nel Comune di (OMISSIS), del valore di mercato attuale di Euro 250.000. 3. Tutto cio' premesso, venendo al merito delle doglianze si osserva quanto segue. Il primo motivo di ricorso, riguardante la ricorrenza del fumus commissi delcti in relazione alla fattispecie in esame, e' infondato. Il Tribunale ha osservato che il ricorrente non ha mai impugnato il decreto di sequestro preventivo con riferimento al fumus commissi delitti; pertanto, essendo rimasto incontestato alla data dell'esecuzione del sequestro, avvenuto in data 27/12/2022, il suddetto profilo, spettava al Tribunale verificare soltanto la permanenza di tale requisito nel periodo successivo e l'eventuale esistenza di elementi nuovi suscettibili di incidere su tale profilo. Cio' risponde ai principi stabiliti in questa sede (cfr. Sez. 2, n. 49188 del 09/09/2015, Rv. 265555 -01:"In tema di c.d. giudicato cautelare, Ila preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame concerne solo le questioni esplicitamente o implicitamente trattate e non anche quelle deducibili e non dedotte; pertanto, detta preclusione opera allo stato degli atti, ed e' preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa puo' essere superata laddove intervengano elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito"). L'analisi degli elementi nuovi, emersi medio tempore nella vicenda che occupa, ha indotto il Tribunale a ritenere, con argomentazioni logiche, che il quadro indiziario di riferimento fosse rimasto immutato con riferimento al fumus commissi delicti. Si e' invero evidenziato come l'audizione delle persone offese in incidente probatorio avesse confermato la prestazione da parte dei dipendenti di un numero elevato di ore di straordinario, soltanto in parte retribuite in busta paga sotto la voce "premio". Si e' ulteriormente posto in rilievo l'intervenuto pagamento, da parte del datore di lavoro, delle ore di lavoro straordinario prestate dai dipendenti, illo tempore non corrisposte, per un ammontare di Euro 250.000 ed il deposito, in data 9 marzo 2022, della relazione redatta dal consulente del lavoro (OMISSIS), nominato dall'Amministratore giudiziario. Quanto agli ulteriori elementi che connotano la fattispecie, il Tribunale ha posto in evidenza il fatto che gli indagati, come emerge dal contenuto di conversazioni intercettate nel corso delle indagini, avessero piu' volte minacciato i dipendenti, imponendo loro di adeguarsi al sistema instauratosi in azienda, cosi' inducendo uno stato di soggezione e sudditanza. Cio' e' sufficiente, alla stregua di quanto compete in questa sede, per ritenere l'astratta ricorrenza della fattispecie ipotizzata, dovendo peraltro osservarsi come, ai fini dell'integrazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non deve essere inteso come una condizione di necessita' tale da annientare in modo assoluto la liberta' di scelta, bensi' come una situazione di grave difficolta', anche temporanea, tale da limitare la volonta' della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose (Sez. 4 n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport, Rv. 281405). In relazione al profilo del fumus, il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio pregnante. Sebbene la piu' recente giurisprudenza di legittimita' sottolinei che il giudice non possa limil:arsi a prendere semplicemente atto dell'astratta configurabilita' della fatti'specie di reato ipotizzata, e' sufficiente, in questo ambito, che siano richiamate le risultanze processuali che rendano sostenibile l'imputazione, senza tuttavia che questo si traduca in un vaglio circa la specifica fondatezza dell'accusa. Tali criteri sono stati soddisfatti in motivazione, avendo il Tribunale evidenziato, attraverso il richiamo alle risultanze in atti, la ricorrenza, nel caso di specie, degli elementi atti alla configurazione del reato per cui si procede, peraltro ampiamente argomentati anche nell'originario provvedimento di sequestro. La difesa, dal canto suo, reitera sul punto questioni gia' adeguatamente vagliate dal Tribunale del riesame, non suscettibili di rivelare aspetti di criticita' nel ragionamento portato dai giudici di merito. E' il caso di rammentare come, in tema di sequestri probatori e preventivi, il ricorso per Cassazione e' ammesso solo per violazione di legge. In tale nozione si devono ricomprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 - 01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656 - 01). 4. Merita, invece, approfondimento la questione riguardante il quantum del profitto determinato in motivazione, oggetto del secondo motivo di ricorso. In proposito, il Tribunale del riesame ha affermato, sulla base degli elementi in suo possesso, in particolare alla luce della circostanza dell'avvenuto pagamento da parte del legale rappresentante dell'azienda, che l'ammontare delle differenze retributive dovute ai dipendenti, inizialmente stimate in "non meno di 110.000 Euro" nella imputazione, si attesti intorno ad Euro 250.000. Tale importo, si precisa in motivazione, sarebbe suscettibile di "ritocchi verso l'alto all'esito degli accertamenti ancora in corso da parte dell'Ispettorato del Lavoro". Ha quindi preso atto dell'intervenuta restituzione di una somma di pari importo in favore dei dipendenti, evidenziando, a pag. 10 dell'ordinanza, che "l'unico elemento di novita' e' rappresentato dall'intervenuto pagamento da parte della ditta, dopo l'esecuzione del decreto di sequestro preventivo, delle differenze retributive spettanti ai lavoratori che si presume essere stati sfruttati". In altro passaggio motivazionale, ha affermato che tale pagamento riguarda le "maggiorazioni per le ore di lavoro straordinarie prestate dai dipendenti qualificati come persone offese e dai restanti lavoratori interessati" (cosi' pag. 8 della motivazione). La motivazione sulla quantificazione del profitto locupletato dal datore di lavoro, stimata nella imputazione in "non meno di Euro 110.000 Euro" e portata dal Tribunale a 250.000 Euro, si appalesa inadeguata. Occorre sul punto svolgere le seguenti osservazioni. Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, che invoca orientamenti che trovano applicazione in tema di reati tributari, non estensibili al caso in esame, il pagamento di tali somme non incide sul profitto confiscabile, elidendone la ragione d'essere. In proposito deve essere qui ribadita la natura sanzionatoria della misura della confisca, ricavabile dal testo stesso della norma, che stabilisce un vincolo sui beni dell'indagato ove non sia possibile la confisca diretta. Il tenore dell'articolo 603-bis.2 c.p. impone, obbligatoriamente, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 c.p.p. per i delitti previsti dall'articolo 603-bis, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, stabilendo che, ove cio' non risulti possibile, e' disposta la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilita' per un valore corrispondente al prodotto, al prezzo o al profitto del reato. In ogni caso, la norma fa salvo il diritto delle persone offese a ottenere le restituzioni ed il risarcimento del danno. La norma, dunque, prevede la confisca delle cose che servirono a commettere il reato e di quelle che ne costituiscono il prezzo, il prodotto ed il profitto; in aggiunta stabilisce espressamente la salvaguardia dei diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni ed al risarcimento. Alla luce di tale interpretazione, discendente dal dato testuale della formulazione della norma, le somme erogate motu proprio dal ricorrente ai dipendenti devono intendersi avvenute a titolo di restituzione. La circostanza, diversamente da quanto sostiene la difesa, lascia impregiudicata la necessita' di provvedere al sequestro, a fini di confisca, delle cose che servirono a commettere il reato, di quelle che ne costituiscono il profitto, il prezzo e il prodotto o, in mancanza, dei beni nella disponibilita' del ricorrente per un valore corrispondente. Tutto cio' risponde all'intento del legislatore di reprimere piu' gravemente il fenomeno criminale sotteso alla fattispecie di cui si tratta, garantendo la ragione dello Stato e lasciando impregiudicato il diritto della persona offesa dal reato ad ottenere la restituzione di quanto dovuto, da determinarsi secondo normali criteri che attengono alla materia giuslavoristica, in aggiunta al risarcimento del danno. Bisogna quindi tenere distinto l'aspetto delle restituzioni e del risarcimento da quello riguardante la confisca del profitto, la cui individuazione serve a comprendere ampiezza e limiti del sequestro preventivo, strumento attraverso il quale si assicura la confisca. La determinazione della nozione di "profitto" confiscabile rappresenta un profilo che ha registrato non poche divergenze nella giurisprudenza di legittimita' che si e' occupata della sua definizione. E' sufficiente qui ricordare come, in base alla definizione ricavabile dal prevalente orientamento, il " profitto del reato " deve essere identificato con un "beneficio aggiunto di tipo patrimoniale", "pertinente al reato" secondo un rapporto "causa-effetto", nel senso che il profitto deve essere "una conseguenza economica immediata ricavata dal fatto di reato" (sulla nozione di profitto si vedano in motivazione Sez. U, n. 29951 del 24 maggio 2004, Curatela Fall. in proc. p. Focarelli; Sez. U, n. 266542 luglio 2008, Bonelli, dove si legge che il profitto del reato e' "utilita' creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa"; Sez. U, n. 31617 del 26 giugno 2015, Lucci, Rv. 264436, cosi' massimata:"Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell'illecito"). Sulla base di tali principi puo' affermarsi che il profitto del reato non corrisponda soltanto alle differenze retributive non riconosciute ai lavoratori, ma sia una nozione piu' ampia, nella quale deve ricomprendersi ogni arricchimento o utilita' patrimoniale conseguiti dall'indagato, che si pongano in rapporto di immediata e diretta derivazione causale con la condotta illecita contestata. 5. Cio' premesso, e' indubbio che le somme non corrisposte ai lavoratori, che abbiano effettuato prestazioni lavorative in piu', in condizioni di sfruttamento, debbano essere considerate ai fini della determinazione del profitto. Nel presente caso, tuttavia, la contestazione aveva riguardato un certo numero di dipendenti ed il profitto era stato determinato in "non meno di 110.000 Euro". Il Tribunale, nel riconoscere che le somme corrisposte dal datore di lavoro ai dipendenti - pari ad Euro 250.000 circa - sono da ritenersi "profitto" del reato, non ha chiarito come l'importo in piu' determinato, notevolmente superiore a quello indicato nella imputazione, si rapporti alle condizioni di sfruttamento dei lavoratori, elemento che connota il reato. Soprattutto e' insoddisfacente il passaggio motivazionale nel quale il Tribunale afferma come tali somme corrispondano ad ore di lavoro prestate non solo dalle persone offese, con cio' evidentemente riferendosi a quelle individuate nella imputazione, ma anche "dai restanti lavoratori interessati". Tale ultima espressione, infatti, non permette di comprendere se il Tribunale abbia inteso riferirsi ad ulteriori lavoratori sottopagati peri quali sia ipotizzabile la condizione di sfruttamento. In conclusione, a fronte di una contestazione che riguarda un profitto stimato in "non meno di 110.000 Euro", il Tribunale ha incrementato notevolmente la consistenza di tale importo, dando rilievo unicamente alle somme corrisposte dal datore di lavoro, senza tuttavia giustificare l'incremento sulla base del rapporto di derivazione causale dal reato e facendo vaghi riferimenti ai lavoratori "interessati". I rilievi difensivi sul rispetto del principio di proporzionalita' e sul periculum in mora sono assorbiti dalla decisione sul punto che ha formato oggetto di annullamento. 6.Iin ragione di quanto precede deve annullarsi l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Cuneo. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale del riesame di Cuneo.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.