Sentenze recenti differenze retributive

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 4280 del 2021, proposto dal dottor Ma. Ma., rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Lu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l'Azienda Sanitaria Unica delle Marche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Mi. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; la Regione Marche e la Gestione Liquidatoria della Unità Sanitaria Locale n. 5 di Jesi, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Sezione prima, n. 617 del 26 ottobre 2020, resa tra le parti, concernente l'accertamento del diritto a differenze retributive Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda Sanitaria Unica delle Marche; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2024 il consigliere Nicola D'Angelo e uditi per le parti gli avvocati Al. Lu. e Mi. Gu.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il dottor Ma. Ma., aiuto ospedaliero, ha chiesto al Tar di Ancona il riconoscimento del diritto a percepire le differenze retributive spettanti per lo svolgimento di mansioni superiori di primario responsabile della Unità organizzativa di urologia presso la Usl n. 5 di Jesi, dal giorno 1° ottobre 1995 al 15 giugno 1998, limitatamente al periodo devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego, sulla base degli appositi incarichi formalmente conferiti dalla stessa Usl, con condanna dell'Amministrazione alla corresponsione delle differenze retributive, oltre agli interessi legali e rivalutazione monetaria. 1.1. In particolare, il ricorrente ha evidenziato che, con nota prot. n° 5160/P del 29 novembre 1995 avente ad oggetto "Conferimento funzioni superiori Primario", l'Usl comunicava che con deliberazione in data 9 novembre 1995 n. 1151, l'Amministrazione gli aveva conferito con effetto dall'1° ottobre1995 le funzioni superiori di primario della Divisione di Urologia. Alla data di cessazione dell'incarico, sollecitava quindi il pagamento degli emolumenti per le mansioni superiori svolte. 1.2. Per le stesse mansioni, il Commissario straordinario della Usl di Jesi, con provvedimento n. 200 del 14 ottobre 2002, ha riconosciuto e proceduto alla liquidazione al ricorrente delle somme relative allo svolgimento delle predette funzioni per un ammontare complessivo di euro 26.881,99. 1.3. Nonostante il provvedimento commissariale, il ricorrente, affermando di non aver ricevuto quanto preteso, ha proposto ricorso che il Tar di Ancona. 2. Lo stesso Tribunale, con la sentenza indicata in epigrafe (n. 617 del 2020), ha respinto il ricorso, compensando le spese di giudizio. 2.1. Più nel dettaglio, il Tar ha ritenuto che non potevano essere riconosciute le differenze retributive richieste stante il divieto di adibire il dipendente a mansioni superiori ai sensi dell'art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993, nel testo vigente alla data di svolgimento delle funzioni medesime (la retribuibilità delle stesse sarebbe intervenuta solo con l'entrata in vigore dell'art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998). 3. Contro la suddetta sentenza ha proposto appello il dottor Ma. prospettando quattro motivi di gravame. 3.1. L'incarico superiore formalmente attribuito avrebbe dovuto dar luogo al riconoscimento delle apposite indennità previste dalla contrattazione collettiva alla quale rinvia l'art. 24 del testo unico sul pubblico impiego (d.lgs. n. 165 del 2001) ed in particolare dall'art. 18 del CCNL per la dirigenza sanitaria riferito alla parte normativa al quadriennio 1998-2001 e per la parte economica al biennio 1998-1999. 3.2. La Usl n. 5 di Jesi aveva infatti riconosciuto la debenza delle differenze retributive e con atto del Commissario straordinario le aveva liquidate per il periodo 1° giugno 1996 - 28 settembre 1998. In sostanza, la stessa Usl avrebbe riconosciuto il debito ai sensi dell'art. 1988 del c.c. 3.3. La sentenza appellata avrebbe trascurato di considerare la specificità della disciplina del settore sanitario. 3.4. Sarebbe irragionevole l'interpretazione fornita dal Tar secondo cui il combinato disposto degli artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29 del 1993, dell'art. 25 del d.ls. n. 80 del 1998 e dell'art. 15 del testo unico del pubblico impiego sarebbe stata impeditiva del riconoscimento delle funzioni superiori. In ogni caso, sostiene l'appellante, sussisterebbe un dubbio di costituzionalità sulla suddetta interpretazione per contrasto con gli artt. 3 e 36 della Cost. laddove vi sarebbe una limitazione al riconoscimento del trattamento economico delle funzioni superiori solamente a far data dal 1 gennaio 1999. 4. L'Unità Sanitaria Unica delle Marche si è costituita in giudizio il 23 giugno 2021, chiedendo il rigetto dell'appello. 5. Il 14 febbraio 2024 l'appellante ha depositato ulteriori documenti e segnatamente una copia del provvedimento della Usl di Jesi di riconoscimento delle funzioni superiori in favore di altro dipendente. 6. Le parti costituite hanno depositato ulteriori memorie il 22 febbraio 2024 (l'Azienda sanitaria) e il 24 febbraio (l'appellante), cui sono seguite repliche di entrambe rispettivamente il 4 e il 5 marzo 2024. 7. La causa è stata trattenuta in decisione nell'udienza pubblica del 26 marzo 2024. 8. L'appello è infondato. 9. Innanzitutto, seppure parte appellante sostiene di non aver percepito gli emolumenti richiesti per lo svolgimento delle funzioni superiori, l'Amministrazione evidenzia che invece le stesse sono state riconosciute e liquidate dal Commissario straordinario dell'Usl di Jesi con provvedimento n. 200 del 14 ottobre 2002 per un importo pari a euro 26.881,99 (cfr. doc. 4 allegato all'appello e doc. 4 e 5 allegati alla memoria di costituzione della stessa Azienda sanitaria). 9.1. Tale affermazione, contenuta negli scritti difensivi depositati nel presente grado di giudizio, non è stata contestata radicalmente dall'appellante se non per il calcolo effettuato (cfr. pag. 3 della sua memoria del 5 marzo 2024 "dovrà essere pronunciata condanna in forma generica, la quale abiliti ovviamente l'Amministrazione ad effettuare le ritenute pari a quanto già effettivamente versato"). Né, d'altra parte, alla luce delle allegazioni dell'Amministrazione, si rende necessario sul punto l'espletamento di un'istruttoria. 9.2. E' poi inammissibile il richiamo al riconoscimento di mansioni superiori ad altro dipendente, posto che tale aspetto e la relativa documentazione vengono dedotti in questo grado di giudizio in violazione del divieto di cui all'art. 104, comma 2, c.p.a. 9.3. Peraltro, come correttamente sottolineato dal Tar, il quadro normativo in vigore nel periodo di interesse imponeva un espresso divieto, ai sensi dell'art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993, di riconoscere le suddette differenze retributive. 10. Ciò premesso, deve dunque ritenersi infondato il primo motivo di appello, laddove il ricorrente sostiene che il successivo CCNL, cui ha rinviato l'art. 24 del testo unico del pubblico impiego (d.lgs. n. 165 del 2001), avrebbe consentito il riconoscimento economico delle funzioni superiori. 10.1. L'incarico di specie, infatti, è stato a suo tempo conferito "ai sensi e con le modalità della normativa in vigore", e di conseguenza al momento dello svolgimento delle mansioni sussisteva il citato divieto, non potendosi in ogni caso riconoscere alle norme successivamente introdotte un effetto retroattivo. 10.2. La norma che poi che ha consentito il riconoscimento (art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998) non avendo carattere interpretativo, non poteva che disporre per il futuro. Il carattere di norma di interpretazione autentica va riconosciuto soltanto alle norme dirette a chiarire il senso di quelle preesistenti, ovvero a escludere o a enucleare uno dei sensi tra quelli ragionevolmente ascrivibili alle norme interpretate; mentre, nel caso della disposizione di cui trattasi, la scelta assunta dalla norma, che si assume interpretativa, non rientra in nessuna delle varianti di senso compatibili con il tenore letterale del combinato disposto dei pregressi artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29 del 1993. Non si possono neppure profilare problemi di compatibilità costituzionale, come asserisce parte appellante, non essendo, sotto l'aspetto dello svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente, il rapporto di pubblico impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato, in quanto nell'ambito del rapporto di pubblico impiego concorrono, con l'art. 36 della Cost. (il quale afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato), altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall'art. 98 della Cost. (il quale, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e dall'art. 97 della Cost., contrastando l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con i principi di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità . 11. Nel secondo motivo parte appellante ritiene poi che il riconoscimento effettuato dal Commissario straordinario avrebbe configurato un negozio di riconoscimento del debito. Ma, in disparte dalla legittimità amministrativa del provvedimento adottato dall'Amministrazione alla luce del divieto di cui all'art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993, non può ritenersi che il richiamo all'art. 1988 c.c. sia decisivo sul piano privatistico, sia per la contrarietà dell'atto alle norme imperative allora vigenti, sia perché l'Amministrazione ha confutato nelle sue difese la validità del titolo obbligatorio. Ed in effetti, il riconoscimento del debito presuppone pur sempre l'esistenza e la validità del rapporto fondamentale, con la conseguenza che la sua efficacia vincolante viene meno qualora sia giudizialmente provato che è invalido ovvero che esista una condizione o un altro elemento relativo al rapporto fondamentale che possa comunque incidere sull'obbligazione oggetto del riconoscimento. 12. Quanto al terzo motivo di appello, la decorrenza della nuova normativa che ha rimosso la regola del contestato divieto è entrata in vigore a decorrere dal 1° gennaio 1999 (cioè successivamente all'espletamento delle funzioni superiori dal 1° ottobre 1995 al 15 giugno 1998). 13. Infine, per le ragioni sopra dette, anche il dubbio di costituzionalità prospettato in questa fase del giudizio in ordine alla limitazione del riconoscimento economico delle funzioni superiori a far data dal gennaio 1999 (art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998) non può ritenersi fondato. 14. Pertanto, l'appello va respinto e, per l'effetto, va confermata la sentenza impugnata. 15. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 4248 del 2021, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alle spese di giudizio che si liquidano in favore dell'Azienda Sanitaria Unica delle Marche in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre gli altri oneri previsti per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Stefania Santoleri - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere, Estensore Luca Di Raimondo - Consigliere Pier Luigi Tomaiuoli - Consigliere Enzo Bernardini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TRIA Lucia - Presidente Dott. MAROTTA Caterina - Consigliere Dott. TRICOMI Irene - Consigliere Dott. BELLÈ Roberto - Consigliere Dott. CASCIARO Salvatore - Rel. - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 14089-2019 proposto da: De.Gi., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (...), presso lo studio dell'avvocato AL.MA., rappresentato e difeso dall'avvocato DE.FU.; - ricorrente - contro Ministero Della Giustizia - Dipartimento Giustizia Minorile, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12; - controricorrente - avverso la sentenza n. 2284/2018 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 05/02/2019 R.G.N. 1473/2015; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/05/2024 dal Consigliere Dott. SALVATORE CASCIARO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per l'inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA 1. Nell'originario ricorso depositato in data 20.10.2010, De.Gi., già dipendente del Ministero della Giustizia, proveniente dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, poi inquadrato nei ruoli della Giustizia Minorile, con qualifica funzionale C3, profilo di direttore coordinatore di istituto penitenziario, ha chiesto, per quel che ancora rileva in questo giudizio, che fosse pronunciato l'annullamento del decreto di cessazione dal servizio dell'8.10.2004 nonché la condanna dell'amministrazione al pagamento delle differenze retributive maturate sino al 12.10.2010 (dì di redazione del ricorso introduttivo). 2. Il Tribunale di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza dell'11.6.2015, ha rigettato il ricorso. De.Gi. ha proposto appello e la Corte d'appello di Bari, con sentenza n. 2284/2018, lo ha respinto. 3. La Corte barese, premesso che De.Gi. aveva promosso, con artificioso spezzettamento della medesima vicenda, più controversie che avevano tutte in comune la domanda prodromica di accertamento della illegittimità del decreto di cessazione dal servizio per inabilità assoluta, con suo collocamento in quiescenza dal 16.1.2005, rilevava che egli non aveva tempestivamente impugnato, nel termine decadenziale di 60 gg. e comunque nel rispetto del termine dell'art. 6 legge n. 604/1966, il licenziamento in parola, della cui motivazione aveva avuto conoscenza sin dal dicembre 2004 (come da nota n. (Omissis) del 10.12.2004 spedita allo stesso De.Gi.) e che "aveva avuto a disposizione, quanto meno, dal febbraio 2009" come da sua esplicita ammissione; acclarata (dunque) la definitività del licenziamento, perché tardivamente impugnato oltre il termine decadenziale, che non poteva dirsi interrotto dal tentativo di conciliazione dei primi mesi del 2009 (il quale comportava, come precisato da Cass. n. 12890/2014, solo la sospensione del suo decorso fino ai 20 gg. successivi alla sua conclusione, qui avvenuta in data 13.5.2009: v. nota ministeriale di non adesione), restava irrimediabilmente precluso anche l'esame dei motivi di appello sull'illegittimità del decreto di cessazione dal servizio e sull'omessa valutazione del c.d. periodo di comporto, mentre era del tutto "nuova", come tale inammissibile, la domanda in ordine alla mancata "ricollocazione" del lavoratore in altri ambiti lavorativi, non ricompresa nell'originario petitum. 4. De.Gi. ha proposto quindi ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi illustrati da memoria. 5. Il Ministero della Giustizia si è difeso con controricorso. 6. La Procura generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi inammissibile o comunque rigettarsi il ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo si denuncia testualmente "vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza. Denuncia ai sensi dell'art. 360 m. 3 cod. proc. civ. nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 6 della legge n. 604/1966, nonché degli artt. 1442 e 2969 cod. civ. e dell'art. 416, comma 2, cod. proc. civ.". Il ricorrente sostiene di aver rispettato la disciplina relativa all'impugnazione del licenziamento vigente al momento della comunicazione del decreto di cessazione dal servizio, avvenuta soltanto nel mese di febbraio 2009. 2. Con il secondo motivo si denuncia "vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza. Denuncia ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 5, 6, 7, 10, 11 e 14 del D.P.R. n. 461/2001, degli artt. 21 e 22 del c.c.n.l. 1994/1997, dell'art. 28 quater del c.c.i.n.l. 1994/1997, degli artt. 3 e 15 del c.c.i.n.l. 1998/2001 e ss. e dell'art. 117 Cost. Violazione e falsa applicazione dell'art. 21-bis della legge n. 241/90 e s.m.i., dell'art. 6 della legge n. 15/2005 e degli artt. 71, 77, 129 e 130 D.P.R. n. 3/1957. Illegittimità del decreto di cessazione dal servizio". La procedura che aveva condotto alla dichiarazione di cessazione dal servizio del ricorrente sarebbe stata illegittima perché: i) la P.A. e la Commissione medica non lo avrebbero informato che la visita alla quale sarebbe stato sottoposto aveva la finalità di decretarne o meno la cessazione dal servizio; ii) il decreto di cessazione dal servizio avrebbe preceduto il parere del Comitato di verifica per le cause di servizio; iii) il giudizio della Commissione medica non gli sarebbe stato notificato dalla P.A.; iv) l'Amministrazione avrebbe dovuto verificare che il lavoratore poteva essere mantenuto in servizio "magari adibendolo ad altre attività"; v) la cessazione dal servizio era stata pronunciata ignorando che la malattia non superava il c.d. periodo di comporto. 3. Con il terzo mezzo si denuncia "ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. nullità della sentenza per violazione del D.P.R. n. 1092/1973, art. 193, e della legge n. 241/1990. Vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza. Omesse, puntuali, notifiche al ricorrente: i) del verbale di inabilità del 16.09.2004 dell'ospedale militare di B; del decreto di cessazione dal servizio; del decreto di attribuzione dell'indennità di preavviso". Ad avviso del ricorrente l'Amministrazione della Giustizia non ha mai notificato al ricorrente a mezzo posta, ex art. 193 D.P.R. n. 1092/1973, il decreto di cessazione dal servizio, atto necessario al fine di decretare la cessazione dal servizio attivo ma si era limitata a inoltrare una comunicazione informale avvenuta nel mese di febbraio 2009, momento in relazione al quale andava fissata la cessazione dal servizio. 4. Con il quarto motivo si deduce "denuncia ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. nullità della sentenza per violazione dell'art. 13 della legge n. 274/91, nonché del D.Lgs. n. 509/88, della legge n. 222/84, del D.Lgs. n. 503/92, della legge n. 379/55, del D.P.R. n. 73/92, del D.P.R. n. 171/2011, del D.P.C.M. n. 221/99, del c.c.n.l. 94/97, dell'art. 28 quater del c.c.i.n.l. 94/97, degli artt. 3 e 15 del c.c.i.n.l. 98/01". La normativa in vigore in ambito privato, ma applicabile all'impiego pubblico, non prevede l'inabilità al 75% come causa di cessazione dal servizio, sicché al ricorrente si sarebbe dovuta concedere la possibilità di permanere in servizio ritagliandogli una posizione lavorativa in altri ambiti confacente al suo effettivo stato di salute. Peraltro, anche i contratti collettivi nazionali di lavoro del Comparto Ministeri non prevedono cessazioni dal servizio per motivi di salute, fatta eccezione per i casi più gravi e di nocumento per gli altri. 5. Con il quinto, ed ultimo, motivo si denuncia "ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza. Nullità della sentenza per violazione degli artt. 21 e 22 del c.c.n.l. 94/97, dell'art. 2110 del cod. civ. e dell'art. 329 cod. proc. civ. in materia di acquiescenza. Omessa considerazione del periodo di preavviso e del periodo di comporto". Si sostiene che il provvedimento di cessazione dal servizio è illegittimo perché il Ministero della Giustizia non ha tenuto conto del c.d. periodo di comporto pari a 36 mesi per motivi di salute dovuti a patologie già riconosciute, dipendenti da causa di servizio, di cui il ricorrente stava godendo, e che non era ancora terminato. 6. I motivi possono essere trattati congiuntamente, stante la loro stretta connessione logico-giuridica. Essi ruotano tutti sull'illegittimità del decreto di cessazione dal servizio e sono, come si dirà, inammissibili ex art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ. 7. Va evidenziato, anzitutto, che un precedente giudizio fra De.Gi. e il Ministero della Giustizia è stato già definito da questa Corte (Cass., Sez. L, n. 12068 dell'8 maggio 2023), che ha affrontato anche la questione della notifica del verbale di inabilità del 16 settembre 2004 dell'ospedale militare di B e del decreto di cessazione dal servizio ed ha dichiarato inammissibili tutte le critiche del ricorrente contro la decisione della Corte d'appello di Bari che aveva disatteso le sue censure sull'illegittimità del decreto di cessazione dal servizio che lo aveva riguardato e sulla validità della detta notifica. Il precedente n. 12068/2023, cit., oltre che la successiva ordinanza di questa Corte n. 5712 del 4/3/2024 - che ha dichiarato l'inammissibilità dell'ulteriore ricorso con cui De.Gi. reiterava analoghe censure, dolendosi che i giudici dei gradi precedenti non avessero tenuto conto dell'illegittimità del decreto di cessazione dal servizio dell'8 ottobre 2004 - sono in questa sede interamente richiamati, anche ai sensi dell'art. 118 att. cod. proc. civ., perché tali decisioni hanno affrontato, rigettandole, le stesse doglianze sollevate dal ricorrente nel presente giudizio di legittimità. Dal che deriva che, ormai, il presente ricorso non può che essere disatteso, e, anche per tale ragione, l'ineccepibile conclusione cui è pervenuto il giudice d'appello pure in ordine alla preclusione di ogni valutazione altresì sull'omessa valutazione del c.d. periodo di comporto. 8. Peraltro, il ricorrente non ha neppure impugnato, si noti, la ratio decidendi della Corte territoriale secondo cui il licenziamento era definitivo anche per via del fatto che il termine decadenziale di 60 gg. per l'impugnativa ex art. 6 legge n. 604/1966 era stato solo sospeso per la durata del tentativo di conciliazione, alla cui conclusione, "sollecita e negativa" come si evinceva dalla nota ministeriale di mancata adesione del 13.5.2009, non era seguita alcuna impugnativa fino al deposito del ricorso introduttivo del 20.10.2010, intervenuto (or dunque) oltre un anno dopo. 9. Aggiungasi, quanto all'ulteriore doglianza attinente alla possibilità di ricollocazione del De.Gi. in altri ambiti lavorativi, che anch'essa si rivela inammissibile perché il ricorrente non si confronta con il decisum, che ne afferma la "novità" in quanto non compresa nel petitum dell'originario ricorso. Inoltre, si osserva che la Corte territoriale ha motivato il rigetto dell'appello affermando, altresì, che De.Gi. non aveva domandato il ripristino del rapporto di lavoro (v. pag. 3 sentenza) e che il ricorrente non ha specificamente impugnato neppure questa ratio decidendi. Infine, quanto alle lamentate omissioni o carenze di motivazione, si sottolinea che, al contrario, la Corte territoriale ha esaminato ogni censura del ricorrente, spiegando diffusamente ed esaurientemente le ragioni della propria decisione. 10. Il ricorso va, pertanto, dichiarato nel complesso inammissibile. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ. e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rifondere le spese di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 complessivi per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito. Dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, l'8 maggio 2024. Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2024.

  • AULA 'A' 2024 1023 R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ADRIANA DORONZO - Presidente - Dott. MARGHERITA MARIA LEONE - Consigliere - Dott. FRANCESCOPAOLO PANARIELLO - Consigliere - Dott. FABRIZIO AMENDOLA - Consigliere - Dott. GUALTIERO MICHELINI - Rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 11330-2023 proposto da: TRENITALIA S.P.A. - Società con socio unico, soggetta all'attività di direzione e coordinamento di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato PAOLO TOSI; - ricorrente - contro BRANCATI ROSITA, CALASCIBETTA FRANCESCA, CIRILLO ANTONIO, GUGLIANDOLO CARMELA, REDAVIDE EMILIO, SANTORUVO EMANUELE, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE CARSO 14, presso lo studio dell'avvocato Oggetto RETRIBUZIONE FERIALE R.G.N. 11330/2023 Cron. Rep. Ud. 05/03/2024 PU ANNARITA D'ERCOLE, rappresentati e difesi dall'avvocato CRISTIAN FERRARI; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 966/2022 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 21/11/2022 R.G.N. 811/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2024 dal Consigliere Dott. GUALTIERO MICHELINI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'avvocato ANDREA UBERTI per delega verbale avvocato PAOLO TOSI; udito l'avvocato ANNARITA D'ERCOLE. FATTI DI CAUSA 1.La Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che, in accoglimento del ricorso proposto dai lavoratori indicati in epigrafe, tutti dipendenti di Trenitalia con qualifica di Capo Treno o Capo Servizio Treno, aveva accertato il loro diritto a percepire, durante il periodo di ferie, il trattamento economico commisurato a quello percepito per il lavoro ordinariamente svolto, e condannato la società al pagamento delle somme per ciascuno specificate. 2.La Corte territoriale, a fronte della domanda di computo nella retribuzione dovuta durante le ferie dell’indennità di assenza dalla residenza, dell’indennità di scorta vetture eccedenti, del premio scoperta irregolarità, dell’indennità di utilizzazione professionale (IUP) senza esclusione della parte variabile (ossia inferiore all’indennità di utilizzazione/condotta percepita nei periodi lavorati), ha confermato le statuizioni del Tribunale di accoglimento delle domande. 3.Precisamente, il Tribunale aveva dichiarato la nullità per violazione dell’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, come interpretato dalla Corte di Giustizia Europea, dell’art. 31 punto 5 dei Contratti Aziendali 2012 e 2016 del Gruppo Ferrovie dello Stato, nella parte in cui limitano l’indennità di utilizzazione professionale giornaliera, da corrispondere nelle giornate di ferie, al solo importo fisso di € 4,50, nonché l’inapplicabilità dell’art. 77, punto 2.4 del CCNL della Mobilità, Area Attività Ferroviarie del 16.12.2016, nella parte in cui esclude l’indennità per assenza della residenza dal calcolo della retribuzione spettante per i periodi di ferie; aveva accertato il diritto dei ricorrenti al pagamento di ciascuna giornata di ferie con una retribuzione comprensiva dell’indennità di assenza dalla residenza, dell’indennità di utilizzazione/scorta di cui all’art. 31 tabella B, dell’indennità di scorte vetture eccedenti (art. 32 dei Contratti aziendali del 2012 e 2016), e del premio scoperta irregolarità (art. 36 dei Contratti aziendali del 2012 e 2016), calcolate sulla media dei compensi percepiti a tali titoli nei 12 mesi precedenti la fruizione delle ferie, detratto l’importo fisso giornaliero di € 4,50 già riconosciuto, e per l’effetto condannato la società a corrispondere ai ricorrenti le differenze retributive maturate. 4.La Corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza, propria e di questa Corte, che, con riguardo alla retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, ha ritenuto che sussiste una nozione europea di retribuzione che comprende qualsiasi importo pecuniario che si ponga in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore; ha ribadito che occorre verificare se la retribuzione corrisposta possa costituire una dissuasione dal godimento delle ferie, e in tale prospettiva ha accertato che una sensibile diminuzione è effettivamente idonea a dissuadere i lavoratori dal beneficiarne; ha confermato l’accertamento della stretta connessione tra le indennità in questione e le mansioni e lo status dei lavoratori. 5.La società ha proposto ricorso per cassazione con nove motivi, cui hanno resistito con controricorso i lavoratori; entrambe le parti hanno depositato memorie e discusso la causa all’odierna udienza. 6.il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.Parte ricorrente deduce, con il primo motivo, in tema di corretta interpretazione delle sentenze della CGUE, violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003 e degli artt. 1362 ss. c.c. in relazione agli artt. 31 Contratto Aziendale 2012 e 31 Contratto Aziendale 2016. Sostiene che la Corte di merito ha erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria, in quanto non ha considerato che per le giornate di servizio la IUP è quantificata in due diverse ed alternative misure del medesimo compenso in relazione alle diverse modalità di erogazione della prestazione, entrambe tipiche del Capo Treno/Capo Servizi Treno, che per le giornate di ferie l’indennità è riconosciuta in una delle misure riconosciute al personale in servizio per attività svolte tipiche del Capo Treno/Capo Servizi Treno, che tale riconoscimento è quindi conforme al principio di tendenziale corrispondenza tra retribuzione percepita in servizio e retribuzione percepita in ferie. 2.Con il secondo motivo, deduce, in tema di corretta interpretazione delle sentenze della CGUE, violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003 e degli artt. 1362 ss. c.c. in relazione agli artt. 31 Contratto Aziendale 2003 e 32 dei Contratti Aziendali 2012 e 2016. Sostiene erronea applicazione nella sentenza impugnata dei principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria, in quanto non ha considerato che l’indennità di scorta vetture eccedenti non viene attribuita per il solo svolgimento delle mansioni di capotreno, ma dipende da un fatto oggettivo esterno alle mansioni e al ruolo professionale. 3.Con il terzo motivo, deduce, in tema di corretta interpretazione delle sentenze della CGUE, violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003 e degli artt. 1362 ss. c.c. in relazione agli artt. 41, punto 1.3, Contratto Aziendale 2003 e 36, punto 5, dei Contratti Aziendali 2012 e 2016. Contesta l’inclusione nella base di calcolo della retribuzione feriale del premio di controlleria, non essendo stato considerato che il premio scoperta irregolarità, giusta la sua natura premiale e aleatoria, non costituisce una voce retributiva intrinsecamente collegata alle mansioni in questione. 4.Con il quarto motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003, dell’art. 10 d. lgs. n. 66/2003, dell’art. 2109 c.c., con riferimento agli artt. 36 e 39 Cost. e all’art. 77 punto 2.4 dei CCNL Mobilità – Attività Ferroviarie del 20.7.2012 e 16.12.2016. Sostiene che la Corte d’Appello ha errato nell’applicare i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria, in quanto non ha considerato che l’indennità di assenza dalla residenza ha natura e funzione risarcitoria e non rientra nell’imponibile fiscale, e che quindi l’esclusione dell’indennità è conforme all’orientamento comunitario che ha escluso proprio le voci risarcitorie non imponibili fiscalmente. 5.Con il quinto motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003, dell’art. 10 d. lgs. n. 66/2003, dell’art. 2109 c.c.; sostiene che la sentenza gravata non ha considerato che vi è l'espressa previsione legislativa dell'obbligo di far godere delle ferie in forma specifica, obbligo sorretto da sanzioni amministrative, con espresso divieto di monetizzazione, così essendo superato alla radice ogni possibile spazio per un effetto dissuasivo del trattamento economico, e che la qualificazione delle ferie è sempre operata su base annua. 6.Con il sesto motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003, nonché applicazione in via generale e astratta di principi generali espressi dalla CGUE con violazione degli artt. 36 e 39 Cost., per mancata adeguata valutazione del ruolo della contrattazione collettiva nel nostro ordinamento, dato che il diritto vivente demanda proprio alla contrattazione collettiva la determinazione della retribuzione. 7.Con il settimo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 267 TFUE e del principio di diritto vivente sull’efficacia ultra partes delle sentenze CGUE e dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003, dell’art. 10 d. lgs. n. 66/2003, dell’art. 2109 c.c. con riferimento agli artt. 36 e 39 Cost.; sostiene che la Corte territoriale ha erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria, poiché non ha considerato la diversità fattuale delle fattispecie e strutturale dei compensi analizzati dalla CGUE (sentenza Robinson Steele del 16.3.2006; sentenza Schultz- Hoff del 20.1.2009; sentenza Williams del 16.9.2011, sentenza Lock del 22.5.2014, sentenza Torsten Hein del 13.12.2018) rispetto alla fattispecie e ai compensi oggetto di causa, diversità che impediva di applicare tali precedenti al diverso caso qui in esame. 8.Con l’ottavo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003, dell’art. 267 TFUE e del derivato principio di diritto vivente sull’efficacia ultra partes delle sentenze CGUE per omesso esame sul fatto decisivo della diversità fattuale e strutturale delle fattispecie concrete analizzate dalla CGUE nelle sentenze invocate a fondamento della domanda rispetto alla fattispecie oggetto di causa. 9.Con il nono motivo, subordinato, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2948, n. 4 c.c. in combinato disposto con l’art. 18, commi 1 e 2, legge n. 300/1970 come modificato dalla legge n. 92/2012. Sostiene la prescrizione quinquennale dei crediti retributivi rivendicati dai dipendenti per i titoli dedotti in giudizio, con riferimento alla data delle rispettive richieste con pec o con la notifica del ricorso introduttivo. 10.I primi otto motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, in quanto tutti concernenti, sotto diversi profili e angolazioni, l’interpretazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003, operata dai giudici di merito alla luce della giurisprudenza in materia della Corte di Giustizia dell’Unione europea. 11.Essi non sono fondati. 12.Questa Corte ha in più occasioni affermato che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie subisce la decisiva influenza dell’interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha precisato come l’espressione «ferie annuali retribuite» contenuta nell'art. 7, n. 1, della direttiva n. 88 del 2003 faccia riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, deve essere mantenuta la retribuzione che il lavoratore percepisce in via ordinaria (cfr. Cass. n. 18160/2023, con richiamo a CGUE 20.1.2009, C-350/06 e C- 520/06, Schultz-Hoff, nonché, con riguardo al personale navigante dipendente di compagnia aerea, Cass. n. 20216/2022). 13.I principi informatori di tale indirizzo giurisprudenziale sono nel senso di assicurare, a livello retributivo, una situazione sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria del lavoratore nei periodi di lavoro, sul rilievo che una diminuzione della retribuzione può essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'Unione (cfr. CGUE 15.9.2011, C-155/10, Williams; CGUE 13.12.2018, C- 385/17, Torsten Hein). 14.In questo senso, si è precisato, nelle pronunce indicate, che qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo, che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente CGUE 13.1.2022, C-514/20, DS c. Koch). 15.Conseguentemente, è stato ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (Cass. n. 13425/2019, n. 37589/2021). 16.In applicazione di tali orientamenti e in applicazione di siffatta nozione europea di retribuzione, nell’ambito del personale navigante dipendente di compagnia aerea, è stato ritenuto rientrante nella retribuzione dovuta l’importo erogato a titolo di indennità di volo integrativa, ritenendo nel contempo la nullità della relativa disposizione del contratto collettivo nazionale (in quel caso l’art. 10 del CCNL Trasporto Aereo - sezione personale navigante tecnico) nella parte in cui escludeva nel periodo di ferie la voce stipendiale, in quel caso in violazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 185/2005 (che attuava la direttiva 2000/79/CE relativa all’Accordo europeo sull’organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo dell’aviazione civile - Cass. n. 20216/2022). 17.Atteso che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, le sentenze della Corte di Giustizia UE hanno efficacia vincolante e diretta nell’ordinamento nazionale, i giudici di merito non possono prescindere dall’interpretazione data dalla Corte europea, che costituisce ulteriore fonte del diritto dell’Unione europea, non nel senso che esse creino ex novo norme UE, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito dell’Unione (cfr. Cass. n. 13425/2019, n. 22577/2012). 18.Pertanto, a fronte della rivendicazione di voci non corrisposte nel periodo feriale, è necessario accertare il nesso intrinseco tra l’elemento retributivo e l’espletamento delle mansioni affidate e, quindi, se l’importo pecuniario si ponga in rapporto di collegamento funzionale con l’esecuzione delle mansioni e sia correlato allo status personale e professionale di quel lavoratore (cfr. Cass. n. 13425/2019 cit., così come, per il caso del mancato godimento delle ferie, Cass. n. 37589/2021). 19.Nella controversia in esame, vengono in discussione la cd. indennità di utilizzazione professionale (IUP), l’indennità per assenza dalla residenza, l’indennità di scorta vetture eccedenti, il premio scoperta irregolarità. 10 20.L’indennità di assenza dalla residenza, in quanto voce diretta a compensare il disagio dell’attività tipica del dipendente viaggiante derivante dal non avere un luogo fisso di lavoro, è stata già ritenuta da questa Corte come voce da includere nella retribuzione feriale, allorché si è esaminata analoga controversia che aveva come parte datoriale la società Trenord (tra le molte, Cass. nn. 2963, 2682, 2680, 2431, 1141/2024; nn. 35578, 33803, 33793, 33779, 19716, 19711, 19663, 18160/2023). 21.La corresponsione, in forma continuativa, di una simile indennità è immediatamente collegata alle mansioni tipiche dei dipendenti con mansioni di Capo Treno o Capo Servizio Treno, essendo destinata a compensare il disagio dell’attività derivante dal non avere una sede fissa di lavoro e dall’essere continuamente in movimento, lontano dalla sede formale di lavoro. 22.In base alla medesima ratio (collegamento funzionale con le mansioni tipiche)sono fondate le domande collegate alla parte variabile dell’indennità di utilizzazione professionale, in quanto voce ordinariamente corrisposta per i periodi di lavoro, la cui erogazione in misura ridotta nel periodo di ferie, in base a una verifica ex ante, è potenzialmente dissuasiva al godimento delle stesse, tenuto conto della continuatività dell’erogazione nel corso dell’anno e dell’incidenza sul trattamento economico mensile. 23.Sono ugualmente fondate le rivendicazioni relative all’indennità di scorta vetture eccedenti e al premio scoperta irregolarità, in quanto voci retributive di fatto continuative per tale personale mobile, correlate al disagio intrinseco della mansione. 24.Nell’interpretazione delle norme collettive che regolano gli istituti di cui è stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale è necessario tenere conto della finalità della direttiva, 11 recepita dal legislatore italiano, di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale. Tale effetto deterrente può, infatti, realizzarsi qualora le voci che compongono la retribuzione nei giorni di ferie sono limitate a determinate voci, escludendo talune indennità di importo variabile (previste dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale) che sono comunque intrinsecamente collegate a compensare specifici disagi derivanti dalle mansioni normalmente esercitate. 25.La giurisprudenza UE ha, invero, chiarito che il lavoratore, in occasione della fruizione delle ferie, deve trovarsi in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro; ciò in quanto il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite va considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale UE, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla stessa direttiva. 26.È stato affermato che “la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore” (sent. CGUE Williams cit., § 21); che “l’ottenimento della retribuzione ordinaria durante il periodo di ferie annuali retribuite è volto a consentire al lavoratore di prendere effettivamente i giorni di ferie cui ha diritto”, e che “quando la retribuzione versata a titolo del diritto alle ferie annuali retribuite previsto all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 (…) è inferiore alla retribuzione ordinaria ricevuta dal lavoratore durante i periodi di lavoro effettivo, lo stesso rischia di essere indotto a non prendere le sue ferie annuali retribuite, almeno non durante i periodi di lavoro effettivo, 12 poiché ciò determinerebbe, durante tali periodi, una diminuzione della sua retribuzione” (sent. CGUE Torsten Hein cit., § 44); che il giudice nazionale è tenuto a interpretare la normativa nazionale in modo conforme all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, con la precisazione che “una siffatta interpretazione dovrebbe comportare che l’indennità per ferie retribuite versata ai lavoratori, a titolo delle ferie minime previste da tale disposizione, non sia inferiore alla media della retribuzione ordinaria percepita da questi ultimi durante i periodi di lavoro effettivo” (sent. CGUE Torsten Hein cit., § 52); che “occorre dichiarare che, sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per sé ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore (…) di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro” (sent. CGUE Williams cit., § 23), sicché “qualsiasi prassi o omissione da parte del datore di lavoro che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione delle ferie annuali da parte di un lavoratore è incompatibile con la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite” (sent. CGUE Koch cit., § 41). 27.In tale prospettiva, osserva il Collegio che non può ritenersi che l’incidenza dell’effetto dissuasivo possa essere apprezzata raffrontando la differenza retributiva mensile con quella annuale, dal momento che, per il lavoratore dipendente, la possibile induzione economica alla rinuncia al proprio diritto alle ferie deriva dall’incidenza sulla retribuzione che ogni mese, e quindi anche in quello di ferie, egli può impegnare per garantire a sé o alla sua famiglia le ordinarie condizioni economiche di vita. 28.Deve perciò essere ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell'art. 13 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 13425/2019, n. 37589/2021). 29.A questi principi si è attenuta la Corte di merito che ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse, senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita; ha, poi, verificato che durante il periodo di godimento delle ferie al lavoratore non erano erogati dalla società compensi (indennità di scorte vetture eccedenti - art. 32 dei Contratti aziendali del 2012 e 2016; premio scoperta irregolarità - art. 36 dei Contratti aziendali del 2012 e 2016; indennità di assenza dalla residenza - art. 77, punto 1, CCNL Mobilità, Area Attività Ferroviarie del 20.0.2012 e del 16.12.2016; cd. IUP in misura intera -art. 31 tabella A e B dei rispettivi Contratti aziendali 2012 e 2016), calcolati sulla media dei compensi percepiti a tali titoli nei 12 mesi precedenti la fruizione delle ferie (detratto l’importo fisso giornaliero di € 4,50 già riconosciuto) connessi ad attività ordinariamente previste dai contratti collettivi nazionali e aziendali; ha accertato la continuatività della loro erogazione e l’incidenza non residuale sul trattamento economico mensile. 30.In conclusione, in concordanza all’interpretazione conforme alla citata giurisprudenza dell’Unione europea e di legittimità delle norme collettive che regolano gli istituti di cui è stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale, i motivi in esame devono essere rigettati, perché la pronuncia 14 impugnata si pone in linea con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare nel periodo feriale un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale. 31.Il nono motivo non è fondato. 32.Questa Corte ha affermato, in ordine alla questione della decorrenza della prescrizione dei crediti maturati nel corso del rapporto di lavoro, che, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012 e poi dal d.lgs. n. 23/2015, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato è venuto meno uno dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata; conseguentemente, per tutti quei diritti che, come nella specie, non sono prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro (Cass. n. 26246/2022). 33.Il Collegio intende dare continuità ai principi espressi con la sentenza n. 26246/2022, confermati in numerosi provvedimenti successivi (v., tra le molte, Cass. n. 4321/2023, n. 4186/2023, n. 29831/2022, n. 30957/2022, n. 30958/2022). 34.Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del d. lgs n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è più, di regola, assistito da un regime di stabilità reale, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a 15 norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro. 35.Il principio è stato affermato a seguito della ricostruzione del quadro normativo sviluppatosi con l’entrata in vigore della legge n. 92/2012 e del d. lgs n. 23/2015 e del rilievo che, in ragione delle predette riforme, l’individuazione del regime di stabilità sopravviene solo a seguito di una qualificazione definitiva del rapporto per attribuzione del giudice, e, quindi, solo all’esito di un accertamento in giudizio, ex post. 36.Invero, la varietà delle ipotesi di tutela contemplate nel rinnovato art. 18 legge n. 300/1970 e la concreta possibilità che le stesse non necessariamente garantiscano il ripristino del rapporto di lavoro in caso di illegittimo recesso, evidenzia come il regime di stabilità del rapporto, in precedenza assicurato, sia venuto meno nella sua integralità; a tale evidente rinnovata situazione deve quindi conseguire che la prescrizione dei crediti del lavoratore decorre, in assenza di un regime di stabilità reale, dalla cessazione del rapporto di lavoro e rimane sospesa in costanza dello stesso. 37.In conclusione, il ricorso va rigettato. 38.Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. e sono da distrarsi a favore dell’avv. Cristian Ferrari che ha dichiarato di averle anticipate. 39.Sussistono le condizioni processuali di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002; P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 4.500 per compensi professionali, € 200 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre accessori dovuti per legge, da distrarsi. 16 Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 marzo 2024 . La Presidente dott.ssa Adriana Doronzo

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DORONZO Adriana - Presidente Dott. LEONE Margherita Maria - Consigliere Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere Dott. CASO Francesco Giuseppe Luigi - Rel. Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 14382-2022 proposto da: Tr. Spa - Società con socio unico, soggetta all'attività di direzione e coordinamento di Fe. Spa, in persona del legale rappresentante prò tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa.To.; - ricorrente - contro Ra.Pe., Gi.Vu., domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocati ROBERTO CARAPELLE; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 1470/2021 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 02/12/2021 R.G.N. 847/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2024 dal Consigliere Dott. FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI CASO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per il rigetto ricorso; udito l'Avvocato ANDREA UBERTI per delega verbale Tosi Paolo; udito l'Avvocato ROBERTO CARAPELLE. FATTI DI CAUSA 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d'appello di Milano ha rigettato l'appello proposto da Tr. Spa contro la sentenza del Tribunale della medesima sede, che, in accoglimento del ricorso proposto dai due lavoratori in epigrafe indicati, entrambi dipendenti di Tr. con la qualifica di macchinisti, aveva accertato il loro diritto a vedersi retribuire ciascuna giornata di ferie con una retribuzione comprensiva dell'indennità di assenza dalla residenza e dell'intera indennità di utilizzazione professionale (in sigla "IUP"), calcolate sulla media dei compensi percepiti, a tali titoli, nei 12 mesi precedenti la fruizione delle ferie, detratto l'importo fisso giornaliero di Euro 12,80 già riconosciuto, e aveva quindi condannato detta società a corrispondere agli attori le differenze retributive maturate, per i titoli ed il periodo indicati, come quantificate, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle scadenze al saldo. 1.1. La Corte territoriale ha anzitutto richiamato i principi espressi in talune decisioni di legittimità sulla questione della retribuzione feriale in relazione al quadro normativo e giurisprudenziale europeo, con particolare riferimento alla incidenza su di essa delle voci retributive variabili. 1.2. Quanto all'indennità di utilizzazione professionale, la Corte ha ritenuto che la quantificazione della quota di indennità riconosciuta durante le ferie ad opera della contrattazione collettiva non poteva in alcun modo escludere la valutazione, in sede giurisdizionale, della sua rispondenza alla sovraordinata normativa interna e sovranazionale, e che tale vaglio, da compiersi secondo i criteri in precedenza illustrati, prevaleva certamente sulla determinazione operata dalle parti sociali, il cui effetto dissuasivo rispetto alla fruizione delle ferie - se accertato nel caso concreto - ne determinava l'illegittimità per contrasto con fonti di rango prevalente. 1.3. In tale ottica risultava, infatti, decisiva - non già la misura solo parziale della decurtazione - bensì la sua incidenza sulla retribuzione feriale e, di conseguenza, sulla piena libertà di fruizione del periodo di riposo costituzionalmente garantito; e considerava che, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, tale raffronto non poteva limitarsi alla sola prospettiva annuale, ma andava calato nel breve periodo, ben potendo valutazioni di carattere immediato rivestire in concreto portata dissuasiva; portata dissuasiva che la Corte accertava in concreto per entrambi i lavoratori. 1.4. Circa l'indennità di assenza dalla residenza, poi, rilevava trattarsi di componente retributiva certamente rientrante nel concetto di retribuzione, delineato dalla giurisprudenza in precedenza richiamata, e che essa appare volta a compensare - non già una modalità temporanea o un esborso occasionale - bensì un disagio intrinsecamente connesso alla prestazione lavorativa tipica del personale mobile, determinato dalla mancanza di un luogo fisso di lavoro e dalla costante lontananza della propria sede, richiamando a riguardo l'art. 77 c. 2 del CCNL. 1.5. Inoltre, la Corte d'appello riteneva irrilevanti, in senso contrario, l'omologazione del relativo regime fiscale a quello del trattamento di trasferta e l'esclusione dell'elemento in esame dal calcolo della retribuzione spettante per tutti gli istituti di legge e/o di contratto, stabilite dai punti nn. 3 e 4 del citato art. 77 c. 2, in quanto inidonee ad incidere sulla funzione sostanziale dell'emolumento e, in particolare, sulla sua diretta correlazione ad un disagio intrinseco alla mansione. 1.6. Infine, la Corte ha escluso che per le somme chieste operasse la prescrizione, evidenziando che, nel regime novellato dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012, la prescrizione non decorre in costanza di rapporto di lavoro. 2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Tr. Spa, affidato ad otto motivi. 3. I lavoratori intimati resistono con controricorso. 4. Le parti hanno depositato memoria. 5. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo la ricorrente fa valere quella che giudica "La corretta interpretazione delle sentenze della CGE nel rispetto dei limiti stabiliti dall'art. 267 TFUE", e lamenta la "Violazione e falsa applicazione dell'art. 7, Dir. CE 88/2003 e degli artt. 1362 e seguenti C.C. in relazione agli artt. 31, CA 2012 e art. 31, CA 2016 (art. 360, n. 3 c.p.c.". 1.1. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito ha erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria, in quanto non ha considerato che: - per le giornate di servizio la IUP è quantificata in due diverse ed alternative misure in relazione alla tipologia di attività svolte, entrambe tipiche del macchinista; - per le giornate di ferie l'indennità è riconosciuta in una delle misure riconosciute al personale in servizio per attività svolte tipiche del macchinista, e tale riconoscimento per la ricorrente è quindi conforme al principio di tendenziale corrispondenza tra retribuzione percepita in servizio e retribuzione percepita in ferie. 2. Con il secondo motivo è denunciata la "violazione e falsa applicazione dell'art. 7, Dir. CE 88/2003, dell'art. 10, D.Lgs. 66/2003, nonché dell'art. 2019 (n.d.r.: rectius, 2109) c.c., con riferimento agli artt. 36 e 39 Cost. e all'art. 77 punto 2.4. del CCNL Mobilità - Attività Ferroviarie del 20.7.2012 e del 16.12.2016 (art. 360, n. 3 c.p.c.)". 2.1. Sostiene la società che la Corte ha erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria, in quanto non ha considerato che: - l'indennità assenza dalla residenza ha natura e funzione risarcitoria; - l'indennità assenza dalla residenza non rientra nell'imponibile fiscale; sicché l'esclusione di tale indennità è conforme all'orientamento comunitario che ha escluso proprio le voci risarcitorie non imponibili fiscalmente. 3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, ancora una volta, la "Violazione e falsa applicazione dell'art. 7, Dir. CE 88/2003 nonché applicazione in via generale ed astratta dei principi giurisprudenziali espressi dalla CGE con violazione degli artt. 36 e 39 Cost. (art. 360, n. 3 c.p.c.". 3.1. Sostiene che la Corte di merito non ha adeguatamente valutato il "ruolo" della contrattazione collettiva nel nostro ordinamento, così violando l'art. 36 Cost. ed il diritto vivente che demanda proprio alla contrattazione collettiva la determinazione della retribuzione. 4. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata la "Violazione e falsa applicazione dell'art. 267 TFUE (ex art. 234 del TCE) e del principio di diritto vivente sulla efficacia ultra partes delle sentenze CGE nonché dell'art. 7, Dir. CE 88/2003, dell'art. 10, D.Lgs. 66/2003, nonché dell'art. 2019 (n.d.r.: rectius, 2109) c.c., con riferimento agli artt. 36 e 39 Cost. (art. 360, n. 3 c.p.c.)". 4.1. Secondo la ricorrente, la Corte ha erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria in quanto non ha considerato la diversità fattuale delle fattispecie e strutturale dei compensi analizzati dalla CGE (sentenza Robinson Steele del 16.3.2006; sentenza Schultz-Hoff del 20.1.2009; sentenza Williams n. 155/2010; sentenza Z.J.R. Lock del 22.5.2014; Sentenza Torsten Hein - causa C-385/17) rispetto alla fattispecie e ai compensi oggetto di causa, diversità che impediva di applicare tali precedenti al diverso caso qui in esame, con conseguente rigetto delle domande. 5. Con un quinto motivo deduce "Violazione e falsa applicazione dell'art. 7, Dir. CE 88/2003 nonché dell'art. 267 TFUE (ex art. 234 del TCE) e del derivato principio di diritto vivente sulla efficacia ultra partes delle sentenze CGE per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5) c.p.c.)". 5.1. Per la ricorrente, la Corte ha erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria in quanto non ha accertato che i fatti e la disciplina dei compensi oggetto dei casi concreti sottoposti all'esame della CGE sono diversi sotto ogni profilo da quelli oggetto di questo giudizio; tale diversità impediva di applicare tali precedenti al diverso caso qui in esame, con conseguente rigetto delle domande. 6. Con un sesto motivo, in subordine, denuncia "Violazione e falsa applicazione dell'art. 267 TFUE (ex art. 234 TCE) e del principio di diritto vivente sulla efficacia ultra partes delle sentenze CGE e violazione degli artt. 289 e 294 TFUE (funzione normativa procedura ordinaria e straordinaria), nonché violazione dell'art. 7 della Direttiva CE 88/2003 (art. 360, n. 3 c.p.c.)". 6.1. Deduce la ricorrente che, ove si ritenesse che la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi espressi dalle sentenze della CGE, nonostante la conclamata diversità della fattispecie oggetto del presente giudizio rispetto ai casi concreti analizzati dai giudici europei, la sentenza impugnata (come altre pronunce simili) avrebbe elevato di fatto a fonte normativa generale ed astratta le sentenze della CGE rese su un caso concreto, ponendosi in contrasto con le norme del TFUE sia laddove istituiscono e disciplinano la funzione della Corte di Giustizia (CGE), definendo l'efficacia delle sue pronunce sia laddove distinguono tra funzione normativa da un lato, riservata al Parlamento Europeo e/o al Consiglio Europeo dagli art. 289 e 294 TFUE e funzione giurisdizionale dall'altro, assegnata alla CGE dall'art. 267 TFUE. 7. Con un settimo motivo, sempre in subordine, denuncia "Violazione e falsa applicazione dell'art. 267 TFUE (ex art. 234 TCE) e del principio di diritto vivente sulla efficacia ultra partes delle sentenze CGE in relazione ai principi di ordine pubblico che impongono nel nostro ordinamento la distinzione tra potere normativo e potere giurisdizionale (artt. 70 e 71 Cost., artt. 101 e 102 Cost.); nonché violazione dell'art. 7, Dir. CE 88/2003 (art. 360, n. 3 c.p.c.)". 7.1. Deduce che, ove si ritenesse che la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi espressi dalle sentenze della CGE, elevando di fatto a fonte normativa generale ed astratta le sentenze della CGE rese su un caso concreto, essa avrebbe violato i principi di ordine pubblico del nostro ordinamento che impongono la distinzione tra potere legislativo e potere giurisdizionale. 8. Con l'ottavo ed ultimo motivo, in subordine, denuncia "Violazione e falsa applicazione dell'art. 2948, n. 4 c.c. in combinato disposto con l'art. 18, commi 1 e 2, L. 300/1970 come modificato dalla L. 92/2012 (art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.)". 9. Rileva preliminarmente il Collegio che questa Sezione si è già espressa sulla massima parte delle questioni di diritto anche qui poste nelle recenti sent. n. 18160/2023, n. 19663/2023, n. 19711/2023, n. 19716/2023 in relazione a motivi di ricorso per cassazione di altra società (la Trenord Spa) parzialmente analoghi a quelli ora in esame. 9.1. Pertanto, anche ai sensi dell'art. 118, comma primo, disp. att. c.p.c., alle citate sentenze si farà riferimento in questa sede. 10. Tanto rilevato, i primi sette motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, vanno disattesi. 10.1. Occorre premettere che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la quale, sin dalla sentenza Robinson Steele del 2006, ha precisato che con l'espressione "ferie annuali retribuite" contenuta nell'art. 7, nr. 1, della direttiva nr. 88 del 2003 si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, "deve essere mantenuta" la retribuzione con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria (nello stesso senso CGUE 20 gennaio 2009 in C.350/06 e C-520/06, Schultz-Hoff e altri). Ciò che si è inteso assicurare è una situazione equiparabile a quella ordinaria del lavoratore in atto nei periodi di lavoro sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall'esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'Unione (cfr. C.G.U.E. Williams e altri, C-155/10 del 13 dicembre 2018 ed anche la causa To.He. del 13/12/2018, C-385/17). Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un'efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. del 13/01/2022 nella causa C-514/20). 10.2. Di tali principi si è fatta interprete questa Corte che in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, cfr. considerando 1 della direttiva 2003/88/CE, e recepita anch'essa con il D.Lgs. n. 66 del 2003), per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo "status" personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. 17/05/2019 n. 13425). 10.3. Anche con riguardo al compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie, pur nella diversa prospettiva cui l'indennità sostitutiva assolve, si è ritenuto che la retribuzione da utilizzare come parametro debba comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo "status" personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass, 30/11/2021 n. 37589). 10.4. Proprio in applicazione della nozione c.d. "europea" di retribuzione, nell'ambito del personale navigante dipendente di compagnia aerea, poi, si è chiarito che nel calcolo del compenso dovuto al lavoratore nel periodo minimo di ferie annuali di quattro settimane si deve tenere conto degli importi erogati a titolo di indennità di volo integrativa e a tal fine si è ritenuta la nullità della disposizione collettiva (l'art. 10 del c.c.n.l. Trasporto Aereo - sezione personale navigante tecnico) nella parte in cui la esclude per tale periodo minimo di ferie evidenziandosi il contrasto con l'art. 4 del D.Lgs. n. 185 del 2005 (decreto di attuazione della direttiva 2000/79/CE relativa all'Accordo europeo sull'organizzazione dell'orario di lavoro del personale di volo dell'aviazione civile) interpretando tale disposizione proprio alla luce del diritto europeo che impone di riconoscere al lavoratore navigante in ferie una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie, in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l'attività lavorativa (cfr. Cass. 23/06/2022 n. 20216). 10.5. È opportuno poi rammentare, come già ritenuto nella sentenza da ultimo citata, "che le sentenze della Corte di Giustizia dell'UE hanno, infatti, efficacia vincolante, diretta e prevalente, sull'ordinamento nazionale" sicché non può prescindersi dall'interpretazione data dalla Corte Europea che, quale interprete qualificata del diritto dell'unione, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme. Le sue sentenze, pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, hanno perciò "valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della Comunità" (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012). 10.6. Nell'applicare il diritto interno il giudice nazionale è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme alle finalità perseguite dal diritto dell'Unione nell'intento di conseguire il risultato prefissato dalla disciplina Eurounitaria conformandosi all'art. 288, comma 3, TFUE. L'esigenza di un'interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell'ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell'Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (cfr. CGUE 13/11/1990 causa C-106/89 Marleasing p. 8, CGUE 14/07/1994 causa C-91/92 Faccini Dori p. 26, CGUE 10/04/1984 causa C-14/83 von Colson p. 26, CGUE 28/06/2012 causa C-7/11 Caronna p. 51, tutte citate da Cass. n. 22577 del 2012 alla cui più estesa motivazione si rinvia), obbligo che viene meno solo quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella Eurounitaria, ma non è questo il caso. 10.7. A questi principi si è attenuta la Corte di merito che, come ricordato, ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell'eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita. 10.8. Rileva allora il Collegio che nell'ambito in particolare del primo motivo la ricorrente asserisce che "la sentenza impugnata (come molte altre) muove dall'erronea percezione che la IUP variabile di cui al comma 4 dell'art. 31 CA 2012 e 2016 (la cui incidenza viene rivendicata in causa) sia l'intero, il tutto, il compenso che percepisce il macchinista quando fa il suo lavoro, mentre la IUP giornaliera in misura fissa di cui al punto 5 sia solo una parte, un minus per quando il macchinista non lavora". 10.9. Sennonché, tale specifica affermazione così attribuita alla Corte distrettuale e nel contempo censurata dalla ricorrente neppure si riscontra nel testo dell'impugnata sentenza, la quale, con precipuo riferimento all'indennità di utilizzazione professionale (in sigla IUP), ha svolto tutt'altro genere di considerazioni, legate essenzialmente all'incidenza di tale indennità "sulla retribuzione feriale e, di conseguenza, sulla piena libertà di fruizione del periodo di riposo costituzionalmente garantito"; indagine, questa, che la stessa Corte ha operato accertando le decurtazioni subite a riguardo da entrambi i lavoratori all'epoca appellati (cfr. in extenso facciate 8-10 della sua decisione). 10.10. E tale accertamento è in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte di Lussemburgo ed in sintonia con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, che è innanzi tutto quella di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all'esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale. 10.11. Inoltre, con riguardo specificatamente alla idoneità della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dal godere delle ferie, ritiene il Collegio che la sua valutazione in concreto appartiene al giudice di merito che nella specie ha plausibilmente dato conto delle ragioni per le quali l'ha ravvisata. 10.12. Del resto, è la stessa ricorrente ad ammettere che la IUP è comunque riconosciuta "per attività svolte tipiche del macchinista", ossia, in relazione alla qualifica rivestita da entrambi i lavoratori attuali controricorrenti. 11. Quanto all'indennità di assenza dalla residenza, come premesso in narrativa, la Corte di merito ne ha motivatamente ritenuto la natura "di componente retributiva certamente rientrante nel concetto di retribuzione, delineato dalla giurisprudenza" in precedenza richiamata (cfr. in extenso facciate 10-11 della sua sentenza). 11.1. A fronte di tale argomentata qualificazione di detta indennità, la ricorrente assume essenzialmente che essa "costituisce un ristoro forfettizzato delle micro-spese variabili (considerato anche l'importo esiguo) che il macchinista deve sopportare quando si trova fuori dall'impianto", sicché si tratterebbe di emolumento che avrebbe "natura realmente indennitaria" oppure "natura e funzione risarcitoria". 11.2. Tale tesi, però, è sostenuta in termini essenzialmente assertivi, assumendosi la "pacifica natura giuridica" appunto "indennitaria" della voce in questione, e senza specificare da quali precisi indici letterali della precipua previsione collettiva cui si è riferita la Corte di merito, ossia, l'art. 77, comma 2, dei CCNL Mobilità, Area Attività Ferroviaria, del 20.7.2012 e del 16.12.2016, si dovrebbe trarre "il valore ristorativo del compenso (rimborso forfettizzato di micro-spese, es. bottiglia di acqua) che coerentemente scatta solo dopo 3 ore di lontananza". Del resto, è la stessa ricorrente a far presente che il compenso per assenza dalla residenza è erogato solo per "... servizi che comportano complessivamente, per ciascuna giornata di turno, un'assenza di durata non inferiore a 3 ore ...", e non già a titolo di rimborso magari forfettizzato. 11.3. La ricorrente insiste, poi, sull'assunto che l'indennità in questione non rientrerebbe nell'imponibile fiscale, ma correttamente la Corte territoriale ha ritenuto non rilevante tale profilo. La nozione di retribuzione ai fini fiscali e previdenziali non è, infatti, dirimente per accertare l'effettiva natura retributiva di un determinato emolumento al diverso scopo di stabilire se rientri nella retribuzione dovuta nel periodo feriale. Condivisibilmente, perciò, la stessa Corte a riguardo ha evidenziato la funzione sostanziale dello stesso emolumento, in "diretta correlazione ad un disagio intrinseco alla mansione". 12. Le considerazioni innanzi richiamate, espressive dell'indirizzo di questa Corte in subiecta materia, valgono a respingere anche il terzo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso. 13. Più nello specifico, con riferimento al terzo motivo ed al quinto motivo, la Corte d'appello non ha certamente fatto un'applicazione in via generale ed astratta dei principi espressi dalla CGUE nella materia che ci occupa, ma, avuto riguardo all'orientamento delineato nelle due decisioni di questa Corte Suprema che ha richiamato, a loro volta basate su estesa considerazione della specifica giurisprudenza di detta Corte UE (cfr. facciate 5-8 della sua sentenza), e tenendo conto di conformazione, natura ed incidenza delle indennità in questione secondo la contrattazione collettiva di settore e aziendale, ha concluso che dette indennità dovessero essere incluse (integralmente, nel caso della IUP) nella retribuzione dovuta nel periodo feriale. E si è già chiarito, del resto, che precipue disposizioni collettive, ove risultanti in contrato con la nozione "europea" di retribuzione come recepita nel nostro ordinamento, possano essere giudicate nulle. 14. Contrariamente, poi, a quanto sostenuto nel quarto motivo, la Corte di merito non ha operato un'erronea lettura di Cass. n. 22401/2020 e n. 13425/2019, che ha richiamato nella propria motivazione. Come già rilevato in precedenza, infatti, ai medesimi principi di diritto già enunciati in quelle decisioni di legittimità è stata poi data continuità da questa Corte anche nel campo della mobilità/settore attività ferroviarie, che qui viene in considerazione. Né assume rilievo il dato che "i casi concreti decisi dalla CGE riguardano situazioni di fatto e compensi strutturalmente differenti rispetto a quelli qui in esame". Come evidenziato nelle recenti sent. n. 18160/2023, n. 19663/2023, n. 19711/2023, n. 19716/2023, citate all'inizio di questa motivazione, la valutazione del caso concreto, vale a dire la verifica se alcune indennità aggiuntive legate al concreto svolgimento di una determinata mansione, possano o meno essere escluse dal computo della retribuzione da erogare nei giorni per le ferie annuali, è attività riservata comunque al giudice nazionale e non ha quello europeo che vi ha provveduto applicando le direttive provenienti dalla Corte del Lussemburgo. 15. Inoltre, per quanto già osservato, la decisione gravata non ha sicuramente "elevato di fatto a fonte normativa generale ed astratta le sentenza della CGE rese su un caso concreto", come invece sostenuto nel sesto e nel settimo motivo di ricorso. 16. È infine infondato anche l'ottavo motivo di ricorso in cui viene riproposta, in subordine, la questione della prescrizione dei crediti vantati dai lavoratori. 16.1. Va precisato che in giudizio sono state chieste differenze retributive maturate nel periodo da settembre 2012 al 31 dicembre 2019. Orbene questa Corte, proprio affrontando la questione della decorrenza della prescrizione dei crediti maturati nel corso del rapporto di lavoro, ha recentemente affermato che per effetto delle modifiche apportate dalla Legge n. 92 del 2012 e poi dal D.Lgs. n. 23 del 2015, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato è venuto meno uno dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, di tal che questo non è assistito da un regime di stabilità. Ne consegue che per tutti quei diritti che, come nella specie, non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c. dalla cessazione del rapporto di lavoro (così Cass. 06/09/2022 n. 26246, poi seguita da altre conformi). 16.2. La sentenza gravata, pertanto, nel respingere il motivo d'appello con il quale l'allora appellante si doleva del rigetto dell'eccezione di prescrizione dalla stessa sollevata in primo grado, è conforme a tali principi. 17. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate in dispositivo, devono essere distratte in favore del difensore dei controricorrenti, dichiaratosi anticipatario. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 3.300,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per Legge, e distrae in favore del difensore dei controricorrenti. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLOI DI CATANIA (...) composta dai magistrati: dott.ssa (...) dott.ssa (...) rel. dott.ssa (...) pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. (...)/2021 R.G. promossa DA (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. (...) F.(...) S.R.L. (C.F), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'avv. (...) e dall'avv. (...) Appellata AVENTE AD OGGETTO: crediti retributivi e impugnativa di licenziamento SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) adiva il Tribunale di Ragusa impugnando il licenziamento intimatogli dalla società F.lli (...) S.r.l. e chiedendo, ai sensi dell'art. 8 della legge 604/66, la condanna della società resistente alla corresponsione in suo favore della somma di Euro 10.717,62 a titolo di indennità risarcitoria pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Il ricorrente chiedeva altresì la condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive per il lavoro straordinario svolto, per permessi non richiesti, indennità di cassa, indennità di mancato preavviso e per residuo TFR non azionato in sede monitoria, per la complessiva somma di Euro 44.138,86 oltre rivalutazione ed interessi. Il G.L., ritenuta priva di pregio l'eccezione di improcedibilità della domanda attorea sollevata dalla resistente, raccolto l'interrogatorio formale del ricorrente ed escussi i testimoni, ordinata l'esibizione dei cronotachigrafi degli automezzi condotti dal (...) all'esito del fallimento del tentativo di conciliazione, pronunciava la sentenza n. 1203/2021 del 29.11.2021, con la quale condannava la società F.lli (...) S.r.l. a pagare in favore del lavoratore l'importo di Euro 611,83 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso di licenziamento, oltre interessi e rivalutazione sino al saldo e rigettava, nel resto, il ricorso, compensando integralmente le spese di lite. In particolare, il decidente, disattesa l'eccezione relativa alla denunciata parcellizzazione del credito, rigettava la domanda relativa al dedotto lavoro straordinario, sul rilievo che dall'istruttoria orale non era emersa prova certa in ordine all'espletamento di attività lavorativa in misura sistematicamente superiore a 40 ore settimanali; non riconosceva la reclamata indennità di cassa, trattandosi di emolumento accessorio e facoltativo non espressamente contemplato nel contratto individuale di lavoro e non risultando in atti il contratto collettivo contenente una previsione in tal senso; rigettava inoltre la domanda di restituzione delle somme decurtate in busta paga a titolo di permessi non retribuiti mai fruiti stante l'assoluto difetto di prova sul punto; riteneva legittimo il licenziamento intimato dalla società per giustificato motivo oggettivo, stanti le perdite dalla stessa subite nell'anno 2013, sufficientemente documentate; riconosceva tuttavia dovuta l'indennità sostituiva del preavviso, non avendo il datore dimostrato di aver consegnato la lettera di licenziamento in data (...) anziché il (...) come si duole il ricorrente. Avverso la predetta sentenza interponeva appello (...) con atto depositato il (...), censurando la sentenza per i motivi da intendersi qui integralmente ritrascritti. Instauratosi il contraddittorio, F.(...) S.R.L. resisteva al gravame La causa veniva decisa all'esito dell'udienza del 18.4.2024, fissata ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., compiuti i termini assegnati alle parti per depositare note telematiche. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di impugnazione l'appellante contesta il mancato riconoscimento delle differenze retributive per il lavoro svolto, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che dall'istruttoria orale non è emersa prova certa in ordine all'espletamento di attività lavorativa in misura sistematicamente superiore a 40 ore settimanali. Lamenta l'appellante che il Giudice non avrebbe valutato adeguatamente le prove agli atti e in particolare la testimonianza del teste (...) basando il proprio convincimento sulle dichiarazioni di tutti gli altri testi, inattendibili in quanto lavoratori ancora dipendenti della società e/o parenti dell'amministratore della stessa. Deduce che se il giudice avesse esaminato tutte le prove addotte nel corso nel giudizio e non solo quelle orali, avrebbe potuto certamente verificare che la dissonante testimonianza del teste (...) era invece suffragata e confermata dalle risultanze dei cronotachigrafi prodotti con il ricorso introduttivo al fine di determinare proprio i periodi di sosta e di marcia dei mezzi guidati dal (...) 2. Con il secondo motivo di gravame, l'appellante contesta il mancato riconoscimento dell'indennità di cassa censurando la sentenza oggetto del gravame nella parte in cui ha ritenuto che tale indennità non sarebbe dovuta poiché non espressamente contemplata nel contratto individuale di lavoro, rilevando che l'indennità spetta sulla base dell'art. 50 del CCNL. Quanto all'affermazione contenuta in sentenza secondo cui l'indennità non spetterebbe in quanto l'attività di riscossione sarebbe stata meramente saltuaria, eccepisce di essersi trovato "non proprio occasionalmente" a ricevere denaro contante e assegni dai clienti della società e chiede emettersi ordine di esibizione delle fatture e dei DDT dai quali risulterebbe la sua firma per quietanza o di assumere la prova testimoniale dai clienti medesimi. 3. Con il terzo motivo di gravame, (...) impugna anche la parte della sentenza in cui il Tribunale ha rigettato la domanda di restituzione delle somme decurtate in busta paga a titolo di permessi non retribuiti, deducendo che dalla produzione dei dischetti cronotachigrafi, ove fosse stata effettuata, sarebbe emerso che nelle ore risultanti dalle buste paga imputabili a permessi, l'appellante si trovava invece alla guida dell'automezzo. 4. Con altro motivo, l'appellante impugna la sentenza nella parte in cui il Tribunale non ha riconosciuto l'illegittimità del licenziamento, evidenziando che quasi in coincidenza con tale atto la società aveva assunto un altro lavoratore, (...) addetto all'attività di trasporto, per cui nessun riassetto organizzativo si era registrato con riferimento agli addetti all'attività di trasporto. Inoltre dalle prove testimoniali era emerso che il (...) oltre che al trasporto del gasolio, era addetto anche all'attività di pavimentazione stradale utilizzando i mezzi semi moventi ((...) e/o pala meccanica), per cui nessuna prova era stata fornita sull'impossibilità del reimpiego del lavoratore. (...)à conseguiva anche alla scelta del lavoratore da licenziare, possedendo egli 8 anni di anzianità e un'età, 40 anni, che non gli dava accesso alla pensione né gli consentiva di reinserirsi nel mondo del lavoro. Sotto altro profilo evidenzia che la questione del mancato rinnovo della patente ADR è stata sollevata solo nel corso del giudizio, non essendo stata indicata quale causa del recesso nella lettera di licenziamento né precedentemente essendo stata fatta oggetto di richiamo nei confronti del lavoratore. Deduce poi che agli atti non vi sarebbe nemmeno la prova della scadenza della validità della patente e comunque, laddove per il rinnovo fosse stato necessario seguire un corso di formazione che lo abilitasse nuovamente al trasporto di merce pericolosa, tale corso sarebbe stato di certo a carico del datore di lavoro. 5. Con il quinto motivo l'appellante censura la sentenza per non avere preso in esame e riconosciute le ulteriori somme dovute per T.F.R. e non azionate in sede monitoria, da calcolarsi sull'effettiva retribuzione spettante al lavoratore, né considerando e riconoscendo il risarcimento danni per mancato corrispondente trattamento previdenziale dovuto per tutte le differenze retributive e le relative omesse contribuzioni previdenziali sulle stesse. 6. Ancora, l'appellante impugna la sentenza evidenziando la contraddittorietà della decisione di accogliere solo la domanda relativa all'indennità di preavviso, liquidata sulla base di criteri e valutazioni rimasti ignoti, rispetto al giudizio prognostico formulato all'esito dell'attività istruttoria che aveva condotto a invitare le parti a valutare una definizione conciliativa della controversia sulla base del pagamento della somma di Euro 12.500,00 onnicomprensiva oltre un contributo alle spese legali di Euro 1000,00; avendo peraltro il Tribunale esplicitato in sentenza che "la domanda attrice volta ad ottenere le relative differenze retributive fosse tutt'altro che infondata e pretestuosa". 7. Infine l'appellante ha censurato il capo della sentenza impugnata che ha statuito sulle spese di lite disponendo la compensazione integrale delle stesse e ponendo, altresì, a carico di entrambe le parti le spese della CTU già liquidate con separato decreto. Le spese invece dovevano essere poste integralmente a carico della società, in quanto non aveva ottemperato all'ordine di esibizione, non aveva accettato la proposta conciliativa ed era stata, sia pure parzialmente, soccombente. 8. (...) è parzialmente fondata. Con riguardo al primo motivo va rilevato che correttamente il Tribunale ha ritenuto che le dichiarazioni del teste (...) non fossero sufficienti a dare la prova rigorosa, che non può essere superata dalla valutazione equitativa del giudice - come richiesta dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (vd. Cass. 16150/2018, 4676/2018, 1389/03) - dello svolgimento e della consistenza del lavoro straordinario rivendicato dal lavoratore, tenuto conto delle concordi testimonianze contrarie rese da tutti gli altri testimoni, i quali hanno riferito che l'orario di uscita dal lavoro del (...) era flessibile, in considerazione delle sue mansioni di autista e che si sottraeva alle richieste datoriali di svolgimento di mansioni diverse in ausilio agli altri lavoratori; il (...) cessava la sua giornata lavorativa a volte alle 16,00 a volte alle 16,30 (e comunque non si tratteneva mai al lavoro oltre le 17), altre volte addirittura saltava su sua richiesta la pausa pranzo per andare via alle 15,30 in quanto gestiva una pizzeria e aveva la necessità di accendere il forno in tempo per la sera. Tuttavia nel presente grado è stata disposta consulenza tecnica d'ufficio al fine di accertare l'orario di lavoro nei periodi per i quali sono stati acquisiti agli atti di causa le copie dei dischi cronotachigrafi (in parte prodotti dal lavoratore in allegato al ricorso, in parte prodotti dal datore di lavoro in parziale adempimento dell'ordine di esibizione del Tribunale), ovvero per i mesi da novembre 2013 a gennaio 2014. Dall'indagine peritale, mentre è rimasta confermata la notevole flessibilità dell'orario di lavoro, è emerso però che nel mese di novembre 2013 sono state svolte 5 ore e 30 minuti di lavoro straordinario, nel mese di dicembre 2013 2 ore e 45 minuti e nel mese di gennaio 2014 8 ore di straordinario per le quali non risulta alcuna remunerazione in busta paga. (...) le previsioni del (...) applicato al rapporto, come si evince dalla lettera di assunzione in atti, il valore della paga oraria desunta dalla busta paga (Euro 10,(...)) deve essere maggiorata del 35%, sicché sulla base delle condivisibili conclusioni del (...) deve essere riconosciuto un credito di Euro 226,51 in favore del lavoratore. Le brevi soste del mezzo rilevate dai dischi (30 e 45 minuti) sono state correttamente considerate dal CTU come destinate alle operazioni di carico e scarico e computate come orario di lavoro a tutti gli effetti, così come correttamente è stata computata l'ora della pausa pranzo nel caso in cui dai dischi si evince che questa non sia stata fruita. 9. Va invece rigettato il secondo motivo di appello, essendo pacifico che il ricorrente non abbia prodotto, nemmeno nel presente grado (né è stata avanzata istanza di autorizzazione alla produzione) il (...) contenente la disciplina dell'indennità di cassa. Come è noto il contratto collettivo di diritto comune ha efficacia negoziale e ciò comporta che ad esso non si applica il principio "iura novit curia" e che il contenuto del contratto stesso costituisca un fatto che la parte attrice ha l'onere di allegare tempestivamente, al pari di ogni altro elemento di fatto costitutivo del proprio diritto. Nel ricorso introduttivo, invece, il ricorrente non ha in alcun modo allegato la previsione contrattuale richiamata solo nel presente grado, limitandosi ad allegare il fatto di avere riscosso per conto della società i compensi delle forniture di gasolio quietanzando le fatture, circostanza smentita dalle dichiarazioni testimoniali di (...) e (...) addette all'amministrazione e alla contabilità aziendale, le quali hanno riferito che il pagamento avveniva prevalentemente mediante bonifici bancari, anche nel rispetto delle norme di legge sulle soglie dei pagamenti in contanti, effettuati solo occasionalmente, così come i pagamenti tramite assegni, da clienti anziani. 10. Parimenti va rigettato il terzo motivo di impugnazione, in difetto assoluto di prova della falsità della annotazione nelle buste paga, mai tempestivamente contestate dal lavoratore, di permessi in realtà non fruiti. Tutti i lavoratori sentiti quali testimoni hanno negato di essere mai stati indotti dal datore di lavoro a richiedere permessi non fruiti. Il raffronto tra le buste paga e i pochi dischi cronotachigrafi acquisiti agli atti di causa non consente di ritenere che la società adottasse una diversa condotta solo nei confronti del (...) 11. (...) di licenziamento invece è fondata. Il recesso del datore di lavoro è avvenuto per asserito giustificato motivo oggettivo, essendo così motivato: "(...) procedere ad un necessario riassetto organizzativo al fine di ottimizzare l'attività aziendale, la scrivente ha assunto la determinazione di rimodulare le attività di trasporto esercitate con riduzione degli addetti alle stesse attività. Alla luce di ciò e tenuto conto dell'impossibilità di altra collocazione lavorativa idonea per la sua professionalità, con la presente provvediamo a comunicarLe l'impossibilità a continuare ad avvalerci della sua opera". Il Tribunale ha ritenuto assolto l'onere della prova a carico del datore di lavoro in ordine alla sussistenza del giustificato motivo, in quanto le perdite subite nell'anno 2013, come documentate, suffragavano le dedotte necessità di riassetto organizzativo. E tuttavia in sentenza ha dato atto che al settore dell'attività di trasporto erano addetti anche altri due lavoratori, uno, (...) con maggiore anzianità dell'appellante, mentre l'altro, (...) veniva inizialmente impiegato "a chiamata" dal novembre 2013 e poi "stabilizzato" poco dopo il licenziamento dell'appellante. La nuova assunzione di altro lavoratore - a prescindere dal suo precedente inserimento in azienda con contratto intermittente già prorogato fino al giugno 2014 - dimostra la pretestuosità del motivo addotto quale giustificazione del licenziamento. (...) canto il vero motivo della risoluzione del rapporto, emerso in corso di causa, consisteva nel mancato possesso da parte di (...) della patente per il trasporto di merci pericolose, scaduta e non rinnovata a causa del mancato accordo tra le parti su chi dovesse sostenerne i costi, lavoratore o datore di lavoro. Tuttavia tale motivo non è stato formalizzato nella lettera di licenziamento che, come sopra riportato, ha indicato unicamente l'esigenza di "ridurre" gli addetti all'attività di trasporto, riduzione che di fatto non è avvenuta, essendo stato invece stabilizzato un altro lavoratore in precedenza assunto con le modalità del lavoro intermittente. Inoltre il datore di lavoro non ha adempiuto all'onere a suo carico di dimostrare l'impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni alle quali già lo aveva adibito, quale il trasporto dell'asfalto (vd. teste (...) teste (...) il quale peraltro ha dichiarato di svolgere in azienda sia mansioni di autista che di conducente di macchine operatrici, quali pale meccaniche, fresa, etc.; teste (...) che ha dichiarato di avere visto (...) anche condurre il bobcat; teste (...) che ha riferito che il (...) al bisogno, benché restio, conduceva anche il bobcat e la pala meccanica) o anche altro, "quello che serve nell'organizzazione giornaliera, perché poi insomma ogni giorno nasce un'esigenza diversa, quindi di norma l'autista perché portava il camion, però se poi in cantiere nasce un'esigenza di aiutare la squadra, di fare qualcos'altro, è una cosa che si deve fare" (vd. testimonianza di (...). (...) avrebbe potuto occuparsi nella pavimentazione stradale dell'aiuto "manuale con i rastrelli, con le pale, per fare le zone dove non arrivano le macchine", avrebbe potuto occuparsi della "scarifica della sede stradale prima della stesura del conglomerato" (vd. dichiarazioni teste (...) ma anche del teste (...). Anche la teste (...) ha dichiarato: "Da noi è così, se c'è da fare altro si deve fare altro, perché ovviamente siamo una piccola ditta" e con riferimento all'assunzione di (...) ha precisato che era stato assunto non solo per fare l'autista, ma anche altro, "un po' di tutto". Non rileva il fatto che i testimoni ((...) e (...) abbiano riferito che il lavoratore si rifiutava di fare altri lavori che gli venivano richiesti (anche la guida delle macchine operatrici) adducendo problemi fisici agli occhi e alla schiena, in quanto il datore di lavoro avrebbe dovuto dimostrare che tali attività gli furono offerte come alternativa al licenziamento e ugualmente rifiutate. Pertanto la domanda di indennità risarcitoria proposta ai sensi dell'art. 8 legge 604/1966 deve essere accolta e considerata l'anzianità di servizio alla data del licenziamento (8 anni) e le dimensioni dell'azienda, costituita nel 1977, con duplice settore di attività, industriale e commerciale e con un numero medio di 15 dipendenti (come emerge dalla visura della (...) in atti) possono riconoscersi 5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto quale risulta dalla busta paga di gennaio 2014. 12. Il quinto motivo di appello può essere parzialmente accolto, essendo dovute le differenze sul TFR oggetto di decreto ingiuntivo, benché nei limiti delle differenze retributive riconosciute nella misura minima di Euro 226,51 a titolo di straordinario. Non può invece accogliersi nemmeno nel presente grado la domanda di risarcimento del danno per omessa contribuzione previdenziale corrispondente alle differenze retributive non corrisposte, stante l'evidente genericità della domanda stessa, non avendo l'appellante specificato il danno subito, che non può consistere nella mera omissione contributiva. 13. Il sesto motivo deve essere rigettato in quanto la formulazione della proposta conciliativa non può vincolare il giudice nella decisione finale, che deve essere esclusivamente basata sull'attenta valutazione dell'esito dell'istruttoria svolta. 14. (...) parziale del ricorso comporta la soccombenza della parte appellata che deve essere condannata al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi, come liquidate in dispositivo, tenuto conto dei parametri di cui al DM 55/2014 e del valore del decisum (da Euro 5.201,00 a 26.000,00). La parte soccombente deve sopportare anche le spese relative alla disposta (...) P.Q.M. La Corte, definitivamente decidendo, in parziale accoglimento dell'appello, riforma parzialmente la sentenza impugnata e per l'effetto dichiara l'illegittimità del licenziamento intimato a (...) da (...) S.r.l. e condanna quest'ultima al pagamento in favore dell'appellante dell'indennità risarcitoria corrispondente a cinque mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione. Condanna altresì (...) S.r.l. al pagamento in favore dell'appellante della somma di Euro 226,51 a titolo di straordinario e della conseguente differenza spettante sul (...) oltre interessi e rivalutazione monetaria. Condanna la società appellata al pagamento delle spese processuali, che liquida per il primo grado in Euro 3.000,00 e per il presente in Euro 3.500,00, oltre rimborso spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge, da distrarre in favore dell'avv. (...) Restano a carico della parte appellata le spese di CTU liquidate con separato decreto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI SALERNO La Corte di Appello di Salerno - (...) del (...) - nelle persone dei magistrati: dr. (...) dr. (...) dr. (...) relatore ha pronunziato all'esito della discussione del presente procedimento ex. artt. 127 ter c.p.c. e 35 del D.Lgs. n. 149/2022 la seguente SENTENZA nel giudizio di appello iscritto al n. (...) del ruolo generale del lavoro dell'anno 2021 TRA (...) e (...) parti rappresentate e difese come in atti dall'Avv. (...) con il quale risultano elettivamente domiciliate in (...) alla Piazza (...) n. 26, presso lo studio dell'avv. (...) E (...) in persona del suo legale rapp.te p.t., parte rappresentata e difesa come in atti dall'Avv. (...) con il quale risulta elettivamente domiciliata (...), presso la (...) della stessa; (...) OGGETTO: riconoscimento anzianità di servizio; appello avverso la sentenza n. (...)/2021 emessa dal Giudice del lavoro del Tribunale di Nocera Inferiore, pubblicata in data (...). RAGIONI DELLA DECISIONE SULLE CONCLUSIONI DELLE PARTI (art. 132 c.p.c.; art. 118 disp. att. c.p.c.) Con sentenza n. (...)/2021, pubblicata in data (...) e qui impugnata, il giudice del lavoro presso il Tribunale di Nocera Inferiore rigettava le domande proposte da (...) e (...) nei confronti dell'(...) con le quali le ricorrenti, premesso di aver prestato la loro attività lavorativa alle dipendenze della convenuta in forza di contratti a tempo determinato e di essere state stabilizzate a seguito di deliberazione n. 1551 del 29.7.10 del Commissario Straordinario della (...) adottata in applicazione dell'art. 81 della L.R. Campania n. 1 del 30.1.08, "Norme per la stabilizzazione del personale precario del servizio sanitario regionale", ottenendo in tal modo la conversione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato, avevano chiesto che venisse riconosciuta loro l'anzianità di servizio con decorrenza dal primo contratto a tempo determinato e che fosse accertato il loro diritto all'erogazione delle "fasce retributive relative al periodo di lavoro svolto a termine", nonché del fondo di produttività collettiva e del fondo di mantenimento, oltre alle voci accessorie, con conseguente condanna dell'(...) sanitaria al pagamento, in loro favore, delle relative somme. A sostegno del proprio convincimento, il giudice di prime cure osservava che pur potendosi applicare in astratto alla fattispecie in esame i principi espressi da Cass. n. 22558/2016 con riferimento al personale del comparto scuola, in concreto la domanda proposta dalle ricorrenti non poteva essere accolta, in quanto i criteri per la progressione orizzontale previsti dalla contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro delle stesse non prevedevano automatismi negli scatti di anzianità, ma valutazioni selettive che nella fattispecie non risultavano mai essere avvenute, così come i fondi richiesti, che lungi dall'essere attribuiti in base ad automatismi, erano subordinati a valutazioni di natura discrezionale. Per le suesposte considerazioni il Tribunale rigettava la domanda proposta dalle lavoratrici, compensando per intero le spese di lite tra le parti in ragione dei contrasti giurisprudenziali registratisi in materia. Con atto di appello depositato in data (...) e (...) impugnavano la predetta sentenza, sostenendone l'erroneità nella parte in cui il primo Giudice, in violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., si era pronunciato solo su una delle domande proposte con il ricorso introduttivo, nulla disponendo in merito alle altre e, in particolare, con riguardo alla domanda relativa al riconoscimento per intero e ad ogni effetto di legge dell'anzianità di servizio maturata. Lamentavano, inoltre, un'erronea interpretazione della normativa inerente le voci retributive rivendicate, poiché, in applicazione dell'art. 31 del CCNL Integrativo Comparto Sanità del 7.4.99, così come degli artt. 46 e 47 CCNL 1.9.95, 38 CCNL del 7.4.99, 9 CCNL 10.4.08, 5 e 8 CCNL 31.7.09, nonché dell'art. 1 dei CCNL di (...) del 19.4.04, avrebbe dovuto riconoscersi in favore di esse ricorrenti, per il periodo di lavoro svolto a tempo determinato, non solo la progressione per fasce retributive, ma anche l'attribuzione dei premi per la qualità delle prestazioni individuali e dei compensi per la produttività collettiva e per il miglioramento dei servizi, tenuto conto che alcuna discriminazione né distinzione di sorta per il riconoscimento di detti istituti economico contrattuali poteva essere posta in essere tra personale assunto con contratto a tempo indeterminato e personale invece impiegato a tempo determinato. Concludevano, dunque, per l'accoglimento dell'appello, con vittoria di spese del doppio grado. Si costituiva nel presente grado di giudizio l'(...) resistendo all'avverso gravame e chiedendone pertanto il rigetto, con vittoria di spese. Alla data odierna, all'esito della discussione ai sensi degli artt. 127 ter c.p.c. e 35 del D.Lgs. n. 149/2022, previo deposito di note difensive di trattazione scritta ad opera delle parti, la causa veniva decisa come da dispositivo in atti. (...) è solo parzialmente fondato e va, pertanto, accolto nei limiti che saranno di seguito indicati. La questione esaminata nella presente sede si presenta invero negli stessi termini di altra già affrontata da questa Corte con sentenza n. 836/2016, in relazione a vicende aventi analogo contenuto (sent. n. 836/2016, r.g.n. 662/2015), dalla quale non si ha motivo di discostarsi, tenuto conto che la stessa è stata peraltro confermata in sede di legittimità dalla S.C. con ordinanza n. (...)/2022, pubblicata in data (...). Con riferimento alle richiamate risultanze del giudizio instaurato da altri lavoratori nei confronti della medesima azienda con la suddetta sentenza n. 836/2016, va precisato che, pur in assenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi necessari ai fini e per gli effetti di cui all'art. 2909 c.c., ben possono gli elementi sopra descritti rivestire anche in questa sede un significativo (ed ulteriore) carattere indiziario, al pari di una comune prova documentale, in merito ai profili che hanno costituito l'oggetto del relativo accertamento giudiziale, sussistendo senz'altro effettive e concrete interferenze tra gli stessi e alcune delle questioni oggetto della presente controversia. Al riguardo la Suprema Corte (cfr. Cass. civ. Sez. VI - 5 Ord., 16/06/2016, n. 12508, in motivazione) ha avuto modo di precisare come "il giudice di merito possa utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse ed anche altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, al fine di trarne non solo semplici indizi o elementi di convincimento, ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva; il che vale anche per una consulenza tecnica svolta in altre sedi civili; tanto a prescindere dal passaggio o meno in giudicato della sentenza resa nel diverso giudizio (conf. tra le tante Cass. 8585/1999 e 28855/2008, secondo cui "il giudice di merito può legittimamente tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica acquisita in un diverso processo, ... anche se celebrato tra altre parti...". Ciò chiarito, in via preliminare deve osservarsi che la questione di diritto inerente il riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, dell'anzianità di servizio maturata dai lavoratori assunti con reiterati contratti a tempo determinato è stata affrontata dalla giurisprudenza di legittimità con esiti contrastanti, soprattutto in relazione ai rapporto di lavoro instaurati nel settore scolastico. La Corte Regolatrice aveva in passato escluso il diritto dei dipendenti pubblici assunti con contratto a termine al riconoscimento dell'anzianità di servizio e, quanto ai dipendenti del (...) all'erogazione degli scatti biennali di anzianità (cfr., ex aliis, Cass. Civ., Sez. Lav., 8 aprile 2011, n. 8060, secondo cui "in tema di rapporto di lavoro del personale della scuola, l'art. 53 legge n. 312 del 1980, nel riconoscere ai docenti non di ruolo l'aumento periodico biennale della retribuzione, ha espressamente escluso dai benefici i supplenti, il cui rapporto di servizio trova fondamento in incarichi attribuiti di volta in volta e si interrompe nell'intervallo tra un incarico e l'altro"). Tale orientamento, tuttavia, risulta superato dal più recente indirizzo dei giudici di merito, che ammette il diritto al riconoscimento dell'anzianità di servizio ai fini economici (e, sempre per i lavoratori del settore scolastico, il diritto agli scatti biennali), sulla scorta delle pronunzie della Corte di Giustizia dell'(...) ((...). In particolare, la predetta Corte ha sottolineato la portata generale del principio di non discriminazione e di parità di trattamento dei lavoratori di cui all'(...) attuato con la (...) 1999/70/CE, ponendo in risalto che "la mera circostanza che un impiegato sia qualificato come "di ruolo" in base all'ordinamento interno e presenti taluni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego di uno Stato membro interessato, è priva di rilevanza sotto questo aspetto, pena rimettere seriamente in questione l'efficacia pratica della direttiva 1999/70 e quella dell'accordo quadro, nonché della loro applicazione uniforme negli (...) membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti comunitari" e non senza specificare che "una disparità di trattamento che riguardi le condizioni di impiego tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato non può essere giustificata mediante un criterio che, in modo generale ed astratto, si riferisca alla durata stessa dell'impiego" (cfr. (...) 13/09/2007 (...)/5 Del Cerro). I giudici sovranazionali hanno altresì rimarcato che "ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti a giustificare una siffatta disparità di trattamento priverebbe del loro contenuto gli scopi della direttiva 70/99 e dell'accordo quadro" (v., sul punto, (...) 22/12/2010 C- 444/09 Gavieiro). Con esplicito riguardo ai dipendenti del settore scolastico, la Corte di Giustizia ha sottolineato che le modalità di selezione del personale docente non hanno, né possono avere, alcuna incidenza sulle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, atteso che sia i dipendenti di ruolo che quelli non di ruolo svolgono la medesima attività, con l'unica differenza che il personale non di ruolo non fruisce degli scatti di anzianità, che vengono invece riconosciuti dalla legge ai soli lavoratori di ruolo. Del resto, il personale non di ruolo viene impiegato proprio per sopperire ad esigenze dovute alla carenza di organico del personale di ruolo, onde appare priva di rilievo la mancanza, nel caso dei dipendenti non di ruolo, di una previa selezione mediante concorso, alla luce del fatto che le mansioni in concreto assegnate sono identiche a quelle già svolte dai lavoratori a tempo indeterminato. A fronte della identità di mansioni, non appare pertanto giustificata la disparità di trattamento sul piano retributivo. Un trattamento economico differenziato non può, inoltre, essere collegato unicamente al dato formale della qualifica ("di ruolo" o "non di ruolo"), dovendo invece essere basato - secondo la (...) - su "elementi precisi e concreti... risultanti dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti a tempo determinato". Occorrono cioè "elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui si inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l'obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria" ((...) ordinanza 09/02/2012 C 556/11 Martinez). Il principio in esame è stato di recente ribadito dalla stessa Corte di Giustizia dell'(...) anche in settori diversi da quello scolastico (cfr. l'ordinanza del 4 settembre 2014, n. C-152/14, emessa in via pregiudiziale nell'ambito della controversia tra (...) ((...) per l'(...) e il (...) ente pubblico) e vari dipendenti, relativa al riconoscimento dell'anzianità di servizio per i periodi di lavoro svolti prima della instaurazione del rapporto a tempo indeterminato all'esito di una procedura di stabilizzazione). La Corte ha affermato che il semplice fatto che il lavoratore abbia svolto i periodi di servizio sulla base di un contratto o di un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura una "ragione oggettiva" del tipo che, secondo il punto 1 o il punto 4 dell'accordo quadro, può escludere la parità di trattamento. Operato nei termini sin qui illustrati un breve excursus degli orientamenti della (...) in tema di riconoscimento dell'anzianità di servizio in favore dei lavoratori a tempo determinato, deve ora precisarsi che, nel caso di specie, è pacifico che le appellanti, assunte dall'(...) con reiterati contratti a termine e con le medesime qualifiche per le quali sono state poi immesse a tempo indeterminato, a seguito della deliberazione n. 1551 del 29.7.10 del Commissario Straordinario della (...) adottata in applicazione dell'art. 81 della L.R. Campania n. 1 del 30.1.08, "Norme per la stabilizzazione del personale precario del servizio sanitario regionale", abbiano sempre svolto le mansioni proprie del personale in servizio a tempo indeterminato, senza, però, beneficiare di alcuno degli istituti contrattuali economici e di sviluppo di carriera previsti dalla contrattazione collettiva di categoria. Orbene, alla stregua dei principii affermati dalla normativa comunitaria, come precisati e ribaditi anche dalla (...) sopra richiamata - normativa comunitaria che, in quanto norma "interposta" e di rango sovranazionale, prevale sulle leggi nazionali eventualmente in contrasto con essa - va senz'altro riconosciuto il diritto delle odierne appellanti ad ottenere il riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, dell'anzianità di servizio maturata nei rispettivi periodi di lavoro a tempo determinato alle dipendenze dell'(...) sanitaria appellata. Come chiarito dalla stessa S.C. nella richiamata ordinanza n. (...)/2022: "questa Corte (Cass. 8 marzo 2022, n. 7584) ha ribadito che la clausola 4 dell'(...) quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CEE impone al datore di lavoro di riservare all'assunto a tempo determinato il medesimo trattamento previsto per l'assunto a tempo indeterminato e, pertanto, in caso di progressione stipendiale connessa sia all'anzianità di servizio che alla valutazione positiva dell'attività prestata, il datore di lavoro sarà tenuto, da un lato, ad includere nel calcolo, ai fini dell'anzianità, anche il servizio prestato sulla base di rapporti a tempo determinato e, dall'altro, ad attivare, alla maturazione del periodo così calcolato, la procedura valutativa nei termini, con le forme e con gli effetti previsti per gli assunti a tempo indeterminato; la sola circostanza che la progressione stipendiale presupponga anche la valutazione positiva non costituisce, peraltro, ragione oggettiva idonea a giustificare la diversità di trattamento fra assunto a tempo determinato e assunto a tempo indeterminato, secondo i criteri indicati dalla Corte di giustizia UE (causa C-652/19 del 17.3.2021, punto 60), e ad escludere il diritto alla predetta progressione stipendiale se, alla maturazione dell'anzianità, il datore di lavoro, contrattualmente tenuto ad attivare la procedura valutativa, l'abbia omessa sull'erroneo presupposto della non computabilità dei periodi a tempo determinato; in tal caso, poiché il diritto all'attribuzione del maggiore trattamento retributivo sorge solo al concorrere di entrambe le condizioni, ossia l'anzianità di servizio e la valutazione positiva, potrà essere pronunciata condanna al pagamento delle differenze retributive con la decorrenza contrattualmente prevista solo se la valutazione positiva in questione sia già avvenuta, anche se ad altri fini; altrimenti il giudice dovrà limitarsi ad accertare l'avvenuta maturazione dell'anzianità ed il conseguente diritto del dipendente ad essere valutato", con l'ulteriore specificazione che: "il principio già affermato da questa Corte (si veda Cass. 19 febbraio 2020, n. 4195 con riguardo alle stabilizzazioni del (...) secondo cui, in tema di pubblico impiego privatizzato, al lavoratore collocato in ruolo a seguito della procedura di stabilizzazione prevista dalla l. n. 296 del 2006, deve essere riconosciuta l'anzianità di servizio maturata, in virtù di contratti a termine, precedentemente all'acquisizione dello 'status' di lavoratore a tempo indeterminato, se le funzioni svolte siano identiche a quelle precedentemente esercitate, non potendo ritenersi, in applicazione del principio di non discriminazione, che lo stesso si trovasse in una situazione differente a causa del mancato superamento del concorso pubblico per l'accesso ai ruoli della P.A., mirando le condizioni di stabilizzazione fissate dal legislatore proprio a consentire l'assunzione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione poteva essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo; per accertare la sussistenza dell'eventuale discriminazione, per contrasto con la clausola 4 dell'(...) quadro allegato alla direttiva n. 99/70/CEE, è necessario operare la verifica non in astratto bensì in relazione alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, potendo eventuali diversità di trattamento essere ritenute discriminatorie in un caso e non nell'altro, in dipendenza di condizioni specifiche del singolo rapporto (si veda anche, in senso conforme, Cass. 2 novembre 2020, n. 24201 con riguardo alle stabilizzazioni dell'(...)". Tenuto conto di ciò, dunque, e risultando nel caso di specie pacifica ed incontroversa tra le parti l'identità di mansioni svolte dalle lavoratrici ante e post stabilizzazione, non può che concludersi per il riconoscimento del diritto in capo alle stesse dell'anzianità di servizio maturata durante il periodo di lavoro a tempo determinato ai fini giuridici ed economici. Viceversa, quanto all'invocata applicazione degli specifici istituti contrattuali rivendicati dalle originarie ricorrenti e menzionati nel ricorso introduttivo, (id est: fasce retributive, fondo di produttività collettiva, fondo di mantenimento), osserva il Collegio che trattasi di voci che non possono essere riconosciute sulla scorta di un mero automatismo ed in base al solo decorso del tempo, richiedendo, di contro, una valutazione, anche di carattere discrezionale, da parte dell'amministrazione (talvolta di concerto con le organizzazioni sindacali), in ordine alla quale non è consentito alcun intervento sostitutivo dell'autorità giudiziaria, men che meno con una statuizione che abbia efficacia retroattiva e venga, pertanto, emanata ora per allora (cfr., sul punto, l'art. 35 del c.c.n.l. (...) 1998/2001 del 7.4.1999, che espressamente prevede, ai fini della progressione economica orizzontale - fasce retributive - una "valutazione selettiva in base ai risultati ottenuti, alle prestazioni rese con più elevato arricchimento professionale, all'impegno e alla qualità della prestazione individuale ..."; v., altresì, l'art. 39 del stesso c.c.n.l., in tema di finanziamento del fondo destinato a remunerare le fasce retributive ed altri emolumenti accessori, che prevede, al comma 5, che "la contrattazione collettiva integrativa individua all'interno del fondo di cui al comma 1 le risorse da destinare al finanziamento ..."). Logico corollario delle considerazioni sin qui svolte diviene, quindi, l'accoglimento, per quanto di ragione, dell'appello, cui consegue la declaratoria di sussistenza del diritto di (...) e (...) ad ottenere il riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, dell'anzianità di servizio maturata nei rispettivi periodi di lavoro a tempo determinato alle dipendenze dell'(...) Nei limiti ora indicati dev'essere, pertanto, riformata la gravata pronuncia, che va confermata nel resto, avuto riguardo alla statuizione di rigetto delle ulteriori pretese azionate dalle appellanti. In considerazione della fondatezza solo parziale delle pretese originariamente azionate da ricorrenti, le spese del doppio grado del giudizio, liquidate come da dispositivo secondo i parametri introdotti dal d.m. n. 55 del 2014, vanno poste a carico dell'(...) sanitaria appellata in misura di 2/3, rimanendo compensate tra le parti per il residuo ammontare. Atteso il contenuto della presente decisione, va dichiarata la non sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, DPR n. 115/2002. P.Q.M. La Corte di Appello di (...) sez. lavoro, definitivamente pronunziando nel procedimento di appello instaurato in data (...) e vertente tra (...) e (...) (parti appellanti) e A.S.L. (...) in persona del legale rappresentante p.t. (parte appellata) avverso la sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore nr. 59/2021, pubblicata in data (...), ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattese, così provvede: accoglie parzialmente l'appello e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, che per il resto conferma, dichiara il diritto delle appellanti al riconoscimento ai fini giuridici ed economici dell'anzianità di servizio maturata nei rispettivi periodi di lavoro alle dipendenze dell'(...) sanitaria appellata; condanna l'(...) sanitaria appellata al pagamento, in favore delle appellanti, dei 2/3 delle spese del doppio grado di giudizio, compensando il restante 1/3, che liquida quanto all'intero in Euro 6.017,70 per il primo grado ed in Euro 4.514,90 per il secondo grado, oltre esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15%, nonché IVA e C.P.A. come per legge, con attribuzione al procuratore antistatario; dichiara la non sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, DPR n. 115/2002.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TRIA Lucia - Presidente Dott. MAROTTA Caterina - Consigliere rel. Dott. ZULIANI Andrea - Consigliere Dott. BELLÉ Roberto - Consigliere Dott. DE MARINIS Nicola - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 8782/2018 R.G. proposto da: La.St., rappresentata e difesa dall'Avv. PI.PA. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Via (...); - ricorrente - contro MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO; - controricorrente - avverso la sentenza n. 4311/2017 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 14/12/2017 R.G.N. 5192/2014; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2024 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato; udito l'avvocato TI.AG. per delega verbale avvocato Pi.Pa.; udito l'avvocato GI.SA. FATTI DI CAUSA 1. La Corte d'appello di Roma rigettava il gravame proposto da La.St. avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva respinto le sue domande volte ad ottenere in via principale l'accertamento della sussistenza di prestazioni di lavoro subordinato, corrispondente alla posizione di dipendente di Area C, posizione economica C2 del CCNL Comparto Ministeri, l'inserimento nei ruoli organici del Ministero della giustizia con il suddetto inquadramento, la condanna dell'Amministrazione al pagamento in suo favore della complessiva somma di Euro 487.526,81 oltre accessori e delle ulteriori differenze retributive fino alla pubblicazione della sentenza, oltre al versamento dei contributi previdenziali e al risarcimento del danno per la mancata regolarizzazione contributiva e alla ricostruzione della carriera, nonché la domanda proposta in via subordinata volta ad ottenere la condanna dell'Amministrazione al pagamento della somma di Euro 487.526,81 oltre accessori, a titolo di ingiustificato arricchimento. 2. La.St., a seguito di selezione pubblica, bandita dal Ministero della Giustizia, ai sensi dell'art. 80, comma 4, della L. n. 354/1975, e degli artt. 13 dell'ordinamento penitenziario e 120 del relativo regolamento di esecuzione, aveva avuto accesso alla lista degli psicologi esperti ed aveva svolto diversi incarichi. Dal settembre 1987 era stata trasferita a Roma presso il nuovo complesso carcerario di Rebibbia ove, per lo svolgimento dei vari incarichi, aveva sottoscritto varie convenzioni. Aveva dedotto che l'attività aveva avuto le connotazioni del lavoro subordinato e che le prestazioni rese corrispondevano alla posizione di un dipendente di area C, posizione economica C2. 3. Il Tribunale aveva respinto la domanda escludendo l'eterodirezione dell'attività, ritenendo riconducibile al lavoro autonomo la possibile revoca dell'incarico, ritenendo infondata la domanda anche in relazione alla parasubordinazione ed all'ingiustificato arricchimento. 4. La Corte territoriale evidenziava che la lavoratrice aveva concordato con la direzione presenze, giorni ed ore, ivi compreso l'orario extra nei casi urgenti. Riteneva tale circostanza incompatibile con l'asserita natura subordinata del rapporto di lavoro, nel quale il dipendente non può rifiutarsi di svolgere il lavoro straordinario che gli venga richiesto. Rimarcava che l'oggetto ed il contenuto della prestazione professionale dello psicologo non richiedono l'impiego di mezzi particolari ed escludeva pertanto la necessità di un'organizzazione propria anche di carattere minimo. Riteneva inoltre che il potere di revocare l'incarico da parte dell'Amministrazione deponesse per l'insussistenza del rischio economico. Considerava, a fronte delle previsioni contenute nell'art. 80 della legge n. 354/1975, priva di valenza indiziaria ai fini della qualificazione del rapporto la circostanza che il compenso percepito dalla lavoratrice fosse commisurato alle ore di presenza nel carcere. 3. Per la cassazione della sentenza di appello La.St. ha prospettato un unico motivo di ricorso. 4. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso e proposto, altresì ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo. La causa, chiamata all'adunanza camerale del 3/10/2023, con ordinanza interlocutoria n. 30236/2023, è stata rimessa all'udienza pubblica. 6. Il P.G. ha presentato memoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso principale con assorbimento del ricorso incidentale condizionato. 7. Entrambe le parti hanno depositato memorie. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con l'unico motivo, la ricorrente principale denuncia violazione degli artt. 2094 e 2222 cod. proc. civ, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. lamenta che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto l'inesistenza del potere direttivo dell'Amministrazione, omettendo di considerare le sue incontestate deduzioni relative alla necessità di autorizzazione delle segnalazioni e giustificazioni di assenze per ferie, malattia, motivi di famiglia, nonché l'autorizzazione alla sostituzione dei colleghi, con obbligo di servizio giornaliero e all'osservanza dei rigidi orari serali (inizialmente 19.00 - 21.00 e successivamente 17.00-21.00) comprensivi di giorni festivi e festività; evidenzia che la Direzione del carcere richiedeva la sua presenza quotidiana, le assegnava i casi da trattare determinando così la retribuzione, le forniva indicazioni sulle modalità di intervento attraverso ordini di servizio, fissava orari, autorizzava ferie ed assenze; rimarca che era tenuta a relazionare per iscritto sulle attività e sui risultati ottenuti; sostiene l'irrilevanza del potere di revoca del mandato da parte dell'Amministrazione, visto che comunque il lavoratore subordinato può essere licenziato; argomenta che la modalità e la specificità con cui il datore di lavoro esercita il potere conformativo dipendono dalla natura delle mansioni svolte, dal grado di autonomia che le caratterizza e dalla struttura dei processi organizzativi. Precisa che, ai fini della qualificazione del rapporto in termini di subordinazione, sono sufficienti l'etero organizzazione o l'eterodirezione, intesa come stabile disponibilità nel tempo alle esigenze dell'impresa; richiama la giurisprudenza di legittimità sulla valenza del nomen iuris adottato dalle parti ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, sugli indici sussidiari della subordinazione e sulla "doppia alienità", con specifico riferimento alle pronunce riguardanti la qualificazione del rapporto di lavoro dei medici. 2. Con l'unico motivo di ricorso incidentale, il Ministero della Giustizia denuncia l'omesso accertamento della prescrizione del credito azionato dalla controparte. 3. Il ricorso principale è infondato. 4. Gli psicologi penitenziari sono collocabili in due categorie: 1) psicologi dipendenti di ruolo, che esercitano funzioni sanitarie nell'ambito del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia (si tratta di dipendenti che hanno anche beneficiato dei trasferimenti di cui al D.P.R. 1 aprile 2008, si vedano Cass. 18 maggio 2020, n. 9096; Cass. 11 maggio 2023, n. 12804); 2) psicologi ex art. 80 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ordinamento Penitenziario), disposizione (modificata dall'art. 14 del D.L. 14 aprile 1978, n. 111, convertito, con modificazioni, dalla Legge 10 giugno 1978, n. 271 e poi dall'art. 11, comma 1, lettera s), del D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 123) ai sensi della quale: "1.Presso gli istituti di prevenzione e di pena per adulti, oltre al personale previsto dalle leggi vigenti, operano gli educatori per adulti e gli assistenti sociali dipendenti dai centri di servizio sociale previsti dall'articolo 72. 2. L'amministrazione penitenziaria può avvalersi, per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, di personale incaricato giornaliero, entro limiti numerici da concordare annualmente, con il Ministero del tesoro. 3. Al personale incaricato giornaliero è attribuito lo stesso trattamento ragguagliato a giornata previsto per il corrispondente personale incaricato. 4. Per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l'amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, nonché di mediatori culturali e interpreti, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate. 5. Il servizio infermieristico degli istituti penitenziari, previsti dall'art. 59, è assicurato mediante operai specializzati con la qualifica di infermieri. 6. A tal fine la dotazione organica degli operai dell'amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1971, n. 275, emanato a norma dell'articolo 17 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, è incrementata di 800 unità riservate alla suddetta categoria. Tali unità sono attribuite nella misura di 640 agli operai specializzati e di 160 ai capi operai. 7. Le modalità relative all'assunzione di detto personale saranno stabilite dal regolamento di esecuzione". La finalità perseguita dal legislatore, in applicazione di principi di matrice costituzionale secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, è dunque quella dell'effettivo ravvedimento finalizzato al successivo reinserimento del condannato nella società, perseguibile solo attraverso un periodo di osservazione, trattamento e di partecipazione all'opera rieducativa. Come facilmente intuibile, il legislatore ha previsto che, per un più efficace perseguimento di dette finalità, l'amministrazione penitenziaria possa avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate in relazione alle attività di osservazione e di trattamento. 5. La ricorrente appartiene alla seconda tipologia, rientrando nell'ambito degli specialisti incaricati di coadiuvare il personale di ruolo nell'attività di "osservazione e trattamento" del condannato di cui al comma 4 della suddetta disposizione allo scopo di elaborare un programma rieducativo in carcere finalizzato al suo reinserimento sociale. 6. L'assegnazione degli incarichi ai professionisti esperti ex art. 80 è affidata ai Provveditorati Regionali e prevede procedure di selezione quadriennali da cui scaturiscono elenchi e graduatorie della stessa durata. L'individualizzazione del trattamento è stata, poi, disciplinata dall'art. 13 della stessa legge n. 354/1975. L'art. 132 D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) ha dettato disposizioni relativa alla nomina degli esperti per le attività di osservazione e di trattamento e previsto che: "1. Il provveditorato regionale compila, per ogni distretto di Corte d'appello, un elenco degli esperti dei quali le direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale possano avvalersi per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento ai sensi del quarto comma dell'art. 80 della legge. 2. Nell'elenco sono iscritti professionisti che siano di condotta incensurata e di età non inferiore agli anni venticinque. Per ottenere l'iscrizione nell'elenco i professionisti, oltre ad essere in possesso del titolo professionale richiesto, devono risultare idonei a svolgere la loro attività nello specifico settore penitenziario. L'idoneità è accertata dal provveditorato regionale attraverso un colloquio e la valutazione dei titoli preferenziali presentati dall'aspirante. A tal fine, il provveditorato regionale può avvalersi del parere di consulenti docenti universitari nelle discipline previste dal quarto comma dell'art. 80 della legge. 3. Le direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale conferiscono agli esperti indicati nel comma 2 i singoli incarichi, su autorizzazione del provveditorato regionale". In questa cornice legislativa il Provveditore indica il monte ore da attribuire all'esperto, purché questi non operi già nell'istituto ad altro titolo; la collaborazione è formalizzata con la sottoscrizione di un "accordo individuale" con la Direzione dell'istituto penitenziario, dell'UEPE o delle strutture afferenti al Centro per la Giustizia Minorile. Per gli istituti penitenziari, l'accordo ha la durata di un anno con possibilità di rinnovo per un periodo di uguale durata per non più di tre volte, invece negli UEPE e nei Centri per la Giustizia Minorile la possibilità di rinnovo, alla scadenza del primo anno, è di un solo anno. 7. Dal chiaro tenore delle disposizioni richiamate emerge che gli esperti non rientrano tra il personale inserito stabilmente nei ruoli organici dell'amministrazione penitenziaria, trattandosi di liberi professionisti chiamati in convenzione dalle amministrazioni penitenziarie, in ragione della loro particolare qualificazione e specializzazione, come comprovata in sede di selezione finalizzata alla formazione di elenchi da cui in ogni tempo può attingere la singola struttura, secondo le proprie specifiche esigenze. Emerge, ancora, che gli elenchi circoscrivono la platea di specialisti di cui è stata attestata la capacità di offrire un fattivo affiancamento al personale stabile degli istituti di pena, e che possono occuparsi di quella parte di attività specialistica che, gradatamente, si orienta verso le diverse modalità del trattamento attraverso la conoscenza della personalità del detenuto, fino ad individuare le misure concrete finalizzate al successivo reinserimento, anche attraverso la sottoposizione del condannato a misure alternative alla pena detentiva; la semplice iscrizione agli elenchi, peraltro, è condizione necessaria ma non sufficiente per l'impiego degli esperti, che è invece una scelta riservata alle direzioni degli istituti di pena, in proporzione, evidentemente, alla effettiva necessità e/o budget economico disponibile. Nel rispetto della normativa, residua sempre in capo all'amministrazione penitenziaria un potere di definizione (a mezzo di proprie circolari) delle modalità di conferimento degli incarichi e di disciplina dello svolgimento dei medesimi. 8. La soluzione legislativa tiene, dunque, conto, da un lato, delle esigenze di rieducazione di cui si è detto e della necessità di potenziamento delle collaborazioni con specialisti al suddetto fine e, dall'altro, delle specificità del luogo all'interno del quale tale attività di collaborazione deve essere svolta e delle esigenze afferenti ad una rigida predisposizione di quanto occorrente per garantire che gli accessi agli istituti avvengano in piena sicurezza. 9. La situazione non è dissimile da quella del servizio per le guardie infermieristiche di cui all'art. 53 della legge 9 ottobre 1970, n. 740 (guardia infermieristica), egualmente previsto per le esigenze degli istituti di prevenzione e di pena. Proprio con riguardo alle guardie infermieristiche la Corte cost. con la sentenza n. 76/2015 ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 53 della legge 9 ottobre 1970, n. 740, impugnato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma, Cost., in quanto non consente di qualificare il rapporto di lavoro dell'incaricato di guardia infermieristica negli istituti di prevenzione e pena come rapporto di lavoro subordinato e, comunque, prevede per dette prestazioni unicamente un compenso orario, con esclusione di ogni altro trattamento retributivo e previdenziale. Sono evidenti le analogie tra la disciplina di legge del rapporto di lavoro della guardia infermieristica negli istituti di prevenzione e pena, che espressamente denomina come "libero professionale" il rapporto di lavoro, e la disciplina degli psicologi esperti incaricati presso i medesimi istituti. Nel caso degli psicologi esperti, per quanto sopra evidenziato, fermo che è la struttura carceraria a presentare caratteristiche peculiari tali da giustificare la sussistenza di un vincolo di controllo da parte dell'Amministrazione, tuttavia tale vincolo, lungi dal rappresentare un indice rivelatore di un rapporto di lavoro subordinato, si giustifica in virtù della particolarità e della complessità del contesto carcerario. Come evidenziato dal Giudice delle Leggi nella citata sentenza n. 76/2015, i principali elementi che potrebbero in astratto rilevare quali indici di subordinazione, ovvero l'organizzazione del lavoro secondo il modulo dei turni, l'obbligo di attenersi alle direttive e alle prescrizioni impartite dal direttore del carcere e di comunicare le proprie assenze, la percezione di una retribuzione corrisposta secondo cadenze temporali prestabilite e lo svolgimento della prestazione nei locali e con gli strumenti messi a disposizione dall'Amministrazione penitenziaria (elementi che si riscontrano anche con riguardo alla figura dello psicologo esperto) non possono, nello specifico di una attività svolta all'interno di un carcere, qualificare il rapporto di lavoro in termini di lavoro subordinato. Sul punto, la Corte costituzionale è chiara là dove così si esprime: "se l'organizzazione in turni appare coessenziale alla prestazione di lavoro, l'obbligo di rispettare le prescrizioni del direttore del carcere e del personale medico non rispecchia l'assoggettamento dell'infermiere al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro" e "l'obbligo di uniformarsi alle prescrizioni di tenore generale del direttore del carcere, per un verso, non sminuisce l'autonomia e, per altro verso, si spiega con la peculiarità del contesto, in cui la prestazione si svolge, caratterizzato da imperative ragioni di sicurezza e di cautela, che finiscono con il permeare la disciplina del rapporto di lavoro degli infermieri incaricati e ne giustificano particolarità e limitazioni". D'altronde, "nella determinazione dei turni, nella vigilanza esercitata sull'operato degli infermieri, nell'obbligo di comunicare i giorni d'assenza, elementi che si potrebbero reputare emblematici della subordinazione, si estrinseca il necessario coordinamento con l'attività dell'amministrazione e con la complessa realtà del carcere, piuttosto che l'autonomia decisionale e organizzativa del datore di lavoro e il potere direttivo e disciplinare caratteristico della subordinazione. Il direttore del carcere, invero, non è chiamato a ingerirsi in aspetti di dettaglio della prestazione svolta dagli infermieri, né tanto meno a esercitare un controllo sull'adempimento della prestazione professionale, caratterizzata da un bagaglio di conoscenze tecniche e d'esperienza". Il Giudice delle leggi ha, così, conclusivamente chiarito che la qualificazione del rapporto come non avente natura subordinata non si prefigge una finalità elusiva della disciplina inderogabile che attiene alla subordinazione, ma pone in evidenza le peculiarità di una prestazione d'opera sottoposta a vincoli di controllo dell'Amministrazione solo in ragione del luogo in cui la prestazione stessa si svolge, e non di un potere direttivo, connotato in senso tipico e speculare all'inserimento nell'organizzazione del lavoro all'interno degli istituti di pena. 9. La sentenza della Corte costituzionale n. 76/2015 si pone d'altronde in linea con alcuni precedenti del giudice delle leggi che avevano anch'essi affrontato la questione della natura (subordinata o autonoma) del lavoro del personale non di ruolo delle carceri. Così, ad esempio, Corte cost., sent. n. 577/1989, riguardante i medici non di ruolo delle carceri disciplinati anch'essi dalla legge n. 740/1970 ha considerato tali lavoratori "parasubordinati" e Corte cost., sent. n. 149/2010, che aveva riguardato la legittimità della stabilizzazione dei medici non di ruolo delle carceri da parte di una legge regionale, ha pur sempre ribadito la natura non subordinata del loro rapporto di lavoro. 10. Anche questa Corte ha affermato (v. Cass., Sez. Un., 19 marzo 1990, n. 2286; Cass., Sez. Un., 17 dicembre 1998, n. 12618; Cass. Sez. Un., 20 maggio 2003, n. 7901), che le prestazioni dei medici di guardia presso gli istituti di prevenzione e pena, che vengano svolte con le modalità e secondo le prescrizioni dell'art. 51 della L. 9 ottobre 1970 n. 740, integrano non un rapporto di pubblico impiego, ma un rapporto di opera professionale, come tale devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario (ed alla competenza del giudice del lavoro, per la presenza dei caratteri di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c.), considerando che in dette prestazioni difetta il requisito della subordinazione, cioè lo stabile inserimento del lavoratore nell'organizzazione del datore di lavoro, con assoggettamento ai suoi poteri gerarchici e disciplinari. Il principio è stato più di recente ribadito (Cass. 24 aprile 2017, n. 10189) affermandosi che il rapporto di lavoro dei medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e di pena per le esigenze del servizio di guardia medica, ai sensi dell'art. 51 della legge n. 740 del 1970, è di tipo autonomo, come risulta dall'interpretazione letterale e sistematica della disciplina richiamata, atteso che le modalità concrete del relativo svolgimento - in particolare, l'organizzazione del lavoro secondo il modulo dei turni, l'obbligo di attenersi alle direttive impartite dal direttore del carcere e dal dirigente sanitario - non integrano indici della subordinazione, ma sono espressione del necessario coordinamento, che caratterizza il rapporto, con l'attività dell'Amministrazione e con la complessa realtà del carcere. 11. Ed allora del tutto corretta è la decisione della Corte territoriale là dove ha ritenuto, esaminando gli specifici motivi di impugnazione, che non fossero riscontrabili o comunque valorizzabili i tradizionali incidi di subordinazione escludendo l'obbligo di assoggettamento ad un orario fisso e predeterminato e valorizzando la necessità che fossero concordate, di volta in volta, i giorni e le ore della presenza della La.St. presso l'Istituto carcerario, escludendo l'impiego di mezzi particolari ed una organizzazione, sia pur minima, desumendo la sussistenza di un rischio economico dalla prevista possibilità di revoca dell'incarico, svalutando ogni valenza indiziaria del compenso commisurato alle ore di presenza nel carcere espressamente prevista dall'art. 80 della legge n. 354/1975. 12. Conclusivamente il Collegio, superando il proprio precedente costituito da Cass. n. 12850/2023 (posto dall'ordinanza interlocutoria n. 30236/2023 a fondamento della decisione di rimettere la questione alla pubblica udienza), ritiene che non possa utilmente richiamarsi a sostegno della dedotta subordinazione il fatto di dover rendere le prestazioni in giorni ed orari stabiliti dalla Direzione del carcere con l'assegnazione di servizi e reparti di competenza ovvero che esistano meccanismi di verifica delle presenze e la necessità di segnalare e giustificare assenze per malattia o motivi di famiglia o per ferie (da autorizzarsi da parte della Direzione), trattandosi di semplici modalità operative rese indispensabili sia dalla necessità di accertare lo svolgimento della prestazione, comunque connesso al compenso determinato in base alle ore di servizio effettivamente prestate, e sia dall'esigenza (del tutto compatibile con la natura non subordinata del rapporto) di coordinare l'attività professionale in discorso con il più complesso sistema nel quale la stessa si innesta. È del tutto comprensibile, infatti, che chiunque operi in un ambiente di detenzione debba conformare la propria prestazione alle indicazioni (non tecniche) del direttore della struttura, in ragione delle evidenti necessità di sicurezza e cautela. È sempre tale complesso sistema che giustifica l'adozione di disposizioni o direttive da parte dell'Amministrazione, non implicanti esercizio di potere datoriale in senso stretto ed anche le convocazioni degli esperti nei casi urgenti ed in orario extra rispetto a quello concordato. I suddetti indici non bastano dunque a modificare la veste giuridica del prestatore d'opera professionale, il quale resta tale proprio perché rispondente ad una figura espressamente prevista dalla speciale normativa di cui all'art. 80, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354. 13. Il ricorso principale va, pertanto rigettato dovendosi affermare il seguente principio di diritto: "il rapporto di lavoro degli psicologi carcerari ex art. 80, comma 4, della L. n. 354/1975, incaricati presso gli istituti di prevenzione e di pena, sia in ragione della disciplina normativa, sia dell'assetto negoziale, è un rapporto di lavoro autonomo, atteso che, da un lato, la disciplina pone in evidenza che il legislatore ha scelto d'instaurare rapporti di lavoro autonomo; dall'altro, che le modalità concrete del rapporto - in particolare l'organizzazione del lavoro secondo il modulo dei turni, l'obbligo di attenersi alle direttive impartite dal direttore del carcere, la necessità di segnalare e giustificare assenze - non integrano indici della subordinazione, ma sono espressione del necessario coordinamento, che caratterizza il rapporto, con l'attività dell'Amministrazione e con la complessa realtà del carcere. Tale rapporto di lavoro va, quindi, distinto da quello di natura subordinata degli psicologi dipendenti di ruolo, che esercitano funzioni sanitarie nell'ambito del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia". 14. L'esito del ricorso principale determina l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato. 15. L'esistenza di precedenti di legittimità di segno contrario giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio. 16. Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un, 20 febbraio 2020, n. 4315, della sussistenza, quanto alla ricorrente principale, delle condizioni processuali richieste dall'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l'incidentale condizionato; compensa le spese. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2024.

  • R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: PASQUALE D'ASCOLA - Presidente Aggiunto - ANTONIO MANNA - Presidente di Sezione - MARIA ACIERNO - Presidente di Sezione - ENRICO MANZON - Consigliere - ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI - Consigliere - LUCIO NAPOLITANO - Consigliere - MARIO BERTUZZI - Consigliere - ENRICO SCODITTI - Rel. Consigliere - ALBERTO GIUSTI - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul procedimento di rinvio pregiudiziale iscritto al n. 16885-2023 disposto dal Tribunale di Parma con ordinanza emessa il 03/08/2023 nel procedimento tra: COOPERATIVA SOCIALE CASA FAMIGLIA BUONAFEDE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato ALDO MANCO; MEMAJDINI LEORANDA, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO DE LUCA. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/03/2024 dal Consigliere ENRICO SCODITTI; Oggetto ALTRE IPOTESI RAPPORTO PRIVATO R.G.N. 16885/2023 Cron. Rep. Ud. 26/03/2024 PU udito il Pubblico Ministero, in persona dei Sostituti Procuratori Generali ANNAMARIA SOLDI e STANISLAO DE MATTEIS i quali, riportandosi alla requisitoria scritta, hanno concluso per l'affermazione del principio di diritto ivi specificato; udito l'Avvocato Alberto Buzzi per delega dell’avvocato Antonio De Luca. Fatti di causa 1.Cooperativa Sociale Casa Famiglia Buona Fede propose innanzi al Tribunale di Parma opposizione al precetto intimato da MemajdiniLeoranda, contestando il diritto dell'opposta di applicare, per determinare l'importo dovuto dal debitore a titolo d'interessi, il parametro stabilito all'art. 1284, quarto comma, cod. civ. di decorrenza dalla domanda giudiziale del saggio degli interessi pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento sulle transazioni commerciali, in quanto il credito di cui al precetto costituiva credito di lavoro, per una parte per differenze retributive, per l’altra costituente indennità risarcitoria per licenziamento illegittimo. 2. Il Tribunale adito, con ordinanza di data 3 agosto 2023, ha disposto rinvio pregiudiziale degli atti ai sensi dell’art. 363 bis cod. proc. civ. in primo luogo per la risoluzione della seguente questione di diritto: «se l’art. 429, comma 3, c.p.c. - nella parte in cui stabilisce che alla condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro debbano aggiungersi «gli interessi nella misura legale», oltre che il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito - costituisca norma speciale rispetto all'art. 1284, comma 4, c.c., da ritenersi, dunque, inapplicabile in caso di crediti di lavoro, oppure se, al contrario, il citato art. 429 c.p.c. contenga un rinvio all'art. 1284 c.c. nella sua interezza, tale da includere anche il quarto comma e così, "gli interessi legali maggiorati" (o "super-interessi") a far data dalla domanda giudiziale». Il giudice rimettente ha inoltre posto la questione pregiudiziale avente ad oggetto la legittimità dell'estensione del tasso d'interesse stabilito al quarto comma dell'art. 1284 c.c. anche alle obbligazioni extracontrattuali, avuto riguardo all’indennità risarcitoria per licenziamento illegittimo. 3. Con decreto di data 18 settembre 2023, la Prima Presidente ha assegnato le due questioni alle Sezioni Unite per l’enunciazione del principio di diritto. Il Pubblico Ministero ha depositato la requisitoria scritta, concludendo nel senso che il rinvio agli interessi legali contenuto nell’art. 429, comma 3, cod. proc. civ. è da intendere all’art. 1284 cod. civ. nella sua interezza, e dunque anche al quarto comma. E’ stata depositata memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. Ragioni della decisione 1. Le questioni di diritto, assegnate a queste Sezioni Unite a seguito di rinvio pregiudiziale disposto dal giudice del merito ai sensi dell’art. 363 bis cod. proc. civ., sono le seguenti: se gli interessi nella misura legale, contemplati dall’art. 429, comma 3, cod. proc. civ., spettino, dal momento della proposizione della domanda giudiziale, sulla base del saggio previsto dall’art. 1284, comma 4, cod. civ. e se tale disposizione trovi applicazione anche nel caso di obbligazione derivante da responsabilità extracontrattuale. Si tratta di questioni poste sulla base di titolo esecutivo giudiziale che reca l’indicazione «oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo». A seguito della sentenza n. 12449 del 7 maggio 2024 di queste Sezioni Unite, resa con riferimento ad altro parallelo rinvio pregiudiziale, è venuta meno la condizione di ammissibilità del rinvio costituita dalla necessità della questione di diritto per la definizione anche parziale del giudizio (art. 363 bis, comma 1, n. 1 cod. proc. civ.), condizione che deve concorrere, con le altre condizioni previste, ai fini dell’ammissibilità del rinvio. La sentenza citata ha enunciato il seguente principio di diritto: “ove il giudice disponga il pagamento degli «interessi legali» senza alcuna specificazione, deve intendersi che la misura degli interessi, decorrenti dopo la proposizione della domanda giudiziale, corrisponde al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, cod. civ. se manca nel titolo esecutivo giudiziale, anche sulla base di quanto risultante dalla sola motivazione, lo specifico accertamento della spettanza degli interessi, per il periodo successivo alla proposizione della domanda, secondo il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”. Alla luce di tale principio di diritto, che interpreta la portata del titolo esecutivo giudiziale, là dove, come nel caso di specie, si limiti a disporre il pagamento degli interessi senza alcuna specificazione, nel senso della spettanza degli interessi legali nella misura di cui al primo comma dell’art. 1284, la risoluzione della questione di diritto posta non ha rilievo ai fini della definizione del giudizio. Qualsiasi possa essere il decisum sulla questione, il riferimento agli interessi nel caso di specie va inteso nei limiti del citato primo comma, in forza del richiamato principio di diritto. Trattasi di inammissibilità sopravvenuta al decreto presidenziale di assegnazione del rinvio pregiudiziale a queste Sezioni Unite. 2. Va disposta la restituzione degli atti al Tribunale di Parma, anche per la regolamentazione delle spese per l’attività difensiva svolta nella presente sede. P. Q. M. La Corte, a Sezioni Unite, dichiara l’inammissibilità del rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363 bis cod. proc. civ, disposto dal Tribunale di Parma con ordinanza di data 3 agosto 2023. Spese al merito. Dispone la restituzione degli atti al Tribunale di Parma. Così deciso in Roma il giorno 26 marzo 2024 Il consigliere estensore Dott. Enrico Scoditti Il Presidente Dott. Pasquale D’Ascola

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CATANIA in persona del giudice unico, dott.ssa (...) in funzione di giudice del lavoro, all'esito dell'udienza del 12.2.2024, sostituita ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c., ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. R.G. (...)/2020, promossa da (...) ((...)), rappresentato e difeso, come da procura in atti, dall'Avv. (...) -ricorrente contro (...) S.R.L. ((...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'Avv. (...) -resistente e nei confronti di (...) - (...) ((...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per procura generale alle liti dall'Avv. (...) -litisconsorte necessario Oggetto: regolarizzazione della posizione contributiva; risarcimento del danno per omissione contributiva; Conclusioni: come da ricorso, da memorie di costituzione e da note sostitutive dell'udienza ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso depositato in data (...) ha adito l'intestato Tribunale esponendo di aver lavorato alle dipendenze della (...) s.r.l. a far data dall'1.7.2019 in virtù di un contratto di lavoro a tempo determinato con scadenza il (...), successivamente prorogato fino al (...), con mansione di autista e inquadramento al livello (...) del (...) che la ditta datoriale ha versato contributi previdenziali soltanto in relazione a due settimane lavorative a fronte di ventisei settimane lavorate; di aver diffidato con lettera dell'8.6.2020 la società convenuta ai fini della corresponsione di quanto dovuto a titolo di TFR oltre ai contributi previdenziali non versati, senza ottenere alcun riscontro. Ha assunto di avere diritto al versamento dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro nonché al risarcimento dei danni per omissione contributiva, chiedendo quindi accogliersi le seguenti conclusioni: "- ritenere e dichiarare dovuti dalla ditta "(...) s.r.l." con sede (...) P.Iva: (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, i residui contributi previdenziali in favore del ricorrente, sig. (...) pari a 26 mensilità; - conseguentemente, ordinare alla società resistente, in personale del legale rapp.te pro tempore, il versamento all'(...) chiamato a riceverli, dei contributi maturati e non versati; - condannare la società "(...) s.r.l." al risarcimento del danno, in favore del ricorrente, per mancata contribuzione di previdenza, da quantificarsi in via equitativa in Euro 1.000,00 od altra somma ben visa dal sig. Decidente. Con vittoria di spese e compensi da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario il quale dichiara di aver anticipato le spese e non percepito onorari". Con memoria difensiva depositata in data (...) si è costituita in giudizio la società (...) s.r.l. eccependo in via preliminare l'improcedibilità del ricorso ex art 443 c.p.c. Nel merito, ha dedotto di essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali nei confronti degli enti competenti per il periodo ricompreso tra l'8.4.2019 e il (...) nonché tra l'8.8.2019 e il (...), come risultante dal (...) prodotto in atti. Ha poi precisato di avere già corrisposto al ricorrente le differenze retributive spettanti a titolo di TFR e competenze finali, così come riconosciutegli dall'intestato Tribunale con decreto ingiuntivo n. 1063/2020, emesso nell'ambito del procedimento n. (...)/2020 R.G. Pertanto, ha formulato le seguenti conclusioni: "nel rito: - in via preliminare, accertare e dichiarare l'improcedibilità della domanda avversaria e, per l'effetto, sospendere il presente giudizio ai sensi dell'art. 443 c.p.c., fissando per il ricorrente termine per la presentazione del ricorso amministrativo disciplinato dalla legge 9/03/1989 n. 88; - nel merito, accertare e dichiarare l'assoluta infondatezza di tutte le pretese del ricorrente per i motivi sopra dedotti e, per l'effetto, disporne l'integrale rigetto. Con vittoria di spese ed onorari del procedimento, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario". Con memoria depositata in data (...) si è costituito in giudizio l'(...) dichiarando di avere interesse alla chiesta pronuncia in relazione alla regolarizzazione assicurativa e previdenziale del rapporto di lavoro e formulando le seguenti conclusioni: "(...) il Tribunale di Catania, (...) lavoro adito, disattesa e rigettata ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, pronunciarsi sulla fondatezza o meno della domanda attrice riguardante la regolarizzazione assicurativa e previdenziale, ritenendo, dichiarando ed accertando - nel caso di accoglimento - la relativa retribuzione imponibile, il periodo di competenza, il (...) applicabile secondo i criteri prescritti dall'art. 1 d.l. n. 338/1989 conv. in legge n. 389/1989. Con il favore di spese ed onorari di causa a carico di chi di ragione, come per legge". All'esito dell'udienza di discussione del 12.2.2024 sostituita dal deposito di note scritte ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c., sulle conclusioni rassegnate da parte ricorrente come da note in atti, la causa è stata trattenuta per la decisione e viene quindi definita nei termini che seguono. 2. In via preliminare, deve ritenersi infondata l'eccezione di parte resistente di improcedibilità ex art. 443 c.p.c., considerato che l'oggetto della domanda esula dall'ambito applicativo della norma e non riguarda la pretesa del privato rivolta nei confronti di un ente previdenziale o assistenziale, bensì la pretesa rivolta al proprio datore di lavoro di regolarizzazione della posizione contributiva; né, ad ogni modo, sussiste una legge speciale che prescrive nel caso di specie l'attivazione di alcun procedimento amministrativo, come richiesto dallo stesso art. 443 c.p.c. 3. Ciò posto, oggetto del presente giudizio è, in primo luogo, l'accertamento dell'inadempimento da parte della (...) s.r.l. dell'obbligo di versare i contributi all'(...) in relazione al rapporto di lavoro subordinato intercorso con l'odierno ricorrente. In base alle regole generali in tema di inadempimento contrattuale spetta al creditore allegare l'inadempimento e al debitore dimostrare invece di avere adempiuto. È pacifico in quanto non contestato dalla società resistente che il ricorrente abbia lavorato alle dipendenze della stessa in virtù di un contratto di lavoro a tempo pieno e determinato dall'1.7.2019 al 30.9.2019 (doc. 1 parte ricorrente), successivamente prorogato fino al 31.12.2019 (doc. 2 parte ricorrente), con la mansione di autista ed inquadramento al livello (...) del (...) Ebbene, all'allegazione puntuale dell'inadempimento di parte datoriale, consistito nell'avere versato contributi soltanto per due settimane lavorative a fronte di ventisei settimane lavorate (doc. 3 parte ricorrente nonché produzione (...) estratto contributivo), non è conseguita la prova contraria del corretto adempimento da parte dell'odierna resistente. Invero, quest'ultima si è limitata a produrre il (...) di (...) richiesto in data (...), 8.8.2019 e 6.12.2019 (doc. 2 parte resistente) senza tuttavia dimostrare di aver versato i contributi riferiti al rapporto di lavoro per cui è causa. Se, per un verso, il predetto documento attesta, per quanto qui d'interesse, la regolarità contributiva dell'impresa fino al 31.10.2019 (cfr. art. 3 del decreto del (...) del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il (...) dell'economia e delle finanze e il (...) per la semplificazione e la pubblica amministrazione, del 30 gennaio 2015, ai sensi del quale "La verifica della regolarità in tempo reale riguarda i pagamenti dovuti dall'impresa in relazione ai lavoratori subordinati (?) scaduti sino all'ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui la verifica è effettuata, a condizione che sia scaduto anche il termine di presentazione delle relative denunce retributive"), per altro verso, dall'esame della ulteriore documentazione in atti risulta una incongruenza tra il periodo in cui il ricorrente ha lavorato alle dipendenze della società resistente, come allegato in ricorso e non contestato, (pari a circa 26 settimane cfr. doc. 1, 2 e 4 parte ricorrente) e quello risultante dall'estratto contributivo e in relazione al quale sono stati versati i relativi contributi (pari a 2 settimane cfr. doc. 3 parte ricorrente). Al riguardo, deve evidenziarsi che la valenza probatoria dell'estratto contributivo nei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro si presta ad essere valutata in base alle regole generali in materia di prove documentali, nel senso che, una volta che il fatto rappresentato dal documento sia pacifico, nessuna ragione giustifica il disconoscimento del valore probatorio del documento e la sua degradazione ad elemento di natura indiziaria o, addirittura, la negazione completa del valore probatorio stesso. (...) canto, risulta irrilevante quanto dedotto dalla parte datoriale in ordine all'avvenuto pagamento degli emolumenti spettanti al ricorrente a titolo di TFR e competenze di fine rapporto, esulando tali spettanze dall'oggetto del presente giudizio. Alla luce di tali rilievi, dunque, sul punto il ricorso è fondato e va accolto con conseguente condanna della (...) s.r.l. al versamento della contribuzione omessa, per il periodo di durata del rapporto di lavoro come indicato in atti, detratte le eventuali somme già corrisposte per le settimane di lavoro risultanti dall'estratto contributivo, oltre accessori come per legge. 4. Parte ricorrente ha chiesto, altresì, l'accertamento del proprio diritto al risarcimento del danno ex art. 2116, comma 2, c.c., in ragione della omissione contributiva, da quantificarsi in via equitativa in Euro 1.000,00. La domanda è infondata per le ragioni che seguono. In materia di omessa o irregolare contribuzione, l'art. 2116, comma 2, c.c. prevede espressamente la responsabilità dell'imprenditore per il danno cagionato al prestatore di lavoro nel caso in cui "le istituzioni di previdenza e di assistenza (...) non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute". La ratio di tale disposizione si rinviene nell'esigenza di tutelare il lavoratore dai possibili pregiudizi patrimoniali derivanti dalla omissione della contribuzione da parte del datore di lavoro. In particolare, tali pregiudizi possono consistere nella perdita totale o parziale della prestazione previdenziale pensionistica - danno che si verifica al momento del raggiungimento dell'età pensionabile - ovvero nella necessità di costituire la provvista necessaria ad ottenere un beneficio economico corrispondente alla pensione. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "In tema di omissioni contributive, l'azione attribuita al lavoratore dall'art. 2116 c.c. per il conseguimento del risarcimento del danno patrimoniale - consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante - presuppone che siano maturati i requisiti per l'accesso alla prestazione previdenziale e postula l'intervenuta prescrizione del credito contributivo; ne consegue che prima del perfezionamento dell'età pensionabile, in presenza di diritti non ancora entrati nel patrimonio del creditore, sussiste l'impossibilità di disporre validamente della posizione giuridica soggettiva inerente al diritto al risarcimento del danno pensionistico" (Cass. n. 15947/2021). Il presupposto dell'azione risarcitoria attribuita al lavoratore dall'art. 2116 c.c. è, dunque, costituito dall'intervenuta maturazione dei requisiti per il trattamento pensionistico e la prescrizione del credito contributivo, poiché, una volta che si siano realizzati i requisiti per l'accesso alla prestazione previdenziale, tale situazione determina l'attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante (Cass. n. 27660/2018). Ora, nel caso di specie per un verso il lavoratore non ha allegato di avere raggiunto i requisiti per accedere alla pensione e, per altro verso, tenuto conto della data di notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio all'(...) (6.7.2020), non è maturata la prescrizione quinquennale dei contributi omessi dal datore di lavoro. Ne consegue che non sussistono i presupposti per l'azione risarcitoria in parola e la relativa domanda non può essere accolta. 5. Le spese di lite seguono la soccombenza nei rapporti tra parte ricorrente e la società (...) s.r.l. e, liquidate come in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55/2014 (modificato dal d.m. n. 147/2022), vanno poste a carico della società resistente con distrazione ex art. 93 in favore del procuratore del ricorrente. Le fasi processuali liquidate sono quelle di studio, introduttiva e decisionale. Quanto al valore della causa deve farsi applicazione della regola del "valore effettivo della controversia" di cui all'art. 5, comma 1, del d.m. n. 55/2014. Sebbene la parte ricorrente abbia quantificato la propria domanda come di valore indeterminabile, il relativo parametro tabellare di riferimento per la determinazione del compenso appare non coerente rispetto alla modesta complessità in diritto dell'attività difensiva svolta, sicché risulta proporzionato, per le ragioni sopra esposte, il parametro tabellare riferito alle controversie da Euro 5.200,01 ad Euro 26.000,00 (cfr. Cass. nn. 29821/2019 e 10438/2023), in rapporto ai valori minimi. Deve invece disporsi la compensazione delle stesse nei rapporti tra l'(...) e le altre parti, in considerazione della posizione processuale dell'(...) previdenziale, terzo litisconsorte necessario, che non ha proposto domande nei confronti delle parti del presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Catania, in persona della giudice dott.ssa (...) in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. (...)/2020 R.G. così statuisce: accerta il diritto di (...) al versamento dei contributi omessi in relazione allo svolgimento di attività lavorativa alle dipendenze della (...) s.r.l. nel periodo dal 1.7.2019 al 31.12.2019; condanna la (...) s.r.l. a versare all'(...) i contributi omessi relativamente al suddetto rapporto di lavoro, detratte le eventuali somme già versate per le settimane di lavoro risultanti nell'estratto conto previdenziale, oltre interessi come per legge; rigetta nel resto il ricorso; condanna la (...) s.r.l. alla rifusione delle spese di lite in favore di (...) che liquida in complessivi Euro 1.863,50 per compensi, oltre rimborso spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge, disponendone la distrazione in favore dell'avvocato (...) dichiaratosi antistatario; compensa le spese nei rapporti tra l'(...) e le altre parti. Così deciso in Catania il 6 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7461 del 2023, proposto da: St. Ia., rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ma., con domicilio digitale pec in registri di giustizia contro Ministero dell'istruzione e del merito, Ufficio scolastico regionale Campania, Ambito territoriale per la Provincia di Caserta, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati in Roma, via (...) per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania Sezione Prima n. 2841/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in epigrafe; Visto l'art. 114 cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Nessuno presente per le parti nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2024; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'appellante ha impugnato la sentenza n. 2841 del 9 maggio 2023 con cui il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Prima Sezione, ha respinto il ricorso proposto per l'ottemperanza della sentenza del Tribunale civile di S. Maria Capua Vetere, Sezione lavoro, n. 1695 del 2 ottobre 2019, passata in giudicato, resa in un giudizio in cui egli era ricorrente unitamente ad altri, recante il seguente dispositivo: "-dichiara il diritto dei ricorrenti all'assunzione nell'area funzionale D, profilo Direttore dei Servizi generali ed amministrativi, nell'ambito della provincia di Caserta, con decorrenza dall'anno scolastico 2011/2012; -ordina alle amministrazioni resistenti di provvedere, ciascuna per quanto di competenza, alla predetta assunzione; -condanna le amministrazioni resistenti al pagamento in favore dei ricorrenti delle differenze retributive maturate dal 01.09.2011 fino alla data di effettivo inquadramento nel profilo di DSGA, oltre accessori di legge dal dovuto al soddisfo; -condanna le amministrazioni resistenti al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 2.309,00 di cui euro 301,00 per spese forfetizzate, oltre IVA e CPA come per legge". In primo grado il ricorrente lamentava che, nonostante le amministrazioni intimate fossero state notiziate della sentenza mediante notifica e diffidate a darvi esecuzione, la suddetta pronuncia era rimasta inottemperata. Il Tar, dopo aver disposto incombenti istruttori, ha respinto il ricorso in sintesi osservando che "in assenza del posto effettivamente disponibile, non vi sono i presupposti perché il ricorrente possa vantare l'acquisizione in via automatica della qualifica superiore né, tantomeno, quelli per riconoscergli le differenze retributive per le prestazioni lavorative inerenti quella qualifica, prestazioni che in realtà lo stesso non ha mai svolto". L'appellante ha impugnato la suddetta pronuncia chiedendone la riforma e insistendo per l'accoglimento della domanda di ottemperanza formulata in primo grado. Le amministrazioni appellate si sono costituite solo formalmente. Con ordinanza n. 246 del 5 gennaio 2024 la Sezione ha disposto, a carico delle amministrazioni appellate, attività istruttoria diretta ad acquisire chiarimenti in ordine al dichiarato avvenuto adempimento dell'amministrazione scolastica, posto alla base della richiesta, da parte della difesa erariale, della declaratoria di cessazione della materia del contendere, avuto particolare riguardo all'avveramento o meno della condizione rappresentata dalla sussistenza di "posti vacanti e disponibili" e tenuto conto di quanto al riguardo statuito dal Tribunale civile di S. Maria Capua Vetere, sezione lavoro, con la sentenza n. 1695 del 2 ottobre 2019, passata in giudicato, nonché di quanto previsto dall'art. 4, comma 70, della legge n. 183/2011. Nel termine di sessanta giorni assegnato dall'ordinanza l'amministrazione non ha provveduto: circostanza, questa, evidenziata dall'appellante nella memoria depositata il 3 aprile 2024, con la quale ha, altresì, ribadito le proprie argomentazioni difensive. Alla camera di consiglio del 16 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante ha formulato due motivi in via principale ed altri due in via gradata, riproponendo integralmente le argomentazioni e le richieste formulate in primo grado. Con il primo motivo lamenta l'erroneità della sentenza innanzitutto per non aver accolto il ricorso in relazione all'oggettivo mancato pagamento delle spese legali liquidate dal giudice del lavoro. Con il secondo motivo denuncia l'erroneità della sentenza laddove, anziché limitarsi ad accertare, pur con l'ampiezza dei poteri cognitivi riservati al giudice dell'ottemperanza, la mancata esecuzione dell'ordine impartito dal giudice civile, ne avrebbe operato una sorta di interpretazione riformatrice, così finendo col negare la spettanza del bene giudizialmente accertato. Ricorda che, stante il passaggio in giudicato della sentenza emessa dal Tribunale del Lavoro, come affermato dallo stesso giudice, la sentenza pronunciata in tema di diritto all'assunzione ha "effetto costituivo del rapporto di lavoro". Con il terzo motivo, formulato in via subordinata, l'appellante contesta comunque la ricostruzione operata dal Tar facendo rilevare che, nella nota assunta dal primo giudice a fondamento dell'assunto per cui non vi sarebbero posti disponibili, in realtà la Ragioneria dello Stato interroga gli uffici scolastici sul perché non avessero allegato nulla agli atti processuali in merito all'accantonamento dei 21 posti di DSGA in provincia di Caserta, ponendo l'accento sul passaggio scritto in sentenza dal Giudice del lavoro (pagina 5), in cui l'organo giudicante afferma che in merito all'accorpamento dei posti vacanti e disponibili nulla è stato allegato agli atti processuali. Soprattutto fa presente che le amministrazioni resistenti, mai hanno affermato, né in sede civile né in sede di giudizio di ottemperanza, la carenza dei posti vacanti e disponibili quale motivo della mancata assunzione, sicché il Tar avrebbe assunto la propria decisione sulla base di fatti e circostanze mai dedotti dall'amministrazione e, dunque, illegittimamente rilevati d'ufficio. Inoltre il Tar, sempre in assenza di un minimum documentale, avrebbe affermato con certezza che i posti si sono ridotti in ragione della sopravvenuta regola degli accorpamenti tra istituzioni scolastiche, introdotta dall'art. 4, comma 70, della legge n. 183/2011. Con l'ultimo motivo ha dunque riproposto la domanda formulata in primo grado, tesa ad ottenere la corretta esecuzione della sentenza del giudice civile, con contestuale nomina di un commissario ad acta che provveda per il caso di protratto inadempimento dell'amministrazione obbligata nonché la condanna della stessa alle astreintes. 3. L'appello è fondato nei limiti di quanto si dirà . Non è contestato in giudizio che la sentenza di cui si chiede l'ottemperanza, passata in giudicato, è stata notificata alle amministrazioni soccombenti, le quali sono anche state diffidate a darvi esecuzione. Ciò posto il Collegio rileva che il primo giudice ha travalicato i (pur ampi) limiti cognitori ad esso spettanti in sede di ottemperanza, assumendo a fondamento della decisione di reiezione del ricorso circostanze non soltanto non allegate dalle parti ma perfino smentite espressamente dalla sentenza da ottemperare, nella quale il giudice del lavoro afferma che "Non può sottacersi che la predetta volontà negoziale è stata subordinata alla condizione sospensiva dell'esistenza di posti vacanti e disponibili, condizione che nella specie risulta essersi verificata, stante l'accantonamento di n. 21 posti per il 22 profilo professionale DGSA, come da Decreto dirigenziale del 27.8.2011 dell'Ufficio Scolastico Regionale Campania - Ambito Territoriale per la provincia di Caserta, agli atti del giudizio". La sentenza impugnata, pertanto, prescindendo dalle ulteriori censure, deve essere riformata sull'assorbente rilevo che precede. Stante l'effetto devolutivo dell'appello, deve essere dunque esaminato il ricorso introduttivo per verificare se, alla luce della documentazione versata in atti e delle argomentazioni difensive dell'amministrazione, perduri in tutto o in parte l'inottemperanza. 3.1. Risulta dagli atti che la Direzione didattica Statale "Papa Giovanni Paolo II" di Trentola Ducenta (CE), ha prodotto il certificato di servizio relativo al ricorrente, il decreto n. 305 del 27 novembre 2020, la ricostruzione di carriera ed il decreto di inquadramento n. 286 del 5 giugno 2020, munito del visto contabile della Ragioneria territoriale dello Stato, con la quale la predetta Scuola, quale organo del Ministero, ha dimostrato l'avvenuto adempimento della sentenza di quanto a suo carico. In particolare nella relazione del 29 dicembre 2022, depositata in esecuzione dell'ordinanza istruttoria del Tar, il dirigente scolastico riferisce e documenta quanto segue: "Relativamente all'adempimento del presupposto giudicato formatosi sulla sentenza n. 1695/2019 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Sezione Lavoro, siamo a comunicare di aver: 1) Adempiuto e trasmesso mezzo pec all'Ufficio Scolastico per la Campania - Ambito Territoriale di Caserta il decreto del Dirigente scolastico con le differenze retributive maturate dal 01/09/2011 fino alla data di effettivo inquadramento nel profilo di Dsga, prot. 305 del 27/11/2020 di cui si allega copia. - Primo invio pec: (omissis) in data 27/11/2020; - Secondo Invio pec: (omissis) in data 18/02/2021; 2) Richiesto il visto alla Ragioneria territoriale dello Stato di Caserta il decreto di cui al punto 1 - Invio pec: (omissis) in data 03/02/2021; È stato preso atto della risposta alla richiesta di visto della Ragioneria territoriale dello Stato di Caserta di cui al punto 2 prot. 4954/2021, che non accoglie il decreto in questione del DS, in quanto si richiede il provvedimento di liquidazione direttamente dall'Usp di Caserta. La RTS invita, pertanto, questa Istituzione scolastica unicamente all'invio del decreto con tutta la documentazione a corredo all'Ufficio Scolastico per la Campania - Ambito Territoriale di Caserta uff. IX per la produzione dei relativi adempimenti atti di propria competenza. 3) Adempiuto alla richiesta di accesso agli atti formale ex art. 22 L.241/90 da noi ricevuta con prot. 1643/E in data 22/04/2021 da parte del Sig. Ia. St.. In questa occasione abbiamo inviato copia del decreto di cui sopra, trasmesso all'USP, e informato lo stesso Ufficio Scolastico del relativo adempimento di accesso agli atti. - Invio pec: (omissis) in data 28/04/2021; 4) Dato riscontro alla richiesta dell'Avvocatura dello Stato di invio relazione sull'iter procedimentale seguito (esecuzione sentenza) e corredo documentale; - Invio pec: (omissis) in data 26/11/2021; - Invio pec: (omissis) in data 26/11/2021; 5) Aver provveduto a secondo inoltro all'Avvocatura dello Stato di tutta la documentazione agli atti; - Invio pec: (omissis) in data 01/12/2021; 6) Dato riscontro alla nota Usp di Caserta prot. 7395 del 09/05/2022 (inoltrato anche all'Avvocatura) con il quale si è richiesto il decreto di ricostruzione di carriera con decreto relativo all'accertamento delle differenze retributive e certificato cumulativo di servizio. - Invio pec: (omissis) in data 10/05/2022. Ulteriori chiarimenti in merito all'ordinanza TAR prot. 07148/2022 del 18/11/2022 Si trasmette in allegato il certificato di servizio cumulativo aggiornato per gli anni scolastici dal 2011/12 al 2019/20 con relativa nota "in attesa assunzione nell'area funzionale D profilo Dsga ambito prov. CE giusta sent. n. 1695/2019". Si specifica che, ad oggi, questa amministrazione resta ancora in attesa del provvedimento di assunzione del dipendente ricorrente nel profilo di Direttore dei servizi generali e amministrativi, atto riservato dal legislatore alla competenza dell'UAT/USR. Tale provvedimento, infatti, risulta presupposto necessario per la predisposizione di un decreto di ricostruzione di carriera adeguato al profilo richiesto, riconosciuto dall'assunzione in servizio e relativa acquisizione del ruolo nell'area funzionale D, profilo Dsga. Resta nella competenza dell'istituzione scolastica, ma solo successivamente all'emissione di detto decreto di assunzione, la stipula del contratto su delega dell'Ufficio superiore a seguito del provvedimento di individuazione dell'UAT. Nelle more dell'atto formale di individuazione nel profilo di DSGA ed in applicazione della sentenza esclusivamente al fine di rappresentare le differenze retributive tra le diverse posizioni stipendiali interessate, come richiesto dagli uffici superiori, è stato prodotto il decreto dirigenziale n. 305 del 27 novembre 2020". 3.2. Le suddette circostanze, riferite e documentate dal dirigente scolastico, non sono contestate dal ricorrente il quale, anzi, fa rilevare che, proprio da tali dichiarazioni, emergerebbe come in effetti la sentenza non sia stata ottemperata. Le osservazioni del ricorrente sono fondate. Infatti il dirigente scolastico riferisce che "ad oggi, questa amministrazione resta ancora in attesa del provvedimento di assunzione del dipendente ricorrente nel profilo di Direttore dei servizi generali e amministrativi, atto riservato dal legislatore alla competenza dell'UAT/USR. Tale provvedimento, infatti, risulta presupposto necessario per la predisposizione di un decreto di ricostruzione di carriera adeguato al profilo richiesto, riconosciuto dall'assunzione in servizio e relativa acquisizione del ruolo nell'area funzionale D, profilo Dsga. Resta nella competenza dell'istituzione scolastica, ma solo successivamente all'emissione di detto decreto di assunzione, la stipula del contratto su delega dell'Ufficio superiore a seguito del provvedimento di individuazione dell'UAT". Dalle suddette affermazioni, che non sono state smentite né documentalmente né con argomentazioni di senso contrario, risulta che l'Ufficio dell'ambito territoriale/Ufficio scolastico regionale non ha adottato il provvedimento di assunzione del ricorrente nel profilo di Direttore dei servizi generali e amministrativi e che ciò ha impedito la predisposizione di un decreto di ricostruzione di carriera adeguato al profilo richiesto. 3.3. Ne discende che, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso introduttivo e, per l'effetto, deve essere ordinato all'Ufficio dell'ambito territoriale/Ufficio scolastico regionale per la Campania di adottare, entro trenta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notifica della presente sentenza, il provvedimento di assunzione del ricorrente nel profilo di Direttore dei servizi generali e amministrativi, con la decorrenza stabilita nella sentenza del giudice del lavoro, e al dirigente del Circolo "Papa Giovanni Paolo II" di Trentola Ducenta (CE), di adottare all'esito, entro ulteriori venti giorni, il relativo decreto di ricostruzione di carriera adeguato al profilo richiesto, nonché di corrispondere al ricorrente le differenze retributive maturate dal 1 settembre 2011 fino alla data di effettivo inquadramento nel profilo di DSGA, oltre accessori di legge dal dovuto al soddisfo, come statuito nella sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Deve essere altresì, ordinato alle amministrazioni intimate, in solido tra loro, di dare esecuzione alla sentenza relativamente al capo recante la condanna alle spese di lite, provvedendo alla relativa corresponsione entro il medesimo termine di trenta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notifica della presente sentenza. Per l'eventualità che l'inadempimento si protragga oltre il termine assegnato, si nomina fin d'ora un commissario ad acta, che si insedierà allo spirare del suddetto termine e curerà ogni adempimento in sostituzione di ciascuna delle amministrazioni inadempienti, commissario che viene individuato nella persona del responsabile pro tempore dell'Ufficio II della Direzione generale per le risorse umane e finanziarie del Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali del Ministero dell'istruzione e del merito, con facoltà di delega. Deve, invece, essere respinta allo stato la domanda di liquidazione di una somma ex art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a. tenuto conto della circostanza che le amministrazioni non sono rimaste del tutto inerti e che la sentenza può essere ottemperata in forza della presente pronuncia. 4. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate tenuto conto della novità delle questioni trattate e dell'accoglimento parziale dell'appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie in parte il ricorso introduttivo e così provvede: - ordina alle amministrazioni individuate in motivazione di dare piena e integrale esecuzione alla ottemperanda pronuncia, entro 30 (trenta) giorni dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza; - dispone che, in caso di perdurante inottemperanza, vi provveda il commissario ad acta, individuato e fin d'ora nominato come da motivazione; - dispone la compensazione delle spese fra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2024, con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI (...) - composta dai magistrati: dott. (...) dott. (...) dott. (...) rel. all'esito di trattazione scritta, riunita in camera di consiglio da remoto, ha pronunciato in grado di appello all'udienza del 7.3.2024 la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...)/2021 del Ruolo Generale TRA (...) rappresentato e difeso dall'Avv. (...), presso il cui studio in Napoli alla via (...) n. (...) è elettivamente domiciliata (...). - (...) (...) in persona del legale rappresentante pro tempore a.u., rappresentata e difesa dall'Avv. (...) presso il cui studio in Napoli alla via (...) n. (...) è elettivamente domiciliata -appellata SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza n. (...)/2021 emessa in data (...), il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, ha rigettato la domanda proposta con ricorso dall'epigrafato lavoratore - dipendente della convenuta con inquadramento nel parametro 140 del (...) Autoferrotranvieri nella 3° area, profilo professionale (...) di (...) - diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto all'inquadramento nella figura professionale superiore con mansioni riconducibili al profilo di (...) (parametro 170), dal mese di ottobre 2012 al 4.1.2017 (data dell'intervenuto inquadramento aziendale nel parametro 170 rivendicato) e la condanna dell'azienda datrice al pagamento della somma di ? 13.454,27 a titolo di differenze tra il trattamento economico riconosciuto (parametro 140) e quello spettante per il superiore parametro 170. Deduceva il ricorrente che dal 2012 era stato assegnato al (...) di (...) del (...) con mansioni di operaio addetto alla manutenzione elettrica della rete aerea per la circolazione di tram e bus; che in data (...) l'azienda aveva indetto una selezione interna per l'utilizzo di più risorse per la gestione della rete aerea ed all'esito aveva inquadrato nel parametro 170 tutti gli operatori addetti alla rete aerea tranne il (...) Soltanto in data (...), come suaccennato, la (...) gli riconosceva il profilo professionale (parametro 170 rivendicato). Con appello depositato in data (...) ha impugnato la sentenza sopra indicata, sostenendo la omessa valutazione di circostanze di fatto: nel periodo di causa il ricorrente era stato addetto non solo alla manutenzione programmata, ma anche a quella di pronto intervento (interventi manutentivi in linea ovvero alla rete aerea funzionante); intervenuta riorganizzazione aziendale ed individuazione mediante accordo sindacale del 2.2.2007 del fabbisogno del personale da adibire alla manutenzione della rete aerea con specifica indicazione dei ruoli e degli inquadramenti ((...) tecnico, parametro 170) da riservarsi agli operai componenti le squadre di manutenzione; identità delle mansioni svolte dal ricorrente nel periodo interessato rispetto a quelle che lo stesso ha continuato a svolgere dopo il (...), epoca dell'intervenuta attribuzione del profilo professionale rivendicato. Ha altresì censurato l'erroneità del procedimento logico-giuridico di raffronto delle mansioni espletate dal ricorrente con il profilo di appartenenza nonché l'errata valutazione della prova testimoniale. La (...), costituitasi, contestava con varie argomentazioni l'appello, chiedendone il rigetto e la conferma della sentenza impugnata, con vittoria delle spese di lite. All'esito della trattazione scritta, all'odierna udienza da remoto, la causa è stata riservata in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE (...) è fondato e deve essere pertanto accolto. I motivi, connessi fra loro sotto il profilo logico-giuridico, vengono trattati congiuntamente. Prima di procedere all'esame specifico del gravame, va premesso che secondo il consolidato orientamento dei giudici di legittimità in tema di diritto del lavoratore alla qualifica superiore: "..il giudice di merito.....deve seguire un procedimento logico-giuridico che comporta l'accertamento in fatto delle mansioni effettivamente svolte dal dipendente, l'individuazione della categoria e dei livelli funzionali nei quali si articola nella normativa collettiva, il raffronto, infine, tra il risultato della prima indagine e le declaratorie che nei testi contrattuali definiscono i singoli livelli, con riferimento anche alla responsabilità e autonomia propria della qualifica rivendicata" (Cass. n. 4766/87; cfr. e(...) multis Cass. n. 14608/01; Cass. 3069/2005; Cassazione civile, sez. lav., 28/04/2015, n. 8589). In altre parole "Nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non si può prescindere da tre fasi successive, e cioè, dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda" (Cass. n. 20272/ 2010). Sulla scia di tali osservazioni la S.C. ha anche precisato che "non basta dire: questi sono i compiti, questa è la disposizione contrattuale invocata, ma occorre esplicitare, e poi rendere evidente sul piano probatorio, la gradazione e l'intensità (per responsabilità, autonomia, complessità, coordinamento ecc.) dell'attività corrispondente al modello contrattuale invocato, rispetto a quello attribuito. Né può a tal fine sopperire l'intervento ufficioso del Giudice che non solo ignora i dati fattuali di riscontro, ma neppure può interferire con il principio fondante la regola processuale, che impone a colui che dice l'onere di allegare e provare gli elementi complessivi posti a fondamento della domanda" (sent. n. 8025/03). Tanto evidenziato, si rende necessario riportare le declaratorie contrattuali alla luce delle quali va orientato il percorso motivazionale che qui si sta seguendo. Appartengono al parametro 170 del (...) di categoria, (...) 3°, richiesto dal ricorrente per il periodo dall'ottobre 2012 al 4.1.2017, i "lavoratori che, in possesso di adeguata esperienza professionale, operano, con margini di autonomia, in attività tecnico/manuali che richiedono particolare perizia e responsabilità, anche intervenendo con autonomia operativa in linea. Controllano e coordinano ove previsto dalla funzione attribuita dall'azienda l'attività di lavoratori di livello inferiore, partecipando all'attività lavorativa della squadra e sovraintendono, altresì, alla sede ed all'armamento di linee ad impianto fisso". Rientrano nel parametro 140, contrattualmente riconosciuto, (...) professionale 3°, (...) qualificati (140-160), i "lavoratori che, in possesso di conoscenza acquisita di procedure operative e sulla base delle direttive ricevute operano singolarmente o in squadra in attività di manutenzione e riparazione su mezzi impianti e strutture, in sede (...)linea, con compiti specifici o plurifunzionali". Ciò premesso, si passa ora all'esame della prova testimoniale svolta nella precedente fase del procedimento al fine di accertare lo svolgimento delle mansioni allegate dal (...) nel ricorso introduttivo. In particolare, il teste (...) dipendente della (...) dal 1997 con mansioni di (...) della trazione elettrica, ha dichiarato: "So che da ottobre 2012 in poi o forse anche prima il ricorrente ha svolto le mansioni di operaio tecnico certificatore?Le mansioni erano le seguenti: allorché si verificava un guasto ai fili elettrici dei mezzi aziendali in viaggio lungo le varie tratte, il (...) in qualità di (...) su disposizione del capo operaio si recava sul posto in squadra sul luogo del guasto e arrivato alla cima dei fili elettrici risolveva il guasto con l'utilizzo degli strumenti in dotazione. In primis controllava che la corrente elettrica fosse stata staccata dal capo operaio, attivava i dispositivi di sicurezza e operava in modo da eliminare il guasto e ripristinare la regolarità del servizio. Egli operava sul guasto sempre in coppia con un altro operaio della squadra. Io stesso lo ho diretto in qualità di capo operaio. Gli interventi risolutivi dei guasti il ricorrente li effettuava in autonomia, tranne che vi fossero delle problematiche più complesse e rilevanti. In questo caso ero io che decidevo il tipo di intervento da effettuare ed il ricorrente lo eseguiva in autonomia. Sul posto dell'intervento è sempre presente il capo operaio e resta anche durante tutto il corso delle operazioni sino alla risoluzione del problema. Arrivati sul posto già constatiamo lo stato dei fatti, indico di salire sulla plancia, gli operai controllano e si rendono conto di ciò che è accaduto, riferendo a me che sto giù dalla plancia. Dopo di che lo risolvono in autonomia, nel senso che non svolgo anche io né do le indicazioni di dettaglio perché loro sono già preparati tecnicamente". Il teste (...) responsabile della (...) della (...) fino al 2016 e poi (...) di (...) ha riferito: "(...) il (...) dal 2016..il (...) era inquadrato nel parametro 140 e si occupava di manutenzione della rete aerea nel 2017 gli è stato conferito il parametro 170..nello svolgimento delle sue attività era inserito in una squadra di manutenzione così composta: vi era un capo operaio e due operatori qualificati oltre ad un autista abilitato al carro scala. Il capo operaio era un parametro 188, che organizzava il lavoro secondo quanto comandato dal responsabile, all'epoca il (...) parametro 205. Al di sopra ancora vi era l'(...), che era un parametro 250?". Infine, il teste (...) dipendente della (...) sino a dicembre 2016 con mansioni di autista, parametro 183, ha dichiarato: "ho conosciuto il ricorrente quando è venuto a lavorare alla rete aerea come operaio. Abbiamo lavorato entrambi dal 2012 al 2014/2015 quando sono andato via dalla rete aerea. Il ricorrente svolgeva tutte le mansioni che svolgevano gli altri operai della rete aerea?(...) compresi il ricorrente lavoravano sulla plancia del carro scala?(...) l'intervento il capo operaio rimaneva a terra mentre i due operai salivano sulla plancia?Gli operai compivano l'intervento in autonomia, trattandosi di lavori che sapevano svolgere, naturalmente con il coordinamento del capo operaio". Con riguardo al suddetto procedimento logico-giuridico che comporta l'accertamento in fatto delle mansioni effettivamente svolte dal dipendente, deve osservarsi che risultano individuate nella loro complessità i tratti differenziali e specializzanti del rivendicato parametro (170) rispetto al parametro di assegnazione (140), costituiti dal margine di autonomia operativa per gli interventi in linea (le mansioni richieste dall'(...) non richiedevano attività di controllo e coordinamento, che di per sé non costituiscono un requisito indispensabile nella declaratoria del parametro 170, ma solo eventuale) e dal livello di complessità degli interventi. In particolare, ha evidenziato, alla luce delle risultanze istruttorie, che il dipendente nel periodo dedotto in giudizio aveva operato con autonomia per gli interventi di riparazione dei guasti (salvo casi di particolare complessità), valutando di volta in volta il tipo di intervento e le modalità della riparazione. Il giudizio espresso dalla sentenza impugnata, nel rispetto dell'operazione c.d. "trifasica" ha correttamente sussunto la fattispecie concreta in quella astratta della superiore declaratoria contrattuale. Le deposizioni su riportate sostanzialmente confermano sia il periodo che i requisiti di autonomia operativa, adeguata esperienza professionale, attività tecniche in processi manutentivi più complessi rispetto al parametro 140. Inoltre, a suffragare l'esito favorevole al lavoratore della prova orale vi è la circostanza incontestata, che, allorquando nel 2017 veniva conferito al (...) il parametro 170, le mansioni dallo stesso svolte di manutenzione della rete aerea quale operaio addetto alle lavorazioni in altezza su plancia di comando del carro scala, non erano affatto mutate. Al riconoscimento del superiore inquadramento per il periodo di causa consegue la condanna della (...) spa alla corresponsione in favore del lavoratore della somma di ? 13.454,27, a titolo di differenze retributive, oltre accessori dalla maturazione al soddisfo. Alla stregua delle suesposte considerazioni l'appello deve essere pertanto accolto. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza; sono poste a carico della società appellata e liquidate come da dispositivo. P.Q.M La Corte così provvede: - accoglie l'appello e, per l'effetto, dichiara il diritto di (...) all'inquadramento nel parametro 170 di operatore tecnico, 3° area professionale del (...) di settore, a decorrere dal mese di ottobre 2012 al 4.1.2017; - condanna l'(...) S.p.a. al pagamento, in favore dell'appellante, della somma di ? 13.454,27 a titolo di differenze retributive spettanti, oltre accessori dalla maturazione al soddisfo; - condanna l'(...) S.p.a. al pagamento, in favore dell'appellante, delle spese del doppio grado, che liquida per il I grado in complessivi ? 2.540,00 ed in ? 1.984,00 per il II grado, oltre (...) CPA e spese forfettarie come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DORONZO Adriana - Presidente Dott. LEONE Margherita Maria - Consigliere Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere Dott. BOGHETICH Elena - Rel. Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 14413-2019 proposto da: Pi.Vi., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (...), presso lo studio dell'avvocato VI.IA., che lo rappresenta e difende; - ricorrente - contro A.N.A.S. Spa - AZIENDA NAZ.AUT.DELLE STRADE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12; - resistente con mandato - avverso la sentenza n. 182/2018 della CORTE D'APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 30/10/2018 R.G.N. 55/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2024 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per il rigetto del ricorso. RILEVATO CHE 1. con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Campobasso - in sede di riassunzione a seguito della sentenza n.28368 del 2017 delle Sezioni Unite di questa Corte intervenuta in ordine al riparto di giurisdizione per la domanda di riconoscimento di mansioni superiori alla luce del criterio dettato dall'art. 69, comma 7, del D.Lgs. n. 165 del 2001 - ha accolto il gravame di (...) Spa avverso la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della stessa sede aveva accolto la domanda di Vincenzo Pi.Vi. diretta a ottenere il pagamento delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori di Quadro sino all'1.7.1999 (data del formale inquadramento) e il risarcimento del danno da demansionamento, nonché, in subordine, un'indennità per ingiustificato arricchimento; 2. in particolare, la Corte territoriale - delineando il periodo oggetto di pretesa retributiva, a fronte della rilevata prescrizione del credito per il periodo precedente il 22.6.1997 (considerato quale primo valido atto di interruzione della prescrizione il processo verbale redatto avanti la Commissione provinciale di conciliazione il 22.10.2002) - ha rilevato che gli elementi istruttori raccolti non avevano evidenziato lo svolgimento di mansioni superiori di Area Quadri di cui al CCNL applicato in azienda, posto che, a fronte dell'accertato disimpegno di attività di direzione e coordinamento degli addetti all'ufficio Ragioneria di Campobasso (nonché di firma dei mandati di pagamento e di contatti con organismi esterni), era emerso che lo stesso si coordinava con il Capo compartimento, che i mandati di pagamento erano sottoscritti anche dal dirigente (amministrativo o tecnico), che non aveva mai svolto compiti tipici dell'Area Quadri così come indicati dall'art. 67 del CCNL 1994-1997 e art. 69 del CCNL 1998-2001, che non aveva autonomia decisionale quanto agli impegni di spesa, non predisponeva direttamente né istruiva atti o procedure di significativa complessità, dirigeva una struttura di piccole dimensioni; aggiunto che dal luglio 1999 gli era stata riconosciuta la posizione organizzativa ed economica A1 dell'Area Quadri (sulla base di una predefinita tabella di corrispondenza) e che non risultava che lo stesso avesse mai sostituito, con assunzione di responsabilità, il dirigente in di assenza o impedimento temporaneo, respingeva la domanda di condanna al pagamento di differenze retributive per svolgimento di mansioni superiori; del pari, respingeva la domanda di risarcimento del danno per dequalificazione professionale (posto che non risultavano svolte mansioni superiori rispetto al formale inquadramento e che non era stato provato che il notevole carico di lavoro svolto avesse cagionato un danno alla professionalità né mortificazioni) nonché quella di ingiustificato arricchimento; 3. nei confronti di detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con cinque motivi. La società intimata non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all'udienza di discussione ai sensi dell'art. 370 primo comma ultimo alinea cod. proc. civ., cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva. CONSIDERATO CHE 1. con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 della legge n. 190 del 1985 nonché 68 e 69 del CCNL 1994-1997 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), avendo, la Corte territoriale, erroneamente applicato i suddetti precetti a fronte della dimostrazione dello svolgimento, continuativo per quasi 30 anni e con responsabilità sempre maggiori, mansioni di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell'attuazione degli obiettivi dell'impresa (come riconosciuti ampiamente dalla relazione del Primo dirigente amministrativo, Ca.); 2. con il secondo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) e, nella specie, della documentazione allegata al ricorso (in specie, la relazione del Primo dirigente amministrativo Ca.), che dimostrava la tipologia di attività realmente svolta dal Pi.Vi.; la Corte non ha, poi, riconosciuto lo svolgimento di mansioni superiori nonostante abbia affermato che il lavoratore aveva svolto, successivamente all'entrata in vigore della legge n. 86 del 1986 (che ha disposto il decentramento ai Compartimenti di territorio di attività già facenti capo alla Direzione generale), compiti di competenza del Primo dirigente tecnico, del Primo dirigente amministrativo e dell'Ingegnere capo della Sezione tecnica compartimentale; 3. con il terzo motivo si denunzia violazione dell'art. 2935 cod. civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte territoriale, errato nel ritenere prive di efficacia interruttiva della prescrizione le missive inviate all'azienda nel novembre 1999 e 200 e nell'ottobre 2001, e dovendo individuare solamente nel luglio 1999 (data di formale inquadramento nell'Area Quadri) il dies a quo della decorrenza della prescrizione, considerato che la giurisprudenza del Consiglio di Stato individua tale momento nel primo ordine di servizio di assegnazione di mansioni superiori (da individuarsi, per l'appunto, nel caso di specie, nell'inquadramento formale del luglio 1999); 4. con il quarto motivo si denunzia falsa applicazione dell'art. 2938 cod. civ. avendo, la Corte territoriale, accolto l'eccezione di prescrizione sollevata in primo grado da (...) che, peraltro, era rimasta contumace nel giudizio di riassunzione; 5. con il quinto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 32 Cost., 2059, 2087 cod. civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte territoriale, trascurato la relazione del Primo dirigente amministrativo, Ca., che ha delineato le mansioni (superiori) svolte dal lavoratore, sottolineando la gravosità dei compiti allo stesso affidati; 6. il primo, il secondo ed il quinto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili; 7. entrambi i motivi appaiono inammissibili in quanto si sostanziano, anche laddove denunciano la violazione di norme di diritto, in un vizio di motivazione formulato in modo non coerente allo schema legale del nuovo art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, a norma del quale è denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. S.U. n. 8053 del 2014), profili non denunciati né ricorrenti in questa sede; 8. come più volte precisato da questa Corte, il vizio di violazione di legge coincide con l'errore interpretativo, cioè con l'erronea individuazione della norma regolatrice della fattispecie o con la comprensione errata della sua portata precettiva; la falsa applicazione di norme di diritto ricorre quando la disposizione normativa, interpretata correttamente, sia applicata ad una fattispecie concreta in essa erroneamente sussunta; al contrario, l'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 26272 del 2017; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; n. 26307 del 2014): solo quest'ultima censura è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa; 9. nel caso di specie, le censure investono tutte la valutazione delle prove come operata dalla Corte di merito, e si sostanziano, attraverso il richiamo al contenuto dei documenti prodotti, in una richiesta di rivisitazione del materiale istruttorio (quanto allo svolgimento delle mansioni superiori) non consentita in questa sede di legittimità, a maggior ragione in virtù del nuovo testo dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.; 10. il terzo motivo di ricorso è inammissibile; 11. questa Corte ha più volte rilevato profili di inammissibilità delle censure proposte in quanto, "al fine di produrre effetti interruttivi della prescrizione, un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di fare valere il proprio diritto, con l'effetto sostanziale di costituire in mora il soggetto indicato (elemento oggettivo). La valutazione circa la forma scritta, non postula l'uso di formule solenni, né l'osservanza di particolari adempimenti - è rimesso all'accertamento di fatto del giudice di merito ed è, pertanto, del tutto sottratto al sindacato di legittimità" (cfr. da ultimo Cass.15140 del 2021; nello stesso senso, Cass. n. 15714 del 2018, nonché le statuizioni più datate citate dalla sentenza impugnata); 12. ininfluente risulta, altresì, il richiamo della giurisprudenza elaborata dal Consiglio di Stato, orientamento che attiene al rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, che ritiene irrilevante, giuridicamente ed economicamente, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori nel pubblico impiego, governato dai principi costituzionali di buon andamento e di efficienza dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost. In particolare, nel pubblico impiego lo svolgimento di mansioni superiori, cui è correlato il corrispondente riconoscimento economico, necessita che l'atto formale di attribuzione dell'incarico non risulti adottato contra legem e provenga dall'organo titolare del relativo potere, rispetto ad un posto vacante di organico, con conseguente copertura finanziaria dei relativi oneri (Cons. Stato n. 2539 del 2016, Cons. Stato n. 449 del 2017, Cons. Stato, Ad.Plen., n. 18 del 1999); il ricorrente richiama detto orientamento della giurisprudenza amministrativa senza dedurre la eventuale correlazione del dies a quo della prescrizione dei crediti di lavoro con la natura pubblica o privata dell'ente (trasformato dapprima in ente pubblico economico, con il D.Lgs. n. 143 del 1994, e, poi, in società per azioni, con l'art. 7 del d.l. n. 138 del 2002, convertito nella legge n. 178 del 2002), a fronte della chiara argomentazione della sentenza impugnata che ha ricollegato alla stabilità del rapporto di lavoro e alla natura di ente pubblico il decorso della prescrizione in costanza di rapporto e con riguardo allo svolgimento di fatto del (preteso) livello superiore della prestazione; 13. il quarto motivo di ricorso non è fondato; 14. questa Corte ha più volte rilevato che il giudizio di rinvio non è configurabile quale continuazione di quello in esito al quale è stata emessa la decisione impugnata, ma come una nuova, autonoma fase del giudizio, con conseguente necessità di una nuova costituzione delle parti, con l'osservanza delle norme relative a tale atto nonché declaratoria di contumacia ove una delle parti non si costituisca in questa fase pur a fronte della regolare costituzione nelle precedenti fasi del giudizio (Cass. n. 15489 del 2000); tuttavia, visto l'art. 394, secondo comma, cod. proc. civ., le domande ed eccezioni già proposte restano efficaci e attive, anche se proposte dal contumace in precedenza. "Invero gli effetti della contumacia dichiarata nel giudizio di rinvio trovano un limite espresso costituito dalla previsione dell'art. 394, secondo comma, cod. proc. civ., che stabilisce, proprio per il giudizio di rinvio, che le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata, e cioè nel primo giudizio di appello. In particolare in caso di cassazione con rinvio, il giudice di merito, se è tenuto a uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte per le questioni già decise, per gli altri aspetti della controversia rimasti impregiudicati o non definiti nelle precorse fasi del giudizio deve esaminare ex novo il fatto della lite e pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate e pretermesse nei precedenti stati processuali, indipendentemente dalla relativa riproposizione, senza che rilevi l'eventuale contumacia della parte interessata, che non può implicare rinuncia o abbandono delle richieste già specificamente rassegnate o acquisite al giudizio. Deriva da quanto precede, pertanto, che dalla contumacia della parte nel giudizio di rinvio non può derivare la rinuncia alle domande e alle eccezioni riproposte nel grado di appello e, pertanto, non sussiste alcuna preclusione da giudicato interno" (Cass. n. 28935 del 2022, in motivazione); 15. in sintesi, in caso di cassazione con rinvio, il giudice di merito, se è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte per le questioni già risolute, per gli aspetti della controversia rimasti impregiudicati o non definiti nelle precorse fasi del giudizio deve esaminare "ex novo" il fatto della lite e pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate e pretermesse nei precedenti stati processuali, senza che rilevi l'eventuale contumacia della parte interessata, che non può implicare rinuncia ad abbandono delle richieste già specificamente rassegnate od acquisite al giudizio (Cass. n. 24336 del 2015); eventualità ricorrente nel caso di specie, ove la società - come lo stesso ricorrente ha rilevato - ha tempestivamente e ritualmente sollevato l'eccezione di prescrizione del credito retributivo preteso; 16. in conclusione, il ricorso va rigettato; nulla sulle spese di lite, non avendo l'intimato svolto attività difensive; P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese del presente giudizio di cassazione. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso nella camera di consiglio del 5 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MILANO Sezione Lavoro in composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dr. Camilla Stefanizzi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia di primo grado promossa da (...) con l'Avv. Pa.M. ricorrente contro INPS - ISTITUTO NAZIONALE PER LA PREVIDENZA SOCIALE (P.1.80078750587) resistente RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso depositato il 08/06/2023, (...) conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Milano - Sezione Lavoro - INPS- ISTITUTO NAZIONALE PER LA PREVIDENZA SOCIALE, chiedendo di accogliere le seguenti conclusioni: "accertare e dichiarare la giusta causa di dimissioni rassegnate dal dott. (...) accertare e dichiarare il diritto del dott. (...) beneficiare dell'indennità NASpI; per l'effetto condannare l'I.N.P.S. a corrispondere, in favore del ricorrente, l'indennità NASpI, ai sensi dell'art. 1 D.Lgs. 22/2015 a decorrere dal giorno 8/12/2022". Il tutto con vittoria di spese, diritti e onorari. INPS- ISTITUTO NAZIONALE PER LA PREVIDENZA SOCIALE si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso in quanto inammissibile anche per indeterminatezza e carenza probatoria, nonché infondato, in fatto ed in diritto. Istruita la causa con l'acquisizione della documentazione prodotta ed escussione di due testimoni, all'udienza odierna, dopo la discussione, il Giudice la decideva pronunciando dispositivo di sentenza ex art. 429 primo comma c.p.c. 2. Parte ricorrente ha allegato di aver intrapreso in data 2/9/2019 attività lavorativa alle dipendenze della Società (...) con ruolo di "Business e Market Insight Specialisti e inquadramento nella categoria B1 del CCNL Chimico farmaceutico (doc. 1 ricorso). Nel mese di aprile 2022 la Società datrice ufficializzava una riorganizzazione aziendale, assegnando al dott. (...)"' nuovo incarico di (...), a seguito di cui quest'ultimo diveniva responsabile delle attività di propria originaria pertinenza nonché assumeva nuove mansioni relative alla funzione di "Commercial Insight". Alla luce dell'insieme delle attività assunte dal ricorrente a seguito della suddetta riorganizzazione aziendale - peraltro corrispondenti alle mansioni perseguite da altri lavoratori ugualmente addetti alla funzione di "Commercial Insight" in Spagna, Francia, Germania e UK i quali, a differenza del ricorrente, erano però indicati quali "Associate Director" o "Senior Manager" - il dott. (...) ha dedotto di essersi ripetutamente rivolto ai referenti della Società datrice onde ottenere delucidazioni in merito al proprio diritto ad essere correttamente inquadrato nel superiore livello A3 del CCNL applicato ("Product manager senior") (doc. 5 ricorso). Per tale ragione, non avendo ricevuto alcun riscontro, dopo aver ulteriormente diffidato la Società a provvedere al corretto inquadramento con conseguente riconoscimento delle differenze retributive e contributive dovute (doc. 7 ricorso), con lettera del 29/11/2022 trasmessa a mezzo pec il dott. (...) rassegnava le proprie dimissioni "per giusta causa" a decorrere dal giorno 1/12/2022 (doc. 8 ricorso). 3. Tanto premesso in fatto, in questa sede il ricorrente lamenta il rigetto, da parte di INPS, della richiesta di indennità NASPI trasmessa a seguito delle suddette dimissioni, in data 2/12/2022. In particolare, INPS ha declinato la richiesta del dott. (...) adducendo che la causa della cessazione dell'attività lavorativa non fosse valida per il trattamento oggetto di istanza e, ad ulteriore conferma del provvedimento di diniego, il Comitato Provinciale ha evidenziato che non tutte le ipotesi di dimissioni rette da giusta causa diano diritto a beneficiare della indennità NASPI, bensì solo quelle motivate dal mancato pagamento della retribuzione, dall'aver subito molestie sessuali, nonché dalle modificazioni peggiorative delle mansioni - ossia le sole ipotesi espressamente richiamate nella circolare INPS n. 163/2013. 4. In primo luogo, l'istruttoria svolta ha dimostrato che lo svolgimento da parte del (...) di mansioni riconducibili al livello di quadro rispetto a quello di impiegato di primo livello in concreto attribuito. Entrambi i testimoni escussi, (...) e (...) infatti, hanno confermato le funzioni assolte dal dott. (...) e hanno concordemente evidenziato che gli altri colleghi del ricorrente, addetti al medesimo ruolo e alle medesime mansioni di quest'ultimo presso altri paesi europei, godessero di un inquadramento minimo di Senior Manager. Le dichiarazioni rese in sede istruttoria, pertanto, hanno dimostrato che il dott. (...) svolgeva di fatto attività previste per la figura di Senior Manager - i.e. pianificazione della organizzazione del settore affidatogli dal brand di cui era responsabile, ricerca di mercato, individuazione degli obiettivi da raggiungere e delle attività finalizzate al raggiungimento degli stessi, il tutto con esclusiva responsabilità del settore di intervento e in piena autonomia decisionale, anche in un settore estero - e che, ciononostante, fosse inquadrato come "Manager" del nuovo dipartimento di "Commercial Insight" instituito dopo la riorganizzazione aziendale avvenuta nei primi mesi del 2022. In via del tutto legittima, come già osservato, proprio a causa del mancato riconoscimento della qualifica spettante, il dott. (...) interpellava i propri referenti prospettando la necessità di ottenere un adeguamento professionale ed economico, in virtù delle mansioni effettivamente e concretamente espletate. La Società, limitandosi a corrispondere un incremento economico personale del 14% e, dunque, omettendo di riconoscere il corretto inquadramento, ha arrecato un pregiudizio al lavoratore a fronte del quale quest'ultimo non ha potuto far altro che rassegnare le dimissioni per giusta causa. Dimissioni dipese, com'è evidente, dalla condotta tenuta dalla allora datrice di lavoro. 5. Alla luce di tale premessa è risolta ogni contestazione avanzata da INPS in ordine alla sussistenza del requisito di cui alla lett. c) dell'art. 3, co. 1 del D.Lgs. 22/2015, relativamente allo stato di disoccupazione involontaria del lavoratore istante. Contrariamente a quanto addotto dalla convenuta, risulta ampiamente provata in giudizio la circostanza che ha determinato il carattere involontario dello stato di disoccupazione del dott. (...) succeduto alla rassegna delle dimissioni dal proprio posto di lavoro per giusta causa. Precisamente, come supra evidenziato, la permanenza di una condotta datoriale di sottoinquadramento e sotto-retribuzione del lavoratore nei termini già descritti integra giusta causa delle dimissioni dal posto di lavoro, integrando così il disposto ex art. 3, co. 2 del D.Lgs. 22/2015, ai sensi del quale "La NASpI è riconosciuta anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa (...)". D'altra parte, lo stesso INPS con propria circolare n. 92/1995 prevede che "Lo stato di disoccupazione deve essere involontario. Sono esclusi, pertanto, i lavoratori il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni o di risoluzione consensuale. In merito si chiarisce che la NASpI è riconosciuta in caso di dimissioni che avvengano: 1. per giusta causa secondo quanto indicato, a titolo esemplificativo, dalla circolare n. 163 del 20 ottobre 2003 (...) Ebbene, le ipotesi di dimissioni "per giusta causa", le quali danno luogo a uno stato di disoccupazione involontaria, non costituiscono una categoria tassativa bensì flessibile ed aperta a fattispecie atipiche. Tra queste ultime non può non ritenersi compresa l'ipotesi di specie, ove la condotta di sotto-inquadramento e sotto-retribuzione mantenuta integra un grave inadempimento datoriale che ha condotto il lavoratore a dimettersi dal proprio posto di lavoro, riversando involontariamente in stato di disoccupazione. 6. D'altro canto, il fatto che il dott. (...) abbia sottoscritto insieme alla precedente datrice un verbale di conciliazione non vale ad escludere la giusta causa delle dimissioni dal medesimo rassegnate, come INPS ha viceversa sostenuto nella propria difesa. Al contrario, infatti, la sottoscrizione del suddetto verbale prova comunque l'avvenuta instaurazione di una controversia, benché in sede stragiudiziale, successiva alle dimissioni del lavoratore e principalmente volta, per l'appunto, a dare atto della cessazione del rapporto, a fronte della quale, tra l'altro, la Società si è impegnata a corrispondere al lavoratore l'importo lordo di (...) a titolo di corrispettivo per la cessazione medesima. E evidente, pertanto, che la trattativa in sede conciliativa e la successiva sottoscrizione del verbale non escludono affatto la giusta causa delle dimissioni né rappresentano una rinuncia ad essa da parte del lavoratore. Bensì, al contrario, provano l'intenzione del medesimo lavoratore di agire, già in sede stragiudiziale, proprio per far valere la giusta causa delle sue dimissioni. D'altra parte, il fatto che la Società abbia sottoscritto un impegno a corrispondere all'odierno ricorrente una cifra pari a (...) implica un tacito riconoscimento della giusta causa delle dimissioni da parte della datrice, la quale, in caso contrario, verosimilmente, non avrebbe assunto un simile onere economico. 7. Per tutte le considerazioni sinora esposte, si accerta che il dott. (...) è titolare del diritto a percepire l'indennità di disoccupazione NASPI a partite dall'ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro con (...) 8. Tenuto conto degli approfondimenti istruttori che si sono resi necessari per accertare la sussistenza della giusta causa di dimissioni, le spese di lite sono integralmente compensate. P.Q.M. il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza disattesa, così provvede: 1) Accoglie il ricorso e, per l'effetto, accerta la giusta causa di dimissioni rese da (...) e dichiara tenuta e condanna l'I.N.P.S. a corrispondere, in favore di quest'ultimo, l'indennità NASpI, ai sensi dell'art. 1 D.Lgs. 22/2015 a decorrere dal giorno 8/12/2022. 2) dichiara la integrale compensazione delle spese di lite. Riserva a 60 giorni il deposito della motivazione. Sentenza esecutiva. Milano, 24 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE di GENOVA Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Stefano Grillo ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 4205/2023 promossa dal sig.: (...) e residente in Genova, (...) elettivamente domiciliato in Genova, (...), presso lo studio e la persona dell'Avv. Va.Ma., che lo rappresenta e difende in forza di mandato in calce al ricorso -ricorrente- CONTRO (...) in persona del suo Amministratore pro tempore e legale rappresentante Dott. (...) con studio in Genova (GE), (...), ed elettivamente domiciliata in Genova, (...) presso e nello studio dell'Avv. Ca.Pa., che la rappresenta e difende congiuntamente e disgiuntamente dall'Avv. Al.Lu., per mandato allegato alla memoria di costituzione -convenuta- Conclusioni delle parti RICORRENTE: "CHIEDE al Giudice adito in via principale di accertare la nullità del licenziamento per le circostanze dedotte in narrativa e quindi perché trattasi di licenziamento discriminatorio ovvero intimato in frode alla legge; ovvero perché intimato in mancanza dei poteri conferiti da valida delibera assembleare o in seguito a delibera affetta da vizi di nullità o illegittimità. Conseguentemente ai sensi dell'art. 2 D.Lgs. n. 23/2015, Voglia il Giudice adito annullare il licenziamento in esame e condannare la parte convenuta (...) (...) in persona dell'amministratore p.t. a riammettere in servizio o a ripristinare o a reintegrare il ricorrente nel suo posto di lavoro con condanna della stessa parte convenuta al pagamento in favore del ricorrente del risarcimento del danno pari a tutte le retribuzioni, maturate e maturande, dal licenziamento sino all'effettivo ripristino del rapporto di lavoro oltre ai contributi previdenziali ed assistenziali connessi In subordine: Voglia il Giudice accertare l'illegittimità del licenziamento perché infondato, perché privo di giusta causa o giustificato motivo con conseguente condanna della parte convenuta (...) (...) in persona dell'amministratore p.t. a pagare al ricorrente l'indennità risarcitoria connessa all'illegittimo licenziamento nella misura massima o altra meglio vista ai sensi dell'art. 3 comma n. 1 e art. 9 D.Lgs. n. 23/2015. In punto procedimento disciplinare: Voglia il Giudicante dichiarare l'inammissibilità e infondatezza degli addebiti elevati nei confronti del ricorrente, annullando, ove esistenti, eventuali sanzioni disciplinari con condanna della parte convenuta a rimborsare o restituire eventuali importi illegittimamente trattenuti. In ordine agli emolumenti retributivi: con riferimento al periodo lavorativo dedotto in causa e per l'intera sua durata o altra durata meglio accertata, previa applicazione dell'art. 36 Cost. e del ccnl Proprietari di Fabbricati, il ricorrente chiede la condanna della parte convenuta (...) in persona dell'amministratore p.t. a pagare al ricorrente stesso le somme che risulteranno dovute in corso di causa mediante ctu contabile a titolo di lavoro straordinario non pagato e delle indennità elencate in narrativa e non pagate, nonché il ricalcolo del complessivo trattamento retributivo riservato all'esponente in forza delle indennità omesse su tutti gli elementi diretti e differiti: retribuzione mensile, mensilità aggiuntiva, festività, ferie e permessi ed in subordine le differenze sui singoli ratei del Tfr. Con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente giudizio da distrarsi in favore del difensore che se ne dichiara antistatario"; CONVENUTO: "Conclude Affinché il Tribunale Ill.mo di Genova, in composizione monocratica, Sezione Lavoro, In via principale, respinga il ricorso proposto dal sig. (...) in quanto infondato in fatto e diritto. Respinga le ulteriori domande ex adverso proposte in quanto infondate in fatte e diritto Vinte le spese". MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso depositato telematicamente l'11.11.2023, il sig. (...) ha convenuto in giudizio il datore di lavoro, (...) in Genova (nel seguito, per brevità, anche solo il (...)"), per sentire: -accertare la nullità del licenziamento intimatogli, perché discriminatorio, ovvero in frode alla legge, o ancora comunicato in mancanza dei poteri conferiti da valida delibera assembleare o in seguito a delibera affetta da vizi di nullità o illegittimità; con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e condanna del convenuto al risarcimento del danno; o, in subordine, con condanna del convenuto al (solo) risarcimento del danno; -accertare l'illegittimità del medesimo licenziamento, perché infondato, privo di giusta causa o giustificato motivo, con conseguente condanna del convenuto al risarcimento del danno; -dichiarare l'inammissibilità e infondatezza degli addebiti elevati nei propri confronti, annullando, ove esistenti, eventuali sanzioni disciplinari con condanna del convenuto a rimborsare o restituire eventuali importi illegittimamente trattenuti; -condannare il convenuto, previa applicazione dell'art. 36 Cost. e del CCNL Proprietari di fabbricati, a pagargli le somme che risulteranno dovute in corso di causa a titolo di lavoro straordinario non pagato e delle indennità elencate in narrativa (principalmente, indennità per apertura e chiusura portone e per "ritiro raccomandate e pacchi") e non pagate, nonché al "ricalcolo del complessivo trattamento retributivo riservato all'esponente in forza delle indennità omesse su tutti gli elementi diretti e differiti: retribuzione mensile, mensilità aggiuntiva, festività, ferie e permessi ed in subordine le differenze sui singoli ratei del TFR". A fondamento delle proprie richieste, il ricorrente, portiere e custode condominiale con alloggio, liv. A4 del CCNL Proprietari di fabbricati, ha dedotto che: -con lettera del 6.4.2023 il Condominio (...) gli ha intimato il licenziamento alla scadenza del preavviso, prevista per il 15.4.2024, in quanto il 15.2.2023 l'assemblea condominiale avrebbe deliberato la soppressione del posto di lavoro; -il licenziamento è stato determinato dalla volontà di discriminarlo, quale lavoratore-genitore di un figlio gravemente disabile; ovvero con l'intento fraudolento di "esautorare un lavoratore il cui figlio è motivo di imbarazzo e fastidio per alcuno condomini"; -infatti, il proprio figlio (...) risulta invalido civile al 60% da marzo 2018, per disturbo schizotipico di personalità, deficit campimetrico con scotoma paracentrale-deficit visivo OS; sottoposto dal febbraio 2020 a ripetuti ricoveri in P.S., gli ultimi due nell'ottobre (2023) per ansia acuta, rimurginazioni ossessive, dubbia presenza di allucinazioni uditive; è seguito presso il SSM Asl 3 dalla curante dott.ssa (...) (v. in particolare doc. 11 e 12 ric.); -"molti condomini... erano infastiditi dal comportamento di (...) che dava spesso in escandescenze, alcuni riferivano di aver paura del ragazzo; altri si lamentavano dell'intervento dell'ambulanza o della polizia quando il ragazzo aggrediva il padre o rompeva mobili e suppellettili in casa, urlando e scagliandosi contro il padre"; di queste problematiche e doglianze si è fatto portavoce lo stesso Amministratore del Condominio, sig. (...); -in tale contesto sono maturati gli addebiti disciplinari, "come spinta ad esasperare il ricorrente per indurlo a dimettersi"; in particolare le contestazioni del 23.9.2020, relativa a scarsa pulizia, scarsa presenza in guardiola., e del 10.5.2023, relativa alla gestione delle luci dell'atrio condominiale, non seguite da sanzioni; -il licenziamento è altresì nullo "per carenza dei poteri in capo all'amministratore in mancanza dell'autorizzazione dell'assemblea o della maggioranza qualificata per assumere tale deliberazione che è l'atto presupposto per la successiva comunicazione del licenziamento." (il ricorrente contesta la delibera condominiale del 15.2.2023, menzionata nella lettera di licenziamento, quanto ad "esistenza, regolarità o legittimità dell'o.d.g., dei quorum di votazione, delle eventuali deleghe dei condomini ecc."); -il licenziamento è previo di giusta causa/giustificato motivo; -come da contratto, la portineria deve essere aperta dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19; il sabato dalle 9 alle 12; tuttavia, per poter svolgere le mansioni di pulizie e sorvegliare il portone, è sempre stato tenuto ad osservare, dal lunedì al venerdì mattina, il maggiore orario dalle 7 alle 12.30; -il lavoro straordinario diurno svolto non gli è mai stato retribuito; -il (...) gli avrebbe dovuto corrispondere le indennità per apertura e chiusura portone e la voce "ritiro raccomandate e pacchi" (pagata solo dal febbraio 2020) in luogo dell'indennità "distribuzione posta"; -il (...) gli ha corrisposto per diversi anni le indennità/voci "distribuzione posta", "reperibilità", "sostituzione luce", inserendole in busta paga tra le competenze lorde mensili, dunque senza che incidessero su 13.ma, ferie e TFR. L'Amministrazione del (...) si è ritualmente costituita in giudizio, chiedendo in via principale la reiezione del ricorso, in quanto infondato in fatto e in diritto. Secondo il convenuto, infatti: -le circostanze dedotte in ricorso sono assolutamente generiche, prive di riferimenti a tempi e/o persone, nonché non conformi al vero; -nessuna finalità discriminatoria può ritenersi sussistente, perché come documentalmente provato dai verbali assembleari prodotti, il "problema portineria" nel CONDOMINIO "... è presente quanto meno già dal 2005 ed è stato spesso oggetto di discussioni e contenziosi (tra condomini e condominio) relativamente alla opportunità o meno di conservare tale servizio ovvero dismetterlo" (sia prima dell'assunzione del ricorrente: v. ordini del giorno/delibere condominiali 2005, febbraio e marzo 2011, 2014, novembre e dicembre 2016, gennaio e ottobre 2017; sia dopo: v. delibere giugno 2021, giugno 2022 e, infine, 15.2.2023, con cui è stata decisa l'abolizione), tanto per i significativi costi connessi, quanto per i controversi criteri di ripartizione di essi"; -il motivo del cambiamento di posizione sul punto di alcuni condomini deve rinvenirsi nell'incremento delle spese a carico di essi, a seguito di contenzioso giudiziale; -comunque, "la volontà assembleare di un condominio, le cui scelte sono pacificamente insindacabili nel merito da parte del Giudice, altro non. (è) che la sommatoria delle volontà dei singoli condomini per cui controparte dovrebbe dimostrare la volontà, in capo ai singoli condomini favorevoli alla soppressione del servizio di portineria, di porre in essere un atto ritorsivo-discriminatorio volto a penalizzare il ricorrente"; -ne è seguita l'intimazione del licenziamento da parte dell'amministratore, delegato dall'assemblea condominiale; -unicamente al termine del periodo di preavviso (di 12 mesi) potrà verificarsi se il servizio di portineria verrà effettivamente soppresso, non potendo il Tribunale sindacare il merito della decisione assembleare; -se davvero si fossero voluti allontanare il ricorrente e il di lui figlio dall'alloggio condominiale, "l'Amministratore avrebbe ben potuto procedere disciplinarmente nei suoi confronti (le occasioni non sono comunque mancate) ovvero avrebbe potuto sostituire l'alloggio con la relativa indennità prevista dal CCNL, ovvero procedere ad una risoluzione del rapporto con una diversa motivazione (magari strumentale) e con un periodo di preavviso considerevolmente più corto"; il Condominio non avrebbe impiegato oltre tre anni "per risolvere un rapporto di lavoro assoggettato pacificamente a tutela obbligatoria"; -"le contestazioni disciplinari elevate, ma non portate a termine, confermano come il condominio, qualora avesse avuto una intenzione ritorsiva od espulsiva del ricorrente avrebbe ben potuto dar seguito alle stesse per giungere in tempi assai più rapidi al licenziamento del sig. (...)"; -il licenziamento è pertanto legittimo, in quanto conseguente alla scelta, non sindacabile, di sopprimere il servizio di portineria e conseguentemente il posto di lavoro occupato dal ricorrente; -non essendo mai stato erogato e/o applicato alcun provvedimento disciplinare conservativo, la domanda di annullamento proposta dovrà essere respinta; -sono altresì infondate le domande attrici relative alle differenze retributive, in quanto: il portone doveva essere aperto e chiuso in coincidenza con l'orario di lavoro del sig. (...) e pertanto aperto alle 8:00 (il sabato alle 9:00) e chiuso alle 19:00 (il sabato alle 12:00); mai l'Amministratore e/o i consiglieri hanno dato disposizione e/o autorizzato il ricorrente ad iniziare l'attività lavorativa alle ore 7:00; peraltro, l'attività di portierato è "attività discontinua e pertanto, in assenza di espressa richiesta del datore di lavoro, non può essere riconosciuto il lavoro eccedente l'ordinario orario contrattuale"; lo stesso CCNL non prevede il diritto alla retribuzione dello straordinario diurno eventualmente svolto dal portiere con alloggio; pertanto, non sono dovuti compensi per lavoro straordinario e neppure le indennità di apertura e chiusura del portone, che spettano nei soli casi in cui le operazioni non debbano avvenire durante l'orario di lavoro (art. 43 punto 6 e 7 del CCNL applicato); -per quanto concerne le indennità relative al ritiro raccomandate e pacchi, fino alla fine del 2019 era prevista unicamente l'indennità per ritiro raccomandate, nella misura pacificamente riconosciuta nelle buste paga (0,63 per abitazione); "a partire dal rinnovo del CCNL avvenuto con decorrenza dal gennaio 2020, le tabelle delle indennità hanno introdotto una nuova voce relativa all'indennità per il ritiro raccomandate e pacchi stabilita per i condomini ad uso prevalente abitativo pari ad Euro 1,00 per unità immobiliare, somma regolarmente riconosciuta al ricorrente"; -è altresì infondata la richiesta di differenze retributive a causa del mancato computo di alcune voci indennitarie nella 13A mensilità, nel TFR e in occasione delle ferie e permessi: analizzando le buste paga, se ne trae conferma che, "anche nel periodo in cui alcune voci indennitarie sono state inserite nella c.d. 'parte bassa' della busta paga, le somme corrisposto a tale titolo erano ricomprese nella base imponibile del TFR, venivano corrisposte integralmente anche nei mesi in cui il ricorrente ha usufruito di ferie e/o permessi ed infine in occasione dell'erogazione della 13A mensilità la somma corrisposta veniva integrata di un importo denominato 'indennità per tredicesima' pari a quanto maturato a tale titolo". La causa è stata istruita documentalmente. E' stata poi discussa oralmente dai difensori delle parti, che hanno infine insistito nelle conclusioni di cui ai rispettivi atti. Nell'udienza del 12.4.2024, la vertenza è stata decisa come da dispositivo, di cui è stata data lettura. 2. Iniziando ad esaminare le questioni relative licenziamento, deve osservarsi che il ricorrente ne deduce la nullità o, comunque, l'invalidità, innanzitutto perché intimato dall'Amministratore senza l'autorizzazione dell'assemblea dei condomini, essendo inesistente, ovvero viziata, la delibera (di "soppressione del servizio di portineria") indicata nell'atto di recesso. Quindi, perché "discriminatorio, ovvero in frode alla legge". 3. L'esistenza della delibera dell'assemblea condominiale straordinaria, con cui è stata decisa la soppressione del servizio di portineria, è stata provata dal convenuto, che ha prodotto sub doc. 13 il relativo verbale, nel quale la decisione sul 1° punto dell'o.d.g., relativo alla "Dismissione servizio di portierato", risulta presa con la maggioranza di 19 voti (contro 13 contrari) e 633,351 millesimi (contro 321,69 contrari). Nel verbale si indica, quindi, che "L'assemblea, con m/m e 19 condomini su 32 presenti, delibera di dismettere il servizio di portierato incaricando l'amministratore di sentire il Consulente del lavoro per tutti gli adempimenti necessari ad ottenere quanto oggi deliberato". Con la produzione della delibera, è stata provata anche l'attribuzione all'Amministratore dei poteri per provvedere al licenziamento. Come da verbale d'udienza dell'11.3.2024, il difensore del ricorrente ha poi chiesto al Tribunale, nel corso del giudizio, di "... acquisire i rendiconti e i consuntivi degli ultimi due esercizi al fine di verificare se ed eventualmente con quanti millesimi i condomini (...) abbiano partecipato alle spese di portineria". Ha insistito, quindi, "... nella domanda relativa all'accertamento. (della) illegittimità/annullabilità della delibera assembleare del 15.2.23 ove i condomini (...) partecipavano all'assemblea con 127 millesimi e votavano sempre in forza di 127 millesimi il primo punto 'dismissione del portierato', laddove risulterebbe dal secondo punto che gli stessi dovevano eventualmente votare con 44 o 65 millesimi anziché 127. Da qui l'annullabilità dell'intera delibera in ordine al punto 1 e conseguentemente il profilarsi di nullità o illegittimità di tutti gli atti conseguenti e presupposti, tra cui l'intimazione del licenziamento". 3.1. Tuttavia, il vizio dell'annullabilità del negozio giuridico, secondo la disciplina generale di cui al codice civile (art. 1441 c.c., in materia di contratti, applicabile, ex art. 1324 c.c., anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale), può essere fatto valere (non, come quello di nullità, da chiunque vi abbia interesse), ma (solo) da colui nel cui interesse sia previsto dalla legge. E non può essere rilevato d'ufficio (a differenza della nullità). Nella disciplina del condominio, ai sensi dell'art. 1137 c.c., le deliberazioni dell'assemblea condominiale possono essere annullate solo dietro richiesta dei condomini assenti o dissenzienti. Secondo le indicazioni delle SS.UU. della Suprema Corte, "l'azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., come modificato dall'art. 15 della l. n. 220 del 2012, mentre la categoria della nullità ha un'estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell'oggetto in senso materiale o giuridico - quest'ultima da valutarsi in relazione al "difetto assoluto di attribuzioni" -, contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all'ordine pubblico" o al "buon costume". Pertanto, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell'assemblea previste dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell'esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c." (Cass. Sez. Un. n. 9839/2021). Non solo. Secondo le SS.UU. la disposizione dell'art. 1137, secondo comma, c.c., "... descrive il "modello legal-tipico" tramite il quale l'annullabilità della deliberazione assembleare può essere dedotta dinanzi al giudice: tale modello è quello dell'azione di impugnativa, da esercitare mediante la proposizione di apposita domanda giudiziale. Ciò vuoi dire che l'annullabilità della deliberazione assembleare può essere fatta valere in giudizio soltanto attraverso l'esercizio dell'azione di annullamento; tale azione deve estrinsecarsi in una domanda che può essere proposta "in via principale", nell'ambito di autonomo giudizio, oppure "in via riconvenzionale", anche nell'ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, sempreché il termine per l'esercizio dell'azione di annullamento non sia perento... 5.2.1. - In primo luogo, occorre chiedersi se l'annullabilità della deliberazione assembleare possa essere fatta valere, oltre che in via di azione, anche in via di eccezione, come è consentito per l'annullabilità relativa ai contratti (art. 1442, ultimo comma, cod. civ.). Per trovare risposta a tale quesito, è necessario muovere dal considerare la ratio della norma di cui all'art. 1137 cod. civ., ratio che va rinvenuta nella esigenza di assicurare certezza e stabilità ai rapporti condominiali, di modo che l'ente condominiale sia in grado di conseguire in concreto la sua istituzionale finalità, che è quella della conservazione e della gestione delle cose comuni nell'interesse della collettività dei partecipanti. Questa ratio legis spiega perché il legislatore, per un verso, ha stabilito che le deliberazioni adottate dall'assemblea "sono obbligatorie per tutti i condomini" (art. 1137, primo comma, cod. civ.), anche per gli assenti e per i dissenzienti, e, per altro verso, ha sancito il principio dell'esecutività delle deliberazioni dell'assemblea... Quanto detto impone di interpretare l'art. 1137, secondo comma, cod. civ., nel senso che l'annullabilità della deliberazione non può essere dedotta in via di eccezione, ma solo "in via di azione", ossia nella sola forma che consente una pronuncia di annullamento con efficacia nei confronti di tutti i condomini" (Cass. Sez. Un. n. 9839/2021, cit.). Pertanto, parte ricorrente non è certamente legittimata a far valere l'eventuale vizio d'annullabilità da essa invocato, potendolo solo, con domanda giudiziale d'annullamento, uno dei condomini assenti o dissenzienti. D'altra parte, anche "(q)ualora un servizio condominiale (nella specie: portierato) sia previsto nel regolamento di condominio, la sua soppressione comporta una modificazione del regolamento che deve essere approvata dall'assemblea con la maggioranza stabilita dall'art. 1136 comma secondo cod. civ. (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio) richiamato dall'art. 1138 comma terzo" (Cass. n. 3708/1995; conf. Cass. n. 5400/1997 e n. 12481/2002). Condizione nella specie raggiunta. Non si comprende, dunque, quale utilità potrebbe avere acquisire le tabelle di riparto delle spese concernenti la portineria, atteso che ciò che rileva, ai fini dei poteri deliberativi, è il valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell'intero edificio (v. Cass. n. 32569/2023). Per questo, la richiesta istruttoria attrice non è stata accolta. 3.2. Parte ricorrente, nel corso del giudizio, non ha ribadito le difese (peraltro assolutamente generiche) di cui al ricorso, in merito alla (asserita) nullità della delibera condominiale. Nell'atto introduttivo, il riferimento alla frode alla legge riguarda piuttosto il recesso datoriale. Vale comunque, ad escludere l'esistenza della frode, quanto si dirà nel seguito circa la carenza di elementi probatori che consentano di ritenere la delibera de qua conseguenza della situazione familiare del lavoratore e della disabilità del di lui figlio. Altre possibili ragioni di nullità della delibera non sono emerse in corso di giudizio. 4. Venendo all'aspetto della discriminatorietà del licenziamento, deve osservarsi innanzitutto che nelle difese attrici si delinea un'ipotesi di discriminazione diretta, in relazione al fattore di rischio costituito dalla condizione di disabilità (o handicap, che dir si voglia), non del lavoratore, ma di suo figlio (...). Può ritenersi pacifico, tra le parti, che quest'ultimo sia persona disabile, nei termini di cui all'art. 15 st. lav., innanzitutto a causa delle sue affezioni psichiche. Non sembra dubitabile che la tutela a fronte di detto fattore di rischio si estenda alla c.d. "discriminazione associata", che sussiste quando la disabilità riguarda non il lavoratore, ma una persona in stretto rapporto con questi. La tesi trova conferma nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui "... è indubbio... che la discriminazione possa rivolgersi anche verso persone diverse da quella interessata dal fattore di protezione e che essa ciononostante rilevi se finisca per comportare un trattamento sfavorevole quale effetto della situazione differenziale da proteggere: v. Corte di Giustizia 17 luglio 2008, n. 3030, (...) proprio in tema di discriminazione di genitori a causa della disabilità del figlio" (Cass. n. 24206/2020). Dunque, quanto meno astrattamente, l'odierno ricorrente può trovare tutela nella disciplina antidiscriminatoria, a fronte di un trattamento deteriore subito a cagione della disabilità del figlio, convivente presso l'alloggio condominiale in uso. E' ormai comunemente riconosciuto che "(l)a nullità del licenziamento discriminatorio discende direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno, quali l'art. 4 della l. n. 604 del 1966, l'art. 15 st. lav. e l'art. 3 della l. n. 108 del 1990, nonché di diritto europeo, quali quelle contenute nella direttiva n. 76/207/CEE sulle discriminazioni di genere... "; onde la fattispecie si differenzia dall'ipotesi del licenziamento ritorsivo, e "... non è necessaria la sussistenza di un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c...." (Cass. n. 6575/2016, secondo cui, inoltre e per le medesime ragioni, "... la natura discriminatoria (non)può essere esclusa dalla concorrenza di un'altra finalità, pur legittima, quale il motivo economico"). Secondo la S.C., "... affinché si verifichi una "discriminazione diretta", occorre che la condotta antidiscriminatoria abbia dato luogo a un trattamento svantaggioso per una persona: essa si configura quando, sulla base di uno dei motivi vietati, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una posizione analoga. (...) Ora, è vero che il profilo soggettivo (dolo o colpa) nell'illecito discriminatorio non rileva, anche per il solo fatto della previsione di una risarcibilità del danno in presenza di una "discriminazione indiretta" - fattispecie ove una disposizione, un criterio, una prassi, di apparente neutralità, creano, in realtà, una discriminazione - cosicché devono ritenersi illeciti discriminatori tutte quelle condotte che, pur se prive delle caratteristiche di rimproverabilità e colpevolezza, siano produttive di una situazione di svantaggio per quei soggetti recanti determinate caratteristiche personali... La questione è quindi quella di verificare cosa occorra per integrare una condotta "oggettivamente discriminatoria". In generale, si riconosce che caratteristica determinante dell'illecito sia quella di creare un effetto di ingiustificata diseguaglianza, in quanto conseguenza immediata, diretta ed esclusiva di una determinata caratteristica della persona, che sia stata ritenuta rilevante dall'ordinamento come "fattore di rischio". A fronte di indizi offerti dall'attore in giudizio in ordine ad un tale trattamento deteriore collegabile ad un suo fattore di rischio, fonte di diseguaglianza, comportamento che si presume discriminatorio, il convenuto dovrà offrire elementi in grado di far acclarare l'insussistenza del fatto presunto a lui contestato, cioè la discriminazione, in quanto la medesima scelta sarebbe stata operata nei confronti di qualsiasi altra persona, che si fosse trovata nella stessa posizione. (...) E' stato evidenziato (cfr. Cass. 23338/2018, Cass. 1/2020), in ambito di controversie di lavoro, che le direttive in materia (quali quelle nn. 2000/78, così come le nn. 2006/54 e 2000/43), come interpretate della Corte di Giustizia, ed i decreti legislativi di recepimento impongono l'introduzione di un meccanismo di agevolazione probatoria o alleggerimento del carico probatorio gravante sull'attore, prevedendo che questi alleghi e dimostri circostanze di fatto dalle quali possa desumersi per inferenza che la discriminazione abbia avuto luogo, per far scattare l'onere per il convenuto di dimostrare l'insussistenza della discriminazione (cfr. Cass. n. 14206 del 2013, in materia di discriminazione di genere; Cass. 255432018, in ambito di discriminazione nel rapporto di lavoro)" (Cass. n. 7415/2022). Il fatto che, "... nel caso di discriminazione diretta la disparità di trattamento è determinata dalla condotta, nel caso di discriminazione indiretta la disparità vietata è l'effetto di un atto, di un patto, di una disposizione, di una prassi in sé legittima... (comporta) che, essendo diversi i presupposti di fatto e, conseguentemente, le allegazioni che devono sorreggere le rispettive azioni, viola il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice che senza una specifica richiesta, ed in mancanza di specifiche allegazioni, pur nell'identità del "petitum", muti la "causa petendi" e qualifichi come diretta la discriminazione indiretta prospettata dalla parte" (Cass. n. 20204/2019). Nella specie, dunque, occorre verificare se il licenziamento de quo abbia dato luogo a discriminazione diretta, in quanto conseguenza immediata e diretta della condizione di disabilità del figlio del lavoratore. Parte ricorrente può beneficiare della menzionata "attenuazione" del proprio onere probatorio, cosicché, ai sensi dell'art. 4 l. 125/1991 e, oggi, dell'art. 28 D.Lgs. 150/2011, "... può limitarsi a fornire elementi di fatto... idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti o comportamenti discriminatori, spettando in tal caso al convenuto l'onere della prova sulla insussistenza della discriminazione" (Cass. n. 6575/2016, cit.). A ben vedere, la prospettazione attrice, in punto discriminatorietà del licenziamento, risulta ellittica, quanto meno una volta esclusa la pur dedotta "inesistenza" della delibera condominiale. Infatti, a fronte della decisione dell'assemblea di abolire il servizio di portineria, qualunque lavoratore con mansioni di portiere sarebbe stato licenziato, indipendentemente dal fattore di rischio. Dunque, l'invocata natura discriminatoria della "condotta" del (...) deve ritenersi (implicitamente) riferita, nella tesi attrice, alla decisione stessa di abolire il servizio. Né, peraltro, è stato dedotto dal ricorrente che il CONDOMINIO non intenda, in realtà, abolire la portineria (se non attraverso le difese - come visto infondate - in merito all'inesistenza della delibera dell'assemblea condominiale). Occorre verificare, allora, se gli indizi allegati dal ricorrente a sostegno di detta tesi risultino precisi e concordanti; in caso positivo, se il (...) abbia offerto la prova dell'insussistenza della discriminazione. Secondo i principi generali, perché le presunzioni semplici abbiano valore giuridico, ". è necessario che gli elementi presi in considerazione siano gravi, precisi e concordanti, ovvero devono essere tali da lasciar apparire l'esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione tra i fatti accertati e quelli ignoti secondo le regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità, senza che sia consentito al giudice, in mancanza di un fatto noto, fare riferimento ad un fatto presunto e far derivare da questo un'altra presunzione" (Cass. n. 14115/2006). Nella specie, può prescindersi dal requisito della gravità, ma non da quelli della precisione e della concordanza. Mentre "... il requisito della gravità è ravvisabile per il grado di convincimento che ciascun d'essi è idoneo a produrre ed, a tal fine, è necessario che l'esistenza del fatto ignoto sia allegato e dimostrato come dotato di ragionevole certezza, se pure probabilistica; il requisito della precisione impone che i fatti noti, dai quali muove il ragionamento probabilistico, e l'iter logico nel ragionamento stesso seguito non siano vaghi ma ben determinati nella loro realtà storica; in fine, il requisito, unificante, della concordanza richiede che il fatto ignoto sia desunto, salvo l'eccezionale caso d'un singolo elemento di gravità e precisione tali da essere di per sè solo esaustivamente ed incontrovertibilmente significativo, da una pluralità di fatti noti gravi e precisi univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza" (Cass. 19601/2004, ex pluribus). 4.1. Il ricorrente ha dedotto, invero piuttosto genericamente, alcune circostanze, per sostenere la propria tesi. Ha indicato in ricorso, in particolare, che: -il proprio figlio è "motivo di imbarazzo e fastidio per alcuno (dei) condomini"; -"molti condomini... erano infastiditi dal comportamento di (...) che dava spesso in escandescenze, alcuni riferivano di aver paura del ragazzo; altri si lamentavano dell'intervento dell'ambulanza o della polizia quando il ragazzo aggrediva il padre o rompeva mobili e suppellettili in casa, urlando e scagliandosi contro il padre"; -"i problemi famigliari del ricorrente sono sempre stati discussi nelle assemblee condominiali degli ultimi 2-3 anni dove molti condomini e l'amm.re (...) erano decisi a far dimettere il ricorrente o a trovare il modo per licenziare il sig. (...) a causa dei problemi di salute del figlio"; -"nel tempo aumentava il malumore di alcuni condomini tra cui la sig.ra (...) (ora ex condomina); quest'ultima era una tra le persone che cercava(no) di raccogliere i consensi, anche andando porta per porta a bussare ai vicini, perché non voleva che il sig. (...) e il figlio continuassero ad abitare nell'alloggio condominiale a causa delle scenate di rabbia del ragazzo"; -"nel corso dell'anno 2021 o 2022, la sig.ra (...) si era poi litigata con la sig.ra (...), perché quest'ultima aveva votato contro in assemblea nella votazione per il licenziamento del ricorrente"; -"di queste problematiche e doglianze si è fatto portavoce lo stesso Amministratore del Condominio, sig. (...) con lo stesso ricorrente in numerose occasioni, quando si recava nello stabile"; -"nel tempo lo stesso amm.re dott. (...) contattava telefonicamente la Dott.ssa (...) (medico del CSM che aveva in cura (...), presentandosi correttamente come l'amministratore del condominio ove stava lavorando il padre del paziente e chiedendo informazioni sullo stato di salute di (...) (ovviamente la dott.ssa (...) ascoltava senza commentare stante il segreto professionale). In occasione della conversazione telefonica, il dott. (...) riferiva alla dott.ssa (...) che molti condomini erano preoccupati per la condizione di salute del ragazzo, avvezzo a frequenti scatti d'ira, "scenate per strada" e davanti al portone e talvolta era dovuta (intervenire) la polizia"; -"la Dott.ssa (...) riceveva anche altre telefonate, questa volta direttamente da alcuni condomini che si lamentavano con il CSM spiegando che il ragazzo (...) creava problemi, era violento e irascibile, picchiava il padre e rompeva 'tutto' e molti condomini non lo volevano più lì"; -le contestazioni disciplinari di cui è stato destinatario, sono state utilizzate "come spinta ad esasperare il ricorrente per indurlo a dimettersi". Al fine di valutare dette deduzioni in fatto, occorre premettere che sono pacifici i comportamenti cui purtroppo il sig. (...) è indotto dalla malattia, talvolta violenti, in particolare nei confronti dei familiari, ma non solo, che hanno anche richiesto interventi della Forza pubblica e dei sanitari presso l'alloggio condominiale. Nella relazione del D.S.M. Asl 3, datata 31.8.2023 (doc. 11 ric.) si fa riferimento al "discontrollo degli impulsi (che) negli ultimi anni è andato configurandosi con tendenza alla disforia ed a reazioni aggressive circoscritte alle relazione familiari (con il padre, la nonna paterna) e sentimentali". A fronte di ciò, "la terapia prescritta, anche in forma depot, si è sempre dimostrata inefficace". Si accenna anche ad una relazione disfunzionale del paziente con una ragazza, a propria volta seguita dal S.S.M., ai cui comportamenti "manipolativi" il ragazzo "non sapeva opporsi se non in modo aggressivo e disforico". Ancora, vi si legge: "frequenti i diverbi anche per strada con comportamento aggressivo da parte del paziente ed intervento delle Forze dell'Ordine, frequenti le discussioni in casa, con momenti di grave agitazione psicomotoria, rotture di oggetti, discomportamentismi ed urla da parte di (...) che hanno creato disturbo ed insofferenza nei condomini tale da minacciare il licenziamento del padre (che è portinaio) e di conseguenza la perdita sia del lavoro che dell'alloggio. Il paziente, presumibilmente a causa dell'intenzione della curante di ricorrere ad un inserimento in comunità, ha interrotto nel luglio 2021 i rapporti con il servizio in accordo con il padre e per lungo tempo. Recentemente ha ripreso spontaneamente contatto con richiesta di aiuto, ma dopo brevissimo tempo si è rifiutato di venire ai colloqui e ha manifestato una sintomatologia a carattere persecutorio tale da essere ricoverato in ambito psichiatrico all'Osp. (...) e successivamente al (...). Anche dopo la dimissione il paziente si rifiuta di venire in servizio e di assumere qualsiasi terapia, al momento i contatti sono tenuti con la nonna che riferisce sull'andamento del quadro clinico, attualmente stabile". Ancora nell'udienza dell'8.4.2024 il ricorrente ha riferito che il figlio, dalla sera precedente, era ricoverato volontariamente (avendo accettato il ricovero) presso l'Ospedale Villa Scassi, a seguito di atteggiamenti incongrui e potenzialmente pericolosi nei confronti della nonna, per cui era stato necessario l'intervento della Guardia medica, richiesto tramite il 112. Non sembra che l'"attenzione" per i comportamenti del sig. (...), da parte dell'Amministratore e/o dei condomini, si sia concretizzata, nella stessa prospettazione attrice, (a) in fatti storici ben individuati, inoltre (b) interpretabili quali indici d'insofferenza verso padre e figlio e verso la loro presenza nel CONDOMINIO, nonché della volontà di estrometterli attraverso l'eliminazione del servizio, con conseguente licenziamento del portiere. 4.1.1. Sotto il primo aspetto, nessuna circostanza specifica, relativa ai condomini, cioè a coloro che hanno deciso la soppressione della portineria, è stata indicata dal ricorrente, che pure conosce, quanto meno, i condomini che abitano e/o lavorano nello stabile. Fa eccezione il riferimento alla sig.ra (...) della quale si afferma in ricorso che cercava di "raccogliere i consensi" degli alti condomini, su una soluzione (non meglio specificata) che "impedisse che il sig. (...) e il figlio continuassero ad abitare nell'alloggio condominiale a causa delle scenate di rabbia del ragazzo" (soluzione di per sé compatibile con iniziative diverse dall'abolizione del servizio e dal licenziamento del lavoratore). Si aggiunge, nell'atto introduttivo, che nel 2021 o nel 2022 la sig.ra (...) avrebbe litigato con altra condomina, sig.ra (...) "perché quest'ultima aveva votato contro in assemblea nella votazione per il licenziamento del ricorrente". In sede di libero interrogatorio si è cercato, dunque, di approfondire il tema relativo ai comportamenti dei condomini. I chiarimenti ottenuti hanno reso ancor più sfumate le circostanze prospettate nell'atto introduttivo e più labili i collegamenti tra esse e la situazione familiare del ricorrente. Il lavoratore, interpellato in merito, ha riferito infatti: "alcuni condomini mi hanno attaccato, in particolare per le situazioni relative a mio figlio e non solo"; "mi ha attaccato la sig.ra (...) cui non andava bene niente. Ad esempio se la caldaia non funzionava, me ne chiedeva conto e poi non credeva che avessi contattato il manutentore, ma affermava di averlo fatto lei. Per quanto riguarda i comportamenti di mio figlio, la (...) a volte mi diceva di aver sentito un po' di trambusto. Immagino che di tale situazione si lamentasse con l'amministratore e non direttamente con me. Infatti venivo chiamato dall'amministratore. L'amministratore ha ricevuto le lamentele della (...) relative alla caldaia, penso, perché poi me ne ha parlato"; "una volta sig.ra (...) altra condomina, si è lamentata con me perché a suo dire il cucciolo di cane che avevo preso per mio figlio, disturbava, guaendo. L'indomani è passato l'amministratore il quale educatamente mi ha detto che gli avevano riferito che il cane abbaiava. Io gli ho fatto notare che era solo un cucciolo e che se faceva un po' di rumore, ciò avveniva solo di giorno"; "alcuni condomini si sono lamentati per il fatto che il cucciolo si reca spesso dai vicini, passando per il cavedio. Il cane l'ho preso 3 anni fa. I vicini presso i quali si reca ne sono ben contenti e lo fanno giocare con il bambino. Si occupano loro di pulire dagli escrementi la loro parte di cavedio, che è delimitata da sbarre di ferro"; "la (...) mi rinfacciava spesso che io non adempievo correttamente ai miei doveri e che avrei dovuto riavviare la caldaia quando andava in blocco. Io l'ho fatto qualche volta, ma poi mi sono rifiutato perché lo ritenevo pericoloso e non mi ritenevo obbligato a farlo"; "l'amministratore mi ha riferito delle lamentele riguardo la caldaia ma non mi ha mai detto espressamente di occuparmene. È stata poi convocata un'assemblea che credo abbia deciso che non sia di mia competenza". Insomma, non sono emersi, (neppure) in libero interrogatorio, episodi specifici legati al fattore di rischio, ascrivibili a soggetti ben individuati; i fatti narrati sono stati ricollegati dallo stesso attore a motivi di "scontento" spesso diversi. Perfino le "lamentele" della sig.ra (...) concernenti i "comportamenti" del sig. (...), si limitano, nel racconto, ad un riferimento a un po' di "trambusto". A ben vedere, è stato più diretto e incisivo l'Amministratore del (...), che in sede di libero interrogatorio ha riferito che "la sig.ra (...) era consigliera del condominio e si è lamentata con... (lui) in diverse occasioni del ricorrente, principalmente per questioni relative al lavoro di quest'ultimo, ma talvolta anche per gli aspetti familiari". 4.1.2. Quanto fin qui osservato si riflette anche sul secondo aspetto in disamina, in quanto il ragionamento probabilistico (circa il collegamento tra la situazione familiare del ricorrente e la decisione dei condomini di abolire il servizio di portineria) risulta, in conseguenza, piuttosto vago: non emergono episodi di grave ed evidente insofferenza o di particolare timore da parte dei condomini, fermo restando che, alla luce di quanto premesso, qualche preoccupazione (per una situazione di salute e familiare davvero complicata, tale per cui i comportamenti disforici e inadeguati del sig. (...), connessi alla patologia, non si manifestavano neppure nel solo ambito domestico - v. supra), ben può comprendersi, anche da parte dell'Amministratore. Comunque, siccome la decisione di abolire il servizio di portineria non è ascrivibile all'Amministratore, le "preoccupazioni" dello stesso potrebbero al più rilevare quale indizio delle sollecitazioni ricevute dai condomini, fermo restando, però, che il giudice non può basare il proprio convincimento su una praesumptio de paesumpto. Neppure sono stati evidenziati o sono comunque emersi, richieste o tentativi di indurre il lavoratore a rinunciare all'alloggio, ovvero tentativi (infruttuosi) di licenziare il ricorrente a prescindere dall'abolizione del servizio. Si è già osservato, inoltre, come non siano state concretamente e specificamente prospettate la natura fittizia o simulata della delibera in questione e, quindi, l'inesistenza della volontà del (...) di rinunciare effettivamente alla portineria. Nell'accennata relazione del S.S.M. la curante, dopo aver descritto i diverbi, i comportamenti aggressivi, gli episodi di grave agitazione psicomotoria del paziente (...) (...), osserva che essi "hanno creato disturbo ed insofferenza nei condomini tale da minacciare il licenziamento del padre (che è portinaio) e di conseguenza la perdita sia del lavoro che dell'alloggio". Per la verità, al momento della redazione della relazione medica, il ricorrente era già stato licenziato (seppure con preavviso) a seguito della più volte citata delibera condominiale di abolizione del servizio. Nella relazione non si accenna a segnalazioni dirette da parte dei condomini, benché siano di competenza del Servizio (che può all'uopo avvalersi, tra l'altro, della professionalità degli assistenti sociali e degli educatori) le valutazioni in merito all'adeguatezza del contesto ambientale e socio-familiare del paziente e ai connessi pericoli, anche per i terzi. Infatti, "(i)l medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia che comprende un obbligo di controllo e di protezione del paziente, diretto a prevenire il pericolo di commissione di atti lesivi ai danni di terzi e di comportamenti pregiudizievoli per se stesso" (Cass. pen. n. 43476/2017). Che lo stesso S.S.M. ritenesse inadeguato il contesto di vita del sig. (...) è confermato, seppure indirettamente, dalla proposta (non accettata) d'inserimento in comunità terapeutica, cosicché eventuali "preoccupazioni" manifestate da condomini e Amministratore non sembrerebbero né ingiustificate, né estranee a finalità di tutela del "paziente" e della sua famiglia, oltre che altrui. Se ne deve trarre altresì che le indicazioni del sanitario (finalizzate alla promozione dell'inserimento in comunità) sono derivate da quanto appreso dai familiari del sig. (...) (...) e quindi, nel periodo più recente, dalla nonna. Il paziente, infatti, "d'accordo con il padre", ha interrotto per lungo tempo (a partire dal luglio 2021) i contatti con il S.S.M., che sono ripresi solo di recente e nel cui ambito la sola fonte di aggiornamento dalla parte del paziente risiede nei colloqui con la (anziana) nonna dello stesso (madre dell'odierno ricorrente), evidentemente informata solo per sommi capi della situazione lavorativa del proprio figlio. Del resto, dei litigi e dei comportamenti del sig. (...) nel contesto familiare difficilmente potrebbero avere riferito altre persone. Per altro verso, poiché neppure in sede di libero interrogatorio il ricorrente ha delineato rilevanti condotte dei condomini, indicative d'insofferenza e della volontà di licenziarlo a causa dei problemi del figlio, è ben difficile ipotizzare che egli ne abbia riferito al S.S.M. Ma i timori o i sospetti dei familiari del sig. (...) non possono costituire indizi "precisi". Può avere inciso, altresì, sulle indicazioni della curante, la conversazione con l'Amministratore del (...), probabilmente risalente a qualche anno prima (ne ha riferito l'Amministratore in libero interrogatorio, affermando: "ho contattato il curante presso il SSM del figlio del ricorrente perché ero preoccupato della situazione, che mi sembrava piuttosto complicata. Ero stato informato di un intervento dei sanitari e dei Carabinieri in occasione di un momento di difficoltà del figlio del ricorrente"). Come già accennato, tuttavia, tale iniziativa dell'Amministratore, soggetto non competente a deliberare, non costituisce indizio preciso della volontà dei condomini (rectius di alcuni di essi) di estromettere il ricorrente e il figlio per il tramite dell'abolizione della portineria. Comunque, le circostanze non indicano in modo chiaro che l'attenzione dell'Amministratore ed eventualmente dei condomini, per la situazione del sig. (...) (...), sia stata ispirata da finalità diverse da quelle che avrebbero mosso gli stessi soggetti a fronte di un condomino, un inquilino o un loro familiare, nella medesima condizione. E neppure che vi fosse, al momento della delibera assembleare, un significativo e diffuso livello di preoccupazione, tale da determinare i condomini a scelte "estreme". 4.2. Per quanto riguarda le contestazioni disciplinari, deve osservarsi che concernono formalmente condotte del lavoratore non connesse all'assistenza del figlio e alla situazione di questi, che una è addirittura successiva all'intimazione del licenziamento con preavviso (quando, nell'ottica attrice, il "risultato" voluto da controparte era ormai conseguito, anche se con decorrenza differita) e che ad esse non ha fatto seguito l'irrogazione di alcun tipo di sanzione disciplinare. Non sembra, dunque, che esse possano assumere il necessario valore indiziario e, tanto meno, che siano state utilizzate "come spinta ad esasperare il ricorrente per indurlo a dimettersi". Non per numero e frequenza (si tratta di due contestazioni, l'una a distanza di circa nove mesi dall'altra) e neppure per conseguenze (nessuna ne è derivata, all'esito delle giustificazioni). Certamente, non emerge alcun interesse del ricorrente ad impugnare le dette contestazioni. 4.3. Insomma, gli unici indizi dotati di una qualche precisione, circa il possibile nesso tra la situazione di disabilità del figlio convivente del ricorrente e la decisione condominiale di abolire la portineria (in quanto strumentale all'estromissione del portiere e del figlio dall'alloggio), potrebbero desumersi, al più, dal comportamento della condomina (...) quale riferito dall'Amministratore (farebbe comunque difetto una pluralità di indizi, concordanti). Deve ribadirsi, infatti, che la genericità delle deduzioni attrici non consentirebbe l'utile esperimento della prova testimoniale, il ricorso alla quale, invero, è stato escluso dalla stessa parte ricorrente, che ha ritenuto (al pari del convenuto) la causa sufficientemente istruita in relazione al licenziamento (v. verbali udienze 11.3.2024 e 8.4.2024). Il voto della predetta sig.ra (...) peraltro, non è stato decisivo in sede di adozione della delibera assembleare. Così stando le cose, non può ritenersi che la delibera sia stata conseguenza della condizione di rischio, proprio perché sarebbe stata adottata comunque, anche senza il voto della sig.ra (...) onde non emergono indizi precisi e concordanti dell'adozione di essa a causa della condizione di disabilità del sig. (...). 4.4. Gli elementi dedotti dal convenuto valgono ad indebolire ancor più il descritto quadro indiziario. Il (...), infatti, ha provato che le proposte e delibere in merito all'abolizione della portineria si sono susseguite a partire dal 2005 (mentre l'assunzione dell'odierno ricorrente risale al novembre 2017), senza che la proposta venisse approvata, ciò che è avvenuto solo il 15.2.2023. Insomma, la questione è stata oggetto di valutazione ripetutamente e per lunghi anni, indipendentemente dalla situazione familiare del ricorrente. Limitando l'analisi al periodo più recente, comunque anteriore all'assunzione del ricorrente, sono stati offerti in comunicazione i verbali delle assemblee condominiali del 16.6.2014 (votazione con millesimi 106,334 a favore soppressione); del 3.11.2016 (voti favorevoli alla soppressione 12, millesimi 309,396); del 13.12.2016 (nell'assemblea si è discusso nuovamente del tema, esaminando le contestazioni di un condomino circa il criterio di calcolo delle maggioranze necessarie per deliberare, adottato nella precedente assemblea, con conseguente rinvio di ogni decisione alla successiva assemblea del gennaio 2017); del 16.1.2017 (l'Amministratore vi ha riferito circa il parere legale riguardante il criterio di voto da adottare, onde l'assemblea ha adottato il "sistema capitario": ne sono risultati 9 voti favorevoli alla soppressione, 15 contrari); del 26.6.2017 (l'o.d.g. prevedeva nuovamente la "soppressione del servizio di portierato a modifica dell'attuale regolamento condominiale."; argomento la cui trattazione è stata rinviata all'esito dell'acquisizione di un parerepro veritate sulla natura contrattuale del regolamento condominiale). Parte convenuta ha altresì documentato e fatto constare, quanto alle delibere successive all'assunzione dell'odierno ricorrente, che l'assemblea del 30.6.2022 si è conclusa, ancora, con 15 voti contrari alla soppressione della portineria (442,097 mill.) e 7 favorevoli (169,449 mill.); quella del 15.2.2023, infine, ha approvato l'abolizione, con voto favorevole, per millesimi 633,351, di 19 condomini su 32; tra coloro che hanno votato per l'abolizione solo in tale ultima circostanza, cambiando opinione rispetto alla precedente assemblea, vi è tra l'altro (per delega) il condomino (...) con cui l'altra condomina (...) avrebbe "litigato", secondo parte attrice, perché il primo "aveva votato contro in assemblea nella votazione per il licenziamento del ricorrente". Se ne trae anche - a dimostrazione della non decisività del voto di (...) del 15.2.2023 - che (...) a espresso, peraltro per delega (cosicché neppure era presente e può avere svolto attività di proselitismo, almeno in quella sede), un solo voto, per millesimi 28,111. (...) rappresentata per delega anche nella precedente assemblea. Ancora, il contenzioso comprovato dal convenuto, relativo alla ripartizione delle spese per la portineria (v. doc. 14 conv., sentenza Tribunale di Genova del 2.1.2022, che ha escluso l'esistenza di un regolamento condominiale contrattuale atto a derogare alla disciplina codicistica ex art. 1123 c.c., in materia di riparto delle spese di portineria, fino ad allora effettuato "non proporzionalmente, bensì in misura fissa, e attribuendo una quota doppia per gli immobili adibiti ad ufficio") e atto a stravolgere gli oneri economici a carico dei singoli condomini, valutato unitamente al notorio mutamento delle condizioni socio economiche della zona ove il CONDOMINIO sorge e ai costi del servizio, offre riscontro di plausibili ragioni, alla base della deliberazione assembleare, estranee al fattore di rischio de quo. Tali elementi probatori vengono utilizzati, non per sostenere che il voto per l'abolizione della portineria sia stato determinato anche da ragioni economiche, ma per escludere, quanto meno guardando alla gran parte dei votanti a favore, che vi sia un nesso causale tra il loro voto e il fattore di rischio. 5. Sulla base degli stessi ragionamenti, può confutarsi la tesi, prospettata da parte attrice, della frode alla legge, a fronte di una decisione, in merito alla soppressione della portineria, che non è risultata strumentale e di un licenziamento che è ad essa conseguente. 6. Il ricorrente ha anche affermato che il licenziamento sarebbe "privo di giusta causa o giustificato motivo". L'esistenza di un'eventuale giusta causa non è mai stata invocata da controparte, che ha intimato il licenziamento (doc. 7 ric.) e si è difesa in giudizio, ricollegando il recesso all'abolizione della portineria. Che la soppressione del portierato possa dare luogo a giustificato motivo del licenziamento del portiere, è peraltro comunemente ritenuto in giurisprudenza (cfr. Cass. n. 15934/2020; Cass. n. 88/2002, secondo cui integra soppressione della posizione lavorativa del portiere, la decisione di rinunciare al servizio reso "secondo il modulo del rapporto di lavoro subordinato", pur a fronte della successiva reintroduzione in forme diverse; Cass. n. 14949/2009, secondo cui "il... licenziamento, intimato per intervenuta soppressione del posto di lavoro, è valido in quanto assistito da giustificato motivo oggettivo, la cui validità è contestata dal lavoratore, ma non può essere rimessa in discussione perché non risulta che la citata soppressione del posto non abbia avuto seguito."). Nella specie, come già osservato, non vi sono indici della non effettività della decisione condominiale di abolire il servizio di portineria (indici che conforterebbero, come pure indicato, la tesi attrice della strumentalità della decisione) ed è inoltre pacifico che non sussistano possibilità di "ripescaggio", trattandosi dell'unica posizione lavorativa del (...). Anche tale difesa attrice, pertanto, risulta infondata, a fronte di un licenziamento intimato per (effettivo) g.m.o. 7. Anche le domande relative alle differenze retributive possono essere decise allo stato degli atti e debbono essere respinte. Infatti, il ricorrente, molto sinceramente, ha riferito, in sede di libero interrogatorio: "io la mattina mi sveglio molto presto e quindi attorno alle 7 apro il portone. Si tratta di una mia iniziativa, non mi è mai stato chiesto, ma io mi annoio e non saprei cosa fare". Ne risulta evidente, dunque, che alcun tipo di richiesta in tal senso è mai stata rivolta al ricorrente e, d'altra parte, è ragionevole ritenere che l'Amministratore non avesse neppure contezza di tale circostanza. Ne consegue che alcun compenso per lavoro straordinario (svolto tra le 7 e le 8 del mattino) è dovuto al ricorrente. Tale conclusione, peraltro, deriva altresì dalle previsioni del CCNL pacificamente applicabile al rapporto, che riconosce ai portieri con alloggio il diritto alla retribuzione del solo lavoro straordinario domenicale, festivo e notturno, prevedendo invece, per le prestazioni diurne, il diritto al recupero (v. artt. 43, 45, 48 CCNL 2019, doc. 18 conv., e CCNL 2013, doc. 1 ric.). Del resto, ai sensi dell'art. 16 D.Lgs. n. 66/2003, dipende dalla disciplina di maggior favore stabilita dal singolo CCNL, ogni deroga all'esclusione dall'ambito di applicazione della disciplina della durata settimanale dell'orario di lavoro, delle "occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia elencate nella tabella approvata con regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657, e successive modificazioni ed integrazioni, alle condizioni ivi previste" (tabella che, al n. 3, prevede i "portinai"). E' pertanto consentita l'indicata regolamentazione, da parte del CCNL de quo, del lavoro straordinario diurno (che in assenza delle previsioni contrattuali collettive, non rileverebbe affatto). 7.1. Per quanto attiene alle indennità di apertura e/o chiusura del portone (art. 43.7 del CCNL e rinnovo), esse sono dovute solo se gli orari delle operazioni non coincidono (per disposizione datoriale) con l'inizio e il termine dell'orario di lavoro. Il fatto che l'orario di apertura del portone non coincidesse con quello d'inizio dell'attività lavorativa sarebbe dipeso, secondo la prospettazione del ricorrente (v. libero interrogatorio) - come già osservato - da una sua autonoma iniziativa, senza alcuna imposizione datoriale. Pertanto, l'indennità non può ritenersi dovuta. 7.2. Riguardo alle indennità relative al ritiro di raccomandate e pacchi, trova conferma, nelle produzioni documentali (docc. 1, 2, 3 ric.; docc. 16, 17, 18 conv.), quanto indicato dal convenuto nella propria memoria di costituzione, cioè che fino alla fine del 2019 era prevista dal CCNL vigente unicamente l'indennità per ritiro raccomandate, nella misura di euro 0,63 per condomino, nei condomini ad uso prevalentemente abitativo (uso che può ritenersi pacifico); solo il rinnovo, con decorrenza gennaio 2020, ha introdotto la nuova indennità per il ritiro di raccomandate e pacchi, pari ad euro 1,00 per unità immobiliare, nei condomini ad uso prevalente abitativo, corrisposta al ricorrente a partire dalla busta paga di febbraio 2020, con arretrati del mese precedente (euro 11,84) (v. doc. 6 ric.). 7.3. Infine, non trova alcun riscontro la circostanza, asserita dal ricorrente, peraltro in modo generico, secondo cui il "pagamento" delle varie indennità "nella voce competenze lorde mensili" ha comportato che di esse non si è tenuto conto ai fini del calcolo del TFR e degli istituti retributivi indiretti. Infatti, è agevole ricavare dalle buste paga agli atti (doc. 6 ric.) che la retribuzione utile per il calcolo del TFR, di cui alle stesse, comprende gl'importi di tutte le indennità riconosciute (indicate nell'ambito degli "elementi della retribuzione" o meno; è quest'ultimo il caso dell'indennità di reperibilità); altrettanto si desume dalle buste paga relative alla tredicesima mensilità, quest'ultima quantificata sulla base degli "elementi della retribuzione" e comprendente anche l'"indennità per tredicesima". Ne risulta, altresì, che le indennità sono state corrisposte, per intero, nei periodi di fruizione delle ferie. Il ricorso, pertanto, è totalmente infondato. 8. Le peculiarità della vicenda e la particolare novità della questione, sotto l'aspetto della valutazione della discriminatorietà di una delibera condominiale di abolizione del servizio di portineria con conseguente licenziamento del portiere, rendono equa l'integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa deduzione, eccezione e conclusione, respinge il ricorso; compensa integralmente, tra le parti, le spese di lite. Riserva il deposito della motivazione nel termine di giorni 60. Genova, il 12 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Bari Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del giudice designato Dott. (...) udienza del 22/04/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa lavoro di I grado iscritta al N. (...)/2023 R.G. promossa da: (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) giusta procura in atti RICORRENTE contro: (...) - (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) giusta procura in atti RESISTENTE Oggetto: Ricalcolo indennità per ferie MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto depositato il (...), il ricorrente, premesso di svolgere le mansioni di operatore di esercizio per conto della società convenuta, deduceva di aver sempre percepito in maniera continuativa retribuzione per diarie e trasferte, indennità domenicale, indennità di presenza aggiuntiva, indennità di agente unico, indennità turni di linea, indennità di rifornimento e infine indennità di supero nastro. Lamentava il ricorrente che nonostante il carattere fisso e comunque non occasionale di tali compensi, le stesse non erano state inserite nella retribuzione corrisposta a titolo di ferie. Concludeva perché fosse accertato il proprio diritto a vedere inclusi i predetti emolumenti nella base di calcolo della retribuzione corrisposta a titolo di ferie e per la condanna generica della resistente al pagamento in suo favore delle differenze tra quanto percepito e quanto avrebbe dovuto percepire ove fossero state inserite le voci sopra elencate nella base di calcolo della retribuzione corrisposta in costanza di ferie. Si costituiva la (...) s.p.a. la quale confutava in fatto e diritto quanto sostenuto dal ricorrente e concludeva per il rigetto del ricorso. In via preliminare va disattesa l'eccezione di inammissibilità della domanda del ricorrente per frazionamento del credito, dal momento che, come si evince dal ricorso nel giudizio RG (...)/21 il ricorrente aveva richiesto le differenze retributive a lui spettanti per il periodo dal 19.07.2012 al 31.12.2019, mentre con il presente ricorso il ricorrente richiede le differenze retributive maturate dal 20.7.2007 al 17.7.2012. Orbene, appare chiaro, come rilevato dalla difesa dell'istante, che la proposizione del presente giudizio è dipesa dal noto revirement giurisprudenziale, che ha avuto inizio con CASS. CIV., SEZ. LAV, 6.9.2022 n.26246, secondo cui "il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lgs n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro". Ne deriva che, solo a seguito di tale mutamento giurisprudenziale (successivo all'introduzione del primo giudizio RG (...)/21), il ricorrente ha potuto rivendicare, proponendo ulteriore ricorso, anche le differenze retributive non ancora prescritte al momento dell'entrata in vigore della l. n.92 del 2012, ovvero le differenze retributive successive al 20.7.2007. Ritiene lo scrivente in adesione a quanto già deciso dal Tribunale con altri (...) che la possibilità di rivendicare le differenze retributive dal 20.7.2007 al 17.7.2012, superando il preliminare ostacolo dell'intervenuta prescrizione, ed il relativo interesse giuridicamente rilevante a rivendicarle dalla (...) sono sorti per effetto e solo dopo il suddetto mutamento di giurisprudenza. Tanto premesso, il ricorso è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati. Ritiene lo scrivente di aderire all'orientamento della giurisprudenza di merito e della Corte di Cassazione che hanno riconosciute fondate le pretese in fattispecie del tutto sovrapponibili (cfr. sentenze depositate dal ricorrente nelle note conclusive). E difatti la Corte di cassazione ha ribadito che: "Il diritto del lavoratore a ferie retribuite trova una disciplina sia nel diritto interno (art. 36 Cost., comma 3: "Il lavoratore ha diritto... a ferie annuali retribuite"; art. 2109 c.c., comma 2: il prestatore di lavoro ha diritto "ad un periodo annuale di ferie retribuite"; D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10, ratione temporis applicabile: "... il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo... di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane"), sia in quello dell'(...) (art. 7 Direttiva n. 2003/88/CE). Con specifico riferimento alla disciplina (...) l'art. 7 della citata (...) intitolato "(...) annuali", stabilisce quanto segue: "1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinchè ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali...". Il diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite è peraltro espressamente sancito all'art. 31, n. 2, della (...) dei diritti fondamentali dell'(...) cui l'art. 6, n. 1 TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei trattati (sentenze dell'8 novembre 2012, (...) e (...) C-229/11 e C-230/11, punto 22; del 29 novembre 2017,(...)/16, punto 33, nonchè del 4 ottobre 2018, (...) C-12/17, punto 25). (...). 31 della (...) intitolato "(...) di lavoro giuste ed eque", per quanto qui maggiormente rileva, prevede che: "... 2. Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e ferie annuali retribuite". Il diritto alle ferie retribuite di almeno quattro settimane, secondo giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'(...) (sentenza del 20 luglio 2016, (...) C-341/15, punto 25 e giurisprudenza ivi citata); ad esso non si può derogare e la sua attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla (...) 2003/88 (v. sentenza del 12 giugno 2014, (...) C-118/13, punto 15 e giurisprudenza ivi citata). Più specificamente, secondo la (...) n. 88 del 2003, il beneficio (id est: il diritto) alle ferie annuali e quello all'ottenimento di un pagamento a tale titolo rappresentano due aspetti (id est: le due componenti) dell'unico diritto "a ferie annuali retribuite" (sentenze del 20 gennaio 2009, (...) e altri, C-350/06 e C-520/06, punto 60; del 15 settembre 2011, (...) e altri, C- 155/10, punto 26; del 13 dicembre 2018, causa (...) C-385/17, punto 24). Peraltro, dalla formulazione dell'art. 1, paragrafo 1 ("La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime...") e paragrafo 2, lettera a) ("ai periodi minimi di... ferie annuali"), dell'art. 7, paragrafo 1, nonchè dell'art. 15 della Direttiva n. 88 del 2003, si ricava, anche, come quest'ultima si limiti a fissare prescrizioni minime di sicurezza e salute in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, facendo salva la facoltà degli (...) membri di applicare disposizioni nazionali più favorevoli alla tutela dei lavoratori (sentenza cit. 13 dicembre 2018, causa (...) C-385/17, punto 30 e punto 31). Per ciò che riguarda, in particolare, "l'ottenimento di un pagamento" a titolo di ferie annuali, la Corte di Giustizia, sin dalla sentenza 16 marzo 2006, cause riunite C-131/04 e C-257/04, (...) e altri (punto 50), ha avuto occasione di precisare che l'espressione "ferie annuali retribuite", di cui all'art. 7, n. 1 della Direttiva n. 88 del 2003, intende significare che, per la durata delle ferie annuali, "deve essere mantenuta" la retribuzione; in altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo (negli stessi sensi, anche sentenza (...) 20 gennaio 2009 in C- 350/06 e C-520/06, (...) e altri, punto 58). (...) di monetizzare le ferie è volto a mettere il lavoratore, in occasione della fruizione delle stesse, in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro (v. sentenze citate (...) e altri, punto 58, nonchè (...) e altri, punto 60). Maggiori e più incisive precisazioni si rinvengono nella pronuncia della Corte di Giustizia 15 settembre 2011, causa C-155/10, (...) e altri (punto 21), dove si afferma che la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore e che una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dall'esercitare il diritto alle ferie sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'(...) In tale pronuncia, la Corte di Giustizia ha avuto modo di osservare come "sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per sè ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli (...) membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore... di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all'esercizio del suo lavoro" (v. sentenza (...) e altri cit., punto 23); pertanto "qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore ... deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell'ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali" (v. sentenza (...) e altri cit., punto 24); all'opposto, non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell'importo da versare durante le ferie annuali "gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell'espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro" (v. ancora sentenza (...) e altri cit., punto 25). Del pari, vanno mantenuti, durante le ferie annuali retribuite, gli elementi della retribuzione "correlati allo status personale e professionale" del lavoratore (v. sentenza (...) e altri cit., punto 28). Il delineato concetto di retribuzione, dovuta durante le ferie annuali, è confermato dalla successiva giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 22 maggio 2014, causa (...)/12, Z.J.R. Lock, punti 29, 30, 31); in tale pronuncia, quanto agli elementi correlati allo status personale e professionale, si precisa che tali possono essere quelli che si ricollegano alla qualità di superiore gerarchico, all'anzianità, alle qualifiche professionali (sentenza Z.J.R. Lock cit., punto 30). (...) stregua di tale nozione, è stata, per esempio, ritenuta contraria al diritto dell'(...) la non inclusione, nella retribuzione versata (recte nel pagamento da versare) ai lavoratori a titolo di ferie annuali, degli importi supplementari corrisposti ai piloti (...) in ragione delle ore di volo e/o del tempo trascorso fuori della (...) (sentenza (...) e altri cit.) ovvero del compenso variabile rappresentato da provvigioni sul fatturato realizzato (sentenza Z.J.R. Lock cit.), così come la previsione, per contratto collettivo, di una riduzione della "indennità per ferie retribuite" derivante da una situazione di disoccupazione parziale, nel periodo temporale di riferimento (sentenza (...) cit.). In definitiva può, dunque, affermarsi che sussiste una nozione (...) di "retribuzione" dovuta al lavoratore durante il periodo di ferie annuali, fissata dall'art. 7 della Direttiva 2003/88, come sopra interpretato dalla Corte di Giustizia. ? Resta da osservare che - come più volte ribadito da questa Corte di legittimità (Cass. n. 22577/2012 e giurisprudenza ivi richiamata) - l'interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia, interprete qualificata del diritto UE, ha efficacia ultra partes, sicchè alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, va attribuito "il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della (...) In modo conforme al diritto dell'(...) deve essere interpretata la normativa interna laddove riconosce il diritto del prestatore di lavoro a "ferie retribuite" nella misura minima di quattro settimane, senza, tuttavia, recare una specifica definizione di retribuzione. A tale riguardo, deve allora osservarsi come sia compito del giudice di merito valutare, in primo luogo, il rapporto di funzionalità (id est: il nesso intrinseco, v. sentenza (...) 15 settembre 2011, (...) e a., C- 155/10, cit., punto 26) che intercorre tra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva del lavoratore e le mansioni ad esso affidate in ossequio al suo contratto di lavoro e, dall'altro, interpretate ed applicate le norme pertinenti del diritto interno conformemente al diritto dell'(...) verificare se la retribuzione corrisposta al lavoratore, durante il periodo minimo di ferie annuali, sia corrispondente a quella fissata, con carattere imperativo ed incondizionato, dall'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE. Sulla scorta dei principi sopra riassunti, affinché una voce retributiva possa essere inclusa nella base di calcolo della retribuzione spettante durante il periodo di ferie occorre, dunque, che la stessa sia intrinsecamente connessa alla natura delle mansioni svolte dall'interessato ed abbia la funzione di compensare uno specifico disagio derivante dall'espletamento di dette mansioni, oppure sia correlata al peculiare status professionale o personale dell'interessato. Diversamente, le voci retributive che svolgono la funzione di rimborsare spese occasionali e accessorie sostenute dal lavoratore nell'espletamento delle proprie mansioni non devono essere computate nella retribuzione spettante durante le ferie." (cfr. Cass. n. 22401/20; n.13425/19). Tanto premesso, il ricorrente ha specificatamente indicato in ricorso, le indennità accessorie della retribuzione intrinsecamente connesse allo svolgimento delle mansioni di operatore di esercizio. In relazione all'indennità di trasferta e diaria ridotta, il trattamento di trasferta degli autoferrotranvieri comandati a prestare servizio fuori della residenza di assegnazione è disciplinato dagli artt. 201 (per l'indennità di trasferta) e 212 (diaria ridotta) del (...) 23.7.76 a seconda che si tratti di personale degli impianti fissi -al quale si applica l'art. 20 -, ovvero di personale viaggiante -al quale si applica l'art. 21. Il trattamento di trasferta del personale viaggiante è, dunque, specificamente disciplinato da detto art. 21 e compete al personale viaggiante solamente quando, in relazione al turno, esce dalla propria residenza (mentre la differente indennità di trasferta compete, quando il personale viaggiante venga comandato a prestare servizio in un deposito o rimessa diversi dai propri, ovvero ai sensi dell'art. 21, comma 4 "quando l'assenza dalla residenza supera le 24 ore continuative, il personale di cui trattasi fruisce, a decorrere dall'inizio del secondo periodo di 24 ore, del trattamento di trasferta di cui al precedente articolo 20"). (...)à fuori nastro compete, appunto, per le ore di lavoro fuori nastro "intendendosi per tali quelle eccedenti l'undicesima ora"; per l'indennità c.d. aggiuntiva, di agente unico, turni di linea e di rifornimento, dalla lettura delle norme contrattuali emerge chiaramente come le stesse siano intrinsecamente legate allo svolgimento della mansione di operatore di esercizio. Ritiene pertanto lo scrivente che le indennità dedotte in lite, alla luce dei principi dappresso passati in rassegna ed in considerazione delle loro specifiche caratteristiche funzionali, siano da ricomprendere nella retribuzione ordinaria da corrispondersi durante il periodo di fruizione delle ferie. Va, infatti, ribadito che le suddette voci siano tutte intrinsecamente connesse all'espletamento delle mansioni di riferimento e compensino le specifiche penosità che, con riferimento a ciascuna di esse, vengono in rilievo (le indennità trasferta e diaria ridotta sono, infatti, correlate all'espletamento e alla durata di turni di servizio fuori dalla residenza assegnata o presso depositi o rimesse diversi dai propri, l'indennità di agente unico si riconosce solo per i turni guida, l'indennità fuori nastro alla durata prolungata del tempo di guida, lo stesso per l'indennità di rifornimento legata all'utilizzo del mezzo, l'indennità aggiuntiva al raggiungimento degli obiettivi aziendali attraverso lo svolgimento di specifiche mansioni). (...) documentazione in atti e in particolare dai dati riportati nelle buste paga allegate al ricorso, si evince che tali indennità siano normalmente ed intrinsecamente collegate all'esecuzione delle mansioni proprie della qualifica di operatore di esercizio svolta dal ricorrente. E difatti le indennità risultano corrisposte in maniera continuativa, sebbene in misura variabile, nel corso dell'anno, sì da assumere le caratteristiche di una componente non occasionale e predeterminata, che integra stabilmente la retribuzione. Né ad una diversa conclusione può pervenirsi in rapporto alle allegazioni della parte resistente secondo cui l'inclusione delle indennità di trasferta e diaria ridotta nella retribuzione ordinaria, utile ai fini della determinazione della retribuzione spettante durante il periodo di ferie, risulterebbe in contrasto con la natura risarcitoria propria di tali indennità. Va, infatti, ricordato che, secondo quanto ripetutamente affermato dalla Suprema Corte: "il compenso (indennità) da corrispondere per la trasferta può avere carattere risarcitorio oppure retributivo, a seconda che: a) riguardi le spese dal lavoratore sostenute per recarsi temporaneamente in un luogo diverso da quello in cui l'impresa svolge la sua attività, individuato da parte del datore di lavoro, come destinazione stabile e continuativa del lavoratore stesso per lo svolgimento della sua ordinaria prestazione lavorativa. In questo caso l'emolumento ha carattere risarcitorio, anche se non è da escludere, a priori, che possa esservi una (...) componente retributiva, onde spetta al giudice del merito stabilire, in relazione al contenuto delle specifiche pattuizioni contrattuali, quale parte di tale indennità abbia funzione risarcitoria e quale, invece, funzione retributiva; b) si tratti, invece, del corrispettivo della peculiarità della abituale collaborazione richiesta al dipendente, consistente nell'obbligo di espletare la propria attività in luoghi sempre differenti, ipotesi in cui non è identificabile la connotazione tipica della "trasferta in senso proprio", costituita dalla temporanea dislocazione del lavoratore in un luogo diverso dalla normale sede (...)questo secondo caso, l'emolumento diviene un elemento non occasionale e predeterminato della retribuzione (anche se di importo non strettamente costante), così da dovere essere ricompreso nella base di computo del TFR etc." (cfr.. Cass. civ. sez. Lav. n. 17253/18; n.18479/14; n.27826/09; n.3278/04). Nella specie, come può, peraltro, evincersi dalle buste paga allegate al ricorso, che attestano la sistematicità dell'erogazione degli emolumenti in parola, e senza che vi sia stata alcuna specifica contestazione da parte della resistente, al ricorrente è abitualmente richiesto di prestare la propria attività al di fuori della residenza di servizio o presso altri depositi o rimesse (o, comunque, secondo le condizioni che danno diritto all'indennità di diaria ridotta o di trasferta), sicché deve ritenersi che si tratti di una peculiare e abituale forma di collaborazione richiesta ai dipendenti, nei termini di cui alle pronunce della Corte di Cassazione richiamate, che viene, appunto, compensata con le suddette voci, a cui deve essere, quindi, riconosciuto il valore di elemento non occasionale della retribuzione, anche se di importo variabile. Lo stesso va detto in relazione alle altre indennità: l'indennità di fuori nastro, compensa la specifica penosità legata al superamento di un predeterminato tempo di lavoro, così come detto sopra in relazione all'indennità di turno, di rifornimento e di presenza aggiuntiva. Ciò detto, occorre ribadire che le indennità riepilogate in premessa siano tutte da includere nella retribuzione dovuta durante le ferie, in quanto legate allo svolgimento ordinario della prestazione lavorativa. Né può essere condivisa la tesi della parte convenuta, secondo cui i principi espressi dalla Corte di Giustizia dell'(...) e posti a fondamento della presente decisione non avrebbero forza cogente nel nostro ordinamento in quanto difetterebbe la specificazione delle voci rientranti del concetto di retribuzione. Sotto tale profilo, per un verso è, infatti evidente, che, qualora non si assicurasse la coincidenza della retribuzione delle ferie annuali con la retribuzione ordinaria per l'intero arco temporale in cui il singolo lavoratore sia legittimato a fruirne, si ingenererebbe di fatto una diminuzione del trattamento retributivo, potenzialmente idonea a pregiudicare economicamente il lavoratore nell'esercizio del suo diritto alle ferie, in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'(...) laddove, come chiarito dal precedente giurisprudenziale dappresso virgolettato, "la Corte di Giustizia, sin dalla sentenza 16 marzo 2006, cause riunite C-131/04 e C- 257/04, (...) e altri (punto 50), ha avuto occasione di precisare che l'espressione "ferie annuali retribuite", di cui all'art. 7, n. 1 della Direttiva n. 88 del 2003, intende significare che, per la durata delle ferie annuali, "deve essere mantenuta" la retribuzione; in altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo (negli stessi sensi, anche sentenza (...) 20 gennaio 2009 in C-350/06 e C-520/06, (...) e altri, punto 58)". Va poi per latro verso evidenziato che: "l'interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia, interprete qualificata del diritto UE, ha efficacia ultra partes, sicchè alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, va attribuito "il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della (...) In modo conforme al diritto dell'(...) deve essere interpretata la normativa interna laddove riconosce il diritto del prestatore di lavoro a "ferie retribuite" nella misura minima di quattro settimane, senza, tuttavia, recare una specifica definizione di retribuzione." (cfr. Cass. n. 22401/20). Infondata è anche l'eccezione di prescrizione. Ritiene infatti lo scrivente di aderire alla giurisprudenza di merito che ha ritenuto che la prescrizione non decorre durante il corso del rapporto di lavoro anche nel caso di applicazione dell'art. 18 sta. Lav. come modificato dalla c.d.legge Fornero: "Il testo attualmente vigente dell'art. 18 Stat. lav., a differenza di quello originario, prevede la tutela reintegratoria solo per talune ipotesi di illegittimità del licenziamento (primo, quarto e settimo comma), mentre per altre fattispecie prevede unicamente una tutela indennitaria (quinto e sesto comma). Ne consegue che, nel corso del rapporto, il prestatore di lavoro si trova in una condizione soggettiva di incertezza circa la tutela (reintegratoria o indennitaria) applicabile nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, accertabile solo ex post nell'ipotesi di contestazione giudiziale del recesso datoriale. La prescrizione di tali crediti decorre, pertanto, dalla cessazione del rapporto e non in costanza di esso anche per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro a cui si applichi l'art. 18 Stat. lav., come novellato dalla l. n. 92/2012." (cfr. C.d.A. Milano n.376/19; n.719/21). La tesi è stata di recente confermata in Cassazione che con la sentenza n. 26246/22 ha statuito che: "Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro. Ne deriva che per i diritti retributivi sorti a far data dall'entrata in vigore della l. n. 92/12 (18.7.2012) e nel quinquennio anteriore (a decorrere dal 18.7.2007), la cui invocabilità avrebbe potuto trovare condizionamenti da parte del lavoratore stante la vigenza della nuova disciplina dell'art.18, il dies a quo ai fini prescrizionali va individuato nella data di cessazione del rapporto. Nel caso di specie pertanto il ricorrente ha diritto a vedersi corrisposte anche le differenze relative al periodo successive al 18.7.2007. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, secondo i parametri fissati dal D.M. 55/2014, tenuto conto dell'assenza di istruttoria. P.Q.M. In composizione monocratica, in persona del dott.(...) in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da (...) nei confronti dell'(...) - (...), così provvede: 1) accoglie il ricorso e, per l'effetto, accerta il diritto del ricorrente all'inclusione delle indennità indicate in ricorso nella base di calcolo per la retribuzione goduta nei periodi di ferie; 2) condanna la (...) s.p.a. al pagamento delle differenze tra quanto percepito e quanto avrebbe dovuto percepire computando nella base di calcolo gli emolumenti di cui al punto 1) in relazione al periodo dal 20.7.2007 al 17.7.2012 3) condanna la resistente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.800,00, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario Così deciso in Bari il 22 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2024.

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