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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - rel. Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. FLORIT Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto nell'interesse di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); contro la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 12.7.2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita fa relazione svolta dal consigliere Dott. Pierluigi Cianfrocca; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Molino Pietro, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; uditi gli Avv.ti (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza con cui, in data 13.7.2021, il Tribunale di Castrovillari aveva riconosciuto (OMISSIS) responsabile dei delitti di rapina pluriaggravata in concorso e sequestro di persona aggravato in concorso e, esclusa, sul delitto di rapina, la aggravante di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3-quinquies, ritenuta la continuazione tra le due violazioni di legge, lo aveva condannato alla pena complessiva di anni 8 e mesi 8 di reclusione ed Euro 4.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare in carcere; 2. ricorre per cassazione il difensore del (OMISSIS) deducendo: 2.1 violazione di legge sostanziale e processuale - vizio di motivazione: rileva che, con l'atto di appello, la difesa aveva impugnato la sentenza di primo grado unitamente alla ordinanza del GUP prima e del Tribunale, dopo, che aveva respinto la richiesta di definizione del processo con rito abbreviato condizionato all'espletamento di una perizia sull'operato del RIS di Messina in ordine alla estrazione e comparazione dei residui biologici oltre che all'esame del teste (OMISSIS), autore della consulenza genetica per conto del PM,, e di quello del Dott. (OMISSIS), consulente della difesa; richiama, quindi, la motivazione con cui la Corte di appello ha disatteso la doglianza difensiva segnalando come il primo giudice avesse deciso senza acquisire contezza degli atti procedimentali avendo ritenuto non necessaria la acquisizione, al solo fine di vagliare la richiesta difensiva, del contenuto del fascicolo del PM tra cui, in particolare, la relazione del consulente della difesa che non era stata ancora acquisita al fascicolo del dibattimento; rileva che l'errata percezione del contenuto della censura difensiva ha portato la Corte di appello a considerare difformi le richieste avanzate di fronte al GUP ed al Tribunale che, invece, al di la' delle variabili di natura terminologica, erano tuttavia esattamente sovrapponibili; osserva che la richiesta non si risolveva affatto, come ritenuto dalla Corte, in un accertamento tecnico su un accertamento tecnico avendo ad oggetto anche il prelievo di campioni biologici sul (OMISSIS) e nuova comparazione; sottolinea che l'accertamento peritale cui era stato subordinato il rito alternativo avrebbe consentito la definizione del processo in una unica udienza a fronte delle 11 udienze istruttorie in cui si sarebbe sviluppato il dibattimento nel corso del quale sono stati sentiti numerosi testi gia' escussi nel corso delle indagini preliminari ed acquisiti gli accertamenti tecnici gia' in atti; 2.2 violazione di legge sostanziale e processuale in relazione agli articoli 431 e 512 c.p.p., articoli 192 e 533 c.p.p., articoli 357, 360, 373, 137, 138 e 142 c.p.p.; articolo 178 c.p.p., lettera c); rileva che la Corte di appello ha ritenuto che non residuassero dubbi sulla correttezza della procedura seguita e sulle metodologie utilizzate travisando quanto era stato dedotto nei motivi di appello articolati sul punto con riguardo, in particolare, ai vizi procedurali ed al mancato rispetto della normativa e delle direttive in materia di sicurezza del repertamento della scena del crimine in relazione non gia' alle operazioni di estrazione e disamina del DNA quanto, piuttosto, alla loro raccolta ed alla loro custodia; segnala, a tal proposito, come nell'atto di appello fosse stato evidenziato che dalla documentazione fotografica relativa alla scena del crimine risultava che la fase di repertamento era stata caratterizzata dalla presenza di operanti che non indossavano sovrascarpe ed aggiunge che, sempre con l'atto di appello, era stato evidenziato che il teste (OMISSIS) aveva riferito di aver notato le tute "per terra nell'ufficio dei carabinieri" in una busta aperta di quelle usate per la spesa, peraltro strappate, come, d'altronde, indirettamente confermato dalle parole degli operanti sentiti nel corso del processo che avevano riferito di avere utilizzato, per custodire le tute, una busta della spesa nuova, mai usata, non ricordando, tuttavia, quando fosse procurata finendo per ammettere di non poter dar conto della sua provenienza; rileva che, in ogni caso, l'attivita' della polizia scientifica sulla scena del crimine non e' stata oggetto di alcuna documentazione e redazione di un apposito verbale di polizia giudiziaria; segnala, ancora, che la affermata irripetibilita' dell'accertamento e' contraddetta da quanto riferito dallo stesso (OMISSIS) tanto che il RIS procedette ad una seconda estrazione laddove, al contrario, la Corte ha confuso tra rilievi ed accertamenti dovendosi invece distinguere tra estrapolazione del profilo genetico, decodificazione dell'impronta genetica e, infine, comparazione tra i due profili, e la nozione di irripetibilita' riguarda soltanto il primo di essi; rileva, inoltre, la violazione del diritto della difesa tecnica di partecipazione alle operazioni poiche' il consulente tecnico aveva mantenuto rapporti costanti con il RIS di Messina per l'intero svolgimento delle operazioni, protrattesi per oltre quattro mesi ed aveva appreso, telefonicamente, in data 24.10.2019, dal ten. Col. (OMISSIS), dell'esito negativo dei tentativi di rinvenimento di tracce genetiche sui reperti avendo, da quel momento, non certo per disinteresse ma a seguito delle informazioni ricevute, interrotto la propria interlocuzione con il RIS, che tuttavia avrebbe proceduto il 26.11.2019 ad ulteriori attivita'; aggiunge che, peraltro, anche la informazione ricevuta in data 24.10.2019 era errata dal momento che i dati estratti il 18.10.2019 avevano gia' consentito la acquisizione di risultati utili con la tipizzazione di varie tracce; segnala, percio', la violazione del diritto di difesa per la impossibilita' del consulente tecnico, nel rispetto dell'articolo 360 c.p.p., comma 2, di assistere non soltanto al conferimento dell'incarico, ma di partecipare agli accertamenti; violazione degli articoli 192, 125 e 195 c.p.p.: segnala che la procedura irritualmente seguita e' comunque inidonea a supportare la riconducibilita' delle tracce al (OMISSIS); richiama, a tal proposito, le modalita' con cui, secondo la ricostruzione fornita dal M.llo (OMISSIS), erano stati svolti gli accertamenti, a partire dal conclamato rischio di contaminazione, con particolare riferimento alla traccia 2-2 ed al campione di confronto 4-1 del (OMISSIS) che sono stati lavorati in violazione delle linee guida imposte dalla comunita' scientifica; segnala, ancora, come i due ritagli della stoffa della tuta, come sarebbe emerso soltanto in dibattimento, erano stati indicati con lo stesso identificativo in data 16 ottobre e 26 novembre, contrariamente a quanto era avvenuto per altri campioni dello stesso indumento; richiama, quindi, i protocolli di laboratorio ISO/IEC applicati nei laboratori di Messina ed evidenzia la difformita' dell'iter seguito nel caso di specie rispetto alle indicazioni ivi contenute; sottolinea come, in definitiva, le operazioni eseguite dal M.llo (OMISSIS) non sono verificabili, non essendo stati stilati dei verbali relativi al secondo prelievo, in violazione, peraltro, delle norme che impongono di documentare le attivita' di PG e, nel caso di specie, quelle del consulente tecnico del PM e che, nel caso in esame, lo stesso M.llo (OMISSIS) aveva riferito, in aula, di non essere tenuto a fare; 2.3 violazione di legge sostanziale e processuale, vizio motivazionale con riguardo al giudizio di idoneita' e valutazione della prova di accusa risultando, sul punto, la sentenza illogica e contraddittoria; a) in merito alla incertezza sulla individuazione delle tute sottoposte a sequestro, ritenute quelle utilizzate nel corso della rapina in contestazione e b) in merito alla compatibilita' fisiognomica e fisionomica dell'appellante con il soggetto che aveva indossato la tuta da meccanico: rileva che, su questi aspetti, la Corte territoriale ha male inteso le doglianze articolate con l'atto di appello in cui mai la difesa aveva rilevato la incongruita' del luogo di ritrovamento delle tute da lavoro (quanto, semmai, la riconducibilita' delle tute rinvenute nel vano caldaia a Quelle utilizzate dai rapinatori) ed alla provenienza delle stesse dal negozio (OMISSIS) (quanto sulla inadeguatezza della tuta di taglia 46 per il (OMISSIS)); ribadisce c:ome la sentenza sia viziata per erronea interpretazione delle doglianze articolate nell'atto di appello che aveva insistito sulla assenza di accertamenti sulla identita' tra le tute in sequestro e quelle indossate dai rapinatori poiche' i reperti non erano mai stati mostrati ai protagonisti dell'episodio, ed inoltre prive di scritte o targhe identificative e non essendo stato accertato che esse fossero state collocate nel vano caldaia per altre e diverse ragioni; ribadisce, anche, come la Corte di appello non abbia risposto alla censura sugli occhi azzurri del rapinatore, evidentemente non compatibili con quelli del (OMISSIS) nonche' sulla taglia delle tuta a lui attribuita ed incompatibile con la sua stazza dell'epoca; 2.4 violazione di legge sostanziale e processuale - vizio motivazionale, con riferimento al giudizio di idoneita' della prova di accusa risultando sul punto la sentenza illogica e contraddittoria con violazione del giudizio di valutazione della prova in merito alla ritenuta esistenza della proposizione di alibi falso da parte dell'imputato: riporta le considerazioni svolte con l'atto di appello sul punto e le valutazioni operate dalla Corte, sottolineando che mai il (OMISSIS) aveva rilasciato dichiarazioni ovvero addotto un alibi non potendosi percio' parlare di alibi "falso"; aggiunge che, in realta', i giudici di secondo grado, pur parlando di alibi "falso", hanno fatto riferimento ad un profilo di inadeguatezza probatoria finendo percio' per approdare alla ipotesi di alibi "fallito" che non puo' mai essere posto a carico dell'imputato integrando un elemento del tutto neutro; 2.5 violazione di legge sostanziale e processuale con riferimento alla denunciata violazione dell'articolo 192 c.p.p. quanto al capo 2) della rubrica: richiama, anche in tal caso, il motivo di appello articolato sul punto su cui la Corte non si e' in alcun modo soffermata omettendo di motivare in merito alla dedotta inidoneita' degli strumenti segretativi utilizzati (le fascette di plastica montate al contrario e percio' facilmente rimuovibili); ribadisce che, nel caso di specie, sussistevano tutte le condizioni per ritenere il reato di sequestro di persona assorbito in quello di rapina; 3. la Procura Generale, nonostante la tempestiva e rituale richiesta di discussione orale avanzata dalla difesa, ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 a valere comunque come memoria, concludendo per l'inammissibilita' del ricorso: rileva che il ricorso si risolve nella riproposizione delle medesime ragioni addotte dalla difesa con l'atto di appello in assenza, tuttavia, di un reale confronto con le ragioni poste dalla Corte territoriale a fondamento della sua decisione; rileva, in particolare, la correttezza della valutazione circa i presupposti del rito abbreviato condizionato e, quanto agli altri motivi, rileva che la risposta della Corte di appello risulta priva di qualsiasi profilo di illogicita' sia in ordine alle procedure seguite per la estrazione, decodificazione e comparazione del DNA, della compatibilita' antropometrica e delle tenuta probatoria dell'alibi; 4. la difesa del (OMISSIS) ha trasmesso una ampia ed articolata memoria difensiva con riguardo: al difetto e contraddittorieta' della motivazione in merito alla documentazione della attivita' di accertamento genetico comparativo ed in merito alla violazione del diritto di difesa determinata dalla errata informazione fornita dal colonnello (OMISSIS) al proprio consulente di parte: ribadisce come l'attivita' di ispezione, estrapolazione, estrazione e comparazione del 16 e del 19 ottobre del 2019 era stata oggetto di documentazione che non aveva invece interessato la analoga attivita' del 26.11.2019 che sarebbe risultata invece determinante ai fini del giudizio e tuttavia affidata al solo ricordo ed alla ricostruzione mnemonica del teste; sottolinea, ancora, come la Corte non abbia in realta' affrontato la censura articolata sul punto; evidenzia, inoltre, come lo stesso M.llo (OMISSIS) avesse giudicato ripetibile l'accertamento tecnico tanto da aver eseguito una seconda comparazione non potendo percio' rigettarsi la richiesta difensiva sul presupposto della impossibilita' della sua ripetizione; ribadisce, ancora, che il reperto estratto in data 26.11.2019 era stato denominato con la stessa sigla della traccia comparata il 19.12.2019 con la procedura che aveva determinato la contaminazione; sottolinea, ancora, la violazione del diritto di difesa perpetrato in danno del consulente tecnico dell'imputato il quale - contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale - era stato informato dal comandante del reparto della conclusione, con esito negativo, degli accertamenti tecnici con prossima trasmissione delle relativa relazione inducendo percio' il professionista a non presiedere agli ulteriori accertamenti che sarebbero stati eseguiti inaudita altera parte e con esito positivo; sottolinea che su tali circostanze il consulente della difesa era stato sentito nel corso del processo sotto obbligo di riferire la verita'. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. (OMISSIS) era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito ed all'esito di una conforme valutazione, nei due gradi, delle medesime emergenze istruttorie, per i delitti di rapina pluriaggravata e di sequestro di persona in concorso in quanto, secondo la ricostruzione dei fatti restituita dalle due sentenze di merito, agendo con un complice non identificato, con il volto travisato e con l'uso di una pistola, si sarebbe impossessato della somma di 171.000 costringendo i dipendenti dell'ufficio Postale di Corigliano Calabro a sbloccare l'ATM per poi immobilizzarli con delle fascette di plastica ed una cinghia per avvolgibile. Il Tribunale era pervenuto alla affermazione della penale responsabilita' dell'odierno ricorrente, identificato per uno dei due rapinatori, sulla scorta, essenzialmente, degli esiti delle indagini effettuate dal RIS di Messina sui reperti biologici estratti da una delle tute da meccanico che erano state rinvenute in un vano caldaia posto al piano terra di un immobile confinante con i locali dell'ufficio postale. In particolare, secondo la (in definitiva incontroversa) ricostruzione operata dai giudici di primo grado, il giorno 31.5.2017 personale della Compagnia dei Carabinieri di Corigliano Calabro era intervenuto presso l'ufficio postale dove era stata segnalata una rapina; i militari avevano individuato, in via Licata n. 18, una porta in ferro solo apparentemente chiusa da un catenaccio e che dava ingresso ad un vano caldaie sulla cui parete era stato praticato un foro che consentiva di accedere (attraverso un alto locale) al bagno dell'ufficio postale; all'interno del vano caldaie, poggiate su alcune cassette di plastica, erano state rinvenute due tute da lavoro blu e blu-notte del tipo di quelle che, dalle testimonianze acquisite, indossavano i due rapinatori. Le prime indagini erano state avviate con la acquisizione dei tabulati telefonici relativi ai giorni dal 28 al 30 maggio del 2017 nelle ore comprese tra le 20.00 e le 24.00 e, per il 31 maggio, dalle ore 12.00 alle ore 14,30 la cui analisi aveva portato al nominativo dell'odierno imputato come uno di coloro che erano stati coinvolti nelle conversazioni intercorse, in quei giorni, con altro soggetto che, il giorno 28 maggio, si trovava nell'area interessata dalla celha telefonica nel cui ambito ricadeva l'ufficio postale. Tanto era bastato, tuttavia, per avviare le indagini tecniche sulle tute da lavoro e che avrebbero portato ad affermare che il (OMISSIS) era uno dei due rapinatori che le avevano indossate nel corso della rapina per poi liberarsene durante la fuga. 2. La sentenza di primo grado era stata impugnata dalla difesa che aveva mosso una serie di rilievi e di censure su cui la stessa difesa e' tornata in questa sede ricorrendo contro la decisione della Corte di appello che ha ritenuto essere viziata sia per molteplici profili di violazione di legge che, anche, per difetto di motivazione quanto alla risposta fornita alle considerazioni ed alle argomentazioni difensive. Tanto premesso, ritiene la Corte che la sentenza qui impugnata non sia censurabile ne' quanto ai denunziati aspetti di violazione di legge sostanziale e processuale e nemmeno quanto alla complessiva congruita' ed esaustivita' della motivazione con cui i giudici di secondo grado hanno affrontato e risolto le questioni sollevate dalla difesa. 3.1 Infondato, infatti, e' il primo motivo del ricorso, in cui la difesa denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla conferma della conferma della decisione con cui sia il GUP che, poi, il Tribunale, avevano respinto la richiesta di definizione del processo con rito abbreviato condizionato sia alla ripetizione dell'accertamento generico che, anche, all'esame del M.llo (OMISSIS), del RIS di Messina, e del prof. (OMISSIS), consulente tecnico della difesa, sugli accertamenti genetici comparativi. Quanto al rilievo operato "in rito" circa la mancata acquisizione degli atti contenuti nel fascicolo del PM, e' sufficiente" infatti, rilevare che la richiesta di accesso al rito abbreviato "condizionato" non comporta l'obbligo, per il giudice, di ordinare prima della decisione, l'esibizione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, in quanto l'articolo 135 disp. att. c.p.p., che tale obbligo prevede, trova applicazione unicamente in presenza di una richiesta di applicazione della pena (cfr., Sez. 3, n. 4887 del 17/12/2009, Hammama, Rv. 246023 - 01). D'altra parte, il rigetto della richiesta puo' intervenire non soltanto nel caso di rilevata incompletezza o inadeguatezza delle acquisizioni contenute nel fascicolo delle indagini preliminari ma, anche, in conseguenza di una diagnosi negativa circa la compatibilita' tra il tipo di integrazione probatoria cui la richiesta sia stata condizionata rispetto alle caratteristiche proprie del rito a forma contratta ovvero, ancora, alla natura stessa della "condizione" posta alla definizione del processo con quelle modalita'. E, a ben guardare, e' proprio quanto accaduto in questa occasione in cui il Tribunale, con l'ordinanza impugnata unitamente alla sentenza di primo grado, aveva rilevato che la richiesta difensiva aveva ad oggetto, in primo luogo, la rivalutazione dell'operato dei consulenti tecnici del PM, incaricati di espletare gli accertamenti stimati irripetibili e, pertanto, eseguiti con le modalita' e le garanzie di cui all'articolo 360 c.p.p. e, nel caso, la ripetizione dei medesimi accertamenti laddove effettivamente possibile; il primo giudice, infatti, aveva spiegato che l'istanza era stata fondata sulla dedotta esistenza di una serie di lesioni del diritto di difesa, conseguenti alla mancata partecipazione del consulente tecnico alle operazioni, nonche' su errori metodologici e procedurali in cui sarebbero incorsi i consulenti del PM. Tanto premesso, il Tribunale aveva affrontato le censure di ordine procedimentale (e su cui si dovra' tornare avendo formato oggetto di autonomo motivo di ricorso) sostenendo - correttamente - che i rilievi sull'operato dei consulenti tecnici del PM avrebbero dovuto essere valutati e verificati nella appropriata sede del dibattimento potendosi soltanto all'esito di tale approfondimento porsi il problema della eventuale rinnovazione - ove possibile degli accertamenti tecnici. Del tutto lineare era stata, percio', la considerazione secondo cui la "condizione" posta dalla difesa si sarebbe risolta, in primo luogo (come peraltro risulta dalla formulazione del duplice quesito proposto dalla difesa nell'istanza depositata in data 5.11.2020), nella rivalutazione dell'operato dei consulenti del PM sotto l'aspetto procedurale e tecnico e soltanto in secondo luogo, in una nuova indagine genetica, ove consentita dal materiale ancora disponibile; ineccepibile e giuridicamente corretta, percio', era stata la considerazione secondo cui, in presenza di un accertamento gia' in atti, i rilievi di natura tecnica sollevati dalla difesa avrebbero dovuto essere affrontati in sede dibattimentale non potendo formare oggetto di una valutazione "preventiva" finalizzata ad una eventuale ed ipotetica ripetizione delle indagini biologiche. Tanto precisato, dunque, e' senz'altro incensurabile la motivazione della Corte di appello che, nel confermare decisione del Tribunale, ha motivato sul fatto che la prognosi circa la compatibilita' tra il rito abbreviato e la integrazione probatoria rispetto alle prospettive di economia processuale va fatta con valutazione "ex antea" senza tener conto di quella che avrebbe potuto essere la concreta evoluzione del dibattimento; era soltanto in quella sede, infatti, che sarebbe stato possibile operare una diagnosi di incompletezza o inadeguatezza dei dati acquisiti e, percio', formulare una prognosi di oggettiva e sicura utilita', o idoneita', del probabile risultato dell'attivita' istruttoria richiesta ad assicurare il completo accertamento dei fatti del giudizio. 3.2 Con il secondo motivo di ricorso la difesa deduce violazione di legge evidenziando come gia' nell'atto di appello fossero stati sollevati una serie di rilievi circa le procedure seguite in sede di repertamento, sottolineando come tale attivita' non fosse stata oggetto di verbalizzazione; per altro verso, segnala la erroneita' della decisione della valutazione di irripetibilita' degli accertamenti tecnici di natura biologica; e, ancora, eccepisce la nullita' dell'accertamento tecnico operato dai consulenti del PM per violazione del diritto di partecipazione della difesa tecnica alle operazioni peritali. Il motivo e', complessivamente, infondato. Non e' inutile, in primo luogo, ribadire che gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilita' di un errore, presentano natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 8434 del 05/02/2013, Mariller, Rv. 255257 - 01; Sez. 2, n. 43406 del 01/06/2016, Syziu, Rv. 268161 01; conf., da ultimo, Sez. 2 -, n. 38184 del 06/07/2022, Cospito, Rv. 283904 03). Tanto premesso, ed affrontando in generale, e nell'ordine logico delle questioni dedotte dalla difesa nel secondo motivo, la tematica della eccepita "nullita'" degli atti e delle operazioni peritali per mancata loro verbalizzazione, va richiamato l'orientamento di questa Corte che, in piu' occasioni, ha chiarito che l'obbligo di redazione degli atti indicati dall'articolo 357 c.p.p., comma 2, tra i quali rientrano le operazioni e gli accertamenti urgenti, nelle forme previste dall'articolo 373 c.p.p., non e', in primo luogo, stabilito a pena di nullita' od inutilizzabilita'; per le attivita' di polizia giudiziaria e' infatti sufficiente la loro documentazione, anche in un momento successivo al compimento dell'atto e, qualora esse rivestano le caratteristiche della irripetibilita', quello che e' necessario acquisire e documentare e' la certezza dell'individuazione dei dati essenziali, quali le fonti di provenienza, le persone intervenute all'atto e le circostanze di tempo e di luogo della constatazione dei fatti (cfr., Sez. 1, n. 34022 del 06/10/2006, Delussu, Rv. 234884 - 01, in cui la Suprema Corte ha ritenuto che fosse legittimamente contenuta nel fascicolo del pubblico ministero, e quindi utilizzabile nel rito abbreviato, la documentazione relativa agli accertamenti dattiloscopici effettuati dalla polizia giudiziaria su impronte papillari rinvenute nel luogo e nell'immediatezza dei fatti sul corpo di reato, anche in mancanza della redazione del verbale dei rilievi; conf., Sez. 5, n. 25799 del 12/12/2015, Stasi Rv. 267260 01 che, ribadendo il principio per cui l'obbligo di redazione degli atti indicati dall'articolo 357 c.p.p., comma 2, tra i quali rientrano le operazioni e gli accertamenti urgenti, nelle forme previste dall'articolo 373 c.p.p., non e' previsto a pena di nullita' od inutilizzabilita', ha di conseguenza concluso nel senso che deve ritenersi ammissibile la testimonianza degli operatori della polizia giudiziaria in merito a quanto dagli stessi direttamente percepito nell'immediatezza dei fatti ma non verbalizzato, anche in relazione alle ragioni della omessa verbalizzazione). Sotto altro profilo, poi, e' opportuno, ancora una volta, evocare la giurisprudenza che, ormai in diverse occasioni, ha avuto modo di puntualizzare che, in materia di indagini genetiche, l'eccepita inosservanza delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e prelievo del DNA non comporta, automaticamente, l'inutilizzabilita' del dato probatorio ove non si dimostri che quella violazione abbia negativamente condizionato, in concreto, l'esito dell'esame genetico comparativo fondante il giudizio di responsabilita' (cfr., in tal senso, recentemente, Sez. 6 -, n. 15140 del 24/02/2022, Neagu Rv. 283144 - 01, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva attribuito all'imputato l'utilizzo del guanto da cui era stato estratto il DNA, pur se il prelievo non era avvenuto con guanti sterili, stante la mancanza sul supporto di tracce riferibili a soggetti diversi; conf., tra le non massimate, Sez. 7, n. 12442 del 22.2.2023, Oruci; Sez. 5, n. 7830 del 30.11.2022, Negro; Sez. 4, n. 46978 dell'11.10.2022, Gioka). Tanto chiarito, in diritto, va rilevato che le due sentenze di merito non hanno affatto pretermesso i rilievi operati dalla difesa su tali aspetti) che hanno invece affrontato e superato in termini che risultano del tutto in linea con considerazioni e le conclusioni cui e' pervenuta la giurisprudenza e di cui si e' appena dato conto. In particolare, gia' il Tribunale (cfr., pag. 7 della sentenza di primo grado) aveva motivato in merito alla circostanza secondo cui l'attivita' di repertamento sarebbe intervenuta ad opera di personale di PG non munito di sovrascarpe e che, in attesa del loro invio al RIS, le tute erano state collocate in un ufficio della Caserma dei c.c. (nel quale, peraltro, non vi era libero accesso da parte di chiunque), segnalando come si fosse trattato di un condotte in qualche caso superficiali ma - con argomentazione rispetto alla quale la difesa non si confronta - che non avevano avuto alcun rilievo stante la assenza, sui reperti, di tracce di DNA diversi da quelli dell'imputato. Per quanto concerne, poi, l'espletamento delle analisi da parte del M.llo (OMISSIS), del RIS di Messina, il Tribunale, anche su tale aspetto, aveva motivato in maniera analitica e puntuale riportando le dichiarazioni del sottufficiale che aveva riferito sulle varie fasi della estrazione, della esaltazione e della comparazione dei campioni (cfr., pag. 9 della sentenza di primo grado); in particolare, il M.llo (OMISSIS) aveva precisato di aver ritenuto necessario procedere alla ripetizione dell'accertamento avendo valutato che l'esito positivo della prima comparazione, effettuata il 16.10.2019, potesse essere state frutto di possibile contaminazione con il campione di riferimento (cfr., ivi, ancora, pag. 9) provvedendo, per questa ragione, alla resezione, dalla stessa area della tuta (parte interna del polsino sinistro della tuta taglia 46), di una ulteriore e piu' estesa porzione di tessuto avendo cura di procedere, questa volta, evitando che sulla piastra non fosse presente il DNA del (OMISSIS) che era stato acquisito ai fini del confronto con quello estratto dal tessuto (cfr., ivi). Ed erano state proprio le modalita' e le cautele con cui era stata svolta la seconda indagine che avevano portato a ritenere infondati i rilievi difensivi che, attraverso il consulente tecnico prof. (OMISSIS), si erano appuntati sulle modalita' di espletamento del primo esame (cfr., pag. 10). Anche con riferimento alla mancata documentazione della attivita' del consulente del PM, fermo quanto sopra chiarito in punto di rilevanza in diritto della questione, va richiamato il tenore della sentenza di primo grado che (cfr., pagg. 10-11), in merito alla esistenza dei fogli di lavoro prodotti in aula e che le parti hanno avuto modo di consultare poiche' la difesa aveva messa in dubbio la stessa procedura secondo cui era stato eseguito il secondo esame se, in definitiva, avvenuto sullo stesso ritaglio di stoffa o su un ritaglio di stoffa diverso (cfr., ivi, ancora, pag. 10). E, tuttavia, anche su questi aspetti le due sentenze di merito sono state del tutto esaustive avendo il Tribunale richiamato le dichiarazioni rese sul punto dal M.llo (OMISSIS) come riscontrate dal modulo qualita' (DETERMINAZIONE GENOTIPICA COMPLETA DA TRACCIA BIOLOGICA MOD. 5.4/BIO Rev.0-ESTRAZIONE) e dai moduli di lavoro risalenti al 26.11.2019 attestanti la quantificazione, amplificazione e tipizzazione e dai diversi profili genotipici stampati. La Corte di appello, dal canto suo, ha ribadito che la seconda analisi aveva consentito di estrarre una quantita' di DNA tripla rispetto a quella del primo reperto il che dimostrava, anche in difetto di una specifica documentazione dell'attivita', che si trattava di un secondo esame eseguito su un secondo reperto (cfr., pag. 10 della sentenza di appello); ne', ha aggiunto, l'utilizzo della medesima nomenclatura per la seconda provetta rispetto alla prima era elemento in grado di ingenerare dubbi perche' "le due provette non sono mai coesistite" in quanto la prima era stata analizzata nelle 72 ore e successivamente smaltita mentre la seconda estrazione era intervenuta un mese e dieci giorni dopo. Va anche sottolineato come gia' il Tribunale avesse evidenziato e dato conto di come al consulente della difesa fosse stata sottoposta la documentazione acquisita, con particolare riferimento ai "fogli di lavoro" e di come il prof. (OMISSIS) "... a fronte di puntuali domande della pubblica accusa in ordine agli esiti della seconda analisi, si fosse in realta' limitato a contestare il modus operandi senza mettere in dubbio la predetta compatibilita' tra genotipi" (cfr., pag. 12 della sentenza di primo grado). In merito, poi, all'eccezione di nullita' delle operazioni eseguite dal consulente del PM per violazione del diritto di difesa, si deve convenire sulla complessiva correttezza delle considerazioni svolte dai giudici di merito sia in punto di fatto che in punto di diritto. Va rilevato, in primo luogo, come sia incontroverso che la difesa avesse ricevuto rituale avviso dell'inizio delle operazioni cui, va pur detto, il prof. (OMISSIS), per quanto risulta dalle due sentenze di merito e dagli stessi atti di impugnazione, non ha mai preso parte personalmente limitandosi, sempre, a contatti telefonici con gli uffici del RIS di Messina. Ed e' proprio in occasione di una di queste interlocuzioni telefoniche che, secondo quanto riferito dalla difesa (e, invero, dichiarato dallo stesso prof. (OMISSIS) in aula), alla fine di ottobre del 2019, il consulente avrebbe appreso, dal colonnello (OMISSIS), che le indagini tendenti a rinvenire tracce utili sulle tute in sequestro non avevano dato esito positivo, essendosi percio' a quel punto risolto ad attendere la formalizzazione di tali attivita' senza insistere oltre e senza porre in essere o tentare ulteriori approcci. Se non che', assume la difesa, quella ricevuta dall'ufficiale, era una notizia per un verso inesatta poiche' gia' l'analisi condotta nel mese di ottobre aveva dato un esito positivo (quand'anche con il sospetto di contaminazione) e, per altro verso, superata dalla non comunicata iniziativa del M.llo (OMISSIS) di eseguire un secondo accertamento su un secondo ritaglio di stoffa senza comunicare alcunche' al consulente della difesa. Ebbene, va puntualizzato, in diritto, che in tema di perizia (o, analogamente, di consulenza tecnica eseguita con le garanzie di cui all'articolo 360 c.p.p.) il diritto dei difensori e dei consulenti tecnici di parte di ricevere notizia del giorno, ora e luogo fissati per le operazioni peritali affinche' possano assistervi e' soddisfatto con la notizia relativa all'inizio delle operazioni; non e', pertanto, configurabile alcuna nullita' nel caso in cui, dopo il suddetto avviso, venga omessa una ulteriore comunicazione circa il giorno e l'ora di prosecuzione delle operazioni fuori dell'ufficio, gravando sui difensori l'onere di procurarsi le necessarie informazioni (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 3 -, n. 31640 del 31/05/2019, Manna, Rv. 276680 - 02; conf., Sez. 5, n. 25403 del 15/02/2013, Savona, Rv. 256319 01; Sez. 5 -, n. 36152 del 30/04/2019, Barone, Rv. 277529 - 01). Tanto premesso, non e' dunque, e nel caso di specie, configurabile alcuna nullita' conseguente alla omessa comunicazione, da parte del M.llo (OMISSIS), della prosecuzione delle indagini con la estrazione del DNA dal secondo ritaglio di stoffa e la comparazione con il profilo del (OMISSIS) poiche', come correttamente rilevato dai giudici di merito, era stato proprio il metodo di interlocuzione per il quale aveva optato la difesa tecnica a porre a carico di quest'ultime le conseguenze di eventuali inesattezze nelle informazioni ricevute; va a tal proposito precisato che, secondo la ricostruzione offerta dagli difensivi ed effettivamente confermata dal prof. (OMISSIS) in aula, costui aveva contattato ed aveva ricevuto le notizie asseritamente fuorvianti da persona comunque diversa, pur appartenente al medesimo reparto, rispetto al sottufficiale che era stato specificamente incaricato dell'espletamento delle indagini tecniche. Da ultimo, con riguardo alle diverse censure articolate nel secondo motivo del ricorso, occorre puntualizzare che proprio la diagnosi di irripetibilita' dell'accertamento tecnico (evidentemente riferita alla fase della estrazione ed esaltazione del campione, non certo a quella della comparazione) aveva correttamente portato il PM a procedere con le garanzie e le cautele di cui all'articolo 360 c.p.p.. Correttamente, peraltro, la Corte di appello ha puntualizzato che la ripetibilita' o meno dell'esame era il frutto di una prognosi (si puo' osservare in questa sede giustamente prudente trattandosi di un "essudato" che rischiava, con il tempo, di "volatilizzarsi") legata al tipo ed alla quantita' di materiale disponibile ed al rischio della sopravvenuta impossibilita' di procedere nelle forme della perizia, laddove la circostanza che, in concreto, il M.llo (OMISSIS), dopo una prima analisi, abbia potuto effettuare un nuovo esame non vuol dire che esso fosse ulteriormente ripetibile. In ogni caso, la inequivocita' del risultato cui era pervenuto il consulente del PM aveva escluso la necessita' di un ulteriore approfondimento non essendovi, sul punto, un "diritto" della difesa ad ottenere la ripetizione delle indagini che, con motivazione adeguata in fatto e corretta in diritto, si ritenga avessero dato un esito assolutamente affidabile. 3.3 Ed e' proprio la nettezza delle risultanze della indagine tecnica circa la attribuibilita', al (OMISSIS), del DNA rinvenuto su una delle tute da lavoro rinvenute nel locale caldaia utilizzato dai rapinatori, che - con argomentazione che non si presta a rilievi di manifesta illogicita' - ha consentito alla Corte di appello di superare le argomentazioni difensive che, anche con il ricorso, hanno cercato di mettere in dubbio la stessa circostanza che essa potesse essere stata indossata dal (OMISSIS) nonostante la taglia apparentemente inadeguata alla corporatura dell'odierno ricorrente. Altrettanto lineare e corretta da un punto di vista logico e' la inferenza con cui la Corte di appello ha ritenuto che quelle abbandonate nel locale caldaia fossero proprio le tute indossate dai due rapinatori trattandosi di vestiario che, pur non essendo stato mostrato ai dipendenti dell'ufficio postale, era proprio dello stesso tipo di quello descritto da costoro e, per altro verso, abbandonato sulla via di accesso e di fuga dal luogo della rapina. 3.4 E' infondato anche il quarto motivo del ricorso relativo al ritenuto (dalla Corte di appello) "fallimento" della prova d'alibi che, tuttavia, sostiene la difesa, mai era stata fornita dallo stesso (OMISSIS) il quale non aveva mai rilasciato dichiarazioni in tal senso, mentre era stata la difesa tecnica che aveva proceduto ad acquisire elementi di prova "liberatoria". La Corte di appello, dando seguito ai rilievi ed alle allegazioni difensive (supportate anche da indagini difensive) ha dato conto degli accertamenti che erano stati eseguiti al fine di verificare la effettivita' dell'incidente stradale che, secondo la difesa, sarebbe occorso e che avrebbe visto coinvolto il (OMISSIS) proprio il giorno della rapina. Con motivazione del tutto esaustiva in fatto, la Corte ha spiegato le ragioni per le quali doveva "... ritenersi indimostrato l'alibi del (OMISSIS)"; al di la' del tenore dell'espressione utilizzata dalla Corte, cui il ricorso ritiene di attribuire rilievo ritenendo che, in tal modo, i giudici abbiano inteso evocare una ipotesi di alibi "fallito" piuttosto che di alibi "falso", e' sufficiente tuttavia rilevare che la stessa sentenza impugnata ha attribuito a tali risultanze un rilievo meramente confermativo e di contorno rispetto alle conclusioni cui era stato possibile approdare sulla scorta degli elementi gia' acquisiti. 3.5 Sul quinto motivo va rilevato che, a seguito della entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2022, il delitto di sequestro di persona e' procedibile a querela di parte, non proposta. La sentenza impugnata va dunque annullata, senza rinvio, limitatamente al reato di cui al capo B), essendo la azione penale improcedibile per difetto di querela; di conseguenza, va eliminato il relativo aumento di pena nella misura di mesi due di reclusione ed Euro 500 di multa. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo B), per essere l'azione penale improcedibile per mancanza di querela ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione ed Euro 500 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluig - Presidente Dott. VIGNA M.Sabina - Consigliere Dott. DI NICOLA TRAV.P. - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere Dott. D'ARCANGELO F. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 07/02/2023 dalla Corte di appello di Napoli; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Fabrizio D'Arcangelo; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola Lettieri, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli ha deliberato in senso favorevole all'estradizione di (OMISSIS), verso la Svizzera per essere perseguito in ordine al reato di concorso in rapina aggravata, commesso in data 24 giugno 2021. 2. L'avvocato (OMISSIS) ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento. Con unico motivo, il difensore censura, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera c) e d), l'inosservanza dell'articolo 700 c.p.p., comma 1 e 2, lettera a) e c), c.p.p. in ordine ai criteri di individuazione del soggetto da estradare e alla valutazione della gravita' indiziaria. Rileva il difensore che la sentenza impugnata soltanto apparentemente motiva sulla correttezza dei criteri di individuazione dell' (OMISSIS), nel soggetto autore del fatto contestato. Pur descrivendo il provvedimento estero la condotta ascritta al cittadino italiano e indicando le fonti di prova (quali il DNA e le video riprese), infatti, la sentenza sarebbe priva delle indicazioni in base alle quali e' possibile giungere all'identificazione dell' (OMISSIS), in uno degli autori del delitto di rapina contestato nella richiesta di estradizione. Ad avviso del ricorrente, inoltre, la condotta ascritta dall'autorita' Svizzera all' (OMISSIS), consistente nell'aver portato sul posto i mezzi per il compimento dell'attivita' di delittuosa, proprio per la sua peculiarita', mal si concilierebbe con le fonti di prova indicate dal giudice straniero. Parimenti nella relazione non emergerebbero dati incontrovertibili che facciano ritenere la correttezza dell'accertamento stesso. Rileva il difensore che, nella specie, sarebbe stata opportuna l'indicazione delle videoriprese, quantomeno sotto il profilo del tempo e del luogo, al fine di poter verificare che uno degli autori fosse l' (OMISSIS), cosi' come difetterebbe qualsiasi indicazione sulle modalita' di campionatura del DNA e sul rinvenimento delle tracce biologiche utili per individuazione dell'autore del reato. Eccepisce, da ultimo, il difensore che nella sentenza manca qualsiasi riferimento alla necessita' di un consenso all'estradizione, trattandosi di estradizione facoltativa, al pari della motivazione sulle esigenze cautelari, soprattutto alla luce del buon comportamento tenuto dal ricorrente, che, sottoposto alla misura coercitiva dell'obbligo di dimora, non si e' allontanato dal territorio campano. 3. Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso e' stato trattato con procedura scritta, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020, articolo 23, comma 8, convertito in L. n. 176 del 18 dicembre 2020, prorogato per effetto del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022, e per le impugnazioni proposte sino al 30 giugno 2023 dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 94, comma 2. Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 18 aprile 2023, il Procuratore generale ha chiesto di dichiararsi inammissibile il ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve dichiarato inammissibile, in quanto il motivo proposto e' manifestamente infondato e, comunque, diverso da quelli consentiti dalla legge. 2. Con unico motivo il difensore censura, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), la violazione dell'articolo 700 c.p.p., comma 1 e 2, lettera a) e c), in ordine ai criteri di individuazione del soggetto da estradare e alla valutazione della gravita' indiziaria. 3. Il motivo e' manifestamente fondato. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita', in tema di estradizione per l'estero, quando dagli atti del procedimento risulti compiutamente identificato l'estradando come la persona destinataria del provvedimento restrittivo della liberta' personale emesso dall'autorita' giudiziaria straniera, a nulla rileva che l'autorita' richiedente non abbia fornito i dati segnaletici o gli altri requisiti di identificazione previsti dall'articolo 700 c.p.p., comma 2, lettera c), (Sez. 6, n. 3079 del 06/12/2017 (dep. 23/01/2018), Magni, Rv. 272142 - 01; Sez. 6, n. 18306 del 12/03/2004, Matic, Rv. 229413). Nel caso di specie, peraltro, la Corte di appello ha, non incongruamente, rilevato la compiuta indicazione dell'estradando sulla base dell'esame del DNA svolto e della comparazione della fotografia del ricorrente con i fotogrammi estratti dall'impianto di videosorveglianza. Conformemente a quanto affermato da Sez. 6, n. 40552 del 25/09/2019, Trindande, Rv. 277560 - 01, la Corte di appello, inoltre, non si e' limitata ad un controllo meramente formale della documentazione allegata alla domanda di consegna, ma ha accertato, ai sensi dell'articolo 705 c.p.p., comma 1, che in essa risultassero indicate le ragioni per le quali, nella prospettiva dello Stato richiedente, fosse stata ritenuta probabile la commissione del reato ascritto all'incolpato, attesa altresi' l'assenza di prove a discarico, chiare ed incontrovertibili, della sua innocenza. Vaghe e aspecifiche, e, dunque, tali da precludere in radice alla Corte di esercitare un qualsiasi sindacato di legittimita', si rivelano le ulteriori censure proposte dal ricorrente. 4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento. In virtu' delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", deve, altresi', disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila Euro in favore della Cassa delle Ammende. La Cancelleria provvedera' gli adempimenti di cui all'articolo 203 disp. att. c.p.p.. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila Euro in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 203 disp. att. c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluig - Presidente Dott. VIGNA M.Sabina - Consigliere Dott. DI NICOLA TRAV.P. - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere Dott. D'ARCANGELO F. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a Napoli il 14/07/1995 avverso la sentenza emessa il 07/02/2023 dalla Corte di appello di Napoli; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Fabrizio D'Arcangelo; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola Lettieri, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli ha deliberato in senso favorevole all'estradizione di (OMISSIS), verso la Svizzera per essere perseguito in ordine al reato di concorso in rapina aggravata, commesso in data 24 giugno 2021. 2. L'avvocato (OMISSIS) ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento. Con unico motivo, il difensore censura, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), l'inosservanza dell'articolo 700 c.p.p., comma 1 e 2, lettera a) e c), in ordine ai criteri di individuazione del soggetto da estradare e alla valutazione della gravita' indiziaria. Rileva il difensore che la sentenza impugnata soltanto apparentemente motiva sulla correttezza dei criteri di individuazione dell' (OMISSIS), nel soggetto autore del fatto contestato. Pur descrivendo il provvedimento estero la condotta ascritta al cittadino italiano e indicando le fonti di prova (quali il DNA e le video riprese), infatti, la sentenza sarebbe priva delle indicazioni in base alle quali e' possibile giungere all'identificazione dell' (OMISSIS) in uno degli autori del delitto di rapina contestato nella richiesta di estradizione. Nella relazione, infatti, non emergerebbero dati incontrovertibili che facciano ritenere la correttezza dell'accertamento stesso. Rileva il difensore che, nella specie, sarebbe stata opportuna l'indicazione delle videoriprese, quantomeno sotto il profilo del tempo e del luogo, al fine di poter verificare che uno degli autori fosse l' (OMISSIS), cosi' come difetterebbe qualsiasi indicazione sulle modalita' di campionatura del DNA e sul rinvenimento delle tracce biologiche utili per individuazione dell'autore del reato. Eccepisce, da ultimo, il difensore che nella sentenza manca qualsiasi riferimento alla necessita' di un consenso all'estradizione, trattandosi di estradizione facoltativa, al pari della motivazione sulle esigenze cautelari, soprattutto alla luce del buon comportamento tenuto dal ricorrente, che, sottoposto alla misura coercitiva dell'obbligo di dimora, non si e' allontanato dal territorio campano. 3. Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso e' stato trattato con procedura scritta, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020, articolo 23, comma 8, convertito in L. n. 176 del 18 dicembre 2020, prorogato per effetto del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022, e per le impugnazioni proposte sino al 30 giugno 2023 dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 94, comma 2. Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 18 aprile 2023, il Procuratore generale ha chiesto di dichiararsi inammissibile il ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve dichiarato inammissibile, in quanto il motivo proposto e' manifestamente infondato e, comunque, diverso da quelli consentiti dalla legge. 2. Con unico motivo il difensore censura, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) e d), la violazione dell'articolo 700 c.p.p., comma 1 e 2, lettera a) e c), in ordine ai criteri di individuazione del soggetto da estradare e alla valutazione della gravita' indiziaria. 3. Il motivo e' manifestamente fondato. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita', in tema di estradizione per l'estero, quando dagli atti del procedimento risulti compiutamente identificato l'estradando come la persona destinataria del provvedimento restrittivo della liberta' personale emesso dall'autorita' giudiziaria straniera, a nulla rileva che l'autorita' richiedente non abbia fornito i dati segnaletici o gli altri requisiti di identificazione previsti dall'articolo 700 c.p.p., comma 2, lettera c), (Sez. 6, n. 3079 del 06/12/2017 (dep. 23/01/2018), Magni, Rv. 272142 - 01; Sez. 6, n. 18306 del 12/03/2004, Matic, Rv. 229413). Nel caso di specie, peraltro, la Corte di appello ha, non incongruamente, rilevato la compiuta indicazione dell'estradando sulla base dell'esame del DNA svolto e della comparazione della foto del ricorrente con i fotogrammi estratti dall'impianto di videosorveglianza. Conformemente a quanto affermato da Sez. 6, n. 40552 del 25/09/2019, Trindande, Rv. 277560 - 01, la Corte di appello, inoltre, non si e' limitata ad un controllo meramente formale della documentazione allegata alla domanda di consegna, ma ha accertato, ai sensi dell'articolo 705 c.p.p., comma 1, che in essa risultassero indicate le ragioni per le quali, nella prospettiva dello Stato richiedente, fosse stata ritenuta probabile la commissione del reato ascritto all'incolpato, attesa altresi' l'assenza di prove a discarico, chiare ed incontrovertibili, della sua innocenza. Vaghe e aspecifiche, e, dunque, tali da precludere in radice alla Corte di esercitare un qualsiasi sindacato di legittimita', si rivelano le ulteriori censure proposte dal ricorrente. 4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento. In virtu' delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", deve, altresi', disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila Euro in favore della Cassa delle Ammende. La Cancelleria provvedera' gli adempimenti di cui all'articolo 203 disp. att. c.p.p.. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila Euro in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 203 disp. att. c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO G. - Presidente Dott. VERGA G. - Consigliere Dott. MESSINI D'AGOSTINI - rel. Consigliere Dott. BORSELLINO D. - Consigliere Dott. CERSOSIMO E. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS): 2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 05/04/2022 della CORTE DI APPELLO DI ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Piero MESSINI D'AGOSTINI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GIORGIO Lidia, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi; udito il difensore avv. (OMISSIS), (per (OMISSIS)), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 5 aprile 2022 la Corte di appello di Roma confermava la decisione con la quale il primo giudice, ad esito del giudizio ordinario, aveva dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli di due rapine in banca, precedute dalla ricettazione di altrettante autovetture, nonche' - il solo (OMISSIS) - di due reati di evasione dagli arresti domiciliari, commessi al fine di realizzare le rapine, e li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia, riconosciuta la continuazione con una tentata rapina realizzata una settimana dopo dagli stessi tre imputati, ai quali era stata applicata la pena su richiesta con sentenza divenuta irrevocabile. In parziale riforma della decisione di primo grado, la Corte rideterminava la pena pecuniaria, rilevando un errore di calcolo commesso dal Tribunale. 2. Hanno proposto ricorso gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendo l'annullamento della sentenza. 3. Con l'unico motivo proposto nel ricorso di (OMISSIS) si censura la sentenza impugnata per mancanza o manifesta illogicita' della motivazione, nella quale non sono stati esaminati i motivi di gravame. La responsabilita' dell'imputato e' stata confermata sulla base di analogie sussistenti fra le due rapine contestate, commesse il (OMISSIS) e il (OMISSIS), e quella tentata una settimana dopo, per la quale (OMISSIS) era stato arrestato; tuttavia, il modus operandi e gli accessori utilizzati dagli autori dei reati palesano aspetti ben comuni in altri e molteplici episodi di rapina. Anche i profili relativi al riconoscimento fotografico presentano parecchie lacune e margini di dubbio. 4. Nel ricorso di (OMISSIS) si denuncia la illogicita' della motivazione, in primo luogo in punto di responsabilita'. La Corte di appello ha aderito alle valutazioni del Tribunale senza argomentare in ordine ai motivi di gravame, nei quali si erano evidenziate la contraddittorieta' delle dichiarazioni dei testi, il clima in cui erano avvenuti i riconoscimenti fotografici (influenzato dalle congetture investigative), la mancanza di tracce di DNA, l'assenza di riscontri con riferimento alle intercettazioni telefoniche, la scarsa qualita' delle immagini estrapolate dagli impianti di videosorveglianza degli istituti di credito nei quali furono commesse le due rapine, nella sostanza attribuite a (OMISSIS) e ai coimputati solo perche' i tre erano poi stati arrestati in flagranza a (OMISSIS), in occasione della tentata rapina del (OMISSIS). La sentenza non ha poi motivato in ordine alla entita' della pena, essendosi limitata a prendere atto delle gia' concesse attenuanti generiche con giudizio di equivalenza. 5. Il ricorso di (OMISSIS) e' articolato in quattro motivi. 5.1. Mancanza, contraddittorieta' e illogicita' della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di ricettazione dell'autovettura Renault Twingo contestato al capo 1.2 dell'imputazione, essendo del tutto insufficiente la connessione di tipo logico alla quale ha fatto riferimento la sentenza, ove si e' erroneamente affermato che (OMISSIS) non avrebbe negato che detto veicolo fu utilizzato per la fuga dagli autori della prima rapina. 5.2. Violazione della legge penale per la mancata valutazione dei criteri indicati nell'articolo 133 c.p., comma 2, nella determinazione della pena. 5.3. Mancanza, contraddittorieta' e illogicita' della motivazione per la omessa valutazione dei criteri indicati nell'articolo 133 c.p., comma 2, nella determinazione della pena, avuto particolare riguardo alle condizioni soggettive e di salute dell'imputato, ampiamente documentate. 5.4. Mancanza di motivazione sull'aumento di pena inflitto per ciascuno dei reati uniti dal vincolo della continuazione, in violazione del principio statuito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza n. 47127 del 2021. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili perche' proposti con motivi generici, non consentiti o manifestamente infondati. 2. Ricorso (OMISSIS). E' opportuno ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita', contenuto essenziale dell'atto di impugnazione e' innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. La mancanza di specificita' del motivo va valutata e ritenuta non solo per la sua genericita', intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non puo' ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita' che conduce, a norma dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), alla inammissibilita' della impugnazione (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, non mass. sul punto; Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, Jallow, Rv. 275841; Sez. 5, n. 34504 del 25/5/2018, Cricca, Rv. 273778; Sez. 2, n. 53482 del 15/11/2017, Barbato, Rv. 271373). Il principio e' stato di recente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027, in motivazione) e con esso il ricorso in esame contrasta radicalmente. La difesa, infatti, ha obliterato le ampie e specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, che non ha affatto trascurato di esaminare le doglianze proposte nell'atto di appello, sulla base di un'autonoma valutazione. Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, i giudici di merito, con conformi argomentazioni, hanno affermato la responsabilita' degli imputati non solo in ragione delle pur numerose e significative analogie fra le due rapine consumate e quella tentata di una settimana successiva (avuto riguardo alla coincidenza di alcuni oggetti utilizzati, alla fisionomia e alle caratteristiche fisiche dei tre soggetti, all'abbigliamento e ai mezzi di travisamento utilizzati), ma anche sulla base di decisive risultanze probatorie, rispetto alle quali le censure del ricorrente alla motivazione sono generiche o assenti. La Corte territoriale, infatti, con motivazione tutt'altro che illogica, ha valorizzato il riconoscimento fotografico effettuato dal direttore della banca di (OMISSIS), che individuo' "senza alcun dubbio nel (OMISSIS) il rapinatore che portava una parrucca di colore grigio artefatta e che nell'atto di entrare si copri' il volto con una sciarpa o uno scalda-collo grigio ben aderente" (pag. 13), indossato anche in occasione della rapina di (OMISSIS), commessa un mese prima, e al momento dell'arresto a Serrano, avvenuto dopo una settimana. Il ricorso sul punto e' stato del tutto generico, essendosi dedotto che "i profili relativi al riconoscimento fotografico presentano parecchie lacune e margini di dubbio". La difesa ha poi omesso di confrontarsi con la motivazione relativa ad altre risultanze probatorie rimarcate dalla Corte: la palese somiglianza "tra la foto del (OMISSIS) al momento dell'arresto e i fotogrammi estrapolati dalle telecamere di videosorveglianza installate nei locali degli istituti bancari di (OMISSIS) e (OMISSIS)" e la "formidabile concomitanza temporale e spaziale" dei contatti telefonici fra l'utenza nella disponibilita' di (OMISSIS), intestata alla moglie, e quelle dei due coimputati. 3. Ricorso (OMISSIS). 3.1. Le considerazioni svolte in ordine alla genericita' del ricorso che precede possono essere estese a quello proposto nell'interesse di (OMISSIS), caratterizzato dalla trascrizione, anche testuale, di ampie parti dell'atto di appello. Va ribadito sul punto che sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al piu' con l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini assertivi e apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino - come nel caso di specie - di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtu' delle quali i motivi di gravame non sono stati accolti (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521; Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, Ruci, Rv. 267611; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Ninivaggi, Rv. 256133). Il ricorrente ha obliterato o genericamente contestato le piu' rilevanti argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, puntualmente esposte in conformita' a quelle del primo giudice, in ragione delle quali la Corte territoriale ha confermato con certezza la responsabilita' di (OMISSIS) per le due rapine sulla base di prove costituite non solo dalle plurime ed evidenti analogie fra le due rapine consumate e quella tentata per la quale dopo una settimana fu tratto in arresto in flagranza di reato unitamente a (OMISSIS) e (OMISSIS), ma anche da altre decisive risultanze probatorie: la visione dei fotogrammi estrapolati dal sistema di videosorveglianza dei due istituti di credito; l'esito dei riconoscimenti fotografici effettuati dal direttore della banca di (OMISSIS) e da due testi presenti nell'agenzia di (OMISSIS); le risultanze dei tabulati telefonici attestanti la presenza di (OMISSIS) nelle zone ove furono commesse le rapine; lo spegnimento del telefono durante l'esecuzione delle stesse nonche' i contatti con (OMISSIS) e (OMISSIS) (quest'ultimo non ricorrente contro la condanna per le rapine). Nel contempo, la difesa ha sollecitato un nuovo giudizio di merito, in palese contrasto con la funzione del giudizio di legittimita'. Pur lamentando formalmente - e senza alcun fondamento - la illogicita' della motivazione, il ricorrente deduce una errata lettura delle risultanze dibattimentali. Il controllo di legittimita', pero', concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia' il rapporto tra prova e decisione: secondo il diritto vivente, e' preclusa alla Corte di cassazione la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilita' delle fonti di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). 3.2. E' generica e manifestamente infondata la doglianza inerente alla conferma del giudizio di equivalenza fra le attenuanti generiche e le aggravanti nonche' dell'entita' della pena inflitta. Va premesso che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell'equivalenza, si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (cosi' Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450; in precedenza, nel medesimo senso, cfr. Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931; da ultimo v. Sez. 2, n. 15438 del 21/02/2023, Ciulli, non mass.). Inoltre, in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell'articolo 133 c.p. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (v., ad es., Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, Defilippi, Rv. 279181-02 nonche' Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Manzari, Rv. 260415-01). Peraltro, un giudizio di prevalenza delle attenuanti sarebbe stato precluso dall'articolo 69 c.p., comma 4, essendo stata contestata e applicata la recidiva reiterata. Piu' in generale, la graduazione del trattamento sanzionatorio, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e a titolo di continuazione, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p., cosicche' nel giudizio di cassazione e' comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena, la cui determinazione non sia frutto di arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142). In particolare, quando la pena - come nel caso di specie - si attesti in misura non troppo distante dal minimo, e' sufficiente che il giudice dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua" o "pena equa" mentre "una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita' di pena irrogata e' necessaria soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale" (cosi', di recente, Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., non mass. sul punto). Nel caso di specie, la sentenza - diversamente da quanto sostenuto dalla difesa - contiene una motivazione particolarmente dettagliata (pagg. 14-15), a sostegno della conferma della entita' della pena base, determinata in misura di un anno soltanto superiore al minimo edittale, ben al di sotto di quello medio. La Corte ha evidenziato sia la gravita' dei reati (essendosi trattato "di gravissimi episodi commessi da tre persone riunite, con collaudata organizzazione di mezzi (...) e ruoli, con modalita' che suscitano rilevantissimo allarme sociale per il coinvolgimento di indifesi clienti presenti nelle agenzie di istituti bancari, minacciati con un taglierino, privati della liberta' personale (...), immobilizzati con l'uso di fascette di plastica, perpetrate in un arco temporale estremamente ristretto (...) che hanno consentito un profitto di ingente quantita'") che la capacita' a delinquere dei colpevoli (avuto riguardo "alla personalita' degli imputati, evidenziata dalla professionalita' nell'organizzazione e nella predisposizione dei mezzi e dalla scaltrezza nell'esecuzione, circostanze che manifestano rilevante capacita' criminale dimostrata anche dalle plurime condanne definitive da ciascuno riportate per delitti contro il patrimonio, tra cui ricettazione e rapina"). 4. Ricorso (OMISSIS). 4.1. E' generico e privo di ogni fondamento il primo motivo con il quale il ricorrente, censurando la conferma della condanna anche per la ricettazione dell'autovettura contestata al capo 1.2., ha denunciato il vizio motivazionale, peraltro cumulativamente, in contrasto con il principio ribadito di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale "i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione. Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione risulta priva della necessaria specificita'" (Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027, non mass. sul punto). Risulta del tutto indifferente il fatto che (OMISSIS) abbia contestato o meno che l'autovettura Renault Twingo, targata (OMISSIS), provento di furto, fosse stata utilizzata per la fuga dai responsabili della rapina commessa in (OMISSIS): la Corte ha sul punto richiamato le dichiarazioni del "teste (OMISSIS) che vedeva i rapinatori uscire dalla banca e salire sull'autovettura poi rinvenuta dai c.c. di Civita Castellana" (pag. 9), argomentazione obliterata dal ricorrente. 4.2. Manifestamente infondati sono anche i motivi in tema di trattamento sanzionatorio, in relazione ai quali si richiama quanto in precedenza osservato trattando del ricorso di (OMISSIS) (sub 3.2.). Va poi precisato che risulta condiviso e consolidato il principio espresso in una risalente pronuncia delle Sezioni Unite (n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252), secondo cui e' da ritenere adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorche' sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'articolo 133 c.p., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non essendo il giudice tenuto a una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarita' del caso, e' sufficiente che egli dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (da ultimo, fra le sentenze non massimate, v. Sez. 3, n. 12348 del 28/02/2023, Campanale; Sez. 6, n. 15421 del 31/01/2023, Speziale; Sez. 6, n. 9390 del 24/01/2023, De Simone; Sez. 2, n. 11640 del 13/12/2022, dep. 2023, Laezza). Avuto riguardo alla specifica posizione di (OMISSIS), la sentenza ha anche rimarcato la sua volontaria violazione delle prescrizioni della misura cautelare degli arresti domiciliari. La Corte ha puntualmente motivato anche in ordine alla congruita' delle pene inflitte a titolo di aumento per la continuazione (pag. 16). Da ultimo le Sezioni Unite hanno affermato che il giudice di merito ha l'onere di esprimere una specifica motivazione sull'aumento di pena per ciascuno dei reati satellite, precisando che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena e' correlato all'entita' degli stessi e deve essere tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino osservati i limiti previsti dall'articolo 81 c.p. e che non si sia surrettiziamente operato un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 41127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269). Nel caso di specie l'assai modesta entita' degli aumenti disposti (quanto alle pene detentive: un anno per la rapina consumata di cui al capo 1.1., otto mesi per quella tentata giudicata in precedenza con sentenza di patteggiamento, quattro mesi per ciascuna ricettazione e due mesi per ciascuna evasione) consente di verificare che sono stati rispettati i criteri e limiti sopraindicati. 5. All'inammissibilita' delle impugnazioni proposte segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonche', ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro tremila ciascuno, cosi' equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALANTI Alberto - rel. Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. "(OMISSIS) di (OMISSIS) (OMISSIS) snc", in persona del legale rappresentante, corrente in (OMISSIS) (OMISSIS); avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Mantova il 24/06/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Galanti; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Fulvio Baldi (ribadite in udienza), che ha concluso chiedendo annullarsi il provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale di Mantova: per (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente all'applicazione della circostanza sub articolo 452-novies c.p., con rigetto nel resto; per (OMISSIS) s.r.l., limitatamente all'applicazione della confisca ed alla condanna quale responsabile civile, con rigetto nel resto. letta la memoria difensiva depositata in data 28/04/2023 dall'Avv. (OMISSIS) per l'imputato (OMISSIS), che, nel formulare motivi nuovi, si riporta al ricorso e ne chiede l'accoglimento; udita, per la parte civile Provincia di (OMISSIS), l'Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS) del Foro di (OMISSIS), la quale, nel sottolineare che la giurisdizione amministrativa (T.A.R. Brescia n. 748/2019; C.D.S. n. 305/2023, T.A.R. Brescia n. 403/2023) ha escluso che l'AIA in possesso di (OMISSIS) concernesse il trattamento di inerti, chiede rigettarsi il ricorso, anche per quanto concerne le statuizioni civili. udito, per la parte civile per il Parco Regionale del (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) del Foro di (OMISSIS), che conclude per l'inammissibilita' o il rigetto del ricorso. udito il difensore dell'imputato (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) del Foro di Padova, si riporta al ricorso, ai motivi nuovi e alle conclusioni, e ne chiede l'accoglimento; udito il difensore dell'imputato (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) del Foro di Padova, che si riporta al ricorso e ne chiede l'accoglimento; udito il difensore dell'ente (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) del Foro di Padova, che si riporta al ricorso e ne.chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 24/06/2022, il Tribunale di (OMISSIS), nell'assolvere gli imputati in relazione a numerosi capi di imputazione: - dichiarava non doversi procedere in ordine al Capo 1), in riferimento a (OMISSIS) in relazione all'articolo 256 comma 1, lettera a), Decreto Legislativo n. 152 del 2006, per intervenuta prescrizione (assolvendo nel contempo gli altri imputati); - condannava (OMISSIS) e (OMISSIS), in ordine al Capo 11), in cui era contestato l'articolo 29-quaterdecies, comma 1, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, alla pena di Euro 20.000 di ammenda; - condannava (OMISSIS) ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, in relazione al reato presupposto di cui al Capo 1), limitatamente alla fattispecie di cui all'articolo 256 comma 1, lettera a), Decreto Legislativo n. 152 del 2006, al pagamento di una somma pari a 250 quote da Euro 500 ciascuna (totale Euro 125.000); - disponeva la confisca nei confronti di (OMISSIS) del profitto, quantificato in Euro 80.000. 2. Il Tribunale, inoltre, condanna'va (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in solido al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili costituite (Provincia di (OMISSIS) e Parco del (OMISSIS)) determinato in via equitativa in Euro 20.000 per la provincia di (OMISSIS) ed Euro 15.000 per l'Ente Parco regionale del (OMISSIS), con pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva. 3. Avverso tale sentenza propongono, tramite i propri difensori di fiducia, ricorso per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) di (OMISSIS) (OMISSIS). 4. Il ricorso di (OMISSIS): 4.1. Relativamente al Capo n. 1) (sentenza ex articolo 129 c.p.p.), evidenzia come sussistessero i presupposti per giungere ad un sentenza di assoluzione nel merito anziche' ad una pronuncia di proscioglimento per prescrizione del reato; in proposito, censura: 4.1.1. inosservanza delle norme previste a pena di nullita' e segnatamente dell'articolo 178 lettera c) e 191 c.p.p.. in riferimento all'accertamento tecnico non ripetibile disposto ai sensi dell'articolo 360 del codice di procedura penale dal pubblico ministero in data 13 giugno 2016, che sa -ebbe nullo per omesso avviso al (OMISSIS) della data e del luogo di campionamento, nonostante all'epoca del disposto accertamento questi fosse gia' stato attinto da indizi di reita'. Da cio' discenderebbe la nullita' conseguente del campionamento effettuato in data 9 giugno 2019 (eccezione ritualmente formulata in udienza in data 8 ottobre 2019). Lamenta altresi' il ricorrente la violazione dell'articolo 220 delle disposizioni di attuazione del codice di rito, il quale a sua volta rimanda alle norme del codice di procedura penale; a cascata, deduce la nu lita' delle operazioni di apertura dei campioni, delle analisi e della relazione redatta dagli ausiliari di p.g. nominati dal P.M.; 4.1.2. violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. in riferimento all'ordinanza (impugnata ai sensi dell'articolo 586 c.p.p.) di ammissione delle prove datata 14 gennaio 2020, di cui si contesta anche la mancanza di motivazione in ordine alla dedotta incompatibilita' ad assumere ufficio di consulente tecnico da parte dei dottori (OMISSIS) e (OMISSIS); deduce il ricorrente che i predetti erano stati inseriti dal pubblico ministero nella lista in cui al âEuroËœarticolo 468 c.p.p. come testimoni e quindi non avrebbero potuto essere sentiti come consulenti tecnici. Inoltre, in capo agli stessi, proprio in quanto "ausiliari del pubblico ministero", gravava una incompatibilita' con l'ufficio di testimone; 4.1.3. violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. poc. pen., in riferimento agli articoli 256, comma 1, 183, 184, 184-bis, e 184-ter Decreto Legislativo n. 152 del 2006; violazione dell'articolo 606, comma 1, lettere c) ed e), cod. poc. pen., per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata e da altri atti del processo (e in particolare i documenti prodotti all'udienza del 21 Aprile 2022); illogicita' della motivazione per travisamento dei fatti e della prova. Lamenta il ricorrente che il giudice ha ritenuto sufficienti alla fine della prova della penale responsabilita' dell'imputato il mero esame visivo e fotografico, senza svolgere alcun accertamento in ordine alla composizione del materiale in imputazione; lamenta che lo stesso pubblico ministero nel corso dell'udienza preliminare aveva espressamente richiesto disporsi perizia in tal senso e che tale richiesta era stata rigettata dal giudice; lamenta inoltre il ricorrente la classificazione del materiale eterogeneo quale rifiuto, compiuto dal dottor (OMISSIS) attraverso una mera percezione visiva, con conseguente erronea esclusione della sua classificazior e come "(OMISSIS)". Evidenzia in proposito come dalla documentazione prodotta emergesse con chiarezza che il materiale sequestrato forse in realta' stato ceduto da (OMISSIS) alla (OMISSIS), che lo aveva acquistato per il successivo utilizzo nel proprio ciclo produttivo, elemento di primaria importanza su cui la sentenza impugnata tace, rinvenendosi solo nella relazione del dottor (OMISSIS) l'apodittica affermazione secondo cui tale materiale non poteva essere impiegato per la produzione di manufatti in calcestruzzo presso l'impianto della (OMISSIS). Al contrario, i tre consulenti della difesa raggiungono conclusioni opposte, ritenendo sussistenti tutti i presupposti per qualificare tali materiali quali "sottoprodotti" o "(OMISSIS)"; 4.1.4. Lamenta, ancora, il ricorrente, violazione di legge, sempre con riferimento all'articolo 256 Decreto Legislativo n. 152 del 2006, per non aver tenuto conto la sentenza dei rapporti commerciali intercorrenti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), oggetto di ampia produzione documentale da parte della difesa; 4.1.5. Censura, il ricorrente, violazione di legge con riferimento alla errata esclusione della applicazione della qualificazione del materiale quale "cessazione della qualifica di rifiuto" (EOW), nonche' manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla ritenuta attualita' della qualifica di rifiuto in capo ai materiali sequestrati; lamenta altresi' nullita' dell'asserto secondo cui graverebbe sull'interessato provare la sussistenza di tutti i presupposti per la cessazione della qualifica di rifiuto; sottolinea come la produzione di (OMISSIS) possa essere autorizzata anche in assenza di uno specifico regolamento comunitario o decreto ministeriale; 4.1.6. Denuncia il ricorrente l'omessa valutazione nella sentenza impugnata delle deduzioni critiche avanzate dai consulenti della difesa (Dott. (OMISSIS), Dott. (OMISSIS)) sulla rappresentativita' dei campionamenti effettuati dal dottor (OMISSIS); 4.1.7. Censura la dichiarata inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dall'imputato (OMISSIS) e dai suoi figli (OMISSIS) e (OMISSIS) al C.T. del P.M. ai sensi dell'articolo 228, comma 3, c.p.p.; 4.1.8. Lamenta infine la mancanza di motivazione in ordine alla valutazione delle prove documentali prodotte dalla difesa all'udienza del 21 aprile 2022; 4.2. Relativamente al Capo n. 11) (sentenza di condanna): 4.2.1. Violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. in riferimento all'articolo 29-quaterdecies Decreto Legislativo n. 152 del 2006. Lamenta il ricorrente come erroneamente il giudice abbia ritenuto che (OMISSIS) fosse tenuta, dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 46/2014, a munirsi entro i termini di cui all'articolo 29, comma 2, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) anche per l'attivita' IPPC 5.b.3 (gestione e trattamento di scorie di fusione e ceneri). Sostiene infatti, anche alla luce delle indicazioni fornite dalla Giunta della Regione Lombardia in data 8 aprile 2014 e della circolare del MATTM del 17 giugno 2015, che, per le attivita' tecnicamente connesse e coinsediate, gia' autorizzate in AIA (nel caso di specie l'attivita' era quella di cui al punto 6.5) ma entrate in IPPC successivamente al citato decreto legislativo, non vi sia obbligo di richiedere l'AIA (come modifica sostanziale), ma essa andra' aggiornata in occasione del primo riesame dell'attivita' IPPC principale. A conferma, il ricorrente cita ben due aggiornamenti dell'AIA effettuati dalla provincia di (OMISSIS), il primo in data 24/10/2014 e il secondo in data 29/06/2018, ossia dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 46/2014, senza che sia stata sollecitata una richiesta per modifica sostanziale. Aggiunge inoltre il ricorrente che, se le attivita' IPPC sono governate, sotto il profilo tecnico, dall'obbligo di rispetto dell(OMISSIS)d. "BAT" di settore, la relazione ARPA del 14/12/2015 precisa che le BAT venivano correttamente applicate; 4.2.2. Sostiene il ricorrente che, in ogni caso, alla luce delle indicazioni ministeriali e regionali, e' fuor di dubbio che una eventuale errata interpretazione della normativa non potrebbe che ritenersi conseguenza di un errore inescusabile, in quanto indotto dagli enti pubblici preposti alla tutela dell'ambiente; 4.2.3. Violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. in riferimento all'articolo 452-novies c.p.; lamenta il ricorrente che, da un lato, il giudice promette qualsivoglia motivazione in ordine alla esistenza dell'aggravante in parola; dall'altro, sottolinea come essa trovi applicazione quando dalla commissione del fatto derivi la violazione di uno o piu' norme poste a tutela dell'ambiente; nel caso di specie ci si trova di fronte ad una sola violazione, sussunta nell'ambito dell'articolo 29-quaterdecies nel codice penale, circostanza da cui non puo' che risultare l'insussistenza della contestata aggravante; 4.2.4. Violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., violazione di legge in riferimento agli articoli 546 e 125 c.p.p. per mancanza di motivazione nella parte in cui ha disposto la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite, Provincia di (OMISSIS) ed Ente Parco del (OMISSIS); la motivazione fornita dal giudice e' infatti assolutamente generica, laddove individua, per la provincia di (OMISSIS), il danno patrimoniale nel danno da maggiore attivita' amministrativa e nel danno di immagine il danno non patrimoniale; nonche' per quanto riguarda l'ente Parco, laddove individua danni patrimoniali nei costi di vigilanza e nella maggiore attivita' amministrativa resasi necessaria nel corso degli anni, danno peraltro non richiesto dalla parte civile con riferimento al capo 11); 4.2.5. Violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. in riferimento agli articoli 546 e 125 c.p.p. nella parte in cui nel dispositivo ha condannato l'imputato al pagamento di una provvisionale, laddove nella motivazione veniva assunta una decisione di segno opposto. 5. Il ricorso di (OMISSIS): 5.1. Il primo motivo di ricorso riproduce le medesime doglianze gia' esposte al par. 4.2.1; 5.2. Il secondo motivo di ricorso riproduce le medesime doglianze gia' esposte al par. 4.2.3; 5.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta l'assenza e l'illogicita' della motivazione nella parte in cui ritiene che la responsabilita' del (OMISSIS) discenda dalla sua qualifica di "incaricato nella gestione dei rifiuti", cui il giudice ha invece negato rilevanza con riferimento alle altre imputazioni; 5.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta l'assenza di motivazione nella dosimetria della pena, calcolata in misura prossima al massimo edittale in assenza di qualsivoglia motivazione che non si esaurisca in una mera clausola di stile; 5.5. Il quinto motivo di ricorso riproduce le medesime doglianze gia' esposte al par. 4.2.4, lamentando altresi' la mancanza di prova in ordine all'esistenza di un effettivo pregiudizio; 5.6. Il sesto motivo di ricorso riproduce le medesime doglianze gia' esposte al par. 4.2.5. 6. Il ricorso di (OMISSIS) di (OMISSIS) (OMISSIS): 6.1. I motivi di ricorso indicati quali 1), 1.2), 2), 3) e 4) sono sovrapponibili a quelli presentati da (OMISSIS) in riferimento alla sentenza di proscioglimento in ordine al Capo 1) ed elencati al par. 4.1., cui la Corte rinvia; 6.2. Con il quinto motivo di ricorso, la ricorrente censura l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001. Il motivo si articola in due distinte censure. 6.2.1. In primo luogo, si censura il difetto di prova in ordine all'effettivo interesse o vantaggio (da intendersi in senso di "profitto") conseguito dall'ente; 6.2.2. In secondo luogo, si censura la mancanza di prova di "colpa di organizzazione", avendo l'ente adottato il "modello di organizzazione e gestione" e avendo indebitamente il giudice dedotto, ex post, la colpa di organizzazione dell'ente dalla mera commissione del reato presupposto da parte dell'apicale; 6.3. Con il sesto motivo la ricorrente censura l'applicazione della misura della confisca a carico dell'ente: 6.3.1. In primo luogo, censura come il giudice non abbia motivato in ordine alla derivazione immediata e diretta del profitto dalla commissione del reato presupposto, come richiesto dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione; 6.3.2. In secondo luogo, censura la quantificazione del danno, operata dal giudice "in via equitativa" e senza alcun aggancio con elementi concreti; 6.4. Con il settimo motivo di ricorso la ricorrente lamenta come la sentenza abbia condannato (OMISSIS), in qualita' di responsabile civile, al risarcimento del danno in favore dell'Ente Parco del (OMISSIS), senza che quest'ultimo abbia esercitato l'azione civile nei suoi confronti, citandola quale responsabile civile; 6.5. Con l'ottavo motivo, la ricorrente censura di illogicita' la motivazione in riferimento alle modalita' di determinazione sia del numero delle quote applicate all'ente come sanzione pecuniaria ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, che della loro entita' unitaria. 7. Con memoria del 28 aprile 2023, il difensore di (OMISSIS) depositava motivi nuovi. Ribadisce, in primo luogo, la censura in merito all'espunzione delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e (OMISSIS), da doversi ritenere inutilizzabili con esclusivo riferimento agli atti irripetibili. Ribadisce, altresi', che la titolarita' dei cumuli di materiali in capo alla (OMISSIS) emerge anche da specifici documenti, come le dichiarazioni rese da (OMISSIS) in data 2.2.2016 nella lettera in risposta alla richiesta del Comune di (OMISSIS) in data 22.12.2015. Ribadisce infine la totale mancanza di motivazione del giudice di primo e unico grado in ordine a tale elemento dirimente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con riferimento al ricorso presentato dall'Avv. (OMISSIS) in data 14/11/2022, la Corte analizzera' in primo luogo la parte relativa al Capo di sentenza sub 1), dichiarato prescritto dal Tribunale di (OMISSIS) (pagg. 1-66). Il ricorso e', in parte qua, inammissibile. 1.1. La Corte ha Sez. 4, n. 8135 del 31/01/2019, Rv. 275219 - 01 ha chiarito che in tema di impugnazioni, l'imputato che, senza aver rinunciato alla prescrizione, proponga ricorso per cassazione avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, e' tenuto, a pena di inammissibilita', a dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilita' in atti, in modo "evidente e non contestabile", di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilita' dell'elemento soggettivo del reato, affinche' possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129, comma 2, c.p.p., ponendosi cosi' rimedio all'errore circa il mancato riconoscimento di tale ipotesi in cui sia incorso ii giudice della sentenza impugnata. Il ricorrente, pur rubricando le proprie doglianze come violazioni di legge, sollecita a questa Corte una rivalutazione del compendio probatorio, evidentemente preclusa in sede di legittimita', e propone in ogni caso censure motivazionali che parimenti non possono trovare ingresso in questa sede, avendo ormai da tempo le Sezioni Unite di questa Corte chiarito, con un condivisibile dictum, che, "in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva" (cosi' Sez. Un. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244275, nella cui motivazione si e' precisato che detto principio trova applicazione anche in presenza di una nullita' di ordine generale; conf. Sez. 6, n. 10074 dell'8/2/2005, Algieri, Rv. 231154; Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003 dep. il 2004, Balsano ed altri, Rv. 227098). Ancora, si e' ritenuto che, in sede di legittimita', non e' consentito il controllo della motivazione della sentenza impugnata allorche' sussista una causa estintiva del reato, e cio' sia quando detta causa sia sopraggiunta nelle more del giudizio in Cassazione, sia quando, come nel caso che ci occupa, sia stata dichiarata con lo stesso provvedimento nei cui confronti e' proposta l'impugnazione (cosi' Sez. 5, n. 588 del 4/10/2013 dep. il 2014, Zambonini, Rv. 258670). Pertanto, il giudizio di legittimita' deve essere limitato alle sole violazioni di legge, e, in questo limitato ambito, potranno essere oggetto di scrutinio le sole violazioni che determinino una "evidenza" di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilita' dell'elemento soggettivo del reato. Nel caso di specie, escluso a priori ogni vaglio sugli asseriti vizi di motivazione da parte di questa Corte (con conseguente inammissibilita' dei relativi motivi), in riferimento alle lamentate violazioni di legge, come si accennera' nei sottoparagrafi che seguono, tale situazione di "evidenza" non ricorre. 1.2. Cio', in primo luogo, con riferimento alla asserita riconducibilita' dei materiali oggetto di contestazione, all'interno della categoria del c.d. "(OMISSIS)" ((OMISSIS)). 1.2.1. Tale istituto, disciplinato dalla direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008 (c.d. "direttiva quadro", o framework directive, in materia di rifiuti) e ribattezzato dal legislatore italiano come "cessazione della qualifica di rifiuto", ha sostituito la previgente disciplina delle c.d. "materie prime secondarie" (articolo 181-bis del TUA), spostando il focus della disciplina dal "risultato" di un processo di recupero al "processo" stesso. L'(OMISSIS) puo' definirsi come un "processo di recupero del rifiuti", al termine del quale il rifiuto cessa di essere tale e torna a svolgere un ruolo utile nel circuito economico come prodotto. In tal senso, le Linee Guida sulla direttiva 2008/98/CE predisposte dalla Commissione UE nel giugno 2012 precisano che le obbligazioni specifiche del produttore e del detentore permangono finche' il processo di recupero non e' completo, in conformita' con gli obiettivi della Direttiva Quadro, cosi' minimizzando il rischio di danni per la salute e l'ambiente. L'(OMISSIS) indica pertanto tutto il "processo" che determina il passaggio da un "rifiuto" a un "prodotto", e, quindi, tutte le fasi attraverso cui questo passaggio si articola e si determina; da cio' consegue che, fino al completamento del processo, il rifiuto resta tale (in tal senso, la Corte ha precisato - Sez. 3, n. 18891 del 22/11/2017, dep. 2018, Battistella, Rv. 272879 - 01 - che i rifiuti esitati dall'attivita' di trattamento, che non hanno ancora cessato di essere tali, continuano ad essere assoggettati alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti; pertanto, l'accertamento della cessazione della qualita' ha efficacia "costitutiva" e non "dichiarativa", sicche' essa opera ex nunc e non ex tunc, stante il chiaro tenore letterale dell'articolo 184-ter, u.c., Decreto Legislativo n. 152 del 2006). 1.2.2. Le condizioni che determinano la possibilita' per un rifiuto di cessare di essere tale sono indicate dall'articolo 184-ter del TUA, secondo cui un rifiuto cessa di essere tale, quando e' stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l'oggetto e' comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non portera' a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana. Le caratteristiche anzidette devono indeflettibilmente ricorrere tutte insieme. In tal senso si e' espressa la giurisprudenza della Corte, (Sez. 3, n. 36692 del 03/07/2019, Bordonaro, n. m.), secondo cui occorre che il rifiuto sia sottoposto ad un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i predetti criteri specifici, da adottare nel rispetto delle condizioni dianzi esposte. 1.2.3. Quanto alla "tipologia" di sostanze od oggetti che sono suscettibili di diventare materie prime al termine del processo di recupero, la qualifica di (OMISSIS) puo' in primo luogo essere assegnata a tipologie di materiali da Regolamenti comunitari. La normativa Europea ha tuttavia disciplinato solo alcune ristrette ipotesi: - Regolamento (UE) n. 333/2011 del 31 marzo 2011 recante "I criteri che determinano quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio"; - Regolamento (UE) n. 1179/2012 del 10 dicembre 2012 recante "I criteri che determinano quando i rottami di vetro cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio"; - Regolamento (UE) n. 715/2013 del 25 luglio 2013 recante "I criteri che determinano quando i rottami di rame cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio". L'articolo 6 della direttiva 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE prevede che "se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformita' della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile". Il comma 2 dell'articolo 184-ter TUA stabilisce che "i criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformita' a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o piu' decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della L. 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto". L'Italia a sua volta ha disciplinato i seguenti casi di (OMISSIS): - Decreto del Ministero dell'ambiente 14 Febbraio 2013, n. 22, "Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 Aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni"; - Decreto del Ministero dell'ambiente 28 marzo 2018, n. 69, "Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di conglomerato bituminoso ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152", in vigore dal 3 luglio 2018; - Decreto del Ministero dell'ambiente 15 maggio 2019 n. 62, "Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di prodotti assorbenti per la persona (PAP) ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152"; - Decreto del Ministero dell'ambiente 31 marzo 2020 n. 78, "Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto della gomma vulcanizzata derivante da pneumatici fuori uso, ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152", in vigore dal 5 agosto 2020; - Decreto del Ministero dell'ambiente 22 settembre 2020, n. 188, "Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto da carta e cartone, ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152"; - Decreto del Ministero dell'ambiente del 27 settembre 2022 n. 152, "Regolamento che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione e di altri rifiuti inerti di origine minerale, ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152". 1.2.4. La Direttiva non entrava nel merito delle competenze istituzionali dei singoli Stati membri, mentre l'articolo 184-ter TUA prevedeva che la disciplina come (OMISSIS) per specifiche tipologie di rifiuto dovesse passare attraverso uno o piu' decreti del MATTM (acronimo di "Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare"); la possibilita' che potesse essere autorizzato un processo di (OMISSIS) "caso per caso", al di fuori dei casi espressamente contemplati, era stata fermamente smentita dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato con la sentenza n. 1229/2018, il quale ha affermato il potere di assegnare la qualifica di (OMISSIS) a determinati materiali "caso per caso", non va riferito al singolo materiale da esaminare, bensi' inteso come "tipologia" di materiale da esaminare e fare oggetto di piu' generale previsione regolamentare, a monte dell'esercizio della potesta' autorizzatoria). Il nuovo paragrafo 4 dell'articolo 6 della direttiva, tuttavia, nel testo modificato dalla direttiva 2018/851/UE, prevede che "laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione o a livello nazionale ai sensi, rispettivamente, del paragrafo 2 o del paragrafo 3, gli Stati membri possono decidere caso per caso o adottare misure appropriate al fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere tali in base alle condizioni di cui al paragrafo 1, rispecchiando, ove necessario, i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e), e tenendo conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente e sulla salute umana. Tali decisioni adottate caso per caso non devono essere notificate alla Commissione". La L. n. 128 del 02/11/2019 ha modificato radicalmente l'articolo 184-ter del TUA. La nuova disciplina, molto articolata, trova il punto focale nella previsione secondo cui, in mancanza di criteri specifici adottati con i regolamenti ministeriali, le autorizzazioni per lo svolgimento di operazioni di recupero siano rilasciate o rinnovate direttamente dalle amministrazioni competenti nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 6 della direttiva 2008/98/CE, sulla base di criteri dettagliati definiti provvedimento autorizzatorio e previo parere obbligatorio (introdotto dall'articolo 34, comma 1, lettera a), del Decreto Legge n. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108) di ISPRA o ARPA competente (sulla base delle linee guida aggiornate, da ultimo, dal SNPA con Quaderno n. 41/2022). 1.2.6. Appare in conclusione del tutto evidente, pertanto, che fino al novembre del 2019 non fosse possibile attribuire ai materiali "de qua" la qualifica di (OMISSIS), cio' che rende di solare evidenza l'impossibilita' per la Corte di valutare ictu oculi la sussistenza dei presupposti per una assoluzione nel merito. 1.3. Analoghe considerazioni possono essere svolte in riferimento al censurato profilo dell'inversione dell'onus probandi. La giurisprudenza consolidata della Corte, che il Collegio condivide, ha precisato con giurisprudenza univoca che trattandosi di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti, "l'onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge deve essere assolto da colui che ne richiede l'applicazione (Sez. 3, n. 38950 del 26/06/2017, Roncada, n. m.; Sez. 3, n. 56066 del 19/09/2017, Sacco, Rv. 272428 - 01; Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336 - 01; Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129 - 01; Sez. 3, n. 17453 del 17/04/2012, Buse', Rv. 252385 - 01; Sez. 3, n. 16727 del 13/04/2011, Spinello, n. m.; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504 - 01). Tale giurisprudenza e' una applicazione dell'indirizzo consolidato secondo cui (v. Sez. 3, n. 20410 del 08/02/2018 Rv. 273221 - 01 Boccaccio) il principio di inversione dell'onere della prova "specificamente riferito al deposito temporaneo, e' peraltro applicabile in tutti i casi in cui venga invocata, in tema di rifiuti, l'applicazione di disposizioni di favore che derogano ai principi generali". In tal senso, gia' Sez. 3, sentenza n. 47262 dell'8/09/2016, Marinelli, n. m., aveva precisato che il principio dell'inversione dell'onere della prova corrisponde ad un "principio generale gia' applicato in giurisprudenza: in tema di attivita' di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall'articolo 182, comma 6 bis, primo e secondo periodo, Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (cfr. Sez. 3, n. 5504 del 12/01/2016, Lazzarini), di deposito temporaneo di rifiuti (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo), di terre e rocce da scavo (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato), di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali (Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014, Aloisio), di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano), di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, prevista dall'articolo 258 comma 15 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee (Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini), di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Bastone)". Il principio e' stato successivamente ribadito anche da Sez. 3, n. 3598 del 23/10/2018, dep. 2019, Fortuna, n. m.. 1.3.1. Tale prova inoltre, che grava sull'interessato, non puo' essere fornita (Sez. 3, n. 41607 del 6/07/2017, Garlando, n. m.) mediante mera testimonianza, atteso che l'articolo 184-bis Decreto Legislativo n. 152 del 2006 richiede "condizioni specifiche che devono essere adeguatamente documentate anche e soprattutto sotto il profilo prettamente tecnico, involgendo, come e' noto, le caratteristiche del ciclo di produzione, il successivo reimpiego, eventuali successivi trattamenti, la presenza di caratteristiche atte a soddisfare, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e l'assenza di impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana", e che "incombe sull'interessato, anche successivamente alla modifica dell'articolo 183, comma 1, lettera p), l'onere di fornire la prova della destinazione del materiale ad ulteriore utilizzo, con certezza e non come mera eventualita'". Principio che trova pacificamente applicazione al caso dell'(OMISSIS), che riposa sul medesimo principio derogatorio. 1.3.2. Le sopra esposte considerazioni valgono anche, pertanto, in riferimento alla prospettata (ma non dimostrata) ipotesi di classificare i materiali in parola come "sottoprodotti", circostanza del resto esclusa dal giudice del merito anche alla luce della tipologia di materiali rinvenuti (tra cui degli "scarti di fonderia", pag. 8). 1.4. Analogamente, in relazione alle ordinanze dibattimentali impugnate con la sentenza, non appare evidente l'esistenza di elementi per procedere ictu oculi all'assoluzione. I motivi appaiono pertanto manifestamene infondati in quanto si pongono in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte senza addurre alcun profilo di novita' (Sez. 2 -, Sentenza n. 17281 del 08/01/2019, Delle Cave, Rv. 276916 - 01). 1.4.1. Quanto alla violazione del diritto agli avvisi ex articolo 360 c.p.p., evidenzia il collegio come, correttamente, il ricorrente faccia riferimento alla disposizione di cui all'articolo 220 disp. att. c.p.p., a mente del quale "quando nel corso di attivita' ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice". Tuttavia, proprio alla luce del richiamo contenuto alle norme del codice di rito, il Collegio evidenzia come questa Corte (v., ex plurimis, Sez. 6, n. 10350 del 6/02/2013; Sez. 2, n. 2087 del 10/01/2012; Sez. 2, n. 34149 del 10/07/2009) e la stessa Corte Costituzionale (sent. n. 239/2017) hanno in modo costante distinto il "rilievo" dall'"accertamento tecnico". Si tratta, come noto, di categorie di atti di indagine che il codice non definisce in alcun punto, tanto che alcuni in dottrina hanno in proposito parlato di "endiadi". Cosi' non e'. L'articolo 359 c.p.p. (rubricato "Consulenti tecnici del pubblico ministero"), si riferisce ad entrambi i tipi di operazioni, laddove l'articolo 360 si riferisce solo ai secondi, con conseguente esclusione, quanto ai "rilievi", del diritto al previo avviso all'indagato, che puo' partecipare alle operazioni solo "ove presente" (arg. ex articoli 354 e 356 c.p.p., 114 disp. att. c.p.p.). La giurisprudenza della Corte ha nel tempo chiarito che con il termine "rilievi" si intende un'attivita' di mera osservazione, individuazione ed acquisizione di dati materiali, mentre gli "accertamenti" comportano un'opera di studio critico, di elaborazione valutativa, ovvero di giudizio di quegli stessi dati o di valutazioni critiche su basi tecnico-scientifiche (Sez. 5, n. 11866 del 29/09/2000, D'Anna; Sez. 2, n. 45751 dell'8/02/2016, Siino; Sez. 1, n. 18246 del 25/02/2015, Cedrangolo; sez. 1, n. 45283 del 10/10/2013; Sez. 2, n. 33076 del 25/07/2014; Sez. 1, n. 2443 del 13/11/2007, Pannone: "in tema di indagini preliminari, la nozione di accertamento tecnico concerne non l'attivita' di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato... priva di alcun carattere di invasivita', bensi' soltanto il loro studio e la loro valutazione critica"; Sez. 2, n. 34149 del 10/07/2009, Chiesa, Rv. 244950: "in tema di indagini preliminari, mentre il rilievo consiste nell'attivita' di raccolta di dati pertinenti al reato, l'accertamento tecnico si estende al loro studio e valutazione critica secondo canoni tecnico-scientifici"; conformi, in relazione ai prelievi di campioni di DNA: Sez. 1, n. 18246 del 25/02/2015, Rv. 263859 - 01; Sez. 1, n. 31880 del 30/03/2022, Rv. 283573 - 01). La giurisprudenza, anche Costituzionale, ha nel tempo assimilato il concetto di "prelievo" a quello di "rilievo" (v. citata sent. Corte Cost. n. 239/2017; Sez. 1, n. 2443 del 13/11/2007, Rv. 239101 - 01"la nozione di accertamento tecnico concerne non l'attivita' di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato... priva di alcun carattere di invasivita', bensi' soltanto il loro studio e la loro valutazione critica"), essendo entrambi mezzi volti all'apprensione di un dato materiale, una cosa, un campione, di essa rappresentativo. D'altra parte, come evidenziato in dottrina, il fatto che il codice riservi in alcune disposizioni (articoli 224-bis e 359-bis c.p.p.) particolari cautele in relazione a talune forme di "prelievi" e non invece ai "rilievi", e' ricollegabile alla peculiare circostanza che solo nel caso del "prelievo" l'attivita', in quei casi specifici, presenta carattere invasivo della liberta' personale (Sez. 1, n. 2443 del 13/11/2007, Pannone, Rv. 239101 - 01: "In tema di indagini preliminari, la nozione di accertamento tecnico concerne non l'attivita' di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato, priva di alcun carattere di invasivita', bensi' soltanto il loro studio e la loro valutazione critica"). Resta inteso che, ove non si applichino le garanzie di cui all'articolo 360 c.p.p., particolare attenzione e cura dovranno essere rivolte alla verbalizzazione dell'attivita' (prevista dall'articolo 357 c.p.p. solo per gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria, ma da estendersi all'attivita' di indagine in generale, soprattutto ove non assistita dalla dialettica tra le parti), onde consentirne il controllo (e la contestazione) in contraddittorio nelle successive fasi processuali. Tuttavia, lo stesso giudice delle leggi citato ha evidenziato che, anche operazioni di rilievo o prelievo, e in generale di repertazione, possano richiedere, "in casi particolari, valutazioni e scelte circa il procedimento da adottare, oltre che non comuni competenze e abilita' tecniche per eseguirlo, e in questo caso, ma solo in questo, puo' ritenersi che quell'atto di indagine costituisca a sua volta oggetto di un accertamento tecnico, prodromico rispetto all'atto da eseguire poi sul reperto prelevato". Infatti, possono verificarsi situazioni in cui per la repertazione del campione, necessario agli accertamenti peritali, siano richieste specifiche competenze tecniche ovvero si debba ricorrere a tecniche particolari e in "tal caso anche l'attivita' di prelievo assurge alla dignita' di operazione tecnica non eseguibile senza il ricorso a competenze specialistiche e dovra' essere compiuta nel rispetto dello statuto che il codice prevede per la acquisizione della prova scientifica" (Sez. 2, n. 2476 del 27/11/2014, Rv. 261867 - 01). Non a caso, accorta dottrina parla, in proposito degli accertamenti tecnici, di categoria "liquida", proprio a sottolinearne la natura "mobile" dei confini. Si tratta, in questi casi, di un apprezzamento in concreto rimesso al giudice del fatto, insindacabile in sede di legittimita' ove sorretto da adeguata motivazione. Quanto alle "tecniche" di campionamento, il Collegio evidenzia, in riferimento ai rifiuti, che se e' vero che tale attivita' puo' essere particolarmente delicata in merito alla scelta delle metodiche da adottare e della rappresentativita' del campione (circostanza che rende consigliabile assicurare in ogni caso il contraddittorio), la Corte di Giustizia UE (sentenza 28 marzo 2019, cause riunite da C-487/17 a C-489/17, Verlezza), ha precisato che in materia di rifiuti, e' richiesto solamente che le operazioni di campionamento "devono offrire garanzie di efficacia e di rappresentativita'" e che i relativi metodi siano "riconosciuti a livello internazionale". Questa Corte (Sez. 3, n. 1987 del 08/10/2014, Rv. 261786 - 01), del resto, ha evidenziato del resto come non sia imposto per il campionamento dei rifiuti l'uso di particolari metodologie (nella specie il metodo UNI 10802) e che la scelta sul metodo da utilizzare per il campionamento e' questione di fatto, in mancanza di una normativa generale vincolante sul punto. Analogamente la Corte si e' espressa in tema di inquinamento delle acque (Sez. 3, n. 32996 del 14/05/2003, Rv. 225547 - 01: "in tema di controllo dei reflui degli scarichi il metodo di campionamento e' regolamentato da una metodica flessibile, in quanto accanto al criterio ordinario, riferito ad un campione medio prelevato nell'arco di tre ore, prevede la possibilita' di criteri derogatori in relazione alle specifiche esigenze del caso concreto, quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell'autorizzazione allo scarico, dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico cosi' come dal tipo di accertamento, la cui valutazione spetta all'autorita' amministrativa di controllo nonche', in sede processuale, al giudice penale"; Sez. 3, n. 36701 del 03/07/2019, Rv. 277158 - 01: " In tema di inquinamento idrico, la norma sul metodo di prelievo per il campionamento dello scarico ha carattere procedimentale e non sostanziale e, dunque, non ha natura di norma integratrice della fattispecie penale, ma rappresenta il mero criterio tecnico ordinario per il prelevamento, ben potendo il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete, motivatamente ritenere la rappresentativita' di campioni raccolti secondo metodiche diverse"), nonche' di mangimi per animali (Sez. 3, n. 21652 del 02/04/2009, Rv. 243726 - 01: "Le norme relative al prelevamento e all'analisi di campioni di merci hanno carattere ordinatorio e non costituiscono condizioni per il regolare esercizio dell'azione penale, sicche' eventuali irregolarita' in materia non determinano nullita', pur dovendo il giudice, che da tali analisi voglia trarre elementi di convincimento per la decisione, motivare adeguatamente in ordine all'attendibilita' del risultato"). Da quanto sopra evidenziato, appare evidente che non possa attribuirsi all'attivita' di campionamento dei rifiuti la "natura" di accertamento tecnico ex se, essendo al contrario 14 rimessa al giudice del fatto la valutazione in ordine al quantum di competenza e difficolta' tecnica richiesto per l'effettuazione delle operazioni di prelievo, al fine di valutare la necessita' di attivare la procedura garantita di cui all'articolo 360 c.p.p.. Nel caso di specie, non vi e' dubbio che, ontologicamente, il campionamento dei rifiuti appartenga alla categoria dei "rilievi", e non a quella degli "accertamenti tecnici", e che potendosi in ipotesi lamentar eun vizio di motivazione, il relativo scrutinio va in concreto escluso alla luce delle considerazioni espresse dal Collegio al par. 1.1. A cio' si aggiunga che il giudice del fatto ha escluso la natura "irripetibile" delle operazioni di campionamento dei rifiuti (pag. 2 ordinanza 14/01/2020, riportata a pag. 9 del ricorso), valutazione in fatto non sindacabile dalla Corte. Dalla sopra esposte considerazioni consegue la inammissibilita' anche delle censure relative alla pretesa violazione del diritto all'avviso da parte del ricorrente, indipendentemente dall'avvenuta iscrizione o meno dello stesso sul registro degli indagati e dalla dedotta natura irripetibile delle operazioni, nonche' delle conseguenti lamentate nullita'. 1.4.2. Manifestamente infondata e' poi la parte di doglianza secondo cui il pubblico ministero avrebbe dovuto procedere alla nomina di consulenti tecnici per l'effettuazione degli accertamenti tecnici, posto che l'articolo 117 delle norme di attuazione del codice di procedura penale prevede l'applicabilita' della "procedura" di cui all'articolo 360 c.p.p. (ove applicabile) anche agli accertamenti tecnici "che modificano lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone", prescindendo quindi dalla nomina di consulenti. 1.5. Lamenta inoltre il ricorrente che i funzionari ARPA, nominati ausiliari tecnici per le operazioni di sopralluogo, inseriti nella lista ex ar. 468 c.p.p. come testimoni, sarebbero stati escussi quali consulenti, e quindi non sarebbero come tali stati autorizzati, incorrendo, inoltre, nell'incompatibilita' a testimoniare prevista per gli ausiliari del pubblico ministero. 1.5.1. Quanto al primo profilo, Il motivo e' pertanto manifestamente infondato. La Corte ha ritenuto in passato (Sez. 3, Sentenza n. 37490 del 21/09/2011, n. m.) che il consulente del Pubblico Ministero puo' essere interrogato come testimone al dibattimento "per una sorte di "conversione" in quello praeter peritiam previsto dall'articolo 233 c.p.p.", cosi' "convogliando nel processo pareri e conoscenze utili ai fini della decisione (Cass. Sez. 3 sentenza 22260/2008)" e che (Sez. 2, n. 4128 del 09/10/2019, Consolo, Rv. 278086 - 01) "in tema di prova testimoniale, il divieto di apprezzamenti personali non opera qualora il testimone sia persona particolarmente qualificata che riferisca su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e specifica attivita' giacche', in tal caso, l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto". In sostanza, il c.d. "teste tecnico" puo' non solo riferire fatti di cui ha avuto immediata percezione, ma altresi' svolgere considerazioni che costituiscono retaggio del suo bagaglio professionale, in maniera del tutto analoga al consulente tecnico, purche' nei limiti dei capitoli di prova ammessi, circostanza, questa, non dedotta nel motivo di impugnazione. 1.5.2. Il secondo rilievo e' del pari manifestamente infondato. Nell'ordinamento processuale esistono due differenti nozioni di "ausiliario" del magistrato. Ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera n) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2000, ai fini del pagamento delle dovute competenze sono ausiliari del magistrato "il perito, il consulente tecnico, l'interprete, il traduttore e qualunque altro soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all'ufficio puo' nominare a norma di legge". Ai sensi dell'articolo 373 c.p.p., invece, (âEuroËœ"ausiliario del pubblico ministero" (cosi' come l'ausiliario del giudice ex articolo 126) e' colui che assiste il pubblico ministero e redige i verbali. L'articolo 197 c.p.p., alla lettera d) prevede che non possono assumere la veste di testimoni "coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario, nonche' il difensore che abbia svolto attivita' di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell'articolo 391-ter", con cio' rendendo evidente che l'incompatibilita' si riferisce solo agli ausiliari di cui all'articolo 373 del codice di rito (Sez. 5, n. 17951 del 07/02/2020, Zilio, Rv. 279175 - 02: "sussiste l'incompatibilita' con l'ufficio di testimone solo per l'ausiliario in senso tecnico, che appartiene al personale della segreteria o della cancelleria dell'ufficio giudiziario, e non invece in relazione ad un esperto, estraneo all'amministrazione giudiziaria, che abbia svolto occasionalmente funzioni di ausiliario della polizia giudiziaria in fase di indagini preliminari"; in tal senso, anche Sez. 5, n. 32045 del 10/06/2014, Colombo, Rv. 261652 - 01). 1.6. Il motivo relativo al lamentato "travisamento del fatto e della prova" (pag. 19 ricorso) e' inammissibile in quanto totalmente svolto in fatto, risolvendosi nella mera contestazione della "correttezza" della motivazione (sufficienza o meno dell'"esame visivo" dei materiali ai fini della loro classificazione), territorio in cui il sindacato della Corte non puo' certamente spingersi. Il Collegio evidenzia come, anche di recente, la Corte (Sez. 3, n. 16355 del 16/03/2023, Abom), abbia affermato che "l'accertamento della natura di un oggetto quale rifiuto, ai sensi dell'articolo 183 Decreto Legislativo n. 3 aprile 2006, n. 152 costituisce una questione di fatto, demandata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimita', se, come nel caso in esame, sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici (v. Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Schpeis, Rv. 276009; Sez. 3, n. 7037 del 18/01/2012, Fiorenza, Rv. 252445), anche perche' tale qualificazione non deve necessariamente basarsi su un accertamento peritale, âEuroËœpotendo legittimamente fondarsi, come nel caso in esame, anche su elementi probatori, quali le dichiarazioni testimoniali, i rilievi fotografici o gli esiti di ispezioni e sequestri (v. Sez. 3, n. 33102 del 07/06/2022; Bartucci, Rv. 283417; conf. Sez. 3, n. 7705 del 1991, Rv. 18780)". Non puo' del resto non evidenziarsi come (pagina 8 della sentenza), in ordine alla tipologia e composizione del materiale, il Tribunale evidenzi che il teste Garattoni, ufficiale di P.G., all'udienza 29/09/2020 ha riferito che si trattava di enormi cumuli (stimati successivamente da ARPA in circa 130.000 tonnellate e poco piu' di 55.000 mc) di materiale prevalentemente ente, inerte, frammisto a plastica, legno, metalli, scorie metalliche e scarti di fonderia, visibili anche dalla strada e posti nelle vicinanze di un affluente del fiume (OMISSIS), l'affluente (OMISSIS), in area sottoposta a vincolo paesaggistico; tale circostanza veniva confermata dal teste (OMISSIS) all'udienza 29/01/2021; dal Dott. (OMISSIS) sia nella sua relazione che nell'escussione all'udienza 19/11/2021; dal Dott. (OMISSIS), il quale confermava la presenza di 5 cumuli i materiali che dal punto di vista merceologico potevano essere raggruppati in quattro categorie: materiale in ingresso costituito da una miscela di rifiuti fini e grossolani; materiale in uscita dal trattamento costituito da materiale fine; materiale in uscita dal trattamento costituito da materiale grossolano definito in planimetria come "sopravaglio"; terre e rocce da scavo. A pagina 9 della sentenza, poi, il giudice rappresenta inoltre come le dichiarazioni anzidette "trovano evidente conferma da quanto riprodotto nelle fotografie eseguite in occasione del sopralluogo del 15/04/2016". Il motivo, pertanto, risulta del tutto inammissibile in quanto volto a censurare vizi di motivazione (v. par. 1.1., cui si rimanda). 1.7. Altrettanto inammissibili sono i motivi relativi alla valutazione della documentazione relativa ai rapporti commerciali tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e alla illegittimita' della dichiarata inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), profili astrattamente censurabili sotto il profilo della "omessa" o "apparente" motivazione. Sul primo punto, la sentenza impugnata precisa che la deposizione del teste (OMISSIS) ha chiarito che il materiale contenuto nei cumuli, anche se in ipotesi proveniente da (OMISSIS), stante la sua natura eterogenea, non avrebbe potuto essere utilizzato nel processo produttivo di (OMISSIS) (pag. 12), con cio' escludendo implicitamente la rilevanza della documentazione prodotta (in quanto non comproverebbe la sussistenza del requisito del riutilizzo "certo") e sottraendosi al sindacato di legittimita'. Sul secondo punto, la sentenza impugnata (che sul punto - pagina 11 - motiva ampiamente) ha fatto ineccepibile applicazione dell'articolo 228, comma 3, c.p.p., che esclude qualsiasi utilizzabilita' delle dichiarazioni rese dagli indagati a periti e consulenti tecnici che non siano funzionali allo svolgimento dell'incarico, espungendo dal materiale probatorio ogni riferimento a tali dichiarazioni. La censura in realta' e' volta a dimostrare che, anche senza tali dichiarazioni, la prova della provenienza del materiale rinvenuto presso (OMISSIS) fosse evidente e tale da condurre certamente all'assoluzione. Al contrario, a pagina 12 della sentenza impugnata si precisa che "epurati i verbali di udienza dalle dichiarazioni dei CT della difesa che riportano presunte dichiarazioni rese dai (OMISSIS) sull'uso che ne facevano del materiale dei cumuli, va evidenziato che la circostanza secondo la quale il materiale venisse utilizzato dalla (OMISSIS), e' riferito, appunto, solo dai consulenti della difesa. Questa circostanza e', invece, e' stata categoricamente smentita non solo dai testi che erano dipendenti della (OMISSIS) (di cui si e' gia' detto), ma anche dal dottor (OMISSIS), che ha negato decisamente che quel materiale potesse essere utilizzato, per le sue qualita', nel processo produttivo di (OMISSIS). Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche valutate le dimensioni dei cumuli e la composizione del materiale degli stessi (miscellanea di rifiuti)". La motivazione non appare mancante, ne' apparente, con conseguente inammissibilita' dei motivi. 1.8. In riferimento alla parte della doglianza secondo cui la declaratoria di prescrizione potrebbe esporre il ricorrente ad azioni di responsabilita' da parte della societa' chiamata a rispondere ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, la Corte ritiene che essa sia inammissibile. Ed infatti, ha in precedenza chiarito (v. Sez. 6, n. 41768 del 22/06/2017, Rv. 271287) come sia inammissibile per difetto di interesse il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, emessa con riferimento a reato presupposto della responsabilita' da reato degli enti, non essendo configurabile un autonomo interesse dell'imputato neppure nel caso in cui dalla responsabilita' dell'ente possano discendere conseguenze economiche indirette o riflesse per la sua posizione di socio o amministratore. 1.9. Conclusivamente, la Corte ritiene che, alla luce delle sovraesposte considerazioni, non sussistano i presupposti di quella "evidenza" di innocenza che consentirebbe di rilevare, ictu oculi, la prevalenza di una causa di assoluzione rispetto all'estinzione del reato per prescrizione. I motivi vanno pertanto dichiarati inammissibili. 2. Tutti i motivi relativi al Capo 11) di incolpazione, in punto di affermazione di responsabilita', sono inammissibili per difetto di specificita'. 2.1. La Corte ritiene opportuno prendere le mosse dalla propria precedente pronuncia resa nel giudizio cautelare (Sez. 3, n. 38753 del 09/07/2018, Rv. 273710), che riporta in modo chiaro il quadro normativo (incidentalmente, il Collegio evidenzia come non sussista alcuna ipotesi di incompatibilita', posto che - Sez. 6, n. 9388 del 03/02/2021, Alampi, Rv. 280716 - 01 - "il giudice della Corte di Cassazione, che abbia partecipato alla decisione sul ricorso cautelare, non e' incompatibile a trattare il giudizio sul ricorso avverso la sentenza di condanna proposto dal medesimo imputato, posto che il giudizio di legittimita', avente ad oggetto la verifica della corretta applicazione delle norme e dell'insussistenza nella motivazione dei vizi di contraddittorieta' o di manifesta illogicita', non comporta una valutazione nel merito della vicenda concreta neanche nel caso di travisamento della prova, essendo lo scrutinio comunque limitato alla verifica della logica interna della decisione di merito", circostanza del resto non dedotta, correttamente, dal ricorrente). La predetta sentenza ha affermato che "la necessita' dell'AIA per le installazioni che svolgono le attivita' di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 e' stabilita dall'articolo 6, comma 13 del medesimo decreto legislativo. L'autorizzazione e' rilasciata secondo le procedure stabilite dagli articoli 29-bis e ss. del Decreto Legislativo n. l'allegato VIII alla Parte Seconda del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 ha subito anch'esso l'ultima modifica ad opera del Decreto Legislativo n. 46/2014, che ne ha disposto, con l'articolo 26, comma 1, l'integrale sostituzione. Esso individua le categorie di attivita' di cui all'articolo 6, comma 13 citato e vi comprende ora il trattamento di scorie e ceneri, in precedenza non previsto. Il Decreto Legislativo n. 46/2014, in considerazione delle modifiche apportate alla disciplina di settore, contiene, nell'articolo 29, alcune disposizioni transitorie che riguardano specificamente, al comma 3, i gestori delle installazioni esistenti che non svolgono attivita' gia' ricomprese all'Allegato VIII alla Parte Seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, i quali erano tenuti a presentare istanza per il primo rilascio della autorizzazione integrata ambientale, ovvero istanza di adeguamento ai requisiti del Titolo III-bis della Parte Seconda, nel caso in cui l'esercizio debba essere autorizzato con altro provvedimento, entro il 7 settembre 2014. Il successivo comma 3 impone all'autorita' competente al rilascio del titolo abilitativo il completamento dei procedimenti, avviati in esito alle istanze di cui al comma 2, entro il 7 luglio 2015, consentendo, nelle more, la prosecuzione dell'attivita' in base alle autorizzazioni previgenti, se del caso opportunamente aggiornate a cura delle autorita' che le hanno rilasciate, a condizione di dare piena attuazione, secondo le tempistiche prospettate nelle istanze di cui al comma 2, agli adeguamenti proposti nelle predette istanze, in quanto necessari a garantire la conformita' dell'esercizio dell'installazione con il titolo III-bis della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni. L'articolo 5, comma 1, lettera i-quater Decreto Legislativo n. 152 del 2006 definisce la "installazione" come "unita' tecnica permanente, in cui sono svolte una o piu' attivita' elencate all'allegato VIII alla Parte Seconda e qualsiasi altra attivita' accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attivita' svolte nel luogo suddetto e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento. E' considerata accessoria l'attivita' tecnicamente connessa anche quando condotta da diverso gestore". L'articolo 5, comma 1, lettera i-quinquies definisce la "installazione esistente" come quella che, "al 6 gennaio 2013, ha ottenuto tutte le autorizzazioni ambientali necessarie all'esercizio o il provvedimento positivo di compatibilita' ambientale o per la quale, a tale data, sono state presentate richieste complete per tutte le autorizzazioni ambientali necessarie per il suo esercizio, a condizione che essa entri in funzione entro il 6 gennaio 2014. Le installazioni esistenti si qualificano come "non gia' soggette ad AIA" se in esse non si svolgono attivita' gia' ricomprese nelle categorie di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128". La pronuncia, nel rimarcare che "proprio le specifiche finalita' indicate dal legislatore ed, in ogni caso, desumibili dal complesso delle norme solo in parte in precedenza richiamate, impongono una rigorosa e restrittiva interpretazione, tale da non vanificare gli effetti di questa particolare disciplina e che, pare quasi superfluo precisano, non puo' prescindere da una altrettanto rigorosa disamina dei contenuti del titolo abilitativo e della corrispondenza tra quanto autorizzato e le condizioni effettive di svolgimento dell'attivita', senza che tale verifica possa arrestarsi di fronte alla mera disponibilita' dell'autorizzazione", conclude nel senso che "se l'AIA e' richiesta per le "installazioni" che svolgono le attivita' descritte nell'Allegato VIII (articolo 6, comma 13) e se tra le installazioni rientra qualsiasi altra attivita' accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attivita' svolte e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento, e' evidente che tale connessione non puo' che riferirsi comunque ad attivita' comprese tra quelle elencate nel suddetto allegato e non anche riferibili ad altre attivita' eventualmente svolte nel medesimo insediamento, con la conseguenza che l'AIA rilasciata per attivita' non comprese nell'Allegato VIII alla Parte Seconda del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 prima delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 46/2014 comporta l'applicazione della disciplina transitoria di cui all'articolo 29 del citato decreto legislativo e la conseguente necessita' di una nuova istanza di rilascio dell'AIA, ovvero di una istanza di adeguamento". Il principio e' stato riaffermato da Sez. 4, n. 18835 dell'11/04/2019, in cui la Corte era stata nuovamente adita nella prosecuzione della fase cautelare: "se l'AIA e' richiesta per le "installazioni" che svolgono le attivita' descritte nell'Allegato VIII (articolo 6, comma 13) e se tra le installazioni rientra qualsiasi altra attivita' accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attivita' svolte e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento, e' evidente che tale connessione non puo' che riferirsi comunque ad attivita' comprese tra quelle elencate nel suddetto allegato e non anche riferibili ad altre attivita' eventualmente svolte nel medesimo insediamento, con la conseguenza che l'AIA rilasciata per attivita' non comprese nell'Allegato VIII alla Parte Seconda del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 prima delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 46/2014 comporta l'applicazione della disciplina transitoria di cui all'articolo 29 del citato decreto legislativo e la conseguente necessita' di una nuova istanza di rilascio dell'AIA, ovvero di una istanza di adeguamento". 2.2. Rispetto al quadro normativo e ai profili giuridici gia' oggetto di valutazione da parte di questa Corte, che il Collegio ribadisce, la difesa adduce che la circolare del MATTM del 17 giugno 2015 (n. 12422, "Ulteriori criteri sulle modalita' applicative della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento alla luce delle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 4 marzo 2014, n. 46") prevede che, per le "attivita' tecnicamente connesse e coinsediate", gia' autorizzate in AIA (nel caso di specie l'attivita' era quella di cui al punto 6.5) ma entrate in IPPC successivamente ai citato decreto legislativo, non vi sia obbligo di richiedere l'AIA (come modifica sostanziale), ma essa andra' aggiornata in occasione del primo riesame dell'attivita' IPPC principale (considerazioni analoghe sarebbero state svolte dalla Regione Lombardia nella circolare dell'8/04/2014). Tale affermazione, che introduce un profilo di parziale novita' rispetto ai precedenti dicta della Corte, necessita delle seguenti precisazioni. Sovente, nella prassi, accanto ad una attivita' autorizzata in AIA vi sono altre attivita', collegate alla prima, per le quali non e' previsto tale titolo autorizzativo. Si parla in proposito di "attivita' tecnicamente connesse". Si e' visto in precedenza come l'AIA sia richiesta per ogni "installazione" in cui sono svolte una o piu' attivita' elencate all'allegato VIII alla Parte Seconda e come l'articolo 5, lettera I-quater, del testo unico precisi che il concetto di "installazione" include, oltre all'"unita' tecnica permanente", anche "qualsiasi altra attivita' accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attivita' svolte nel luogo suddetto e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento". La circolare del Ministero dell'ambiente del 27 ottobre 2014, prot. 22295, emanata a chiarimenti del decreto legislativo 46/2014, precisa che, come "attivita' accessoria", si intende una attivita'. 1. svolta nello stesso sito dell'attivita' IPPC, o in un sito contiguo e direttamente connesso al sito dell'attivita' IPPC per mezzo di infrastrutture tecnologiche funzionali alla conduzione dell'attivita' IPPC e; 2. le cui modalita' di svolgimento hanno "qualche implicazione tecnica" con le modalita' di svolgimento dell'attivita' IPPC (in particolare nel caso in cui il loro fuori servizio determina direttamente o indirettamente problemi all'esercizio dell'attivita' IPPC). Il Collegio rileva come la stessa Circolare del MATTM del 17 giugno 2015, n. 12422, citata dalla difesa, all'articolo 1 precisa che "se nell'ambito di installazioni gia' dotate di autorizzatone integrata ambientale (AIA) ai sensi della precedente normativa ci sono parti non esplicitamente autorizzate con AIA (ad esempio perche' gestite da un diverso gestore) esse potranno essere dotate di AIA in occasione del primo riesame o aggiornamento sostanziale dell'autorizzazione che si rendera' necessario, ma ad esse non sono applicabili le scadenze (7 settembre 2014 e 7 luglio 2015) previste nell'articolo 29, commi 2 e 3, del Decreto Legislativo n. 46/2104. Per tali parti, essendo tecnicamente connesse ad una attivita' gia' soggetta alla disciplina IPPC, l'applicazione delle migliori tecniche disponibili era difatti gia' richiesta e garantita, o con le autorizzazioni specifiche non AIA, o attraverso opportune disposizioni dell'AIA gia' vigente per l'attivita' IPPC", salvo precisare che "diverso e' il caso per di attivita' assoggettate alla disciplina IPPC solo a seguito dell'emanazione del D.lgs. 46/2014, coinsediate ad un impianto gia' dotato di AIA, ma non tecnicamente connesse ad esso. Tali attivita', difatti, ai sensi del Decreto Legislativo n. 46/2104 sono soggette alla scadenza del 7 settembre 2014, poiche' rientrano in una distinta installazione, nella quale non sono svolte attivita' gia' soggette ad AIA". Nel premettere, confermando la propria giurisprudenza (Sez. U. Civ. n. 23031 del 2/11/2007; Sez. 3, Ord. n. 6619 del 07/02/2012, Zampano, Rv. 252541 - 01; Sez. 3, n. 19330 del 27/04/2011, Santoriello, n. m.), che le circolari ministeriali costituiscono un mero ausilio interpretativo e non esplicano alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, poiche' non possono comunque porsi in contrasto con l'evidenza del dato normativo, la Corte evidenzia come punto focale della valutazione e' nel caso di specie stabilire se la porzione di attivita' svolta da (OMISSIS), entrata in AIA (circostanza non contestata dal ricorrente) per effetto del âEuroËœDecreto Legislativo n. 46/2014 come IPPC 5.3 b.3 (trattamento di scorie e ceneri), fosse "tecnicamente connessa" all'attivita' principale dell'azienda, ossia l'attivita' IPPC 6.5. ("eliminazione e smaltimento delle carcasse animali"). 2.3. Sul punto, la sentenza impugnata (pag. 24), nel riportare la deposizione del teste Garattoni, ufficiale di polizia giudiziaria, evidenzia come tale attivita' fosse "smarcata dall'attivita', in teoria, principale di (OMISSIS) Agricoltura, che non era la lavorazione di inerti, ma la lavorazione di rifiuti organici. Mi spiego meglio. (OMISSIS) agricoltura aveva, dalla nostra analisi e da quella dei tecnici barba, una autorizzazione integrata ambientale prevista al punto 6.5 delle attivita' di IPPC previste dal testo unico ambientale, l'allegato 8 se non ricordo male... Questa autorizzazione, la 6.5, riguardava la lavorazione di 20.000 tonnellate l'anno di rifiuti organici per la produzione di fertilizzanti, insomma, quella era la loro attivita' cardine. Marginalmente, in teoria, all'inizio marginalmente, avevano iniziato anche a trattare - questo l'avevamo appurato poi facendo un'analisi storica delle loro attivita' - anche gli inerti. Il trattamento avveniva o, meglio, la nuova autorizzazione per la lavorazione di inerti era iniziata in procedura semplificata; ma vuol dire che l'attivita' principale era e rimaneva l'attivita' IPPC 6.5, l'AIA; all'interno dell'AIA c'era un'autorizzazione secondaria, chiamiamola cosi', in procedura semplificata... che riguardava se non ricordo m 60.000 tonnellate l'anno... leggendo l'atto c'erano delle discrepanze rispetto a quanto previsto dalla norma... per la legge la procedura semplificata e' previsto che quanto entri in azienda tanto puo' essere lavorato... la cosa che balzava di piu' all'occhio era il fatto della lavorazione di scorie e ceneri che non era prevista o, meglio, in base al decreto 46 la societa' avrebbe avuto la necessita' di una nuova autorizzazione che non aveva". Dal brano estrapolato dalla sentenza emerge in modo chiaro come l'attivita' di produzione e gestione di scorie e ceneri fosse effettivamente tecnicamente connessa ad altra attivita', ma non a quella autorizzata in AIA (gestione di carcasse animali), bensi' a quella che (OMISSIS) Agricoltura svolgeva in forma semplificata (pur essendo di fatto divenuta l'attivita' principale, e svolta per quantitativi superiori rispetto a quelli gestibili in forma semplificata, v. teste Garattoni sul punto) ed aveva ad oggetto la gestione di rifiuti inerti. Il giudice, infatti, conclude (pag. 29) nel senso che "l'attivita' di gestione di rifiuti per scorie e ceneri e' attivita' connessa all'attivita' di gestione di inerti per l'edilizia (e non certo all'attivita' di gestione di carcasse e residui animali) e che pertanto tale attivita' andava autorizzata con AIA da richiedere nei brevi termini previsti dalla novella normativa". Il motivo e' pertanto manifestamente infondato. 2.4. Sostengono i ricorrenti che l'attivita' di gestione di ceneri e scorie fosse svoYa legittimamente in forza dell'AIA rinnovata in data 30 gennaio 2013 n. 21/12, il cui allegato tecnico individuava, tra i codici CER dei rifiuti autorizzati, anche le scorie di fusione e le ceneri, poi "adeguata" nel 2018, cio' da cui discenderebbe la liceita' della gestione di tali rifiuti. La questione richiede un breve passaggio sulle pronunce del giudice amministrativo prodotte dalla difesa di parte civile Provincia di (OMISSIS) in sede di discussione. La sentenza n. 405/2023 del T.A.R. Brescia (che conferma la propria precedente statuizione n. 748/2019, relativa alla comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell'autorizzazione), in particolare, sottolinea in premessa come con Atto Dirigenziale in data 5.11.2019 sia stato disposto l'annullamento dell'AIA rilasciata nel 2018 a (OMISSIS), con particolare riferimento all'attivita' di gestione di rifiuti inerti R5. Evidenzia il giudice amministrativo che "le attivita' di recupero rifiuti svolte presso il sito di -OMISSIS- sono state autorizzate con una prima AIA nel 2007, che e' stata oggetto di successive modifiche e integrazioni, fino all'AIA del 2013. Quest'ultima e' stata oggetto di aggiornamento normativo con la determinazione n. -OMISSIS-del 24/10/2014, che pero' ha riguardato soltanto l'attivita' di produzione fertilizzanti L. P. P.C. e non l'attivita' di trattamento scorie e ceneri. Infatti in data 20/5/2014, la ricorrente aveva presentato domanda di modifica sostanziale dell'AIA 2013 riferita alla realizzazione di 5 autoclavi e di un nuovo trituratore per la trasformazione di scarti di origine animale con aumento della capacita' di produzione di fertilizzanti; per quanto riguarda l'attivita' R5 non era previsto alcun intervento a parte il mero ampliamento dell'area E, di stoccaggio dei prodotti finiti. Ne' il contenuto dell'AIA 2013 per il trattamento rifiuti inerti IPPC e' stato aggiornato con il provvedimento n. -OMISSIS- del 29 giugno 2018. Nell'ambito del procedimento di riesame sull'intera installazione ex articolo 29 octies, comma 4 lettera a) del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, attivato d'ufficio, la Provincia, preso atto della parziale revoca del sequestro preventivo all'epoca disposta con ordinanza del Tribunale di (OMISSIS) n. -OMISSIS-, ha approvato -infatti- l'aggiornamento dell'AIA vigente in relazione all'attivita' di recupero rifiuti R5 confermando le prescrizioni esistenti. L'attivita' di produzione inerti per l'edilizia e' quindi disciplinata al punto B. 4.2 dell'allegato tecnico dell'AIA 2018 negli stessi termini gia' previsti nell'AIA 2013. I successivi provvedimenti adottati dall'autorita' giudiziaria ordinaria hanno superato l'interpretazione avvallata con la prima pronuncia del Tribunale del riesame, sulla base della quale era stato rilasciato l'aggiornamento 2018, ritenendo insufficiente titolo autorizzativo per l'attivita' di recupero inerti non solo l'AIA del 2013, ma - con la piu' recente pronuncia - anche l'aggiornamento del 2018. La III sezione della Cassazione penale con sentenza 21 agosto 2018, n. -OMISSIS- ha infatti annullato l'ordinanza del Tribunale del riesame secondo cui doveva considerarsi ancora valida l'AIA rilasciata nel 2013 con riferimento ad attivita' all'epoca non qualificate IPPC. Ha ricordato la Corte di Cassazione che il Decreto Legislativo n. 46 del 2014, nel modificare il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, ha disciplinato la fase transitoria all'articolo 29, commi 2 e 3, secondo i quali i gestori delle installazioni esistenti che non svolgevano attivita' gia' ricomprese all'Allegato VIII alla Parte Seconda del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, come introdotto dal Decreto Legislativo n. 29 giugno 2010, n. 128, erano tenuti a presentare istanza per il primo rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, ovvero istanza di adeguamento.ai requisiti del Titolo III-bis della Parte Seconda, nel caso in cui l'esercizio dovesse essere autorizzato con altro provvedimento, entro il 7 settembre 2014. In sostanza i gestori di installazioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del decreto erano tenuti ad adeguare, entro termini stabiliti, la propria attivita' al nuovo regime autorizzatorio richiesto e, quindi, con l'avvio del procedimento previsto dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articoli 29-bis e seguenti finalizzati ad imporre, per tali specifiche attivita', l'applicazione dei piu' rigorosi presidi ambientali imposti dall'ordinamento. L'autorita' competente avrebbe dovuto rilasciare il titolo abilitativo con il completamento dei procedimenti avviati in esito a tali istanze entro il 7 luglio 2015, consentendo, nelle more, la prosecuzione dell'attivita' in base alle autorizzazioni previgenti, se del caso opportunamente aggiornate. Sicche' "il mancato adeguamento nei termini e la prosecuzione dell'attivita', ormai rientrante nell'allegato 8, configura la violazione dell'articolo 29-quaterdecies, comma 1, perche' effettuata in assenza di AIA". Anche il Tribunale di (OMISSIS), in sede di giudizio di rinvio, ha osservato che risulta pacifico che -OMISSIS- svolge attivita' rientrante nell'allegato VIII della parte II del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 distinta dall'attivita' IPPC di produzione fertilizzanti e che dalla novella del 2014 tale attivita' e' soggetta ad AIA, che la societa' non ha mai presentato un'istanza di adeguamento ai nuovi standard ma solo di "rinnovo" della precedente autorizzazione, poi effettivamente rilasciata ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 29 octies T. U.A. e che tale domanda non puo' considerarsi equipollente ad un'istanza di rilascio e/o adeguamento ne' sotto il profilo formale, ne' sotto quello sostanziale, poiche' il provvedimento lascia invariato il quadro BAT autorizzato ("Best available techniques", cioe' le migliori tecniche disponibili stabilite a livello Eurounitario)". Ad analoghe conclusioni e' del resto giunto anche il Consiglio di Stato che, adito avverso la sentenza TAR Brescia n. 748/2019, citata in precedenza, nella sentenza n. 305/2023 (prodotta in udienza dalla parte civile Provincia di (OMISSIS)), precisa sul punto che "l'autorizzazione contenuta nell'A.I.A. 2015 riferita all'attivita' R5, comprensiva del trattamento di scorie e ceneri, non essendo attivita' tecnicamente connessa all'attivita' IPPC 6.5, era soggetta alla disciplina transitoria di cui all'articolo 29 del Decreto Legislativo n. 46 del 2014 e dunque non era piu' efficace". Non sussiste dubbio alcuno, pertanto, sulla illegittimita' della originaria determinazione, successivamente annullata in autotutela, e sulla conseguente permanenza dell'illecito durante tutto il periodo contestato. 2.5. Sul punto, il Collegio evidenzia come la Corte, nel contiguo settore delle autorizzazioni urbanistiche, abbia affermato che (Sez. 3, n. 12389 del 21/07/2017, Minosi, Rv. 271170 - 01) l'attivita' svolta dai giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste nel valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l'atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della pubblica amministrazione, e che "in disparte l'ipotesi dell'illiceita' del provvedimento, la illegittimita' rilevante per il giudice penale non puo' che essere quella derivante dalla non conformita' del titolo abilitativo alla normativa che ne regola l'emanazione o alle disposizioni normative di settore, dovendosi, al contrario, radicalmente escludersi la possibilita' che il mero dato formale dell'esistenza del permesso di costruire possa precludere al giudice penale ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato", per concludere nel senso che "l'attivita' svolta dal giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste quindi nel valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l'atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della P.A." (Conformi: Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Menga, Rv. 273218 - 01; Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, lodice, Rv. 275565 - 01). Tale principio puo' essere agevolmente esportato nell'ambito delle autorizzazioni ambientali, in riferimento alle quale deve essere affermato il principio di diritto secondo cui " In presenza di un provvedimento amministrativo, che autorizza la gestione di rifiuti, non conforme alla normativa che ne regola l'emanazione o alle disposizioni normative di settore, il giudice deve valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie, senza disapplicare l'atto amministrativo illegittimo". 2.6. Del tutto irrilevante appare poi la deduzione secondo cui dalla relazione ARPA del 14/12/2015 risulterebbe che le "BAT" di settore fossero correttamente applicate, posto che la violazione contestata e' una violazione formale che sanziona l'assenza di titolo autorizzativo per una attivita' in se' considerata, e non anche le "modalita'" di svolgimento di tale attivita'. 2.7. Conclusivamente, la sentenza impugnata applica in modo corretto la nozione di "attivita' tecnicamente connessa" alle risultanze processuali (essendo di solare evidenza la mancanza di correlazione tecnica tra la gestione di carcasse di animali e la gestione di scorie e ceneri), con motivazione con cui il ricorso non si confronta affatto, limitandosi ad una alternativa ricostruzione della normativa vigente, disancorata dalle emergenze processuali e, pertanto, inammissibile. Deve quindi essere fatta applicazione del principio, gia' affermato da questa Corte, secondo cui e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che "risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione" (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849). 3. Manifestamente infondato e' poi il motivo secondo cui mancherebbe l'elemento psicologico del reato, in quanto il ricorrente sarebbe stato tratto in inganno dalle indicazioni ministeriali e regionali. In punto di elemento psicologico del reato, ritiene la Corte che l'"inevitabilita'" dell'ignoranza della legge (Sez. 3, n. 1131 del 3/12/2020, dep. 2021, Rizzo, n. m.) "per il comune cittadino e' sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia", ma che tale obbligo "e' particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attivita', i quali rispondono dell'illecito anche in virtu' di una culpa levis nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilita' dell'ignoranza, occorre, cioe', che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceita' del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994 - dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv. 197885)". Le Sezioni Unite della Corte, nella citata sentenza, hanno precisato altresi' che il dovere di informazione non va valutato "in astratto", bensi' in relazione all'attivita' svolta dal soggetto che allega la scusabilita' dell'ignoranza, sussistendo in relazione all'attivita' svolta il preciso dovere giuridico di conoscere le disposizioni di legge e della tecnica che la regolano (articolo 43 c.p.). Per l'effetto, mentre per il comune cittadino l'inevitabilita' dell'errore va riconosciuta ogniqualvolta l'agente abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto "dovere di informazione" attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, per coloro che svolgono professionalmente una determinata attivita' tale obbligo di informazione e' particolarmente rigoroso, tanto che essi rispondono dell'illecito anche in virtu' della culpa levis nello svolgimento dell'indagine giuridica. Con riferimento alla gestione di rifiuti, la Corte ha inoltre precisato che "in tema di illecita gestione di rifiuti si deve escludere l'ipotesi della buona fede quando la fallace interpretazione del contenuto della autorizzazione e la erronea convinzione di possedere un titolo legittimante e' dovuta ad un comportamento colposo poiche' in tal caso l'imputato e' venuto meno al dovere, che grava sui privati che svolgono in modo professionale attivita' normativamente regolate, di accertare con diligenza quale sia la disciplina del settore" (Sez. 3, n. 31159 del 12/06/2008, Simonetti, n. m.). Nel caso di specie, alla luce delle sovraesposte considerazioni, emerge con chiarezza come, nel corso degli anni, (OMISSIS) avesse progressivamente spostato il centro della propria attivita' dal settore della gestione delle carcasse animali a quello degli inerti (si vedano, a pag. 23-25 della sentenza, le dichiarazioni del teste Garattoni sulla capacita' produttiva della societa' estrapolata dai MUD e dal sistema ORSO), e che l'attivita' di gestione di scorie e ceneri fosse correlata non gia' all'attivita' autorizzata in AIA ma a quella svolta in forma semplificata, circostanza che non poteva essere ignota al legale rappresentante. Inoltre, e' cio' e' decisivo, al paragrafo che precede si e' evidenziato come (OMISSIS) sarebbe stata tenuta a munirsi di AIA nel termine breve previsto dal Decreto Legislativo n. 46/2014. Nessuna "induzione in errore", ne' "ignoranza inevitabile" puo' essere quindi lamentata dall'imputato, posto il chiaro tenore letterale della norma e delle stesse circolari ministeriali invocate. Correttamente, pertanto, il Tribunale di (OMISSIS) esclude la sussistenza di un errore sul fatto (pag.30), poiche' "nel caso di specie la normativa era chiara, l'attivita' di gestione delle scorie non era certamente connessa ad altra attivita' IPPC gia' esercitata dalla societa' e, quindi, era necessario presentare domanda di modifica sostanziale dell'AIA". 4. Parzialmente fondata e' invece la doglianza relativa alla asserita violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. in riferimento all'articolo 452-novies c.p.. 4.1. Ed infatti, la norma (c.d. "aggravante ambientale") stabilisce che "se dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o piu' norme previste dal citato Decreto Legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela l'ambiente"; nel caso di specie, non appare revocabile in dubbio che l'articolo 29-quatruordecies sanziona la violazione dell'obbligo di munirsi di autorizzazione integrata ambientale per le attivita' IPPC, per cui la prosecuzione dell'attivita' senza munirsi del titolo autorizzativo determina la violazione degli articoli 29-ter e seguenti del TUA. La Corte evidenzia come il tenore letterale della norma induce a ritenere che debba escludersi che l'aggravante contenga un rinvio a sole norme penali, dovendo invece ritenersi che essa rinvii anche, e soprattutto, a norme extrapenali, volte alla tutela dell'ambiente. In linea teorica, quindi, la "violazione" di cui alla disposizione in parola, se certamente non puo' concernere gli articoli 29-ter e 29-sexies, relativi all'autorizzazione (che altrimenti la contestazione dell'aggravante si risolverebbe in un tautologismo sanzionatorio), potrebbe riguardare altre disposizioni, quali quelle concernenti l'utilizzo delle migliori tecniche disponibili (29-septies), il riesame periodico (29-octies), la modifica degli impianti o del gestore (29-nonies), il rispetto delle condizioni e i controlli (29-decies), le comunicazioni dovute (29-undecies). Nel caso di specie, era contestata in rubrica la violazione dell'articolo 6, comma 13, del TUA, il quale prevede il rilascio di AIA per le modifiche sostanziali. Sul punto, tuttavia, nell'affermare la sussistenza dell'aggravante, la motivazione della sentenza e' totalmente assente. La sentenza deve quindi essere annullata con rinvio per nuovo esame sul punto. 4.2. Il Collegio precisa che non si pongono, in concreto, problemi di prescrizione del reato. Nel caso di specie, come chiarito a pagina 30 della sentenza del Tribunale di (OMISSIS), il sequestro preventivo dei macchinari per la gestione di ceneri e scorie era stato revocato (con provvedimento del 25/07/2019, rinvenibile in atti) e l'AIA, come visto, annullata in autotutela. Correttamente, pertanto, la decisione impugnata richiama sul punto Sez. 3, n. 5480 del 12/12/2013, Manzo, Rv. 258930 - 01, secondo cui "qualora in un reato permanente la condotta venga interrotta e successivamente ripresa, il termine della prescrizione decorre dal momento della cessazione finale (Fattispecie in tema di attivita' edilizia abusiva, ripresa dopo la sospensione determinata dall'esecuzione di sequestro preventivo)". Il Giudice territoriale ha pertanto fatto buon governo del principio (Sez. 3, n. 68 del 25/11/2014, Patti, Rv. 261792 - 01) secondo cui "nel caso di contestazione di un reato effettuata nella forma cosiddetta "aperta", ovvero senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, qualora in sede di giudizio di legittimita' debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della permanenza, e' necessario verificare in concreto se, nella motivazione del provvedimento impugnato, il giudice della cognizione abbia o meno ritenuto provato il protrarsi della condotta criminosa fino alla data della sentenza di primo grado". Nel caso di specie, in cui il reato era stato contestato come "tuttora permanente", il termine prescrizionale ha quindi iniziato a decorrere a far data dalla sentenza di primo grado, ossia il 24/06/2022. 5. Il ricorrente censura altresi' la mancanza di motivazione della sentenza nella parte in cui ha disposto la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite. Il motivo si articola in realta' in due distinte censure. 5.1. In primo luogo, il ricorrente lamenta che non sia stata fornita motivazione in ordine alla sussistenza di un danno in favore delle parti civili. Il motivo e' manifestamente infondato. Come noto, la legittimazione attiva all'azione di risarcimento del "danno ambientale" in senso stretto, proprio in ragione della natura "superindividuale" del bene in questione, e' riservata dall'articolo 311 del TUA allo Stato, e, per esso, al Ministro dell'ambiente. La Corte ha sul punto ribadito (Sez. 3, n. 8795 del 2/12/202, dep. 2021, Lazzarini. n. m.) che "spetta soltanto allo Stato, e per esso al Ministro dell'Ambiente, la legittimazione alla costituzione di parte civile nel procedimento per reati ambientali, al fine di ottenere il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in se' considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale all'ambiente". La Corte Costituzionale, tuttavia (sent. n. 126/2016), ha stabilito che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta "non solo al Ministero ma anche all'ente pubblico territoriale e ai soggetti privati che per effetto della condotta illecita abbiano subito un danno risarcibile ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, diverso da quello ambientale". Per gli "enti territoriali" la legittimazione e' limitata alla richiesta di risarcimento "non del danno all'ambiente come interesse pubblico, bensi' (al pari di ogni persona singola od associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico, di natura pubblica, della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale" (Sez. 3, n. 911 del 10/10/2017, dep. 2018, Tombari, Rv. 272499). La richiesta in tal caso (Sez. 3, n. 1997 del 15/11/2019, dep. 2020, Bucci, Rv. 277556 - 02) puo' avere ad oggetto "un danno patrimoniale e non patrimoniale", ulteriore e concreto, conseguente alla lesione di altri loro diritti particolari diversi dall'interesse pubblico alla tutela dell'ambiente, pur se derivante dalla stessa condotta lesiva (in questo senso: Cass., sez. 3, sentenza n. 24677 del 9/07/2014). La pronuncia impugnata ha fatto buon governo di tali principi, avendo proceduto a ritenere sussistente un danno patrimoniale e non patrimoniale diverso da quello ambientale in senso stretto, laddove individua, per la provincia di (OMISSIS), il danno patrimoniale nel danno da maggiore attivita' amministrativa, e, il danno non patrimoniale nel danno di immagine; per quanto riguarda l'Ente Parco del (OMISSIS), i danni patrimoniali nei costi di vigilanza e nella maggiore attivita' amministrativa resasi necessaria nel corso degli anni. Si tratta, quanto al danno patrimoniale, di quel "danno da sviamento di funzione od alla funzionalita' dell'Ente", o "danno da disservizio" riconosciuto in plurimi procedimenti da questa Corte (v. Sez. 3 Civ., n. 21936 del 06/07/2017, n. m.), identificabile con quello derivante dall'imposizione all'Ente pubblico del distoglimento di ingenti risorse umane e materiali dai fini istituzionali per far fronte alla grave situazione cagionata, la cui sussistenza puo' essere provata anche attraverso presunzioni alla stregua di canoni di probabilita', con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (Sez. 3 Civ., n. 8662 del 05/10/2016, dep. 2017, Rv. 643837 - 02). Quanto al "danno di immagine", la sua risarcibilita' nell'alveo del danno non patrimoniale e' stata del pari confermata da questa Corte nei procedimenti per reati ambientali (Sez. 4, Sentenza n. 24619 del 27/05/2014, Rv. 259153 - 01; conforme anche Sez. 3, n. 36444 28/05/2019, Alessandroni), laddove si e' affermato che tale danno "puo' essere rappresentato dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca (v. Cass. civ., Sez. 3, n. 4542 del 22/03/2012, Rv. 621596; Sez. 3, n. 12929 del 04/06/2007, Rv. 597309)". Sul punto (relativo all'"an" del danno risarcibile) non si ravvisa alcun difetto di motivazione, emergendo il maggiore costo in termini di attivita' amministrativa e di vigilanza dalla sentenza impugnata, laddove menziona i numerosi provvedimenti e controlli amministrativi resisi necessari per far fronte alle criticita' concernenti la (OMISSIS). In ordine al "quantum" del danno, il giudice si e' inoltre attenuto alla giurisprudenza civile della Corte, secondo cui, nel liquidare il danno in via equitativa, "il giudice non e' tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata di un univoco e necessario rapporto di consequenzialita' di ciascuno degli elementi esaminati e l'ammontare del danno liquidato, essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata. (Sez. 3 Civ., n. 22885 del 10/11/2015, Rv. 637822 - 01)". 5.2. Il ricorrente lamenta (come violazione di legge, ma indicando il vizio come 606, comma 1, lettera c), c.p.p.), altresi' che l'Ente Parco del (OMISSIS) non avrebbe formulato richiesta di risarcimento del danno in riferimento al Capo di imputazione sub 11). La circostanza dedotta non e' desumibile dal testo del provvedimento impugnato, in cui non vengono analiticamente descritte le conclusioni delle parti civili (pag. 15). Inoltre, a pagina 13 ss. delle conclusioni rassegnate dalla parte civile Parco Regionale del (OMISSIS) (peraltro non allegate al ricorso), si menziona espressamente il danno relativo all'attivita' istruttoria afferente l'autorizzazione integrata ambientale in capo a (OMISSIS) (v. in particolare pag. 15 conclusioni). Il motivo e' quindi inammissibile per genericita'. 6. Con l'ultimo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui nel dispositivo ha condannato l'imputato al pagamento di una provvisionale. Il motivo e' manifestamente infondato. A pagina 31 della motivazione della sentenza si legge infatti che "il giudice, rilevato che il dispositivo della sentenza e' affetto da errore materiale in quanto ha condannato gli imputati al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva in mancanza delle condizioni di legge, avendo liquidato il danno a favore delle parti civili in via equitativa, visto l'articolo 130 c.p.p., dispone la correzione dell'errore materiale nel dispositivo nel senso che deve essere espunta la seguente condanna: "condanna gli imputati al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad Euro 10.000,00 per la provincia di (OMISSIS) e' pari ad Euro 7.500,00 per il Parco Regionale del (OMISSIS)". La Corte, nel premettere che (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281 - 01) in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione, qualora la divergenza dipenda da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo (come, all'evidenza, nel caso di specie), e' legittimo il ricorso alla motivazione per individuare l'errore medesimo ed eliminarne i relativi effetti (tra le altre, Sez. 6, n. 24157 del 1/3/2018, Cipriano, Rv. 273269; Sez. 2, n. 13904 del 9/3/2016, Palumbo, Rv. 266660; si veda anche Sez. 4, n. 26172 del 19/5/2016, Ferlito, Rv. 267153, a mente della quale nell'ipotesi in cui la discrasia tra dispositivo e motivazione della sentenza dipenda da un errore nella materiale indicazione della pena nel dispositivo e dall'esame della motivazione emerga in modo chiaro ed evidente la volonta' del giudice, potendosi ricostruire il procedimento seguito per determinare la sanzione, la motivazione prevale sul dispositivo' con la conseguente possibilita' di rettifica dell'errore in sede di legittimita', secondo la procedura prevista dall'articolo 619 c.p.p., non essendo necessarie, in tal caso, valutazioni di merito), per cui nessuna nullita' della sentenza puo' esser ravvisata in relazione all'articolo 546, comma 1, lettera f) c.p.p., evidenzia come la correzione dell'errore materiale e' gia' stata disposta in motivazione dal giudice, per cui la condanna al pagamento della provvisionale risulta gia' essere stata espunta dal dispositivo. 7. Il ricorso di (OMISSIS): 7.1. Il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso sono inammissibili per le ragioni esposte in precedenza. 7.2. Il terzo motivo di ricorso lamenta l'assenza e l'illogicita' della motivazione nella parte in cui ritiene che la responsabilita' del (OMISSIS) discenda dalla sua qualifica di "incaricato nella gestione dei rifiuti", cui il giudice ha invece negato rilevanza con riferimento alle altre imputazioni. Il motivo e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata, a pagina 30 precisa che "non possono valere con riferimento all'imputazione qui contestata le considerazioni svolte nella premessa perche' egli sicuramente si occupava della gestione della materia dei rifiuti, come emerge dalle visure camerali della societa', e quindi lo stesso va ritenuto responsabile alla pari del legale rappresentante della societa'". Del resto, a pagina 2 della sentenza, il giudice chiarisce anche che i dipendenti della (OMISSIS), escussi, hanno precisato che il (OMISSIS) curava il settore ambientale e i rifiuti. Tale affermazione non appare manifestamente illogica o contraddittoria rispetto alle premesse della sentenza, in quanto del tutto ragionevole appare l'esclusione della responsabilita' del (OMISSIS) con riferimento ai cumuli di rifiuti rinvenuti all'interno del sito (OMISSIS), di sicura provenienza illecita e quindi al di fuori del perimetro della normale attivita' di impresa (non essendo emersi in concreto elementi idonei a stabilire un concorso dell'imputato nell'attivita' di gestione illecita di detti rifiuti), laddove al contrario l'espressa previsione di responsabilita' gestionali in materia di rifiuti, risultante anche presso la Camera di Commercio, sicuramente impegna lo stesso con riferimento alle attivita' autorizzate (sia pure con autorizzazione viziata) di gestione degli stessi. 6.3. Il quarto motivo di ricorso lamenta l'assenza di motivazione nella dosimetria della pena, calcolata in misura prossima al massimo edittale in assenza di qualsivoglia motivazione che non si esaurisca in una mera clausola di stile. La doglianza e' manifestamente infondata. La Corte premette che il reato in parola e' punito con la pena alternativa dell'arresto fino ad un anno o dell'ammenda da 2.500 Euro a 26.000 Euro, per cui nella scelta di optare per la pena pecuniaria in luogo di quella detentiva, il giudice ha gia' manifestato di tenere in considerazione criteri di adeguamento della pena al fatto. Inoltre, a pagina 31 della sentenza, il giudice motiva la scelta dosimetrica "alla luce della gravita' del fatto e della capacita' criminale dimostrata" dall'indagato. La gravita' del fatto non puo' che essere desunta dal complesso della motivazione della sentenza, come illustrato nel par. 2 (v. Sez. 2, n. 38818 del 07/06/2019, Rv. 277091 - 01; Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012, Spezzacatena, Rv. 255096 - 01: "Il difetto di motivazione, quale causa di nullita' della sentenza, non puo' essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, per cui, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito"). La Corte ritiene quindi che, seppure in modo succinto, il giudice abbia motivato sufficientemente sulla dosimetria della pena. 8. Il ricorso di (OMISSIS). 8.1. I motivi di ricorso indicati quali 1), 1.2), 2), 3) e 4) sono inammissibili in quanto sovrapponibili a quelli presentati da (OMISSIS) in riferimento alla sentenza di proscioglimento in ordine al Capo 1); il Collegio rinvia pertanto alla motivazione fornita sul punto. 8.2. Con il quinto motivo di ricorso, la ricorrente censura l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001. Il motivo si articola in due distinte censure. In primo luogo, si censura il difetto di prova in ordine all'effettivo interesse o vantaggio conseguito dall'ente. In secondo luogo, si censura la mancanza di prova di "colpa di organizzazione", avendo l'ente adotta il modello di organizzazione e gestione. Entrambi i profili sono manifestamente infondati. 8.2.1. Quanto al primo aspetto, la Corte rammenta che mentre il criterio di "interesse" esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante secondo un metro di giudizio marcatamente "soggettivo", quello del "vantaggio" assume una connotazione essenzialmente "oggettiva", come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit; Sez. 5, n. 40380 del 15/10/2012,; Sez. 6, n. 12653 del 25/03/2016; Sez. 2, n. 52316 del 09/12/2016; Sez. 6, n. 38363 del 2018). L'utilizzo della disgiuntiva "o" consente di ritenere sufficiente uno solo dei due termini previsti dalla legge: Sezione Seconda Penale, Sentenza 9 gennaio 2018, n. 295 (in proc. Tarantino), ha infatti precisato che ai fini della configurabilita' della responsabilita' dell'ente, e' sufficiente che venga provato che lo stesso abbia ricavato dal reato un vantaggio, anche quando non e' stato possibile determinare l'effettivo interesse vantato ex ante alla consumazione dell'illecito e purche' non sia contestualmente stato accertato che quest'ultimo sia stato commesso nell'esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi. A contrario, ed in positivo, si puo' quindi ritenere che "le condotte dell'agente, poste in essere nell'interesse dell'ente, sono quelle che rientrano nella politica societaria ossia tutte quelle condotte che trovano una spiegazione ed una causa nella vita societaria". Pertanto, la definizione del "vantaggio", va inteso come "la potenziale o effettiva utilita', ancorche' non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto"". Come rilevato in dottrina, l'"interesse" va inteso in senso oggettivo "come proiezione finalistica della condotta", riconoscibilmente connessa alla condotta medesima, laddove il "vantaggio" non e' stato qualificato dal legislatore in termini patrimoniali (che' laddove cio' ha voluto intendere ha usato il termine "profitto"), avendo invece una portata semantica ampia, capace di comprendere anche altre tipologie di vantaggio non economico. Il vantaggio puo' inoltre (Sez. 3, n. 21034 dei 05/05/2022, Capicchioni, n. m.) essere valutato "anche in termini di risparmio di costi, tanto che si deve ritenere posta nell'interesse dell'ente, e dunque forte di responsabilita' amministrativa, anche quella condotta che... attui le scelte organizzative o gestionali dell'ente da considerare inadeguate, con la conseguenza che la condotta, anche se non implica direttamente o indirettamente un risparmio di spesa, se e' coerente con la politica imprenditoriale di cui tali scelte sono espressione e alla cui attuazione contribuisce, e' da considerare realizzata nell'interesse dell'ente (cfr., Sez. 6, n. 15543 del 19/01/2021, 2L Ecologia Servizi S.r.l., Rv. 281052)". La sentenza impugnata, sul punto (pag. 31), stabilisce che "nel caso di specie, il reato commesso da (OMISSIS) e' reato evidentemente commesso nell'interesse dell'ente che ne ha tratto un'altrettanto evidente vantaggio, che consiste nell'aver utilizzato per la gestione dei rifiuti un sito senza adottare alcun presidio ambientale al di fuori di qualsiasi autorizzazione amministrativa, controllo e prestazione di garanzie fideiussorie (richieste per il sito autorizzato)". Come appare evidente, la motivazione non e' apparente, fornendo precise indicazioni in termini di vantaggio, inteso in termini di risparmio di spesa, connesso alla mancata predisposizione dei necessari presidi ambientali e alla mancata presentazione delle, altrettanto necessarie, garanzie finanziarie. 8.2.2. Anche il secondo profilo di censura e' manifestamente infondato. Ai sensi dell'articolo 6 del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, l'ente non risponde se prova: a) che l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento e' stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi e' stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b). Ai sensi del comma 2 dell'articolo 6, i M.O.G. devono rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attivita' nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalita' di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare iI mancato rispetto delle misure indicate nel modello. E' ormai dato di comune esperienza che il modello di organizzazione e gestione debba essere realizzato "su misura" (taflored) per ciascuna impresa e per ogni diversa organizzazione. Cio', come rilevato in dottrina, soprattutto in relazione alle peculiarita' dei reati ambientali, che determinano la necessita' che la mappatura dei rischi sia condotta in modo specifico per ciascun reato, non essendo pienamente configurabile una modalita' attuativa unitaria per il gruppo di questi reati, che possono essere commessi, nell'ambito dell'attivita' d'impresa, con modalita' che nella pratica possono risultare estremamente eterogenee e disparate. La Corte ha di recente osservato (Sez. 6, n. 23401 del 11/11/2021, Impregilo, Rv. 283437 - 01) che l'imputazione all'ente dell'illecito commesso dall'apicale e' collegato "all'inidoneita' od all'inefficace attuazione del modello stesso, secondo una concezione normativa della colpa: in estrema sintesi, l'ente risponde in quanto non si e' dato un'organizzazione adeguata, omettendo di osservare le regole cautelari che devono caratterizzarla", secondo le linee dettate dal citato articolo 6 del decreto. Scendendo in concreto, a pag. 32 della sentenza impugnata si legge che "il Modello Organizzativo adottato e' generico e lacunoso perche' non sono state adottate e cautele organizzative e gestionali per prevedere la commissione dei reati, tra cui quello di gestione abusiva di rifiuti. Nella parte che qui interessa ed in particolare in merito ai reati ambientali, nel Modello Organizzativo viene descritta l'attivita' svolta ed in merito ai rifiuti si da' atto che gli stessi sono gestiti conformemente alle normative vigenti oppure mediante l'applicazione di rigide procedure di controllo sull'affidabilita' dei fornitori. Non e' previsto null'altro. In merito al rischio di inquinamento del suolo, sottosuolo e acque, si da' atto di procedure, istruzioni operative, rispetto dei requisiti ambientali etc., ma nulla e' previsto in concreto, non sono indicate le misure da adottare e da chi (affol. 977). Il modello ha un organigramma senza indicazione delle persone che rivestono le qualifiche indicate, e' previsto l'organo di vigilanza ma non risulta istituito. Pare a questo giudice che tale assetto organizzativo possa pacificamente ritenersi negligente, in senso normativo, fondato sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilita' del soggetto collettivo (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014). E' evidente che nel caso di specie sussiste una "colpa di organizzazione" dell'ente che ha consentito al suo legale rappresentante di commettere il reato, in assenza di procedure e organismi di controllo, a tutto vantaggio dell'ente stesso che ha creato un sito illegale di gestione dei rifiuti, con risparmi di spesa evidenti e consistenti. Le indicate carenze organizzative consentono di ritenere configurato l'illecito amministrativo in capo a (OMISSIS)". La motivazione, sul punto, non risulta ne' apparente ne', tantomeno, illogica, essendo al contrario conforme alla giurisprudenza della Corte; e' quindi del tutto infondata la censura secondo cui il giudice avrebbe operato un non consentito sillogismo "commissione del reato=responsabilita' amministrativa dell'ente", avendo al contrario operato una valutazione in concreto dell'inidoneita' del Modello adottato (e non efficacemente attuato, non avendo l'ente neppure proceduto alla nomina dell'organismo di vigilanza), con conseguente colpa di organizzazione. In materia di reati ambientali, pertanto, il modello di organizzazione e gestione, per avere efficacia esimente, deve essere adottato in riferimento alla specifica struttura e tipo di attivita' dell'impresa, prevedendo in modo chiaro e preciso i compiti, le responsabilita' individuali e gli strumenti in concreto volti a prevenire la commissione di reati contro l'ambiente; esso, inoltre, deve essere efficacemente attuato, mediante l'istituzione dell'organismo di vigilanza (salvi i casi di cui all'articolo 6, commi 4 e 4-bis, Decreto Legislativo n. 231 del 2001) dotato di concreti poteri di controllo e la previsione di sistemi di revisione periodica, che garantiscano la "tenuta" del modello nel tempo. Peraltro, la Corte ha evidenziato (Sez. 4, n. 38363 del 09/08/2018, Consorzio Melinda S.C.A., Rv. 274320) che "l'autonomia della responsabilita' dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato-presupposto, prevista dall'articolo 8, Decreto Legislativo n. 8 giugno 2001, n. 231, deve essere intesa nel senso che, per affermare la responsabilita' dell'ente, non e' necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilita' penale individuale, ma e' sufficiente un mero accertamento incidentale, purche' risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli articoli 5, 6, 7 e 8 del medesimo decreto, tale autonomia operando anche nel campo processuale", accertamento incidentale con cui il Giudice di merito si e' cimentato ampiamente. La Corte aggiunge, ad abundantiam, come il ricorrente abbia censurato la mera "illogicita'", e non anche l'"illogicita' manifesta", della pronuncia, per cio' solo risultando, in parte qua, il motivo inammissibile. 8.3. Con il sesto motivo la ricorrente censura l'applicazione della misura della confisca a carico dell'ente. Il motivo e' parzialmente fondato. 8.3.1. L'articolo 19, comma 1, del Decreto Legislativo n. 231 del 2001 stabilisce che "nei confronti dell'ente e' sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che puo' essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede". In questo caso, la confisca ha per oggetto beni che costituiscono il "provento" del reato (per utilizzare il lessico Eurounitario), mentre il decreto non conosce l'ipotesi ne' del sequestro impeditivo, ne' dello "strumento" del reato. La confisca in parola, secondo la prevalente giurisprudenza della Corte (v., ex plurimis, Sez. 2, n. 40226 del 23/11/2006, Bellavita, Rv. 235593 - 01), consiste in una misura sanzionatoria con funzione ripristinatoria della situazione economica precedente la commissione del fatto illecito, o, in una "una forma di prelievo pubblico a compensazione di guadagni illeciti" (Sez. U., n. 41936 del 25.10.2005, Muci, Rv. 232164 - 01). In ordine alla nozione di profitto confiscabile, se corrisponde al vero che la giurisprudenza piu' risalente (Sez. U., n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italmpianti, Rv. 239924 - 01) aveva limitato il concetto di utile confiscabile al "vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale" dal reato presupposto, va considerato che la successiva giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte ha progressivamente dilatato tale nozione. Sez. U. n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244189 - 01, pur richiedendo ancora il nesso di diretta derivazione causale dalla condotta dell'agente, ha tuttavia ritenuto che siano confiscabili sia i beni che siano "in tutto o in parte l'immediato prodotto di una condotta penalmente rilevante", che quelli che ne costituiscono "l'indiretto profitto della stessa, siccome frutto di reimpiego da parte del reo del denaro o di altre utilita' direttamente ottenuti" (c.d. "surrogati"). Successivamente Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261116 - 01 (caso Thyssenkrupp) hanno precisato che il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca deve intendersi come "comprensivo non soltanto dei beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilita' per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma altresi' di ogni altra utilita' che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attivita' criminosa". Analogamente, Sez. U. n. 2014 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647 - 01, ha inteso quale componente del profitto confiscabile qualsiasi utilita' che sia conseguenza dell'attivita' criminosa, non solo in via diretta, ma anche indiretta e mediata, anche ottenuta dalla trasformazione della res originaria in altro bene. Quanto alle Sezioni semplici, Sez. 4, n. 38363 del 09/08/2018, Consorzio Melinda S.C.A., citata, ha poi affermato che costituisce profitto confiscabile ogni effettivo "vantaggio economico indiretto, derivante dal risparmio conseguente alla posposizione delle esigenze della sicurezza del lavoro a quelle della produzione", principio che puo' essere ragionevolmente esteso alla materia dei presidi ambientali. La parte del motivo che limita la confiscabilita' al solo profitto di diretta e immediata derivazione del reato e', pertanto, manifestamente infondata e correttamente il Tribunale ha disposto la confisca. 8.3.2. Fondata e' invece la parte di doglianza che censura la quantificazione del profitto operata dalla sentenza impugnata. Se, infatti, la quantificazione in via equitativa costituisce una modalita' corretta di quantificazione del "danno", tale criterio non puo' trovare applicazione in materia di confisca del "profitto" del reato, che va invece quantificato in modo "certo", sulla base delle indicazioni fornite dalle citate pronunce. Esso potra' ben consistere in risparmi di spesa; essi, tuttavia dovranno essere quantificati in concreto dal Giudice procedendo, a mero titolo esemplificativo, ad una stima dei costi di smaltimento lecito dei rifiuti ammassati, ovvero del costo di una fidejussione relativa a tale operazione di gestione dei rifiuti. La sentenza va pertanto annullata, limitatamente alla quantificazione della disposta confisca, per nuovo esame. La Corte dichiara irrevocabile l'accertamento di responsabilita' ai sensi dell'articolo 624 c.p.p., concernendo l'annullamento un "punto" della sentenza (il quantum della confisca) funzionalmente autonomo rispetto all'accertamento della responsabilita' (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239 - 01; Sez. 3, n. 47579 del 23/10/2003, Arici, Rv. 226646 01). 8.4. Il settimo motivo e' fondato. Agli atti risulta allegato il provvedimento con cui il Tribunale ha (correttamente) escluso la costituzione di parte civile nei confronti di (OMISSIS), ente imputato ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, e quello che ha disposto la citazione di (OMISSIS) come responsabile civile da parte della Provincia di (OMISSIS) (provvedimenti del 30/04/2019). Non risulta, dai documenti a disposizione della Corte, analoga citazione da parte dell'Ente Parco del (OMISSIS). Del resto, le conclusioni rassegnate dall'ente in data 13 maggio 2022 concernono esclusivamente gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (a differenza delle conclusioni della Provincia di (OMISSIS), che concernono anche (OMISSIS)), e la stessa difesa dell'Ente Parco ha confermato, in udienza di trattazione orale, di non aver citato l'ente quale responsabile civile. La sentenza, a pagina 31, condanna tuttavia "gli imputati e la responsabile civile costituita (OMISSIS) al risarcimento dei danni, in solido con gli imputati, cagionati alle parti civili Provincia di (OMISSIS) e Parco Regionale del (OMISSIS)", cosi' incorrendo in un evidente vizio di motivazione. La sentenza, sul punto, va pertanto annullata senza rinvio. 8.5. Con l'ottavo e ultimo motivo, la ricorrente censura di illogicita' la motivazione in riferimento alle modalita' di determinazione sia del numero delle quote applicate all'ente come sanzione pecuniaria ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, che della loro entita' unitaria. Anche in questo caso viene lamentata la mera "illogicita'", e non anche (âEuroËœ"illogicita' manifesta", della pronuncia, per cio' solo risultando il motivo inammissibile. Ad ogni buon conto, il motivo e' anche manifestamente infondato. L'articolo 25-undecies, comma 2, lettera b), n. 1), del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, prevede, per la violazione del comma 1, lettera a), dell'articolo 256 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote. Il Giudice, a pagina 32 della sentenza, illustra in modo non illogico la scelta sulla dosimetria della sanzione pecuniaria, inflitta nella sua massima estensione: "Tenuto conto della gravita' del fatto (immensi cumuli di rifiuti) e durata della Condotta (rilevato che i cumuli sono presenti dal 2012 fino ad oggi sul sito della (OMISSIS)), del grado di responsabilita' dell'ente (responsabilita' massima, rilevato che il reato e' stato posto in essere per interesse e a vantaggio economico consistente nel disporre di un sito illegale per la gestione di rifiuti, al di fuori del proprio sito) e il fatto che non e' stata ancora posta in essere alcuna attivita' per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto (poiche' i cumuli sono ancora sul sito (OMISSIS)) o per prevenire la commissione di ulteriori illeciti (poiche' non risulta essere stato adottato altro Modello organizzativo adeguato), pena equa si ritiene essere quella di 250 quote di Euro 500 ciascuna. L'importo della quota e' parametrato alle condizioni economiche di (OMISSIS) che e' sicuramente una societa' florida, di medie dimensioni". Tale motivazione appare congrua in riferimento ai parametri seguiti per la quantificazione, non manifestamente illogica ne' in contrasto con le altre risultanze processuali, destinandosi pertanto il motivo di ricorso all'inammissibilita' per manifesta infondatezza. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di (OMISSIS) di (OMISSIS) (OMISSIS) srl, limitatamente alla condanna al risarcimento del danno quale responsabile civile in favore del Parco Regionale del (OMISSIS). Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente al giudizio sull'aggravante di cui all'articolo 452-novies c.p. e alla confisca del profitto del reato, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di (OMISSIS) in diversa composizione fisica. Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. APRILE Stefano - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. MONACO Marco M. - Consigliere Dott. GALATI Vincenzo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/04/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO GALATI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. LOY MARIA FRANCESCA, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 19 aprile 2022 la Corte di appello di Bologna ha confermato quella emessa il 9 febbraio 2021 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini che, all'esito di giudizio abbreviato, ha ritenuto (OMISSIS) responsabile dei reati ascritti in rubrica per avere clandestinamente introdotto nel territorio dello Stato persone trasportate dalla Grecia all'Italia e per il delitto di soppressione di cadavere di cui all'articolo 411 c.p.. Il primo reato e' stato ritenuto aggravato dalla sottoposizione dei clandestini a trattamento degradante e dall'utilizzazione di un servizio internazionale di trasporto. 2. Le conformi sentenze di merito hanno ricostruito il fatto nei termini seguenti. Il (OMISSIS) i Carabinieri di Riccione rinvenivano un cadavere in avanzato stato di decomposizione all'interno del canale di raccolta delle acque piovane del Comune di (OMISSIS), nei pressi del centro ippico (OMISSIS). La salma, parzialmente occultata nella vegetazione, veniva recuperata e veniva accertato che la stessa era stata occultata tra la meta' di (OMISSIS) e il giorno del rinvenimento. Appresa dalla stampa la notizia del ritrovamento del cadavere, (OMISSIS) e (OMISSIS) si presentavano ai Carabinieri di Riccione sostenendo di essere, rispettivamente, il padre e il cugino di (OMISSIS) e affermando che il corpo rinvenuto poteva essere quello del loro congiunto. Il successivo accertamento sul DNA consentiva di accertare il rapporto di parentela tra (OMISSIS) e il deceduto. Venivano assunte informazioni dai predetti (OMISSIS) e (OMISSIS). Il primo riferiva di avere appreso dal figlio, verso la meta' di (OMISSIS), della sua volonta' di trasferirsi in Italia dalla Grecia nascondendosi in un mezzo per il trasporto di cavalli guidato da un cittadino greco, con l'assistenza di un pakistano di nome (OMISSIS) il cui compito era quello di curare i cavalli durante il tragitto. Aveva appreso della partenza del figlio il (OMISSIS), ma non ne aveva avuto piu' alcuna notizia. In seguito, si era recato nel luogo dove lavorava (OMISSIS) il quale gli aveva riferito della morte del figlio durante il trasporto e della collocazione del relativo cadavere a (OMISSIS), vicino al posto dove erano stati trasportati i cavalli. (OMISSIS) riferiva che, apprese dallo zio le notizie relative al trasporto e alla morte di (OMISSIS), aveva cercato e trovato su Facebook il profilo del soggetto che aveva partecipato al trasporto del cugino. Le successive indagini consentivano di accertare che presso il centro ippico (OMISSIS) di (OMISSIS), effettivamente, nell'(OMISSIS), si era svolta una competizione ippica alla quale avevano preso parte cavalli trasportati dalla Grecia. Inoltre, dal traffico telefonico dell'utenza in uso a (OMISSIS) emergeva che questi il (OMISSIS) aveva agganciato le celle di Brindisi e, in seguito, altre compatibili con il viaggio verso (OMISSIS). Venivano assunti a sommarie informazioni anche alcuni utilizzatori di utenze telefoniche entrate in contatto con quella di (OMISSIS). In particolare, si procedeva all'escussione di (OMISSIS), anch'egli giunto in Italia con le medesime modalita' con le quali vi era arrivato (OMISSIS) e che indicava (OMISSIS) (del quale forniva anche la descrizione fisica corrispondente a quella del citato profilo Facebook) quale vero e proprio punto di riferimento, in Grecia, per i pakistani che avessero voluto raggiungere l'Italia. Descriveva anche il medesimo luogo in cui era stato trovato il cadavere dello straniero come quello esatto nel quale anche lui era stato fatto scendere. Inoltre, forniva un file audio proveniente dal numero di (OMISSIS) contenente un messaggio tradotto come segue: "io sto morendo qua, non lo so, fratello (OMISSIS) dove sei andato-". Anche (OMISSIS) indicava le medesime modalita' con le quali era giunto in Italia e (OMISSIS) (individuato e riconosciuto nel profilo indicato dal cugino di (OMISSIS)) come l'organizzatore dei viaggi dalla Grecia. Infine, (OMISSIS), cugino della vittima, riferiva che, una volta appreso della morte del parente, aveva contattato (OMISSIS) il quale aveva ammesso di avere occultato il cadavere di (OMISSIS) dopo averlo trovato morto nel veicolo con il quale aveva raggiunto l'Italia; aveva, inoltre, descritto le modalita' di tale occultamento. Tratto in arresto il (OMISSIS), (OMISSIS) si riconosceva nel profilo Facebook esibitogli dagli investigatori corrispondente a quello dell'avvenuto riconoscimento da parte del cugino di (OMISSIS). Negava il proprio coinvolgimento nella morte del ragazzo e tentava di fornire spiegazioni in ordine ai tabulati relativi agli spostamenti della propria utenza cellulare nel periodo tra il (OMISSIS) (quando erano state agganciate celle vicine al luogo in cui e' stato trovato il cadavere). Si riconosceva nella foto numero 7 dell'album fotografico. I testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano escussi nel corso dell'incidente probatorio nel quale ritrattavano parzialmente le dichiarazioni rese in precedenza. Alla luce di tali elementi, il giudice di primo grado riteneva raggiunta la prova della penale responsabilita' dell'imputato riconosciuto da piu' soggetti come uno di coloro che prendevano parte ai viaggi dalla Grecia all'Italia e autore, secondo la confessione stragiudiziale resa al padre e al cugino della vittima, delle condotte descritte in rubrica. Coerenti con tali complessive risultanze venivano ritenuti i dati acquisiti dai tabulati telefonici e dal file audio di cui sopra. Il giudice dava, altresi', conto del "clima di terrore e omerta' che permea l'intera vicenda e che e' radicato nella cultura pakistana" anche per negare che le ritrattazioni avvenute nel corso dell'incidente probatorio avessero minato la tesi accusatoria. Giustificava ampiamente la sussistenza degli elementi costitutivi dei reati contestati all'imputato. 3. Tale ricostruzione e' stata sostanzialmente confermata dalla Corte di appello di Bologna che, dato atto del contenuto dell'atto di impugnazione, ne ha disatteso il contenuto. Quanto all'individuazione di (OMISSIS) come l'autore delle condotte contestategli, ha richiamato la pluralita' di elementi convergenti in tal senso: le dichiarazioni del padre e del cugino della vittima (aventi ad oggetto anche la confessione stragiudiziale dell'imputato), le risultanze del profilo Facebook, il riconoscimento degli altri testi, il contenuto del file audio del quale si e' detto. E' stato, sul punto, ritenuto infondato il motivo di impugnazione relativo all'insufficienza del riconoscimento effettuato con riguardo al profilo citato, cosi' come quello relativo al mancato rispetto delle formalita' di cui agli articoli 213 e 214 c.p.p.. Ne' e' stato ritenuto incompatibile con la ricostruzione accusatoria il fatto che l'imputato prestasse attivita' lavorativa come stalliere in Grecia nell'(OMISSIS), cosi' come, che l'imputato fosse privo di patente di guida. A tale proposito, la Corte di appello ha evidenziato come lo stesso, secondo la ricostruzione accusatoria, non si occupava di guidare il veicolo che trasportava i cavalli, ma si prendeva cura degli animali nel corso del viaggio; attivita' compatibile anche con il mancato possesso della patente. Ulteriori elementi a carico dell'imputato sono stati desunti dalla ricostruzione delle celle agganciate dal cellulare dell'imputato e da questi riconosciuto, in un primo momento, come a lui in uso. La successiva dichiarazione di (OMISSIS) in ordine all'utilizzazione, anche da parte di altri soggetti, del proprio cellulare e' stata motivatamente disattesa dalla Corte bolognese. I giudici di merito hanno, inoltre, approfonditamente motivato circa il mancato riconoscimento da parte dei testi nel corso dell'incidente probatorio, giustificando la prevalenza assegnata alle dichiarazioni rese dagli stessi prima di tale attivita' istruttoria. In ordine al reato di soppressione di cadavere, e' stata valorizzata la circostanza del rinvenimento casuale del cadavere e, quindi, di un nascondimento della vittima potenzialmente definitivo, il che ha indotto alla predetta qualificazione del reato in luogo di quella di occultamento di cadavere. Il fatto e' stato ritenuto di estrema gravita'. La Corte di appello, sul punto, ha valorizzato le modalita' organizzative dei viaggi ai quali ha preso parte l'imputato e le condizioni degradanti nelle quali gli stranieri erano costretti a viaggiare, per come descritte anche dai testimoni. E' stato assegnato rilievo al comportamento processuale dell'imputato (ritenuto socialmente pericoloso) che ha sistematicamente negato la propria responsabilita' e anche di conoscere le vittime, pur a fronte di un quadro istruttorio particolarmente preciso. 4. Avverso la sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore Avv. (OMISSIS), articolando tre motivi. 4.1. Con il primo ha eccepito la nullita' della sentenza per vizi motivazionali riferiti alla mancata pronuncia di assoluzione per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Le carenze della ricostruzione operata dalla Corte bolognese riguarderebbero, in particolare, l'individuazione dell'imputato quale autore della condotta descritta nell'imputazione. La predetta individuazione sarebbe avvenuta solo tramite l'esame del profilo Facebook dell'imputato in assenza di accertamenti ulteriori per pervenire all'acquisizione della certezza che autore del reato sarebbe stato proprio il ricorrente. In particolare, sin dall'atto di appello, era stato segnalato come nessun accertamento fosse stato condotto sulle buste paga e altra documentazione relativa all'attivita' lavorativa dell'imputato che, peraltro, risultava sprovvisto di patente di guida ed era, quindi, impossibilitato a organizzare il trasferimento di stranieri mediante mezzi pesanti per il trasporto di cavalli non potendo mettersi alla guida dei predetti veicoli. Il ricorrente ha inoltre evidenziato il mancato rinvenimento e la mancata acquisizione del proprio passaporto, unico documento idoneo a dimostrare dove egli si trovasse al momento dei fatti. 4.2. Il secondo motivo ha ad oggetto il vizio di difetto o contraddittorieta' della motivazione in ordine alla mancata assoluzione dell'imputato per il reato di soppressione di cadavere o, comunque, l'omessa derubricazione in quello, meno grave, di occultamento di cadavere di cui all'articolo 412 c.p.. In primo luogo, ha evidenziato la mancanza di qualsiasi elemento di prova idoneo a far ritenere che sia stato proprio l'imputato a nascondere il cadavere di (OMISSIS), essendosi affidata la sentenza di condanna, sul punto, a mere deduzioni. Sin dall'impugnazione di merito, era stato eccepito l'erroneo inquadramento del reato in quello di cui all'articolo 411 c.p., in luogo di quello di cui all'articolo 412 c.p. per essere stato il cadavere del predetto cittadino pakistano solo parzialmente occultato, per come riportato nella stessa sentenza della Corte di appello. L'agevole rinvenimento del cadavere avrebbe dovuto essere valutato ai fini della qualificazione in senso piu' favorevole all'imputato. 4.3. Con il terzo motivo e' stata eccepita la carenza di motivazione per la mancata concessione delle attenuanti generiche. Pur a fronte della indicazione di circostanze favorevoli al ricorrente (quali l'incensuratezza, la giovane eta', la correttezza del comportamento processuale, il "modestissimo allarme sociale" del "reato commesso"), i giudici di secondo grado avrebbero reso una motivazione del tutto carente, in quanto generica e inadeguata essendo fondata sulla mancanza di elementi idonei a sostenere il riconoscimento della mitigazione del trattamento sanzionatorio. 5. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con rideterminazione del trattamento sanzionatorio nei limiti di seguito esposti. Nel resto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 2. Vertendosi in tema di sentenze di primo e secondo grado che sono pervenute al medesimo esito decisorio, vanno applicati i principi elaborati dalla giurisprudenza adi questa Corte in materia di, cosi' detta, "doppia conforme". E' stato affermato, e viene qui ribadito, che "ai fini del controllo di legittimita' sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione" (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Arentieri, Rv. 257595 e numerose altre conformi). Avendo il giudice di appello e proceduto alla disamina del materiale probatorio secondo canoni valutativi omogenei e sovrapponibili a quelli adottati Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini, il principio riportato puo' trovare piena applicazione. 3. Il primo motivo di ricorso e' inammissibile. Lo stesso appare formulato in termini meramente confutativi del percorso motivazionale adottato dai giudici di merito per addivenire all'individuazione dell'imputato come autore della condotta di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Dall'esame della sentenza impugnata, peraltro, emerge come le ragioni illustrate siano esattamente coincidenti con quelle gia' proposte davanti alla Corte bolognese e da questa motivatamente disattese. L'impugnazione, pur limitandosi a contestare la valutazione di merito compiuta dalla Corte di appello, considera solo una parte della motivazione che si fonda su elementi ulteriori rispetto a quelli presi in considerazione nel ricorso. A ben vedere, peraltro, i motivi di censura sono stati gia' ampiamente disattesi dalla Corte bolognese che ha operato una valutazione complessiva degli elementi indiziari esente da censura alcuna. In particolare, per addivenire alla individuazione di (OMISSIS) come l'autore della condotta delittuosa di cui al capo A), non ha valorizzato solo l'esame del profilo Facebook dell'imputato. Questi ha reso una dichiarazione confessoria al padre della vittima (elemento del tutto trascurato nel motivo di ricorso in esame) e l'imputato si e' riconosciuto nel profilo Facebook individuato dal cugino di (OMISSIS) che ha pronunciato il nome (OMISSIS) nell'audio consegnato da uno dei testi agli inquirenti. Inoltre, lo stesso (OMISSIS) e' stato riconosciuto anche da altri testi la cui ritrattazione e' stata oggetto di puntuale motivazione (allo scopo di ritenerla inattendibile) da parte dei giudici di merito. La Corte di appello ha dato conto delle allegazioni difensive, le ha esaminate e le ha disattese. Cio' ha fatto, con specifico riguardo all'insufficienza del profilo Facebook quale elemento idoneo al riconoscimento, alla rilevanza del rispetto delle formalita' di cui agli articoli 213 e 214 c.p.p., allo svolgimento di attivita' lavorativa da parte di (OMISSIS) nell'(OMISSIS) in Grecia, al mancato possesso della patente di guida (atteso che compito dell'imputato non era quello di guidare il furgone, ma di prendersi cura dei cavalli). Sono stati valorizzati i dati relativi all'individuazione dell'utenza cellulare dell'imputato e quelli sulla sua localizzazione. Com'e' evidente, quindi, l'individuazione di (OMISSIS) come autore della condotta di favoreggiamento dell'immigrazione non e' avvenuta solo sulla base degli elementi sui quali si sofferma il ricorrente (essenzialmente il profilo Facebook). Inoltre, le considerazioni difensive sulla documentazione relativa all'attivita' lavorativa svolta da (OMISSIS) sono state prese in esame dalla Corte di appello. Il motivo di ricorso, pertanto, appare generico in quanto compie un esame parziale del compendio indiziario valorizzato e ne sollecita, peraltro, una rivalutazione di merito che non compete a questa Corte. Sul punto si segnala che questa Corte ha gia' avuto modo di precisare che "in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, il necessario onere di confronto con la motivazione della sentenza impugnata impone al ricorrente, a pena di inammissibilita', di non limitare il proprio esame alla sola parte del provvedimento specificamente riferita alla questione posta, ma di considerare anche le argomentazioni contenute in altre parti comunque rilevanti rispetto al giudizio devoluto sul tema" (Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, Berroa, Rv. 282949). Inoltre, quanto al profilo della reiterazione delle doglianze gia' proposte in sede di impugnazione di merito, va ribadito quanto affermato da Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970 e da numerose altre conformi precedenti, ovvero che "e' inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione". 4. E' inammissibile anche il secondo motivo per evidente genericita' e perche', ancora una volta, reiterativo di motivi di impugnazione di merito gia' disattesi. La confessione stragiudiziale del ricorrente, la collocazione della sua utenza cellulare ricostruita attraverso le celle telefoniche agganciate, il drammatico contenuto dell'audio, del quale si e' detto, sono gli elementi (tutt'altro che inidonei) sui quali la sentenza di appello ha fondato l'individuazione dell'imputato quale responsabile anche dell'occultamento del cadavere di (OMISSIS). Anche la questione dell'inquadramento del reato in quello piu' grave di cui all'articolo 411 c.p., in luogo di quello di cui all'articolo 412 c.p., e' stata affrontata e risolta in sentenza con argomentazioni solo genericamente censurate. La ricostruzione in fatto dei giudici di merito ha messo in evidenza la natura del tutto casuale del rinvenimento del cadavere del quale sono state analizzate e valutate le modalita' con le quali e' stato nascosto e la durata di tale occultamento (svariate settimane). Si tratta di elementi sufficientemente conducenti rispetto alla qualificazione del reato ai sensi dell'articolo 411 c.p. dovendosi fare applicazione del principio per cui "nel delitto di occultamento di cadavere, il celamento dello stesso deve essere temporaneo, ossia operato in modo tale che il cadavere sia in seguito necessariamente ritrovato, mentre, nel delitto di soppressione o sottrazione o distruzione di cadavere, il nascondimento deve avvenire in modo da assicurare, con alto grado di probabilita', la definitiva sottrazione del cadavere alle ricerche altrui (Sez. 1, n. 1000 del 11/09/2018, dep. 2019, Santangelo, Rv. 274789). Nel caso in esame, le modalita' di nascondimento del cadavere erano potenzialmente idonee a determinare il mancato rinvenimento definitivo dello stesso; rinvenimento che e' avvenuto del tutto occasionalmente e che giustifica l'inquadramento della fattispecie ai sensi dell'articolo 411 c.p. (sul punto la sentenza riporta a pag. 10 della motivazione un refuso) e non del successivo articolo 412 c.p.. 5. E' inammissibile il motivo riferito alla mancata concessione delle attenuanti generiche in ragione della estrema gravita' del fatto, delle condizioni degradanti nelle quali i migranti erano costretti a viaggiare, della pericolosita' sociale dell'imputato. Sul punto i rilievi difensivi appaiono generici e, ancora una volta, confutativi. La motivazione, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, e' stata resa e si fonda su elementi puntualmente indicati. Sul punto vale richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui "l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalita' del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse" (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590 - 01). Nel caso in esame, non solo e' stata evidenziata la mancanza di elementi positivi, ma e' stata messa in evidenza la presenza di elementi negativi quali quelli sopra riportati. Per completezza, si ribadisce che "al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente" (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02 e numerose altre conformi precedenti). 6. In punto di trattamento sanzionatorio, deve essere rilevato che la Corte costituzionale con la sentenza n. 63 del 2022 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3, lettera d), nella parte in cui prevede l'aggravamento della pena per chi abbia utilizzato servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti. Nel caso in esame, tale aggravante e' stata ritenuta sussistente unitamente a quella dei trattamenti degradanti. Concorrendo le due aggravanti, e' stata ritenuta l'ipotesi di cui all'articolo 12 cit., comma 3 bis. La declaratoria di illegittimita' costituzionale, operando ex tunc, ha determinato l'illegalita' della pena determinata dai giudici di merito e "spetta alla Corte di cassazione, in attuazione degli articoli 3, 13, 25 e 27 Cost. il potere, esercitabile anche in presenza di ricorso inammissibile, di rilevare l'illegalita' della pena determinata dall'applicazione di sanzione "ab origine" contraria all'assetto normativo vigente perche' di specie diversa da quella di legge o irrogata in misura superiore al massimo edittale" (Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, Miraglia, Rv. 283689 - 01). A norma dell'articolo 620 c.p.p., lettera f), questa Corte puo' procedere direttamente alla rideterminazione della pena sulla base delle statuizioni dl giudice di merito rinvenendosi a pag. 13 della sentenza di primo grado (integralmente confermata in appello) i criteri in base ai quali e' avvenuta la quantificazione della pena finale. La sanzione e' stata determinata nella misura complessiva di tredici anni e sei mesi di reclusione e 45.000 Euro di multa. Da tale pena va detratta quella di due anni di reclusione applicata per effetto dell'aggravante di cui all'articolo 12 cit., comma 3bis che stabilisce un ulteriore aumento di pena nel concorso di piu' aggravanti fra quelle di cui alle lettera a), b), c), d) ed e) del precedente comma 3. La declaratoria di illegittimita' costituzionale di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2022 comporta l'eliminazione di tale aggravante e, dunque, del corrispondente aumento nella misura suindicata. La pena finale, quindi, in luogo di quella di tredici anni e sei mesi di reclusione e 45.000 Euro di multa, deve essere determinata nella misura di undici anni e sei mesi di reclusione e 45.000 Euro di multa. Tale pena deve essere ridotta a quella di sette anni e otto mesi di reclusione e 30.000 Euro di multa per effetto del giudizio abbreviato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle circostanze aggravanti della utilizzazione di servizi internazionali di trasporto e di cui al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3-bis, che esclude, e ridetermina la pena finale in anni 7, mesi 8 di reclusione ed Euro trentamila di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. Bruno Mariarosaria - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/02/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; Udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. VINCENZO PEZZELLA; Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. Dr. CERONI FRANCESCA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. Nessun difensore e' presente. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 19/02/2021 veniva annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Firenze la sentenza della Corte di Appello di Perugia del 17/2/2020 - emessa in parziale riforma della sentenza del 21/2/2019 del Gup del Tribunale di Spoleto in sede di giudizio abbreviato - con cui (OMISSIS) veniva condannato in quanto riconosciuto colpevole del reato di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1, articolo 609 ter c.p. alla pena rideterminata in anni tre e mesi otto di reclusione per il reato di atti sessuali in danno di (OMISSIS), concesse le attenuanti generiche equivalenti alla circostanza aggravante dell'articolo 609-ter c.p., u.c.. Nello specifico, all'imputato e' contestato il delitto p. e p dall'articolo 81 cpv. c.p., articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1, articolo 609 ter c.p., u.c., perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando delle condizioni di inferiorita' fisica e psichica della minore (OMISSIS) (nata a (OMISSIS)), la induceva a compiere e a subire atti sessuali, in particolare: - nell'estate del 2017, in almeno tre occasioni, induceva la bambina a fare un "gioco", chiedendole di salire a cavalcioni su di lui all'altezza del basso ventre e di fare avanti e indietro con il bacino, cosi' ottenendo uno sfregamento tra le proprie parti intime e quelle della minore; - il (OMISSIS) dopo avere chiesto alla bambina di rimanere con lui in casa nonostante la madre ed il compagno di quest'ultima si dovessero allontanare, la portava nella propria stanza, chiudeva la porta e, dopo averle chiesto di salire sul letto per ascoltare la musica, la faceva sdraiare al suo fianco, la copriva con un lenzuolo, le prendeva la mano e la infilava all'interno delle mutande, le faceva toccare il proprio pene e le chiedeva di muovere la mano avanti e indietro per ottenere una masturbazione; nella medesima circostanza le toglieva le mutandine e le toccava con una mano gli organi genitali. Con l'aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di un soggetto minore degli anni 10. In (OMISSIS). In primo grado il Gup del Tribunale di Spoleto, con la sopra ricordata sentenza emessa all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato l' (OMISSIS) alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione con le pene accessorie di legge, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile (OMISSIS) in proprio e quale esercente la potesta' genitoriale sulla minore (OMISSIS) nata nel (OMISSIS). Il rito abbreviato veniva condizionato alla acquisizione di indagini difensive alle quali il PM si opponeva e quindi l'imputato veniva ammesso al rito abbreviato allo stato degli atti, ma essendo state acquisite le indagini difensive, il PM veniva autorizzato ad indagini suppletive ed all'udienza finale il (OMISSIS) rendeva dichiarazioni spontanee professandosi innocente rispetto all'accusa. La Corte di appello di Perugia con la sentenza del 2020 modificava il trattamento sanzionatorio come sopra descritto, confermando nel resto la responsabilita' dell'odierno ricorrente, il quale proponeva un primo ricorso al giudice di legittimita' reiterando i dubbi sulla attendibilita' e suggestionabilita' della minore, di nemmeno 5 anni di eta' con violazione del protocollo della Carta di Noto in tema di ascolto del minore con riguardo agli aggiornamenti delle edizioni 2011 e 2017. Con la sentenza 34566/21 la Terza Sezione Penale di questa Corte di Cassazione, premesso che nessuna censura era stata avanzata dalla Difesa quanto agli episodi intervenuti nel corso dell'anno 2017, per i quali dunque dava atto essersi formato il giudicato, in via preliminare considerava infondato il terzo motivo (afferente all'inutilizzabilita' delle dichiarazioni dello (OMISSIS) che come congiunto non aveva ricevuto il previo avviso ex articolo 199 c.p.), sul rilievo che in sede di giudizio abbreviato le dichiarazioni rese dal prossimo congiunto sono utilizzabili ancorche' viziate da nullita', in quanto trattasi di nullita' relativa. e, con la scelta del rito, l'imputato ha acconsentito all'utilizzazione di tutti gli elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero ed inseriti nel fascicolo di cui all'articolo 416 c.p.p., comma 2, (la Corte richiamava sul punto i dicta di Sez. 1, n. 54427 del 30/03/2016, Lo Giudice, Rv. 268649; cfr. altresi' Sez. 2, n. 34521 del 05/05/2009, Cefala', Rv. 245228, secondo cui appunto la scelta del rito abbreviato determina l'utilizzabilita' delle dichiarazioni in atto rese dal prossimo congiunto dell'imputato in assenza dell'avvertimento circa la facolta' di astenersi dal deporre). Per quanto riguarda gli altri motivi in punto di responsabilita' per il fatto del 2018, invece, i precedenti giudici di legittimita' hanno ritenuto che la precedente sentenza di appello non avesse fornito una risposta congrua a tre censure poste loro con i motivi di appello. In primo luogo, pacifica essendo la natura pesantemente conflittuale dei rapporti tra i fratelli (OMISSIS), per la Corte di legittimita' non puo' che essere definito irrealistico il comportamento del fratello dell'imputato davanti alla scena che si sarebbe prospettata davanti ai suoi occhi (la figlia di cinque anni della propria convivente scoperta a maneggiare il pene eretto del proprio fratello), che sarebbe stato in grado di allontanarsi con la bambina dalla stanza senza alcun tipo di reazione nei riguardi del congiunto (tant'e' che anche la nonna della bambina, comunque presente nei pressi, nulla aveva sospettato nell'immediatezza). Tanto piu' che in occasione invece degli episodi risalenti al 2017 sarebbero stati invece addirittura chiamati i Carabinieri a dirimere la violenta lite che si sarebbe accesa in famiglia, in esito alla scoperta di una situazione pressoche' analoga, laddove - sempre secondo la Corte territoriale - all'epoca la ragione vera del litigio domestico sarebbe stata camuffata, in esito all'intervento dell'Arma, come disputa legata a questioni economiche. In specie, ad una gravita' incomparabilmente maggiore avrebbe fatto seguito una condotta blanda, del tutto disallineata rispetto alla pessima abitualita' delle relazioni parentali, molto spesso degenerate alle vie di fatto anche per episodi minori. I giudici di legittimita' avevano ritenuto egualmente privo di riscontro, nella prima sentenza di appello, l'ulteriore rilievo difensivo circa le dichiarazioni rese - il giorno successivo al fatto del 4 marzo 2018 - dalla bambina al medico dell'ospedale di Perugia, secondo cui all'episodio di molestia non sarebbero state presenti altre persone. In tal senso veniva ricordato come non infondatamente il primo ricorso per cassazione avesse osservato che la decisiva presenza del convivente della madre, il cui improvviso ed esclusivo intervento avrebbe posto fine all'episodio (oltretutto seguito da una puntuale e insistita descrizione della scena del fatto nonostante l'assoluta brevita' del faccia a faccia col fratello (OMISSIS)), sarebbe stata del tutto obliterata dalla bambina ancorche' nell'immediatezza dell'accaduto, laddove l'affermata tranquillita' e neutralita' della situazione, cosi' come l'aveva indotta a fare il nome di (OMISSIS), avrebbe dovuto ragionevolmente spingerla a narrare anche della presenza risolutiva del suo "papino", convivente con la madre. Del pari veniva ritenuta non convincente, quanto agli esiti delle indagini tecniche del consulente di parte con la riscontrata assenza di tracce biologiche altrui sugli indumenti anche intimi dell'imputato e della persona offesa, la motivazione con cui Corte territoriale nel 2020 ne aveva sottolineato l'irrilevanza in ragione dell'assenza di eiaculazione. Al riguardo era stato rilevato che, peraltro, se da un lato il capo d'imputazione non evidenzia di per se' che il rapporto abbia avuto conclusione, d'altra parte sono in tesi richiamati molteplici toccamenti dell'uomo nei riguardi degli organi genitali femminili nonche' della bambina che avrebbe altresi' infilato le mani all'interno delle mutande dell'imputato (circostanze riferite dalla dottoressa dell'ospedale perugino, che in tal modo aveva riversato in giudizio le dichiarazioni della bambina, alla quale aveva riscontrato un'infiammazione in zona genitale, appunto compatibile con evocati toccamenti e sfregamenti che non avevano peraltro lasciato traccia genetica). Allo stesso tempo, e' stata sottolineata l'incongruenza nella motivazione della prima sentenza d'appello, laddove la stessa aveva inteso ricavare elementi di responsabilita', a carico dell'odierno ricorrente, dal messaggio inoltrato da costui al fratello il giorno successivo al fatto. In quello, infatti l'imputato accennava al fatto di essersi sottoposto all'esame del Dna e che questo lo scagionava: affermazione senza senso logico attesi i tempi - non possibili - dell'ipotetico esame, ma ancor meno di senso logico se rivolta ad una persona che, in tesi, avrebbe constatato de visu il fatto nella sua evidente portata delittuosa, come lo (OMISSIS) ha sempre sostenuto, e sulla quale l'eventuale ricaduta assolutoria dell'esame tecnico non avrebbe arrecato alcun effetto, proprio in ragione di cio' che aveva direttamente potuto vedere. Dunque, alla luce del dictum della precedente sentenza di legittimita', ferma restando la responsabilita' dell'imputato per i fatti del 2017, la sentenza veniva annullata con rinvio per nuovo giudizio al fine di riconsiderare con liberta' di valutazione i profili evidenziati, tenuto conto che la responsabilita' del ricorrente era stata ancorata ai due oggettivamente connessi pilastri delle dichiarazioni attribuite alla bambina e di quanto affermato da (OMISSIS). A seguito di tale rinvio -come ricorda la sentenza impugnata- la difesa evidenziava con apposita memoria, depositata prima dell'udienza a trattazione scritta, non essendo stata avanzata da alcuna parte istanza di trattazione orale, i sopra ricordati passaggi critici che la Corte di Cassazione ha sollevato sulle argomentazioni della Corte di appello umbra affermando che cio' doveva condurre all'assoluzione del (OMISSIS) in quanto non raggiunta la prova al di la di ogni ragionevole dubbio della sua penale responsabilita'. La Corte di appello di Firenze, invece, con l'impugnata sentenza del 8/2/2022 ha ritenuto di confermare l'affermazione di responsabilita' anche per il fatto del 2018 e di mitigarne soltanto il trattamento sanzionatorio revocando la pena accessoria e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, (OMISSIS) deducendo gli otto motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Con primo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'articolo 623 c.p.p. sotto il profilo della violazione del principio di diritto oggetto della sentenza di annullamento con rinvio emessa dalla Corte di Cassazione nonche' violazione di legge sotto il profilo della mancanza, contraddittorieta' e/o manifesta illogicita' della motivazione, nonche' travisamento della prova per contraddittorieta' della motivazione con le emergenze probatorie in atti (segnatamente con le S.I.T. rese da (OMISSIS) del 5.3.2018 e del 07.3.2018, le S.I.T. di (OMISSIS) del 7.3.2018 ed il relativo verbale di indagini difensive, le S.I.T. di (OMISSIS) dell'8.3.2018 ed il relativo verbale di indagini difensive, le S.I.T. della Dott.ssa (OMISSIS) del 7.3.2018, le relazioni della Dott.ssa (OMISSIS), le relazioni della Dott.ssa (OMISSIS), l'annotazione di P.G. dei Carabinieri di (OMISSIS) dell'8.7.2017 (OMISSIS)4/3/2018 (OMISSIS)Collazzone (OMISSIS)Collazzone (OMISSIS)5/3/2018 (OMISSIS)Collazzone (OMISSIS)ottobre-novembre 2018(OMISSIS)l'11.1.2019(OMISSIS)12.1.2019(OMISSIS)12.1.2019 (OMISSIS)Marsciano (OMISSIS)Collazzone

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI PAOLA Sergio - Presidente Dott. D'AURIA Donato - rel. Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 12/07/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DONATO D'AURIA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale GUERRA MARIAEMANUELA, che ha concluso chiedendo: per (OMISSIS) dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso; per (OMISSIS) l'annullamento senza rinvio con riferimento all'applicazione della pena accessoria e dichiararsi l'inammissibilita' nel resto del ricorso; udito il difensore, avvocato (OMISSIS) del foro di MILANO, anche in sostituzione per delega orale dell'avvocato (OMISSIS), del foro di MILANO, in difesa di (OMISSIS), che dopo una breve discussione ha concluso per l'accoglimento del ricorso e ancora, quale sostituto per delega orale dell'avvocato (OMISSIS) del foro di MILANO in difesa di (OMISSIS), si e' riportato ai motivi del ricorso, chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Milano con sentenza del 12/7/2022 confermava la sentenza pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano in data 22/10/2021, che aveva condannato (OMISSIS) per il reato di rapina pluriaggravata e per i reati satellite e, in parziale riforma della stessa decisione, a seguito di concordato in appello, rideterminava la pena nei confronti di (OMISSIS). 2. (OMISSIS), a mezzo dei suoi difensori, ha interposto ricorso per cassazione, eccependo con il primo motivo la nullita' della sentenza ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), per manifesta illogicita' della motivazione in punto di mancata dichiarazione di nullita' del decreto di ammissione al rito abbreviato, con conseguente nullita' del giudizio di primo e di secondo grado. Evidenzia che l'imputato, all'atto della sottoscrizione della procura speciale al difensore per la richiesta di ammissione al giudizio abbreviato, "non aveva sufficiente capacita' mentale per decorso post covid", in considerazione dello stato di salute in cui versava (era reduce da una polmonite grave, con ausilio necessario di ossigeno, assumeva significative quantita' di medicinali ed era in condizioni psicologiche precarie). La Corte territoriale ha travisato il senso della relazione psicologica versata in atti, lasciandosi andare a considerazioni che non possono essere desunte dal contenuto della predetta relazione. 2.1 Con il secondo motivo lamenta la manifesta illogicita' della motivazione in ordine al giudizio di responsabilita' per travisamento delle prove. Con l'appello la difesa aveva evidenziato il mancato riconoscimento del (OMISSIS) da parte delle persone offese, che il giudice di prime cure aveva superato valorizzando la presenza del DNA dell'imputato su una delle maschere in sequestro; aveva, altresi', contestato che le maschere sequestrate fossero state utilizzate per commettere la rapina, tenuto conto delle caratteristiche di spessore e di non trasparenza, che impediscono di scorgere i lineamenti di chi le indossa. La Corte territoriale ha risposto alle censure per un verso in modo apodittico, ritenendo le discrasie evidenziate non cosi' eclatanti e per altro verso illogico, spiegandole sia con la percezione soggettiva che ciascuno ha dei particolari anatomici, sia con le circostanze di tempo (all'alba) e con le modalita' (immobilizzazione ed imbavagliamento delle vittime) con cui la rapina fu perpetrata, aggiungendovi un dato destituito di alcun riscontro probatorio, vale a dire che i rapinatori ad un certo punto avrebbero tolto la maschera. Altrettanto illogica e' la motivazione laddove afferma che il tatuaggio che, secondo la persona offesa (OMISSIS), forse uno dei rapinatori aveva sul collo null'altro sarebbe se non l'ombra della piega della maschera, poi scomparsa una volta che il malvivente si sarebbe tolta la maschera e laddove, introducendo informazioni inesistenti, ritiene che i capelli del (OMISSIS) si sarebbero appiattiti dopo la svestizione della maschera, cosi' apparendo corti. Sotto altro profilo, con l'appello la difesa aveva sostenuto l'irrilevanza del rinvenimento del DNA del ricorrente in una delle maschere in sequestro, tenuto conto che essa non corrispondeva alle caratteristiche riferite dalle persone offese e, dunque, non era quella utilizzata dai rapinatori in occasione della rapina per cui si procede. La Corte d'appello motiva sul punto affermando che, se anche il (OMISSIS) non avesse utilizzato la maschera in quella occasione, comunque l'avrebbe utilizzata in altra occasione di reato, cosi' dimostrando il suo ruolo all'interno del sodalizio criminale. Sotto un ultimo profilo, con l'appello il difensore contestava il riconoscimento dell'imputato in discorso effettuato dalla guardia particolare giurata (OMISSIS), evidenziando che il teste aveva visto solo tre dei quattro rapinatori, tra i quali non vi e' il (OMISSIS); che detta ultima circostanza emerge dalla visione dei fotogrammi estratti dalla telecamera che ha ripreso la scena, da cui risulta che il quarto rapinatore esce per ultimo, ha corporatura robusta e non trascina alcun trolley. Evidenzia il difensore che, mentre il Giudice dell'udienza preliminare aveva sostenuto che il teste aveva confuso l'odierno ricorrente con il coimputato (OMISSIS), i giudici di appello hanno affermato che il (OMISSIS) non ha effettuato uno scambio di persona e che tale assunto presuppone come dato certo che per la rapina sia stata utilizzata la maschera sulla quale e' stato rinvenuto il DNA del (OMISSIS). Contesta, infine, che i coimputati abbiano chiamato in correita' il (OMISSIS), come erroneamente affermato dalla Corte territoriale. 2.2 Con il terzo motivo eccepisce la nullita' della sentenza, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), per omessa valutazione di elemento ulteriore e differente emerso in analogo processo e alla base dell'assoluzione del coimputato (OMISSIS). In particolare, rileva che l'assoluzione del coimputato si fonda su un elemento dirimente, vale a dire l'esclusione del sopralluogo che in ipotesi di accusa il (OMISSIS) avrebbe fatto presso l'abitazione occupata dal (OMISSIS) e che era stato ritenuto decisivo dal Giudice per le indagini preliminari che aveva emesso la misura cautelare. L'esclusione di siffatto sopralluogo aveva portato i giudici dell'appello del (OMISSIS) a ritenere neutri i contatti telefonici tra quest'ultimo ed il (OMISSIS), soggetti che si conoscono da decenni e che hanno sempre avuto contatti telefonici. 2.3 Con il quarto motivo deduce la nullita' della sentenza, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), per manifesta illogicita' della motivazione in punto di pena. In particolare, rileva come la Corte territoriale non abbia tenuto conto - sia ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sia ai fini della richiesta di riduzione della pena - dello stato di tossicodipendenza del ricorrente, che potrebbe avere indotto il (OMISSIS) a delinquere, tenuto conto anche delle difficolta' economiche in cui versava; ne' delle modalita' non particolarmente violente della rapina. 3. (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), in relazione alla mancanza di motivazione in ordine alla omessa verifica della insussistenza di cause di proscioglimento, ai sensi dell'articolo 129 c.p.p.. 3.1 Con il secondo motivo eccepisce violazione di legge ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera B), per inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 32 c.p., comma 3. Si duole del fatto che, in seguito al concordato in appello, pur avendo ridotto la pena ad anni quattro mesi due giorni venti di reclusione ed Euro millequattrocento di multa, la Corte territoriale non abbia revocato la pena accessoria dell'interdizione legale, disposta per la durata dell'esecuzione della pena. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sono in parte fondati e devono essere, pertanto, accolti nei limiti di seguito specificati. 2. Il ricorso di (OMISSIS). 2.1 Manifestamente infondato e' il primo motivo, che ripropone la stessa doglianza portata all'attenzione prima del Giudice dell'udienza preliminare e poi della Corte territoriale. Rileva sul punto il Collegio che la motivazione con cui e' stata disattesa la tesi difensiva risulta all'evidenza immune da vizi logici, di talche' non e' censurabile in sede di legittimita'. I giudici di appello, invero, si sono diffusi nel dar conto delle ragioni del rigetto della eccezione difensiva, evidenziando, in piena aderenza a quanto sostenuto dal giudice di prime cure, che le pregresse esperienze giudiziarie dell'imputato rendevano del tutto inverosimile l'ipotesi del "malinteso" per il quale il (OMISSIS) avrebbe confuso il giudizio abbreviato con il giudizio immediato. Inoltre, dopo aver indicato ed analizzato specificamente tutte le emergenze processuali, sono giunti alla conclusione per cui le condizioni psicologiche del ricorrente non erano tali da escluderne la piena consapevolezza in ordine alla scelta processuale (l'imputato, per quanto "spaventato", non era avulso dalla realta'), peraltro, effettuata con l'assistenza del difensore di fiducia. La doglianza difensiva, secondo la quale nel colloquio psicologico il (OMISSIS) non avrebbe riferito di avere contratto il Covid, risulta per niente decisiva: innanzitutto, perche' tale circostanza si desume dal contenuto della relazione, in cui testualmente si afferma: "dimesso da Niguarda dove ricoverato per covid dice di stare ancora molto male"; in secondo luogo, ammesso e non concesso che il ricorrente non abbia riferito tale circostanza, si tratterebbe comunque di un particolare del tutto ininfluente - dunque, non decisivo - in relazione alla complessiva valutazione della capacita' dell'imputato di orientarsi consapevolmente. 2.2 Anche il terzo motivo e' manifestamente infondato, posto che la sentenza a carico del coimputato, prodotta in giudizio dalla difesa, non era passata in giudicato. In ogni caso, la diversa valutazione della posizione di un coimputato, effettuata da altro giudice, e' stata tenuta in considerazione dalla Corte territoriale, che tuttavia ha ritenuto di doversene discostare, esplicitandone i motivi. In particolare, quanto alla incidenza della assoluzione del (OMISSIS) sulla posizione del (OMISSIS), la Corte a pagina 24 della impugnata sentenza ha evidenziato le circostanze per le quali la ha ritenuta irrilevante. La motivazione risulta congrua e non manifestamente illogica o contraddittoria, con la conseguenza che non e' censurabile in questa sede. 2.3 Il secondo motivo e', invece, fondato. Osserva il Collegio che effettivamente - come evidenziato dalla difesa - la sentenza introduce taluni dati probatori inesistenti, quali la chiamata in correita' del (OMISSIS) da parte dei coimputati, lo svestimento delle maschere effettuato dai rapinatori nel corso dell'azione in presenza delle persone offese e la improbabile spiegazione della percezione del tatuaggio che uno dei rapinatori forse presentava sul collo, individuata nell'ombra causata dalla piega della maschera indossata. La Corte territoriale dovra', dunque, valutare la decisivita' degli elementi inesistenti sopra evidenziati ai fini della dichiarazione di responsabilita' del (OMISSIS), a fronte del residuo materiale probatorio versato in atti, tra cui le tracce di DNA compatibile con quello dell'imputato rinvenute su una delle fascette utilizzate per immobilizzare le vittime, la frenetica attivita' finalizzata alla distruzione del furgone posta in essere dall'odierno ricorrente e l'assicurarsi che fosse stata eliminata ogni traccia al suo interno, dovendo essere altresi' meglio chiariti i termini del riconoscimento del (OMISSIS) da parte della guardia particolare giurata (OMISSIS), la compatibilita' della descrizione dei capelli del rapinatore riferita dalle persone offese con quelli del (OMISSIS) all'epoca dei fatti e le caratteristiche delle maschere utilizzate per la rapina. 2.4 Il quarto motivo, che contesta il vizio motivazionale in ordine alla congruita' della pena, resta assorbito. 3. Il ricorso di (OMISSIS). 3.1 Inammissibile, perche' non consentito, e' il primo motivo di ricorso. Ed invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte, in tema di concordato in appello, e' ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex articolo 599-bis c.p.p. che deduca motivi relativi alla formazione della volonta' della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p. e, altresi', a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalita' della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, Mineccia, Rv. 278170 - 01; Sez. 2, n. 22002 del 10/4/2019, Mariniello, Rv. 276102 - 01; Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, Alessandria, Rv. 275234 - 01). Piu' in particolare, la giurisprudenza di legittimita' ha avuto cura di precisare che, "in tema di "patteggiamento in appello", come reintrodotto ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 56, il giudice di secondo grado, nell'accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per una delle cause previste dall'articolo 129 c.p.p., ne' sull'insussistenza di cause di nullita' assoluta o di inutilizzabilita' delle prove, in quanto, in ragione dell'effetto devolutivo proprio dell'impugnazione, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice e' limitata ai motivi non oggetto di rinuncia" (Sez. 3, n. 19983 del 9/6/2020, Coppola, Rv. 279504 - 01; Sez. 4, n. 52803 del 14/9/2018, Bouachara, Rv. 274522 - 01). In altri termini, quando l'imputato rinuncia ai motivi di appello, concordando esclusivamente la rideterminazione della pena, la motivazione sulla responsabilita' dell'imputato e' quella contenuta nella sentenza di primo grado e la Corte di appello non e' tenuta a motivare nuovamente sull'an della responsabilita', proprio per effetto della rinuncia ai motivi sul punto da parte dell'imputato. 3.2 Fondato, invece, e' il secondo motivo. Va innanzitutto premesso che, ai fini dell'applicazione della pena accessoria dell'interdizione legale, in caso di piu' reati unificati sotto il vincolo della continuazione, occorre fare riferimento alla misura della pena base stabilita in concreto per il reato piu' grave, come risultante a seguito della diminuzione per la scelta del rito e non a quella complessiva risultante dall'aumento della continuazione. Orbene, avendo rideterminato la pena a seguito del concordato nella misura di anni quattro mesi due giorni venti di reclusione ed Euro millequattrocento di multa e tenuto conto che la pena da avere in considerazione ai fini che qui interessano e' per il reato di cui al capo A), ritenuto piu' grave, quella di anni tre mesi sei giorni venti di reclusione (cui si perviene dalla pena base di anni otto di reclusione, ridotta per le circostanze attenuanti generiche alla pena di anni cinque mesi quattro di reclusione, ulteriormente ridotta per il rito alla pena sopra indicata), la Corte territoriale avrebbe dovuto revocare la pena accessoria dell'interdizione legale, irrogata dal giudice di prime cure. Ed invero, tale sanzione accessoria, a mente dell'articolo 32 c.p., comma 3, afferisce a pene non inferiori a cinque anni di reclusione. Cio', a prescindere dal fatto che la revoca non fosse stata oggetto di specifico accordo tra le parti nel concordato in appello. Sul punto, la giurisprudenza di legittimita' - sia pure con riferimento alla pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici (Sezione 5, 11940 del 13/2/2020, Guerretta, Rv. 278806 - 01), ma la identita' di ratio consente di fare applicazione del medesimo principio di diritto anche nel caso oggetto di scrutinio - ha avuto modo di precisare che, qualora in dipendenza delle modificazioni apportate alla pena principale, quest'ultima non comporti piu' la pena accessoria, il giudice ha la potesta' di revocarla. Dunque, il giudice di appello, avendo accolto l'accordo delle parti sui motivi con rideterminazione della pena, era tenuto alla revoca dell'interdizione legale, in quanto la pena era inferiore a cinque anni di reclusione, pur se la revoca non era stata prevista nell'accordo tra le parti. Ritiene poi il Collegio che, poiche' la revoca della pena accessoria dell'interdizione legale non comporta valutazioni discrezionali, in quanto discende ope legis dalla rideterminazione della pena al di sotto dei limiti previsti dall'articolo 32 c.p., comma 3, essa possa essere disposta anche nel giudizio di legittimita' con l'annullamento parziale senza rinvio della sentenza impugnata. Va, quindi, disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla pena accessoria dell'interdizione legale, che va eliminata e per il resto va dichiarata l'inammissibilita' del ricorso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla pena accessoria dell'interdizione legale durante l'esecuzione della pena, che elimina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IMPERIALI Luciano - Presidente Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - rel. Consigliere Dott. TURTUR M. Marzia - Consigliere Dott. SARACO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/04/2022 della CORTE di APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE; il procedimento si celebra con contraddittorio scritto ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8; il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ettore Pedicini ha depositato conclusioni scritte, chiedendo la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Milano, decidendo con le forme del rito abbreviato, confermava la condanna del ricorrente per i reati di rapina aggravata e violenza sessuale 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva: 2.1. violazione di legge (articolo 603 c.p.p.) e vizio di motivazione in ordine alla mancata rinnovazione del dibattimento con l'effettuazione di una perizia psichiatrica funzionale a verificare la sussistenza della capacita' di intendere e di volere di (OMISSIS), all'epoca dei fatti (2006); si allegava che dalla relazione psichiatrica relativa alla condizione del ricorrente, effettuata nel 2019, emergeva una lunga storia di abuso di sostanze stupefacenti e psicofarmaci ed un disturbo di personalita' misto, oltre che la sua sieropositivita'; tale quadro probatorio avrebbe imposto l'approfondimento peritale richiesto. Si deduceva inoltre che la Corte di appello, nel respingere l'istanza di rinnovazione, avrebbe fornito una motivazione illogica in quanto da un lato aveva ritenuto inverosimili le affermazioni dell'imputato e dall'altro aveva affermato che il fatto che lui avesse preso la parola ed avesse riferito in ordine i fatti contestati indicasse la sua piena capacita' di intendere e di volere. Si ribadiva inoltre che l'accertamento richiesto non riguardava la condizione attuale del ricorrente, ma quella risalente all'epoca dei fatti. 2.2. Violazione di legge (articolo 603 c.p.p.) e vizio di motivazione in ordine alla mancata rinnovazione del dibattimento al fine di verificare se fossero stati correttamente conservati i campioni biologici utilizzatP per l'analisi comparativa del Dna; si allegava che il campione veniva prelevato nel 2006 e conservato per quattordici anni, prima di essere comprato con quello prelevato dal ricorrente tre anni prima. L'integrazione sarebbe g' necessaria in quanto la corretta conservazione del materiale biologico era decisiva per assegnare valenza probatoria alla comparazione effettuata attraverso l'analisi del Dna; 2.3. violazione di legge (articoli 62-bis, 81, 99, 133 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio: la motivazione della sentenza impugnata non avrebbe dato conto dei parametri posti alla base della quantificazione della pena e dell'entita' dell'aumento per la continuazione; si censurava, altresi', la legittimita' del riconoscimento della recidiva, che sarebbe stato effettuato sulla base di un generico richiamo ai precedenti penali, senza operare una concreta verifica sull'accrescimento della capacita' criminale correlato ai delitti in giudizio; veniva infine contestata anche la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbero dovuto essere riconosciute in relazione al grave disagio esistenziale ed alla fragilita' emotiva del ricorrente, generata dalle malattie e dai suoi squilibri psichici. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.II ricorso e' inammissibile. 1.1.II primo motivo non e' consentito. Con riferimento alla valutazione in ordine alla sussistenza della capacita' di intendere e di volere, contrariamente a quanto dedotto, la Corte di appello ha effettuato una analitica e persuasiva valutazione, che non risulta intaccata dalle doglienza difensive, che si atteggiano come richieste di rivalutazione della prova, inammissibili" in sede di legittimita' (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965). L'effettuazione della perizia sulla capacita' di intendere e di volere era stata richiesta anche come condizione per l'accesso al rito abbreviato ed il primo giudice la aveva respinta ritenendola superflua. La Corte d'appello confermava tale valutazione sulla base di un'attenta disamind documenti prodotti della difesa, che si riferivano non solo all'attualita', ma anche al periodo prossimo a quello in cui era state poste in essere le condotte per cui si procede. Nel dettaglio: la Corte di appello assegnava particolare rilevanza alla relazione di perizia psichiatrica disposta in altro procedimento dalla Dott.ssa (OMISSIS), che ripercorreva quanto diagnosticato anche in precedenza. Veniva dato particolare rilievo al fatto che il perito avesse preso in esame la documentazione sanitaria relativa ad un ampio arco di tempo ed avesse rilevato che l'imputato fin dal 1998 aveva cominciato ad assumere cocaina ed aveva contratto il virus dell'HIV. La Corte di appello rilevava come il tecnico avesse effettuato vari colloqui con l'imputato (che si mostrava sempre vigile e orientato sui parametri spazio temporali, oltre che consapevole del ruolo dell'interlocutore e dello scopo delle visite), e che dall'analisi psichiatrica fosse emerso che lo stesso aveva tendenze manipolatorie, scarse capacita' introspettive, poca partecipazione emotiva e fosse autocentrato. Secondo il perito le componenti psicotiche accertate ed emerse sotto forma di paranoia, autoreferenzialita' ed anomalie del comportamento, trovavano origine nell'abuso di sostanze, e non costituivano una patologia psichiatrica primaria. Veniva altresi' escluso che si fosse in presenza di un caso di assunzione cronica, tale da poter attenuare la capacita' di intendere e di volere dato che non apprezzava segni di deterioramento su base organica delle capacita' intellettive. Infine si escludeva anche la possibilita' di un danno cerebrale dovuto all'infezione da HIV, atteso che la condizione infettiva era sotto controllo e compensata. In conclusione il perito, le cui valutazioni venivano pienamente condivise dalla Corte di merito, riteneva che il ricorrente mostrasse una personalita' di tipo narcisistico, ma escludeva la presenza di un disturbo della personalita' in grado incidere sulla capacita' di intendere e di volere. La Corte territoriale evidenziava come lo studio effettuato ricopriva un ampio arco temporale (quantomeno dal 2008 fino al 2019), sicche' le sue valutazioni consentivano di retrodatare le valutazioni in ordine alla sussistenza della condizione di imputabilita' al momento nel quale venivano consumati i reati per cui si procede (pagg. 8-10 della sentenza impugnata). Si tratta di motivazione che fa corretta applicazione delle indicazioni fornite dalla Cassazione in materia di incidenza dei disturbi la personalita' sulla capacita' di intendere e di volere. Si riafferma infatti che ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i "disturbi della personalita'", che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermita'", purche' siano di consistenza, intensita' e gravita' tali da incidere concretamente sulla capacita' di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilita', deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalita' che non presentino i caratteri sopra indicati, nonche' agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro piu' ampio di "infermita'" (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317 - 01). Nel caso in esame, in coerenza con tali direttrici interpretative, la Corte di appello effettuava una analitica e persuasiva valutazione delle prove disponibili e - primariamente - delle valutazioni del perito (OMISSIS) ritenendo, con motivazione logica, che non si presta a censure in questa sede, che il disturbo del comportamento vantato da (OMISSIS), non fosse in grado di incidere sulla capacita' di intendere e di volere. 1.2. Il secondo motivo e' stato tardivamente introdotto solo con i motivi aggiunti, circostanza che sarebbe sufficiente per ritenere che la doglianza - reiterata con il ricorso - non sia idonea a superare la soglia di ammissibilita'. Nonostante la tardivita', la censura veniva comunque valutata dalla Corte d'appello, che rilevava come la stessa fosse generica, in quanto il ricorrente non indicava perche' il ritardo nella comparazione - effettuato dopo due anni dal prelievo del campione - potesse influire sull'attendibilita' del risultato, dato che non erano stati addotti elementi dai quali si potesse evincere una cattiva conservazione dei campioni biologici (pag. 11 dela sentenza impugnata). La completezza del quadro probatorio legittima il mancato esercizio dei poteri di rinnovazione ex officio. 1.3. Le doglianze in ordine al trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondate. 1.3.1. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 - 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142, Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008 - dep. 2008, Gasparri, Rv. 239754). La determinazione in concreto della pena costituisce, infatti, il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicche' l'obbligo della motivazione da parte del giudice dell'impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d'appello, quando egli, accertata l'irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Cio' dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell'articolo 133 c.p. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d'appello Nel caso in esame, in coerenza con tali indicazioni ermeneutiche, la Corte di appello offriva una esaustiva e completa motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio, da un lato, indicando tutti gli elementi posti a base del riconoscimento della recidiva, ritenuta sulla base della valorizzazione di due condanne per reati specifici che, unitamente alla condotta in giudizio, indicavano una ingravescenza della pericolosita', che veniva confermata dalle condotte successive; e, dall'altro, indicando le ragioni poste a fondamento del contenuto aumento per la continuazione (pag. 12 della sentenza impugnata). 1.3.2. Con riguardo alle contestazioni relative al diniego delle circostanze attenuanti generiche il collegio riafferma che l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalita' del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (tra le altre: Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986). Nel caso in esame, ancora una volta in piena coerenza con tali indicazioni, la Corte d'appello rilevava con motivi che la gravita' della condotta contestata, consumata ai danni di una donna si stava recando di prima mattina al lavoro, e che veniva scaraventata dietro una recinzione, violentata ripetutamente e depredata delle cose in suo possesso, era ostativa la concessione delle circostanze atipiche. Anche in questo caso la motivazione non si presta ad alcuna censura in questa sede (pag. 12 della sentenza impugnata). 2.Alla dichiarata inammissibilita' del ricorso consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - rel. Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. MONACO Marco M. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 09/06/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di PERUGIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CASA FILIPPO; lette le conclusioni del PG Dott.ssa CERONI FRANCESCA, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilita' del ricorso o, in subordine, il rigetto. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza resa in data 9 giugno 2022, il Tribunale di sorveglianza di Perugia rigettava l'istanza di differimento della pena ex articolo 147 c.p., comma 1, formulata da (OMISSIS), detenuto a seguito di condanna per i reati di associazione mafiosa, estorsione aggravata, detenzione di armi da guerra e clandestine, aggravati ai sensi del L. n. 203 del 1991, articolo 7, e sottoposto a custodia cautelare in relazione ad un'ulteriore condanna per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p.. Osservava il Tribunale che, tenuto conto delle relazioni sanitarie e della documentazione acquisita, non sussistevano i presupposti per il differimento della pena, atteso che l'istante veniva seguito costantemente dai sanitari dell'istituto e sottoposto alle visite specialistiche necessarie. Dall'ultima relazione (datata 2 maggio 2022), in particolare, emergeva che le condizioni di salute del (OMISSIS) potevano essere adeguatamente trattate in centri clinici dell'Amministrazione penitenziaria, con ricorso, se del caso, all'articolo 11 Ord. Pen.; peraltro, si rilevava che l'odierno ricorrente aveva rifiutato il ricovero presso l'Ospedale (OMISSIS). Si dava atto, inoltre, che in data 1 giugno 2022 era stato disposto il trasferimento temporaneo del detenuto presso la Casa di reclusione di (OMISSIS), in quanto dotata di Servizio di Assistenza Intensificata. Stante l'esaustivita' della suddetta documentazione in atti, il Tribunale riteneva superflui ulteriori accertamenti peritali. Infine, quanto alla valutazione di pericolosita' sociale, la nota della DNA acquisita evidenziava elementi indicativi del pericolo di reiterazione del reato, quali il ruolo di vertice ricoperto dal (OMISSIS) all'interno dell'omonima organizzazione di ‘ndrangheta, la sua decennale latitanza e l'attuale operativita' dei gruppi criminosi che lo avevano sostenuto, con la conseguente possibilita' di riallacciare i rapporti con questi ultimi in caso di ritorno nel territorio d'origine. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, per il tramite del difensore avv. (OMISSIS), articolando due distinti motivi. 2.1. Con il primo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 147 c.p. e articolo 684 c.p.p.. Si duole il ricorrente che il Tribunale abbia rigettato la richiesta di differimento dell'esecuzione della pena senza confrontarsi con le specifiche deduzioni difensive e senza valutare adeguatamente i dati emergenti dalla documentazione medica in atti; in particolare, il Collegio si sarebbe limitato a richiamare la relazione del 2 maggio 2022, omettendo di spiegare perche' il (OMISSIS) potesse e dovesse rimanere in carcere nonostante l'alto rischio di andare incontro ad una dialisi permanente. Sarebbe mancato, pertanto, un adeguato approfondimento circa le gravissime patologie del ricorrente, soggette a progressivo e continuo peggioramento, a dimostrazione dell'inidoneita' delle cure offerte dall'Amministrazione penitenziaria. Infine, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, le gravi condizioni di salute del (OMISSIS) non consentirebbero di considerarlo soggetto pericoloso per la collettivita'. 2.2. Con il secondo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 147 c.p. e articolo 684 c.p.p., nonche' in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), articoli 121 e 125 c.p.p.. Si censura la motivazione dell'ordinanza impugnata per l'omessa valutazione della memoria difensiva depositata il 3 giugno 2022, in cui si dava atto della necessita' per il (OMISSIS) di ricevere cure e di essere sottoposto a visite ed esami specialistici in strutture sanitarie adeguate; tale esigenza, peraltro, era confermata anche dalla consulenza di parte, che aveva accertato l'impossibilita' di assicurare i trattamenti necessari presso le strutture carcerarie, ancorche' dotate di SAI. Con la suddetta memoria la difesa aveva richiesto anche l'ammissione di una perizia, che, secondo la giurisprudenza, si rivela necessaria laddove il giudice ritenga di non accogliere l'istanza di differimento discostandosi dalla documentazione scientifica prodotta dall'istante. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilita' o, in subordine, per il rigetto del ricorso. 4. Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente, hanno inviato note di replica alla suddetta requisitoria. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e deve essere rigettato. 2. Diversamente da quanto dedotto con il primo motivo, il Tribunale di sorveglianza ha adeguatamente evidenziato come il detenuto, affetto da glomerulonefrite diffusa membranosa, venga costantemente seguito dai sanitari dell'istituto di appartenenza, nonche' sottoposto alle visite specialistiche di volta in volta occorrenti, nonostante le difficolta' correlate alla nota emergenza pandemica. Nel provvedimento impugnato viene dato, inoltre, specificamente atto di come il (OMISSIS) versi in condizioni di salute adeguatamente controllabili nei centri clinici interni al circuito penitenziario, o in luoghi di cura esterni, mediante il ricorso allo strumento apprestato dall'articolo 11 Ord. Pen.. In sostanza, dal complesso tessuto giustificativo dell'ordinanza, si evince, in modo ragionevolmente argomentato e aderente agli atti, che il quadro patologico - pur serio e ovviamente degno della massima attenzione - accusato dal condannato non si connota attualmente per la sussistenza di una malattia suscettibile di dare origine ad emergenze sanitarie tali da concretare situazioni critiche ed esigenti un pronto intervento non realizzabile in ambiente carcerario. 3. La paventata evoluzione negativa delle condizioni cliniche del detenuto, foriera addirittura della possibile sottoposizione dello stesso alla dialisi permanente, e' stata parimenti presa in considerazione - con attenta e coerente valutazione - nell'impugnato provvedimento. Il Tribunale, infatti, riportando un ampio stralcio della relazione sanitaria del 2 maggio 2022, ha ricordato come si sia apprestato per il detenuto un ricovero presso il reparto specializzato dell'ospedale di (OMISSIS), al fine dell'effettuazione di ulteriori approfondimenti e per l'impostazione di idoneo approccio terapeutico; il Tribunale ha, poi, anche sottolineato come il detenuto abbia rifiutato tale ricovero. A seguito di tale rifiuto, e' stato chiesto l'invio del (OMISSIS) presso un centro clinico interno al circuito penitenziario, laddove effettuare gli accertamenti occorrenti per affrontare la suddetta sindrome nefrosica da glomerulonefrite membranosa; approfondimenti finalizzati proprio a scongiurare il pericolo paventato dal detenuto, ossia l'evoluzione verso la necessita' di dialisi permanente. Nel provvedimento viene altresi' evidenziato come, all'esito, il Ministero della giustizia abbia disposto il trasferimento temporaneo del condannato presso la Casa di reclusione di (OMISSIS), che e' dotata del Servizio di Assistenza Intensificata. 3.1. Con riferimento al rifiuto opposto dal (OMISSIS), rispetto al gia' disposto ricovero presso la sezione di Medicina Protetta dell'Ospedale (OMISSIS), giova ricordare il costante insegnamento di questa Corte - rispettato dal giudice di merito - secondo il quale e' vero che i trattamenti sanitari nei confronti del detenuto presentano una natura non coercibile, ma e', altresi', vero che l'accettazione di tali trattamenti - laddove potenzialmente risolutivi, nei confronti di una ingravescente condizione clinica, in ragione della quale peraltro il condannato invochi il differimento della pena, ovvero l'applicazione di misura alternativa alla detenzione carceraria - assume veste di condizione giuridica prodromica e necessaria rispetto alla positiva valutazione della relativa richiesta (Sez. 1, n. 5447 del 15/11/2019, Bellanca, Rv. 278472). 4. Questa Corte ha, inoltre, avuto ripetutamente modo di affermare come l'accertata pericolosita' sociale del detenuto rappresenti elemento ostativo al differimento facoltativo della pena, a norma dell'articolo 147 c.p., comma 4, nonche' all'applicazione della detenzione domiciliare ai sensi dell'articolo 47-ter Ord. Pen., comma 1-ter. Si e', a tal proposito, chiarito come, in merito a tali misure correlate a grave infermita' fisica, occorra che la condizione clinica del condannato si appalesi connotata da particolare gravita', rivelandosi atta a mettere in pericolo la vita, o anche a cagionare effetti fisici dannosi, o almeno tale da esigere un trattamento non attuabile in regime carcerario; il tutto postula, pero', un bilanciamento tra opposte esigenze, rappresentate dall'interesse del condannato ad ottenere le cure che si rendano necessarie e dalle opposte ragioni di salvaguardia, rispetto alla conclamata pericolosita' sociale (Sez. 1, n. 2337 del 13/11/2020, dep. 2021, Furnari, Rv. 280352). Nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza, con ampia e convincente motivazione, ha valorizzato la elevata e conclamata pericolosita' sociale della quale e' portatore il detenuto. Nel provvedimento impugnato viene dato, infatti, diffusamente conto che il (OMISSIS): a) e' un soggetto gia' condannato per reati gravissimi; b) e' elemento apicale di un pericoloso sodalizio di ‘ndrangheta, particolarmente attivo nel territorio di origine; c) ha mantenuto tale posizione di vertice, restata impermeabile agli effetti di una decennale latitanza; d) in virtu' della sua posizione e in ragione della permanente operativita' dei gruppi di appartenenza, possa con facilita' riannodare le relazioni criminali intessute in passato. Tale parte della motivazione, afferente al profilo di pericolosita' sociale del detenuto, non appare oggetto di alcuna specifica censura nel ricorso. 5. Va, parimenti, disatteso il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta l'omessa considerazione della memoria difensiva inviata il 3 giugno 2022 e, consequenzialmente, l'omessa motivazione in ordine alla richiesta di perizia medica in essa avanzata. Il Tribunale di Sorveglianza stigmatizza, a pag. 4 del provvedimento, come la difesa non abbia chiarito - con indicazione contenutisticamente soddisfacente e dettagliata - quali fossero, eventualmente, gli specifici trattamenti terapeutici, dei quali veniva perorata l'adozione, nonche' le ragioni per le quali tali (non meglio puntualizzati) trattamenti si potessero prospettare come dotati di una efficacia verosimilmente maggiore rispetto alle cure ordinariamente praticabili in ambiente carcerario. In tal modo, il Tribunale ha fornito prova inconfutabile di aver letto e adeguatamente ponderato le argomentazioni difensive, contenute nella memoria di cui sopra, argomentazioni disattese con motivazione, insindacabile in questa sede perche' immune da vizi logici e giuridici, che ha condotto i giudici a reputare insussistenti, per l'esaustivita' della documentazione raccolta, le condizioni necessarie per disporre l'auspicato accertamento peritale. 6. Dal rigetto del ricorso discende ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente Dott. TALERICO Palma - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - rel. Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/07/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di VENEZIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DANIELE CAPPUCCIO; udito il Pubblico Ministero, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 6 luglio 2021, la Corte di assise di appello di Venezia ha confermato quella con cui, il 30 novembre 2020, la Corte di assise di Verona ha dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli del delitto di omicidio volontario aggravato e li ha condannati alla pena dell'ergastolo, oltre che al pagamento delle spese processuali e di sofferta custodia, nonche' al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese di lite in favore delle costituite parti civili, ed ha loro applicato le sanzioni accessorie previste per legge. 2. Il (OMISSIS), in orario serale, presso lo scalo ferroviario di (OMISSIS), (OMISSIS) fu vittima di una cruenta aggressione, nel corso della quale piu' persone lo colpirono ripetutamente con calci e pugni nonche', con un corpo contundente, al volto, al capo e alla schiena, in tal modo provocandogli, tra l'altro, fratture facciali multiple e la frattura dell'osso ioide, e, subito dopo, appiccarono il fuoco ai pantaloncini da lui indossati, cosi' cagionandogli ustioni di secondo e terzo grado all'addome ed agli arti inferiori, estese al 15% della superficie corporea, per poi lasciarlo esamine riverso a terra, lungo la via ferroviaria, ove venne rinvenuto, in stato comatoso, la mattina del giorno seguente. Le complicazioni seguite al ricovero della vittima e, in particolare, l'insorgenza di una infezione sistemica ad opera di batteri per traslocazione cutanea determinarono, infine, la morte di (OMISSIS), avvenuta il (OMISSIS). 3. I giudici di merito hanno concordemente ritenuto la responsabilita' concorsuale di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla scorta di un articolato compendio istruttorio, basato su prove di natura dichiarativa, tecnica e scientifica. Premesso che i tre erano soliti, al pari della vittima, di (OMISSIS) e di (OMISSIS), gravitare nell'area della stazione di (OMISSIS), va segnalato come a loro carico siano state valorizzate, in primo luogo, le dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e, soprattutto, di (OMISSIS). (OMISSIS) ha riferito di avere appreso da (OMISSIS), suo conoscente, che questi, giunto sul posto, ove si trovavano i tre odierni imputati e (OMISSIS), e notato che (OMISSIS) era in preda alle fiamme, appiccate da (OMISSIS), si era avvicinato allo sventurato per portargli ausilio, incontrando, tuttavia, ostacolo in (OMISSIS), il quale lo aveva invitato ad allontanarsi, accompagnando la sollecitazione con esplicite minacce. (OMISSIS) ha confermato che, arrivato sulla banchina, vide (OMISSIS) appiccare il fuoco a (OMISSIS) e cerco', pertanto, di intervenire in aiuto alla vittima, operazione che, pero', fu inibita dalla decisa opposizione di (OMISSIS); specificamente sollecitato sul punto, ha riferito di non avere notato la presenza, sul posto, di (OMISSIS). (OMISSIS) ha, invece, esposto che, al suo arrivo in stazione, aveva visto gli imputati e (OMISSIS) sul binario in atteggiamento ilare e cordiale ("intenti a ridere e scherzare") e di essersi, quindi, allontanato poco dopo le 21:30. Dall'espletata istruttoria e', inoltre, emerso, tra l'altro, che: - le analisi di laboratorio hanno portato al rinvenimento di tracce ematiche della vittima sugli indumenti indossati dagli imputati (e, precisamente: sui pantaloni mimetici di (OMISSIS); sui bermuda di (OMISSIS); sulla camicia e su entrambe le scarpe di (OMISSIS)) la sera del delitto, nonche' di ulteriori tracce, biologiche o dattiloscopiche, su oggetti rinvenuti sulla scena del crimine, riferibili agli imputati; - il sistema di videosorveglianza installato presso lo scalo ferroviario ha consentito di ricostruire i movimenti degli imputati in entrata ed in uscita dalla stazione e presso il luogo di ritrovamento della vittima; - il decesso di (OMISSIS) e' stato causato dall'azione illecita posta in essere ai suoi danni e, in particolare, dalle gravi ustioni riportate, che hanno indotto una setticemia rivelatasi letale, mentre le sue pregresse, precarie condizioni di salute non hanno avuto alcuna incidenza sull'exitus; - (OMISSIS), il quale, a differenza di altri soggetti che frequentavano la stazione ferroviaria di (OMISSIS), disponeva di un'abitazione e fungeva da tramite tra i volontari ed i senzatetto ivi ricoverati, ne condivideva, nondimeno, la propensione all'abuso di sostanze alcoliche, che sovente provocava l'insorgenza di dissidi e contese, vertenti sul possesso di indumenti o sigarette; - (OMISSIS), una volta contattato dalla polizia giudiziaria, che lo aveva invitato a consegnare gli abiti indossati la sera del (OMISSIS), ha consegnato indumenti diversi da quelli raffigurati nelle immagini registrate dal sistema di videosorveglianza che, successivamente acquisiti, si e' scoperto essere contaminati dal sangue di (OMISSIS). I giudici di merito hanno inferito, sulla base degli elementi teste' sinteticamente richiamati, che, in orario approssimativamente collocabile tra le 21:30 e le 22:00, gli imputati, i quali sino a poco prima si erano tranquillamente intrattenuti con (OMISSIS), abbiano, ad un certo punto, concordemente deciso, probabilmente versando in stato di ebbrezza alcolica, di aggredirlo violentemente e di porre in essere, quindi, la condotta rivelatasi letale. Hanno, ulteriormente, stimato la correttezza della qualificazione del fatto come omicidio doloso anziche' preterintenzionale e dell'applicazione dell'aggravante dell'avere i responsabili agito con crudelta' verso la vittima, per disattendere, quindi, la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche. 4. (OMISSIS) propone, con l'assistenza dell'avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a due motivi. Con il primo motivo, denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2, e articolo 533, comma 1, e/o mancanza, contraddittorieta' e/o manifesta illogicita' della motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per non avere il giudice di merito pronunciato sentenza di assoluzione pur in assenza di prova certa della sua colpevolezza. In particolare - previa copiosa disamina della giurisprudenza nazionale ed Europea sul punto - lamenta la violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio evidenziando che, nel caso di specie, la Corte di assise di appello ha omesso di confrontarsi con la ricostruzione dei fatti alternativa da lui prospettata, pur dopo avere espressamente ammesso l'esistenza di aspetti di contraddittorieta' del quadro probatorio a suo carico. Il riferimento attiene, in primis, alle dichiarazioni di (OMISSIS) il quale, in sede di incidente probatorio, ha affermato di non averlo visto sul luogo del fatto nel momento in cui e' stata perpetrata l'aggressione ai danni della persona offesa; narrazione, questa, della quale il ricorrente lamenta il contrasto con quella resa da (OMISSIS), il quale ha, invece, sostenuto che (OMISSIS) gli aveva confidato la presenza di (OMISSIS) al momento dell'aggressione. Il ricorrente addebita alla Corte di assise di appello di avere confermato il giudizio di attendibilita' di (OMISSIS), a dispetto dell'inconciliabilita' della sua narrazione con quella di (OMISSIS), e di avere, pero', rimesso al libero convincimento del giudice la decisione finale in ordine alla sua presenza sulla scena del crimine al momento del fatto, cosi' contravvenendo al principio secondo cui, in presenza di piu' ricostruzioni alternative, tutte plausibili, la preferenza deve cadere su quella di maggior favore per l'imputato. La decisione impugnata, continua (OMISSIS), contiene ulteriore momento di contraddittorieta' nella valutazione delle riprese delle telecamere di sicurezza che non lo ritraggono sul luogo del fatto a partire dalle 19:46 del (OMISSIS), della cui incompatibilita' con il contributo di (OMISSIS) la Corte di assise di appello non ha tenuto conto. Illogica si palesa, ancora, nella prospettiva del ricorrente, l'affermazione della sua penale responsabilita' a titolo di concorso nell'omicidio ad onta dell'assenza, sul suo corpo, di segni riconducibili alla violenta e brutale aggressione della quale egli sarebbe stato protagonista, ed in ragione della presenza, sui suoi pantaloni, di una minima quantita' di sangue della vittima che, pero', potrebbe essere frutto di una contaminazione avvenuta in epoca precedente al delitto. Il ricorrente degrada, poi, a mera illazione l'assunto, fatto proprio dai giudici di merito, secondo cui egli avrebbe maliziosamente consegnato agli investigatori indumenti diversi da quelli indossati la sera del (OMISSIS) allo scopo di occultare le tracce di sangue, elementi di intuibile portata indiziante. Privo di significato sarebbe, altresi', il rinvenimento di sue tracce biologiche su un cartone di vino ed un maglione, circostanza che dimostra che egli era solito trascorrere le giornate presso la stazione di (OMISSIS) ma non anche che egli fosse presente al momento dell'aggressione della vittima, ne' tantomeno che egli abbia fattivamente partecipato al delitto. Con il secondo motivo, (OMISSIS) lamenta violazione di legge, con riferimento all'articolo 603 c.p.p. e/o mancata assunzione di prova decisiva, per non avere il giudice di secondo grado disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Deduce che l'intero processo e' stato caratterizzato dall'ingiustificata tensione verso la celere definizione del giudizio, che ha inciso sul rigetto di tutte le istanze finalizzate ad una integrazione probatoria che avrebbe consentito di fugare i dubbi e le perplessita' che la stessa Corte ha riconosciuto residuare in merito alla sua presenza effettiva sul luogo del fatto al momento della consumazione del reato. 5. (OMISSIS) propone, con il ministero dell'avv (OMISSIS), ricorso per cassazione articolato su quattro motivi. Con il primo motivo, denuncia la nullita' della sentenza per omessa motivazione in punto di mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale finalizzata all'escussione del teste (OMISSIS). Rileva, al riguardo, che la Corte di assise di appello ha riconosciuto che nella deposizione testimoniale resa in sede di incidente probatorio da (OMISSIS) si rinvengono alcuni elementi di perplessita', relativi, specificamente, alla riferita assenza di (OMISSIS) sul luogo del delitto, nonche' al contrasto con la deposizione di (OMISSIS), il quale ha riferito di avere visto (OMISSIS), intorno alle ore 21:30, in compagnia degli altri imputati, a sua volta contraddetta dalle immagini registrate dalle telecamere, che hanno ritratto (OMISSIS) uscire dalla stazione alle 19:46 ma non anche il suo successivo reingresso. L'istruttoria, continua (OMISSIS), ha restituito un panorama indiziario composito ed articolato e, pero', connotato da un coefficiente di equivocita' tale da consigliare di dar corso al sollecitato approfondimento, volto, con specifico riferimento alla sua posizione, a fugare ogni dubbio in merito alla sincerita' del teste (OMISSIS), le cui dichiarazioni sono state ritenute decisive in vista dell'affermazione della sua penale responsabilita' per il gravissimo episodio criminoso. Con il secondo motivo, (OMISSIS) denuncia violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione del fatto nel reato di omicidio preterintenzionale. Censura, al riguardo, il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello che, imperniato sulla natura della violenza esercitata e sulla durata dell'azione illecita, trascura, per contro, che il decesso della vittima non e' derivato, in via diretta, dalle inferte lesioni, che hanno interessato parti non vitali del corpo della vittima, quanto, piuttosto, da una complicanza connessa alle gravi ustioni riportate, e che la protrazione della condotta illecita non assume, in siffatto contesto, valenza decisiva. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce lamenta la carenza e, comunque, l'illogicita' della motivazione con riferimento alla ritenuta esistenza dell'aggravante della crudelta'. Rileva, in proposito, che le modalita' della condotta devono essere necessariamente interpretate quale risultato di un'unica azione naturalisticamente intesa, non rinvenendosi, invece, la volonta' di infliggere alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell'evento e ne costituiscono un quid pluris rispetto all'attivita' necessaria per la consumazione del reato. La violenza dei colpi reiteratamente inferti alla vittima, diretti a distretti corporei non vitali, non attesta, aggiunge (OMISSIS), quella particolare crudelta' che dovrebbe contraddistinguere l'agito degli autori del delitto e che si distingue dalla mera volonta' di cagionarne la morte. D'altro canto, nota ulteriormente, gli elementi che, secondo i giudici di merito, avvalorano la violenza e il disprezzo per la vittima, rappresentati dal fatto che (OMISSIS) e' stato colpito con le scarpe e che gli imputati abbiano appiccato il fuoco alla zona genitale, non sono emersi dall'istruttoria; la dinamica omicidiaria, in ogni caso, non puo' costituire l'unico elemento di valutazione per ritenere sussistente l'aggravante contestata, che postula l'enucleazione di circostanze di fatto che mettano in luce la malvagita' dell'agente e la sua insensibilita' ad ogni richiamo umanitario. Con il quarto ed ultimo motivo, (OMISSIS) lamenta la nullita' della sentenza per carenza di motivazione in ragione della mancata concessione delle attenuanti generiche, in rapporto almeno di equivalenza rispetto alla contestata aggravante, che egli avrebbe meritato, sostiene, perche' incensurato e per le sue precarie condizioni di vita, connotate da una situazione di degrado e di abbandono. 6. (OMISSIS) propone, con il patrocinio dell'avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale eccepisce mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Segnala che la sentenza impugnata si caratterizza per la marcata ed insuperabile incertezza nella ricostruzione di tutte le fasi della vicenda, discendente dall'appartenenza degli unici testimoni oculari, (OMISSIS) e (OMISSIS), alla ristretta cerchia degli abituali frequentatori della stazione di (OMISSIS), che avrebbe dovuto indurre maggiore cautela nell'apprezzamento di dichiarazioni di chi, almeno in astratto, ben potrebbe essere stato coinvolto, al pari degli imputati, nei fatti di causa. Rimarca le plurime incongruenze tra le rispettive dichiarazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), nonche' tra le stesse ed i risultati degli espletati accertamenti tecnici; evidenzia che la versione di (OMISSIS), secondo cui l'aggressione si sarebbe consumata entro le 21:22 - orario in cui egli, stando alle immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza, e' uscito dalla stazione - e' incompatibile con le ulteriori risultanze e con la logica e che lo stesso (OMISSIS) e' inattendibile nel momento in cui asserisce di non aver riconosciuto la persona aggredita nel (OMISSIS), a lui ben noto in ragione della consolidata e quotidiana frequentazione; indica, ad ulteriore riscontro dell'insincerita' di (OMISSIS), il contrasto con le dichiarazioni di (OMISSIS) in merito alla presenza sul posto di (OMISSIS). Si duole che, a fronte di un quadro indiziario tanto labile, la Corte di assise di appello abbia disatteso la richiesta di risentire, nel contraddittorio dibattimentale, (OMISSIS) ed (OMISSIS). Lamenta, ulteriormente, che i giudici di merito abbiano tratto argomento dalla prova scientifica che, nei suoi confronti, appare dotata di attitudine probatoria del tutto marginale, posto, in specie, che il rinvenimento di un pezzo di cartone semi-combusto, recante la sua impronta palmare, e di tracce ematiche della vittima sulla camicia e sulle scarpe depongono, per quantita', dimensione e posizionamento dei reperti, peraltro di modesta entita', per un contatto minimo con (OMISSIS), connesso alla sua, mai contestata, presenza sulla scena dell'aggressione. Il ricorrente, infine, sottopone a revisione critica le argomentazioni svolte dalla Corte di assise di appello in ordine alle pregresse condizioni di salute della vittima, affetta da cirrosi epatica che, obietta, ben potrebbero avere inciso sull'infausta evoluzione delle lesioni e delle ustioni riportate nella patita aggressione in termini tali da determinare l'interruzione del nesso causale tra condotta illecita e decesso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili perche' vertenti su censure manifestamente infondate, mentre quello di (OMISSIS) e', al contrario, suscettibile di accoglimento. 2. Prive di pregio si palesano, in primo luogo, le censure che i ricorrenti hanno formulato con riferimento alla decisione della Corte di assise di appello di non dare corso alle richieste di riapertura dell'istruttoria dibattimentale mediante, tra l'altro, nuova audizione dei testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS), confronto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) ed esperimento giudiziale sulle modalita' di funzionamento delle telecamere di sorveglianza. La giurisprudenza di legittimita' ha da tempo chiarito, in proposito, che "Nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'articolo 603 c.p.p., comma 1, e' subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento e' rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita' se correttamente motivata" (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G. Rv. 274230 - 01; Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Leoni, Rv. 262620 - 01; Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, Montanari, Rv. 228353 - 01). Nel caso in esame, la Corte di assise di appello ha ritenuto che la rinnovazione dell'istruttoria sollecitata, con i motivi di impugnazione, da (OMISSIS) e (OMISSIS) non fosse indispensabile ai fini della decisione ed ha giustificato il rigetto della richiesta attraverso un apparato argomentativo completo e scevro dal benche' minimo deficit razionale. In dettaglio, ha ritenuto inutile il confronto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi mostratisi fermi nell'esporre le rispettive versioni anche a seguito delle reiterate sollecitazioni delle parti, spettando al libero convincimento del giudice il compito di sciogliere il nodo derivante dalla diversita' delle loro narrazioni. Ha affermato, quanto all'acquisizione delle immagini registrate da alcune telecamere di sicurezza poste nei pressi della stazione ferroviaria di (OMISSIS), che, sul punto, appare assolutamente esaustiva la deposizione del teste (OMISSIS), il quale ha assicurato di avere individuato le telecamere di sicurezza presenti nella zona e di avere estratto tutte le immagini di interesse investigativo. Ha reputato la superfluita' dell'esperimento giudiziale finalizzato a verificare la possibilita' di transitare per i luoghi dei fatti senza essere ripreso dalle telecamere di sicurezza, rilevando che "si tratta di dispositivi che effettuano riprese continue, ma ruotando su se' stesse, sicche' sussiste un intervallo di trenta secondi prima che il medesimo punto venga nuovamente inquadrato" e che "le altre video camere riprendono punti esterni alla stazione dove il transito dell'imputato (OMISSIS) e' solo eventuale ed ipotetico non essendovi sul punto alcuna certezza". Ha, del pari, stimato non necessaria la perizia ematologica volta a comparare il campione di sangue rinvenuto sui bermuda di (OMISSIS) ed appartenente alla vittima con quelli prelevati a (OMISSIS) durante il ricovero, atteso che "e' fatto notorio che l'esame del DNA cui e' stato sottoposto il campione di sangue repertato comporti la distruzione del supporto su cui il campione e' rilevato, sicche' nessuna utile comparazione potrebbe svolgersi". Ha, ancora, ritenuto inutile l'acquisizione della documentazione medica eventualmente esistente e finalizzata ad accertare gli eventuali accessi al pronto soccorso da parte del (OMISSIS), sul postulato che "l'ipotesi difensiva del fatto che il (OMISSIS) fosse solito ferirsi appare sfornita di riscontri e ad ogni modo relativa a circostanze non pertinenti ai fatti". La decisione impugnata si rivela, dunque, tetragona, sotto questo aspetto, alle censure di (OMISSIS) cosi' come a quelle di (OMISSIS), il quale ha invocato la nuova audizione di (OMISSIS) che, ha coerentemente osservato la Corte di assise di appello, e' stato escusso, su tutti i profili rilevanti e con le garanzie del contraddittorio, in sede di incidente probatorio. 2. Nel merito, va rilevato come i giudici di merito abbiano tratto argomento, in vista dell'affermazione della penale responsabilita' degli imputati, dalle dichiarazioni di (OMISSIS), nitide nell'ascrivere a (OMISSIS) e (OMISSIS) un atteggiamento sicuramente espressivo di consapevole e fattiva partecipazione all'aggressione, materialmente posta in essere dal primo (che egli ha udito rivolgere alla vittima parole - "ti ho promesso che ti brucio e ti brucio" - sintomatiche di sicuro intento omicida) ed agevolata dal secondo nell'inibire al testimone di prestare soccorso al malcapitato (OMISSIS). La Corte di assise di appello ha affrontato funditus il tema dell'attendibilita' di (OMISSIS), che ha positivamente risolto in ragione, tra l'altro, (cfr., in specie, le considerazioni svolte a fronte della doglianza articolata da (OMISSIS)) della dimostrata conoscenza di particolari che, nel momento in cui egli e' stato escusso, erano noti solo agli investigatori e della compatibilita' del suo narrato con quello di (OMISSIS), trattenutosi nell'area su cui si trovavano i quattro protagonisti della vicenda in un frangente antecedente alla sua tragica degenerazione. La piena sovrapponibilita' tra le dichiarazioni di (OMISSIS) e gli esiti della prova scientifica supportano, dunque, le conclusioni raggiunte dai giudici di merito in ordine alla responsabilita' concorsuale di (OMISSIS) e (OMISSIS), che svolgono, al riguardo, considerazioni critiche non idonee a mettere in luce la sussistenza di vizi di legittimita' tali da imporre l'annullamento della sentenza impugnata. (OMISSIS), in particolare, pone l'accento, da un lato, sulla pretesa - e, si e' detto, inesistente - contraddizione tra i contributi di (OMISSIS) e (OMISSIS), presenti sul posto in momenti chiaramente distinti, il primo dei quali ha visto gli imputati e la vittima rapportarsi con toni pacifici ed amichevoli, e, dall'altro, sulla non coincidenza tra le dichiarazioni, de relato, di (OMISSIS) e quelle del teste diretto (OMISSIS) il quale, ha chiarito la Corte di assise di appello, non ha visto (OMISSIS) che, nondimeno, e' per altra via risultato presente in loco, onde non v'e' ragione di dubitare sia della piena attendibilita' del testimone oculare che della partecipazione di (OMISSIS) alla vicenda. (OMISSIS), per parte sua, nel proporre una diversa, ed a lui piu' favorevole, valutazione delle risultanze istruttorie, si mantiene nel solco di uno sterile binario confutativo, del tutto inidoneo ad eccitare i poteri censori del giudice di legittimita'. Segnala, in specie: la scarsa credibilita', dal punto di vista personologico, di (OMISSIS) e (OMISSIS); la discutibilita' dei prescelti itinerari investigativi; la discrasia tra le narrazioni, rispettivamente, di (OMISSIS) e (OMISSIS) e di (OMISSIS) e (OMISSIS); la ridotta rilevanza probatoria degli esiti delle indagini scientifiche. Evoca circostanze non indicate in sentenza ne' altrimenti comprovate mediante opportune allegazioni, quali quelle relative alla compatibilita' delle immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza, nella loro successione cronologica, con la ricostruzione della vicenda operata dai giudici di merito, ovvero al transito, in coincidenza con l'aggressione, di treni. Esprime perplessita' in ordine alla derivazione causale della morte della vittima dalla condotta illecita oggetto di contestazione anziche' dalle gravi patologie, prima tra tutte la cirrosi epatica, che affliggeva (OMISSIS). Entrambi i ricorsi si rivelano, sotto questo aspetto, manifestamente infondati, perche' volti alla rivalutazione di aspetti che la Corte di assise di appello ha trattato in modo ineccepibile spiegando, tra l'altro: - che le dichiarazioni dei due testimoni oculari sono, ad un complessivo apprezzamento, perfettamente compatibili, perche' riferite a due distinti frangenti temporali; che (OMISSIS) e', al pari di (OMISSIS), teste certamente attendibile; - che il rinvenimento, su indumenti ed oggetti sottoposti a sequestro, di tracce biologiche riconducibili agli imputati ed alla vittima costituisce elemento di ulteriore conferma della fondatezza, quanto alle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), dell'impostazione accusatoria; che non vi e' ragione di dubitare del nesso causale tra le lesioni, principaliter di quelle da ustione, e le complicazioni che portarono (OMISSIS), a distanza di due mesi, alla morte. 3. A conclusioni diverse deve pervenirsi con riferimento alla posizione di (OMISSIS). La Corte di assise di appello ha ritenuto, in proposito, che il contributo di (OMISSIS) - il quale, smentendo (OMISSIS) (latore, si ricorda, di informazioni apprese post factum dallo stesso (OMISSIS)), ha escluso di avere notato, nelle poche decine di secondi in cui egli si e' trattenuto sulla scena del crimine, la presenza di (OMISSIS) - non contraddice l'ipotesi di accusa che, con riferimento a tale imputato, si giova di altri, pregnanti elementi, sintomatici della sua partecipazione al delitto, rinvenuti: nelle dichiarazioni di (OMISSIS), che lo ha visto in quell'area, insieme a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), poco prima dell'omicidio; nella presenza di sangue della vittima sui bermuda che egli, in quei frangenti, indossava; nel malizioso contegno serbato allorquando gli inquirenti gli hanno chiesto di consegnar loro quegli abiti; nella presenza di tracce biologiche di (OMISSIS) su un cartone ed una maglia repertate sul posto. La Corte veneziana ha, quindi, ritenuto che (OMISSIS), a dispetto dell'assenza di immagini che lo ritraggano rientrare in stazione dopo le 19:46 - circostanza della quale i giudici di merito hanno offerto una spiegazione aliena da fratture razionali, basata sulla rotazione, con frequenza di trenta secondi per ciascuna rivoluzione, della telecamera -fosse, come sostenuto da (OMISSIS), in compagnia di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sino ai momenti immediatamente precedenti l'insorgere del dissidio dal quale sorti' l'aggressione dall'esito tragico. Ha, ulteriormente, osservato che "La tesi difensiva secondo cui tali macchie di sangue avrebbero imbrattato i pantaloni dell'imputato in occasione diversa rispetto all'aggressione fatale appare quanto mai inverosimile", atteso che "non e' dimostrato che il (OMISSIS) fosse cosi' facile alle perdite ematiche, tanto meno alla presenza del (OMISSIS)", e che "(OMISSIS), pur frequentando tale ambiente, non era un senzatetto, avendo al contrario un proprio domicilio", sicche' "appare inverosimile che lo stesso andasse in giro con i vestiti imbrattati del sangue del (OMISSIS), avendo egli la possibilita' di cambiarsi a di lavare tali vestiti". Ha, ancora, rilevato, in relazione alla consegna dei vestiti, che "La tesi di un'innocente confusione, dovuta all'abuso di alcool, suggerita dall'appellante, appare destituita di fondamento apparendo assai piu' probabile (...) che l'imputato abbia maliziosamente consegnato altri abiti, propri perche' consapevole che su quelli effettivamente indossati potessero residuare tracce del delitto commesso". Ha, conclusivamente, affermato che il complessivo quadro istruttorio depone nel senso della sua presenza sulla scena del crimine e della sua responsabilita' concorsuale. Il ragionamento che, nelle sue premesse e, per la prima parte, nel suo sviluppo, si palesa conforme ad ordinari canoni ermeneutici e frutto di incensurabile apprezzamento delle risultanze probatorie, sconta pero', in relazione al risultato finale cui conduce, un grave vizio logico, che attiene all'attitudine dell'accertata presenza di (OMISSIS) sul luogo ed in concomitanza con l'aggressione omicida a comprovare la sua efficiente e consapevole partecipazione al delitto. Se, da un canto, il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello e' nitido nel delineare la presenza, sul posto, dell'imputato, non altrettanto puo' dirsi, dall'altro, per quanto concerne l'enucleazione delle modalita' di concorso dell'imputato. Sul punto, ad ogni effetto decisivo, si contrappongono due elementi di valenza, prima facie, opposta, costituiti dalle dichiarazioni di (OMISSIS) e dalla presenza del sangue della vittima sui bermuda di (OMISSIS). Il testimone oculare ascrive, infatti, la paternita' dell'azione in via esclusiva a (OMISSIS), autore materiale dell'appiccamento del fuoco, ed a (OMISSIS), che, con le sue esplicite minacce, ha consentito al sodale di porre a compimento la condotta illecita. La traccia biologica, da vagliarsi in combinazione con l'atteggiamento serbato dell'imputato a seguito dell'iniziativa degli inquirenti, dimostra, invece, che egli venne a contatto con la vittima sanguinante. In un siffatto contesto, l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato avrebbe postulato l'accertamento, da compiersi sul piano logico, oltre che storico, della capacita' dell'elemento indiziante a comprovare non soltanto che (OMISSIS), trovandosi in quel luogo in concomitanza con la tragica degenerazione degli eventi, e' entrato in contatto con (OMISSIS), ma anche che egli - in un segmento dell'azione diverso, evidentemente, da quello oggetto di osservazione da parte di (OMISSIS) - ha cooperato in termini causalmente efficienti, sul piano materiale e/o morale, all'aggressione. Trattasi di profilo, di centrale importanza ai fini della decisione, che avrebbe dovuto essere apprezzato anche alla luce del repentino cambio del clima esistente tra imputati e vittima, transitato, in breve tempo, dalla cordiale convivialita' alla furia omicida, in forza di un'evoluzione condizionata, con ogni probabilita', dalla contingente alterazione di tutti o parte dei protagonisti dovuta all'ingestione di bevande alcoliche. Tale indagine non e' stata compiuta dalla Corte di assise di appello, che ha fatto discendere, in via pressoche' automatica, la sussistenza, nei confronti di (OMISSIS), degli elementi costitutivi del contestato delitto di omicidio volontario dai dati obiettivamente accertati e, si e' detto, non illogicamente vagliati, senza tener conto - anche in chiave di qualificazione giuridica del contributo arrecato e di individuazione del pertinente coefficiente psicologico - delle condizioni di contesto e del narrato di (OMISSIS). La riscontrata lacuna impone, in definitiva, l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla posizione di Eros (OMISSIS), con rinvio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Venezia per un nuovo giudizio che, libero nell'esito, sia da essa emendato. 4. I residui motivi proposti da (OMISSIS) sono manifestamente infondati. La deduzione afferente alla sussistenza, nella condotta degli agenti, del dolo di lesioni, anziche' di quello omicidiario, ha trovato congrua e definitiva smentita nella sentenza impugnata, ove e' stato chiarito che l'indagine medico-legale ha consentito di appurare che (OMISSIS) e' stato raggiunto, persino dopo aver perso conoscenza, da colpi di inaudita violenza, diretti anche ad organi, quali la testa, sede di organi vitali, ed ha riportato fratture alle ossa facciali ed allo ioide. La Corte di assise di appello ha, quindi, aggiunto che l'appiccamento del fuoco alla zona inguinale della vittima e la protrazione per decine di minuti dell'azione aggressiva costituiscono ulteriori riprove di un intento francamente omicidiario che si palesa, in ultimo, indiscutibile. 5. Non dissimili sono le considerazioni che devono svolgersi in ordine alla doglianza afferente all'applicazione dell'avere i rei agito con crudelta' verso le persone. Al riguardo, premesso che, secondo quanto stabilito da consolidato e condiviso indirizzo ermeneutico, "La circostanza aggravante dell'avere agito con crudelta', di cui all'articolo 61 c.p., comma 1, n. 4, e' di natura soggettiva ed e' caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalita' causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole" (Sez. U, n. 40516 del 23/06/2016, Del Vecchio, Rv. 267629 - 01), e "deve essere accertata alla stregua delle modalita' della condotta e di tutte le circostanze del caso concreto, comprese quelle afferenti al dolo" (Sez. 1, n. 20185 del 20/12/2017, dep. 2018, Q., Rv. 272827 - 01), deve osservarsi come i giudici di merito abbiano attestato, con motivazione ineccepibile, che si sottrae senz'altro alle sterili critiche del ricorrente, che la reiterazione dei colpi, inferti anche a mezzo di un corpo contundente e tanto violenti da sfigurare completamente il volto della vittima e la scelta dei distretti corporei attinti (il viso ed i genitali) siano rivelatori della volonta' di infierire sulla vittima, umiliandola ed infliggendole, nel corso di un'azione aggressiva protrattasi per un considerevole torno di tempo, sofferenze ulteriori rispetto a quelle necessariamente derivanti dall'azione omicida. 6. L'ultimo motivo del ricorso di (OMISSIS) verte sulla congruita' della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che l'imputato, si sostiene, avrebbe meritato perche' incensurato e per le sue precarie condizioni di vita, connotate da una situazione di degrado e di abbandono. Cosi' facendo, il ricorrente invoca, a dispetto di quanto affermato, una diversa e piu' favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici del merito hanno fornito una lettura aliena dall'ipotizzato travisamento della prova. Premesso che e' pacifico, in giurisprudenza, che "In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione" (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va attestato che la Corte di appello ha indicato le modalita' della condotta che, per la loro assoluta gravita', precludono l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, riferendosi specificamente all'essersi gli imputati accaniti, con particolare efferatezza, contro un soggetto gravitante nel loro stesso ambiente, con spregio delle regole di solidarieta' che dovrebbero valere tra soggetti che vivono in stato di emarginazione. Ha, pertanto, ritenuto che, irrilevante, da sola, l'assenza di precedenti condanne, le precarie di condizioni di vita di (OMISSIS) non rendano, in concreto, meno grave l'illecito ne' giustifichino la mitigazione del trattamento sanzionatorio. Un iter argomentativo, quello sviluppato dalla Corte di appello, che si mantiene all'interno della fisiologica discrezionalita' e che non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente il quale, va ancora una volta ribadito, sollecita un intervento che il giudice di legittimita' non puo' compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali. Sul punto, pertinente si rivela, del resto, il richiamo al condiviso indirizzo ermeneutico secondo cui "Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente" (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269) e "In tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la "ratio" della disposizione di cui all'articolo 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti" (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826). 7. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) Cristian e li condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Venezia.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere Dott. RICCIO Stefania - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza emessa l'1/12/2022 dal Tribunale di Torino; visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Consigliere DI GERONIMO Paolo; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale PERELLI Simone, il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'impugnata ordinanza, il Tribunale del riesame confermava la misura cautelare della custodia in carcere, applicata a (OMISSIS) in relazione ai reati di resistenza a pubblico ufficiale e furto aggravato. I gravi indizi di responsabilita' erano desunti dall'esame del DNA eseguito su una scarpa persa da uno dei quattro occupanti di un'autovettura, che non si era fermata a un posto di blocco predisposto dai Carabinieri. Dopo un iniziale inseguimento in auto, i predetti abbandonavano il mezzo per darsi alla fuga a piedi, ma tre degli indagati venivano immediatamente arrestati, mentre il quarto - successivamente identificato nell'odierno ricorrente - riusciva a dileguarsi. 2. Avverso tale sentenza, il ricorrente formula un unico motivo di ricorso, con il quale articola plurime censure volte essenzialmente a dedurre il vizio di motivazione dell'ordinanza impugnata; in particolare, deduce che: all'individuazione di (OMISSIS) si era giunti partendo dal fatto che l'esame del DNA aveva accertato la presenza di tracce appartenenti ad un consanguineo del correo (OMISSIS) (uno dei tre che erano stati arrestati al termine della fuga); gli inquirenti hanno ritenuto che (OMISSIS) e (OMISSIS) siano fratelli, senza eseguire alcun effettivo accertamento in merito, limitandosi a prendere atto che l'odierno ricorrete aveva preso il solo cognome della madre ( (OMISSIS)); all'atto del sequestro, si indicava che la scarpa fosse n. 40, mentre nella relazione dei RIS si afferma che la scarpa e' n. 44 (corrispondente alla misura calzata dall'indagato); l'intero accertamento scientifico sarebbe affetto da vizi che inficerebbero l'affidabilita'. 3. Il procedimento e' stato trattato in forma cartolare. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' manifestamente infondato. 2. L'articolato motivo di ricorso tenta di sovvertire il dato obiettivo emerso all'esito dell'esame del DNA, appuntando l'attenzione su quello che e' stato il procedimento preliminare seguito per risalire all'identificazione dell'indagato. Invero, il Tribunale del riesame ha, con motivazione immune da censure, sottolineato come le incertezze iniziali circa l'esistenza o meno di un rapporto di parentela tra (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno perso qualsivoglia rilevanza, atteso che dopo l'esame del DNA e' emersa con certezza la presenza di tracce biologiche appartenenti all' (OMISSIS). Deve ritenersi che il primo dato acquisito e, cioe', quello relativo alle tracce biologiche che consentivano di individuare l'utilizzatore della scarpa in un consanguineo di (OMISSIS), erano finalizzate esclusivamente a circoscrivere la cerchia dei soggetti da sottoporre all'esame del DNA. Una volta compiuta tale fase prettamente investigativa, il dato probatorio rilevante ai fini della valutazione dei gravi indizi e' costituito esclusivamente dall'accertamento positivo eseguito con il test del DNA. Per le medesime ragioni e' del tutto irrilevante anche la discrasia tra la misura della scarpa indicata dagli operanti e quella presente nei rilievi eseguiti dal RIS, sia perche' e' presumibile ritenere che si sia trattato di un mero errore materiale, sia perche' la circostanza diviene sostanzialmente irrilevante, a fronte del dato certo e non confutabile emerso dall'esame del DNA. 3. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni - rel. Consigliere Dott. GALANTI Alberto - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello de l'Aquila nel procedimento contro (OMISSIS), nato a (OMISSIS), + 1; avverso la sentenza della Corte di appello de L'Aquila del 31/05/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Galanti; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale D.ssa Marilia Di Nardo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; lette le conclusioni scritte, per la parte civile ammessa al gratuito patrocinio, dell'Avv. (OMISSIS) del foro de L'Aquila, che ha concluso per l'annullamento della sentenza. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 31/05/2022 la Corte di appello de L'Aquila, in riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale de L'Aquila in data 26/03/2019, assolveva, perche' il fatto non sussiste, (OMISSIS), nato a (OMISSIS), e (OMISSIS), nato a (OMISSIS), in ordine al delitto di cui all'articolo 609-octies c.p., asseritamente commesso nei confronti della minore (OMISSIS) (all'epoca (OMISSIS)) in (OMISSIS). Il Giudice per le indagini preliminari aveva, al contrario, condannato i due imputati, in esito a giudizio abbreviato, alla pena di quattro di reclusione. 2. Avverso tale sentenza propongono ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello de L'Aquila e, tramite il difensore di fiducia, la parte civile. 2.1. Il ricorso del Procuratore generale: 2.1.1. con il primo motivo di ricorso, lamenta la sussistenza del vizio di cui all'articolo 606 lettera e), c.p.p. per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione per travisamento della prova costituita dalle indagini tecniche svolte dal R.I.S. dei Carabinieri di (OMISSIS) con le informative 27/07/2017 e 30/11/2017 (articoli 609-octies c.p., 192, 546, 603, 605 c.p.p.). Sostiene il ricorrente P.G. che nel caso in esame ci si trova di fronte ad un clamoroso caso di infedelta' della motivazione rispetto al processo, con conseguente distorsione del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio (v., ex plurimis, Sez. 5, sentenza n. 26455 del 9 giugno 2022 in terna di travisamento della prova). In particolare, lamenta il ricorrente che la Corte di appello avrebbe totalmente travisato il significato scientifico della prova costituita dai risultati dell'indagine genetica svolta dai carabinieri del R.I.S. di Roma, dedicando solo poche righe agli esiti di tale accertamento e liquidandoli mediante l'attribuzione agli stessi di un valore sostanzialmente neutro, posta l'ammissione da parte dei due imputati dell'avvenuto incontro sessuale. Le relazioni citate concludevano nel senso che delle tre tracce biologiche rinvenute sulla maglietta che la persona offesa indossava la sera del fatto, due contenevano un profilo genetico misto attribuibile ai due imputati ed una terza un profilo genetico misto attribuibile ai due imputati ed alla saliva della persona offesa. Con la definizione "profilo genetico misto" si deve intendere "il risultato di una commistione di materiale genetico generato da due o piu' individui che si determina quando tali soggetti partecipano alla formazione di una traccia biologica fisicamente non separabile nei differenti contributi"; in altre parole i materiali genetici, per condurre ad un profilo "misto", debbono essersi mischiati in una situazione di immediatezza o quasi contemporaneita'. Tale Circostanza rende inverosimile la tesi difensiva di rapporti consensuali, avvenuti in tempi diversi e per di piu', per quanto riguarda il (OMISSIS), indossando il profilattico. L'evidenza della prova scientifica appare al contrario compatibile esclusivamente con la versione dei fatti narrata dalla giovane (OMISSIS); 2.1.2. con il secondo motivo di ricorso, lamenta la sussistenza del vizio di cui all'articolo 606 lettera e), c.p.p. per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione per avere omesso di indicare in modo chiaro e analitico le evidenze ritenute decisive senza confutare in maniera puntuale le emergenze istruttorie poste dal primo giudice a fondamento della sentenza di condanna (articoli 609-bis, 609-octies c.p., 192,, 546, 603, 605 c.p.p.). Lamenta il ricorrente che la Corte d'appello non ha proceduto ad un'analisi che non fosse superficiale della consulenza tecnica redatta dalla dottoressa (OMISSIS), della documentazione sanitaria del reparto psichiatrico delll'ospedale "(OMISSIS)" e dei verbali di sommarie informazioni testimoniali resi dai sanitari della clinica psichiatrica (OMISSIS) (da cui era possibile evincere che la persona offesa presentava "gravi e indiscutibili segni rivelatori di abuso sessuale"), dando al contrario decisivo valore probatorio alle scarne considerazioni redatte dalla dottoressa (OMISSIS), incaricata peraltro di valutare la mera capacita' a testimoniare della ragazza e non anche la sua attendibilita'. Contesta inoltre il P.G. l'affermazione secondo cui la giovane ragazza avrebbe patito una condizione interiore di "profondo disagio psicologico" gia' in epoca precedente al fatto, laddove tutta la documentazione sanitaria si riferisce ad un periodo successivo al maggio del 2015. Ha inoltre fatto, l'impugnata sentenza, riferimento ai soli passi delle deposizioni rese dalla Dott.ssa (OMISSIS) e dalla psicologa Dott.ssa (OMISSIS), funzionali alla demolizione dell'attendibilita' della persona offesa, astraendoli dal tenore complessivo delle stesse, da cui emergeva invece lo stato di acuto dolore nel disvelamento della violenza patita; 2.1.3. Con il terzo motivo di ricorso, lamenta la sussistenza del vizio di cui all'articolo 606 lettera e), c.p.p. per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione per avere il giudice di seconde cure svolto una motivazione con macroscopici deficit di adeguatezza, congruita' e logica, omettendo di conformarsi al canone della c.d. "motivazione rafforzata" (articoli 609-bis, 609-octies c.p., 192, 546, 603, 605 c.p.p.). Sostiene in particolare il ricorrente che l'inusuale integrazione probatoria in appello da abbreviato e per reati contro la liberta' sessuale non ha in realta' apportato alcun contributo di novita' rispetto alla messe probatoria analizzata dal giudice di primo grado. Cio' avrebbe reso necessario uno sforzo motivazionale particolarmente intenso da parte della Corte di appello dell'Aquila per ribaltare la valutazione effettuata da detto giudice. Operazione che la Corte di appello svolge in circa sei pagine parcellizzando e banalizzando il quadro probatorio delineato nella sentenza di condanna. In altre parole, si e' proceduto a una vera e propria "desertificazione" del poderoso impianto probatorio, negligendo le pregnanti prove a carpco, quali, ad esempio, le dichiarazioni dei genitori della vittima, anestetizzate per abbassarne la portata probatoria. La Corte di Appello omette totalmente di confrontarsi con dati di fatto oggettivi valorizzati dal giudice di prima cura, quali i capelli bagnati della vittima la sera del fatto, le macchie di sangue sul letto nei giorni successivi, le ecchimosi riscontrate sulle braccia della ragazza per giorni dopo il fatto, i pantaloni strappati e la maglietta conservata per oltre un anno, per concentrarsi sui soli dati che demolirebbero l'attendibilita' del narrato della ragazza (evidenzia infatti la Corte "l'insanabile contrasto tra la sua ricostruzione dei fatti e le altre emergenze processuali"): i tabulati telefonici, le dichiarazioni della (OMISSIS), la (dedotta) mancata conoscenza pregressa tra i due imputati. In Conclusione, La Corte di appello accoglie passivamente la narrazione degli imputati che, a tacere della totale negazione dei fatti nella fase delle indagini preliminari da parte del Belha', in sede di udienza preliminare raccontano la loro versione di contatti sessuali consenzienti con la minore, avvenuti separatamente a distanza di oltre un'ora, in palese contrasto con gli esiti della prova genetica. 2.2. Il ricorso della parte civile: 2.2.1. Con il primo motivo di ricorso, lamenta la sussistenza del vizio di cui all'articolo 606 lettera e), c.p.p. per contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione all'articolo 192 c.p.p., con riferimento alla valutazione di credibilita' della persona offesa; sostiene la ricorrente che la Corte di appello avrebbe desunto l'inattendibilita' della giovane (OMISSIS) sulla base della ritenuta "particolare condizione di fragilita' psichica preesistente e successiva ai fatti", e della "condizione interiore di profondo disagio psicologico gia' all'epoca dei fatti", anziche' considerare tale condizione quale "conseguenza" del patito stupro, come invece emergerebbe dalla complessiva analisi della documentazione clinica in atti; 2.2.2. Con il secondo motivo di ricorso, lamenta la sussistenza del vizio di cui all'articolo 606 lettera e), c.p.p. per contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione all'articolo 192 c.p.p., con riferimento alla valutazione di attendibilita' della persona offesa. Il motivo si articola in realta' in diverse censure. En primo luogo, sostiene la ricorrente che la Corte di appello non avrebbe minimamente impedito, nel corso della disposta nuova audizione della persona offesa, quel processo di "vittimizzazione secondaria" che e' invece vietato dalla Convenzione di Istanbul e dalla successiva legge di ratifica. In secondo luogo, la Corte di appello avrebbe fondato il giudizio di inattendibilita' ritenendo che la minore avrebbe "reso sui fatti oggetto di imputazione versioni progressivamente e sensibilmente diverse", circostanza che la ricorrente smentisce sia con riferimento alla data del fatto, sempre indicate nella giornata di sabato (OMISSIS), sia dinanzi alla D.ssa (OMISSIS), che alle D.sse (OMISSIS) e (OMISSIS), che in sede di incidente probatorio e infine anche dianzi alla Corte di appello, che alle sue circostanze di accadimento; invece, inopinatamente, la Corte di appello afferma che la ragazza aveva inizialmente dichiarato di avere conosciuto i due imputati solo la sera del fatto. Sostiene inoltre 1a ricorrente che la Corte avrebbe fondato il giudizio di sostanziale inattendibilita' della persona offesa anche sulle dichiarazioni della sua ex amica (OMISSIS), che solo dopo una lunga serie di risposte vaghe e dimenticanze ("non so", "non ricordo"), colloca i fatti cui ha direttamente assistito al giorno (OMISSIS) 2015 anziche' il 15, come sostenuto dalla persona offesa e come in precedenza aveva dichiarato. La Corte di appello, in sostanza, effettua una narrazione del fatto totalmente alternativa a quella sempre raccontata dalla persona offesa senza contraddizioni, incorrendo peraltro in stereotipi culturali sedimentati; 2.2.3. Con il terzo motivo di ricorso, lamenta la sussistenza del vizio di cui all'articolo 606 lettera e), c.p.p., per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione per la omessa valutazione in ordine al "consenso" richiesto dall'articolo 609-bis c.p.. La Corte di appello non prende mai in considerazione, in alcun momento della sentenza, l'aspetto della volizione o meno del rapporto da parte della persona offesa, nonostante la sua mancanza sia l'elemento costitutivo cardine del delitto. Trattandosi di ribaltamento totale della sentenza di primo grado, in tal modo la Corte di appello e' venuta meno al suo dovere di motivare in modo rigoroso in ordine alle "difformi ragioni assunte". 2.2.4. Con il quarto motivo lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla revoca delle statuizioni civili. 3. In data 5 aprile 2022 l'Avv. (OMISSIS), del Foro di Parma, difensore di fiducia di (OMISSIS), faceva pervenire dichiarazione di adesione all'astensione proclamata dalla Giunta della Unione delle Camere Penali Italiane con delibera del 27 marzo 2023. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Preliminarmente, la Corte osserva come l'adesione del difensore all'astensione proclamata dall'Unione delle Camere Penali non possa determinare il rinvio dell'udienza, cui il difensore ha diritto nel solo caso in cui abbia formulato richiesta di 1:rattazione orale ai sensi dell'articolo 23, comma 8-bis, del Decreto Legge n. 137/2020 (ai'rg. ex Sez. 4, n. 32462 del 07/07/2022, Shaba), nel caso di specie non formulata. Il ricorso presentato dal P.G. 2. Il primo motivo di ricorso, relativo ad un presunto travisamento della prova/manifesta illogicita' della motivazione in riferimento alla prova genetica, e' fondato. 2.1. La Corte ritiene (v., ex multis, Sez. 2, n. 32113 del 02/07/2021, Dhayba, n. m.) che il travisamento della prova che e' consentito dedurre in cassazione puo' consistere: a) nella contraddittorieta' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame; b) dall'errore cosiddetto "revocatorio", che, cadendo sul "significante" e non sul "significato" della prova, si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano; Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, Grancini; Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, PG c/ Borriello). Per aversi vizio di travisamento della prova "e' necessario, insomma, che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformita' tra il senso intrinseco della dichiarazione (o di altro elemento di prova) e quello tratto dal giudice". Tale vizio, inoltre, e' ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a "disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato" (cosi' anche Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085 - 01, secondo cui il vizio di motivazione rileva nei limiti in cui "possa scardinare la logica del provvedimento, creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali").. 2.2. Cio' premesso, circa la prova genetica, la cui valutazione (e finanche percezione) si asserisce manifestamente travisata, la sentenza di primo grado riferisce che "dagli esami scientifici effettuati dai Carabinieri RIS di Roma emergeva che sulla stessa vi fossero tre tracce biologiche: due tracce di sperma riconducibili senza alcun dubbio ai due indagati, mentre una terza traccia biologica, inizialmente non identificata, era successivamente ricondotta a tracce biologiche appartenenti ai due indagati ed alla persona offesa. Tale elemento probatorio risulta essere di particolare rilevanza in quanto, in maniera oggettiva e scientifica e' idoneo ad accertare che i due imputati ebbero rapporti sessuali con la minore (OMISSIS) ed e' idoneo ad evidenziare la contraddittorieta' delle loro dichiarazioni rese. In parl:icolar modo quelle del Semir, il quale in sede di primo interrogatorio negava di conoscere e di avere avuto rapporti di alcun genere con la (OMISSIS)". A pagina 38 della sentenza impugnata si legge invece che "la maglietta e' stata sottoposta ad analisi da parte del RIS di Roma il cui esito ha riscontrato la presenza di due tracce di sperma riconducibile al (OMISSIS) ed al (OMISSIS) e di una terza tracciai biologica appartenente a questi ultimi ed alla (OMISSIS)". Tuttavia, a pagina 44 del provvedimento impugnato la Corte territoriale, riferendosi a tale prova, afferma che "la sua indubbia valenza e' stata neutralizzata dalle sia pur tardive ammissioni degli imputati sul rapporto sessuale separatamente consumato quella sera con la (OMISSIS) e le dichiarazioni rese da (OMISSIS) sulle condizioni della figlia apprezzate la sera del (OMISSIS)". Appare evidente come la Corte di appello abbia ritenuto che rapporti sessuali occorsi in momenti successivi (a circa un'ora di distanza uno dall'altro, secondo la ricostruzione alternativa offerta dagli imputati e ritenuta attendibile dai giudici di appello) siano compatibili con la presenza di "materiale genetico misto", conclusione ritenuta totalmente illogica dal ricorrente, secondo cui un profilo genetico "misto" si puo' realizzare solo laddove le fonti che lo hanno prodotto siano contemporanee o quasi, altrimenti dovrebbero rinvenirsi campioni genetici separati. La censura proposta dal ricorrente P.G. appare confermata dalla relazione del R.I.S. di Roma, debitamente allegata sub 2) al ricorso, dove, alla pag. 4.91, dedicata all'esito della tipizzazione genetica, si chiarisce che in punto di "attribuzione" dei profili genetici: - per "profilo genetico maschile" si intende il profilo genetico attribuibile ad un soggetto di sesso maschile; - per "profilo genetico femminile" si intende il profilo genetico attribuibile ad un soggetto di sesso femminile; - per "profilo genetico misto" si intende "il risultato di una commistione di materiale genetico generato da due o piu' individui che si determina quando tali soggetti partecipano alla formazione di una traccia biologica fisicamente non separabile nei differenti contributi. Il risultato e' la presenza di un numero di alleli superiore a due in molti loci STRs del profilo genetico". La relazione relativa alla profilazione genetica sembra quindi evidenziare, nonostante il lessico tecnico e non di agevole comprensione, come il rilascio delle impronte genetiche da parte dai tre contribuenti sia avvenuto in modo simultaneo giacche', altrimenti, si sarebbero dovuti rinvenire tre profili genetici distinti: due di sesso maschile e uno di sesso femminile. Ritiene la Corte che la sentenza impugnata sia incorsa nel vizio dedotto, essendo emersa una evidente contraddizione tra il significato della prova e la percezione che di essa ha tratto la Corte distrettuale, che, sul punto, e' silente. La censura dedotta dal ricorrente, inoltre, risulta incompatibile con la versione fornita dai due imputati e valorizzata dalla Corte di appello per "sterilizzare" la portata probatoria della prova genetica (sia per quanto concerne l'asserita non contestualita' dei rapporti sessuali, sia per quanto concerne la circostanza che il (OMISSIS), come da lui riferito e indicato nel ricorso, indossasse un profilattico), risultando cosi' in grado di scardinare hl percorso argomentativo della sentenza. La sentenza va quindi annullata con rinvio per nuova valutazione circa la compatibilita' della presenza di profili genetici "misti" sull'indumento indossato dalla vittima al momento della lamentata violenza con la ricostruzione del fatto operata dalla sentenza annullata. 3. Il secondo e il terzo motivo di ricorso del Procuratore generale e i primi due motivi di ricorso della parte civile (ad eccezione del profilo relativo alla violazione della Convenzione di Istanbul, che sara' trattato separatamente) possono essere trattati congiuntamente in quanto articolati su un percorso argomentativd sostanzialmente sovrapponibile, poiche' tutti i motivi censurano il percorso logico seguito dalla Corte di appello: i primi concernono infatti l'asserita violazione dell'obbligo di "motivazione rafforzata" in caso di ribaltamento della sentenza di primo grado, mentre gli altri due lamentano la violazione delle regole di valutazione della prova in riferimento alla attendibilita' della persona offesa. 3.1. In linea generale, la Corte osserva come il compito del giudizio di legittimita' non e' stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la "migliore possibile" ricostruzione dei fatti, ma limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita' di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745). Ancora, il vizio di motivazione in tanto sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando si opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621; Sez, 3, n. 46475 del 13/07/2017, Zeppola, non massimata sul punto). Ancora, il lamentato vizio logico deve essere altresi' "decisivo", ovverosia idoneo ad incidere sul compendio indiziario cosi' da incrinarne la capacita' dimostrativa, non potendo il sindacato di legittimita', riservato a questa Corte, dilatarsi nella indiscriminata rivalutazione dell'intero materiale probatorio che si risolverebbe in un nuovo giudizio di merito. Il vizio in esame, essendo la contraddittorieta' logica intrinseca al testo stesso del provvedimento impugnato, comporta pertanto un esame in sede di legittimita' limitato al controllo se la motivazione dei giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito (Cass. Sez. U. n. 6402 del 30.4.1997, Dessimone, Rv 207944, Cass. Sez. 2" n. 30918 del 07/05/2015, Falbo, Rv. 264441, Cass., sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507, Cass., Sez.4" n. 4842 del 2.12.2003, Elia, Rv 229369,). 3.2. Se tale e' il principio generale (la cui applicazione comporterebbe l'inammissibilita' dei motivi di ricorso relativi alla valutazione di attendibilita' della persona offesa), la giurisprudenza della Corte ha tuttavia previsto regole piu' stringenti per il caso di overturning tra la sentenza di primo grado e quella di appello, imponendo sui giudici un obbligo di "motivazione rafforzata". In proposito, gia' Sez. 3, n. 15756 del 3 aprile 2003, Contrada, ebbe a stabilire il principio secondo cui "la decisione del giudice di appello, che comporti totale riforma della sentenza di primo grado, impone la dimostrazione dell'incompletezza o della non correttezza ovvero dell'incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente dimostrazione che, sovrapponendosi "in toto" a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (...)", confermata dalle Sez. Un., n. 33748 del 29 settembre 2005, Mannino: "il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato". Sez. 6 n. 14586 del 2/02/2021, Pozza, n. m., ha stabilito che "il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado... (omissis)... e' tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430). E' quello che, nel comune lessico giudiziario, suole essere indicato come dovere di "motivazione rafforzata" e che consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonche' in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore rispetto a quella riformata (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056)". Secondo la Corte, la sentenza che procede a ribaltare la condanna non puo' limitarsi ad offrire una diversa lettura complessiva del materiale istruttorio, senza una specifica indicazione delle evidenze ritenute decisive, dovendo anzi confutare le emergenze istruttorie poste dal primo giudice a fondamento invece dell'opposto assunto condannatorio. Pertanto, in caso di ribaltamento della pronuncia di prime cure, oltre al normale percorso logico che deve caratterizzare il tessuto motivazionale di tutte le sentenze, i giudici sono tenuti ad un quid pluris, che dia conto in modo chiaro e analitico delle ragioni per cui ritiene di distaccarsi dalle conclusioni cui e' pervenuto il giudice del grado precedente. Tale operazione ermeneutica presuppone, pertanto, da un lato il costante confronto con la decisione di segno opposto, e dall'altro il "corretto" (e non piu' "non manifestamente illogico") utilizzo degli strumenti di valutazione della prova, soprattutto quella indiziaria (invero assai frequente nei delitti contro la liberta' sessuali solitamente caratterizzati dalla solitudine, durante il fatto, tra la vittima e l'autore del fatto). 3.3. A tale ultimo proposito la Corte sottolinea come la "prova logica" richieda la valutazione da parte del giudice di una serie di elementi di fatto, che sara' il frutto di una sintesi, quanto meno possibile "intuitiva", degli indici stessi, in esito a un processo di tipo induttivo. Come noto, la scienza epistemologica considera, quali metodi di verifica dell'attendibilita' di una scienza, due fondamentali sistemi: - il "metodo deduttivo", che parte dalla sussistenza assiomatica cli una legge generale che applica al caso particolare; tale metodo, ovviamente, appare piu' adatto ad un sistema processuale basato sulla sussistenza delle c.d. "prove legali" (quali l'ordalia del diritto germanico o, per restare al diritto processuale civile contemporaneo, al giuramento decisorio) che ad uno che si basa sul libero convincimento del giudice; - il "metodo induttivo", che si sostanzia nell'osservazione della realta' fenomenica da cui astrarre enunciati generali sulla regolarita' dei fenomeni, che verranno denominati come leggi. Tale sistema e' stato negli anni temperato attraverso la formulazione del c.d. "principio ipotetico", che si impernia sulla possibile erroneita' delle leggi derivate dall'osservazione del reale, in ipotesi fallace o incompleta, sottolineando la necessita' di continua verifica, sul campo e in concreto, della fondatezza delle leggi regolari ricavate, che non possono assumere valore "universale", ma solo "generale" (l'ipotesi di scuola e' quella dell'osservazione di migliaia di cigni bianchi da cui si ricava la legge secondo cui tutti i cigni sono bianchi, che sara' considerata valida finche' non si osservera' un "cigno nero"). 3.4. Trasportando dall'epistemologia alla pratica giurisprudenziale le categorie logiche summenzionate, e' evidente che il metodo ipotetico/induttivo come metodo di ricerca e valutazione della prova logica (rectius: di osservazione della messe probatoria al fine di ricavarne una costante regolare con valore di prova) si traduce in un sistema di inferenza probabilistica della verita' processuale, in modo del tutto analogo a quanto avviene nei processi per delitti colposi commissivi (ad esempio in tema di "colpa medica"), in cui la catena delle inferenze sul particolare permette di formulare un generale plausibile. Non e' quindi attraverso lo schema logico della deduzione che si raggiunge la prova logica, bensi' attraverso quello della induzione/deduzione: analizzare la pluralita' dei fatti concreti per ricavarne una regola generale - soggetta al vaglio costante dell'esperienza - da applicare (stavolta con metodo deduttivo) al caso particolare. Tale processo logico e' sintetizzato dall'articolo 192, comma 2, c.p.p., laddove si stabilisce che "l'esistenza di un fatto non puo' essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti". Nella valutazione degli indizi il giudice potra' far ricorso in chiave ausiliaria a "fatti notori" e "massime di comune esperienza" (Sez. 5, n. 602, del 14/11/2013, dep. 2014, Ungureanu, Rv. 258677 - 01), che si differenziano dalla mera congettura perche' la valutazione e' formulata sulla scorta dell'id quod plerumque accidit come risultato di una verifica empirica dell'elemento preso in considerazione (Sez. VI, 07/07/2009, n. 27862, in proc. De Noia, Rv. 244439 - 01). Inoltre, il metodo induttivo richiede la lettura dapprima unitaria di ogni singolo elemento di prova, e quindi e quindi una valutazione complessiva dell'intero compendio probatorio "in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in lince i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo" (Sez. 2, 19/09/2013, n. 42482, Kuzmanovic, Rv. 256967 01). L'ultima sentenza citata precisava che "il procedimento logico di valutazione degli indizi si articola in due distinti momenti. Il primo e' diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravita' e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente che tale livello e' direttamente proporzionale alla forza di necessita' logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed e' inversamente proporzionale alla molteplicita' di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza. Il secondo momento del giudizio indiziario e' costituito dall'esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguita', posto che "nella valutazione complessiva ciiascun indizio (notoriamente) si somma e, di piu', si integra con gli altri, talche' il limite della valenza di ognuno risulta superato sicche' l'incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, e l'insieme puo' assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale puo' affermarsi conseguita la prova logica del fatto... che - giova ricordare - non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica) quando sia conseguita con la rigorosita' metolodogica che giustifica e sostanzia il principio del c.d. libero convincimento del giudice (Sez. U., n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191231). Le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state recentemente ribadite dalle Sezioni Unite che hanno evidenziato che il metodo di lettura unitaria e complessiva dell'intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non puo', percio', prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Cass. Sez. Un. 12/07/2005, n. 33748, Mannino, Rv. 231678)". In sostanza, la valutazione della prova indiziaria e' "bifasica", essendo in prima battuta il giudice tenuto a verificare il livello di "gravita' e precisione" di ciascun indizio, isolatamente considerato e, in seconda battuta, ad esaminare unitariamente tutte le circostanze emerse per valutarne la "concordanza". Sez. 2, n. 18149 dell'11/11/2015, Korkaj, Rv. 266882, ha poi precisato che "ciascun indizio deve corrispondere a un fatto certo, e cioe' realmente esistente e non soltanto verosimile o supposto (Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Rv. 258321), munito di una valenza dimostrativa di regola solo possibilistica, dalla cui lettura, coordinata sinergicamente con quella degli altri elementi indiziari ricavati da fatti altrettanto certi nella loro esistenza storica, deve essere possibile pervenire, attraverso un ragionamento di tipo induttivo basato su regole di esperienza consolidate ed affidabili che consenta di superare l'ambiguita' residua dei singoli indizi attraverso il loro apprezzamento unitario, alla dimostrazione del fatto ignoto oggetto di prova, secondo lo schema del c.d. "sillogismo giudiziario"". 3.5. E cosi', applicando il metodo anzidetto al caso in esame, i dati oggettivi scaturenti dalla messe probatoria, andavano confrontati, singolarmente e poi unitariamente, con quegli indici rivelatori che presentano una "regolarita'" di presenza nella realta' fenomenica e possano secondo un giudizio probabilistico costituire rappresentazione di una "regola", sempre suscettibile di essere superata qualora risultasse fallace (ossia quando dovesse comparire un "cigno nero"). Nel caso dei delitti a base sessuale, gli elementi piu' frequentemente ricorrenti e tali da assurgere a regole di comune esperienza (ovviamente a titolo esemplificativo e non esaustivo) sono costituiti dalla presenza di tracce genetiche o liquido seminale sulla persona o sugli indumenti della vittima; di lesioni od ecchimosi nelle zone attinte da violenza o comunque sul corpo della vittima; di sanguinamento dalla zona anale o genitale, soprattutto in caso di deflorazione; dalla presenza di malattie trasmissibili per via sessuale; dalla lacerazioni negli indumenti; da cambiamenti nel comportamento o nell'umore della vittima. 3.6. Chiaramente, tra gli elementi di prova piu' importanti vi e' il narrato della persona offesa, la cui valutazione di attendibilita' e' estremamente delicata, essendo intrinsecamente influenzabile, nei reati di questo tipo, da numerosi fattori quali (ancora a titolo esemplificativo) l'eta', lo stress post-traumatico, la vergogna, un naturale tendenza a ricordare i fatti in modo che cagionino meno sofferenza, la eventuale presenza di patologie della psiche o del comportamento, la presenza di cause di risentimento verso l'asserito agente, eventuali influenze esterne. La giurisprudenza della Corte in proposito ha, nel corso degli anni, indicato una precisa scansione logica nel processo valutativo delle dichiarazioni della p.o. (v. da ultimo, Sez. 1, n. 13016 del 06/03/2020, Fakhri, n. m.), dovendo il giudice: - in primo luogo, procedere all'analisi della "capacita' a testimoniare", da intendersi come l'abilita' soggettiva a recepire le informazioni, ricordarle, raccordarle e riferirle in modo coerente e compiuto, che e' presunta fino a prova del contrario (Sez. 3, n. 43898 del 3/10/2012, L.T.U., n. m.), salvo che ricorrano specifiche situazioni che possano porla in dubbio (dall'eta' del dichiarante, alle sue particolari condizioni psichiche); - in secondo luogo, procedere alla disamina della "credibilita'" soggettiva, onde verificare che il narrato non sia inquinato da situazioni, attinenti alla sfera personale del dichiarante, in grado di alterarne, finanche in maniera inconsapevole, la genuinita'; come e' noto, le persone vulnerabili, soprattutto se in tenera eta', possono divenire malleabili in presenza di suggestioni esterne, arrivando a conformarsi alle aspettative dell'interlocutore quando interrogati. A tal proposito, di particolare rilievo appare l'analisi del c.d. "disvelamento" (v. successivo par. 3.10); - quindi, procedere al vaglio della attendibilita' "intrinseca" (intesa come capacita' del racconto di offrire una rappresentazione coerente e logicamente congrua degli eventi evocati); in proposito la Corte rinvia al par. 3.10 in riferimento al fenomeno della c.d. "progressione dichiarativa"; - ed infine, ove presenti, ai riscontri oggettivi al fine di valutare l'attendibilita' "estrinseca" del dichiarato; in proposito, la Corte rammenta che (Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell'Arte, Rv. 253214), le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessita' di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilita' penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto, le quali, specie nei casi in cui la persona offesa sia anche costituita quale parte civile, devono essere valutate in maniera piu' penetrante e rigorosa rispetto al vaglio cui vengono sottoposte le dichiarazioni 5 Corte di Cassazione - copia non ufficiale di qualsiasi testimone (conf.: Sez. 5, n. 21135 del 26/3/2019, S., Rv. 275312; Sez. 2, n. 43278 del 24/9/2015, Manzini, Rv. 265104; Sez. 5, n. 1666 del 8/7/2014, dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730). 3.7. Il corretto percorso logico consiste, quindi: - nel valutare il dichiarato della persona offesa nei termini di cui al paragrafo che precede; - nell'incrociare tali risultanze con gli ulteriori elementi di prova o gli indizi forniti dalla prova testimoniale o materiale, in una sorta di ideale "prova di resistenza"; non puo' infatti dimenticarsi che gli stessi elementi esterni che fungono da riscontro estrinseco del dichiarato costituiscono essi stessi "indizi", da valutare ai sensi dell'articolo 192, comma 2, c.p.p. nei termini detti al par. 3.3; - nel caso di overturning in appello, nell'interpolare i propri risultati con quelli della sentenza di primo grado, dando atto analiticamente dei motivi per cui si intende ribaltare l'esito del processo. 3.8. Nei paragrafi che precedono si e' impostata una sorta di "roacimap" che dovra' fungere da guida nella revisione del percorso logico seguito nella sentenza impugnata. Scendendo in concreto, il punto di partenza non puo' che essere costituito dalla sentenza pronunciata in rito abbreviato. La pronuncia del Giudice per le indagini preliminari riassume cosi' il momento saliente dei fatti: "la (OMISSIS) riferiva dettagliatamente le modalita' con cui i due perpetravano la violenza: le strappavano i pantaloni, la costringevano ad avere prima un rapporto sessuale con penetrazione e successivamente orale e si alternavano nel bloccarla e nel penetrarla. Inoltre, aggiunge che, essendo prima di allora vergine e considerata la particolare violenza e aggressivita' manifestata dai due imputati, aveva del sangue che colava dalla vagina ed in particolare riportava dolori ed ecchimosi lungo le braccia, lo stomaco ed il seno. Subito dopo la violenza, i due si allontanavano. La (OMISSIS) riferiva di essere rimasta qualche minuto in uno stato confusionale. In seguito contattava la madre necessitando di un passaggio per potere tornare a casa... Nel dettaglio e' da considerare come elemento utile alla ricostruzione dei fatti anche la narrazione della madre, dalla quale si inferiva come la (OMISSIS) avesse subito un evento traumatico, tenendo un comportamento inusuale e sospettoso; infatti all'arrivo della madre, la (OMISSIS) saliva immediatamente nei sedili posteriori dell'autovettura pur essendo libero il sedile di fianco al guidatore, presentava capelli bagnati, jeans strappati che la stessa cercava di coprire ponendo la felpa sulle gambe; soprattutto la madre riferisce che i giorni successivi alla violenza la stessa minore, come anche riportato sopra, ebbe comportamenti ambigui, di cui all'inizio non diede alcuna importanza, ma che alla luce di quanto raccontato successivamente dalla stessa minore erano sintomatici della violenza subita. Nello specifico rilevava delle ecchimosi lungo il corpo della figlia e trovava delle abbondanti macchie dli sangue sulle lenzuola del letto; la madre in merito chiedeva alla stessa come si fosse procurate tale ecchimosi e perche' ci fosse tutto quel sangue sul letto. In quella occasione la (OMISSIS) riferiva di esseri fatta male in palestra ed il sangue fosse dovuto ad un abbondante ciclo mestruale". La ricostruzione veniva operata sulla base della ritenuta attendibilita' intrinseca ed estrinseca della persona offesa. Quanto al primo aspetto, il Giudice di primo grado affermava che "per quanto concerne l'accertamento della violenza sessuale e l'attendibilita' delle dichiarazioni della minore p.o. risulta rilevante la consulenza medica psichiatrica effettuata dalla Dott.ssa (OMISSIS), incaricata dalla procura sullo specifico quesito posto: "Accerti il consulente tecnico applicando le migliore metodologie e le linee guida e previa somministrazione dei test psicologici ritenuti piu' opportuni, anche mediante audizione della minore se vi siano segni rivelatori di abuso sessuale su (OMISSIS), nata a (OMISSIS) il (OMISSIS) specificandone importanza e univocita'", affermava che " (OMISSIS) presentava gravi e indiscutibili rilevatori di abuso sessuale"". Quanto alla attendibilita' estrinseca, gli elementi oggettivi valorizzati dal giudice di primo grado ai fini della positiva valutazione, e da valutare anche individualmente quali indizi, erano costituiti da: 1) una maglietta con tre tracce genetiche riconducibili a "profili genetici misti", due riconducibili a entrambi gli imputati e una a tutti e tre i protagonisti; 2) la circostanza che detta maglietta fosse stata custodita per oltre un anno dalla persona offesa, senza che fosse lavata; 3) la presenza di abbondanti macchie di sangue nel letto della ragazza nei giorni successivi al fatto (circostanza narrata dalla madre della ragazza), elemento che potrebbe confermare che la ragazza all'epoca fosse vergine; 3) la presenza di ecchimosi sul corpo della ragazza nei giorni successivi al fatto; 4) la presenza di strappi sui pantaloni indossati dalla ragazza, che la stessa cercava di nascondere alla madre durante il ritorno a casa coprendoli con la felpa; 5) il fatto che, contrariamente agli accordi presi con la madre, la persona offesa non sia tornata a casa utilizzando il bus navetta, ma abbia chiesto di essere presa con la macchina; 6) il fatto che la ragazza, quando venne riaccompagnata a casa dalla madre la sera del fatto, si fosse seduta, insolitamente, sui sedili di dietro, ed avesse i capelli completamente bagnati nonostante non piovesse (elemento da riferire all'avvenuta violenza dentro una pozzanghera); 7) l'esistenza di un rapporto sessuale con entrambi gli imputati, negato inizialmente dal (OMISSIS) (che anzi proponeva querela per calunnia nei confronti della persona offesa); 8) il fatto che la ragazza avesse bevuto molto, elemento indotto dal (OMISSIS) in una intercettazione telefonica con il padre ("lei era ubriaca... e' una ragazza di quindici anni"), circostanza confermata anche dalla (OMISSIS) (la sentenza di primo grado precisa a pagina 5 che "la (OMISSIS) avesse bevuto diverse bevande alcoliche tale da procurargli uno stato confusionale, o cosi' come dichiarato dall'amica (OMISSIS), le due erano "brille""); 9) le risultanze dei tabulati telefonici; 10) il comportamento post-factum della persona offesa, sorpresa dalla madre (v. relazione della D.ssa (OMISSIS), allegata al ricorso del P.G.) in atteggiamenti inediti e insoliti, come fare la doccia vestita, che e' arrivata a tentare piu' volte il suicidio nei mesi successivi al fatto; 11) il comportamento processuale degli imputati, che riferiscono dell'avvenuto rapporto sessuale solo dopo che le intercettazioni telefoniche e i risultati del test del DNA non potevano avvalorare ipotesi alternative. Quanto all'ultimo aspetto, il giudice di prima cura afferma che "lo stesso (OMISSIS) piu' volte cambiava versione circa i suoi rapporti di conoscenza e di intimita' cori la minore; difatti, come sopra descritto, inizialmente lui dichiarava di non conoscere affatto la minore. Invero dalle intercettazioni telefoniche emergeva l'opposto; ossia che i due ebbero in rapporto sessuale. Per converso, il (OMISSIS) e la sua difesa sostenevano che lo stesso avesse avuto un rapporto sessuale completo e consenziente con la minore il giorno di sabato (OMISSIS). Anche questa versione e' inattendibile, in quanto risulta del tutto ingiustificato ed illogico che lui in sede di primo interrogatorio si avvaleva della facolta' di non rispondere e considerata la sua attuale versione dei fatti avrebbe potuto sin dall'inizio dichiarare quanto sopra. Infine, la versione difensiva di entrambi, consistita nell'ammettere che i due ebbero rapporti sessuali con la minore ma in segmenti temporali diversi e singolarmente, non puo' essere considerata attendibile poiche' e' inverosimile che la minore nel breve tempo intercorso tra quando lasciava le amiche circa alle ore 20/20.30 e quando chiamava la madre circa alle ore 23.00 abbia potuto avere due rapporti sessuali distinti, prima con l'uno e poi con l'altro, considerando anche la giovane eta' e che la stessa fosse ancora vergine. Tale elemento e' fondamentale, infatti la stessa minore prima della violenza subita non aveva mai avuto rapporti sessuali completi, essendo ancora vergine. Questo rafforzerebbe l'inattendibilita' della versione secondo cui ebbe due rapporti sessuali distinti nel breve lasso temporale in considerazione, considerando anche le circostanze di luogo e tempo descritto". Con questi dati la Corte si sarebbe dovuta confrontare, al fine di ottemperare all'obbligo di motivazione rafforzata. 3.9. La sentenza, sul punto, nella parte dedicata alla "valutazione" (pagg. 39-45) esordisce riportando gli elementi salienti da cui il giudice del giudizio abbreviato ha ritratto la colpevolezza degli indagati: "il giudice di primo grado ha essenzialmente valorizzato: -le dichiarazioni della persona offesa e la consulenza tecnica della d.ssa (OMISSIS), nella parte in cui ha attribuito credibilita' indubbia alle dichiarazioni della minore; -le risultanze delle analisi del R.I.S sulle tracce di sperma dei due imputati lasciate sulla maglietta indossata quella sera dalla (OMISSIS); - le dichiarazioni rese da (OMISSIS) e da (OMISSIS); il contenuto della chat intercorsa tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS) ed il contenuto delle intercettazioni relative alle telefonate intercorse tra il (OMISSIS) e (OMISSIS) e tra il (OMISSIS) ed il padre; - il comportamento processuale degli imputati", cosi' dando formalmente conto di avere valutato tutti gli elementi posti dal giudice di primo grado a fondamento della condanna. Analizza quindi, in successione, alcuni degli aspetti anzidetti, partendo (correttamente) dalla attendibilita' della persona offesa, operazione secondo la corte di appello "estremamente complessa", non tanto e non solo per la minore eta' della persona offesa, quanto per la "particolare condizione di fragilita' psichica preesistente e successiva ai fatti", che la Corte di appello ritrae dalla anamnesi risultante dalla documentazione dell'ospedale (OMISSIS) del giugno 2016 (in cui peraltro si da' atto che le "bouffe' bulimiche" erano aumentate nell'"ultimo periodo" e che la ragazza aveva posto in essere due tentativi di suicidio ad ottobre 2015, ossia pochi mesi dopo i fatti, e poi, di nuovo, nel 2016), tanto da definirla come ragazza che "viveva una condizione interiore di profondo disagio psicologico, gia' all'epoca dei fatti". Nella sua valutazione sull'attendibilita' intrinseca della ragazza la Corte esclude qualsiasi valore probatorio alla relazione della D.ssa (OMISSIS) (sottolineando apoditticamente, a pag. 11, che "la dottoressa (OMISSIS) si era trovata al cospetto di una persona affetta da disturbi mentali preesistenti ai fatti in contestazione"), a tutto vantaggio della relazione della D.ssa (OMISSIS), nominata per assistere la ragazza nel corso della sua deposizione (che si esprime in termini molto dubitativi sulla credibilita' della minore), per concludere nel senso che "l'analisi del compendio dichiarativo rivela chiaramente come la (OMISSIS) abbia reso sui fatti oggetto di imputazione, versioni progressivamente e sensibilmente diverse, non solo con riferimento alla identita' dei due violentatori, inizialmente indicati come "due sconosciuti", e poi individuati negli odierni imputati, ma anche in ordine alla complessiva dinamica dell'episodio", cosi' pervenendo ad una valutazione di complessiva inattendibilita' della narrazione. 3.10. Partendo dalla valutazione di intrinseca attendibilita' della minore (oggetto del secondo motivo di censura della parte civile), evidenza la Corte come non possa tacciarsi di manifesta illogicita' la decisione della Corte territoriale di attribuire maggior peso alle valutazioni effettuate dalla D.ssa (OMISSIS) rispetto a quelle della D.ssa (OMISSIS), trattandosi di valutazione di fatto non suscettibile di sindacato di legittimita'. Al contrario, la Corte di appello non ha fatto buon governo della regola di giudizio relativa alla c.d. "progressione dichiarativa", fenomeno caratteristico delle dichiarazioni delle vittime di reati sessuali, ritenendo apoditticamente che proprio tale progressione costituisca indice di una loro inattendibilita', e cio' (anche e soprattutto) alla luce di una parziale e distorta lettura della documentazione sanitaria. Come rilevato in dottrina, le dichiarazioni accusatorie raramente si presentano come immediatamente esaustive ed omogenee, in quanto le giovani vittime non riescono a concedere immediatamente ed in un'unica soluzione l'intera rappresentazione dei fatti per cui si procede, anche in considerazione del fatto che si trovano a doversi confrontare con gli effetti del trauma primario denunciato e con gli esiti del trauma secondario scaturente dal processo. Lo svelamento e' infatti (quasi sempre) progressivo e le dichiarazioni rese dal minore nelle varie audizioni non sono (quasi mai) perfettamente sovrapponibili, ragion per cui l'attendibilita' complessiva del dichiarato si ricava dalla analisi congiunta, giudiziale e tecnico-psicologica, della progressione dichiarativa. Sul tema, la Corte ha evidenziato (Sez. 3, n. 6710 del 18/12/2020, Pratola, Rv. 281005 02) che "le dichiarazioni accusatorie della vittima di un trauma spesso non si esauriscono in un'unica soluzione, ma si sviluppano attraverso un complesso percorso di disvelamento che, dalla prima dichiarazione di denuncia, prosegue attraverso le dichiarazioni rese nelle altre fasi processuali. Le dichiarazioni accusatorie provenienti da vittime traumatizzate difficilmente sono infatti immediatamente esaustive. Esse emergono a seguito di faticosi itinerari di rivisitazione e Superamento del trauma patito. In genere, tali dichiarazioni sono emesse nella inconsapevolezza degli effetti processuali che producono. Appaiono dunque frammentarie, simboliche, non veritiere (per timore, vergogna, soggezione, induzione). E' raro che la vittima conceda immediatamente ed in un'unica soluzione la intera rappresentazione dei fatti per cui si procede, dato che essa dovra' confrontarsi con gli effetti del trauma primario denunciato e con gli esiti del trauma (secondario) scaturente dal processo, di regola condizionate dall'affidamento (o dal rifiuto) che la vittima maturera' nei confronti dell'autorita' procedente durante un percorso giudiziario che si intreccera' e confondera' con quello psicologico di rielaborazione e superamento del trauma da reato. La progressione in questione si articola spesso attraverso dichiarazioni non sovrapponibili, che valutate con alcuni parametri di giudizio spesso utilizzati nella prassi relativa alla valutazione della attendibilita' (cui si e' richiamata la difesa del ricorrente), potrebbero anche condurre ad una valutazione giudiziale negativa. In realta', il tratto specifico del dato dichiarativo proveniente dall'offeso traumatizzato e' proprio la dichiarazione per stadi successivi, che ripercorre e visualizza anche il percorso interiore di affidamento (o piuttosto di rifiuto) della vittima alla giurisdizione. La progressione dichiarativa della vittima di un trauma da reato deve pertanto essere valutata nel suo complesso, ed il giudizio sull'attendibilita' del dichiarato e' una valutazione d'insieme che comprende tutti gli stadi di tale percorso". Ancora, si e' ritenuto che "e' affetta dal vizio di manifesta illogicita' la motivazione della sentenza nella quale la valutazione sull'attendibilita' e credibilita' delle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali venga condotta esclusivamente riferendosi all'intrinseca coerenza del racconto, senza tenere adeguatamente conto di tutte le circostanze concrete che possono influire su tale valutazione" (Sez. III, n. 39405/2013)". Applicando tali principi al caso di specie, la Corte evidenzia come, da un lato, il "disvelamento", sia pure lontano dall'epoca dei fatti, e' avvenuto all'interno di una struttura sanitaria (la clinica San Siebhental di Genzano), allorche' la persona offesa si trovava ricoverata per effetto di disturbi del comportamento tali da rendere necessario nei giorni successivi il ricovero d'urgenza presso l'ospedale (OMISSIS) di (OMISSIS), e sotto il verosimile effetto di farmaci (v. pag. 7 della relazione della D.ssa (OMISSIS), dove si menziona la terapia psicofarmacologia) in grado di annebbiare il ricordo, gia' di per se' difficile da far emergere, dell'abuso ivi denunciato. Inoltre, a pag. 1 della motivazione della sentenza di primo grado, nel ricostruire la genesi del disvelamento, il GUP sottolinea come la ragazza, in un primo momento, non ricordasse il nome dei due aggressori e che solo in un secondo tempo, grazie ad un messaggio inviatole dal (OMISSIS), ella ebbe a riconoscere lo stesso come uno dei due autori del fatto, tanto da indurre la madre a sostituirsi a lei e "chattare" con lo stesso. Il (OMISSIS) veniva poi successivamente identificato grazie ai tabulati telefonici. A pagina 42 della sentenza di appello, si legge invece come la Loco avrebbe reso versioni "sostanzialmente e sensibilmente diverse" non solo con riferimento alla identita' dei due violentatori, inizialmente indicati come due sconosciuti e poi individuati negli odierni imputati, ma anche in ordine alla complessiva dinamica dell'episodio. Tale affermazione si pone in aperto contrasto con la pronuncia di primo grado, con cui i giudici di seconda cura non si confrontano affatto. Va aggiunto che la sentenza di appello non chiarisce se non in modo confuso se lo stato di profondo disagio psichico in cui la 1..21g, avrebbe versato gia' prima del fatto abbia influenzato negativamente la sua capacita' di testimoniare, la sua credibilita' o solo la sua attendibilita' intrinseca. 3.11. Sul versante dell'attendibilita' estrinseca, la sentenza impugnata conclude nel senso dell'"insanabile contrasto" tra la ricostruzione dei fatti da parte della persona offesa e "le altre emergenze processuali", costituite dalle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) (pag. 42), dai tabulati telefonici (pag. 43, da cui emerge un contatto con il Belhai verso le 23 e due precedenti contatti con la (OMISSIS) attorno alle 21,45), e dalla circostanza che i due imputati si conoscessero (pag. 43, ritratta dalle loro dichiarazioni e da una telefonata, peraltro interpretata in modo opposto dal giudice di prima cura, che non e' compito di questa Corte valutare nel suo esatto significato semantico). Non si confronta, tuttavia, con i numerosi elementi fattuali ed oggettivi evidenziati dal giudice di prime cure, evidenziati al par. 3.8, i quali andavano considerati sia come elementi di riscontro che quali indizi da valutare ai sensi dell'articolo 192, comma 2, c.p.p.. 3.11. Omette, inoltre, la Corte di appello (che pure dedica ben 21 pagine all'illustrazione dei motivi di appello), di compiere qualsiasi valutazione sulla credibilita' della versione alternativa fornita dai due imputati (salvo affermare, a pag. 44" che il fatto che non si siano mai sentiti telefonicamente dopo il fatto costituirebbe elemento in grado di dimostrare che il fatto non e' successo), anche in relazione al loro comportamento processuale, elemento su cui pure si era speso il primo giudice, il quale ha sostanzialmente ritenuto che, a fronte di una serie di dati oggettivi che confermavano la tesi della persona offesa, il silenzio del (OMISSIS) e l'asserito mendacio del (OMISSIS) avrebbero di fatto costituito un riscontro dell'ipotesi accusatoria. In proposito va evidenziato che, se da un lato non e' consentito al giudice utilizzare come decisivo elemento di prova a carico dell'imputato il legittimo esercizio di facolta' correlate al diritto di difesa, quali il silenzio (soprattutto, per quanto riguarda l'iniziale silenzio del (OMISSIS), in una fase caratterizzata da mancata discovery) e il mendacio, dall'altro e' ben possibile trarre dal contegno processuale indicazioni sul versante probatorio. Accorta dottrina ha evidenziato come la differenza fra silenzio e mendacio non e' "quantitativa", nel senso che il piu' (silenzio) contenga il meno (mendacio), ma "qualitativa". Il silenzio, infatti, implica il rifiuto, anche solo parziale, del dialogo e della collaborazione con l'autorita' giudiziaria; il rifiuto, in altre parole, ad essere "soggetto di prova" oltre che "oggetto" della stessa, mentre il mendacio rientra a pieno titolo nella dialettica processuale. In altre parole, pur costituendo entrambe le ipotesi un esercizio del diritto di difesa, il silenzio configura una scelta autodifensiva "passiva", mentre il mendacio esprime la volonta' di autodifesa "attiva". Circa il valore da attribuire a tale forma di autodifesa, secondo l'orientamento prevalente in giurisprudenza, sia il silenzio che la menzogna possono formare oggetto di una valutazione giudiziale negativa per l'imputato sotto il profilo probatorio, sia pure in modo estremamente limitato, potendo essere al piu' utilizzati dal giudice il primo quale "argomento di prova", mero elemento integrativo di prove gia' acquisite, il secondo quale "indizio" di reita' ove corroborato da altri indizi gravi, precisi e concordanti; in sostanza, potrebbe al piu' costituire un "riscontro obiettivo" ad un quadro probatorio sfavorevole gia' sufficientemente delineato dall'accusa (Sez. 6, n. 3241 del 09/02/1996, Federici, Rv. 204546: "il silenzio dell'imputato viene ad assumere valore di mero riscontro obiettivo"; Sez. U., n. 1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 192469: "Il giudice, invero, puo' trarre argomenti di prova anche dalle giustificazioni manifestamente infondate dell'imputato, ma solo in presenza di univoci elementi probatori di accusa, sicche' l'utilizzazione di quelle giustificazioni assume un carattere residuale e complementare"), soluzione coerente anche con l'orientamento della Corte EDU in terna di diritto al silenzio (8 febbraio 1996, Murray c. Regno Unito, § 46-47; Corte e.d.u., 6 giugno 2000, Averi c. Regno Unito, § 42-43, secondo cui lo ius tacendi, pur essendo al centro della nozione di processo equo, non e' espressione di un diritto assoluto. Difatti, qualora lo svolgimento del processo abbia evidenziato un quadro probatorio sfavorevole all'imputato, che gia' dimostri sufficientemente la colpevolezza, tale comunque da esigergli concretamente di dare spiegazioni in chiave difensiva, l'esercizio della facolta' di non rispondere ben potra' costituire un elemento apprezzabile come "riscontro" a suo carico). Tale valutazione, compiuta dal giudice di primo grado, e' stata totalmente omessa nel giudizio di appello. 3.12. Ritiene il Collegio che i giudici di appello abbiano omesso, nella loro valutazione, di confrontarsi con i dati valorizzati dalla prima sentenza: hanno infatti proceduto alla demolizione dell'attendibilita' intrinseca delle dichiarazioni della persona offesa per poi esaminare i soli dati estrinseci che confortavano la soluzione adottata, con un approccio contrario a quello che deve caratterizzare il "metodo scientifico" di ricerca della prova. Elide, la Corte distrettuale, ogni valenza alle tracce genetiche, in quanto gli indagati avevano entrambi ammesso di avere un rapporto sessuale con la ragazza, nonche' tutti gli altri elementi non funzionali rispetto alla decisione di inattendibilita' delle dichiarazioni della (OMISSIS). Come si legge a pagina 44 e 45 della sentenza impugnata, infatl:i, "lo stato di malessere apprezzato quella sera dalla madre certamente riscontra le condizioni di una ragazza profondamente turbata ma tale dato, di indubbia valenza in chiave accusatoria, non puo' ritenersi sufficiente, se valutato nel contesto di tutte le altre acquisizioni processuali, a dimostrare la fondatezza del quadro di accusa; cosi' come non possono ritenersi sufficienti i riferimenti della (OMISSIS) sulle ecchimosi notate, peraltro nei giorni successivi ai fatti (la teste non ha fornito ulteriori informazioni sul dato temporale), sul corpo della figlia". Tutti gli altri elementi oggettivi vengono omessi, a partire dai pantaloni strappati fino alle macchie di sangue sul letto (sentenza di primo grado: "tale elemento e' fondamentale, infatti la stessa minore prima della violenza subita non aveva mai avuto rapporti sessuali completi, essendo ancora vergine. Questo rafforzerebbe l'inattendibilita' della versione secondo cui ebbe due rapporti sessuali distinti nel breve lasso temporale in considerazione, considerando anche le circostanze di luogo e tempo descritto"), mentre le lesioni sulle braccia vengono considerate ininfluenti, cosi' come nessuna valenza viene attribuita alla pregressa verginita' della persona offesa (che la Corte di appello non nega apertamente, ma sembra mettere in dubbio citando le dichiarazioni della (OMISSIS)), difficilmente compatibile con la scelta di intrattenere due rapporti sessuali completi nell'arco di un'ora con due soggetti conosciuti il giorno prima, mentre le dichiarazioni della (OMISSIS) vengono genericamente bollate di inattendibilita'. La sentenza, quindi (si ribadisce che non compete alla Corte stabilire la colpevolezza o l'innocenza degli imputati, valutazione di esclusiva spettanza dei giudici del merito), compiendo un'opera di "elisione selettiva" degli elementi di prova non funzionali alle tesi sposata, viene meno a quell'obbligo di "compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado", che consentono di conferire alla decisione una forza persuasiva superiore rispetto a quella riformata. Non procede, in altri termini, a quella "motivazione rafforzata" richiesta dalla legge, operando al contrario una accurata selezione dei soli elementi indiziari funzionali alla propria decisione. La sentenza, inoltre, viene meno all'obbligo di valutazione degli indizi secondo lo schema "bifasico" menzionato in narrativa, escludendone alcuni e non ponendo gli stessi, tutti, in correlazione tra loro in relazione di intima coerenza. Essa va pertanto annullata con rinvio per nuovo giudizio. Il ricorso della parte civile 4. Dei primi due motivi si e' gia' detto al paragrafo che precede. Tuttavia, con riferimento al secondo motivo, la ricorrente lamenta che la Corte di appello di L'Aquila non abbia impedito la "vittimizzazione secondaria" della vittima, come invece avrebbe dovuto fare in ossequio agli strumenti internazionale ratificati dall'Italia, in cio' paventando una violazione di legge, che la ricorrente riconduce all'articolo 192 c.p.p.. Con la locuzione "vittimizzazione secondaria" si intende quel meccanismo per il quale la vittima di reato (persona vulnerabile) e' portata a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto (Corte Costituzionale, sentenza n. 92/2018, riferita in quel caso a minore vittima di maltrattamenti: "I fattori atti a provocare una maggiore tensione emozionale sono il dover deporre in pubblica udienza nell'aula del tribunale, l'essere sottoposti all'esame e al controesame condotto dal pubblico ministero e dai difensori e il trovarsi a testimoniare di fronte all'imputato, la cui sola presenza puo' suggestionare e intimorire il dichiarante. Se il minore e' vittima del reato, d'altra parte, il dover testimoniare contro l'imputato si presta a innescare un meccanismo di cosiddetta "vittimizzazione secondaria", per il quale egli e' portato a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto. Il trauma cui il minore e' esposto durante l'esame testimoniale si ripercuote, d'altronde, negativamente sulla sua capacita' di comunicare e di rievocare correttamente e con precisione i fatti che lo hanno coinvolto, o ai quali ha assistito, rischiando cosi' di compromettere la genuinita' della prova. Far si' che la testimonianza del minorenne venga acquisita in condizioni tali da tutelare la serenita' del teste e', dunque, necessario anche al fine di una piu' completa e attendibile ricostruzione dell'accaduto"). Il legislatore italiano si e' fatto carico di tutelare la persona vittima di reati sessuali. In primo luogo, ratificando la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (meglio nota come "Convenzione di Istanbul") adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1 agosto 2014, a seguito del raggiungimento del prescritto numero di dieci ratifiche, sottoscritta dall'Italia il 27 settembre 2012 e ratificata con L. n. 77/2013. In secondo luogo, recependo con il Decreto Legislativo n. 212 del 15/12/2015 la direttiva 2012/29/UE, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, ha introdotto all'articolo 90-quater c.p.p., la nozione di "condizione di particolare vulnerabilita' della persona offesa" (tra cui si puo' far rientrare pacificamente la condizione del minore che abbia subito abusi sessuali), cui e' ricondotta la possibilita' di servirsi di particolari strumenti processuali, disciplinati dagli articoli 351, comma 1-ter, 3152, comma 1-bis (i quali prevedono che la polizia giudiziaria o il pubblico ministero, nell'assumere sommarie informazioni da una vittima particolarmente vulnerabile, si avvalgano di un esperto in psicologia o psichiatria infantile), 392, comma 1-bis, in tema di incidente probatorio, e 498, comma 4-quater, c.p.p., che disciplina l'esame dibattimentale della persona offesa che versi in condizione di particolare vulnerabilita' (prevedendosi la possibilita' che esso avvenga con l'adozione di modalita' protette). La vittimizzazione secondaria della giovane (OMISSIS), sicuramente da considerarsi quale persona particolarmente vulnerabile, si e' in effetti verificata ed e' iniziata con la decisione di riassumere in contraddittorio l'esame della persona offesa, gia' escussa in incidente probatorio, scelta ancor piu' eccentrica laddove si consideri che gli imputati avevano optato per il rito abbreviato. Tuttavia, la rinnovazione dell'istruttoria in appello e' strumento espressamente previsto dall'articolo 603 c.p.p. sulla base di una valutazione discrezionale del requisito dell'indispensabilita', insindacabile in sede di legittimita'. In parte qua, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. 5. Il terzo motivo di ricorso e' fondato. Secondo costante giurisprudenza della Corte (v., ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 22127 del 23/06/2016, Rv. 270500 - 01) "integra l'elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della liberta' ed integrita' sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialita' degli atti compiuti sulla sua persona. (Fattispecie in tema di atti sessuali realizzati nei confronti di una persona dormiente). La Corte ha altresi' affermato (Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022, De Souza, Rv. 282834 02) che "l'esimente putativa del consenso dell'avente diritto non e' configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l'errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale (Sez. 3, n. 2400 dei 05/10/2017, Rv. 272074 - 01; Sez. 3, n. 17210 del 10/03/2011, Rv. 250141 - 01). Ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale, e' richiesta la mera mancanza del consenso, non la manifestazione del dissenso, ben potendo il reato essere consumato ai danni di persona dormiente (Sez. 3, n. 22127 del 23/06/2016, Rv. 270500 - 01). Ne' e' sufficiente il mero consenso all'atto sessuale, e' altresi necessario che il consenso riguardi la specifica persona che quell'atto compie (arg. ex articolo 609-bis, comma 2, n. 2, c.p.)". Ancora, si e' affermato (Sez. 3, n. 12628 del 17/12/2019, dep. 2020, n. m.) che "non e' ravvisabile in alcuna fra le disposizioni legislative introdotte a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 66 del 1996, (...) un qualche indice normativo che possa imporre, a carico del soggetto passivo del reato (...) un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso alla intromissione di soggetti terzi nella sua sfera di intimita' sessuale, dovendosi al contrario ritenere (...) che tale dissenso sia da presumersi e che pertanto sia necessaria, ai fini dell'esclusione dell'offensivita' della condotta, una manifestazione di consenso dell soggetto passivo che quand'anche non espresso, presenti segni chiari ed univoci che consentano di ritenerlo esplicitato in forma tacita (Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016, Rv. 268186 - 01)". In sostanza, nei reati contro la liberta' sessuale, il dissenso e' sempre presunto, salva prova contraria. Tale interpretazione appare anche conforme alla succitata Convenzione di Istanbul, il cui articolo 36 impegna gli Stati a punire qualsiasi "atto sessuale non consensuale con penetrazione vaginale, anale o orale" nonche' "altri atti sessuali compiuti su una persona senza il suo consenso". La Corte di appello de L'Aquila, nel valutare complessivamente inattendibile la deposizione della vittima, non spiega in alcun modo "come" i due imputati ne avrebbero raccolto il consenso o non ne abbiano percepito il dissenso, posto che il dato innegabile e' che entrambi gli imputati hanno avuto rapporti sessuali con la vittima la stessa sera. La sentenza, affermando a pagina 45 che "la stessa persona offesa ha riferito di avere bevuto qualche bicchiere di vino insieme agli imputati, ma non tanto da ubriacarsi e non ragionare" (circostanza, peraltro, smentita dalla succitata telefonata intercettata al (OMISSIS), che afferma essere la persona offesa ubriaca al momento del fatto), sembrerebbe lasciare intendere, sia pure in modo larvato, una sorta di "consenso implicito", soluzione ermeneutica che sembrerebbe ravvisare la non punibilita' degli atti sessuali compiuti in mancanza di un esplicito dissenso della vittima, finendo cosi' per porre in capo ad essa l'onere di resistere all'atto sessuale che le viene imposto, quasi gravasse sulla vittima una "presunzione di consenso" agli atti sessuali da dover di volta in volta smentire, cio' che si risolverebbe in una supina accettazione di stereotipi culturali ampiamente superati. Ne consegue, anche in riferimento a tale motivo, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame. 6. Dall'accoglimento dei motivi in precedenza analizzati discende anche l'accoglimento del quarto motivo di ricorso della parte civile, relativo alla revoca delle statuizioni civili, con conseguente rinvio per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/07/2022 della CORTE APPELLO di GENOVA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; udito tl Pubblico Ministero, sn persona del Sostituto Procuratore ANDREA VENEGONI che ha concluso chiedendo Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' o comunque itinfondatezza dei ricorso. udito il difensore: II Difensore (OMISSIS) del foro di LA SPEZIA si riporta ai motivi dei ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza deliberata in data 10.05.2021, il Tribunale di Genova dichiarava (OMISSIS), responsabile dei reati a lui ascritti, avvinti dal vincolo della continuazione, di cui all' articolo 110 c.p. e L. n. 895 del 1967, articoli 1, 2 e 4, come modificati dagli articoli 9, 10 e 12 L. 497/1974 per avere, in concorso con altre persone allo stato non identificate, fabbricato, detenuto e portato in luogo pubblico un ordigno esplosivo-incendiario di fattura artigianale collocato davanti all'apparecchiatura ATM dell'ufficio postale sito in Via (OMISSIS). In particolare, l'ordigno era costituito da una tanica di plastica della capienza di 5 litri, contenente alcol, dal cui tappo fuoriuscivano due fili elettrici collegati ad una batteria, alla quale era a sua volta collegata una sveglia analogica che fungeva da temporizzatore; uno dei due fili elettrici di collegamento con la batteria era pero' staccato per cui il sistema era rimasto inerte. L'ordigno era stato avvistato sotto lo sportello Postamat dell'Ufficio postale da un passante e poi rimosso ad opera degli artificieri della Questura intervenuti a seguito di richiesta da parte della pattuglia sopraggiunta sul posto. 2. Investita dell'appello da parte dell'imputato, la Corte di Genova, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, con sentenza emessa il 14.07.2021, ha parzialmente accolto il gravame e, rivalutati gli elementi di prova raccolti, ha qualificato il fatto contestato come reato di minaccia di cui all'articolo 612 c.p., comma 2, aggravato ai sensi dell'articolo 339 c.p., comma 1, per essere il fatto commesso in piu' persone riunite e in modo simbolico (e, pertanto, ha rideterminato la pena principale in anni uno di reclusione, eliminando le pene accessorie e la misura di sicurezza). 3. Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello di Genova, propone ricorso per cassazione l'imputato, attraverso il difensore di fiducia, prospettando quattro motivi. 3.1. Il primo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale in relazione all'articolo 192 c.p.p., nonche' l'illogicita' della motivazione in punto di attribuzione dei fatti contestati al ricorrente, con particolare riferimento all'inidonea valenza probatoria delle risultanze degli accertamenti biologici effettuati sulle tracce di DNA repertate su quanto rinvenuto nella zona di collocazione del congegno. Sul punto si evidenzia l'errore in cui sarebbero incorsi entrambi i giuridici di merito, laddove, lungi dal confrontarsi direttamente con gli aspetti critici emersi in contraddittorio, si sono limitati ad esporre in maniera avalutativa le risultanze, senza considerare le censure difensive relative al metodo seguito nella conduzione degli accertamenti biogenetici e all'interpretazione dei risultati, i quali sono stati ottenuti in violazione degli standard imposti dai protocolli scientifici previsti in materia di raccolta, repertazione e conservazione dei supporti da esaminare e di ripetizione delle analisi sul DNA. Quanto al metodo, si censura l'utilizzazione di kit per amplificazione delle sequenze del DNA non validati per l'analisi di quantitativi esigui di DNA (ove le linee guida, anche internazionali, ritengono quale prerequisito fondamentale per l'ottimizzazione della successiva reazione di PCR la precisa quantificazione del DNA da analizzare onde evitare artefatti); si censurano altresi' le modalita' di prelievo del campione da parte della Dott.ssa Porta, la quale provvedeva con un tampone unico a percorrere tutta la superficie interna del guanto, spostando di fatto il materiale genetico da una parte all'altra del reperto e mischiandolo definitivamente. Sicche', come emerso dalla relazione della consulente e dalla sua deposizione, la risultanza era un profilo genetico misto e fortemente degradato, rispetto al quale ben tre erano i contributori e solo uno di essi e' risultato compatibile col profilo di (OMISSIS). Le commistioni tra diversi contributori sono poi la risultante anche dell'operazione compiuta dal dirigente del gabinetto della polizia scientifica. In riferimento all'interpretazione dei risultati, si evidenzia l'illogicita' della motivazione e il travisamento della prova in cui incorrono i giudici del merito che, oltre a non sindacare la correttezza del procedimento indiziario, non considerano che non si puo' affermare nulla che abbia un maggior grado di probabilita' di altra affermazione diversa o contraria, non potendosi dire se altri soggetti, e lo stesso (OMISSIS), abbiano indossato tutti il guanto ne' in quale momento. Si osserva altresi' che e' lettura ascientifica e atipica ritenere che ii profilo del (OMISSIS) sia piu' "presente" degli altri, giacche', come anche affermato dal perito Linarello, il rilievo della sua prevalenza deriva unicamente dal fatto che e' quello l'unico profilo che si e' confrontato coi dati emersi dal campione; pertanto, una corretta inferenza logica potrebbe, ad avviso della difesa, condurre al piu' a ritenere provato un contatto tra il ricorrente e l'oggetto avvenuto in un momento imprecisato e non necessariamente collegato ai fatti oggetto di processo. Inoltre, la Corte territoriale erra nell'applicare il disposto dell'articolo 192 c.p. anche con riferimento agli ulteriori elementi indiziari ravvisati laddove, pur escludendo la significativita' di alcuni elementi valorizzati dal Tribunale (quali le analisi merceologiche e la circostanza dell'avvenuto spegnimento del telefono cellulare), attribuisce rilevanza alle immagini estrapolate dalle telecamere (ritraenti solo un individuo che faceva rientro dopo aver posizionato la tanica), ravvisando quale elemento a carico la statura e la corporatura del soggetto ripreso, liquidando con poche righe le obiezioni difensive svolte al riguardo; in particolare la difesa, sulla scorta delle analisi effettuate dal proprio consulente, aveva evidenziato l'impossibilita' di pervenire a serie stime tecnico-scientifiche sull'altezza del soggetto A ripreso dalla telecamere, dato il punto di appoggio del suo piede su una superficie in salita. Altra valutazione di tipo congetturale e' quella che considera la circostanza che l'imputato aveva domicilio nel centro storico che rappresenterebbe un riscontro del fatto che il soggetto A ripreso dalle telecamere si addentrava nei vicoli, laddove non si puo' affermare con certezza che il soggetto A corrisponda al (OMISSIS), che rincasava dopo aver commesso il delitto. Al contempo, si rileva che i giudici del merito trascurano dati di primario rilievo laddove, con riferimento alla circostanza, pienamente provata, del mancinismo del soggetto A ritratto dalle telecamere a circuito chiuso ne sminuiscono l'evidenza e la pregnanza, asserendo apoditticamente che il trasporto di una tanica possa ben essere effettuato da un destrimano avvalendosi della mano sinistra. 3.2. Il secondo motivo deduce l'inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 612 c.p. nonche' vizio di motivazione per avere, la Corte territoriale, pur aderendo alla prospettazione difensiva, ritenuto sussumibile la condotta nella fattispecie della minaccia aggravata, nonostante l'esclusione della micidialita' del congegno e l'affermazione che la mancata esplosione sia dipesa da una scelta deliberata da coloro che avevano assemblato e posizionato l'oggetto. Si eccepisce che tale fattispecie e' imperniata sul disvalore di un evento di pericolo concreto, individuabile nell'attitudine della condotta intimidatoria a menomare la liberta' morale del soggetto passivo, soggetto neppure individuabile nel caso in esame. Tale errore di diritto riverbera anche sull'apparato argomentativo che risulta vago e incompatibile con la tipicita' del reato di minaccia e del bene giuridico tutelato: la motivazione resa dalla Corte territoriale, infatti, pare individuare il destinatario della minaccia nelle Poste italiane, ente impersonale privo di liberta' di autodeterminazione e di una sfera psichica, condizioni che rendono radicalmente impossibile la verificazione dell'evento di pericolo concreto richiesto dalla fattispecie. 3.3. Il terzo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 339 c.p. nonche' vizio di motivazione per avere, la Corte territoriale, ritenuto ricorrenti nel caso di specie le aggravanti della pluralita' di persone riunite e della minaccia in modo simbolico. Con riferimento alla prima aggravante, posto che secondo la giurisprudenza di legittimita' la ratio fondante risiede nella maggior forza intimidatrice che la presenza di piu' persone e' in grado di esercitare sul soggetto passivo, si eccepisce che tale forza, avuto riguardo alle modalita' dell'azione, non emerge nel caso di specie in quanto la persona offesa dal reato (qualora individuabile) non ha avuto percezione della presenza di piu' individui giacche' il congegno veniva collocato nottetempo e nessuno si avvedeva degli autori del gesto dimostrativo. Quanto alla seconda aggravante, ad avviso della difesa, non persuade la Corte territoriale laddove ravvisa il modo simbolico di attuazione della minaccia nel sol fatto che i "gruppi dissidenti" - di cui il ricorrente avrebbe fatto parte - avrebbero aderito ad una campagna contro l'immigrazione clandestina. Si osserva sul punto che la Corte di appello opera un'indebita sovrapposizione di piani ove, in luogo di considerare cio' che il legislatore ha inteso stigmatizzare con la previsione dell'aggravante in parola ovvero un dato oggettivo afferente le modalita' dell'azione, compiuta secondo la casistica, con gesti fisici o immagini, sottolinea un aspetto inconferente e attinente al diverso piano del movente dell'atto; il gesto dimostrativo teso nell'intenzione dell'agente a propagare un determinato messaggio, non configura di per se' una minaccia compiuta in modo simbolico in assenza di specifiche modalita' oggettive di compimento dell'azione. 3.4. Il quarto motivo deduce l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento agli articoli 133, 62-bis e 163 c.p. nonche' vizio di motivazione per avere, la Corte territoriale, applicato al ricorrente il massimo della pena edittale comminata per il reato di cui all'articolo 612 c.p., aggravato nei termini suindicati, senza concedere nessuna attenuante nonostante gli elementi positivi evidenziati dalla difesa in sede di gravame quali la sostanziale incensuratezza e il corretto comportamento processuale del ricorrente (il quale, ha tenuto un comportamento esemplare fornendo la propria versione dei fatti e, nonostante le difficolta' tecniche relative alla celebrazione dell'udienza da remoto, partecipando personalmente e contribuendo a mantenere il collegamento). A sostegno si evidenziano anche le difficili condizioni di salute e di detenzione in cui si trova il ricorrente attualmente. Anche in punto di diniego della sospensione condizionale della pena si censura la motivazione resa perche' imperniata unicamente sulla circostanza che l'imputato " fosse attivo in gruppi turbolenti ". CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I1 ricorso e' nel suo complesso infondato, pur denotando profili che a tratti sconfinano nell'inammissibilita'. 1.1. Il primo motivo e', invero, proprio aspecifico, non confrontandosi esso adeguatamente con tutti gli argomenti spesi, riguardo al tema qui riproposto, e gia' affrontato anche in primo grado, dalle pronunce di merito che in punto di ricostruzione del fatto e di individuazione dell'autore sono del tutto conformi; esse, con una valutazione unitaria dei plurimi elementi probatori emersi, non senza averne prima soppesato, partitamente, il singolo spessore, ne hanno affermato la piena convergenza nella certezza dell'individuazione dell'imputato quale autore del reato. Le stesse censure mosse sulle modalita' di svolgimento della prova tratta dal DNA, che mirano a infondere dubbi sulla valenza degli esiti degli accertamenti tecnici eseguiti sul campione di DNA estratto dal guanto rinvenuto nei pressi del luogo ove fu collocato l'ordigno, si fondano, a ben vedere, su presupposti fattuali non del tutto corrispondenti a quelli accertati e posti a base della propria valutazione da parte dei giudici di merito. Ed invero, occorre innanzitutto evidenziare che il guanto rinvenuto da una passante corrisponde, per caratteristiche e colore, proprio a quello che, dalle immagini che hanno ritratto le due persone che hanno collocato l'ordigno, era indossato da colui che - indicato come soggetto A - aveva trasportato nello zaino a spalla la tanica poi deposta davanti allo sportello dell'ufficio postale - come ripreso sempre dalle varie telecamere presenti sui luoghi; sicche' nessuna incertezza e' stata ravvisata in ordine alla sicura riconducibilita' del guanto da cui e' stato estratto il materiale biologico contenente il DNA al soggetto A - in cui e' stato identificato il ricorrente alla luce anche delle altre emergenze processuali (laddove e' invece rimasta incerta la identita' del soggetto B che si accompagnava al primo recando con se' il presunto innesco, che indossava guanti di coloro diverso). E quanto alla certezza dell'esito raggiunto dall'accertamento sul DNA, il ricorso trascura che - a differenza di quanto assume - l'analisi sul materiale estratto dal guanto - cellule epiteliali - era stata ripetuta per ben due volte ed aveva dato sempre lo stesso profilo genetico ovvero aveva sempre rilevato il profilo genetico corrispondente a quello di (OMISSIS), sicche' tutti gli argomenti sulla variabilita' degli esiti dipendente dall'esiguita' del materiale sottoposto ad indagine rimangono privi di rilievo. Parimenti inconferenti sono state ritenute le doglianze che fanno leva sulla mescolanza di materiale cellulare di piu' soggetti dal momento che anche il perito designato dal tribunale sulle ben nove tracce estrapolate ha rilevato si', anch'egli, un profilo genetico misto, ma su tutte quante ha nondimeno rilevato la presenza in misura maggiore e preponderante su alcune - proprio del profilo genetico dell'imputato che nel campione che ha dato il calcolo di probabilita' piu' alto e' quasi esclusivamente in termini di profilo singolo; in altri termini, il fatto che il profilo dell'imputato fosse stato trovato piu' volte in piu' punti rende, secondo la logica e congrua valutazione del perito recepita dai giudici di merito e sul punto non specificamente contrastata dalla difesa difficile l'ipotesi di una contaminazione derivante, ad esempio, da contatto di altra persona col guanto. Del pari inconferenti sono le censure che attingono la comparazione tra le fattezze fisiche dell'imputato e quelle ricavate dalle immagini delle videoriprese, puntando sul fatto che il piede dell'imputato poggiava su una salita, dal momento che esse parimenti non considerano circostanze in fatto rilevanti, quale quella secondo cui il soggetto A e' stato ripreso lungo un tragitto che non si e' esaurito solo in una strada in salita, sicche' la censura per come posta rimane generica. Quanto poi all'assunto secondo cui il soggetto A sarebbe stato mancino per aver trasportato la tanica con la mano sinistra e quindi non poteva identificarsi in (OMISSIS), destrimane, e' solo il caso di rilevare che - di la' delle osservazioni comunque calzanti svolte dai giudici di merito circa la possibilita' di trasporto di una tanica, anche da parte di un destrimane, con la mano sinistra -, come risulta dalla sentenza di primo grado, il soggetto A e' stato ritratto con lo zaino - al cui interno vi era verosimilmente la tanica (tant'e' che al ritorno lo zaino appariva meno gonfio) - in spalla. A tutto cio', i giudici di merito hanno aggiunto gli ulteriori elementi di conferma dell'identita' del soggetto A desumibili dalla sua provenienza proprio dalla strada del centro storico ove all'epoca risiedeva l'imputato e dal suo rientro sempre nella medesima direzione verso un vicolo del centro storico. Non da sottovalutare infine il fatto che e' pacificamente emerso che (OMISSIS), risultava da tempo stabilmente inserito nell'ambiente dell'insurrezionalismo e dei militanti anarchici, per cui e' stato giustamente ritenuto persona compatibile con il compimento di un'azione delittuosa del tipo di quella in argomento (sul punto si ritornera' allorquando si affronteranno gli altri motivi). Alla stregua di tali plurimi indizi, gravi, precisi e concordanti, non seriamente contrastati dalle deduzioni difensive che gia' nelle rispettive sedi di merito di primo e secondo grado erano state in buona sostanza svolte nei termini qui riproposti, i giudici di merito hanno giustamente ritenuto che dovesse ritenersi acclarata, oltre ogni ragionevole dubbio, la identita' del soggetto A, da identificarsi appunto nel ricorrente. 1.2. Il secondo motivo che contesta la sussumibilita' del fatto nella fattispecie della minaccia e' manifestamente infondato. La circostanza che volutamente non sia stato attivato l'innesco, per evitare l'esplosione del congegno, non esclude affatto la capacita' intimidatrice dell'azione posta in essere dall'imputato attraverso il posizionamento, davanti al Postamat dell'ufficio postale, di un oggetto che, per le sue sembianze di un ordigno, aveva, anzi, insita in se' alta valenza intimidatrice. D'altronde, se l'ordigno fosse esploso altro sarebbe stato il reato configurabile, laddove la valenza intimidatrice e' dipesa proprio dal fatto che l'ordigno, collocato senza l'intenzione di farlo esplodere ma evidentemente con chiaro intento di incutere paura attraverso cio' che esso evoca fosse rimasto quindi inerte; sicche' la sola visione di esso, inesploso, all'indomani della sua sistemazione nel luogo in cui e' stato poi notato, non poteva che suscitare piu' che timore, vero e proprio terrore nel destinatario; e che tale valenza fosse percepibile, e fosse stata percepita dal destinatario del congegno che non si identifica ovviamente nell'ente poste in se' ma nelle persone fisiche di cui si compone -, e' desumibile dal fatto che il gesto si collocava in un ben preciso contesto quello che vide eseguite condotte dei tutto analoghe a quella del presente procedimento presso gli uffici postali di Bologna, il giorno prima, e di Torino, il giorno successivo, per avere le Poste Italiane in quel periodo implicitamente aderito ad una campagna contro l'immigrazione clandestina contro cui lottavano i gruppi dissidenti - che consentiva - ed effettivamente consenti' - al destinatario di percepirne in pieno il messaggio - figurato - di tipo minatorio che si era in tal modo inteso lanciare. In altri termini, la minaccia realizzata nel caso di specie, nonostante sia priva di esplicitazione verbale, e' nondimeno tale, per il suo elevato significato simbolico - in quanto espressa mediante l'uso di un oggetto, che, per modalita' di confezionamento, posizionamento e contenuto (materiale esplodente) rappresentava un ordigno, che di per se' evoca conseguenze micidiali - da recare intimidazione; il congegno fu adoperato, secondo la compiuta ricostruzione svolta nelle pronunce di merito - non specificamente incisa dagli argomenti difensivi - per rappresentare in maniera plastica una minaccia di morte, evocando, col suo impatto visivo sulle persone, lo scenario distruttivo che solitamente consegue ad una deflagrazione. Ed invero, la minaccia puo' essere manifesta o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata, purche' comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore e a coartare la volonta' del soggetto passivo. La fattispecie di cui all'articolo 612 c.p. e' integrata anche quando, in assenza di parole intimidatorie o di gesti espliciti sia adottato un comportamento univocamente idoneo ad ingenerare timore, che puo' trovare espressione anche - come nel caso di specie - attraverso il posizionamento di un oggetto, nei pressi del destinatario, che contenga in se' quella carica intimidatrice idonea a turbare o diminuire la liberta' psichica del soggetto passivo; carica intimidatoria che nel caso di specie e' stata suggellata dall'associato messaggio indiretto giunto attraverso la cronaca di quei medesimi giorni. 1.3. Alla stregua di quanto osservato al punto che precede consegue la sussistenza dell'aggravante dell'uso di modalita' simbolica che il ricorso ha tentato di contestare. Ed invero, la minaccia deve ritenersi eseguita in modo simbolico allorquando la sua estrinsecazione avvenga, invece che con modalita' meramente descrittiva o comportamentale, attraverso immagini o segni od oggetti o azioni che abbiano insiti in se' non solo la capacita' di evocare cio' che attraverso di essi si e' inteso minacciare risolvendosi cio' nella esplicitazione della minaccia in se' - ma anche un surplus intimidatorio derivante proprio dalla modalita' simbolica utilizzata (nel caso di specie, l'utilizzo di un ordigno che rimanda a scenari di distruzione e morte costituisce modalita' di estrinsecazione della minaccia certamente intrisa di maggiore capacita' intimidatoria). 1.3.1. Quanto all'aggravante delle piu' persone riunite, la peculiarita' della fattispecie concreta non ne esclude la ravvisabilita' dal momento che la minaccia nel caso di specie si e' esplicitata anche attraverso il collegamento dell'ordigno coi fatti analoghi pressoche' coevi che rimandavano univocamente a gruppi organizzati. S'impongono pero' delle precisazioni al riguardo. Questo Collegio, invero, non ignora il contrasto creatosi nella giurisprudenza di questa Corte di legittimita' in ordine alla necessita' o meno che la presenza di almeno due persone sia percepita dalla vittima affinche' possa ritenersi integrata l'aggravante in parola, ma volendo rimanere ancorato alla pronuncia espressa dal massimo Consesso di questa Corte (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Rv. 252518, - 01 -, che sia pure in relazione alla specifica ipotesi dell'aggravamento di pena previsto dall'articolo 629 c.p., comma 2, ha affermato che questo rispetto alla fattispecie del reato-base, nel caso di condotta estorsiva realizzata da piu' persone, risiede nel dato oggettivo del contributo causale, determinato dal maggiore effetto intimidatorio della violenza o minaccia posta in essere, fornito alla realizzazione del delitto dalla simultanea presenza nel luogo e nel momento della esecuzione della violenza e minaccia dei concorrenti e non in quello soggettivo della mera percezione della provenienza della condotta da parte di piu' persone), dovrebbe, a primo acchito, concludere che nel caso di specie non sussistano dubbi sulla ricorrenza della circostanza aggravante in parola, costituendo dato pacifico che il manufatto sia stato collocato sul posto da due persone. Tuttavia deve rilevarsi che, se e' vero che cio' che rileva e' la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, non rilevando che la persona offesa abbia percepito o meno la presenza anche di un secondo soggetto - poiche' la "ratio" dell'aggravamento non deriva necessariamente dalla maggiore costrizione esercitata simultaneamente sulla vittima, ma piuttosto dalla maggiore potenzialita' criminosa correlata all'oggettiva compresenza di piu' persone nel luogo del delitto -, rimane, pero', a rigore, da stabilire l'esatto momento consumativo del reato di minaccia nella particolare vicenda in esame in cui la consumazione della minaccia non puo' ritenersi coincisa con il momento della collocazione dinanzi all'ufficio postale, di notte, dell'apparente ordigno da parte di due soggetti perche' ai fini della sua integrazione e' necessario che essa sia anche percepita dal soggetto passivo (il reato di minaccia si consuma nel momento e nel luogo in cui la minaccia viene conosciuta dalla vittima); laddove nel caso in scrutinio tale percezione si e' concretizzata, da parte degli effettivi destinatari, solo a seguito del disveiarnento, all'indomani delle notizie diffusesi in ordine ad azioni identiche verificatesi anche in altri luoghi, della matrice "ideologica" dell'azione e della sua riconducibilita' a un determinato gruppo di anarchici (tra i quali era poi identificato il ricorrente); sicche', a ben vedere, una pedissequa applicazione al particolare caso di specie del disposto normativo di cui all'articolo 339 c.p., nella parte afferente l'aggravante delle piu' persone riunite, dovrebbe portare a ritenere che non potendosi nella fattispecie in esame ravvisare una simultanea presenza materiale di piu' persone nel luogo di consumazione del delitto, non potrebbe trovare applicazione l'aggravante in parola, pur essendosi la minaccia oggettivamente estrinsecata con maggiore efficacia intimidatoria perche' proveniente da un gruppo e quindi da piu' persone "riunite" - costituente la ratio dell'aggravante in parola che la differenzia da quella di cui all'articolo 112 c.p., che attiene al mero numero delle persone che concorrono nel reato in quanto indicativo della capacita' criminale di coloro che agiscono, non anche, necessariamente, di maggiore capacita' intimidatrice -; laddove una simultanea presenza, sia pure ideale, di piu' persone nel luogo di consumazione della minaccia, come detto coincidente col momento della percezione avvenuta in assenza, materiale, di alcuno dei correi - della minaccia da parte del destinatario, vi e' stata nel caso di specie dal momento che l'intimidazione - estrinsecata anche attraverso il disvelamento della provenienza dell'azione da parte di un gruppo di persone - e' stata di fatto portata simultaneamente da piu' persone (la cui presenza sia pure virtuale, - di la' della rilevanza o meno di tale circostanza ai fini che occupano -, e' stata anche percepita); sicche' deve ritenersi che nella peculiare fattispecie in scrutinio si sia comunque realizzata quella maggiore potenzialita' criminosa correlata all'oggettiva compresenza di piu' persone nel luogo del delitto. Il motivo articolato sul punto e' quindi infondato. 1.4. Aspecifiche e manifestamente infondate sono, infine, le residue doglianze mosse in punto di dosimetria della pena e diniego delle invocate attenuanti generiche, avendo la Corte distrettuale puntualmente indicato, con motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici, le ragioni giustificative del suo apprezzamento discrezionale, incentrato su una valutazione di merito che ha complessivamente tenuto conto delle gravi ed allarmanti modalita' di realizzazione della condotta delittuosa e dell'assenza di elementi positivamente apprezzabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p.. Valutazioni discrezionali, queste, coerentemente esposte (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata) e come tali non assoggettabili a sindacato in questa Sede, ponendosi, di contro, le generiche deduzioni difensive sul punto formulate nella mera prospettiva di accreditare una diversa, o alternativa, e come tale non consentita rivalutazione della sussistenza dei presupposti fattuali che giustificherebbero la concessione dell'invocato beneficio, ovvero una diversa determinazione dell'entita' della pena complessivamente irrogata. 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. BORSELLINO Maria D. - rel. Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA Sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso la sentenza resa il 30 marzo 2022 dalla CORTE di APPELLO di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere BORSELLINO MARIA DANIELA; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pedicini Ettore che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso e dell'avv. (OMISSIS) che insiste nei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza resa dal GUP del Tribunale di Roma in data 16/12/2021 che ha dichiarato la colpevolezza di (OMISSIS) per i reati di tentata rapina e lesioni meglio precisati in rubrica. 2. Avverso la detta sentenza propone ricorso l'imputato, deducendo: 2.1 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione del compendio probatorio, costituito dall'individuazione fotografica e dal rinvenimento, nelle macchie di sangue lasciate sul luogo del delitto, di tracce di DNA attribuibile all'imputato. Il ricorrente deduce che le valutazioni in ordine a tali elementi di prova sono manifestamente illogiche e non conformi alla legge poiche' la ricognizione fotografica risulta viziata dalla precedente sottoposizione alla persona offesa dell'immagine dell'imputato, a dispetto di quanto sostenuto dai giudici di merito i quali hanno escluso che le modalita' di esecuzione della detta ricognizione possano avere condizionato l'esito positivo della stessa. A sostegno di tale assunto il ricorrente sottolinea alcune contraddizioni emerse tra le dichiarazioni della persona offesa che inizialmente affermava di non essere in grado di riconoscere l'autore dell'aggressione e a distanza di un mese effettuava ricognizione fotografica con esito positivo. Quanto al rinvenimento del DNA la difesa lamenta l'assenza di adeguata verbalizzazione in ordine alle operazioni irripetibili attraverso cui si e' pervenuti all'identificazione del DNA dell'imputato. 2.2 violazione di legge e vizio di motivazione poiche' l'aggressione non era diretta all'apprensione di beni e non vi e' la prova che fosse finalizzata ad appropriarsi di beni della persona offesa. 3. Il ricorso e' inammissibile perche' generico e manifestamente infondato. La corte ha reso esaustiva e corretta motivazione in ordine al giudizio di colpevolezza e alle censure formulate dalla difesa con il gravame che vengono reiterate nel ricorso senza confrontarsi con le risposte fornite. 3.1 La corte a pag. 3 ha infatti ritenuto, con argomentazioni immuni dai vizi dedotti, la piena attendibilita' della persona offesa e della individuazione fotografica dalla stessa effettuata. Inoltre ha osservato che l'iter tecnico scientifico per pervenire all'individuazione del DNA dell'imputato nelle tracce ematiche lasciate sul luogo del delitto e' stato documentato ampiamente, essendo in atti i verbali delle operazioni relative; la difesa ritualmente avvertita dell'inizio delle operazioni tecniche e degli accertamenti eseguiti non ha sollevato alcuna eccezione e non ha neppure chiesto l'esame in contraddittorio dei tecnici, ne' ha ritenuto di nominare un proprio consulente. Peraltro le doglianze sono del tutto aspecifiche poiche' neppure indicano le ragioni poste a base della doglianza non consentendo a questa Corte di individuare l'eventuale irregolarita' censurata. 3.2 Il secondo motivo di ricorso e' manifestamente infondato e generico poiche' non si confronta con la motivazione della sentenza che a pag. 4 ha valorizzato le dichiarazioni della persona offesa, la quale ha riferito che l'aggressore la strattono' ripetutamente al fine di impossessarsi della borsa che teneva a tracolla. Cio' dimostra e non lascia residuare alcun dubbio in ordine alla volonta' dell'imputato di appropriarsi del bene altrui ricorrendo alla violenza. 4. L'inammissibilita' del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che si reputa congruo liquidare in Euro 3000, In ragione del grado di colpa nella proposizione del ricorso. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende. Motivazione semplificata.

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