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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. MASI Paola - Consigliere Dott. CENTOFANTI Frances - rel. Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. LANNA Angelo V. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso il decreto del 29/10/2021 della Corte di appello di Venezia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Francesco Centofanti; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Tassone Kate, che ha chiesto rigettarsi i ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con il decreto in epigrafe la Corte di appello di Venezia confermava la decisione del locale Tribunale, la quale: - aveva incidentalmente accertato la pericolosita' sociale, Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ex articolo 1, comma 1, lettera b), dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), riferita al tempo di acquisizione ((OMISSIS)) di determinati beni immobili (un fabbricato ad uso abitativo e un limitrofo terreno agricolo), intestati alla donna e nella materiale disponibilita' di entrambi; - aveva altresi' accertato la significativa sproporzione tra i redditi e le attivita' economiche dei proposti e il valore dei cespiti; - aveva disposto la confisca di prevenzione dei medesimi, di cui riteneva non dimostrata la legittima provenienza. 2. Ricorrono per cassazione entrambi i proposti, mediante unico atto, sottoscritto dal comune difensore di fiducia. 2.1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge e manifesta illogicita' di motivazione, in ordine al rilievo dei presupposti soggettivi di pericolosita' sociale e all'affermata correlazione temporale tra la manifestazione di pericolosita' e gli acquisti. I precedenti penali dei proposti, pro-tempore rilevanti, sarebbero relativi a fatti bagatellari, non indicativi di un'effettiva abitualita' di condotta criminosa lucrativa. L'unico elemento in tal senso realmente significativo sarebbe rappresentato dalla condanna di primo grado, intervenuta nel 2008, riferita al delitto di cui all'articolo 416 c.p., riformata tuttavia, in sede di gravame, per intervenuta prescrizione; a fronte della quale, sarebbe mancata, da parte del giudice della prevenzione, un'approfondita rivisitazione del quadro probatorio che il G.i.p. aveva, con "eccessivo rigore colpevolistico", posto a base della riconosciuta penale responsabilita'. Il valore della refurtiva, oggetto dei pretesi reati-fine dell'associazione per delinquere, sarebbe stato poi abbondantemente sovrastimato. Sarebbe ad ogni modo impossibile far collimare temporalmente l'asserita condotta di partecipazione associativa, risalente al (OMISSIS), con l'anteriore momento acquisitivo dei beni confiscati ((OMISSIS)) o con il posteriore momento di integrale ristrutturazione del compendio ((OMISSIS)). 2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono apparenza di motivazione, in ordine all'operato giudizio di sproporzione tra entrate patrimoniali ed acquisti e al mancato rilievo della provenienza lecita dei beni corrispondenti. Sarebbe stata ingiustificatamente pretermesso, nelle relative valutazioni, il dato informativo, corroborato da una puntuale dichiarazione testimoniale, circa l'esistenza di ripetute donazioni di somme di denaro (per l'importo complessivo di 160.000 Euro), di cui (OMISSIS) avrebbe beneficiato nell'arco temporale compreso tra gli anni (OMISSIS) e che non sarebbe affatto provento di attivita' criminali ulteriori (quali la bancarotta o l'evasione fiscale). Sarebbero stati infine sovrastimati il valore degli immobili confiscati e gli esborsi necessari per la loro acquisizione e per il loro rifacimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Occorre rammentare che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione e' ammesso soltanto per violazione di legge, sostanziale o processuale, secondo il disposto del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 10 e 27. Nella seconda nozione rientra l'evenienza della motivazione formalmente inesistente o meramente apparente. E' scrutinabile quindi dinanzi alla Corte di legittimita' quella carenza del percorso di giustificazione della decisione, che sia tale da tradursi in un apparato argomentativo privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicita' o, ancora, di un testo del tutto inidoneo a far comprendere lo svolgimento del ragionamento seguito dal giudice (tra le altre: Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246-01; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Noviello, Rv. 279435-01; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, Caliendo, Rv. 270080-01; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266365-01). 2. I ricorsi non tengono conto del piu' definito perimetro entro cui, in materia, si svolge il sindacato di legittimita'. 2.1. Il primo motivo rimette in discussione il profilo della pericolosita' sociale dei proposti, nonche' la dimensione temporale di essa e la corrispondenza con l'epoca degli acquisti immobiliari. Sul primo punto emerge, tuttavia, dal decreto impugnato come la Corte di appello abbia sancito detta pericolosita', nei termini descritti dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b), dopo aver valutato il curriculum criminale degli interessati, ritenuto in tal senso indicativo; dopo aver autonomamente vagliato, come in questi casi consentito dalla giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Sez. 5, n. 48090 del 08/10/2019, Ruggeri, Rv. 277908-01), le risultanze del procedimento penale (conclusosi in appello con sentenza di prescrizione, dopo la condanna di primo grado), relativo all'imputazione di partecipazione ad associazione per delinquere, dedita alla commissione di reati patrimoniali dall'ingente profitto; e dopo avere tratto, dalla totalita' delle risultanze, elementi dimostrativi della partecipazione suddetta, della continuita' di agire delinquenziale e del conseguente illecito arricchimento patrimoniale. Sui punti ulteriori, la Corte di appello - in applicazione del principio, secondo cui la pericolosita' sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, e' anche misura temporale del suo ambito applicativo, con la conseguenza che sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nel periodo in cui la pericolosita' si e' manifestata (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605-01) - ha positivamente compiuto le dovute verifiche di ordine cronologico, da riferire alla intera biografia criminale degli interessati, valutata nella sua dinamica e incidente progressione. 2.2. Circa la sproporzione economica e reddituale, e circa la mancata dimostrazione della legittima provenienza dei beni, che sono i temi oggetto del secondo motivo, il giudizio operato dal decreto impugnato e' ancorato al valore dichiarato al tempo degli acquisti, certamente non inferiore al prezzo corrisposto, e alle entrate ufficiali del nucleo familiare. L'esistenza di entrate non documentate e' stata esclusa con specifica argomentazione. 2.3. Le contestazioni dai ricorrenti mosse, con riguardo a tali complessivi aspetti, del giudice a quo esaustivamente considerati, debordano nel merito, o sono da riportare all'ambito della mera adeguatezza motivazionale, non sconfinante nell'assenza o apparenza della motivazione stessa. Si tratta di contestazioni non ammesse in questa sede, secondo quanto osservato in premessa. 3. I ricorsi devono essere pertanto dichiarati inammissibili. Alla relativa declaratoria consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa correlati all'irritualita' delle impugnazioni (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000) - di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in tremila Euro ciascuno. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GALTERIO Donatella - Presidente Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), ((OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 28/04/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI GIORDANO che, nel riportarsi alla memoria depositata, ha chiesto che siano dichiarati inammissibili i ricorsi. udito il difensore presente, Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza 28.04.2022, la Corte d'appello di Venezia ha parzialmente riformato quella del tribunale di Venezia 16.02.2021, appellata da (OMISSIS) e da (OMISSIS), con cui e' stato parzialmente prosciolto (OMISSIS), dal reato sub capo di imputazione n. 1), quanto alle dichiarazioni annuali relative al 2010, per prescrizione, rideterminando la pena in 2 anni e 2 mesi di reclusione, riducendo corrispondentemente la disposta confisca e confermando la sentenza appellata che lo aveva riconosciuto colpevole del solo reato di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi per i residui periodo di imposta 2011 e 2012. In ordine al capo 3 di imputazione, ove (OMISSIS), era imputato in concorso con la moglie (OMISSIS) del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, il Tribunale ha ritenuto, ex articolo 521 c.p.p., doversi riqualificare il fatto nel diverso e piu' grave reato di bancarotta fraudolenta per distrazione della societa' Only One sri (rispettivamente (OMISSIS), perche' legale rappresentante della societa'; Linder quale concorrente esterna nel reato proprio), disponendo pertanto la trasmissione degli atti al P.M. per il diverso reato di cui alla L. Fall., articolo 216. 2. I capi di imputazione originariamente ascritti risultano i seguenti: Capo n. 1): delitto p. e p. del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 81 cpv. c.p., articolo 5 perche', in qualita' di rappresentante legale nonche' amministratore unico della societa' "(OMISSIS) Srl", con sede legale e domicilio fiscale a (OMISSIS)), al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ometteva la presentazione delle dichiarazioni annuali ai fini delle Imposte Dirette ed IVA, relative agli anni di imposta 2010, 2011 e 2012, pur essendone tenuto avendo conseguito redditi nella misura me/ius indicata nel capo di imputazione ed essendo l'imposta evasa superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad Euro 77.468,53. Con l'aggravante della recidiva reiterata specifica e infra-quinquennale. Commesso in Venezia sino al 29/12/2013 (termine di presentazione della dichiarazione per l'anno di imposta 2012). Capo n. 2): del delitto p. e p. dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 81 cpv c.p. e articolo 10-bis (omissis) Capo n. 3) (unitamente con (OMISSIS)): del delitto p. e p. dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 110 c.p. e articolo 11, perche', in concorso tra loro, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, degli interessi e sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo ad Euro 1.220.428,78, compivano atti fraudolenti sui propri beni, consistiti nell'impiegare proprie risorse finanziarie ed economiche derivanti dalla "(OMISSIS) Srl" (a partire dall'anno di imposta 2006 al 2010 operante in totale evasione d'imposta) per l'acquisto di immobili o conti correnti simulatamente intestati a (OMISSIS), al fine di rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva: (a) l'immobile intestato sito in Venezia Cannaregio n. 649/650 piano: T-1, identificato nella sezione urbana VE foglio 12 particella 1508, sub 3, categoria A/3, classe 5, consistenza 8 vani, m2 103 rendita Euro 1442,77; (b) l'immobile intestato sito in Venezia Cannaregio n. 2914 piano: T, identificato nella sezione urbana VE foglio 12 particella 1147 sub 8, categoria C/2, classe 8, consistenza 60 m2, rendita Euro 306,78; (c) l'immobile intestato sito in Venezia Cannaregio n. 1135 piano: T, identificato nella sezione urbana VE foglio 12 particella 1256, subalterno 25, categoria C/2, classe 10, 6 m2, rendita Euro 41,83; (d) quota di 6/12 dell'immobile intestato per interposta persona a (OMISSIS) sito in (OMISSIS), identificato nella sezione urbana VE foglio 12 mappale 5693, sub 1 - zona cens. 1 - categoria C/2, classe 5, 107 m2, rendita Euro 342,62. Commesso in Venezia tra il febbraio del 2006, nel 2007 e fino al 21.12.2012. Con l'aggravante per (OMISSIS), della recidiva reiterata specifica e infraquinquennale. 2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, i predetti propongono separati ricorsi per cassazione tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo complessivamente nove motivi, di seguito sommariamente indicati. 3. Ricorso (OMISSIS), con cui si articolano otto motivi, in sintesi cosi' riassumibili: a) con il primo motivo (i) si ha riguardo al rigetto della richiesta di ammissione alla messa alla prova, deducendo violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento all'articolo 464-quater c.p.p., comma 7 e violazione dell'articolo 464-bis c.p.p. e ss., articolo 168-bis c.p. e articolo 18 c.p.p.; b) con il secondo (ii), si deduce violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento all'articolo 495 c.p.p., comma 2, articolo 190 c.p.p., 125 c.p.p., 182 c.p.p. e articolo 6 CEDU, nonche' violazione di legge ex articolo 606 lettera e) c.p.p. in riferimento all'articolo 125 c.p.p., e connesso difetto di motivazione, valutandosi ancora una volta una questione processuale quanto alla mancata rinnovazione della richiesta di rinnovazione dibattimentale in relazione a due testi; c) con il terzo motivo (iii), si deduce violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in riferimento alla presunta mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata e da altri atti del processo, censurandosi vizio motivazionale con cui si contesta il ragionamento che la Corte ha svolto per ritenere il (OMISSIS) amministratore della (OMISSIS) Srl; c) con il quarto motivo (iv), si deduce violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5 all'articolo 40 c.p. e all'articolo 533 c.p.p., con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, contestando in sostanza il fatto che non sia stato creduto che il (OMISSIS), fosse un prestanome; d) con il quinto motivo (v), relativo a violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento al articolo 5 del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, all'articolo 40 c.p. e all'articolo 533 c.p.p., si duole della ritenuta sussistenza in capo al ricorrente della consapevolezza, oltre ogni ragionevole dubbio, del superamento delle soglie di punibilita', nonche' violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera e), e correlato difetto di motivazione, censurandosi la sentenza quanto alla sussistenza in capo al reo della consapevolezza del superamento della soglia di punibilita'; e) con il sesto (vi), si deduce violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, con riferimento alla ritenuta sussistenza del superamento delle soglie di punibilita'; f) con il settimo motivo (vii), comune al (OMISSIS) ed alla coimputata (OMISSIS), relativo a una presunta violazione di legge, in riferimento all'articolo 322-ter c.p., finalizzato a contestare la disposta confisca per equivalente, nonche' per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata e da altri atti del processo, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), si ha riguardo al capo della sentenza impugnata relativo alla confisca, tornandosi poi sul dubbio circa il superamento delle soglie di punibilita' con riferimento all'articolo 5; g) con l'ottavo motivo (viii), relativo a violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento all'articolo 62-bis, all'articolo 81 c.p., all'articolo 132 c.p. e all'articolo 133 c.p., nonche' a violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in riferimento all'articolo 125 c.p.p., e correlato difetto di motivazione -, ci si duole del mancato riconoscimento delle generiche e del trattamento sanzionatorio; 4. Ricorso (OMISSIS), con cui, con un unico, articolato, motivo, si denuncia violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) in relazione alla nullita' e/o illegittimita' del disposto provvedimento di confisca degli immobili in sequestro, di proprieta' della (OMISSIS), nonche' inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in particolare della L. n. 244 del 2007, articolo 1, e dell'articolo 322-ter c.p., in relazione al disposto provvedimento di confisca, che risulterebbe abnorme e con motivazione mancante o apparente. 5. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 28.02.2023 la propria requisitoria scritta con cui ha concluso per l'inammissibilita' di entrambi i ricorsi. In particolare, in relazione al primo motivo del ricorso (OMISSIS), si riteneva che dovesse essere data continuita' all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in tema di messa alla prova, e' inammissibile l'accesso al beneficio nel caso di procedimenti cumulativi aventi ad oggetto anche reati diversi da quelli previsti dall'articolo 168-bis c.p., in quanto la definizione parziale e' in contrasto con la finalita' deflattiva dell'istituto e con la prognosi positiva di risocializzazione che ne costituisce la ragione fondante, rispetto alla quale assume valenza ostativa la commissione dei piu' gravi e connessi reati per i quali la causa estintiva non puo' operare (Sez. 2, n. 3082 del 20/10/2022, dep. 2023, in motiv.; Sez. 6, n. 24707 del 12/04/2021, Rv. 281832 - 01; Sez. 5, n. 6203 del 08/10/2020, dep. 2021; Sez. 2, n. 33057 del 21/04/2016; Sez. 2, n. 14112 del 12/03/2015, Rv. 263125 - 01). Veniva ricordato che la Corte di cassazione ha anche precisato che non puo' neppure accedersi alla messa alla prova previa separazione ex articolo 18 c.p.p., non essendo prevista la possibilita' di procedere alla separazione in funzione strumentale rispetto all'accesso a riti differenziati (Sez. 6, n. 24707 del 12/04/2021, cit.; Sez. 5, n. 6203 del 08/10/2020, dep. 2021, cit.). In merito, si sottolineava come fosse sufficiente scorrere le disposizioni degli articoli 464-bis e seguenti c.p.p., per rilevare come la sospensione con messa alla prova non determinasse alcuna deflazione del carico giudiziario, comportando, semmai, un aggravio del procedimento, attraverso la previsione di incombenze ulteriori, dell'intervento di organi esterni all'apparato giudiziario e di un'eventuale stasi processuale: di qui, l'incon-ferenza delle allegazioni difensive, poiche' relative a fattispecie non assimilabili (cosi', Sez. 6, n. 27394 del 13/04/2021). La ragione giustificatrice dell'istituto, dunque, e' tutt'altra e va individuata nel favore per la risocializzazione del reo, prima ed in via alternativa e preferibile rispetto alla sottoposizione di esso a pena. Ma, se cosi' e', ne scaturisce, con logica ovvieta', che tale procedimento di recupero del reo non possa essere parziale, si' da essere sperimentato e consentito, in caso di imputazioni plurime e cumulative, soltanto per alcune di esse: in tal senso, questa Corte ha gia' avuto modo di esprimersi, stabilendo che la sospensione con messa alla prova non potesse essere disposta, previa separazione dei processi, soltanto per alcuni dei reati contestati per i quali fosse possibile l'accesso al beneficio, in quanto la messa alla prova tende all'eliminazione completa delle tendenze antisociali del reo, si' che una rieducazione "parziale" sarebbe incompatibile con le finalita' dell'istituto (Sez. 2, n. 14112 del 12/03/2015, Allotta, cit.). Quanto al secondo motivo, il ricorrente si duole della revoca di un teste ammesso e della mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, lamentando che non erano stati ascoltati testimoni che le cui affermazioni avrebbero dimostrato che l'imputato era da qualificarsi come un mero prestanome di altri e non titolare della gestione della societa'. Sul punto la Corte d'appello ha adeguatamente motivato spiegando che l'imputato "non si limitava affatto ad essere un mero prestanome dei fratelli (OMISSIS)", aggiungendo che egli "effettivamente si occupava ed amministrava la societa', compiendo tipici atti gestori quali intrattenere i rapporti con i dipendenti del negozio, pagare gli stipendi, pagare l'affitto dei locali, annotare con un sistema di prima nota la contabilita', prelevare gli incassi della giornata dai registratori di cassa"; dunque, egli non era solo l'amministratore formale e di diritto, ma aveva svolto anche poteri gestori della societa'. Ne conseguiva, dunque, che la rinnovazione l'istruttoria dibattimentale non assumeva alcun rilievo. Al riguardo, peraltro la Corte d'appello anche richiamava un indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'amministratore di diritto non va esente da responsabilita' per reati tributari qualora accanto allo stesso, nell'ambito della struttura societaria, vi sia anche un amministratore di fatto. In ordine al terzo motivo, sebbene il ricorrente abbia precisato che "non intende spingere l'indagine di legittimita' oltre il testo del provvedimento impugnato, al fine di una diversa ricomposizione del quadro probatorio", in sostanza ha richiesto una rivisitazione del materiale raccolto nel giudizio di merito, operazione impossibile nel procedimento di cassazione. La sentenza impugnata, invero, anche richiamando ampi tratti di quella di primo grado, ha valutato la doglianza del ricorrente secondo cui egli sarebbe stato un mero prestanome, confutandola in modo condivisibile. In particolare, appare significativo il riferimento agli accertati trasferimenti di denaro dalla societa' per cui e' giudizio ad altra impresa a cui l'imputato partecipava come socio o per la quale aveva delega ad operare sui conti correnti (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata). Veniva dunque dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il ricorrente non fosse solo un prestanome. Il quarto motivo era incentrato sull'ipotesi, esclusa nella sentenza impugnata, che l'imputato fosse solo un prestanome ed, in particolare, il mero amministratore di diritto di una societa' gestita da altri. Sul punto, si precisava come si fosse trattato di una tesi smentita dagli elementi raccolti nei procedimenti di merito; comunque, la Corte di appello, anche soffermandosi sull'elemento soggettivo del reato, sottolineava che " (OMISSIS), si occupava concretamente della gestione della societa', era lui che si rapportava con il commercialista che nei primi anni aveva presentato le dichiarazioni fiscali proprio sulla scorta della documentazione consegnata dall'imputato (...)". Si sottolineava che la movimentazione del denaro avveniva tramite un conto intestato all'imputato che, pertanto, aveva piena consapevolezza dei ricavi della societa'. In ordine al quinto motivo, secondo il ricorrente, la Corte di appello avrebbe ignorato una dichiarazione dello stesso imputato, che varrebbe ad escluderne la responsabilita' penale, secondo cui egli non possedeva la documentazione contabile, circostanza confermata dal commercialista che l'ha saputa dallo stesso imputato. Si ribadiva, sul punto, quanto in precedenza rilevato sulla dimostrazione raggiunta nei giudizi di merito dell'esistenza di ampi poteri gestori della societa' da parte del ricorrente. Sul tema del superamento della soglia di punibilita', la sentenza impugnata risultava ampiamente motivata, avendo la Corte, tra l'altro, evidenziato come la versione alternativa "non trova alcun positivo e concreto riscontro negli atti". Quanto al settimo motivo, la Corte di appello, richiamando la decisione di primo grado, ha affermato che "e' stato ampiamente provato che gli immobili, al di la' della titolarita' formale in capo alla moglie dell'imputato, erano direttamente riconducibili a (OMISSIS), perche' acquistati con i ricavi provenienti dalla (OMISSIS) Srl., amministrata dall'imputato, ovvero dalla Ristorazione & Catering di cui (OMISSIS) era amministratore di fatto o direttamente dal conto personale dell'imputato". Anche in questo caso, pertanto, con il ricorso per cassazione si contestava il riproporre un tema relativo al giudizio di merito - la titolarita' effettiva dei beni confiscati -, peraltro con deduzioni anche parzialmente diverse (le donazioni della comunita' ebraica) che sembra si voglia superare a vantaggio del riferimento a contratti di mutuo. La sentenza, infine, contiene un'adeguata motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, che comunque appare conforme all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non e' necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Rv. 265283 - 01). Anche il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), ad avviso del P.G., sarebbe inammissibile. La Corte d'appello, in particolare, ha rilevato che la ricorrente non fosse stata condannata e, dunque, non era da ritenersi legittimata a proporre impugnazione avverso la sentenza di primo grado. In particolare, per la posizione della (OMISSIS), la Corte d'appello ha rilevato come non vi fosse stata alcuna affermazione di penale responsabilita' nel primo giudizio, ma solo la trasmissione degli atti al pubblico ministero per procedere per un diverso reato, quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, previa riqualificazione del fatto originariamente contestato in tale diversa fattispecie. La confisca dei beni provvedimento, di cui la ricorrente si duole anche con il ricorso per Cassazione, non e' stata disposta per il reato per il quale ella era stata originariamente imputata nel giudizio di primo grado, bensi' per il diverso reato tributario di cui era imputato solo (OMISSIS), cioe' il marito. Rispetto a tale confisca ella ha assunto come ha rilevato la Corte di appello la posizione di soggetto terzo. Pur avendo colto ed illustrato i profili di inammissibilita' dell'appello, la Corte d'appello ha comunque valutato le doglianze della ricorrente, evidenziando come sulla base del materiale probatorio raccolto ella fosse solo una mera prestanome del marito. In particolare, e' stata evidenziata la portata probatoria della deposizione del custode degli immobili il quale ha ricostruito nel dettaglio i pagamenti del prezzo degli stessi immobili che sono risultati intestati solo fittiziamente alla ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi, trattati in presenza a norma del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, e successive modifiche ed integrazioni, sono inammissibili. 2. Ai fini di una migliore intelligibilita' dell'approdo cui e' pervenuta questa Corte, tenuto conto anche delle plurime censure di vizio motivazionale, e' opportuna una analisi delle vicende fattuali, necessaria onde evidenziare la completezza argomentativa attraverso cui i giudici di merito hanno esaminato le questioni poste. 3. Per una migliore comprensione della vicenda, si deve rammentare come la societa' (OMISSIS) Srl veniva costituita nel 1994 e, nel 2003, veniva acquistata dai due fratelli (OMISSIS), residenti all'estero (che diventavano soci), mentre l'odierno ricorrente assumeva la carica di amministratore unico; la societa' gestiva diversi punti vendita a Venezia e a Roma di articoli di bigiotteria. All'esito della verifica fiscale, avviata nel 2014, risultarono omesse le dichiarazioni fiscali degli anni dal 2010 al 2012; non erano stati tenuti i libri contabili obbligatori ne' depositati i bilanci, mentre (OMISSIS), presente alle operazioni di verifica, non depositava alcuna documentazione contabile. A seguito di ampia istruttoria dibattimentale (in particolare testimonianza sia di svariati dipendenti della societa', che indicavano (OMISSIS) come colui che gestiva la (OMISSIS) Srl in assenza degli (OMISSIS), sia del commercialista Ceci, il quale riferiva che l'imputato era stato colui che gli aveva presentato i fratelli (OMISSIS), era il loro intermediario ed interprete linguistico, nonche' il suo referente per l'inoltro della documentazione fiscale) il primo giudice disattendeva la tesi difensiva di una natura meramente fittizia dell'incarico di amministratore nella societa' (OMISSIS) Srl (carica che (OMISSIS) si sarebbe prestato a ricoprire) in quanto residente a Venezia e riferimento della comunita' ebraica, a puro titolo di cortesia nei confronti di (OMISSIS), soggetto stabilmente residente in Israele e reale amministratore di fatto, insieme al fratello (OMISSIS), della catena di negozi. Rilevava il giudice che gli atti gestori compiuti dal (OMISSIS) (quali prelevare gli incassi della giornata, annotare su di un quaderno gli incassi e tenere una sorta dl contabilita', pagare gli stipendi ai dipendenti, pagare l'affitto), le dimissioni annunciate per lettera ai Sha-mesh (ma mai date) nonche' il rapporto con il commercialista Ceci fossero elementi dai quali dedurre che (OMISSIS) amministrava effettivamente la societa', pur per conto dei due fratelli israeliani. Il Tribunale riteneva, in particolare, gestita di fatto da (OMISSIS) anche la societa' (OMISSIS)Gam-Gam (OMISSIS)Gam-Gam (OMISSIS)Ristorazione & Catering (OMISSIS)Gam-Gam, la comunita' ebraica veneziana ritenne opportuno rimuovere dall'incarico formale (OMISSIS) ed affidarlo alla moglie. Tuttavia, era sempre (OMISSIS) a seguire la gestione della societa', risultando corrette - secondo il Tribunale le modalita' di calcolo della imposta evasa, cosi' come ricostruite dalla G.d.F. e spiegate dai testimoni agenti di PG nel corso dell'istruttoria dibattimentale. In assenza di regolare contabilita', il fatturato era stato calcolato sulla base degli importi documentati dagli scontrini di chiusura di cassa, mentre per determinare i costi da calcolare in deduzione, i militari avevano tenuto conto di documentazione extra-contabile (annotazione su appositi quaderni dei costi del personale, di cui venivano acquisite e confrontate le buste paga elaborate dagli studi professionali di consulenza del lavoro incaricati, i costi relativi a contratti di locazione e quelli emergenti dalle fatture di acquisto, purche' inerenti all'attivita' svolta). Per le importazioni extra-UE venivano riconosciute le fatture di acquisto merce, laddove inerenti all'oggetto sociale (acquisti di bigiotteria da Cina e Corea); altri costi, relativi a transazioni commerciali con paesi extra-UE, ma non registrati con fattura, non venivano considerati. Il giudice dava atto, inoltre, che a seguito del processo verbale di constatazione, l'Agenzia delle Entrate emetteva avvisi di accertamento, ritualmente notificati al (OMISSIS), in relazione ai quali quest'ultimo non presentava alcuna deduzione. La tesi dell'incarico meramente formale in capo al (OMISSIS) veniva smentita, altresi', dagli accertati trasferimenti di denaro dalla societa' (OMISSIS) alla Ristorazione & Catering (il tribunale ravvisava, in particolare, una commistione tra le due societa') ovvero ad altre societa' in cui (OMISSIS) partecipava come socio o comunque aveva delega ad operare sui conti correnti. La P.G. aveva accertato, invero, la presenza di terminali POS nei punti vendita della (OMISSIS) Srl, in riferimento ai quali i pagamenti effettuati dai clienti con bancomat/carte di credito venivano riversati sui conti correnti della BSD (una societa' inattiva, avente sede a Venezia presso l'abitazione dell'imputato, in cui quest'ultimo era socio al 5%, mentre (OMISSIS), al 95%). Delegato ad operare sul conto corrente, su cui vi era un accredito di 235.700 Euro circa riferibile a ricavi della (OMISSIS) Srl, era il solo (OMISSIS). Si accertava che (OMISSIS) era delegato ad operare su conti correnti riferibili alle societa' New Green Trading s.r.l. e Ecoverde srl, societa' aventi sede a Venezia, del tutto inattive, con rappresentanti legali dei cittadini francesi irreperibili; su tali conti risultavano essere state effettuate movimentazioni bancarie in addebito riconducibili alla (OMISSIS), quali pagamenti verso fornitori extra-UE e prelevamenti in contanti effettuati da (OMISSIS). Sul conto corrente della (OMISSIS) Srl, su cui operava (OMISSIS) in quanto legale rappresentante, veniva rinvenuto un bonifico di circa 34.000 Euro in favore della (OMISSIS), nonche' l'accredito di somme di denaro per complessivi 215.000 Euro da parte di persone fisiche e societa' riconducibili alla Ristorazione & Catering (OMISSIS)Ristorazione & Catering (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Ristorazione & Catering (OMISSIS)Ristorazione & Catering (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Ristorazione & Catering (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Ristorazione & Catering (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Only One (OMISSIS)New Green Trading (OMISSIS)Ecoverde (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Ristorazione & Catering (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS)societa' New Green Trading(OMISSIS)Ecoverde (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Gam-Gam (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Ristorazione & Catering (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Only One (OMISSIS)societa' New Green Trading (OMISSIS)Ecoverde (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS)Ristorazione & Catering (OMISSIS) (OMISSIS)Ristorazione & Catering (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Gam-Gam (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Ristorazione & Catering, che di fatto era gestita sempre da (OMISSIS). (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Ristorazioni & Catering (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Ristorazioni & Catering (OMISSIS) (OMISSIS)Only One (OMISSIS)Ristorazione & Catering (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - rel. Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso il decreto del 05/02/2021 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALIFFI FRANCESCO; lette le conclusioni del PG Dott.ssa LORI PERLA che ha chiesto il rigetto. RITENUTO IN FATTO 1. Con il decreto indicato nel preambolo, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato il provvedimento, in data 21marzo 2018, con cui il Tribunale aveva disposto l'aggravamento della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, applicata, con decreto del 3 aprile 2009, nei confronti di (OMISSIS) per la durata di anni quattro, prorogandola di un ulteriore anno ed aveva altresi' disposto la confisca di societa', beni immobili, mobili e rapporti finanziari intestati, oltre che al proposto, al coniuge, (OMISSIS), e alle figlie, (OMISSIS) e (OMISSIS). A fondamento dell'aggravamento evidenzia l'acquisizione, in epoca successiva all'emissione del provvedimento genetico, di ulteriori fatti sintomatici della pericolosita' sociale di (OMISSIS), sussunta nella categoria di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 4, lettera a), fino all'attualita'. In particolare, ha ritenuto rilevanti: il lungo periodo di latitanza, l'applicazione di misure coercitive per reati aggravati ai sensi del Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 7 e le condanne per reati della stessa natura, fondate, tra l'altro, sulle convergenti dichiarazioni di piu' collaboratori di giustizia. Con riferimento alle statuizioni ablative dei beni, tutti ritenuti nella disponibilita', diretta o indiretta, (OMISSIS), in risposta ai motivi di appello, la Corte di appello ha formulato le seguenti considerazioni. - La confisca della " (OMISSIS) S.r.l." non risultava preclusa dalla definitivita' del decreto del 3 aprile 2009, con cui era stata rigettata analoga proposta patrimoniale sul presupposto che la societa' fosse sorta in data 5 luglio 2006 e che la sua costituzione avesse comportato una spesa limitata ad Euro 10.000,00, pari al capitale sociale. Erano, infatti, emersi elementi nuovi ed ulteriori sia dal procedimento scaturito dall'operazione cosiddetta "(OMISSIS)", definito dalla sentenza del Tribunale di Reggio Calabria del 30 settembre 2016, confermata sul punto nel giudizio di appello, sia dagli accertamenti patrimoniali espletati dalla Guardia di Finanza. In particolare, l'accertata permanenza di (OMISSIS) al vertice dell'omonima cosca di âEuroËœndrangheta anche in epoca successiva al 2009 aveva reso possibile sia formulare un giudizio di "pericolosita' esistenziale" del proposto sia includere la societa' confiscata nel novero delle "imprese di proprieta' del mafioso" per essere nella piena disponibilita' di "un soggetto che ha sempre operato nel medesimo settore merceologico, con le modalita' tipiche dell'agire mafioso". - La somma di Euro 148.906,65 - saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS), in essere presso (OMISSIS), agenzia n. (OMISSIS), intestato a (OMISSIS) - non poteva essere ricondotta al prezzo ricevuto dalla (OMISSIS) per la vendita di beni immobili - a lei pervenuti a seguito di atti di liberalita' dei propri genitori - effettuata nel 2005, perche' il citato conto corrente era stato acceso in epoca molto successiva, esattamente il 26 marzo 2013, circa otto anni dopo che la (OMISSIS) aveva incassato il corrispettivo della compravendita immobiliare. - Le unita' immobiliari site in via (OMISSIS), censite in catasto al foglio (OMISSIS) e l'autovettura Audi S3 targata (OMISSIS) erano state acquistate da (OMISSIS), alla luce della relazione del Dott. (OMISSIS) e degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza, con liquidita' incongrue rispetto a quelle di lecita provenienza non potendosi considerare tali le somme erogate in suo favore dall'impresa mafiosa " (OMISSIS) s.r.l.": - Non e' stata dimostrata la provenienza lecita della somma di Euro 24.789,24 - saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS), in essere presso (OMISSIS), agenzia n. (OMISSIS), intestato a (OMISSIS), figlia convivente del proposto - atteso il tempo trascorso (circa dodici anni) tra i versamenti nel conto e la data in cui la madre dell'intestataria ha beneficiato degli introiti leciti asseritamente trasferiti alla figlia. 2. Ricorrono, con un unico atto a firma dei difensori nonche' procuratori speciali avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), il proposto (OMISSIS) nonche' i terzi interessati (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo (OMISSIS) deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 1 e 4. Lamenta che la Corte di appello abbia limitato il giudizio di pericolosita' sociale al periodo che va dal 30 luglio 2009 al maggio 2011 senza cimentarsi, come sollecitato dalla difesa, sul tema dell'attualita' della suddetta pericolosita' con la specifica indicazione di elementi sintomatici della sua protrazione fino alla data di emissione del decreto emesso dal Tribunale in esito al primo grado del giudizio. Secondo il ricorrente, non rileva il dato che giudice della prevenzione era chiamato a pronunciarsi su una richiesta di aggravamento della misura personale posto che la giurisprudenza di legittimita', anche quella citata a sostegno della Corte distrettuale, impone comunque la valutazione di fatti nuovi che attualizzino la pericolosita' gia' oggetto del pregresso accertamento. 2.2. Con il secondo motivo, (OMISSIS) deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), violazione dell'articolo 649 c.p.p. e Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. Evidenzia che il decreto impugnato ha ritenuto di sovvertire il giudicato formatosi a seguito del rigetto, con il provvedimento del 3 aprile 2009, della proposta di confisca del medesimo bene ritenendo erroneamente applicabile il consolidato principio in forza del qualche nel giudizio di prevenzione il giudicato opera rebus sic stantibus. Nel caso di specie difetta la sopravvenienza di "nuovi elementi di fatto". Infatti, sono tali, alla luce della giurisprudenza di legittimita', solo quelli che incidono specificamente sull'oggetto della valutazione gia' espressa. La Corte di appello ha, invece, considerato rilevante al fine di sovvertire la statuizione irrevocabile di rigetto della confisca, espressamente fondata sulla liceita' dell'acquisto dei beni, il carattere "esistenziale" della pericolosita' del proposto, peraltro desumendolo da un giudizio fondato su un delimitato periodo storico che va dal 30 luglio 2009 al maggio 2011. Ne' a tale errore di diritto puo' sopperirsi valorizzando la natura mafiosa dell'impresa confiscata sol perche' non oggetto della precedente delibazione. Difettano, comunque, elementi fattuali idonei a retrodatare la pericolosita' del bene all'epoca, l'anno 1969, in cui e' stata costituita l'impresa. 2.3. Con il terzo ed il quarto motivo e' dedotta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 con riferimento sia alla confisca dell'impresa " (OMISSIS) s.r.l." sia alla confisca della somma di Euro 148.906,65, saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS). Ritengono i ricorrenti che il decreto impugnato sia incappato in un errore di diritto nella misura in cui ha considerato mafiosa la societa' confiscata solo sulla base della ricostruzione storica delle vicende aziendali ed in assenza della prova dell'impiego di metodi mafiosi nell'esercizio dell'attivita' imprenditoriale. E' stata, per di piu', ignorata la tesi difensiva secondo cui la famiglia (OMISSIS) aveva strumentalizzato altre imprese per l'imposizione di forniture di carne. Aggiungono che e' affetta da errore di diritto anche la confisca della somma di Euro 148.906,65. La Corte ha considerato irrilevante l'allegazione relativa alla congruita' dei redditi percepiti dalla (OMISSIS), pretendendo la tracciabilita' delle somme anziche' la dimostrazione della sussistenza della provvista, peraltro considerata di lecita provenienza anche nel precedente decreto. In ogni caso, il conto corrente e' stato acceso in un periodo successivo alla accertata pericolosita' del proposto. 2.4. Con il quinto motivo, formulato nell'interesse di (OMISSIS), si deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. Secondo la (OMISSIS), erroneamente non sono stati presi in considerazione i redditi elargiti in suo favore dalla " (OMISSIS) s.r.l." perche' pacificamente destinati a compensare la sua lavorativa lecita. Quanto ai redditi percepiti in epoca antecedente al 2010, non e' decisiva l'argomentazione che tali somme dovevano essere destinate all'esigenze di vita quotidiana posto che la (OMISSIS), all'epoca, viveva con il suo nucleo familiare. Per i redditi percepiti in epoca piu' recente e' stato violato il principio in forza del quale il terzo interessato non ha un onere di giustificazione di carattere reddituale anche perche' nei suoi confronti non era nemmeno operativa la presunzione semplice di derivazione illecita dei redditi dal proposto in ragione del rapporto di parentela aveva costituito un suo nucleo familiare autonomo dal padre. 2.5. Con il sesto motivo, formulato nell'interesse di (OMISSIS), si deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. Secondo la ricorrente il decreto impugnato non ha ritenuto rilevante la giustificazione sulla provenienza della somma di denaro depositata nel conto corrente pretendendo l'assolvimento di un onere di tracciamento e non accontentandosi dell'allegazione sulla capienza delle disponibilita' economiche del soggetto, (OMISSIS), che aveva effettuato l'elargizione in suo favore 3. Con memoria tempestivamente depositata, a firma dell'avv. (OMISSIS) la difesa dei ricorrenti, in replica alle conclusioni del Procuratore generale, ha ribadito la fondatezza delle censure sviluppate nell'atto di impugnazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Va, in premessa, ricordato che ai sensi della L. n. 1423 del 1956, articolo 4, comma 11, L. n. 575 del 1965, articolo 3-ter, comma 2, il cui testo e' oggi trasfuso rispettivamente nel Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3, e nell'articolo 27, comma 2, avverso il decreto della Corte d'appello in materia di misure di prevenzione personali e patrimoniali "e' ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge, da parte del pubblico ministero e dell'interessato e del suo difensore". Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, questa formula fa escludere che il ricorrente possa dedurre il vizio di motivazione previsto dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e). In subiecta materia, pertanto, con il ricorso per cassazione e' possibile denunciare, oltre alla "mancanza assoluta" della motivazione, soltanto un difetto di coerenza, di completezza o di logicita' della stessa, tale da farla di fatto ritenere "apparente" e inidonea a rappresentare le ragioni della decisione in violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 2. Non puo' essere, invece, proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realta', siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266365). 2. Tanto posto ritiene il Collegio che i ricorsi siano fondati nei termini chiariti nel prosieguo. 2.1. Il primo motivo, relativo all'aggravamento della misura personale nei confronti di (OMISSIS), non e' consentito nella parte in cui censura l'apparato motivazionale, mentre e' privo di pregio laddove denunzia violazione di legge. La Corte territoriale si e' conformata all'orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, secondo cui, nell'ipotesi di aggravamento della misura di prevenzione personale, non si deve procedere "ex novo" al giudizio di pericolosita', risultando quest'ultima gia' definitivamente accertata in sede applicativa della misura, bensi' dovendo concentrarsi la valutazione sui "fatti nuovi" indicati a sostegno dell'accresciuta pericolosita' (Sez. 5, n. 16790 del 19/02/2018, R., Rv. 272866 01). Non rilevano in senso contrario i principi affermati dalle Sezioni unite nella sentenza n. 111 del 30/11/2017, ric. Gattuso, secondo cui, ai fini dell'applicazione di misure di prevenzione, nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, e' necessario accertare il requisito della "attualita'" della pericolosita' del proposto in quanto enunciati con riferimento al momento applicativo della misura di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso. Nel peculiare caso di "aggravamento", ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 11, di una misura di prevenzione personale disposta nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, comma 1, lettera a), anche se rimasta sospesa per effetto di periodi di detenzione, non occorre rivalutare la permanente validita' nel caso concreto della presunzione semplice relativa alla stabilita' del vincolo associativo, gia' definitivamente accertata in sede applicativa. Il giudice della prevenzione deve, invece, come nelle altre ipotesi di pericolosita', qualificata o generica, procedere ad un "aggiornamento" del giudizio di pericolosita', prendendo in esame ulteriori elementi, che possono consistere in dati di conoscenza nuovi e sopravvenuti ovvero in risultanze preesistenti al giudicato, ma mai apprezzate nei provvedimenti gia' emessi, che comportino un giudizio di maggiore gravita' della pericolosita' stessa e di inadeguatezza delle misure precedentemente adottate (Sez. 1, n. 47233 del 15/07/2016, Di Gioia Rv. 268175 - 01; Sez. U, n. 600 del 29/10/2009, Galdieri, Rv. 245176). E' sufficiente anche la commissione anche di un unico reato, dopo l'applicazione della misura, a condizione che si tratti di un fatto che si connoti per una gravita' tale da ledere di per se' l'ordine e la sicurezza pubblica (Sez. 6, n. 52204 del 03/10/2018, D'Agnillo, Rv. 274291 - 01). Nella prospettiva imposta dai delineati principi, la Corte territoriale ha evidenziato che, dopo l'applicazione della misura di cui e' stato chiesto l'aggravamento, sono stati acquisti ulteriori elementi probatori - gia' posti a fondamento dell'affermazione della responsabilita' penale per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p. ed alcuni reati fine sia in primo che in secondo grado, tra cui le convergenti dichiarazioni di piu' collaboratori di giustizia, opportunamente richiamate per saggiarne la consistenza - ampiamente dimostrativi della protrazione della partecipazione all'omonima cosca, con il medesimo ruolo apicale, di (OMISSIS) - gia' gravato da due condanne irrevocabili per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. con riferimento agli anni precedenti - anche per il periodo dal 30 luglio 2009 sino al maggio 2011, oltre alla consumazione da parte del proposto di una pluralita' di reati fine nell'interesse del sodalizio. La Corte ha, quindi, desunto l'attualita' della pericolosita' di (OMISSIS) alla persistenza nel tempo, per piu' decenni, delle sue scelte criminali, peraltro rimaste ferme nonostante periodi di detenzione, ed al mantenimento, per un periodo di tempo altrettanto lungo, di un ruolo di vertice nel sodalizio senza mai realizzare condotte sintomatiche di un allontanamento dal contesto associativo o comunque significative di una inversione di rotta nello stile di vita. Si tratta di motivazione, tutt'altro che apparente, ma completa ed esauriente attesa l'ampiezza delle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale per rispondere ai rilievi difensivi anche con riguardo al profilo dell'attualita' della pericolosita'. 2.2. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo, relativi alla posizione di (OMISSIS) in relazione alla confisca dell'impresa " (OMISSIS) s.r.l." e della somma di Euro 148.906,65, saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS), possono essere trattati congiuntamente in ragione della connessione logica delle questioni poste. Non sussiste la dedotta violazione del giudicato formatosi a seguito dell'irrevocabilita' del provvedimento, in data 3 aprile 2009, di rigetto della proposta di confisca dei beni formalmente intestati alla (OMISSIS). In sede di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali - pur avendo il provvedimento di merito che definisce il grado di giudizio, pacificamente, natura di sentenza, in quanto incidente su diritti soggettivi con aspirazione di definitivita' (Sez. Un. 600 del 29.10.2009, dep. 2010, gia' citata) - la tradizionale nozione di "giudicato" subisce degli adattamenti correlati al particolare oggetto del giudizio, rappresentato dalla ricostruzione della "condizione" di pericolosita' del proposto (con aderenza alle classificazioni tipizzate a tal fine dal legislatore) e dall'analisi dei profili patrimoniali correlati a tale primario accertamento. Trattandosi di una valutazione composita dell'agire di un soggetto - e non della verifica compiuta della singola condotta - si ritiene, a partire da Sez. Un. 18 del 1996, ric. Simonelli, che in sede di prevenzione la preclusione derivante dal giudicato opera sempre' rebus sic stantibus e, pertanto, non impedisce la rivalutazione della pericolosita' ove sopravvengono nuovi elementi indiziari - non precedentemente noti - che comportino una valutazione di maggior gravita' della pericolosita' stessa e un giudizio di inadeguatezza delle misure in precedenza adottate. In puntuale applicazione dei ricordati principi, la Corte di appello ha valorizzato alla stregua di elementi nuovi le emergenze probatorie del procedimento definito in secondo grado dalla Corte di Appello con la sentenza in data 20 settembre 2019. Al riguardo, ha osservato che la accertata permanenza di (OMISSIS) al vertice dell'omonima cosca di ndrangheta anche in epoca successiva al 2009, giustifica il superamento del precedente accertamento del 2009 sotto un duplice profilo: da una parte, consente di formulare un giudizio di maggiore pericolosita' sociale, estesa - tenuto conto anche delle condanne per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p. del 9 febbraio 2001 e del dicembre 2013 - all'intero percorso esistenziale del proposto (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli Rv. 262605 - 01; Sez. 2, n. 40778 del 02/11/2021, Fasciani, Rv. 282195 - 01), dall'altro, consente di qualificare come "impresa mafiosa" tutte le attivita' imprenditoriali riconducibili a (OMISSIS), nel settore del commercio di carni, inclusa la " (OMISSIS) s.r.l.", impresa che, come risulta dagli accertamenti patrimoniali espletati dalla Guardia di Finanza, pur essendo stata formalmente costituita solo nel 1996 (con un capitale sociale di Euro 10.000, ritenuto con il decreto del 3 aprile 2009 compatibile con le risorse di cui la (OMISSIS) aveva la disponibilita') ha continuato a svolgere la medesima attivita' imprenditoriale di commercio di carni gia' esercitata, nella medesima sede di via (OMISSIS), dai (OMISSIS) sin dal 1969. D'altra parte, che " (OMISSIS) s.r.l." abbia sempre fatto parte della holding di imprese utilizzate da (OMISSIS) per operare, anche nell'interesse della cosca di appartenenza, con metodo mafioso nel settore del commercio al dettaglio di carni mediante l'imposizione di forniture con minacce e intimidazioni ai dettaglianti e' circostanza non solo non affrontata con il citato decreto del 3 aprile 2009 ma che la Corte di appello, in conformita' alle valutazioni del Tribunale, ha desunto sia dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nel procedimento definito con la sentenza del 9 febbraio 2001 sia dalle dichiarazioni rese dall'imprenditrice (OMISSIS) (che gestiva esercizi commerciali nella zona di competenza dei (OMISSIS)), richiamate nella sentenza emessa dal Tribunale in data 30 settembre 2016. Sulla base degli esaminati nuovi elementi fattuali l'affermazione del provvedimento impugnato che "tutte le imprese riconducibili a (OMISSIS), senza alcuna esclusione, siano nate e siano rimaste sul mercato sino all'attualita' con modalita' mafiose" o quanto meno "sfruttando il potere mafioso della cosca (OMISSIS) per sbaragliare la concorrenza, per imporsi sul mercato, per procurarsi clienti, con totale alterazione delle regole della libera concorrenza, finendo per operare nella zona di competenza in posizione sostanzialmente monopolistica" non puo' essere definita apodittica o del tutto disancorata dalla piattaforma probatoria ma, a tutto concedere, illogica, vizio quest'ultimo non censurabile in questa sede. Sul piano giuridico, il ragionamento della Corte e' ineccepibile: laddove un'impresa, come " (OMISSIS) s.r.l.", venga utilizzata come strumento di realizzazione sul territorio degli interessi economici del sodalizio criminale, e' pienamente legittima la confisca dell'azienda e del suo patrimonio, a prescindere dalla eventuale origine formalmente lecita dei beni stessi, trattandosi di un'attivita' strutturalmente inquinata dagli interessi e dall'intimidazione mafiosa (Sez. 5, n. 32688 del 31/01/2018, Rv 275225), attivita' che, se successiva alla costituzione di essa, non permette piu' di differenziare i beni di genesi lecita da quelli di origine illecita, contribuendo ad una espansione e a un consolidamento della societa', con ruolo di primazia che, in difetto, non si sarebbe ravvisato. In conclusione, la " (OMISSIS) S.r.l." - la cui sostanziale riconducibilita' al proposto (OMISSIS) non e' mai stata contestata e' suscettibile di ablazione sia come incremento patrimoniale del nucleo familiare verificatosi durante la pericolosita' esistenziale di (OMISSIS) sia come impresa mafiosa. 2.2.1. Il discorso giustificativo a sostegno della confisca della somma di Euro 148.906,65, saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS) non e' ne' apparente ne' frutto di errore di diritto. La disposizione di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 comma 1, prevede la confisca dei beni "riferibili" al soggetto pericoloso, anche se formalmente intestati a terzi. La condizione del titolare, in tesi di accusa solo "formale" del bene, e' oggetto di particolare protezione da parte dell'ordinamento, nel senso che al fine di pervenire alla ablazione patrimoniale (con sacrificio del diritto di proprieta', qualificato come apparente) spetta alla parte pubblica l'onere della prova della sproporzione tra beni patrimoniali e capacita' reddituale del soggetto nonche' della illecita provenienza dei beni, dimostrabile anche in base a presunzioni, mentre e' riconosciuta al proposto la facolta' di offrire prova contraria (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262606 - 01). Il titolare formale puo', quindi, limitarsi ad allegare circostanze di fatto che appaiano tese a convalidare la "coincidenza" tra l'intestazione formale e l'impiego di risorse proprie o comunque "diverse" da quelle provenienti dal soggetto pericoloso (dunque la "realta'" dell'acquisto). Peculiare e' la posizione in cui versa il terzo, come la (OMISSIS), legato da rapporti di coniugio e convivenza con il proposto. In applicazione della massima di comune esperienza della comunanza di interessi patrimoniali e di redditi nell'ambito dell'unita' familiare entro cui si colloca la persona socialmente pericolosa, il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 26, comma 2, ha previsto specifiche presunzioni relative di fittizia intestazione di beni in capo al proposto di beni formalmente intestati a familiari. In ogni caso, e' pacifico che tale tipo di relazioni qualificate tra terzo e proposto costituisce sempre circostanza di fatto significativa li' dove il familiare risulti sprovvisto di effettiva capacita' economica (da ultimo Sez. 6, n. 14600 del 16/02/2021, Rv. 281611 - 01). Il familiare del proposto puo' sempre giustificare la disponibilita' esclusiva del bene del quale e' chiesta la confisca o la proporzione tra tale bene e le sue attivita' economiche allegando la provenienza lecita delle risorse finanziarie. Nel caso specifico della somma di Euro 148.906,65, l'allegazione della (OMISSIS) - ossia la derivazione del denaro dalla vendita di beni immobili a lei pervenuti a seguito di atti di liberalita' dei propri genitori - e' stata valutata, con motivazione esaustiva, non idonea allo scopo. La Corte territoriale ha osservato che, a prescindere dall'assenza di documentazione attestante il versamento alla (OMISSIS) delle somme sborsate dagli acquirenti degli immobili di sua proprieta' nel 2005, il rilevantissimo arco temporale di otto anni trascorso tra l'introito e l'apertura del conto corrente a lei intestato (il 26 marzo 2013) dove si trovava depositata la somma di denaro al momento del sequestro, in assenza di altre produzioni atte a colmare il vuoto conoscitivo, costituisce un ostacolo insuperabile per considerare il prezzo delle vendite immobiliari quale provvista utilizzata per i versamenti nel conto corrente. 2.3. Il quarto motivo, relativo alla valutazione delle somme elargite dalla " (OMISSIS) s.r.l." in favore di (OMISSIS) - oltre ad essere formulato in termini estremamente generici che impediscono di comprendere l'effettiva rilevanza della denunciata omissione di calcolo nel giudizio di proporzionalita' e adeguatezza delle risorse riconducibili alla sola (OMISSIS) rispetto a quelle impiegate per l'acquisto dei beni di cui e' stata disposta la confisca - non si confronta con il nucleo centrale del percorso argomentativo seguito dal provvedimento impugnato che, sulla scorta degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza e delle relazioni degli amministratori giudiziari, ha giustificatamente escluso il versamento di somme dalla " (OMISSIS) s.r.l." (OMISSIS) a titolo di retribuzione correlata alla sua attivita' di lavoratrice dipendente prevendendo alla diversa conclusione che tali somme costituivano, quasi integralmente, redditi di impresa. Al riguardo, la Corte di appello ha osservato che sin dalla costituzione di " (OMISSIS) s.r.l." la macelleria era stata gestita come un'impresa familiare (in cui erano coinvolti, formalmente quali dipendenti, i figli del proposto (OMISSIS) e (OMISSIS)) e che, per quanto la carica di qualita' di amministratore unico della societa' risultava attribuita a (OMISSIS), l'attivita' imprenditoriale di fatto era stata sempre esercitata da (OMISSIS), solo formalmente assunta come banconista. 2.4. Il quinto motivo, relativo alla confisca della somma di denaro di Euro 24.789,24, costituente il saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS) intestato a (OMISSIS), oltre a riproporre le argomentazioni giuridiche erronee gia' esaminate a proposto della confisca della somma di Euro 148.906,65 operata ai danni di (OMISSIS) (vedi par. 2.2.1.), contiene la denunzia di vizi motivazionali non sindacabili in questa sede. Nell'escludere la fondatezza della prospettazione difensiva, fondata sulla consulenza tecnica del Dott. (OMISSIS), secondo cui la giacenza del conto corrente derivava da elargizioni operate in favore di (OMISSIS) da parte della madre (OMISSIS) nel gennaio 2016 con provviste provenienti da donazioni risalenti agli anni 2004 e 2005, la Corte di appello ha, tutt'altro che illogicamente, osservato che i versamenti nel conto corrente, in assenza di documentazione bancaria a supporto ed in considerazione del tempo trascorso (circa dodici anni), non potevano in alcun modo essere considerati il reimpiego degli introiti leciti. 3. Al rigetto consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. CRISCUOLO Anna - rel. Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso il decreto del 17/06/2022 della Corte d'appello di Reggio Calabria; letti gli atti, il ricorso e l'ordinanza impugnata; udita la relazione del Consigliere Dott.ssa CRISCUOLO Anna; lette le richieste del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa CERONI Francesca, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Reggio Calabria ha confermato il decreto emesso il 9 ottobre 2019 dal locale Tribunale con il quale era stata applicata a (OMISSIS) la misura della sorveglianza speciale per la durata di 4 anni con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e cauzione di 3 mila Euro e disposta la confisca delle quote del 50% della (OMISSIS) Societa' S.r.l. e due trattori stradali. La pericolosita' sociale qualificata dello (OMISSIS) ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, lettera a) e b) e' stata fondata sulle risultanze del processo cd. Recherche, in particolare, sugli elementi desunti dall'ordinanza cautelare, coperta da giudicato, e dalla sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p., confermata in appello con sentenza del 22 febbraio 2021 - divenuta definitiva in data 11 maggio 2022 con il rigetto del ricorso dell'imputato -, che ne ha riconosciuto il ruolo di braccio destro del boss (OMISSIS), nel cui interesse gestiva il settore dei trasporti su gomma degli agrumi, oltre a gestire, insieme a (OMISSIS), anche il traffico di stupefacenti per conto della cosca. In particolare, ne e' stata riconosciuta l'attivita' di mediazione nel settore dei trasporti, gestita insieme a (OMISSIS) attraverso le societa' di trasporti (OMISSIS) e (OMISSIS), per la cui intestazione fittizia e' stata affermata la responsabilita' dello (OMISSIS), il cui ruolo di partecipe e regista del sistema mafioso imposto nel settore dei trasporti dalla cosca (OMISSIS) e' emerso dai colloqui intercettati, riportati nel decreto impugnato (pag. da 20 a 27), ritenuti confermativi delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (OMISSIS). Il giudizio di pericolosita' e' stato fondato anche sulle risultanze di un secondo procedimento, definito in grado di appello con sentenza di condanna del 5 dicembre 2019 per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti con il ruolo di partecipe anziche' con il ruolo direttivo originariamente contestato, e per un episodio di cessione, desumendosi dalla motivazione, riportata nel decreto, il ruolo operativo dello (OMISSIS) e la capacita' di intervento nelle trattative insieme a (OMISSIS). Dalla affermazione di responsabilita' per il reato di associazione mafiosa con condotta perdurante sino al 21 febbraio 2018 (data della sentenza di primo grado) e' stata desunta l'attualita' della pericolosita' sociale del proposto, tenuto conto del ruolo strategico svolto, del grado di intraneita' dimostrato dalle condotte per cui e' stata affermata la responsabilita' e della circostanza che i fatti presi in considerazione non sono risalenti rispetto alla data di emissione del decreto di primo grado nonche' dell'assenza di elementi da cui trarre segnali di interruzione del vincolo associativo o di un mutamento di stile di vita. La conferma della confisca e' stata fondata sulla stretta correlazione tra il periodo di manifestazione della pericolosita' sociale del proposto e l'epoca di acquisizione dei beni, ricavandosi dalle conversazioni intercettate la natura fittizia dell'intestazione delle societa', gestite di fatto dal proposto e dallo (OMISSIS), e la disponibilita' di fatto dei trattori stradali intestati alla (OMISSIS) S.r.l. tanto da sostenere anche gli oneri assicurativi. 2. Avverso il decreto ha proposto ricorso il difensore dello (OMISSIS), che ne chiede l'annullamento per due motivi. 2.1 Con il primo motivo denuncia la violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, lettera a), b) e c) e l'illogicita' della motivazione per violazione dei presupposti in punto di attualita' della pericolosita' sociale. La Corte di appello non ha tenuto conto ne' della deduzione difensiva, che segnalava la risalenza dell'operazione Recherche al 2011 e il lungo stato di detenzione del proposto, ne' dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita' in punto di attualita' della pericolosita' sociale, non potendo la stessa fondarsi su elementi pregressi e lontani nel tempo anche per gli appartenenti ad associazioni mafiose. Si denuncia l'incongruita' e il difetto di motivazione con riferimento ai presupposti dell'articolo 4, lettera a) e b) Decreto Legislativo cit. e la nullita' del provvedimento impugnato, in quanto la Corte di appello non ha valorizzato gli esiti del procedimento Recherche, definito con l'annullamento della condanna per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, e dell'altro procedimento per lo stesso reato associativo nel quale e' stata esclusa la qualita' di promotore del ricorrente, ritenuto mero partecipe. 2.2 Con il secondo motivo si deduce la violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 in relazione alla L. n. 356 del 1992, articolo 12 sexies nonche' la carenza e illogicita' della motivazione. La Corte di appello ha reso una motivazione apparente, in quanto ha fondato la decisione solo sull'esito di colloqui intercettati tra il proposto e (OMISSIS) nell'ottobre 2015 e su quelli intercettati a bordo dei mezzi a carico del (OMISSIS), ritenuto uomo vicino ai (OMISSIS), senza elementi concreti, non essendo sufficiente il solo riferimento alla sproporzione economica, potendo i redditi derivare da fonti lecite quali eredita', donazioni o vincite al gioco. L'accertamento dell'illecita provenienza va riferito ad ogni singolo bene nell'ambito di una ricostruzione complessiva della situazione reddituale e patrimoniale del proposto e dei suoi familiari, nella specie mancante. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile perche' proposto per motivi assolutamente generici e meramente oppositivi, che si risolvono nella contestazione della decisione sulla scorta dei principi affermati da questa Corte, ma senza una specifica censura delle argomentazioni poste a fondamento della stessa e senza un'analisi critica della motivazione, che si afferma essere apodittica, insufficiente e persino mancante. Dette censure risultano del tutto infondate a fronte della motivazione resa e della pluralita' degli elementi indicati nel decreto, tratti da ben due sentenze di condanna per reati associativi e reati fine, ma, soprattutto, dalla sentenza di condanna ormai definitiva per associazione mafiosa con ruolo direttivo, per essere lo (OMISSIS) ritenuto braccio destro di (OMISSIS) e in stretto contatto con (OMISSIS) e (OMISSIS), deputato a gestire il settore dei trasporti su gomma di agrumi e ad assicurarne il monopolio all'associazione. Assunti a base del giudizio di pericolosita' qualificata del ricorrente ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, lettera a), b) e c) gli elementi indicati nella sentenza di condanna - conversazioni intercettate, che confermavano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) -, nonche' nella sentenza di condanna per i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2, e articolo 73 stesso D.P.R., a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, la Corte di appello ha, in primo luogo, precisato che i fatti considerati ai fini del giudizio di pericolosita' non sono risalenti nel tempo, in quanto il reato associativo, contestato con formula aperta dal 2011 in permanenza, e' ritenuto perdurante sino alla sentenza di primo grado del 2018; le intestazioni fittizie sono del 2013 e 2014; il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e' del febbraio 2015, mentre il reato di cui all'articolo 74 stesso Decreto del Presidente della Repubblica e' contestato sino al febbraio 2016. In secondo luogo, ha attribuito rilievo: a) al ruolo chiave svolto dal ricorrente nel settore dei trasporti, di importanza strategica per la cosca; b) al rapporto fiduciario e di stretta collaborazione con il capo cosca, del quale aveva gestito la latitanza, informandolo dell'attivita' in corso, occupandosi dei suoi spostamenti e aiutando i sodali in difficolta'; c) alle intestazioni fittizie insieme allo (OMISSIS) delle due societa' confiscate ed alle fatturazioni di trasporti a nome di dette societa', funzionali a consolidare il monopolio nel settore e ad imporre ai produttori di avvalersi dei loro mezzi di trasporto, come confermato dalle chiarissime intercettazioni riportate nel decreto, che riscontravano le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) sul ruolo dello (OMISSIS) e sul rapporto fiduciario con il vertice della cosca. Analogo rilievo e' stato attribuito al ruolo assunto dal ricorrente nell'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, che, benche' non direttivo, e' comunque, risultato di controllo e operativo. Contrariamente all'assunto difensivo, il decreto impugnato rispetta i principi affermati da questa Corte secondo i quali ai fini dell'applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, e' necessario accertare il requisito della "attualita'" della pericolosita' del proposto, e, laddove sussistano elementi sintomatici di una "partecipazione" del proposto al sodalizio mafioso, e' possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilita' del vincolo associativo purche' la sua validita' sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell'accertamento di attualita' della pericolosita' (in questo senso Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271511). E' quindi consentito il ricorso alla presunzione semplice di stabilita' del vincolo associativo in caso di accertata partecipazione, ma devono sempre valutarsi le condizioni concrete sussistenti al momento di applicazione della misura: infatti, nella sentenza appena indicata e' stato precisato che "si deve conclusivamente affermare, alla luce del dato normativo e dello sviluppo della giurisprudenza di legittimita', avvalorata dalle piu' recenti pronunce giurisdizionali costituzionali e della Corte EDU, che il richiamo alle presunzioni semplici deve essere corroborato dalla valorizzazione di specifici elementi di fatto che le sostengano ed evidenzino la natura strutturale dell'apporto, per effetto delle ragioni di collegamento espressamente enucleate sulla base degli atti, onde sostenere la connessione con la fase di applicazione della misura" (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017 cit.). La Corte di appello non si e' affatto limitata a fondare il giudizio di pericolosita' sociale sulla presunzione di permanenza e stabilita' del vincolo associativo desunta dalla condotta precedente alla condanna, ma ha tenuto conto del livello del coinvolgimento del proposto nella pregressa attivita' del gruppo criminoso, del ruolo apicale assunto nella storica e pericolosa associazione mafiosa dei (OMISSIS), radicata ed egemone nel territorio, della mancata manifestazione da parte del proposto di comportamenti denotanti l'abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise e dell'elevato livello di pericolosita' del proposto, confermato anche nel secondo procedimento e attestato anche dal lungo periodo di detenzione. A fronte di tale completa analisi cede la censura difensiva sulla mancata considerazione dell'assoluzione dal reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 nel procedimento Recherche e dall'esclusione del ruolo apicale nel secondo procedimento esaminato, non trattandosi di elementi in grado di invalidare il giudizio di pericolosita' espresso. 2. Analoga sorte spetta al secondo motivo, stante l'assoluta genericita' della contestazione relativa al valore - neutro per la difesa - da assegnare alla sperequazione reddituale, ed alla possibilita' che i redditi non dichiarati al fisco provengano da altre fonti lecite, soltanto elencate, trattandosi di mera ipotesi, tant'e' che non si fornisce alcuna prova o elemento concreto che smentisca la sequenza negativa, riportata a pag. 10 e 11 del decreto impugnato, dalla quale, invece, coerentemente i giudici di merito hanno desunto l'indisponibilita' da parte dello (OMISSIS) di risorse lecite da investire in attivita' aziendali o nell'acquisto di mezzi di trasporto. L'indagine patrimoniale ha riguardato l'arco temporale dal 2006 al 2017 ovvero il periodo entro il quale si colloca la costituzione delle due societa' confiscate e la formazione del patrimonio aziendale; inoltre, le conversazioni intercettate, genericamente contestate nel ricorso, dimostrano chiaramente che il proposto le gestiva di fatto, utilizzando i trattori stradali della (OMISSIS) S.r.l. e fatturando a nome di dette societa', formalmente intestate a terzi (v. pag. 34-35). Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente determinata in tremila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RICCIARELLI Massimo - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del Tribunale di Potenza del 13/09/2022; visti gli atti e l'ordinanza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Enrico Gallucci; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Morosini Piergiorgio, che ha chiesto che il ricorso venga rigettato; Letta la memoria depositata dal difensore dell'indagato, Avvocato (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del riesame di Potenza con ordinanza in data 13 settembre 2022 (motivazione depositata il successivo 20 ottobre) ha parzialmente accolto l'appello del PM avverso l'ordinanza genetica del locale Gip del 16 novembre 2021 che, nell'applicare al (OMISSIS) la misura della custodia in carcere (poi sostituita con gli arresti domiciliari) in riferimento al delitto di corruzione continuata in atti giudiziari aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca della somma di cui l'indagato ha la disponibilita' fino alla cifra di Euro 75.935,50, ovvero, se cio' non fosse possibile, il sequestro "per equivalente" dei beni di cui l'indagato ha la disponibilita' per un valore corrispondente a tale profitto/prezzo, disponendo il sequestro nella misura richiesta dal PM pari alla somma di Euro 104,419,50. 2. Il particolare, l'addebito provvisorio a carico di (OMISSIS) ha ad oggetto la "protezione" accordata dall'indagato - appartenente all'Arma dei carabinieri e agente di PG - a tale (OMISSIS), trafficante di sostanze stupefacenti, per un periodo di circa cinque anni avvisandolo costantemente delle indagini a suo carico e fornendogli costantemente informazioni in merito, in cambio di una contropartita economica che il PM quantificava in Euro 104.419,50 (in particolare: 3.000 Euro in occasione di un primo contatto; 1.200 Euro al mese per l'intero periodo indicato, oltre agli extra che variavano da 1.000 a 3.000 Euro in ragione dell'importanza delle informazioni fornite). 3. Avverso l'ordinanza del riesame l'indagato, a mezzo del proprio difensore, ha presentato ricorso nel quale si deducono tre motivi, declinati come violazione di legge e vizio di motivazione. 3.1. I primi due motivi - tra loro correlati - concernono il quantum del sequestro che il Tribunale ha esteso senza una congrua motivazione e non tenendo conto che parte delle somme riscontrate dagli accertamenti di indagine concernono un periodo precedente o successivo ai fatti contestati (dei quali dunque non possono costituire il profitto o il prezzo). Sotto altro profilo, il provvedimento impugnato non ha tenuto conto della documentazione - formata in sede di investigazione difensiva e versata all'udienza dell'appello - che dimostrava che la determinazione della somma da parte del PM quale profitto degli episodi di corruzione era errata, in quanto 40.000 Euro oggetto di movimentazione da parte dell'indagato provenivano in realta' da donazioni da parte del di lui padre. Inoltre poiche' era stato gia' disposto il sequestro preventivo di un immobile dell'indagato dei valore di 200.000 Euro inutile si appalesava l'estensione del sequestro operata dal Tribunale. 2.2. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge in merito al profilo del periculum in mora, aspetto non preso in considerazione dal Gip e - illegittimamente - integrato, peraltro con motivazione apparente, dall'ordinanza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. 2. Infondato e' il terzo motivo di ricorso, nel quale si deduce la carenza motivazionale relativa alla sussistenza del periculum in mora. 2.1. Rileva il Collegio che, secondo un orientamento di questa Sezione, ai fini dell'adozione del sequestro preventivo preordinato alla confisca ex articolo 322-ter c.p., e' sufficiente, qualora sussista il "fumus" di uno dei delitti contro la pubblica amministrazione, il mero presupposto della confiscabilita' del bene, senza alcuna ulteriore specificazione in ordine alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio con sentenza di condanna e di applicazione della pena; e cio' alla luce dell'articolo 321 c.p.p., comma 2-bis, che contempla un'ipotesi speciale di sequestro preventivo funzionale alla confisca, con carattere obbligatorio, prevista per la categoria dei suddetti reati (Sez. 6, n. 12513 del 23/02/2022, Grandis, Rv. 283054). 2.2. In ogni caso, la soluzione non muta anche volendo aderire all'opposto orientamento, secondo cui il provvedimento di sequestro preventivo di cui all'articolo 321 c.p.p., comma 2-bis, finalizzato alla confisca nei procedimenti relativi a delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, deve contenere la concisa motivazione anche del "periculum in mora", sia in ipotesi di confisca obbligatoria che facoltativa, cosi' come di proprieta' o di valore (Sez. 6, n. 826 del 29/11/2022 - dep. 2023, Martorana, Rv. 284145). 2.3. Invero, l'ordinanza impugnata, con motivazione non manifestamente illogica e dunque insindacabile in questa sede, ha fornito adeguata spiegazione in ordine alle ragioni della ritenuta sussistenza di detto presupposto, riferendolo alla inclinazione al gioco d'azzardo dell'indagato e al connesso rischio concreto che, in assenza del vincolo reale, all'esito del giudizio l'eventuale confisca potrebbe risultare infruttuosa. 3. Fondati sono, invece, gli altri motivi. 3.1. Il Tribunale ha rideterminato, in aumento rispetto a quanto disposto dal Gip, la somma oggetto del sequestro preventivo sulla base degli accertamenti effettuati dalla PG (che all'esito delle verifiche relative ai versamenti di denaro contante, alle carte prepagate rilasciate a (OMISSIS), nonche' ai versamenti effettuati sul conto corrente dello stesso presso la (OMISSIS) e sulle carte di pagamento rilasciate al predetto da Poste Italiane, hanno indicato in Euro 114,775,50 "la disponibilita' di denaro contante di ingiustificata provenienza"). 3.2. Peraltro, come evidenzia la difesa, il periodo preso in considerazione dalla PG (dal (OMISSIS) al (OMISSIS)) eccede sensibilmente l'ambito temporale della contestazione ((OMISSIS)/(OMISSIS)) di tal che l'ordinanza impugnata avrebbe dovuto fornire adeguata motivazione in ordine alla circostanza che la quantificazione operata dalla PG fosse realmente congruente rispetto ai fatti illeciti addebitati al (OMISSIS). Sotto altro profilo, rileva il Collegio che tale lacuna motivazionale non puo' essere colmata attraverso il riferimento alle dichiarazioni del (OMISSIS) - indicato come il soggetto corruttore - il quale ha quantificato in "circa 107.000 Euro" le somme complessivamente versate all'indagato (somma dunque diversa, e inferiore, rispetto all'oggetto del sequestro). 3.3. Risulta altresi' che l'indagato ha prodotto in data 19 aprile 2022 una memoria difensiva a sostegno della tesi secondo la quale parte delle somme transitate sui conti dell'indagato e ritenute ingiustificate dalla PG trovassero in realta' ragione in elargizioni da parte del (OMISSIS). L'ordinanza impugnata non ha tenuto in considerazione detta memoria. Non e' stato dunque rispettato il principio secondo cui il giudice dell'appello cautelare, a cui sono presentati gli elementi di prova raccolti dal difensore a favore del proprio assistito, ha l'obbligo non solo di valutazione degli stessi ma di motivazione, ove li disattenda, circa le ragioni della ritenuta minore valenza rispetto alle altre risultanze processuali (Sez. 6, n. 7070 del 27/11/2009 - dep. 2010, Imbornone, Rv. 246074). 4. Alla luce delle precedenti considerazioni si impone, dunque, l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale del riesame di Potenza affinche', tenuto anche conto delle deduzioni difensive, fornisca adeguata motivazione in ordine alla congruenza delle somme oggetto del disposto sequestro rispetto agli addebiti contestati all'indagato. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Potenza, competente ai sensi dell'articolo 324 c.p.p., comma 5.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/02/2022 della Corte di appello, sezione distaccata, di Sassari; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Consigliere Dott.ssa DI GIOVINE Ombretta; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa SALVADORI Silvia, che ha concluso chiedendo alla Corte di dichiarare inammissibili i ricorsi presentati da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e di rigettare i ricorsi presentati da (OMISSIS) e (OMISSIS); udito l'avvocato (OMISSIS) in difesa della parte civile (OMISSIS), che conclude associandosi alle richieste del Procuratore Generale; udito l'avvocato (OMISSIS) in difesa della parte civile (OMISSIS), che conclude associandosi alle richieste del Procuratore Generale; udito l'avvocato (OMISSIS) in difesa delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che conclude associandosi alle richieste del Procuratore Generale; udito l'avvocato (OMISSIS) in difesa delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che conclude associandosi alle richieste del Procuratore Generale; uditi gli avvocati (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), conclude per l'accoglimento del ricorso e l'annullamento senza rinvio della sentenza per intervenuta prescrizione del reato; udito l'avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che conclude per l'accoglimento del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), che conclude per l'accoglimento del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), che conclude per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La sentenza in epigrafe, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, confermava la responsabilita' di (OMISSIS) e di (OMISSIS) per il reato associativo (articolo 416 c.p., comma 1) contestato al capo a), dichiarava non doversi procedere per il delitto di maltrattamenti in famiglia contestato agli stessi imputati al capo c) (articolo 572 c.p.) in quanto prescritto e rideterminava la pena in anni 5 di reclusione; dichiarava prescritti i reati di partecipazione ad associazione (capo a) e di maltrattamenti in famiglia (capo c) contestati a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); per tutti gli imputati venivano confermate le statuizioni civili. 2. Avverso la sentenza presenta ricorso (OMISSIS) (capi a e c) che, attraverso il suo difensore, avvocato (OMISSIS), ha dedotto i seguenti motivi di ricorso. 2.1. Inosservanza di legge processuale stabilita a pena di nullita' con riferimento all'articolo 522 c.p.p., in relazione all'articolo 516 c.p.p.. Alla ricorrente e' contestato (capo a) di aver, unitamente a (OMISSIS), promosso e di seguito costituito l' (OMISSIS) (d'ora in poi (OMISSIS)) ONLUS, in realta' diretta a creare una stabile struttura finalizzata alla commissione di vari delitti e, di seguito, di aver "partecipato" fattivamente al sodalizio prestandosi alla divulgazione, a livello nazionale, del protocollo terapeutico denominato "psiconeuroanalisi", inducendo numerose persone a contattare l'(OMISSIS) ONLUS e comunque indirizzando i pazienti verso (OMISSIS). Esiste una discrepanza tra il capo di imputazione, da cui si desume la contestazione dell'articolo 416 c.p., comma 2, (facendosi espresso riferimento al ruolo di "partecipe"), e la sentenza, che fa invece richiamo al comma 1 del medesimo articolo. Inoltre, il capo di imputazione e la sentenza di primo grado considerano la (OMISSIS) ONLUS elemento iniziale costituente presupposto della struttura associativa ex articolo 416 c.p.; la sentenza di secondo grado ritiene invece penalisticamente irrilevante la (OMISSIS) ONLUS (lecita e costituita per scopi leciti) e penalmente rilevante la sottesa associazione per delinquere. Di conseguenza, e precisato che a (OMISSIS) e' addebitato di aver partecipato alla costituzione della ONLUS (peraltro impropriamente, non corrispondendo tale affermazione al dato storico), non si comprende in che cosa sia consistito il suo ruolo apicale, configurandosi, al piu', una partecipazione, ai sensi dell'articolo 416-bis c.p., comma 2, al cui interno sono d'altronde sussumibili le condotte descritte nel provvedimento, essendo l'affermazione che colloca (OMISSIS) allo stesso livello di (OMISSIS) apodittica e indimostrabile. 2.2. Manifesta contraddittorieta' della motivazione in relazione al suddetto punto. 2.3. Vizio di motivazione con riferimento all'omessa valutazione di una prova decisiva. Il presupposto dell'intero impianto accusatorio e' l'esistenza di una pseudo-terapia, cioe' di un trattamento non soltanto non validato, ma somministrato in modo da suscitare nei pazienti false aspettative circa la sua efficacia. Dalla perizia chiesta dal pubblico ministero, disposta dal Giudice per le indagini preliminari ed eseguita dal Dott. (OMISSIS) e' pero' risultato che: complessivamente, i pazienti trattati hanno riscontrato miglioramenti piuttosto che peggioramenti; gli attuali presidi sanitari (farmacologici o meno) per il morbo di Alzheimer hanno efficacia molto modesta; per quanto riguarda la demenza frontotemporale, non sono disponibili farmaci specifici; esiste una letteratura, seppur scarsa, a sostegno della psiconeuroanalisi. Di tale documento non fanno cenno le sentenze di merito, per tal via dimostrando altresi' un atteggiamento di preconcetta chiusura nei confronti del modus procedendi della scienza. 2.4. Vizio di motivazione con riferimento alla contestazione della condotta di maltrattamenti (capo c). In mancanza di elementi concreti, la sentenza configura, infatti, un concorso morale, ipotizzando che, nel momento in cui indirizzava i pazienti a (OMISSIS), (OMISSIS) non potesse non conoscere portata e metodo della terapia utilizzata, ma non adduce alcun elemento a supporto di siffatta conoscenza. 2.5. Vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio. Nonostante le deduzioni difensive, la sentenza non motiva sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. 3. Presentano ricorso, per il tramite del loro difensore, avvocato (OMISSIS), (OMISSIS) (capi a e c), (OMISSIS) (capo a), (OMISSIS) (capo a), (OMISSIS) (capi a e c) ed (OMISSIS) (capo a). Premettendo che, anche in caso di prescrizione dei reati, in presenza di condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili costituite, permane l'interesse a ricorrere in capo a tutti gli imputati, alla luce di quanto statuito da Corte EDU 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino, i ricorrenti articolano i seguenti dodici motivi di ricorso. 3.1. Violazione dell'articolo 407 c.p.p., sotto il profilo della inutilizzabilita' degli atti successivi alla scadenza dei termini per le indagini preliminari (14/10/2012), non essendo il reato associativo di cui all'articolo 416 c.p. soggetto ad interruzione feriale dei termini. Il Tribunale aveva accolto la relativa eccezione; cio' nonostante, sono confluiti nel dibattimento atti che avrebbero dovuto essere inutilizzabili. L'eccezione e' stata riproposta dalla difesa in sede di appello, ma la Corte ha illegittimamente confermato l'ordinanza del tribunale ed ha ritenuto di non accogliere la richiesta di espellere i documenti dal fascicolo del dibattimento. 3.2. Violazione dell'articolo 210 c.p.p., per aver assunto la testimonianza - posta alla base della decisione assunta - di imputata in procedimento connesso ( (OMISSIS)), senza le prescritte garanzie. (OMISSIS) era indagata in procedimento connesso per diffamazione ai danni di (OMISSIS). L'eccezione veniva posta in primo grado e la Corte si riservava la decisione, ma non e' stato rinvenuto agli atti lo scioglimento della riserva. A seguito di rinnovo dell'istruzione dibattimentale per mutamento della persona fisica di uno dei membri del collegio, la teste veniva nuovamente sentita e, ancora una volta, nonostante le precedenti eccezioni dei difensori ed il permanere della posizione di indagata in procedimento connesso, essendo pendente il procedimento di opposizione all'archiviazione riguardo al reato di diffamazione, la teste era ascoltata senza le previste garanzie. 3.3. Violazione dell'articolo 429 c.p.p. per nullita' del decreto che dispone il giudizio. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Sassari emetteva decreto che dispone il giudizio, riportando pedissequamente tutti i capi di imputazione senza distinguere tra i vari capi di imputazione le diverse posizioni processuali. Successivamente, lo stesso giudice depositava una richiesta di astensione in cui precisava trattarsi della medesima vicenda per la quale aveva gia' disposto il rinvio a giudizio nei confronti di (OMISSIS) e di altri venti indagati, limitatamente all'ipotesi accusatoria dell'associazione a delinquere e dell'abuso d'ufficio, disponendo, invece, una sentenza di non luogo a procedere per i delitti di maltrattamenti in famiglia, lesioni e sequestro di persona. I due atti si contraddicono. Inoltre, non c'e' traccia agli atti della sentenza di non luogo a procedere per i delitti di maltrattamenti, lesioni e sequestro di persona (che avrebbe evitato la celebrazione del processo, la condanna penale e al risarcimento del danno). 3.4. Violazione della legge penale sostanziale e dell'articolo 47 c.p.p., in relazione alle modalita' adottate dal Tribunale con riferimento all'istanza di rimessione presentata da (OMISSIS). L'articolo in esame prevede che il giudice possa disporre la sospensione del processo in attesa della pronuncia della Corte di cassazione, il che, in questo caso, non e' avvenuto. Anzi, non vi e' traccia negli atti del processo ne' nella motivazione della sentenza dell'esito dell'istanza di rimessione con l'effetto che, quando il giudice di primo grado ha reso la propria decisione, il procedimento di rimessione era ancora pendente. 3.5. Violazione della legge penale sostanziale e processuale per violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, in relazione alla nullita' dell'intera fase dell'udienza preliminare. A seguito della ricusazione del primo giudice per le indagini preliminari, ne e' stato individuato un altro ( (OMISSIS)) diverso da quello designato per criterio tabellare ( (OMISSIS)). 3.6. Violazione dell'articolo 603 c.p.p. e vizio di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione dibattimentale per l'assunzione di una prova decisiva. La difesa aveva chiesto la rinnovazione istruttoria di undici prove. La Corte d'appello ha rifiutato l'istanza senza approfondimento. 3.7. Violazione della legge penale sostanziale e processuale (articolo 364 c.p.p.) in ordine alla violazione del diritto del contraddittorio ed al mancato rispetto delle condizioni di esecuzione di atti irripetibili. Il pubblico ministero ha disposto ed eseguito ispezioni su due pazienti in cura a (OMISSIS), che costituiscono atti irripetibili e quindi garantiti ai sensi dell'articolo 364 c.p.p. Il difensore non e' stato avvisato e, pertanto, non ha assistito alle ispezioni. La nullita' insanabile che ne deriva si propaga alla sentenza, la quale fa proprie le risultanze di tali atti per fondare la responsabilita' dei ricorrenti. 3.8. Violazione della legge penale e vizio di motivazione in rapporto ai reati ascritti, ancorche' dichiarati estinti per prescrizione. Ribadito l'interesse degli imputati a veder riconosciuta, anche in tal caso, la propria innocenza al fine di ottenere la revoca alla condanna al risarcimento del danno, i ricorrenti osservano come l'affermazione di responsabilita' si basi esclusivamente sulle dichiarazioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi chiamati in correita' ma con posizioni definite con sentenze ormai irrevocabili. La Corte d'appello si limita infatti ad un generico richiamo all'articolo 192 c.p.p., sostenendo l'esistenza di testi, documenti, filmati, intercettazioni tutti convergenti con il narrato dei due soggetti senza menzionare analiticamente quali sarebbero questi elementi. Per contro non attribuisce alcun pregio ai testi portati dalla difesa, liquidando laconicamente le relative deposizioni come inerenti ad aspetti marginali. Inoltre i giudici basavano il proprio il giudizio di attendibilita' sulla circostanza che ne' (OMISSIS) ne' (OMISSIS) avessero tratto vantaggio dalle dichiarazioni in alcuni casi addirittura auto-accusatorie, sebbene tali dichiarazioni siano lacunose e contraddittorie e, quindi, non potessero considerarsi attendibili. (OMISSIS) che, fino a poco tempo prima del suo pentimento, rivestiva il ruolo di Presidente della (OMISSIS), lungi dal farsi mero veicolo delle indicazioni terapeutiche di (OMISSIS), era la persona la quale praticava direttamente i trattamenti sui pazienti. (OMISSIS), che si e' autoaccusato delle violenze sulla moglie, ha dapprima riferito di aver agito su indicazione di (OMISSIS); quindi, provato dalla custodia cautelare, a distanza di mesi ha cambiato versione, accusando (OMISSIS). 3.9. Violazione della legge penale sostanziale e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilita' per i maltrattamenti asseritamente realizzati da (OMISSIS) sui pazienti (OMISSIS), (OMISSIS); (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e da (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla paziente (OMISSIS). Si ribadisce come siano state disattese le numerose testimonianze a discarico per ritenere invece l'attendibilita' del teste (OMISSIS), e si aggiunge che questi era animato dal rancore per essere stato cacciato dall'associazione e aver perso il lavoro come badante di un paziente ( (OMISSIS)) (sul quale aveva agito in modo maltrattante). Si insiste sul fatto che la versione accusatoria di (OMISSIS) e (OMISSIS) non avesse riscontri, se non contrari, aggiungendo che molti altri pazienti, trattati da (OMISSIS), non abbiano sporto denuncia e che la fonte delle dicerie, diffuse mediante i post pubblicati da "(OMISSIS)" fosse sempre (OMISSIS). Le accuse deriverebbero, quindi, da una mis-interpretazione del metodo (OMISSIS), sperimentato su alcuni pazienti e suscettibile di arrecare notevoli giovamenti nei casi di demenza mentale, se non di assicurare la guarigione. Se eccessi ci sono stati, sono derivati dall'errata applicazione delle istruzioni impartite da (OMISSIS) a chi doveva trattare i malati, senza che al primo potesse muoversi alcun rimprovero. Infine, sussiste incompatibilita' logica tra le condotte di maltrattamento e il raggiro che e' alla base della truffa e che dovrebbe piuttosto consistere in comportamenti di blandizie. 3.10. Violazione della legge penale e vizio della motivazione quanto alla ritenuta responsabilita' per i delitti di truffa commessi dagli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Si deduce l'insussistenza degli elementi costitutivo degli artifizi o raggiri, nonche' dell'evento "ingiusto profitto patrimoniale". I pazienti si rivolgevano a (OMISSIS) dopo aver visitato il sito Internet intitolato "(OMISSIS)" o perche' gli erano indirizzati dalla dottoressa (OMISSIS). (OMISSIS) sceglieva i pazienti sui quali riteneva potessero aversi effetti benefici; quindi, riduceva gradualmente i farmaci e prescriveva esami cerebrali (SPECT), allo scopo di monitorare i progressi. Nessuno dei medici prometteva guarigioni miracolose, condotta nella quale e' fatto consistere l'inganno. Ne' decettivo e' il nome del sito "(OMISSIS)", che rappresentava una dichiarazione di intenti, piuttosto che una petizione di principio, ed era mutuato dal titolo di un libro pubblicato la prima volta in America (dato non considerato dalla Corte di appello). Peraltro, sul sito, contrariamente a quanto affermato nelle sentenze, erano pubblicate anche le recensioni negative. Sulla base delle sole dichiarazioni di (OMISSIS), la Corte d'appello ritiene poi false le attestazioni di guarigione, trascurando le numerose testimonianze di miglioramenti nei propri cari. Quanto al caso (OMISSIS), costui e' il protagonista del libro in cui (OMISSIS) descrive le terapie e gli esercizi prescritti. (OMISSIS) nega di aver riportato miglioramenti ma questa affermazione e' riconducibile al timore di perdere la pensione di invalidita' civile di cui gode, come anche dimostrato dal fatto che non ha denunciato alcun insuccesso finche' e' rimasto nascosto dietro lo pseudonimo (OMISSIS). Le terapie cognitivo-comportamentali di (OMISSIS), brillante giovane medico, sono poi state validate dal Prof. (OMISSIS) il quale ha riferito come il lavoro di (OMISSIS) sia stato portato anche a convegni di livello internazionale, come quello di (OMISSIS). Quanto alla perizia del Dott. (OMISSIS), essa evidenziava come diversi pazienti trattati con il metodo (OMISSIS), avessero mostrato miglioramenti comportamentali nell'eloquio, nella deambulazione e nell'aggressivita', anche se il consulente afferma di non poter accertare questa circostanza con rigore scientifico, in quanto non aveva visitato i pazienti prima di tali miglioramenti. Alla luce di tale premessa, il Dott. (OMISSIS) non avrebbe pero' neppure potuto sostenere il contrario. La buona fede di (OMISSIS) e dei suoi colleghi era dimostrata anche dal fatto che sottoponevano alla comunita' scientifica i risultati delle loro sperimentazioni: elemento invece inteso dalla Corte d'appello come tentativo di propagandare il proprio operato per scopi commerciali. Il parere negativo del comitato etico dell'ospedale e' poi dipeso non un giudizio sul merito della terapia, bensi' da ragioni burocratiche, di talche' la sperimentazione, inizialmente avviata all'interno della struttura pubblica, era stata spostata nell'ambulatorio privato dell'imputato. Non si comprende, dunque, in che cosa consista il raggiro, i giudici avendo confuso i normali approcci scientifici "per tentativo ed errore con un atteggiamento truffaldino. I rapporti con la struttura pubblica, inizialmente indicati nel sito (dove comparivano i contatti dell'ospedale, perche' ivi si era inizialmente avviata la sperimentazione), sono stati prontamente rimossi, appena ricevuta la relativa segnalazione. Della truffa non si ravvisa nemmeno l'elemento costitutivo rappresentato dall'ingiusto profitto, i compensi percepiti da (OMISSIS) - in misura variabile tra 50 e 150 Euro -, costituendo la normale retribuzione per l'attivita' professionale prestata anche durante le ore notturne e i giorni di festa. Quanto ai ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sono contestate le donazioni che l'(OMISSIS) ONLUS, su loro sollecitazione, avrebbe ricevuto da alcuni soggetti, e che sono state, invece, affatto volontarie e spontanee. Il giudice dell'appello qualifica, inoltre, come ingiusto profitto anche il provento della vendita del libro, stampato, in realta', in tremila copie di cui sono state vendute soltanto qualche centinaio. Essendo il costo di ciascuna copia trentacinque Euro, il provento delle vendite e', dunque, servito a coprire i costi di stampa; se qualche cifra e' residuata, e' confluita nei miseri i fondi della Associazione, senza che ne sia stata provata l'utilizzazione per fini diversi da quelli associativi. 3.11. Violazione della legge penale sostanziale e vizio di motivazione in rapporto alla contestata ipotesi di associazione a delinquere. La sentenza ritiene l'esistenza di un'associazione per delinquere parallela ("setta") all'(OMISSIS) ONLUS (legalmente riconosciuta e di natura socioassistenziale), al cui interno ritaglia i diversi ruoli degli imputati, senza che tuttavia si colgano i profili di illiceita' di tale associazione. I numeri di telefono della clinica (OMISSIS) sono comparsi, sino ad aggiornamento, sul sito "(OMISSIS)" dell'Associazione per le ragioni in precedenza indicate e mai nessuno ha millantato che l'attivita' si svolgesse all'interno di una struttura pubblica; (OMISSIS) indirizzava i pazienti a (OMISSIS) in coscienza, essendo persuasa della bonta' della terapia; nessuno dei membri di (OMISSIS) (tantomeno (OMISSIS)) fissava appuntamenti con (OMISSIS) o (OMISSIS), limitandosi a fornire informazioni; la denominazione del sito non intendeva essere truffaldina; l'attivismo dei membri dell'(OMISSIS) e l'organizzazione interna erano motivati soltanto dalla fiducia nella terapia; le dichiarazioni pubblicate sul sito non erano false ma attestavano miglioramenti reali della salute dei pazienti; non vi era alcun programma criminoso; che l'intento non fosse quello di lucro e' dimostrato dal fatto che veniva operata una scrematura dei pazienti e che erano scelti soltanto quelli rispetto ai quali (OMISSIS) e (OMISSIS) intravedevano possibilita' di miglioramenti; le terapie venivano discusse nelle sedi scientifiche e nelle pubblicazioni in modo pubblico e tutt'altro che occulto. Dell'articolo 416 c.p. manca poi il dolo, avendo tutti i componenti di (OMISSIS) ONLUS agito in perfetta buona fede, persuasi della bonta' del metodo, sostenuto da uno stimato professionista il quale lo aveva elaborato sin dalla sua tesi di specializzazione, con cui ottenne il massimo dei voti, e sottoposto al vaglio della comunita' scientifica, ricevendo riconoscimenti in sedi anche internazionali. 3.12. Prescrizione del delitto di associazione per delinquere ascritto a (OMISSIS), da riconoscere in via subordinata rispetto all'annullamento della sentenza. 4. Ha presentato ricorso contro la sentenza altresi' (OMISSIS) che, per il tramite del suo difensore, avvocato (OMISSIS), avendo preliminarmente rilevato che la prescrizione dell'unico reato a lui contestato (capo a) e' stata pronunciata nonostante l'evidenza del difetto del dolo, presenta un unico motivo, in cui eccepisce violazione della legge penale per errata applicazione della fattispecie di associazione per delinquere (articolo 416 c.p.) e correlato vizio di motivazione. La sentenza di appello non si confronta con le censure dedotte, limitandosi a riproporre acriticamente gli assunti della pronuncia di primo grado. Venute meno tutte le iniziali contestazioni nei confronti dell'imputato, la sentenza del Tribunale condanna Dettori per associazione per delinquere riferendosi a una serie di condotte che non sono mai state oggetto di specifica contestazione: partecipazione alle lezioni di (OMISSIS) e sostituzione dello stesso quando assente; apporto per la fondazione di una casa editrice e cura dei paragrafi del libro di (OMISSIS); iscrizione alla associazione (OMISSIS) ONLUS; incontri conviviali con altri imputati. L'unica condotta effettivamente contestata, l'avere divulgato tramite socia/ network il testo di una petizione formata da altri, e' stata nei precedenti termini, sempre ammessa dal ricorrente, ma non valeva, in se' considerata, a sorreggere l'ipotesi accusatoria. Manca, infatti, nella pronuncia di primo grado, la prova che Dettori fosse consapevole della funzionalita' di tale comportamento al progetto delinquenziale perseguito. 5. Sempre ai fini della caducazione delle statuizioni civili (capo c), anche (OMISSIS) ha presentato ricorso, per il tramite del suo difensore, avvocato (OMISSIS), articolando i seguenti tre motivi. 5.1. Violazione della legge penale processuale relativa alla mancata corrispondenza tra imputazione e sentenza, nonche' vizio di motivazione. A (OMISSIS) erano contestati: in concorso con altri, il delitto di maltrattamenti (articolo 572 c.p.) nei confronti di (OMISSIS), realizzato sul piano psicologico (mediante ingiurie) con esclusione di ogni atto di violenza fisica; l'omicidio colposo (articolo 589 c.p.) per aver, attuando un percorso terapeutico gravemente inadeguato, concausato (articolo 113 c.p.) il suicidio del giovane. In particolare, (OMISSIS) avrebbe convinto il paziente della origine psicosomatica dei suoi disturbi; avrebbe formulato un'errata e improbabile diagnosi di demenza e una diagnosi di tipo psicoanalitico di personalita' narcisistica (negativa); avrebbe vietato al paziente di assumere farmaci e di farsi assistere da uno psichiatra. La sentenza di primo grado lo condanna per maltrattamenti in famiglia (articolo 572 c.p.) in relazione al compimento di condotte diverse da quelle originariamente ipotizzate nel capo di imputazione e, mediante una torsione interpretativa, piuttosto mutuate da quelle, peraltro colpose, del capo j (omicidio colposo), in relazione alle quali e' stato tuttavia assolto. La sentenza di appello, dinanzi alla quale l'eccezione era stata sollevata, si limita assertivamente a ritenere ininfluenti simili imprecisioni, incorrendo peraltro in ulteriori contraddizioni. 5.2. Errata interpretazione della fattispecie di maltrattamenti in famiglia per difetto dell'elemento oggettivo, rappresentato dall'"affidamento per ragioni di cura", e vizio di motivazione. Ai fini della sussistenza dell'elemento in oggetto occorre un rapporto quotidiano e protratto di affidamento che, nel caso di specie, non sussisteva (ne' per "cura" deve intendersi la terapia medica, rilevando piuttosto il significato latino del termine). Il motivo, dedotto in appello, e' liquidato dal giudice di secondo grado, affermando la sussistenza del rapporto di para-familiarita' tra (OMISSIS) e (OMISSIS), costituitosi in ragione del protrarsi delle visite con cadenza di almeno una volta alla settimana nell'arco temporale di poco piu' di due mesi, con un totale di circa 8/10 visite complessive, senza che sia stata dimostrata la produzione, nel caso di specie, di uno stato di vessazione nella persona offesa. 5.3. Errata interpretazione della fattispecie di maltrattamenti in famiglia e mancata motivazione in ordine alla dedotta assenza dell'elemento soggettivo. Si censurano plurimi fraintendimenti delle risultanze probatorie (non risultando che le condotte della terapia (OMISSIS) siano mai state poste in essere nei confronti del paziente); si eccepiscono contraddizioni della motivazione (dove si afferma, ad esempio, che (OMISSIS) consiglio' alla madre di (OMISSIS) di rivolgersi a uno psichiatra ma poi si aggiunge che avrebbe tenuto il ragazzo lontano da specialisti); lamenta la mancata prova del dolo unitario di maltrattamenti in famiglia, eccezione cui la Corte di appello ha risposto in modo soltanto apparente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso di (OMISSIS) e' infondato. 1.1. La mancata correlazione tra accusa e sentenza, dedotta nel primo motivo, non sussiste. Al di la' dei diversi lemmi sul ricorso ai quali il motivo indugia, il senso delle proposizioni linguistiche ricorrenti nel capo di imputazione, nella pronuncia di primo grado e nella sentenza di appello, e' sempre lo stesso, e muove inequivocabilmente verso la configurazione della responsabilita' della ricorrente ex articolo 416 c.p., comma 1 (e non comma 2). Ne', anche a ritenere diversamente, l'eventuale divergenza avrebbe incrinato l'esercizio dei diritti di difesa, posto che le condotte di (OMISSIS) sono state articolatamente fotografate sin dal capo di imputazione, sicche' essa non avrebbe integrato alcuna nullita'. D'altronde, in base al dettato testuale dell'articolo 416 c.p., comma 1, il ruolo apicale si concreta gia' solo per aver "organizzato" l'associazione, cio' che le sentenze di merito reputano acclarato in virtu' del ruolo "fattivo" di (OMISSIS). Tale ruolo e' tutt'altro, poi, che meramente asserito. Le sentenze di merito precisano, infatti, che il fondamentale apporto di (OMISSIS) e' consistito nell'attivita' di proselitismo e sponsorizzazione dell'(OMISSIS): (OMISSIS) faceva la visita iniziale ed indirizzava i pazienti a (OMISSIS) attraverso la struttura ospedaliera pubblica, i cui recapiti comparivano sul sito dell'(OMISSIS); pilotava le scintigrafie allo scopo di attestare successi terapeutici inesistenti; rassicurava sistematicamente i parenti dei pazienti prospettando falsi progressi, se non parlando di avvenuta remissione dell'Alzheimer in toni con le parole della sentenza d'appello - misteriosofici; esercitava una vera' e propria leadership alle riunioni dell'(OMISSIS) ONLUS, dove affiancava (OMISSIS) nella illustrazione dei fondamenti del metodo ed interveniva frequentemente per specificare o esemplificare o ulteriormente sviluppare i suoi insegnamenti. Insomma, rivestiva un ruolo tutt'altro che secondario e meramente esecutivo all'interno del sodalizio criminoso. Per quanto attiene al connesso profilo dei rapporti tra (OMISSIS) ONLUS e associazione per delinquere di cui all'articolo 416 c.p., la distinzione postulata nel ricorso si fonda, anche in questo caso, su una lettura atomistica e decontestualizzante di alcune affermazioni, e risulta, per tale motivo, artificiosa e strumentale. Emerge infatti chiaramente, leggendo la sentenza, che la Corte di appello ha distinto i piani soltanto perche', a seguito dell'approfondimento probatorio condotto nel giudizio, e' emersa una diversificazione di posizioni e sono cadute le imputazioni originariamente formulate nei confronti di alcuni protagonisti della vicenda storica, quali i familiari dei malati. Di conseguenza, e' venuta meno l'astratta coincidenza tra l'area concettuale dell'(OMISSIS) ONLUS e quella dell'associazione criminale, la seconda essendo metaforicamente raffigurabile, piuttosto, come un cerchio concentrico collocato all'interno della prima. Ne' potrebbe ovviamente dubitarsi che un'associazione per parte lecita possa fungere da schermo, da paravento rispetto ad un'organizzazione criminale, in quanto tesa alla commissione di reati, rappresentando tale eventualita', cui e' riconducibile la vicenda oggetto di giudizio, piuttosto la norma e non l'eccezione. Il motivo deve essere dunque rigettato. 1.2. Essendo, per le enunciate ragioni, la motivazione della sentenza impugnata non manifestamente illogica ne' contraddittoria, anche il secondo motivo di ricorso e' destituito di fondamento. 1.3. Nel terzo motivo di ricorso ci si duole della mancata considerazione, da parte di entrambe le sentenze di merito, dell'elaborato peritale del Dott. (OMISSIS), a cui - come ricorda la ricorrente - era stato chiesto di accertare: se la sospensione delle cure tradizionali ovvero la sottoposizione al trattamento (OMISSIS) avesse provocato peggioramenti o miglioramenti dello stato dei pazienti; quali fossero gli attuali protocolli medici e riconosciuti in ordine alle patologie riscontrate nei suddetti pazienti e comunque in materia di Alzheimer; se la psiconeuroanalisi avesse riscontri nella letteratura scientifica nazionale o internazionale. Tale omessa considerazione rivelerebbe il preconcetto atteggiamento di chiusura dei giudici nei confronti del modus procedendi della scienza. Non corrisponde del tutto al vero, tuttavia, che le sentenze abbiano pretermesso ogni riferimento alla perizia in esame. Nel ricostruire il compendio probatorio acquisito in primo grado, le sentenze di merito dedicano ampio spazio alle dichiarazioni in dibattimento del Dott. dalle quali emerge la conferma' di quanto indicato nella perizia, prodotta dalla ricorrente in allegato, a proposito del carattere a-scientifico della supposta sperimentazione (p. 56 sentenza di primo grado; 70 s. sentenza di secondo grado). La psiconeuroanalisi, quale terapia cognitivo-comportamentale, in astratto vuoi anche dotata di dignita' teorica - a prescindere, cioe' dagli assai poco ortodossi metodi operativi usati nel caso di specie (non a caso, ascritti dai giudici di merito nel tipo del maltrattamenti in famiglia di cui all'articolo 572 c.p.) - non era stata testata mediante trials randomizzati e controllati (RCT), ne' possedeva la caratteristica della replicabilita' per l'insufficiente chiarezza metodologica messa a disposizione. Cio' significa, come affermato nella citata perizia e confermato dallo stesso Dott. (OMISSIS) in dibattimento, che la psiconeuroanalisi non seguiva un "metodo scientifico". Essa non era definibile, dunque, neppure nel suo nucleo concettuale (prescindendo cioe' - lo si ripete - dalle modalita' concrete attuative) una scienza. Infatti, la sperimentazione in ambito scientifico non si basa sul mero approccio clinico (tantomeno sull'argomento dell'ipse dixit, chiosano i giudici di merito, precisando che l'autorita' cui si riferisce tale argomento sarebbe quella di (OMISSIS)). Tantomeno e' anomica, come assunto da questa e da altri ricorrenti. Al contrario, la sperimentazione deve rispettare precise condizioni e uniformarsi a protocolli che ne garantiscano - nel pieno ed informato consenso di malati o dei loro familiari - un controllo ex post, secondo i canoni della scienza ed anche dell'etica della ricerca scientifica. Inutile precisare che tali condizioni, generalmente valide, divengono vieppiu' stringenti la' dove - sempre in disparte la valutazione dei truci metodi operativi in concreto praticati - i malati vangano totalmente privati, ed e' il caso di specie, dei supporti farmacologici tradizionali (riconosciuti dalla "vera" scienza), cosi' producendo l'effetto di accelerare o di non rallentare il decorso della malattia, e comunque di incidere negativamente sulla qualita', gia' molto bassa, della vita dei pazienti. Inutile precisare, ancora, che tali elementi erano sicuramente noti alla ricorrente, in ragione della sua formazione e specializzazione medica di neurologa. Sebbene non sia, a questo punto, forse nemmeno necessario, va inoltre puntualizzato come dalla perizia del Dott. (OMISSIS), allegata al ricorso, risulti, e' vero, che in alcuni casi i malati avrebbero migliorato la loro condizione. Tali progressi sono stati pero' tutti riferiti dai parenti dei malati (suggestionati e provati da grandi sofferenze psichiche) e non constatati, in prima persona, dal Dott. (OMISSIS). Ne' avrebbe potuto essere diversamente, posto che il Dott. (OMISSIS) - come incidentalmente ammesso in uno dei ricorsi - dichiarava di non conoscere le condizioni pregresse dei pazienti. Il che inficia fortemente, sul piano logico, la forza probatoria della deduzione difensiva, rendendola, pertanto, generica. 1.4. Quanto al quarto motivo di ricorso e all'eccepita mancata esplicitazione delle ragioni che avrebbero condotto i giudici a ritenere provato, in capo a (OMISSIS), il dolo dei maltrattamenti, vero e' che i giudici, nel rispondere a tale eccezione, gia' dedotta in appello, concludevano fugacemente (p. 340) che (OMISSIS) non poteva ignorare la reale portata e il metodo del trattamento. Va, tuttavia, considerato che la stessa sentenza di secondo grado riproduce il quadro probatorio formatosi in primo grado a carico dell'imputata (pp. 161-170), tornando peraltro frequentemente sulle sue condotte. Attribuisce, dunque, a (OMISSIS) un ruolo affatto primario, consistito, tra l'altro, nel sistematico indirizzamento dei malati, per il tramite dell'ospedale presso cui lavorava - i cui recapiti erano pubblicati nel sito "(OMISSIS)" -, verso (OMISSIS), ma anche nella partecipazione a riunioni e incontri in cui affiancava, spalleggiava e finanche sopravanzava (OMISSIS) nella illustrazione dei fondamenti del metodo, comprensivo del ricorso alla violenza, sia fisica, sia morale. Durante tali incontri venivano infatti illustrati i casi trattati di "istero-demenza", rappresentando la necessita' di smascherarne la finzione da parte dei pazienti, se necessario, attraverso coercizione sugli stessi (si trattava di aspetto affatto centrale del metodo medesimo). Se si prescinde da una lettura decontestualizzante ed atomistica della motivazione, emerge, dunque, un ragionamento probatorio complessivo con il quale la deduzione difensiva non si confronta. 1.5. Il quinto motivo, relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, e' assorbito per effetto dell'avvenuta estinzione del reato, come immediatamente di seguito precisato. 1.6. Risultando, infatti, il delitto di associazione per delinquere commesso in data compresa tra il 6 settembre 2010 e il 2 agosto 2012, ed essendo la pena massima per esso prevista (articolo 416 c.p., comma 1) sette anni di reclusione, valutato l'aumento fino ad un quarto ai sensi dell'articolo 161 c.p. (che porta il tempo della prescrizione ad otto anni e otto mesi), considerati altresi' i periodi di sospensione (un anno, due mesi e ventuno giorni), il reato risulta prescritto il 23 giugno 2022. Va dunque dichiarata l'estinzione del reato di associazione per delinquere per intervenuta prescrizione. La sentenza impugnata deve essere, dunque, per la sola parte relativa, annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS). Restano ferme le statuizioni civili. 2. Quanto ai ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), per chiarezza va premesso che la sentenza di secondo grado aveva dichiarato la prescrizione del delitto di maltrattamenti (articolo 572 c.p.) per cui in primo grado erano stati condannati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (capo c), nonche' del reato associativo di cui all'articolo 416 c.p., comma 2, ascritto a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (capo a), residuando la sola ipotesi di reato associativo di cui all'articolo 416 c.p., comma 1, a carico di (OMISSIS). Va anche precisato, quanto all'interesse a ricorrere degli imputati per i quali sia stato dichiarato il proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato, che i principi richiamati in apertura del ricorso, inerenti ai rapporti tra accertamento in sede diversa da quella penale ai fini della responsabilita' civile e proscioglimento per avvenuta prescrizione del reato, non sono riferibili al giudizio penale e alle situazioni in cui - come nel caso di specie vi sia stato previo e compiuto accertamento, nei due gradi del giudizio merito, della responsabilita' penale. Cio' detto, i ricorsi sono inammissibili con riferimento a tutti gli imputati. 2.1. Generico appare il primo motivo di ricorso, relativo alla confluenza, nel fascicolo del dibattimento, di atti che non avrebbero potuto farne parte, perche' assunti dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari. Il motivo si limita a rinviare all'elencazione contenuta nell'atto - si suppone presentato in appello - di altro difensore e ai "documenti datati 09.12.2014 e 16.04.2013", senz'altro precisare quanto alla loro incidenza sul complessivo compendio indiziario, impedendo, quindi, a questa Corte di apprezzarne la decisivita', ai fini dell'invocata decisione di annullamento del provvedimento impugnato. 2.2. Inammissibile e' pure il secondo motivo, relativo al mancato rispetto delle garanzie con cui avrebbe dovuto essere sentita la teste (OMISSIS), "ritenuta tra i principali riscontri alla deposizione del fratello (OMISSIS)", in quanto indagata per diffamazione ai danni di (OMISSIS) e, dunque, in procedimento connesso. Premesso che la testimonianza di (OMISSIS) era una delle plurime prove a carico degli imputati, sul punto ci si limita a rilevare la genericita' del motivo, non precisando in che cosa consista la decisivita' della deposizione asseritamente viziata, a fronte di un compendio comunque articolato in cui, a riscontro delle dichiarazioni di (OMISSIS), erano confluite altresi' la testimonianza, seppure indiretta, del marito (separato e, pertanto, secondo la Corte, vieppiu' credibile) di (OMISSIS), quella della figlia di entrambi, (OMISSIS), all'epoca dei fatti undicenne, i filmati in cui (OMISSIS) parla dell'uso "terapeutico" della violenza sui pazienti per indurli a desistere dalla simulazione della malattia. 2.3. Del pari inammissibile e' il terzo motivo di ricorso. Al di la' di quanto affermato nel ricorso, non emerge dalle sentenze di merito il non luogo a procedere cui, secondo i ricorrenti, avrebbe fatto riferimento il Giudice per le indagini preliminari nella richiesta di astensione in primo grado, in relazione ai delitti di maltrattamenti in famiglia, lesioni e sequestro di persona, ne', per ammissione dei ricorrenti stessi, il provvedimento risulta agli atti. E comunque il motivo non sarebbe valutabile, non essendo stato previamente dedotto in appello. 2.4. Analoghe considerazioni valgono con riferimento alla richiesta di rimessione del processo, ex articolo 46 c.p.p., che i ricorrenti assumono essere stata presentata nel primo grado di giudizio. Posto che la trasmissione della richiesta di rimessione del processo alla Corte di Cassazione non si ispira ad automatismo (Sez. 4, n. 17636 del 25/03/2010, Del Papa, Rv. 247331, in base alla quale, in tema di rimessione del processo, l'obbligo di immediata trasmissione degli atti alla Corte di Cassazione di cui all'articolo 46 c.p.p. non sussiste nel caso in cui si sia in presenza di una richiesta di rimessione priva di motivazione o presentata da soggetto non legittimato), la sospensione obbligatoria del processo, prevista dall'articolo 47 c.p.p., comma 2, puo' essere disposta dal giudice procedente solo in presenza di una duplice condizione, e cioe' che il processo stia per entrare in una fase processuale particolarmente qualificata (prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione, ovvero prima della pronuncia del decreto che dispone il giudizio o della sentenza) e che al giudice sia pervenuta la notizia che l'istanza di rimessione sia stata assegnata alle Sezioni unite o, comunque, ad una sezione competente a decidere nel merito (Sez. 3, n. 25800 del 01/07/2015, dep. 2006, C., Rv. 267322). Nulla il ricorso precisa quanto alla integrazione di tali condizioni, di talche', in assenza di ulteriori allegazioni, l'eccezione, anch'essa peraltro sollevata per la prima volta nel presente giudizio di cassazione, non risulta valutabile. 2.5. Il quinto motivo e' manifestamente infondato, posto che, per pacifica e risalente giurisprudenza di questa Corte, l'inosservanza delle disposizioni tabellari sulla formazione dei collegi giudicanti non integra la nullita' assoluta riguardante la capacita' del giudice prevista dall'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a), ma costituisce una irregolarita' amministrativa, a meno che la diversa composizione sia del tutto arbitraria e non sorretta da uno specifico provvedimento di assegnazione presidenziale (per tutte, Sez. 3, n. 4841 del 18/07/2012, dep. 2013, Mocanu Sticlaru, Rv. 254406): evenienza che, in questo caso, non risulta inverata. 2.6. Il sesto motivo, in cui si deduce la mancata rinnovazione dibattimentale in relazione a ben undici prove, e' inammissibile, ancora una volta, perche' generico. I ricorrenti non hanno, infatti, adeguatamente specificato in che cosa consista la decisivita', nel caso di prove nuove, oppure l'utilita', nel caso di prove sopravvenute, a fronte di un compendio tanto ampio ed articolato che la sua sintesi ha impegnato, nella sentenza di appello, ben duecentosessanta pagine. 2.7. Difetta l'indicazione altresi' delle ragioni per cui l'asserita nullita', per mancato avviso ad imputati e difensori, del compimento di atti di ispezione su due pazienti ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) in cura a (OMISSIS), durante la fase delle indagini preliminari, inficerebbe il ragionamento articolato in sentenza, basato su un solido impianto probatorio, costituito altresi' da prove dichiarative e validato in due gradi di giudizio di merito. Anche il settimo motivo, che oltretutto non e' stato dedotto in appello, non superando la c.d. prova di resistenza, dunque, va dichiarato inammissibile. 2.8. Palesemente infondato e' l'ottavo motivo di ricorso che, nell'intento di attaccare la credibilita' di due testi chiave ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) chiamati in correita', reitera censure gia' confutate dai giudici di merito, con motivazione completa ed esente da illogicita', tantomeno manifesta, sfuggendo quindi al sindacato in questa sede. In particolare, la Corte d'appello, dapprima, riporta l'ampia argomentazione svolta in primo grado dove, sulla scorta di Sez. U n. 20804 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina Rv. 255145, e' valutata l'attendibilita' dei testi in modo critico (analizzando, cioe', altresi' le contraddizioni in cui incorrono, salvo motivarne l'irrilevanza) ed analitico, sulla base di ciascuno dei seguenti elementi: la credibilita' soggettiva dei dichiaranti; la coerenza intrinseca dei racconti; i riscontri a questi ultimi. Quindi, i giudici dell'appello ripercorrono in modo autonomo tale valutazione, soffermandosi altresi' su riscontri esterni, quali i filmati in cui si riferisce del "trattamento" praticato sui malati. In particolare, quanto alle dichiarazioni di (OMISSIS), non escludono che egli fosse stato spinto da motivi vendicativi, ma aggiungono che, rendendo la sua deposizione, egli era ben consapevole di autoaccusarsi; quanto a (OMISSIS), riferiscono della testimonianza diretta della badante della donna riguardo alle violenze praticate, tra gli altri, da (OMISSIS) e da (OMISSIS), nonche' della testimonianza indiretta delle figlie - cui il padre impose di non assistere ai "trattamenti" - le quali tuttavia dissero di sapere che la madre era costretta da (OMISSIS) a non dormire e che veniva continuamente insultata. I giudici di secondo grado precisano, infine, che i testi a difesa deposero non gia' sulle condotte poste in essere nei confronti dei malati, ma su aspetti marginali della vicenda. 2.9. Il nono motivo di ricorso e' parimenti inammissibile, perche' teso a sollecitare la rivalutazione di prove gia' apprezzate dai giudici di merito in modo compiuto e logico, oltretutto attraverso la parziale reiterazione di argomenti gia' spesi - e confutati - sulla presunta inattendibilta' di alcuni testi. Le deduzioni in esso contenute esulano dunque dai limiti del sindacato di questa Corte, che e' giudice di sola legittimita'. 2.10. Per la stessa ragione deve dichiararsi inammissibile altresi' il decimo motivo di ricorso, che' entra ampiamente nel merito, cercando di accreditare una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella svolta - con argomentazione completa e coerente - in entrambi i gradi di giudizio. 2.11. Considerazioni non dissimili valgono quanto all'undicesimo motivo di ricorso, che rivendica la precipua finalizzazione terapeutica e scientifica, e, con essa, il carattere affatto lecito dell'(OMISSIS) ONLUS, nonche' l'assenza del dolo dell'associazione per delinquere nei suoi membri, attraverso una narrazione fattuale ampiamente contraddetta dalle risultanze probatorie confluite nella ricostruzione operata dalle due sentenze di merito, con motivazione che sfugge al controllo del giudice di legittimita'. Anche tale motivo si palesa, dunque, al pari dei precedenti, inammissibile. 2.12. Con il dodicesimo motivo si chiede di riconoscere la prescrizione del delitto associativo. L'inammissibilita' del ricorso per cassazione, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude, tuttavia, la possibilita' di dichiarare la prescrizione del reato (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L., Rv. 217266). 3. (OMISSIS), nel suo unico motivo di ricorso, deduce errata applicazione della fattispecie di associazione per delinquere e relativo vizio di motivazione, con particolare riferimento all'assenza del dolo, ritenendo che la sentenza non abbia adeguatamente dimostrato la conoscenza del programma criminoso dell'associazione di cui il ricorrente avrebbe fatto parte. Premesso che il reato associativo e' gia' stato dichiarato estinto dal giudice di secondo grado, non si ravvisa la ritenuta evidenza dell'innocenza dell'imputato. La dimostrazione del dolo si evince in modo chiaro dalla motivazione. I giudici esordiscono sul punto ricordando che l'imputato e' laureato in medicina e che aveva svolto una tesi in neurologia; ne desumono, con argomentazione completa e non illogica, che non potevano dunque sfuggire al ricorrente ne' la fallacia del metodo divulgato, ne' la commistione tra conoscenza medica ed altre discipline, quali la religione, l'astrologia e la cabala. Escludono che l'imputato non si fosse interrogato sull'utilizzo di strumenti, quali i lacci di contenzione, anche perche' la guarigione, esplicitamente promossa e prospettata anche dallo stesso imputato, poteva realizzarsi, in base al metodo (OMISSIS), soltanto per il tramite di costrizione fisica. Concludono - del tutto ragionevolmente - affermando che, in ragione della sua preparazione scientifica, Dettori non poteva ignorare il carattere fasullo delle guarigioni propagandate e dunque la funzionalizzazione delle condotte (plurime, analiticamente indicate in sentenza e riportate nel ricorso) sue ed altrui alla realizzazione delle truffe e nemmeno il contenuto intrinsecamente maltrattante della cura, insito, come appena ricordato, nei presupposti teorici della stessa, che assumevano la necessita' di vincere l'opposizione del paziente con la violenza fisica e verbale. Il ricorso di Dettori e', dunque, infondato e va, pertanto, rigettato. 4.1. Venendo, infine, al ricorso presentato da (OMISSIS), quanto al primo motivo e, nella specie, alla ritenuta mancata corrispondenza tra imputazione e sentenza (con correlata illogicita' della motivazione), l'eventuale vizio non sarebbe valutabile, essendo stato il reato gia' dichiarato estinto dal giudice di secondo grado per effetto del decorso del termine prescrizionale, ne' potrebbe rilevare ai fini delle statuizioni civili. Peraltro, come condivisibilmente rilevato dalla Corte d'appello, le condotte originariamente contestate a titolo di omicidio colposo e quelle successivamente attribuite a titolo di maltrattamenti, in cui l'omicidio colposo e' stato implicitamente riqualificato, erano le stesse e - e' possibile aggiungere - constavano di comportamenti non colposi bensi', all'evidenza, quantomeno volontari, se non intenzionali (a titolo di colpa sarebbe stato attribuito l'evento morte, di cui e' tuttavia stata ritenuta incerta la derivazione causale dalle "cure" di (OMISSIS)). Sicche' non si sarebbe potuta comunque configurare alcuna divergenza tra accusa e sentenza. 4.2. Infondato appare anche il secondo motivo di ricorso la' dove si deduce assenza della "para-familiarita'", quale presupposto implicito della fattispecie di maltrattamenti, in considerazione del contenuto numero di visite (8-10), e dunque di contatti, tra (OMISSIS) e il giovane (OMISSIS). La "para-familiarita'" non e' requisito richiesto nelle relazioni medico-paziente. L'articolo 572 c.p. parla, infatti, pressoche' testualmente, di affidamento per ragioni di cura e, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, non si danno ragioni per escludere che la locuzione si riferisca al rapporto terapeutico, vieppiu' ove la natura della malattia e, dunque, la natura della cura rechino implicito un "far conto", un "assegnamento" della parte piu' vulnerabile in quella che dovrebbe aiutarla. A tal fine, non puo' trascurarsi che (OMISSIS) si rivolse a (OMISSIS) in quanto fisiatra, per risolvere un problema di infiammazione ai tendini, ma che presto (OMISSIS), specializzato altresi' in neurologia, comprese che il ragazzo era affetto da depressione e comincio' a curarlo da tale malattia facendo applicazione di metodologie, in questo caso consistenti in violenze soltanto verbali e non anche fisiche, riconducibili ai postulati del metodo (OMISSIS) al quale, peraltro, lo indirizzo', salvo poi, su indicazione dello stesso (OMISSIS), proseguire la relazione di cura. Pertanto, in definitiva, giustamente le sentenze di merito hanno ravvisato, nel caso di specie, la sussistenza di uh affidamento per ragioni di cura. 4.3. Fondato e', invece, il terzo motivo di ricorso, in cui si deduce mancanza dell'elemento soggettivo. Non completa ne' coerente appare sul punto la motivazione della sentenza di secondo grado, la quale desume il dolo dell'imputato dal fatto che egli mantenne inalterato il suo atteggiamento durante tutto il rapporto professionale, e in particolare anche dopo essere stato avvisato dalla madre di (OMISSIS) che le condizioni del ragazzo erano peggiorate. Anche valutando tale circostanza unitamente alla specializzazione scientifica dell'imputato, richiamata in sentenza, non e' possibile inferire la prova del dolo, se non a costo di ricorrere ad inammissibili presunzioni. Le condotte maltrattanti realizzate da (OMISSIS), e consistite in violenze verbali, appaiono gravemente inopportune e forse poco professionali, ma non consentono di inferire, secondo gli standard penalistici, e cioe' con un giudizio di elevata verosimiglianza, la volonta' di indurre nella vittima uno stato di vessazione, peraltro probabilmente gia' esistente, in ragione della patologia depressiva da cui (OMISSIS) era affetto, ne' di ipotizzare che (OMISSIS) abbia agito a costo di aggravare tale condizione di vessazione. Al contrario, dalla lettura delle sentenze di merito emerge che le condotte realizzate miravano, anche se soltanto nelle intenzioni dell'agente, a "scuotere" il paziente, stimolando in lui una reazione positiva. 4.4. Per tale ragione e ricordato che il delitto a carico di (OMISSIS) era stato dichiarato estinto per prescrizione dal giudice di secondo grado, il provvedimento impugnato va annullato, nella parte riguardante le statuizioni civili, rinviando al giudice civile competente in grado di appello, ai sensi dell'articolo 622 c.p.p.. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) perche' il reato di cui al capo a) e' estinto per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili; rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS). Annulla altresi' la medesima sentenza nei confronti di (OMISSIS) e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello ai sensi dell'articolo 622 c.p.p. Condanna (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese di giudizio del presente grado in favore delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) liquidate per ognuna in Euro 3,510,00, oltre accessori. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. GALLUCCI Enric - rel. Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA Sul ricorso proposto da (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26/07/2022 del Tribunale di Napoli; visti gli atti e l'ordinanza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Gallucci; sentito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Simone Perelli, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile; sentito il difensore dell'indagato, Avvocato (OMISSIS) in sostituzione dell'Avvocata (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale per il riesame di Napoli con ordinanza in data 26 luglio (motivazione depositata il successivo 7 settembre) ha confermato il decreto emesso in data 30 aprile 2022 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con il quale e' stato disposto il sequestro preventivo nei confronti di (OMISSIS), quale terzo interessato, perche' figlia di (OMISSIS) indagato per il reato di associazione mafiosa, quale partecipe del clan camorristico (OMISSIS). e per i connessi reati di intestazione fittizia, autoriciclaggio e tentata estorsione, sottoposto alla misura della custodia in carcere con ordinanza emessa in data 9 aprile 2022. 2. Il sequestro, disposto in funzione della confisca ex articolo 240, comma 1, e 240-bis c.p. ha avuto ad oggetto i seguenti beni intestati a nome della ricorrente: 1) intero compendio aziendale nonche' intero capitale sociale della (OMISSIS) S.r.l. (di cui (OMISSIS) e' intestataria della quota pari al 33% mentre il residuo capitale sociale e' ripartito tra (OMISSIS), classe 1987, e (OMISSIS) Lucia); 2) autovettura AUDI Q2, targata (OMISSIS), immatricolata in data (OMISSIS), ed acquistata in data (OMISSIS) al prezzo di Euro 18.000. 3. Avverso l'ordinanza del riesame (OMISSIS), ha presentato, per mezzo del proprio difensore, ricorso nel quale viene dedotto un unico motivo. 3.1. Viene denunciata violazione di legge per la conferma del decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca c.d. allargata a danno di persona terza non indagata, in funzione di una inammissibile presunzione di illecita accumulazione e sproporzione e con illegittima inversione dell'onere probatorio. In particolare, reiterando le argomentazioni poste a sostegno della richiesta di revoca del sequestro in sede di riesame, si evidenzia come nella specie e' illegittima la pretesa del Tribunale del riesame secondo cui debbono essere gli interessati - e non anche la pubblica accusa - a dover dimostrare la liceita' dei beni; comunque la difesa era stata in grado di dimostrare la provenienza del tutto lecita delle risorse economiche con le quali erano stati acquistati i beni oggetto del sequestro, non potendosi supporre, a carico della defunta (OMISSIS), e addirittura del di lei marito (OMISSIS), morto nel 1976, coinvolgimenti in condotte criminose del tutto indimostrate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 2.1. Il Tribunale, nell'ordinanza impugnata, ha ritenuto sussistenti la gravita' indiziaria a carico del padre della ricorrente nonche' la sua appartenenza da oltre un ventennio al clan (OMISSIS), peraltro in posizione apicale, oltre che la sproporzione degli acquisti ai suoi redditi leciti. Ha altresi' giudicato infondate le giustificazioni addotte dalla ricorrente per escludere la natura fittizia della intestazione e provare la provenienza lecita dei capitali investiti negli acquisti dei beni sequestrati. 2.2. A tale riguardo, in primo luogo ha evidenziato che (OMISSIS) (padre della ricorrente), come anche i suoi fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno da sempre fatto ricorso ad intestazioni fittizie dei propri beni a congiunti e prestanome; che risulta una manifesta sproporzione tra i redditi dichiarati nel corso degli anni dai genitori dell'interessata ( (OMISSIS) - (OMISSIS)) e gli acquisti effettuati nel tempo, tenuto conto della spesa media per il sostentamento del nucleo familiare anno per anno; che, in riferimento ai beni sequestrati a (OMISSIS), la societa' (OMISSIS) e' stata certamente finanziata dalle risorse economiche provenienti dall'attivita' criminosa del clan (OMISSIS), in quanto le somme con le quali e' stata costituita, riferibili alla nonna dell'interessata, (OMISSIS), sono anch'esse riconducibili alle attivita' illecite nelle quali costei era - quale moglie del capostipite (OMISSIS), ucciso in un agguato mafioso nel 1976 - pienamente coinvolta. 2.3. Inoltre, il Tribunale ha evidenziato che non si comprende con quali risorse lecite sia stato effettuato l'acquisto nel 2020 da parte della predetta societa' di un complesso sportivo a Casoria per la somma di 228.000 Euro, complesso sportivo per il quale risultano necessari rilevanti lavori di ristrutturazione. In riferimento, poi, all'acquisto dell'autovettura AUDI Q2i Tribunale ha rilevato che la deduzione difensiva relativa alla provenienza della relativa provvista per l'acquisto dalla successione della nonna (OMISSIS), costituita sia da somme di denaro che dai fitti degli immobili di proprieta' della stessa, sconta le medesime "criticita'" gia' rilevate per la societa' (OMISSIS). 3. Cio' premesso, rileva la Corte che in tema di provvedimenti cautelari reali il ricorso per cassazione e' consentito solo per violazione di legge ex articolo 325 c.p.p., e che tale vizio ricomprende, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008,. Rv. 239692). 4. Nel caso in esame non emerge alcuno dei vizi radicali della motivazione denunciabili con ricorso poiche', come sopra si e' indicato, il Tribunale del riesame reale ha verificato la legittimita' del sequestro dei beni intestati a nome del ricorrente, reputando con argomenti logici e conducenti, non superati dalle allegazioni difensive, accertata l'interposizione rispetto alla effettiva titolarita' degli stessi da parte di (OMISSIS), padre dell'odierna ricorrente. 5. Il Tribunale, con motivazione correlata all'esame delle specifiche circostanze di fatto - in quanto tale insindacabile in sede di legittimita' - e alle risultanze delle attivita' di indagine di natura patrimoniale e fiscale esperite, ha evidenziato l'obiettiva sussistenza di gravi indizi relativi alla sproporzione del valore dei beni in disponibilita' della ricorrente rispetto al reddito e alle attivita' economiche dell'intero nucleo familiare facente capo a (OMISSIS), ed ha spiegato con argomentazioni coerenti alle verifiche eseguite le ragioni per le quali le produzioni documentali difensive sono inidonee a vincere la presunzione di illecita accumulazione collegata all'accertata sproporzione riferita evidentemente al patrimonio del soggetto indagato, in cui rientrano anche i beni ritenuti fiduciariamente intestati a nome della figlia. 6. Per altro verso, neppure la deduzione difensiva relativa alla supposta origine ereditaria dei beni, in quanto frutto del reimpiego delle risorse pervenute al ricorrente per successione mortis causa o anche per donazione da parte della nonna (OMISSIS), puo' essere oggetto di sindacato in questa sede, trattandosi di una valutazione che investe un profilo della motivazione che non puo' ritenersi viziato da una radicale incongruenza logica che si traduca in una forma di motivazione apparente o inesistente. Inoltre, la circostanza che (OMISSIS), (padre della ricorrente), come anche i suoi fratelli, abbiano da sempre fatto ricorso ad intestazioni fittizie dei propri beni a congiunti e prestanome, consente di svalutare il riferimento ai beni ereditati da (OMISSIS), tenuto conto che anche la predetta familiare e' stata ritenuta inserita nella associazione mafiosa del clan (OMISSIS), con ruolo direttivo dopo l'uccisione del marito avvenuta nel 1976. 7. In conclusione, la deduzione formulata nel ricorso secondo cui il patrimonio di (OMISSIS), derivi in buona parte da successione ereditaria o da donazioni da parte del proprio genitore (OMISSIS), sotto forma di rinuncia di quest'ultimo alla quota di eredita' della madre (OMISSIS), costituisce un argomento del tutto inidoneo a scalfire la motivazione della ordinanza impugnata. 8. Invero, poiche' l'interposizione fittizia si fonda generalmente su un rapporto fiduciario riservato che ne rende particolarmente difficile il disvelamento, la giurisprudenza di legittimita' ha affermato che la prova puo' essere data anche per indizi, purche' pero' abbiano i requisiti stabiliti dall'articolo 192 c.p.p., comma 2, (cfr., Cass., Sez. 2, 10/01/2008 n. 3990, Catania, rv. 239269). 9. Nella specie, gli elementi addotti dalla difesa a dimostrazione dell'esclusiva proprieta' da parte del terzo dei beni sequestrati sono stati attentamente vagliati dal Tribunale e sono stati motivatamente ritenuti inidonei a confutare la tesi accusatoria, sulla base della riconosciuta esistenza di una generale condivisa disponibilita' dei beni da parte della famiglia dei (OMISSIS), tale da rendere irrilevante la intestazione ai diversi congiunti, in quanto frutto di accumulazione di ricchezze di provenienza illecita confluite indistintamente in capo a ciascuno di essi senza una reale autonomia patrimoniale corrispondente alla formale titolarita' dei beni. 10. In un tale contesto di illecita accumulazione patrimoniale da parte di un intero nucleo familiare che si immedesima con il clan mafioso in una logica di sostanziale condivisa disponibilita' delle risorse finanziarie che ad esso fanno capo, il riferimento ai proventi ereditati per successione da uno dei membri della predetta famiglia mafiosa e' stato coerentemente ritenuto recessivo in ragione della verificata assenza di altre lecite risorse da parte del ricorrente che potessero giustificare la esclusiva ed effettiva titolarita' dei beni in sequestro, cosi' da rendere inattaccabile sotto il profilo del vizio radicale della motivazione l'ordinanza impugnata con riferimento sia alla riconosciuta natura simulata dell'intestazione e sia rispetto alla disponibilita' effettiva dei beni da parte del soggetto indagato per i reati che ne legittimano la confisca ai sensi dell'articolo 240-bis c.p.. 11. Si tratta, in definitiva, di una motivazione priva di qualsiasi profilo di violazione di legge deducibile con il presente ricorso, essendo estranea al sindacato di legittimita' - ancor piu' in tema di misure cautelari reali - la diretta analisi degli elementi di fatto posti a fondamento del costrutto accusatorio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere Dott. ANDRONIO A.Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 14/07/2022 del TRIB. LIBERTA' di AGRIGENTO; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO; sentite le conclusioni del PG OLGA MIGNOLO che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso, come da requisitoria scritta gia' depositata; udito il difensore, AVV. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I1 sig. (OMISSIS), ricorre, quale terzo estraneo, per l'annullamento dell'ordinanza del 14/07/2022 del Tribunale di Agrigento che ha dichiarato inammissibile la richiesta di riesame del decreto dell'11/07/2022 del GIP del Tribunale di Sciacca che, nel procedimento penale iscritto a carico di (OMISSIS) (padre del ricorrente) per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 4, (illecito trasporto di kg. 1,208 di sostanza stupefacente del tipo hashish), ha disposto il sequestro preventivo della somma di Euro 41.855,00, rinvenuta nell'abitazione del padre (ed, in particolare, nel cassetto del comodino della camera da letto). 1.1.Con il primo motivo deduce la mancanza dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza della motivazione circa l'ammissibilita' del riesame avendo egli reclamato la proprieta' del denaro. 1.2.Con il secondo motivo deduce l'erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, e la mancanza dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza della motivazione circa la pertinenza della somma sequestrata al reato. 1.3.Con il terzo motivo deduce l'erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, e la mancanza dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza della motivazione circa il "periculum in mora". 2.11 ricorso e' inammissibile perche' manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge in questa fase di giudizio. 3.Osserva il Collegio: 3.1.il terzo estraneo al reato che si limiti a rivendicare l'esclusiva titolarita' o disponibilita' del bene sequestrato a fini di confisca e' certamente legittimato a proporre richiesta di riesame ai sensi dell'articolo 322 c.p.p. (Sez. 2, n. 20685 del 21/03/2017, Rv. 270066 - 01; Sez. 3, n. 38512 del 22/06/2016, Rv. 268086 - 01; Sez. 3, n. 24958 del 10/12/2014, dep. 2015, non mass.);3.2.e, tuttavia, proprio le condizioni che legittimano il terzo ad esercitare le proprie pretese in sede di riesame escludono che possa mettere in discussione la sussistenza indiziaria del reato ed il "perlculum in mora" (oggetto del terzo motivo);3.3.quanto alla effettiva titolarita' del denaro (questione posta con il secondo motivo), il vizio dedotto consiste, per un primo profilo, nell'omesso esame di punti decisivi che si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 325 c.p.p., comma1, (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronio, Rv. 264011; Sez. 1, n. 48253 del 12/09/2017, Serra, n. m.; Sez. 3, n. 38026 del 19/04/2017, De Cicco, n. m.; Sez. 3, n. 38025 del 19/04/2017, Monti, n. m.);3.4.in tal caso, pero', e' onere del ricorrente: a) allegare al ricorso l'elemento indiziario dirimente di cui eccepisce l'omesso esame; b) dare prova della sua effettiva esistenza tra gli atti trasmessi al tribunale del riesame o comunque della sua acquisizione nel corso dell'udienza camerale; c) spiegarne la natura decisiva alla luce sia della limitata cognizione del giudice del riesame;3.5.il ricorrente si e' sottratto a quest'onere, non avendo allegato alcunche' al suo ricorso;3.6.sotto altro profilo, la motivazione del provvedimento impugnato e' tutt'altro che apparente, dovendosi intendere per tale solo quella che "non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicita' del discorso argomentativo su cui si e' fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti" (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, Rv. 196361 - 01), come, per esempio, nel caso di utilizzo di timbri o moduli a stampa (Sez. 1, n. 1831 del 22/04/1994, Rv. 197465-01; Sez. 4, n. 520 del 18/02/1999, Rv. 213486-01; Sez. 1, n. 43433 dell'8/11/2005, Rv. 233270-01; Sez. 3, n. 20843, del 28/04/2011, Rv. 250482-01) o di ricorso a clausole di stile (Sez. 6, n. 7441 del 13/03/1992, Rv. 190883-01; Sez. 6, n. 25631 del 24/05/2012, Rv. 254161 - 01) e, piu' in generale, quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 - 01; nello stesso senso anche Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Rv. 260314, secondo cui la motivazione dell'ordinanza confermativa del decreto di sequestro probatorio e' meramente apparente - quindi censurabile con il ricorso per cassazione per violazione di legge - quando le argomentazioni in ordine al "fumus" del carattere di pertinenza ovvero di corpo del reato dei beni sottoposti a vincolo non risultano ancorate alle peculiarita' del caso concreto);3.7.orbene, secondo il Tribunale del riesame non e' credibile che una tale somma fosse stata regalata all'odierno ricorrente in vista del matrimonio da contrarre due mesi dopo e cio' sul rilievo che normalmente le donazioni degli invitati vengono effettuate lo stesso giorno dell'evento; a cio' l'ordinanza aggiunge che: a) non vi e' corrispondenza tra la somma rinvenuta e quanto riferito dalle persone sentite dal difensore; b) lo stesso padre del ricorrente aveva inizialmente dichiarato (in sede di sequestro) che si trattava di soldi risparmiati in vista del matrimonio del figlio; c) i soldi non erano stati rinvenuti nella camera del figlio ma in quella del padre; considerazioni, queste, con le quali il ricorrete omette di confrontarsi (se non lamentando che non potevano essere sentiti tutti gli invitati) e che di certo rendono tutt'altro che apparente e irrazionale la decisione assunta. 4.Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonche' del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto nell'interesse di: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza emessa il 28/03/2022 dal Tribunale di Vibo Valentia; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Elena Carusillo; preso atto delle conclusioni rese dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Gianluigi Pratola che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il difensore di (OMISSIS), avv. Paola Stilo, ricorre per cassazione avverso l'ordinanza del 28 marzo 2022 con la quale il Tribunale di Vibo Valentia, quale giudice dell'esecuzione, ha rigettato l'istanza di revoca della confisca di un immobile, proposta dalla (OMISSIS), in proprio e nella qualita' di erede del defunto coniuge (OMISSIS). 2. Il provvedimento in verifica e' stato emesso a seguito della pronuncia del 13 ottobre 2020 con la quale la Prima sezione della Corte di cassazione ha annullato con rinvio l'ordinanza del 18 novembre 2019 con la quale il Tribunale di Vibo Valentia, quale giudice dell'esecuzione, aveva rigettato l'istanza di revoca della confisca L. 7 agosto 1992, n. 356, ex articolo 12-sexies avendo ravvisato che i giudici di merito erano incorsi in errore: - allorche', con ordinanza del 18 novembre 2019, avevano ""applicato" alla istante le coordinate interpretative (...) elaborate dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimita' nella sola ipotesi in cui a chiedere la rimozione della statuizione di confisca sia il soggetto che ha preso parte al giudizio di cognizione che ha generato il titolo", la' dove, nella specie, la ricorrente, titolare ex se dell'immobile, non aveva preso parte al giudizio penale che si era svolto in contraddittorio con il solo (OMISSIS) e che si era concluso con la confisca del bene, in quanto allo stesso "riferibile"; - allorche' avevano ritenuto "non (...) esaminabile" la documentazione prodotta dalla (OMISSIS) a sostegno della propria capacita' reddituale, in quanto "deducibile e non dedotta", senza considerare che la stessa rivestiva la posizione di soggetto terzo. 3. La difesa articola le proprie censure in un unico motivo, proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e d), per violazione di legge e mancata assunzione di una prova decisiva, con il quale lamenta che il Tribunale di Vibo Valentia: - ha omesso ogni determinazione in merito all'eccezione di incompetenza funzionale e alla conseguente richiesta di trasmissione degli atti alla Corte di cassazione ai fini della dichiarazione di estinzione del reato per intervenuto decesso di (OMISSIS), formulata nel corso del procedimento che si era concluso con l'ordinanza del 18 novembre 2019, annullata con rinvio dalla Prima sezione della Corte di cassazione; - ha ritenuto provata la disponibilita' dell'immobile da parte del (OMISSIS), senza considerare che la documentazione prodotta dalla ricorrente - rappresentata dalla perizia relativa al valore dell'immobile, dalla copia dei pagamenti di somme percepite a titolo di aiuti comunitari (OMISSIS), dall'autocertificazione relativa alla donazione di una somma di denaro ricevuta dalla nuora, dalle attestazioni di donazioni ricevute dai propri genitori - era idonea a provare la proporzionalita' tra la capacita' economica dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) e la realizzazione dell'immobile confiscato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il motivo di ricorso non e' idoneo a provocare l'annullamento dell'ordinanza impugnata. 2. Quanto al primo profilo di censura, nel corpo dell'ordinanza in verifica, i giudici del rinvio hanno dato atto di aver acquisito altro fascicolo, giacente presso la Corte di Appello di Catanzaro - al quale la ricorrente non aveva fatto mai cenno -, che rivelava l'esistenza di un "precedente giudicato" in merito all'eccezione di incompetenza funzionale della quale il Tribunale di Vibo Valentia, "decidendo con l'ordinanza annullata in parte qua, non si avvedeva". In ogni caso, ad avviso del Tribunale di Vibo Valentia, a seguito dell'annullamento con rinvio della Prima sezione della Corte di cassazione, l'unica questione sottoposta al nuovo vaglio riguardava l'omessa valutazione della documentazione concernente la capacita' reddituale ed economica dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), relativa al periodo di realizzazione dell'immobile confiscato che, a dire della difesa, era idonea a comprovare la lecita provenienza del bene immobile confiscato. 3. La decisione assunta sul punto e' corretta. Invero, nella motivazione della sentenza di annullamento con rinvio, pronunciata dalla Prima sezione della Corte di cassazione, si legge che "l'eventuale attivazione di una procedura di rettifica della decisione emessa in sede di legittimita' (...), nel cui ambito non si e' tenuto conto del decesso del (OMISSIS), non avrebbe avuto conseguenza alcuna sulla statuizione di confisca, in virtu' dell'accertamento dei suoi presupposti operato dalle decisioni di merito". Ne consegue, come correttamente affermato dal Tribunale di Vibo Valentia, che sul punto si e' formato giudicato. 4. Infondato e' anche il secondo profilo del motivo di ricorso. Si legge nell'ordinanza in verifica che la documentazione prodotta dalla (OMISSIS) - che il Tribunale di Vibo Valentia aveva ritenuto non "esaminabile", cosi' incorrendo nella pronuncia di annullamento con rinvio in parte qua della Prima sezione della Corte di cassazione -, non era idonea a giustificare gli importi economici necessari per l'edificazione del fabbricato confiscato, in quanto: - la documentazione relativa alle somme percepite a titolo di aiuti comunitari (OMISSIS), coevi alla realizzazione dell'immobile, era stata prodotta, senza un'idonea giustificazione, solo a distanza di circa quindici anni dall'intervenuta confisca, dinanzi ad un giudice diverso da quello competente a decidere; - la perizia relativa al valore dell'immobile risaliva a circa tredici anni dopo il provvedimento di confisca dell'immobile, gia' "a suo tempo" ampiamente stimato; - le attestazioni relative alla capacita' reddituale dei genitori della ricorrente, finalizzate a provare una donazione in favore dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), erano prive di valenza probatoria in assenza di riscontro documentale in merito all'asserita erogazione di denaro; - le dichiarazioni dei redditi presentate dalla (OMISSIS), inerenti l'attivita' di bracciante agricolo, risalivano all'anno 1997, epoca in cui l'immobile era stato ultimato. Con ragionamento logico e completo, nell'ordinanza gravata si e' evidenziato che gli elementi prodotti a sostegno dell'istanza di revoca della confisca, riscontravano una situazione economica palesemente sperequata per difetto rispetto alla realizzazione dell'immobile in questione, con conseguente operativita' della presunzione, non vinta, della illecita accumulazione patrimoniale (Sez. 5, n. 26041 del 26/05/2011, Papa, Rv. 250922; Sez. 6, n. 39259 del 04/07/2013, Purpo, Rv. 257085). Si tratta di argomentazioni con le quali la ricorrente non si confronta, limitandosi, sostanzialmente, a una sterile critica dell'ordinanza impugnata che, pertanto, va respinta per la sua totale inconsistenza, tenuto conto anche della coerenza logica e della corretta applicazione dei canoni di giudizio che connotano la decisione in verifica. 5. Alle suesposte considerazioni, consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita'. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26 luglio 2022 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Debora Tripiccione; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dr. Perelli Simone, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; udito il difensore, avv. Gennaro Lepre in sostituzione dell'avv. Annalisa Senese, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta di riesame proposta da (OMISSIS), quale terza interessata, avverso il decreto di convalida del sequestro preventivo d'urgenza, funzionale alla confisca per sproporzione, emesso nel procedimento a carico del padre, (OMISSIS), indagato per i reati di partecipazione, in qualita' capo, dirigente e promotore, dell'omonima associazione mafiosa e per numerosi reati fine di autoriciclaggio in relazione ai quali e' stato sottoposto ad âEuroËœordinanza di custodia' cautelare emessa il 9 aprile 2022. In particolare, il provvedimento cautelare ha sottoposto a vincolo, tra gli altri, i seguenti beni in relazione ai quali la ricorrente ha presentato richiesta di riesame: - un immobile sito ad (OMISSIS) acquistato nel 2009; - un terreno sito ad (OMISSIS) acquistato nel 2005; - il 100% delle quote della (OMISSIS) s.r.l. costituita nel 2015; - il 33% del capitale sociale della (OMISSIS) s.r.l.costituita nel 2019. 2. Propone ricorso per cassazione il difensore e procuratore speciale di (OMISSIS), avv. Annalisa Senese, deducendo la violazione degli articoli 240-bis c.p. e 321 c.p.p. avendo l'ordinanza impugnata illecitamente applicato nei confronti della ricorrente, terza intestataria dei beni, la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale operante nei soli confronti del soggetto attivo del reato spia. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato per le ragioni di seguito esposte. Giova preliminarmente rammentare che, in tema di provvedimenti cautelari reali, il ricorso per cassazione e' consentito solo per violazione di legge ex articolo 325 c.p.p. e che tale vizio ricomprende, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692). Il Tribunale, con motivazione correlata all'esame delle specifiche circostanze di fatto - in quanto tali insindacabili in sede di legittimita' - e alle risultanze delle attivita' di indagine di natura patrimoniale e fiscale esperite, ha evidenziato l'obiettiva sussistenza di gravi indizi relativi sia alla sproporzione del valore dei beni nella disponibilita' della ricorrente rispetto al reddito e alle attivita' economiche a questa riconducibili, che all'effettiva titolarita' degli stessi da parte del padre (OMISSIS). 2. L'ordinanza impugnata, senza incorrere in alcuna violazione di legge, ha, infatti, motivato in merito alla effettiva riconducibilita' al (OMISSIS) dei beni formalmente intestati alla figlia sulla base di argomenti che il ricorso, al di la' della questione relativa alla provenienza delle risorse finanziarie dalla nonna paterna di cui si dira' di seguito, non censura. In particolare, partendo dalle indagini patrimoniali svolte dal GICO, l'ordinanza impugnata ha, innanzitutto, considerato i redditi dei genitori della ricorrente evidenziando quanto segue: a) che le indagini svolte nel tempo hanno acclarato il frequente ricorso alle intestazioni fittizie da parte dei fratelli (OMISSIS) al fine di dissimulare i patrimoni illecitamente accumulati; b) i modesti redditi dichiarati da (OMISSIS), unitamente al mancato svolgimento di un'attivita' lecita ed alla sua partecipazione, in posizione apicale, all'omonimo clan di camorra facente capo alla sua famiglia da oltre un ventennio; c) quanto ai redditi della madre della ricorrente, mentre quelli relativi agli anni 2003-2009 derivavano dal rapporto di lavoro con la ditta individuale (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), sottoposta in via definitiva a confisca di prevenzione, quelli relativi all'anno 2009 avevano subito un incremento esponenziale in concomitanza con la costituzione delle societa' (OMISSIS) s.r.l, unitamente alla cognata (OMISSIS) (societa' che dalle indagini risulterebbe costituita e gestita dai fratelli (OMISSIS) per la gestione dell'autoparco di (OMISSIS)), e (OMISSIS) s.r.l., intestata ad altri familiari, mentre. Quanto alla ricorrente, l'ordinanza ha considerato l'esiguita' dei redditi dichiarati negli anni dal 2007 al 2020. Ha, inoltre, ritenuto infondate le deduzioni difensive relative alla lecita provenienza delle provviste impiegate per l'acquisto dei beni cui si riferisce l'impugnazione, ritenute, in realta', riconducibili all'attivita' illecita svolta da (OMISSIS), osservando che: -quanto all'acquisto dell'immobile con denaro provenienti da donazioni ricevute dalla nonna, (OMISSIS), si tratta di donazioni non tracciate e, comunque, di capitali di origine illecita in considerazione dell'osmosi, accertata dalle indagini e da sentenze definitive, tra il clan camorristico e la famiglia (OMISSIS), delle ricchezze acquisite e del ruolo egemone svolto nel clan dalla stessa (OMISSIS) all'indomani dell'omicidio del marito (OMISSIS) e fino al decesso avvenuto il (OMISSIS). -quanto all'acquisto del terreno avvenuto nel 2005, oltre all'assenza di redditi adeguati da parte della ricorrente a sostenere detto acquisto, il Tribunale ha considerato indimostrato e non tracciato l'assunto difensivo relativo alla provenienza del capitale da un bonifico della madre della ricorrente, conseguente alla liquidazione di una polizza risalente al 1986; ha inoltre, valutato l'inadeguatezza dei redditi della stessa madre della ricorrente, appena sufficiente al sostentamento del nucleo, e cio' anche alla luce della valutazione delle quattro unita' immobiliari a questa pervenute per successione paterna. Considerazioni sostanzialmente analoghe sono state svolte in merito alle due societa' che, secondo le allegazioni difensive, sarebbero state costituite con capitali provenienti dalla locazione dei due innmobili sottoposti a seqUestro e cio' non solo perche' per detti immobili e' stata esclusa la lecita provenienza del capitale impiegato per l'acquisto (di fatto riconducibile alle attivita' del clan (OMISSIS)), ma anche in considerazione dei modesti redditi della ricorrente, dell'investimento immobiliare effettuato dalla societa' (OMISSIS) (complesso sportivo abbandonato), dell'onere economico a questo connesso, dell'entita' degli esborsi effettuati dalla societa' che, peraltro e' amministrata dal fratello della ricorrente, anch'egli sottoposto a misura per l'appartenenza all'omonimo clan, quale fiduciario del padre e degli zii, nonche', infine, dei modesti redditi dichiarati dal marito della ricorrente. Considerando, dunque, l'esiguita' dei redditi formalmente dichiarati dalla ricorrente e dai genitori nonche' l'evidente sproporzione tra questi ed il valore dei beni in sequestro, il Tribunale, sulla base di un giudizio logico deduttivo non censurabile in questa Sede, ha, dunque, ritenuto che i beni in sequestro fossero effettivamente riconducibili alla titolarita' di (OMISSIS). Va, infatti, rammentato che, poiche' l'interposizione fittizia si fonda generalmente su un rapporto fiduciario riservato che ne rende particolarmente difficile il disvelamento, la relativa prova puo' essere data anche per indizi, purche' pero' abbiano i requisiti stabiliti dall'articolo 192 c.p.p., comma 2 (cfr., Cass., Sez. 2, 10/01/2008 n. 3990, Catania, rv. 239269). 3. A fronte di tale complesso tessuto argomentativo, frutto di un ragionamento inferenziale saldamente ancorato alle risultanze investigative, non apparente ne' affetto dal dedotto vizio di violazione di legge, ritiene il Collegio che l'argomento della irrilevanza delle risorse pervenute alla ricorrente per donazione o per successione mortis causa da parte di (OMISSIS) - peraltro, come evidenziato dall'ordinanza impugnata, oggetto di apodittiche asserzioni della ricorrente - non puo' essere oggetto di sindacato in questa Sede, trattandosi di una valutazione che investe un profilo della motivazione che non puo' ritenersi viziato da una radicale incongruenza logica che si traduca in una forma di motivazione apparente o inesistente. La circostanza che (OMISSIS) (padre della ricorrente), come anche i suoi fratelli, abbiano da sempre fatto ricorso ad intestazioni fittizie dei propri beni a congiunti e prestanomi, consente di svalutare il riferimento ai beni ereditati da (OMISSIS), tenuto conto che anche la predetta familiare e' stata ritenuta inserita nella associazione mafiosa del clan (OMISSIS), con ruolo direttivo dopo l'uccisione del marito avvenuta nel 1976. In un tale contesto di illecita accumulazione patrimoniale da parte di un intero nucleo familiare che si immedesima con il clan mafioso in una logica di sostanziale condivisa disponibilita' delle risorse finanziarie che ad esso' fanno capo, il riferimento ai proventi ereditati per successione da uno dei membri della predetta famiglia mafiosa e' stato coerentemente ritenuto recessivo in ragione della verificata assenza di altre lecite risorse da parte della ricorrente che potessero giustificare la esclusiva ed effettiva titolarita' dei beni in sequestro, cosi' da rendere inattaccabile sotto il profilo del vizio radicale della motivazione l'ordinanza impugnata con riferimento sia alla riconosciuta natura simulata dell'intestazione e sia rispetto alla disponibilita' effettiva dei beni da parte del soggetto indagato per i reati che ne legittimano la confisca ai sensi dell'articolo 240-bis c.p.. Si tratta, in definitiva, di una motivazione priva di qualsiasi profilo di violazione di legge deducibile con il presente ricorso, essendo estranea al sindacato di legittimita' - ancor piu' in tema di misure cautelari reali - la diretta analisi degli elementi di fatto posti a fondamento del costrutto accusatorio. 3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - rel. Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26/07/2022 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Gaetano De Amicis; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dr. Perelli Simone, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; udito il difensore di fiducia, Avv. Gennaro Lepre, che ha chiesto l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 26 luglio 2022 il Tribunale di Napoli ha rigettato l'istanza di riesame proposta da (OMISSIS), nella sua qualita' di terza interessata, avverso il decreto di convalida del sequestro preventivo emesso in data 30 aprile 2022 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli ex articoli 240 e 240-bis c.p. e articolo 321 c.p.p., sull'assunto che la predetta, figlia di (OMISSIS), nei cui confronti e' stata applicata con ordinanza cautelare del 9 aprile 2022 la misura custodiale in ordine al reato di partecipazione - quale capo, dirigente e promotore - al relativo sodalizio di stampo camorristico con condotta perdurante sino al 2019, risultava mero soggetto interposto del suddetto indagato nella titolarita' dei beni mobili ed immobili a lei formalmente intestati. 2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, censurando, con un primo motivo, la violazione dell'articolo 25 Cost. e degli articoli 33 e 178 c.p.p., in relazione al principio del giudice naturale precostituito per legge, sull'assunto che il decreto di convalida del sequestro disposto d'urgenza dal P.M. e' stato emesso dal Presidente vicario dell'Ufficio G.I.P. di Napoli in sostituzione del Magistrato assegnatario del fascicolo, violando i criteri di assegnazione e sostituzione dettati dalle pertinenti disposizioni tabellari, la' dove interpretate in contrasto con i principi fissati nelle circolari del C.S.M. in materia di assenza per ferie ed orario di lavoro dei Magistrati. Si assume, al riguardo, che il Presidente coordinatore del predetto Ufficio giudiziario, nel rilevare l'impossibilita' oggettiva, da parte del Magistrato assegnatario, di esaminare la richiesta di convalida del sequestro in scadenza per il 2 maggio 2022, per essere stato in precedenza autorizzato alla fruizione di un periodo feriale a decorrere dal precedente 29 aprile, avrebbe dovuto modificarne la programmazione, senza provvedere alla sua sostituzione e, in tal guisa, spogliarlo del procedimento gia' assegnato. 2.1. Con un secondo motivo, inoltre, si deduce l'inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 240-bis cit., con riferimento alla ritenuta applicabilita' alla ricorrente, quale terza incisa, della presunzione di illecita provenienza dei beni posti in sequestro in presenza della ritenuta sproporzione fra i redditi dichiarati ed il patrimonio nella disponibilita' del loro titolare formale, trattandosi di una presunzione operante solo allorquando si proceda in danno dell'indagato o dell'imputato. Al riguardo si assume che l'onere dimostrativo gravante sul P.M. in punto di fittizia interposizione nella reale titolarita' dei beni non sarebbe stato assolto, facendo erroneamente riferimento all'accumulazione patrimoniale da illecito che nel tempo avrebbe caratterizzato le attivita' svolte dal predetto sodalizio, e segnatamente dal padre e dalla nonna della ricorrente, senza tener conto degli elementi dalla difesa allegati a sostegno della legittimita' disponibilita' di ciascuno dei cespiti oggetto del provvedimento impugnato. 3. Con atto trasmesso alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 16 gennaio 2023 il difensore di fiducia di (OMISSIS), Avv. Gennaro Lepre, ha rinunciato al primo motivo di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e va rigettato per le ragioni di seguito indicate. 2. Deve preliminarmente rammentarsi che, in tema di provvedimenti cautelari reali, il ricorso per cassazione e' consentito solo per violazione di legge ex articolo 325 c.p.p. e che tale vizio ricomprende, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692). Nel caso in esame, prescindendo dal primo motivo in quanto oggetto di rinuncia, deve rilevarsi come non emerga alcuno dei vizi radicali della motivazione denunciabili con ricorso, poiche' il Tribunale del riesame ha verificato la legittimita' del sequestro dei beni intestati a nome della ricorrente, ritenendo, con argomenti congruamente esposti, non superato dalle allegazioni difensive l'accertamento della interposizione rispetto alla effettiva titolarita' degli stessi da parte di (OMISSIS), padre dell'odierna ricorrente. L'impugnata ordinanza, con motivazione correlata all'esame delle specifiche circostanze di fatto - come tali insindacabili in sede di legittimita' - e alle risultanze delle indagini di natura patrimoniale e fiscale, ha evidenziato l'obiettiva sussistenza di gravi indizi relativi alla sproporzione del valore dei beni nella disponibilita' della ricorrente rispetto al reddito e alle attivita' economiche dell'intero nucleo familiare facente capo a (OMISSIS), spiegando inoltre, con argomentazioni coerenti alle verifiche eseguite, le ragioni per le quali le produzioni documentali difensive sono state considerate inidonee a vincere la presunzione di illecita accumulazione collegata all'accertata sproporzione, evidentemente riferita al patrimonio della persona indagata, nel quale ricadono anche i beni ritenuti fiduciariamente intestati a nome della figlia. 3. L'argomento centrale della irrilevanza dell'origine ereditaria dei beni, in quanto frutto del reimpiego delle risorse pervenute alla ricorrente per successione mortis causa o anche per donazione da parte di (OMISSIS), non puo' essere oggetto di sindacato in questa sede, trattandosi di una valutazione che investe un profilo della motivazione che non puo' ritenersi viziato da una radicale incongruenza logica risolventesi in una forma di motivazione apparente o inesistente. La circostanza che (OMISSIS) (padre della ricorrente), come anche i suoi fratelli, abbiano da sempre fatto ricorso ad intestazioni fittizie dei propri beni a congiunti e prestanomi, consente di svalutare il riferimento ai beni ereditati da (OMISSIS), tenuto conto che anche la predetta familiare e' stata ritenuta inserita nell'associazione di stampo camorristico denominata "clan (OMISSIS)", con ruolo direttivo dopo l'uccisione del marito avvenuta nel 1976. Pertanto, che il patrimonio della ricorrente derivi in buona parte da successione ereditaria o da donazioni da parte del proprio genitore, sotto forma di rinuncia di quest'ultimo alla quota di eredita' della madre (OMISSIS), costituisce un argomento del tutto inidoneo ad inficiare la motivazione dell'ordinanza impugnata. Invero, poiche' l'interposizione fittizia si fonda generalmente su un rapporto fiduciario riservato che ne rende particolarmente difficile il disvelamento, la giurisprudenza di legittimita' ha affermato che la prova puo' essere data anche per indizi, purche' essi abbiano i requisiti stabiliti dall'articolo 192 c.p.p., comma 2, (Sez. 2, n. 3990 del 10/01/2008, Catania, Rv. 239269). Gli elementi addotti a dimostrazione dell'esclusiva proprieta' da parte del terzo dei beni sequestrati sono stati attentamente vagliati dal Tribunale e sono stati motivatamente ritenuti inidonei a confutare la tesi accusatoria, sulla base della riconosciuta esistenza di una generale condivisa disponibilita' dei beni da parte del predetto sodalizio criminale, si' da rendere irrilevante l'intestazione ai diversi congiunti, in quanto frutto di accumulazione di ricchezze di provenienza illecita confluite indistintamente in capo a ciascuno di essi senza una reale autonomia patrimoniale corrispondente alla formale titolarita' dei beni. In un tale contesto di illecita accumulazione patrimoniale da parte di un intero nucleo familiare che si immedesima con il sodalizio di stampo camorristico in una logica di sostanziale condivisa disponibilita' delle risorse finanziarie che ad esso fanno capo, il riferimento ai proventi ereditati per successione da uno dei membri del predetto sodalizio e' stato coerentemente ritenuto recessivo in ragione della verificata assenza di altre lecite risorse da parte della ricorrente che potessero giustificare l'esclusiva ed effettiva titolarita' dei beni in sequestro, cosi' da rendere inattaccabile l'ordinanza impugnata sotto il profilo del vizio radicale della motivazione, con riferimento sia alla riconosciuta natura simulata dell'intestazione, sia rispetto alla disponibilita' effettiva dei beni da parte del soggetto indagato per i reati che ne legittimano il vincolo ablativo ai sensi dell'articolo 240-bis c.p.. Si tratta, in definitiva, di una motivazione priva di qualsiasi profilo di violazione di legge deducibile con il presente ricorso, essendo estranea al sindacato di legittimita' - ancor piu' in tema di misure cautelari reali - la diretta analisi degli elementi di fatto posti a fondamento del costrutto accusatorio. 4. Sulla base delle su esposte considerazioni s'impone, conclusivamente, il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente, ex articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. MOROSINI E. Maria - rel. Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 28/12/2021 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MOROSINI Elisabetta; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa PICARDI Antonietta, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in funzione di giudice dell'esecuzione, in sede di opposizione, ha confermato, per il minor importo di 262.859,28, i provvedimenti di sequestro assunti de plano ex articolo 676 c.p.p. il 18 settembre 2018 e il 3 maggio 2019 e ha disposto la confisca per equivalente, in fase esecutiva, ex articoli 240-bis c.p., comma 2, e 183-quater disp. att. c.p.p., dei beni riconducibili ad (OMISSIS), persona condannata in via definitiva per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p.. (OMISSIS) e' stato ritenuto soggetto intraneo al clan dei casalesi con sentenza pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 21 giugno 2013 divenuta irrevocabile il 17 maggio 2016. Secondo l'accertamento compiuto in sede di cognizione il rapporto di (OMISSIS) con il clan ebbe inizio tra il 1997 e il 1999 e si protrasse fino all'anno 2010. La confisca e' stata disposta, sino alla concorrenza della somma di Euro 262.859,28, sui seguenti beni, formalmente intestati a (OMISSIS), moglie di (OMISSIS): - un immobile sito nel comune di (OMISSIS), alla ex via (OMISSIS); - sei unita' immobiliari facenti parte tutte di un unico fabbricato sito nel comune di (OMISSIS). Al procedimento sono state chiamate a partecipare, in veste di terze interessate, la citata (OMISSIS), nonche' (OMISSIS) e (OMISSIS), figlie di (OMISSIS) e (OMISSIS). 2. Ricorre il solo (OMISSIS), tramite i propri difensori, articolando quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari ex articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Con il primo si denuncia violazione di legge processuale e vizio di motivazione in punto di procedimento applicativo della c.d. confisca per sproporzione in fase esecutiva. Si evidenzia l'anomalia del procedimento: nella fase prodromica alla confisca il pubblico ministero ha formulato istanza di sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p. e il Tribunale ha disposto un sequestro finalizzato alla confisca per sproporzione, senza emettere invece un provvedimento contestuale di sequestro e confisca avverso cui il codice di rito prevede il rimedio della opposizione ex articolo 667 c.p.p., comma 4, e articolo 183-quater disp. att. c.p.p.. Ricorrerebbe una ipotesi di abnormita' strutturale e funzionale. Tale vizio di riverbererebbe, ai sensi dell'articolo 185 c.p.p., su tutti gli atti successivi, travolgendo il provvedimento finale qui impugnato. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per essere stata pretermessa la valutazione di un compendio probatorio idoneo e sufficiente a comprovare la liceita' delle accumulazioni patrimoniali di (OMISSIS) e del suo nucleo familiare alla luce delle "risultanze emerse". Il vizio concerne quattro punti: il profilo temporale dell'accertamento; la rivendita dei veicoli di volta in volta acquistati; l'immobile oggetto di dissimulata donazione; l'aiuto dei familiari anche in relazione al valore medio delle spese familiari. 2.2.1. Il periodo di accertamento della sproporzione ha riguardato anni risalenti (1996) rispetto ai quali sarebbe oggettivamente impossibile recuperare documentazione riguardante ad esempio eventuali provviste o conti a deposito. Il sequestro e' stato disposto ad anni di distanza dalla definizione del giudizio e anche dall'esecuzione della pena; inoltre la condotta di partecipazione mafiosa oggetto di condanna sarebbe iniziata "ben dopo quel periodo", circostanza non accertata dal giudice dell'esecuzione che ha retrodatato la condotta rispetto alla genesi della adesione al sodalizio. 2.2.2. Non si sarebbe tenuto conto delle entrate derivanti dalla vendita dei beni mobili (auto e moto) avvenuta negli anni successivi al 1996. Il Tribunale avrebbe considerato soltanto l'acquisto di detti beni ma non le successive vendite che avrebbero dovuto essere annoverate tra le fonti lecite a disposizione di (OMISSIS). 2.2.3. E' del tutto errata la valutazione, riferita all'immobile sito alla ex (OMISSIS), che ha condotto il Tribunale a giudicare inverosimile la tesi di una vendita simulata dell'immobile che, per motivi ereditari, celava una donazione da parte della zia in favore della nipote minorenne, figlia di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Gli indici della simulazione si ricaverebbero da: l'assenza di tracce circa l'avvenuto versamento del prezzo di 80mila Euro; l'anomalia del versamento di una simile somma di denaro nel 2006 per poi attendere cinque anni per la formalizzazione della vendita da parte di una persona che nel frattempo aveva compiuto 90 anni; le dichiarazioni dei testimoni escussi. 2.2.4. Non si sarebbe tenuto conto: - del sostegno economico, rappresentato da "piccole e continue" donazioni quotidiane, fornito nel corso degli anni da (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente madre e zia di (OMISSIS)); - delle esenzioni di cui beneficiava, in quanto portatrice di handicap, la figlia minore della coppia. 2.2.5. Il Tribunale non si sarebbe attenuto ai principi informatori della materia come disegnati dalla giurisprudenza di legittimita' su: nozione di sproporzione; sua valenza come "mero indizio" e non come presupposto oggettivo autonomo della confisca; necessita' di un accertamento in concreto; onere probatorio a carico dell'accusa; operativita' di una presunzione iuris tantum di illecita accumulazione; limite della "ragionevolezza temporale"; nozione di "capacita' reddituale". Il ricorrente contesta l'erroneita' del giudizio di sproporzione, compiuto rifacendosi alle risultanze della perizia a firma del dottor (OMISSIS), che pero', in modo contraddittorio, vengono in parte disattese; giudizio effettuato, inoltre, sulla scorta di una metodologia errata tenendo conto del costo degli acquisti, ma non delle entrate (a volte anche superiori) conseguenti alla successiva rivendita dei medesimi beni (veicoli e immobili); neppure si sarebbe considerato che l'acquisto dell'immobile nel 2001 e' stato reso possibile dalla accensione di un mutuo con versamento di rate mensili dell'importo di 300 Euro (Lire 600.000). Sarebbe stato considerato poi anche il pagamento della somma di 80 mila Euro avvenuto nel 2006, periodo successivo a quello di riferimento (1996-2004). 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di manifesta contraddittorieta' dell'ordinanza "nella parte in cui da un lato prende atto della esistenza di beni acquistati nell'arco temporale (1996-2004) del valore non giustificato di Euro 262.859,28; e dall'altro lato ritiene aggredibili e confiscabili, nei limiti di detta somma, tutti i beni immobili acquistati dalla moglie del ricorrente (OMISSIS) negli anni successivi a quello di cessazione del periodo di accertamento (2004)". 2.4. Con il quarto motivo censura l'ordinanza impugnata per aver violato i principi stabiliti dalla CEDU in materia di confisca. Il ricorrente solleva dubbi di conformita' dell'assetto normativo in cui si muove il provvedimento impugnato in relazione a talune previsioni della CEDU: l'articolo 6, paragrafo 2 sulla presunzione di innocenza; l'articolo 6, paragrafo 3, lettera b), sui tempi per la preparazione di una adeguata difesa (avuto riguardo al termini di quindici giorni per la proposizione del ricorso per cassazione); articolo 6, paragrafo 1, sul diritto a un giudice terzo e imparziale; articolo 1 protocollo addizionale n. 1 sul principio di proporzionalita'. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 2. Il primo motivo e' manifestamente infondato. 2.1. La procedura in rassegna e' disciplinata dall'articolo 183-quater disp. att. c.p.p. che, sotto la rubrica "esecuzione della confisca in casi particolari", stabilisce: "Competente a emettere i provvedimenti di confisca in casi particolari previsti dall'articolo 240-bis c.p. (...) dopo l'irrevocabilita' della sentenza, e' il giudice di cui all'articolo 666 c.p.p., commi 1, 2 e 3. Il giudice, sulla richiesta di sequestro e contestuale confisca proposta dal pubblico ministero, provvede nelle forme previste dall'articolo 667 c.p.p., comma 4. L'opposizione e' proposta, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione o notificazione del decreto". La norma, recependo i consolidati arresti della giurisprudenza (da Sez. U, n. 29022 del 30/05/2001, Derouach, Rv. 219221), disciplina il caso della confisca per sproporzione, consentendola anche nella fase dell'esecuzione e dettando modalita' tali da garantire l'efficacia della misura attraverso la previsione di un atto "a sorpresa" quale e' il sequestro (misura provvisoria di urgenza immediatamente esecutiva) contestuale alla confisca (misura ablativa definitiva suscettibile di esecuzione solo dopo l'esaurimento del procedimento di eventuale opposizione e relativo ricorso per cassazione). 2.2. Nel caso in rassegna e' pacifico che viene in rilievo una confisca ex articolo 240-bis c.p. chiesta dopo l'irrevocabilita' della sentenza di condanna e che il Pubblico ministero ha attivato la procedura in rassegna, anche se, nel domandare il sequestro, ha fatto erroneo riferimento all'articolo 321 c.p.p. (che disciplina la misura cautelare del sequestro preventivo nella fase della cognizione) anziche' l'articolo 666 c.p.p., e s.s. e articolo 183-quater disp. att. cod.. 2.2.1. Il giudice dell'esecuzione ha disposto il sequestro sino all'importo complessivo di Euro 355.320,00 con due distinti provvedimenti emessi il 18 settembre 2018 e il 3 maggio 2019. Quindi, il medesimo giudice, a seguito dell'opposizione di (OMISSIS), ha fissato udienza dinanzi a se' nelle forme previste dall'articolo 667 c.p.p., comma 4. All'esito di tale udienza ha confermato il provvedimento di sequestro solo sino all'importo di Euro 262.859,28, revocandolo per la residua parte e, contestualmente, ha disposto la confisca ex articolo 240-bis c.p., comma 2. 2.2.2. Quanto alla iniziativa del Pubblico ministero, va ricordato che la richiesta di imporre la sola misura cautelare del sequestro preventivo non impedisce al giudice dell'esecuzione di assumere la decisione sulla confisca in assenza di una istanza ulteriore del pubblico ministero (cfr. in motivazione Sez. U, n. 27421 del 25/02/2021, Crostella). Come affermato da precedenti decisioni di questa Corte, del tutto condivisibili, l'iniziativa del pubblico ministero per l'attivazione del procedimento esecutivo ex articolo 666 c.p.p. differisce dall'esercizio dell'azione penale nel processo di cognizione di cui all'articolo 405 c.p.p. ed e' priva di formalita', potendo essere affidata anche alle conclusioni rassegnate nel contesto dell'udienza camerale (Sez. 1, n. 19998 del 12/02/2013, Morabito ed altro, Rv. 257008; Sez. 3, n. 6901 del 18/11/2008, dep. 2009, Favato, Rv. 242734). A tal fine non puo' ritenersi che l'aver richiesto un provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca determini una qualche ipotesi di nullita' degli atti ai sensi dell'articolo 178 c.p.p., lettera b) e c) per omessa iniziativa assunta dal pubblico ministero o per omessa partecipazione al procedimento dell'organo dell'accusa (cosi' in motivazione Sez. U, n. 27421 del 25/02/2021, Crostella, cit.). 2.2.3. Circa la divaricazione dallo schema procedimentale previsto per legge, il ricorrente denuncia che, in sede di prima adozione del provvedimento di sequestro, non e' stata contestualmente disposta anche la confisca; tuttavia una simile mancanza non si e' tradotta in alcuna lesione ai diritti di difesa (garantiti dal contraddittorio istaurato a seguito di opposizione) ne' in alcuna altra ipotesi di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita' o decadenza che sole possono integrare il vizio processuale denunciabile ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c). Nessuna abnormita' e' ravvisabile dato che il giudice dell'esecuzione ha emesso un provvedimento di sequestro e di confisca nell'esercizio di un potere che il legislatore gli ha espressamente conferito. 2.3. Per completezza, va osservato che, sul punto, il ricorrente lamenta anche un vizio di motivazione, che, tuttavia, e' inammissibile, poiche' "qualora sia sottoposta al vaglio del giudice di legittimita' la correttezza di una decisione in rito, la Corte e' giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla e persino nel caso in cui la motivazione sia del tutto assente" (Sez. 1, n. 22337 del 23/03/2021, Di Giovanni, Rv. 281391 - 01; cfr. pure Sez. 5, n. 15124 del 19/03/2002, Ranieri, Rv. 221322 - 01). 3. Il secondo motivo contesta, nella sostanza, la sussistenza di tutti i presupposti della confisca c.d. allargata. Le censure proposte sono, nel complesso, infondate, pur esponendosi a profili di inammissibilita' nella parte in cui si esauriscono in mere doglianze in punto di fatto ovvero ripropongono questioni di merito gia' adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal Tribunale. 3.1. Le sollecitazioni difensive rendono necessario un inquadramento generale dell'istituto sulla scorta delle disposizioni normative e degli arresti giurisprudenziali. 3.1.1. La "confisca in casi particolari", in origine disciplinata dal Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies, convertito dalla L. n. 356 del 1992, e' ora prevista dall'articolo 240-bis c.p. a seguito dell'introduzione con la L. n. 103 del 2017 del principio di riserva di codice, attuato dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21. La norma citata al comma 1 recita: " Nei casi di condanna (...) per taluno dei delitti previsti dall'articolo 51 c.p.p., comma 3-bis, (...) e' sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilita' di cui il condannato non puo' giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilita' a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attivita' economica". L'articolo 240-bis c.p., comma 2 (che riprende il Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-bis, comma 2-ter, comma introdotto dalla L. n. 94 del 2009) prevede: "Nei casi previsti dal comma 1, quando non e' possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilita' di cui allo stesso comma, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilita' di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilita', anche per interposta persona". 3.1.2. I caratteri della confisca "allargata" si trovano delineati in maniera perspicua nella sentenza delle Sezioni Unite n. 27421 del 25/02/2021, Crostella. "Nella prassi applicativa la confisca in casi particolari e' definita "atipica", "allargata" o "estesa" per distinguerla dalle altre ipotesi di confisca obbligatoria, dalle quali si differenzia perche' non colpisce il prezzo, il prodotto o il profitto del reato per il quale sia stata pronunciata condanna, ma beni del reo che, al momento del loro acquisto, siano non giustificabili e di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all'attivita' svolta. La previsione normativa della confisca (...) trae giustificazione dalla presunzione relativa di accumulo di ricchezza illecita da parte del soggetto condannato penalmente. L'accertata responsabilita' per taluni reati tassativamente elencati di particolare gravita' ed allarme sociale costituisce "spia" ovvero indice presuntivo della commissione di altre attivita' illecite, fattori di un arricchimento che l'ordinamento intende espropriare per prevenirne l'utilizzo quale strumento per ulteriori iniziative delittuose. Nell'ottica del contrasto alla proliferazione del crimine, il legislatore consente una semplificazione probatoria, che si realizza mediante lo svincolo dell'oggetto dell'ablazione dal reato e l'onere, gravante sul condannato titolare o detentore dei beni da confiscare, di giustificarne la provenienza mediante specifica allegazione di elementi in grado di superare la presunzione e di elidere l'efficacia dimostrativa dei dati probatori offerti dall'accusa". "Il legislatore ha scelto di delineare la confisca allargata quale misura di sicurezza che, seppur basata su un sistema probatorio presuntivo, e' necessariamente dipendente dalla sussistenza del "reato-spia". L'accertamento giudiziale della configurabilita' in tutti i suoi elementi costitutivi di una delle fattispecie criminose previste dall'articolo 240-bis c.p. fonda il sospetto che il condannato abbia tratto dall'attivita' delittuosa le forme di ricchezza di cui dispone, anche per interposta persona. Il giudizio di colpevolezza in ordine al reato commesso e la natura particolare di questo, idoneo ad essere realizzato in forma continuativa e professionale ed a procurare illecita ricchezza, fanno ritenere l'origine criminosa di cespiti, di cui si sia titolari in valore sproporzionato rispetto a redditi ed attivita', in base alla presunzione relativa della loro derivazione da condotte delittuose ulteriori rispetto a quelle riscontrate nel processo penale, che, comunque, costituiscono la base della presunzione stessa. Nella considerazione del legislatore, quindi, l'attribuzione al soggetto della commissione di uno dei "reati-spia" costituisce indicatore dell'acquisizione dei beni, sia pure non per derivazione da quel reato specifico". "La relazione tra "reato-spia" ed elemento patrimoniale non e' espressa dal legislatore in termini di produzione causale del secondo ad opera del primo, ne' di proporzione di valore tra i due elementi, ragione per la quale anche la collocazione temporale dell'incremento della ricchezza del condannato di per se' non assume rilievo quale criterio di selezione dei beni confiscabili". In sintesi, la confiscabilita' dei singoli beni, derivante da una situazione di pericolosita' presente, non e' esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si e' proceduto o che il loro valore superi il provento del delitto per cui e' intervenuta condanna. Occorre, pero', che ricorrano i seguenti ineludibili presupposti: - l'esistenza di una sproporzione, al momento dell'acquisto di ciascun bene, tra reddito dichiarato o proventi dell'attivita' economica e valore del bene, unitamente alla assenza di una giustificazione credibile circa la provenienza; - il rispetto del criterio di "ragionevolezza temporale". Sul primo profilo le Sezioni Unite Montella (sentenza n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Rv. 226491) hanno ritenuto necessario "che, ai fini della "sproporzione", i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco, siano fissati nel reddito dichiarato o nelle attivita' economiche non al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel momento dei singoli acquisti rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti". Circa il requisito della ragionevolezza temporale, va ricordato che si tratta di criterio assunto anche dalla Corte costituzionale a parametro di verifica della tenuta costituzionale della confisca in casi particolari. Con la sentenza interpretativa di rigetto n. 33 del 2018 la Consulta, nel dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 12-sexies nella parte in cui include la ricettazione tra i delitti "spia", ha riconosciuto che la coerenza col sistema dei valori costituzionali della presunzione relativa di illecita accumulazione dei beni di valore sproporzionato pretende che essa "sia circoscritta (...) in un ambito di ragionevolezza temporale" nel senso che il momento di acquisizione del bene da confiscare non dovrebbe risultare cosi' lontano dall'epoca di realizzazione del "reato spia" da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attivita' illecita, seppur differente da quella che ha determinato la condanna e seppur priva di un positivo accertamento. Per la specifica ipotesi di confisca allargata disposta in sede esecutiva le Sezioni Unite Crostella hanno affermato che il giudice dell'esecuzione puo' disporre la confisca dei beni che sono entrati nella disponibilita' del condannato, fermo il criterio di "ragionevolezza temporale", fino alla pronuncia della sentenza per il cd. "reato spia", salva comunque la possibilita' di confisca anche di beni acquistati in epoca posteriore alla sentenza, ma con risorse finanziarie possedute prima (Rv 281561). 3.2. Nella specie: - il reato-spia e' quello previsto dall'articolo 416-bis c.p., commesso dal 1997-1999 sino al 2010 e accertato, a carico del ricorrente, con sentenza di condanna del 21 giugno 2013, divenuta definitiva il 17 maggio 2016; - sono stati accertati (tramite perizia appositamente istituita) acquisti "sproporzionati" rispetto ai redditi e alla attivita' economica del condannato e della sua famiglia (con verifica condotta per ciascun anno e con riguardo alle date di acquisto) per un valore complessivo di 262.859,28; si tratta di acquisti rispetto ai quali non risulta accertata la legittima provenienza della provvista, circoscritti al periodo dal 1998 al 2004 e aventi ad oggetto: due unita' immobiliari acquistate in data 25 giugno 2001, del valore di Euro 177.265,28, determinato "al netto delle somme versate per l'estinzione del mutuo ipotecario (Euro 53.234,72)" (pag. 49); vari automezzi del valore complessivo pari a 85.594,00 "al netto di quanto ricavato dalle operazioni di permuta/rivendita come riportato nella tabella relativa" (pag. 49); - non e' stato possibile procedere alla confisca di qui beni perche' nel frattempo usciti dal patrimonio del condannato; pertanto, in applicazione dell'articolo 240-bis c.p., comma 2, il giudice ha ordinato la confisca di beni di "legittima provenienza" per un valore equivalente ad Euro 262.859,28, nella disponibilita' di fatto di (OMISSIS) al di la' della intestazione formale (un immobile sito nel comune di (OMISSIS); sei unita' immobiliari facenti parte tutte di un unico fabbricato sito nel comune di (OMISSIS).). 3.2.1. Come gia' anticipato, va rilevata, anzitutto, la inammissibilita' di quelle censure che esulano dal novero dei vizi deducibili ex articolo 606 c.p.p.. I profili di fatto e valutativi sono stati ampiamente scrutinati dal Tribunale che, istituendo apposita perizia, ha analizzato tutte le obiezioni dedotte dal consulente della difesa, peraltro accogliendole in parte (si vedano le pagine 26-29 nelle quali si da' atto dei criteri di computo in relazione a ogni singola voce e a ciascuna operazione). La motivazione offerta e' immune da vizi logici e non e' sindacabile in questa sede posto che la Corte di cassazione non puo' procedere alla "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, mentre non puo' integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe'). 3.2.2. Quanto ai profili idonei ad accedere al vaglio di legittimita', ne va decretata l'infondatezza. Nulla questio sul reato-spia: articolo 416-bis c.p., pacificamente ricompreso nel novero dei delitti previsti dall'articolo 51 c.p.p., comma 3-bis. Si rivela del tutto generica, perche' sganciata da elementi concreti, la contestazione circa la data del commesso reato, che il Tribunale indica dal 1997-1999 sino al 2010. Ai fini della "sproporzione", i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento peritale, sono stati correttamente individuati nel reddito dichiarato o nelle attivita' economiche svolte al momento dei singoli acquisti, da un lato, nel valore dei beni di volta in volta acquisiti (dall'altro). Sul punto della legittima provenienza, le deduzioni difensive si scontrano con i consolidati arresti giurisprudenziali, secondo cui: - "l'onere di allegazione difensiva in ordine alla legittima provenienza dei beni non puo' essere soddisfatto con la mera indicazione della esistenza di una provvista sufficiente per concludere il negozio di acquisto degli stessi, dovendo invece il soggetto sottoposto al procedimento di prevenzione indicare gli elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre che il bene non sia stato acquistato con i proventi di attivita' illecita, ovvero ricorrendo ad esborsi non sproporzionati rispetto alla sua capacita' reddituale" (Sez. 6, n. 31751, del 9 giugno 2015, Catalano, Rv. 264461; Sez. 6, n. 21347 del 10/04/2018, Salanitro, Rv. 273388 - 01, che, in motivazione, ha precisato che l'acquisto di un immobile mediante l'accensione di un mutuo non costituisce dimostrazione della legittima provenienza della provvista, dovendosi fornire la prova della disponibilita' di risorse lecite e sufficienti a sostenere il pagamento delle rate mensili, nel caso di specie mancanti in quanto il nucleo familiare del proposto non disponeva di redditi); - "la presunzione relativa di illecita accumulazione, fondata sulla sproporzione dei beni confiscati e sull'assenza di prova della loro legittima provenienza, opera anche nel caso in cui l'acquisto del bene confiscato sia avvenuto mediante ricorso al credito bancario, posto che tale finanziamento deve essere rimborsato ed ha un costo, sicche' e' in relazione a tale onere finanziario che deve essere valutata l'eventuale incapienza di risorse lecite da parte del prevenuto e del suo nucleo familiare" (Sez. 5, n. 33038 del 08/06/2017, Valle, Rv. 271217 - 01); - "sostenere che il denaro provenga dall'elargizione di un terzo senza spiegarne le ragioni equivale a (tentare di) aggirare l'onere di allegazione, dovendo il soggetto fornire una spiegazione credibile in ordine ai mezzi e alle circostanze che gli hanno consentito un determinato incremento patrimoniale. Fornire una spiegazione priva di riferimenti concreti equivale, dunque, ad una allegazione apparente" (cosi' in motivazione Sez. 2, n. 30974 del 01/03/2018 che richiama Sez. 5, n. 20743 del 07/03/2014, Rv. 260402; Sez. 6, n. 31751 del 2015, Rv. 264461). Il periodo temporale interessato dagli acquisti "sproporzionati" (1998 - 2004) ricade interamente in quello di accertata partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso di stampo camorristico, non solo nel pieno rispetto del principio di ragionevolezza (la sentenza di condanna di primo grado e' del 21 giugno 2013) ma addirittura in rapporto di connessione temporale con il periodo di commissione del reato (dal 1997-1999 sino al 2010) -come gia' aveva osservato il Tribunale (pag. 47). Circa il requisito della "disponibilita'" in capo ad (OMISSIS), dei beni confiscati, il Tribunale esibisce una motivazione articolata immune da vizi logici, che supera le obiezioni in fatto riproposte in questa sede: solo (OMISSIS) disponeva di redditi sufficienti ad acquistare gli immobili nel 2011 e nel 2014; in quegli immobili vi sono state stabilite le residenze familiari; la pretesa donazione da prozia a nipote non e' supporta da validi elementi suscettibili di oggettivo riscontro. La motivazione risponde ai principi delineati dalla giurisprudenza di legittimita': "l'intestazione al terzo del bene in realta' appartenente al condannato va, dunque, dimostrata e la relativa prova puo' essere desunta anche per facta concludentia mediante la considerazione, ad esempio, dei rapporti e dei vincoli personali tra terzo e condannato, della condizione personale del terzo per eta', salute ed attivita' svolta, della natura giuridica e delle modalita' esecutive della vicenda negoziale acquisiva, della sproporzione di valore tra il bene formalmente intestato e il reddito percepito dal terzo, del potere di disposizione esercitato dal condannato, nonostante l'altruita' del bene" (Sez. 5, n. 13084 del 06/03/2017, Carlucci, Rv. 269711; Sez. 2, n. 15829 del 25/02/2014, Podesta', Rv. 259538; Sez. 1, n. 6137 del 11/12/2013, dep. 2014, Soriano, Rv. 259308; Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone, Rv. 254699; Sez. 1, n. 27556 del 27/05/2010, Buompane, Rv. 247722). Peraltro i terzi interessati, pur chiamati a partecipare al procedimento, non hanno mai rivendicato la proprieta' dei beni confiscati. 3. Il terzo motivo e' manifestamente infondato. Il ricorrente si duole del fatto che la confisca si sia consolidata su beni di legittima provenienza acquistati in anni successivi a quelli di accertata sproporzione; senza tener conto proprio in cio' riposano caratteri e struttura della confisca allargata per equivalente. Come ha gia' precisato il Tribunale (pag. 47), nella impossibilita' di apprendere i beni "sproporzionati", non piu' esistenti nel patrimonio di (OMISSIS) perche' successivamente rivenduti, la confisca viene a cadere su beni - di valore corrispondente alla sproporzione - di legittima provenienza attualmente presenti nel patrimonio di (OMISSIS). 4. Il quarto motivo solleva dubbi di costituzionalita' che si rivelano o manifestamente infondati e irrilevanti. La piena compatibilita' con l'assetto costituzionale e con la Convenzione EDU dell'istituto in rassegna risulta esaminato, sotto ogni aspetto prospettabile, dalle Sezioni Unite Crostella, al paragrafo 9 della motivazione. A quelle argomentazioni si rimanda, dato che risultano trascritti pressoche' integralmente alle pagine 36-47 dell'ordinanza impugnata, senza confutazioni specifiche da parte del ricorrente. Per completezza va solo aggiunto: - che e' generica e apodittica la tesi della incongruita' del termine di quindici giorni stabilito per proporre ricorso per cassazione, dato che: non viene indicato un parametro di confronto; per le misure di prevenzione il termine e' di appena dieci giorni; il ricorrente ha avuto ampio spazio per l'esercizio dei propri diritti, assicurati, in astratto, dal meccanismo della opposizione dinanzi al giudice di merito e, in concreto, dalla istituzione di una perizia che ha tenuto conto, in maniera capillare, delle prospettazioni difensive; - che la questione sulla presunzione di innocenza e' del tutto priva di rilevanza, considerato che il provvedimento di confisca si aggancia a una sentenza irrevocabile di condanna per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p.. 5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. AMOROSO Riccard - rel. Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26/07/2022 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. PERELLI Simone, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; udito l'avvocato LEPRE Gennaro, difensore di fiducia di (OMISSIS), che insiste nell'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale per il riesame di Napoli ha confermato il decreto emesso in data 30 aprile 2022 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con il quale e' stato disposto il sequestro preventivo nei confronti del ricorrente, quale terzo interessato, perche' figlio di (OMISSIS), indagato per il reato di associazione mafiosa, quale partecipe del clan camorristico (OMISSIS) e per i connessi reati di intestazione fittizia, autoriciclaggio, tentata estorsione, e sottoposto alla misura della custodia in carcere con ordinanza emessa in data 9 aprile 2022. Il sequestro disposto in funzione della confisca ex articolo 240 c.p., comma 1, e articolo 240-bis c.p. ha ad oggetto i seguenti beni intestati a nome del ricorrente: 1-2) le quote di proprieta' del 50% di un fabbricato acquistato in data 15 maggio 2006 e di un terreno sito ad (OMISSIS) acquistato il 10 luglio 2020; 3) la polizza assicurativa stipulata in data 7 dicembre 2017; 4) il buono fruttifero con saldo pari a 40 mila Euro, acquistato il 22 gennaio 2019. Il Tribunale, premesse l'indiscussa gravita' indiziaria a carico del padre del ricorrente, nonche' la sua appartenenza da oltre un ventennio al clan (OMISSIS), peraltro in posizione apicale, oltre che la sproporzione degli acquisti ai suoi redditi leciti, ha ritenuto infondate le giustificazioni addotte dal ricorrente per escludere la natura fittizia della intestazione e provare la provenienza lecita dei capitali investiti negli acquisti dei beni sequestrati. 2. Tramite il proprio difensore di fiducia e procuratore speciale, ha proposto ricorso (OMISSIS) chiedendo l'annullamento del provvedimento ed articolando un unico motivo con cui deduce la violazione di legge ed il vizio per illogicita' e/o assenza della motivazione, avendo il Tribunale applicato la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale prevista dalla L. 1992, articolo 12-sexies, ora articolo 240-bis c.p., sebbene si tratti di beni intestati a terzo, senza fornire la prova dell'interposizione fittizia e la sproporzione dei suoi beni rispetto al reddito dichiarato. In particolare si osserva che per i beni di cui ai punti 1, 2 e 4 e' stata fornita la prova che le risorse economiche investite nei due acquisti immobiliari e nel buono fruttifero derivava dalla donazione e dalla successione ereditaria della nonna (OMISSIS), mai condannata per reati di criminalita' organizzata e che godeva di ampie e legittime rendite immobiliari, tanto che neppure il Pubblico Ministero ha mai disposto il sequestro d'urgenza degli immobili costituenti l'asse ereditario di (OMISSIS) donato ai nipoti. Si obietta, inoltre, che il nonno del ricorrente, (OMISSIS), deceduto nel 1976, non e' mai stato condannato per associazione mafiosa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. Devesi preliminarmente ricordare che in tema di provvedimenti cautelari reali il ricorso per cassazione e' consentito solo per violazione di legge ex articolo 325 c.p.p. e che tale vizio ricomprende, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692). Orbene, nel caso in esame, si osserva che non emerge alcuno dei vizi radicali della motivazione denunciabili con ricorso poiche' il Tribunale del riesame reale ha verificato la legittimita' del sequestro dei beni intestati a nome del ricorrente, reputando con argomenti logici e conducenti non superata dalle allegazioni difensive l'accertamento della interposizione rispetto alla effettiva titolarita' degli stessi da parte di (OMISSIS), padre dell'odierno ricorrente. il Tribunale, con motivazione correlata all'esame delle specifiche circostanze di fatto - in quanto tali insindacabili in sede di legittimita' - e alle risultanze delle attivita' di indagine di natura patrimoniale e fiscale esperite, ha evidenziato l'obiettiva sussistenza di gravi indizi relativi alla sproporzione del valore dei beni in disponibilita' del ricorrente rispetto al reddito e alle attivita' economiche dell'intero nucleo familiare facente capo a (OMISSIS), ed ha spiegato con argomentazioni coerenti alle verifiche eseguite le ragioni per le quali le produzioni documentali difensive sono inidonee a vincere la presunzione di illecita accumulazione collegata all'accertata sproporzione riferita evidentemente al patrimonio del soggetto indagato, in cui rientrano anche i beni ritenuti fiduciariamente intestati a nome del figlio. 2. L'argomento centrale della irrilevanza della origine ereditaria dei beni, in quanto frutto del reimpiego delle risorse pervenute al ricorrente per successione mortis causa o anche per donazione da parte di (OMISSIS), non puo' essere oggetto di sindacato in questa sede, trattandosi di una valutazione che investe un profilo della motivazione che non puo' ritenersi viziato da una radicale incongruenza logica che si traduca in una forma di motivazione apparente o inesistente. La circostanza che (OMISSIS) (padre del ricorrente), come anche i suoi fratelli, abbiano da sempre fatto ricorso ad intestazioni fittizie dei propri beni a congiunti e prestanomi, consente di svalutare il riferimento ai beni ereditati da (OMISSIS), tenuto conto che anche la predetta familiare e' stata ritenuta inserita nella associazione mafiosa del clan (OMISSIS), con ruolo direttivo dopo l'uccisione del marito avvenuta nel (OMISSIS). Pertanto, che il patrimonio di (OMISSIS) derivi in buona parte da successione ereditaria o da donazioni da parte del proprio genitore (OMISSIS), sotto forma di rinuncia di quest'ultimo alla quota di eredita' della madre (OMISSIS), costituisce un argomento del tutto inidoneo a scalfire la motivazione della ordinanza impugnata. Invero, poiche' l'interposizione fittizia si fonda generalmente su un rapporto fiduciario riservato che ne rende particolarmente difficile il disvelamento, la giurisprudenza di legittimita' ha affermato che la prova puo' essere data anche per indizi, purche' pero' abbiano i requisiti stabiliti dall'articolo 192 c.p.p., comma 2 (cfr., Cass., Sez. 2, 10/01/2008 n. 3990, Catania, Rv. 239269). Gli elementi addotti a dimostrazione dell'esclusiva proprieta' da parte del terzo dei beni sequestrati sono stati attentamente vagliati dal Tribunale e sono stati motivatamente ritenuti inidonei a confutare la tesi accusatoria, sulla base della riconosciuta esistenza di una generale condivisa disponibilita' dei beni da parte della famiglia mafiosa dei (OMISSIS), tale da rendere irrilevante la intestazione ai diversi congiunti, in quanto frutto di accumulazione di ricchezze di provenienza illecita confluite indistintamente in capo a ciascuno di essi senza una reale autonomia patrimoniale corrispondente alla formale titolarita' dei beni. In un tale contesto di illecita accumulazione patrimoniale da parte di un intero nucleo familiare che si immedesima con il clan mafioso in una logica di sostanziale condivisa disponibilita' delle risorse finanziarie che ad esso fanno capo, il riferimento ai proventi ereditati per successione da uno dei membri della predetta famiglia mafiosa e' stato coerentemente ritenuto recessivo in ragione della verificata assenza di altre lecite risorse da parte del ricorrente che potessero giustificare la esclusiva ed effettiva titolarita' dei beni in sequestro, cosi' da rendere inattaccabile sotto il profilo del vizio radicale della motivazione l'ordinanza impugnata con riferimento sia alla riconosciuta natura simulata dell'intestazione e sia rispetto alla disponibilita' effettiva dei beni da parte del soggetto indagato per i reati che ne legittimano la confisca ai sensi dell'articolo 240-bis c.p.. Si tratta, in definitiva, di una motivazione priva di qualsiasi profilo di violazione di legge deducibile con il presente ricorso, essendo estranea al sindacato di legittimita' - ancor piu' in tema di misure cautelari reali - la diretta analisi degli elementi di fatto posti a fondamento del costrutto accusatorio. 3. Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere Dott. BORSELLINO Maria - rel. Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere Dott. MONACO Marco Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza resa 111 ottobre 2021 dalla CORTE di APPELLO di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BORSELLINO MARIA DANIELA; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERRAO D'AQUINO Pasquale, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, per mancata prova del reato presupposto e dell'avv. DEI Massimiliano che ha insistito nei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza resa il 7 ottobre 2019 dal Tribunale di Milano che ha dichiarato la responsabilita' di (OMISSIS) in ordine al reato di riciclaggio continuato per avere compiuto operazioni volte ad ostacolare la provenienza delittuosa di somme di denaro, provento dei delitti di associazione per delinquere e ricettazione commessi da altri, acquistando allo stato grezzo per la somma di 140.000 Euro oltre iva, due unita' immobiliari che poi rivendeva allo stato finito per la somma di 274.000 Euro. 2.Avverso la detta sentenza propone ricorso l'imputata deducendo: 2.1 violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 648 c.p. e travisamento dei fatti e delle risultanze istruttorie, nonche' vizio della motivazione anche in relazione ai motivi di gravame, in quanto non sono emersi indizi gravi precisi e concordanti in ordine alla provenienza illecita della provvista utilizzata dalla ricorrente per acquistare nel gennaio 2014 l'appartamento poi rivenduto; l'unico elemento indiziario e' costituito dalla sussistenza di indagini nei confronti della madre della ricorrente per i reati di associazione a delinquere e ricettazione, reati che tuttavia risalivano ad epoca successiva a quelle delle donazioni in favore della ricorrente e quindi tutti commessi dopo la compravendita. La corte ha illogicamente retrodatato la commissione dei reati presupposti contestati, collocandoli nell'anno 2013, in forza di una ricostruzione non sorretta da alcun minimo riscontro. Poiche' manca la prova di un coinvolgimento della madre dell'imputata in attivita' illecite prima del maggio 2015, difetta completamente la prova della provenienza delittuosa delle somme corrisposte. La Corte ha poi ritenuto del tutto sfornite di giustificazioni le elargizioni provenienti dagli altri soggetti individuati, ma anche tale asserto si fonda su mere congetture che non trovano alcun riscontro negli atti e documenti processuali; 2.2 violazione di legge, in particolare dell'articolo 133 c.p., e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio poiche' la sentenza ha confermato la pena determinata in misura superiore al minimo edittale, senza alcuna adeguata motivazione; 2.3 violazione dell'articolo 648 quater c.p. e vizio di motivazione poiche' la corte ha confermato la legittimita' della confisca disposta dal tribunale senza fornire alcuna giustificazione circa il nesso di pertinenzialita' tra il bene da confiscare e il reato e senza spiegare perche' le somme versate sul conto corrente dell'imputata debbano essere considerate frutto della attivita' criminosa dissimulatoria; 2.4 violazione dell'articolo 603 c.p.p. e vizio di motivazione in quanto la sentenza non si e' pronunziata sulla richiesta dell'imputata di ascoltare alcuni testi, negando la possibilita' di un'integrazione probatoria necessaria ai fini del presente giudizio; 3. Il ricorso e' inammissibile perche' non si confronta con l'esaustiva motivazione resa al riguardo dalla Corte di Appello, la quale ha respinto le doglianze formulate con l'impugnazione ribadendo che le risorse investite dall'imputata nell'acquisto dell'appartamento non possono che essere di provenienza illecita, considerato che la stessa non ha dimostrato di avere percepito redditi leciti e che la provvista e' stata in buona parte fornita dalla madre e da un'altra donna gia' coinvolte in un'associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione di gioielli, che aveva una struttura complessa ed articolata ed era in grado di commercializzare preziosi di varia provenienza e di significativo valore, tutte circostanze che inducono a ritenere che tale sodalizio si fosse costituito e radicato in epoca precedente all'inizio delle indagini e al periodo indicato nell'imputazione. 3.1 Sembra opportuno esaminare per primo il quarto motivo di ricorso in quanto attiene alla determinazione del compendio probatorio su cui si fonda il giudizio di colpevolezza. La censura e' generica poiche' non espone il carattere dirimente delle tre prove dichiarative che non sono state ammesse dalla Corte di appello ex articolo 603 c.p.p.. 3.2 Il primo motivo di ricorso, relativo alla mancata dimostrazione del reato presupposto e della provenienza illecita del denaro investito dalla ricorrente e' generico poiche' non si confronta con la motivazione della corte. La sentenza impugnata infatti ha valorizzato la constatazione che i reati presupposto delle ricettazioni contestate alla madre dell'imputata, risalivano ad epoche antecedenti alla data indicata nelle imputazioni di ricettazione e risultavano commessi sino al 2013; che il sodalizio criminoso in cui era coinvolta da epoca antecedente al 2015 aveva una struttura complessa e articolata in grado di commercializzare preziosi di varia provenienza e di valore ingente, il che induce a retrodatare il coinvolgimento in attivita' delittuose suo e delle donne che risultavano avere versato denaro alla ricorrente, e a ritenere che le somme consegnate per l'acquisto dell'immobile fossero frutto delle attivita' illecite poste in essere da costoro, a prescindere dalla contestazione formale delle ricettazioni. Il ricorrente non si confronta con questa affermazione, limitandosi a osservare che le ricettazioni addebitate alle donatrici risultano formalmente contestate nel decreto di giudizio immediato in epoca successiva alla dazione delle somme all'imputata, mentre la corte ha correttamente valorizzato la data dei furti, perche' sin da quell'epoca e' logico ritenere che la madre dell'imputata fosse inserita nell'attivita' criminale e abbia potuto ottenere proventi illeciti dalla ricezione dei beni di provenienza furtiva, a prescindere dalla data indicata nel decreto di giudizio immediato e relativa all'accertamento delle ricettazioni. Anche la circostanza dedotta dalla ricorrente che le predette donatrici sarebbero state assolte dal reato associativo non muta la sostanza del ragionamento, fondato sul pregresso inserimento delle stesse nell'attivita' illecita che ha prodotto i proventi investiti dalla giovane (OMISSIS). In ordine all'elemento soggettivo la corte ha richiamato la consolidata giurisprudenza secondo cui la prova del dolo di ricettazione puo' essere raggiunta anche sulla base della omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta. Al riguardo ha osservato che ne' l'imputata ne' le tre donne che le hanno conferito le somme di denaro da lei investite nell'acquisto dell'immobile, hanno dimostrato l'esistenza di redditi leciti, non risultando comprovato l'assunto difensivo che l'imputata abbia accumulato le risorse investite attraverso l'attivita' di estetista svolta "in nero"; altrettanto dubbie risultano le giustificazioni in ordine alla provenienza di parte delle somme da vincite di gioco, non essendo stata dimostrata l'entita' delle scommesse e la provenienza della provvista investita nel gioco. 3.3 Il secondo motivo relativo al trattamento sanzionatorio e' manifestamente infondato poiche' la pena e' stata determinata in anni quattro, mesi tre di reclusione ed Euro 6000 di multa e cioe' in misura prossima al minimo edittale ed e' stata ridotta per le circostanze attenuanti generiche. 3.4 Il terzo motivo e' manifestamente infondato poiche' la confisca e' stata disposta anche ai sensi dell'articolo 240 bis c.p., che la consente anche in assenza del nesso di pertinenza con il reato quando, come nel caso in esame, il patrimonio acquistato risulti sproporzionato rispetto al reddito lecito e comunque alle attivita' economiche dell'imputato. 4. Si impone pertanto la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende. 5. La non particolare complessita' delle questioni trattate la ricorrenza di principi di diritto consolidati consigliano la redazione della motivazione in forma semplificata. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende. Sentenza a motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Presidente Dott. DE SANTIS Anna Maria - Consigliere Dott. COSCIONI Giusep - rel. Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 24/06/2022 del TRIB. LIBERTA' di MILANO; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE COSCIONI; lette le conclusioni del PG Dr. CIMMINO ALESSANDRO, che ha chiesto rigettarsi il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. In data 15 maggio 2022 i Carabinieri della Stazione di Cuggiono notavano (OMISSIS) salire su un veicolo e, alla vista degli operanti, gettare un sacchetto contenente la somma di 30.000,00 Euro; il pubblico ministero chiedeva quindi di disporre il sequestro preventivo del denaro, sequestro che veniva disposto dal giudice per le indagini preliminari in quanto prodotto della ricettazione ex articolo 240 c.p., o ai sensi della confisca allargata ex articolo 240 bis c.p. in ragione della sproporzione tra il denaro ed il reddito riconducibile all'indagato; avverso la misura reale proponeva istanza di riesame (OMISSIS), che veniva rigettato dal Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame. 1.1 Avverso l'ordinanza ricorre per Cassazione il difensore di (OMISSIS), lamentando che il Tribunale si era allineato acriticamente alla conclusione del giudice per le indagini preliminari, avendo ribadito come il possesso di una somma di denaro unitamente alle modalita' di conservazione in una carta di giornale (e dunque sospette) avrebbero giustificato la permanenza del sequestro, deponendo per la sussistenza del fumus del reato di ricettazione; mancava pero' qualsiasi riscontro investigativo circa la sussistenza di un reato presupposto, che sarebbe stato inquadrato, benche' non se ne comprendessero le ragioni, nella condotta di traffico e/o cessione di non meglio note sostanze stupefacenti, malgrado non fosse stata data contezza di alcun elemento da cui desumere tale circostanza. Il difensore rileva inoltre che era stata documentalmente ricostruita l'assoluta liceita' nonche' titolarita' della fonte reddituale da cui traeva origine la somma posta sotto sequestro; non risultava corretta la valutazione che (OMISSIS) fosse persona priva di attivita' di lavoro, visto che risultava titolare di una ditta individuale attiva nei servizi di pulizia da ben 12 anni, per cui era plausibile che avesse potuto accantonare, unitamente alla moglie ed alle donazioni di alcuni parenti, la somma sequestrata; si contestava poi la ritenuta sussistenza di precedenti penali in capo al ricorrente, che era stato imputato per un unico episodio di spaccio di lieve entita', definito nelle forme di messa alla prova con esito positivo; proprio in conseguenza di tale unico precedente e della normativa sul limite di contanti ex L. n. 157 del 2019 (OMISSIS) si era liberato del denaro alla vista degli operanti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso e' infondato. 1.1 In via preliminare, osserva questa Corte che in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'articolo 325 c.p.p. consente il sindacato di legittimita' soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge: nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, gli "errores in iudicando" o "in procedendo", ma anche i vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093). Non puo', invece, essere dedotta l'illogicita' manifesta della motivazione, la quale puo' denunciarsi nel giudizio di legittimita' soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e) (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611). Nel caso in esame, il ricorrente contesta gli elementi di fatto posti a base della decisione, per cui il ricorso appare infondato: in particolare, il Tribunale ha evidenziato che l'indagato e' stato visto gettare, alla vista dei carabinieri, un sacchetto che conteneva banconote avvolte in una carta di giornale, circostanze che denotavano la consapevolezza della provenienza illecita della somma; il Tribunale ha anche confutato le tesi difensive relative alla spiegazione del comportamento dell'indagato, riproposte nella presente sede; Pertanto, il Tribunale ha correttamente applicato il principio secondo il quale "integra il delitto di ricettazione la condotta di chi sia sorpreso nel possesso di una rilevante somma di denaro, di cui non sia in grado di fornire plausibile giustificazione, qualora, per il luogo e le modalita' di occultamento della stessa, possa, anche in considerazione dei limiti normativi alla detenzione di contante, ritenersene la provenienza illecita. (Fattispecie relativa al rinvenimento della somma complessiva di oltre 153.000 Euro in contanti, occultata in luoghi diversi nella disponibilita' dell'imputato, privo di stabile occupazione, che non aveva saputo indicarne la provenienza)." (Sez.2 -, Sentenza n. 43532 del l'9/11/2021, Berati, Rv. 282308 - 01); tale orientamento va ribadito poiche' applicazione della regola generale in tema di reati da ricezione di profitto illecito, secondo cui l'affermazione della responsabilita' per il delitto di ricettazione non richiede l'accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, ne' dei suoi autori, ne' dell'esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l'esistenza attraverso prove logiche (Sez. 2, n. 29685 del 05/07/2011, Rv. 251028 - 01). Trattasi di principi affermati relativamente a sentenze di condanna, che valgono tanto piu' in fase cautelare, nella quale non e' richiesta la piena prova del reato commesso, essendo sufficienti semplici indizi; va infatti sottolineato che ai fini dell'emissione di una misura cautelare e' sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilita' sulla responsabilita' dell'indagato in ordine ai reati addebitatigli: gli indizi, dunque, ai fini delle misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall'articolo 192 c.p.p., comma 2. Quanto alla sussistenza del reato presupposto, il giudice per le indagini preliminari ha evidenziato le modalita' di custodia del denaro (avvolto in fogli di giornale inseriti in un sacchetto di plastica) e suddiviso in banconote di piccolo taglio in mazzette preconfezionate, ritenendolo "concreto indizio della provenienza di quel denaro da illecita attivita' di narcotraffico" (pag.2 ordinanza G.I.P.). 2. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato; ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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