Sentenze recenti estorsione

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  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente Dott. APRILE Stefano - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. MONACO Marco Maria - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Ig.Br. (C.U.I. (Omissis)) nato il (Omissis) avverso la sentenza del 27/09/2023 della CORTE di APPELLO, SEZ. MINORENNI, di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere CARMINE RUSSO; lette le conclusioni del PG, SIMONE PERELLI, che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. lette le conclusioni del difensore dell'imputato, avv. Pa.Mu., che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 3 marzo 2023 il Tribunale per i minorenni di Milano, in rito abbreviato, ha condannato Ig.Br. alla pena di 6 anni di reclusione per i reati di tentato omicidio aggravato in danno di Yu.Pr. e di tentata estorsione in danno di Al.Ma., fatti commessi il 17 maggio 2022. Con sentenza del 27 settembre 2023 la Corte di appello di Milano, sezione per i minorenni, ha confermato la sentenza di primo grado. 2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, con unico motivo in cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dell'aggravante dell'art. 576, comma 1, n. 1, cod. pen., in relazione all'art. 61, n. 2, cod. pen., atteso che il giudice del merito ha riconosciuto l'aggravante ritenendo che il reato mezzo, ovvero il tentato omicidio, sia stato commesso per realizzare il reato scopo, ovvero la tentata estorsione; però, ad avviso, del ricorrente, tale prova manca, perché la causa scatenante dell'utilizzo del coltello da parte del ricorrente era da attribuire a quanto verificatosi solo successivamente all'intervento di Pr. in difesa dell'amico Ma., intervento rapidamente degenerato prima in spintoni, e quindi in un reciproco scambio di pugni, infine nel ricorso da parte dell'imputato all'utilizzo dell'arma che aveva con sé; lo scontro fisico quindi si era verificato non in uno, ma in due momenti; la stessa sentenza riconosce che il coltello non è stato utilizzato fin dall'inizio; non è, pertanto, possibile pervenire alla conclusione che, senza l'intervento non preventivato di Pr., l'imputato avrebbe comunque estratto l'arma per minacciare Ma.; in definitiva, manca la volontà e rappresentazione della aggravante in quanto la condotta è stata tenuta soltanto come reazione estemporanea all'intervento da parte di un soggetto estraneo ai fatti. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale, dr. Simone Perelli, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. Con note scritte il difensore dell'imputato, avv. Pa.Mu., ha replicato alle conclusioni del P.G. ed insistito per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. Nel giudizio di legittimità il sindacato sul modo in cui il giudice del merito ha fatto concreta applicazione della regola legale dell'art. 192, comma, 1 cod. proc. pen., secondo cui "il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati", e di quella di cui al successivo comma 2, secondo cui "l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti" è molto ristretto, perché si limita al controllo logico e giuridico della struttura della motivazione dedicata all'interpretazione degli elementi probatori, con esclusione della possibilità di rivalutazione degli stessi. L'ambito di sindacato è ancora più ristretto in caso, quale quello in esame, in cui il giudizio sulla prova è oggetto di doppia conforme, atteso che nel caso in cui una statuizione della pronuncia di primo grado sia confermata in appello, ai fini del controllo di legittimità, la motivazione della sentenza di primo grado e quella della sentenza di appello si integrano vicendevolmente (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). Nel caso in esame, l'unico motivo di ricorso affida la critica del percorso logico della sentenza impugnata e l'individuazione in esso di vizi logici alla circostanza che il coltello sia stato utilizzato dal ricorrente soltanto in un secondo momento dell'aggressione, ed in particolare soltanto dopo l'intervento di Pr., amico della persona offesa dell'estorsione. La pronuncia di appello ha affrontato questo argomento, già proposto nel giudizio di secondo grado, alle pagg. 4 e 5 della sentenza, ed ha ritenuto non sussistesse questa cesura che l'impugnazione pretende di introdurre nella lite, perché la presenza di un'arma indosso all'imputato fin dall'inizio della discussione tratteggia pienamente l'intento che animava la richiesta restitutoria, perché l'intervento di Pr. ha avuto come unica causa scatenante la condotta tenuta dall'imputato nei confronti della vittima dell'estorsione, e perché dalle dichiarazioni rese da questi si comprende che il successivo battibecco tra l'imputato e gli amici intervenuti a sostegno della vittima ha semplicemente avuto l'effetto di estendere anche a questi la condotta criminosa in atto. In questa ricostruzione effettuata dal giudice di secondo grado non ci sono vizi logici, perché il rapporto di stretta consequenzialità tra la minaccia perpetrata in danno di Ma., l'intervento degli amici di questi, l'immediata estensione dell'aggressione anche a danno di costoro - con l'utilizzo del coltello per riequilibrare i rapporto di forza che erano divenuti sbilanciati nel numero in favore degli aggrediti - rende non manifestamente illogico sia stato ritenuto dal giudice del merito la inesistenza di una cesura tra le condotte complessivamente tenute dall'imputato e sia stato ritenuto esistente, invece, un nesso teleologico tra l'aggressione in danno di Pr. e la estorsione in danno di Ma. che ne era stata la causa. Ne consegue che le doglianze mosse dal ricorrente si risolvono in una ricostruzione alternativa delle evidenze probatorie, che di per sé non è apprezzabile in sede di legittimità (Sez. 2, Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 3, Sentenza n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, Rv. 270519), il che conduce alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso. 2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso non consegue la condanna alle spese processuali né la sanzione in favore della cassa delle ammende (Sez. U, Sentenza n. 15 del 31/05/2000, Radulovic, Rv. 216704) per effetto dell'art. 29 disp. att. c.p.m., norma ritenuta applicabile anche al giudizio di legittimità (Sez. 4, Ordinanza n. 11194 del 01/06/1999, Milanovic, Rv. 214385). 3. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso il 4 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 846 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ga. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Messina, Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, Regione Siciliana Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via (...); per l'annullamento, previa sospensione: 1) dell'informazione interdittiva emessa dalla Prefettura di Messina - Antimafia - prot. Interno n. -OMISSIS-del 08/02/2024 unitamente a tutti gli altri atti connessi, presupposti e/o conseguenziali, ivi compreso, il parere reso dal Gruppo Interforze; 2) delle richieste di informazione antimafia non conosciute perché non citate; 3) delle "informazioni rese dagli Organi di Polizia", non meglio specificate per data e numero di protocollo, come genericamente richiamate nella citata interdittiva; 4) del provvedimento - non conosciuto - di sospensione dall'erogazione dei contributi comunitari mediante apposizione di anomalia D12 di sospensione nel procedimento amministrativo telematico di AGEA; 5) di ogni altro atto presupposto, connesso o, comunque, conseguenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, dell'Ufficio Territoriale del Governo Messina, dell'A.G.E.A. e dell'Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 la dott.ssa Agnese Anna Barone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La ditta ricorrente è un'impresa agricola individuale con sede a -OMISSIS-il cui titolare è il sig. -OMISSIS-. Con comunicazione del 28 agosto 2023 la Prefettura di Messina comunicava che dall'istruttoria svolta era emerso il pericolo di infiltrazione della criminalità sulla base di diversi elementi riconducibili: a) alle vicende giudiziarie del titolare; b) alle vicende giudiziarie della coniuge convivente; c) ai rapporti di parentela con 4 diversi soggetti (fratello e 3 nipoti) a vario e diverso titolo coinvolti in procedimenti penali per criminalità organizzata; d) alle frequentazioni con soggetti controindicati; e) a specifiche cointeressenze economiche nell'ambito della famiglia. Con nota del 18 settembre 2024, l'interessato presentava le proprie osservazioni precisando che: - le segnalazioni a carico del titolare risalenti ad oltre 30 anni fa, analogamente a quelle più recenti per reati di truffa, non sono mai sfociate in procedimenti penali; - le condanne per il reato di favoreggiamento personale risalgono al 1993 e al 1997; - i rapporti parentali sarebbero insufficienti a supportare il rischio di infiltrazione e comunque l'amministrazione non avrebbe considerato che uno dei nipoti citati nel provvedimento (arrestato nell'ambito dell'operazione -OMISSIS-) sarebbe stato successivamente assolto; - le cointeressenze familiari sarebbero state determinate dal fatto che i terreni sono il cespite dell'eredità del padre defunto. Con provvedimento dell'8 febbraio 2024 il Prefetto di Messina riteneva le osservazioni inidonee ad incidere sui numerosi e convergenti elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria che valutati complessivamente evidenziavano l'esistenza di possibili tentativi di infiltrazione mafiosa ai sensi dell'art 91 del Codice Antimafia. Con il ricorso in esame, ritualmente notificato e depositato, l'interessato ha chiesto l'annullamento della citata misura interdittiva per i seguenti motivi: 1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 92 comma 2 bis del D.lgs. n. 159/2011 sotto il duplice profilo: a) della violazione del termine di sessanta giorni ivi indicato; b) dell'omesso riscontro delle osservazioni difensive della parte ricorrente. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 94 bis del D.lgs. 159/2011, difetto di istruttoria e di motivazione in ordine alla mancata valutazione dell'esistenza dei presupposti per l'applicazione della misura di prevenzione collaborativa. 3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost con riferimento alla libertà economica e alla imparzialità della P.A.; violazione dell'art. 84 del D.lgs. n. 159/2011; irragionevolezza; ingiustizia manifesta; difetto di istruttoria e difetto di motivazione con riferimento alle seguenti circostanze: - le vicende giudiziarie in cui è stato coinvolto il titolare dell'impresa sono tutte collegate a reati di pascolo abusivo e non costituiscono "reati spia", né fattispecie di "maggiore allarme sociale"; - le condanne per favoreggiamento del titolare risalgono a 30 anni fa. 4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 85 e 91 del D.lgs. n. 159/2011 e degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990; difetto di motivazione e carenza di istruttoria in relazione alla mancata esternazioni delle modalità con le quali i parenti indicati nel provvedimento sarebbero in grado di condizionare la gestione dell'impresa. L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e ha puntualmente controdedotto ai motivi di ricorso; ha, inoltre, depositato gli atti dell'istruttoria tra cui le informazioni rese dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Messina Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione, ai sensi dell'art. 60 c.p.a., previo avviso alle parti. DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Partendo dalle contestazioni di ordine procedimentale va osservato che: - il termine di sessanta giorni di cui all'art. 92 comma 2 bis invocato dalla parte ricorrente si riferisce espressamente alla durata complessiva della fase (infra)procedimentale del contraddittorio e non al termine di definizione del procedimento che rimane regolato dalle disposizione dell'art. 92, comma 2° del D.lgs. n. 159/2011 (e che, peraltro, rimane sospeso durante la fase del contraddittorio tra le parti, cfr. in termini: Cons. Stato, Sez. III, 8 marzo 2024, n. 2260; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. V, 10 maggio 2024, n. 1749); - in ogni caso, in mancanza di una espressa qualificazione dei termini come "perentori", essi vanno intesi come termini sollecitatorio o ordinatori, sicché il loro eventuale superamento non determina l'illegittimità dell'atto (cfr. in termini, C.G.A. 5 giugno 2023, n. 388); - non è ravvisabile, inoltre, alcuna violazione dell'art. 92, comma 2bis per la ritenuta omessa valutazione delle memorie di parte ricorrente atteso che alle pag. 6 e segg. del provvedimento sono esternate le ragioni della ritenuta inidoneità delle osservazioni a modificare la valenza del quadro fattuale e indiziario. Ne consegue il rigetto del primo motivo di ricorso. 3. Quanto alle censure mosse dal ricorrente circa la presunta insussistenza a carico dello stesso delle condizioni per l'adozione di un provvedimento interdittivo, il Collegio rileva come la misura sia stata adottata ai sensi degli artt. 84, 91 e 94 del Codice Antimafia, i quali non richiedono né la sussistenza di condanne, né la necessità di altri provvedimenti del giudice penale (rinvio a giudizio, misure cautelari, misure di prevenzione) ai fini della complessiva valutazione sul grado di permeabilità della criminalità organizzata. Invero, il sistema della prevenzione - per come disciplinato dal Codice Antimafia - si presenta come "binario", inducendo in via automatica da alcune categorie di reati il rischio di infiltrazione mafiosa e lasciando, invece, negli altri casi, al prudente apprezzamento dell'autorità prefettizia la valutazione "atipica" di una serie di elementi sintomatici elaborati dalla giurisprudenza. I presupposti per l'emanazione di un provvedimento interdittivo costituiscono, quindi, un cata aperto da cui l'Autorità può desumere gli indizi corroboranti il giudizio prognostico sotteso all'apprezzamento del rischio infiltrativo; quindi, la sussistenza di un provvedimento di condanna, ancorché non definitivo non è presupposto tassativo, potendo essere doppiato e traguardato dalle altre situazioni sintomatico-presuntive di cui all'art. 84, comma 4° del D.lgs. n. 159/2011 o dalla clausola aperta compendiata nei "concreti elementi" di cui all'art. 91, 6° comma, D.lgs. n. 159/2011. 3.1 Al riguardo, la giurisprudenza è da tempo consolidata nel ritenere che i provvedimenti prefettizi interdittivi possano essere adeguatamente motivati con riferimento a riscontri che danno vita a valutazioni che sono espressione di ampia discrezionalità e che non devono necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazioni malavitose (e, quindi, del condizionamento in atto dell'attività di impresa), ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergono sufficienti elementi di pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata (cfr. tra le tante: C.G.A. 14 maggio 2021, n. 431; Cons. Stato, sez. III 4 giugno 2021, n. 4293; 27 aprile 2021, n. 3379; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. I, 19 gennaio 2018, n. 148 e 29 settembre 2017 n. 2258). Il "tentativo di infiltrazione" deve essere, quindi, valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere raggiungere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non", appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (Cons. Stato, Ad. Plen. 6 aprile 2018, n. 3; Cons. Stato, Sez. III, 25 novembre 2021, n. 7890; 30 gennaio 2019, n. 758; 18 aprile 2018, n. 2343). Lo stesso legislatore, del resto, laddove fa riferimento (art. 84, comma 3°, D.lgs. n. 159 del 2011) agli "eventuali tentativi" di infiltrazione mafiosa "tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate" richiama nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l'evento secondo una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un'ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso (cfr. in termini, tra le più recenti, Cons. Stato Sez. III, 6 settembre 2021, n. 6225 e 3 agosto 2021, n. 5734 con ampi richiami giurisprudenziali). 3.2 Venendo alla fattispecie oggetto di giudizio, gli elementi su cui il provvedimento interdittivo ha fondato la sua prognosi indiziaria sono costituiti: - da varie vicende giudiziarie del ricorrente e della coniuge convivente; - dalle frequentazioni, tutte recenti (v. pag. 5 del provvedimento), con soggetti pregiudicati; - dai rapporti di parentela con soggetti coinvolti a vario titolo in procedimenti penali per associazione di tipo mafioso (pagg. 2 e segg. del provvedimento) e dalle cointeressenze economiche con i membri della famiglia derivanti dai numerosi contratti di affitto indicati alle pagg. 5-6 del provvedimento. In particolare, il ricorrente è : 1) fratello di -OMISSIS-(attualmente detenuto, come riferito dallo stesso ricorrente), rimasto coinvolto nell'ambito nelle operazioni di polizia denominate -OMISSIS- (per il reato di associazione di tipo mafioso, riqualificato, con apposita Ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Palermo, nel reato di favoreggiamento personale aggravato dal metodo mafioso) e -OMISSIS- (in ordine ai reati di concorso esterno in associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori aggravato; 2) zio di -OMISSIS- (figlio del fratello sopra indicato) socio amministratore insieme ad altro soggetto di impresa agricola operante nel medesimo territorio e già destinataria, nel 2018, di provvedimento interdittivo; 3) zio di -OMISSIS-, titolare di altra impresa destinataria, nel 2021, di interdittiva; 4) zio di -OMISSIS- (anch'egli figlio del fratello indicato sub 1) arrestato nel 2019 nell'ambito dell'operazione -OMISSIS- per i reati di concorso in associazione di tipo mafioso, concorso in truffa aggravata e trasferimento fraudolento di valori; 5) zio di -OMISSIS- (figlio di altro fratello del ricorrente): a) segnalato, tra l'altro, nel 2016 per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso in concorso con esponenti del mandamento mafioso di -OMISSIS- e condannato, per tali reati, nel 2019 (sentenza del 2019 indicata nel provvedimento) alla pena di anni 6 di reclusione e 4.000,00 euro di multa; b) coinvolto, sempre nel 2016, nel procedimento penale convenzionalmente denominato -OMISSIS-per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis commi 1,3, 4, 5 e 6 c.p.), quale appartenente alla famiglia mafiosa inserita nel mandamento di -OMISSIS-, successivamente arrestato, nel 2018, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare e, infine, assolto nel 2019 "per non avere commesso il fatto"; di tale assoluzione da espressamente atto il provvedimento impugnato precisando che la circostanza non elide la contiguità ai contesti malavitosi comunque ritraibili dalle dinamiche relazioni emerse dall'ordinanza di custodia cautelare (pag. 7 del provvedimento); c) segnalato, nel 2018, e successivamente sottoposto, unitamente ad altri 3 familiari (-OMISSIS-), a misure cautelari nell'ambito dell'operazione -OMISSIS- poiché responsabili, a vario titolo, dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori con l'aggravante di aver commesso il fatto per agevolare l'organizzazione mafiosa e concorso in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche; - citato nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nell'ambito dell'operazione denominata -OMISSIS-da cui emerge l'inserimento in un contesto criminale dedito principalmente alla commissione di estorsioni in danno di imprese edili. Risultano, infine, indicati 5 contratti di affitto di fondi rustici (uno risalente al 2015, gli altri molto più recenti) tra il ricorrente e altri fratelli in qualità di dante causa con controparti appartenenti alla medesima famiglia; tra questi soggetti figurano, tra gli altri, i soggetti indicati sub 1), 2), 3) e 4.c). 3.3 Ciò premesso il Collegio ritiene che i riferiti elementi, complessivamente valutati, danno vita ad un quadro indiziario sufficiente per ritenere correttamente formulato il giudizio del Prefetto circa l'attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività economica ed imprenditoriale riconducibile alla ditta del ricorrente, ove si consideri la funzione di tutela sociale significativamente anticipatoria assegnata dal legislatore alle misure previste dalla normativa antimafia. Non si può disconoscere che un ruolo centrale nell'impianto motivazionale è costituito dai rapporti parentali che - come più volte affermato anche da questo TAR - da soli e astrattamente considerati non avrebbero potuto sostenere un'informazione interdittiva, dato che la pericolosità sociale non si trasferisce automaticamente da un parente all'altro essendo comunque necessario un concreto rischio che dalla parentela possa scaturire un pericolo di condizionamento. Invero, il solo legame parentale, nella sua mera esistenza, non si presta - in mancanza di ulteriori elementi idonei ad attribuirgli concreta rilevanza indiziaria nella prospettiva della valutazione antimafia - a fondare il pericolo di condizionamento, ciò in quanto il rapporto familiare, genericamente inteso, in quanto ontologicamente esistente in una dimensione non solo extra-criminale, ma anche extra-imprenditoriale, può alternativamente costituire, dal punto di vista della valutazione interdittiva, un elemento "inerte" o neutrale, in quanto privo di concreto significato ai fini preventivi e confinato esclusivamente nella sfera personale, ovvero un elemento "dinamico" e rilevante, in quanto idoneo ad innescare il flusso inferenziale che fa da sfondo alla ricostruzione indiziaria del pericolo di condizionamento. A determinare il passaggio "qualitativo" del vincolo parentale dall'una all'altra dimensione valutativa è la specifica caratterizzazione dello stesso, soprattutto in determinati contesti socio economici nella doverosa constatazione che l'organizzazione mafiosa tende a strutturarsi secondo un modello "clanico" che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, con la conseguenza che il vincolo parentale unitamente al contesto ambientale e sociale nel quale opera l'impresa attinta da informativa possono rilevare quali elementi sintomatici accessori tanto il contesto ambientale e parentale nel quale opera l'impresa attinta da informativa, quanto la sua struttura organizzativa o societaria, possono rilevare quali elementi sintomatici accessori (cfr. in termini, C.G.A. 6 novembre 2023, n. 762; 6 marzo 2023, n. 200; Cons. Stato, sez. III, 21 marzo 2022, n. 2167; 17 marzo 2022, n. 1935; 7 marzo 2022, n. 1622). Orbene, nel caso di specie, ciò che assume profonda valenza in chiave prognostica, non è solo il coinvolgimento dei familiari del ricorrente in vari procedimenti penali anche per reati associativi, risultando determinanti anche le cointeressenze economiche comprovate dall'affitto dei fondi rustici (alcuni dei quali con familiari già destinatari di interdittive) in uno specifico contesto socio economico e in un limitato ambito territoriale (caratterizzato da una pervasiva presenza del fenomeno mafioso espressione della regia clanico-familiare delle attività in agricoltura) ove il pericolo di contaminazione mafiosa assume connotazioni più pregnanti. 3.4 A ciò si aggiunga il fatto che altro elemento indiziario è costituito da una serie di recenti frequentazioni con soggetti fortemente controindicati con pregiudizi, tra gli altri, per sequestro di persona a scopo di estorsione, concorso in associazione di tipo mafioso, rapina e truffa aggravata. Anche i predetti elementi, esaminati nelle loro specifica consistenza e valutati nel contesto territoriale e sociale in cui opera l'impresa agricola sono idonei a sorreggere, in una logica di prevenzione, l'impianto dei due provvedimenti in termini di indici sintomatici dell'infiltrazione mafiosa. 3.5 Quindi, il Collegio - tenuto anche conto dei limiti di sindacato su un provvedimento assistito dalla lata discrezionalità amministrativa, censurabile soltanto per parametri quali l'irragionevolezza, l'arbitrarietà, il travisamento del fatto, elementi questi che non connotano la fattispecie - ritiene che risultino persuasivamente ricostruiti i rapporti familiari connotati da cointeressenze economiche e gli ulteriori rapporti tra il ricorrente e soggetti pregiudicati per reati gravi che consentono appieno di ritenere soddisfatto il requisito del "più probabile che non" dato che non vi è stata un'automatica ed apodittica valutazione del solo dato del rapporto parentale, bensì l'apprezzamento di un insieme di indici considerati nel loro insieme, che hanno condotto ad un giudizio di verosimile e probabile condizionamento delle scelte e degli indirizzi dell'impresa. 4. Gli elementi sopra richiamati, per le loro oggettive caratteristiche, la continuità nel tempo e per il loro significato in termini prognostici esprimono, inoltre, un pericolo di infiltrazione avente una natura e dimensione tale, anche in relazione alle caratteristiche del soggetto economico in questione, da non potere essere adeguatamente fronteggiate da strumenti diversi da quello interdittivo, sicché la scelta della Prefettura di ricorrere all'informativa interdittiva (in luogo delle misure di collaborazione preventiva) risulta formalmente coerente all'impianto motivazionale posto a fondamento dell'atto. 5. In conclusione, per tutto quanto sopra esposto il ricorso è infondato e va respinto. 6. Le spese seguono la soccombenza, nei rapporti tra la parte ricorrente e il Ministero dell'Interno - UTG di Enna, secondo la liquidazione operata in dispositivo tenendo anche conto dell'immediata definizione del giudizio in sede cautelare. Le spese sono, invece, compensate con le altre parti costituite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero dell'Interno - UTG di Enna che liquida nella somma complessiva di Euro 1500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. Compensa le spese con le altre parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e delle generalità delle altre persone fisiche citate del provvedimento. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Agnese Anna Barone - Presidente, Estensore Giuseppina Alessandra Sidoti - Consigliere Salvatore Accolla - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. LANNA Angelo V - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 20/10/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI; udita la relazione svolta dal Consigliere MICHELE BIANCHI; lette le conclusioni del PG Dott. Luigi Cuomo che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza depositata in data 24 ottobre 2022 il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha dichiarato l'inammissibilita' della richiesta di (OMISSIS) di ammissione alla liberazione condizionale. L'istante, condannato per il reato di cui all'articolo 630 c.p. e altre fattispecie minori, alla pena di anni trenta di reclusione, e' detenuto dal 4 ottobre 2004 e quindi, tenuto anche conto della liberazione anticipata gia' ottenuta per anni 6, mesi 4 e giorni 19, non aveva ancora espiato la pena inflitta per il reato di sequestro di persona (30 anni) e non era collaboratore, ne' era stata accertata collaborazione impossibile o inesigibile. 2. Il difensore di (OMISSIS) ha presentato ricorso per cassazione, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Con l'unico motivo viene denunciata la violazione dell'articolo 176 c.p. in quanto per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione era stata inflitta la pena di anni 28 di reclusione, pena che (OMISSIS) aveva interamente espiato, tenuto conto del pre-sofferto (dal 29 maggio 1999 al 20 dicembre 2002) e di un ulteriore semestre ai fini della liberazione anticipata. Dunque, il ricorrente stava espiando pena per reati non ostativi alla concessione della liberazione condizionale della pena. 3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Va pronunciato annullamento, con rinvio, dell'ordinanza impugnata. 1. Si deve premettere che la decisione impugnata e' stata assunta sulla base della normativa vigente all'epoca. In particolare, a norma dell'articolo 2 L. n. 203 del 1991, "I condannati per i delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis della L. 26 luglio 1975, n. 354 possono essere ammessi alla liberazione condizionale solo se ricorrono i relativi presupposti previsti dallo stesso comma per la concessione dei benefici ivi indicati". A norma dell'articolo 4-bis L. n. 354 del 1975 i condannati per reati di criminalita' organizzata ed eversiva, specificamente indicati, fra i quali anche il reato di cui all'articolo 630 c.p., per il quale il ricorrente aveva riportato condanna, possono essere ammessi ai cosi' detti benefici penitenziari, fra i quali, appunto, la liberazione condizionale, solo se avevano collaborato con la giustizia ovvero qualora sia accertata l'impossibilita', da parte del condannato, di un'utile collaborazione. Si deve aggiungere che la pronuncia costituzionale n. 253/2019, che ha dichiarato la illegittimita' costituzionale del citato articolo 4-bis ord. pen., nella parte in cui preclude l'accesso ai permessi premio ai condannati per reati cosi' detti ostativi in assenza di collaborazione con la giustizia, riguarda unicamente l'ammissione ai permessi premio e non e' estensibile per analogia agli altri benefici penitenziari (Sez. 1, n. 17100 del 01/04/2021, GALLICO, Rv. 281416). In tale quadro normativo, i'l Tribunale ha rilevato che il ricorrente aveva riportato condanna ad anni trenta di reclusione per il reato di cui all'articolo 630 c.p., pena che non era stata ancora interamente espiata, con conseguente, stante l'assenza di collaborazione, inammissibilita' della richiesta di ammissione alla liberazione condizionale, per insussistenza dei presupposti legali. Anche il ricorso ha articolato la denuncia di violazione di legge in relazione al quadro normativo vigente all'epoca della decisione, deducendo che la condanna era stata pronunciata per una pluralita' di imputazioni, non tutte rientranti nel catalogo dei reati cosi' detti ostativi previsto dall'articolo 4-bis ord. pen., e che, dunque, onde determinare la quota di pena riferibile al reato ostativo doveva essere compiuta l'operazione di scioglimento del cumulo, all'esito della quale risultava che la condanna ostativa era di anni 28 di reclusione, interamente espiata. 2. Ora, con riguardo alla questione relativa alla determinazione della pena inflitta per il reato ostativo, accertamento presupposto della verifica in ordine all'espiazione o meno di detta pena, si deve rilevare che e' consolidato l'orientamento secondo il quale il cumulo di pene concorrenti, operato in sede di determinazione della pena da eseguire, va sciolto al fine di individuare la porzione di pena avente titolo nella condanna per il reato ostativo (Sez. U, n. 14 del 30/06/1999, Ronga, Rv. 214355). La difesa ha valorizzato il dato che concerne l'applicazione, nella determinazione della pena, del criterio moderatore di cui all'articolo 78 c.p., rilevando che nel caso di specie la pena, determinata in anni trenta di reclusione, era stata inflitta, nella misura di anni due di reclusione per reati non ostativi, di tal che il quantum di pena avente titolo nella condanna per reato ostativo doveva essere determinata, non nella misura di anni trenta di reclusione ritenuta dal giudice prima dell'applicazione del criterio moderatore bensi', in anni ventotto di reclusione. Sul punto, peraltro, va segnalato che i diversi orientamenti in giurisprudenza, che aveva ritenuto che in sede di scioglimento del cumulo dovesse farsi riferimento al criterio della riduzione proporzionale (Sez. 1, n. 35794 del 08/03/2019, FARINA, Rv. 276723) ovvero al criterio della pena inflitta per il reato ostativo (Sez. 1, n. 24014 del 18/05/2022, CASCONE, Rv. 283186; Sez. 1, n. 26848 del 01/06/2022, ZAVETTIERI, Rv. 283360), sono stati composti dalla sentenza a Sezioni Unite 15.12.2022, Zavettieri, che, stando all'informazione provvisoria diffusa, ha affermato il principio secondo il quale in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti che comprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, ai fini dello scioglimento del cumulo, la pena relativa al reato ostativo va considerata nella sua entita' originaria, senza operare alcuna riduzione in conseguenza dell'eventuale applicazione del criterio moderatore di cui all'articolo 78 c.p. determinata dal superamento della soglia massima di anni trenta di pena detentiva. 3. Peraltro, la questione di diritto esaminata, che il primo giudice, come visto, aveva deciso correttamente, non risulta decisiva alla luce della sopravvenuta novella introdotta con Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con L. 30 dicembre 2022, n. 199, che ha modificato la norma di cui all'articolo 4-bis ord. pen., con riferimento alla concessione delle misure alternative ai condannati per il delitto di cui all'articolo 630 c.p. "anche in assenza di collaborazione con la giustizia", disponendo, da una parte, il superamento di detta preclusione ex lege e, dall'altra, una serie di oneri per il condannato e per l'autorita' giudiziaria. In particolare, il condannato per detto reato, che non sia collaboratore, ha, a norma del comma 1-bis.1, l'onere di provare ("dimostrino...") l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilita' di tale adempimento, e di allegare ("alleghino...") elementi specifici che consentano di escludere l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata e con il contesto nel quale il reato e' stato commesso, e, a norma del comma 2, l'onere di fornire idonei elementi di prova contraria qualora emergano indizi dell'attuale sussistenza di collegamenti (o del pericolo di ripristino) con la criminalita' organizzata o con il contesto nel quale il reato e' stato commesso. L'autorita' giudiziaria e' tenuta a chiedere: - il parere del pubblico ministero della condanna e del Procuratore nazionale antimafia; - dettagliate informazioni al comitato provinciale ordine pubblico del luogo di detenzione; - dettagliate informazioni sul perdurare dell'operativita' del sodalizio di appartenenza e del contesto criminale del reato; sul profilo criminale del detenuto e alla sua posizione nell'associazione; su eventuali nuove imputazioni, misure cautelar' o misure di prevenzione; su eventuali rilievi disciplinari durante la detenzione; - informazioni alla direzione dell'istituto; - accertamenti nei confronti anche dei familiari e delle persone collegate al condannato in ordine al reddito, patrimonio, tenore di vita, attivita' economiche. L'autorita' giudiziaria, inoltre, deve: - accertare la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime; - indicare specificamente le ragioni della decisione "tenuto conto dei pareri". La novella, con l'articolo 2, ha modificato, coordinandolo al nuovo testo dell'articolo 4-bis ord. pen., anche l'articolo 2 L. n. 203 del 1991, che riguarda specificamente l'ammissione alla liberazione condizionale. Si deve aggiungere che la sopravvenuta normativa, che ha innovato la disciplina che regola l'accesso ai benefici penitenziari, e per quanto interessa anche alla liberazione condizionale, in senso favorevole per il condannato, facendo venir meno il carattere ostativo del titolo della condanna, va considerata come penale sostanziale, in quanto incidente su istituti che, consentendo l'espiazione della pena in liberta', mutano in termini significativi il carattere afflittivo della pena (Corte costituzionale n. 32/2020), e dunque va applicata anche ai procedimenti gia' pendenti alla data di entrata in vigore della normativa. 4. Va, dunque, pronunciato annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Sassari per nuovo giudizio. Il giudice di rinvio, senza vincoli nel merito della decisione, deve provvedere a nuovo esame della istanza del condannato applicando la sopravvenuta normativa dettata dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Sassari.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - rel. Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. MONACO Marco M. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 09/06/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di PERUGIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CASA FILIPPO; lette le conclusioni del PG Dott.ssa CERONI FRANCESCA, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilita' del ricorso o, in subordine, il rigetto. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza resa in data 9 giugno 2022, il Tribunale di sorveglianza di Perugia rigettava l'istanza di differimento della pena ex articolo 147 c.p., comma 1, formulata da (OMISSIS), detenuto a seguito di condanna per i reati di associazione mafiosa, estorsione aggravata, detenzione di armi da guerra e clandestine, aggravati ai sensi del L. n. 203 del 1991, articolo 7, e sottoposto a custodia cautelare in relazione ad un'ulteriore condanna per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p.. Osservava il Tribunale che, tenuto conto delle relazioni sanitarie e della documentazione acquisita, non sussistevano i presupposti per il differimento della pena, atteso che l'istante veniva seguito costantemente dai sanitari dell'istituto e sottoposto alle visite specialistiche necessarie. Dall'ultima relazione (datata 2 maggio 2022), in particolare, emergeva che le condizioni di salute del (OMISSIS) potevano essere adeguatamente trattate in centri clinici dell'Amministrazione penitenziaria, con ricorso, se del caso, all'articolo 11 Ord. Pen.; peraltro, si rilevava che l'odierno ricorrente aveva rifiutato il ricovero presso l'Ospedale (OMISSIS). Si dava atto, inoltre, che in data 1 giugno 2022 era stato disposto il trasferimento temporaneo del detenuto presso la Casa di reclusione di (OMISSIS), in quanto dotata di Servizio di Assistenza Intensificata. Stante l'esaustivita' della suddetta documentazione in atti, il Tribunale riteneva superflui ulteriori accertamenti peritali. Infine, quanto alla valutazione di pericolosita' sociale, la nota della DNA acquisita evidenziava elementi indicativi del pericolo di reiterazione del reato, quali il ruolo di vertice ricoperto dal (OMISSIS) all'interno dell'omonima organizzazione di ‘ndrangheta, la sua decennale latitanza e l'attuale operativita' dei gruppi criminosi che lo avevano sostenuto, con la conseguente possibilita' di riallacciare i rapporti con questi ultimi in caso di ritorno nel territorio d'origine. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, per il tramite del difensore avv. (OMISSIS), articolando due distinti motivi. 2.1. Con il primo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 147 c.p. e articolo 684 c.p.p.. Si duole il ricorrente che il Tribunale abbia rigettato la richiesta di differimento dell'esecuzione della pena senza confrontarsi con le specifiche deduzioni difensive e senza valutare adeguatamente i dati emergenti dalla documentazione medica in atti; in particolare, il Collegio si sarebbe limitato a richiamare la relazione del 2 maggio 2022, omettendo di spiegare perche' il (OMISSIS) potesse e dovesse rimanere in carcere nonostante l'alto rischio di andare incontro ad una dialisi permanente. Sarebbe mancato, pertanto, un adeguato approfondimento circa le gravissime patologie del ricorrente, soggette a progressivo e continuo peggioramento, a dimostrazione dell'inidoneita' delle cure offerte dall'Amministrazione penitenziaria. Infine, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, le gravi condizioni di salute del (OMISSIS) non consentirebbero di considerarlo soggetto pericoloso per la collettivita'. 2.2. Con il secondo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 147 c.p. e articolo 684 c.p.p., nonche' in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), articoli 121 e 125 c.p.p.. Si censura la motivazione dell'ordinanza impugnata per l'omessa valutazione della memoria difensiva depositata il 3 giugno 2022, in cui si dava atto della necessita' per il (OMISSIS) di ricevere cure e di essere sottoposto a visite ed esami specialistici in strutture sanitarie adeguate; tale esigenza, peraltro, era confermata anche dalla consulenza di parte, che aveva accertato l'impossibilita' di assicurare i trattamenti necessari presso le strutture carcerarie, ancorche' dotate di SAI. Con la suddetta memoria la difesa aveva richiesto anche l'ammissione di una perizia, che, secondo la giurisprudenza, si rivela necessaria laddove il giudice ritenga di non accogliere l'istanza di differimento discostandosi dalla documentazione scientifica prodotta dall'istante. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilita' o, in subordine, per il rigetto del ricorso. 4. Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente, hanno inviato note di replica alla suddetta requisitoria. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e deve essere rigettato. 2. Diversamente da quanto dedotto con il primo motivo, il Tribunale di sorveglianza ha adeguatamente evidenziato come il detenuto, affetto da glomerulonefrite diffusa membranosa, venga costantemente seguito dai sanitari dell'istituto di appartenenza, nonche' sottoposto alle visite specialistiche di volta in volta occorrenti, nonostante le difficolta' correlate alla nota emergenza pandemica. Nel provvedimento impugnato viene dato, inoltre, specificamente atto di come il (OMISSIS) versi in condizioni di salute adeguatamente controllabili nei centri clinici interni al circuito penitenziario, o in luoghi di cura esterni, mediante il ricorso allo strumento apprestato dall'articolo 11 Ord. Pen.. In sostanza, dal complesso tessuto giustificativo dell'ordinanza, si evince, in modo ragionevolmente argomentato e aderente agli atti, che il quadro patologico - pur serio e ovviamente degno della massima attenzione - accusato dal condannato non si connota attualmente per la sussistenza di una malattia suscettibile di dare origine ad emergenze sanitarie tali da concretare situazioni critiche ed esigenti un pronto intervento non realizzabile in ambiente carcerario. 3. La paventata evoluzione negativa delle condizioni cliniche del detenuto, foriera addirittura della possibile sottoposizione dello stesso alla dialisi permanente, e' stata parimenti presa in considerazione - con attenta e coerente valutazione - nell'impugnato provvedimento. Il Tribunale, infatti, riportando un ampio stralcio della relazione sanitaria del 2 maggio 2022, ha ricordato come si sia apprestato per il detenuto un ricovero presso il reparto specializzato dell'ospedale di (OMISSIS), al fine dell'effettuazione di ulteriori approfondimenti e per l'impostazione di idoneo approccio terapeutico; il Tribunale ha, poi, anche sottolineato come il detenuto abbia rifiutato tale ricovero. A seguito di tale rifiuto, e' stato chiesto l'invio del (OMISSIS) presso un centro clinico interno al circuito penitenziario, laddove effettuare gli accertamenti occorrenti per affrontare la suddetta sindrome nefrosica da glomerulonefrite membranosa; approfondimenti finalizzati proprio a scongiurare il pericolo paventato dal detenuto, ossia l'evoluzione verso la necessita' di dialisi permanente. Nel provvedimento viene altresi' evidenziato come, all'esito, il Ministero della giustizia abbia disposto il trasferimento temporaneo del condannato presso la Casa di reclusione di (OMISSIS), che e' dotata del Servizio di Assistenza Intensificata. 3.1. Con riferimento al rifiuto opposto dal (OMISSIS), rispetto al gia' disposto ricovero presso la sezione di Medicina Protetta dell'Ospedale (OMISSIS), giova ricordare il costante insegnamento di questa Corte - rispettato dal giudice di merito - secondo il quale e' vero che i trattamenti sanitari nei confronti del detenuto presentano una natura non coercibile, ma e', altresi', vero che l'accettazione di tali trattamenti - laddove potenzialmente risolutivi, nei confronti di una ingravescente condizione clinica, in ragione della quale peraltro il condannato invochi il differimento della pena, ovvero l'applicazione di misura alternativa alla detenzione carceraria - assume veste di condizione giuridica prodromica e necessaria rispetto alla positiva valutazione della relativa richiesta (Sez. 1, n. 5447 del 15/11/2019, Bellanca, Rv. 278472). 4. Questa Corte ha, inoltre, avuto ripetutamente modo di affermare come l'accertata pericolosita' sociale del detenuto rappresenti elemento ostativo al differimento facoltativo della pena, a norma dell'articolo 147 c.p., comma 4, nonche' all'applicazione della detenzione domiciliare ai sensi dell'articolo 47-ter Ord. Pen., comma 1-ter. Si e', a tal proposito, chiarito come, in merito a tali misure correlate a grave infermita' fisica, occorra che la condizione clinica del condannato si appalesi connotata da particolare gravita', rivelandosi atta a mettere in pericolo la vita, o anche a cagionare effetti fisici dannosi, o almeno tale da esigere un trattamento non attuabile in regime carcerario; il tutto postula, pero', un bilanciamento tra opposte esigenze, rappresentate dall'interesse del condannato ad ottenere le cure che si rendano necessarie e dalle opposte ragioni di salvaguardia, rispetto alla conclamata pericolosita' sociale (Sez. 1, n. 2337 del 13/11/2020, dep. 2021, Furnari, Rv. 280352). Nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza, con ampia e convincente motivazione, ha valorizzato la elevata e conclamata pericolosita' sociale della quale e' portatore il detenuto. Nel provvedimento impugnato viene dato, infatti, diffusamente conto che il (OMISSIS): a) e' un soggetto gia' condannato per reati gravissimi; b) e' elemento apicale di un pericoloso sodalizio di ‘ndrangheta, particolarmente attivo nel territorio di origine; c) ha mantenuto tale posizione di vertice, restata impermeabile agli effetti di una decennale latitanza; d) in virtu' della sua posizione e in ragione della permanente operativita' dei gruppi di appartenenza, possa con facilita' riannodare le relazioni criminali intessute in passato. Tale parte della motivazione, afferente al profilo di pericolosita' sociale del detenuto, non appare oggetto di alcuna specifica censura nel ricorso. 5. Va, parimenti, disatteso il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta l'omessa considerazione della memoria difensiva inviata il 3 giugno 2022 e, consequenzialmente, l'omessa motivazione in ordine alla richiesta di perizia medica in essa avanzata. Il Tribunale di Sorveglianza stigmatizza, a pag. 4 del provvedimento, come la difesa non abbia chiarito - con indicazione contenutisticamente soddisfacente e dettagliata - quali fossero, eventualmente, gli specifici trattamenti terapeutici, dei quali veniva perorata l'adozione, nonche' le ragioni per le quali tali (non meglio puntualizzati) trattamenti si potessero prospettare come dotati di una efficacia verosimilmente maggiore rispetto alle cure ordinariamente praticabili in ambiente carcerario. In tal modo, il Tribunale ha fornito prova inconfutabile di aver letto e adeguatamente ponderato le argomentazioni difensive, contenute nella memoria di cui sopra, argomentazioni disattese con motivazione, insindacabile in questa sede perche' immune da vizi logici e giuridici, che ha condotto i giudici a reputare insussistenti, per l'esaustivita' della documentazione raccolta, le condizioni necessarie per disporre l'auspicato accertamento peritale. 6. Dal rigetto del ricorso discende ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. MONACO Marco M. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso il decreto del 27/05/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MONACO MARCO MARIA; lette le conclusioni del Procuratore Generale, Sost. PRoc. Gen. Dott.ssa LORI PERLA, per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La CORTE d'APPELLO di NAPOLI, Sezione Misure di Prevenzione, con decreto emesso in data 27/5/2021, in parziale riforma del decreto emesso dal Tribunale di Napoli il 14/2/2017, ha revocato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di dimora imposta a (OMISSIS) e ha revocato la confisca limitatamente al 100% dell'immobile censito al catasto terreni del Comune di (OMISSIS) (ovvero (OMISSIS) come indicato nell'atto di compravendita del 30/7/2008). 2. Nei provvedimenti di merito le misure di prevenzione personale e patrimoniale sono state applicate al ricorrente ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera c) e articolo 4, lettera c) quale soggetto abitualmente dedito all'attivita' delittuosa di usura e che fruisce di proventi di tale attivita'. La pericolosita' sociale e' stata ritenuta con riferimento al periodo 2010-2015, coincidente a quello nel corso del quale sarebbero stati commessi il reato di usura e un episodio di estorsione, entrambi nei confronti di un medesimo gruppo familiare. Il decreto del Tribunale, cosi' come condiviso anche dalla Corte territoriale, si fonda sull'attivita' di indagine gia' posta alla base dell'ordinanza cautelare. Quanto alla misura patrimoniale la richiesta ha preso le mosse da un'analisi del patrimonio e dei redditi estesa dall'anno 2000 al 2015. La Corte territoriale, limitata la pericolosita' agli anni 2010-2015, ha escluso l'attualita' della pericolosita' e, facendo riferimento al criterio di ragionevolezza temporale, ha escluso un bene immobile acquistato nell'anno 2008. 3. Avverso il decreto ha proposto ricorso (OMISSIS) che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi. 3.1. Violazione di legge in quanto la motivazione in ordine alla pericolosita' sarebbe meramente apparente. Nel primo motivo la difesa rileva che la conclusione della Corte territoriale sarebbe errata in quanto non terrebbe nel dovuto conto che la condotta di usura, benche' protratta nel tempo, sarebbe unica poiche' commessa in danno di un unico gruppo familiare e nello stesso contesto, d'altro canto, si inserirebbe anche la condotta estorsiva contestata. Sotto tale profilo, pertanto, considerato che l'episodio sarebbe occasionale e non ci sarebbe una pluralita' di condotte passate, il giudizio di pericolosita' risulterebbe formulato in assenza di una effettiva e concreta motivazione circa l'abitualita' nel commettere reati. 3.2. Violazione di legge quanto alla motivazione in ordine alla misura patrimoniale perche' la motivazione circa la sproporzione reddituale sarebbe meramente apparente. Nel secondo motivo la difesa censura il percorso seguito dai giudici di merito che avrebbero fatto riferimento a un arco temporale improprio (dal 2000 al 2015 laddove il reato commesso si riferisce agli anni 2010 - 2015) cosi' da addivenire a conclusioni errate anche in ordine alla pericolosita'. Sotto altro profilo, poi, il rinvio ai soli indici ISTAT sarebbe insufficiente a verificare in concreto la sproporzione reddituale. 4. In data 9 gennaio 2023 sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali il Procuratore generale, Sost. Proc. Gen. Dott.ssa Lori Perla, chiede che il ricorso sia rigettato. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. Il ricorso per cassazione avverso provvedimenti applicativi di misure di prevenzione personali e patrimoniali, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 10 e 27, e' ammesso solo per violazione di legge. L'articolo 27, comma 2 cit., infatti, espressamente stabilisce che anche per le impugnazione per i provvedimenti di confisca "si applicano le disposizioni previste dall'articolo 10" che, a sua volta al comma 3 prevede che "avverso il decreto della corte di appello, e' ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge, da parte del pubblico ministero e dell'interessato e del suo difensore....". In sede di legittimita' non e' dunque deducibile il vizio di motivazione a meno che questa non sia del tutto carente, o presenti difetti tali da renderla meramente apparente e in realta' inesistente, ossia priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicita', ovvero quando questa sia assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, oppure, ancora, allorche' le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare risultare oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione della misura (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Noviello, Rv. 279435; Sez. 6, Sentenza n. 21898 del 11/02/2014, Taccini, Rv. 260613; Sez. 6, n. 35044, del 8/03/2007, dep. 18/09/2007, Bruno, Rv. 237277). La limitazione del ricorso alla sola "violazione di legge" e' stata tra l'altro riconosciuta dalla Corte Costituzionale non irragionevole (sent. n. 321 del 2004), data la peculiarita' del procedimento di prevenzione sia sul piano processuale che su quello sostanziale. 2. Tanto premesso, le doglianze, pure formulate nei termini della violazione di legge, ma che in realta' afferiscono alla logicita' e alla completezza della motivazione, non sono consentite e il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 2.1. Nel primo motivo la difesa deduce che la motivazione in ordine alla pericolosita' sarebbe meramente apparente in quanto la Corte territoriale non avrebbe tenuto nel dovuto conto che la condotta di usura, benche' protratta nel tempo, sarebbe unica in quanto commessa in danno di un unico gruppo familiare e che la condotta estorsiva si inserirebbe nello stesso contesto. Profilo questo che imporrebbe di ritenere che la condotta sia nella sostanza occasionale e tale da escludere in concreto l'abitualita' del prevenuto a commettere reati. La doglianza, come evidenziato in premessa, non e' consentita. La Corte territoriale, infatti, diversamente da quanto indicato nel ricorso, con i riferimenti alle fonti di prova acquisite nel corso delle indagini e alle specifiche dichiarazioni rese dalle persone offese circa i rapporti intercorsi con il ricorrente per un lungo lasso di tempo, ha dato adeguato e coerente conto degli elementi posti a fondamento del giudizio di pericolosita'. La motivazione cosi' resa sul punto, nella quale il giudice di merito ha anche valorizzato il considerevole lasso di tempo per il quale si e' protratta l'attivita' usuraria e i profitti illeciti cosi' conseguiti, risulta sufficiente anche quanto alla dimostrazione dell'abitualita' dimostrata dal prevenuto a compiere condotte illecite. Ragioni queste per le quali, considerata anche la specifica valutazione effettuata dalla Corte territoriale in termini di assenza di attualita' della ritenuta pericolosita', le attuali censure, tese a sollecitare una lettura alternativa degli elementi acquisiti, non sono consentite. 2.2. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in ordine alle doglianze dedotte nel secondo motivo nel quale la difesa rileva la violazione di legge quanto alla motivazione in relazione alla misura patrimoniale perche' le giustificazioni indicate nel provvedimento impugnato circa la sproporzione reddituale, facendo riferimento a un arco temporale improprio e rinviando ai soli indici ISTAT, sarebbero meramente apparenti. Anche in merito alla misura patrimoniale la motivazione del provvedimento impugnato risulta tutt'altro che inesistente ovvero anche solo apparente. La Corte territoriale, infatti, seguendo un ragionamento articolato e puntuale, sviluppato ripercorrendo gli acquisti e le vendite degli immobili, ha dato atto di avere considerato e adeguatamente valutato gli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza, le relazioni del perito e la consulenza tecnica di parte (cfr. pagine da 6 a 16 del provvedimento impugnato). Sotto tale profilo, pertanto, deve concludersi che il giudizio in ordine alla sproporzione reddituale e alla correlazione temporale degli acquisti con il periodo di pericolosita', risulta conforme ai principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimita' e che di conseguenza la motivazione sul punto non e' sindacabile in questa sede. 3. L'inammissibilita' del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche', ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Mari - Presidente Dott. BELLINI Ugo - rel. Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. MARI Attilio - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 01/06/2022 della CORTE APPELLO di PERUGIA; udita la relazione svolta dal Consigliere BELLINI UGO; lette le conclusioni del PG il quale ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Perugia con la ordinanza impugnata ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ai sensi dell'articolo 314 c.p.p. da (OMISSIS) in relazione al periodo in cui era rimasto ristretto agli arresti domiciliari in relazione a plurime contestazioni concernenti la partecipazione ad associazione di stampo mafioso, estorsione, agevolazione e sfruttamento della prostituzione e sequestro di persona, contestazioni da cui veniva in parte prosciolto, in sede di udienza preliminare, per intervenuta prescrizione e in parte assolto all'esito del giudizio perche' il fatto non sussiste. 2. Il giudice distrettuale ha escluso che ricorressero i presupposti di cui all'articolo 314 c.p.p., comma 1, atteso che il ricorrente con la propria condotta aveva concorso a fornire una apparenza di reita' quantomeno in relazione alle ipotesi di sfruttamento della prostituzione in ragione dell'impiego di giovani donne per l'intrattenimento dei clienti e alla violazione della disciplina sull'immigrazione con riferimento alle ragazze provenienti dalla Russia. 2.1 Sotto diverso profilo era a richiamare giurisprudenza del S.C. la quale ha affermato che, qualora in relazione a talune delle contestazioni cumulativamente ascritte sia stato disposto il proscioglimento dell'imputato per prescrizione, la riparazione della ingiusta detenzione andava esclusa, ovvero poteva essere riconosciuta soltanto per quella parte di detenzione in custodia cautelare superiore al limite di pena irrogabile. In presenza di reati (articolo 629 c.p. e L. n. 75 del 1958, articoli 3 e 4) che contemplavano trattamenti sanzionatori tali da consentire la cautela applicata la quale, al contempo, non aveva superato i limiti di durata massima previsti per la fase delle indagini preliminari, la corte territoriale riteneva di escludere il diritto alla riparazione. 3. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la difesa di (OMISSIS) denunciando violazione di legge in relazione all'applicazione dell'articolo 314 c.p.p. e motivazione illogica e contraddittoria in ordine al riconoscimento della colpa grave. Quanto al riconoscimento di una colpa in capo al (OMISSIS) che avrebbe concorso a creare una situazione di apparenza di una sua contiguita' con gli illeciti traffici concernenti l'immigrazione clandestina di giovani ragazze russe e il loro sfruttamento della prostituzione, anche attraverso condotte violente e privative della liberta' personale, evidenziava che il coinvolgimento del ricorrente era ricondotto a accuse calunniose e false che erano risultate smentite nel giudizio di merito e non solo per la inutilizzabilita' patologica delle intercettazioni telefoniche sulle quali si era inizialmente fondata la prospettazione accusatoria. Quanto al fatto che, in relazione a talune delle contestazioni era intervenuto il proscioglimento dell'imputato in sede di udienza preliminare per il compimento del termine prescrizionale, pur non ignorando la giurisprudenza del giudice di legittimita' sul punto, rilevava che l'impostazione accusatoria prospettava una serie di contestazioni intimamente connesse che si erano palesate infondate nella loro globalita', come era pertanto risultato all'esito del giudizio assolutorio in ragione della genericita' e inattendibilita' della fonte probatoria da cui promanavano tutte le accuse. 4. Il Sostituto Procuratore generale concludeva per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN DIRITTO 1. Va premesso che e' principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimita' deve intendersi limitata alla sola legittimita' del provvedimento impugnato, anche sotto l'aspetto della congruita' e logicita' della motivazione, e non puo' investire naturalmente il merito. Cio' ai sensi del combinato disposto di cui all'articolo 646 c.p.p., secondo capoverso, da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nell'articolo 315 c.p.p., comma 3, l'articolo 646 c.p.p. stabilisce che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli interessati possono ricorrere per Cassazione: conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro tracciato dai motivi di ricorso enunciati dall'articolo 606 c.p.p., con tutte le limitazioni in essi previste (cfr. ex multis, sez. 4, n. 542 del 21.4.1994, Bollato, rv. 198097, che, affermando tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte). 2. La detenzione per essere ingiusta presuppone la adozione della custodia cautelare per titoli di reato per cui sia stata accertata la ingiustizia sostanziale tramite l'applicazione di determinate formule assolutorie. Se la custodia cautelare subita dall'indagato e' stata disposta per titoli di reato solo in parte riconosciuti come infondati non e' configurabile il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione in caso di estinzione del reato per prescrizione, a meno che la durata della custodia cautelare sofferta risulti superiore alla misura della pena astrattamente irrogabile, o a quella in concreto inflitta nei precedenti gradi di giudizio, ma solo per la parte di detenzione subita in eccedenza, ovvero quando risulti accertata in astratto la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'ingiustizia formale della privazione della liberta' personale (fattispecie in cui e' stata esclusa la configurabilita' del diritto all'indennizzo nell'ipotesi di contestazione di una pluralita' di reati dichiarati estinti per prescrizione in grado di appello, in relazione ai quali erano stati applicati gli arresti domiciliari e successivamente, per uno soltanto di essi, era stata disposta l'archiviazione per prescrizione del reato all'esito della trasmissione degli atti al P.M. sez.3, n. 2451 del 9/10/2014, Damia Rv.262396; sez.4, n. 43729 del 10/6/2010, Maugeri, Rv.248976). 2.1 Va poi evidenziato che se il provvedimento restrittivo della liberta' e' fondato su piu' contestazioni, il proscioglimento con formula non di merito anche da una sola di queste - sempreche' autonomamente idonea a legittimare la compressione della liberta' - impedisce il sorgere del diritto, irrilevante risultando il pieno proscioglimento dalle altre imputazioni (fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso, giacche' l'interessato, pur assolto nel merito da alcune imputazioni, era stato prosciolto per prescrizione da altra imputazione, costituente, anche per se sola, titolo legittimante l'emissione o il mantenimento del provvedimento cautelare, sez.4,n. 5621 del 16/10/2013, Colucci, Rv.258607; n. 29623 del 14/10/2020, Russo Vincenzo, Rv.279713). 2.2 Ne' nella specie puo' fondatamente sostenersi, come assume la parte ricorrente che si sia in presenza di una contestazione cumulativa in relazione alla quale vi sia stata una sostanziale assoluzione da parte del giudice penale in relazione a tutte le contestazioni sollevate laddove, con particolare riferimento ai reati concernenti lo sfruttamento ed il favoreggiamento della prostituzione, le stesse dichiarazioni difensive rese dal (OMISSIS) nel corso dell'interrogatorio di garanzia lasciavano intatti gli elementi indiziari concernenti l'impiego di giovani ragazze russe all'interno del locale dallo stesso gestito e un suo diretto interessamento al reclutamento delle stesse, alla loro sistemazione e al successivo rimpatrio, di talche' la pronuncia del non luogo a procedere per intervenuta prescrizione per i reati di cui agli articolo 3 e 4 TU sulla prostituzione, esclude il diritto del (OMISSIS) alla riparazione in assenza di una specifica rinuncia alla prescrizione (vedi sul punto, sez.6, n. 26289 del 24/04/2018 Palazzesi, Rv. 273559). 2.3 In sostanza il ricorrente non ha mai formalmente inteso rinunciare alla causa di non punibilita' il cui riconoscimento, per espressa previsione normativa e per costante interpretazione del giudice di legittimita', gli avrebbe precluso la riparazione per la ingiustizia della detenzione sofferta, se non per ipotesi di ingiustizia formale (da ultimo sul punto sez.4, n. 22058 del 15/02/2018, Dogaru, Rv.273264). 2.4 Ne' il ricorrente lamenta, nel motivo di ricorso, profili di ingiustizia formale della custodia sofferta laddove lo stesso titolo dei reati ritenuti nella sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione (L. n. 75 del 1958, articoli 3 e 4 e articolo 629 c.p.) consentiva, alla data di commissione dei fatti, l'applicazione della misura custodiale come disposta nei confronti del prevenuto, ne' i termini di custodia cautelare previsti per tale titolo risultavano incompatibili con la durata della custodia sofferta (inferiore a sei mesi). 4. Ne consegue pertanto una declaratoria di inammissibilita' del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione, di una somma in favore della Cassa delle Ammende, determinata come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. PACILLI G. Anna R. - Consigliere Dott. D'AURIA Donato - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) avverso la sentenza del 14/02/2022 della Corte d'appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE NICASTRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. MARINELLI FELICETTA, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; udito l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), la quale ha concluso, anche per il collega (OMISSIS) - il quale, come rilevato dal Presidente, ha rinunciato all'incarico di difensore di (OMISSIS), senza che risultino nuovi difensori nominati - insistendo per l'accoglimento dei motivi dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 14/02/2022, la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del 16/09/2021 del G.i.p. del Tribunale di Milano, emessa in esito a giudizio abbreviato, confermava la condanna di (OMISSIS) per il reato tentata estorsione pluriaggravata (tra l'altro, dal cosiddetto "metodo mafioso") in concorso con (OMISSIS) (capo A dell'imputazione) ai danni di (OMISSIS) e la condanna di (OMISSIS) per il reato di estorsione continuata e aggravata dal "metodo mafioso" sempre ai danni di Davide (OMISSIS) (capo C dell'imputazione), rideterminando la pena irrogata a quest'ultimo imputato. Secondo i capi d'imputazione, i menzionati reati erano stati contestati ai due imputati: a) quello di tentata estorsione di cui al capo A, contestato a (OMISSIS), (in concorso con (OMISSIS) e con (OMISSIS) e (OMISSIS), queste ultime due assolte dal G.i.p. del Tribunale di Milano): "perche', in concorso tra loro e con altre persone allo stato non identificate, con piu' atti idonei e diretti in modo non equivoco, mediante minaccia idonea ad incutere timore ed a coartare la volonta' della persona offesa avuto riguardo alle circostanze concrete e alla personalita' degli agenti, consistita nel prospettare la possibilita' di ritorsioni di natura fisica ed economica impedendogli di svolgere liberamente l'attivita' di venditore di gelati, tentavano di costringere (OMISSIS), coadiuvante della gelateria "(OMISSIS)" sita in (OMISSIS), di cui la moglie e' titolare, a consegnare la somma dli denaro pari a 250 Euro, al fine di procurarsi un ingiusto profitto; in particolare: - (OMISSIS), detto "(OMISSIS)", nella meta' di maggio dell'anno 2020, si presentava con (OMISSIS) (ex compagna di (OMISSIS)) che dapprima chiedeva al titolare se andasse tutto bene e poi lo accusava di aver usato il loro cognome per fare affari illeciti, specificando che l'utilizzo del loro cognome era come un mandato di arresto; il (OMISSIS) a quel punto chiedeva alla (OMISSIS) se il titolare della gelateria gia' pagasse il cd. "pizzo" ed entrambi ne parlavano con un atteggiamento arrogante e spavaldo; - (OMISSIS) tornava anche da sola presso la gelateria, almeno un paio di volte, facendosi consegnare alcune vaschette di gelato senza pagarne il corrispettivo, dicendo che sarebbe poi passato (OMISSIS) a pagarle; - (OMISSIS) in data 9-12-2020 riceveva da (OMISSIS), al momento dell'esecuzione della o.c.c. nei suoi confronti, l'incarico di punire il denunciante ed eseguire una vendetta; - successivamente (OMISSIS) ritornava altre tre/quattro volte, nel periodo compreso tra maggio e fine luglio, presso la medesima gelateria in compagnia di (OMISSIS) (sua compagna) consumando gelati senza pagare; - in data (OMISSIS), verso le 20.50 circa, (OMISSIS) si presentava presso la gelateria precisando, con tono intimidatorio e minaccioso, che la stessa si trovava nel loro territorio e pertanto avrebbe dovuto pagare, prospettando alla vittima seri problemi per la sua attivita' commerciale, affermando nel contempo che avrebbe messo la vittima sotto stretto controllo ed osservazione oltre ad accusarlo del fatto che vendesse droga in gelateria che gli veniva fornita da alcuni tunisini, utilizzando e spendendo il cognome della famiglia criminale (OMISSIS); - in data (OMISSIS), (OMISSIS) faceva ritorno nel locale, dopo essersi accertato che fossero soli, raggiungeva (OMISSIS) dietro al bancone, dopo averlo apostrofato con l'epiteto "pezzo di merda" ed aver continuato ad accusarlo di utilizzare il nome della famiglia (OMISSIS) per consumare affari illeciti nell'ambito dei reati in materia di stupefacenti, lo colpiva con pugni al volto e si impossessava della somma di 50,00 Euro che prelevava direttamente dal registratore di cassa, affermando che sarebbe tornato il giorno seguente per riscuotere un'ulteriore somma pari a 250 Euro; - in data (OMISSIS), (OMISSIS) ritornava nel locale, chiedendo alla vittima se avesse preparato i 250,00 Euro da consegnargli; evento non verificatosi in quanto interveniva (OMISSIS) che conosceva i fratelli (OMISSIS) e si attivava per una mediazione con questi ultimi, ricevendo come compenso dal (OMISSIS) per l'attivita' prestata una collana in oro bianco del valore di 500,00 Euro sostituita da un'altra collanina in oro giallo del valore di 239,00 Euro, a fronte della suindicata "mediazione" che aveva dovuto esercitare con i fratelli (OMISSIS) al fine di evitare atti di violenza e garantirsi la cosiddetta "protezione". Con l'aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. per avere commesso il fatto in piu' persone riunite, avvalendosi delle condizioni di cui all'articolo 416 bis c.p. e con metodo mafioso. In (OMISSIS)"; b) quello di estorsione continuata di cui al capo C, contestato a (OMISSIS), "perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso commesse anche in tempi diversi, mediante minaccia idonea ad incutere timore ed a coartare la volonta' della persona offesa avuto riguardo alle circostanze concrete e alla personalita' degli agenti, consistita nel prospettare la possibilita' di ritorsioni di natura fisica ed economica impedendogli di svolgere liberamente l'attivita' di venditore di gelati, costringeva (OMISSIS), coadiuvante della gelateria "(OMISSIS)" sita in Cormano alla (OMISSIS), di cui la moglie e' titolare, a consegnare la somma di denaro pari a 3.500,00 Euro e una collanina d'oro giallo del valore di 239 Euro, cosi' procurandosi un ingiusto profitto. In particolare nel mese di settembre 2020, (OMISSIS) si faceva consegnare da (OMISSIS) la somma di denaro pari a 3.500 Euro, oltre a una collana in oro bianco del valore di 500,00 Euro sostituita da un'altra collanina in oro giallo del valore di 239,00 Euro a fronte della "mediazione" che aveva dovuto esercitare con i fratelli (OMISSIS) al fine di evitare atti di violenza e garantirsi la cosiddetta "protezione" e dettava alla medesima vittima l'accettazione di un accordo per il versamento, entro la fine dell'anno 2021, di una somma di denaro non dovuta pari a 25.000 Euro, affermando "chi investe mensilmente denaro con lui gode della sua protezione" e che in caso di rifiuto avrebbe avuto seri problemi. Con l'aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. per avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all'articolo 416 bis c.p. e comunque con metodo mafioso. In Cormano da (OMISSIS)". 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte d'appello di Milano, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite dei propri rispettivi difensori, (OMISSIS) e (OMISSIS). 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' affidato a sei motivi. 3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la mancanza della motivazione "con riferimento all'omessa valutazione delle censure difensive in punto di contraddittorieta' della sentenza di primo grado". Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Milano avrebbe del tutto omesso di motivare in ordine alle censure, sollevate con il proprio atto cli appello, relative all'asserita contraddittorieta' della sentenza di primo grado la' dove essa, da un lato, ha assolto le coimputate (OMISSIS) e (OMISSIS) e, dall'altro lato, con irragionevole difformita' di trattamento, lo ha, invece, condannato per lo stesso reato, atteso che: "(s)e le condotte in contestazione andavano considerate, ad avviso del GIP, quali semplici "atteggiamenti arroganti" con riferimento alle due imputate, gli stessi agiti non potevano ragionevolmente assumere un significato diverso per (OMISSIS), che non ha fornito contributo ulteriore rispetto alle concorrenti"; nell'assolvere la (OMISSIS), il predetto G.i.p. del Tribunale di Milano ebbe ad affermare che "appare difficile che l'uomo alludesse al pagamento del pizzo dal momento che quella era la prima volta che i (OMISSIS) accedevano alla gelateria del (OMISSIS) per estorcergli il pizzo, sicche' appare logico che in precedenza la persona offesa non lo pagasse". 3.1. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli articoli 56 e 629 c.p., nonche' il "vizio di motivazione" "in merito all'evidenziata insussistenza del contributo concorsuale dell'imputato per mancanza dei requisiti di idoneita' e di univocita' degli atti tipici della figura del delitto tentato. Contraddittorieta' della motivazione rispetto all'individuazione del dolo specifico di estorsione". Il ricorrente rappresenta in proposito che: come sarebbe stato confermato dal (OMISSIS), egli "non ha mai rivolto nessuna minaccia esplicita alla persona offesa ne' ha mai preteso che questa gli consegnasse del denaro", in quanto la propria "condotta materiale (...) e' consistita nell'aver effettuato due o tre accessi nella gelateria in occasione dei quali non avrebbe mai assunto un atteggiamento intimidatorio nei confronti della persona offesa, con la conseguenza che dovrebbe "essere attentamente scrutinato il tema della compatibilita' di tale condotta con i requisiti di idoneita' e univocita' degli atti tipici della figura del tentativo di delitto"; la sentenza impugnata sarebbe affetta da manifesta contraddittorieta' con riguardo all'individuazione del dolo specifico del reato, atteso che essa "afferma che il (OMISSIS) non avrebbe agito con l'intento di non pagare il gelato ma con quello di affermare un "predominio" sulla persona offesa intento che, peraltro, secondo la sentenza di primo grado, non sarebbe stato neppure finalizzato ad ottenere il pagamento del pizzo". 3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., la carenza e illogicita' della motivazione "in merito al collegamento probatorio ed eziologico tra la condotta delittuosa di (OMISSIS) e quella del fratello (OMISSIS)". Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Milano avrebbe fornito una spiegazione anapodittica, oltre che indimostrata sul piano probatorio, del fatto che egli avrebbe asseritamente agito in modo coordinato con il proprio fratello (OMISSIS), condividendo con lui la stessa finalita' illecita, atteso che "dagli atti non e' mai emerso nulla che potesse far presumere ad un'azione criminosa congiunta e coordinata", che tra le condotte dei due fratelli "(n)on sussiste (...) alcuna contiguita' temporale", che la persona offesa (OMISSIS) aveva escluso che (OMISSIS) avesse mai fatto riferimento a precedenti richieste di denaro avanzate dal fratello (OMISSIS) e che sarebbe illogica la valorizzazione, operata dalla Corte d'appello di Milano, del riferimento, da lui fatto il giorno dell'esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare nei propri confronti, alla divisione in tre persone del profitto del reato di Euro 250,00. 3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il "vizio di motivazione" con riguardo al giudizio di attendibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa (OMISSIS) e la "(v)iolazione dei canoni giurisprudenziali in tema di valutazione della testimonianza della persona offesa". Il ricorrente evidenzia in proposito che: non risponderebbe al vero quanto affermato dalla Corte d'appello di Milano circa il fatto che la persona offesa (OMISSIS) avrebbe riferito di avere avuto contatti quotidiani con l'imputato (OMISSIS), atteso che il (OMISSIS) riferi' invece che aveva contattato il (OMISSIS) in una sola occasione e che, alla luce dell'esame dei tabulati telefonici, quest'ultima circostanza era risultata in realta' falsa; il (OMISSIS), nel colloquio informale con la polizia giudiziaria del 6 ottobre 2020, aveva affermato di avere visionato le immagini registrate dal sistema di videosorveglianza della gelateria, laddove, nel corso del proprio esame testimoniale, su domande della difesa, aveva ammesso che l'accesso al predetto sistema di videosorveglianza richiedeva l'intervento di un tecnico specializzato e che, in seguito alla rapina (a opera di (OMISSIS)) tale intervento non era stato in realta' richiesto. 3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), "vizio di motivazione" in ordine "alle circostanze che avrebbero indotto la persona offesa a denunciare le presunte richieste estorsive subite". Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Milano, nel considerare l'iniziale riluttanza del (OMISSIS) a denunciare i fatti come indicativa dello stato di timore in cui versava la persona offesa, avrebbe del tutto trascurato di considerare la tesi difensiva, prospettata nel proprio atto di appello, secondo cui "dietro agli indugi della persona offesa si celasse in realta' il timore che le Forze dell'Ordine potessero scoprire - e successivamente investigare - l'attivita' di spaccio di stupefacenti intrattenuta dal (OMISSIS) stesso". 3.6. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), la violazione dell'articolo 641 c.p., nonche' il "vizio di motivazione" "con riferimento alla mancata riqualificazione del delitto di tentata estorsione nel reato di insolvenza fraudolenta". Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Milano non avrebbe dato alcun riscontro alla tesi difensiva, prospettata nel proprio atto di appello, secondo cui, alla luce delle dichiarazioni del (OMISSIS) - il quale, alla domanda sul perche' avesse lasciato che il (OMISSIS) consumasse del gelato senza pagarlo, aveva risposto "(i)o non penso che una persona si perda per un cono da 2 Euro e 50" - sarebbe stato "chiaro che il gelataio ha lasciato che l'imputato consumasse "a credito" non perche' intimidito dalla sua asserita caratura criminale, ma poiche' (...) faceva affidamento che lo stesso "non si sarebbe perso per due coni gelato" e quindi che avrebbe pagato quanto dovuto in un secondo momento"; ricostruzione "che smentisce la tesi dell'assoggettamento della persona offesa e consente di ravvisare nella condotta del ricorrente gli estremi del meno grave reato di insolvenza fraudolenta". 4. Il ricorso di (OMISSIS) e' affidato a quattro motivi. 4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la nullita' della sentenza per mancanza della motivazione in ordine allo specifico motivo di appello, "dotat(o) del requisito della decisivita'", con il quale era stata chiesta l'assoluzione dell'imputato, quanto meno ai sensi del comma 2 dell'articolo 530 c.p.p. "per l'omessa considerazione delle prove inequivocabili che dimostrano essere mendace l'accusa". 4.1.1. Sotto un primo profilo - relativo all'asserita mendacita' delle dichiarazioni della persona offesa relativamente alla richiesta di versamento, che le sarebbe stata avanzata dall'imputato, della somma di Euro 25.000,00, e alla carenza della motivazione "sugli elementi, specificamente indicati nell'atto principale di appello, che dimostrano la falsita' del racconto" del (OMISSIS) - il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Milano avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sul proprio specifico motivo di appello con il quale avrebbe dimostrato la predetta mendacita'. Il ricorrente rappresenta, in particolare, che con tale motivo aveva evidenziato come la falsita' delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) nella querela da lui sporta il 19 ottobre 2020 (come pure di quelle rese dalla stessa persona offesa il 14 ottobre 2020 e verbalizzate nell'annotazione di servizio del 16 ottobre 2020) secondo cui la richiesta della somma di Euro 25.000,00 gli sarebbe stata avanzata dall'imputato il 10 ottobre 2020 presso l'abitazione in Rho del (OMISSIS), il cui indirizzo gli era stato inviato da tale imputato tramite un messaggio poi cancellato, fosse comprovata dal fatto che la predetta richiesta di denaro non poteva essere stata fatta il 10 ottobre 2020, atteso che il (OMISSIS) ne aveva fatto menzione ai Carabinieri di (OMISSIS) gia' durante la sua audizione del 6 ottobre 2020 (verbalizzata nell'annotazione di servizio del 13 ottobre 2020), descrivendola come avvenuta il (OMISSIS) e nel luogo, del tutto diverso, costituito dalla propria gelateria, nonche' dai fatti che, dall'analisi del telefono cellulare del (OMISSIS), non era risultata traccia del messaggio che, secondo il (OMISSIS), il (OMISSIS) gli avrebbe inoltrato e che, dalle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) il (OMISSIS), risultava che egli conosceva l'indirizzo del (OMISSIS) ben prima del 10 ottobre 2020, per essersi recato a casa dell'imputato gia' il (OMISSIS). 4.1.2. Sotto un secondo profilo - relativo all'asserita mendacita' delle dichiarazioni della persona offesa relativamente alla richiesta di versamento, che le sarebbe stata avanzata dall'imputato, della somma di Euro 3.500,00, e alla carenza della motivazione "sugli elementi, specificamente indicati nell'atto principale di appello, che dimostrano la falsita' del racconto" del (OMISSIS) - il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Milano avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sul proprio specifico motivo di appello con il quale avrebbe dimostrato la predetta mendacita'. Il ricorrente rappresenta anzitutto che il racconto reso dal (OMISSIS) nella querela da lui sporta il 19 ottobre 2020 in ordine alla predetta richiesta del versamento di Euro 3.500,00 sarebbe smentito dalla risultanze dell'analisi delle celle telefoniche agganciate dai cellulari dalle quali risultava che il 23 settembre 2020, il (OMISSIS) non si trovava a (OMISSIS) ma a (OMISSIS) (in Provincia di (OMISSIS), dove, alla luce delle stesse risultanze, si era trattenuto dal (OMISSIS) fino alla mattina del (OMISSIS)), con la conseguenza che "non puo' essere vero che i due si siano incontrati nel pomeriggio del (OMISSIS) a (OMISSIS)"; il (OMISSIS), cioe' il giorno in cui il (OMISSIS) avrebbe consegnato all'imputato la collanina d'oro e avrebbe ricevuto dallo stesso imputato la richiesta di Euro 3.500,00, come si e' gia' detto, il (OMISSIS) si trovava tutto il giorno a (OMISSIS), sicche' "non e' verosimile quanto indicato in querela ovvero che abbia consegnato la collana d'oro bianco di circa 50 cm il pomeriggio del (OMISSIS)". Pertanto, osserva ancora il ricorrente, "se l'utenza del (OMISSIS) dal (OMISSIS) a tutta la mattina del (OMISSIS) aggancia le celle della provincia di (OMISSIS), il (OMISSIS) non puo' averlo incontrato in gelateria", con la conseguenza che sarebbe "altrettanto impossibile che il 26 di settembre 2020 consegni la prima tranche di 2.500,00 Euro posto che, non essendosi incontrati il (OMISSIS), certamente non puo' avergli richiesto i 3.500,00 Euro ne' tantomeno puo' avergli consegnato la collana d'oro; somma che comunque non potrebbe avere richiesto il 25 di settembre 2020 (ma nemmeno il 23 o il 24 di settembre) quantomeno con le modalita' descritte in querela". Con la conseguenza che "quanto affermato in querela e avallato dal Tribunale sembrerebbe non trovare valido riscontro nel dato obiettivo". Il ricorrente aggiunge che dalle due annotazioni di attivita' di indagine del 1(OMISSIS) e del 1(OMISSIS) che hanno raccolto dichiarazioni del (OMISSIS), rispettivamente, del (OMISSIS) e del 14 ottobre 2020 "emergerebbe una ricostruzione spazio-temporale del fatto completamente diversa". Il ricorrente sottolinea in particolare che: nelle dichiarazioni rese il (OMISSIS) "il (OMISSIS) incredibilmente non fa menzione ne' della richiesta del denaro (i 3.500,00 Euro) da parte del (OMISSIS) ne' tantomeno della consegna di detta somma"; premesso che, quando venne sentito il (OMISSIS), "rispetto all'episodio della richiesta e della consegna della collana d'oro quale equivalente dei 500,00 Euro anticipati per l'"imbasciata" (che e' strettamente collegato alla richiesta dei 3.500 Euro)", il (OMISSIS) riferi' che la richiesta della collana d'oro sarebbe avvenuta la mattinata del 28 settembre 2020 in gelateria, la consegna della collana a mani del (OMISSIS) sarebbe avvenuta il 2 ottobre 2020 e la restituzione della stessa collana al (OMISSIS) sarebbe avvenuta il successivo (OMISSIS), "posto che secondo la ricostruzione proposta in querela la consegna materiale delle due tranche di 3.500,00 Euro e' avvenuta il 26 e il 27 settembre 2020, la richiesta estorsiva della somma deve necessariamente essere avvenuta prima e quindi la data del 28 settembre 2020 e' inverosimile" e "(p)osto che in querela la P.O. ha dichiarato che la richiesta dei 3.500,00 Euro sarebbe avvenuta in concomitanza alla consegna da parte del (OMISSIS) della prima collana (...) se assumiamo come attendibili le dichiarazioni rese ai carabinieri il (OMISSIS), e quindi la consegna della collana sarebbe avvenuta il 2 ottobre 2020, e' facile eccepire che la circostanza e' del tutto inverosimile anzi e' impossibile perche' il (OMISSIS) ha riferito che la consegna del denaro e' avvenuta il (OMISSIS) quindi in data precedente". 4.1.3. Sotto un terzo profilo, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Milano non avrebbe risposto alle doglianze difensive relative alla mendacita' della dichiarazione resa ai Carabinieri di (OMISSIS) dalla persona offesa (OMISSIS) il (OMISSIS) di avere ricevuto, il 28 ottobre 2020 alle ore 13:10, una telefonata dal (OMISSIS), comprovata dal fatto che "il riscontro telefonico e' negativo perche' sono agli atti i tabulati telefonici che dimostrano che:...) non vi e' stata alcuna telefonata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) il (OMISSIS) alle ore 13.10 (la prima sara' in serata)". 4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la nullita' della sentenza per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione "con riferimento all'omessa valutazione dell'attendibilita' oggettiva della parte lesa, sotto i diversi profili dell'incostanza dichiarativa, e dell'illogicita' intrinseca del discorso", con omessa motivazione anche in ordine alle specifiche e decisive doglianze avanzate nel proprio atto di appello al riguardo. 4.2.1. Sotto un primo profilo, relativo al "requisito della costanza dichiarativa", il ricorrente evidenzia quanto segue. Quanto all'episodio della richiesta della collana d'oro, che, nella propria querela, il (OMISSIS) riferi' che detta richiesta gli fu fatta dall'imputato il (OMISSIS) e che la collana fu da lui consegnata al (OMISSIS) il (OMISSIS), circostanze che, tuttavia, sono contraddette dall'analisi delle celle telefoniche dalla quale risulta che il (OMISSIS), sia il 23 sia il (OMISSIS), si trovava fuori regione. Quanto agli episodi della richiesta di Euro 500,00 quale prezzo dell'"imbasciata" e della rapina, il ricorrente evidenzia come le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) nella propria querela e recepite dalla sentenza impugnata sarebbero in contrasto con quanto riferito dalla stessa persona offesa ai Carabinieri il (OMISSIS), atteso che: "1) la rapina avviene il 25 settembre (e non il (OMISSIS) come in querela) scompare quindi la circostanza della visione della videoregistrazione e della certezza della data e dell'ora; 2) il giorno della rapina il (OMISSIS) si reca dai carabinieri e trovando chiuso andra' dal (OMISSIS) a (OMISSIS). In sentenza invece verra' al contrario precisato che il (OMISSIS) dopo la rapina non va in caserma a citofonare, ne' tantomeno va a casa del (OMISSIS), ma sara' il (OMISSIS) a raggiungerlo presso la gelateria; 3) il (OMISSIS) verra' indicato che il (OMISSIS) giungera' in gelateria su richiesta del (OMISSIS) dopo avere esposto il problema al (OMISSIS) quest'ultimo gli chiedeva quale prezzo per il proprio interessamento la somma di Euro 500; 4) il (OMISSIS) non chiede i soldi, 500 Euro, per l'"imbasciata" il giorno della rapina; 5) il (OMISSIS) chiede direttamente la collana d'oro (e non gia' prima il denaro e poi la collana) il (OMISSIS) in gelateria due giorni dopo la rapina". Secondo il ricorrente, la persona offesa avrebbe percio' fornito "inconciliabili versioni che non solo collocano fatti di reato in tempi e luoghi diversi, ma descrivono circostanze di reato tra loro inconciliabili"; incostanza dichiarativa che era stata denunciata nel proprio atto di appello, in ordine alla cui doglianze la Corte d'appello di Milano avrebbe omesso di rispondere. 4.2.2. Sotto un secondo profilo, relativo al "requisito della logicita' intrinseca del discorso", il ricorrente ribadisce come nei precedenti motivi abbia evidenziato le plurime ragioni di intrinseca illogicita' e inverosimiglianza del racconto della persona offesa e lamenta che la Corte d'appello di Milano non avrebbe considerato tali rilievi e, in particolare, non avrebbe "formulato alcun giudizio critico sull'attendibilita' soggettiva della P.O., mettendo in disparte le prove, travisando i dati processuali, non prendendo in esame i motivi di impugnazione rimettendosi al suo immotivato soggettivistico pregiudizio". 4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la violazione degli articoli 62-bis, 132 e 133 c.p., nonche' la carenza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Il ricorrente rappresenta al riguardo: a) il carattere estremamente sintetico e anapodittico della motivazione della sentenza impugnata relativamente al dinego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, "laddove non sembra tenersi in alcun conto della personalita' del (OMISSIS) e della sua incensuratezza a 50 anni"; b) l'incongruita' dell'irrogazione di una pena superiore al minimo edittale "soprattutto se paragonata alla pena irrogata ai due correi ai quali, malgrado i numerosissimi precedenti specifici, l'asserita gravita' della condotta soprattutto con riferimento al (OMISSIS) a cui sono state contestate sia la rapina consumata (con l'uso della violenza verso la P.O.) sia la tentata estorsione, la pena irrogata e' inferiore"; c) l'incongruita' dell'aumento operato per l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. "in misura superiore al minimo di legge nonche' superiore a quanto determinato per i due coimputati ai quali l'aumento e' stato maggiormente contenuto e la pena certamente piu' mite nonostante la contestazione fosse di paritetica gravita' se non superiore posto l'uso della violenza contestata". 4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), l'erronea applicazione dell'articolo 416-bis.1 c.p.. A proposto dell'attribuita aggravante del "metodo mafioso",, prevista da tale disposizione, il ricorrente ne rappresenta l'insussistenza nella specie, deducendo al riguardo che: all'eta' di 53 anni egli e' incensurato, non e' mai stato rinviato a giudizio ne' arrestato, con la conseguenza che "affermare che (...) frequenti con abitualita' ambienti criminali e' un dato indimostrato"; "nessuno dei parenti del (OMISSIS), nessuno dei numerosi 8 fratelli, e' mai stato coinvolto in procedimenti penali di nessun genere (...) e cosi' i figli del (OMISSIS) entrambi incensurati"; il fatto che egli sia nato a (OMISSIS), cioe' in una localita' ad alto tasso criminale, non consente di per se' di affermare "che tutti coloro che provengano da una certa zona d'Italia siano per sfortuna di nascita criminali"; le risultanze processuali e, in particolare, i tabulati telefonici e l'analisi forense della propria utenza cellulare, avevano escluso che vi fossero stati contatti tra egli stesso e i (OMISSIS), atteso che egli "non aveva registrato in rubrica il telefono dei (OMISSIS), ne' i nominativi o i numeri di telefono delle loro compagne. Ne' vi sono chiamate o messaggi di telefono o watthzzap prima dei fatti contestati o successivamente. Ne' vi sono contatti successivamente al loro arresto tra i famigliari dei (OMISSIS) e quelli del (OMISSIS). Inoltre tutti gli imputati, comprese le compagne, hanno dichiarato di non conoscere il (OMISSIS) e di non averlo mai visto"; "il capo d'imputazione da' conto di questa circostanza visto che le condotte contestate sono autonome"; la motivazione della sentenza di primo grado, "piu' che provare il metodo mafioso sembra dare conto di un articolato proposito truffaldino da parte dell'astuto (OMISSIS) che, una volta carpita la fiducia della P.O., si intrufola in un intreccio di cui non e' parte per ottenere un illecito guadagno. Piu' che di forza intimidatrice dell'organizzazione mafiosa, di cui il (OMISSIS) non fa parte, sembra l'astuta architettura di una truffa fatta e finita. Non c'e' violenza da parte del (OMISSIS), non un alterco, non una minaccia reale"; non "c'e' un esplicito riferimento del (OMISSIS) al potere criminale dell'associazione mafiosa, non solo perche' nel territorio non vi e' radicata alcuna organizzazione storica criminale, sia perche' non appartenendo il (OMISSIS) a nessuna associazione criminale la sua inesistente caratura criminale (inesistente visto che si tratta di un incensurato) non poteva fungere da forza intimidatrice non essendo il (OMISSIS) riconosciuto, dalla collettivita', come un criminale"; il tutto "sembrerebbe piu' una questione legata a prestiti di denaro ed a irrisolte questioni debitorie piuttosto che l'azione mirata del mafioso per costringere il commerciante a pagare il pizzo"; "nelle parole asseritamente pronunciate dal (OMISSIS) (non) vi e' un esplicito rimando alla sua appartenenza a consorterie mafiose salvo la frase "io sono di (OMISSIS)", salvo il fatto che il (OMISSIS) non e' di (OMISSIS)". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. In via preliminare rispetto all'esame dei due ricorsi, e' opportuno richiamare alcuni principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di cosiddetta "doppia conforme" e di limiti del sindacato della stessa Corte sul vizio della motivazione e sulla valutazione di credibilita' soggettiva e oggettiva delle persone offese dal reato e, piu' in generale, dei testimoni. 1.1. Costituisce un orientamento consolidato della Corte di cassazione quello secondo cui, ai fini del controllo di legittimita' sul vizio di motivazione, ricorre la cosiddetta "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (tra le tante: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 25261501). E' parimenti consolidato, nella giurisprudenza di legittimita', il principio secondo cui, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", il vizio di travisamento della prova puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155-01; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018-01; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837-01). 1.2. Costituisce, ancora, un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione - e anch'esso, come i precedenti, condiviso dal Collegio - quello secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita', dalla sua contraddittorieta' (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicche' sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 28074701; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01). 1.3. Occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilita' soggettiva ed oggettiva della persona offesa, specie se costituita parte civile, accertando l'assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettivita', senza la necessita', pero', della presenza di riscontri esterni, stabilita dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, per il dichiarante coinvolto nel fatto (ex plurimis: Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214-01; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070-01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275:312-01; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, Capraro, Rv. 274489-01; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104-01; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730-01). Le Sezioni Unite hanno anche statuito che "la valutazione della credibilita' della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non puo' essere rivalutata in sede di legittimita', salvo che il giudice non sia inc:orso in manifeste contraddizioni" (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, cit.; piu' di recente: Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01). Cosi' come, piu' in generale, non e' sindacabile in sede di legittimita', salvo il controllo sulla congruita' e logicita' della motivazione, la valutazione della prova testimoniale operata dal giudice di merito, al quale spetta il giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilita' di tale fonte di prova (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 25036201). 2. Il ricorso di (OMISSIS). Richiamati tali principi, il ricorso di (OMISSIS) - i cui sei motivi, attenendo tutti all'affermazione di responsabilita' dell'imputato, possono essere esaminati congiuntamente - e' inammissibile perche' si risolve nella richiesta di rivalutare la capacita' dimostrativa del compendio probatorio e, in particolare, tra l'altro, la credibilita' della persona offesa (OMISSIS). Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte d'appello di Milano, dopo avere richiamato la conforme sentenza del G.i.p. del Tribunale di Milano, ha fornito una motivazione accurata ed esaustiva della sussistenza del contestato delitto di tentata estorsione, ribadendo, senza incorrere in contraddizioni: la credibilita' soggettiva della persona offesa (OMISSIS) e l'attendibilita' intrinseca delle sue dichiarazioni - ritenendo spiegabili alcune divergenze tra le successive dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari e le dichiarazioni rese nel corso dell'udienza dell'11 giugno 2021 - (pagg. 15, 16 e 17 della sentenza impugnata); la sussistenza di (ancorche' non necessari) riscontri alle stesse dichiarazioni (pag. 18 della sentenza impugnata); l'inattendibilita' del testimone della difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) (pag. 17 della sentenza impugnata). In modo del pari corretto, la Corte d'appello di Milano ha ritenuto che le condotte poste in essere dall'imputato integrassero il delitto di tentata estorsione, atteso che, posto anche il logicamente ritenuto coordinamento delle condotte dei due fratelli (OMISSIS) (l'odierno imputato (OMISSIS) ed (OMISSIS)), i riferimenti all'utilizzo, a opera del (OMISSIS), del "loro cognome" e al fatto che la gelateria si trovasse nel "loro territorio", il consumo di gelato senza pagare (volto a mettere in chiaro la sottomissione del (OMISSIS)), il riferimento al pagamento del "pizzo" e la richiesta di esso poi esplicitata, integravano gli estremi del reato contestato (pag. 18 della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione che, nel confermare l'accurata valutazione del merito gia' effettuata dal giudice di primo grado, non presenta criticita' sul piano logico e che, pertanto, si sottrae a censure in questa sede di legittimita'. 3. Il ricorso di (OMISSIS). 3.1. I primi due motivi del ricorso di (OMISSIS) - i quali, attenendo entrambi all'affermazione di responsabilita' dell'imputato, possono essere esaminati congiuntamente - sono inammissibili perche' si risolvono anch'essi nella richiesta di rivalutare la capacita' dimostrativa del compendio probatorio e, in particolare, tra l'altro, la credibilita' della persona offesa (OMISSIS), o nell'evidenziazioni di ragioni in fatto. A tale proposito, si deve: da un lato, richiamare anche in questo caso la giurisprudenza della Corte di cassazione che si e' esposta al punto 1; dall'altro lato, ribadire quanto si e' gia' detto al punto 2, nell'esaminare i motivi del ricorso di (OMISSIS), a proposito della valutazione, priva di contraddizioni, compiuta dalla Corte d'appello di Milano relativamente alla credibilita' soggettiva della persona offesa (OMISSIS), all'attendibilita' intrinseca delle sue dichiarazioni, alla sussistenza di riscontri alle stesse e all'inattendibilita' del testimone della difesa (OMISSIS). In modo, poi, del tutto corretto, la Corte d'appello di Milano ha ritenuto che le condotte poste in essere dall'imputato integrassero il delitto di estorsione, con il parziale ottenimento del profitto (la somma di 3.500,00 e la collanina del valore di Euro 239,00) e la formulazione di una richiesta pure estorsiva per la superiore somma di Euro 25.000,00 (pag. 19 e 20 della sentenza impugnata). Anche la motivazione della responsabilita' del (OMISSIS), nel confermare l'accurata valutazione del merito gia' effettuata dal giudice di primo grado, risulta esente da criticita' sul piano logico e, pertanto, si sottrae anch'essa a censure in questa sede di legittimita'. 3.2. Il terzo motivo e' manifestamente infondato. 3.2.1. Con riguardo alle attenuanti generiche, la Corte di cassazione ha statuito che il mancato riconoscimento delle stesse puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo come ha fatto, nella specie, la Corte d'appello di Milano - a maggior ragione dopo la modifica dell'articolo 62-bis disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, conv. con modif. dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986-01; Sez. 3 n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610-01), come pure e' stato correttamente affermato dalla Corte d'appello di Milano, che ha anche evidenziato l'assenza di qualsiasi resipiscenza del (OMISSIS). 3.2.2. Con riguardo alla determinazione della pena, la giurisprudenza della Corte di cassazione e' costante nell'affermare che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01). Nel caso di specie: a) la pena base irrogata di sette anni di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa e' al di sotto della media edittale della pena per il delitto di estorsione (pari a sette anni e sei mesi di reclusione ed Euro 2.500,00 di multa), con la conseguenza che l'obbligo di motivazione ben puo' ritenersi assolto dai giudici di merito mediante il richiamo alla gravita' del reato (pag. 27 della sentenza di primo grado), con l'ulteriore argomento che l'applicazione di una pena base superiore a quella minima e a quella applicata agli altri imputati si giustificava anche in relazione alla maggiore entita' delle richieste estorsive avanzate dal (OMISSIS) (peraltro, nel caso degli altri imputati, fermatesi allo stadio del tentativo); b) l'aumento di pena per l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. di due anni e nove mesi di reclusione (ed Euro 600,00 di multa) e' di poco superiore al minimo di un terzo (pari due anni e quattro mesi di reclusione). 3.3. Il quarto motivo e' manifestamente infondato. Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, la circostanza aggravante dell'utilizzo del cosiddetto "metodo mafioso", prevista dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, comma 1, (ora dall'articolo 416.bis.1 c.p., comma 1), ha la funzione di reprimere il "metodo delinquenziale mafioso" ed e' connessa non alla struttura e alla natura del delitto rispetto al quale la circostanza e' contestata, quanto, piuttosto, alle modalita' della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso (Sez. 5, n. 22554 del 09/03/2018, Marando, Rv. 27319001). L'aggravante de quo e' configurabile nel caso di condotte che presentano un nesso eziologico immediato rispetto all'azione criminosa, in quanto logicamente funzionali alla piu' pronta e agevole perpetrazione del crimine (non essendo pertanto integrata dalla sola connotazione mafiosa dell'azione o dalla mera ostentazione, evidente e provocatoria, dei comportamenti di tale organizzazione) (Sez. 1, n. 26399 del 28/02/2018, Barbra, Rv. 273365-01). La giurisprudenza di legittimita' ha altresi' statuito che la circostanza aggravante del cosiddetto "metodo mafioso": e' configurabile anche a carico di un soggetto che non faccia parte di un'associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente e alla sensibilita' del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga a un sodalizio del genere anzidetto (Sez. 2, n. 38094 del 05/06/2013, De Paola, Rv. 257065-01; Sez. 1, n. 4898 del 26/11/2008, dep. 2009, Cutolo, Rv. 243346-01); non necessita che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente e alla sensibilita' del soggetto passivo la forza intirnidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo (Sez. 2, n. 27548 del 17/05/2019, Gallelli, Rv. 276109-01; Sez. 2, n. 16053 del 25/03/2015, Campanella, Rv. 263525-01). La Corte d'appello di Milano ha ritenuto la configurabilita' dell'aggravante del metodo mafioso in quanto il (OMISSIS), nel proporsi come "mediatore", una volta apprese le richieste estorsive di cui era vittima il (OMISSIS) da parte dei (OMISSIS), aveva evocato la sua contiguita' con la consorteria di tipo mafioso degli stessi, sfruttando il timore della persona offesa di potere subire la prevaricazione da parte del predetto gruppo criminoso, e aveva utilizzato atteggiamenti riconducibili a quelli delle consorterie mafiose, millantando la possibilita' di offrire "protezione" (in cambio di denaro) e minacciando "seri problemi" nel caso di mancata accettazione delle sue richieste. Tale motivazione, oltre che rispettosa dei principi sopra ricordatati, appare coerente e priva di illogicita', sicche' si sottrae a censure in questa sede di legittimita'. 4. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell'articolo 616, c.p.p., comma 1 al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Sentenza a motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CALVANESE Ersilia - Presidente Dott. GIORGI Maria - rel. Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. VIGNA M. Sabina - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza 04/10/2022 del Tribunale di Catanzaro, sezione per il riesame; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Maria Silvia Giorgi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Piccirillo Raffaele, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore dell'imputato, Avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e insistendo per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro - sezione per il riesame - ha rigettato la richiesta di riesame dell'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Ufficio, che aveva applicato la misura della custodia in carcere nei confronti di (OMISSIS) per i reati di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 (capo 1); 81, articolo 629 c.p., commi 1 e 2, in relazione all'articolo 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3 e articolo 416-bis.1 c.p. (capi 15 e 16) nonche' articoli 110, 112, 81 cpv. c.p., e articolo 629, commi 1 e 2, in relazione all'articolo 628, comma 3, nn. 1 e 3 e articolo 416-bis.1 c.p. (capo 84). I reati contestati si inseriscono in una serie di episodi delittuosi - tutti oggetto del medesimo provvedimento genetico - posti in essere da vari indagati: In particolare, vengono contestati 298 capi di imputazione. Al capo 1) e' contestato il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. nei confronti di 119 indagati, con attribuzione del ruolo dagli stessi rivestito all'interno di una articolazione della âEuroËœndrangheta. Dal capo 2) al capo 172) sono contestati i reati-fine, tutti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1 c.p. e riferiti alla consorteria mafiosa di cui al capo 1). Al capo 173) e' contestata una associazione criminale ex Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, ontologicamente collegata all'associazione di cui al capo 1) e, infine, dal capo 174) al 298) sono contestati i reati-fine relativi all'associazione di cui al capo 173). Il Tribunale narrava innanzitutto, anche mediante il richiamo al provvedimento genetico, le vicende concernenti l'esistenza e l'operativita' della consorteria di âEuroËœndrangheta operante nel territorio cosentino (capo 1), caratterizzata dall'essere un'unione fra sette gruppi confinanti e alleati ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) detto "(OMISSIS)", "gli altri (OMISSIS)", (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), al fine di preservare, mantenere e rinforzare il dominio sul territorio, nonche' dediti a commettere i diversi delitti sottesi a tale finalita' (estorsioni, gioco d'azzardo, narcotraffico, usure ed esercizio abusivo dell'attivita' finanziaria). Gli esiti investigativi risultanti da captazioni telefoniche, ambientali e telematiche, l'analisi delle immagini estrapolate dagli impianti di videosorveglianza, i servizi di geolocalizzazione, osservazione e controllo, le attivita' di perquisizione e sequestro e l'analisi delle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) - soggetti, tutti, impegnati in quel contesto criminale e percio' a conoscenza dei relativi assetti di potere compendiati nelle ricche ed esaurienti informative di polizia giudiziaria, consentivano di ricostruire il complesso quadro sopra descritto. Il Tribunale esaminava quindi la consistenza probatoria delle specifiche accuse che riguardavano l'indagato, risultante partecipe della associazione âEuroËœndranghetista e, in particolare, inserito nel gruppo riconducibile ai "(OMISSIS)", ove svolgeva un ruolo operativo nel campo delle estorsioni, ritenendo che la prova cautelare degli addebiti emergesse anzitutto dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS). Egli, nel raccontare di un incontro con l'allora latitante (OMISSIS) (finalizzato all'ottenimento del definitivo avallo circa l'omicidio di (OMISSIS), dunque collocato in epoca prossima al 2012) ha riferito che (OMISSIS) aveva svolto il ruolo di autista, sebbene non fosse a conoscenza dei dettagli, mettendosi a disposizione dei vertici del sodalizio. A cio' si aggiungono i reati-fine - vale a dire le estorsioni di cui ai capi 15), 16) e 84) - per le quali la principale fonte di gravita' indiziaria e' costituita dalle dichiarazioni rese dalle persone offese. Quanto al capo 15) si tratta dell'estorsione consumata ai danni di (OMISSIS) e (OMISSIS), titolari di una scuola privata paritaria presso la quale si era presentato (OMISSIS), genitore di un alunno frequentante l'istituto, insistendo per procurare un "regalo" a (OMISSIS). I diecimila Euro all'anno pretesi nel corso di un incontro cui prendevano parte, oltre a (OMISSIS) e (OMISSIS), anche il fratello di quest'ultimo, Nicola, venivano poi ridotti - a seguito delle rimostranze delle vittime - a quattromila, oltre all'esenzione dalle rette scolastiche dei figli di (OMISSIS) e (OMISSIS). Peraltro, nel corso dell'incontro (OMISSIS) aveva riferito che il denaro serviva per mantenere le famiglie dei carcerati. Circa il capo 16) la persona offesa Passavanti, la quale aveva emesso cambiali per complessivi 2.900,00 Euro in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) per il pagamento delle rette scolastiche dei due figli e la cui posizione debitoria era stata poi girata a tale " (OMISSIS)", aveva riferito di avere concordato un pagamento di 100 Euro mensili con quest'ultimo e di essere stata minacciata, dopo avere lasciato insolute alcune rate, dallo stesso " (OMISSIS)" che riconosceva fotograficamente nell'imputato. Il Tribunale ha ritenuto la gravita' indiziaria anche con riferimento al terzo episodio estorsivo ai danni dei titolari del supermercato (OMISSIS) (capo 84) per il quale il compendio si fonda sulle captazioni telefoniche e ambientali, sulle convergenti dichiarazioni delle persone offese ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) e sui servizi di osservazione e controllo, nonche' di geolocalizzazione. Le richieste si sostanziavano in "cesti di Natale" il cui controvalore superava i duemila Euro annui. Tra i soggetti che si erano presentati per ritirare i cesti vi era anche " (OMISSIS)", in relazione al quale (OMISSIS) aveva anche annotato la consegna effettuata. Anche in tale caso il riconoscimento fotografico aveva consentito l'identificazione di (OMISSIS) con " (OMISSIS)". Con riguardo alla prova della sussistenza dell'aggravante mafiosa (in termini di metodo e agevolazione), il Tribunale ha sottolineato come da un lato l'agente avesse speso il potere di intimidazione che promana naturalmente dal vincolo associativo mafioso, dall'altro come la condotta fosse volta al raggiungimento di un illecito vantaggio remunerativo finalizzato al soddisfacimento degli interessi del gruppo di riferimento. Circa le esigenze cautelari, la presunzione di sussistenza delle stesse e di esclusiva adeguatezza della misura custodiate in carcere non era superata dal mero decorso di un lasso temporale in ragione delle concrete manifestazioni di partecipazione al sodalizio criminoso, attesa la dimensione attuale della affiliazione e del persistente vincolo associativo risalente nel tempo e mai rescisso. 2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione il difensore dell'indagato per i seguenti motivi, cosi' di seguito sintetizzati: 2.1. violazione di legge in relazione alla mancanza da parte del Tribunale di una autonoma valutazione della legittimita' e rilevanza degli elementi disponibili, limitandosi a richiamare apoditticamente l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari e omettendo l'indicazione dell'iter logico seguito nella ricostruzione dell'appartenenza all'associazione, della struttura della stessa, del ruolo rivestito; 2.2. violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza della gravita' indiziaria per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., difettando il presupposto probatorio della intraneita' dell'indagato all'associazione mafiosa, ritenuta provata all'esito di una lettura atomistica e parcellizzata delle fonti di prova, rappresentate dalle generiche dichiarazioni un solo collaboratore di giustizia, (OMISSIS), che riporta un episodio risalente al 2012. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza di un generale "metodo mafioso" attraverso l'apprezzamento isolato dello spessore criminale di un singolo partecipe, invece che dell'intero sodalizio senza neppure integrarlo con il riscontro dell'effettivo assoggettamento omertoso dell'area territoriale in cui questo operava, soprattutto alla luce degli attriti esistenti fra i gruppi. Peraltro, (OMISSIS) e' soggetto incensurato; 2.3. violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla mancata considerazione del fattore "tempo" nella definizione delle concrete e attuali esigenze cautelari, tenuto conto della distanza temporale fra i fatti contestati e il momento della decisione cautelare. In data 11 aprile 2023 il difensore ha depositato "motivi aggiunti" con i quali ribadisce, in particolare, le doglianze svolte con riguardo al "metodo mafioso" e alle estorsioni addebitate all'imputato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi di ricorso sono per un verso aspecifici e per altro verso manifestamente infondati. 2. Quanto alla sostenuta mancanza di autonoma valutazione del compendio indiziario, ritiene la Corte che il percorso argomentativo espresso nel provvedimento del giudice del riesame sia immune da censure, dal momento che il Tribunale si e' confrontato con le doglianze sollevate dalla Difesa operando una congrua valutazione di infondatezza dei motivi di gravame. Con riferimento - come nel caso di specie - al (parziale) rinvio per relationem o mediante incorporazione della richiesta cautelare e alla possibilita' che tale metodo non incida negativamente sulla complessiva legittimita' dell'apparato argomentativo del giudice della cautela, si evidenzia che l'autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza e' osservata anche quando il giudice ripercorra gli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del pubblico ministero, purche' dal contenuto complessivo del provvedimento emerga la conoscenza degli atti del procedimento e, ove necessario, la rielaborazione critica degli elementi sottoposti al vaglio del riesame, giacche' la valutazione autonoma non necessariamente comporta la valutazione difforme (Sez. 5, n. 1304 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 275339; Sez. 6, n. 30774 del 20/06/2018, Vizzi', Rv. 273658). Il motivo peraltro e' generico, poiche' il ricorrente affida la dedotta nullita' all'enunciazione di principi generali, mancando, pero', di indicare quali contenuti dell'ordinanza registrino il denunciato acritico recepimento o si traducano in una mera esposizione dei dati indiziari raccolti, non mediati dalla necessaria valutazione che dell'attivita' di giudizio costituisce il proprium. 3. Il secondo motivo di ricorso di ricorso investe, per il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, il giudizio di gravita' del quadro indiziario in ordine al delitto associativo ascritto all'indagato: difetterebbe il presupposto probatorio di condotte concrete, evocative di un contributo causalmente apprezzabile all'operativita' del sodalizio criminoso. Orbene, le doglianze riguardanti la valutazione di attendibilita' e coerenza dei dati probatori, nella specie di tipo investigativo, dichiarativo e intercettativo, risultano - oltre che per taluni aspetti affatto generiche - palesemente infondate, siccome sostanzialmente dirette a una non consentita rilettura degli elementi indiziari e ad una diversa e alternativa ricostruzione della vicenda criminosa, a fronte dell'apparato argomentativo, logico ed esaustivo, della motivazione dell'ordinanza impugnata. Il Tribunale del riesame ha proceduto innanzitutto a una narrazione delle vicende criminose e della struttura della cosca mafiosa operante nel territorio cosentino (anche richiamando il provvedimento genetico) e del ruolo facente capo all'indagato, deducendo i gravi indizi di colpevolezza dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) che lo collocano "a disposizione" dei vertici del gruppo "(OMISSIS)" sin dal 2012, valutati congiuntamente alla commissione negli anni 2019 e 2020 dei gravi episodi estorsivi di cui ai capi 15), 16) e 84), sulla cui sussistenza la difesa del ricorrente non ha svolto motivi di ricorso, indicatori univoci di una perdurante e consolidata partecipazione. In tale ottica, sono stati valutati tutti gli elementi indiziari che hanno consentito di attribuire al ricorrente lo svolgimento del ruolo di partecipe, con particolare riguardo alle concludenti dichiarazioni delle persone offese per il cui puntuale contenuto si rinvia sopra, sub 1) del "Ritenuto in fatto". Il Tribunale richiamava in proposito la significativa affermazione rivolta da (OMISSIS) a (OMISSIS), la quale aveva ritardato nella corresponsione della somma mensile che doveva versare: "Io ho bisogno di quei soldi. lo campo cosi'...io non vi ho minacciato, vero-". Orbene, attesa la consistenza e la solidita' del descritto compendio indiziario, non e' consentito alla Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione alle puntuali e logiche argomentazioni svolte dal giudice del merito cautelare in ordine alla qualificata probabilita' di colpevolezza dell'indagato per i delitti oggetto di contestazione provvisoria. Esse, quando la difesa del ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare il riesame fattuale della decisione impugnata, pur correttamente motivata in punto di gravita' dell'acquisito quadro indiziario, non sono sindacabili in sede di controllo di legittimita' del provvedimento impugnato. 4. Anche con riguardo alle esigenze cautelari, l'apparato argomentativo del provvedimento impugnato risulta coerente con il quadro normativo di riferimento, nell'interpretazione offerta dalla Corte di legittimita' (Sez. 2, n. 12967 del 05/03/2019, Santaiti, Rv. 275527; Sez. 3, n. 6284 del 16/01/2019, Pianta, Rv. 274861), per la quale, anche se per i reati di cui all'articolo 275 c.p.p., comma 3, e' prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di esclusiva adeguatezza della misura della custodia in carcere, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l'emissione della misura e i fatti contestati all'indagato, il giudice ha l'obbligo di motivare puntualmente in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull'esistenza e sull'attualita' delle esigenze cautelari. Orbene, il Tribunale del riesame, con motivazione congrua e logicamente ineccepibile, ha rimarcato l'irrilevanza del mero decorso di un lasso temporale (neppure particolarmente rilevante atteso che gli episodi estorsivi si collocano fino al settembre 2020) fra i fatti contestati e accertati e l'adozione della misura coercitiva, sul duplice rilievo della persistente operativita' della cosca, fortemente radicata nel territorio, e dell'assenza di seri elementi attestanti la rescissione del vincolo associativo. Di talche', anche per questo profilo non puo' consentirsi alla Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione all'apprezzamento compiuto dal giudice del merito. 5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed a versare a favore della Cassa delle ammende una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAPOZZI Angelo - Presidente Dott. GALLUCCI Enrico - rel. Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. VIGNA Maria S. - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del Tribunale di Catanzaro del 27/09/2022; visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Enrico Gallucci; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Piccirillo Raffaele, che ha chiesto che il ricorso venga accolto in riferimento alla contestazione sub capo 20) della circostanza aggravante della mafiosita', con conseguente annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del riesame di Catanzaro con ordinanza del 28 settembre 2022 (motivazione depositata il successivo 7 novembre) ha confermato l'ordinanza genetica emessa dal locale Gip con la quale a (OMISSIS) e' stata applicata la custodia in carcere in relazione ai reati di associazione a delinquere di tipo mafioso (in particolare, cosca âEuroËœndranghetista operante in Cosenza e territori limitrofi, articolata in diversi gruppi funzionalmente autonomi - quello cui e' contestata la partecipazione dell'indagato facente capo al "reggente" (OMISSIS), del quale (OMISSIS) e' qualificato come luogotenente - ma organicamente confederati e tutti riconducibili al vertice rappresentato da (OMISSIS)) (capo n. 1) e di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132 (indebita erogazione di prestiti e finanziamenti), aggravato dall'articolo 416-bis.1 c.p., in quanto posto in essere avvalendosi del metodo mafioso e allo scopo di agevolare una cosca di âEuroËœndrangheta (capo n. 20). 2. Nei due ricorsi, presentati dai difensori dell'indagato, si deducono: 2.1. violazione dell'articolo 297 c.p.p., comma 3 (quarto motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS); primo motivo lettera a) del ricorso dell'avv. (OMISSIS)). Si deduce che il termine di efficacia della misura custodiale oggetto del presente procedimento, eseguita nel settembre 2022 (come detto per violazione dell'articolo 416-bis c.p. - capo 1) - e violazioni plurime del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132 aggravate ai sensi dell'articolo 416-bis.1 c.p. - capo 20), deve essere anticipata alla data di esecuzione di altra misura custodiale applicata al (OMISSIS) - per le violazioni degli articoli 56-629 e 629 c.p., sempre aggravate ex articolo 416-bis.1 c.p. - applicata con ordinanza del 31 dicembre 2019 (sostituita nel marzo del 2022 nel corso del dibattimento di primo grado con quella dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria); 2.2. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al capo n. 1) - articolo 416 bis c.p. - (primo, secondo e terzo motivo del ricorso dell'avv. (OMISSIS); lettera b) del primo motivo dell'avv. (OMISSIS)). I ricorsi evidenziano la carenza di significativi indizi che possano sorreggere l'addebito provvisorio; 2.3. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari riferite al capo n. 1) dell'addebito provvisorio (primo motivo, lettera c) del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS)); 2.4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. riferita al capo n. 20) (quinto motivo del ricorso dell'avv. (OMISSIS); secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS)). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 2. Per quanto concerne la invocata retrodatazione dell'efficacia della misura custodiale, rileva la Corte che nel caso in esame difetta comunque il requisito dell'anteriorita' dei fatti contestati nell'ordinanza successiva rispetto a quelli contestati nella precedente, anteriorita' cronologica che rappresenta l'indefettibile presupposto per l'operativita' del meccanismo previsto dall'articolo 297 c.p.p., comma 3 (Sez. U, n. 14535 del 2007, Librato, Rv. 235910: "Ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare ai sensi dell'articolo 297 c.p.p., comma 3, il presupposto dell'anteriorita' dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all'emissione della prima, non ricorre allorche' il provvedimento successivo riguardi un reato di associazione - nella specie di tipo mafioso - e la condotta di partecipazione alla stessa si sia protratta dopo l'emissione della prima ordinanza" (Conf., tra le altre, Sez. 6, n. 52015 del 2018, Rv. 274511)". 2.1. Nell'ordinanza custodiale oggetto del ricorso, al (OMISSIS) viene contestata la partecipazione all'associazione âEuroËœndranghetista "dal (OMISSIS) con attualita' della condotta", mentre le estorsioni di cui al precedente provvedimento risultano commesse dal (OMISSIS). Attesa la natura permanente - e tuttora in corso - dell'addebito sub capo 1) e la mancata allegazione da parte del ricorrente di elementi idonei a dimostrare l'intervenuto recesso dal contesto associativo in epoca anteriore alla data della pregressa misura (circostanza necessaria ai fini di poter far operare il meccanismo della retrodatazione: v. Sez. 2, n. 16595 del 06/05/2020, Genidoni, Rv. 279222), difetta il presupposto fattuale a sostegno dell'invocata operativita' dell'articolo 297 c.p.p.. 3. In ordine alla dedotta insussistenza indiziaria per la partecipazione dell'indagato alla cosca âEuroËœndranghetista i ricorsi risultano aspecifici in quanto non si confrontano adeguatamente con la motivazione - non illogica - dell'ordinanza impugnata nella quale si evidenziano i plurimi elementi indiziari a carico, rappresentati dalle convergenti dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia (tali (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)); dichiarazioni, a loro volta, riscontrate sulla base degli accertati numerosi incontri e colloqui dell'indagato con il soggetto - (OMISSIS) - divenuto reggente dell'articolazione âEuroËœndranghetista dopo l'intervenuta detenzione del capo (OMISSIS), nonche' dell'estorsione posta in essere a danno di tale (OMISSIS). 4. Generiche risultano anche le deduzioni difensive in ordine alle esigenze cautelari. Da un lato, il reato contestato rientra nel perimetro della presunzione relativa di sussistenza di pericula libertatis (non superata nel caso di specie da prove di recesso dell'indagato o di estinzione del gruppo criminale di riferimento) e la presunzione assoluta di esclusiva adeguatezza della misura carceraria; per altro verso, l'attenuazione della misura coercitiva nell'altro procedimento peraltro ormai in fase di dibattimento - non puo' spiegare effetti in ordine alla custodia in carcere disposta per il piu' grave delitto di associazione mafiosa. 5. Infondata risulta anche la censura relativa all'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., contestata nel capo 20), per la quale il PG ha chiesto l'annullamento con rinvio. 5.1. La motivazione dell'ordinanza impugnata in ordine alla sussistenza dei gravi indizi in ordine al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132 risulta non illogica, in quanto dagli elementi indiziari emerge in modo chiaro la condotta del (OMISSIS) in ordine ai finanziamenti indebiti nei confronti del medico (OMISSIS), nonche' di (OMISSIS), del (OMISSIS) - nella cui gestione subentrava, nel periodo in cui l'indagato era detenuto, la di lui moglie (OMISSIS) - e di altri soggetti non meglio individuati. 5.2. Adeguata e' anche la motivazione del Tribunale del riesame in ordine alla configurabilita', in relazione a tale contestazione, della circostanza aggravante della "mafiosita'". Invero, una volta verificata la plausibilita' a livello indiziario della condotta partecipativa, e in particolare la vicinanza dell'indagato con il capo clan (OMISSIS), l'ordinanza impugnata - in modo non illogico - argomenta (pag. 25 s.) in ordine alla finalizzazione degli introiti derivanti dall'abusiva attivita' creditizia svolta dal (OMISSIS) "al sostegno e al mantenimento della consorteria". 6. Al rigetto del ricorso segue la condanna dell'indagato al pagamento diete spese processuali. La cancelleria e' incaricata degli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Mari - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - rel. Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. MARI Attilio - Consigliere Dott. RICCI Anna L. A. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 09/06/2022 della CORTE APP.SEZ.MINORENNI di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere FERRANTI DONATELLA. RITENUTO IN FATTO 1.Con l'ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Napoli ha rigettato l'istanza di riparazione presentata da (OMISSIS) per la dedotta ingiusta detenzione sofferta dal 3 aprile 2014 al 20.04.2015, in seguito ad applicazione nei suoi confronti della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa nell'ambito di un procedimento nel quale era indagato per i reati di concorso in estorsione continuata pluriaggravata capo a, illecita concorrenza mediante violenza e minaccia capo a bis, tentata estorsione pluriaggravata capo a ter. Il procedimento a carico del ricorrente, nel quale la Corte di appello di Napoli con pronuncia del 14.09.2018 aveva assolto l' (OMISSIS) e i coimputati perche' il fatto non sussiste, prendeva origine dall'indagine in cui all' (OMISSIS), dirigente Ufficio Direzione rete Roma (OMISSIS), veniva contestato, in concorso con (OMISSIS), imprenditore nell'ambito degli idrocarburi e il di lui fratello, parlamentare, (OMISSIS) e il collega (OMISSIS), di aver fatto indebite pressioni sull'imprenditore (OMISSIS), affinche' per poter aprire il suo impianto di distribuzione carburanti accettasse condizioni capestro, restando di fatto economicamente subordinato al (OMISSIS). 1.1. Il Giudice della riparazione, dopo avere ripercorso la vicenda processuale evidenziava che la custodia cautelare era stata confermata dal Tribunale del riesame e dalla Corte di Cassazione e veniva revocata l'8.04.2015 su istanza di parte dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Nel merito il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 15.03.2017 aveva riqualificato il capo a), nella prima parte della condotta, come abuso di ufficio e quindi dichiarato la prescrizione e condannato alla pena di giustizia il ricorrente in relazione alla seconda parte del capo a) e al capo a ter) riqualificati come tentata estorsione aggravata e per il capo a bis), articolo 513 bis c.p., escluse le aggravanti di cui all'articoli 112 e 61 n. 10 c.p.. La Corte territoriale dopo avere richiamato i principi informatori della materia, ha ritenuto di rigettare la richiesta, individuando, nei comportamenti serbati dal ricorrente una colpa grave ostativa al riconoscimento dell'indennizzo. 2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, a mezzo del suo difensore, con tre motivi riferiti alla violazione di legge, al vizio di motivazione e al travisamento della prova, trattati in maniera unitaria stante la complementarieta' delle argomentazioni. Secondo quanto si assume nel ricorso, il provvedimento di rigetto sarebbe erroneo, in quanto avrebbe ipotizzato una condotta gravemente colposa a carico dell'istante, nonostante la Corte di appello di Napoli, con la pronuncia del 14.12.2018 abbia escluso la sussistenza del fatto oggetto di imputazione nei suoi componenti essenziali e non abbia considerato pienamente attendibili le dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS), interessato alle sorti del processo e le cui propalazioni circa l'intangibilita' del GPL di esclusiva gestione da parte del (OMISSIS) non avesse avuto alcun riscontro investigativo. Evidenziava che anche il tenore della intercettazione telefonica del 28.05.2011 intervenuta tra (OMISSIS) e il ricorrente, in cui i due parlavano della mancata presenza nell'incontro a Praga dell'imprenditore (OMISSIS) e delle cattive acque economiche in cui quest'ultimo versava, non rivelava altro che la conoscenza e la confidenza maturata nel corso degli anni e non poteva essere valorizzata ai fini della colpa grave tale da assurgere a sostegno della misura cautelare. Nessuno degli elementi valorizzati nella ordinanza, anche considerati complessivamente, consentirebbe di ricavare certezza processuale in ordine alla esistenza di un atteggiamento di colposa inerzia o tolleranza suscettibile di essere considerato ostativo ai fini del riconoscimento dell'indennizzo. Cio' al pari dell'incontro conviviale tra il ricorrente il (OMISSIS) e il di lui fratello parlamentare, (OMISSIS), risultato privo di qualsiasi scambio di favori illeciti. In realta' il (OMISSIS) era titolare di una cospicua posizione debitoria, era imprenditore poco affidabile ed la (OMISSIS) non intendeva offrire ulteriori anticipazioni allo scoperto per favorire il completamento di opere strutturali dell'impianto di distribuzione; sin dai primi momenti investigativi e' chiara la posizione di (OMISSIS) che agiva di concerto con i suoi superiori non per favorire il retista (OMISSIS) ai danni del (OMISSIS) ma per tutelare gli interessi dell'azienda emiratina. 6. Il Procuratore generale con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. Ha affermato tra l'altro che "Al di la' della ricostruzione processuale sopra operata, emerge palese dalla lettura del ricorso, in rapporto alla complessiva, ampia e logica motivazione dell'ordinanza impugnata, come da un lato, al momento della emissione dell'ordinanza il quadro cautelare fosse tale da giustificare la sua conferma anche dalla S.C. di Cassazione. Dall'altro, come le censure mosse alla motivazione travalicano nella richiesta di un diverso apprezzamento del fatto, cercando di individuare nel provvedimento che ha negato il diritto alla riparazione per colpa grave ostativa, correttamente individuata in circostanze processuali oggettive, vizi di illogicita' inesistenti, o interpretazioni del contenuto e della lettura data dalla Corte impugnata delle risultanze processuale e del compendio indiziario, che da un lato sono precluse in sede di legittimita' in quanto comportanti un apprezzamento in fatto, e dall'altro appaiono dalla semplice lettura della motivazione, insussistenti. Cassazione penale, sez. IV, 24/01/2008, n. 9458 ha stabilito infatti che "Il sindacato del Giudice di legittimita' sull'ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione e' limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice e' pervenuto ad accertare o negare il presupposto per l'ottenimento del beneficio. Rientra, invece, nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito la valutazione sull'esistenza e la gravita' della colpa o sull'esistenza del dolo, gravando sul giudice di legittimita' esclusivamente il compito di accertare la correttezza logica del ragionamento." e' consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria o probante (smentita dall'assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell'imputato, l'adozione della misura, traendo in inganno il giudice. Il ricorrente non tiene conto del diverso piano, teste' descritto, su cui opera il giudizio per la riparazione dell'ingiusta detenzione. E' consentita, pertanto, al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria o probante (smentita dall'assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell'imputato, l'adozione della misura, traendo in inganno il giudice". 7. Ha concluso per iscritto l'Avvocatura generale dello Stato, nell'interesse del Ministero dell'Economia e delle Finanze, chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso o comunque il rigetto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e deve essere rigettato. 2. La vicenda, ricostruita in modo puntuale dal giudice della riparazione, rivela che il richiedente ha posto in essere comportamenti suscettibili di ingenerare nell'Autorita' procedente il ragionevole convincimento del suo coinvolgimento in affari illeciti. Nella ordinanza e' messo in rilievo che le dichiarazioni rese dal (OMISSIS), unitamente alle affermazioni rese in sede di interrogatorio dall'istante e il tenore delle conversazioni intercettate, evidenziava con una valutazione ex ante l'esistenza di rapporti preferenziali dell' (OMISSIS), quadro della (OMISSIS), impegnato a favorire la posizione del (OMISSIS), sfruttando le informazioni di cui disponeva in ragione del ruolo rivestito all'interno dell'azienda tanto che nel colloquio intercettato il 25.05.2011, a proposto di altro imprenditore in difficolta', (OMISSIS), suggeriva al (OMISSIS) di "dargli addosso" indicandogli anche i terreni a Frattamaggiore su cui vi era l'ipoteca della (OMISSIS) " apri gli occhi e vedi che quelli sono negli impianti". Ha ritenuto la Corte di merito che i comportamenti serbati dal ricorrente, nel contesto sopra delineato, si siano rivelati idonei, proprio per l'ambiguita' e la faziosita' conclamata nei confronti di un retista, quale era l'imprenditore il (OMISSIS), cui riservava un trattamento privilegiato, a contribuire all'adozione della misura cautelare a suo carico, emergendo un efficace contributo sinergico rispetto a questo risultato. Nella ricostruzione dei fatti e nella interpretazione degli elementi a sua disposizione il giudice della riparazione non ha contraddetto gli accertamenti in fatto contenuti nella sentenza di annullamento e ricostruiti per quanto attiene alla tentata estorsione da fol 56, mentre con riguardo alla prima parte del capo a) la fattispecie concreta e' stata riqualificata dal Giudice di primo grado abuso di ufficio e dichiarata la estinzione per intervenuta prescrizione. La censura difensiva non si confronta con le ragioni della decisione di annullamento che, pur evidenziando la carenza di idonea piattaforma probatoria per pervenire alla sentenza di condanna, ha ritenuto la mancanza di prova certa di alcuni elementi essenziali per la sussistenza del reato di tentata estorsione fol 59 sentenza di annullamento), e cio' non vale ad escludere la sussistenza di comportamenti accertati idonei a costituire con un giudizio ex ante colpa grave. 3. E' noto che in tema di riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito, per stabilire se chi l'ha patita vi abbia dato causa o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante" - e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito - non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se essa sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorche' in presenza di un errore dell'autorita' procedente, la falsa apparenza della sua configurabilita' come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013 - dep. 25/02/2014, Maltese, Rv. 25908201). La valutazione del giudice della riparazione, pertanto, si svolge su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, ed in relazione a tale aspetto della decisione, egli ha piena ed ampia liberta' di considerare il materiale acquisito nel processo, non gia' per rivalutarlo, bensi' al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell'azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l'eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 - dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri). L'unico limite incidente su tale valutazione e' rappresentato dall'accertamento effettuato dal giudice della cognizione. Invero, per consolidato orientamento della Corte di legittimita', il giudice della riparazione non puo' mai ritenere provati fatti che tali non siano stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest'ultimo abbia valutato come dimostrate (cosi', Sez. 4, Sentenza n. 12228 del 10/01/2017, Rv. 270039; conforme Sez. 4, Sentenza n. 11150 del 19/12/2014, dep. 16/03/2015, Rv. 262957). Condotte rilevanti ai fini della esclusione della riparazione sono quelle di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l'adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull'esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. Ebbene, la Corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, offrendo adeguata giustificazione della ricorrenza di condizioni ostative al riconoscimento dell'indennizzo, individuando profili di colpa extraprocessuali, derivanti dalle frequentazioni, dai rapporti confidenziali con uno degli imprenditori retisti, il (OMISSIS), dall'ambiguita' dei colloqui intercettati, dalle dichiarazioni rese dal (OMISSIS), comportamenti di cui e'' stata poi adeguatamente messa in rilievo la relazione causale con l'adozione del provvedimento restrittivo. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente che liquida in Euro mille.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. LIUNI Teresa - rel. Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 07/03/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa LIUNI TERESA; lette le conclusioni del Procuratore Generale, Dott. BIRRITTERI LUIGI, il quale ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 7/3/2022, depositata il 30/3/2022, la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell'esecuzione, (per la parte che qui interessa) rigettava la richiesta di applicazione del reato continuato tra i delitti associativi per i quali (OMISSIS) aveva riportato condanna (associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti) e due ulteriori reati (estorsione e violenza o minaccia per costringere a commettere un reato) per i quali il medesimo aveva riportato altra condanna definitiva. 2. Avverso tale ordinanza il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, avv. (OMISSIS), in cui deduce, con unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, evidenziando che il giudice della cognizione aveva gia' unificato per continuazione i due reati associativi sopra citati, mentre l'estorsione (unitamente al connesso delitto di cui all'articolo 611 c.p.) doveva ritenersi attuativa del programma criminale oggetto dell'associazione mafiosa della quale il ricorrente e' stato riconosciuto partecipe. 3. Il Procuratore generale ha trasmesso requisitoria scritta, nella quale ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato nei seguenti termini. Risulta contraddittoria ed insufficiente la motivazione dell'impugnata ordinanza, laddove ha ritenuto che l'estorsione in pregiudizio di tale (OMISSIS) non puo' ritenersi riconducibile al programma criminale del sodalizio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, poiche' tale affermazione non esaurisce le verifiche per escludere la riconducibilita' di tale estorsione al sodalizio mafioso: infatti era necessario valutare se tale reato-fine fosse oggetto di autonoma programmazione anche con riferimento alla partecipazione all'associazione mafiosa, dovendo tenersi in debita considerazione la gia' operata unificazione per continuazione dei titoli indicati ai numeri 1 e 3 dell'ordinanza impugnata. Invero, sulla premessa che i reati relativi alle sentenze sub 1 e 3 sono stati gia' posti in continuazione fra loro, il giudice dell'esecuzione ha reso una motivazione illogica laddove ha sostenuto che il reato sub 2 riguarda violazioni ascrivibili esclusivamente al programma delittuoso dell'associazione camorristica giudicata dalla Corte di appello di Napoli in data 1/12/2004. Non ha pero' considerato che l'associazione giudicata con quest'ultima sentenza e' stata posta in continuazione con il reato sub 1 (come risulta dalla premessa) e, dunque, e' entrata essa stessa nella globale continuazione poi applicata con i reati di cui alla sentenza sub 3. Pertanto, se il riferimento all'appartenenza del reato sub 2 al programma delittuoso suindicato ne sottende la medesimezza del disegno criminoso, la proprieta' transitiva avrebbe dovuto far seguire l'attrazione anche di questo reato nella progettazione ritenuta per gli altri. In ogni caso, poi, si sarebbe dovuto motivare specificamente perche' detta estorsione aggravata, riconosciuta rientrare nel programma dell'associazione camorristica, che nelle more era stata unificata in continuazione con quella per spaccio, non potrebbe inserirsi nell'unitario globale disegno criminoso. 2. Ne discende l'annullamento dell'impugnata ordinanza, con rinvio al giudice dell'esecuzione - in diversa composizione, come prescrive la sentenza della Corte costituzionale n. 183 del 2013 - affinche' rivaluti l'istanza del ricorrente, in piena liberta' di giudizio, ma con motivazione immune da omissioni e profili di illogicita'. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosar - rel. Consigliere Dott. MARI Attilio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 06/04/2022 della CORTE APPELLO di PERUGIA; udita la relazione svolta dal Consigliere BRUNO MARIAROSARIA; lette le conclusioni del PG. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. (OMISSIS) ha proposto ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza della Corte di appello di Perugia, depositata in data 8/8/2022, di rigetto della richiesta di riparazione per la dedotta ingiusta detenzione sofferta in carcere e agli arresti domiciliari per un totale di giorni 365 (dal 9/4/2001 all'8/4/2002), nell'ambito di un procedimento pedale nel quale era chiamato a rispondere dei delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, sfruttamento della prostituzione, immigrazione clandestina, riduzione in schiavitu', violenza privata, traffico di stupefacenti e di altri gravi delitti Decreto Legislativo n. 286 del 1998, ex articolo 12. Con sentenza della Corte di assise di Roma dell'8/7/2019, irrevocabile il 23/11/2019, il ricorrente era assolto in via definitiva da tali reati. 2. La Corte d'appello ha rigettato la' richiesta di riparazione osservando: il ricorrente aveva posto in essere comportamenti gravemente colposi, suscettibili di ingenerare nell'autorita' procedente il convincimento di un agire illecito; nella udienza preliminare era stata emessa nei suoi confronti sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine ai delitti di estorsione e sequestro di persona, per i quali era pur stata emessa ordinanza di custodia cautelare in carcere; la custodia cautelare per i reati per i quali era intervenuta declaratoria di estinzione per prescrizione si era protratta per tutto il termine di fase di un anno, corrispondente a quello patito dal richiedente per i reati per i quali era intervenuta l'assoluzione ed e' stato richiesto l'indennizzo. 3. Avverso il provvedimento di rigetto ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, a mezzo del difensore, articolando i seguenti motivi di ricorso. Primo motivo: violazione dell'articolo 314 c.p.p., comma 1. La Corte di merito sarebbe incorsa in errore nella valutazione dei comportamenti ostativi evidenziati nel provvedimento. Nel corso della indagine nessuna delle ragazze del giro della prostituzione aveva mai fatto il nome del (OMISSIS) e la polizia giudiziaria non ha mai osservato il (OMISSIS) mentre svolgeva attivita' di controllo del locale notturno in cui si svolgeva parte dell'attivita' criminosa. Le circostanze rappresentate in interrogatorio dal richiedente non hanno trovato smentita nel corso delle indagini. Il (OMISSIS) ha spiegato di conoscere i (OMISSIS) perche' suoi conterranei e di avere intrattenuto con loro sporadici e assai limitati rapporti. Secondo motivo: violazione di legge in relazione all'articolo 314 c.p.p., comma 1". Gli unici elementi valorizzati nell'ordinanza impugnata (le dichiarazioni rese dal (OMISSIS), mai verificate e sfornite di credibilita' intrinseca ed estrinseca necessarie per garantire alla chiamata in correita' un valido ingresso nel procedimento; le dichiarazioni rese dai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), ugualmente non verificate; la conoscenza dell'imputato con i (OMISSIS), assolti con formula piena dalla stessa Corte d'Assise) non possono ritenersi idonei ai fini del rigetto della richiesta di riparazione. La Corte di appello, peraltro, non ha indicato in motivazione la incidenza di tali circostanze sul provvedimento restrittivo della liberta' personale dell'odierno ricorrente. Anche in relazione agli effetti della pronuncia di proscioglimento dai reati per i quali e' intervenuta prescrizione non appare in alcun modo condivisibile l'iter motivazionale del provvedimento censurato; anche in relazione a questo particolare aspetto risultano estensibili le considerazioni riguardanti il malgoverno dell'articolo 314 c.p.p.. 4. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. Il Ministero resistente, costituito a mezzo dell'Avvocatura di Stato, ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. In subordine, ha chiesto che venga rigettato il ricorso, con adozione di ogni conseguente statuizione in materia di spese, diritti ed onorari del giudizio. 5. Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarata inammissibile. Si osserva, con rilievo assorbente rispetto ad ogni altra deduzione difensiva proposta nel ricorso, come taluni dei reati posti a fondamento della misura cautelare siano stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione e che la durata della misura cautelare sofferta - pari ad un anno - era ben lontana dalla pena astrattamente irrogabile per detti reati; di conseguenza, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (S.U. 30/10/2008, n., 4187/09; Sez. 4, 19/2/2009, n. 15000; Sez. 4, 10/6/2010, n. 34661), mancando una pronuncia di assoluzione nel merito, la domanda non e' accoglibile. Tale soluzione tiene conto dell'intervento operato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 20/6/2008, n. 219, la quale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 314 c.p.p., nella parte in cui, nell'ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all'equa riparazione all'assoluzione o al proscioglimento nel merito dalle imputazioni, precludendolo per la custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta. Il giudice della riparazione ha accertato che la custodia in carcere patita, per la quale e' stata avanzata richiesta di riparazione, e' rimasta contenuta nel termine di fase previsto peri reati dichiarati prescritti (come per il reato di estorsione aggravata contestato al capo 9 ricompreso in quelli ritenuti prescritti dalla sentenza del G.i.p. di Pescara). Il provvedimento, rispettoso dei principi stabiliti in questa sede, non soffre dei vizi lamentati nel ricorso. Appare utile aggiungere che, in presenza di reati prescritti, qualora l'imputato avesse voluto perseguire l'interesse della riparazione per il periodo di restrizione cautelare sofferto ad altro titolo, avrebbe dovuto, rinunciando alla prescrizione, chiedere ed ottenere una sentenza che, assolvendolo nel merito, avrebbe conclamato l'ingiustizia della custodia cautelare. Tali profili non sono stati in alcun modo lambiti dalle doglianze difensive, essendosi la difesa limitata ad affermare che non appare condivisibile l'iter motivazionale della ordinanza impugnata. 6. Consegue alla declaratoria d'inammissibilita' del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', nonche' alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in complessivi Euro mille. Si dispone l'oscuramento dati. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in, favore della Cassa delle ammende, nonche' alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente che liquida in complessivi Euro mille. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CALVANESE Ersilia - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. DI NICOLA T. Paola - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza emessa il 15/4/2022 dalla Corte di cassazione; visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Consigliere Dr. Paolo Di Geronimo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Lori Perla, che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata, la Settima sezione di questa Corte aveva dichiarato l'inammissibilita' del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di Salerno in data 24/6/2021. Il ricorrente proponeva ricorso straordinario ex articolo 625-bis c.p.p.. deducendo di non aver ricevuto la notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale. 1.1. Con ordinanza n. 48863 del 10/11/2022, questa Corte accoglieva il ricorso straordinario e disponeva la nuova fissazione della trattazione del ricorso per cassazione inizialmente dichiarato inammissibile. 2. La Corte di appello di Salerno, con l'impugnata sentenza, prendeva atto della rinuncia dell'Avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), ai motivi di gravame tranne a quelli relativi alla pena, concedeva a (OMISSIS) le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti ed alla contestata recidiva e rideterminava la pena nei confronti dello stesso. 3. Nell'interesse di (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), formulando tre motivi. 3.1. Con il primo motivo, si deduce la violazione di legge processuale e sostanziale, evidenziando come la Corte di appello aveva omesso totalmente di pronunciarsi sul motivo di appello rassegnato dall'avvocato (OMISSIS), relativo all'assoluzione di (OMISSIS) dai reati contestati, ed in particolare dal reato di calunnia, sull'erroneo presupposto che difensore di (OMISSIS) fosse solamente l'avv. (OMISSIS), mentre invece vi era anche l'avv. (OMISSIS) che, come si evinceva dal verbale di udienza del 24 giugno 2020, si era riportato ai motivi di gravame, tra cui vi era anche quello relativo all'assoluzione dal reato di calunnia, chiedendone l'accoglimento. La Corte di appello si era limitata a dare atto della lettura di una dichiarazione confessoria, relativa anche al reato di calunnia, per cio' solo ritenendo di non dover puntualmente argomentare sui motivi di impugnazione non oggetto di rinuncia. Sottolineano i ricorrenti, inoltre, come la carenza di motivazione non poteva giustificarsi in virtu' della ritenuta ammissione di responsabilita' di (OMISSIS) per i delitti a lui ascritti, perche' tale ammissione aveva rilievo per i reati ad evento naturalistico (capi 1 e 2, tentata estorsione e lesioni; capo 5, detenzione illecita di arma; capo 6, lesioni), ma non per il reato di calunnia, reato di evento "giuridico", tanto piu' che la denuncia sporta da (OMISSIS) nei confronti dei fratelli (OMISSIS) aveva ad oggetto fatti veri. 3.2. Con il secondo motivo, i difensori osservano che la Corte di appello aveva omesso di pronunciarsi anche sulla richiesta di esclusione della recidiva, essendosi limitata a ritenere le attenuanti generiche equivalenti, senza motivare sul punto. 3.3. Con il terzo motivo, infine, si deduce il vizio di violazione di legge in ordine al mancato accoglimento della richiesta di continuazione tra i reati di tentata estorsione e lesioni (capi 1 e 2) e quello di calunnia, porto e detenzione di arma (capi 4 e 5), la Corte di appello aveva fatto ricorso a mere formule stereotipate, non dando contezza delle ragioni per cui non era stato ritenuto realmente sussistente il medesimo disegno criminoso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato nei limiti di seguito esposti. 2. Il primo motivo richiede di ripercorrere sinteticamente lo sviluppo processuale dei ricorsi in appello. Dal verbale di udienza del 24 giugno 2021, risulta che il solo avvocato (OMISSIS) aveva proposto la definizione con il concordato in appello, indicando una pena finale rispetto alla quale il Procuratore generale non aveva prestato il consenso, proponendo una pena piu' elevata, ma il difensore dell'imputato aveva a sua volta dichiarato di non aderire alla proposta. Quanto detto comporta che l'accordo funzionale alla definizione del giudizio ex articolo 599-bis c.p.p. non si e' formato. Tale aspetto e' stato correttamente tenuto presente dalla Corte di appello che, infatti, nella motivazione si limita a dar atto dell'intervenuta rinuncia ai motivi di appello, diversi da quelli relativi al trattamento sanzionatorio, formulata dall'avvocato (OMISSIS), nonostante non fosse intervenuto il concordato sulla pena. Ulteriore riprova e' desumibile dal dispositivo della sentenza impugnata, li' dove si differenzia la posizione dei coimputati che aveva definito il giudizio con il concordato ex articolo 599-bis c.p.p., rispetto a quella del (OMISSIS) per il quale la Corte di appello ha deciso in via ordinaria. Quanto detto consente di affermare che la doglianza formulata dal ricorrente in questa sede e' manifestamente infondata, dovendosi escludere che la Corte di appello sia incorsa in errore, ritenendo che la posizione del (OMISSIS) fosse stata definita sulla base della sola rinuncia ai motivi proposti dall'avvocato (OMISSIS), senza considerare l'ulteriore ricorso proposto dal co-difensore. 2.1. Rimane da esaminare, pertanto, esclusivamente il profilo concernente la dedotta mancanza di motivazione che sarebbe conseguita dalla ritenuta rinuncia ai motivi di appello. Anche sotto tale profilo, tuttavia, il ricorso non tiene conto che la sentenza impugnata, sia pur sinteticamente, richiamando la motivazione di primo grado e valorizzando le dichiarazioni confessorie rese dall'imputato, ha esaminato nel merito i motivi di gravame, ritenendoli infondati. 2.2. Ne' vale obiettare che l'ammissione di responsabilita' non potrebbe valere con riguardo alla calunnia, essendo questo un reato di "evento giuridico", rispetto alla quale il giudice avrebbe dovuto ugualmente verificare la sussistenza della falsita' del fatto denunciato. Invero, la Corte di appello ha, sia pur sinteticamente, dato atto che nella denuncia presentata dal (OMISSIS) a carico dei fratelli (OMISSIS), e' stata data una rappresentazione parziale ed orientata dei fatti, al fine di accusare i predetti di reati in realta' non commessi. In particolare, si specifica che l'aggressione e' stata perpetrata dal (OMISSIS) ai danni di uno dei fratelli (OMISSIS) e, solo successivamente5 questi si difendevano, anche in considerazione del fatto che il (OMISSIS) si era recato presso l'esercizio commerciale dei (OMISSIS) per compiere un'estorsione. Orbene, e' innegabile che la Corte di appello ha reso una motivazione sul punto, rispetto alla quale non e' stato neppure dedotto il vizio di illogicita' o contraddittorieta'. Peraltro, anche le dichiarazioni confessorie rese dal (OMISSIS) non possono essere ritenute ininfluenti per il semplice fatto che il reato di calunnia presuppone un giudizio sulla falsita' di quanto denunciato. Cio' non esclude, infatti, che il giudizio sulla natura calunniosa della denuncia si fonda pur sempre su un accertamento in punto di fatto, rispetto al quale le dichiarazioni confessorie sono pienamente utilizzabili. 3. Il secondo e terzo motivo, rispettivamente concernenti l'omessa motivazione in ordine alla richiesta di esclusione della recidiva reiterata ed il riconoscimento della continuazione, sono fondati. La Corte di appello, invero, non ha in alcun modo risposto alla doglianza relativa all'avvenuto riconoscimento della recidiva, sicche' sul punto occorrera' una nuova decisione che valuti compiutamente la sussistenza dei presupposti dell'aggravante. Analoga considerazione vale anche in relazione alla continuazione, rispetto alla quale la motivazione richiama formule stereotipate e inidonee a spiegare il percorso logico che ha condotto la Corte di appello a ritenere l'insussistenza del medesimo disegno criminoso. 4. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va accolto limitatamente alle questioni concernenti il trattamento sanzionatorio relativamente al riconoscimento della recidiva e della continuazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio, mentre va dichiarato inammissibile relativamente alle altre questioni dedotte. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibile il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CALVANESE Ersilia - Presidente Dott. GIORGI Maria Silvi - Consigliere Dott. ROSATI Martin - rel. Consigliere Dott. VIGNA M. Sabina - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 27/09/2022 del Tribunale di Catanzaro; letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Martino Rosati; lette le richieste del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Piccirillo Raffaele, che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza; lette le richieste del difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con atto del proprio difensore, (OMISSIS) impugna l'ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro del 27 settembre scorso, che ne ha confermato gli arresti domiciliari per il concorso nel tentativo di estorsione ai danni dei gestori di un ipermercato, aggravato anche a mente dell'articolo 416-bis.1, c.p., in entrambe le sue forme. Secondo quei giudici, il contributo prestato dal ricorrente sarebbe consistito nel procacciare i recapiti telefonici dei responsabili di quell'esercizio commerciale e nel comunicarli ad (OMISSIS) ed ai suoi collaboratori, autori delle specifiche minacce, cosi' rendendo possibile l'instaurazione dei contatti necessari a tal fine. 2. Il ricorso denuncia violazione di legge e vizi di motivazione sotto tre profili. 2.1. In primo luogo, in punto di gravita' indiziaria: l'ordinanza, infatti, non chiarisce in cosa si sarebbe concretizzato il contributo dell'indagato alla vicenda estorsiva, essendo egli rimasto estraneo sia alla fase ideativa che a quella esecutiva della stessa, ne' potendo ritenersi dimostrato che i contatti con le vittime siano stati resi possibili dalla sua intermediazione. 2.2. Non sarebbe adeguatamente motivata, inoltre, la ritenuta sussistenza dell'aggravante dell'articolo 416-bis.1, c.p.: ne' sotto il profilo del "metodo mafioso", perche' (OMISSIS) e' rimasto estraneo alle minacce verso le vittime; ne' con riferimento alla finalita' agevolativa della cosca, perche' - come emergerebbe dalle conversazioni intercettate - non gli erano note l'esistenza della stessa e le identita' dei presunti aderenti, i quali, anzi, avrebbero addirittura ignorato la sua offerta di collaborazione. 2.3. Con riferimento, infine, alle esigenze cautelari, il vizio della motivazione consisterebbe nell'aver il Tribunale trascurato lo iato di oltre due anni tra i fatti ed il provvedimento cautelare, la valenza in ogni caso marginale dell'ipotizzato contributo dell'indagato, il carattere circoscritto ed occasionale dei suoi rapporti con i correi, comunque non proseguiti dopo d'allora, la sua sostanziale incensuratezza, il degradato contesto socio-ambientale di riferimento. 3. Hanno depositato argomentate conclusioni scritte il Procuratore generale ed il difensore ricorrente, chiedendo entrambi di annullare l'impugnata ordinanza. 4. E' fondato il primo motivo di ricorso, in tema di gravita' indiziaria, con conseguente assorbimento dei restanti. Sul punto, la motivazione dell'ordinanza si rivela intrinsecamente contraddittoria. Dalle stesse conversazioni intercettate ed ivi trascritte, infatti, emerge senza dubbio l'interesse dell'indagato a prendere parte ad un programma di estorsioni ai danni di esercizi commerciali: inequivoco, in questo senso, il suo dialogo con tale (OMISSIS), in cui egli afferma "ce li andiamo a raccogliere tutti a questi qua (...) Un quadro l'hai fatto- Tu che zona vorresti fare-", e l'altro replica "le attivita' grosse" (pag. 24, ord.). Cosi' come risulta altamente probabile che egli si fosse altresi' procurato i contatti telefonici dei gestori dell'ipermercato oggetto della specifica vicenda estorsiva in discorso, o comunque ne avesse la disponibilita', come comunica allo stesso (OMISSIS) in quella medesima occasione. Dalle risultanze investigative riportate dal Tribunale, pero', non soltanto non risulta un suo diretto contatto con le vittime, ma neppure che gli autori delle minacce si siano poi effettivamente avvalsi dei contatti in suo possesso. Anzi, dalla successiva conversazione con la quale (OMISSIS) riferisce a tale (OMISSIS) del colloquio avuto con il ricorrente, anch'essa richiamata nell'ordinanza, risulterebbe piuttosto che lo stesso (OMISSIS) gia' disponesse di quei recapiti telefonici ("vedi che i numeri li tengo prima di te, gli ho detto... "ma c'e' bisogno che li... dovevi venire tu"), ma soprattutto che entrambi gli interlocutori non gradissero l'interessamento del (OMISSIS) alla vicenda e che, di cio', avessero pure informato il loro referente criminale, (OMISSIS) (pag. 25, ord.). Al cospetto di un siffatto quadro probatorio complessivo, risulta dunque sfornita di adeguato supporto logico la deduzione del Tribunale per cui (OMISSIS), con l'elevato grado di probabilita' che postula il giudizio di gravita' indiziaria, abbia offerto un contributo al tentativo di estorsione di che trattasi, anche soltanto di tipo morale e puramente agevolatore, ma comunque effettivo e non rimasto esclusivamente nelle sue intenzioni. Si rende indispensabile, di conseguenza, un supplemento di motivazione, che chiarisca tale aspetto essenziale, sulla base di una rivalutazione dei dati probatori richiamati nell'ordinanza o di altri eventualmente presenti in atti, riservata all'insindacabile giudizio del Tribunale. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAPOZZI Angelo - Presidente Dott. GALLUCCI Enrico - rel. Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del Tribunale di Catanzaro del 27/09/2022; visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Gallucci Enrico; sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Piccirillo Raffaele, che ha chiesto che il ricorso venga accolto in riferimento alla contestata aggravante della mafiosita', con conseguente annullamento con rinvio e deposita memoria scritta; sentiti i difensori dell'indagata, Avvocate (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del riesame di Catanzaro con ordinanza del 28 settembre 2022 (motivazione depositata il successivo 7 novembre) ha confermato l'ordinanza genetica emessa dal locale Gip con la quale a (OMISSIS) sono stati applicati gli arresti domiciliari in relazione alla contestazione di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132 (indebita erogazione di prestiti e finanziamenti), aggravato dall'articolo 416 bis.1 c.p., in quanto posto in essere avvalendosi del metodo mafioso e allo scopo di agevolare una cosca di âEuroËœndrangheta. 2. Avverso l'ordinanza del riesame l'indagata ha presentato, per il tramite dei propri difensori, due ricorsi - di analogo contenuto - nei quali si deduce in primo luogo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della gravita' indiziaria riferita alla fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 135 del 1993, articolo 132. Cio' in quanto tutti gli elementi posti a fondamento della conferma dell'ordinanza genetica sono generici e non dimostrativi della partecipazione della (OMISSIS) alla supposta attivita' finanziaria abusiva. 2.1. Al riguardo si evidenzia: a) la circostanza che somme di denaro individuate come rimborsi dei prestiti effettuati dal marito dell'indagata siano confluite su due Poste pay intestate alla predetta non e' indicativa di una sua attiva condotta concorsuale e, comunque, al piu' dimostrerebbero un intervento nella fase restitutoria e non anche in quella di erogazione dei prestiti; b) i dati riscontrati nell'agenda sequestrata nell'abitazione dell'indagata ove e' presente l'indicazione "(OMISSIS)", con una serie di date, nominativi e numeri, non rappresentano anche a voler ritenere che tale agenda sia in effetti della (OMISSIS) - elementi idonei a dimostrare la partecipazione all'illecita attivita' in quanto anche tali dati possono, al piu', concernere la fase della restituzione (successiva al momento consumativo del reato); c) neppure le due conversazioni intercettate (una tra il (OMISSIS), marito dell'indagata, e tale (OMISSIS); l'altra tra (OMISSIS) e la moglie) risultano indicative di una condotta concorsuale, in quanto, in ogni caso, non dimostrano in alcun modo la consapevolezza da parte dell'indagata in ordine all'illecita attivita' svolta dal marito. Sotto altro profilo, manca comunque l'aspetto della generalita' dell'offerta al pubblico delle erogazioni finanziarie indebite, presupposto per la configurabilita' del reato addebitato. 2.2. Con il secondo motivo i ricorsi censurano l'ordinanza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza di gravita' indiziaria relativamente alla circostanza aggravante della "mafiosita'". In disparte alla dubbia configurabilita' oggettiva di tale aggravante, non vi e' alcun concreto elemento dal quale poter dedurre che la (OMISSIS) fosse a conoscenza ne' dell'utilizzo del "metodo mafioso" nelle erogazioni dei prestiti ne' della circostanza che tale illecita attivita' fosse finalizzata a favorire la cosca âEuroËœndranghetista. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato. 2. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Gli stessi elementi indiziari indicati - e svalutati - nei ricorsi appaiono del tutto idonei a sorreggere l'addebito cautelare. L'ordinanza impugnata motiva in modo non illogico in ordine alle condotte poste in essere dalla (OMISSIS) che collabora attivamente con il marito nell'attivita' creditizia abusiva (i rimborsi confluiscono sulle sue carte Poste pay; in una occasione getta dalla finestra al (OMISSIS) una somma di denaro oggetto di un prestito), tiene la "contabilita'" dei prestiti illeciti; viene indicata da un debitore come la persona che puo' "intercedere" in suo favore con il marito. 2.1. Rilevanti - in merito alla sussistenza indiziaria a carico dell'indagata appaiono altresi' le due comunicazioni intercettate alle quali fa riferimento il Tribunale del riesame. Nella prima un debitore auspica un intervento della (OMISSIS) sul marito affinche' venga ritenuto giustificato il ritardo nel pagamento delle rate di restituzione del prestito ("Ho detto che caso mai mi attutisce il colpo, ho detto speriamo che viene pure la signora (OMISSIS) che almeno..."). Nella seconda occasione (OMISSIS) dice alla moglie "Vedi dentro al giubbino... prendimi duecento.. mettili ad una molletta e buttameli... E poi ricordami questa sera che li devo segnare a (OMISSIS)", al che la (OMISSIS) risponde "va bene". Conversazioni ritenute, in modo non illogico, dal Tribunale tali da rafforzare gli elementi indiziari dimostrativi della piena entraneita' dell'indagata nell'illecita attivita' di erogazione dei crediti condotta dal marito. 3. Per quanto riguarda le questioni giuridiche sollevate nei ricorsi in ordine alla configurabilita' della fattispecie provvisoriamente addebitata alla (OMISSIS), rileva il Collegio che "commette il reato di esercizio abusivo di attivita' finanziaria, a norma del Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 132, chi pone in essere le condotte previste dall'articolo 106 Decreto Legislativo cit. inserendosi nel libero mercato e sottraendosi ai controlli di legge, purche' l'attivita', anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di soggetti, sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di persone" (Sez. 5, n. 25815 del 27/01/2020, Infusini, Rv. 279464), circostanza nella specie sussistente a livello indiziario. Inoltre, la condotta concorsuale della (OMISSIS), lungi da costituire - come dedotto nei ricorsi - un post factum si colloca pienamente nella fase costitutiva del reato di esercizio abusivo di attivita' finanziaria di cui al Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 132, che "ha natura eventualmente abituale, potendosi risolvere tanto in un'unica condotta idonea a configurarlo, quanto nella reiterazione di piu' condotte omogenee che danno vita ad uno stesso reato, sicche', in quest'ultimo caso, coincidendo il momento della consumazione delittuosa con la cessazione dell'abitualita', il termine di prescrizione decorre dal compimento dell'ultimo atto antigiuridico" (cosi', Sez. 2, n. 4651 del 12/11/2020 - dep. 2021, Calabretto, Rv. 280561). A tale riguardo sia il rinvenimento dell'agenda, ricondotta - in modo certamente non implausibile - alla (OMISSIS), sia il contenuto delle conversazioni intercettate sono stati, non illogicamente, ritenuti indicativi del coinvolgimento dell'indagata anche nella fase dell'erogazione dei crediti. 4. Fondato e', invece, il motivo con il quale la ricorrente censura l'ordinanza impugnata in riferimento all'addebito della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. Invero, all'indagata non e' contestata la partecipazione alla cosca di âEuroËœndrangheta. Dall'ordinanza non emerge con certezza che l'indebita erogazione dei prestiti avvenisse con "metodo mafioso". A pag. 14 si fa generico riferimento alla "carica intimidatoria proveniente dal (OMISSIS) tale da porre in essere una coartazione psicologica avente i caratteri propri dell'organizzazione criminale, vieppiu' considerando il ruolo verticistico assunto dal (OMISSIS) in seno all'omonima articolazione di âEuroËœndrangheta". Si tratta di argomentazione, peraltro non specificamente riferita all'addebito a carico della (OMISSIS), che concerne l'indebita erogazione di prestiti, e non anche fattispecie di reato evidentemente espressive di intimidazione mafiosa, come, ad esempio, usura ed estorsione. 4.1. Quanto al profilo dell'agevolazione (che secondo l'ordinanza impugnata - sempre a pag. 14 - consisterebbe nel versamento di parte degli introiti di detta attivita' nella "bacinella comune" finalizzata far fronte alle necessita' economiche del sodalizio), le Sezioni unite hanno precisato che "la circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalita' agevolatrice perseguita dal compartecipe" (sent. n. 8545 del 19/12/2019 - dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734). Anche sotto tale aspetto, la motivazione del Tribunale del riesame non risulta idonea a dimostrare la sussistenza in capo all'indagata di tale consapevolezza. 5. Pertanto, l'ordinanza impugnata va annullata in riferimento alla contestazione della circostanza aggravante ex articolo 416-bis.1 c.p. con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale del riesame di Catanzaro. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7.

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