Sentenze recenti fauna selvatica

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7033 del 2023, proposto da Ii. Ca. in proprio e quale legale Rappresentante della ditta Individuale Ja. Vi. di Ii. Ca., rappresentate e difese dagli avvocati St. Zu., e Vi. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vi. Ce. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Sm. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via (...); Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura - Soprintendenza per Belle Arti e Paesaggio della Calabria, Agenzia del Demanio, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Meridionale, Ente Parco Nazionale dell'Aspromonte, Città Metropolitana di Reggio Calabria, Regione Calabria - Servizio Tecnico Regionale Vigilanza e Controllo Oo.Pp. Norme Sismiche, Sc. Fr., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 41/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Regione Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per la parte appellante l'Avv. Vi. Ce.; Viste le conclusioni delle parti appellate come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto avverso la determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) in data 19 maggio 2021, avente ad oggetto l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione di area demaniale marittima. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in fatto 1. Con determina del 27 gennaio 2020 il Comune di (omissis) approvata il bando di gara per la concessione dei lotti individuati nel Piano Comunale di Spiaggia approvato con determina dirigenziale n. 62 del 9 aprile 2019 della città Metropolitana di Reggio Calabria. La ricorrente partecipava alla procedura presentando la propria offerta per il lotto C1 (area attrezzata per la sostanza di camper e/o roulotte). Il progetto presentato prevedeva la realizzazione di un'area da adibire ad attività di pubblico interesse, ovvero: Area giochi per bambini, con l'installazione di giochi gonfiabili e giochi smontabili; Area piscina, con ombrelloni, realizzata in vetroresina già prefabbricata, facilmente amovibile; Punto attività collettive, mediante l'installazione di un chiosco/gazebo; Area barbecue, mediante l'installazione di un barbecue; Aree di parcheggio camper, con pavimentazione di tipo permeabile, ombreggiata, con pergolato in legno amovibile di dimensioni pari a circa m 6,00 x,8,00; Punto di bar/ritrovo, con il posizionamento di sedie e tavolini; Punto lavanderia; Punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzatura sanitaria; Servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. All'esito della valutazione delle proposte progettuali secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa la ditta risultava aggiudicataria. Con determinazione n. 28 del 17 aprile 2020 il responsabile dell'Area Tecnica e Territorio - Servizio II, approvava i verbali di gara nonché l'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dando atto che la procedura di rilascio delle concessioni demaniali si sarebbe perfezionata solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D. Lgs. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative col rilascio dei necessari titoli abilitativi. Così come previsto dall'art. 14 del bando di gara la ricorrente presentava apposita richiesta presso lo Sportello Unico Attività Produttive del Comune di (omissis) preordinata al rilascio delle necessarie autorizzazioni. Con nota prot. 14914 del 23 dicembre 2020 il Comune indiceva apposita conferenza di servizi ex art. 14 e ss. della legge n. 241/90 per l'acquisizione dei pareri, intese, nulla osta o altri atti d'assenso assegnando alle amministrazioni coinvolte i relativi termini per richiedere integrazioni (7 gennaio 2021), esprimere pareri, assensi o nulla osta (22 febbraio 2021), nonché per l'eventuale riunione di conferenza in modalità sincrona (5 marzo 2021). Con successiva nota prot. n. 1929 dell'11 febbraio 2021, resosi necessario reiterare l'invio della documentazione necessaria, veniva disposta la riapertura dei termini per la produzione dei pareri. Con nota prot. n. 4511 del 31 marzo 2021 veniva comunicato alla ricorrente l'avvio del procedimento di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione avendo il Comune preso atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi. Come rilevato, invero, dalla Regione Calabria, con nota del Dipartimento Tutela dell'Ambiente del 17 marzo 2021, l'art. 11 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte delle Norme Tecniche del Piano Comunale di Spiaggia stabilisce al punto 10 che: "11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia" - "i manufatti previsti nel progetto superano la superficie assentibile prevista dall'art. 11 punto 10 delle NTA del PCS che prevede esclusivamente la possibilità di realizzare un manufatto di dimensioni massime pari a mq. 30 come sopra specificato - L'art. 11 delle NTA non prevede la possibilità di realizzare manufatti da destinare a lavanderia, alloggio per il custode, bar e piscina. Il Comune prendeva, pertanto, atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi, in ragione della quale non possono essere inserite le strutture previste, che superano le dimensioni massime consentite in termini di superfici e possiedono destinazioni di utilizzo non contemplate nella norma del piano attuativo vigente, comunicando l'avvio del procedimento finalizzato all'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione del lotto C1 alla ditta Ii. Ca., alla quale veniva assegnato un termine di quindici giorni per presentare eventuali osservazioni. Entro i termini assegnati la ditta presentava le proprie osservazioni rilevando che il richiamato articolo 11 delle NTA prevede nei punti 7 e 4 la possibilità di realizzare manufatti da adibire a servizi in aggiunta alla possibilità di realizzare il manufatto di cui al successivo punto 10 con dimensioni massime di 30 mq. Rilevava, peraltro che, anche nell'ottica di una interpretazione più rigorosa dell'art. 11 delle NTA, l'annullamento in autotutela non si giustificherebbe dovendo, invece, attivarsi il soccorso istruttorio consentendo alla ditta di apportare le dovute modifiche al progetto. L'avvio del procedimento di annullamento si fonderebbe, inoltre, su un parere della Regione che nessuna competenza ha in materia. Tuttavia, con determinazione dell'Area Tecnica e Territorio, n. 30 del 19 maggio 2021, il Comune, viste le osservazioni presentate in data 12 aprile 2021, disponeva l'annullamento dell'aggiudicazione del lotto C1 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte (Art. 11 N.T.A.) di cui al Bando per il rilascio di concessione di aree demaniali marittime per finalità turistico-ricreative del 27.01.2020 e contestuale archiviazione della pratica SUAP n. 63 del 30/04/2020 presentata dalla ditta Ii. Ca., avente ad oggetto "richiesta concessione demaniale marittima annuale per attrezzature e sosta camper e/o roulotte - lotto C1" attesa l'illegittimità dell'aggiudicazione in violazione delle norme del piano comunale di spiaggia. La motivazione del sopra richiamato provvedimento di annullamento faceva tra l'altro riferimento alle seguenti circostanze: - la superficie complessivamente occupata dalle strutture (pur non indicata nelle osservazioni) è pari a mq 172,00 a fronte dei 30 previsti dall'art. 11 delle NTA, in evidente contrasto con tale disposizione che, invero, è chiara nel prevedere che tali sono le dimensioni massime delle strutture, comprensive di postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici. - l'avvio del procedimento non si fonda sul parere della Regione bensì sulla consapevolezza dell'illegittimità che viziava l'aggiudicazione; - non è poi invocabile il soccorso istruttorio non potendosi consentire alla ditta di apportare correzioni al progetto, trattandosi di progetto definitivo e, come tale, non suscettibile di rilevanti stravolgimenti in fase esecutiva. 3. Parte appellante lamenta: - erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respinge il ricorso sul presupposto che il parere della Regione non fosse tardivo e considerato atto proprio de Comune nel provvedimento di annullamento della concessione; - error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione, per cui il progetto presentato dalla Ditta contrasterebbe le norme tecniche del piano spiaggia; - errore sui presupposti; - violazione e/o falsa applicazione dell'artt. 1362 e ss. cod. civ in materia di interpretazione delle norme tecniche di attuazione del Piano spiaggia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6-bis del T.U. edilizia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Secondo parte appellante: - la Regione Calabria aveva reso un parere che aveva operato una sorta di "interpretazione autentica", non consentita, dell'art. 11 delle N.T.A del PSC; - il provvedimento del Comune sarebbe astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. I rilievi formulati dall'Amministrazione regionale sarebbero in parte affetti da un vizio di incompetenza, in ordine alla destinazione funzionale degli spazi, in parte da una lettura in malam partem ed estensiva delle N.T.A. L'art. 11 della norma tecnica applicata visto nel suo articolato consentirebbe al suo punto 7 e 4 la realizzazione di manufatti da adibire a servizi (non identificati con un numero chiuso) con caratteristiche costruttive tali da non nuocere al decoro dell'ambiente che non turbino l'estetica e non ostruiscano la visuale al mare, utilizzando materiali costruttivi aventi caratteristiche di precarietà e facile rimozione; Il suo successivo punto 10, secondo una interpretazione teologicamente orientata, coerente sia con l'oggetto sia con la vocazione turistica del territorio, oltre a contemplare i manufatti necessari per svolgere i servizi collegati alla concessione, prevederebbe la facoltà di realizzare un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove poter collocare la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap. I restanti manufatti sarebbero da intendersi come servizi primari per l'intero progetto, le norme nta non citerebbero in nessun punto altri manufatti. Per quanto concerne la piscina, la stessa sarebbe da ritenersi parte integrante delle aree di svago, essendo tra le altre cose una struttura di facile rimozione. Parte appellante fa altresì riferimento all'art. 6 - bis del T.U. edilizia considerata, per la modestia ed irrilevanza urbanistica ed edilizia degli interventi di cui si tratta. Parte appellante ritiene che le determinazioni adottate dal Comune di (omissis) sarebbero affette da un palese difetto di motivazione in quanto nelle stesse non viene specificato, nel disporre l'annullamento in autotutela, quali siano i giudizi valutativi espressi dall'Amministrazione in ordine all'impossibilità di procedere alla stipula del contratto di concessione di cui si tratta pur a fronte della pluralità dei pareri favorevoli espressi dagli enti effettivamente preposti alla tutela dei singoli vincoli individuati sull'area. 4. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui respinge il motivo relativo all'azione di annullamento in asserita autotutela del provvedimento di aggiudicazione del lotto C1. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per violazione dell'art. 14 del bando. Violazione dei principi dell'imparzialità e del buon andamento. Abuso del diritto. Error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione. Errore sui presupposti. Difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione o falsa applicazione dell'art. 14 e 14 bis della l.n. 241/1990. Il provvedimento del Comune, sarebbe in realtà astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Parte appellante fa riferimento ai pareri favorevoli espressi dalle amministrazioni interessate. La Regione Calabria, con decreto dirigenziale n. 4929 del 12 maggio 2021, relativamente alla procedura di incidenza ai sensi della DGR 749/2009 e s.m.i. - direttiva habitat 92 43 CEE Direttiva Uccelli 79 409 CEE DPR 357 97 - ha espresso parere favorevole di valutazione di incidenza con prescrizioni. Parte appellante fa poi riferimento al parere favorevole espresso dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria con nota prot. 3558 del 18 gennaio 2021 in ordine al vincolo paesaggistico insistente sull'area interessata dall'intervento. Parte appellante richiama il parere favorevole dell'Ufficio delle Dogane di Reggio Calabria, secondo cui "dall'esame degli elaborati forniti risulta la presenza di una strada pubblica tra il demanio marittimo e l'opera oggetto di richiesta di autorizzazione. Tale circostanza consente di poter annoverare l'opera di che trattasi al di fuori della zona di vigilanza doganale e perciò non soggetta al rilascio dell'autorizzazione ex art. 19 D.lgs. 374/90". Parte appellante richiama altresì il parere favorevole dell'ASL di Reggio Calabria con riferimento all'idoneità igienico-sanitaria del progetto. Secondo parte appellante la sentenza impugnata non affronterebbe il rapporto tra i suddetti pareri e le risultanze della conferenza di servizi. Anche in presenza di pareri negativi l'Amministrazione procedente potrebbe, sulla scorta di una valutazione discrezionale delle posizioni prevalenti, addivenire ad una determinazione conclusiva dell'iter autorizzativo di segno positivo, rimanendo la stessa libera di recepire o meno quanto espresso dalle Amministrazioni in sede di conferenza di servizi. In questo senso, pertanto, il parere negativo espresso dalla Regione non avrebbe potuto impedire l'adozione del provvedimento di autorizzazione, laddove la stessa amministrazione procedente abbia compiuto in sede urbanistica e preliminare del bando una valutazione discrezionale favorevole all'approvazione del progetto. L'amministrazione procedente, al fine di negare la richiesta autorizzazione non potrebbe limitarsi a richiamare acriticamente il contenuto del parere negativo espresso dalla Regione, dovendo invece comporre gli interessi in concorso e adottare un provvedimento finale che sia esito di una autonoma valutazione. Secondo parte appellante assume carattere assorbente la violazione del termine perentorio del 22.02.2021 indicato dall'A.C. per l'acquisizione dei pareri degli enti interessati. Il parere sfavorevole della Regione è giunto solo il 5 marzo del 2021 e quindi avrebbe dovuto essere ritenuto inutiliter dato o quantomeno valutato nel complesso dei pareri di opposto segno resi dagli enti interessati. Fa riferimento al difetto di istruttoria assieme a quello di motivazione atteso che nel provvedimento conclusivo del procedimento si afferma che l'area totale occupata è pari a 170,00 mq a fronte dei 30 mq massimi previsti dall'art. 11 delle N.T.A. Invero nel computo delle opere di cui all'art. 11 delle N.T.A. non potrebbero essere ricomprese, anche alla luce dei chiari pareri degli enti interessati (che anzi hanno condizionato l'espressione di un giudizio favorevole all'adeguata capacità ricettiva in sicurezza dell'area attrezzata), le strutture serventi, secondo un nesso di collegamento e di proporzionalità, il bene concesso tanto più che si tratta di opere relative all'igiene dei luoghi; alla sicurezza; al ristoro delle persone. Opere di tale ininfluente impatto da non rilevare e incidere su alcuno degli interessi oggetto di tutela nell'area interessata. 5. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha valutato il motivo inerente l'azione di risarcimento del danno derivante da annullamento (rectius revoca) dell'aggiudicazione conseguente all'impugnazione delle determinazioni amministrative di caducazione dell'aggiudicazione e di indizione di una nuova gara. Azione risarcitoria ex art. 30, co. III, del c.p.a. Violazione del principio di proporzionalità . Sproporzione. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Parte appellante chiede la restituzione (a titolo risarcitorio) delle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla procedura di gara e per la finalizzazione delle attività susseguenti l'aggiudicazione. In subordine chiede il risarcimento per via equitativa in misura non inferiore al 10% del valore della concessione perduta. 6. L'appello è infondato. Il provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione non è stato adottato, come ritiene parte appellante, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ma a causa della riscontrata illegittimità del provvedimento di aggiudicazione, ritenuto in contrasto con le vigenti NTA del piano comunale di spiaggia. Tale provvedimento è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e le osservazioni presentate da parte appellante sono state oggetto di specifico esame. Non sussiste il lamentato difetto di motivazione. Il provvedimento di annullamento, così come la precedente nota di comunicazione di avvio del procedimento, individua nella non conformità del progetto presentato dalla ricorrente con il punto 10 dell'art. 11 delle NTA del Piano Comunale di Spiaggia le ragioni di illegittimità dell'aggiudicazione. Il progetto, invero, in quanto non compatibile con le suddette norme tecniche non avrebbe potuto essere oggetto di valutazione né, conseguentemente, di aggiudicazione, anche considerando la necessaria tutela della par condicio tra i concorrenti. Con il provvedimento reso in autotutela il Comune ha specificamente motivato riguardo la sussistenza di un interesse pubblico rispetto al mero ripristino della legalità . Infatti trattasi dell'interesse alla tutela del territorio e dell'interesse della parità di trattamento dei concorrenti a che sia preso in considerazione un progetto conforme alla normativa vigente. Risulta adeguatamente comparato il sacrificio di parte appellante, considerando che l'intervento non è stato oggetto di rilascio dei permessi abilitativi e dunque non è stato realizzato. Parimenti la tutela della parità dei concorrenti non avrebbe consentito al Comune di richiedere a parte appellante la presentazione di un nuovo progetto, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte. Correttamente il Tar ha ritenuto infondata la censura secondo cui il provvedimento sarebbe stato adottato sulla base di un parere sfavorevole della Regione attinente ad aspetti (la compatibilità del progetto con le NTA) che non rientrano tra le competenze dell'amministrazione regionale. L'amministrazione comunale, infatti, non si è limitata a richiamare il parere del Settore 3 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria, ma ha dato atto nel provvedimento impugnato del contrasto del progetto presentato dalla ricorrente in sede di partecipazione alla procedura indetta per il rilascio di concessione di area/e demaniali marittime per finalità turistico-ricreative con l'art. 11, punto 10, delle Norme Tecniche del piano comunale di spiaggia. L'annullamento in autotutela è dunque espressione di autonoma valutazione dell'Amministrazione comunale. Correttamente il Tar ha ritenuto non rilevante la circostanza che le altre amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi abbiano espresso parere favorevole al rilascio della concessione riguardando i suddetti pareri aspetti del tutto diversi ed ulteriori rispetto a quelli afferenti alla incompatibilità del progetto con le norme tecniche di attuazione che ha portato all'annullamento. Ed infatti: - il parere della Città Metropolitana prot. n. 3558 del 18 gennaio 2021, concerne esclusivamente la compatibilità paesaggistica dell'intervento e non costituisce presunzione di legittimità del progetto sotto ogni altro profilo; - il parere dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria prot. n. 86 del 27 gennaio 2021 riguarda esclusivamente l'idoneità igienico sanitaria delle strutture da realizzare; - il decreto n. 4929 del 12 maggio 2021 del Settore 4 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria riguarda la Valutazione di Incidenza ai sensi del DPR 357/97 e DGR 749/2009 che tiene conto degli impatti potenziali sulla flora, sulla fauna ed avifauna selvatica e più in generale sul complessivo sistema ambientale del sito sensibile. È parimenti infondata la censura di parte appellante, secondo cui l'amministrazione comunale avrebbe erroneamente ritenuto superato il limite di mq 30 previsto dall'articolo 11 delle NTA non potendo ritenersi ricomprese in tale prescrizione le strutture serventi. Il punto 11.10 delle NTA del piano comunale di spiaggia consente, infatti, la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, che ricomprenda la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. Nel caso in esame il progetto presentato dall'appellante prevedeva, invece, la realizzazione di più manufatti con estensione complessiva ben superiore ai 30 metri quadrati previsti dalla disposizione richiamata (punto di bar/ritrovo di superficie pari a mq. 37,80; punto lavanderia di mq 44,00; punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzature sanitarie di complessivi mq 62; servizi igienici di mq 28,20). Essendo superato il limite di 30 metri quadrati previsto dalle n. t.a., è priva di fondamento la tesi di parte appellante, secondo cui si tratterebbe di interventi minori soggetti ad edificazione libera. Si tratta di intervento non consentito dalle n. t.a. e dunque il Comune non avrebbe in ogni caso potuto determinarsi diversamente. Sebbene - ciò va riconosciuto - di non piana lettura, la norma di riferimento ("11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia."), non si presta (cfr l'inciso "dove") alla lettura dell'appellante, secondo cui i 30 mq sarebbero implementabili con gli altri manufatti ivi citati, sino ad una possibile cubatura complessiva di mq 170. Correttamente il Tar ha osservato che nessun legittimo affidamento può dirsi ingenerato dall'aggiudicazione poi annullata atteso che il bando di gara subordinava espressamente il rilascio della concessione demaniale marittima all'acquisizione dei necessari pareri, autorizzazioni e nulla osta (art. 14) e che, coerentemente con tale previsione, la determina n. 28 del 17 aprile 2020, di approvazione dei verbali di gara e dell'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dava atto che la procedura di rilascio di concessioni demaniali... si perfezionerà solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative con rilascio dei necessari titoli abilitativi. Proprio per effetto dell'impugnato provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione (impugnato in primo grado) i titoli abilitativi non potevano essere rilasciati. Ne consegue l'infondatezza della censura di tardività proposta dall'appellante, anche considerando che sono stati rispettati i termini per l'esercizio dell'autotutela previsti dall'art. 21 - nonies della legge n° 241 del 1990. La responsabilità per avere presentato un progetto difforme dalla normativa vigente grava sul soggetto che ha partecipato alla procedura e dunque su parte appellante. Pertanto non può essere accolta la domanda di risarcitoria in relazione alla lesione dell'affidamento. Né può essere accolta la domanda risarcitoria connessa all'azione impugnatoria, essendo quest'ultima infondata per quanto sopra precisato. Essendo sufficiente il quadro probatorio ai fini della decisione, non può essere accolta l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio proposta dall'appellante L'appello deve pertanto essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis) e di Euro 2.000/00 (duemila/00) a favore della Regione Calabria. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • 1 REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Oggetto Responsabilità civile per danno da animale selvatico GIACOMO TRAVAGLINO Presidente ENRICO SCODITTI Consigliere - Rel. CHIARA GRAZIOSI Consigliere ENZO VINCENTI Consigliere Cron. R.G.N. 4745/2020 PAOLO PORRECAConsigliere Ud.22/4/2024 PU Cron. R.G.N24493/2021 Ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 24493/2021 R.G. proposto da: ATC AMBITO TERRITORIALE DI CACCIA RAVENNA 3, elettivamente domiciliato in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II 308, presso lo studio dell’avvocato RUFFOLO UGO (RFFGUO42D02I872U) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato LOCCISANO VALTER (LCCVTR76B01I725W) -ricorrente- contro PAGLIAI ARMANDO E GIORGIO SS SOC. AGRICOLA AZIENDA AGRICOLA PAGLIAI, elettivamente domiciliato in Roma via delle Milizie 2 22, presso lo studio dell’avvocato ARONICA WALTER (RNCWTR80P23H501A) rappresentato e difeso dall'avvocato DOLCINI SILVIA (DLCSLV59H58D458J) -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO BOLOGNA n. 1136/2021 depositata il 11/05/2021. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22/04/2024 dal Consigliere ENRICO SCODITTI; sentite le parti ed il Pubblico Ministero GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA. Fatti di causa 1. Con atto di citazione notificato in data 11 luglio 2012 l’Azienda Agricola Pagliai Armando e Giorgio s.s. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Ravenna l'Ambito Territoriale di Caccia Ravenna 3 chiedendo il risarcimento del danno causato dall’azione di cinghiali e caprioli sui propri fondi coltivati siti nel Comune di Brisighella. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda. 2. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando il convenuto al risarcimento del danno nella misura di Euro 20.965,00, oltre accessori. 3. Avverso detta sentenza propose appello l’Ambito Territoriale. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello. 4. Con sentenza di data 11 maggio 2021 la Corte d’appello di Bologna rigettò l’appello. Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che, diversamente da quanto affermato da Cass. n. 2374 del 2016 in relazione ad un fatto accaduto nel 1997, in relazione al fatto in questione, verificatosi nel 2011, doveva aversi riguardo, ai fini del riconoscimento della sussistenza della legittimazione passiva del convenuto, alle modifiche intervenute prima con la legge regionale n. 3 6 del 2000, e poi con la legge regionale n. 16 del 2007, alla legge regionale n. 8 del 1994. In particolare, osservò quanto segue. «L’art. 17 della L.R. 8/1994 prevedeva nella formulazione originaria che gli oneri per il contributo al risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole e alle opere approntate su terreni coltivati ed a pascolo dalle specie di fauna selvatica sono a carico delle Provincie, qualora siano provocati nelle zone di protezione, anche se in gestione convenzionata ovvero, per quanto di rilievo in questa sede, degli ambiti territoriali di caccia qualora si siano verificati nei fondi ivi compresi. Con la L.R. 6/2000 si è disposto che la legittimazione è degli ambiti territoriali di caccia, qualora gli eventi lesivi si siano verificati nei fondi ivi ricompresi, oppure delle Province, qualora siano provocati nelle zone di protezione di cui all'art. 19 e nei parchi e nelle riserve naturali regionali, comprese quelle aree contigue ai parchi dove non è consentito l'esercizio venatorio. Con L.R. 16/2007 si è provveduto a modificare ulteriormente la disciplina di cui trattasi confermando la legittimazione degli ambiti territoriale di caccia per le specie di cui si consente il prelievo venatorio, qualora gli eventi lesivi si siano verificati nei fondi ivi ricompresi». 5. Ha proposto ricorso per cassazione l'Ambito Territoriale di Caccia Ravenna 3 sulla base di un motivo. Resiste con controricorso la parte intimata. Il Pubblico Ministero ha presentato le conclusioni scritte, concludendo per l’accoglimento del ricorso. E’ stata depositata memoria di parte. Ragioni della decisione 1. Con il motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 26 legge n. 157 del 1992, 16, 17 e 18 legge regionale n. 8 del 1994, 111 Cost., 132 n. 4 e 118 att. cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha ravvisato la sussistenza della legittimazione passiva in capo al ricorrente nonostante le modifiche richiamate alla 4 legge regionale non modificassero, per la parte rilevante, la legge regionale n. 8 del 1994, così come interpretata da Cass. n. 2375 del 2016, la quale aveva individuato nella Provincia il soggetto passivamente legittimato, posto che la lieve modifica intervenuta aveva toccato solo l’art. 17, il quale prevede, come affermato da Cass. n. 2375 del 2016, la ripartizione interna fra la Provincia e gli altri soggetti (fra cui l’Ambito Territoriale) degli oneri relativi ai contributi per il fondo regionale, previsto dall’art. 26 legge n. 157 del 1992 per i danni arrecati alle produzioni agricole dalle specie di fauna selvatica cacciabile. Aggiunge che la motivazione, alla luce di quanto osservato, risulta anche apparente. 1.1 Deve premettersi all’esame del motivo che il ricorrente ha depositato copia della sentenza impugnata, con asseverazione di autenticità, priva però dell’indicazione della data di pubblicazione (c.d. glifo). La questione, per come ha già trovato modo di declinarsi nella giurisprudenza di questa Corte, è riassumibile nei seguenti termini: se il deposito di sentenza digitale priva della stampigliatura (quest’ultima indicata, in taluni precedenti, atecnicamente come “glifo”), apposta in via automatica dal sistema informatico di gestione dei servizi di cancelleria, indicante la data di deposito ed il numero del provvedimento, valga o meno a soddisfare l’onere di deposito del provvedimento impugnato previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., ovvero, in assenza dei predetti dati, debba addivenirsi, altrimenti, ad una pronuncia di inammissibilità del ricorso per tardività, ove non si ritenga superata la c.d. prova di resistenza. 1.2. – Occorre, anzitutto, dare evidenza, in estrema sintesi, alle soluzioni (con gli argomenti che le sorreggono) sinora adottate dalla giurisprudenza di questa Corte, alla luce di una ricognizione di cui si fa carico, in modo ampio, la memoria del pubblico ministero e alla quale, dunque, giova richiamarsi. 5 1.2.1. – L’improcedibilità del ricorso per cassazione è stata dichiarata (tra le altre: Cass. n. 29803/2020, Cass. n. 5771/2023, Cass. n. 8535/2023, Cass. n. 10180/2023, Cass. n. 23694/2023, Cass. n. 25472/2023, Cass. n. 28035/2023, Cass. n. 36379/2023) nel caso in cui la sentenza impugnata, redatta in formato digitale, risulti priva dell’attestazione di cancelleria circa l’avvenuta pubblicazione, la relativa data e il conseguente numero di pubblicazione, sia perché i suddetti adempimenti sono gli unici che permettono alla Corte di controllare se e quando il provvedimento impugnato sia effettivamente venuto ad esistenza, sia perché la produzione di una copia della sentenza incerta nella data e priva del numero identificativo non consente di verificare la tempestività dell’impugnazione, né, in caso di accoglimento del ricorso, di formulare un corretto dispositivo che, coordinato con la motivazione, individui con esattezza il provvedimento cassato. In particolare, gli argomenti a sostegno dell’improcedibilità (Cass. n. 5771/2023) muovono dal rilievo che «la disposizione dell’art. 16- bis, comma 9-bis, del d.l. n. 179/2012 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 221/2012) - introdotta dall’art. 52, comma 1, lett. a), del d.l. n. 90/2014 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 114/2014) - che stabilisce la equivalenza all’originale delle copie informatiche, anche per immagine, dei provvedimenti del Giudice “anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale”» attribuisce «al difensore il potere di certificazione pubblica delle “copie analogiche ed anche informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico” ma non anche la competenza amministrativa riservata al funzionario di Cancelleria relativa alla “pubblicazione” della sentenza». Si è, quindi, ritenuto che, “per quanto in linea generale sia possibile produrre in giudizio copie o duplicati del provvedimento impugnato estratti dal fascicolo telematico, attestando la conformità del relativo contenuto all’originale 6 contenuto nel predetto fascicolo, ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 369 c.p.c. deve comunque trattarsi di copie o duplicati recanti l’attestazione di Cancelleria della pubblicazione del provvedimento, con la relativa data e il numero attribuito dal sistema”, altrimenti resterebbe preclusa alla Corte la verifica circa l’effettiva venuta ad esistenza del provvedimento impugnato e del suo numero identificativo. 1.2.2. – L’inammissibilità del ricorso è stata dichiarata (tra le altre: Cass. n. 18510/2023, Cass. n. 29263/2023, Cass. n. 36189/2023, Cass. n. 817/2024, Cass. n. 841/2024) nel caso in cui il ricorrente depositi un duplicato della sentenza telematica dal quale non si evince la data di pubblicazione e la notificazione del ricorso è avvenuta in una data che non risulta tempestiva - se calcolata in relazione al giorno della decisione indicato nel testo del provvedimento - rispetto al termine dell’art. 327, comma primo, c.p.c. Va, peraltro, posto in evidenza che, nel superare la soluzione dell’improcedibilità del ricorso, questa Corte, in base a questo orientamento, ha affermato (in un caso in cui ha avuto esito positivo la c.d. “prova di resistenza” sulla tempestività dell’impugnazione: Cass. n. 865/2024) che la «copia analogica prodotta, pur con le dette omissioni, non si può considerare come copia non autentica, in quanto risulta ─ e vi è in tal senso anche espressa asseverazione del Procuratore dello Stato resa ai sensi dell’art. 16-bis, comma 9-bis, 16- decies e 16-undecies d.l. n. 179 del 2012 ─ “tratta con modalità telematiche” e “conforme” allo “esemplare presente nel fascicolo informatico” come “reso disponibile dai servizi informatici e telematici del competente plesso giurisdizionale”, e, dunque, deve considerarsi conforme al documento informatico effettivamente presente nel fascicolo del giudizio di merito e, pertanto, autentica». 1.2.3. – Giova, altresì, dare conto che, sebbene in un caso di rigetto del ricorso in presenza di ragione più liquida di infondatezza dello 7 stesso (e superando in tal modo la depositata proposta di definizione accelerata nel senso della improcedibilità del ricorso), Cass. n. 5204/2024 - premesse le nozioni di “copia informatica di documento informatico” e di “duplicato informatico”, secondo le definizioni contenute nell’art. 1, comma 1, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e richiamate le disposizioni speciali per il processo civile in tema di attestazione di conformità - ha prospettato i seguenti interrogativi: a) «può il deposito di una tale copia ritenersi soddisfare l’onere, previsto all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c. … di depositare “copia autentica della sentenza”?»; b) “se sì, può la mancanza, nella copia informatica estratta dal fascicolo informatico e attestata conforme, delle indicazioni relative al numero e alla data di pubblicazione dal fascicolo informatico considerarsi causa di inammissibilità del ricorso per mancata prova della sua tempestività (salva la c.d. prova di resistenza …)?”; c) “accedendo a tale ultimo orientamento, può infine ritenersi utilmente e tempestivamente prodotta, a riprova dell’ammissibilità del ricorso, altra copia informatica, questa volta recante il c.d. glifo, successivamente al deposito ed alla comunicazione della proposta di definizione? Se sì, può essa ritenersi utilmente prodotta, come nella specie, al di là del termine di quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza, fissato dall’art. 372, secondo comma, c.p.c.?”. 1.3. – Il Collegio ritiene che gli interrogativi posti da Cass. n. 5204/2024 trovino complessiva risposta nelle considerazioni che seguono. 1.3.1. - Le nozioni di “copia informatica” e di “duplicato informatico”. In base alle definizioni contenute nell’art. 1 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale: C.A.D.), applicabili anche al processo civile, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo 8 telematico (art. 2, comma 6): a) la copia informatica di documento informatico: è il documento informatico avente contenuto identico a quello del documento da cui è tratto su supporto informatico con diversa sequenza di valori binari (lett. i-quater); b) il duplicato informatico: è il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario (lett. 1- quinquies). Ai sensi dell’art. 23-bis del C.A.D.: «1. I duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle Linee guida [i.e. le linee guida adottate dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ai sensi dell’art. 71 C.A.D.]. Le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti Linee guida, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale, in tutti le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. […]». Nozioni, queste, che sono riprese dalla citata Cass. n. 5204/2024 e che erano tenute ben presenti già da Cass. n. 27379/2022 (la quale ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato inammissibile per tardività l’impugnazione svolta nei confronti della sentenza di primo grado, sul presupposto che la notifica telematica della stessa, mediante duplicato informatico, era idonea a far decorrere il ‘termine breve’, pur non presentando segni grafici relativi all’apposizione della sottoscrizione del giudice), da cui è stato tratto il principio di diritto così massimato: “in tema di notificazione della sentenza con modalità telematica, occorre distinguere la copia informatica di un documento nativo digitale, la quale presenta segni grafici (generati dal programma ministeriale in uso alle cancellerie degli uffici giudiziari) che 9 rappresentano una mera attestazione della presenza della firma digitale apposta sull’originale di quel documento, dal duplicato informatico che, come si evince dagli artt. 1, lett. i) quinquies e 16-bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, consiste in un documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario e la cui corrispondenza con quest’ultimo non emerge dall’uso di segni grafici - la firma digitale è infatti una sottoscrizione in bit la cui apposizione, presente nel file, è invisibile sull’atto analogico cartaceo - ma dall’uso di programmi che consentono di verificare e confrontare l’impronta del file originario con il duplicato”. 1.3.2. - Le attestazioni di conformità nel processo civile. La materia delle attestazioni di conformità trova espressa disciplina per il processo civile nelle disposizioni sul processo telematico, dapprima ai sensi degli artt. 16-bis, comma 9-bis, decies ed undecies, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, ora (sostanzialmente) riproposti negli artt. 196-octies, 196 novies, 196 decies e 196 undecies disp. att. c.p.c. In sintesi, e per quel che qui rileva, è conferito al difensore il potere di estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche di atti e provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico e attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti originali, mentre per il duplicato informatico (la cui equivalenza all’originale esclude la necessità di attestazione) si richiede che lo stesso venga prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine. 1.3.3. – La nozione di “contrassegno elettronico”, “timbro digitale”, “codice bidimensionale”, “glifo”. 10 Ai sensi dell’art. 23, comma 2-bis, C.A.D.: «Sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno, sulla base dei criteri definiti con le Linee guida, tramite il quale è possibile accedere al documento informatico, ovvero verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica. Il contrassegno apposto ai sensi del primo periodo sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale e non può essere richiesta la produzione di altra copia analogica con sottoscrizione autografa del medesimo documento informatico. I soggetti che procedono all’apposizione del contrassegno rendono disponibili gratuitamente sul proprio sito Internet istituzionale idonee soluzioni per la verifica del contrassegno medesimo». Nelle linee guida emanate dall’AgID con circolare n. 62 del 30 aprile 2013 si chiarisce che «Nei vari contesti il contrassegno generato elettronicamente può essere indicato, anche in relazione alle specificità dello scenario implementato, con termini differenti, quali “Contrassegno elettronico”, “Timbro digitale”, “Codice bidimensionale”, “Glifo”, termini che sono da intendersi come sinonimi». Nell’ambito delle predette linee guida, si precisa che «per contrassegno generato elettronicamente si intende una sequenza di bit, codificata mediante una tecnica grafica e idonea a rappresentare un documento amministrativo informatico o un suo estratto o una sua copia o un suo duplicato o i suoi dati identificativi. A tutti gli effetti di legge sostituisce la sottoscrizione autografa della copia analogica. Il contrassegno generato elettronicamente è rappresentato graficamente con tecnologie differenti, per leggere le quali può essere richiesto apposito software rilasciato dallo sviluppatore della soluzione». 1.4. – Ciò premesso, si osserva quanto segue. L’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., richiede il deposito di “copia autentica della decisione impugnata”. 11 Il provvedimento emesso come documento informatico e sottoscritto con firma digitale è depositato nel fascicolo tramite l’applicativo l’informatico, ai sensi dell’art. 15 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44. La pubblicazione avviene, dunque, non più attraverso la materiale apposizione del deposito e della relativa certificazione da parte del cancelliere, bensì attraverso l’accettazione del deposito telematico del provvedimento e l’attribuzione mediante il sistema informatico del numero identificativo e della data dell’adempimento, con inserimento nel fascicolo informatico e conseguente ostensibilità agli interessati (si veda anche Cass. n. 2829/2023). Ne consegue che, per effetto dell’attuazione del processo telematico, alla certificazione della cancelleria sull’unico originale in formato cartaceo è subentrata la registrazione automatica del documento informatico effettuata dal sistema informatico. Con l’accettazione del deposito telematico e l’attribuzione del numero cronologico, il provvedimento digitale è inserito nel fascicolo informatico e solo in esito alla pubblicazione informatizzata diventa consultabile da parte dei difensori, attraverso il portale dei servizi telematici di cui all’art. 6 del d.m. n. 44/2011, nella versione originale, rappresentata dal duplicato (che reca la firma digitale del magistrato), ovvero nella copia informatica, che reca la stampigliatura dei dati esterni della pubblicazione (vale a dire il numero di cronologico e la data di pubblicazione) come segno grafico apposto dal sistema per evidenziare l’avvenuto processamento informatico. Pertanto, nella differente realtà digitale il concetto di unico originale risulta sostanzialmente superato dalla possibilità di accedere al duplicato (che equivale all’originale), dovendosi, altresì, evidenziare che è l’accettazione dell’atto da parte del cancelliere a determinare l’inserimento del provvedimento nel fascicolo informatico, sicché resta 12 escluso che il difensore possa accedere al duplicato ovvero alla copia informatica se non è intervenuta la pubblicazione. E tanto emerge chiaramente anche dalla giurisprudenza di questa Corte, che collega la pubblicazione dei provvedimenti digitali al necessario presupposto che l’atto divenga visibile e consultabile dalle parti, cosicché non è sufficiente il mero deposito, ma occorre l’accettazione da parte della cancelleria - almeno fino a che i sistemi richiederanno l’intervento manuale – e, comunque, l’inserimento nei registri e l’assegnazione del numero cronologico (Cass. n. 24891/2018, Cass. n. 2362/2020, Cass. n. 2829/2023). Infatti, solo a seguito dell’avvenuta pubblicazione informatica, i difensori, accedendo al fascicolo informatico tramite il portale dei servizi telematici, possono scegliere se estrarre copia informatica del provvedimento, recante le indicazioni sulla data di pubblicazione e sul numero di cronologico, come stampigliatura apposta dal sistema informatico in esito all’accettazione dell’atto digitale da parte della cancelleria, ovvero se scaricare direttamente il duplicato informatico che, in quanto tale, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione che determinerebbe ipso facto l’alterazione dell’originale informatico (e la conseguente alterazione della sequenza di valori binari del documento originario). Non è, pertanto, sanzionabile con l’improcedibilità la scelta del difensore che, potendo optare tra il deposito del duplicato e la copia informatica(la cui apposta stampigliatura rappresenta soltanto un’evidenza grafica della registrazione informatizzata), si determini per il deposito del primo in quanto equivalente all’originale e, come tale, non necessitante di alcuna attestazione di conformità. Sicché, il concetto stesso di duplicato risulta assorbente rispetto al requisito di “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata”, postulato dall’art. 369 c.p.c. 13 I dati relativi alla pubblicazione, se in contestazione ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione (e, dunque, là dove non evincibili tramite gli stessi sistemi informatici in uso a questa Corte), possono essere verificati attraverso la consultazione del fascicolo informatico del giudizio di merito acquisito d’ufficio ai sensi dell’art. 137-bis disp. att. c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere a decorrere dal 1° gennaio 2023 (art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 149/2022). Quanto ai giudizi introdotti precedentemente, i dati relativi alla pubblicazione del provvedimento impugnato (quale documento nativo digitale), se necessario, possono essere verificati tramite richiesta di attestazione degli stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso quel provvedimento, in presenza di istanza del ricorrente formulata ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nel testo antecedente alla abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149/2022. Dati che sono presenti nel fascicolo informatico che la cancelleria deve tenere e conservare ai sensi art. 36, ultimo comma, disp. att. c.p.c. e dell’art. 9 del d.m. n. 44/2011. Quest’ultima disposizione precisa, infatti, che il predetto fascicolo contiene “i dati del procedimento medesimo da chiunque formati” (comma 1) e in modo tale da “garantire la facile reperibilità ed il collegamento degli atti ivi contenuti [anche] in relazione alla data di deposito” (comma 5). E una tale verifica officiosa si rende necessaria in quanto il ricorrente, con il deposito del duplicato informatico del provvedimento impugnato, ha pienamente assolto l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c.; onere funzionale, in primo luogo, proprio a “consentire la verifica della tempestività dell’atto di impugnazione” (Cass., S.U., n. 8312/2019), la quale (è opportuno ribadire), in ambiente di processo telematico, è possibile solo attraverso i sistemi informatici in uso all’ufficio giudiziario. 14 Occorre, dunque, collocarsi nel cono d’ombra del principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 111 Cost.; art. 47 della Carta di Nizza; art. 19 del Trattato sull’Unione europea; art. 6 CEDU), il quale, nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito, richiede che eventuali restrizioni del diritto della parte all’accesso ad un tribunale siano ponderate attentamente alla luce dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità (tra le tante: Cass., S.U., n. 10648/2017; Cass., S.U., n. 8950/2022; Cass., S.U., n. 28403/2023; Cass., S.U., n. 2075/2024; Cass., S.U., n. 6477/2024). Pertanto, va fatta applicazione del principio - già affermato da Cass., S.U., 25513/2016 in riferimento alla proposizione del ricorso per cassazione ex art. 348-ter, comma terzo, c.p.c. (e ribadito da Cass., S.U., n. 11850/2018, Cass., S.U., n. 8312/2019 e Cass., S.U., n. 21349/2022) - secondo il quale la Corte esercita il proprio potere officioso di controllo sulla tempestività dell’impugnazione ove il ricorrente abbia assolto l’onere di richiedere il fascicolo d’ufficio alla cancelleria del giudice a quo tramite l’istanza di cui all’ultimo comma dell’art. 369 c.p.c. 1.4.1. – Nel caso, invece, di deposito ex art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., di copia analogica di duplicato informatico della decisione impugnata (ossia, tramite la stampa del file), rimane necessaria l’attestazione di conformità del difensore ai sensi del citato art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179/2012 (nei termini affermati da Cass., S.U., n. 8312/2019), non potendosi, in siffatta evenienza, apprezzare altrimenti la qualità di duplicato informatico che dal difensore medesimo sia stata predicata (atteso che la stampa di un documento informatico sottoscritto digitalmente non consente la verifica dell’apposizione della firma, ciò che, come detto, è possibile con i sistemi informatici in uso all’ufficio giudiziario). Tuttavia, all’interrogativo posto da Cass. n. 5204/2024 in ordine alla ritualità della copia autenticata così depositata, in quanto priva 15 delle indicazioni relative alla pubblicazione, si deve dare risposta positiva. Infatti, in quanto estratta dal fascicolo informatico ed attestata come conforme dal difensore, anche il deposito di una tale copia autenticata vale ad integrare il requisito richiesto dall’art. 369 c.p.c., così aprendosi la possibilità, pure in tale ipotesi, dell’accertamento officioso in ordine alla tempestività dell’impugnazione (ove in contestazione), tramite la richiesta alla cancelleria del giudice a quo di attestazione dei dati di pubblicazione del provvedimento. 1.5. – Devono, quindi, enunciarsi i seguenti principi di diritto: «a) in regime di deposito telematico degli atti, l’onere del deposito di copia autentica del provvedimento impugnato imposto, a pena di improcedibilità del ricorso dall’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., è assolto non solo dal deposito della relativa copia informatica, recante la stampigliatura solo rappresentativa dei dati esterni (numero cronologico e data) concernenti la sua pubblicazione, ma anche dal deposito del duplicato informatico di detto provvedimento, il quale ha il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, dell’originale informatico e che, per sue caratteristiche intrinseche, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione (e, dunque, la stampigliatura presente nella copia informatica) che ne determinerebbe, di per sé, l’alterazione. Ne consegue che, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, i dati relativi alla pubblicazione, ove non evincibili tramite i sistemi informatici in uso alla Corte di cassazione e in contestazione, vanno attinti attraverso la consultazione del fascicolo di merito acquisito d’ufficio ai sensi dell’art. 137-bis c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023, ovvero, per i giudizi precedentemente introdotti, tramite richiesta di attestazione dei dati stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in presenza di istanza del ricorrente ai sensi 16 dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione antecedente all’abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022; b) nel regime in cui è consentito il deposito di copia analogica del provvedimento impugnato redatto come documento informatico nativo digitale e così depositato in via telematica, ove detta copia analogica sia tratta dal duplicato informatico depositato nel fascicolo informatico, l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., è assolto tramite l’attestazione di conformità della copia al duplicato apposta dal difensore. Ne consegue che, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, i dati relativi alla pubblicazione del provvedimento impugnato, ove in contestazione, vanno attinti tramite richiesta di attestazione dei dati stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in presenza di istanza del ricorrente ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione antecedente all’abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022». 1.6. Nel caso di specie, a seguito del dato acquisito tramite cancelleria, la data di pubblicazione del provvedimento impugnato è 11 maggio 2021. Essendo stato il ricorso notificato in data 30 settembre 2021, risulta rispettato il termine semestrale per proporre l’impugnazione. 1.7. Ciò premesso, il motivo è fondato. Conformemente alle conclusioni del Pubblico Ministero, deve essere mantenuto l’indirizzo di questa Corte, espresso dalle pronunce n. 2374 del 2016 e n. 2375 del 2016, il cui principio di diritto è che, in relazione alla legge della Regione Emilia Romagna,l'amministrazione provinciale è l'unico soggetto legittimato passivamente a fronte di azioni proposte da terzi per ottenere la riparazione dei danni eventualmente provocati dalla fauna selvatica, a nulla rilevando la ripartizione di compiti interna alla Provincia stessa riguardo al peso economico derivante dall'obbligo 17 risarcitorio. La modifica legislativa, considerata dalla corte territoriale, è relativa solo alla ripartizione degli oneri relativi al fondo regionale. L’art. 17 legge regionale n. 8 del 1994, applicabile ratione temporis (in relazione al fatto verificatosi nel 2011) sulla base delle modifiche intervenute, prima con l’art. 14 della legge regionale n. 6 del 2000, e poi con l’art. 10 della legge regionale n. 16 del 2007, è il seguente: «Danni alle attività agricole 1. Gli oneri relativi ai contributi per i danni arrecati alle produzioni agricole e alle opere approntate sui terreni coltivati ed a pascolo dalle specie di fauna selvatica cacciabile o da sconosciuti nel corso dell'attività venatoria sono a carico: a) degli ambiti territoriali di caccia per le specie di cui si consente il prelievo venatorio, qualora si siano verificati nei fondi ivi ricompresi; b) dei titolari dei centri privati della fauna allo stato naturale di cui all'articolo 41 qualora si siano prodotti ad opera delle specie ammesse nei rispettivi piani produttivi o di gestione e delle aziende venatorie di cui all'articolo 43 per le specie di cui si autorizza il prelievo venatorio, nei fondi inclusi nelle rispettive strutture; c) dei proprietari o conduttori dei fondi rustici di cui ai commi 3 e 8 dell'art. 15 della legge statale, nonché dei titolari delle altre strutture territoriali private di cui al capo V, qualora si siano verificati nei rispettivi fondi; d) delle Province, qualora siano provocati nelle zone di protezione di cui all’art. 19 e nei parchi e nelle riserve naturali regionali, comprese quelle aree contigue ai parchi dove non è consentito l'esercizio venatorio. 2. Le Province concedono contributi per gli interventi di prevenzione e per l'indennizzo dei danni: a) provocati da specie cacciabili ai sensi del comma 1 lettera d); b) provocati nell'intero territorio agro-silvo-pastorale da specie protette, dal piccione di città (Columba livia, forma domestica) o da 18 specie il cui prelievo venatorio sia vietato, anche temporaneamente, per ragioni di pubblico interesse. 3. I contributi sono concessi entro i limiti di disponibilità delle risorse previste dall’art. 18, comma 1». La rilevanza della modifica legislativa al livello della ripartizione interna del peso economico derivante dall’obbligo di risarcire i danni da fauna selvatica, come risulta dal primo comma della disposizione citata, non incide sul principio di diritto enunciato dai richiamati precedenti di questa Corte, cui il Collegio presta continuità e rinvia, anche sul piano della motivazione, per quanto concerne l’individuazione del soggetto tenuto al risarcimento del danno, salva la modifica legislativa evidenziata sul piano del riparto interno. 1.8. Poiché non sono necessari altri accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto della domanda. L’intervento della giurisprudenza determinante nel corso del processo costituisce ragione di compensazione delle spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità. P. Q. M. Accoglie il motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda; dispone la compensazione delle spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma il giorno 22 aprile 2024 Il consigliere estensore Dott. Enrico Scoditti Il Presidente Dott. Giacomo Travaglino 19

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Quater ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6229 del 2020, proposto da Consorzio Universitario per la Ri. So. e per l'A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Gi. Lu., Da. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fa. Gi. Lu. in Roma, viale (...); contro Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ri. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Università degli Studi della Tuscia, non costituita in giudizio; per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia - della nota della Regione Lazio Registro Ufficiale.U.466860 del 28 maggio 2020 con la quale la Regione Lazio Direzione Regionale Agricoltura, Promozione della Filiera e della Cultura del Cibo, Caccia e Pesca Area "Politiche di prevenzione e conservazione della fauna selvatica e gestione delle risorse della pesca e dell'acquacoltura" ha comunicato alla ricorrente la non ammissibilità definitiva della domanda presentata; - del Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 67 del 26 maggio 2020, Suppl. 1, nel punto in cui è stata pubblicata la determinazione n. G05451 del 07 maggio 2020 contenente le motivazioni di inammissibilità della domanda presentata; - della determinazione n. G05451 del 7 maggio 2020, contenente le motivazioni di inammissibilità della domanda; - della nota Registro Ufficiale U.0140319.17-02-2020 n. G00974 del 17 febbraio 2020 con la quale la Regione Lazio Direzione Regionale Agricoltura, Promozione della Filiera e della Cultura del Cibo, Caccia e Pesca Area "Politiche di prevenzione e conservazione della fauna selvatica e gestione delle risorse della pesca e dell'acquacoltura" ha comunicato alla ricorrente ai sensi dell'art. 10 bis della legge 241/1990 i motivi ostativi all'accoglimento della domanda; - del Bando pubblico del 31 settembre 2017 - Determinazione - n. G14920 ed in particolare la previsione di cui al paragrafo 5.2 punto 2 nonché, per quanto possa occorrere: - della nota prot. n. 0126690 del 12 febbraio 2020 dell'Agenzia delle Entrate con cui sarebbe stata comunicata la sussistenza di una cartella esattoriale a carico della ricorrente ovvero quale presupposto della non ammissibilità della domanda della ricorrente e di ogni altro atto a qualsiasi titolo presupposto, connesso e conseguente anche se non conosciuto. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2023 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato il 9 luglio 2020 e depositato il successivo 30 luglio, il Consorzio Universitario per la Ri. So. e per l'A. (Cu.) ha adito questo Tribunale al fine di ottenere l'annullamento della nota della Regione Lazio Registro Ufficiale.U.466860 del 28 maggio 2020 con la quale la Regione Lazio Direzione Regionale Agricoltura, Promozione della Filiera e della Cultura del Cibo, Caccia e Pesca ha comunicato al ricorrente la non ammissibilità definitiva della domanda presentata per il finanziamento del progetto a valere sulla Misura 1.44 Pesca nelle acque interne e fauna e flora nelle acque interne - Gestione, ripristino e monitoraggio dei siti Natura 2000 - Recupero delle acque interne, costruzione, ammodernamento e installazione di elementi fissi o mobili per proteggere la fauna e la flora acquatiche approvato con determinazione n. G14920 del 31/10/2019, unitamente agli altri atti come in epigrafe specificati. 2. Il Cu. è un Consorzio Universitario per la Ri. So. e per l'A. costituito ai sensi e per i fini degli artt. 60 e 61 del T.U. delle leggi sull'Istruzione Superiore, approvato con R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, e dell'art. 91 bis del d.p.r. n. 382/80. In data 7 gennaio 2020 il ricorrente Consorzio presentava domanda per la concessione del contributo pubblico di Euro 100.000, pari al 100% dell'investimento complessivo, per la realizzazione del progetto di "Conservazione e uso sostenibile della Biodiversità del Lago di Vi.: monitoraggio e contributo alla gestione dei siti Rete Natura 2000 attraverso azioni mirate di sensibilizzazione della comunità ", ai sensi del regime di aiuti previsto dal Programma Operativo - FEAMP 2014/2020 - Misura 1.44 Pesca nelle acque interne e fauna e flora nelle acque interne - Gestione, ripristino e monitoraggio dei siti Natura 2000; - Recupero delle acque interne; costruzione, ammodernamento e installazione di elementi fissi o mobili per proteggere la fauna e la flora acquatiche. La misura in parola ha come fine quello di proteggere e ripristinare la biodiversità e gli ecosistemi delle acque interne, mediante la realizzazione di strutture a protezione di ecosistemi sensibili. Detta misura si pone, altresì, il fine di promuovere il miglioramento della gestione degli stock ittici, dando priorità al ripristino ed alla costruzione di protezioni compatibili con il paesaggio acquatico. Beneficiari della misura sono: - pescatori muniti di licenza di pesca professionale per le acque interne; - organizzazioni di pescatori riconosciute dallo Stato membro; - organismi non governativi in partenariato con organizzazioni di pescatori o in partenariato con FLAG; - organismi scientifici o tecnici di diritto pubblico quale il Consorzio Universitario odierno ricorrente, che è Consorzio non avente scopo di lucro che ha acquistato la personalità giuridica mediante decreto del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca del 21 giugno 2011. Con comunicazione ai sensi dell'art. 10 bis, l. n. 241/1990 prot. U.0140319 del 17 febbraio 2020 la competente Direzione Regionale Agricoltura, tuttavia, comunicava il preavviso di rigetto del progetto presentato dal ricorrente in quanto: "l'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale Roma III, con nota registrata al prot. generale della scrivente amministrazione al n. 126690 del 12 febbraio 2020 ha certificato che per l'Ente in indirizzo risultano definitivamente accertate le seguenti violazioni - cartella di pagamento n. 09720190189645408 anno di imposta 2015 derivante da unico soc. di cap. enti di com. ed equip. per un debito di Euro 21.918,18", invitando quest'ultimo a presentare eventuali controdeduzioni nei termini di legge. Con controdeduzioni del 26 febbraio 2020 il Cu. rilevava come la cartella n. 097 2019 0189645408 avesse quale oggetto diretto le ritenute subite dallo stesso, per come applicate dal proprio Istituto Bancario Monte Paschi di Siena, sugli interessi bancari attivi maturati sulle giacenze di conto corrente per l'anno 2015, asseritamente non riscontrate sul Modello 770 predisposto ed inviato dall'Istituto bancario alla stessa Agenzia delle Entrate. Quindi, documentava che: - il predetto Istituto Bancario, quale gestore del conto corrente del Consorzio, avesse omesso l'invio delle certificazioni riferite alle ritenute d'acconto già operate sugli interessi bancari attivi, quale incombente gravante per legge sul sostituto d'imposta; - il Consorzio, avesse redatto la propria Dichiarazione dei Redditi per l'anno 2015 in conformità alle risultanze dell'attestazione pervenuta in data 17 dicembre 2014, con la quale l'Istituto bancario aveva certificato l'entità degli interessi bancari maturati e la conseguente aliquota di trattenuta alla fonte applicata pari al 26 %, quale imposta definitiva; - in data 3 gennaio 2019 l'Agenzia delle Entrate Ufficio Territoriale di Campobasso, a seguito del controllo formale della dichiarazione Modello Unico 2016 SC avesse richiesto al Consorzio la "Certificazione relativa alle ritenute d'acconto subite dalla Società " indicate nella dichiarazione dei Redditi per l'anno 2015; - nei giorni seguenti il Consorzio avesse proceduto a richiedere alla propria agenzia del Mo. dei Pa. di Si. la relativa certificazione senza ottenere riscontro; - in data 30 gennaio 2019 il Cu. avesse comunque trasmesso all'Agenzia delle Entrate tutta la documentazione in proprio possesso; - in data 20 settembre 2019 l'Agenzia delle Entrate avesse tuttavia notificato al Consorzio la cartella di pagamento in oggetto emessa per l'importo delle ritenute subite non riconosciute, oltre sanzione ed interessi; - il Cu. ed i suoi consulenti stessero procedendo a formalizzare istanza di sgravio della predetta cartella in quanto adottata sulla base di un erroneo presupposto. Concludeva, pertanto, le predette controdeduzioni formulando una istanza per la concessione di un termine congruo per la verifica e regolarizzazione della posizione e/o l'annullamento della predetta cartella. In data 9 marzo 2019 il Cu. formalizzava, dunque, l'istanza di sgravio alla competente Agenzia delle Entrate, attualmente pendente, rappresentando che: • in data 13 marzo 2015 fossero stati corrisposti dalla Banca MPS al Consorzio Euro 50.930,92 di interessi attivi con applicazione di una ritenuta alla fonte del 26% (Euro 13.242,04) con accredito sul c/c del residuo importo pari ad Euro 37.688,88 (libro Giornale registrazione n. 308 del 13/03/2015); • in data 30 settembre 2015 fossero stati corrisposti dalla Banca MPS al Consorzio Euro 7.450,00 di interessi attivi con applicazione di una ritenuta alla fonte del 26% (Euro 1.937,00) con accredito sul c/c del residuo importo pari ad Euro 5.511,50 (libro Giornale registrazione n. 1000 del 30/09/2015); • in data 01 ottobre 2015 fossero stati corrisposti dalla Banca MPS al Consorzio Euro 231,58 di interessi attivi con applicazione di una ritenuta alla fonte del 26% (Euro 60,21) ed Euro 525,52 di interessi attivi con applicazione di una ritenuta alla fonte del 26% (Euro 136,64) con accredito sul c/c del residuo importo pari (libro Giornale registrazione n. 1012 del 01/10/2015). E che tutte le ritenute subite sugli interessi attivi fossero state correttamente annotate nel Modello Società di Capitali 2016 redditi anno 2015 per complessivi Euro 15.375,89 (13.242,04 + 1.937,00 + 136,64 + 60,21). Ciononostante, in data 26 maggio 2020 la Regione Lazio, pubblicava il Bollettino Ufficiale n. 67 ove procedeva a pubblicare la determinazione n. G05451 del 7 maggio 2020 con cui, approvava l'elenco delle domande di sostegno ammesse e non ammesse al finanziamento disponendo comunque l'esclusione del progetto presentato dall'odierno ricorrente per "mancanza del requisito di ammissibilità di cui al secondo punto del paragrafo 5.2 dell'avviso pubblico, giusta comunicazione dell'Agenzia". 3. Avverso tale esclusione, il Consorzio deduce, con un unico motivo di diritto l'eccesso di potere per erronea valutazione del presupposto; violazione del disposto di cui al paragrafo 5.2 del Bando Pubblico del 31 ottobre 2019 anche con riferimento all'art. 136 del Reg. (UE / Euratom) n. 1046/2018. Parte ricorrente sostiene che il provvedimento di inammissibilità del progetto impugnato sia stato assunto dalla Regione unicamente sulla base della mera ricezione di una comunicazione ricevuta dalla Agenzia delle Entrate di Roma, senza alcuna valutazione del relativo contenuto. 4. Si è costituita in giudizio la Regione Lazio, contestando, nel merito, la fondatezza del gravame essendo stato accertato che il ricorrente non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di tasse e imposte. 5. All'esito della camera di consiglio dell'8 settembre 2020, con ordinanza cautelare n. 5620/2020, è stata respinta la domanda cautelare proposta per insussistenza del fumus boni juris. 6. In sede di appello, con ordinanza cautelare n. 7710/2020 del 7 dicembre 2020, il Consiglio di Stato ha disposto un accertamento istruttorio volto ad acquisire "dall'Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale di Roma una documentata relazione di chiarimenti su quanto accaduto, anche in relazione alla posizione rivestita dall'istituto bancario". L'ordine istruttorio, rimasto inadempiuto, è stato reiterato con successiva ordinanza del Consiglio di Stato n. 892/2021. Con ordinanza n. 952/2021, emessa il 25 febbraio 2021, infine, il giudice di appello ha accolto la domanda cautelare, "ritenuto, che l'istanza di sospensione proposta dal Consorzio Universitario per la Ri. So. e per l'A. secondo la sommaria delibazione qui consentita e fermo ogni ulteriore e anche diverso apprezzamento del Collegio nel merito, appare fondata, nei limiti dell'ammissione con riserva di Cu.". 7. All'esito della pubblica udienza del 14 gennaio 2022, con ordinanza collegiale del 5 settembre 2022 n. 11420/2022, il collegio ha disposto una nuova istruttoria volta a reiterare l'ordine istruttorio del giudice di appello, rimasto inadempiuto. 8. L'Agenzia delle Entrate ha, infine, adempiuto, depositando la documentazione richiesta in data 10 marzo 2023. 9. Alla pubblica udienza del 21 marzo 2023 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. Il progetto per cui è causa rientra nell'ambito dei progetti finanziati col FEAMP (Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e per la Pesca) che ha la sua base giuridica nel Reg. (UE) n. 508/2014. La Regione Lazio in qualità di Organismo Intermedio, ai sensi dell'art. 123, comma 6, del Reg. (UE) n. 1303/2013, delegata dall'Autorità di gestione del PO FEAMP 2014/2020 Direzione generale della Pesca Marittima e dell'Acquacoltura del MiPAAF, ha dunque approvato con determinazione G14920 del 31/10/2019 l'avviso pubblico della Misura 1.44 "Pesca nelle acque interne e fauna e flora nelle acque interne - Gestione, ripristino e monitoraggio dei siti 3 Natura 2000, - Recupero delle acque interne, costruzione, ammodernamento e installazione di elementi fissi o mobili per proteggere la fauna e la flora acquatiche" - (Art. 44, par. 6 del Reg. (UE) n. 508/2014). Il bando, più in particolare, è stato definito sulla base delle "Disposizioni Attuative di Misura Parte B - Specifiche Priorità n. 1 - Misura 1.44 - "Pesca nelle acque interne e fauna e flora nelle acque interne - Gestione, ripristino e monitoraggio dei siti Natura 2000, - Recupero delle acque interne; costruzione, ammodernamento e installazione di elementi fissi o mobili per proteggere la fauna e la flora acquatiche", Art. 44, par. 6 del Reg. (UE) n. 508/2014", che stabilisce, tra i criteri generali di ammissibilità, che "il richiedente non rientri tra i casi di esclusione di cui all'art. 106 del Reg. (UE) n. 966/2012". Nel rispetto di tale disposizione, il Bando ha quindi previsto al paragrafo 5.2, tra i criteri generali di ammissibilità per i soggetti che chiedono di essere ammessi al finanziamento, di "non rientrare nei casi di esclusione disciplinati dall'art. 136 del Reg. (UE, Euratom) n. 1046/2018" (ovvero del Regolamento che ha sostituito il precedente Regolamento n. 966/2012). L'art. 136 del Reg. (UE) n. 1046/2018, più in particolare, al comma 1, lett. b), prevede l'esclusione dalle sovvenzioni qualora "b) è stato accertato da una sentenza definitiva o decisione amministrativa definitiva che la persona o l'entità non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o agli obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali secondo il diritto applicabile". La Regione Lazio, nell'ambito della verifica del possesso dei requisiti di cui al sopra citato art. 136, ha interrogato dunque l'Agenzia delle Entrate che, con nota registrata al prot. regionale n. 0126690 del 12 febbraio 2020, ha comunicato a carico del Cu. le seguenti violazioni definitivamente accertate: "cartella di pagamento n. 09720190189645408, anno di imposta 2015, notificata il 20/09/2019 al contribuente in oggetto, derivante da unico soc. di cap. enti com. ed equip., per un debito di euro 21.918,18". Quindi, all'esito delle verifiche effettuate, e dopo aver comunicato al Consorzio il preavviso di rigetto ai sensi dell'art. 10 bis, l. n. 241/90, la Regione Lazio ha definitivamente escluso Cu. dal finanziamento, non ritenendo fondate le osservazioni svolte dal Consorzio in sede procedimentale che, senza contestare la legittimità della cartella di pagamento, si è limitato ad indicare nella Banca Mo. dei Pa. di Si., gestore del conto corrente bancario del Consorzio, il soggetto responsabile della relativa emissione. Ciò posto, prive di pregio risultano le difese mosse da parte ricorrente. 1.1. Le motivazioni addotte dal ricorrente Consorzio, ovvero che la cartella di pagamento non integrerebbe una condizione di inammissibilità del progetto, in quanto la mera esistenza di una cartella di pagamento non può essere causa di esclusione allorché non sia materialmente riferibile ad azioni o omissioni del beneficiario della misura a danno dell'Unione, sono destituite di ogni fondamento. Ciò che sostiene parte ricorrente è disancorato dal dato normativo che richiede, espressamente, ai fini dell'ammissibilità di un progetto ai finanziamenti europei, all'art. 136, comma 1, lett. b, Reg. CE cit., unicamente che il soggetto richiedente sia destinatario di un provvedimento amministrativo (ovvero di una sentenza definitiva) con cui sia stata definitivamente accertata un'inadempienza fiscale. Nel caso in esame, all'esito dell'istruttoria svolta dal collegio nei confronti dell'Agenzia delle Entrate, è stato esaustivamente chiarito (cfr. nota dell'Agenzia dell'Entrate del 10 marzo 2023, "riscontro ordinanza collegiale") che: a) dai dati presenti nel Sistema dell'Anagrafe Tributaria, è emerso "un debito erariale a carico del Cu. per Euro 21.918,18, riportato dalla cartella esattoriale n. 09720190189645408 per l'anno 2015 scaturito da un controllo automatizzato ex art. 36-ter del DPR n. 600/73, su ritenute dichiarate, ma non incrociate dal sistema, ossia prive di corrispondenza con quanto dichiarato dal sostituto d'imposta"; b) la cartella è stata regolarmente notificata dall'Agenzia delle Entrate - Riscossione il 20 settembre 2019 e non è stata mai impugnata; c) in data 19 febbraio 2020, con nota prot. 8055/2020, parte ricorrente ha presentato all'Ufficio Territoriale di Campobasso istanza di sgravio parziale della citata cartella e, con successive integrazioni, ha rappresentato di aver provveduto a rateizzare l'importo della cartella con scadenza prima rata 19 giugno 2020; d) con nota prot. 14543 del 29 marzo 2021, l'Agenzia delle Entrate ha tuttavia rigettato l'istanza, in quanto dall'esame della documentazione presentata è stata riscontrata la mancata certificazione delle ritenute d'acconto dichiarate nel mod. SC 2016, secondo le modalità previste; e) "Si osserva che parte privata non aveva impugnato né la cartella di pagamento, né il rigetto dell'autotutela e che da interrogazione alla banca dati del Sistema Informativo dell'Anagrafe tributaria la cartella di pagamento de qua risultava interamente riscossa. Con nota prot. 18108 del 08.03.2023, la Direzione Provinciale di Campobasso confermava pertanto che il Cu. alla data del 12.02.2020 non aveva il possesso della regolarità fiscale, rappresentando che non era stato inoltre possibile, a fronte della documentazione fornita, giungere ad una diversa valutazione dell'istanza di sgravio". Alla luce di quanto rappresentato dall'Agenzia delle Entrate nella nota del 10 marzo 2023, depositata in atti, è stata data evidenza di come il debito fiscale per Euro 21.918,18 sia stato legittimamente considerato dalla Regione Lazio come definitivamente accertato. Si deve, quindi ribadire, in conclusione, che il legislatore europeo, nel definire i criteri di ammissibilità al contributo dei Fondi con il Reg. (UE, Euratom) n. 1046/2018, non ha previsto che le inadempienze fiscali debbano essere riferite ad azioni od omissioni a danno dell'Unione, in quanto le inadempienze che reputa rilevanti sono chiaramente quelle commesse in danno dei singoli Stati membri sulla base del diritto in essi vigente. 1.2. Il ricorrente deduce, infine, la violazione principio di proporzionalità ritenendo che la Regione Lazio avrebbe dovuto tener conto della irrilevanza del comportamento del Consorzio in termine di sua "inaffidabilità ". Riguardo al principio di proporzionalità deve osservarsi come, il comma 3 dell'art. 136 del Reg. (UE, Euratom) del Reg. 1046/2018 prevede, per i casi di cui al paragrafo 1, lettera b) dello stesso art. 136, che si tenga conto dell'eventuale entità limitata dell'importo interessato. Nella fattispecie, l'importo del debito pari a Euro 21.918,18 non può essere considerato limitato. Al riguardo soccorre l'art. 80, comma 4, del D.lgs. 50/2016, analogicamente applicabile alla fattispecie de qua, secondo cui "costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'articolo 48bis, commi 1 e 2bis, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602." Tale importo ammonta ad euro 5.000 che è, quindi, notevolmente più basso dell'importo della cartella emessa dall'Agenzia delle Entrate. 1.3. In conclusione, la pronuncia di inammissibilità deve reputarsi legittima perché conseguente ad una doverosa applicazione delle norme di legge in materia di requisiti di ammissibilità dei progetti ai finanziamenti comunitari, come sopra riferite. 2. Per tutto quanto esposto il ricorso, deve, quindi, essere respinto. 3. Si ravvisano giustificati motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Quater, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Concetta Anastasi - Presidente Francesca Romano - Consigliere, Estensore Agatino Giuseppe Lanzafame - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi per conflitto di attribuzione tra enti sorti a seguito delle ordinanze cautelari del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione prima, 20 giugno 2022, n. 615 e 15 luglio 2022, n. 656, promossi dalla Regione Veneto con ricorsi notificati il 17-18 agosto 2022 e il 9-16 settembre 2022, depositati in cancelleria il 1° e il 27 settembre 2022, iscritti, rispettivamente, ai numeri 2 e 3 del registro conflitti tra enti 2022 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 37 e 42, prima serie speciale, dell’anno 2022. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 19 aprile 2023 il Giudice relatore Marco D’Alberti; uditi gli avvocati Giacomo Quarneti e Marcello Cecchetti per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri; deliberato nella camera di consiglio del 19 aprile 2023. Ritenuto in fatto 1.– La Regione Veneto, con il ricorso iscritto al n. 2 reg. confl. enti 2022, depositato il 1° settembre 2022, ha promosso conflitto di attribuzione tra enti, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione all’ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione prima, 20 giugno 2022, n. 615, nella parte in cui ha disposto che «vengano mantenute, nel territorio del Comune di Rivoli Veronese, le speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le Zone Faunistiche Alpine». 2.– La stessa Regione, con il ricorso iscritto al n. 3 reg. confl. enti 2022, depositato il 27 settembre 2022, ha promosso conflitto di attribuzione tra enti, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione all’ordinanza cautelare del TAR Veneto, sezione prima, 15 luglio 2022, n. 656, nella parte in cui ha disposto che «vengano mantenute, nei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese, le speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le Zone Faunistiche Alpine». 3.– La Regione Veneto fa presente che le ordinanze cautelari in questione originano dai ricorsi presentati, rispettivamente, dal Comune di Rivoli Veronese e dal Comprensorio Alpino di Caccia di Caprino Veronese e suoi soci, nonché dal Comprensorio Alpino di Caccia di Rivoli Veronese e suoi soci, con cui è stata impugnata l’approvazione del Piano faunistico-venatorio ad opera dell’art. 1 della legge della Regione Veneto 28 gennaio 2022, n. 2, recante il «Piano faunistico-venatorio regionale (2022-2027) e modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”» con i relativi allegati, con specifico riferimento alla riduzione della porzione del territorio del Comune di Caprino Veronese rientrante nella zona faunistica delle Alpi (d’ora in avanti, anche: ZFA) di cui all’art. 11 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), nonché alla totale esclusione del Comune di Rivoli Veronese dalla medesima zona faunistica. I ricorrenti hanno successivamente proposto motivi aggiunti, impugnando gli atti amministrativi applicativi della legge reg. Veneto n. 2 del 2022, i quali – in attuazione della esclusione del Comune di Rivoli Veronese e di una parte del territorio del Comune di Caprino Veronese dal regime giuridico della zona faunistica delle Alpi – rimodulavano conseguentemente i comprensori alpini in cui quest’ultima è suddivisa ai sensi dell’art. 14, comma 4, della legge n. 157 del 1992, e gli Ambiti territoriali di caccia (ATC), escludendo tali territori dai primi e includendoli nei secondi. 3.1.– Aggiunge la Regione Veneto che, sia nei ricorsi introduttivi dei giudizi che nei ricorsi per motivi aggiunti, era richiesta la sospensione cautelare e l’annullamento degli atti impugnati (compresa la legge reg. Veneto n. 2 del 2022); veniva anche richiesto di disporre in via cautelare, in difformità dalla legge regionale, il rispristino del «limite territoriale della ZFA preesistente» (così, in particolare, i ricorsi per motivi aggiunti). La Regione sottolinea che il TAR Veneto, all’esito delle camere di consiglio in cui sono state trattate le rispettive domande cautelari, ha adottato le surriferite ordinanze con le quali, evidenziando come, con separata ordinanza, lo stesso Tribunale aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale della legge reg. Veneto n. 2 del 2022, ha ritenuto che i giudizi cautelari non potessero essere definiti indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata. Di conseguenza, il TAR Veneto ha provvisoriamente sospeso gli atti amministrativi applicativi della previsione legislativa regionale, impugnati con il ricorso per motivi aggiunti, e ha altresì disposto che venissero mantenute, nei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese, le speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le zone faunistiche alpine. La Regione ritiene tale ultima disposizione in «evidente e diametrale contrasto» con la previsione contenuta nella legge reg. Veneto n. 2 del 2022 e osserva che ha comunque dato esecuzione alle prescrizioni disposte dal giudice amministrativo nelle pronunce cautelari, pur avendone contestato gli errores in iudicando mediante la tempestiva proposizione dell’appello cautelare, nonché l’abnormità tramite i ricorsi per conflitto di attribuzione innanzi a questa Corte. 3.2.– La ricorrente deduce che i provvedimenti giurisdizionali de quibus, avendo disposto in diretto e radicale contrasto con le previsioni della legge reg. Veneto n. 2 del 2022, sarebbero stati adottati in carenza assoluta di giurisdizione e, al contempo, lederebbero l’autonomia legislativa costituzionalmente garantita della Regione, nonché le competenze costituzionali del Consiglio regionale. Quanto all’ammissibilità del conflitto di attribuzione la Regione Veneto sostiene che non intende censurare il modo in cui il TAR Veneto ha esercitato il proprio potere giurisdizionale, ma la sussistenza stessa di un potere giurisdizionale. Con riferimento alla sussistenza del “tono costituzionale” del conflitto, la ricorrente deduce, oltre alla radicale insussistenza del potere che il TAR ha preteso di affermare, la «palese interferenza» che da tale pretesa deriverebbe nei confronti delle attribuzioni costituzionalmente spettanti alla Regione. L’abnorme uso del potere giurisdizionale, continua la ricorrente, sarebbe in contrasto con la regola della soggezione del giudice alla legge di cui all’art. 101, secondo comma, della Costituzione, che è funzionalmente collegata alla previsione del giudizio accentrato di costituzionalità di cui all’art. 134 Cost. Inoltre, la sottoposizione dell’intero territorio del Comune di Rivoli Veronese e di parte del territorio del Comune di Caprino Veronese al regime giuridico degli ambiti territoriali di caccia e la loro sottrazione (integrale, nel primo caso, parziale, nel secondo) al regime della zona faunistica delle Alpi sarebbe stato disposto attraverso un precetto dotato non soltanto della veste formale della legge, in quanto inserito nella legge reg. Veneto n. 2 del 2022, ma anche della sua natura sostanziale, ossia della natura di vera e propria norma giuridica generale e astratta. Dunque, il provvedimento giurisdizionale non si sarebbe limitato a disapplicare un atto materialmente amministrativo rivestito della forma legislativa – ciò che, già di per sé, sarebbe sufficiente a determinare l’abnormità dell’esercizio del potere giurisdizionale – ma sarebbe giunto a disporre, in modo generale e astratto, in senso opposto a una precedente (e a tutt’oggi vigente) norma legislativa regionale, generale e astratta anch’essa. Il TAR Veneto, di conseguenza, avrebbe leso anche la competenza legislativa residuale che la Regione Veneto aveva inteso esercitare, ponendo nel nulla (sia pure temporaneamente) una norma legislativa adottata nell’esercizio delle attribuzioni riconosciute dall’art. 117, quarto comma, Cost. nei limiti fissati dalla legge statale, a tutela della fauna selvatica, nell’art. 11 della legge n. 157 del 1992. In tal modo, il giudice amministrativo avrebbe altresì leso anche le attribuzioni costituzionali proprie del Consiglio regionale, al quale compete, ai sensi dell’art. 121, secondo comma, Cost., l’esercizio delle potestà legislative attribuite alla regione, anche in riferimento agli artt. 19, 20 e 21 della legge regionale statutaria 17 aprile 2021, n. 1 (Statuto del Veneto), i quali, in forza dell’art. 123, primo comma, Cost., ribadiscono tale attribuzione e ne regolano l’esercizio. La Regione Veneto chiede, pertanto, che si dichiari che non spettava al TAR Veneto disporre con le ordinanze cautelari n. 615 e 656 del 2022 il mantenimento nei territori dei Comuni di Rivoli Veronese e di Caprino Veronese delle speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le ZFA e, per l’effetto, che le citate ordinanze siano in parte qua annullate. 4.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, innanzitutto eccependo l’inammissibilità dei ricorsi per conflitto di attribuzione, in quanto le censure formulate dalla Regione Veneto sarebbero volte a contestare le modalità di esercizio della funzione giurisdizionale da parte del TAR e, quindi, avrebbero dovuto essere proposte con un ordinario appello al Consiglio di Stato. In sostanza, poiché la ricorrente contesta la possibilità che oggetto della tutela giurisdizionale sia un atto normativo, l’error in iudicando in cui sarebbe incorso il giudice amministrativo di primo grado, configurandosi quale tipico vizio della pronuncia cautelare resa, avrebbe dovuto essere dedotto attraverso l’ordinario mezzo dell’impugnazione in appello, e non già attraverso il ricorso per conflitto di attribuzione tra enti. 4.1.– Sotto altro profilo, è eccepita l’inammissibilità per genericità, poiché la Regione Veneto non individuerebbe in nessuna parte dei ricorsi la norma di legge che afferma l’esclusione parziale o totale nei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese delle speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le ZFA, e che il TAR Veneto con le sue ordinanze avrebbe violato. 4.2.– Nel merito, i ricorsi sarebbero comunque non fondati, poiché il TAR avrebbe correttamente ritenuto di limitare l’efficacia della tutela cautelare ai soli provvedimenti attuativi della legge regionale, impugnati con i motivi aggiunti, e nei limiti dell’interesse della parte ricorrente. La circostanza che gli effetti di questi atti – in particolare quello avente ad oggetto l’istituzione degli ambiti territoriali di caccia, conseguente al nuovo Piano faunistico, e quello riguardante l’istituzione dei Comprensori alpini di cui al medesimo Piano faunistico – possano coincidere con quelli propri della legge di cui costituiscono applicazione, sarebbe una «inevitabile conseguenza della peculiare natura di tali atti». L’Avvocatura dello Stato, sul punto, evidenza che il TAR non avrebbe sospeso né modificato la cartografia allegata alla legge, ovvero il suo contenuto, ma si sarebbe limitato ad adottare l’unico provvedimento cautelare idoneo al mantenimento della res adhuc integra. Il temporaneo mantenimento, nell’ambito territoriale del quale si discute, di speciali forme di tutela costituirebbe, quindi, «l’effetto naturale (ed obbligato) della tutela cautelare nella specie concessa, non essendo giuridicamente ipotizzabile l’esistenza di zone del territorio regionale in cui l’esercizio della caccia non sia in alcun modo regolato – né vietato (ZFA) né programmato (ATC) – e sia, quindi, assolutamente libero». In definitiva, secondo la difesa dello Stato, se non fosse stata accordata la misura cautelare nei termini contestati dalla Regione, la tutela interinale sarebbe stata priva di effettività e contraria alla ratio stessa della legge reg. Veneto n. 2 del 2022. 5.– Con memorie depositate in vista dell’udienza, la difesa dello Stato ha ribadito l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi, in quanto la ricorrente tenderebbe a contestare le modalità di esercizio della funzione giurisdizionale da parte del TAR Veneto, mettendo in discussione l’esercizio del potere cautelare. Aggiunge che il TAR ha esercitato correttamente il suo potere giurisdizionale sugli atti immediatamente applicativi della legge regionale e che tale considerazione è stata condivisa dal Consiglio di Stato, che con le ordinanze della sezione terza, 23 settembre 2022, n. 4659 e 17 ottobre 2022, n. 4966 ha confermato i provvedimenti cautelari del TAR Veneto. L’Avvocatura generale conclude affermando che «il giudice amministrativo non si sarebbe potuto sottrarre all’esercizio della sua contestata potestà giurisdizionale, in quanto, al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal legislatore», non gli è «consentito autolimitare l’ambito della propria funzione, individuando egli stesso i provvedimenti sottratti in assoluto alla tutela cautelare». 6.– La ricorrente ha replicato alle difese dello Stato, sottolineando in primo luogo che le pronunce adottate dal TAR Veneto in sede cautelare, oltre a statuire sui provvedimenti amministrativi impugnati, avrebbero altresì disposto – ancorché in via interinale – «in consapevole e radicale difformità da una legge regionale vigente». La circostanza che nei giudizi innanzi al TAR le parti ricorrenti avessero chiesto l’adozione di simili misure cautelari non renderebbe le censure mosse dalla Regione Veneto assimilabili a quelle volte a lamentare meri errores in iudicando, essendo «ben più radicale» l’errore contestato, in quanto inerente alla sussistenza stessa del potere di adottare le misure in questione. 6.1.– Quanto all’eccezione di inammissibilità dei ricorsi per genericità, essa sarebbe non fondata in punto di fatto e, comunque, non vi sarebbe alcun dubbio che la legge reg. Veneto n. 2 del 2022 abbia previsto, per il territorio del Comune di Caprino Veronese, la sua parziale sottrazione alla zona faunistica delle Alpi, e per il territorio del Comune di Rivoli Veronese, la sua integrale collocazione all’esterno della medesima. 6.2.– La Regione Veneto ribadisce, inoltre, che le misure cautelari relative al mantenimento, nei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese, delle speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le zone faunistiche alpine sarebbero del tutto estranee ai poteri di cui un giudice comune può disporre, poiché si risolverebbero «nell’adozione di un precetto in diretto contrasto con una norma legislativa». 6.3.– Non sarebbe, poi, corretta l’affermazione dell’Avvocatura dello Stato secondo la quale gli effetti delle ordinanze cautelari impugnate corrisponderebbero integralmente agli effetti della norma legislativa sulla cui base gli stessi sono stati adottati. Il TAR Veneto, anziché limitarsi alla sospensione dell’atto amministrativo istitutivo dell’ATC con riferimento al territorio di Rivoli Veronese e alla parte del territorio di Caprino Veronese esclusa dalla ZFA, sarebbe “andato oltre”, disponendo contra legem che nel territorio del Comune di Rivoli Veronese fosse mantenuto il regime giuridico proprio della zona faunistica delle Alpi, e provvedendo allo stesso modo per l’intero territorio del Comune di Caprino Veronese. 6.4.– Non sarebbe neppure corrispondente al vero l’assunto di parte resistente secondo cui, se il TAR Veneto non avesse adottato le ulteriori misure cautelari di cui si discute, la tutela interinale accordata sarebbe stata priva di effettività, poiché a seguito della sospensione degli atti impugnati non si sarebbe comunque potuto dar luogo in alcun modo all’attività venatoria. Considerato in diritto 1.– La Regione Veneto ha promosso, con due ricorsi di analogo tenore, conflitti di attribuzione tra enti, nei confronti dello Stato, in relazione alle ordinanze cautelari del TAR Veneto, sezione prima, 20 giugno 2022, n. 615 e 15 luglio 2022, n. 656, nella parte in cui hanno disposto il mantenimento, nei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese, delle speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le zone faunistiche alpine. 2.– La Regione premette che la legge reg. Veneto n. 2 del 2022 aveva disposto la sottoposizione dell’intero territorio del Comune di Rivoli Veronese e di parte del territorio del Comune di Caprino Veronese al regime giuridico degli ambiti territoriali di caccia (ATC) e la loro sottrazione (integrale, nel primo caso, parziale, nel secondo) al regime della ZFA. 3.– La ricorrente sostiene che i provvedimenti cautelari avrebbero disposto in diretto e radicale contrasto con le previsioni della legge reg. Veneto n. 2 del 2022 e sarebbero stati adottati in carenza assoluta di giurisdizione. Essi, al contempo, lederebbero l’autonomia legislativa costituzionalmente garantita della Regione, nonché le competenze costituzionali del Consiglio regionale. La ricorrente contesta, in particolare, l’abnorme uso del potere giurisdizionale, in violazione dell’art. 101, secondo comma, Cost., che sancisce il principio della soggezione del giudice alla legge, funzionalmente collegato alla previsione del giudizio accentrato di costituzionalità di cui all’art. 134 Cost., nonché la violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost., avuto riguardo alla competenza legislativa residuale della Regione Veneto, in materia di caccia, e dell’art. 121, secondo comma, Cost., che assegna al Consiglio regionale il compito di esercitare la potestà legislativa attribuita alla Regione, anche in riferimento agli artt. 19, 20 e 21 dello statuto regionale del Veneto, i quali, in forza dell’art. 123, primo comma, Cost., ribadiscono tale attribuzione e ne regolano l’esercizio. 4.– In via preliminare, deve disporsi la riunione dei giudizi perché i ricorsi propongono le stesse doglianze e si fondano su argomentazioni sostanzialmente comuni. 5.– Sempre in via preliminare, le eccezioni di inammissibilità dei ricorsi formulate dall’Avvocatura generale dello Stato non possono trovare accoglimento. 5.1.– Sono, in primo luogo, non fondate le deduzioni del Presidente del Consiglio dei ministri che censurano i ricorsi per genericità, poiché la Regione Veneto contesta con chiarezza l’asserita interferenza da parte del TAR Veneto nella propria attività legislativa di pianificazione del territorio e, in particolare, nella scelta, desumibile dalle cartografie allegate alla legge reg. Veneto n. 2 del 2022, di ridurre la porzione del territorio del Comune di Caprino Veronese rientrante nella zona faunistica delle Alpi e di disporre la totale esclusione del Comune di Rivoli Veronese dalla medesima zona. 5.2.– L’Avvocatura generale dello Stato ritiene, poi, che i ricorsi sarebbero inammissibili in quanto volti a contestare le modalità di esercizio della funzione giurisdizionale da parte del TAR Veneto. In proposito, questa Corte ha costantemente ritenuto ammissibile il conflitto tra enti che riguarda atti giurisdizionali, a condizione che esso non si risolva in un improprio strumento di sindacato del modo di esercizio della funzione giurisdizionale. In particolare, ha affermato che «i conflitti di attribuzione innescati da atti giurisdizionali sono ammissibili allorquando è contestata in radice l’esistenza stessa del potere giurisdizionale nei confronti del ricorrente e non ipotetici errores in iudicando, valendo, per questi ultimi, “i consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni” (sentenza n. 224 del 2019)» (sentenza n. 184 del 2022 e n. 90 del 2022; in senso analogo, sentenze n. 22 del 2020, n. 2 del 2018, n. 235 e n. 107 del 2015). In caso contrario, infatti, il giudizio costituzionale sul conflitto si trasformerebbe «in un nuovo grado di giurisdizione avente portata generale che si andrebbe ad aggiungere ai rimedi per far valere eventuali vizi o errori di giudizio già previsti dall’ordinamento processuale nel quale l’atto di giurisdizione concretamente si iscrive» (sentenza n. 326 del 2003). Dunque, il conflitto è ammissibile solo quando è contestata radicalmente la riconducibilità dell’atto che ha determinato il conflitto alla funzione giurisdizionale (sentenza n. 252 del 2013). Nel caso in esame, la ricorrente non lamenta il cattivo uso del potere cautelare da parte del TAR Veneto, che ha disposto la sospensione degli atti applicativi della legge reg. Veneto n. 2 del 2022, ma contesta che, con le ordinanze impugnate, si sia stabilito che siano mantenute nei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese le speciali forme di limitazione dell’esercizio dell’attività venatoria previste per le zone faunistiche alpine. Rispetto a quest’ultimo precetto contenuto nelle ordinanze cautelari, la Regione sostiene che il TAR Veneto avrebbe esercitato un potere che ad esso non compete, in quanto non riconducibile alla giurisdizione. La ricorrente, pertanto, denuncia un errore «che è caduto sui confini stessi della giurisdizione e non sul concreto esercizio di essa» (sentenza n. 285 del 1990): da ciò consegue l’ammissibilità dei ricorsi. 6.– Nel merito, i ricorsi non sono fondati. 6.1.– Il TAR Veneto, nelle ordinanze cautelari da cui originano i conflitti proposti dalla ricorrente, ha sospeso – nei limiti di interesse dei soggetti interessati – l’efficacia dei provvedimenti applicativi della legge reg. Veneto n. 2 del 2022 e ha disposto, «per l’effetto», che – in attesa della definizione della questione pregiudiziale di legittimità costituzionale sollevata innanzi a questa Corte (iscritta al n. 137 r.o. 2022) – venissero mantenute, nei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese, le speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le zone faunistiche delle Alpi. Con tale affermazione il TAR Veneto non ha esercitato un potere abnorme, come ritenuto dalla ricorrente, ma si è limitato a specificare l’effetto proprio della sospensione degli atti amministrativi impugnati e cioè che, in conseguenza della sospensione dell’efficacia degli atti che dettavano disposizioni applicative per l’inserimento dei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese negli ATC, nei medesimi territori si sarebbero mantenute le tutele dall’esercizio del prelievo venatorio previste per le zone faunistiche delle Alpi. Come noto, nell’esercizio del potere cautelare al giudice amministrativo è consentito adottare tutte le misure «che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso», ai sensi dell’art. 55, comma 1, dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo), al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo). Dunque, nell’ottica dell’effettività della tutela giurisdizionale, il potere cautelare non si esaurisce nella sospensione dell’atto impugnato, ma comprende la possibilità di adottare misure “atipiche”, a contenuto propulsivo o sostitutivo, con le quali viene attribuito anticipatamente e provvisoriamente il bene della vita cui aspira il ricorrente. Nel caso in esame, il giudice amministrativo, nell’adottare una misura cautelare di natura sospensiva e, dunque, “tipica”, ha solo chiarito quali fossero gli effetti necessariamente conseguenti all’esercizio del potere cautelare di sospensione degli atti applicativi della legge, specificando quale sia la disciplina del prelievo venatorio nei territori interessati, come conseguenza diretta e automatica della disposta sospensione. 6.2.– Dunque, il TAR Veneto è intervenuto nei limiti del potere giurisdizionale, adottando una misura strettamente funzionale a garantire l’effettività della tutela cautelare, esercitata tramite la sospensione degli atti amministrativi e volta a evitare possibili pregiudizi irreparabili nelle more della definizione della indicata questione pregiudiziale di legittimità costituzionale. La misura non interferisce con le prerogative legislative della Regione Veneto e trova applicazione solo ed esclusivamente nei territori dei Comuni interessati, senza intaccare il potere di pianificazione faunistica-venatoria spettante alla ricorrente sull’intero territorio regionale. 6.3.– In conclusione, non vi è stata lesione del principio della soggezione del giudice alla legge di cui all’art. 101 Cost., secondo comma, in quanto il TAR Veneto ha adottato le misure previste dal codice del processo amministrativo con l’obiettivo di assicurare l’effettività della tutela cautelare. Di conseguenza, non sono stati violati gli altri parametri costituzionali evocati nei ricorsi, poiché l’esercizio del potere cautelare da parte del giudice amministrativo non ha invaso la competenza legislativa residuale riconosciuta alle regioni dall’art. 117, quarto comma, Cost. né ha interferito con le attribuzioni del Consiglio regionale di cui all’art. 121, secondo comma, Cost. 7.– I ricorsi, pertanto, non sono fondati. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara che spettava allo Stato, e per esso al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione prima, adottare le ordinanze cautelari 20 giugno 2022, n. 615 e 15 luglio 2022, n. 656, nella parte in cui hanno, rispettivamente, disposto che «vengano mantenute, nel territorio del Comune di Rivoli Veronese, le speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le Zone Faunistiche Alpine» e che «vengano mantenute, nei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese, le speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le Zone Faunistiche Alpine». Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 aprile 2023. F.to: Silvana SCIARRA, Presidente Marco D'ALBERTI, Redattore Igor DI BERNARDINI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2023. Il Cancelliere F.to: Igor DI BERNARDINI

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7916 del 2020, proposto da Federazione Pr. Su. ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Lu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ju. Se., Fa. Ca. e Lu. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Lu. Gr. in Roma, via (...); nei confronti Gi. Jo. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pe. Pl. e Al. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa - Sez. Aut. di Bolzano n. 174 del 09.07.2020, con cui lo stesso Tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalle odierne appellanti Federazione Pr. Su. ed altri per l'annullamento e/o la declaratoria di nullità della delibera della Giunta provinciale della Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige del 10 settembre 2019, n. 762, con oggetto "Interventi integrativi previsti per lo sviluppo delle zone sciistiche "Mo. Cu." e "Va." nel Comune di (omissis). Approvazione con condizioni", pubblicata nel Bollettino Ufficiale n. 40/Sez. gen. del 03/10/2019 della Regione Trentino/Alto Adige, nonché di ogni altro provvedimento amministrativo presupposto e successivo, anche non conosciuto, qualora autorizzi, sostenga o renda possibile l'intervento integrativo in oggetto. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Gi. Jo. Spa e della Provincia Autonoma di Bolzano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2022 il Cons. Ulrike Lobis e uditi per le parti gli avvocati Al. Te. in sostituzione dell'avv. Lu. Ma., Lu. Gr. e Al. Ba.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in esame, la ricorrente Federazione Pr. Su. ha impugnato la sentenza del TRGA di Bolzano n. 174/2020 che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la deliberazione della giunta provinciale di Bolzano del 10 settembre 2019 numero 762 avente ad oggetto "Interventi integrativi previsti per lo sviluppo delle zone sciistiche Mo. Cu. e Va. nel comune di Rio Pu., approvazione con condizioni", con la quale è stato approvato lo studio di fattibilità per l'ampliamento delle zone sciistiche Mo. cu. e Va. a condizione che per la progettazione della stazione a Monte del impianto di risalita Kl. venisse richiesto il parere al comitato provinciale per la cultura architettonica e il paesaggio. 1.1. La società proponente soc. Gi. Jo. aveva presentato, in data 17.11.2017, uno studio di fattibilità per l'approvazione di un intervento integrativo ai sensi dell'art. 9bis del DPGP 3/2012, nella cui relazione sono state approfondite le strategie di sviluppo della zona sciistica e gli investimenti possibili. Il progetto si inserisce fra i cosiddetti "Interventi integrativi in zone sciistiche" disciplinati dall'art. 5 della legge provinciale n. 14/2010, ai sensi del quale possono essere realizzate infrastrutture su superfici situate in parte esternamente alle zone sciistiche inserite nel piano di settore. Lo studio di fattibilità prevedeva il rinnovamento dell'impianto di risalita Mi., con contestuale ampliamento della zona sciistica in direzione del monte "Pi. Cu.". Secondo i ricorrenti in primo grado, sarebbero stati previsti nello specifico la realizzazione di un nuovo impianto di risalita ("Pi. Cu."- impianto ad ammorsamento automatico con portata di 1.800-2.400 persone/ora) e di tre piste da sci ("Pi. Cu.", "Kl." "Mi. II"). Dopo l'approvazione dello studio di fattibilità in oggetto da parte del Consiglio comunale di (omissis) con delibera n. 54 del 30.11.2017, l'AVS Sezione di Bressanone ha manifestato la propria contrarietà all'intervento depositando osservazioni durante la fase di pubblicazione dello studio di fattibilità . All'esito del periodo di pubblicazione il Sindaco di (omissis) ha provveduto a trasmettere lo studio di fattibilità approvato dal Consiglio comunale alla Ripartizione provinciale Natura, paesaggio e sviluppo del territorio. Di seguito è pervenuta la "valutazione della rispondenza degli interventi integrativi con i principi dello sviluppo sociale, economico e turistico" dd. 19.12.2018 ad opera della Commissione introdotta dall'art. 5, co. 2, della L.P. 14/2010, che ha concluso in maniera favorevole all'intervento. L'intervento è stato quindi valutato anche dal Comitato ambientale in occasione della seduta del 3.4.2019, all'esito della quale è stato emesso il parere n. 3/2019 del 15.4.2019 di contenuto negativo in ordine all'intervento proposto. Nonostante il parere negativo del Comitato ambientale l'intervento integrativo in oggetto è stato approvato dalla Giunta provinciale con delibera n. 762 del 2019. 1.2. Con ricorso al TRGA i ricorrenti in primo grado, a fondamento del ricorso hanno dedotto due motivi: I) Violazione dell'art. 7 co. 1 della L.P. 17/1993 alla luce della valutazione "autonoma" degli aspetti positivi e negativi da parte della Giunta provinciale. Violazione dell'art. 9bis, co. 3, del DPGP 3/2012 per non essersi tenuto conto del parere del Comitato ambientale. Eccesso di potere per contraddittorietà . II) Violazione dell'art. 7, co. 1, della L.P. 17/1993 per istruttoria carente ovvero falsamente rappresentata, nonché per motivazione erronea, contraddittoria e insufficiente rispetto alla presunta localizzazione periferica e rispetto all'affermazione per cui, in mancanza di autorizzazione dell'intervento, "la popolazione locale e gli ospiti, nel caso non venisse realizzato quanto prospettato, andrebbero a recarsi in altre stazioni sciistiche". Eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà e irrilevanza della prescrizione prevista. Difetto di interesse pubblico. Eccesso di potere per mancato riferimento al Piano di settore per gli impianti di risalita e le piste da sci, approvato con delibera della Giunta provinciale n. 1545/2014. 1.3. Il TRGA di Bolzano, con sentenza n. 88/2021 dopo aver ritenuto sussistente la legittimazione a ricorrere in capo alle associazioni ricorrenti, ha dichiarato inammissibile il ricorso per carenza di interesse a ricorrere in quanto l'approvazione dello studio di fattibilità non avrebbe recato ancora alcun pregiudizio per gli interessi ambientalistici rappresentati dalle associazioni; secondo il Giudice di prime cure, la impugnata delibera si sarebbe trovata ancora nella prima fase del complesso procedimento amministrativo, il quale, secondo la sentenza n. 55/2020 dello stesso TRGA, non avrebbe avuto per oggetto il progetto definitivo pronto per essere realizzato, per cui lo studio di fattibilità non avrebbe arrecato alcun pregiudizio agli interessi rappresentati dai ricorrenti; l'interesse sarebbe sussistente qualora fosse direttamente riconducibile al provvedimento impugnato e non, come nel caso concreto, ad un provvedimento futuro (approvazione del progetto). 2. Avverso tale pronuncia le associazioni appellanti ha formulato i seguenti motivi di appello: (1) Erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto in primo grado da FPS, AVS e dall'AVS Sektion Brixen per asserito difetto dell'interesse a ricorrere avverso il provvedimento impugnato. Violazione ed errata applicazione dell'art. 9bis del DPGP 3/2012 (regolamento di attuazione della L.P. 14/2010). Violazione ed errata applicazione degli artt. 100 c.p.c. nonché 9 co. 2, 32 e 117 Cost. in relazione agli artt. 24 e 118 Cost. Violazione dell'art. 11 d.lgs. 152/2006 e della direttiva 2001/42/CE in materia di valutazione ambientale strategica. Violazione dell'art. 9 della Convenzione di Aarhus (sottoscritta dalla Comunità europea e dai suoi stati membri nel 1998), approvata a nome della Comunità europea con la Decisione 2005/370/CE del Consiglio (17 febbraio 2005). (2) Erroneità della sentenza appellata per mancata pronuncia - discendente dall'illegittima declaratoria di inammissibilità per asserito difetto di interesse a ricorrere - sui motivi di ricorso proposti in primo grado. Riproposizione di tali motivi in sede di appello. (3) In subordine: erroneità della condanna alle spese disposta dalla sentenza appellata alla luce dell'imprevedibile mutamento nella giurisprudenza del TRGA successivamente alla notifica e al deposito del ricorso di primo grado. Violazione ed errata applicazione dell'art. 92 co. 2 c.p.c. 2.1 Secondo gli appellanti, l'approvazione dell'intervento integrativo costituirebbe il presupposto per l'autorizzazione della realizzazione concreta del progetto, la quale porterebbe ad una compromissione del paesaggio e quindi dell'ambiente, oltre a rappresentare una minaccia per la flora e la fauna, come osservato nel parere del Comitato ambientale. 2.2. Si sono costituiti la Provincia autonoma di Bolzano e la soc. Gi. Jo. con articolate memorie, chiedendo entrambe il rigetto dell'appello. 2.3. Secondo la Gi. Jo. la questione sulla proponibilità del ricorso in questa fase non riguarderebbe la domanda se l'approvazione dello studio di fattibilità può essere impugnata, bensì quando essa può essere impugnata; nel procedimento di approvazione dello studio di fattibilità non sarebbe prevista una relazione sull'impatto paesaggistico; una tale relazione sarebbe richiesta solo al momento della presentazione del progetto definitivo nell'ambito della procedura di approvazione ex art. 9 del DPGP n. 3/2012 (si veda a questo proposito anche l'art. 10, comma 3, lettera g) del citato decreto del Presidente della Giunta Provinciale. Sebbene l'art. 9-bis del DPGP preveda, al comma 3, che il Comitato ambientale esprima un parere motivato sull'impatto ambientale del progetto nell'ambito della procedura di approvazione, il comma 5 dello stesso articolo precisa che solo il progetto definitivo presentato ai sensi dell'art. 9 del DPGP n. 3/2012 va sottoposto alla valutazione di impatto ambientale. 2.4. Secondo la difesa della Provincia con la deliberazione n. 762/2019 la Giunta provinciale di Bolzano non sarebbe andata ad innestare nuove infrastrutture dello sci nella zona sciistica di Rio Pu., ma avrebbe solo acconsentito allo svolgimento successivo di tutte le verifiche ambientali necessarie per approvare un progetto; tale progetto, in base alle indicazioni di massima contenute nel relativo studio di fattibilità, risulterebbe conforme alla strumentazione urbanistica (Piano provinciale degli impianti di risalita e delle piste da sci, piano paesaggistico, piano urbanistico comunale) e in possibile contrasto con la disciplina ambientale per quanto attestato dal parere del Comitato ambientale debitamente richiamato che costituisce la valutazione ambientale strategica del piano-progetto. La giurisprudenza richiamata da parte appellante, che ammette pacificamente l'interesse a ricorrere delle associazioni ambientaliste avverso i provvedimenti di natura pianificatoria, in particolare ove emanati all'esito di procedimenti comprendenti la valutazione ambientale strategica ai sensi della direttiva VAS 2001/42/CE, non sarebbe pertinente, proprio perché la deliberazione giuntale non rappresenterebbe una decisione pianificatoria definitiva, avendo solo valore endoprocedimentale all'interno della valutazione di un determinato progetto; pertanto sarebbe destinata a perdere ogni efficacia qualora quel progetto non venisse realizzato. Infine, non sussisterebbe alcuna violazione delle disposizioni sulla valutazione ambientale strategica (VAS) in quanto la deliberazione della Giunta provinciale avrebbe debitamente richiamato il giudizio ambientale negativo del Comitato ambientale, che costituisce nella fattispecie la valutazione ambientale strategica; non sussisterebbe nessuna violazione dell'art. 11 co. 5 del d.lgs. 152/2006, ai sensi del quale la VAS prevista dalla direttiva 2001/42/CE "costituisce per i piani e programmi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione", con l'espressa previsione che "i provvedimenti amministrativi di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge". 2.5. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno depositato memorie (Provincia autonoma di Bolzano, soc. Gi. Jo.) e memoria di replica (Federazione Pr. Su.). 2.6. All'udienza del 22.10.2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 3. L'appello è fondato. 3.1 Con il primo motivo di appello (rubricato: Erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto in primo grado da FPS, AVS e dall'AVS Sektion Brixen per asserito difetto dell'interesse a ricorrere avverso il provvedimento impugnato. Violazione ed errata applicazione dell'art. 9bis del DPGP 3/2012 (regolamento di attuazione della L.P. 14/2010). Violazione ed errata applicazione degli artt. 100 c.p.c. nonché 9 co. 2, 32 e 117 Cost. in relazione agli artt. 24 e 118 Cost. Violazione dell'art. 11 d.lgs. 152/2006 e della direttiva 2001/42/CE in materia di valutazione ambientale strategica. Violazione dell'art. 9 della Convenzione di Aarhus (sottoscritta dalla Comunità europea e dai suoi stati membri nel 1998), approvata a nome della Comunità europea con la Decisione 2005/370/CE del Consiglio (17 febbraio 2005), le associazioni appellanti censurano la sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato l'inammissibilità del loro ricorso per difetto di interesse, sostenendo che il Giudice di prime cure avrebbe errato laddove ha ritenuto che l'approvazione dello studio di fattibilità relativo agli interventi integrativi alle zone sciistiche ai sensi dell'art. 9-bis del DPGP n. 3/2012 non rappresenterebbe un provvedimento lesivo degli interessi da loro rappresentati. Secondo l'appellante, la lesività dello studio di fattibilità deriverebbe (i) dal fatto che gli interventi integrativi alle zone sciistiche costituiscono atti di pianificazione attuativa; (ii) dalla circostanza che mediante l'approvazione dell'intervento integrativo "il proponente può presentare un progetto per la realizzazione di nuove infrastrutture sciistiche, il quale - in difetto di approvazione dell'intervento integrativo ai sensi dell'art. 9bis - dovrebbe essere, invece, rigettato a priori per difetto dei requisiti di legge". La giurisprudenza ammetterebbe pacificamente l'interesse a ricorrere delle associazioni ambientaliste avverso i provvedimenti di natura pianificatoria, in particolare ove emanati all'esito di procedimenti comprendenti la valutazione ambientale strategica. La sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto che ai sensi dell'art. 11, comma 5 del DLgs n. 152/2006 i provvedimenti amministrativi di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sarebbero annullabili per violazione di legge e - come sarebbe stato chiarito dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2651/2019 - la valutazione ambientale strategica deve essere obbligatoriamente effettuata ancorché la realizzazione dei progetti costituisca una mera eventualità . Da un tanto discenderebbe l'interesse delle associazioni ambientaliste ad impugnare i provvedimenti adottati in seguito alla procedura VAS anche nel caso in cui - come quello in oggetto - tale procedura costituisce solo il presupposto per la presentazione del vero e proprio progetto. 3.2. Il Collegio osserva che nello specifico l'intervento oggetto del provvedimento impugnato - concernente la realizzazione di un nuovo impianto di risalita ("Pi. Cu."- impianto ad ammorsamento automatico con portata di 1.800-2.400 persone/ora) e di tre piste da sci ("Pi. Cu.", "Kl." "Mi. II")- è ascrivibile, ai sensi dell'art. 9/bis del d.P.P. n. 3/2012, fra gli interventi "integrativi". Per interventi integrativi alle zone sciistiche, la deliberazione di approvazione di uno studio di fattibilità adottata ai sensi dell'art. 9-bis DPGP 12 gennaio 2012, n. 3 (Regolamento d'esecuzione alla legge provinciale 23 novembre 2010, n. 14, "Ordinamento delle aree sciabili attrezzate") - che concludendo il sub-procedimento modifica la preesistente pianificazione del territorio tutelato al fine di consentire l'intervento integrativo sull'area sciistica - assume carattere immediatamente lesivo, poiché si tratta del presupposto indefettibile per la presentazione di un progetto per la realizzazione di nuove strutture sciistiche, nel senso che quest'ultima è possibile solo all'esito della positiva conclusione della procedura ex art. 9-bis cit., che prevede la presentazione, ad opera del proponente, di un rapporto ambientale ex art. 5 della direttiva 2001/42/CE e l'adozione di un parere motivato sull'impatto ambientale dell'intervento da parte del Comitato ambientale, di cui la Giunta provinciale deve tener conto in sede di approvazione dell'intervento (cfr. in termini, Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2021 n. 4022). 3.3. Si deve, pertanto, affermare la sussistenza di un interesse concreto e attuale all'impugnazione della delibera di approvazione dello studio di fattibilità al fine di eliminare/caducare un presupposto giuridico di approvazione del progetto per la realizzazione di una nuova infrastruttura sciistica ai sensi del precedente art. 9, che si fondi su tale atto (v. art. 9-bis, comma 4, DPGP. n. 3/2012, secondo il quale "in caso di approvazione dello studio di fattibilità l'avente titolo può presentare il progetto definitivo, corredato della documentazione prevista. Il progetto definitivo è sottoposto alla procedura di approvazione di cui all'articolo 9"). 3.4. Per le ragioni sopra esposte, è fondato il primo motivo di appello avverso la sentenza del TRGA che ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di interesse a ricorrere. 4. Accertato l'interesse a ricorrere, il Collegio passa al vaglio dei motivi del ricorso di primo grado, riproposti in questa sede. 4.1. Con il primo motivo di ricorso (rubricato: Violazione dell'art. 7 co. 1 della L.P. 17/1993 alla luce della valutazione "autonoma" degli aspetti positivi e negativi da parte della Giunta provinciale. Violazione dell'art. 9bis, co. 3, del DPGP 3/2012 per non essersi tenuto conto del parere del Comitato ambientale. Eccesso di potere per contraddittorietà ), i ricorrenti in primo grado lamentano che la Giunta provinciale, essendo il parere socioeconomico e quello del Comitato ambientale tra loro discordanti, avrebbe proceduto ad una valutazione autonoma degli aspetti positivi e negativi, senza approfondire il contenuto dei due pareri, in particolare la Giunta non avrebbe tenuto conto del parere negativo del Comitato ambientale. 4.1.1. Con il secondo motivo di impugnazione (rubricato: Violazione dell'art. 7, co. 1, della L.P. 17/1993 per istruttoria carente ovvero falsamente rappresentata, nonché per motivazione erronea, contraddittoria e insufficiente rispetto alla presunta localizzazione periferica e rispetto all'affermazione per cui, in mancanza di autorizzazione dell'intervento, "la popolazione locale e gli ospiti, nel caso non venisse realizzato quanto prospettato, andrebbero a recarsi in altre stazioni sciistiche". Eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà e irrilevanza della prescrizione prevista. Difetto di interesse pubblico. Eccesso di potere per mancato riferimento al Piano di settore per gli impianti di risalita e le piste da sci, approvato con delibera della Giunta provinciale n. 1545/2014), i ricorrenti di primo grado sostengono che la motivazione della deliberazione conterrebbe delle valutazioni (stazione sciistica adatta alle famiglie, posizione periferica e aumento dell'attrattività turistica) che risulterebbero prive di qualsivoglia fondamento istruttorio e oltretutto non sarebbe stato spiegato quale sia l'interesse pubblico dell'intervento. 4.2. Le doglianze, le quali possono essere trattate congiuntamente, sono fondate. La deliberazione della Giunta provinciale qui impugnata, la quale con l'approvazione dello studio di fattibilità effettua una modifica della preesistente pianificazione del territorio tutelato, non ha minimamente preso posizione sul parere negativo del comitato ambientale n. 3/2019, il quale, ha tra l'altro rilevato che "L'intera zona ha una tipica conformazione da ambito ventoso che quindi durante l'inverno è coperta da uno scarso strato di neve che si esaurisce molto prima rispetto ai pendii localizzati più in basso. Questo aspetto, assieme alla qualità del manto vegetale esistente, identificato come habitat Natura 2000 codice 6150, fanno dell'intera zona un ruolo di prim'ordine ed un habitat interessante ed ecologicamente pregevole per differenti specie di flora e fauna. Inoltre le zone interessate dagli interventi in progetto sono ampiamente utilizzate dal fagiano di monte come zona di accoppiamento. L'ambito ventoso e povero di neve soprattutto nei mesi invernali è relativamente tranquillo, durante i mesi invernali, e rappresenta una delle poche zone rimaste in cui il fagiano di monte può trascorrere il periodo invernale. Il fagiano di monte (gallo cedrone, gallo forcello e simili) è elencato nell'Allegato I della Direttiva Uccelli (Direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio - specie di uccelli in pericolo o in via di estinzione). Ai sensi dell'articolo 4, comma 1 della direttiva, per le specie elencate nell'Allegato I sono da predisporre particolari misure di tutela in relazione ai loro habitat, in modo da garantire la sopravvivenza e riproduzione. Ai sensi dell'articolo 5 di questa direttiva, per le specie di uccelli che ricadono nella tutela dell'Allegato I, vige il divieto di disturbare intenzionalmente questi habitat, nel caso in cui il disturbo arrecato sia rilevante per la sopravvivenza e la riproduzione nella zona di diffusione delle specie. Gli interventi di costruzione in progetto e i movimenti di terra incidono fortemente sulla particolare qualità delle superfici del terreno, distruggendo il particolare microrilievo e il manto vegetale esistente. Inoltre l'attività sciistica provoca il disturbo a lungo termine della fauna selvatica, dato che le piste e gli impianti di risalita rendono l'intera zona inadeguata per la fauna selvatica..(..)" Infatti, la deliberazione impugnata si è limitata a accertare e statuire che " Il Comitato ambientale, presa visione del parere tecnico-scientifico di qualità espresso dal gruppo di lavoro in materia ambientale ai sensi dell'articolo 3 della legge provinciale del 13 ottobre 2017, n. 17, e considerata l'osservazione dell'Alpenverein Sü dtirol, (AVS) sezione di Bressanone, del 23 gennaio 2018, in data 3 aprile 2019, ha esaminato lo studio di fattibilità e il rapporto ambientale ed ha espresso un parere negativo (parere n. 3/2019) sull'impatto ambientale degli interventi integrativi. I pareri espressi dalla Commissione ai sensi dell'articolo 5, comma 2 della LP 14/2010 e dal Comitato ambientale sono tra loro discordanti, la Giunta provinciale pertanto procede ad una valutazione autonoma degli aspetti positivi e negativi e giunge alla conclusione che prevalgono le considerazioni socioeconomiche. Trattandosi infatti di una stazione sciistica adatta alle famiglie e localizzata in periferia la popolazione locale e gli ospiti, nel caso non venisse realizzato quanto prospettato, andrebbero a recarsi in altre stazioni sciistiche. La Giunta provinciale approva pertanto gli interventi integrativi alle zone sciistiche "Mo. Cu." e "Va." ma con la prescrizione che per la progettazione della stazione di monte dell'impianto di risalita "Kl." sia richiesto un parere al Comitato provinciale per la cultura architettonica ed il paesaggio. La Giunta provinciale rigetta pertanto l'osservazione dell'Alpenverein Sü dtirol, (AVS) sezione di Bressanone, del 23 gennaio 2018" 4.2.1. La deliberazione - nonostante l'art. 9bis, comma 3 del DPGP n. 3/2012 prevedesse che "La giunta provinciale delibera sull'intervento integrativo, tenendo conto del parere espresso dal Comitato ambientale"- non solo non entra nemmeno con una parola sul contenuto del parere negativo del comitato ambientale, omettendo l'indicazione di argomentazioni e motivazioni poste a fondamento della decisione di discostarsi da tale parere negativo, ma non indica nemmeno un argomento plausibile in base al quale ritiene prevalenti le considerazioni socio economiche; inoltre manca qualsiasi esplicitazione su quali valutazioni ed argomentazioni fonda la propria conclusione che si tratterebbe di una zona sciistica adatta alle famiglie e localizzata in periferia. 4.2.2. Nonostante si legga nella deliberazione che la "Giunta provinciale pertanto procede ad una valutazione autonoma degli aspetti positivi e negativi " non si rinviene nell'atto impugnato la minima traccia di un istruttoria effettuata, rispettivamente delle risultanze dell'istruttoria e tantomeno di una valutazione dettagliata dei presupposti posti a fondamento della decisione presa di approvare gli interventi integrativi e di rigettare le osservazioni dell'Alpenverein -Sezione di Bressanone, per cui la decisone adottata, per quanto attiene la motivazione della stessa in merito al discostamento dal parere obbligatorio del comitato ambientale, è priva dei connotati della sufficienza, logicità e comprensibilità, in quali sono richiesti anche al fine di giustificare l'uso legittimo del potere autoritativo. 4.2.3. Sulla base delle considerazioni svolte ai punti precedenti si ritiene fondata anche la doglianza delle associazioni appellanti fatta valere con il secondo motivo di impugnazione, relativa alla statuizione della Giunta che la stazione sciistica in oggetto sarebbe "adatta alle famiglie", in quanto non è stato esposto in nessuna parte della deliberazione impugnata la ragione per la quale la circostanza che si tratterebbe di una stazione sciistica "adatta alle famiglie" debba prevalere sugli aspetti ambientali negativi indicati nel parere del comitato ambientale. Anche per quanto attiene l'affermazione che la stazione sciistica sarebbe "localizzata in periferia" non si rinviene nella delibera impugnata alcuna motivazione, nemmeno per relationem, per cui, in accoglimento delle doglianze fatte valere, si deve concludere per l'annullamento degli atti impugnati. 4.3. Per quanto attiene, infine, l'ultimo motivo di impugnazione, formulato in subordine e concernente la censura della condanna alle spese disposta dalla sentenza appellata alla luce dell'imprevedibile mutamento nella giurisprudenza del TRGA successivamente alla notifica e al deposito del ricorso di primo grado, sostenendo che sarebbe stato quantomeno doverosa l'applicazione del disposto di cui all'art. 92 co. 2 c.p.c., con conseguente compensazione delle spese tra le parti, si rileva che sulla base dello sviluppo della giurisprudenza nella specifica materia si ritiene giustificata la compensazione delle spese per entrambi i gradi. 4.4. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). 4.5. Concludendo, l'appello va accolto come da motivazione e, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso in primo grado va accolto con conseguente annullamento dell'atto impugnato. 5. Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio di entrambi i gradi. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento impugnato in quella sede. Spese compensate di entrambi i gradi. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Alessandro Maggio - Consigliere Stefano Toschei - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Ulrike Lobis - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5772 del 2020, proposto da Associazione Mo. Wi. Italia Onlus, Ww. Italia Ong Onlus, Fai – Fo. Am. It., Associazione To. Cl. Al., Associazione Cl. Al. It. – Regione Lombardia, Le. Onlus, Li. Onlus, It. No., Federazione Nazionale Pr. Na., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Pa. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ju. Se. e Lu. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Gr. in Roma, via (…); nei confronti Provincia Autonoma di Trento, Regione Lombardia, Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige - Ufficio Parco Nazionale dello (Omissis), Ufficio Parco Nazionale dello (Omissis), Comune di (Omissis), Cai Alto Adige Al. Su. Fed.Ne Protezionisti Su.esi, non costituiti in giudizio; Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; Funivie di So. S.r.l. – Se. Su. Gmbh, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Ma., Ka. Ze., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Ma. in Roma, via (…); per la riforma della sentenza del T.R.G.A. - sezione autonoma della provincia di Bolzano n. 55/2020, resa tra le parti, concernente: - la Delibera della Giunta Provinciale della Provincia autonoma di Bolzano n. 106 del 6/2/2018 pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Provincia n. 7/I-II del 15/02/2018 avente ad oggetto: "Intervento integrativo alla zona sciistica So. nel Comune di (Omissis) per il completamento del progetto Ortler Ronda. Approvazione” (doc. 1); - tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, compresi ed in particolar modo della delibera del Consiglio Comunale di (Omissis) n. 17 del 28/07/2016 sia nella versione trasmessa all'Amministrazione provinciale con comunicazione del 26/10/2016 (n. prot. E/2885), sia nella versione integrativa trasmessa alla stessa Amministrazione il 22/08/2017, delibera del Consiglio comunale di (Omissis) n. 17 del 28 luglio 2016 con cui sono stati ap-provati lo studio di fattibilità` e il rapporto ambientale presentati da Se. Su. srl, la documentazione integrativa (n. prot. 489397 del 22 agosto 2017), il parere positivo con condizioni del Comitato ambientale n. 9/2017 del 15 novembre 2017 (seduta del 18 ottobre 2017, il parere dell'Ufficio Sistemazione bacini montani ovest del 4 settembre 2017 (n. prot. 542369 del 7 settembre 2017), il parere della Ripartizione provinciale Mobilita` (n. prot. 661457 del 15 novembre 2017); parere preventivo dell'Ufficio Parco Nazionale dello (Omissis) (n. prot. 67291 del 30 gennaio 2018);   Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Bolzano, del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e di Funivie di So. S.r.l. – Se. Su. Gmbh; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2023 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Pa. Br., Lu. Gr., An. Ma. e Ka. Ze.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.   FATTO e DIRITTO 1.È appellata la sentenza del T.R.G.A. – sezione autonoma della Provincia di Bolzano – n. 55/2020 declaratoria d’inammissibilità ed infondatezza del ricorso collettivo proposto da Associazione Mo. Wi. Italia Onlus, Ww. Italia Ong Onlus, Fai – Fo. Am. It., Associazione To. Cl. Al., Associazione Cl. Al. It. – Regione Lombardia, Le. Onlus, Li. Onlus, It. No. e Federazione Nazionale Pr. Na. avverso la deliberazione della Giunta Provinciale della Provincia autonoma di Bolzano n. 106 del 6/2/2018 avente ad oggetto "Intervento integrativo alla zona sciistica So. nel Comune di (Omissis) per il completamento del progetto Ortler Ronda. Approvazione”. Cumulativamente, oltre i pareri resi dalle autorità chiamate a valutare la compatibilità ambientale dell’intervento, le associazioni ricorrenti hanno impugnato la delibera del Consiglio Comunale di (Omissis) (n. 17 del 28/07/2016) d’approvazione dello studio di fattibilità ed il rapporto ambientale presentati da “Funivie di So. s.r.l. – Se. Su. GmbH” (d’ora in poi, Funivie So.) di completamento del progetto di carosello sciistico “Ortler Ronda” mediante la realizzazione della funivia “Coston – Hintergrat” e della pista di sci “Gran Zebrù” Premesso di essere ricomprese, ai sensi art. 13 l. 349/1986, nell’elenco delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell’Ambiente, da cui la conseguente legittimazione al ricorso, le ricorrenti hanno dedotto la lesione del diritto di partecipazione al procedimento per effetto della redazione degli atti di natura tecnica e naturalistica, aventi efficacia esterna, esclusivamente in lingua tedesca, sì da ledere le garanzie di accesso procedimentale previste da norme di diritto internazionale (cfr., Dichiarazione di Rio del 1992 e Convenzione di Aarhus del 25.06.1998), e dagli artt. 99 e 100 dello Statuto di autonomia. 2.1 E, in ragione della valenza ambientale dei siti “Natura 2000” (“OrtlerMadritschspitze” e “Ulten-Su.”) – caratterizzati, fra l’altro, dalla presenza di 6 differenti habitat florofaunistici e di 8 specie faunistiche a pericolo di estinzione – ove ricade il progettato intervento, le associazioni ricorrenti hanno dedotto la plurima e concorrente violazione della stratificata disciplina di tutela ambientale applicabile al sito, individuata: i) nelle “Linee Guida per la predisposizione del Piano e del Regolamento del Parco nazionale dello (Omissis)” approvate dal Comitato di coordinamento e di indirizzo in data 19.01.2017, aventi – in attesa della definitiva approvazione del Piano del Parco – efficacia intertemporale cogente; ii) nelle norme convenzionali internazionali (Convenzione delle Alpi del 1991, ratificata con l. 14/1999; Protocollo sulla protezione della natura e la tutela del paesaggio; Protocollo sul turismo) laddove istituiscono puntuali obblighi di tutela degli habitat protetti, prescrivendo, con specifico riferimento alla realizzazione e gestione degli impianti di risalita, l’adozione di procedure di valutazione degli impatti ambientali rispettose delle esigenze ecologiche e paesaggistiche; iii) nell’art. 3, comma 2, lett. b) della direttiva 42/2001/CE per l’assenza sia della valutazione ambientale strategica (VAS), ritenuta necessario presupposto per modificare il Piano di Settore “impianti di risalita e piste da sci”, che della “Valutazione di incidenza ambientale” (id est, VINCA); iiii) nel “principio di precauzione”, ex artt. 3/ter, 3/quater e 301, comma 2, d.lgs. 152/2006, di scaturigine unionale, precettivamente inteso. Il TRGA, aderendo alla prospettazione delle parti resistenti, ha dichiarato il ricorso, in parte, inammissibile e, per altra parte, infondato. 3.1 Quanto alla pronuncia in rito, le norme in tema di bilinguismo, secondo i giudici di prime cure, sono state male invocate poiché “non intercettano gli interessi ambientali, trattandosi di disposizioni che disciplinano in via generale l’azione amministrativa in ambito provinciale in funzione della tutela delle minoranze linguistiche e della parità dei gruppi linguistici, ai sensi del D.P.R. n. 670/1972”. 3.2 Quanto al capo di sentenza di reiezione nel merito, l’iniziativa assunta dalle associazioni ricorrenti, a giudizio del TRGA, sarebbe (stata) prematura, “in quanto il ricorso è stato proposto avverso provvedimenti di approvazione di un mero studio di fattibilità privo di rilievo esterno e di effetti lesivi diretti che saranno, in ipotesi, configurabili soltanto all’esito dell’eventuale trasposizione dello studio di fattibilità in un conforme progetto definitivo”. Appellano la sentenza Associazione Mo. Wi. Italia Onlus, Ww. Italia Ong Onlus, Fai – Fo. Am. It., Associazione To. Cl. Al., Associazione Cl. Al. It. – Regione Lombardia, Le. Onlus, Li. Onlus, It. No. e Federazione Nazionale Pr. Na.. Resistono la Provincia autonoma di Bolzano, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e “Funivie di So. s.r.l. – Se. Su. GmbH”. All’udienza pubblica del 16 marzo 2023 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. Col primo motivo d’appello, le associazioni, ribadita la propria legittimazione ex lege al ricorso, lamentano error in judicando nonché violazione del diritto di partecipazione al procedimento ambientale e violazione della normativa in tema di bilinguismo di cui agli artt. 3, 97 e 24 cost., artt. 7 e 13 l. 241/90, artt.99 e 100 dello Statuto di Autonomia e disposizioni attuative, Convenzione di Aarhus, articoli 191, paragrafi 1 e 2,TFUE e 267 TFUE. L’aver circoscritto – come ritenuto dal TRGA nel capo di sentenza appellato – la legittimazione delle associazioni ambientaliste alla proposizione dei soli motivi d’impugnazione “strettamente ambientali”, senza ricomprendervi le censure c.d. procedimentali, pregiudicherebbe, secondo il motivo d’appello in esame, il diritto di partecipazione al procedimento, esercitabile mercé l’ostensione degli atti e documenti, relativi al procedimento, in doppia lingua, italiana e tedesca. Diritto, ribadiscono le ricorrenti, sancito dal principio dieci della Dichiarazione di Rio del 1992, a mente del quale “Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli…”; nonché dalla Convenzione di Aarhus, firmata il 25 giugno 1998 ed approvata a nome dell'UE dalla decisione 2005/370/CE del Consiglio, laddove prescrive agli stati membri di garantire accesso ai documenti dei procedimenti che riguardano l'ambiente, e all'informazione ambientale, “per un effettiva partecipazione di tutti i cittadini e le associazioni alle relative decisioni, oltre che per garantire poi il successivo sindacato giurisdizionale sulle stesse”. 6.1 Il motivo è infondato. La l.p. 13 ottobre 2017 n. 17, (nella rubrica intitolata “Valutazione ambientale per piani, programmi e progetti”), all’art. 11 prevede la redazione in lingua italiana e tedesca della proposta di piano o di programma, del rapporto ambientale corredato da una sintesi non tecnica. Contestualmente – aggiunge la norma – l’amministrazione “cura la pubblicazione su proprio sito web di un avviso contenente gli atti sopra menzionati indicando le sedi dove è possibile prendere visione di essi e presentare osservazioni”. La disciplina provinciale, attagliantesi al caso in esame, è sostanzialmente in linea con la normativa sovranazionale richiamata, raggiungendo il punto d’equilibrio fra gli interessi partecipativi degli aventi diritto al procedimento e la semplificazione della procedura in itinere. Del resto, la messa a disposizione degli atti del procedimento nelle modalità prescritte dalla norma provinciale ha consentito alle associazioni ricorrenti di formulare cognita causa i motivi d’impugnazione in esame, articolati su piani eterogenei, non circoscritti ai profili strettamente ambientali. Con il secondo motivo d’appello, si denuncia error in judicando, violazione di legge, della: Direttiva 42/2001/CE; d.lgs.152/06; art. 5 l. p. 14/2010 e s.m.i.; l. p. 13/97 e s.m.i. l. p. 17/2017. Accogliendo l’eccezione proposta dalla Provincia di Bolzano, i giudici di prime cure, denunciano le ricorrenti, avrebbero erroneamente ritenuto che le delibere impugnate, in quanto atti interni di una sequenza procedimentale destinati a consolidarsi solo all’esito dell’adozione dei successivi provvedimenti autorizzativi, non sarebbero autonomamente lesive. La qualificazione attribuita dal TRGA ai provvedimenti impugnati quali atti facenti parte di un mero progetto preliminare, oggetto di più approfondite analisi di matrice ambientale tramite l'integrazione della procedura di VIA, consentirebbe, secondo le associazioni ricorrenti, l’immediata modifica del Piano di Settore impianti di risalita e piste da sci, bypassando – come di fatto avvenuto – la procedura di Vas, prescritta dalla Direttiva 42/2001/CE. Violazione, denunciano le appellanti, tanto più manifesta per il fatto che analogo procedimento – relativo all’inserimento nel carosello sciistico in oggetto di un altro tassello nel 2012, c.d. Rosim – era stato sottoposto a VAS, in conformità all’art. 5 l.p. 14/2010. Norma che, con riguardo agli interventi in zona sciistica, opera una dicotomia fra interventi da sottoporre a valutazione a livello di progetto, ed interventi integrativi alla zona sciistica – qual è quello per cui è causa –, per i quali è prevista la valutazione strategico-territoriale di fattibilità a livello di piano. 7.1 Il motivo è fondato. 7.2 Per gli interventi integrativi alle zone sciistiche, ai sensi dell’art. 9 bis d.P.P. 12 gennaio 2012, n. 3 (Regolamento d’esecuzione alla legge provinciale 23 novembre 2010, n. 14, “Ordinamento delle aree sciabili attrezzate”), la deliberazione di approvazione del Consiglio Comunale e della Provincia autonoma di Bolzano dello studio di fattibilità – subordinata alla presentazione del rapporto ambientale e all’adozione del parere motivato sull’impatto ambientale dell’intervento da parte del Comitato ambientale – conclude il sub-procedimento di pianificazione, da cui prende avvio il successivo iter autorizzativo l’esecuzione delle opere progettate. Sicché la deliberazione di approvazione dello studio di fattibilità, concludendo il sub-procedimento, modifica la preesistente pianificazione del territorio tutelato al fine di consentire l’intervento integrativo sull’area sciistica, da cui l’interesse concreto ed attuale delle associazioni ambientalistiche all’ impugnazione dell’atto costituente il presupposto giuridico della successiva fase d’esecuzione delle opere progettate (cfr, in termini, Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2021 n. 4022). Una volta approvata la pianificazione della zona sciistica nel senso auspicato dalla società controinteressata Funivie So., nel successivo procedimento d’approvazione delle opere, l’iter autorizzativo infatti circoscritto alla sola verifica su tipo e modalità esecutive dell’intervento: all’opposto, l’interesse delle associazioni ricorrenti riposa, a monte, sull’integrità e la conservazione dell’assetto territoriale ed ambientale tal quale, a prescindere dal tipo d’intervento in concreto realizzabile. 7.3 La qualificazione degli atti impugnati quali atti di pianificazione è l’antecedente logico-giuridico per accogliere la censura sostanziale veicolata dalla violazione dell’art. 3, comma 2, lett. b) della direttiva 42/2001/CE per omesso esperimento della valutazione ambientale strategica (VAS). Più nello specifico, l’intervento oggetto dei provvedimenti impugnati – concernente un impianto di risalita ed una pista da sci – è ascrivibile, ai sensi dell’art. 9/bis del d.P.P. n. 3/2012, fra gli interventi “integrativi”, ricadente, in parte, esternamente alla zona sciistica “02.02. So.” come delimitata dal Piano di Settore. Integrando il Piano di Settore, diversamente da quanto dedotto dalla Provincia resistente, la deliberazione d’approvazione dello studio di fattibilità – coerentemente al suo significato semantico – non ha natura meramente esecutiva, conseguentemente la valutazione ambientale positiva riscontrata dal Piano di Settore non assorbe affatto quella a cui avrebbe dovuto essere sottoposta il nuovo strumento di pianificazione. Sul punto è dirimente l’art. 6 d.lgs. 152 del 2006 di recezione dell’art. 3 della direttiva VAS. Oltre a prevedere al 1°comma che la valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale, al comma successivo, la norma dispone che la Vas è richiesta per i piani (lett. a:) che “sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale…e turistico.”.; e, (lett. b:) “in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica…” Completa la cornice normativa il comma 12 laddove precisa che la valutazione strategica ambientale non è necessaria per la “localizzazione delle singole opere “…che “hanno, per legge, l'effetto di variante ai suddetti piani e programmi”. In definitiva, ai sensi delle norme appena richiamate, l’intervento “integrativo” del Piano di Settore – incidente in zona di protezione speciale, adottato nell’ambito della pianificazione e programmazione turistica e non avente efficacia ex lege di variante al preesistente piano – avrebbe dovuto essere preceduto dalla Vas (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 24 aprile 2019 n. 2651; Id., sez. IV, 28 novembre 2019 n. 1166). Paradigmaticamente, in considerazione della finalità della direttiva VAS, consistente nel garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, la Corte di Giustizia ha precisato che le disposizioni, enuncianti le definizioni degli atti di pianificazione incidenti sull’ambiente, devono essere interpretate in senso ampio (cfr., Corte giustizia UE, sez. II, 7 giugno 2018, causa C – 671/15, par. 34, che richiama anche la sentenza 27 ottobre 2016, D’Oultremont e a., C- 290/15, punto 40). 7.4 A fortiori, la Vas era tanto più necessaria poiché l’intervento integrativo ricade nel perimetro territoriale del Parco nazionale dello (Omissis), allo stato – o almeno al momento dell’adozione degli atti impugnati – ancora privo del Piano e del Regolamento del Parco, costituenti i parametri, gerarchicamente sovraordinati, cui devono conformarsi gli strumenti di pianificazione esecutivi delle opere realizzabili all’interno del Parco. Vale a dire che, in assenza dell’accertamento di conformità al Piano del Parco, la Vas era l’unico parametro per accertare il rispetto dei valori paesaggistici ed ambientali del nuovo strumento di pianificazione, posto che la relazione ambientale, annessa ex art. 9 bis d.P.P. 12 gennaio 2012 allo studio di fattibilità, già sul piano epistemico ancor prima che giuridico, non avendo ad oggetto la pianificazione del territorio tutelato, non surroga la VAS. Significativamente, i Comuni di (Omissis), Prato allo (Omissis) e Martello, nelle cui circoscrizioni ricade l’intervento, nel corso del tempo hanno espresso il parere di “non includere preventivamente nel Piano del Parco, comprensivo di impianti di risalita e relative piste, l'ampliamento del comprensorio sciistico di So. (“Ortles Ronda”) approvata dalla Giunta provinciale nel 2018, insieme al progetto, So. senza automobili“ , ma di discutere e negoziare l'intero progetto con il Ministero dell'Ambiente nel corso della valutazione del piano del parco”. Originariamente – va sottolineato – gli stessi enti locali avevano approvato lo studio di fattibilità o si erano espressi a favore dell’opera. L’accoglimento del principale e sostanziale motivo d’appello assorbe le residue censure. Conclusivamente l’appello è fondato e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, va accolto il ricorso di prime cure, annullando gli atti impugnati. Le spese del doppio grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, e vanno poste a carico esclusivamente della Provincia autonoma di Bolzano e delle Funivie So., non essendo imputabili al Ministero resistente gli atti annullati. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, accoglie il ricorso di prime cure ed annulla gli atti impugnati. Condanna la Provincia autonoma di Bolzano e Funivie di So. S.r.l. – Se. Su. Gmbh, in solido fra loro ed in parti uguali, al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio complessivamente quantificate in 8000,00 (ottomila) euro, oltre diritti ed accessori in favore di Associazione Mo. Wi. Italia Onlus, Ww. Italia Ong Onlus, Fai – Fo. Am. It., Associazione To. Cl. Al., Associazione Cl. Al. It. – Regione Lombardia, Le. Onlus, Li. Onlus, It. No., Federazione Nazionale Pr. Na., da dividersi fra di esse in parti uguali. Compensa le spese nei confronti del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti, Presidente Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore Roberto Caponigro, Consigliere Lorenzo Cordi', Consigliere Ulrike Lobis, Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. MAGRO M.B. - Consigliere Dott. AMOROSO M.Cristina - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia del 12/04/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Maria Cristina Amoroso; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Domenico Angelo Raffaele Seccia che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore della parte civile, avv. Vittorio Arena, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso o, in subordine, di rigettarlo con condanna dell'imputato alla refusione delle spese sostenute dalla parte nel presente giudizio come da nota spese che ha allegato; lette le conclusioni del difensore dell'imputato, avv. Roberto Bonardi, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso e, in subordine, la rimessione alle Sezioni Unite. Ricorso trattato del Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8. RITENUTO IN FATTO 1.La Corte d'appello di Brescia, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Brescia ha condannato l'imputato per il reato di uccellagione, per aver prelevato e detenuto 320 esemplari di uccellini selvatici di recente nascita e privi di anello identificativo inamovibile. Incontestato il fatto storico, la Corte d'appello ha inquadrato la condotta nel reato di uccellagione, essendo stata l'attivita' posta in essere senza uso di armi da fuoco, e foriera di un indiscriminato depauperamento della fauna selvatica. 2.Avverso tale provvedimento l'imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo in cui si deduce la violazione di legge in relazione all'inquadramento della condotta nella fattispecie di cui all'articolo 30 lettera e), che sanziona l'uccellagione. Rappresenta che, alla luce del dato testuale della previsione contenuta nell'articolo 3 della legge sulla caccia, il prelievo con le mani di "piccoli nati" integrerebbe una condotta diversa dal concetto di uccellagione e pertanto non punibile ai sensi della lettera e) dell'articolo 30 citato ma ai sensi della lettera h) del medesimo articolo, trattandosi di una ipotesi di caccia posta in essere con mezzi vietati. In ogni caso, rilevata l'esistenza sulla tematica di pronunce giurisprudenziali ritenute contrastanti, chiede, in subordine, la rimessione del procedimento alle Sezioni Unite. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. Non sussiste la lamentata violazione di legge dovendosi condividere l'inquadramento giuridico della condotta effettuato dalla Corte d'appello. La norma precettiva di cui alla L. 157 del 1992, articolo 3, della rubricata "Divieto di uccellagione", vieta, su tutto il territorio nazionale, ogni forma di uccellagione e di cattura di uccelli e di mammiferi selvatici, nonche' il prelievo di uova, nidi e piccoli nati. La questione giuridica proposta nel presente ricorso attiene alla possibilita' di ritenere che il prelievo di "piccoli nati" possa integrare la condotta di "uccellagione" sanzionata ai sensi della lettera e) dell'articolo 30 della legge sulla caccia. In mancanza di una specifica definizione normativa del concetto di uccellagione idoneo a delineare l'ambito applicativo del divieto di cui all'articolo 3, questo collegio ritiene opportuno privilegiare il dato testuale della norma e attribuire alla congiunzione "nonche'" il significato che gli e' proprio di "e, e anche, e inoltre". Il termine "nonche'" usato dopo il riferimento ad "ogni forma di uccellagione e di cattura di uccelli e di mammiferi selvatici", in quest'ottical appare funzionale ad includere del concetto di uccellagione il "prelievo" - nozione differente dalla ricerca e dalla cattura - di uova, nidi e piccoli nati, ovvero di categorie diverse dagli uccelli adulti, piuttosto che ad escluderla, sempre a condizione che tale prelievo avvenga con potenzialita' offensiva indeterminata o comporti una maggiore sofferenza per gli animali. Sotto quest'ultimo profilo deve, infatti, darsi continuita' al principio di diritto secondo cui costituisce uccellagione, e non caccia, qualsiasi atto diretto alla cattura di uccelli con mezzi diversi da armi da sparo (reti, panie ecc.) avendo il legislatore inteso sanzionare in modo specifico un sistema di cattura che ha in genere una potenzialita' offensiva piu' indeterminata e comporta maggior sofferenza biologica per i volatili. (Sez. 3, n. 4918 del 10/04/1996, Giusti, Rv. 205462 - 01; Sez. 3, n. 9607 del 02/06/1999 Baire, Rv. 214597 - 01). Alle considerazioni basate sul dato testuale, che gia' sarebbero di per se' sufficienti a confutare l'interpretazione prospettata dalla difesa - secondo la quale "il concetto di "uccellagione" sarebbe idoneo a ricomprendere ogni forma di uccellagione e di cattura di uccelli e mammiferi, essendo legate le due locuzioni dalla congiunzione "e", ma non il prelievo di uova, nidi e piccoli nati, perche' legati al primo elemento dal connettivo "nonche'" - appare utile aggiungere anche una ulteriore osservazione di carattere logico-sistematico. L'accoglimento della lettura difensiva comporterebbe la non comprensibile conseguenza di ritenere inclusa nella nozione di uccellagione la cattura di mammiferi selvatici, e non il prelievo di uova nidi e piccoli nati che oltre a consistere evidentemente in una tutela anticipatoria delle specie delle quali il legislatore vieta l'uccellagione, presenta indubbiamente maggiori assonanze semantiche con il concetto di uccellagione rispetto a quanto possa presentarne la cattura di mammiferi selvatici. L'estensione della nozione di uccellagione anche al prelievo di nidi uova e piccoli nati appare inoltre ermeneusi preferibile anche perche' maggiormente rispettosa della ratio legis individuabile nella volonta' legislativa di scongiurare il rischio del verificarsi di un depauperamento della fauna avicola a causa delle modalita' dell'esercizio venatorio ed in considerazione dell'adozione di particolari mezzi, aventi una potenzialita' offensiva indeterminata. (cfr. Sez. 3, 18/12/1995 n. 1713, Palandri, Rv. 204727). In proposito si evidenzia che secondo il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita', la condotta di "uccellagione" punibile dalla legge sulla caccia articolo 30, comma 1 lettera e), - essendo il reato, configurato come fattispecie di pericolo a consumazione anticipata - e' integrata "da qualsiasi atto diretto alla cattura di uccelli con mezzi diversi dalle armi da sparo e con potenzialita' offensiva indeterminata, o comportante una maggiore sofferenza per gli animali, non essendo invece richiesta l'effettiva apprensione dei volatili". (Sez. 3, n. 7861 del 12/01/2016, Vassalini, Rv. 266278 - 01; Sez. 3, n. 6343 del 01/02/2006, Fagoni, Rv. 233316 - 01; Sez. 3, n. 19554 del 17/03/2004, Rv. 228886 - 01). Pertanto, una interpretazione della nozione di uccellagione non inclusiva di uova nidi e piccoli nati, priverebbe di sanzione, senza alcuna logica, una condotta che, se posta in essere con potenzialita' offensiva indeterminata, impedirebbe alle specie di arrivare all'eta' adulta, cagionando una ben piu' grave offesa alla fauna selvatica rispetto a qualsivoglia attivita' prodromica alla cattura. Da ultimo, l'interpretazione prospettata appare confortata anche da considerazioni legate alle ontologiche caratteristiche del prelievo in oggetto, posto che l'effettiva apprensione di uova nidi e piccoli nati inevitabilmente implica una preventiva ricerca, condotta pacificamente rientrante nella nozione semantica e giuridica di "uccellagione". In questo senso si e' pronunciata Sez. 3, n. 9574 del 08/10/1996, Feltrini, Rv. 206466 - 01 in cui si e' affermato che la cattura di uccelletti appena nati, senza uso di armi da fuoco e dopo appostamenti e ricerche fra gli alberi, integra, per la lettera e la "ratio" della norma, il reato di uccellagione, di cui la L. 11 febbraio 1992, n. 157, articolo 30, comma 1, lettera e), "in quanto l'uccellagione deve ritenersi consistere non solo nell'atto finale della apprensione di uccelli vivi e vitali con mezzi diversi dalle armi da fuoco, ma altresi' negli atti preparatori e strumentali, quali il vagare o il soffermarsi in attesa o nella ricerca dei volatili". Alla luce di quanto chiarito va pertanto ridimensionato il contrasto che l'imputato ritiene di poter desumere dalle pronunce di Sez. 3, del 13/11/2000, n. 139, Sez. 3, 10/02/ 2015, n. 11350 e da Sez. 3, 28/2/2017 n. 38665, posto che le stesse si riferiscono a fattispecie aventi ad oggetto il prelievo di un esiguo numero di piccoli nati, in cui la sussumibilita' della condotta nel reato di "uccellagione" e' stata esclusa a causa della scarsa potenzialita' offensiva della stessa e della concreta modalita' del prelievo, non idoneo a cagionare sofferenze ai piccoli volatili. In ragione di questi rilievi e' possibile affermare che "integra il reato di uccellagione di cui alla L. 157 del 1992 articolo 30, lettera e), la condotta di chi prelevi uova nidi o piccoli nati, con mezzi diversi dalle armi da sparo, e con potenzialita' offensiva indeterminata, o comportante una maggiore sofferenza per gli animali". 4. Nel caso di specie la Corte d'appello ha fatto corretta applicazione del principio indicato qualificando la condotta posta in essere dall'imputato quale uccellagione sanzionabile ai sensi dell'articolo 30, lettera e), sulla base dell'attivita' di ricerca svolta dall'imputato, del prelievo innaturale e traumatico degli uccellini, non ancora autosufficienti con le mani, della reiterazione dell'azione e della sua potenzialita' offensiva indeterminata, concretizzatasi nel prelievo di 320 esemplari nati da una settimana. 3.Per queste ragioni il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende ed alle spese di rappresentanza e di difesa sostenute dalla parte civile nel presente giudizio. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro tremilacinquecentocinquantuno, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9163 del 2016, proposto da Fe. To., Sezione Provinciale di Siena di Fe. To., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma. Br., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Provincia di Siena, Associazione Nazionale Li. Ca. - Sezione Provinciale di Siena, Ambito Territoriale di Caccia di Siena e Regione Toscana, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Seconda n. 01065/2016, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza straordinaria del giorno 14 dicembre 2022 il Cons. Annamaria Fasano e uditi per le parti l'avvocato Br. Al. Ma. in collegamento da remoto; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.Con deliberazione 23 giugno 2015, n. 23, il Consiglio Provinciale di Siena nominava i componenti del Comitato di gestione dell'A.T.C. di Siena. I tre posti spettanti alle associazioni venatorie di livello nazionale erano attribuiti ai signori Ma. Ne. (designato dalla Sezione provinciale di Fe.) Ma. Lo. (designato da Ar. Ca.) e Ma. Ag. (designato da Li. Ca.). L'art. 14 della L.R. Toscana 30 dicembre 2014, n. 88 prevedeva che le Province provvedessero alla nomina dei Comitati di Gestione dei nuovi Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) secondo i criteri fissati dalla Giunta Regionale Toscana con deliberazione n. 388 del 30 marzo 2015, sulla base del Regolamento regionale n. 33/R/2011. L'art. 3 di tale Regolamento, in ossequio all'art. 14, comma 10, l. 157/1992 e all'art. 11 ter della L.R. Toscana 12 gennaio 1994, n. 3, stabiliva che il Comitato di Gestione dell'A.T.C. doveva essere composto di dieci membri di cui: tre appartenenti a strutture delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; tre appartenenti alle associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; due appartenenti alle associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazional per l'ambiente, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; due designati dalla Provincia, con il criterio del voto limitato. Lo stesso art. 3 prevedeva che la Provincia provvedeva alla nomina dei membri del Comitato di Gestione sulla base dei nominativi indicati dagli organismi, tenendo conto dell'intesa eventualmente raggiunta; ovvero, in caso di mancato accordo, tale nomina doveva avvenire entro sessanta giorni dalla richiesta secondo la rappresentatività espressa dalle organizzazioni e associazioni. Le associazioni venatorie riconosciute e stabilmente organizzate sul territorio della Provincia di Siena (Fe. ed altri) non raggiungevano unitariamente alcuna intesa riguardo ai componenti del Comitato di Gestione, e ognuna di esse trasmetteva singolarmente le proprie proposte di candidatura alla Provincia. 2. Ai fini della nomina dei tre componenti, il Consiglio provinciale di Siena seguiva un criterio che guardava alla rappresentatività numerica a livello locale, ma con il temperamento "del principio di rilievo costituzionale del pluralismo partecipativo", fondato sulla necessità di pervenire alla nomina in seno ai Comitati A.T.C. dei designati di varie organizzazioni o associazioni, secondo l'ordine di importanza rappresentativa di ciascuna e con riguardo alla organizzazione e alla presenza sul territorio delle medesime, fino a concorrenza dei posti disponibili. Ne conseguiva l'attribuzione di un rappresentante a ciascuna delle tre associazioni sopra richiamate, pur in presenza di una rappresentativita numerica a livello locale, caratterizzata dalla preminenza degli iscritti a Fe. To. e Ar. Ca., rispetto agli iscritti all'associazione Li. Ca.. Successivamente, il Presidente della Provincia di Siena, con il decreto 8 luglio 2015 n. 22, provvedeva a conferire gli incarichi di componente l'A.T.C. di Siena. 3. La Fe. To., Sezione provinciale di Siena (in seguito anche Fe.), e la Federazione Provinciale Ar. Ca. di Siena proponevano ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana denunciando, l'incompetenza del Consiglio provinciale alla nomina dei rappresentanti delle associazioni venatorie, lamentando, altresì, la violazione e falsa applicazione art. 3 L.R. n. 88 del 2014, artt. 11 e 11-ter L.R. n. 3 del 1994, art. 3 d.P.G.R. 33/R/2011, eccesso di potere per assoluta carenza dei presupposti, illogicità e contraddittorietà manifeste, difetto assoluto di motivazione e sviamento, per aver la Provincia assegnato componenti del Comitato di Gestione dell'A.T.C. ad associazioni prive di una rilevante presenza sul territorio. Inoltre, le associazioni ricorrenti eccepivano che la Provincia di Siena aveva dato ingresso al criterio pluralistico nonostante, a livello normativo, l'unico criterio previsto dalla L.R. n. 3 del 94 era quello della rappresentatività . Le ricorrenti, con ricorso per motivi aggiunti, dichiaravano la violazione degli artt. 11 e 11-ter L.R. n. 3 del 1994, come modificati dalla L.R. n. 88 del 2014, nonché eccesso di potere per carenza dei presupposti, violazione del giusto procedimento, illogicità manifesta e difetto di motivazione, tenuto conto che l'associazione Li. Ca. aveva provveduto a designare il proprio rappresentante mediante lettera del Presidente provinciale e non attraverso un organo associativo dotato di legittimazione e rappresentanza legale dell'associazione. 4. Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, con sentenza n. 1065 del 2016, respingeva il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti, sulla base del rilievo che il vizio di incompetenza del Consiglio Provinciale ad effettuare le nomine dei componenti dell'A.T.C. potesse essere superato e reso inoperante dal successivo decreto 8 luglio 2015 n. 22 del Presidente della Provincia di Siena, che aveva conferito gli incarichi di componente l'A.T.C. di Siena. Con riguardo agli altri motivi, il Tribunale precisava che la giurisprudenza del T.A.R. Toscana aveva in precedenza già seguito un percorso ricostruttivo che, in ipotesi di norme con riferimento generico al principio di rappresentatività, non caratterizzato da una più precisa qualificazione in termini di "maggiore rappresentatività ", aveva considerato legittimo il temperamento del principio di rappresentatività con il principio di partecipazione pluralistica "codificato dal nostro ordinamento". La legislazione regionale aveva previsto, infatti, un generico riferimento al principio di rappresentatività che doveva essere temperato con il correttivo individuato da T.A.R. Toscana, sez. III, 4 dicembre 2002, n. 2875 e dal Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2012, n. 2136, come in effetti era avvenuto con il provvedimento impugnato. Infine, il Tribunale adito riteneva infondati i motivi aggiunti alla luce della previsione di cui all'art. 11, ult. comma dello Statuto dell'Associazione nazionale Li. Ca., che attribuiva al Presidente provinciale il compito di designare "i vari rappresentanti dell'associazione nell'ambito del territorio di loro competenza", come in effetti era avvenuto. 5. Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, illustrato anche con memorie, la Fe. To., Sezione Provinciale di Siena, ha impugnato la suddetta pronuncia, invocandone l'integrale riforma, denunciando: "1) Omessa, contraddittoria e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia; incompetenza; 2) Omessa, contradittoria e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia; Violazione e falsa applicazione arti. 2, 3, 5 e 118 Cost.; Falsa ed erronea applicazione del principio pluralistico; Violazione e falsa applicazione art. 14, comma 10, L. 11.2.1992 n. 157; - Violazione e falsa applicazione arti. 11 e 11 ter della L.R. Toscana 12.1.1994 n. 3 nonché dell'art. 3 del Decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 26.7.2011 n. 33/14; 3) Omessa, contraddittoria e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia; Violazione e falsa applicazione artt. 11 e 11 ter L.R. Toscana n. 3/1994, come modificata ed integrata dalla L.R. Toscana 20.12.2014 n. 88; Erronea e sviante interpretazione dello Statuto della Li. Ca.; 4) Omessa pronuncia circa un punto decisivo della controversia: violazione e falsa applicazione dell'art. 11 bis e 11 ter L.R. Toscana n. 3 del 1994". 5.1. La Provincia di Siena e le altre parti intimate, benchè ritualmente evocate, non hanno svolto difese. 6. L'appellante, con memoria, ha precisato di avere interesse alla pronuncia giudiziale, al fine di ottenere il presupposto per dare corso all'azione risarcitoria sia nei confronti dell'Amministrazione Provinciale, sia nei confronti delle altre associazioni venatorie. 7. All'udienza straordinaria del 14 dicembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 8. Con il primo mezzo, l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto di accogliere l'eccezione di incompetenza del Presidente della Provincia alla nomina dei componenti del Comitato. In particolare, il provvedimento che, secondo il giudice di primo grado, avrebbe superato l'eccepito vizio di incompetenza del Consiglio provinciale, non sarebbe un provvedimento espresso di nomina, ma si limiterebbe a richiamare una nomina giù avvenuta a monte, per mezzo del provvedimento del Consiglio provinciale. Secondo il T.A.R., il decreto dell'8 luglio 2015 del Presidente della Provincia è qualificabile come provvedimento espresso di nomina, tuttavia il provvedimento ha ad oggetto 'il conferimento di incarichà a componenti già nominati dal Consiglio provinciale; da ciò conseguirebbe, secondo l'appellante, che la nomina originaria ad opera del Consiglio provinciale con delibera n. 23 del 23.6.2015, richiamata in premessa nel Decreto n. 22 del 8.7.2015 del Presidente della Provincia, costituirebbe il provvedimento espresso di nomina dei Componenti del Comitato di Gestione. 9. Con il secondo motivo, Fe. censura la sentenza di primo grado, nella parte in cui ha ritenuto di dover temperare il principio della rappresentatività con quello di partecipazione pluralistica, poiché il criterio della rappresentatività effettiva non può prescindere dalla percentuale di iscritti e dall'effettivo grado proporzionale di rappresentatività . Inoltre, anche se temperato dal principio pluralistico, il criterio della rappresentatività consentirebbe, nel caso di un numero limitato di seggi, l'assegnazione degli stessi a una sola organizzazione qualora la stessa dimostri, come nel caso di specie, di avere grado di rappresentatività almeno doppia rispetto alle altre. 10. Con la terza censura, si lamenta l'erroneità della sentenza relativamente alla statuizione di infondatezza dei motivi aggiunti, riproponendo la doglianza prospettata in primo grado relativa all'incompetenza del Presidente provinciale dell'associazione Li. Ca. alla designazione dei rappresentanti del Comitato di Gestione dell'A.T.C.. 11. Infine, con l'ultimo motivo di appello, si deduce l'erroneità dell'appellata sentenza nella parte in cui non si è tenuto conto che l'art. 11 bis della L.R. n. 3 del 1994 prevede, quale ulteriore organo rappresentativo degli ambiti territoriali di caccia, l'assemblea dei delegati delle associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale, garantendo, pertanto, l'effettiva partecipazione nel rispetto del principio pluralistico. Essendo, dunque, assicurata nell'organo assembleare la presenza di tutte le associazioni, a fortiori, non dovrebbe trovare applicazione il principio pluralistico per la nomina dell'organo direttivo dell'A.T.C. 12. L'appello è fondato. 12.1. Fe. ha ribadito, con memoria, il proprio interesse alla pronuncia giudiziale ai fini di una futura azione risarcitoria nei confronti dell'Amministrazione provinciale e delle altre associazioni venatorie, ciò, probabilmente per evitare una eventuale pronuncia di improcedibilità dell'appello, in ipotesi di accertamento della cessazione delle funzioni dell'A.T.C.. A tale riguardo, va rammentato che secondo il recente indirizzo espresso da questo Consiglio di Stato, nell'Adunanza Plenaria n. 8 del 2022, per procedersi all'accertamento dell'illegittimità dell'atto, ai sensi dell'art. 34, comma 3, cod. proc. amm., è sufficiente dichiarare di avervi interesse ai fini risarcitori; non è, pertanto, necessario specificare i presupposti dell'eventuale domanda risarcitoria né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione; la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 cod. proc. amm.. Una volta manifestato l'interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l'atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell'azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda. 12.2. Passando all'esame del merito, per ragioni di priorità logica, e ritenuto il carattere assorbente dell'accoglimento delle censure, vanno esaminati congiuntamente il secondo ed il quarto motivo di appello in quanto inerenti a profili connessi, essendo relativi all'erronea applicazione del correttivo della "partecipazione pluralistica" al criterio della rappresentatività previsto dalla normativa regionale toscana. Questa Sezione non condivide l'approdo argomentativo sostenuto dal giudice di prima istanza, in ordine al principio della partecipazione pluralistica, secondo cui, nel caso di mancato accordo tra le associazioni venatorie sulla designazione dei propri rappresentanti, al fine della designazione dei membri del Comitato di Gestione dell'A.T.C., la Provincia deve tenere conto della rappresentatività espressa dalle associazioni operanti nel territorio. Il Tribunale di primo grado, respingendo il ricorso della Fe., ha infatti ritenuto legittimo l'operato della Provincia rilevando che, nel caso di norme che operino un riferimento generico al principio di rappresentatività, non caratterizzato da una più precisa qualificazione in termini di maggiore rappresentatività, è legittimo il temperamento del principio di rappresentatività con il principio di 'partecipazione pluralistica'. L'art. 11 ter della L.R. Toscana n. 3 del 1994 dispone che: "1. Il Comitato di gestione dell'A.T.C. è composto da dieci membri, di cui: a) tre designati dalle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; ciascuna delle organizzazioni designa un rappresentante; b) tre designati dalle associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio, in proporzione alla rispettiva documentata consistenza associativa a livello di A.T.C.; c) due designati, secondo le modalità definite con deliberazione di Giunta regionale dalle associazioni di protezione ambientale presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio e riconosciute ai sensi dell'art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell'Ambiente e norme in materia di danno ambientale); d) due individuati dal Consiglio regionale tra sindaci, assessori e consiglieri dei comuni ricadenti nel comprensorio; 2. I membri del Comitato di gestione di cui al comma 1, lettere a) b) e c), sono scelti tra le generalità dei proprietari e conduttori di fondi inclusi nell'A.T.C., tra i cacciatori iscritti, tra gli appartenenti alle associazioni ambientali residenti nel comprensorio". L'art. 3 del Regolamento attuativo (33/R/11) stabilisce che:"1. Il Comitato di gestione dell'A.T.C. è composto da dieci membri, di cui: a) tre appartenenti alle strutture delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; b) tre appartenenti alle associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; c) due appartenenti alle associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; d) due designati dalla provincia con il criterio del voto limitato. 2 (...) La Provincia, sulla base dei nominativi indicati dagli organismi di cui al comma 1, procede alla nomina dei membri del comitato. In caso di mancato accordo sulle designazioni, la provincia, entro sessanta giorni dalla richiesta, nomina i membri secondo la rappresentatività espressa dalle organizzazioni e associazioni". Dalla piana lettura del Regolamento regionale, si evince che la Provincia è tenuta al rispetto della designazione congiunta delle associazioni venatorie e, in caso di mancato accordo, che la stessa debba provvedere, entro sessanta giorni, alla nomina dei membri del Comitato 'secondo la rappresentatività espressa dalle organizzazioni e associazioni'. Non è contestato che, nella specie, non è stato raggiunto un accordo tra le associazioni venatorie riconosciute e stabilmente organizzate sul territorio la Provincia nel nominare i membri del Comitato di Gestione dell'A.T.C., sicchè, in ragione dei suddetti principi, la Provincia avrebbe dovuto tener contro del solo criterio della 'rappresentatività espressa'. Orbene, il criterio della rappresentatività espressa è stato condivisibilmente interpretato, in fattispecie analoga, da questa Sezione con sentenza 28 settembre 2016, n. 4017, secondo cui: "Non può invece convenirsi con gli assunti di Li. Ca., fatti propri dal giudice di primo grado, secondo cui l'obbligatorietà del temperamento pluralistico si evincerebbe dalla mancata qualificazione del criterio di nomina in termini di maggiore rappresentatività, come invece previsto dall'art. 3, comma 1, lett. a) del regolamento regionale per i membri del comitato di gestione designati dalle organizzazioni professionali agricole. In contrario, si rileva innanzitutto che questo temperamento avrebbe dovuto essere oggetto di espressa previsione, mentre nel presente giudizio esso è invocato in via meramente interpretativa, laddove unico vincolo derivante dal dato normativo è quello di riconoscere all'associazionismo venatorio una rappresentanza corrispondente ai rapporti di forza presso la base". La Fe. To. - Sezione Provinciale di Siena vantava, all'epoca dei fatti per cui si procede, un numero di iscritti pari all'54% dei cacciatori residenti nel territorio provinciale, a fronte del 39% rappresentato da Li. Ca. e del 7% di Ar. Ca.. Il criterio della rappresentatività va certamente misurato sulla base del numero degli iscritti aderenti all'Associazione, indice del riconoscimento ai fini rappresentativi di una categoria. La percentuale degli iscritti è un indicatore del perimetro di espressione dell'appartenenza territoriale di un organo rappresentativo. Questa Sezione, nella richiamata pronuncia, confermata da altri precedenti in linea con i principi espressi (Cons.Stato, n. 4015 del 2016; Cons. Stato, n. 5767 del 2018), ha precisato che il dato fondamentale da cui occorre muovere è l'ampia discrezionalità di cui dispone la Provincia ai sensi dell'art. 3 del Regolamento regionale nella nomina dei membri espressi dalle associazioni venatorie. In particolare, questa discrezionalità è limitata al solo rispetto della 'rappresentatività ' delle associazioni nel territorio provinciale. Ciò precisato, "non può ritenersi violato il criterio previsto a livello normativo allorchè si registri una convergenza sui tre nominativi da parte di associazioni rappresentative della maggior parte del movimento venatorio locale". Il Collegio condivide tale approdo argomentativo, anche laddove i precedenti illustrati precisano che l'art. 3, comma 1, lett. a) del Regolamento regionale circoscrive 'a montè il novero dei soggetti presso i quali selezionare la rappresentanza delle organizzazioni agricole in ambito venatorio. Ciò in ragione del confronto tra le due ipotesi previste dall'art. 3, cit., secondo cui, rispettivamente per tali organizzazioni e per le associazioni venatorie, non è in alcun modo ricavabile l'ulteriore conseguenza della necessità in questo secondo caso del correttivo pluralistico. In realtà, in entrambi i casi la rappresentanza può essere legittimamente essere espressiva in modo proporzionale dei rapporti di forza tra i vari organismi di categoria (Cons. Stato, n. 4017 del 2016). Sulla base di questi dati, deve essere censurata la scelta della Provincia di attribuire a ciascuna delle associazioni venatorie presenti sul territorio un componente nel Comitato di gestione dell'A.T.C., e ciò poiché la componente dell'organo gestorio dell'ambito di caccia espressiva del movimento venatorio non risulta rispecchiare l'associazionismo presente sul territorio della provincia di Siena. Dalle argomentazioni sopra espresse consegue che non può essere apprezzabile il percorso interpretativo illustrato dal giudice di primo grado, secondo cui l'obbligatorietà del temperamento pluralistico si evincerebbe dalla mancata qualificazione del criterio di nomina in termini di maggiore rappresentatività, come invece previsto dall'art. 3, comma 1, lett. a), del Regolamento regionale per i membri del comitato di gestione designati dalle organizzazioni professionali agricole. Va, altresì, precisato che, relativamente al correttivo della partecipazione pluralistica, i precedenti giurisdizionali invocati dal Tribunale a sostegno della propria decisione hanno riguardato ipotesi nelle quali la stessa normativa regionale prevedeva il principio della pluralità . Al contrario l'art. 3 della L.R. Toscana n. 3 del 1994 stabilisce che la Provincia, nella nomina dei membri delle associazioni venatorie, è condizionata al solo rispetto della rappresentatività delle associazioni nel territorio provinciale. 12.3. Con specifico riferimento al quarto motivo di appello, stante i rilievi espressi, deve aggiungersi che, come osservato dall'associazione appellante, nel caso della nomina del Comitato di gestione degli ambiti di caccia, il pluralismo è assicurato dalla presenza nell'organo di diverse componenti professionali. Oltre alle associazioni venatorie e alle organizzazioni agricole, l'art. 3 del Regolamento regionale prevede, infatti, conformemente alla legge quadro nazionale (legge 11 febbraio 1992, n. 157, Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che facciano parte di esso due appartenenti alle associazioni di protezione ambientale e due designati dalla Provincia. La composizione pluralista del Comitato è, dunque, assicurata dalle diverse componenti che in esso sono destinate a trovare una rappresentanza, ma non è richiesta anche all'interno della singola componente (altrimenti dandosi luogo, secondo l'espressione impiegata dall'associazione appellante, al "pluralismo del pluralismo"). 12.4. L'accoglimento dei suddetti motivi, da cui consegue l'illegittimità degli atti impugnati, determina l'assorbimento dei restanti mezzi per difetto di interesse. 13. In definitiva, l'appello va accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso originario proposto dall'appellante. 14. Nulla va disposto per le spese di lite, in difetto di attività difensiva delle parti intimate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza, accoglie il ricorso originario proposto dall'appellante. Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2022, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del d.l. 9.6.2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Elena Quadri - Presidente FF Giorgio Manca - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere, Estensore Massimo Santini - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9162 del 2016, proposto da Fe. To., Sezione Provinciale di Pistoia di Fe. To., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma. Br., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Provincia di Pistoia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Vi. Do., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); Federazione Ar. Ca. di Pi. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Seconda n. 01067/2016, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Pistoia; Viste le memorie delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza straordinaria del giorno 14 dicembre 2022 il Cons. Annamaria Fasano e uditi per le parti l'avvocato Se. An., in dichiarata delega dell'avvocato Do. Vi., e l'avvocato Br. Al. Ma. in collegamento da remoto; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con decreto 24 giugno 2015 n. 209 prot. n. 73988, il Presidente della Provincia di Pistoia nominava i componenti del Comitato di gestione dell'A.T.C. di Pistoia; i tre posti spettanti alle associazioni venatorie di livello nazionale erano attribuiti ai sigg. An. Dr. (designato dalla Sezione provinciale di Fe.) Ro. Ni. (designato da Ar.) e Ni. Ba. (designato da Li. Ca.). Ai sensi dell'art. 14 della L.R. Toscana 30 dicembre 2014, n. 88, le Province dovevano provvedere alla nomina dei Comitati di Gestione dei nuovi Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) secondo i criteri fissati dalla Giunta Regionale Toscana con deliberazione n. 388 del 30 marzo 2015, sulla base del Regolamento regionale n. 33/R/2011. L'art. 3 di tale Regolamento, in ossequio all'art. 14, comma 10, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 e all'art. 11 ter della L.R. Toscana 12 gennaio 1994, n. 3, stabiliva che il Comitato di Gestione dell'ATC doveva essere composto da dieci membri di cui: tre appartenenti a strutture delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; tre appartenenti alle associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; due appartenenti alle associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; due designati dalla Provincia, con il criterio del voto limitato. La Provincia, inoltre, doveva provvedere alla nomina dei membri del Comitato di Gestione sulla base dei nominativi indicati dagli organismi, tenendo conto dell'intesa eventualmente raggiunta; ovvero, in caso di mancato accordo, tale nomina deveva avvenire entro 60 giorni dalla richiesta secondo la rappresentatività espressa dalle organizzazioni e associazioni. Le associazioni venatorie riconosciute e stabilmente organizzate sul territorio della Provincia di Pistoia (Fe. ed altri) non raggiungevano unitariamente alcuna intesa riguardo ai componenti del Comitato di Gestione, e ognuna di esse trasmetteva singolarmente le proprie proposte di candidatura alla Provincia. 2. Ai fini della nomina dei tre componenti, il Presidente della Provincia di Pistoia seguiva un criterio che faceva riferimento alla "rappresentatività numerica a livello locale", ma con il temperamento "del principio di partecipazione pluralistica in modo da assicurare la massima partecipazione delle categorie interessate alla gestione dell'ambito territoriale"; ne conseguiva l'attribuzione di "un rappresentante a ciascuna delle tre associazioni che hanno espresso candidature", pur in presenza di una "rappresentatività numerica a livello locale" matematicamente caratterizzata dall'attribuzione a Fe. To. di 2,5240 rappresentanti ed alle due altre associazioni dei residui 0,2656 (per Li. Ca.) e 0,2104 (per Ar.). 3. La Fe. To., Sezione provinciale di Pistoia (in seguito anche Fe.), proponeva ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l.r. 88/14, degli artt. 11 e 11 ter l.r. 3/94, dell'art. 3 d.P.G.R. 33/R/2011, l'eccesso di potere per assoluta carenza dei presupposti, l'illogicità e contraddittorietà manifeste, il difetto assoluto di motivazione e sviamento. In particolare, parte ricorrente censurava il fatto che, con il suddetto criterio, erano stati assegnati componenti a associazioni prive di una rilevante presenza sul territorio, dato che la Fe. era l'organizzazione di riferimento di circa il 90% dei cacciatori del territorio. La ricorrente lamentava, altresì, la violazione e falsa applicazione art. 3 L.R. n. 88 del 2014, artt. 11 e 11-ter L.R. n. 3 del 1994, art. 3 d.P.G.R. 33/R/2011, l'eccesso di potere per assoluta carenza dei presupposti, l'illogicità e contraddittorietà manifeste, il difetto assoluto di motivazione e sviamento, atteso che, nonostante la sproporzione rappresentativa tra associazioni, la Provincia aveva dato ingresso al criterio pluralistico quando, a livello normativo, l'unico criterio previsto era quello della rappresentatività . Con ricorso per motivi aggiunti La Fe. denunciava violazione e falsa applicazione artt. 11 e 11-ter L.R. n. 3 del 1994, come modificati dalla L.R. n. 88 del 2014, rilevando che l'associazione Li. Ca. aveva provveduto a designare il proprio rappresentante mediante lettera del presidente provinciale e non attraverso un organo associativo dotato di legittimazione e rappresentanza legale dell'associazione. 4. Il Tribunale amministrativo per la Toscana, con sentenza n. 1067 del 2016, respingeva il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti, sulla base del rilievo che la giurisprudenza del T.A.R. Toscana aveva in precedenza già seguito un percorso ricostruttivo che, in ipotesi di norme che operavano un riferimento generico al principio di rappresentatività, non caratterizzato da una più precisa qualificazione in termini di "maggiore rappresentatività ", considerava legittimo il temperamento del principio di rappresentatività con il principio di partecipazione pluralistica "codificato dal nostro ordinamento". La legislazione regionale prevedeva, infatti, un generico riferimento al principio di rappresentatività, che doveva essere temperato con il correttivo individuato dal T.A.R. Toscana, sez. III, 4 dicembre 2002, n. 2875 e dal Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2012, n. 2136, come in effetti era avvenuto con il provvedimento impugnato con il ricorso. Infine, il Tribunale amministrativo riteneva infondati i motivi aggiunti alla luce della previsione di cui all'art. 11, ult. comma dello Statuto dell'Associazione nazionale Li. Ca., che attribuiva al Presidente provinciale il compito di designare "i vari rappresentanti dell'associazione nell'ambito del territorio di loro competenza", come in effetti era avvenuto. 5. Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, illustrato anche con memorie, la Fe. To., Sezione Provinciale di Pistoia, ha impugnato la suddetta pronuncia invocandone l'integrale riforma, denunciando: "1) Omessa, contraddittoria e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia; Violazione e falsa applicazione artt. 2, 3, 5 e 118 Cost.; Falsa ed erronea applicazione del principio pluralistico; Violazione e falsa applicazione art. 14, comma 10, L. 11.7.1992 n. 157; Violazione e falsa applicazione artt. 11 e 11 ter della L.R. Toscana 12.1.1994 n. 3 nonché art. 3 del. Decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 26.7.2011 n. 33/R.; 2) Omessa, contraddittoria e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia; Violazione e falsa applicazione artt. 11 e 11 ter L.R. Toscana 12/1/1994 n. 3, come modificata ed integrata dalla L.R. Toscana 20.12.2014 n. 88; Erronea e sviante interpretazione dello Statuto della Li. Ca.; 3) Omessa pronuncia circa un punto decisivo della controversia: violazione e falsa applicazione dell'art. 11 bis e ter L.R. Toscana n. 3 del 1994". 5.1. La Provincia di Pistoia si è costituita in resistenza, concludendo per l'improcedibilità dell'appello, oltre che per l'infondatezza nel merito dell'impugnazione. 6. Le parti, con successive memorie, hanno articolato in maniera più approfondita le proprie difese, in particolare, l'appellante, a fronte della eccezione di improcedibilità dell'appello, ha prospettato il proprio interesse all'accertamento dell'illegittimità del provvedimento impugnato a fini risarcitori. 7. All'udienza straordinaria del 14 dicembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 8. Con il primo mezzo, parte appellante ha lamentato l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto di dover temperare il principio della rappresentatività con quello di partecipazione pluralistica, e ciò in ragione del fatto che il criterio della rappresentatività effettiva non potrebbe prescindere dalla percentuale di iscritti e dall'effettivo grado proporzionale di rappresentatività . Inoltre, anche se temperato dal principio pluralistico, il criterio della rappresentatività consentirebbe, nel caso di un numero limitato di seggi, l'assegnazione degli stessi a una sola organizzazione qualora la stessa dimostri, come nel caso di specie, di avere un grado di rappresentatività almeno doppio rispetto alle altre. 9. Con il secondo motivo, l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza di primo grado relativamente alla statuizione di infondatezza dei motivi aggiunti, riproponendo la censura relativa all'incompetenza del Presidente provinciale dell'associazione Li. Ca. alla designazione dei rappresentanti del Comitato di Gestione dell'A.T.C.. 10. Con la terza censura, infine, la Fe. To. deduce l'erroneità delle conclusioni raggiunte dal Collegio di prima istanza, rilevando che l'art. 11 bis della L.R. Toscana n. 3 del 1994 prevede, quale ulteriore organo rappresentativo degli ambiti territoriali di caccia, l'assemblea dei delegati delle associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale, garantendo pertanto l'effettiva partecipazione nel rispetto del principio pluralistico. Essendo, dunque, assicurata nell'organo assembleare la presenza di tutte le associazioni, a fortiori, non dovrebbe trovare applicazione il principio pluralistico per la nomina dell'organo direttivo dell'A.T.C. 11. Le suddette critiche vanno trattate congiuntamente in quanto attinenti a profili connessi. 11.1. Va, preliminarmente, respinta l'eccezione di improcedibilità dell'appello proposta dalla Provincia di Pistoia per sopravvenuta carenza di interesse. La Provincia ha eccepito la sopravvenuta carenza di interesse della controparte, in considerazione del fatto che il provvedimento impugnato in primo grado ha cessato la propria efficacia, e il Comitato di Gestione dell'A.T.C., nominato con lo stesso provvedimento, ha cessato le proprie funzioni. Parte appellante ha obiettato di avere comunque interesse alla pronuncia giudiziale, ai fini del proponimento di una eventuale azione risarcitoria nei confronti dell'Amministrazione Provinciale e delle altre associazioni venatorie. Secondo il recente indirizzo espresso da questo Consiglio di Stato, nell'Adunanza Plenaria n. 8 del 2022, per procedersi all'accertamento dell'illegittimità dell'atto, ai sensi dell'art. 34, comma 3, cod. proc. amm., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori; non è, pertanto, necessario specificare i presupposti dell'eventuale domanda risarcitoria né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione; la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 cod. proc. amm.. Una volta manifestato l'interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l'atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell'azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda. 11.2. Passando all'esame del merito, le doglianze sono fondate. Questa Sezione non condivide l'approdo argomentativo sostenuto dal giudice di prima istanza, in ordine al principio della "partecipazione pluralistica", secondo cui in caso di mancato accordo delle associazioni venatorie sulla designazione dei propri rappresentanti, la Provincia deve tenere conto della "rappresentatività espressa" delle Associazioni operanti nel territorio. Il Tribunale di primo grado, respingendo il ricorso della Fe., ha infatti ritenuto legittimo l'operato della Provincia, rilevando che, nel caso di norme che operino un riferimento generico al principio di rappresentatività, non caratterizzato da una più precisa qualificazione in termini di maggiore rappresentatività, è legittimo il temperamento del principio di rappresentatività con il principio di "partecipazione pluralistica". L'art. 11 ter della L.R. Toscana n. 3 del 1994 dispone: "1. Il Comitato di gestione dell'A.T.C. è composto da dieci membri, di cui: a) tre designati dalle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; ciascuna delle organizzazioni designa un rappresentante; b) tre designati dalle associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio, in proporzione alla rispettiva documentata consistenza associativa a livello di A.T.C.; c) due designati, secondo le modalità definite con deliberazione di Giunta regionale dalle associazioni di protezione ambientale presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio e riconosciute ai sensi dell'art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell'Ambiente e norme in materia di danno ambientale); d) due individuati dal Consiglio regionale tra sindaci, assessori e consiglieri dei comuni ricadenti nel comprensorio. 2. I membri del Comitato di gestione di cui al comma 1, lettere a), b) e c), sono scelti tra la generalità dei proprietari o conduttori di fondi inclusi nell'A.T.C., tra i cacciatori iscritti, tra gli appartenenti alle associazioni ambientali residenti nel comprensorio". L'art. 3 del Regolamento attuativo (33/R/11), stabilisce che: "1.Il comitato di gestione dell'A.T.C. è composto da dieci membri, di cui: a) tre appartenenti a strutture delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; b) tre appartenenti alle associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; c) due appartenenti alle associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio; d) due designati dalla provincia, con il criterio del voto limitato. 2. (....) La Provincia, sulla base dei nominativi indicati dagli organismi di cui al comma 1, procede alla nomina dei membri del comitato. In caso di mancato accordo sulle designazioni, la provincia, entro sessanta giorni dalla richiesta, nomina i membri secondo la rappresentatività espressa dalle organizzazioni e associazioni". Dalla piana lettura del Regolamento regionale, si evince che la Provincia è tenuta al rispetto della designazione congiunta delle associazioni venatorie e, in caso di mancato accordo, che la stessa provveda, entro sessanta giorni, alla nomina dei membri del Comitato "secondo la rappresentatività espressa dalle organizzazioni e associazioni". Non è contestato che, nella fattispecie, non si è raggiunto un accordo tra le associazioni venatorie riconosciute e stabilmente organizzate sul territorio la Provincia, nel nominare i membri del Comitato di Gestione dell'A.T.C., sicchè in ragione dei suddetti principi, la Provincia avrebbe dovuto tener contro del solo criterio della 'rappresentatività espressa'. Orbene, il criterio della 'rappresentatività espressa' è stato, condivisibilmente, interpretato, in fattispecie analoga, da questa Sezione con sentenza 28 settembre 2016, n. 4017, secondo cui: " Non può invece convenirsi con gli assunti di Li. Ca., fatti propri dal giudice di primo grado, secondo cui l'obbligatorietà del temperamento pluralistico si evincerebbe dalla mancata qualificazione del criterio di nomina in termini di maggiore rappresentatività, come invece previsto dall'art. 3, comma 1, lett. a) del regolamento regionale per i membri del comitato di gestione designati dalle organizzazioni professionali agricole. In contrario, si rileva innanzitutto che questo temperamento avrebbe dovuto essere oggetto di espressa previsione, mentre nel presente giudizio esso è invocato in via meramente interpretativa, laddove unico vincolo derivante dal dato normativo è quello di riconoscere all'associazionismo venatorio una rappresentanza corrispondente ai rapporti di forza presso la base". La Fe. To. - Sezione Provinciale di Pistoia vantava, all'epoca dei fatti per cui si procede, un numero di iscritti pari all'84% dei cacciatori residenti nel territorio provinciale, a fronte del 9% rappresentato da Li. Ca. e del 7% di Ar.. Il criterio della rappresentatività va certamente misurato sulla base del numero degli iscritti aderenti, indice del riconoscimento dell'Associazione ai fini rappresentativi di una categoria. La percentuale degli iscritti è un indicatore del perimetro di espressione dell'appartenenza territoriale di un organo rappresentativo. Questa Sezione, nella richiamata pronuncia, confermata da altri precedenti in linea con i principi espressi (Cons. Stato, n. 4015 del 2016; Cons. Stato, n. 5767 del 2018), ha precisato che il dato fondamentale da cui occorre muovere è l'ampia discrezionalità di cui dispone la Provincia ai sensi dell'art. 3 del Regolamento regionale nella nomina dei membri espressi dalle associazioni venatorie. In particolare, questa discrezionalità è limitata al solo rispetto della 'rappresentatività ' delle associazioni nel territorio provinciale. Ciò precisato, "non può ritenersi violato il criterio previsto a livello normativo allorchè si registri una convergenza sui tre nominati da parte di associazioni rappresentative della maggior parte del movimento venatorio locale". Il Collegio condivide tale approdo argomentativo, anche laddove i precedenti enunciati precisano che l'art. 3, comma 1, lett. a) del Regolamento regionale circoscrive 'a montè il novero dei soggetti presso i quali selezionare la rappresentanza delle organizzazioni agricole in ambito venatorio. Ciò in ragione del confronto tra le due ipotesi previste dall'art. 3, cit., secondo cui, rispettivamente per tali organizzazioni e per le associazioni venatorie, non è in alcun modo ricavabile l'ulteriore conseguenza della necessità in questo secondo caso del correttivo pluralistico. In realtà, in entrambi i casi la rappresentanza può legittimamente essere espressiva in modo proporzionale dei rapporti di forza tra i vari organismi di categoria (Cons. Stato, n. 4017 del 2016). Sulla base di questi elementi, deve essere censurata la scelta della Provincia di attribuire a ciascuna delle associazioni venatorie presenti sul territorio un componente nel Comitato di gestione dell'A.T.C., atteso che la componente dell'organo gestorio dell'ambito di caccia del movimento venatorio non risulta essere la concreta espressione del territorio della Provincia di Pistoia. Dalle argomentazioni sopra espresse consegue che non può essere apprezzabile il percorso interpretativo illustrato dal giudice di primo grado, secondo cui l'obbligatorietà del temperamento pluralistico si evincerebbe dalla mancata qualificazione del criterio di nomina in termini di maggiore rappresentatività, come invece previsto dall'art. 3, comma 1, lett. a), del Regolamento regionale per i membri del comitato di gestione designati dalle organizzazioni professionali agricole. Va, altresì, precisato che, con riferimento al correttivo della partecipazione pluralistica, i precedenti giurisdizionali invocati dal giudice di primo grado a sostegno della propria decisione hanno riguardato ipotesi nelle quali la stessa normativa regionale prevedeva il principio della pluralità . Al contrario, l'art. 3 della L.R. Toscana n. 3 del 1994 prevede che la Provincia, nella nomina dei membri delle associazioni venatorie, sia condizionata al solo rispetto della 'rappresentatività ' delle associazioni nel territorio provinciale. 11.3. Con specifico riferimento al terzo motivo di impugnazione, va chiarito che, come osservato dall'associazione appellante, nel caso della nomina del comitato di gestione degli ambiti di caccia il pluralismo è assicurato dalla presenza nell'organo di diverse componenti professionali. Oltre alle associazioni venatorie e alle organizzazioni agricole, l'art. 3 del Regolamento regionale prevede infatti, conformemente alla legge quadro nazionale (legge 11 febbraio 1992, n. 157, Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che facciano parte di esso due appartenenti alle associazioni di protezione ambientale e due designati dalla Provincia. La composizione pluralista del Comitato è, dunque, garantita dalle diverse componenti che in esso sono destinate a trovare una rappresentanza, ma non è richiesta anche all'interno della singola componente (altrimenti dandosi luogo, utilizzando l'espressione impiegata dall'Associazione appellante, al "pluralismo del pluralismo"). 11.4. Va accolto anche il secondo mezzo, atteso che, ai sensi dell'art. 22 dello Statuto della Li. Ca., ai Presidenti provinciali è affidato solo il compito di sovrintendere all'attività dei Presidenti dei Circoli nell'ambito della Provincia, coordinandone il lavoro e consentendo i regolari contatti con il Presidente Regionale. Inoltre, l'art. 11, ultimo comma, del predetto Statuto, attribuisce al Presidente provinciale il compito di designare 'i vari rappresentanti dell'associazione nell'ambito del territorio di loro competenzà, mentre l'art. 18, primo comma, dello stesso Statuto attribuisce al Presidente nazionale la rappresentanza legale dell'associazione. Neppure l'art. 11 ter della L.R. Toscana n. 3 del 1994 dispone nulla con riferimento al potere del Presidente provinciale di Li. Ca. di designare il proprio rappresentante, stabilendo solo che il comitato di gestione dell'A.T.C. sia composto da 10 membri di cui: "tre designati dalle associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale, ove presenti in forma organizzata sul territorio del comprensorio, in proporzione alla rispettiva documentata consistenza associativa a livello di A.T.C.". 12. In definitiva, l'appello va accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti proposti da parte appellante. 13. Le ragioni della decisione e il recente consolidarsi degli indirizzi espressi da questo Consiglio di Stato sulle questioni trattate, rispetto all'epoca della introduzione della lite, giustificano la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso originario e il ricorso per motivi aggiunti proposti dall'appellante. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2022, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del d.l. 9.6.2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Elena Quadri - Presidente FF Giorgio Manca - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere, Estensore Massimo Santini - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SESTINI Danilo - Presidente Dott. GIANNITI Pasquale - Consigliere Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere Dott. PELLECCHIA Antonella - rel. Consigliere Dott. CRICENTI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 18591/2020 proposto da: (OMISSIS), domiciliato ex lege in Roma, presso la Cancelleria dalla Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro Regione Abruzzo in persona del Presidente pro tempore, domiciliata ex lege in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l'Avvocatura Generale dello Stato da cui e' difesa per legge; - controricorrente - avverso la sentenza n. 741/2019 del TRIBUNALE di L'AQUILA, depositata il 15/10/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/11/2022 da Dr. PELLECCHIA ANTONELLA. FATTI DI CAUSA 1. (OMISSIS) convenne in giudizio dinanzi al giudice di Pace di Pescara la Regione Abruzzo al fine di ottenere il risarcimento dei danni riportati dal suo veicolo a seguito di un impatto con un cervo. Si costitui' in giudizio la Regione Abruzzo eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva sul presupposto che responsabile per i danni cagionati dalla fauna selvatica doveva ritenersi esclusivamente la Provincia, proprietaria della strada ove era avvenuto il sinistro, Il giudice di Pace di Pescara con sentenza n. 1541 del 12 dicembre 2016, in accoglimento della domanda attorea, condanno' la Regione Abruzzo al risarcimento dei danni in favore del (OMISSIS). Il Tribunale de l'Aquila con sentenza n. 741/2019 del 15 ottobre 2019 ha riformato integralmente la pronuncia di primo grado, ed ha accolto l'appello della Regione Abruzzo dichiarando il suo difetto di legittimazione passiva. Il Tribunale ha osservato che, essendosi il sinistro verificato nel perimetro del Parco Nazionale della Maiella, era l'Ente Gestore del Parco e non la Regione Abruzzo a dover rispondere dei danni cagionati dagli animali selvatici ivi stanziati ai sensi della Legge Regionale n. 10 del 2003, articolo 5. 3. Avverso tale pronuncia (OMISSIS) propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. 3.1. Il ricorso - previa proposta - e' stato inizialmente avviato per la trattazione in Camera di consiglio, ai sensi degli articoli 375, 376 e 380 bis c.p.c., avanti alla Sesta - 3 Sezione Civile. All'esito dell'adunanza camerale, con ordinanza interlocutoria n. 10609 del 1 aprile 2022, il Collegio ha disposto la rimessione della causa alla pubblica udienza della Terza Sezione Civile. 3.2. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte in cui chiede l'accoglimento del secondo motivo di ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta nullita' della sentenza impugnata ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1 n. 4 per violazione e falsa applicazione dell'articolo 101 c.p.c., comma 2 e articolo 112 c.p.c.. Si duole della novita' della questione trattata dal giudice in quanto la Regione Abruzzo, sia in primo che in secondo grado, aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva esclusivamente in favore della Provincia ai sensi della L. n. 157 del 1992, senza fare alcun riferimento all'Ente Parco. Il giudice di merito, pertanto, richiamando la Legge Regionale n. 10 del 2003, articolo 5 e la conseguente legittimazione passiva dell'ente parco, avrebbe statuito su una questione rilevata d'ufficio senza tuttavia concedere alle parti un termine per il deposito in cancelleria di memorie scritte, impendo loro l'esercizio del diritto di difesa. Osserva altresi' che lo stesso Giudice aveva, in caso analogo, confermato la legittimazione passiva della Regione Abruzzo, non avendo l'Ente Parco della Majella mai adottato il regolamento previsto dalla L. n. 394 del 1991, articolo 1. Il motivo e' infondato. Come risulta dalla sentenza impugnata nonche' dal ricorso, la Regione aveva contestato immediatamente il proprio difetto di legittimazione passiva indicando anche la legittimazione alternativa della provincia o dell'Ente Parco, pur individuando quest'ultimo in quello del Gran Sasso e non in quello del Parco della Maiella all'interno del quale si era verificato l'evento. L'eccezione e' stata riproposta in sede di appello e pertanto, a differenza di quanto deduce il ricorrente, essa non aveva carattere di novita' e non e' stata rilevata d'ufficio. Inoltre, l'individuazione di quale sia l'ente responsabile, in luogo della Regione, e' circostanza ulteriore rispetto alla quale il contraddittorio non era necessario. 4.1 Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 157 del 1992, articoli 1 e L. n. 394 del 6 dicembre 1991, articolo 11, in combinato disposto con l'articolo 2043 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per aver il Tribunale erroneamente ritenuto che l'Ente Parco della Maiella fosse titolare del potere di controllo e gestione della fauna selvatica. Osserva in particolare che la Regione Abruzzo non aveva fornito alcuna prova di aver conferito il potere di gestione e controllo all'Ente Parco Nazionale della Maiella; che quest'ultimo non aveva adottato alcun regolamento ex L. 394 del 1991, articolo 11; che alcuni commi della Legge Regionale n. a10 del 2003, articolo 1, i quali prevedevano il risarcimento o il concorso nel risarcimento dei danni per gli incidenti a veicoli e/o a persone nel territorio dei Parchi sono stati definitivamente abrogati con la Legge Regionale 33 del 2005. 4.2 Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione della L. n. 157 del 1992, articoli 1 e 9 in combinato disposto con l'art, 2052 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3 per essersi il Tribunale discostato dal consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita'. 5. Il secondo e terzo motivo, congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati. I danni cagionati alla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell'articolo 2052 c.c., giacche', da un lato, il criterio di imputazione della responsabilita' previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprieta' o, comunque, sull'utilizzazione dell'animale e, dall'altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema"; "nell'azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell'articolo 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonche' delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attivita' di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte - per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari - da altri enti; la Regione puo' rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell'esercizio di funzioni proprie o delegate, l'adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno (cfr. Cass. n. 8206/2021). In tema di danni cagionati dalla fauna selvatica, il titolo di responsabilita' fondato sull'articolo 2052 c.c., rispetto al quale la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla regione quale ente titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonche' delle funzioni amministrative concernenti l'attivita' di tutela e gestione della fauna selvatica, ancorche' eventualmente svolte, per delega o in base a poteri propri, da altri enti, puo' concorrere con quello di cui all'articolo 2043 c.c., che, oltre a costituire il fondamento dell'azione di rivalsa della regione nei confronti degli enti a cui sarebbe in concreto spettata, nell'esercizio delle funzioni proprie o delegate, l'adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno, consente il diretto esercizio dell'azione risarcitoria anche nei loro confronti da parte del danneggiato, sul quale, peraltro, grava l'onere di provare la condotta colposa causalmente efficiente dell'ente pubblico, la cui eventuale omissione rispetto alla predisposizione di segnali o di altri presidi a tutela dei veicoli circolanti, deve essere valutata ex ante, avuto riguardo alla concreta situazione di pericolo sussistente sulla strada. Nell'azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell'articolo 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonche' delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attivita' di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte - per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari - da altri enti; la Regione puo' rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell'esercizio di funzioni proprie o delegate, l'adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno (Cass. 7969/2020). In materia di danni da fauna selvatica a norma dell'articolo 2052 c.c., grava sul danneggiato l'onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell'animale si e' posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l'adozione delle piu' adeguate e diligenti misure - concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema - di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi. I danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell'articolo 2052 c.c., giacche', da un lato, il criterio di imputazione della responsabilita' previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprieta' o, comunque, sull'utilizzazione dell'animale e, dall'altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema. Pertanto, il collegio intende dare seguito al predetto e consolidato orientamento di questa Corte. 6. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e terzo motivo ricorso, come in motivazione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d'Appello di L'Aquila in diversa composizione. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, come in motivazione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d'Appello di L'Aquila in diversa composizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALTIERO Donatella - Consigliere Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa in data 04/02/2022 dalla Corte d'appello di Perugia; visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonio Corbo; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Molino Pietro, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche' i reati sono estinti per prescrizione, ritenendo non manifestamente infondati il primo ed il terzo motivo di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 4 febbraio 2022, la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Perugia che aveva dichiarato la penale responsabilita' di (OMISSIS) per i reati di cui agli Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 44 e 95, e lo aveva condannato alla pena di due mesi di arresto e di 8.000,00 Euro di multa, concesse le circostanze attenuanti generiche ed applicata la sospensione condizionale della pena. Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, (OMISSIS), agendo in qualita' di proprietario, esecutore e committente, con condotte accertate in data 11 aprile 2017, avrebbe: -) realizzato una costruzione in legno della superficie di circa 3,00 m. X 2,00 m. e di altezza di 2,00 m., sopra una quercia, a circa 4,00 m. da terra (capo a); -) effettuato i lavori concernenti l'opera indicata, ubicata in zona sismica, senza darne preavviso e senza attendere la necessaria autorizzazione. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe (OMISSIS), con atto sottoscritto dall'avvocato (OMISSIS), articolando otto motivi, preceduti da una premessa, nella quale, in particolare, si rappresenta che, per l'opera in questione, sono stati rilasciati, da parte della Regione, un'autorizzazione, qualificato il manufatto come appostamento fisso per la caccia, a seguito di richiesta del 7 maggio 2018, e successivi rinnovi, a norma della L. n. 157 del 1992, articolo 12, comma 5. 2.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo alla mancanza di motivazione in ordine agli elementi costitutivi della responsabilita' penale. Si deduce che la motivazione esposta nella sentenza impugnata per affermare la penale responsabilita' dell'imputato e' "telegrafica" ed apodittica. Si contesta che l'affermazione principale ai fini del giudizio di colpevolezza, secondo cui "le riportate dimensioni della costruzione in legno posta su una quercia a circa ml 3 o 4 dal suolo non sono quelle tipiche degli appostamenti", e' meramente assertiva: non si spiega perche' un'opera delle dimensioni e della conformazione rilevate non possa essere qualificata come "appostamento fisso per la caccia", e, nella specie, appostamento fisso per la caccia al colombaccio. 2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 192, 533 e 546 c.p.p., a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), avendo riguardo alla ritenuta necessita' di un titolo abilitativo per realizzare l'opera ritenuta illegittima. Si deduce che la sentenza impugnata ha travisato le dichiarazioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) e le prove documentali relative all'autorizzazione rilasciata dalla Regione. Si segnala, in particolare, che: -) il teste (OMISSIS) ha riconosciuto al manufatto indicato nelle imputazioni la natura di "appostamento fisso per la caccia al colombaccio", a norma della L. R. Umbria n. 1 del 2015; -) il teste (OMISSIS) ha escluso, almeno in linea generale, la necessita' di autorizzazioni per i capanni per la caccia, secondo la normativa faunistica; -) la documentazione relativa all'autorizzazione ed ai rinnovi rilasciata dalla Regione conferma che la struttura era un "appostamento fisso per la ciaccia". 2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento alla L. R. Umbria 21 gennaio 2015, n. 1, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera b), c.p.p., avendo riguardo ancora alla ritenuta necessita' di un titolo abilitativo per realizzare l'opera ritenuta illegittima. Si deduce che il combinato disposto della L. R. Umbria 21 gennaio 2015, n. 1, articolo 89, comma 2, e articolo 118, comma 1, escludono espressamente la necessita' di titolo abilitativo per la realizzazione delle strutture per l'esercizio dell'attivita' venatoria. Si aggiunge che, nella specie, l'applicabilita' di questa disciplina e' confermata dal rilascio, da parte della Regione, sia dell'autorizzazione in data 12 luglio 2018, dopo richiesta del 7 maggio 2018, sia dei successivi rinnovi di questa. Si segnala, inoltre, gli appostamenti fissi per la caccia sono previsti anche dalla L. n. 157 del 1992, articolo 12, comma 5, lettera b). 2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 192, 533 e 546 c.p.p. nonche' articolo 158 c.p., comma 1, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), avendo riguardo alla mancata dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione. Si deduce che la Corte d'appello ha escluso che fosse intervenuta la prescrizione dei reati, omettendo di considerare la documentazione fotografica estratta dalle conversazioni WhatsApp del 10 giugno 2016 e del 28 giugno 2016, dalla quale si evince il completamento della costruzione gia' nel giugno 2016, e travisando le dichiarazioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno concordemente riferito come l'opera fosse stata ultimata nel giugno 2016, o comunque prima dell'estate di quell'anno. 2.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 158 c.p., articoli 3, 24, 27 e 111 Cost., articolo 6 CEDU e articolo 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo ancora alla mancata dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione. Si deduce che, in ogni caso, dalla stessa sentenza impugnata emerge un ragionevole dubbio in ordine alla data di ultimazione delle opere, e, quindi, al decorso del termine di prescrizione, e che, quindi, la pronuncia della sentenza di condanna, invece che di proscioglimento per estinzione dei reati, e' avvenuta in violazione dei principi in tema di onere della prova nel processo penale. Si puntualizza che, anche secondo la giurisprudenza, il principio in dubio pro reo trova applicazione pure in tema di cause di estinzione del reato (si cita, tra le tante, Sez. 3, n. 28910 del 08/07/2013). 2.6. Con il sesto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo alla mancata applicazione della causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto. Si deduce che l'esclusione della causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto, di cui all'articolo 131-bis c.p., e' avvenuta sulla base di una motivazione tautologica, priva di qualunque riferimento ad elementi concreti. 2.7. Con il settimo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'articolo 131-bis c.p., articoli 3, 13, 25 e 27 Cost., a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla mancata esclusione del reato per difetto di offensivita' o alla mancata applicazione della causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto. Si deduce che la sentenza impugnata non ha considerato l'assenza di offensivita' del fatto, o comunque la sua particolare tenuita', e la non abitualita' del comportamento dell'imputato, ed ha illegittimamente escluso l'applicabilita' dell'istituto di cui all'articolo 131-bis c.p. alle ipotesi di reato continuato. 2.8. Con l'ottavo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Si deduce che la pena e' stata determinata sulla base di una motivazione apodittica in misura nettamente distante dai minimi edittali. 3. In prossimita' dell'udienza, nell'interesse del ricorrente (OMISSIS), l'avvocato (OMISSIS) ha presentato memoria. Nella memoria, si procede ad un riepilogo dei motivi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile per le ragioni di seguito precisate. 2. Diverse da quelle consentite in sede di legittimita', prive di specificita' e comunque manifestamente infondate, sono le censure esposte nei primi tre motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente perche' strettamente connesse, le quali contestano l'affermazione di responsabilita', in particolare deducendo la natura apodittica della motivazione della sentenza impugnata, laddove esclude la riferibilita' al manufatto indicato nell'imputazione della qualifica di "appostamento fisso per la caccia", nonche', in ogni caso, la insussistenza della necessita' di un titolo abilitativo, e denunciando anche il travisamento delle prove testimoniali e /i (documentali acquisite agli atti. 2.1. Occorre premettere che dubbia e' la compatibilita' con la Costituzione di una legislazione regionale che esonera la realizzazione degli appostamenti fissi per la caccia dall'obbligo del preventivo rilascio di un titolo edilizio abilitativo, e che, in ogni caso, la disciplina della Regione Umbria ha fissato significativi limiti dimensionali. 2.1.1. Per quanto riguarda il primo profilo, va rilevato che la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della Legge Regionale Veneto n. 25 del 2012, articolo 2, comma 1, nella parte in cui esenta dall'assoggettamento al regime del titolo abilitativo edilizio e dell'autorizzazione paesaggistica gli appostamenti fissi per la caccia (Corte Cost., sent. n. 139 del 2013). In particolare, a fondamento della decisione, il Giudice delle Leggi ha osservato: "Lo spazio attribuito alla legge regionale si deve quindi sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 6 le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo. Gli appostamenti fissi per la caccia, sotto questo profilo, non sono assimilabili, come sostiene la difesa regionale, alle serre mobili stagionali, sprovviste di struttura in muratura e funzionali allo svolgimento dell'attivita' agricola, che costituiscono attivita' edilizia libera ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera e), del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. Il perno del regime derogatorio, infatti, e' costituito dalla mobilita' delle serre, requisito di cui l'appostamento "fisso" di per se' non gode. Il legislatore regionale ha percio' valicato il limite determinato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 6, comma 6, lettera a), relativo alla estensione dei casi di attivita' edilizia libera ad ipotesi non integralmente nuove, ma "ulteriori", ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli interventi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo 6. Ne consegue che la norma impugnata, avendo ad oggetto manufatti per i quali la normativa dello Stato esige il permesso di costruire, ha ecceduto dalla sfera di competenza concorrente assegnata dall'articolo 117 Cost., comma 3" (Corte Cost., sent. n. 139 del 2013, in motivazione, § 4). 2.1.2. In riferimento al secondo aspetto, poi, va evidenziato che la Regione Umbria, con Legge Regionale 21 gennaio 2015, n. 1, ha si' previsto la possibilita' di realizzare "appostamenti fissi per la caccia" senza titolo edilizio, ma purche' gli stessi abbiano dimensioni modeste. Precisamente, la Legge Regionale Umbria n. 1 del 2015, articolo 118, comma 1, lettera l), nel testo vigente, prevede la possibilita' di eseguire senza titolo abilitativo, sebbene "nel rispetto delle disposizioni del regolamento comunale per l'attivita' edilizia e dello strumento urbanistico sulle tipologie e sui materiali utilizzabili", gli interventi concernenti "le strutture e delimitazioni per le attivita' di protezione della fauna selvatica e dei territori, nonche' per il prelievo venatorio di cui all'articolo 89, comma 2". L'articolo 89, comma 2, L. R. Umbria cit., nel testo vigente in forza della modifica recata dalla Legge Regionale Umbria 23 novembre 2016, n. 13, articolo 23, comma 1, a sua volta, prevede la realizzabilita' nello spazio rurale di "strutture per l'esercizio dell'attivita' venatoria di cui alla Legge Regionale 17 maggio 1994, n. 14, articoli 24 e 25 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), con le modalita' e caratteristiche ivi previste, per una superficie relativa all'area di sedime non superiore a metri quadrati quattro per singola struttura, nonche' e' consentita l'apposizione di tabellazioni previste dalla stessa legge regionale, finalizzate a delimitare i territori e le attivita' interessate". La Legge Regionale Umbria 17 maggio 1994, n. 14, articolo 24, rubricato "appostamenti fissi per la caccia", al comma 1, prevede: "Sono appostamenti fissi quelli costruiti con materiali solidi con preparazione di sito, destinati all'esercizio venatorio almeno per un'intera stagione di caccia, quali: capanni, imbarcazioni e zattere stabilmente ancorate e simili collocati nelle paludi, negli stagni e ai margini di specchi d'acqua naturali o artificiali". 2.2. La sentenza impugnata ha escluso che l'opera indicata nel capo di imputazione possa essere qualificata come "appostamento fisso per la caccia" all'esito di una valutazione delle diverse fonti di prova. Innanzitutto, la Corte d'appello ha riportato il contenuto delle dichiarazioni rese a dibattimento dal dirigente del servizio foreste, montagna e sistemi faunistici-fauna della Regione Umbria, dottor (OMISSIS). Ha evidenziato, in particolare, che questo testimone ha affermato la possibilita' di realizzare appostamenti per la caccia senza autorizzazioni, ed ha specificato le caratteristiche che gli stessi debbono avere quanto alla loro localizzazione, all'identita' del soggetto abilitato a realizzarli, e ai materiali utilizzabili. Ha poi sottolineato che il medesimo teste ha dichiarato che il suo ufficio, il quale aveva rilasciato autorizzazione per un appostamento fisso per la caccia al colombaccio con riferimento alle opere in questione, ma in data 12 luglio 2018, e in favore di diverso soggetto, non era competente ad effettuare controlli in ordine alla realizzazione del manufatto. La Corte d'appello, inoltre, ha precisato che la struttura e le dimensioni del manufatto, quali documentate anche dal materiale fotografico in atti, non sono quelle tipiche degli appostamenti, ma di una "casa sull'albero", e che una conferma di queste conclusioni e' evincibile anche dalla decisione del Comune di ordinare l'ordine di demolizione dell'opera per l'assenza di titoli abilitativi sia urbanistici sia sismici. Ha aggiunto che, proprio per la tipologia del manufatto realizzato, deve ritenersi integrata anche la fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 95. Va aggiunto, ancora, che il capo di imputazione precisa che l'opera ritenuta illegittima e' una costruzione in legno di circa 3,00 metri per 2,00 metri, con altezza di 2,00 metri, posta a circa 3,00/4,00 da terra, sopra una quercia. Identiche indicazioni, nella sostanza, sono fornite anche dalla sentenza di primo grado. La sentenza di primo grado, inoltre, precisa che la violazione della disciplina antisismica deve ritenersi realizzata perche' l'opera ricade in zona all'epoca classificata a media sismicita', in forza di specifica Delib. Giunta Regionale, e perche' l'imputato non aveva dato preavviso scritto in ordine alla sua realizzazione, ne' aveva depositato il relativo progetto esecutivo. 2.3. In considerazione degli elementi indicati, e dei riferimenti normativi rilevanti, le conclusioni della Corte d'appello sulla sussistenza dei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 44 e 95 sono incensurabili. Innanzitutto, la valutazione della sentenza impugnata in ordine alla necessita' di un titolo abilitativo sotto il profilo urbanistico sono motivate con riferimento agli atti, ne' puo' parlarsi di travisamento della prova nei termini indicati nel ricorso. Inoltre, l'apprezzamento sulla non necessita' del titolo abilitativo sotto il profilo edilizio deve essere molto rigoroso, posta la giurisprudenza della Corte costituzionale che, pur pronunciandosi con riferimento ad una legge della Regione Veneto, ha ritenuto la necessita' del permesso di costruire ai fini della realizzabilita' degli appostamenti fissi per la caccia. Ancora, il ricorso non si confronta con un elemento dimensionale decisivo anche per la legislazione regionale dell'Umbria. Invero, le sentenze di merito affermano che e' stato realizzato un manufatto la cui superficie e' di circa 3,00 metri per 2,00 metri, quindi certamente superiore ai 4 metri quadrati che costituiscono il limite massimo per la configurabilita' di un appostamento fisso per la caccia, a norma della Legge Regionale Umbria n. 1 del 2015, articolo 89, comma 2. Ora, a norma di tale disposizione regionale, gia' vigente a fine 2016, ossia prima della realizzazione dell'opera, come meglio si precisera' al § 3, le "strutture per l'esercizio dell'attivita' venatoria" devono essere "per una superficie relativa all'area di sedime non superiore a metri quadrati quattro per singola struttura". Risulta inoltre corretta anche l'affermazione di responsabilita' per il reato di omissione del previo avviso della realizzazione dell'opera. Da un lato, infatti, il requisito dimensionale e' significativo. Dall'altro, la giurisprudenza ha ripetutamente precisato che le disposizioni previste dal Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articoli 83 e 95 si applicano a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica, anche alle opere edili con struttura in legno, a prescindere dalla natura precaria o permanente dell'intervento (cfr., in particolare, Sez. 3, n. 4567 del 10/10/2017, dep. 2018, Airo' Farulla, Rv. 273068-01, nonche' Sez. 3, n. 10205 del 18/01/2006, Solis, Rv. 233671-01). Puo' essere utile aggiungere che la necessita' di applicazione della disciplina antisismica per le opere edilizie con struttura in legno e' stata ravvisata sulla base della persuasiva osservazione secondo cui l'utilizzo di elementi strutturali di minore solidita' rende ancora piu' necessari i controlli e le cautele prescritte dalla citata legge in materia di costruzioni in zona sismica (cosi' Sez. 3, n. 10205 del 2006, cit.). 3. Diverse da quelle consentite in sede di legittimita', e comunque prive di specificita', sono le censure formulate nel quarto e nel quinto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente perche' strettamente connesse, le quali contestano l'esclusione del decorso dei termini di prescrizione, deducendo che le deposizioni testimoniali inducono a ritenere, quanto meno in termini di ragionevole dubbio, che l'opera sarebbe stata realizzata entro l'estate del 2016, e quindi i reati si sarebbero consumati oltre cinque anni prima della decisione della Corte d'appello, intervenuta il 4 febbraio 2022. La sentenza impugnata, infatti, non esamina solo le dichiarazioni testimoniali che si assumono travisate, ma osserva che la "fattura di acquisto dei materiali necessari per la costruzione risaliva al febbraio 2017". E la sentenza di primo grado precisa che le fotografie prodotte dalla difesa documentano la costruzione alla data del 27 maggio 2016 della sola base del manufatto, e che la fattura di acquisto dei materiali necessari per la costruzione, anch'essa prodotta dalla difesa, e' del 20 febbraio 2017. Ora, nel ricorso, nulla si dice con specifico riguardo alla predetta fattura di acquisto ed alla data della stessa. E' pero' evidente come questo dato assume carattere sicuramente congruo per giustificare la conclusione secondo cui la realizzazione dell'opera non puo' essere certo anteriore a quella data. Ne discende che correttamente la sentenza impugnata ha escluso che l'opera fosse stata realizzata entro il 3 febbraio 2017, e, quindi, oltre cinque anni prima della pronuncia della sentenza della Corte d'appello. 4. Diverse da quelle consentite in sede di legittimita' sono le censure enunciate nel sesto e nel settimo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente perche' strettamente connesse, le quali contestano la mancata applicazione della causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto, deducendo che la motivazione in proposito e' del tutto generica e non esamina nemmeno il profilo della non abitualita' della condotta. Invero, la Corte di appello ha legittimamente escluso la particolare tenuita' del fatto, valorizzando le modalita' di attuazione dell'illecito e le conseguenze dannose dello stesso. Non va trascurato, sotto tale profilo, che l'imputato ha anche disatteso l'ordine di demolizione impartito dal Comune, ed ha cercato di avviare all'irregolarita' dell'opera sotto il profilo edilizio e di sicurezza sismica facendo ricorso all'autorizzazione rilasciata dal dirigente del servizio foreste, montagna e sistemi faunistici-fauna della Regione Umbria, il quale pero' non aveva poteri di controllo in ordine alla realizzazione del manufatto. 5. Diverse da quelle consentite in sede di legittimita' sono anche le censure proposte con l'ottavo motivo di ricorso, le quali contestano le scelte in ordine al trattamento sanzionatorio, deducendo che la pena e' stata fissata in misura distante dal minimo senza alcuna reale motivazione. Va innanzitutto premesso che la pena e' stata cosi' determinata in primo grado: la pena base e' stata fissata in 3 mesi di arresto e 12.000,00 Euro di ammenda, poi ridotta per le circostanze attenuanti generiche a 2 mesi di arresto e 8.000,00 Euro di ammenda, quindi aumentata per la continuazione, complessivamente a 2 mesi e 20 giorni di arresto e 8.500,00 Euro di ammenda. Va poi rilevato che, per il reato piu' grave, quello di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera b), la pena prevista puo' oscillare da un minimo di 5 giorni di arresto ad un massimo di due anni di arresto e, congiuntamente, da un minimo di 10.329,00 Euro di ammenda ad un massimo di 103.290,00 Euro di ammenda. Risulta evidente quindi che le scelte sanzionatorie sono state marcatamente orientate verso i minimi edittali, e che puo' ritenersi congrua la valutazione di discostarsi dal minimo in ragione della "rilevanza del commesso abuso". 6. Alla dichiarazione di inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' - al versamento a favore della Cassa delle Ammende dalla somma di Euro tremila, cosi' equitativamente fissata in ragione dei motivi addotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2573 del 2016, proposto da Co. Co., rappresentato e difeso dall'avvocato Fe. Bi., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Giuseppe Pecorilla in Roma, corso (...); contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Da. An. Po., con domicilio eletto presso lo Studio Gr. in Roma, corso (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce Sezione Prima n. 2722/2015, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 14 dicembre 2022 il Cons. Sergio Zeuli; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza impugnata ha respinto la richiesta di risarcimento danni formulata dalla parte appellante nei confronti del Comune di (omissis), per avere quest'ultimo imposto un'eccessiva durata al procedimento avviato sulla domanda da lui presentata l'8 settembre del 2009, per la realizzazione di un impianto fotovoltaico in tenimento di quel Comune. Avverso la decisione, sono sollevati i seguenti motivi di appello: error in iudicando violazione dell'art. 2043 e 2697 del c.c.; travisamento dei presupposti e difetto di istruttoria. 2. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto dell'appello. 3. In via preliminare va disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 40 comma 1 lett. d) e comma 2 e art. 101 del c.p.a. per non essere stati indicati i motivi specifici di gravame. La deduzione dell'appellato non è fondata perché il gravame ha evidenziato puntualmente tutte le parti della motivazione della sentenza che intendeva sottoporre a critica. Dunque, sia pur indirettamente, ha rispettato i canoni imposti dal codice di rito per essere ritenuto ammissibile. 4. È parimenti infondata la seconda eccezione di inammissibilità dell'appello per tardività del ricorso di primo grado. Infatti, il dies a quo per la decorrenza del termine di cui al comma 3 dell'art. 30 andava individuato - come correttamente ritenuto dalla parte appellante- nel momento in cui l'Amministrazione si determinò, in modo definitivo ed inequivocabile, a respingere la richiesta dell'appellante; momento che risale alla nota del 17 febbraio del 2011, con la quale il Comune comunicava che il diniego, già in precedenza reso noto il 22 luglio del 2010, era emesso anche a causa del parere contrario dell'Aeronautica Militare del 19 febbraio del 2010. Ritiene il Collegio che questa sia l'opzione più corretta per due ordini di motivi. Innanzitutto perché solo il 17 febbraio del 2011 l'appellante ebbe definitiva contezza, anche sotto il profilo dei motivi che lo sorreggevano, dell'esito negativo della pratica. È vero, inoltre, che l'ente locale aveva precedentemente comunicato all'appellante, dopo avergli notificato due preavvisi di diniego, il rigetto dell'istanza sin dal 22 luglio del 2010, tuttavia quest'ultimo non conteneva alcun riferimento al parere dell'Aeronautica, quindi venne opportunamente integrato con la motivazione aggiuntiva del 17 febbraio 2011. Sia per ragioni legate alla tutela delle prerogative defensionali dell'interessato, sia per esigenze di obiettiva certezza, anche a fini processuali, è pertanto corretto individuare in quest'ultima data, il termine dal quale far decorrere i 120 giorni per la presentazione della domanda di risarcimento. 5. Venendo al merito della controversia, la parte appellante insta per il risarcimento del danno da lui subito a causa dell'eccessiva durata del procedimento relativo alla domanda da lui presentata l'8 settembre del 2009, per la realizzazione di un impianto fotovoltaico, in località Giumente del Comune di (omissis). In particolare sottolinea che, se l'attività della P.a. non si fosse protratta in modo indebito, il procedimento non sarebbe stato negativamente inciso dalla sopraggiunta sentenza della Corte Costituzionale del 31 marzo del 2010, che, abrogando le norme regionali (art. 3 comma 1 L.R. 31/2008) che consentivano una procedura semplificata per la realizzazione degli impianti di cui alla controversia, procedura a cui l'appellante aveva fatto ricorso, compromise definitivamente l'iniziativa intrapresa. 5.1. Occorre dunque verificare se il procedimento abbia effettivamente ed ingiustificatamente avuto durata eccessiva, e, in caso positivo, se tanto sia addebitabile all'autorità procedente. La procedura inizia con la presentazione dell'istanza dell'appellante l'8 settembre del 2009. A causa dell'incompletezza della documentazione allegata, il Comune, il 24 settembre 2009, sospendendo nelle more il procedimento, chiedeva il deposito di documentazione integrativa. Contemporaneamente, in considerazione della contiguità del realizzando impianto con l'aeroporto militare "Fo. Ce.", l'ente locale richiedeva in merito il parere del Comando Militare III Regione Aerea. La richiesta di integrazione documentale era adempiuta, peraltro in modo parziale, dall'appellante solo il 12 marzo del 2010 che depositava alcuni documenti protocollati al comune il 15 marzo del 2010. Come detto, alcuni documenti, nonostante fossero stati espressamente richiesti, mancavano: in particolare non erano esibiti né quelli indicati dalla Circolare n. 38/8763 Regione Puglia Assessorato Sviluppo Economico ed Innovazione Tecnologica, né quelli previsti dalla L.r. Puglia n. 31 del 2008. Poco meno di un mese prima, il 19 febbraio del 2010, era anche sopravvenuto, nel procedimento, il ricordato parere negativo dell'Amministrazione Militare, a firma dell'Ufficiale Capo Reparto Territorio e Patrimonio, basato sulla circostanza che quell'area sarebbe stata prossimamente espropriata nell'ambito di un più generale progetto di ampliamento dell'originaria struttura aereoportuale. Il successivo 26 marzo del 2010 il RUP comunicava il preavviso di diniego, informando il richiedente del parere negativo dell'Aeronautica Militare, preavviso successivamente ribadito alla luce di quanto statuito dalla già ricordata sentenza della Corte Costituzionale n. 119 del 2010. 6. Tanto premesso, si osserva che la piana ricostruzione del procedimento e delle sue fasi consente di escludere che lo stesso abbia avuto eccessiva durata, anzi, considerando che la stasi più significativa è stata dovuta al ritardo con cui l'interessato ha adempiuto alla richiesta di integrazione documentale, deve conclusivamente ritenersi infondata la relativa deduzione. Parimenti infondata è la critica sollevata all'autorità procedente di avere richiesto il parere all'Aeronautica, nonostante non fosse imposto da alcuna norma di legge. In merito si osserva, innanzitutto, che, ancorché si trattasse di un parere facoltativo, la richiesta appariva tutt'affatto che inopportuna, attesa la prossimità dell'impianto con l'aeroporto militare Ce.. Scelta ancor più corretta, considerato che i pannelli fotovoltaici possono produrre effetti di rifrazione dei raggi solari, idonei a disturbare la navigazione aerea, soprattutto nelle fasi, notoriamente più delicate, del decollo e dell'atterraggio. D'altro canto, sotto il profilo della sua legittimità, si osserva come la richiesta fosse in linea con quanto previsto sia dall'art. 5 lett. b) del TUED, a norma del quale l'ufficio competente al rilascio del permesso di costruire, acquisisce, se di interesse, gli assensi delle competenti autorità militari, che dagli artt. 710 e 711 del codice della navigazione illo tempore vigenti che prevedevano rispettivamente che: " Per gli aeroporti militari, il Ministero della difesa esercita le competenze relative:... b) alla autorizzazione alla costituzione degli ostacoli alla navigazione aerea nelle vicinanze degli stessi; c) all'imposizione di limitazioni e rilascio di autorizzazioni di cui all'articolo 711" e che :" Nelle zone di cui all'articolo 707, sono soggette a limitazioni le opere, le piantagioni e le attività che costituiscono un potenziale richiamo per la fauna selvatica o comunque un pericolo per la navigazione aerea" . Si può dunque pacificamente escludere che il procedimento fu indebitamente aggravato da superflui adempimenti ed a fortiori, che sia ravvisabile una qualsivoglia colpa dell'amministrazione nella gestione della vicenda di cui al contenzioso. 6.1. Va ancora osservato che l'interessato nel corso del procedimento non ha prospettato argomenti idonei a contrastare gli elementi che ostavano alla realizzazione dell'impianto. Tanto meno, successivamente alla conclusione di quest'ultimo, ha ritenuto di impugnare il diniego. Poiché entrambi questi dati dimostrano una sostanziale acquiescenza sulla non spettanza del bene della vita, la stessa allegazione di un danno che avrebbe subì to dall'intera vicenda amministrativa risulta indimostrata, se non addirittura inconsistente. Questi motivi inducono a respingere l'appello. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 6000,00 (seimila/00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Francesco Gambato Spisani - Presidente Raffaello Sestini - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BRICCHETTI Renato G. - Presidente Dott. BINENTI Roberto - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - rel. Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 21/12/2021 del TRIBUNALE di SORVEGLIANZA di GENOVA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. BARBARA CALASELICE; lette le conclusioni del S. Procuratore Generale, Dott. Tassone K., che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza di Genova ha rigettato l'opposizione presentata contro l'ordinanza con la quale era stata respinta, in data 22 settembre 2021, l'istanza di riabilitazione proposta nell'interesse di (OMISSIS), in relazione alla sentenza del 19 maggio 2010 del Tribunale di Sanremo, divenuta irrevocabile il 25 settembre 2010, relativa a reati di detenzione e porto di armi, ricettazione, violazione delle norme per la protezione della fauna selvatica. 1.1. Nel rigetto dell'istanza, si era osservato che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, il condannato aveva riportato condanna per la contravvenzione di guida in stato d'ebbrezza (commessa nel (OMISSIS)), era stato segnalato due volte per truffe ai danni dello Stato, commesse nel (OMISSIS), nonche' per lesioni personali volontarie commesse nel (OMISSIS); nel periodo di osservazione, rappresentato dal triennio successivo all'irrevocabilita' della sentenza, difettava, dunque, il requisito della buona condotta. 1.2. In sede di opposizione il Tribunale di sorveglianza, nel ribadire il rigetto, ha sottolineato la correttezza della decisione adottata, trattandosi di fatti non sporadici, oggetto di sentenza penale ancorche' non irrevocabile, o che avevano, comunque, dato avvio a procedimento penale, dimostrativi dell'inaffidabilita' del condannato, tenuto conto che la giurisprudenza di legittimita' indica come significativi, all'uopo, anche i deferimenti amministrativi. 2. Avverso il provvedimento descritto propone ricorso per cassazione il condannato, per il tramite del difensore, avv. (OMISSIS), deducendo, con il primo motivo, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. 2.1. Osserva che vi e' stato automatismo diretto a collegare ai deferimenti indicati nel primo provvedimento di rigetto il diniego della riabilitazione, senza considerare nel caso concreto il reale significato dei deferimenti di cui alla nota dei Carabinieri di Imperia del 20 settembre 2021. Si sottolinea che, ai fini della buona condotta, il periodo da prendere in esame non e' solo il triennio dal passaggio in giudicato della condanna, ma anche quello successivo, fino alla decisione (anni (OMISSIS)-(OMISSIS)), periodo in cui non risultano segnalazioni. Dal 2015, anzi, (OMISSIS) e' volontario presso la squadra antincendio boschivo alle dipendenze del Comune di (OMISSIS) e successivamente componente di una squadra della Protezione civile. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione anche dell'ordinanza emessa in sede di opposizione, tenuto conto che il Tribunale afferma di aver svolto il controllo fino al (OMISSIS), dando conto di aver esaminato la nota dei Carabinieri di Imperia del 20 settembre 2021, ma incorre in vizio di motivazione perche' la condotta del condannato dal (OMISSIS) al (OMISSIS), non viene menzionata nel provvedimento impugnato. 2.3. Con il terzo motivo si denuncia inosservanza di norma penale e mancata assunzione di prova decisiva. Il condannato, per la contestazione delle due segnalazioni per truffa e di quella per lesioni dolose, ha prodotto certificato penale dal quale risulta l'assenza di precedenti, documento considerato non esaustivo da parte del Tribunale che ha, invece, ritenuto significative le segnalazioni e/o querele anche se non sfociate in provvedimento di condanna definitivo. Si contesta che sussista a carico del richiedente un dovere di produrre documentazione (relativo ad eventuali proscioglimenti intervenuti nella specie per i fatti segnalati), sussistendo solo un onere di allegazione e incombendo poi all'autorita' giudiziaria il compito di procedere ad accertamenti. 3. Il S. Procuratore generale presso questa Corte, K. Tassone, ha fatto pervenire requisitoria scritta, con la quale chiede che sia dichiarata l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. Il primo motivo e' infondato. Osserva il Collegio che la valutazione del presupposto di buona condotta va effettuata con riferimento al periodo di tre anni, decorrente dalla data in cui la pena principale risulti eseguita (ossia dalla data di espiazione della pena detentiva o di pagamento della pena pecuniaria) o siasi in altro modo estinta, con la conseguenza che non possono essere presi in considerazione comportamenti anteriori, ancorche' di chiara valenza negativa (Sez. 1, n. 55063 del 14/11/2017, Fiumefreddo, Rv. 271916). D'altro canto, la natura costitutiva del provvedimento che concede il beneficio, non essendo affidata al giudice la mera ricognizione della sussistenza di presupposti tipici e definiti dalla norma, ma essendogli demandato un compito valutativo di natura discrezionale, comporta che siffatta valutazione si estenda dal momento dell'esecuzione o della estinzione della pena principale sino a quello della decisione (Sez. 1, n. 13753 del 21/1/2020, Dondi, Rv. 278937, in motivazione: Sez. 1, n. 42066 del 4/4/2014, Secondo, Rv. 260517; Sez. 1, n. 1507 del 17/12/2012, dep. 2013, Carnaghi, Rv. 254251). Si rileva, poi, che il presupposto della buona condotta, secondo l'indirizzo costante di questa Corte, anche in riferimento alla riabilitazione da misure di prevenzione, subordinata allo stesso requisito, non consiste soltanto nella mera astensione dal compimento di fatti costituenti reato, ma postula l'instaurazione e il mantenimento di uno stile di vita improntato al rispetto delle norme di comportamento comunemente osservate dalla generalita' dei consociati, pur quando le stesse non siano penalmente sanzionate o siano, addirittura, imposte soltanto (senza la previsione di alcun genere di sanzione giuridica) da quelle elementari e generalmente condivise esigenze di reciproca affidabilita' che sono alla base di ogni ordinata e proficua convivenza sociale" (Sez. 1, n. 196 del 3/12/2002, dep. 2003, Rega, Rv. 223027). Il decidente deve, dunque, accertare non tanto l'assenza di ulteriori elementi negativi, ma l'esistenza di prove effettive e costanti di buona condotta. Sicche', mentre il totale silenzio sulla condotta dell'istante risulta insufficiente a fornire la prova di emenda e di ravvedimento, qualsiasi nota negativa in ordine al suo comportamento costituisce prova contraria a quella richiesta dal legislatore (Sez. 1, n. 8030 del 23/1/2019, D'Angelantonio, Rv. 274914; Sez. 1, n. 11572 del 5/2/2013, Faye, Rv. 255157; Sez. 1, n. 39809 del 2/10/2008, Lombardo, Rv. 241652). Dunque, deve escludersi che il provvedimento, come quello all'esame del Collegio, che si limiti a mettere in risalto solo indici negativi per rigettare la richiesta di riabilitazione, possa essere ritenuto illegittimo. 1.1. Il secondo motivo e' inammissibile in quanto genericamente formulato e, comunque, manifestamente infondato. In sostanza si deduce vizio di motivazione, ma i provvedimenti adottati richiamano la nota dei Carabinieri di Imperia del 20 settembre (OMISSIS) evidenziando, comunque, diversi elementi negativi in relazione alla prova effettiva e costante della buona condotta. Sicche', non assume rilievo dirimente quanto dedotto e cioe' l'omesso esame della condotta del condannato dal (OMISSIS) al (OMISSIS), in quanto questa non sarebbe sufficiente a superare gli elementi indicati, dai provvedimenti in questione, come espressione negativa della prova di ravvedimento o emenda. 1.2. Il terzo motivo e' inammissibile perche' manifestamente infondato. Rileva il Collegio che, nella valutazione del presupposto probatorio ai fini della chiesta riabilitazione, e' consentito al giudice prendere in esame, nonostante la presunzione di non colpevolezza che assiste l'imputato, anche denunce, atti di procedimenti penali pendenti a carico del riabilitando per fatti successivi a quelli cui inerisce la domanda, ancorche' non ancora definiti con sentenza di condanna, la pendenza di procedimenti amministrativi, a condizione che di siffatti elementi sia apprezzato il significato concreto, dimostrativo della commissione di condotte devianti o irregolari, tali da contraddire il mantenimento della buona condotta e da provare il mancato recupero del condannato (Sez. 1, n. 820 del 7/2/1996, Marchese, Rv. 204016; Sez. 1, n. 33420 del 12/7/2001, Occhipinti, Rv. 219659; Sez. 1, n. 11821 del 10/2/2009, Berto', Rv. 243492). Non e' infatti, di per se' di ostacolo all'accoglimento dell'istanza di riabilitazione l'esistenza di una o piu' denunzie o la sola pendenza di procedimenti penali per fatti successivi, ma tali denunzie e pendenze sono, invece, valutabili per trarne elementi di persuasione in ordine al giudizio globale, positivo o negativo, di mantenimento della buona condotta e di conseguimento dell'emenda. Di tali principi di diritto il provvedimento impugnato ha fatto esatta interpretazione e corretta applicazione, non limitandosi a elencare le informazioni raccolte in maniera schematica, ma ha valutato, in concreto gli elementi (negativi) ritenuti rilevanti al fine della qualificazione del comportamento e dell'accertamento della buona condotta. All'uopo, ha richiamato la condanna e due deferimenti successivi a quelli per i quali vi e' procedimento, relativi ad un lasso di tempo non estremamente lungo, fatti che si collocano dal (OMISSIS) al (OMISSIS), quindi in buona parte ricadenti nel triennio decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza del 19 maggio 2010 e, comunque, compresi nel periodo fino alla decisione, rispetto ai quali, comunque, si indicano come non incidenti sul giudizio negativo formulato, gli elementi positivi dedotti dal ricorrente (da trarre dal contenuto della nota dei Carabinieri di Imperia del 20 settembre 2021). Alla luce di tale conclusione, dunque, appare irrilevante ogni questione inerente alla delineata insussistenza, a carico del richiedente, del dovere di produrre documentazione relativa ad eventuali proscioglimenti intervenuti nella specie per i fatti segnalati. 3. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. SOCCI Angelo Matt - rel. Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. CORBO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/03/2021 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI NORD; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CUOMO Luigi, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio limitatamente alla confisca delle armi e delle cartucce. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord del 16 marzo 2021 si e' dichiarato di non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) relativamente al reato di cui all'articolo 110 c.p., L. n. 157 del 1992, articolo 21 e articolo 30, comma 1, lettera H, perche' il reato e' estinto per oblazione con la confisca di quanto in sequestro (armi e munizioni). 2. I due imputati hano proposto ricorso in cassazione, con un unico motivo di seguito enunciato, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Violazione di legge (L. n. 157 del 1992, articoli 26 e 28). La confisca delle armi e' consentita solo nelle ipotesi di condanna e non puo' disporsi in esito all'oblazione. La giurisprudenza della Cassazione sul punto risulta costante (vedi Cassazione Sezione 3, n. 4263/2021). Ad (OMISSIS) sono stati confiscati 1 fucile semiautomatico e 3 cartucce calibro 12, ad (OMISSIS) cono stati confiscati 1 fucile semiautomatico e 3 cartucce calibro 12. Hanno chiesto pertanto l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso risulta fondato limitatamente alla confisca di quanto in sequestro. Deve ribadirsi la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione sul punto: "In materia di caccia, la confisca delle armi utilizzate per la commissione dei reati richiamati dalla L. 11 febbraio 1992, n. 157, articolo 28, comma 2 non puo' essere disposta in caso di dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta oblazione" (Sez. 3, Sentenza n. 3301 del 19/10/2017 Cc., dep. 24/01/2018, Rv. 272154 - 01). Per la L. n. 157 del 1992, articolo 28, comma 2, infatti, nei casi previsti dall'articolo 30, gli ufficiali ed agenti che esercitano funzioni di polizia giudiziaria procedono al sequestro delle armi, della fauna selvatica e dei mezzi di caccia, con esclusione del cane e dei richiami vivi autorizzati. In caso di condanna per le ipotesi di cui al medesimo articolo 30, comma 1, lettere a), b), c), d), ed e), le armi e i suddetti mezzi sono in ogni caso confiscati. Nel nostro caso, non vi e' stata la condanna, ma e' stato dichiarato non doversi procedere perche' il reato e' estinto per intervenuta oblazione. Al riguardo, e' stato gia' osservato da.questa Corte che la confisca delle armi utilizzate per la commissione dei reati richiamati dalla L. n. 157 del 1992, articolo 28, comma 2, puo' essere disposta unicamente in caso di condanna (ad es. Sez. 3, n. 11580 del 04/02/2009, Chirico, Rv. 243017; vedi anche Cass. Sez. 3, n. 40263 del 3 febbraio 2021, Inverardi, non massimata). Tra l'altro, stante l'intervenuta definizione del giudizio nelle richiamate modalita', non possono applicarsi ne' le norme di cui all'articolo 240 c.p., comma 1, atteso che non vi e' stata condanna, ne' quelle di cui al comma 2, dal momento che non risultano sequestrate cose che costituiscono il prezzo del reato; ne' costituiva reato la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione e l'alienazione delle medesime, difettando qualsivoglia elemento in tal senso. Alla stregua dei rilievi che precedono, la sentenza impugnata va quindi annullata limitatamente alla disposta confisca (dell'arma e delle munizioni), che si revoca, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla confisca delle armi e delle munizioni che revoca disponendo la restituzione agli aventi diritto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. SCARLINI Enrico - rel. Consigliere Dott. BELMONTE Maria T. - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/11/2020 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI; letto il parere del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. ODELLO LUCIA, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 26 novembre 2020, la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva ritenuto (OMISSIS) colpevole dei delitti ascrittigli ai capi D, E ed F, per essersi impossessato, il (OMISSIS), degli esemplari di avifauna rimasti impigliati nelle reti che aveva illecitamente steso (capo D), considerati parte del patrimonio indisponibile dello Stato; per aver tentato di impossessarsi, il (OMISSIS), di altri esemplari, stendendo nuove reti (capo E); per avere adoperato sevizie nei confronti degli uccelli catturati e nei confronti di quelli detenuti per utilizzarli come richiami vivi (capo F, contestato ai sensi dell'articolo 544 ter c.p., comma 1). Nel contempo, gia' il Tribunale aveva dichiarato l'estinzione per prescrizione dei reati ascritti al medesimo (OMISSIS) ai restanti capi A, B e C, il primo ai sensi della L. n. 157 del 1992, articolo 3 e articolo 30, lettera e) per avere detenuto e messo in opera e reti per l'uccellagione, i secondo ai sensi dei medesimi articoli per avere compiuto attivita' di caccia mediante uccellagione, il terzo ai sensi dell'articolo 30, lettera h) della legge citata per avere utilizzato nell'attivita' di caccia altri uccelli come richiami vivi. 1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, la Corte territoriale osservava quanto segue. In un caso analogo, la Cassazione (n. 16981/2020) aveva ritenuto che a caccia, esercitata da chi non possieda la licenza, configuri il delitto di furto e non la violazione della normativa speciale contenuta nella L. n. 157 del 1992. Il teste (OMISSIS) non era stato escusso come consulente tecnico ma si era limitato a riferire, come veterinario, sulle condizioni degli esemplari posti alla sua attenzione. La sua relazione era stata acquisita limitatamente all'apparato fotografico. In alcuni casi, gli esemplari avevano riportato danni al piumaggio derivati dal tentativo di uscire dalle gabbie, in altri si era arrivati avulsione totale delle penne. Lo stato in cui erano stati rinvenuti i volatili dimostrava la configurabilita' del delitto contestato, non potendosi diversamente ricondurre la condotta nel perimetro della contravvenzione di cui all'articolo 727 c.p.. 2. Propone ricorso l'imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare l'errata qualificazione giuridica del fatto ascritto al prevenuto al capo A della rubrica, con particolare riguardo alla duplicazione della risposta sanzionatoria. La stessa condotta infatti era stata ascritta al ricorrente al capo A come violazione venatoria ed al capo D come furto aggravato ai danni dello Stato. La giurisprudenza della Cassazione aveva infatti chiarito come le condotte descritte concretassero solo delle violazioni della normativa di elezione e non la fattispecie comune prevista dagli articoli 624 e 625 c.p. (Cass. n. 34352/2004 e successivi arresti). Ne' aveva rilievo il fatto che l'imputato possedesse o meno la licenza di caccia posto che l'esercizio della medesima tramite uccellagione e' sempre vietato (cosi' Cass. 25728/2012 in cui, in caso analogo, si esclude la punibilita' a titolo di furto; orientamento non smentito dalla pronuncia n. 3930/2015 che sottolinea solo il discrimen dato dal possesso della licenza di caccia, che, nel caso dell'uccellagione, era, invece, irrilevante). 2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge in riferimento alla ritenuta utilizzabilita' della relazione e della deposizione del teste (OMISSIS). Costui, quale dirigente del centro (OMISSIS), aveva riferito sulle condizioni dei volatili consegnatigli dagli agenti che avevano accertato i fatti. Si era effettuato un accertamento irripetibile senza che del medesimo fosse stata data notizia alcuna alla difesa. Era pertanto venuta a mancare la prova dei fatti attribuiti all'imputato. 2.3. Con il terzo ed il quarto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per il delitto contestatogli al capo F, ai sensi dell'articolo 544 ter c.p. o la sua derubricazione nella contravvenzione punita dall'articolo 727 c.p.. I volatili, rimasti impigliati nelle reti, erano stati immediatamente liberati e non avevano pertanto sofferto. Quelli detenuti nelle gabbie come richiami erano collocati in ambienti del tutto consoni. Per uno di essi, poi, il roccolo, e' consentito l'utilizzo come esca viva, cosi' che non puo' affermarsi che gliene derivi sofferenza alcuna. L'accertamento operato dal teste (OMISSIS), come detto, era inutilizzabile. Le lesioni riscontrate erano derivate solamente dalla mera detenzione in gabbie e sul punto la Cassazione (nn. 3282/1998, 2341/2013, 6656/2010) aveva chiarito come si potesse configurare il solo reato previsto dall'articolo 727 c.p. (vd anche Cass. 41742/2009). 3. La Procura generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Dr. Odello Lucia, ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso promosso nell'interesse del prevenuto non merita accoglimento. 1. Il primo motivo, speso sulla configurabilita' del delitto di furto aggravato nell'odierna fattispecie (contestato ai capi D ed E), non considera l'orientamento ermeneutico maggioritario di questa Corte, a cui il Collegio aderisce, secondo il quale e' configurabile, anche dopo l'entrata in vigore della L. 11 febbraio 1992, n. 157 di disciplina dell'attivita' venatoria, il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato, qualora l'apprensione o il semplice abbattimento della fauna (anche mediante uccellagione) sia commesso da persona, come nel caso di specie, non munita di licenza di caccia (Sez. 5, n. 16981 del 18/02/2020, Ferremi, Rv. 279254, citata nella sentenza impugnata; Sez. 4, n. 13506 del 04/03/2020, Paolini, Rv. 279135; entrambe nel solco di quanto gia' precisato negli arresti Sez. 4, n. 34352 del 24/05/2004, Peano, Rv. 229083 e Sez. 5, n. 48680 del 06/06/2014, Fusco, Rv. 261436). La ragione di tale approdo ermeneutico risiede innanzitutto nella evidente illogicita' dell'opzione alternativa, la configurabilita' del solo reato contravvenzionale della L. n. 157 del 1982, articolo 30 della proprio nel caso in cui l'avifauna, appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, abbia subito l'offesa maggiore: sia stata catturata con il metodo, oggetto di proibizione assoluta, dell'uccellaggione (in cui rientra la predisposizione di reti per la cattura ed il posizionamento nei pressi di richiami vivi che la favoriscano) ad opera di un soggetto neppure munito della licenza di caccia. Deve poi convenirsi con la citata sentenza Ferremi che la L. n. 157 del 1992 che detta "norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio" - individuando le specie oggetto di tutela (articolo 2), disciplinando l'esercizio dell'attivita' venatoria (articolo 12; proibendo in modo assoluto l'uccellagione: articolo 3) ed i mezzi impiegabili (articolo 13), identificando le specie catturabili (articolo 18, individuandone i periodi nel corso dell'anno), ponendo ulteriori divieti a seconda dei luoghi e dei mezzi interessati (articolo 21), fissando, infine le conseguenti sanzioni penali (articolo 30) o, in via residua, amministrative (articolo 31) per la violazione di tali precetti - deve considerarsi rivolta non a coloro che a tale regolamentazione siano rimasti del tutto estranei, come chi non provveda neppure a richiedere ed ottenere la licenza di esercitare attivita' venatoria, ma solo a chi agisca dopo averla conseguita, solo disattendendo le ulteriori disposizioni che regolano quella attivita' venatoria alla quale il medesimo era pero' gia' autorizzato. Un approdo che aveva trovato conferma nella sentenza di questa Quinta sezione n. 44636 del 6 ottobre 2021, non massimata e pronunciata ancora nei confronti del medesimo imputato-ricorrente (OMISSIS), in cui si e' sottolineato come proprio l'applicazione delle pene accessorie disciplinate dalla L. n. 157 del 1992, articolo 32, in caso di condanna per i reati previsti dall'articolo 30 della legge, concretandosi nella revoca o nella sospensione o nel divieto di rilascio del porto di fucile da caccia o della stessa licenza di caccia confermano come tali reati possano essere consumati solo da chi tali licenze possieda. 2. Il secondo motivo e' manifestamente infondato posto che non emerge che il teste (OMISSIS) abbia effettuato un accertamento di tipo tecnico ne' che tale presunto accertamento fosse irripetibile posto che il testimone si era limitato a riferire, pur in termini professionalmente appropriati in considerazione della sua esperienza professionale, sulle condizioni degli esemplari di avifauna che gli erano stati fatti vedere. Non aveva cosi' compiuto alcuna valutazione, non aveva formulato alcun giudizio di carattere tecnico ma si era limitato a riferire delle condizioni in cui essi si trovavano. Si e' peraltro gia' avuto modo di affermare che in tema di prova testimoniale, il divieto di apprezzamenti personali non opera qualora il testimone sia persona particolarmente qualificata che riferisca su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e specifica attivita' giacche', in tal caso, l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto (Sez. 2, n. 4128 del 09/10/2019, dep. 2020, Cunsolo, Rv. 278086; Sez. 3, n. 29891 del 13/05/2015, Diouf, Rv. 264444). L'affermazione, poi, contenuta in ricorso, circa la non ripetibilita' della osservazione delle condizioni dei volatili, difetta in modo assoluto di specificita' posto che non si afferma che gli esemplari mostrati al testimone siano stati, poi, dispersi o soppressi (solo uno di essi era morto ma cio' costituisce un fatto storico e non l'esito di un giudizio) o comunque sottratti alla verifica della difesa. 3. Da ultimo deve essere affrontata la questione sollevata con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, la configurabilita', nel caso di specie, della violazione dell'articolo 544 ter c.p., anche in riferimento alla possibilita' di derubricare la condotta contestata al capo F nella fattispecie punita dall'articolo 727 c.p.. Deve, innanzitutto, osservarsi come sia priva di manifesti vizi logici la sentenza impugnata nel ricostruire la condotta del prevenuto secondo quanto contestatogli in imputazione. Era infatti emerso come i volatili detenuti nelle gabbie (cosi' la Corte di merito perimetrava l'accusa, alla luce di quanto dedotto in imputazione) avessero riportato dei traumi a carico delle parti apicali delle piume (con, in alcuni casi, l'avulsione della piuma stessa) a causa della contenzione nelle gabbie stesse e dei conseguenti tentativi di volo, ovviamente infruttuosi e destinati ad infrangersi sulle sbarre. Si era poi positivamente accertato che gli stessi erano stati utilizzati come richiami vivi e come uno di essi fosse deceduto nell'occorso. 3.1. Quanto alla corretta qualificazione giuridica della condotta, si ricorda come, in tema di distinzione fra il delitto di maltrattamento di animali, previsto dall'articolo 544 ter c.p. (per "chiunque, per crudelta' o senza necessita', cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a servizi o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche") e la contravvenzione di cui all'articolo 727 c.p. che punisce, al comma 2, "chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttivi di gravi sofferenze", questa Corte abbia affermato che non integra il reato di maltrattamento di animali, bensi' quello di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze, previsto dall'articolo 727 c.p., comma 2, la detenzione di volatili in condizioni di privazione di cibo, acqua e luce. (Sez. 6, Sentenza n. 17677 del 22/03/2016, Borghesi, Rv. 267313 in fattispecie relativa alla custodia di uccelli in sacchetti di stoffa, appesi per ore ad un bastone ed a contatto con i loro escrementi). Proprio alla luce di tali precisazioni nel ricorso si insiste sul fatto che le lesioni mostrate dagli uccelli che erano contenuti nelle gabbie non configura il delitto di maltrattamento degli animali ma solo la contravvenzione della loro detenzione in modo incompatibile con la loro natura. Il ricorrente, cosi', omette di considerare quanto osservato dalla Corte territoriale, in ordine alla incontestata prova che gli stessi non solo erano stati rinchiusi in gabbie talmente piccole da procurare loro le indicate lesioni (ed in alcuni casi anche l'avulsione e non il solo danneggiamento delle piume), ma, soprattutto, erano stati utilizzati, cosi' contenuti, come esche vive per attirare altri esemplari nelle reti che l'imputato aveva illegalmente steso. Ed e' allora evidente come tale ulteriore condotta debba considerarsi concretare il delitto di cui all'articolo 544 ter c.p. perche' non solo "senza necessita'" ma anche illecitamente (perche' strumentalmente alla pratica proibita dell'uccellagione), aveva adibito gli esemplari contenuti nelle gabbie a richiami vivi, cosi' sottoponendoli a servizi insopportabili per le loro caratteristiche etologiche. Se e' infatti vero che la stessa L. n. 157 del 1992 prevede l'utilizzo di esemplari di avifauna come richiami vivi (agli articoli 4 e 5; peraltro con modalita' che non risultano essere state rispettate dal ricorrente), cio' viene consentito solo in relazione a specie (allodola, cesena, tordo sassello, tordo bottaccio, merlo, pavoncella e colombaccio) che non ricomprendono quelle indicate in imputazione, cosi' da dovesi affermare che gli esemplari detenuti dal prevenuto per farne dei richiami vivi erano sottoposti "a servizi o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche" concreando pertanto la violazione del precetto del contestato articolo 544 ter c.p.. 4. Il ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS) e' privo di fondamento. La configurabilita', nelle condotte da questi consumate, del solo delitto di furto aggravato, non consente pero' a questa Corte di intervenire sul mero proscioglimento per prescrizione dai reati ascrittigli ai sensi della L. n. 157 del 1992, articolo 30, non facendo parte del devolutum ai giudici delle impugnazioni, prima di merito e poi di legittimita', non essendo stato ne' appello ne' ricorso sul punto. 5. La recidiva, reiterata e specifica, contestata al (OMISSIS) e ritenuta dal primo giudice, determina il protrarsi del termine di prescrizione dei residui delitti ben oltre la data odierna. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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