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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 357 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ca. e Ar. Pl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via (...); per l'annullamento - del provvedimento disciplinare del 31 gennaio 2022 numero 333/SSA/I/232778, notificato all'interessato in data 8 febbraio 2022 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato il 1° aprile 2022, l'odierno ricorrente, -OMISSIS-, agente scelto della Polizia di Stato, ha impugnato il decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza emesso il 31 gennaio 2022, notificato l'8 febbraio 2022, con il quale è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi uno, ai sensi dell'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 2. Il provvedimento disciplinare risulta fondato sulla seguente motivazione: "dall'aprile del 2020 al febbraio del 2021 manteneva, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con compagnie non confacenti al proprio stato. Inoltre, in violazione dei doveri inerenti alle funzioni, rivelava notizie ed informazioni di uffici riguardanti le attività di Polizia giudiziaria e controllo del territorio, turbando la regolarità del servizio". 3. In particolare, il procedimento disciplinare era stato avviato dopo l'arresto di S.A., pregiudicato, avvenuto in Lecco in data 30 ottobre 2020, in concorso con il cittadino albanese F.C., per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, in quanto trovati in possesso di 450 gr di cocaina, oltre 2,3 kg. di hashish e circa 7 gr. di marijuana. 4. Dall'analisi del cellulare di S.A. e dai successivi riscontri sui tabulati telefonici acquisiti in sede di indagine, erano emersi numerosi ed assidui contatti dell'agente scelto -OMISSIS- con il pregiudicato sopraindicato e con i familiari di quest'ultimo, anche dopo il suo arresto. 5. In particolare, tale stretta frequentazione, quasi fraterna, era emersa dai numerosi contatti telefonici, dall'analisi delle chat wh. e da Fa., intrattenuti fino alla mattina del giorno in cui S.A. è stato tratto in arresto, di cui viene dato ampiamente conto nell'annotazione redatta in data 26 febbraio 2021 da personale della Squadra Mobile della Questura di Lecco. 6. Nelle chat intercorse, inoltre, erano state rilevate alcune richieste di informazioni relative al servizio di controllo del territorio svolto dalle volanti che S.A. aveva rivolto a -OMISSIS-, confidando sulla sua disponibilità ; in ben quattro occasioni, tutte documentate, S.A., mentre si trovava in alcuni locali della Provincia di Lecco, aveva inviato all'agente scelto -OMISSIS-, tramite wh., le foto di alcuni avventori, chiedendogli se appartenessero alle FF.OO.: una volta il -OMISSIS- aveva confermato che uno dei soggetti fotografati era effettivamente un appartenente all'Arma dei Carabinieri. In un'altra circostanza, sempre mediante lo stesso mezzo di comunicazione, aveva informato l'amico sulla propria posizione durate il servizio di volante e gli aveva inviato foto raffiguranti sia l'autovettura di servizio che colleghi e persone sottoposte a controlli documentali. 7. Era inoltre emerso un altro rapporto di conoscenza dell'agente scelto -OMISSIS- con altri soggetti trovati in possesso di sostanze stupefacenti e tratti in arresto in data 21 luglio 2020 dalla Polizia Ferroviaria di Milano e il 28 ottobre 2020 dalla Squadra Mobile di Lecco. 8. Pertanto, l'agente scelto -OMISSIS- era stato deferito alla locale A.G. per il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio. 9. In data 20 aprile 2021, il Pubblico Ministero titolare dell'indagine aveva formulato richiesta di archiviazione per speciale tenuità del fatto, rilevando che: "- non ricorrono le condizioni per dover richiedere l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato; - il reato per cui si procede rientra nella cornice edittale prevista dall'art. 131-bis, commi 1 e 4 c.p.; - non ricorrono le cause ostative di cui all'art. 131-bis, co. 2 e 3 c.p; - le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio; - l'instaurazione di un giudizio penale non appare coerente con le finalità per cui questo è stato disegnato dal Legislatore". 10. In data 9 giugno 2021 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco aveva accolto la richiesta del Pubblico Ministero, emettendo decreto di archiviazione del procedimento penale. 11. Il Questore di Lecco, acquisito il citato decreto in data 29 giugno 2021, a seguito di formale istanza finalizzata a conoscere lo stato del procedimento penale, avviava l'inchiesta disciplinare, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 737/1981, nominando, con atto del 10 settembre 2021, notificato il 13 settembre 2021, il funzionario istruttore, il quale, a sua volta, in data 21 settembre 2021, formalizzava la contestazione degli addebiti, individuando ex art. 6, commi 1, 4 e 7 della citata normativa, in relazione alla condotta tenuta dall'agente, la sanzione della "sospensione dal servizio". 12. L'agente De Beo, in data 17 ottobre 2021, presentava memoria difensiva, con la quale negava di conoscere i pregiudizi penali a carico di S.A. e dei suoi familiari, nonché contestava di aver rivelato segreti d'ufficio. 13. Il procedimento disciplinare si è concluso con l'adozione del provvedimento disciplinare oggetto dell'odierno ricorso. 14. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno per resistere al ricorso depositando documenti e memorie e insistendo per il rigetto del ricorso. 15. All'udienza pubblica del 22 maggio 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è affidato a tre motivi di illegittimità . 2. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 6, dPR 737/81: il ricorrente sostiene che siano stati violati i termini per l'esercizio del potere disciplinare. A suo dire la contestazione degli addebiti sarebbe avvenuta oltre i 40 giorni dalla comunicazione del decreto di archiviazione, e ciò in violazione dell'art. 9, comma 6, d.P.R. 737/81 che prevede "Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione". 2.1. Il motivo è infondato. 2.2. Si osserva che l'art. 9, comma 6, del d.P.R. 737/81 presuppone che sia stata pronunciata una sentenza, sia essa di condanna o di assoluzione, con la quale sia stato definito il processo penale, situazione che non ricorre nel caso di specie, dove invece non è stata esercitata l'azione penale - si evidenzia - non per infondatezza della notitia criminis, ma per la speciale tenuità del fatto. 2.3. Il citato articolo, inoltre, fa decorrere il dies a quo del termine di decadenza per la contestazione degli addebiti, che coincide con l'inizio del procedimento disciplinare, dalla pubblicazione o dalla notificazione della sentenza, adempimenti non prescritti per il decreto di archiviazione. 2.4. Non trattandosi dunque di casi simili, il citato art. 9, comma 6, non può trovare applicazione analogica come invece sostiene parte ricorrente, dal momento che l'art. 12 delle preleggi prevede che se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, salvo il divieto di analogia in malam partem, sancito dal successivo art. 14, per le leggi penali e leggi eccezionali. 2.5. Ebbene, nel caso di specie, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 31 del d.P.R. n. 737/1981, ai procedimenti disciplinari dell'Amministrazione di pubblica sicurezza è applicabile analogicamente l'art. 103 d.P.R. n. 3/1957, secondo il quale "l'ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio; negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni". 2.6. Per costante giurisprudenza la norma ora citata, secondo cui la contestazione degli addebiti deve avvenire "subito", non mira a vincolare l'Amministrazione all'osservanza di un termine prestabilito e puntuale, tale da comportare col suo decorso la decadenza dell'azione disciplinare, bensì indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedimentale (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 6 febbraio 2023, n. 1212). 2.7. Non è infatti previsto, all'art. 12, d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 - che costituisce la normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal d.P.R. n. 3 del 1957 -, alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti disciplinari a carico degli agenti della Polizia di Stato, con la conseguenza che l'Amministrazione procedente deve ottemperare solo ad una regola di ragionevole prontezza nell'effettuare detta contestazione; inoltre, l'uso del termine "subito" nel contesto dell'art. 103, d.P.R. n. 3 del 1957, ai fini della contestazione degli addebiti, per l'orientamento giurisprudenziale consolidato, presenta una mera valenza sollecitatoria, sicché residua all'Amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento e alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame; infatti, nel procedimento disciplinare a carico dell'agente di Polizia di Stato - che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termina con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato - vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito, e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, la presa di visione degli atti e, appunto, per il preavviso di trattazione davanti alla Commissione, da quelli ordinatori o sollecitatori, che sono tutti gli altri termini (Consiglio di Stato sez. III 20 giugno 2018 n. 3779, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. V, 23 febbraio 2024, n. 718). 2.8. Ciò chiarito, va ulteriormente precisato che il d.P.R. n. 737/1981 non indica puntualmente quale sia l'atto di avvio del procedimento disciplinare, ossia quello che materialmente impedisce la decadenza dal potere, sicché spetta all'interprete individuarlo. 2.9. Orbene, analizzando il corpus normativo va rilevato come per l'irrogazione del richiamo scritto, della pena pecuniaria e della deplorazione il procedimento si avvia con la contestazione scritta degli addebiti (v. artt. 17 e 18 d.P.R. 737 cit.); viceversa, nel caso delle sanzioni più gravi, il primo atto del procedimento è la nomina del funzionario istruttore (art. 19, comma 2 d.P.R. 737 cit.), il quale comunica l'avvio (rectius, contesta per iscritto gli addebiti) al dipendente entro 10 giorni. 2.10. Nel caso di specie, dunque, il termine di riferimento è da individuarsi nel 13 settembre 2021, data in cui il Questore di Lecco aveva disposto l'espletamento di una inchiesta disciplinare notificando la nomina del funzionario istruttore, e la contestazione degli addebiti è avvenuta il 21 settembre 2021. 2.11. Sulla ragionevolezza dei termini per la contestazione degli addebiti, considerata la natura afflittiva del procedimento disciplinare, si osserva inoltre che nella disciplina del procedimento sanzionatorio contenuta nella L. 689/81, l'art. 14 prescrive che la contestazione degli addebiti deve essere fatta "immediatamente" e se la contestazione non è avvenuta immediatamente, deve essere fatta entro il termine di 90 giorni. Da ciò si trae dunque un ulteriore argomento per sostenere la ragionevolezza del termine entro il quale è avvenuta la contestazione degli addebiti e cioè nel termine di 85 giorni. 2.12. Ebbene, il periodo intercorso tra il fatto, la segnalazione (29 giugno 2021) e l'avvio del procedimento disciplinare, considerando anche l'approssimarsi del periodo estivo (luglio - agosto) in cui l'attività lavorativa subisce un naturale rallentamento legato al godimento delle ferie da parte del personale, si è manifestato in linea con quei criteri di ragionevole prontezza e tempestività di cui sopra, rendendo manifestamente infondata la doglianza del ricorrente. 3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti posti a fondamento della sanzione, violazione della sfera della discrezionalità della P.A., violazione e falsa applicazione dell'art. 6 d.P.R. 737/81: in sintesi, il ricorrente sostiene che l'Amministrazione avrebbe erroneamente riportato la sua condotta alle fattispecie previste dall'art. 6 comma III, cioè ai casi in cui: - vengono poste in essere in modo abituale o reiterato le mancanze sanzionate con la pena pecuniaria; - si sia ricevuta una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti la destituzione di diritto; - l'aver denigrato l'Amministrazione o i superiori; - l'aver tenuto un comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto; - l'aver tollerato abusi commessi da dipendenti; - aver compiuto atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione; - l'assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati; - l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico 8 legale; - l'allontanamento senza autorizzazione, dalla sede di servizio per un periodo superiore a cinque giorni; - l'omessa o ritardata presentazione in servizio per un periodo superiore a quarantotto ore e inferiore a cinque giorni o, comunque, nei casi in cui l'omissione o la ritardata presentazione in servizio di cui all'art. 4, n. 10, provochi gravi disservizi ovvero sia reiterata o abituale. Non solo la condotta tenuta dall'odierno ricorrente non rientrerebbe affatto nelle fattispecie sopra descritte ma, a suo dire, l'Amministrazione non avrebbe considerato che il decreto di archiviazione avrebbe ritenuto non gravi i fatti e il giudice penale non avrebbe svolto alcun tipo di accertamento dei fatti. Infine, il ricorrente esclude la consapevolezza e la conoscenza dei precedenti penali a carico del soggetto tratto in arresto. 4. Il motivo non è fondato. 4.1. Innanzitutto si osserva che il provvedimento impugnato si fonda sui fatti tipici di cui all'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 4.2. La fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 6, n. 1 e n. 4, e 4, n. 3, del d.P.R. n. 737/1981 contempla le "mancanze...di particolare gravità ovvero...reiterate o abituali" in relazione al "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" nonché in relazione ad un "comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto". 4.3. Per quanto riguarda l'infrazione di cui all'art. 4 n. 3 del d.P.R. n. 737/1981, vale a dire il "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" dai tabulati telefonici versati negli atti delle indagini preliminari, è emerso che l'agente scelto -OMISSIS- frequentava e aveva instaurato un rapporto di amicizia quasi fraterno con S.A. e con la sua famiglia, rapporto che andava ben al di là di quello di semplice avventore del ristorante di quest'ultimo. Risulta infatti che -OMISSIS- e S.A. si sono tenuti in contatto telefonico e tramite messaggi via chat con una costante frequenza fino alla mattina dell'arresto di S.A. e risulta inoltre che -OMISSIS-, il 23 luglio 2020, aveva scritto a S.A. "-OMISSIS-torna tra noi" informandolo come quest'ultimo, arrestato per droga, fosse stato scarcerato e sottoposto al regime degli arresti domiciliari. Dalla relazione istruttoria redatta dal funzionario istruttore emergono inoltre ulteriori elementi a supporto dello stretto legame instaurato dal -OMISSIS- con la famiglia di S.A.; in particolare, il funzionario istruttore aveva allegato una nota investigativa redatta dal Dirigente della DIGOS di Lecco, che aveva documentato, dopo l'arresto di S.A., un incontro conviviale e amichevole di -OMISSIS- con i parenti di S.A., presso il bar del palazzetto dello sport di Me.. Si legge inoltre che dagli stessi accertamenti investigativi, emergevano altresì contatti del -OMISSIS-, non motivati da finalità istituzionali, con un dipendente di un esercizio commerciale destinatario di una misura interdittiva antimafia e di un cittadino kossovaro, tale -OMISSIS-, entrambi arrestati per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti. 4.4. Quanto al procedimento penale a carico del -OMISSIS-, assumono rilevanza le chat che riportano le richieste di informazioni che S.A. gli rivolgeva per identificare eventuali appartenenti alle forze dell'ordine presenti nei locali dallo stesso frequentati e per conoscere la localizzazione delle pattuglie sul territorio, informazioni evidentemente utili per poter svolgere la sua illecita attività di spaccio lontano dalle forze dell'ordine. 4.5. Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente - la quale sostiene che in sede penale non sarebbe stato svolto alcun accertamento sui fatti - il decreto di archiviazione ex art. 131-bis c.p. per la speciale tenuità del fatto è stato emesso in quanto "le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio" e dunque esso è stato adottato sul presupposto di un giudizio di fondatezza della notitia criminis, considerato che l'art. 131-bis c.p. non esclude la responsabilità penale ma prevede una causa di non punibilità per i reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, applicabile nel caso di specie. 5. Non può quindi negarsi che il comportamento contestato al ricorrente in sede disciplinare sia in contrasto coi doveri del personale della Polizia di Stato e capace di arrecare grave nocumento alla credibilità e al prestigio di quest'ultima, in considerazione delle sue funzioni istituzionali, né è dato cogliere profili di irragionevolezza nella valutazione dell'Amministrazione in merito alla gravità della condotta dell'incolpato, il quale, ancora dopo l'arresto del pregiudicato aveva continuato a mantenere rapporti di convivialità con i parenti dell'arrestato. 6. Occorre rammentare che per il regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza il personale della Polizia di Stato ha il precipuo dovere di "non mantenere, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con persone che notoriamente non godono pubblica estimazione, non frequentare locali o compagnie non confacenti alla dignità della funzione" (art. 12, n. 4, d.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782) e di "non frequentare senza necessità di servizio o in maniera da suscitare pubblico scandalo persone dedite ad attività immorali o contro il buon costume ovvero pregiudicate" (art. 12, n. 5, d.P.R. n. 782/85) e, in generale, "deve mantenere una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità, nella piena coscienza delle finalità e delle conseguenze delle proprie azioni in modo da riscuotere la stima, la fiducia ed il rispetto della collettività, la cui collaborazione deve ritenersi essenziale per un migliore esercizio dei compiti istituzionali, e deve astenersi da comportamenti o atteggiamenti che arrecano pregiudizio al decoro dell'Amministrazione" tenendo anche fuori servizio una "condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni" (art. 13 d.P.R. n. 782/85). 6.1. Alla luce degli elementi in atti, il Collegio ritiene che l'apprezzamento dell'Amministrazione dell'Interno in ordine alla sussistenza dei presupposti degli illeciti disciplinari ascritti al dipendente sia esente da palese travisamento dei fatti. 7. Con il terzo e ultimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'eccessività della sanzione inflitta: a dire del ricorrente, la sanzione sarebbe del tutto sproporzionata rispetto alla condotta contestata, tenuto anche conto del fatto che, a mente dell'art. 13, comma 1, del d.P.R.737/81, l'organo competente ad infliggere la sanzione deve tener conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e della anzianità di servizio e sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali. Nel caso di specie non vi sarebbe alcuna prova che la mancanza descritta nella nota di contestazione del 21 settembre 2021, anche alla luce del giudizio di tenuità proposto dal P.M. ed accolto dal G.I.P. di Lecco, sia stata reiterata o abituale, o che abbia gettato scandalo nell'Amministrazione. 8. Il motivo è infondato. 8.1. Occorre premettere che per costante giurisprudenza, in punto di individuazione e dosimetria della sanzione disciplinare, l'Amministrazione gode di ampia discrezionalità, sindacabile dal giudice amministrativo solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità o palese arbitrarietà (ex multis, Cons. St., sez. II, 31 gennaio 2023, n. 1103, cit.; Cons. St., sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; T.A.R. Piemonte, sez. I, 13 febbraio 2022, n. 124). 8.2. Nel caso di specie, il funzionario istruttore ha tenuto conto di tutte le circostanze, esposte a pag. 5 della relazione istruttoria, ritenendo prevalente la gravità della condotta in quanto le frequentazioni del -OMISSIS- con soggetti dediti ad attività criminose quali spaccio di sostanze stupefacenti, non sono deontologicamente conformi al regolamento di servizio, cui un appartenente ai ruoli della Polizia di stato ha il dovere di uniformarsi e ciò è stato considerato come altamente lesive del vincolo fiduciario di appartenenza che lega la Polizia di Stato ai propri dipendenti. 8.3. A fronte di un simile riprovevole comportamento, di particolare gravità per il decoro e l'immagine della Polizia di Stato, la sanzione inflitta al ricorrente non appare sproporzionata né illogica. 8.4. Quanto al trasferimento d'ufficio, la giurisprudenza ha chiarito che il trasferimento per motivi di opportunità ed incompatibilità ambientale dell'appartenente alla Polizia di Stato, disposto ai sensi della norma appena citata, "non ha carattere sanzionatorio né disciplinare, non postulando comportamenti sanzionabili in sede penale o disciplinare, ed è condizionato solo alla valutazione del suo presupposto essenziale costituito dalla sussistenza oggettiva di una situazione di fatto lesiva del prestigio, decoro o funzionalità dell'amministrazione che sia, da un lato, riferibile alla presenza del dipendente in una determinata sede e, dall'altro lato, suscettibile di rimozione attraverso l'assegnazione del medesimo ad altra sede" (T.A.R. Milano, sez. III, 30/04/2018, n. 1156; T.A.R. Palermo, sez. I, 18/11/2022, n. 3273; T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 07/12/2021, n. 928; T.A.R. Cagliari, sez. II, 03/07/2019, n. 599). 9. Per quanto sopra esposto il ricorso va dunque respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite nei confronti del Ministero dell'Interno che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori se previsti dalla legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede - Referendario Marilena Di Paolo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. D'AURIA Donato - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/07/2021 della CORTE di APPELLO di PERUGIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DONATO D'AURIA; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MARINELLI FELICETTA, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; lette le conclusioni del difensore, pervenute in data 17/3/2023; ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi DEL Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Perugia con sentenza del 13/7/2021 confermava la sentenza del Tribunale di Perugia del 3/2/2020, che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni uno di reclusione ed Euro seicento di multa per il reato di cui all'articolo 640 c.p. di cui ai capi B) e C). 2. L'imputato, a mezzo del suo difensore, ha interposto ricorso per cassazione, eccependo con il primo motivo la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera C), in relazione al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23-bis. In particolare, rileva che il decreto di citazione a giudizio notificato al (OMISSIS) non conteneva l'indicazione della facolta' per l'imputato di prendere parte all'udienza di discussione, avanzando espressa richiesta in tal senso nei termini di decadenza fissati dalla normativa emergenziale; che l'assenza di tale indicazione ha indotto in errore il (OMISSIS), facendogli ritenere che l'udienza sarebbe stata celebrata in sua presenza, anche in considerazione dell'avvertimento contenuto nel decreto, secondo cui "se non comparira' senza dare prova che l'assenza e' dovuta ad assoluta impossibilita' per legittimo impedimento, si procedera' a giudizio in sua contumacia"; che, dunque, l'imputato aveva legittimamente ritenuto di poter partecipare all'udienza del 13/7/2021, tanto che con mail comunicava di aver provveduto a richiedere le ferie; che, invece, in applicazione della normativa emergenziale, l'udienza poteva tenersi solo con la modalita' della trattazione scritta, salvo esplicita richiesta da parte dell'imputato a prendervi parte, da formularsi nei termini di decadenza previsti dal citato articolo 23-bis; che, in conclusione, il ricorrente non e' stato posto nella condizione di conoscere i diritti e le facolta' che la legge gli attribuiva. L'omessa informativa in discorso da' luogo ad una radicale ed insanabile violazione del principio del contraddittorio, nonche' del diritto di difesa dell'imputato ai sensi degli articoli 24 e 111 Cost., con conseguente nullita' insanabile del decreto di citazione a giudizio. Peraltro, l'omissione di cui si discute e' ancor piu' grave, sol che si consideri che la partecipazione dell'imputato al processo poteva essere garantita, se non con la sua presenza fisica, tramite collegamento audiovisivo, informazione questa che analogamente non e' contenuta nel decreto di citazione. 2.1 Con il secondo motivo deduce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), con riferimento alla nullita' della sentenza per violazione dei diritti della difesa. Evidenzia che il giudice di primo grado all'udienza del 16/12/2019, preso atto della rinuncia al mandato difensivo da parte del difensore di fiducia dell'imputato, nominava un difensore d'ufficio prontamente reperito in aula e concedeva termini a difesa, rinviando all'udienza del 3/2/2020, senza diffidare i testi della difesa presenti a comparire a detta udienza e senza onerare il difensore di citare i propri testi per la stessa udienza; che il 3/2/2020 dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale sull'erroneo presupposto che vi fosse stata una tacita rinuncia del difensore ad escutere i propri testi; che la Corte di appello ha ritenuto non necessaria e rilevante ai fini della decisione la testimonianza dei soggetti indicati dalla difesa, senza tuttavia dar conto delle motivazioni sottese al giudizio di superfluita' ed irrilevanza di tale prova. La motivazione della sentenza impugnata, dunque, risulta contraddittoria sul punto e si appalesa viziata, avendo leso il diritto di difesa e impedito al contempo il piu' compiuto ed esaustivo accertamento della condotta contestata. 2.2 Con il terzo motivo eccepisce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), con riferimento alla insufficienza, contraddittorieta' ed errata valutazione degli elementi probatori. In particolare, dalla deposizione del teste (OMISSIS), persona offesa del reato di cui al capo C), emerge che questi non ha mai concordato con il Vergara un termine di consegna del bene e che sul bene stesso era stato applicato un ribasso del prezzo di vendita nella misura del 40%, circostanza questa che avrebbe dovuto lasciar presagire all'acquirente che si trattasse di un bene difettoso o di illecita provenienza. La condotta decritta dal teste doveva essere correttamente inquadrata nella fattispecie criminosa di cui all'articolo 712 c.p. Inoltre, la motivazione della impugnata sentenza merita censura anche nella parte in cui afferma che al piu' il reato di cui all'articolo 712 c.p. sarebbe stato configurabile nei confronti del promittente acquirente e non nel promittente venditore, atteso che l'articolo 712 c.p., comma 2 punisce anche "chi si adopera per far acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcune delle cose suindicate, senza prima accertarne la legittima provenienza". Altrettanto viziata e' la motivazione della sentenza di secondo grado laddove qualifica come persona offesa (OMISSIS), pur avendo la stessa precisato nel corso della escussione dibattimentale che il bonifico era stato effettuato dal conto corrente della madre. Persona offesa del reato di cui al capo B) e', dunque, la madre della teste, circostanza questa da cui deriva l'improcedibilita' dell'azione penale, non essendo la querelante legittimata a proporre la querela. Sul punto la motivazione della Corte di appello e' solo apparente, in quanto si limita ad affermare l'irrilevanza di tale circostanza, senza dar conto dei motivi. E' incontrovertibile, invece, per come emerso dall'espletata istruttoria dibattimentale, che l'atto di disposizione patrimoniale non e' stato compiuto dalla (OMISSIS), ma dalla di lei madre, unico soggetto legittimato a proporre querela. 2.3 Con il quarto motivo si eccepisce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), con riferimento agli articoli 521 e 522 c.p.p. (OMISSIS), invero, riferiva un fatto del tutto diverso da quello contestato sub C), vale a dire un contratto privo di termine di consegna del bene e con la previsione di un ribasso del prezzo di vendita del 40%: i fatti, dunque, non possono essere sussunti nella fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 640 c.p., quanto piuttosto in quella di cui all'articolo 712 c.p., posto che l'imputato non ha posto in essere alcun raggiro in danno del (OMISSIS), ne' tanto meno ha utilizzato artifici per trarlo in inganno. Il giudice avrebbe dovuto restituire gli atti al pubblico ministero, allo scopo di sollecitare un nuovo esercizio dell'azione penale con riferimento al fatto diverso venuto in rilievo. A fronte dei puntuali rilievi contenuti nell'atto di appello, il giudice di secondo grado si e' limitato ad affermare laconicamente che la piena corrispondenza tra il reato di truffa contestato e la condanna che ne e' seguita. 2.4 In data 17/3/2023 sono pervenute conclusioni scritte, con cui il difensore ha insistito nell'accoglimento del ricorso introduttivo. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 1.1 Manifestamente infondato e' il primo motivo, avendo la giurisprudenza di legittimita' gia' avuto modo di precisare che, in tema di disciplina processuale pandemica da Covid-19, nel giudizio d'appello non e' causa di nullita' del decreto di citazione l'omesso avvertimento all'imputato della celebrazione del giudizio con rito camerale non partecipato ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23-bis convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in quanto requisito non richiamato dall'articolo 601 c.p.p., comma 6, (Sezione 6, n. 14728 del 14/4/2022, Perciballi, Rv. 283179 - 01; Sezione 2, n. 45188 del 14/10/2021, Vermiglio, Rv. 282438 - 01). Va sul punto ribadito che il Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23-bis, contenente disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19, prevedeva che, a decorrere dal 9 novembre 2020, fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado, la corte di appello avrebbe dovuto procedere in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero avesse fatto richiesta di discussione orale o che l'imputato avesse manifestato la volonta' di comparire. La disposizione aveva specificamente disciplinato la procedura cartolare senza incidere sulle modalita' della vocatio in iudicium, che nel rito ordinario dinanzi alla corte di appello continuava ad essere regolata dall'articolo 601 c.p.p., comma 3, alla cui stregua il decreto di citazione per il giudizio d'appello doveva contenere i requisiti di cui all'articolo 429, comma 1, lettera a), relativa alle generalita' dell'imputato, lettera f), riguardante l'indicazione del giorno, del luogo e dell'ora della comparizione e lettera g), inerente la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario che l'assiste, nonche' l'indicazione del giudice competente. Espressamente, dunque, la norma in esame limitava - e limita anche in seguito alla novella del Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 - la nullita' dell'atto alle ipotesi in cui l'imputato non sia identificato in modo certo ovvero manchi o sia insufficiente uno dei requisiti previsti dall'articolo 429 c.p.p., comma 1, lettera f), ovvero giorno, luogo ed ora della comparizione. Tanto premesso, si osserva che i requisiti prescritti a pena di nullita' sono presenti nel decreto di citazione notificato all'imputato e, fra questi, secondo il costante indirizzo di questa Corte, non e' neppure ricompresa l'avvertenza in ordine alle conseguenze della mancata comparizione (ex multis, Sezione 4, n. 27494 del 14/02/2017, Ferullo, Rv. 270706). Orbene, il regime di tassativita' delle nullita' non consente di ampliare le ipotesi dei vizi produttivi di una patologia genetica dell'atto introduttivo del giudizio, ne' questa e' prevista dalla disciplina di cui all'articolo 23-bis cit. Del resto, il presidente del collegio non ha alcuna scelta di optare per un rito diverso, in considerazione del tenore letterale della disposizione di cui all'articolo 23-bis in discorso, che - per ragioni di sicurezza sanitaria - rende "ordinario" il rito camerale con contraddittorio cartolare; ne' puo' porsi in capo al presidente della corte d'appello l'onere di informare l'appellante circa la vigenza di una legge processuale, i cui contenuti e prerogative rientrano nelle competenze proprie della difesa tecnica, cui e' espressamente rimesso l'atto di impulso tendente all'instaurazione del contraddittorio orale. 1.2 Non consentito e' il secondo motivo, atteso che correttamente la Corte di appello - dopo aver rilevato che non era onere del difensore citare i propri testi, in quanto ne era stato disposto l'accompagnamento coattivo e la causa era stata rinviata in loro presenza - ha ritenuto, valutata la rilevanza della prova richiesta, la testimonianza non rilevante e non necessaria ai fini del decidere, dando conto dei motivi di tale decisione: l'originaria richiesta della prova testimoniale non indicava alcuna circostanza di fatto su cui avrebbe dovuto vertere l'esame, ne' tali circostanze erano indicate nell'atto di appello, in uno alla loro effettiva rilevanza. Di qui la ritenuta superfluita' della prova testimoniale e la revoca della sua originaria ammissione, secondo un giudizio di rilevanza della prova esperibile anche in grado di appello. In ogni caso, deve rilevarsi che, se anche dovesse ravvisarsi un difetto di motivazione sulla superfluita' della prova, il vizio sarebbe sanato dalla mancata deduzione nel giudizio di primo grado (risulta dal verbale dell'udienza del 3/2/2020 che il difensore presente nulla eccepi'). Sul punto, la giurisprudenza di legittimita' ha affermato che la revoca dell'ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluita' della prova, produce una nullita' di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'articolo 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che, in caso contrario, essa e' sanata (Sezione 2, n. 9761 del 10/2/2015, Rizzello, 263210 - 01; Sezione 5, n. 51522 del 30/9/2013, Abatelli, Rv. 257891 - 01). Comunque e sotto altro profilo, il motivo di appello sul punto era generico, come afferma la sentenza alla pag. 5 e segg. Sul punto, va evidenziato che la giurisprudenza di legittimita', con un orientamento cui il Collegio intende dar seguito, ritiene inammissibile, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 3, u.p., il ricorso per cassazione che deduca una questione che non ha costituito oggetto dei motivi di appello, tale dovendosi intendere anche la generica prospettazione nei motivi di gravame di una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione (Sezione 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306 - 01; Sezione 2, n. 29707 del 8/3/2017, Galdi, Rv. 270316 - 01). 1.3 Il terzo motivo - con riferimento alle doglianze relative al delitto di cui al capo C) - ed il quarto motivo sono inammissibili. Occorre premettere che la sentenza di appello oggetto di ricorso costituisce in punto di affermazione della responsabilita' una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d'appello a quella del giudice di primo grado preliminari sia l'ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sezione 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01). Va, altresi', evidenziato che la modifica dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), per effetto della L. n. 46 del 2006, non consente alla Corte di legittimita' di sovrapporre la propria valutazione a quella gia' effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali puo' essere dedotta sotto lo stigma del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorieta' della motivazione rispetto ad essi sia percepibile l'ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sezione 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 01; Sezione 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 - 01; Sezione 4, n. 35683 del 10/07/2007, Rv. 237652). Questa Corte, infatti, con orientamento (Sezione 2, n. 5336 del 9/1/2018 Rv. 272018; Sezione 6, n. 19710 del 3/2/2009, Rv. 243636) che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza della c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilita'), il vizio di travisamento della prova puo' essere rilevato in sede di legittimita' solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, e' ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso puo' essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimita', salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice). Tanto premesso, rileva il Collegio come nel caso in esame non si versi in ipotesi di travisamento della prova nei termini sopra specificati e che, peraltro, integrandosi e completandosi reciprocamente la sentenza del Tribunale e quella della Corte di appello, le risposte ai motivi di ricorso sono contenute in entrambe le decisioni, che motivano in maniera logica, oltre che congrua. 1.4 I motivi di ricorso che si stanno esaminando sono inammissibili anche sotto altro profilo, in quanto sono reiterativi di medesime doglianze - inerenti la configurabilita' del delitto di truffa in relazione al reato sub C) - gia' espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale. Tenuto conto della peculiare modalita' di redazione del ricorso, che ha sostanzialmente riprodotto il contenuto del motivo di appello, si rende opportuna una premessa: la funzione tipica dell'impugnazione e' quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, tale revisione critica si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilita', debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale del ricorso in cassazione e', pertanto, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (per tutte, Sezione U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822). Il motivo di ricorso in cassazione e', infatti, caratterizzato da una duplice specificita', dovendo contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione e contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, deducendo, in modo analitico, le ragioni della sua decisivita' rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, si' da condurre a decisione differente. La mancanza di specificita' del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non puo' ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita' che conduce, a norma dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), alla inammissibilita' della impugnazione (Sezione 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 - 01; Sezione 2, n. 42046 del 17/07/2019, Botartour Sami, Rv. 277710 - 01; Sezione 2, n. 45958 del 21/10/2022, Bocchino, non massimata). Risulta, pertanto, di chiara evidenza che, se il ricorso si limita, come nel caso oggetto di scrutinio, a riprodurre il motivo di appello, per cio' solo si destina all'inammissibilita', venendo meno in radice l'unica funzione per la quale e' previsto e ammesso, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento impugnato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, e' di fatto del tutto ignorato. Del resto, nel caso di specie, la Corte territoriale ha riesaminato e valorizzato gli stessi elementi gia' sottoposti al vaglio del Giudice per le indagini preliminari e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, e' giunta alla medesima conclusione in relazione alla configurabilita' del delitto di truffa con riferimento alla contestazione sub C) ed alla conseguente affermazione della penale responsabilita' del (OMISSIS), evidenziando che proprio il ribasso del prezzo di vendita serviva per rendere piu' allettante la proposta truffaldina, spingendo il compratore a contrattare l'acquisto ed a pagare il relativo prezzo, confidando nella correttezza altrui; che, dunque, il richiamo alla contravvenzione di cui all'articolo 712 c.p. era del tutto fuori luogo, posto che quest'ultimo reato al piu' sarebbe stato ipotizzabile nei confronti dell'acquirente. 1.5 Manifestamente infondato, poi, e' il terzo motivo di ricorso con riferimento alla procedibilita' del reato di cui al capo B). Va in proposito evidenziato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, anche il terzo danneggiato dal delitto di truffa, seppure nella forma del mancato conseguimento di un profitto, e' legittimato a proporre querela (Sezione 2, n. 43910 del 4/10/2019, Minnucci, Rv. 277712 - 01, fattispecie nella quale e' stato riconosciuto il diritto di querela in capo alla figlia dell'acquirente di un'autovettura, destinata a divenire intestataria ed utilizzatrice del mezzo; Sezione 2, n. 20169 del 3/2/2015, Olivieri, Rv. 263520 - 01; Sezione Feriale, n. 33884 del 23/8/2012, Savoca, Rv. 253474 - 01; Sezione 2, n. 27571 del 21/05/2009, Grisetti, Rv. 244665 - 01), dovendosi intendere con l'espressione "terzo danneggiato" colui che per effetto della condotta fraudolenta, pur senza aver subito una concreta diminuzione patrimoniale, abbia pero' perduto l'opportunita' di acquisire al proprio patrimonio, ad esempio, il bene offerto in vendita dall'imputato. Del resto, poiche' l'articolo 640 c.p. fa testuale riferimento all'"altrui danno", deve considerarsi persona offesa, oltre a colui che compie l'atto di disposizione patrimoniale, anche il soggetto che subisce materialmente il danno sotto il profilo del mancato conseguimento di un profitto, che, dunque, in quanto persona offesa, e' legittimato a proporre querela. In conclusione, legittimamente la (OMISSIS) ha sporto querela per la truffa di cui al capo B). 2. All'inammissibilita' del ricorso segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonche', ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro tremila, cosi' equitativamente fissata. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI E. - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. PERROTTI Massim - Consigliere Dott. LEOPIZZI A - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/10/2021 della CORTE APPELLO di LECCE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALESSANDRO LEOPIZZI; sentite le richieste del PG Dr. BALDI FULVIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS), per il ricorrente, che si e' riportato ai motivi, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata; udito l'avv. (OMISSIS), per il ricorrente, che si e' riportato ai motivi, facendo rilevare l'intervenuta prescrizione. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22 ottobre 2021, depositata il 24 dicembre 2021, la Corte di appello di Lecce, in accoglimento dell'appello presentato dal Procuratore generale, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Brindisi del 18 dicembre 2017, nei confronti di (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 629 c.p., ha irrogato all'imputato, in aggiunta alla pena detentiva, la pena pecuniaria di Euro 400 e la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, confermando per il resto l'impugnata sentenza di condanna. La vicenda aveva per oggetto, secondo l'ipotesi accusatoria, l'estorsione realizzata da (OMISSIS), legale rappresentante di una societa' commerciale, in danno di (OMISSIS), dipendente della suddetta societa', costretto a sottoscrivere le buste paga relative ai mesi da giugno a settembre 2008, riportanti retribuzioni invece in realta' mai percepite, cosi' procurando alla societa' un ingiusto profitto con pari danno per il lavoratore. 2. (OMISSIS) ricorre per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo cinque motivi di ricorso, che qui si riassumono nei termini di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo, si lamenta la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, laddove si e' ritenuto sussistente un ingiusto profitto (e il conseguente danno per la persona offesa) a seguito della sola sottoscrizione da parte del dipendente delle buste paga "per ricevuta" e non per quietanza degli importi salariali ivi specificati. Nel primo caso, sostiene la difesa, non ci sarebbero effetti pregiudizievoli per la vittima, in quanto atto non equiparabile a una formale rinuncia alla retribuzione, ed errano i giudici di secondo grado nel ritenerla una "dichiarazione di valore probatorio" (ed ancor di piu' quando, in un passaggio - "non aveva ricevuto la quota parte di retribuzione (...), nonostante la sottoscrizione delle buste paga che di tale quota di retribuzione attestavano la consegna" - tale natura comunque le attribuiscono). Al piu', il fatto potrebbe, dunque, essere configurato come violenza privata. 2.2. Con il secondo motivo, sempre dolendosi della mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, si contesta la valutazione di sussistenza della minaccia. Da un lato, infatti, la Corte di merito, secondo la difesa, non analizza singolarmente e autonomamente le singole condotte che avrebbero integrato le due distinte minacce di non consegnare l'attestazione di servizio necessaria per ottenere un finanziamento e di procedere al licenziamento. Sul datore di lavoro, invero, non graverebbe alcun obbligo di rilasciare un simile documento e comunque la necessita' dell'attestazione al fine di accedere al prestito non era conosciuta dall'imputato; su questi due punti, pero' i giudici di appello non hanno preso posizione alcuna. D'altronde, le dichiarazioni dibattimentali di (OMISSIS) e del teste (OMISSIS) indicavano chiaramente come, in occasione dell'incontro presso lo studio del commercialista, si fosse parlato solo delle buste paga, senza accenni ad altra tipologia di documentazione. In ogni caso, non e' stata adeguatamente esplorata in punto di diritto la prospettazione difensiva secondo la quale il licenziamento era stato gia' programmato dal datore di lavoro, in conseguenza di attriti pregressi, e pertanto, in assenza di connessione con la vicenda delle buste paga, mancasse ogni connotazione di pretestuosita' della risoluzione del rapporto di lavoro e quindi la minaccia di un "male ingiusto". 2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., il travisamento della prova testimoniale. I giudici di merito avrebbero infatti escluso ogni rilievo alla deposizione dei testimoni (OMISSIS), commercialista del datore di lavoro, e D'Agnano, sua segretaria, che, in maniera precisa e argomentata, hanno contraddetto quanto riferito, al contrario in modo incerto, dalla persona offesa e da sua moglie in merito al colloquio durante il quale sarebbero state proferite le frasi minatorie (mentre invece in motivazione si e' affermato che (OMISSIS) ha riscontrato la versione offerta da (OMISSIS)). Risulterebbe priva di motivazione adeguata anche la valutazione di attendibilita' della persona offesa, da scrutinare con particolare attenzione, dal momento che, nel suo primo esame, non aveva fatto cenno alla minaccia di licenziamento, emersa solo in una deposizione successiva, ai sensi dell'articolo 507 c.p.p.. 2.4. Con il quarto motivo, si contesta la mancanza e illogicita' della motivazione, in merito alla mancata derubricazione, invocata nel gravame, dell'estorsione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Secondo la giurisprudenza di legittimita', infatti, si configurerebbe per l'appunto il delitto di ragion fattasi, se l'agente avesse usato minaccia nella convinzione, non meramente astratta ma ragionevole, anche se infondata, di tutelare una propria pretesa riconosciuta dall'ordinamento. 2.5. Il quinto motivo si incentra sulla mancata concessione dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4. La Corte avrebbe infatti escluso la modestia del danno patrimoniale asseritamente patito dalla persona offesa, individuando erroneamente la cifra complessiva di oltre Euro 11.000 che ricomprendeva voci retributive ulteriori rispetto a quanto qui rileva. 3. All'odierna udienza pubblica, e' stata verificata la regolarita' degli avvisi di rito; all'esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e il Collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso non e' fondato, nei termini di seguito specificati. 2. Risulta opportuno, preliminarmente, richiamare in sintesi la ricostruzione in fatto e in diritto della vicenda che qui occupa data dalla Corte di appello di Lecce, cosi' da chiarire, nella loro effettiva consistenza, le risposte offerte dai giudici di appello alle doglianze loro sottoposte con l'atto di gravame che, in questa sede, vengono sottoposte a molteplici censure. La motivazione della sentenza impugnata, in maniera coerente con l'imputazione ascritta formalmente all'imputato, da' conto di un'iniziale richiesta avanzata da (OMISSIS), dipendente di (OMISSIS) Srl, di vedersi corrispondere le differenze retributive a lui spettanti a carico del datore di lavoro in ragione del 40% della busta paga, in relazione al periodo di assenza dal lavoro in conseguenza di un infortunio. Questi importi non sono mai stati corrisposti. Solo successivamente, avendo bisogno di un'attestazione che comprovasse il rapporto di lavoro in atto al fine di accedere a un finanziamento, lo stesso (OMISSIS), su indicazione dello stesso (OMISSIS), si era recato dal commercialista della societa', il dottor Marraffa, per ottenerne il rilascio. Nello studio del professionista, fu informato dalla segretaria che l'attestazione era stata predisposta, ma che gli sarebbe stata consegnata soltanto previa sua sottoscrizione delle buste paga dei mesi in cui era stato assente. (OMISSIS), contattato telefonicamente, si era presentato sul posto ribadendogli il suddetto aut aut e aggiungendo con freddezza che, in caso di mancata firma, sarebbe stato licenziato. Stretto dalla necessita', (OMISSIS) sottoscrisse le buste paga, ricevendo ugualmente qualche giorno dopo la lettera di licenziamento (che, peraltro, e' poi stato dichiarato illegittimo dal giudice del lavoro, essendone stata riconosciuta la natura ritorsiva). L'oggetto della richiesta della persona offesa, non era stato, quindi, il rilascio delle buste paga, bensi' soltanto della documentazione necessaria per richiedere il prestito. L'imputato, ben consapevole di questa necessita', approfitto' della circostanza per minacciarlo, subordinando il rilascio di quanto necessario al dipendente alla sottoscrizione delle buste paga in cui era riportata la falsa attestazione della totale retribuzione del dipendente nei mesi di assenza dal lavoro per infortunio. A cio', si aggiunse anche l'ulteriore minaccia di licenziamento. Sotto queste pressioni, (OMISSIS) firmo' le buste paga. 3. Il primo motivo non e' fondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita', nel delitto di estorsione, l'elemento del profitto ingiusto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l'autore intenda conseguire e che non si colleghi ad un diritto ovvero sia perseguito con uno strumento antigiuridico o con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso (Sez. 2, n. 16658 del 31/03/2008, Colucci, Rv. 239780; cfr. anche Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, Fulco, Rv. 270209, secondo cui, qualora la minaccia sia diretta a costringere la vittima a rinunciare a una propria legittima aspettativa, il danno patrimoniale va inteso come danno futuro consistente nella perdita della possibilita' di conseguire un vantaggio economico; Sez. 2, n. 43769 del 12/07/2013, Ventimiglia, Rv. 257303, ha affermato che, nella nozione di danno, rientra qualsiasi situazione che possa incidere negativamente sull'assetto economico di un soggetto, comprese la delusione di aspettative e chances future di arricchimento o di consolidamento di propri interessi). In maniera coerente con queste premesse esegetiche, la Corte territoriale, nel caso di specie, ha riconosciuto, confermando il percorso logico seguito in primo grado, che la coartazione della volonta' della persona offesa e' stata efficacemente diretta a conseguire un risultato tangibile (e impossibile da ottenere se non con le reiterate minacce): la sottoscrizione da parte del lavoratore delle buste paga che indicavano la corresponsione, in realta' mai avvenuta, delle somme di spettanza del datore di lavoro durante il periodo di assenza per infortunio. I giudici di merito hanno chiaramente esplicitato come la disponibilita' in capo all'imputato, quale legale rappresentante della societa', di un simile documento avrebbe costituito un vantaggio non incolmabile, ma purtuttavia concreto, quale principio di prova a suo favore in un eventuale sede contenziosa o precontenziosa. (Peraltro, i fatti sopravvenuti, con il licenziamento comunicato a stretto giro e la causa civile che ne e' conseguita, pur definita poi con vittoria del dipendente, hanno confermato la concretezza e l'attualita' del profitto - intrinsecamente ingiusto - e del danno al momento della commissione del fatto, con evidenti potenziali utilita' e pregiudizio, rispettivamente, per le due parti contrattuali interessate.) 4. La premessa giuridica posta alla base del quarto motivo di ricorso e' - in astratto - corretta: il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-02; Sez. 2, n. 42940 del 25/09/2014, Conte, Rv. 260474). La sentenza di secondo grado, d'altronde, proprio ragionando in termini di dolo, in considerazione della dettagliata ricostruzione della vicenda storica in conformita' agli esiti dibattimentali (che fa chiarezza in ordine al reale svolgimento dei fatti e alle conseguenze che ne derivano in iure), ha individuato il fine avuto di mira da (OMISSIS) nel "perseguimento (...) dell'ingiusto profitto rappresentato dal mancato versamento della quota parte di retribuzione mensile al (OMISSIS) nel periodo di assenza dal lavoro per infortunio". Nessun dubbio che risulti cosi' integrato il delitto di estorsione: la prospettazione di esercitare un preteso diritto assume connotati minatori e dunque penalmente rilevanti quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, l'agente faccia uso del mezzo giuridico legittimo per conseguire uno scopo non consentito, quello di coartare la volonta' del debitore esecutato, per costringerlo a una prestazione non dovuta (Sez. 2, n. 14325 del 08/03/2022, Coppola, Rv. 282980, secondo cui integra il reato di estorsione la pretesa contrattuale azionata in giudizio per scopi eccentrici rispetto a quelli per cui il diritto e' riconosciuto e tutelato, o comunque non dovuti nell'an o nel quantum, onde conseguire un profitto contra ius; Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-02, ha precisato che, nell'estorsione, "l'agente non si rappresenta, quale impulso del suo operare, alcuna facolta' di agire in astratto legittima, ma tende all'ottenimento dell'evento di profitto mosso dal solo fine di compiere un atto che sa essere contra ius, perche' privo di giuridica legittimazione, per conseguire un profitto che sa non spettargli"). Il motivo e' dunque infondato. 5. Puo' affermarsi, quanto agli ulteriori motivi di ricorso, come l'apparato argomentativo posto a supporto della decisione di secondo grado sia congruo e aderente alle emergenze istruttorie. Il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, ripropone sovente le stesse questioni gia' devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese, con motivazione del tutto coerente e adeguata che non e' stata in alcun modo sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione, con conseguente aspecificita' dei motivi. 5.1. Al contrario delle doglianze del ricorrente, le condotte con cui (OMISSIS) ha minacciato (OMISSIS), sono state oggetto di un'attenta disamina - gia' parzialmente accennata - da parte della Corte (nonche', in precedenza, del Tribunale). La sentenza impugnata evidenzia, peraltro, come la prospettazione di un eventuale futuro licenziamento costituisca una "ulteriore minaccia", successiva alla prima (relativa invece al mancato rilascio di documentazione utile per la concessione da parte di terzi di un finanziamento) e in grado, sommandosi a questa, di coartare la sino ad allora titubante volonta' della persona offesa. A tal proposito, si puntualizza altresi' l'idoneita' minatoria - correttamente valutata con giudizio ex ante, nella sua obiettiva capacita' di aggredire la liberta' psichica della vittima - di quanto ventilato a (OMISSIS). Resta, quindi, affatto ultronea, oltre che completamente indimostrata, l'allegazione difensiva riferita a una gia' radicata intenzione del datore di porre fine al rapporto di lavoro. Esula da quanto consentito in questa sede di legittimita', a fronte delle lineari esplicazioni offerte dai giudici di merito, una rivalutazione, peraltro su punti tutt'altro che decisivi, di quanto dichiarato in dibattimento dai testimoni e persino dall'imputato. 5.2. Nel caso - come quello di specie - di cosiddetta "doppia conforme", il vizio del travisamento della prova, denunciato dal ricorrente nel suo terzo motivo, puo' essere dedotto, in relazione all'utilizzo di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva e solo nel caso in cui si rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi, Rv. 258438). La censura del ricorrente non si focalizza, in primo luogo, su una prova decisiva, dal momento che i giudici di merito hanno fondato le proprie valutazioni soprattutto sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, assoggettate a un controllo penetrante e rigoroso, ma che possono, come noto, ritualmente prescindere dalla necessita' di riscontri esterni. Sul punto, per completezza di esame, si nota come la Corte salentina abbia comunque preso in considerazione i tempi, le forme e il contenuto dei due esami a cui e' stato sottoposto (OMISSIS), rappresentando come costituisca un'evenienza fisiologica del processo la nuova audizione di un teste e dando logica spiegazione di eventuali incertezze, discrasie e cali di memoria, con il lungo lasso temporale intercorso rispetto allo svolgimento dei fatti; si e' aggiunto poi come il racconto di (OMISSIS) sia stato confermato innanzitutto dalla sentenza del Giudice del lavoro di Brindisi, oltre che da non poche fonti orali: non solo dalla coniuge, ma anche, in parte, dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) (pp. 7-10). Il giudice di primo grado, in ossequio all'immediatezza dell'oralita', aveva sottolineato altresi' "la serenita' dallo stesso dimostrata nel corso dell'esame testimoniale e del successivo ascolto dopo l'emissione dell'ordinanza ex articolo 507 c.p.p., evidenziat(e) dal contenuto stesso delle sue propalazioni"; la sentenza del Tribunale ha ricordato altresi' "l'evidente e singolare genericita', contraddittorieta' (intrinseca e rispetto alle dichiarazioni rese in fase di indagine) e intermittenza mnemonica dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) (...) le cui dichiarazioni, peraltro, non appaiono del tutto diverse da quelle rese dal (OMISSIS) e possono agevolmente conciliarsi". I rilievi del ricorrente, a fronte di cio', risultano viziati da un approccio esageratamente frazionato delle risultanze dibattimentali, attento a differenze marginali (e comunque giustificabili e giustificate) rispetto alla tranquillizzante visione d'insieme, e, soprattutto, presentano a questa Corte, sotto l'apparenza del vizio di motivazione, censure di mero fatto, non deducibili in questa sede e peraltro non attinenti ad aspetti essenziali idonei ad imporre diversa conclusione del processo. 5.3. Anche la censura relativa al mancato riconoscimento dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuita', non supera la soglia della ammissibilita', in quanto del tutto generica. Il ricorrente, infatti, prescinde del tutto dalla necessaria valutazione complessiva del danno, che costituisce un apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimita', se immune da vizi logico-giuridici. In primo luogo, infatti, l'impugnazione non tiene conto del costante orientamento interpretativo per cui, ai fini della configurabilita' dell'attenuante di cui all'articolo 62, n. 4, c.p., in relazione a delitti contro il patrimonio, occorre far riferimento a una valutazione il piu' completa possibile del danno complessivo cagionato alla persona offesa, senza avere riguardo soltanto al valore venale pressoche' irrisorio del corpo del reato, occorrendo far riferimento al danno complessivo (Sez. 2, n. 50660 del 05/10/2017, Calvio, Rv. 271695; Sez. 2, n. 3576 del 23/10/2013, dep. 2014, Annaro, Rv. 260021). D'altronde, l'alternativa irritualmente suggerita a questa Corte e' che la quantificazione monetaria operata dai giudici di appello (Euro 11.434,00) debba essere diminuita, detraendo "una serie di voci (...) ulteriori rispetto a quelle della contestazione di cui al presente processo e precisamente per "differenze retributive, lavoro straordinario, indennita' di preavviso, ferie non pagate e TFR" (cfr. pag. 1 della sentenza del Tribunale del Lavoro)", non solo postula importi di cui non specifica in alcun modo la consistenza, neppure allegando la pronuncia civile a cui fa cenno, ma non ha comunque riguardo alle specifiche condizioni di illiquidita' finanziaria della persona offesa (che, come aveva evidenziato il Tribunale, argomentando in merita all'efficacia coercitiva delle minacce di (OMISSIS), era pressato da difficolta' economiche e dalla non differibile esigenza di ottenere un prestito di denaro, non avendo percepito nei quattro mesi precedenti la quota di retribuzione che avrebbe dovuto pagargli il datore di lavoro - pp. 9-11). 6. Va, tuttavia, considerato, come sollecitato in udienza dalla difesa, che, anche tenuto conto dei periodi di sospensione della prescrizione (112 giorni, dal 27 settembre 2016 al 17 gennaio 2017, per rinvio richiesto dal difensore, piu' ulteriori 188 giorni, dal 13 giugno 2017 al 18 dicembre 2017, per rinvio per astensione dalle udienze), il termine massimo di prescrizione di dodici anni e sei mesi, ai sensi dell'articolo 157 c.p. e articolo 161 c.p., comma 2, e' venuto a maturare, dopo la pronuncia di appello, il 10 febbraio 2022. Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818), la non inammissibilita' del ricorso impone al Collegio di rilevare d'ufficio, ai sensi degli articoli 129 c.p.p. e articolo 609 c.p.p., comma 2, l'estinzione del reato per prescrizione intervenuta in data anteriore alla pronuncia della sentenza di legittimita'. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio, perche' il reato contestato e' estinto per intervenuta prescrizione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche' il reato e' estinto per prescrizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. RICCI A.L.A. - rel. Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/09/2022 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI; lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA CASELLA: che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Reggio Calabria,, con sentenza del 15 settembre 2022, in parziale riforma della sentenza del Giudice per l'udienza Preliminare del Tribunale di Reggio Calabria di condanna di (OMISSIS), in ordine al reato di cui all'articolo 603 bis c.p., commesso in (OMISSIS), ha concesso le circostanze attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante dell'aver reclutato un numero di lavoratori superiore a tre, e ha rideterminato la pena in anni 2 di reclusione. Secondo la descrizione di cui all'imputazione, confermata dalle sentenze di merito conformi, (OMISSIS), (soprannominato Cafu') aveva reclutato una quantita' indefinita di lavoratori extracomunitari, con cadenza pressoche' giornaliera (principalmente dalla ex baraccopoli di (OMISSIS), ove gli stranieri vivevano in baracche di fortuna, in condizioni di assoluto degrado igienico sanitario e privi di qualsivoglia mezzo di sostentamento), allo scopo di destinarla a lavori agricoli per conto di (OMISSIS), titolare di fatto della Impresa Agricola con sede in (OMISSIS), formalmente intestata alla figlia (OMISSIS) e, tramite furgoni nella sua disponibilita', aveva accompagnato i lavoratori reclutati sui luoghi di lavoro e concorso, altresi', nell'utilizzo della manodopera con compiti di vigilanza e direzione. 2.Avverso la sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), a mezzo del difensore, formulando un unico) articolato motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla affermazione della responsabilita'. Il difensore lamenta che la Corte non avrebbe indicato in che modo l'imputato aveva approfittato dello stato di bisogno dei lavoratori ed in che modo aveva tratto utilita' dal reclutamento di maestranze nell'interesse di (OMISSIS), nelle sentenze di merito non si fa mai cenno ai vantaggi lucrati dal ricorrente dal reclutamento, ma ci si sofferma solo sullo stato di bisogno dei lavoratori avviati, ovvero su una condizione che (OMISSIS), condivideva con gli altri "suoi compagni di sventura". La Corte di Appello sarebbe anche incorsa nel travisamento della prova nella valutazione del requisito della abitualita' della condotta, che sarebbe stato tratto dagli esiti dei controlli effettuati presso le terre di (OMISSIS), il (OMISSIS), occasioni nelle quali (OMISSIS), non era in Calabria, bensi' in Campania alle dipendenze dell'azienda agricola di (OMISSIS), come comprovato dalla documentazione versata in atti. La Corte di Appello, inoltre, avrebbe tratto la prova del ruolo predominante di (OMISSIS), dalla circostanza per cui questi distribuiva ai lavoratori la paga, argomentando in maniera apodittica che tale compito, in realta' meramente esecutivo, implicherebbe un ruolo di intermediazione svolto in maniera professionale, quando invece l'istruttoria aveva chiarito che la permanenza di (OMISSIS), presso l'azienda di Raso era stata circoscritta a pochi giorni; piu' in generale la Corte avrebbe fondato l'affermazione della responsabilita' del ricorrente su alcuni dati di fatto che sarebbero in realta' insufficienti a provare la condotta di reato in contestazione. 3.11 Procuratore Generale, nella persona del sostituto (OMISSIS), ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. 4.Le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno presentato conclusioni scritte con cui hanno chiesto la conferma della sentenza impugnata. 5. L'imputato ha presentato una memoria/ in data 27 marzo 2023/ con cui ha insistito per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 2. Nel caso di specie/ la Corte di Appello, in coerenza con la sentenza di primo grado, ha confermato l'affermazione della responsabilita' dell'imputato in ordine al reato di cui all'articolo 603 bis comma 1 n. 1) per avere egli reclutato manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori. L'articolo 603 bis c.p., a seguito della entrata in vigore della L. 29 ottobre 2016, n. 199, prevede due distinte fattispecie di reato, ovvero il reclutamento illecito, il cd. "caporalato", e l'utilizzo di manodopera in condizioni di sfruttamento. La prima ipotesi ha come soggetto attivo il reclutatore, la seconda ipotesi ha come soggetto attivo il datore di lavoro. Il legislatore non ha definito la nozione di "sfruttamento", condizione che deve caratterizzare tanto l'attivita' di reclutamento (articolo 603 bis c.p., comma 1, n. 1), quanto quella di utilizzazione, assunzione o impiego della manodopera (articolo 603 bis, comma 1, n. 2), ma ha preferito indicare alcuni indici di sfruttamento elencati al comma 3 della disposizione e cosi' individuati: 1) reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali piu' rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantita' e qualita' del lavoro prestato; 2) reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) sottoposizione dei lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti. Questa Corte ha gia' avuto modo, peraltro, di precisare che l'elencazione contenuta nella norma non e' esaustiva delle condizioni che integrano lo sfruttamento, potendo il giudice individuare anche altre condotte suscettibili di dare luogo al requisito della condotta di abuso del lavoratore (Sez. 4 n. 7857 del 11/11/2021, dep. 2022, Falcone, Rv. 282609). Dallo sfruttamento deve tenersi distinto l'approfittamento dello stato di bisogno, altro presupposto necessario affinche' siano punibili le condotte di reclutamento e di utilizzazione della manodopera. Lo stato di bisogno -ha chiarito la Corte di Cassazione- non si identifica "con uno stato di necessita' tale da annientare in modo assoluto qualunque liberta' di scelta, ma come un impellente assillo e, cioe', una situazione di grave difficolta', anche temporanea, in grado di limitare la volonta' della vittima, inducendola ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose" (Sez. 4, Sentenza n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport soc. coop. Soc., Rv. 281405). Dalla necessaria compresenza della duplice condotta di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno discende che la mera condizione di irregolarita' amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non puo' di per se' costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all'articolo 603-bis c.p. caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (Sez. 4, n. 27582 del 16/09/2020, Savoia, Rv. 279961). Quel che conta, dunque, affinche' sia integrato il delitto di reclutamento illecito, e' che la manodopera sia reclutata e destinata al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento e che cio' avvenga per approfittamento dello stato di bisogno del lavoratore. La fattispecie incriminatrice non prevede, invece, come sembra ipotizzare il ricorrente, che il reclutatore debba agire a fini di lucro. 2.1. Nel caso oggetto del ricorso, l'attivita' di reclutamento da parte di (OMISSIS) di lavoratori extracomunitari da avviare al lavoro nei campi della azienda Agricola gestita da (OMISSIS), non e' in contestazione, avendo censurato il ricorrente solo la sussistenza dei presupposti della sfruttamento e dell'approfittamento dello stato di bisogno. La Corte di Appello, a tale fine, ha evidenziato come fosse emerso che i lavoratori, dimoranti in una baraccopoli e in condizioni di grave difficolta' anche solo per reperire i mezzi di sussistenza primaria, venivano portati dai (OMISSIS), nei fondi di (OMISSIS), e qui lavoravano, con retribuzioni ben al di sotto della soglia minima prevista dalla c:ontrattazione, senza alcun dispositivo di protezione, ed erano sottoposti a condizioni di lavoro e metodi di sorveglianza degradanti. Le operazioni di intercettazione protrattesi per mesi (a dimostrazione del carattere reiterato della condotta, espressamente previsto dalla fattispecie incriminatrice quanto alla corresponsione di retribuzioni inferiori ai minimi previsti e comunque sproporzionate e quanto alla violazione delle norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro), avevano consentito di accertare che il ricorrente faceva da intermediario fra i lavoratori da lui reclutati e il datore di lavoro; aggiornava (OMISSIS) ed il figlio di questi, (OMISSIS), in merito all'andamento dei lavori nei campi della loro azienda e concordava con loro aspetti 4 atttnenti modalita' esecutive dell'attivita' di raccolta; si occupava della gestione dei pagamenti in favore dei lavoratori e provvedeva egli stesso a consegnare la retribuzione, talora anche in contanti; era alla ricerca di mezzi, ovvero furgoni, da utilizzare per il trasporto della manovalanza sui campi. Tutto cio' nella consapevolezza del carattere illecito della sua opera di intermediazione, comprovato dal fatto che, nel corso di una conversazione, parlando con un soggetto non identificato, lo aveva informato della installazione nel campo da parte delle forze dell'ordine di una telecamera e gli aveva suggerito un percorso da effettuare in modo da non essere ripreso. 2.2.A fronte di tale percorso argomentativo, coerente con i dati di fatti riportati e logico nell'individuare la ricorrenza degli elementi costituivi della fattispecie, i motivi di ricorso sono meramente reiterativi delle doglianze gia' formulate con i motivi di appello e, comunque, nella parte in cui tendono alla rivisitazione del compendio probatorio, ovvero a mettere in dubbio le circostanze di fatto indicate dai giudici di merito a sostegno dell'inquadramento giuridico della condotta dell'imputato, sono inammissibili. 3.All'inammissibilita' del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', deve essere disposto a suo carico, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma cosi' determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilita'. Il Collegio ritiene di dover aderire all'orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel giudizio di legittimita', quando il ricorso dell'imputato viene rigettato o dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto ad ottenere la liquidazione delle spese processuali senza che sia necessaria la sua partecipazione all'udienza, purche' abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attivita' diretta a contrastare la pretesa avversa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria. Si deve rilevare, tuttavia, che, nel caso in esame, le parti civili si sono limitate chiedere la conferma della sentenza impugnata, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti e non fornendo un contributo effettivo alla decisione. Pertanto, la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimita' in favore delle parti civili non e' dovuta (in tal senso, da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/07/2022 dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della casa delle ammende Nulla per le spese in favore delle parti civili.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosar - rel. Consigliere Dott. MARI Attilio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/03/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARIAROSARIA BRUNO. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con sentenza emessa in data 9 marzo 2022, la Corte di appello di Brescia ha confermato la pronuncia di condanna emessa a carico di (OMISSIS), all'esito di giudizio abbreviato, per il reato di cui all'art:. 603-bis, commi 1, n. 1) e 2), 3 n. il), 2), 3) e 4), 4 n. 1) c.p. "per avere, nella qualita' di responsabile e titolare di fatto dell'opificio denominato "CONFEZIONE DI LI LIVING" con sede a Canneto sull'Oglio, reclutato, utilizzato, assunto e, comunque, impiegato manodopera, costituita da 5 lavoratori, allo scopo di destinarla al lavoro presso la predetta azienda (attivita' di confezionamento di collant), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Condizioni di sfruttamento consistite nella reiterata corresponsione di retribuzioni difformi dai CC.N. L. pari a 3,00 o 5,00 Euro all'ora e, comunque, sproporzionato rispetto alla quantita' e qualita' del lavoro prestato; inoltre nella condizione di alloggio degradante fornito dal datore di lavoro laddove si appurava che gli operai erano alloggiati tutti in condizioni di estremo degrado igienico e costretti ad alloggiare all'interno di camere da letto in condizioni igieniche precarie e degradanti: infine nella reiterata violazione normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo setto' manale, alle ferie. Approfittamento dello stato di bisogno consistito nel trarre utilita' e profitto da una situazione critica che rendeva impossibile provvedere alle proprie necessita' piu' elementari bisogno di lavorare per poter arriangiare e, cosi, sopravvivere, stato di indigenza, accettazione da parte dei lavoratori di un salario bastante appena a soddisfare verosimilmente non piu' di una delle necessita' primarie, ovvero il mangiare, esigenza di un'abitazione dove passare la notte prima di andare a lavorare) e da una situazione di vulnerabilita' che impediva a libera possibilita' di scelta e di autodeterminazione dei lavoratore". I giudici di merito ritenevano dimostrata la fattispecie di cui sopra alla luce del compendio probatorio acquisito in atti, incentrato principalmente sugli esiti delle indagini del Nucleo Carabinieri ispettorato del lavoro di Mantova, compendiati nell'annotazione datata (OMISSIS) e sulle circostanze emerse in occasione dell'arresto del ricorrente. 2. Avverso a sentenza di cui sopra ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, articolando i seguenti motivi di ricorso (in sintesi, giusta disposto di cui all'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p.). I) Inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 603-bis c.p., comma 1, n. 2), comma 3 n. 1) 3) e 4), 4 n. 1). La difesa lamenta che la Corte di merito non espresso adeguata motivazione in ordine alla penale responsabilita' dell'imputato per i fatti contestati, dedicando pochissime pagine a sostegno de decisurn. La motivazione sarebbe carente, contraddittoria ed illogica. I giudici di secondo grado si sono limitati a richiamare il contenuto della sentenza di primo grado, trascurando di vagliare ed offrire compiuta risposta alle doglianze difensive. Il percorso motivazionale sarebbe frutto di un travisamento delle prove raccolte. E' stato violato il principio che impone di affermare la penale responsabilita' dell'imputato solo in presenza di prove che diano conto della colpevolezza "al di la' di ogni ragionevole dubbio". Sarebbe insussistente la fattispecie di cui all'articolo 603-bis c.p., non ricorrendo i requisiti richiesti dalla norma; la motivazione non rispetterebbe i principi ermeneutici elaborati in sede di legittimita' quanto alle nozioni di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno. 1.A) L'imputato non era titolare dell'azienda denominata " (OMISSIS)", ne' gestiva ii laboratorio intestato alla madre, essendo a lui riconducibili altre attivita'. Il figlio di Li Living, attuale imputato, aiutava semplicemente la madre nella conduzione dell'azienda: poiche' ha conoscenza della lingua italiana, intratteneva i rapporti con fornitori e clienti, supportando la madre titolare. La circostanza che l'imputato, in passato, sia stato titolare della ditta non comporta la sua penale responsabilita' in ordine ai fatti in contestazione nel presente giudizio. Il ricorrente si e' offerto disponibile nei confronti del personale di polizia all'atto del sopralluogo per la sua buona conoscenza della lingua italiana, in assenza della madre, lontana dal territorio italiano. La polizia giudiziaria, all'atto del sopralluogo, non ha assistito alla imposizione di ordini e direttive rivolte alle maestranze provenienti dal ricorrente. 1.B) Nel caso in esame non sussiste alcuno dagli indici di sfruttamento di cui all'articolo 603-bis c.p., comma 3. 1.B I) Quanto all'asserita corresponsione di una retribuzione inferiore ai minimi retributivi, si e' dimostrato con indagini difensive, che i lavoratori hanno percepito la paga dovuta in base alle ore di lavoro svolte. La Corte di merito ha ritenuto non convincente la documentazione prodotta, ricorrendo ad una motivazione apodittica. Si sono ritenute maggiormente attendibili le dichiarazioni rese dai lavoratori alla polizia giudiziaria rispetto a quelle raccolte in sede di ridaciini difensive senza offrire alcuna giustificazione delle ragioni di tale preferenza. 1B II), 1BIII), 1BIV) Si contesta quante sostenuto dalla Corte di appello in merito all'asserita violazione della normativa riguardante i'orario di lavoro, i periodi di riposo, la sicurezza dei luoghi di lavoro. Quanto alla sottoposizione dei lavoratori a condizioni alloggiative degradanti, nessuno dei lavoratori ha dichiarato di essere stato costretto a vivere nei locali messi a disposizione dal datore di lavoro. Peraltro, quattro dei lavoratori assunti alle dipendenze della ditta abitavano altrove. Lo stesso ufficio tecnico del Comune ai Canneto sull'Oglio, espressamente intervenuto, non ha dichiarato inagibile l'immobile e tantomeno ha individuato specifiche violazioni. Nessuna delle circostanze sostenute in sentenza in relazione ai profili riguardanti le richiamate violazioni avrebbe trovato puntuale riscontro in atti. 1.C) Non si individua in atti requisito dell'approfittamento dello stato di bisogno degli operai della ditta. Molti di essi erano regolarmente presenti sul territorio italiano ed erano parenti dell'imputaluo. 1.D) Insussistenza dell'elemento soggettivo del reato. In poche righe viene offerta giustificazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, riconosciuto dai giudici in ragione del risparmio di spesa ottenuto dall'azienda. II ricorrente viveva nelle medesime condizioni degli operai, pertanto deve escludersi l'elemento soggettivo del dolo. II) Violazione dei principi di cui all'articolo 192 c.p.p.. Gli elementi raccolti nel corso delle indagini sono privi dei requisiti di gravita', precisione concordanza. III) Inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 62-bis, 132, 133 c.p. in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. IV) Inosservanza, erronea applicazione degli articoli 132, 13 c.p. e articolo 125 c.p.p.; mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in relazione ai criteri impiegati ai fini della dosimetria della pena. 3. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, nel rassegnare conclusioni scritte, ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilita' del ricorso. 4. Il ricorso e' inammissibile. primo motivo di doglianza, in tutte le sue articolazioni, e' palesemente versato in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti consentiti, rimanendo estraneo al giudizio di legituimita' ogni sindacai:o che si risolva in una rilettura degli elementi posti a fondamento della decisione dicrautinoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione e' normativamente preclusa in possibilita' non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nel precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dali'esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell'intelletto costituente un sistema logico in se' compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimita' e' limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa e' "geneticamente" informata, ancorche' questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (cosi' Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). L'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di CL.li ii giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cosi Sez. C, n. 930 del 13/12/1995, dep. 29/01/1996, Clarke, Rv. 203428". In tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre"; Sez. U, n. 1 del 31/05/2000, Spina, Rv. 216260). Ne consegue che, una volta che il giudice abbia offerto una logica motivazione, coordinando gli elementi sottoposti al suo esame in modo coerente e non contraddittorio, a nulla vale opporre che gli atti s. prestavano ad una diversa lettura o interpretazione. Pertanto, a corretta deduzione dei vizio di motivazione deve palesare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e difettoso sul piano logico, senza alcuna possibilita' di introduzione di diverse ricostruzioni altrettanto logiche. Quanto al vizio del travisamento delle prove, pure ampiamente evocato nei motivi di ricorso, secondo giurisprudenza consolidata, il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), intenda far valere il vizio di "travisamento della prova" deve, a pena di inammissibilita' (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035 - 01): (a) identificare specificamente l'atto processuale sul quale fonda la doglianza; (b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata; (c) dare la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche' dell'effettiva esistenza dell'atto Drocessuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento; (d) indicare le ragioni per cui l'atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilita'" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato. Va altresi' aggiunto che, nell'ipotesi di doppia pronuncia conforme, il limite del devolutum non puo' essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimita', salva l'ipotesi in cui giudice di appello, a fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (cfr. Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2017, Rv. 270394). Tutto cio' premesso, passando a trattare delle singole doglianze di cui si compone il primo motivo di ricorso, si osserva quanto segue. La Corte territoriale ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi del delitto di cui all'articolo 603-bis c.p., fornendo coerente e logica motivazione in ordine alla ricorrenza dei requisiti di sfruttamento della manodopera e approfittamente dello stato di bisogno dei lavoratori impiegati. Richiamando le emergenze processuali, la Corte di merito ha posto in evidenza come gli accertamenti espletati avessero rivelato che la retribuzione oraria corrisposta ai lavoratori divergesse in modo rilevante da quella prevista dal CCNL (a fronte di una paga prevista dal CCNL di Euro 7,20 all'ora, dipendenti, sentiti in occasione dell'accesso dei militari del Nucleo c.c. Ispettorato del lavoro, avevano dichiarato di percepire tra i 3 ed i 5 Euro l'ora). Si era accertato come i dipendenti alloggiassero in locali fatiscenti posti a piano superiore del capannone, osservando orari di lavoro continuativi, che si protraevano per tutta la giornata, senza adeguati periodi di riposo. Veniva altresi' ritenuto sussistente l'approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori, versando costoro in situazione di necessita' per essere privi di permesso di soggiorno, senza collegamenti col territorio, impossibilitati a reperire altre soluzioni lavorative e di alloggio (sul punto si richiama Sez. 4, n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport, Rv. 281405, in cui si e' precisato come, ai fini dell'integrazione dei reato cii intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non vada inteso come uno stato di necessita' tale da annientare in modo assoluto qualunque liberta' di scelta, bensi' come una situazione di grave difficolta', anche temporanea, tale da limitare la volonta' della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose). Con argomentare logico, la Corte di merito, conformemente al primo giudice, ha ritenuto maggiormente attendibili le dichiarazioni rese dai lavoratori al personale di polizia all'atto del sopralluogo, essendo il contenuto di tali dichiarazioni rispondente alla situazione direttamente osservata dagli operanti nella immediatezza. La Corte di merito ha anche evidenziato come i ritmi di produzione della ditta, accertati attraverso il riscontro delle commesse evase, fossero incompatibili con l'esiguo numero di ore lavorative prospettate da; ricorrente (cfr. quanto riportato a pag. 10 della motivazione "e' inverosimile che una impresa che, come riferito dall'informatore (OMISSIS), (della (OMISSIS) srl), evadeva ogni settimana forniture di quasi 40.000 paia di collant da imbustare, abbia intrattenuto contratti di lavoro per 20 ore settimanali per ciascun dipendente assunto"). In relazione alla fattispecie di cui all'articolo 603-bis c.p., comma 1, n. 2) ai fini della configurazione dell'elemento soggettivo del reato, e' sufficiente la coscienza e volonta' di approfittare dello stato di bisogno della manodopera, sottoponendola a condizioni di sfruttamento. Si tratta, invero, di un reato a dolo generico (cfr. Sez. 4, n. 3554 del 18/01/2022, Rv. 282577 -- 01:"Il delitto previsto dall'articolo 603-bis c.p., comma 1, n. 1, e' caratterizzato dal dolo specifico, essendo necessario che l'intermediario recluti la manodopera al fine di destinarla al lavoro presso terzi, mentre per quello previsto dall'articolo 603-bis c.p., comma 1, n. 2, e' sufficiente il dolo generico, essendo richiesto che l'utilizzatore abbia agito con coscienza e volonta' di sottoporre i lavoratori a condizioni di sfruttamento e di approfittare del loro stato di bisogno'). II profilo riguardante l'elemento soggettivo del reato ha trovato compiuta valutazione nel passaggio motivazionale in cui si evidenzia come il ricorrente avesse diretta "percezione" delle condizioni di sfruttamento dei dipendenti, conseguendo, in ragione della sottoretribuzione corrisposta, notevoli risparrn, di spesa, anche con riferimento all'esatto importo degli oneri contributivi. 5. Quanto alla riferibilita' delle condotte illecite all'imputato, quale gestore di fatto dell'azienda, si richiamano le argomentazioni svolte alle pagine 8 e 9 della motivazione, in cui sono illustrate le ragioni a sostegno della ritenuta dimostrazione del ruolo effettivo rivestito dall'imputato nell'azJenda. La ricostruzione operata dalla Corte di merito e' avversata nel ricorso con la prospettazione di una diversa interpretazione del compendio probatorio in atti, non consentita in questa sede. 6. Il secondo motivo, con il quale la difesa denuncia la "violazione dei principi di cui all'articolo 192 c.p.p., nella valutazione della prova" e' del pari inammissibile. La censura e' articolata in termini aspecil"ici, in quanto priva di correlazione con la completa e puntuale motivazione offerta dai giudici di merito nelle sentenze di merito conformi e, comunque, propositiva di ragioni di doglianza nelle quali si sollecita una rivisitazione del compendio probator o. Secondo consolidato orientamento di questa Corte, e' inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri l'erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, prospettando argomentazioni che si pongano in confronto diretto con il materiale probatorio e astenendosi dal denunciare uno dei vizi logici tassativamente previsti dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione dei fatto (cfr. Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, De Angeiis, Rv. 266924). 7. Anche con riguardo a mancato riconoscimento delle attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p., il provvedimento impugnato E' esente da vizi motivazionali. La Corte territoriale, conformemente ai principi stabiliti in questa sede, ha sottolineato l'assenza di elementi positivamente valorizzabili ai fini della concessione del beneficio e la gravita' del fatto, in ragione del numero di lavoratori impiegati, del tempo di protrazione della condotta illecita, dell'assenza di resipiscenza. Si tratta di motivazione corretta e non manifestamente illogica, non suscettibile di essere sindacata in sede di legittimita' (cfr. Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Cariddi, Rv. 242419). E' noto ii' consolidato principio stabilito in materia secondo cui non e' necessario che giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo invece sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisui o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244). Quanto all'ultima doglianza, va rammentato che la graduazione della pena, cosi' come la fissazione della pena-base, rientrino nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione, come nel presente caso, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 dei 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142). Deve aggiungersi che, ove la pena si discosti di poco dal minimo edittale, come nel presente caso, e' sufficiente ii richiamo al giudizio di congruita' espresso dalla Corte di merito, essendo necessaria una specifica motivazione soltanto ove la pena superi la media edittale (cfr. Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Sernione, Rv. 271243). 8. Consegue alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento deile spese processuali, nonche', a norma dell'articolo 616, c.p.p., al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATENA Rossella - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovann - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/07/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIOVANNI FRANCOLINI; lette: - la requisitoria scritta presentata - ex Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 - dal Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dr. LUIGI GIORDANO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; - le conclusioni rassegnate, ai sensi della stessa norma, dall'avvocato (OMISSIS) nel corpo della propria memoria, con la quale nell'interesse dell'imputato ha contestato la fondatezza di quanto rappresentato dal Procurato generale e ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 13 luglio 2021 la Corte di assise di appello di Milano - a seguito dell'annullamento con rinvio, limitatamente all'esclusione della circostanza aggravante della premeditazione, disposto da questa Corte con pronuncia del 22 settembre 2020 in accoglimento del ricorso presentato dal Pubblico ministero - ha confermato la sentenza in data 3 luglio 2017, appellata da (OMISSIS), che aveva affermato la responsabilita' di quest'ultimo per l'omicidio premeditato di (OMISSIS) (commesso a (OMISSIS)) e lo aveva condannato alla pena dell'ergastolo. 2. Avverso la sentenza rescissoria e' stato proposto ricorso per cassazione nell'interesse dell'imputato, formulando tre motivi (di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. Att. c.p.p., comma 1). 2.1. Con il primo motivo sono stati dedotti la violazione dell'articolo 577 c.p., comma 1, n. 3, e il vizio di motivazione in ordine al movente del delitto quale indice sintomatico della premeditazione. Ad avviso della difesa, la sentenza rescissoria - pur individuando il movente nell'emarginazione del (OMISSIS) nell'organizzazione aziendale dell'impresa del (OMISSIS) - ha ricostruito i fatti in maniera diversa dalla sentenza di primo grado (oltre che dalla sentenza annullata), omettendo di motivare su profili di rilievo in ordine al momento in cui e' sorto il proposito delittuoso dell'imputato, travisando per omissione il compendio probatorio e argomentando in maniera illogica e contraddittoria. Difatti, la Corte distrettuale avrebbe collocato nel mese di luglio del 1998 l'insorgenza della decisione di assassinare il (OMISSIS): - alla luce della sola deposizione del teste (OMISSIS), trascurando invece quanto rassegnato da (OMISSIS) (colei che, secondo i Giudici di appello, avrebbe assunto il ruolo del (OMISSIS)) e di (OMISSIS) (figlio della vittima); - ritenendo significativi, in maniera apodittica e priva di riscontro, i ripetuti contatti telefonici (il cui tenore non e' noto) tra i (OMISSIS) e il (OMISSIS) nel mese di agosto del 1998 e l'assegnazione il 2 settembre 1998 alla (OMISSIS) di un compito (coordinatore di progetti) fino ad allora svolto dal (OMISSIS), quantunque (come si trae dalle richiamate deposizioni, cio' non avesse determinato un'esclusione del (OMISSIS) dall'organizzazione aziendale); - illogicamente assumendo che l'imputato abbia maturato la decisione di uccidere l'amico senza neppure cercare con lui un confronto. Piuttosto, le precedenti pronunce avevano valorizzato la discussione intercorsa tra i due il giorno del delitto ((OMISSIS)) e la circostanza che il (OMISSIS) intendesse contestare al (OMISSIS) talune irregolarita' alla luce delle quali intendeva allontanarlo; la sentenza rescissoria avrebbe omesso ogni considerazione sul tale punto (nonostante le puntuali allegazioni difensive); tale lacuna non potrebbe essere colmata per relationem (se non a pena di una insanabile frattura logica) dalla decisione di primo grado che, sul confronto tra i due il (OMISSIS), ha offerto una ricostruzione incompatibile con quella della sentenza rescissoria. Ancora, quest'ultimo provvedimento avrebbe escluso che il giorno del delitto l'imputato e la persona offesa si siano affrontati in occasione del loro incontro pomeridiano, tramite un iter illogico e in contrasto con le risultanze probatorie, in particolare assumendo che i tempi di azione - in tale ultimo incontro - sarebbero stati strettissimi (tanto da rendere impossibile una discussione tra i due, conclusasi con un'aggressione a sorpresa), erroneamente valorizzando il tempo in cui il cellulare del (OMISSIS) sarebbe rimasto spento (emergendo dagli atti solo che esso fosse spento alle ore 17:23) ed ignorando le dichiarazioni (dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), quest'ultima segretaria della vittima) che depongono per il fatto che il (OMISSIS) quando era impegnato in riunione fosse uso spegnere il proprio terminale mobile; non considerando i tempi di permanenza in ufficio del (OMISSIS) (di almeno un'ora, alla luce dei tabulati telefonici). Con la conseguenza che da tali elementi avrebbe dovuto inferirsi che il proposito criminoso del (OMISSIS) sia sorto non da un generico demansionamento ma dall'intenzione, manifestagli da (OMISSIS) lo stesso (OMISSIS), di allontanarlo definitivamente dalla propria impresa, evento che avrebbe determinato la volonta' omicida. 2.2. Con il secondo motivo sono stati dedotti la violazione dell'articolo 577 c.p., comma 1, n. 3, e il vizio di motivazione (segnatamente per il travisamento delle testimonianze di Nucera e (OMISSIS) e la violazione dei principi in tema di valutazione della prova indiziaria e l'omesso apprezzamento delle allegazioni difensive) in ordine alla preordinazione del mezzo criminoso quale indice sintomatico della premeditazione. Invero, nonostante quanto prospettato in sede di gravame, la sentenza rescissoria avrebbe tratto la sussistenza del movente dal previo acquisto da parte dell'imputato del coltello utilizzato per commettere il delitto, attribuendo certezza a due elementi su cui ha fondato il proprio ragionamento sul punto, ossia: - il fatto che l'arma fosse nuova, tuttavia in difetto di accertamenti tecnici e di elementi in tal senso nel verbale di sequestro e nonostante al riguardo il teste di polizia giudiziaria Nucera, come esposto nella stessa decisione impugnata, abbia solo espresso impressioni (a distanza di vent'anni dal fatto) e rappresentato che l'attivita' svolta per risalire all'acquisto del coltello non avesse dato esito positivo; - il fatto che il coltello non facesse parte del corredo della cucina presente in azienda, profilo in ordine al quale sarebbe stato travisato il tenore della deposizione del teste (OMISSIS) (il quale si e' invece limitato a riportare che ivi erano presenti coltelli simili, senza potere pero' affermare che si trattasse di quello in sequestro), che non puo' essere privato di rilevanza solo perche' egli ha riferito de relato che le colleghe avevano escluso che il medesimo coltello fosse presente nella cucina aziendale; - cosi' erroneamente applicando i principi di valutazione della prova indiziaria (articolo 192 c.p.p.) che postulano la certezza dei dati posti a base del ragionamento del giudice. 2.3. Con il terzo motivo sono stati dedotti la violazione dell'articolo 577 c.p., comma 1, n. 3, e il vizio di motivazione (segnatamente per il travisamento delle dichiarazioni rese dalla teste Antonietti, dalle parti civili e dal (OMISSIS) e per l'omesso apprezzamento delle allegazioni difensive) in ordine alla anticipata manifestazione del proposito criminoso quale indice sintomatico della premeditazione. Al riguardo si e' rappresentato che - nonostante le specifiche doglianze sul punto - la sentenza impugnata avrebbe assunto che l'imputato prima del fatto ha pretestuosamente accreditato la tesi del suicidio del (OMISSIS), non solo valorizzando elementi successivi all'omicidio (che, dunque, non possono avere rilevanza) ma anche travisando le dichiarazioni della teste (OMISSIS) (in ordine alla fissazione dell'incontro con il (OMISSIS) il 12 settembre 1998 - nel corso del quale quest'ultimo si sarebbe espresso nei termini predetti-, alla asserita mancanza di ragioni lavorative perche' esso avvenisse e al mancato esame proprio di questioni di lavoro prima che il (OMISSIS), richiesto dalla (OMISSIS), parlasse dei propositi suicidiari espressi dall'imputato conformemente a quanto a quest'ultimo avevano riportato i familiari del (OMISSIS)) ed omettendo di considerare il narrato degli stessi familiari della vittima ( (OMISSIS) ed (OMISSIS) e (OMISSIS)), dei soggetti che con lui si relazionavano in ambito lavorativo (la (OMISSIS), il (OMISSIS), la (OMISSIS)). Inoltre, ad avviso della difesa, la sentenza rescissoria avrebbe affermato illogicamente, sulla scorta di deduzioni apodittiche e contrarie alle risultanze processuali, che il (OMISSIS) abbia amplificato il significato delle informazioni raccolte dai familiari della vittima al fine di diffondere come certa la notizia dei detti propositi del (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile in quanto manifestamente infondato, privo della necessaria specificita' e' versato in fatto, nei termini che di seguito si espongono (Sez. 2, n. 17281 del 08/01/2019, Delle Cave, Rv. 276916 - 01; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 - 01; Sez. 6, n. 8700 del 21 gennaio 2013, Leonardo, Rv. 254584 - 01) 1. I motivi di impugnazione possono essere trattati congiuntamente. 1.1. Al fine di provvedere deve, anzitutto, osservarsi che il ricorrente non ha prospettato la violazione della legge penale - che "riguarda l'erronea interpretazione della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza), ovvero l'erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l'erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta)" - ma ha dedotto l'"erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta", ossia soltanto un vizio di motivazione (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoe', Rv. 268404 - 01). Inoltre: - la mancanza, l'illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione, come vizi addotti nel giudizio di legittimita', devono essere "di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici" (Sez. 2, n. 46288/2016, cit., che rimanda a Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260); - d'altra parte, "l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio" (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841 - 01; cfr. pure Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, Depretis, Rv. 281935 - 01); la Corte di cassazione, innanzi alla quale non puo' utilmente dedursi il travisamento del fatto, deve "limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per giustificare il suo convincimento" (Sez. 2, n. 46288/2016, cit.); e la mancata rispondenza alle acquisizioni processuali delle argomentazioni con le quali il giudice di merito ha motivato il proprio convincimento puo' essere dedotta nel giudizio di legittimita' qualora si sostanzi nel "c.d. "travisamento della prova"", consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessita' che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisivita' nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica (Sez. 2, n. 46288/2016, cit.). 1.2. Tanto premesso, la sentenza, in relazione alla sussistenza della premeditazione: - ha tratto dalla deposizione di (OMISSIS) il mutamento effettivo (al di la' della collocazione formale) del ruolo del (OMISSIS) nella (OMISSIS) in seguito all'attribuzione da parte del (OMISSIS) (che ne era il dominus) di un ruolo centrale a (OMISSIS), che aveva "intaccato" quello del (OMISSIS), ingenerando in lui apprensione gia' dal mese di luglio; e il fatto il (OMISSIS) non avrebbe riponderato in melius (tanto da aver dato comunicazione formale della nuova organizzazione il 2 settembre 1998), in cio' individuando il movente del delitto; - ha attribuito valenza sintomatica al fatto che il (OMISSIS) avesse riferito il giorno prima dell'omicidio a (OMISSIS), collaboratrice della societa' del (OMISSIS), che quest'ultimo aveva espresso propositi suicidiari, cosi' enfatizzando le espressioni riportate all'imputato dai congiunti della vittima, che questi aveva proferito "in momenti di esasperazione familiari" durante le ferie estive (allorche' si era sentito "assillato dai familiari che lo "trattavano" da malato in ragione dell'ictus che lo aveva colpito pochi mesi prima"); al riguardo la Corte distrettuale ha evidenziato come, invece, il (OMISSIS) avesse ripreso a lavorare, avesse modificato il proprio stile di vita (in senso piu' edonistico); ed ha ritenuto che tale lettura fosse corroborata dalla condotta del (OMISSIS) successiva all'omicidio del (OMISSIS), improntata ad accreditare la tesi del suicidio (considerata pure la collocazione di un coltello nella mano sinistra della vittima); - ha attribuito rilevo al fatto che l'arma ("un grosso coltello âEuroËœda carne'" con lama da 19 cm cucina) non fosse mai stato visto dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS) in azienda (dove e' avvenuto l'omicidio), evidenziando come tali deposizioni non abbiano trovato smentita in quella del teste (OMISSIS) che, oltre a riportare il narrato delle due donne, si e' limitato ad affermare di non potere escludere con certezza che il coltello fosse in azienda (pur puntualizzando che ve ne erano di adatti a tagliare torte o panettoni); ed ancora ha evidenziato che, pur non avendo avuto esito gli accertamenti investigativi sull'acquisto del coltello, esso aveva "un aspetto âEuroËœnuovo'" e proprio per questo erano stati compiuti i detti accertamenti (come riportato dal teste di polizia giudiziaria Nucera), quantunque nel verbale di sequestro non fosse descritto lo stato di usura del coltello; da cio' - indicando pure le ragioni per cui ha escluso che il coltello sia stato acquistato la domenica in cui e' stato commesso l'omicidio - ha tratto che era stato il (OMISSIS) a portarlo in precedenza nei locali aziendali (dove si era recato fino al giorno prima); - ha ritenuto - alla luce delle risultanze dei tabulati telefonici, dei tempi di percorrenza per raggiungere il luogo del commesso delitto (la sede della societa') dall'abitazione del (OMISSIS), della scelta del luogo, delle dichiarazioni testimoniali (in particolare, dei familiari della vittima, secondo cui la persona offesa non aveva riferito che il giorno dell'omicidio, segnatamente al mattino nel corso del primo incontro con il (OMISSIS), si sia verificato un alterco) e delle modalita' esecutive (dimostrative di un atto a sorpresa, distonico rispetto a un'aggressione successiva a una discussione) - che la richiesta del (OMISSIS) di incontrare nuovamente nel pomeriggio (dopo il primo incontro mattutino) il (OMISSIS) (sceso da casa senza portare con se' il portafogli e le chiavi), condotto in ufficio dall'imputato, escludano che prima dell'omicidio abbia avuto luogo tra i due una discussione che ha determinato la volonta' omicida (nei termini del dolo condizionato) ed anzi ha ritenuto le chiamate telefoniche dal tenore contraddittorio (al telefono fisso dell'impresa, al cellulare della vittima e ai suoi familiari) espressione proprio di un'accurata pianificazione del reato. Si tratta di una motivazione che ha disatteso le allegazioni prospettate con l'appello per il tramite di un iter che non puo' dirsi manifestamente illogico e che non e' utilmente inciso da quanto prospettato con il ricorso. Difatti, l'impugnazione non si e' confrontata compiutamente con la decisione impugnata: a proposito del mutamento del ruolo del (OMISSIS) in seno alla compagine aziendale (in correlazione a quello assunto dalla (OMISSIS)), profilo in ordine al quale la Corte di merito ha evidenziato che, al di la' dei ruoli formali, i soggetti che da piu' tempo vi avevano operato (compreso il (OMISSIS)) era stati de facto ridimensionati, tanto che il teste (OMISSIS) ha a chiare lettere riportato che essi si interrogavano sul loro futuro; ne' con riguardo all'assenza dell'arma dalla cucina aziendale, profilo rispetto al quale l'impugnazione ha sminuito apoditticamente la capacita' rappresentativa delle dichiarazioni delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS), riportate de relato da (OMISSIS), testi peraltro esaminate pure in prima persona. Inoltre, la motivazione non puo' dirsi minata dalle prove che, secondo la difesa, non sarebbero state esaminate (in particolare, la deposizione del (OMISSIS) sul fatto che il coltello fosse nuovo, avendo la Corte distrettuale tratto aliunde che esso non era prima presente nei locali aziendali; le dichiarazioni della (OMISSIS) in ordine alla sua collocazione nell'organigramma e al suo difetto di esperienza, tra l'altro, rispetto a (OMISSIS), e del figlio della vittima (OMISSIS), relative al modulo organizzativo presentato da (OMISSIS) nel mese di luglio del 1998, dato che i Giudici di appello hanno evidenziato, sulla scorta della deposizione del (OMISSIS), che alla stessa (OMISSIS) era di fatto attribuito un ruolo di preminenza in ragione del suo rapporto personale con il (OMISSIS). Parimenti, la tenuta logica della motivazione non e' incisa dalla circostanza che il (OMISSIS) abbia pretestuosamente convocato o meno la (OMISSIS) in ufficio il giorno prima dell'omicidio (laddove, come dedotto dalla difesa, sarebbe stata quest'ultima a chiedere l'appuntamento e a chiedere come stesse (OMISSIS)), poiche' comunque non si tratta di un elemento centrale nella ricostruzione della Corte territoriale che al riguardo - con apprezzamento congruo e qui non sindacabile ha attribuito rilievo al fatto che il (OMISSIS) abbia colto l'occasione per riportare, enfatizzandole, le dichiarazioni dei familiari del (OMISSIS) al fine di accreditare la tesi del suicidio, che poi egli stesso ha ulteriormente accreditato sin dal momento in cui e' stato rinvenuto il cadavere (senza che possa giovare all'imputato la generica censura relativa alla valorizzazione dell'agire dell'imputato successivo al delitto, che la decisione impugnata ha inserito nel piu' ampio contesto della vicenda in maniera logica, come elemento di una compiuta programmazione); e, comunque, come pure gia' esposto ha ritenuto la premeditazione anche in forza di altri elementi (sopra richiamati). Ancora, proprio alla luce di quanto sopra esposto a proposito dell'intervenuto mutamento de facto del ruolo del (OMISSIS), non e' decisivo nel piu' articolato ragionamento della Corte di assise di appello il riferimento - che la difesa ha stigmatizzato come congetturale - alle ripetute telefonate da parte del (OMISSIS) al (OMISSIS) nell'agosto del 1998 (quando il (OMISSIS) era in vacanza con la (OMISSIS)) come indice della sua apprensione per il ridimensionamento del ruolo nella societa', dato che la Corte ha affermato - sulla scorta della deposizione del (OMISSIS), che ha riportato quanto in prima persona espresso dal (OMISSIS) - che egli avesse gia' colto nel mese di luglio 1998 che la sua posizione era mutata, in particolare in ragione della preminenza acquisita in seno alla (OMISSIS) dalla (OMISSIS). Infine, in questa sede non puo' giovare un diverso apprezzamento degli elementi di fatto, segnatamente delle risultanze probatorie inerenti agli spostamenti dell'imputato e della vittima il giorno del delitto, che il ricorso finisce col devolvere a questa Corte. 2. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l'evidente inammissibilita' dell'impugnazione impone di attribuirgli profili di colpa (cfr. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 01). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. SOCCI Angelo M. - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni F. - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 07-03-2022 del Tribunale di Udine; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica; lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Marilia Di Nardo, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni trasmesse dall'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia dell'imputata, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del Tribunale di Udine emessa il 7 marzo 2022, (OMISSIS) veniva condannata, con i doppi benefici di legge, alla pena di 7.840 Euro di ammenda, in quanto ritenuta colpevole del reato di cui agli articolo 110 c.p. e 38 bis del Decreto Legislativo n. 81 del 2015, a lei contestato perche', quale presidente del consiglio di amministrazione della societa' (OMISSIS) s.r.l., esercente l'attivita' di ristorazione "(OMISSIS)", agendo in concorso con (OMISSIS), amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l., esercente attivita' di altri servizi di sostegno alle imprese, al fine di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, stipulava in data 1 novembre 2017 un contratto di appalto per servizi avente ad oggetto "servizio di cucina, servizio di sala" per il periodo dal 1 novembre 2017 al 28 febbraio 2018, contratto che in realta' celava un accordo di somministrazione di lavoro in assenza dei requisiti di legge, posto che, in base a tale accordo, la (OMISSIS) s.r.l. impiegava alle proprie dipendenze (e la (OMISSIS) s.r.l. somministrava) 8 lavoratori, per un totale di 588 giornate lavorative; fatto commesso in Venzone, fino all'8 marzo 2019. 2. Avverso la sentenza del Tribunale friulano, la (OMISSIS), tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi. Con il primo, la difesa si duole della mancata assunzione di una prova decisiva, ovvero dell'omessa escussione dei testi (OMISSIS), ossia colui che aveva sovrainteso all'instaurazione e alla disciplina dei rapporti con i lavoratori, nonche' della responsabile dell'assistenza clienti della (OMISSIS) s.r.l., tale (OMISSIS); questi due testi sarebbero stati indebitamente revocati dal Tribunale, sebbene la loro escussione fosse finalizzata a dimostrare l'insussistenza del reato e, in particolare, la regolarita' del contratto di appalto e l'assenza di una finalita' elusiva in capo all'imputata, avendo pertanto la revoca dei testi comportato una lesione del diritto di difesa dell'imputata, posto che la prova negata era stata ammessa dal giudice ai sensi dell'articolo 495 c.p.p. In particolare, il teste (OMISSIS) avrebbe potuto riferire che nell'esecuzione dell'appalto la organizzazione del lavoro degli ausiliari e' sempre stata gestita dalla (OMISSIS) e dal preposto (OMISSIS), in coordinamento con la committente e in sintonia con le previsioni contrattuali, mentre la sig.ra (OMISSIS) avrebbe potuto confermare che la (OMISSIS) e' tuttora operativa nell'ambito della somministrazione di servizi, continuando a proporsi nel mercato del lavoro, avendo assunto attualmente la denominazione di (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l., da cio' desumendosi che la (OMISSIS) si era rivolta a una impresa professionalmente accreditata, essendo dunque convinta della legittimita' dell'instaurando rapporto contrattuale. Con il secondo motivo, e' stata censurata la formulazione del giudizio di colpevolezza dell'imputata, sottolineandosi che, come gia' esposto all'Ispettorato territoriale del lavoro di (OMISSIS) con p.e.c. datata 8 agosto 2019, alcuna somministrazione illecita di manodopera era ravvisabile nel caso di specie, atteso che vi e' stata una diversita' formale e sostanziale tra le modalita' di gestione del rapporto dei dipendenti della (OMISSIS) s.r.l. e degli ausiliari della (OMISSIS); quest'ultima, peraltro, non solo ha coordinato i propri ausiliari, ma ne ha controllato l'attivita' e la prestazione al fine di garantire l'esatta esecuzione dell'oggetto dell'appalto, essendo del resto la (OMISSIS) una societa' strutturata dotata di una propria rilevante organizzazione che occupa molti ausiliari ed e' impegnata in un gran numero di appalti, fermo restando che il contratto di appalto e' stato certificato dalla commissione di certificazione istituita presso l'Ente paritetico bilaterale ENBLI di (OMISSIS), per cui, ribadita l'insussistenza del reato dal punto di vista oggettivo, escludendo un rapporto di natura autonoma l'ipotizzabilita' anche in astratto di una somministrazione di manodopera, si osserva che la (OMISSIS) ha confidato nella bonta' e nella correttezza dello strumento contrattuale proposto e attuato, essendosi in presenza sia di un contratto certificato, sia di una controparte negoziale strutturata, ponendosi dunque la buona fede del ricorrente in contrasto con l'intenzionalita' richiesta dal reato, ovvero con il fine di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo. 2.1. Con memoria trasmessa il 9 gennaio 2023, il difensore dell'imputata ha insistito nell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. Iniziando dal primo motivo, deve innanzitutto premettersi che, all'udienza del 7 marzo 2022, il giudice monocratico, all'esito della deposizione dei quattro testi fino a quel momento escussi (ovvero (OMISSIS), teste del P.M., nonche' (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), testi della difesa), rendeva la seguente ordinanza, di cui si riporta il contenuto: "il Tribunale, alla luce della documentazione prodotta da P.M. e Difesa e dell'attivita' istruttoria compiuta, sentite le parti, revoca l'ordinanza con cui sono stati ammessi i residui testi della Difesa oggi non presenti, ritenuti superflui ai fini della decisione". Orbene, l'ordinanza in esame non presenta vizi di legittimita' rilevabili in questa sede, avendo il Tribunale compiuto una valutazione di merito sulla superfluita' delle restanti testimonianze che, pur nella sua estrema sintesi, non appare contraddistinta da profili di manifesta illogicita', tanto piu' ove si consideri che i temi su cui avrebbero dovuto deporre i due testi, per come sintetizzati nel ricorso, sono stati sia adeguatamente esplorati nel corso dell'istruttoria fino a quel momento svolta, sia sufficientemente trattati nella sentenza impugnata, per cui non puo' parlarsi nel caso di specie di mancata assunzione di prove decisive, dovendosi al riguardo richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, Rv. 278670 e Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Rv. 259323), secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi "decisiva", secondo la previsione dell'articolo 606, comma 1, lettera d), c.p.p., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante. Tali requisiti, come detto, non sono configurabili rispetto alle prove legittimamente revocate dal Tribunale, da cio' discendendo quindi l'infondatezza della doglianza difensiva. 2. Ad analoga conclusione deve pervenirsi rispetto al secondo motivo di ricorso. Al riguardo deve osservarsi che il giudizio di colpevolezza dell'imputata e' stato preceduto da una esauriente disamina delle fonti dimostrative raccolte, avendo il Tribunale richiamato gli esiti dell'accertamento svolto dall'Ispettorato territoriale del lavoro di (OMISSIS)-(OMISSIS) nel marzo 2019 presso il Ristorante "(OMISSIS)" sito in (OMISSIS) e gestito dal marzo 2016 dalla societa' (OMISSIS) s.r.l., di cui e' risultata essere legale rappresentante l'imputata (OMISSIS). Dalla verifica, scaturita dalla denuncia di omessi pagamenti retributivi presentato da un lavoratore del predetto ristorante, emergeva che la societa' (OMISSIS) s.r.l. si era inizialmente avvalsa delle prestazioni di lavoratori assunti alle proprie dipendenze, per poi stipulare, in data 1 novembre 2017, con la (OMISSIS) s.r.l., un contratto di appalti, avente ad oggetto i servizi di sala e di cucina, valido fino al 28 novembre 2018 e rinnovabile tacitamente. Secondo le pattuizioni negoziali, il contratto, con la fissazione di un corrispettivo mensile di duemila Euro al mese, prevedeva l'impegno della societa' appaltratrice di svolgere le proprie attivita' tramite organizzazione di mezzi e gestione a proprio rischio e a regola d'arte, restando la (OMISSIS) "libera di determinare modalita' e termini di esecuzione di tutte le operazioni e le attivita' che ritenga necessarie, utili e funzionali per la realizzazione del servizio", spettando esclusivamente all'appaltatore "l'organizzazione dei mezzi, in relazione alle esigenze del servizio e in specie il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impiegati nell'appalto, ai sensi dell'articolo 29, comma 1, del Decreto Legislativo n. 276 del 2003". Cio' posto, il giudice monocratico ha tuttavia evidenziato che il contratto di appalto in realta' simulava una mera somministrazione di manodopera da parte della societa' (OMISSIS). (che non era autorizzata a somministrare personale), posto che l'operazione negoziale si era di fatto concretizzata in una mera messa a disposizione di energie lavorative di dipendenti formalmente assunti da (OMISSIS) che hanno lavorato per (OMISSIS) s.r.l., avendo i dipendenti con (OMISSIS) rapporti limitati agli adempimenti burocratici relativi al proprio rapporto di lavoro, come ad esempio la consegna del contratto di lavoro e dei prospetti paga e chiarimenti in merito agli stessi; in definitiva, la (OMISSIS) aveva fornito solo la manodopera, non assumendo alcun rischio economico in merito alla realizzazione del servizio di cui al contratto di appalto: i lavoratori, infatti, erano inseriti nell'organizzazione aziendale della (OMISSIS) s.r.l., i cui soci programmavano i turni di lavoro e gestivano le richieste di permessi, le ferie e i riposi, non risultando peraltro che i referenti della (OMISSIS) si fossero mai recati sul luogo di lavoro per verificarne l'andamento. La (OMISSIS), dunque, non assumeva alcun rischio di impresa, limitandosi a fornire solo forza-lavoro, che era gestita direttamente dai soci della (OMISSIS) s.r.l. secondo le loro esigenze. Tale convincimento e' stato fondato sulla deposizione dei testi escussi (l'operante (OMISSIS) e i lavoratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) e sul contenuto dei verbali ispettivi, attraverso i quali sono stati ricostruiti i periodi lavorativi degli 8 dipendenti nel 2018 e nel 2019 e le modalita' di svolgimento delle prestazioni lavorative; ne' risultano dirimenti le obiezioni difensive circa l'apparente adeguatezza della (OMISSIS), peraltro sul piano meramente formale, posto che, come accertato dagli operanti, la somministrazione della manodopera aveva comportato nel caso di specie una concreta lesione dei diritti dei lavoratori, essendo emerso che costoro erano sottoinquadrati, che le denunce contributive trasmesse all'Inps erano riferite a imponibili inferiori a quelli esposti sul libro unico del lavoro e che, nel caso di cessazione del rapporto non erno state elaborate le buste paga relative al trattamento di fine rapporto e le indennita' terminative, ne' tali voci erano pagati, aspetti questi che sono stati ragionevolmente ritenuti idonei nella sentenza impugnata a rivelare l'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice, ossia la finalita' dei contraenti, e dunque anche della (OMISSIS), di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore. Di qui il giudizio sulla sussistenza della fattispecie contestata, che, come precisato da questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 9758 del 19/02/2020, Rv. 278631), ha come obiettivo esclusivamente quello di tutelare il lavoratore sul piano delle condizioni di lavoro e di occupazione, lasciando fuori dal suo ambito di applicazione quei comportamenti finalizzati alla elusione della contribuzione, che restano soggetti alla disciplina dell'articolo 640 comma 2 n. 1 c.p.. 2.1. In conclusione, in quanto ancorati a considerazioni razionali e coerenti con le acquisizioni probatorie (correttamente intese nel loro reale significato), la valutazione del materiale probatorio operata dal Tribunale e il conseguente inquadramento giuridico della condotta non prestano il fianco alle censure difensive, che si articolano nella sostanziale proposta di una lettura alternativa del materiale istruttorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalita', sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. 3. Ne consegue che il ricorso proposto nell'interesse della (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere Dott. CIRESE Marina - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 12/09/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CIRESE MARINA; lette le conclusioni del PG. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Bologna ha dichiarato inammissibile, in quanto tardivo, l'appello proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Rimini con la quale il medesimo e' stato condannato alla pena ritenuta equa per il reato di cui al Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 186, comma 2, lettera c), commi 2 bis e 2 sexies. 2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, articolando un unico motivo con cui deduce ex articolo 606 c.p.p., lettera b) e c) la falsa applicazione della legge penale e l'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inammissibilita' in relazione all'erronea interpretazione della L. 7 ottobre 1969, n. 742, articolo 1 fornita in ordine al decorso del termine per l'impugnazione di cui all'articolo 585 c.p.p., comma 1, lettera b) e comma 2, lettera c). Si assume che, avendo il Tribunale di Rimini riservato il deposito della motivazione nel termine di giorni 90, tale termine, computata la sospensione durante il periodo feriale, deve considerarsi venuto a scadenza il 22.9.2021 sicche' il gravame proposto doveva ritenersi tempestivo. 3. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il motivo e' manifestamente infondato. Ed, invero, la Corte territoriale ha dichiarato l'inammissibilita' dell'atto di gravame osservando che il Tribunale di Rimini aveva riservato il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione e che, considerato il termine per la proposizione dell'appello (giorni 45 dalla scadenza del termine di deposito, ex articolo 585 c.p.p., comma 1, lettera c)), lo stesso andava a scadere il 23 agosto 2021. Poiche' il termine per proporre l'appello cominciava a decorrere a far tempo dal primo giorno successivo a tale periodo (1 settembre 2021) con scadenza il 15 ottobre 2021, l'atto di appello, depositato solo il 3 novembre successivo, risultava intempestivo. Cosi' opinando, la Corte ha fatto buon governo del principio secondo cui i termini per la redazione ed il deposito della sentenza non sono soggetti a sospensione nel periodo feriale, anche dopo le modifiche introdotte dal Decreto Legge n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, che all'articolo 16 ha ridotto il periodo annuale di ferie dei magistrati da 45 a 30 giorni (Sez. U, n. 42361 del 20/07/2017, D'Arcangelo, Rv. 270586), posto che i termini processuali soggetti alla sospensione feriale, di cui all'articolo 1 della L. n. 742 del 1969, sono soltanto quelli che incombono alle parti per il compimento di atti del procedimento. In conclusione il ricorso manifestamente infondato va dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Sentenza con motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere Dott. CERRONI Claudio - rel. Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la ordinanza del 18/11/2022 del Tribunale di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 18 novembre 2022 il Tribunale di Milano, quale Giudice del riesame delle misure cautelari personali e sulla relativa richiesta formulata da (OMISSIS), indagata, per quanto rileva, per i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 articolo 81 comma 2 e articolo 110 c.p., articolo 73, comma 4 e articolo 80, comma 2, (capo A); al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 articolo 110 c.p., articolo 73, comma 4 e (capo B) articolo 80, comma 2; - ha confermato l'ordinanza del 27 ottobre 2022 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese, in forza della quale era stata disposta nei confronti della richiedente, per detti due titoli, la misura cautelare della custodia in carcere. 2. Avverso il predetto provvedimento e' stato proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi di impugnazione. 2.1. Col primo motivo la ricorrente, lamentando errata applicazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 110 c.p. e articolo 73, ha censurato l'avvenuto discrimine tra concorso nel reato e connivenza non punibile, tenuto conto che l'indagata aveva preso parte solamente ad un viaggio in (OMISSIS), peraltro in coincidenza con un periodo di ferie della famiglia, ed invece pacificamente non aveva partecipato ad altri viaggi del coniuge, limitandosi - secondo il capo d'imputazione - all'organizzazione dall'Italia e all'assistenza telefonica al riguardo. In proposito la mera conoscenza dell'attivita' illecita posta in essere dal coniuge non era sufficiente ad integrare il concorso nel reato, ne' era sussistente un obbligo giuridico di impedire l'evento. Ne' in tal senso poteva essere interpretata la telefonata intercorsa tra il coniuge e la (OMISSIS), per mettere costei al corrente del controllo avvenuto il (OMISSIS), da parte delle Forze dell'ordine, mentre ogni altro elemento evocato dall'ordinanza era precedente ovvero successivo ai fatti posti alla base della misura cautelare, cosi' come i pretesi tentativi di riorganizzare l'attivita' di spaccio gestita dal marito non presupponevano necessariamente un'attivita' precedente. Al contrario non erano indicate condotte in grado di integrare un concorso materiale o morale, ed era stata solamente affermata la mera conoscenza - da parte della ricorrente - delle condotte illecite del marito. 2.2. Col secondo motivo e' stata dedotta mancanza o manifesta illogicita' di gravi indizi di colpevolezza. Al riguardo, vi era stata solamente una valutazione congetturale in ordine al fatto che nell'occasione del viaggio dell'agosto 2021 lo stupefacente fosse giunto a destinazione mentre - quanto ai motivi di riesame una serie di elementi valorizzati dal Giudice per le indagini preliminari non avevano trovato adeguato riscontro in atti, si' che poteva in effetti ritenersi esistente il vizio di travisamento della prova. Ne', in ogni caso, potevano essere valorizzati in sede indiziaria episodi pacificamente avvenuti dopo l'arresto del marito, mentre la scelta di avvalersi della facolta' di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia era dipesa da questioni tecniche non legate alla volonta' dell'indagata. 2.3. Col terzo motivo, quanto alla motivazione in relazione alle esigenze cautelari, l'inquinamento probatorio doveva considerarsi inesistente, dovendo semmai essere costituito da intimidazione dei testi, distruzione di documenti, accordi per fornire versioni di comodo, e nulla di cio' era stato ipotizzato. In relazione poi alle esigenze cautelari, era semmai emerso che la (OMISSIS), si era resa indisponibile alla prosecuzione nell'attivita' di importazione di stupefacenti. 2.4. Col quarto motivo infine, quanto alla scelta della misura cautelare, erano state somministrate solamente motivazioni di stile, ne' erano state spiegate le ragioni in forza delle quali la ricorrente non sarebbe stata in grado di rispettare gli obblighi connessi alla diversa misura degli arresti domiciliari. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell'inammissibilita' del ricorso. 4. La difesa ha dimesso memoria di replica e di contestazione alle conclusioni del Procuratore generale. CONSIDERATO IN DIRITTO 5. Il ricorso e' infondato. 5.1. Questa Corte di legittimita' ha in primo luogo ripetutamente osservato che il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, e' ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884). Siffatto genere di censure resta dunque fuori dal vaglio del giudice di legittimita' (cfr. anche Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178). 5.1.1. Cio' posto, e' altresi' nozione comune che, ai fini dell'adozione di una misura cautelare personale e' sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilita' sulla responsabilita' dell'indagato in ordine ai reati addebitatigli, perche' i necessari "gravi indizi di colpevolezza" non corrispondono agli "indizi" intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall'articolo 192 c.p.p., comma 2, - che, oltre alla gravita', richiede la precisione e la concordanza degli indizi - giacche' l'articolo 273 c.p.p., comma 1-bis, richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 del suddetto articolo 192 c.p.p., (Sez. 4, n. 16158 del 08/04/2021, Kumbulla, Rv. 281019). 5.2. Per quanto riguarda il primo motivo di censura, vero e' che la distinzione tra l'ipotesi della connivenza non punibile e il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex articolo 110 c.p., e' invece richiesto un consapevole contributo che puo' manifestarsi anche in forme che agevolino il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare (da ult. ad es. Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, Abbate, Rv. 280244). Infatti integra la connivenza non punibile una condotta meramente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in cui si offra un consapevole apporto - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente (Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, Rapushi e altro, Rv. 265167). 5.2.1. Al riguardo, tutt'altro che inerte e' stata ravvisata la condotta dell'odierna ricorrente, laddove il Tribunale del riesame ha inteso correttamente richiamare il contesto familiare e sociale in cui era immersa la donna, stante la destinazione della comune abitazione coniugale a non marginale "base" di spaccio di stupefacenti e in ragione dei molteplici contatti telefonici tra la stessa (OMISSIS) e il coniuge in occasione dei viaggi di quest'ultimo in (OMISSIS), infine bruscamente interrotti a seguito della scoperta di ingenti quantita' di stupefacente (hashish e marijuana) nella disponibilita' dell'uomo, per un totale ricavabile di quasi un milione e settecentomila dosi medie. Nel medesimo senso sono state correttamente interpretate anche le condotte successive della donna, tanto nell'immediatezza dell'arresto dell'uomo e nella convocazione di incontri per decidere il da farsi, quanto negli stessi propositi della ricorrente di sostituirsi al coniuge nella diretta gestione del traffico di stupefacente. Non sussiste pertanto alcuna violazione di legge, avendo l'ordinanza del Tribunale dato conto del materiale a disposizione e della qualificata probabilita' della lettura concorsuale della vicenda. Tanto piu' che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601). 5.3. Allo stesso tempo, ed in aggiunta a quanto gia' osservato attesa la sostanziale sovrapposizione delle questioni, deve disattendersi anche il secondo motivo di censura, tenuto invero conto che - come e' stato sottolineato dal provvedimento impugnato - anche la descrizione delle condotte successive ai fatti contestati all'indagata ben chiarivano il ruolo di costei, naturalmente ai fini di cautela. In tal senso sono stati rievocati dal Tribunale anche fatti e contatti pregressi, che comunque davano ragionevolmente atto della consuetudine illecita anche tra i coniugi, in relazione allo spaccio di stupefacente. 5.4. Per cio' che riguarda le esigenze cautelari, per un verso il concreto e attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinita' della prova ricorre solo in presenza di un'attivita' di intralcio o di sviamento delle indagini, ovvero di condizionamento delle fonti di prova, e non in conseguenza della mancata collaborazione dell'indagato con la polizia giudiziaria (Sez. 5, n. 40334 del 12/07/2022, Privitera, Rv. 283656), mentre - quanto al pericolo di reiterazione detto requisito non e' equiparabile all'imminenza di specifiche opportunita' di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilita' di condotte reiterative, alla stregua di un'analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalita' realizzative della condotta, della personalita' del soggetto e del contesto socio-ambientale e che deve essere tanto piu' approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma che non deve altresi' contemplare la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (ad es. Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, Iordachescu, Rv. 282991). 5.4.1. Cio' posto, da un lato sono state evocate le condotte decettive, in primis la distruzione dei dati del cellulare, e dall'altro risulta documentale e pacifica la costante contiguita' dell'indagata con i luoghi e le persone del traffico illecito, al di la' e nonostante l'arresto del coniuge della ricorrente. I pericula libertatis appaiono pertanto del tutto legittimamente evocati. 5.5. Non e' fondato neppure il quarto motivo di ricorso. Al riguardo, infatti, se il Giudice per le indagini preliminari aveva osservato, con motivazione espressamente ripresa dal Tribunale del riesame (cfr. pag. 4), che non potevano comunque concedersi gli arresti domiciliari in quanto l'abitazione era stata sempre il centro dell'attivita' illecita tanto sotto il profilo organizzativo quanto in relazione alle cessioni di stupefacente, l'ordinanza impugnata - che ha dato espressamente conto della natura complementare delle ordinanze del G.i.p. e del Giudice del riesame (cfr. pag. 4) - ha ritenuto la prognosi sfavorevole "anche" in ragione della saltuarieta' dei controlli, che appunto non potevano garantire la ricaduta nel delitto, proprio "attese le condotte finora descritte". Non puo' pertanto ritenersi una carenza motivazionale circa la scelta, certamente non illogica, della misura custodiale. 6. L'impugnazione proposta e' pertanto infondata. Ne consegue il rigetto del ricorso, con la condanna altresi' della ricorrente al pagamento delle spese processuali. 6.1. Si manda infine alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94, disp. att. c.p.p. comma 1-ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ACETO Aldo - Presidente Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere Dott. CORBO Antonio - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 06/09/2022 del Tribunale di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Gai Emanuela; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Riccardi Giuseppe, che ha concluso chiedendo il rigetto/l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) ricorre per cassazione impugnando l'ordinanza, emessa in data 6 settembre 2022, del Tribunale di Roma che ha respinto l'istanza di riesame avverso l'ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere applicata al ricorrente in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73 comma 1 e articolo 80 in relazione all'importazione dalla Spagna di kg. 553,233, occultati all'interno di un autoarticolato proveniente dalla Spagna, confermando i gravi indizi di colpevolezza e l'esigenza cautelare del pericolo di recidiva. 2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza il difensore dell'indagato avv. (OMISSIS) deduce, i seguenti motivi: - Violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione all'articolo 309 c.p.p., comma 10, articolo 127 c.p.p. e L. 7 ottobre 1969, n. 742, articolo 2, comma 1. Argomenta il ricorrente la perdita di efficacia della misura cautelare ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 10, articolo 127 c.p.p. e L. 7 ottobre 1969 n. 742, articolo 2, comma 1, perche' l'ordinanza impugnata sarebbe stata emessa decorsi dieci giorni dal deposito della richiesta di riesame, in data 4 agosto 2022, con la quale l'avvocato (OMISSIS), difensore dell'indagato, aveva espressamente rinunciato alla sospensione dei termini nel periodo feriale. La rinuncia alla sospensione feriale dei termini, operata dall'avvocato (OMISSIS), non avrebbe potuto eventualmente essere bloccata dall'inerzia del co-difensore avvocato (OMISSIS) in quanto la rinuncia di cui si discute opera nell'interesse della persona sottoposta ad indagini ad essere giudicata con riferimento al proprio status libertatis nel piu' breve tempo possibile e non opera invece con riferimento al rapporto di colleganza deontologica tra difensori, non potendosi, peraltro, ritenere sussistente una rinuncia tacita in quanto, nel caso in esame, l'istanza di riesame era stata sottoscritta dal solo avv. Veltri, che aveva espressamente rinunciato alla sospensione dei termini nel periodo feriale, e non anche dall'avv. (OMISSIS), avvocato che patrocina nello stesso studio legale. Avrebbe errato il tribunale, nel disattendere la richiesta di perdita di efficacia, ritenendo necessario che la rinuncia debba essere espressa da tutti i difensori. -Violazione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione alla contraddittorieta', illogicita' e assenza della motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Il tribunale avrebbe confermato la sussistenza della gravita' indiziaria sulla scorta della circostanza che il ricorrente si sarebbe mostrato agitato. Si tratterebbe di una mera percezione avuta dagli ufficiali di PG che procedettero all'arresto, che rappresenta al piu' una clausola di stile apodittica e non una descrizione dalla quale desumere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Nulla e' dato da leggere in relazione al fatto che, contrariamente a quanto esposto dal gip, l'odore nauseabondo non risultava percettibile a semirimorchio chiuso, in quanto lo stesso avrebbe invaso gli operanti solo all'apertura delle porte del semirimorchio sicche' anche tale elemento non permetterebbe di ritenere le dichiarazioni del (OMISSIS), che ha dichiarato di non sapere del carico, inverosimili. Infine, il tribunale avrebbe pretermesso di considerare altri elementi che smentivano l'argomentazione posta base dell'ordinanza evidenziati nella memoria difensiva, depositata in data 19 agosto 22, ove il signor (OMISSIS) comunicava al pubblico ministero l'intenzione di cominciare a collaborare ed escludeva la responsabilita' del (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Il primo motivo di ricorso e' fondato. La questione di diritto che sottopone il difensore attiene all'interpretazione dell'articolo 240 bis disp. att. c.p.p., che ha sostituito la L. 7 ottobre 1969, n. 742, articolo 2, secondo cui "Art. 2. - In materia penale la sospensione dei termini procedurali, compresi quelli stabiliti per la fase delle indagini preliminari, non opera nei procedimenti relativi ad imputati in stato di custodia cautelare, qualora essi o i loro difensori rinunzino alla sospensione dei termini..." richieda o meno la rinuncia di tutti i difensori ovvero, come argomenta il ricorrente, sia sufficiente la rinuncia anche di un solo difensore. L'ordinanza impugnata, richiamando un risalente orientamento di legittimita' secondo cui la disciplina di cui all'articolo 240 bis disp. Att. c.p.p. (che ha sostituito la L. 7 ottobre 1969, n. 742, articolo 2), in tema di sospensione dei termini processuali sul periodo feriale, si applica anche alla fase processuale del riesame ex articolo 309 c.p.p., posto che la norma, sul presupposto del riconoscimento agli esercenti la professione forense di un congruo periodo dedicabile alle ferie annuali, e' diretta a tutelare anche il diritto di difesa dell'assoggettato a misura coercitiva, essendo a lui rimessa la scelta tra l'immediata decisione sul suo "status libertatis" - mediante la rinuncia alla sospensione dei termini processuali - ed il rinvio della stessa decisione alla fine del periodo feriale con la certezza, peraltro, di poter fruire di quella difesa tecnica eventualmente in precedenza non prestabilite per l'indisponibilita' del difensore prescelto (Sez. 6, n. 1768 del 10/05/1991, Parisi, Rv. 187925 - 01) ha ritenuto che il presupposto della norma, che disciplina la rinuncia alla sospensione dei termini durante il periodo feriale, non sia quello di garantire autonomia ad uno dei co-difensori nella valutazione della strategia difensiva, ma di garantire che la scelta provenga dall'imputato personalmente, a fronte del diritto, anch'esso garantito al difensore di fruire delle ferie nel periodo a cio' deputato. Nel caso in esame, il tribunale ha ritenuto non essere intervenuta valida rinuncia alla sospensione feriale dei termini processuali, nei termini sopra indicati essendo intervenuta solo la rinuncia dell'avv. (OMISSIS), ed ha respinto la richiesta di perdita di efficacia della misura per essere stata pronunciata l'ordinanza oltre il termine per effetto della fissazione del procedimento del riesame nel periodo successivo alla sospensione feriale dei termini processuali. Si tratta di un'interpretazione non condivisibile in quanto contraria alla ratio legis alla luce di un'interpretazione sistematica. In primo luogo, l'articolo 240 bis disp. att. c.p.p. stabilisce che la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale non opera nei procedimenti relativi ad imputati in stato di custodia cautelare, e dunque anche nel procedimento di riesame ex articolo 309 c.p.p., qualora essi o i loro difensori rinunzino alla sospensione. L'interpretazione seguita dai giudici territoriali nel richiedere che la rinuncia provenga dall'imputato/indagato, e' contraria al dato normativo che, nell'utilizzare la parola disgiuntiva "o", ha riconosciuto che il potere di rinuncia spetta ad entrambi e puo' essere esercitato da entrambi anche separatamente. L'interpretazione della disposizione di legge secondo cui la scelta di rinunciare alla sospensione dei termini processuali, nella fase del riesame, debba provenire dall'imputato, seguita dai giudici territoriali, non appare condivisibile perche' in parte abrogativa di una prerogativa che la legge riconosce anche al difensore. La questione non e', tuttavia, risolta poiche' nel caso in esame, l'avv. (OMISSIS), difensore di fiducia dall'indagato unitamente all'avv. (OMISSIS), aveva rinunciato alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale nell'istanza di riesame, depositata in data 4 agosto 2022, ma il procedimento era stato fissato all'udienza del 6 settembre 2022, non essendo stata ritenuta valida la rinuncia di un solo dei due difensori. Neppure tale interpretazione della norma appare condivisibile alla luce di una interpretazione che tenga conto degli opposti interessi, anche di rango costituzionale, in gioco: il diritto di difesa ad una rapida decisione dello status libertatis, (che si esprime innanzi tutto nel riconoscere all'indagato/imputato stesso il diritto alla rinuncia) e il diritto dell'avvocato difensore a fruire delle ferie nel periodo a cio' deputato (diritto che puo' subire la compressione per effetto dell'esercizio della parte di rinunciare alla sospensione dei termini). A fronte di un dato letterale (il riferimento "o i loro difensori") di certo ambiguo, che puo' condurre ad un'interpretazione della norma secondo cui, nel caso di difesa assunta da due avvocati, la rinuncia debba essere espressa da entrambi, ritiene, il Collegio, che un'esegesi interpretativa della norma non lesiva del superiore interesse della persona sottoposta a misura cautelare coercitiva a ottenere una rapida decisione sul suo status libertatis, ma tenga in altrettanto conto il diritto costituzionalmente garantito di godimento delle ferie per il professionista, conduca a ritenere che il dato normativo debba essere interpretato nel senso di ritenere che la rinuncia possa anche essere espressa da uno solo dei due difensori. Per tali ragioni, non ritiene, il Collegio, condivisibile l'affermazione, contenuta nella sola motivazione della sentenza (Sez. 6, n. 4897 del 04/12/2015 Rubeis, Rv. 266499 - 01), secondo cui, qualora l'imputato sottoposto a custodia cautelare sia assistito da due difensori, la rinuncia alla sospensione dei termini per il periodo feriale deve essere formulata espressamente, e comunque in termini non equivoci, da ciascuno di essi, ovvero personalmente dall'indagato. 5. Consegue che la decisione del tribunale del riesame, in data 6 settembre 2022, e' intervenuta oltre il termine di legge avendo l'avv. (OMISSIS), difensore dell'indagato, espresso inequivoca rinuncia contenuta nell'istanza di riesame del 4 agosto 2022, in relazione all'ordinanza di applicazione della misura emessa in data 29 luglio 2022 (Sez. 2, n. 2494 del 10/01/2017, Harmati, Rv. 269115 - 01; Sez. 5, n. 28671 del 01/03/2016, Di Stefano, Rv. 267370 - 01; Sez. 6, n. 4897 del 04/12/2015 Rubeis, Rv. 266499 - 01). L'ordinanza va annullata senza rinvio e va dichiarata la perdita di efficacia della misura cautelare applicata al ricorrente, con conseguente adempimento di cui all'articolo 626 c.p.p.. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dichiara la perdita di efficacia della misura cautelare. Manda alla cancelleria per l'immediata comunicazione al Procuratore generale in sede per quanto di competenza ai sensi dell'articolo 626 c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. DI SALVO Emanuela - Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. RICCI A.L.A. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI CALTANISSETTA; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 13/10/2022 del TRIB. LIBERTA' di CALTANISSETTA; udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI; sentite le conclusioni del PG LUIGI ORSI che ha chiesto l'annullamento con rinvio; udito il difensore avvocato (OMISSIS) del foro di PALERMO in difesa di: (OMISSIS) che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso e in via subordinata il rigetto. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del Riesame di Caltanissetta con ordinanza del 13 ottobre 2022 ha annullato l'ordinanza del Giudice per le indagini Preliminari del Tribunale di Caltanissetta con la quale era stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS), in ordine al reato di cui all'articolo 603 bis c.p., comma 1 n. 2 commesso in (OMISSIS) con condotta permanente. Secondo l'ipotesi d'accusa l'indagato, nella qualita' di gestore di fatto della azienda agricola " (OMISSIS) srl" operante nel settore delle colture vitivinicole, in concorso con altri soggetti, fra cui l'intermediario (OMISSIS), aveva assunto o comunque utilizzato o impiegato decine di lavoratori di varie etnie, tra cui (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), allo scopo di destinarli alla coltivazione dei terreni, sottoponendoli alla condizione di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle precarie condizioni di vita in cui gli stessi versavano e, in particolare, corrispondendo loro per 8 ore di lavoro al giorno senza pausa (se non per il pranzo), e spesso senza riposo settimanale, un salario di 40 Euro, inferiore a quello minimo fissato dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali piu' rappresentative a livello nazionale. 2.Avverso detta ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta ha proposto ricorso, formulando un unico motivo con cui ha dedotto l'erronea applicazione dell'articolo 603 bis c.p., e la contraddittorieta' della motivazione. Il Procuratore, dopo aver dato atto che l'indagine aveva fatto emergere la presenza nella zona di Caltanissetta di una organizzazione composta da alcuni cittadini stranieri con regolare permesso di soggiorno e capeggiata da (OMISSIS), dedita al reclutamento di manodopera soprattutto di origine marocchina da destinare al lavoro nelle campagne limitrofe per paghe irrisorie e orari stremanti, ha richiamato il compendio indiziario in atti nei confronti di (OMISSIS), cosi' come evidenziato nell'ordinanza genetica del Giudice per le indagini preliminari: - (OMISSIS), coniuge di (OMISSIS), socia maggioritaria della (OMISSIS) srl, aveva intrattenuto conversazioni con (OMISSIS), tese a reclutare lavoratori anche stranieri per impiegarli in lavorato agricoli. (OMISSIS), era stato egli stesso assunto da (OMISSIS) srl nell'anno 2020 per un totale di 102 giornate lavorative e cosi' pure, per il tramite di (OMISSIS), erano stati contrattualizzati altri lavoratori tra cui (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); - le intercettazioni telefoniche avevano evidenziato che (OMISSIS), si era lamentato con (OMISSIS), del comportamento di alcuni operai che non si erano presentati sul fondo per rendere la loro opera (conversazione del 25/06/2020) e che (OMISSIS) e (OMISSIS), avevano interloquito in ordine alla regolarizzazione di alcuni operai per fini di contabilita' dell'azienda (conversazione del 9/7/2020 e dell' 1/8/2020). Dalle conversazioni captate era emerso anche che alcuni degli operai, in particolare quelli di nazionalita' marocchina, nei periodi in cui erano assunti con regolari contratti di lavoro dalla ditta (OMISSIS) srl, provvedevano ad effettuare prelievi di contanti dai propri conti correnti appena dopo avere incassato il salario, per restituirli al datore di lavoro tramite (OMISSIS). Tale circostanza era stata confermata anche dall'analisi delle movimentazioni in entrata e in uscita sulla carta di credito abbinata al conto corrente delle Poste Italiane intestate ai soggetti extracomunitari: era emerso che il (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano effettuato prelievi di contanti nell'ordine di 600 Euro ciascuno, dopo che nella giornata precedente avevano ricevuto un bonifico di 1000 Euro dalla (OMISSIS) srl sui loro conti correnti. Nel corso di una conversazione intercettata il (OMISSIS), (OMISSIS), parlando con (OMISSIS), gli aveva spiegato che le paghe erano maggiorate, che gli avrebbe fatto sapere quale cifra doveva essere restituita e che gli sarebbe stato recapitato un foglio sul quale erano riportate le cifre; (OMISSIS), aveva confermato che anche altri operai avevano ricevuto un foglio sul quale erano annotate le somme da restituir. Allo stesso modo nel corso delle conversazioni del 5/11/2020 e 6/11/ 2020 (OMISSIS) e (OMISSIS), avevano fatto riferimento a somme da restituire "all'azienda" e avevano commentato che i datori di lavoro pretendevano la restituzione di parte degli importi formalmente versati; - lo sfruttamento dei lavoratori attraverso retribuzioni inferiori ai minimi era emerso anche dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e (OMISSIS), costoro avevano riferito che la paga giornaliera era in realta' di 40 Euro e non di 56 Euro come veniva fatto figurare (per una giornata lavorativa di 6 ore e 30 minuti a fonte delle 8 in realta' lavorate) ed avevano prodotto le buste paga nelle quali era riportato il dato "differenza", pari alla somma che avrebbero dovuto restituire al datore di lavoro. Il Pubblico Ministero ha osservato che sulla base di tali elementi il Tribunale del riesame aveva confermato l'ordinanza genetica in relazione alla posizione di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per il reato di cui all'articolo 603 bis c.p., mentre aveva annullato la medesima ordinanza in relazione alla posizione di (OMISSIS). I giudici, secondo il ricorrente, avevano ritenuto in maniera irragionevole sussistente la gravita' indiziaria per tale reato nei confronti di (OMISSIS), concretizzatosi nell'opera di intermediazione svolta in favore della azienda (OMISSIS) srl gestita di fatto da (OMISSIS) e non anche nei confronti di (OMISSIS). A tal proposito i giudici avevano rilevato che i lavoratori erano stati assunti regolarmente ricavando il dato dalle buste paga consegnate ai lavoratori escussi, quando in realta' tali documenti erano fittizi; che non vi era prova che i soldi prelevati dai lavoratori il giorno seguente al ricevimento della paga fossero effettivamente arrivati a (OMISSIS), quando invece il teste (OMISSIS) lo aveva precisato in maniera inequivocabile per averlo appreso da (OMISSIS); che nessun rilievo poteva essere attribuito alle buste paga, quando invece tali buste paga erano state ritenute significative con riferimento alla posizione di (OMISSIS), e comunque era (OMISSIS), ad occuparsi insieme a (OMISSIS), della contabilita' dell'azienda, onde solo costoro potevano avere predisposto le tabelle per i lavoratori con i conteggi delle giornate, del compenso formale e del compenso che avrebbe dovuto essere restituito. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere accolto in quanto fondato il motivo. 2. Occorre premettere come nella stessa ordinanza impugnata si dia atto che le indagini relative al presente procedimento hanno fatto emergere l'esistenza di una organizzazione dedita al reclutamento di manodopera da impiegare in lavori agricoli in condizioni di sfruttamento, a capo della quale si trovava (OMISSIS), coadiuvato da (OMISSIS), e della quale facevano parte anche (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS), con il compito di reclutare i lavoratori e fare loro da autisti. In tale contesto (OMISSIS) ed il figlio, nonche' (OMISSIS), oltre al reclutamento e alla somministrazione della manodopera, provvedevano anche a controllare i lavoratori nell'esercizio della attivita' lavorativa, a riscuotere le paghe e a consegnarle ai lavoratori. (OMISSIS), fra gli altri, aveva fornito manodopera anche all'azienda (OMISSIS) srl della quale (OMISSIS), era gestore di fatto. Il Tribunale del riesame ha ritenuto che dal compendio indiziario raccolto fosse emerso che effettivamente costui si era avvalso della predetta organizzazione per il reclutamento della manodopera impiegata nelle vigne, ma non anche che, come contestato nel capo di imputazione ex articolo 603 bis c.p., comma 1 n. 2, aveva sottoposto i lavoratori a condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno, mediante corresponsione di retribuzione inferiore e sottoposizione a costante controllo. Il Tribunale, in particolare, ha dato atto che il Giudice per le indagini preliminari, in relazione alla posizione di Ferrara, aveva in ultima analisi ritenuto sussistenti le condizioni di sfruttamento sotto l'unico profilo della corresponsione della retribuzione inferiore a quella prevista dalla contrattazione e non adeguata. Anche in ordine a tale profilo, tuttavia,- secondo i giudici- non poteva dirsi sussistente un quadro indiziario sufficiente in quanto: - i lavoratori (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano limitati a riferire che era stato (OMISSIS), a dire loro che la paga sarebbe stata di 40 Euro giornaliere; - le buste paga emesse dall'Inali e consegnate da detti lavoratori indicavano una paga giornaliera di 56,04 Euro, conforme alla retribuzione minima di categoria; non era stato accertato a cosa si riferisse la voce "Differenza", pure indicata nella busta paga, ne' da chi dette buste fossero state compilate. - non vi era alcun dato che autorizzasse a ritenere che eventuali restituzioni di somme da parte degli operai avvenissero nelle mani dei (OMISSIS), ben potendo darsi, invece, che tali somme fossero state trattenute dall'intermediario. 3. Il percorso argomentativo adottato dal Tribunale del Riesame appare per alcuni profili contraddittorio e illogico e per altri profili del tutto carente. 3.1. Il reato contestato all'indagato (OMISSIS) e' quello di utilizzazione, nella qualita' di gestore di fatto di un'azienda operante nel settore vitivinicolo, di manodopera, anche mediante attivita' di intermediazione illecita, in condizioni di sfruttamento e con approfittamento dello stato di bisogno (articolo 603 bis n. 2 cod. pen). Benche' nella rubrica della incolpazione provvisoria (OMISSIS) sia indicato come concorrente ex articolo 110 c.p., con coloro che hanno agito come intermediari, in realta' nella parte descrittiva la condotta del ricorrente e' descritta come impiego di manodopera con sottoposizione dei lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno ed e' tenuta distinta da quella dei reclutatori. 3.2. Con l'entrata in vigore della L. 29 ottobre 2016, n. 199, che ha modificato l'articolo 603 bis c.p., sono state introdotte due distinte fattispecie di reato: il reclutamento illecito, il cd. "caporalato", e lo sfruttamento del lavoro. Tale ultima ipotesi ha come soggetto attivo il datore di lavoro. 3.3. Il legislatore non ha definito la nozione di "sfruttamento", condizione che deve caratterizzare tanto l'attivita' di reclutamento (articolo 603 bis c.p., comma 1, n. 1), quanto quella di utilizzazione, assunzione o impiego della manodopera (articolo 603 bis, comma 1, n. 2), ma ha preferito indicare alcuni indici di sfruttamento elencati al comma 3 della disposizione e cosi' individuati: 1) reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali piu' rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantita' e qualita' del lavoro prestato; 2) reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) sottoposizione dei lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti. Questa Corte ha gia' avuto modo di precisare che l'elencazione contenuta nella norma non sia esaustiva delle condizioni che integrano lo sfruttamento, potendo il giudice individuare anche altre condotte suscettibili di dare luogo al requisito della condotta di abuso del lavoratore (Sez. 4 n. 7857 del 11/11/2021, dep. 2022, Falcone, Rv. 282609). Dallo sfruttamento deve tenersi distinto l'approfittamento dello stato di bisogno, presupposto necessario perche' la condotta di sfruttamento sia punibile: l'uso della congiunzione nella dizione della norma ("..sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno...") implica che alle condizioni di sfruttamento debba accompagnarsi l'approfittamento dello stato di bisogno per la sussistenza del reato. In ordine alla nozione di stato di bisogno questa Corte ha precisato che essa non si identifica "con uno stato di necessita' tale da annientare in modo assoluto qualunque liberta' di scelta, ma come un impellente assillo e, cioe' una situazione di grave difficolta', anche temporanea, in grado di limitare la volonta' della vittima, inducendola ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose" (Sez. 4, Sentenza n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport soc. coop. Soc., Rv. 281405). Dalla necessaria compresenza della duplice condotta di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno discende che la mera condizione di irregolarita' amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non puo' di per se' costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all'articolo 603-bis c.p., caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (Sez. 4, n. 27582 del 16/09/2020, Savoia, Rv. 279961) 4. Dalla motivazione dell'ordinanza impugnata si evince che il Tribunale del riesame si e' confrontato unicamente con i passaggi argomentativi adottati dal Giudice per le indagini preliminari nell'ordinanza genetica della misura cautelare, ed ha svilito la portata degli indizi menzionati in detti passaggi. Siffatto percorso argomentativo, tuttavia, si presta ad essere censurato sia sotto il profilo formale, sia sotto il profilo sostanziale. Quanto al primo aspetto si ricorda che il giudizio di riesame e' totalmente devolutivo per espressa disposizione normativa. Ai sensi dell'articolo 309 comma 9 c.p.p., infatti, il Tribunale, se non deve dichiarare l'inammissibilita' della richiesta, puo' annullare, riformare o confermare l'ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza e puo' annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all'imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati, ovvero puo' confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso. Ne consegue che il Tribunale non deve limitarsi ad un confronto con il percorso argomentativo dell'ordinanza genetica, ma e' tenuto ad una verifica dell'intero compendio risultante dagli atti trasmessi. Quanto al secondo aspetto si osserva che nel caso in esame la valutazione da parte del Tribunale del riesame del compendio indiziario in ordine alla condotta di sfruttamento, anche a voler considerare il solo profilo della corresponsione della retribuzione sproporzionata rispetto alla quantita' e qualita' del lavoro prestato, sia contraddittoria e gravemente carente. I giudici, infatti, dato per pacifico che effettivamente a fronte di una retribuzione formale, risultante dalle buste paga, di 56 Euro giornalieri, i lavoratori percepivano solo la somma di 40 Euro giornalieri e restituivano la differenza, non hanno tenuto conto di alcuni dati, quali: - la esibizione da parte degli stessi lavoratori di prospetti paga rilasciati dalla ditta (OMISSIS) srl consegnati loro da (OMISSIS) in cui figurava la dicitura differenza pari alla somma che dovevano restituire; - la circostanza per cui era (OMISSIS) insieme al coindagato (OMISSIS), ad occuparsi all'interno della (OMISSIS) degli aspetti contabili e dei contratti dei lavoratori (in tal senso anche la telefonata n. 1186 dell'1/08/2020 fra (OMISSIS) e (OMISSIS)); -la circostanza per cui nelle telefonate intercettate i lavoratori parlando fra di loro indicavano quale soggetto a cui dovevano essere restituite le somme colui che aveva loro versato la paga (telefonata n. 1253 del 23/10/2020), ovvero il proprietario del fondo agricolo che li aveva pagati tramite bonifico (telefonata n. 1261 del 23/10/2020); - la circostanza per cui (OMISSIS), parlando con il coindagato (OMISSIS), faceva riferimento alle paghe maggiorate e affermava che era in attesa di sapere quale era la cifra che gli operai dovevano restituire (telefonata n. 5545 del 4/11/2020); - la circostanza per cui l'indagato (OMISSIS), parlando con il lavoratore (OMISSIS), faceva riferimento alla parte di paga ricevuta in piu' che doveva essere restituita all'azienda, mentre lo stesso (OMISSIS), si lamentava di dover restituire parte del compenso all'azienda (telefonata del (OMISSIS)); - le dichiarazioni rese da alcuni dipendenti che avevano spiegato di dover restituire al datore di lavoro, per il tramite di (OMISSIS), una parte della somma ricevuta tramite bonifico cosi' come indicato in alcuni prospetti che erano stati loro consegnati; - le dichiarazioni degli stessi dipendenti a proposito dell'orario di lavoro, ben superiore alle 6,30 ore giornaliere e pari ad oltre 8 ore giornaliere. I giudici, inoltre, non hanno valutato che sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato in esame, nel caso di sfruttamento attuato con corresponsione di retribuzione non adeguata, anche nel caso in cui una parte della retribuzione destinata al lavoratore sia trattenuta dall'intermediario, il datore di lavoro puo' rispondere a titolo di dolo eventuale, ovvero per la consapevole accettazione del rischio che solo una parte residuale della retribuzione conferita all'intermediario venga poi effettivamente corrisposta ai lavoratori (in tal senso Sez. 4, n. 45615 del 11/11/2021, Mazzotta, Rv. 282580). Il Tribunale, dunque, ha adottato una motivazione manifestamente carente ed illogica, traendo dal compendio indiziario su indicato inferenze contraddittorie sul piano della logica e non considerando i fatti nella loro concatenazione logica, anche alla luce del contesto complessivo delle indagini. 5. Ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Caltanissetta in funzione di giudice del riesame che nel nuovo esame dovra' attenersi ai principi su indicati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanissetta competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. RICCI A.L.A. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI CALTANISSETTA; nel procedimento a carico di: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 13/10/2022 del TRIB. LIBERTA' di CALTANISSETTA; udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI; sentite le conclusioni del PG LUIGI ORSI che ha chiesto l'annullamento con rinvio; udito il difensore avvocato (OMISSIS) del foro di AGRIGENTO in difesa di: (OMISSIS), che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del Riesame di Caltanissetta con ordinanza del 13 ottobre 2022 ha annullato l'ordinanza del Giudice per le indagini Preliminari del Tribunale di Caltanissetta con la quale era stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS), in ordine al reato di cui all'articolo 603 bis c.p., comma 1 n. 2, commesso in Caltanissetta, (OMISSIS) da epoca anteriore al (OMISSIS) con condotta permanente. Secondo l'ipotesi d'accusa l'indagato nella qualita' di dipendente della ditta individuale rappresentata dalla madre (OMISSIS) e di fatto gestore della stessa, operante nel settore delle colture vitivinicole e agricole, in concorso con altri soggetti, fra cui l'intermediario (OMISSIS), aveva assunto o comunque utilizzato o impiegato decine di lavoratori di varie etnie allo scopo di destinarli alla coltivazione dei terreni, sottoponendoli alla condizione di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle precarie condizioni di vita in cui gli stessi versavano e, in particolare: - corrispondendo loro per 8 ore di lavoro al giorno senza pausa (se non per il pranzo), e spesso senza riposo settimanale, un salario di 40 Euro, inferiore a quello minimo fissato dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali piu' rappresentative a livello nazionale; - sottoponendoli a costante controllo, avanzando rimostranze agli intermediari e in particolare modo a (OMISSIS), e minacciandoli attraverso gli intermediari di non corrispondere loro il compenso o di perdere occasioni future di impiego nel caso in cui non avessero svolto l'attivita' lavorativa in conformita' a quanto preteso. 2.Avverso detta ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta ha proposto ricorso formulando un unico motivo con cui ha dedotto la mancanza ed illogicita' della motivazione. Il ricorrente lamenta che il Tribunale, nel ritenere che le condotte di (OMISSIS), cosi' come emerse attraverso le intercettazioni telefoniche, non potessero integrare il delitto di cui all'articolo 603 bis c.p.. avrebbe omesso di valutare adeguatamente le fonti indiziarie singolarmente assunte e complessivamente considerate. A tal fine il ricorrente, premesso che la condotta relativa alla corresponsione delle retribuzioni in misura inferiore non era stata presa in considerazione dal Gip, il quale aveva invece considerato come penalmente rilevanti le condizioni di sfruttamento del lavoro attraverso un sistema degradante di controlli, ha richiamato: - l'attivita' di osservazione della polizia giudiziaria anche tramite sistema gps installato sull'autovettura di (OMISSIS), da cui era emerso che i lavoratori erano impiegati nell'azienda gestita da (OMISSIS) per piu' di sei ore al giorno, non indossavano dispositivi di protezione e che un infortunio occorso al lavoratore (OMISSIS) (ferita al braccio che gli aveva impedito di lavorare per diversi giorni) non era stato denunciato dall'azienda; - le conversazioni del mese di giugno, luglio e agosto fra (OMISSIS) e (OMISSIS) relative all'impiego della manodopera fornita dal secondo e ai relativi pagamenti; - la conversazione del l'(OMISSIS) con cui (OMISSIS), richiedeva a (OMISSIS), manodopera anche per altre aziende vicine alla sua; - le conversazioni della fine di luglio- inizio di agosto del 2020 nelle quali (OMISSIS) si lamentava con (OMISSIS), della non corretta esecuzione dei lavori di copertura di una sua vigna, lo invitava a controllare costantemente i lavoratori e minacciava di non pagarli. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere accolto in quanto fondato il motivo. 2. Occorre premettere che nella stessa ordinanza impugnata si da' atto che le indagini relative al presente procedimento hanno fatto emergere l'esistenza di una organizzazione dedita al reclutamento di manodopera da impiegare in lavori agricoli in condizioni di sfruttamento a capo della quale si trovava (OMISSIS), coadiuvato da (OMISSIS) e della quale facevano parte anche (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con il compito di reclutare i lavoratori e fare loro da autisti. In tale contesto era emerso che (OMISSIS) ed il figlio, nonche' (OMISSIS), oltre al reclutamento e alla somministrazione della manodopera, provvedevano anche a controllare i lavoratori nell'esercizio della attivita' lavorativa, a riscuotere le paghe dai datori di lavori e a consegnarle ai lavoratori. (OMISSIS), fra gli altri, aveva fornito manodopera anche all'azienda intestata a (OMISSIS), e gestita di fatto dal figlio (OMISSIS). Il Tribunale del riesame ha ritenuto che dal compendio indiziario raccolto fosse emerso che effettivamente costui si era avvalso dell'intermediario (OMISSIS) per il reclutamento della manodopera impiegata nelle vigne, ma non anche che, come contestato nel capo di imputazione ex articolo 603 bis c.p., comma 1, n. 2, aveva sottoposto i lavoratori a condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno, mediante sistemi di controllo degradanti. Il Tribunale, in particolare, ha dato atto che il Giudice per le indagini preliminari, in relazione alla posizione di (OMISSIS), aveva valorizzato unicamente alcune conversazioni da cui sarebbero emersi l'impiego di manodopera e rimproveri in relazione alla non corretta esecuzione di lavori di copertura di una vigna affidati ai lavoratori. Tali elementi- ad avviso dei giudici- non sarebbero sufficienti a delineare una condizione di sfruttamento. 3. Il percorso argomentativo adottato dal Tribunale del Riesame appare per alcuni profili contraddittorio e illogico e per altri profili del tutto carente. 3.1. Il reato contestato all'indagato (OMISSIS) e' quello di utilizzazione, nella qualita' di gestore di fatto di un'azienda operante nel settore vitivinicolo, di manodopera, anche mediante attivita' di intermediazione illecita, in condizioni di sfruttamento e con approfittamento dello stato di bisogno (articolo 603 bis n. 2 c. p.). Benche' nella rubrica della incolpazione provvisoria (OMISSIS), sia indicato come concorrente ex articolo 110 c.p., con coloro che hanno agito come intermediari, in realta' nella parte descrittiva la condotta del ricorrente e' indicata come impiego di manodopera con sottoposizione dei lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno ed e' tenuta distinta da quella dei reclutatori. 3.2. Con l'entrata in vigore della L. 29 ottobre 2016, n. 199, che ha modificato l'articolo 603 bis c.p., sono state introdotte due distinte fattispecie di reato: il reclutamento illecito, il cd. "caporalato", e lo sfruttamento del lavoro. Tale ultima ipotesi ha come soggetto attivo il datore di lavoro. 3.3. Nella fattispecie in esame, il legislatore non ha definito la nozione di "sfruttamento", condizione che deve caratterizzare tanto l'attivita' di reclutamento (articolo 603 bis c.p., comma 1, n. 1), quanto quella di utilizzazione, assunzione o impiego della manodopera (articolo 603 bis, comma 1, n. 2), ma ha preferito indicare alcuni indici di sfruttamento elencati al comma 3, della disposizione e cosi' individuati: 1) reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali piu' rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantita' e qualita' del lavoro prestato; 2) reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) sottoposizione dei lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti. Questa Corte ha gia' avuto modo di precisare che l'elencazione contenuta nella norma non sia esaustiva delle condizioni che integrano lo sfruttamento, potendo il giudice individuare anche altre condotte suscettibili di dare luogo al requisito della condotta di abuso del lavoratore (Sez. 4 n. 7857 del 11/11/2021, dep. 2022, Falcone, Rv. 282609). Dallo sfruttamento deve tenersi distinto l'approfittamento dello stato di bisogno, presupposto necessario perche' la condotta di sfruttamento sia punibile: l'uso della congiunzione nella dizione della norma ("..sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno...") implica che alle condizioni di sfruttamento debba accompagnarsi l'approfittamento dello stato di bisogno per la sussistenza del reato. In ordine alla nozione di stato di bisogno questa Corte ha precisato che essa non si identifica "con uno stato di necessita' tale da annientare in modo assoluto qualunque liberta' di scelta, ma come un impellente assillo e, cioe' una situazione di grave difficolta', anche temporanea, in grado di limitare la volonta' della vittima, inducendola ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose" (Sez. 4, Sentenza n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport soc. coop. Soc., Rv. 281405). Dalla necessaria compresenza della duplice condotta di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno discende che la mera condizione di irregolarita' amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non puo' di per se' costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all'articolo 603-bis c.p. caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (Sez. 4, n. 27582 del 16/09/2020, Savoia, Rv. 279961). 4.Dal percorso argomentativo adottato nell'ordinanza impugnata si evince che il Tribunale del riesame si e' confrontato unicamente con i passaggi argomentativi adottati dal Giudice per le indagini preliminari nell'ordinanza genetica della misura cautelare e ha svilito la portata degli indizi menzionati in detti passaggi. Siffatto percorso argomentativo, tuttavia, si presta ad essere censurato sia sotto il profilo formale, sia sotto il profilo sostanziale. Quanto al primo aspetto si ricorda che il giudizio di riesame e' totalmente devolutivo per espressa disposizione normativa. Ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 9, infatti, il Tribunale, se non deve dichiarare l'inammissibilita' della richiesta, puo' annullare, riformare o confermare l'ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza e puo' annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all'imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati, ovvero puo' confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso. Ne consegue che il Tribunale non deve limitarsi ad un confronto con la motivazione dell'ordinanza genetica, ma e' tenuto ad una verifica dell'intero compendio risultante dagli atti trasmessi. Nel caso di specie i giudici, nel ritenere che la condotta di sfruttamento di (OMISSIS), mediante corresponsione di una retribuzione inferiore al minimo previsto nei contratti di categoria non fosse suffragata da adeguati riscontri, hanno richiamato espressamente i passaggi dell'ordinanza genetica lasciando intendere di aver preso in considerazione solo tali passaggi e non anche le risultanze complessive delle indagini. Quanto al secondo aspetto si osserva che nel caso in esame la valutazione da parte del Tribunale del riesame del compendio indiziario in ordine alla condotta di sfruttamento, anche a voler considerare il solo profilo della sottoposizione dei lavoratori a condizioni di lavoro e a metodi di sorveglianza degradanti, sia gravemente carente. I giudici, infatti, dato per pacifico che Hassan (OMISSIS) era a capo di una organizzazione dedita al reclutamento di manodopera da impiegare in condizioni di sfruttamento, non hanno adeguatamente esaminato alcune circostanze, quali: - il fatto che (OMISSIS) si fosse rivolto a (OMISSIS) per il reclutamento di manodopera da impiegare non solo nelle proprie vigne, ma anche nei terreni limitrofi ai suoi, evidentemente per conto di altre aziende della zona; - il fatto che nelle telefonate su indicate in piu' occasioni (OMISSIS), nel lamentarsi dei lavori eseguiti da alcuni operai, avesse richiesto a (OMISSIS) una presenza constante ed assidua presso i terreni in cui i lavori dovevano essere eseguiti, in modo da esercitare una sorveglianza continua sul loro operato; - il fatto che, tramite il sistema gps installato sul mezzo in uso a (OMISSIS), si fosse accertata, in piu' occasioni, la presenza del predetto presso i terreni della famiglia (OMISSIS). I giudici, dunque, hanno adottato una motivazione manifestamente carente ed illogica, traendo dal compendio su indicato, inferenze contraddittorie sul piano della logica e non considerando i fatti nella loro concatenazione logica, anche alla luce del contesto complessivo delle indagini. 5. Ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Caltanissetta in funzione di giudice del riesame che nel nuovo esame dovra' attenersi ai principi su indicati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al ribunale di Caltanissetta competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - rel. Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26/07/2022 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Gaetano De Amicis; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dr. Perelli Simone, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; udito il difensore di fiducia, Avv. Gennaro Lepre, che ha chiesto l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 26 luglio 2022 il Tribunale di Napoli ha rigettato l'istanza di riesame proposta da (OMISSIS), nella sua qualita' di terza interessata, avverso il decreto di convalida del sequestro preventivo emesso in data 30 aprile 2022 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli ex articoli 240 e 240-bis c.p. e articolo 321 c.p.p., sull'assunto che la predetta, figlia di (OMISSIS), nei cui confronti e' stata applicata con ordinanza cautelare del 9 aprile 2022 la misura custodiale in ordine al reato di partecipazione - quale capo, dirigente e promotore - al relativo sodalizio di stampo camorristico con condotta perdurante sino al 2019, risultava mero soggetto interposto del suddetto indagato nella titolarita' dei beni mobili ed immobili a lei formalmente intestati. 2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, censurando, con un primo motivo, la violazione dell'articolo 25 Cost. e degli articoli 33 e 178 c.p.p., in relazione al principio del giudice naturale precostituito per legge, sull'assunto che il decreto di convalida del sequestro disposto d'urgenza dal P.M. e' stato emesso dal Presidente vicario dell'Ufficio G.I.P. di Napoli in sostituzione del Magistrato assegnatario del fascicolo, violando i criteri di assegnazione e sostituzione dettati dalle pertinenti disposizioni tabellari, la' dove interpretate in contrasto con i principi fissati nelle circolari del C.S.M. in materia di assenza per ferie ed orario di lavoro dei Magistrati. Si assume, al riguardo, che il Presidente coordinatore del predetto Ufficio giudiziario, nel rilevare l'impossibilita' oggettiva, da parte del Magistrato assegnatario, di esaminare la richiesta di convalida del sequestro in scadenza per il 2 maggio 2022, per essere stato in precedenza autorizzato alla fruizione di un periodo feriale a decorrere dal precedente 29 aprile, avrebbe dovuto modificarne la programmazione, senza provvedere alla sua sostituzione e, in tal guisa, spogliarlo del procedimento gia' assegnato. 2.1. Con un secondo motivo, inoltre, si deduce l'inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 240-bis cit., con riferimento alla ritenuta applicabilita' alla ricorrente, quale terza incisa, della presunzione di illecita provenienza dei beni posti in sequestro in presenza della ritenuta sproporzione fra i redditi dichiarati ed il patrimonio nella disponibilita' del loro titolare formale, trattandosi di una presunzione operante solo allorquando si proceda in danno dell'indagato o dell'imputato. Al riguardo si assume che l'onere dimostrativo gravante sul P.M. in punto di fittizia interposizione nella reale titolarita' dei beni non sarebbe stato assolto, facendo erroneamente riferimento all'accumulazione patrimoniale da illecito che nel tempo avrebbe caratterizzato le attivita' svolte dal predetto sodalizio, e segnatamente dal padre e dalla nonna della ricorrente, senza tener conto degli elementi dalla difesa allegati a sostegno della legittimita' disponibilita' di ciascuno dei cespiti oggetto del provvedimento impugnato. 3. Con atto trasmesso alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 16 gennaio 2023 il difensore di fiducia di (OMISSIS), Avv. Gennaro Lepre, ha rinunciato al primo motivo di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e va rigettato per le ragioni di seguito indicate. 2. Deve preliminarmente rammentarsi che, in tema di provvedimenti cautelari reali, il ricorso per cassazione e' consentito solo per violazione di legge ex articolo 325 c.p.p. e che tale vizio ricomprende, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692). Nel caso in esame, prescindendo dal primo motivo in quanto oggetto di rinuncia, deve rilevarsi come non emerga alcuno dei vizi radicali della motivazione denunciabili con ricorso, poiche' il Tribunale del riesame ha verificato la legittimita' del sequestro dei beni intestati a nome della ricorrente, ritenendo, con argomenti congruamente esposti, non superato dalle allegazioni difensive l'accertamento della interposizione rispetto alla effettiva titolarita' degli stessi da parte di (OMISSIS), padre dell'odierna ricorrente. L'impugnata ordinanza, con motivazione correlata all'esame delle specifiche circostanze di fatto - come tali insindacabili in sede di legittimita' - e alle risultanze delle indagini di natura patrimoniale e fiscale, ha evidenziato l'obiettiva sussistenza di gravi indizi relativi alla sproporzione del valore dei beni nella disponibilita' della ricorrente rispetto al reddito e alle attivita' economiche dell'intero nucleo familiare facente capo a (OMISSIS), spiegando inoltre, con argomentazioni coerenti alle verifiche eseguite, le ragioni per le quali le produzioni documentali difensive sono state considerate inidonee a vincere la presunzione di illecita accumulazione collegata all'accertata sproporzione, evidentemente riferita al patrimonio della persona indagata, nel quale ricadono anche i beni ritenuti fiduciariamente intestati a nome della figlia. 3. L'argomento centrale della irrilevanza dell'origine ereditaria dei beni, in quanto frutto del reimpiego delle risorse pervenute alla ricorrente per successione mortis causa o anche per donazione da parte di (OMISSIS), non puo' essere oggetto di sindacato in questa sede, trattandosi di una valutazione che investe un profilo della motivazione che non puo' ritenersi viziato da una radicale incongruenza logica risolventesi in una forma di motivazione apparente o inesistente. La circostanza che (OMISSIS) (padre della ricorrente), come anche i suoi fratelli, abbiano da sempre fatto ricorso ad intestazioni fittizie dei propri beni a congiunti e prestanomi, consente di svalutare il riferimento ai beni ereditati da (OMISSIS), tenuto conto che anche la predetta familiare e' stata ritenuta inserita nell'associazione di stampo camorristico denominata "clan (OMISSIS)", con ruolo direttivo dopo l'uccisione del marito avvenuta nel 1976. Pertanto, che il patrimonio della ricorrente derivi in buona parte da successione ereditaria o da donazioni da parte del proprio genitore, sotto forma di rinuncia di quest'ultimo alla quota di eredita' della madre (OMISSIS), costituisce un argomento del tutto inidoneo ad inficiare la motivazione dell'ordinanza impugnata. Invero, poiche' l'interposizione fittizia si fonda generalmente su un rapporto fiduciario riservato che ne rende particolarmente difficile il disvelamento, la giurisprudenza di legittimita' ha affermato che la prova puo' essere data anche per indizi, purche' essi abbiano i requisiti stabiliti dall'articolo 192 c.p.p., comma 2, (Sez. 2, n. 3990 del 10/01/2008, Catania, Rv. 239269). Gli elementi addotti a dimostrazione dell'esclusiva proprieta' da parte del terzo dei beni sequestrati sono stati attentamente vagliati dal Tribunale e sono stati motivatamente ritenuti inidonei a confutare la tesi accusatoria, sulla base della riconosciuta esistenza di una generale condivisa disponibilita' dei beni da parte del predetto sodalizio criminale, si' da rendere irrilevante l'intestazione ai diversi congiunti, in quanto frutto di accumulazione di ricchezze di provenienza illecita confluite indistintamente in capo a ciascuno di essi senza una reale autonomia patrimoniale corrispondente alla formale titolarita' dei beni. In un tale contesto di illecita accumulazione patrimoniale da parte di un intero nucleo familiare che si immedesima con il sodalizio di stampo camorristico in una logica di sostanziale condivisa disponibilita' delle risorse finanziarie che ad esso fanno capo, il riferimento ai proventi ereditati per successione da uno dei membri del predetto sodalizio e' stato coerentemente ritenuto recessivo in ragione della verificata assenza di altre lecite risorse da parte della ricorrente che potessero giustificare l'esclusiva ed effettiva titolarita' dei beni in sequestro, cosi' da rendere inattaccabile l'ordinanza impugnata sotto il profilo del vizio radicale della motivazione, con riferimento sia alla riconosciuta natura simulata dell'intestazione, sia rispetto alla disponibilita' effettiva dei beni da parte del soggetto indagato per i reati che ne legittimano il vincolo ablativo ai sensi dell'articolo 240-bis c.p.. Si tratta, in definitiva, di una motivazione priva di qualsiasi profilo di violazione di legge deducibile con il presente ricorso, essendo estranea al sindacato di legittimita' - ancor piu' in tema di misure cautelari reali - la diretta analisi degli elementi di fatto posti a fondamento del costrutto accusatorio. 4. Sulla base delle su esposte considerazioni s'impone, conclusivamente, il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente, ex articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nata ad (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26 luglio 2022 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Debora Tripiccione; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dr. Perelli Simone, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; udito l'avvocato Gennaro Lepre che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli ha annullato parzialmente il decreto di convalida del sequestro preventivo funzionale alla confisca per sproporzione emesso nei confronti di (OMISSIS), quale terza interessata, nel procedimento a carico di (OMISSIS), coniuge della (OMISSIS), sottoposto a misura custodiale per la partecipazione, con ruolo apicale, all'omonima associazione camorristica con condotta perdurante sino al 2019, limitatamente ai beni, specificamente indicati, in quanto gia' rientranti nel patrimonio dello Stato a seguito dell'irrevocabilita' della confisca di prevenzione disposta nei confronti del (OMISSIS), ed ha confermato la misura cautelare reale in relazione ai beni residui (autovettura Smart Four Four, conto corrente e libretto postale). 2. Propone ricorso per cassazione il difensore e procuratore speciale di (OMISSIS), avv. Gennaro Lepre, deducendo due motivi, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1 Violazione dell'articolo 25 Cost., articoli 33 e 178 c.p.p. in relazione alla illegittima sostituzione con il Presidente aggiunto dell'Ufficio G.I.P. del Giudice assegnatario del procedimento, in procinto di assentarsi per ferie, in violazione delle previsioni tabellari o, comunque, delle direttive del C.S.M. cui devono uniformarsi. 2.2 Violazione ed erronea applicazione dell'articolo 240-bis c.p. in relazione alla omessa prova da parte del Pubblico Ministero dell'interposizione fittizia e della disponibilita' dei beni da parte di (OMISSIS), non operando nei confronti del terzo intestatario la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale. 3. Con atto del 16 gennaio 2023, il difensore della ricorrente ha rinunciato al primo motivo di ricorso avente ad oggetto la violazione del principio del giudice naturale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato per le ragioni di seguito esposte. Giova preliminarmente rammentare che, in tema di provvedimenti cautelari reali, il ricorso per cassazione e' consentito solo per violazione di legge ex articolo 325 c.p.p. e che tale vizio ricomprende, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692). Orbene, nel caso in esame, prescindendo dal primo motivo perche' oggetto di rinuncia, si osserva che non emerge alcuno dei vizi radicali della motivazione denunciabili con ricorso poiche' il Tribunale del riesame reale ha verificato la legittimita' del sequestro dei beni intestati a nome della ricorrente, reputandoli, con argomenti logici e conducenti, non specificamente censurati dalla ricorrente, oggetto di interposizione fittizia e nella effettiva titolarita' da parte di (OMISSIS), marito dell'odierna ricorrente. In particolare, con motivazione correlata all'esame delle specifiche circostanze di fatto - in quanto tali insindacabili in sede di legittimita' - e delle risultanze dell'indagine patrimoniale, e' stata ritenuta l'obiettiva sussistenza di gravi indizi relativi sia alla sproporzione del valore dei beni nella disponibilita' della ricorrente rispetto al reddito e alle attivita' economiche a questa riferibili che alla loro effettiva titolarita' da parte di (OMISSIS). L'ordinanza impugnata, con motivazione non apparente, non specificamente censurata dalla ricorrente, ha, infatti, considerato che la maggior parte dei capitali a questa formalmente riferibili hanno una provenienza illecita, per quanto attiene ai proventi derivanti dalla gestione dell'autoparco, o comunque riconducibile al marito ed al clan di appartenenza, con riferimento alla somma di circa 167.000 Euro. Quanto al primo profilo, il Tribunale ha considerato le risultanze dell'indagine svolta nel procedimento di prevenzione in merito alla cogestione da parte della ricorrente e del marito, a partire dall'anno 1992, dell'autoparco, attivita' risultata inizialmente avviata con capitali di provenienza illecita, stante l'acclarata mancanza di redditi del (OMISSIS) e della moglie, e proseguita attraverso societa' intestate alla ricorrente. Alla luce di tali risultanze, il Tribunale ha, dunque, ritenuto che tutti i profitti, successivamente dichiarati anche dalla ricorrente, in quanto provenienti da un'impresa costituita con capitali illeciti provenienti dall'attivita' mafiosa del (OMISSIS), devono considerarsi a loro volta illeciti. Quanto al secondo profilo, l'ordinanza impugnata ha considerato l'illecita provenienza della somma percepita dalla ricorrente nell'interesse del marito a titolo di liquidazione di quattro polizze vita stipulate dalla suocera, la defunta (OMISSIS), sulla base del seguente ordine di considerazioni, non sindacabili in questa Sede: la perfetta osmosi, anche sotto il profilo patrimoniale, tra la famiglia (OMISSIS) e l'omonimo clan camorristico; l'accertamento, cristallizzato in numerose sentenze definitive, della persistenza del sodalizio sino all'attualita'; il ruolo direttivo che la stessa (OMISSIS) ha svolto all'interno del sodalizio dopo l'uccisione del marito avvenuta nel 1976. Una volta epurati i redditi della ricorrente dai proventi della gestione dell'autoparco e dalle somme giacenti nel conto corrente, l'ordinanza impugnata ha rilevato che all'indomani del sequestro della ditta individuale, la (OMISSIS) ha dichiarato redditi inconsistenti (circa 449 Euro per le annualita' 2018, 2019 e 2020) ed ha ritenuto tali redditi residui inidonei a giustificare un accumulo delle somme rinvenute nel conto corrente e nel libretto postale (pari a circa 139.251,00 Euro) nonche' l'acquisto della Smart al prezzo di 8000 Euro, venduta alla ricorrente dalla figlia (OMISSIS). Tali elementi, valutati unitamente alla circostanza accertata nel giudizio di prevenzione della frequente intestazione fittizia alla ricorrente di beni ed attivita' di impresa riconducibili al marito, hanno rappresentato la base fattuale del successivo ragionamento inferenziale in merito alla effettiva riconducibilita' a (OMISSIS) dei beni in sequestro. 1.1 Cosi' facendo, il Tribunale non e' incorso in alcuna violazione dell'articolo 240-bis c.p. in quanto, senza alcuna inversione dell'onere della prova e attraverso una logica e coerente lettura degli elementi fattuali sopra indicati, non limitandosi alla sola sproporzione, ha argomentato in merito alla titolarita' effettiva dei beni attinti da sequestro in capo al (OMISSIS). Va, infatti, premesso che la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui alla L. 7 agosto 1992, n. 356, articolo 12-sexies, (ora articolo 240-bis c.p.), non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato ad un terzo che si assume fittizio interposto della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata, incombendo, in tal caso, sull'accusa l'onere di dimostrare l'esistenza di circostanze che avallino in modo concreto la divergenza tra intestazione formale e disponibilita' effettiva del bene non essendo sufficiente la sola presunzione fondata sulla sproporzione tra valore dei beni e reddito percepito (Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone, rv. 254699). Tuttavia, la sproporzione di valore tra il bene formalmente intestato e il reddito effettivamente percepito puo' assumere valenza probatoria ove questa, confrontata con le altre circostanze che caratterizzano il fatto concreto, appaia sicuramente dimostrativa della natura simulata dell'intestazione. In ogni caso, tale sproporzione va valutata con riferimento al momento dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta acquisiti, non gia' a quello dell'applicazione della misura (Sez. 5, n. 53449 del 16/10/2018 Hunag Xiaoping Rv. 275406). Inoltre, con riferimento ai terzi legati all'imputato da una relazione personale qualificata di coniugio o di filiazione, questa Corte ha condivisibilmente affermato che la presunzione relativa circa l'illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui all'articolo 240-bis c.p. opera, oltre che in relazione ai beni del condannato, anche in riferimento ai beni intestati al coniuge dello stesso, qualora la sproporzione tra il patrimonio nella titolarita' del coniuge e l'attivita' lavorativa svolta dallo stesso, confrontata con le altre circostanze che caratterizzano il fatto concreto, appaia dimostrativa della natura simulata dell'intestazione (Sez. 2, n. 23937 del 20/05/2022, Mancini, Rv. 283177; Sez. 6, n. 38150 del 16/9/2021, Gjolaj, Rv. 282115). Invero, poiche' l'interposizione fittizia si fonda generalmente su un rapporto fiduciario riservato che ne rende particolarmente difficile il disvelamento, la giurisprudenza di legittimita' ha affermato che la prova puo' essere data anche per indizi, purche' pero' abbiano i requisiti stabiliti dall'articolo 192 c.p.p., comma 2 (cfr., Cass., Sez. 2, 10/01/2008 n. 3990, Catania, rv. 239269). In tal caso, il giudice ha l'obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma elementi fattuali che si connotino della gravita', precisione e concordanza, si' da costituire prova indiretta dell'assunto che si tende a dimostrare, cioe' del superamento della coincidenza fra titolarita' apparente e disponibilita' effettiva del bene. Di contro, il terzo, pur non essendo gravato da alcun onere probatorio, ha, invece, un onere di allegazione relativo agli elementi fattuali idonei a confutare la tesi accusatoria e ad indicare elementi fattuali che dimostrino che quel bene e' di sua esclusiva proprieta'. L'ordinanza impugnata, muovendosi nel solco di tali coordinate ermeneutiche, ha ineccepibilmente desunto l'interposizione fittizia della ricorrente in relazione ai beni in sequestro sulla base di una analitica valutazione degli elementi di fatto emergenti dalle indagini patrimoniali e finanziarie, letta alla luce della riconosciuta esistenza di una generale condivisa disponibilita' dei beni da parte della famiglia mafiosa dei (OMISSIS), tale da rendere irrilevante la intestazione ai diversi congiunti, in quanto frutto di accumulazione di ricchezze di provenienza illecita confluite indistintamente in capo a ciascuno di essi senza una reale autonomia patrimoniale corrispondente alla formale titolarita' dei beni. Si tratta, in definitiva, di una motivazione priva di qualsiasi profilo di violazione di legge deducibile con il presente ricorso, essendo estranea al sindacato di legittimita' - ancor piu' in tema di misure cautelari reali - la diretta analisi degli elementi di fatto posti a fondamento del costrutto accusatorio. 3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. GALLUCCI Enric - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata in (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 16/11/2021; visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Enrico Gallucci; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dr. Senatore Vincenzo, che ha chiesto che il ricorso venga rigettato; letta la memoria scritta depositata dal difensore della parte civile (OMISSIS), Avvocata Beatrice Capri, che ha chiesto che il ricorso venga rigettato e ha depositato nota spese. Letta la memoria scritta depositata dal difensore dell'imputato, Avvocato Andrea Marzola, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Bologna con sentenza del 16 novembre 2021 ha confermato quella di primo grado del Tribunale di Ferrara che ha condannato l'imputata alla pena complessiva di due anni di reclusione, con la concessione della sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento della somma stabilita a titolo di risarcimento del danno, in relazione ai reati di cui all'articolo 388 c.p., comma 2 e articolo 574 bis c.p. 2. I giudici di merito hanno ritenuto che la (OMISSIS) abbia eluso quanto stabilito dal Tribunale civile di Ferrara in ordine al diritto del padre (OMISSIS) di vedere i figli minori, allontanandosi con loro in localita' estere senza avvisare quest'ultimo, e che abbia impedito al padre di esercitare la potesta' genitoriale conducendo i figli in Francia senza il suo consenso. 3. Avverso la condanna in appello ricorre, a mezzo del proprio difensore, l'imputata deducendo sette motivi, reiterativi di identiche doglianze avanzate in sede di appello. 3.1. Con il primo e terzo motivo si censura la sentenza di appello in relazione alla ritenuta configurabilita' dei delitti per cui e' intervenuta condanna; cio' in quanto non vi e' prova che all'imputata sia stato notificato il provvedimento del Tribunale civile di cui si assume l'elusione; provvedimento che, comunque, non poteva ritenersi esecutivo. 3.2. Il secondo, quarto e quinto motivo sono relativi alla dedotta insussistenza dell'elemento soggettivo dei due reati sopra indicati, elemento soggettivo che non puo' ritenersi configurabile atteso che l'imputata ha agito sempre nell'esclusivo interesse dei figli che avevano manifestato il desiderio di recarsi all'estero con la madre e di non vedere il padre con cui avevano un rapporto gravemente conflittuale. 3.3. Con il sesto motivo si censura il capo della sentenza relativo alla ritenuta sussistenza del danno che e' stato fatto derivare dalla sola supposta responsabilita' penale dell'imputata mentre non emergono elementi dai quali ricavare l'oggettiva esistenza di un effettivo danno per il (OMISSIS). 3.4. Il settimo motivo, infine, censura la subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, nonostante la documentazione prodotta dalla quale risultano le precarie condizioni economiche e di salute della imputata. 4. Il giudizio di cassazione si e' svolto a trattazione scritta, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 2020, e le parti hanno depositato le conclusioni come in epigrafe indicate. 5. Va dato altresi' atto che il dispositivo emesso da questa Corte all'udienza del 12 gennaio 2023 per mero errore materiale non conteneva le statuizioni relative alla liquidazione delle spese di rappresentanza e giudizio della Parte civile. All'udienza del 28 febbraio 2023, si e' quindi provveduto ai sensi dell'articolo 130 c.p.p. a detta integrazione, nei termini riportati nel dispositivo della presente sentenza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso - interamente reiterativo dei motivi di appello - e' infondato. 2. La maggior parte dei motivi (dal primo al quinto) concernono profili di merito, ai quali la sentenza impugnata ha dato convincenti risposte con le quali non si confronta adeguatamente il ricorrente, e dunque risultano manifestamente infondati. 2.1. La Corte di appello, con motivazione non illogica, evidenzia la sussistenza degli elementi, oggettivi e soggettivi, dei due reati contestati. In particolare la sentenza impugnata evidenzia che la stessa (OMISSIS) non ha mai contestato di essere a conoscenza del provvedimento del Giudice civile, che l'imputata ha consapevolmente violato conducendo i figli all'estero nonostante il mancato consenso del padre. Ne', aggiunge la Corte bolognese, l'eventuale conflittualita' dei figli minori con il padre potrebbe giustificare detto comportamento (peraltro dalla sentenza impugnata risulta che la figlia piu' piccola voleva instaurare un rapporto positivo con il papa', nonostante le difficolta' frapposte dalla madre). 3. Manifestamente infondato e' anche il motivo relativo al danno risarcibile a seguito della condanna. Sul punto, correttamente la sentenze' di appello rileva come una volta accertata la responsabilita' penale dell'imputata discenda ex lege l'obbligo di risarcire il danno da reato (che ai sensi dell'articolo 185 c.p. e articolo 2059 c.c. si estende anche ai danni non patrimoniali), precisando che la condotta della (OMISSIS) - solo apparentemente di apertura e disponibilita' - in realta' "ha manipolato i figli in modo attrarli a se' e rendere difficile il percorso di avvicinamento al padre". 4. Infondato e' l'ultimo motivo di ricorso con il quale si censura la decisione di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno liquidato. Al riguardo, rileva la Corte che la motivazione dei giudici di merito e' conforme ai principi affermati da Sez.un., n. 37503 del 23 giugno 2022, Liguori, Rv. 283577. 4.1. Invero, il Tribunale - la cui statuizione e' stata confermata dalla sentenza impugnata - ha condannato la (OMISSIS) al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio civile, stabilendo una provvisionale di 15.000 Euro a favore della parte civile. La subordinazione che fa riferimento "al risarcimento del danno liquidato" da effettuarsi entro il termine di 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, e' dunque da intendersi relativa a detta somma. In tal modo, e' stato rispettato il dictum delle Sez:.un., secondo cui la legittimita' di detta subordinazione presuppone "che il giudice penale determini con precisione il quantum di provvisionale o di risarcimento del danno che forma l'oggetto dell'obbligo condizionante". 4.2. Sotto altro profilo, la Corte di appello ha dato atto che le condizioni economiche dell'imputata non sono incompatibili con l'assolvimento di detto obbligo (profilo, questo, peraltro sollevato solo in sede di appello e non dedotto dalla difesa dell'imputata nel giudizio di primo grado) in quanto "dai documenti allegati all'atto di appello (in lingua francese e in parte non tradotti) risulta che la (OMISSIS) ha comunque fruito di redditi per quanto non elevati. Inoltre, l'imputata risulta proprietaria della casa in Spagna ove trascorreva le ferie estive". Pertanto, risulta rispettato anche I"obbligo - richiamato dalla citata pronuncia delle Sez.un. - di valutare le reali condizioni economiche del condannato; preventiva valutazione, sia pure sommaria, che consente di evitare che si realizzi in concreto un trattamento di sfavore a carico dello stesso condannato in ragione delle sue condizioni economiche. 5. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e giudizio della Parte civile - liquidate come da dispositivo - e al pagamento delle spese processuali. Infine, si deve disporre nel caso di diffusione della presente sentenza l'oscuramento delle generalita' e degli altri dati identificativi delle parti private a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, la ricorrente a rifondere le spese del presente grado in favore della parte civile, (OMISSIS), che si liquidano in complessivi Euro 3.591 oltre accessori di legge.

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